Skip to main content

Full text of "Opere del consigliere Gian Lodovico Bianconi bolognese .."

See other formats


4r^~ 


854B4T 

i\e>o£ 

V.4- 

ffiM»  Boote  &  Special 
Colfocfiont  Library 


OPERE 

DEL    CONSIGLIERE 

GIAN   LODOVICO   BIANCONI 

BOLO GN ESE 

MINISTRO    DELLA    CORTE    DI    SASSONIA 
PRESSO    LA    S.    SEDE. 

VOLUME    QUARTO. 


Digitized  by  the  Internet  Archive 

in  2012  with  funding  f-rom 

University  of  Illinois  Urbana-Champaign 


http://archive.org/details/operedelconsigli4bian 


POESIE     VARIE 

DEL    CONSIGLIERE 

GIAN    LODOVICO    BIANCONI 

BOLO  GN  ES  E  . 


MILANO 

NELLA  TIPOGRAFIA    DE'  CLASSICI    ITALIANI 

contrada  del  Bocchello ,  N.°  a536. 


ANNO     1802. 


« 


CANZONE 


«xÌlRCADI  selve  ombrose , 

Ove   tal   ora    il  semi  capro   Dio 

Tra   pianta  e  pianta  spaziar  si  vede  ,• 

Sacre   valli    nascose , 

Ove   spesso  sul   margine  a"  un  rio 

Viensi  Diana  affaticata  e  siede  ; 

Quand'  io  moveva  il    piede 

Per   le  contrade   vostre  apriche  amene  » 

Me   cantare  ascoltaste  ,    ora  il  nevoso 

Seno  di   Nice  ,  or  de  la  bruna  Irene 

Il  corallino  labbro  grazioso  : 

Adesso ,   o  selve ,  o  valli ,  e  voi   pastori 

M'  udirete   cantar  cose  maggiori . 
Me  ,  se   mai   noi  sapeste , 

Destin  secondo    e  luminosa  stella  , 

Mercè  quel  lauro  che  il  mio  crin   circonda , 

Trasse  d'  Ausonia  a  queste 

Ricche  piagge  ,  tra  cui  1'  erbosa  e  bella 


484XÓ4 


)(    6    )( 
Elba  conduce    al   mar   la   placid'  onda  ; 
Qui  regna  in   su  la   sponda 
Il   sassone   signor,  e   benché  in    cielo 
Veglin  custodi   di  sua  vita  il  Fato , 
E  il  dator  di  salute ,  il  Dio  di  Delo , 
Io  sacerdote  loro ,  io  vivo  a   Iato 
Al  gran  monarca ,  e  verso  d'  ordin   loro 
Le  salubri  bevande  in  coppa  d'  oro  . 

Qui  de  F  inda  marina 

Le  più  candide   perle  e  d*  Oriente 

Le   gemme  al  trono    suo  fanno  ornamento. 

Qui  F  itala  e  divina 

Armoniosa  musica  si  sente 

La  voce  scior  fra   cento  cetre  e  cento 

De  le  corde  d'  argento  . 

Al  dolce  suon  lo  splendido   notturno 

Teatro  eccheggia ,   e    vagamente  ornate 

Ninfe  vestite  il  pie  d'  aureo  coturno 

Guidano  molli  danze  innamorate  ; 

E  altro  è  ben   ciò,  che  far  per  le  capanne 

Carole  e  canti  al  suon  d'  agresti  canne  . 

Qui  gli  archi  eccelsi  e  gravi 

D'  aste  e  loriche  ,  i   templi  e  le   supreme 
Munite    torri   al  cielo  alzan  la  fronte, 
E  qui  da  cento   navi 
L'  onda  compressa  gorgogliando  geme 
Sotto    lungo   real  marmoreo  ponte . 
Belio   il  veder  le   pronte 


)(     7     )( 
Sassoni  schiere  ogni   nemico  inciampo 
A  debellare  ,  ad    atterrar   possenti  : 
Bello   il   vederle  in  polveroso   campo 
Su  bei    destrier'  vincere  il  corso  ai    venti  ; 
E   di  gran   spada    il   duro   braccio    onusto 
Pender  tutte  da  un  sol  cenno   d'  Augusto . 
Bello  è  uclir  per  le  selve 

Alto  rumoreggiar  le  rauche  strida 
Di  cacciator' ,  di   carri  e   di  destrieri  » 
Bello  il  veder   le  belve , 
Che  al  cor  già  senton   la  fatai  disfida, 
I  più   ascosi  cercar  erti  sentieri . 
E   intanto  i    cavalieri 
D'  antico   cervo  la   veloce  traccia 
A    briglia   sciolta    seguitando  vanno  : 
E  fin  non  ha    la  perigliosa  caccia, 
Se  il  lungo  corso  ed  il  mortale  affanno 
Non  fan  che  stanca  al  suol  la  fera  cada 
Pasco  de'  veltri   in  su  la  dura  strada . 
Pei  palagi  e  le  sale 

Pitture  no,  ma   meraviglie  io  veggio 

A  le  pareti  d'oro  intorno  appese. 

Ah  ,  mio   Guido  immortale  , 

Io   ti    rivedo  ,   e  tu  , .  molle    Correggio , 

Caracci  eterni ,   e  tu ,  gran  Veronese  ! 

Direbbesi  che  scese 

Qui   di   nuovo  dal  ciel   converso    in  tauro 

O  in  bianco   augello  innamorato  Giove 


)(    8    )( 
Ecco  Apollo  che  abbraccia  un  duro  lauro, 
Ed  ecco  F  oro  seduttor  che  piove .  " 
Là  vedo  Achilie  ,    che   vendetta  spira , 
E  Andromaca  piangendo  lo   rimira . 

Ma  quai  vagiti  ascolto  , 

Che  misti  a  lieto  strepitoso  suono 

Interrompono  quel   de'  carmi  miei  ? 

Bambin  vezzoso   involto 

Entro  candide  fasce,  eterno  dono 

Certo  ,  cred'  io  ,  de  gP  immortali  Dei , 

Io  Io   conosco  ai  bei 

Pronubi  genj  ,    che  a  lui  stan  vicino  : 

Giuno   vegg'  io   che  a   F  aurea  culla  a  canto 

Guarda  ridente  il  sassone    destino  ; 

Ed  a  la  gioja  e  a  F  amoroso   pianto 

Che  da  gli  occhi  a  Lusazio  irriga   il  viso , 

Sì ,   che  il  reale    genitor  ravviso  . 

Scendesti  al   fin ,  scendesti 

Da  la   natia   tua   stella  in  uman  velo  , 

Dolce   speranza   de    F  onor  germano  . 

I  nostri  ardenti  onesti 

Voti,  io  già  il   seppi,   non  dovea  più  il  cielo 

Starli    ascoltando  lungamente  in   vano  . 

Ma   quali   di  lontano 

Entro  la   nebbia   del   futuro   involte 

Veggio  dure  vittorie ,   ardite  imprese  ? 

Spade   nimiche  ed  aste  in  fuga  volte , 

Torri  superbe    al  suol  veggio  distese  . 


)(    9    X 
Di   più   ne  V  antro   suo  no ,   non  previde 

Chiron   guardando  il   fanciullin  Pelide  . 

Donna    real ,  ,  cui  cigne 

La   lunga  chioma    quel   che  Apollo  istesso 

Serto    ti   diede  de  le  sacre  foglie  ; 

Sai   ben  che  mai  non  finge 

Il   fatidico  Nume  di    Permesso , 

Qualora   il  velo  a  P  avvenir  discioglie  . 

Sì  ,   che    le  vìnte  spoglie , 

I   trofei  polverosi  e   la  beli'  ira 

Del  magnanimo  figlio  canterai 

Su  la  tebana  tua  gemmata  lira  ; 

Sì ,    che  tornar  dal  campo  lo  vedrai , 

E  seco    allor  d'  ogni  timor  disgombra 

Starai    sedendo    de*  suoi   lauri    a  P  ombra . 

Dal  labbro  tuo  vezzoso 

Pender   vedrai   di  meraviglia  piena 

Non  solo  Arcadia ,  che  di   te  risuona , 

Ma  ancor  P  armonioso 

Stuol  de  le   Dee,  che  gode  in  su  P amena 

Cima  abitar  del  colle  d'  Elicona  . 

Febo  di  te  ragiona 

Con  loro  ,  ed  Eco  replicar  s*  ascolta 

Or   di   Lusazio  ,   or  d'  Ermelinda  il  nome  « 

Move  Dafne  a  P  udirlo  entro  la  folta 

Selva   per   gioja  le  frondose  chiome, 

E  Melpomene  canta  i  tuoi  bei  versi  , 

Versi  che  andran  d'  eterna  luce  aspersi . 


)(     io     )( 
Vanne ,  o   canzon ,  del  Tebro  in  su  la  riva , 
Ed   entra  umil  nel   taciturno  e  fosco 
Sacro  parrasio   bosco . 
A  que'  pastori  narra  la  giuliva 
Grande  novella ,  e   digli  che  talora 
Di  lor  Lusazio  si  rammenta  ancora . 


)(  «  )( 


SONETTO 


JLjibico   augel ,  che  de  la  bionda   Irene 
Su  le  dita  di   rose  ascendi  e  stai, 
E  seco  articolando  ardito   vai 
Nuove  parole  di  dolcezza  piene; 

Se   di  me   la   crudel  mai  si  sovviene  , 
Pietoso  augel ,  rammentale  i  miei  guai  ; 
Dille ,  che  ho  il   sen  per  lei  più  caldo  assai 
De  F  africane  tue  bollenti  arene . 

Dille   che  un  lustro   è  ornai,  che  in  fondo  al  core 
L*  aspra  piaga    mortai  covo  e  nascondo, 
E  che  a  la  fine  per   dolor  si  muore . 

Barbaro  e  sordo  augello  !    ah    tu  non  m'  odi, 
E  suggi  intanto  con  quel   rostro  immondo 
Baci  a  me  tolti,  e  ne  tripudj  e  godi. 


*       12      )( 


SONETTO 


A 


L  tempio  tuo  cinto  d'  affanno  e  orrore 
Un  povero  infelice  ,  Amor ,  seri  viene  ? 
Strascinando  fra  il  popol  spettatore 
Le  rugginose  sue  vecchie  catene. 


ÀI   viso   smunto   ed  al   mortai  pallore , 
Al  fianco   che  a  gran  pena  si  sostiene  , 
Riconoscer  dovresti  ,  o  ingrato  Amore  , 
L'  adorator  de  la   spergiura  Irene  . 

Abbi  pietà  di  lui  :  egli  non  chiede 
Che  gli   rallenti  i   duri  ceppi  suoi  ; 
Anzi ,  se   vuoi  doppiargli ,  eccoti  il  piede 

Chiede  sol    di  mirar  la   sua  nimica 
Per  un   istante,   ed  il  vedrai  dappoi 
Cheto  tornare  a  la  prigione  antica . 


X     «3    )( 


CANZONETTA 


VXuardami  in  volto ,  o  amabile 
Sposa ,  per  un  istante  , 
E  non  temer  che  doigasi 
Il  tuo  felice  amante  . 

Perchè  il  mio  sen  non  copresi 
Al  caldo  altrui   desire  ', 
Perchè   questi  occhi  ispirano 
Forze,  speranza  ,   ardire  ; 

Perchè  a  me   intorno  scherzano 
E   la  licenza  e  '1  riso  , 
ISfon    dei  da  me   distogliere 
Troppo  modesta  il  viso  . 

A  V  agii  fianco ,  e  a  gli   agili 
I  eggiadri  piedi  e  presti 
L'  amica  tua  Terpsicore 
Riconoscer  dovresti  ; 

Quella  che  prese  in  guardia 
I  passi  tuoi  primieri , 
Quella   che  insegna  a    vincere 
I  cor'  più  duri  e  alteri . 

Se  tu  noi  sai ,  le  grazie 

Che  a  te  d* intorno  or  sono  f 


)(    i4  OC 

Tutte ,  o  mìa  cara ,  furono 
Un  liberal  mio  dono . 

Senza  di  Ior  fu  inutile 

Mai  sempre  la  vaghezza  ; 
Le  grazie  sole  accordano 
L' onor  de  la  bellezza . 

Tra  le  suore  d'  Apolline 
La  più  gentil  son  io  ; 
Lascia  pur  dir  Melpomene, 
Euterpe  ,  Erato  ,  e  Clio  . 

Mi  rido-  ben  d'  Urania 

Che  e'  importuna  ognora 
Con  le  sue  sfere   e  i  circoli , 
Con   gli   astri  e  con  P  aurora 

Mi  rido   di  Calliope  , 

Che  da  tant*  anni  arlnoja 
Cantando   quel  suo  Priamo , 
E  quell'  eterna  Troja  . 

Me  dovunque   accompagnano 
Gli  armonici  strumenti , 
Me  le  grazie  precedono , 
E  i  bei  genj  ridenti. 

S' io  dal    ciel   parto ,  languono 
Le   Dee   nel    sommo    coro  ; 
E  mal  contente    dormono 
Ne'  lor   bei  letti  d' oro . 

Io    quella  son  che  i  giovani 
Amanti   incoraggisco  K 


)(     i5    )( 
Io  le  lor  destre  timide 
Al   suon  di  cetra  unisco  . 

Dov'  è  queil'  antro  gelido  , 

Dov'  è    P  ardente   arena  , 

In  cui  P  uom  non   rallegrasi  , 

Se   a    lui  mi   mostro    appena  ? 

Se  me  su    i  lidi   d'  Africa 

Giugner  lo   schiavo  vede  , 
lo  schiavo  afflitto  e  misero 
Danza  coi    ceppi   al   piede . 

Io  sola  ardisco   tergere 
Le   gote  lagrimose 
A  le   Sultane  in  Asia 
Ne'  lor  serragli  ascose  . 

Di  là    da  P  onde  atlantiche  , 
Di  là  da   P  Indie  ispane 
Me   innamorate   invocano 
1  e   ignude  Americane  . 

Kon  v'  è    dal  freddo  Borea 
A  P  Austro  più  selvaggio  f 
Non  v'  è  popol  si  barbaro , 
Che   a  me   non  presti  omaggio  «. 

Oh    sventurati  gli  uomini 
Se  a  rallegrar  talvolta 
Non  veniss'  io    quei    torbidi  ? 
Onde  natura   è   involta  ! 

So  che  vi  son   de'  rigidi , 
De'  severi   censori , 


)(     16    )( 
Che  me  con  gì'  occhi  guardano 
Nemici   e  sprezzatoli  . 

Ma  ad  onta  loro  imparino 

Ch*  ogni  disprezzo  è  vano , 
E  a  rispettar  comincisi 
Il  mio  poter  sovrano. 

In  fin  non  cedo   a  Venere  , 
Né  a  Ghino  imperiosa , 
Ma  solo  a  te  vo'  cedere 
Q&&  9   °  gentil  mia  sposa . 


SO- 


ABATE   STIMATISSIMO. 

Bologna  27  febbrajo   1802, 


jRj 


Ricevuta  la  grati  ss  ima  vostra  de  Ili  20  corrente 
con  V  unita  Prefazione  anteposta  alle  Lettere  Cre- 
spiane  del  Consigliere ,  feci  invitare  varj  Amici  a~ 
manti  delle  belle  Arti  ,  e  dell'  Antichità  .  Venuti , 
lessi  loro  la  Prefazione  che  piacque  moltissimo  . 
Dopo  aver  ammirato  la  stravaganza  del  Canonico 
Crespi  ,  passarono  a  congratularsi  con  V  Accademia 
Clementina  anzi  con  Bologna  medesima,  che  fesse 
restituito  V  onore  a  un  Corpo  di  lei  così  rispetta- 
bile ,  ed  alla  memoria  del  valorosissimo  ed  integer- 
rimo Ideili .  Tutti  fecero  plauso  a  chi  aveva  pubbli- 
cata la  Prefazione  ,  protestando  che  giusto  fosse  il 
ringraziamelo .  Me  ne  incaricai ,  ed  a  questo  fine  vi 
diriggo  la  presente  assicurandovi  della  comune  cor- 
dialissima riconoscenza  .  Vi  prego  voler  gradire 
questi  uffìzj  ,  e  passarli  ai  vostri  colleghi  . 

In  seguito  significai  ai  medesimi  il  pensiero 
comunicatomi  di  ristampare  V  opera  Circense  dello 
stesso  Consigliere  Bianconi .  Avendolo  lodato  mi 
stimolarono  con  forti  ragioni  a  significarvi  la 
necessità  di  pubblicar®  la  storia   in  altra  occasione 


)(    n    )( 

già  loro  narrata ,  degli  sforzi  delV  Avvocato  Fea  * 
dell  Architetto  Uggeri,  e  del  Commendatore  Carli  per 
togliere  al  Consigliere  V  onore  che  da  quella  dove- 
va venirgli.  Senza  una  tale  Storia  ,  ossia  confu- 
tazione delle  cose  non  vere  asserite  dai  tre  suddetti , 
brrm^si  di  farsi  onore  con  le  altrui  fatiche ,  si  man* 
ea ,  dissero  tutti,  alla  giustizia,  ed  ai  più  sacri  sociali 
doveri .  Quindi  si  volsero  a  me  ,  e  mi  obbligarono 
a  prometter  loro  di  scriverla  tostamente  ,  mandar" 
vela ,  e  pregarvi  stamparla ,  ponendola  alla  Usta 
àelV  opera  stessa  Circense  in  luogo  della  Prefazio- 
ne delFea^  della  quale,  quantunque  contenga  qual- 
che erudizione ,  pub  nondimeno  V  opra  star  senza , 
ina  non  già  di  questa  .  In  una  parola  ho  accet' 
iato  V  impegno  ,  e  nelV  ordinario  prossimo  ve  ne 
Spedirò  la  porzione  spettante  a  Fea ,  indi  V  altra 
appartenente  ad  Uggeri,  e  per  ultimo  quella  che 
ci  Presidente  Carli  credo  possa  convenire*  Ama- 
temi, e  credetemi . 

Il  vostro  Amico 

F.  P. 


AI  LETTORI 
dell' opera  circense* 


JLj  OPERA  postuma  del  Consigliere  Gio.  Lodovico 
Bianconi  intitolata  zzz  Descrizione  dei  Circhi  parti- 
colarmente di  quello  di  Caracalla ,  Roma  1789  = 
è  stata  attaccata  da  tre ,  cioè  dalV  Avvocato  Fea  , 
e  dall'  Architetto  Uggeri  che  la  puhblicarono  ,  e 
dal  Commendatore  Gianrinaldo  Carli .  Pretese  il 
primo  y  che  imperfetti ,  e  disordinati  fossero  gli 
scritti  del  Bianconi ,  ed  il  secondo  che  le  figure 
fossero  scorrette ,  ed  ideali .  Il  Carli  volle  di  più 
che  il  Consigliere  fosse  plagiario  accusandolo  di 
aver  preso ,  da  certi  suoi  scritti ,  pubblicati  già  pri- 
ma che  fosse  intrapresa  V  opera  sui  Circhi,  molte 
scoperte  nelV  opera  stessa  introdotte  .  Crederei  di 
far  torto  alla  gloriosa  memoria  del  Consigliere  se 
ommettessi  di  pubblicar  nudamente  la  verità,  che 
spennacchia  i  bramosi  di  vestirsi  delle  sue  piume  . 
Ecco  come  V  Avvocato  Fea  parla  degli  scritti 
alla  pag.  vi  11  della  Prefazione  z=z  Consistevano  iti 
un  ammasso  di  carte  senz'  ordine  ,  e  senza  fine . 
1/  Autore  scriveva  ,  e  riscriveva  più  volte  la  stessa 
cosa  ,   ora  correggendo  ?    ora  levando ,    ora  aggior 


)(  iv  )( 
gnendo ,  ora  mettendola  in  un  capo  ora  in  un  altro  ; 
di  maniera  che  ,  trattine  alcuni  capi  un  poco  più  con- 
nessi, e  che  dopo  molte  collazioni  ho  creduto  fos-, 
sero  i  suoi  ultimi  pensieri ,  il  rimanente  non  era  che 
una  selva  di  materiali ,  come  li  chiama  anche  il  si- 
gnor Annibale  Mariani,  che  egli  poi  avrebbe  ridotti, 
e  sistemati  forse  coli'  indice  dei  capi  che  ho  aggiunto 
in  fine  dell'  opera .  Per  poterne  fare  qualche  uso  nel 
miglior  modo ,  che  fosse  compatibile  senza  alterare  i 
sentimenti,  ho  procurato  di  ordinare  prima  i  capi  in 
una  serie  più  corta,  a  un  di  presso  conforme  ad  una 
prima  idea  dell'Autore;  e  cosi  in  ciascuno  riunire  le 
varie  cose  che  potevano  avervi  luogo  dopo  un  ma- 
turo esame  che  ho  fatto  principalmente  per  discer- 
nere i  primi  pensieri  dai  pentimenti.  In  vece  di  sop- 
primere certi  luoghi,  che  non  ho  potuto  approvare, 
o  di  emendarli  a  mio  modo  nel  testo  ,  ho  stimalo 
meglio  dirne  qualche  cosa  nelle  note  ,  che  ho  messe 
a  p'è  di  pagina,  ivi  correggendo,  o  illustrando;  e 
aggiugnendo  in  ispecie  le  autorità  degli  Scrittori,  che 
mancavano  nell'originale,  ove  soltanto  in  più  luoghi 
eranvi  dei  contrassegni  per  rcuHtervele  a  suo  tempo. 
Sortita  V  opera  ,  e  lette  queste  parole  mi  recai 
tosto  alla  casa  del?  Avvocato  per  ritirare  il  mano- 
scritto ,  come  n'era  stato  incombenzato ,  e  vedere  se  le 
suddette  proposizioni  reggevano  .  Dopo  lunga  fatica, 
ottenni  V  Autografo  y  lo  lessi ,  lo  confrontai  con  il 
libro  stampato ,    e   conobbi  la  letteraria  impudenza 


)C  v  )( 
del  Fea  ,  perchè  ritrovai  il  libro  conforme  ai  ma- 
noscritto .  Anzi  mandatolo  come  doveva  al  sig.  Ari» 
gelo  Michele  Bianconi  fratello  del  Consigliere  di- 
morante in  Bologna  ,  ora  defunto,  questi  che  sen- 
satissimo ed  integerrimo  era  ,  scrisse  in  foglio  an- 
nesso all'  Autografo  .  «  Manoscritto  dell'  opera 
v  Circense  del  Consigliere  Bianconi ,  pervenuto  a 
v  stento  nelle  mani  di  Angelo  Michele  di  lui  fra- 
ti tello  che  lo  conserva  in  casa  sua  in  Bologna  f  e 
»  pub  essere  da  chiunque  collazionato  a  scoprimento 
*>  dell'  impostura  di  Fea  e  dello  sbaglio  che  fece  il 
»  Dottor  WJariotti  nell'Orazione  Funebre.  Fea  non 
v  ha  aggiunto  che  note  quasi  insulse ,  ed  in  uno  stile, 
v  che  da  se  manifestasi  inferiore  a  quello  dell'  ope- 
f)  ra  ,  onde  chiunque  pub  giudicare  chi  scriveva . 

Lo  stesso  manoscritto  poi  trovasi  diviso  in  tanti 
quinternetti  ,  quanti  sono  i  Capitoli  indicati  dal 
Fea,  quindi  chiaramente  si  scorge  che  anche  V  or- 
dine eh*  egli  attribuisce  a  se  ,  appartiene  al  Consi- 
gliere .  1  tre  Figli  del  suddetto  Angelo  Michele 
Bianconi ,  sono  pronti  a  permettere  a  chiunque ,  il 
confronto  del  manoscritto  ,  colV  opera  stampata  . 

Perchè  far  torto  sì  manifesto  alla  verità  se 
non  per  ismania  di  figurare?  Questa  fu  che  indus- 
se Fea  anche  prima ,  a  quelle  debolezze  che  leggia- 
mo nella  Lettera  di  Bajocco  a  lui  diretta  ,  e  pub- 
blicata nel  ij&Q  colla  data  di  Cosmopoli.  Ma  il 
peggio  si  è  che  della  stessa  Scienza  Qircense  in  cui 


)(     VI     }( 

vorrebbe  egli  distinguersi,  non  mostra  conoscere  gii 
elementi     Una  sol  prova  ne  basti  . 

U  Autore  alla  pag.  xv.  dice  «  che  le  carceri 
tt  non  erano  disposte  in  linea  retta  coir  angolo  retto 
$t  ai  lati  del  Circo  rr:  ed  egli  nella  nota  (b)  dice  ; 
Negli  altri  Circhi  erano  forse  in  linea  retta  .  Non 
vi  era  cosa  più  necessaria  in  tali  edhfìzj  di  questa 
curva  ed  obliquità  ,  non  avendo  le  carrette  a  per" 
correre  raggi  di  diversa  lunghezza  per  entrare  nella 
lizza  come  V  autore  mostra  nel  Capitolo  vi.  e  x. 

Molte  altre  cose  si  potrebbero  dire ,  ma  per 
brevità  passo  all'  architetto  Uggeri  che  prese  a  cen- 
surar le  figure.  Ecco  come  (sicuramente  sotto  alla 
di  lui  dettatura)  se  n*  parla  nella  Prefazione,  pa- 
gina vii.  a  ^ato  mano  alV  imp^sa  (  dell1  Opera 
iì  Circense  )  colle  stampe  ,  e  co'  disegni  fatti  fare 
»  dalV  Autore,  la  prima  nostra  determinazione  fti 
j>  quella  di  portarci  al  Circo  per  osservarlo  ben 
»»  bene,  e  farne  V  esame  in  cov  Pronto  .  Non  vorrem- 
»»  mo  dirlo ,  ma  non  possiamo  farri*  a  meno  ,  ver 
a  nostra  giustificazione,  non  p.°r  togliere  a1  signor 
»»  Bianconi  il  merito  d  He  sue  premure .  Trovam- 
eli mo  con  gran  marami  ^l' a  ,  il  tutto  in  generale , 
»  e  in  particolare  sì  nelle  forme  ,  che  nelle  misu- 
ti  re  ,  così  ideale  ,  mal  trattato ,  e  scorretto  che 
v  non  vi  si  vide  altro  partito  da  prendere,  che 
st  di  rincominciare  V  opera  da  capo  ,  col  rifare ,  e 
»  più  in  grande ,  quasi  tutti  i  disegni  ,  e  i  rami , 


X  vii  x 
»  e  con  accrescerne  altri  per  maggior  intelligenza 
v  ed  ornamento  della  cosa  stcondo  le  nostre  vedu- 
ti te.  Così  fu  fatto  ,  colla  possibile  scrupolosità,  ed 
ì)  esattezza ,  e  con  reiterate  osservazioni ,  e  misure 
i»  di  ogni  benché  piccola  parte  ,  come  si  vedrà  dalle 
v  stampe  ,  e  dalla  spiegazione  di  esse  in  fine  del" 
i»  V  opera  ,  senza  risparmio  di  fatica  e  di  spesa. 

Se  V  Avvocato  deprime  gli  scritti ,  che  diremo 
à  Vpgeri  rispetto  alle  figure?  Il  primo  taccia  di 
confusione  quelli ,  ed  il  secondo  dà  di  nullità  a 
queste  .  Temeva  V  uno  che  il  manoscritto  potesse 
esser  veduto,  e  V  altro  lusingavasi  forse ,  che  nessu- 
no  potesse  veder  le  fgure  per  poterne  far  il  confron- 
to .  Ma  una  serie  d'esse ,  corredate  di  note  manoscrit- 
te dal  Consigliere ,  debb*  essere  il  mezzo  più  sicuro  per 
(scoprire  se  Uggeri  abbia  detto  il  vero .  Questa  serie 
esiste  in  Milano  appresso  il  Fratello  vivente  del  Con- 
sigliere ,  ed  io  che  ne  ho  fatto  il  confronto ,  posso  ac- 
certare ,  che  la  proposizione  dH  Uggeri  non  regge  . 
Sarebbe  xinzi  ben  fatto  che  incidendosi  una  pianta 
generale  del  Circo  di  Caracolla  si  appoggiasse  que- 
sta alla  figura  del  Consigliere  onde  venisse  in  chia- 
ro la  verità  . 

Che  Uggeri  poi ,  massime  in  quest'opera,  non 
meriti  tutta  la  fede,  basti  il  dire  i.°  che,  nel  fron- 
tispizio ,  e  nella  dedica  al  Sommo  Pontefice  si  di- 
ce Milanese  quando  è  Cremonese ,  e  precisamente  di 
Cera  terra  vicina  a  Fizzighettone  ,  2.0  Che  nel  ma- 


X  vili  )( 
nife sto  ,  e  nella  dedica  suddetta  attribuisce  a  caso 
di  fortuna  V  aver  avuto  gli  scritti,  quando  grazio- 
samente gli  furono  favoriti  dal  Fratello  del  Con- 
sigliere abitante  in  Milano  ,  come  io  stesso  ne  son 
testimonio.  3.°  Che  asserisce ,  come  leggesi  nella  Prefa- 
zione pag.  vii.  »  che  presso  il  lodato  sig.  D.  Carlo 
s>  (  Bianconi  )  avesa  già  meditato  sugli  scritti  ,  e 
»>  sulle  stampe  dell'  Autore  ;  e  avea  fatti  dei  dise- 
»>  gni  eleganti,  e  assai  grandi  del  Circo  Massimo 
v  per  r istaurarlo  a  norma  di  quanto  ce  ne  hanno 
9>  tramandato  gli  antichi  ec.  u  quando  non  ha  né 
meditato  sugli  scritti  ,  né  ha  fatti ,  presso  ,  cioè  , 
sotto ,  il  detto  Fratello  dell'Autore  ,  verun  disegno 
del  Circo  Massimo  ,  ma  bensì  disegni  grandi  del- 
l' Anfiteatro  Flavio  ,  come  moltissimi  testimonj 
ne  danno  prova .  Di  questa  non  vera  asserzione 
ne  dovremo  parlare  confutando  il  Carli ,  e  però 
ora  la  tralasci  eremo  ,  tanto  più  che  non  ha  stretta 
relazione  alla  materia  Circense  . 

Ma  lasciamo  sì  misere  cose ,  e  vediamo  se 
almeno  le  figure  siano  state  di  U%%eri  migliorate . 

Si  prenda  la  tavola  I.  che  mostra  la  pianta 
generale  del  Circo  ,  e  che  conseguentemente  è  la 
base  del  tutto,  essendone  la  figura  nrmcipale .  È  noto 
che  le  dw  cose  pia  importanti  ne'  Circhi  erano  la 
situazione  delle  careri,  e  V  inclinazione  della  spi- 
na; perchè  essendo  la  corsa  delle  carrette  l'oggetto 
primario  de  Circhi ,    ed    influendo  sommamente  le 


X  ix  )( 
dette  due  cose ,  nella  più  giusta ,  e  sicura  esecu- 
zione delle  corse,  ne  viene,  che  alle  medesime  do- 
vevasi aver  cura  maggiore  ,  tanto  nelV  osservare  il 
fatto ,  quanto  nel  darne  le  figure ,  e  renderne  ragion 
nelle  note .  Vediamo  adunque  come  si  diporta  Uggeri 
in  ciascuna  di  queste  due  cose . 

Parliamo  della  curva  su  cui  erano  le  carceri . 
U  Autore  dice  al  Capitolo  Vi.  »  che  il  punto  cen- 
ti trale  del  circolo  sulV  arco  del  quale  vanno  le  car- 
»  ceri  doveva  essere  egualmente  distante  dalla  pri- 
V  ma  meta  ,  che  dal  podio  della  parte  destra  del 
v  Circo  (  per  errore  è  scritto  sinistra  )  .  .  .  .  affin- 
v  che  tutte  le  carrette,  qualunque  fosse  la  carcere 
v  da  cui  partivano ,  avessero  uno  spazio  eguale  da 
v  percorrere  prima  d'  entrare  nella  lizza  comune  « 
e  nel  principio  poi  del  Capo  X.  dice  «  Esaminando  la 
»  curva  in  cui  sono  disposte  le  dodici  carceri  del 
»  Circo  di  Caracolla  ,  ho  scoperto  mercè  V  attuale 
»>  misura  essere  la  medesima  un  arco  di  circolo , 
tf  il  cui  centro  giace  verso  il  mezzo  deìV  area  de- 
v  stra  nel  punto  C.  a  Non  è  ne  di  mia  ispezione 
né  di  questo  luogo  V  esaminare  quale  di  queste  due 
proposizioni  si  abbia  da  attendere ,  dico  bene ,  che 
se  Uggeri  avesse  avuto  V  attenzione ,  di  cui  si  van- 
ta ,  essendo  l'ubicazione  di  questi  due  centri  di- , 
stante  moltissimo  V  una  dalV  altra  ,  si  doveva 
dire  nelle  note ,  quale  delle  due  avesse  verificata 
sulla  faccia  del  luogo  ,    onde  la  sua  vantata  scru* 


)(    x    x 

polosa  attenzione  si  manifestasse  .  Tornerebbe  bene 
nella  tavola  generale  V  indicare  questi  due  punti  . 
Passiamo  ali* inclinazione  della  spina  sz  Dal  Circo 
di  Car acalla,  (  V  Autore  pag,  268)  si  raccoglie  eh'  es~ 
9»  sa  (la  spina)  non  era  parallella ,  ma  inclinata  in 
i)  modoy  che  dalla  parte  delle  carceri  lasciava  alle 
*>  carrette  uri  apertura  più  larga  per  entrare  dallo 
v  spazio  nella  corsia ,  ed  una  in  conseguenza  pia 
»  stretta ,  dove  infaceta  alla  seconda  meta  esse  do- 
v  vevano  voltarsi  intorno  .  In  seguito  di  tale  co- 
li struzione  tornava  ad  essere  più  larga  V  apertura 
»>  della  seconda  corsìa  dopo  la  voltata  ed  andava 
»»  restringendosi  a  misura  che  le  carrette  si  acco- 
v  stavano  verso  la  prima  meta  ,  ove  girando  tor- 
si cevano  di  nuovo  la  corsa .  Se  guardasi  la  pianta 
ìì  del  suddetto  Circo  si  vedrà  ,  che  la  spina  è  in- 
»  elinata  all'  asse  del  Circo  ec.  «  Doveva  dunque 
lo  spazio  che  resta  fra  la  spina,  ed  i  lati  lunghi 
del  Circo  ,  essere  sempre  vario ,  cioè  all'  ingresso 
aver  la  maggior  sua  larghezza ,  alfine  della  spi- 
na y  cioè  vicino  all'  ultima  meta  dallo  stesso  lato , 
essere  più  stretto  ;  volgendosi  poi  nella  seconda  cor- 
sia ,  dovea  cominciare  con  uno  spazio  minore  di 
quest'  ultimo  ,  e  terminare  vicino  alla  prima  meta 
con  uno  spazio  minore  di  tutti.  Non  facciano  om- 
bra le  parole  del  Consigliere .  «  In  seguito  di  tale 
»  costruzione  tornava  ad  essere  più  larga  V  aper- 
ti tura  della  seconda  corsia  u  perchè  qui    si  vede 


)(    »    X 

chiaro ,  che  il  Consigliere  vuol  dire  ,  che  come  nella 
prima  corsia,  il  principio  è'  più  largì  del  fine  , 
cosi  è  pure  nella  seconda  corsia  .  In  Questo  luogo 
si  poteva  tuttavia  a  maggior  chiarezza  sorreggere  il 
testo  .  Ma  lasciamo  Questo .  È  certo  che  sulla  pianta 
del  Consigliere  vediamo  la  consentaneità  delle  parole 
colle  figure  :  poiché  se  lo  spazio  primo  che  resta  fra 
la  prima  meta  ,  ed  il  podio  destro  lo  fissiamo  di  8, 
lo  spazio  dallo  stesso  lato  al  fine  della  spina,  cioè 
contro  l'ultima  meta  ,  viene  ad  essere  di  sette  .  Indi 
ritroveremo  ,  che  dalV  altra  parte  lo  spazio  contra  la 
seconda  meta  risulta  di  cinque ,  e  quattro  Quinti  ,  e 
sempre  dallo  stesso  lato  verso  la  prima  meta  sarà 
quattro  ,  e  un  quinto  solamente  .  Che  cosa  fa  Uggeri 
nelle  sue  figure  ?  Dà  è  vero  inclinazione  alla  spi- 
na ,  in  modo  che  dalla  parte  destra  il  podio  non 
è  par  alleilo  con  la  spina  ,  ma  dalla  parte  sinistra 
fa  ,  che  paralìella  venga  ad  essere  la  spina  con  il 
podio  sinistro  .  Il  più  mirabile  poi  si  è ,  che  vi 
pone  numeri  che  dicono  il  contrario .  Finalmen~ 
te  il  Feo.  nelle  note  non  aggiunge  altro  se  non 
che , ove  il  testo  dice  ciò,  che  ho  riportato  di  sopra: 
tr  si  vedrà  che  la  spina  è  inclinata  all'  asse  dei 
%ì  Circo  piedi  sedici  u  pone  in  pie  di  pagina  »  que- 
v  sto  numero  V  abbiamo  messo  noi  secondo  le  nostre 
m  misure  .  «  Ove  è  adunque  questo  miglioramento 
delle  figure  ?  Ove  l' attenzione  e  scrupolosità  tanto 
vantata  ? 


)(      X£I      )( 

Non  si  creda  però  che  il  difetto  d1  attenzione 
riguardo  alle  figure  si  manifesti  solo  nelle  suddette 
due  cose ,  in  altre  potrei  mostrarle  facilmente  ,  ma 
il  dover  esser  breve  mi  sforza  a  menzionarne  una 
sola  ,  cioè  quella  che  riguarda  i  par apeVi  fatti  da 
Uggeri  diversamente  da  quelli  del  Consigliere  ;  di- 
vendo  dy  averli  ritrovati  di  muro ,  quando  quei  del 
Consigliere  erano  di  ferro  .  Ecco  come  scrive  Fé  a 
sicuramente  sotto  la  dettatura  di  Uggeri  pcig.  xcvn. 
«<  JJ  autore  (  il  Consigliere  )  tuttoché  avesse  fatto 

v  molte  osservazioni  ci  lasciò  ne  suoi  disegni 

»>  invece  di  parapetti  di  muro ,  parapetti  di  ferro  .  a 
Ma  io  dimando  se  sia  più  possibile  che  Uggeri 
abbia  errato  ,  o  che  gli  antichi  abbiano  fatto  dei 
parapetti  che  non  lasciando  (  come  lo  debbono  fare 
quei  di  muro  )  scelo  facile  alle  acque  del  Cielo  pro- 
ducessero un  umido  eterno,  anzi  dessero  luogo  a  for- 
marsi un  fango  insoffribile,  ove  dovevano  stare  gli 
spettatori  pia  distinti?  È  egli  possibile  che  gli  antichi 
così  avveduti  in  ogni  cosa  fossero  poi  così  male  accorti 
in  una  parte  delle  più  importanti  rispetto  alt  uso  dei1 
loro  Circhi?  Sarebbe  benfatto  che  nella  pianta  gene' 
Tale  vi  fossero  due  figure  relative  a  questi  parapetti  ; 
una  secondo  il  sistema  del  Consigliere  e  V altra  d' Uggeri 
onde  i  Lettori  potessero  giudicare  qual  sia  la  più  pro- 
babile .  Ma  si  finisca  rispetto  alle  figure  col  notare 
una  ridicola  asserzione  di  Fea  e  di  Uggeri  .  Alla 
pag.  LXXXV.  trattandosi  delle  tavole  così  scrivon  o  : 


)(  XIII  )( 
ìì  Avvertiamo  bensì  che  quelle  (  tavole  )  contrasse* 
v  gnate  con  un  asterisco  sono  quelle  fatte  fare  dal 
»  sig.  Bianconi ,  ma  fatte  ritoccare  in  qualche  parte 
v  da  noi .  u  Beato  chi  potrà  fra  le  venti  tavole 
poste  nelV  opera  ritrovarne  una  sola  coli  asterisco  . 
«So  d'  aver  passato  più  di  un  esemplare  senza  mai 
avvedermi  di  un  simile  segno  .  Non  si  lasci  però 
alcuno  sedurre  dai  due  asterischi  che  si  vedono  nella 
tavola  II. ,  perchè  come  si  dice  alla  di  lei  spiegazio- 
ne pag.  xgi.  ,  gli  asterischi  indicano  che  le  due 
mete  così  contrassegnate  sono  tuttora  esistenti . 

Il  fin  qui  detto  dovrebbe  aver  mostrato  non 
solo  la  falsità  delle  proposizioni  di  Fea ,  e  à"  Ug- 
geri ,  ma  V  ambizione  loro  nello  screditare  gli  scrii' 
ti ,  e  le  figure  del  Consigliere  onde  farsi  onore  con 
il  supposto  miglioramento  del  libro  . 

Questa  passione  di  gloria  eccitò  lite  fra  essi 
pel  frontispizio  ,  e  sì  forte  ,  che  per  terminarla 
fu  deputato  Monsignor  Rusconi.  Mi  ritrovava  in 
Roma ,  ed  ebbi  copia  delle  carte  verificanti  V  assio  - 
ma  ,  m  gli  uniti  a  spogliar  un  terzo  entrano  in 
discordia  alla  divisione  del  bottino  . 

Ma  di  Fea  e  à"  Uggeri  abbastanza  :  passerò 
al  Commendatore  Carli,  che  tentò  di  abbassar  V ope- 
ra, e  di  farne  comparire  plagiario  V Autore  per  le 
ragioni  che  vedremo  . 

Nelle  Antich.  Italiche    P.  IL  lib.  3.  pag.   i35 
delV  edizione  seconda,  così  scrive 
IV.  12  ** 


)(      Xlv      )( 

i(  Cotesto  Anfiteatro  Polense  è  stato  V  oggetto 
ff  de  miei  pensieri  per  lo  spazio  di  cinquanta  an~ 
»  ni  ;  e  nel  ijòo  pubblicai  in  Venezia  una  descrit- 
ti zione  delle  scoperte  da  me  fatte  colà ,  nella  quale 
v  diedi  bastanti  indizj  delle  mie  idee  ,  sin  d"  allo" 
ti  ra  concepite  ,  intorno  a  tale  argomento  ,  le  quali 
v  di  tempo  in  tempo  si  andavano  sviluppando ,  sin- 
v  che  nel  ijSj  mi  ritrovai  in  grado  di  farne  una 
v  esposizione  alV  Accademia  Colombaria  di  Firen- 
t*  ze  ;  e  coteste  idee  sono  presso  a  poco  quelle,  che 
»>  in  questo  trattato  ho  estese,  stampato  nella  pri- 
tt  ma  edizione  delV  Opera  presente  nel  1788.  A 
ti  chi  tutto  questo  era  noto  parve  di  travedere  nella 
ti  Descrizione  del  Circo  di  Caracalla,  pubblicatasi  in 
»»  Roma  al  principio  del  1790 ,  qualche  analogia  e 
ti  conformità  con  le  nuove  osservazioni  da  me 
a  fatte  sugli  Anfiteatri',  né  mancò  chi  sospettasse 
»  essersi  il  dotto  t  Autore  giovato  tanto  della  mia 
a  Descrizione,  stampata  nel  1760 ,  quanto  delle  no- 
ti tizie  che  poteva  aver  avute  in  Firenze  intorno 
a  alle  mie  idee  ,  giacche  non  prima  del  1772  egli 
a  si  pose  allo  studio  de'  Circhi .  Non  è  però  que- 
»  sta  la  prima  ingiustizia ,  che  siasi  fatta  al  me- 
v  rito  dy  uno  Scrittore  ,  imperciocché  il  MSS.  di 
m  cotesta  Opera  ,  dopo  morto  V  Autore,  era  per  te- 
ti  stimonianza  del  benemerito  Editore  affatto  infor- 
»>  me  ,  come  un  ammasso  di  carte  ,  e  senza  fine  ; 
»»  e  però  fu  d'  uopo   ordinare  i  Capi  ,   e  1  riunire   in 


)(      XV      )( 

u  ciascheduno  le  varie  cose,  che  potevano  avervi  Iuo- 
ti  go  ,  aggiugnendovi  le  autorità  degli  Scrittori,  che 
>t  mancavano  nelP  originale  .  Di  più  con  nuove  ,  e 
ti  diligenti  misure  si  realizzò  la  pianta  del  Circo  ; 
tt  cosicché  può  considerarsi  cotesto  opera  un  lavoro 
v  tutto  nuovo  dell'  Editore  di  essa  .  Non  negherò 
tt  io  già ,  che  perciò  che  riguarda  air  argomento 
ti  dei  Circhi  ,  avrebbe  il  Bulengero  non  poca  ra- 
ti gione  di  meravigliarsi,  se  fosse  vivo  ,  nel  vedere 
a  così  bene  nel  moderno  Libro  transfusi  i  di  lui 
tt  dottissimi  Trattati  de  Circo  Romano  Ludisque 
tt  Circensibus  ,  et  de  Venatione  Circi  :  ma  non  per- 
ti  xiò  mi  lagnerò  io  ,  che  il  mio  Libro  degli  An- 
tt  fiteatri  abbia  potuto  alV  'Editore  servir  di  guida 
a  onde  aggiungere ,  ed  illustrare  alcuni  punti  di 
ti  erudizione  tanto  al  Circo  ,  che  alV  Anfiteatro 
a  comuni  ;  .  .  .  .  Grande  compiacenza  è  però  quella 
ti  di  uno  Scrittore  libero ,  ed  indifferente,  ....  il 
a  vedere  in  qual  maniera  i  di  lui  lumi ,  e  le  idee 
ti  sparse,  siano  state  dai  Letterati  bene  accolte  ed 
ti  approvate,  tt 

In  tre  modi,  come  facilmente  si  vede,  cerca  il 
Carli  con  queste  parole  di  far  ingiuria  alV  Opera 
Circense ,  ed  al  di  lei  Autore  ,  onde  innalzare  il 
suo  Trattato  degli  Anfiteatri ,  e  coprire  insieme  il 
letterario  delitto,  di  cui  fra  poco  parlerò. 

Il   primo    modo    è  :    mostrare  con  V  appoggio 
delle  parole  della  Prefazione  della  stessa  Circense^ 


)(     XVI     )( 
che  gli  scritti ,    e  le  figure  ài  quella  erano  origi^, 
nanamente  informi,  e  poco  attendibili,  onde  possa 
considerarsi  cotesta  Opera  un  iavoro  tutto  nuovo  del- 
l' Editore . 

Il  secondo  è  :  far  vedere  con  istudiate  finezze , 
che  i  Trattati  del  Bulengero  abbiano  somministrato 
mezzi   grandi  all'  Autore    per  distinguersi  . 

Il  terzo  poi  ,  il  più  importante  al  Carli ,  si  è: 
far  credere  :  che  la  Descrizione  da  lui  fatta  dove- 
va dire  Relazione  delle  scoperte  sull'Anfiteatro  di 
Foia  sino  dal  17 So,  e  V  Esposizione  delle  medesime 
partecipata  nel  ijSj  ■  all'Accademia  Colombaria  dì 
Firenze  abbiano  giovato  alt  Autore  della  Circense 
ed  all'  Editore  di  lui ,  giacche  contengono  ,  dice  egli> 
presso  a  poco  ciò  che  pubblicò  nel  suo  Trattato  so- 
pra gli  Anfiteatri  stampato  nel  1 788  ;  in  cui  sono 
cose  analoghe,  e  conformi  a  guanto  vedesi  nella 
Circense  . 

Rispetto  alla  prima  ognuno  dee  conoscerne 
la  falsità  ,  avendo  presente  il  detto  di  sopra  per 
Tea  ed  JTggeri  su  lo  stesso  argomento  . 

Rispetto  alla  seconda  se  np  scorge  la  debolez- 
za col  confronto  fra  le  opere  del  Bulengero ,  e  quella 
del  Consigliere  .  Non  si  n*ga ,  che  nelle  prime  non  vi 
sieno  erudizioni  inserite  nella  seconda  ,  ma  non 
però  tante  ,  e  tali  da  perdere  questa  V  originalità  . 
Vengo  alla  terza  ,  che  ricerca  più  lunga  discus- 
sione .   Verrà  essa  pienamente  confutata  quando  si 


)C    xvn    K 
faccia  vedere    che   le  prime  Opere  del  Carli ,  nelle 
quali  egli  dice  esservi  le  cose    analoghe   alle    Cir- 
censi ,  non  le  contengono  in  veruna  maniera . 

Due  sono  le  prime  opere  che  cita  al  suo  argo- 
mento .  Una  è  la  relazione  delle  scoperte  fatte  neh 
V  Anfiteatro  di  P ola  del  1760,  V altra  V esposizione 
delle  medesime  presentate  alla  Colombaria  nel  1757. 
La  Relazione  è  un  libretto  di  due  soli  fogli, 
che  non  contiene  cosa  alcuna  analoga  alle  Cir- 
censi,  ma  solo  le  misure  ,  e  i  disegni  delle  parti 
esistenti  delV Anfiteatro  Polense  ,  le  quali  non  han- 
no ,  ne  possono  aver  relazione  alle  cose  Circensi .  Le 
scoperte  poi  indicate  nel  frontispizio  riguardano 
solo  V  aver  il  Carli  conosciuto  che  il  detto  Anfitea- 
tro non  pub  essere  mai  stato  un  Teatro  ,  come  lo 
voleva  il  marchese  Meffei.  Indica  ancora  il  Carli 
in  questo  libretto  le  altre  antiche  fabbriche  di 
Pola,  e  promette  alla  pcg.  xxix. ,  che  in  altra  ope- 
ra ne  darà  le  misure  9  e  i  disegni .  //  citar  dunque 
questo  libretto  per  provar  V  argomento  è  lo  stesso 
che  far  ridere  chi  lo  conosce .  Dicasi  lo  stesso 
delV  esposizione  delle  medesime  scoperte  fatta  alla 
Colombaria  di  Firenze ,  giacché  non  è  che  una 
ripetizione  di  quanto  si  contiene  nella  suddetta 
Relazione  . 

,  Ecco  adunque  false,  le  due  asserzioni  del  Car" 
li%  che  cioè  nella  Relazione  del  vj$o,  e  neW  espo- 
sizione del  ijSj  siano  cose    analoghe    alle   ervdi-* 

IV.  12.  *** 


X    <'■'■'>    K 

i  r allato    dt%h    Anfi- 
Ma  t».  ito  imprt 

ì    0*09     v  " 

té   thè 

>  :^-.pra  l  ar- 

-  -  ■.    fatméé   ftd*1\  '  fUé  "' 

■  'A    /e    mliz't     del   f.-.r-r >Ueré      t V  §à\ 

few 

■ 

a 
Il  fratetté  éil  r  - 

mm  AucdtmUk  deiU  BelU  - 

una  Anfiteatro    f  Hémm 

figtardé  d'ffi- 

funté     fruttilo  p    e    /<■     teoptrté     'I"  anche 

'■   '    ora    cominciateli    è   01  Hi 


)(  «*  )( 

in  vista  che  la  parte  sud dulìa  riesca  poi  adattarti  al 
fine  WO  dtgna  veramente  della  llomuna  magni fu  ni- 
?a,  e  che  fé  a/giunte  fattivi  si  urlisi  uno  peijettamin* 
te  eolie  superstiti  indirà:- ioni .  JU  idea  è  posta  in 
disegno  ne/I'  anno  stesso  dall' Ab.  Uggeri  tante  volta 
nominato  ,  a  cui  egli  dava  istruzione,  e  casa  .  Uggcrit 
benché  in  apel  tempo  ignaro  di  simili  cosey  dipen- 
dendo dal  Segretario  Ja  disegni  die  ricevettero  en- 
comj.  l'assono  fare  testimonianza  della  sola  di 
lui  materiale  r-.etuioite  molti  ancora  viventi  .  Ne 
stello  tre  |  /uri  liè  tirile  beli'  urti  Professali  ,  ti 
«elebre  l'ili  ore  Milanese  Appiani ,  che  non  isdegnb 
iure  ti  detti  disegni  UggiadrHtHfni  Jipare  t  77*- 
gliaretti  Pietro,  ed  Albrrtolli  ('/incoino  ambi  dna 
Ari  iti  (et  ti   dr  ì<ni    di   lodr  . 

I  ditigni    si  mirti  ano     dal    Segretario     (  ap- 
presso   mi    possono    essere     eonsultati  )    al    Carli , 
penile     lo     errile     ronost  ita  re      in     simili     materie, 
avendo    inteso    rhe    sull'  Anfiteatro    di  Pala    tue 
se     pubblicato     un   libro     the     allora    non   aveva   ve- 
duto .      fannie      il     Cerreta  rio     ani  he     Uggeri     / 
sente,     perrlie     il    Carli    ne    conosca    t  esecutore, 
indica    al   Carli    le  ragioni    rhe    /'  avevano    fnOi 
gli  recita  fino  i  passi  digli  antichi  corroboranti  le 
sue  idee,   non    mainando   d1  indicai' Ji   the   recti  lu- 
mi ,  e    si  aperte    appurtrngnna   al    defunto    Fratello 
Non    ti   pub  esprimere    lo    sorpresa  ,    e    C  ummira- 
cione   mostrata   dui   Curii 


)(  xx  )( 
Nel  principio  del  1788  il  Carli  pubblica  la 
prima  parte  delle  sue  Antichità  Italiche ,  e  nel 
Ragionamento  preliminare  al  §.  XFr.  esponen- 
do  gli  argomenti  deputati  alla  seconda  parte , 
menziona  V Anfiteatro  Polense,  ma  nemmeno  dice, 
una  parola  del  Flavio  di  Roma,  Qual  argomento 
più  chiaro  che  da  quel  punto  non  pensava  a  par" 
lare  di  quest'  Antico  Romano  Edifìzio  ?  Pubblicato 
il  detto  primo  tomo  ,  pensa  il  Carli  che  pub  porre 
nella  sua  seconda  parte  un  Trattato  dell'  Anfitea" 
irò  Flavio ,  profittando  delle  idee  del  Segretario ,  se 
Uggeri  gli  dà  mano  .  Glie  ne  parla  ,  e  Uggeri  si 
lascia  sedurre  dalV  imponente  dignità  d'  un  Con** 
sigliere  intimo  di  Stato,  e  si  scorda  del  Maestro  e 
del  Benefattore  ;  cosa  di  cui  è  pentito .  Si  fanno 
sessioni  tenebrose  fra  il  Carli ,  ed  Uggeri  .  Questi 
gli  fa  i  disegni ,  gli  partecipa  V  inteso  dal  Segre- 
tario ,  e  conseguentemente  le  erudizioni  del  Consi- 
gliere. Il  Carli  diviene  in  tal  modo  capace  d'ese- 
guire V  opera  concepita  .  Giugne  il  Carli  a  chie- 
dere in  prestito  al  Segretario  i  libri  per  il  lettera- 
rio furto ,  che  far  gli  voleva.  Volle  intanto  la  sor- 
te ,  che  il  furto  non  si  compisse .  Nel  fssare  i 
gradi  sotto  la  loggia  superiore  dell'  Anfiteatro 
Flavio  il  Segretario  prese  uno  sbaglio  per  cui 
vi  fissò  sette  soli  gradi .  Il  Carli  trova  nelV  in- 
scrizione dei  Frati  Arvali  essercene  stati  undi- 
ci .  S1  imbarazza ,  e  si  crede    obbligato  ad  abban-. 


)(  xxi  )( 
donare  in  questa  parte  V  idea  del  Segretario  .  Ug- 
geri non  sa  rimediarvi ,  e  fra  essi ,  mancanti  di 
scorta,  si  stabilisce  quella  Jìgura  che  si  vede  alla 
pag.  20 5  della  detia  Parte  Seconda  delle  Antichità 
Italiche ,  parto  di  Carli ,  e  d'  Uggeri  ben  degno  di 
compassione  .  Basti  il  dire ,  che  non  lega  con  le 
indicazioni  superstiti  delV  antico  ,  che  ha  porzioni 
poggianti  sul  falso  ,  e  che  esponendo  una  superfi- 
cie immensa  di  legno  alle  ingiurie  del  tempo  ,  ci 
vorrebbe  far  credere,  che  così  malamente  pensar  si 
potesse  né  dotti  tempi  di  Vespasiano  ,  e  di  Tito  • 
Il  Carli  si  compiace  tanto  dell'opera  sua  che  ne  fé 
stampare  esemplari  a  parte. 

Uggeri  va  a  Roma  ,  ed  il  Segretario  avendo 
letto  il  Trattato  del  Carli ,  e  scoperto  il  contegno 
del  Carli,  e  d'Uggeri,  li  18  Febbbajo  1789  scrive 
a  questi  del  seguente  tenore  : 

«  Ho  letto  il  Trattato  del  Presidente  Carli 
»  sopra  V  Anfiteatro  Flavio ,  ed  ho  veduto  che  ha 
v  fatto  uso  rispetto  ai  Meniani  di  marmo  ,  ed  al 
»  podio  ,  delle  notizie  e  lumi  comunicatigli  tanti 
ìf  anni  sono ,  come  ella  sa ,  e  che  parimenti  sa  es- 
»  sere  un  prodotto  delle  mie  meditazioni  e  di  quanto 
ti  mi  aveva  partecipato  mio  Fratello  il  Consigliere. 
ti  Il  Presidente  ha  fatto  questo  senza  menzionare 
tt  né  me  né  mio  Fratello  .  Se  abbia  fatto  bene  o 
ti  male  noi  dirò  ,  dirò  bensì ,  che  mi  vergognerei 
ìt  sommamente    se   avessi  proceduto    con    chiunque 


)(  xxn  )( 
»  ài  fosse  nel  modo  da  lui  tenuto  con  i  Bianconi  « 
»  Ho  saputo  poi  eli  Ella  gli  ha  fatto  i  disegni  sen- 
ti za  dirmene  una  parola,  some  doveva.  Cosa  deb' 
,»  bo  dirle  ?  se  non  che ,  quod  tibi  non  vis ,  alteri  ne 
»  feceris  .  I  dolori  maggiori  mi  sono  venuti  dal 
»  far  bene  ad  altri .  Non  per  questo  lascierb  il  mio 
ti  cammino  .  Ella  mi  dee  intendere  ....  Stia  he-" 
r»  ne ,  si  faccia  onore  ,  ma  non  così . 

Uggeri  è  vivo  ,  e  sano  ;  Uggeri  non  pub  dire 
dì  non  aver  ricevuta  questa  Lettera ,  perchè  nella 
sua  delli  zS  Febbrajo ,  anno  suddetto ,  diretta  al  Se- 
gretario ne  accusa  la  ricevuta .  Si  noti ,  che  non  nega 
di  aver  fatti  i  disegni ,  ma  vorrebbe  far  credere 
d1  a  ver  nel  o  avvisato  .  Aggiunge  a  Aveva  avuto  divieto 
n  dal  Conte  Carli  medesimo  di  non  far  parola  ad 
»  alcuno  delle  sue  disposizioni  tanto  Polensi  quanto 
v  Romane  .  »  Le  anime  candide  danno  mai  simili  di' 
vieti?  Uggeri  per  benemerenza  è  nelV  opera  lodato 
dal  Carli  . 

Intanto  Uggeri  manda  la  lettera  del  Segreta- 
rio al  Carli ,  che  se  rì  altera  ,  tanto  più  sapendo , 
che  il  Segretario  ha  scritto  a  caratteri  grandi  so- 
vra uno  de'  disegni  d'  Uggeri . 

u  Spaccato  deW  Anfiteatro  Flavio  ec.  secondo 
■a  V  idea  pensata  dalV  abate  Carlo  Bianconi  rispetto 
%ì  all' interna  costruzione  di  esso,  diversa  da  quante 
»i  ne  avevano  fissate  prima  di  lui  gli  Autori  che 
«  hanno  scritto  di  questo  stupendo  edifzio .  E  stato 


)(      XXIII      )( 

v  posto  in  disegno  questo  spaccato  dalV  ab.  Angelo 
v  Uggeri  sotto  gli  occhi ,  e  la  direzione  del  Bian- 
»  coni  l'  anno  ijS'ò  in  Milano  .  Da  questa  idea 
it  poi  mostrata  dal  Bianconi  al  Commendatore  Car- 
»  li,  ha  fatto  questi  copiare  neU  anno  1788  dallo 
v  stesso  abate  Uggeri,  senza  saputa  del  Bianconi , 
v  la  sistemazione  di  tutta  la  parte  marmorea  ove 
ti  stavano  gli  spettatori ,  e  V  ha  spacciata  decisa- 
li mente  come  sua  nel  Trattato  degli  Anfiteatri  da 
ti  esso  pubblicato  nel  1788.  Vedami  le  sue  Anti- 
*>  chità  Italiche  Porte  IL  Libro  HI, 

Nel  tempo  che  Uggeri  dice  in  Roma  a"  aver 
prof  Unto  nelle  cose  Anf  teatrali  dal  Segretario ,  lo 
stesso  è  scritto  in  un  foglio  pubblico  :  Memorie  delle 
belle  arti .  Il  Carli  se  ne  lagna  con  Uggeri  .  Si 
pone  mano  ali  opera  Circense ,  ed  Uggeri  per  ti- 
more del  Carli  fa  scriver  nella  prefazione  di  aver 
formati  presso  il  Segretario ,  come  si  è  detto  di  so- 
pra ,  i  disegni  del  Circo  Massimo ,  per  non  nomi- 
nare V  Anf  teatro  .  Esce  V  opera  Circense  ,  se  ne 
affligge  Carli  per  le  erudi zioni  che  vi  scorge,  e  do- 
po varj  pensieri  volendo  pur  rimediare ,  se  pur  è 
possibile  ,  a  tanto  male ,  pensa  a  ristampare  le  sue 
Antichità  Italiche ,  benché  non  ve  ne  fosse  bisogno  , 
per  gettar  polve  negli  occhj  al  mondo  letterario  .  La 
eseguisce  nel  1793  e  94.  È  privato  Uggeri  delle 
lodi  dategli  nella  prima  :  è  ingiuriato  il  Segre- 
tario ,    e  contro  l'opera  Circense  si  pongono  le  già 


)(  XXIV  )( 
riportate  parole  .  Ecco ,  cred  io ,  provato  F assunto  , 
e  però  scoperto  V  arcano  ,  Ecco  come  il  Carli  ha 
potuto  porre  in  un  libro  pubblicato  nel  1788,  ciò 
che  si  ritrova  originariamente  in  un'  opera  del  1789 
da  lui  non  veduta»  Ecco  perchè  il  Carli  fa  uso  di 

false  cose  per  salvarsi .  Ma  di  tante  miserie  d'  un 
per  altro  grandissimo  uomo,  sia  qui  fine.  Sta  adun- 
que ,  che    né  Fea ,    ne  Uggeri,  né  Carli    meritano 

fede  neir  aver  tentato  di  abbassare  V  opera  Circense 
del  Consigliere  Bianconi,  a  cui  il  mondo  letterario 
renderà  sempre  lode ,  e  venerazione . 


)(    *7    X 


SONETTO 


Jl  vr  troppo   io  lessi  in  quelle  luci  infide  , 
Quando  la  prima  volta  io   le  guardai , 
Lessi ,  oh  Dio  !  la  mìa  morte ,  e  incominciai 
A  provare  le    lor  voglie   omicide  . 

Tali  le  aveva  un  dì  certo  in  Elide 
Colei   che   sparse  co*  funesti  rai 
Le  fiamme  in   Grecia,  e   seppellì   ne'  guai 
Le  famiglie  di  Dardano  e  d'  Atride  . 

So  hen  io  quali  sforzi ,  e  quai  difese 
Feci  a  quel  duro  colpo  inaspettato  ; 
E   quante  ebbi  a  soffrir  aspre  contese  t 

Che  se  vinto  al  fin  caddi   e   disarmato  , 
Se  il  foco  struggitor  in  me  s'  accese , 
Che   far  poss'  io  contro  il  voler  del  fato  ? 


IV. 


x  in  k 

Viaggio    a    Roma , 
a  Dori  dama  Veronese 


D 


A   le  tepide   tue  felici  piume 
Il  gìovin   fianco ,   e  il   rilevato   seno 
Perchè  più  tardi  a  trar  ,  leggiadra   Dori  ? 
Tu  dormi  ancor  tranquilla ,  e  non  t'  accorgi  8 
Ch'  alta    rosseggia  in  Oriente  e    splende  , 
Quasi   rinfacci  a  te  le   tue  dimore , 
Ila    rugiadosa  moglie  di  Titone  ? 
Odi  il  cocchier,   che  a  le  tue    soglie  assorda 
Gol  rauco  corno  ,  e  col   flagel  nodoso 
I  sonnacchiosi    abitator'  vicini  , 
E   intanto   i  destrier'  fervidi  inquieti 
Battendo  van  col  pie  ferrato   il    suolo . 
Ah  !  che  Dori   si  sveglia  :  io  vedo  ,  io    vedo 
Le  lusinghiere  sue  palpebre  alzarsi, 
E  al  balenar  di  quei  lumi   sereni 
Schiarirsi   il  cielo,    e    la   nascente  aurora. 
Giorno  felice  ti   conceda  Amore, 
Bella  figlia    de   F  Adige  ,  che  padre 
Fu   de  le  grazie  ognor  ,    padre  di  Lesbia 
Di   te  certo   men  beila ,  e  più  feroce  . 
Non  {i   stupir ,   se    al  sorger   tuo  mi  vedi , 


X     *9    )( 
Donna,  davanti  a  te  :  no ,  non   è  questa 
La  prima  volta ,   il  sai ,  che  da  lontano 
Improvviso   comparvi   a'  tuoi  bei   lari , 
Quasi  che  vanni    volatori    al   piede 
Messaggero  de*  Numi   avessi  anch'  io  . 
Ah,  Lisetta  gentile,  entra}  le   pure 
Riveggio    volentier  :    depon  sul  letto 

I  bianchi  lini   profumati  e  molli , 

Ch'  entro   fragrante   e  gallico  canestro 
Vigile  ancella   a  la  tua  donna  apporti , 
E  in  segno   d'  amistà   dammi  la  destra  . 
Calza  a  Dori  il  bel  pie  ,  rivesti  il  fianco , 
E   mentre   che  a  Y  argenteo  ,  e  mattutino 
Desco  d'  amor  ministra   le   alimenti 
Col  pingue    nardo ,  con  la  bianca   polve 

II  lungo  ondoso  crin   disciolto  e  sparso, 
E  in  viri!  treccia  lo  componi  e  annodi  , 

10  qui   m' assido ,   e   ragionando    voglio 

11  mio  fato    scoprirle ,  e  i  miei  pensieri . 
Bevi  ,  o  Dori  ,  frattanto ,    e  al  caldo  latte 
Mesci  la  fervid'  onda ,  che  al   tuo   lato 
Sopra  T  inglese   e   bel  tripode  bolle 

Con  1'  odorosa   foglia  giapponese  , 
Grato   conforto  ai  cor,  grato   a  la   bocca, 
E    una  tazza  a   me  pur  ne  porgi ,    e   ascolta 
Al  primo  annunzio  ,  che    a  V  auguSta  Roma 
Oggi  mover  dovevi  ,    o   bella ,  il  piede , 
Stanco  ornai  di   soffrir  angoscie   e  morti 


)(       20       )( 

Fuggito  io  son  da  la  prigione  ,  in  cui 
A   lento   foco  mi  consuma  e  strugge 
Con  P  aurea  chioma ,  e  con   le  luci  azzurre 
La  rubiconda  Irene ,  che  sul  m:;rgo 
De    la   sassone  ombrosa  e   placid'  Elba 
Sembra  farsi   ogni   giorno  al   par  di   Giuno 
Per   mio  dolor   più  beila   e  più  superba  . 
Oh  !  se  una  volta   sul  vedessi  Irene , 
Quando   sdegnosi   in  me  quegli  occhi  gira , 
O  quando  elice  da   P  eburnea  cetra 
Con  le   dita  di  rose  amabil  suono , 
Nuova  d'  amor  Terpsicore  ridente  ; 
Vedresti  allora,   che  al   mortai  periglio 
Non  v'  era  scampo  alcun ,   fuor  che    la  fuga  . 
Reggie  d'  oro  lasciai ,  gran  duci  e  prenci , 
Belle   dame  e   cortesi  :  (  e  che   non   fassi 
Quando  con  morte  Amor  minaccia  e   preme  ?  ) 
Alpi  selvose,   tumidi   torrenti, 
Campi  d'  armati,  schiere  bellicose 
Ratto  passai  fra  cento  rischi   e  cento  , 
E   lieto   al  fine  respirai  la  tanto 
Aura  di    libertà  bramata  in   vano. 
Qui   giunto    appena  polveroso   e   lasso  , 
Quale  or    mi  vedi ,   a  te   venni   veloce 
Per  isvegliarti   ed   annunziarti  il  giorno  . 
Tu  sai    eh'  io   vidi  pur   P  Italia  ,   e  corsi 
Tutte  ,   qual  tu  farai ,  le  ausonie  strade 
Dal  tuo  rovinator  tedesco  fiume, 


)(       Z*       X 

ìn  fino   al   Tebro,    dove  sorge  al   cielo 
Fra  palagi   e  fontane,  archi   e   obelischi 
La  più  bella  città  che  il  sol  mai   vide. 
Inutil    pondo  non  sarotti  adunque, 
Se  nel  cocchio  leggier  io  teco    ascendo 
Fido    compagno ,   e  se  il   cammin  t'  addito . 
Oh  se  vedessi  come   or  bella   splendi 
In  quel  semiviril  abito  aurato, 
Amazzone  d'  amor  !   Scendiamo  adunque 
Le   tue  marmoree  scale  ,   e  al  fin  si   parta , 
Perchè   già  spunta  il  sol;  ma  per   pietade 
A   che  dar  tanti    baci    a  quel  fatale 
Garrulo  augel,  che  d'  Africa  fin  venne 
Quasi  il  viaggio  a  ritardar  ?  Non  sai 
Quanto ,  o  Dori ,  gli  doni ,  ed   ei  noi  gente  . 
E  tu,  giacché  venir  devi  con  noi , 
Perchè   da  Dori  mai  non  ti  allontani, 
Cortese  Amor  ,   per   breve  tempo  lascia 
Il  bel  seno   dì  lei ,  dentro   cui  dormi  ^ 
E  come  un  dì  su  i  flutti  di  Sidone 
Ai  Tauro   rapitor  sedevi  in  groppa, 
E  in  un  balen  lo  conducesti    a  Creta, 
Così  sul  occhio    nostro  oggi  pur  siedi , 
E  le  seriche  briglie  in  man  tenendo 
Aggiungi  lena  de'  cavalli  al   fianco  , 
E  fa  breve  il  cammin  lungo  e  nojoso  . 
E   che  non  puote  Amor?  In  un  istante 
Ecco  V  antica  alma  città  di  Manto 


)(    m   K 

Che  fra   1'  acque  palustri  e  fra  le  canne 

Innalza  il  capo  glorioso  ,  e  dice  : 

Chi  può  vantar  cantore  eguale  al  mio  ? 

Titiro   nacque  nel   mio   grembo  ;  io   il   vidi 

Piacer   di  questo  largo  faggio  a   P  ombra 

Quando  insegnava  a   la  vicine  selve 

Il  nome  d'  Amarillide   vezzosa  . 

Dori,    con  fronte   rispettosa  e  china 

Passiam  fra  queste  piante  e   questi   allori  ; 

Sacre  ad  Apollo  son  le   mura  e  il  bosco  . 

Sai   tu  qual  fiume  valichiam  su  questa 

Ferrata  barca ,    che  i  cavalli  e   il  cocchio 

Trasporta   insieme ,   e  passa  gorgogliando 

Re  de  gli   aito   superbo  altero  fiume? 

Gli  è  quello ,  in  cui  precipitò   dal  cielo 

Col  carro  luminoso  il  giovili  troppo 

Mal  consigliato  condottier    del  giorno  . 

Mira  le    curve  sue  frondose  suore, 

Che   in  su  la  riva  ancor  dopo   tant'  anni 

Stillan  dolenti  da  la  scorza  il  pianto. 

Ecco  tocchiam   1'  opposta  sponda  ,  e  Amore  - 

ì  tuoi  caldi  destrier'  di  nuovo  incalza  . 

Ma,  oh  Dio,  che  fai?  Col  bianco  lin,  deh  !  copri 

Copri  quella  venusta  e  corallina 

Bocca  gentile ,  acciocch'  essa   non  beva 

Questa  che  innalzan  le   ferventi  ruote 

Nube  di  polve  da  l'  adusta  strada  : 

Se  tu  noi  sai,  quella  tua  bocca,  o  Dori, 


K    ^    X 

À  tuU'  altro,  che  a' polve  Amor  destina. 
Ma  senti ,  o  Nume  condottier  ,  perdona , 
Se  insegnarti  il  cammino  osa   un  mortele . 

10  crederei,  che  se   a  sinistra  il  corso 
Tu  più  tosto  volgessi,  che  men  lungo 
Calle  ci  guiderà  dritto  a  la  prisca 
Città,  cui  regge  dolcemente  il  freno 
La  generosa  prole  di  Ruggero, 
Ornamento ,  e  splendor  del  secol  nostro . 
Già  hen  presto  spuntar    vedrai  P  Estense 
Marmorea  torre  eccelsa  inghirlandata  , 
Che  tanto  a  la  città  tutta  sovrasta , 
Quanto   ai  virgulti  in  mezzo  al  campo  suole 

11  sempre  verde  sovrastar  cipresso  . 
Lugubre  scena  scoprirem  ben  tosto 
Ne  la  vasta  pianura  ,    che    divisa 

E'  da  P  Emilia  strada,    e  che  si  stende 

Da  Io  Scultenna  infino  al  picciol  Reno , 

Benché  vestigio  ornai   più  non  si  scorga  . 

Passerem  su  le  ceneri  obliate 

De  la   più  scelta  gioventù ,  per  cui 

I  nipoti   magnanimi  di   Remo 

Vider  veétite  a  bruno  e  madri  e  spose 

Un  torrente   versar  di  caldo  pianto  . 

Ecco  il  loco  fatai;  qui  fu  che  al  suolo 

Cadder  percossi  da  romane  spade 

L'  uno  e  P  altro  roman  console ,  e  cadde 

Con  lor  per  mai  più  non  alzar  la  front© 


)(    *4    )( 

La  tante  volte  minacciata  e  scossa , 
Ma  non  mai  morta  libertà  latina . 
Cotesto  è  il  campo  sì  feral,  che  ancora      ) 
Pingue  di  civil  sangue  aurata  messe 
Nutre  a  1'  ignudo  agricoltor .  Qui  pure 
Su  le  sponde  de  l' arido  Lavino 
Concordi  i  tre  tiranni  inferociti 
L' inumano   giurar'  decreto   atroce , 
Per  cui  Roma   già  serva  al    pie  si  vide 
Da  ferro  cittadin  cader   trafìtti 

I  miglior'  figli ,  e   insanguinarle  il  seno  , 
Ah    che   non   puote    in  mortai  petto  avaro 
Ingorda  fame  di  regnar  ?  Qui  spesso 
Vista  fu   la  sdegnosa  e    pallid'  ombra 

De  P  inulta  Cartago  andare  errando 
Ne  P  orror  de  la  notte  ,  e  sitibonda 
Bere  per  questi  sventurati  campi 

II  feroce  piacer   de   la  vendetta . 

Ma    di  quai  rimembranze   il  cor  ti  turbo , 
Dori ,    in   questo  bel  giorno  ?  Ah   non    pensarvi 
Gli   anni   tutto  cangiare  :    in    fredda  polve 
Conversi  sono  il  vincitore  e  il    vinto  , 
Né    più  resta  orma  de  P  ingiusto  impero  . 
Lascia  eh'  io    chiuda  col   sottile  e  verde 
Serico  velo    al    destro    lato  il  cocchio , 
Perchè    non   entri  de    P  adulto   sole 
Il  caldo  raggio  ad  imbrunirti  il  volto  . 
Questa  che  torreggiar   da   vicin  vedi , 


)(     ^5     )( 
Ravvisare   la  dei  :   Felsina  è  questa 
Bella  madre  de  P  arti ,   e    de  gli  studi  , 
Altrice   egregia   de'  più  chiari  ingegni . 
Cara  città ,  quant'  io  ti   deggia ,   il  sai  ; 
Ma  non  sai  forse,  che  il  più  dolce  amore 
E ,   che  una  eterna  fé   grato  ti  serbo . 
Tu  la  vedesti,   o  Dori,  e  mi  rammento 
Di  quei  sì  lieto    dì  :   passa  veloce , 
Passa  ,   ti   priego  ,  o  faretrato  auriga  , 
Per  la  città  fatai  :   qui  gli   occhi  al  giorno 
Aprì  per  mio  rossor  r  avara  Lice , 
E  qui   pur  vive  ancor  Lice  spergiura , 
Che  mille   ^plte  il   dì  promette  ,  e  manca , 
Da  molti   amata ,  e   non  amala  al  fine , 
Che    or   tenera ,  or  pietosa ,  ed  or  furente 
E  perfidie ,  e  sospiri   insieme  accoppia  , 
Misera  sempre ,   e   sempre  menzognera  . 
Tu   la  conosci ,   o   donna ,  e   non   ignori  , 
Quasi  che  bella  al  par  fosse  d*  Irene, 
Quale  scempio   di  me  far  si    volea . 
Ma   non  sai   tutto    ancor  :    eccoti  il  tetto , 
Ove  Lice  sovente  indarno  chiama 
Il  lento  Amor ,   che  spaventato   corre 
Nel  tuo  bel  seno  ?  e  cheto  si  nasconde , 
E   per   P  onda  di  Stige  a  te  poi   giura 
Di  non  mai  più  posarvi  il  divin  piede  . 
Amor  ,  tu  il  sai  ,  e  a  miglior  tempo  un  giorno , 
Quando  destar  vorrai  leggiadro  riso 


X    *6    X 
De  la  vezzosa  Dori  in  su  le  gote , 
La  bella  istoria  narrerai  :  ma  intanto 
Lo  spron  raddoppia ,  e  ai  corridoi  percoli 
Il  fianco  sanguinoso  .  Ah  !  traditore , 
Tu  vai  più  lento ,  e  il  mio  rossor  deridi . 
Se  a  F  auriga  infedel  non  parli,  o  donna, 
Se  tu  noi  prieghi  a  raddoppiare  il  corso  , 
Credi  a  me  eh'  ei  s'  arresta  :  io  io  conosco . 
Dori ,  mi  guardi  ,  e  ridi  ?  E  pur  t'  inganni  : 
Non  è  timor  ingiurioso  e  vile  , 
Che  tremante  a  fuggir  mi  move  altrove  . 
Benché  tornato  in  libertà,  se  vede 
Da  la  sponda  ondeggiar  carca  di  ciurma 
La  sordida  trireme,  ov'  egli  un  giorno 
Languia  dannato  ed  innocente  a  un  remo  , 
L'  onesto  schiavo  di  rossor  si  tinge  , 
E  volge  altrove  sospirando  il  passo  . 
Ma  viva  Dori,  la  pietosa  Dori 
Viva  per  sempre  ;  ecco  le  ferree  porte  3 
Siam  fuor  dei  muri  ;  F  odioso  varco 
E  già  passato  ,  ed  io  costei  non  vidi . 
Ornai  siam  presso  a  F  arenoso  piede 

Dei   domito  Apennin  :  se  non  t'  opponi , 
Meglio  sarebbe  almen  per  qualche  istante 
Il  veloce  arrestar  corso  d'  Amore . 
Il  cocchio  adusto ,  le  infiammate  ruote , 
La  lunga  strada  ,  il  ragionar  ,  la  polve 
Qualche  ristoro  alfin  chieggon  da  noi. 


)(    27    X 
In  questo  fresco  estiyo  albergo  intanto 
La  soave  bevanda  americana 
Voglio ,  o  bella ,  apprestarti ,  e  veder*  parmij 
Tinte  di  bran  le  labbra  di  corallo , 
Le  odorose  sorbire  aeree  spume  . 
Àgio  miglior  troverem  presto  in  riva 
Del  limpid'  Arno  a  la  città  di  Flora , 
Dove  soggiorna ,  e  fra  le  Grazie  impera 
La  Dea  che  ti  somiglia,  e  che  ha  lasciato 
Per  li  verdi  fioriti  etruschi  colli 
Al  Trace  usurpator  Citerà  e  Guido  . 
Respira  intanto ,  o  Dori .  Olà  ,  donzelle , 
Tosto  sciacquate  le  cinesi  tazze, 
Recate  1'  onda  ,  ed  il  carbon  fervente , 
Che  la  fragrante  pasta  abbiam  con  noi . 
Dov'  è  il  vascel  d'  argento  ,  che  rinchiude 
Il  dentato  e  volubile  stromento  ? 
Ah  !  neghittosa  gente ,  a  che  tardate  ? 
Aspettar  deve  dunque  Amore,  e  Dori? 
Ma  ohimè ,  eh'  io  sento  per  le  venne  un  freddo, 
Che  improvviso  m'  assale  ,  ignoto  orrore , 
Che  qua!  gelida  febbre  mi  circonda , 
E  ogni  fibra  del  sen  m'  agita  e  scote . 
Deh  !  chi  mi  scopre  la  cagion  di  questo 
Nuovo  ed  inesplicabile  tormento? 
Sento  le  furie  lacerami  il  core 
Al  pari  d'  Alcmeon ,  d'  Oreste  al  pari , 
E  pur  nei  sangue  de  la  madre ,  oh  Dio  ! 


)(       2»       )( 

Queste  mani   innocenti   io   non   macchiai * 

Io  vedo  l'Elba   minacciosa  e  rossa 

Di  sangue' militare ,   e  in  su  la   riva 

Vedo  la  bionda  Irene   abbandonata , 

Che  nuda  il   seno ,    e   il   crin   disciolto   al  vento , 

Volta  verso   1'  Italia  ,   ad   alta  voce , 

Non  mai  più  bella  ,  e  non  mai  meno   altera , 

L' inevitabil  fuga  mi  rinfaccia  , 

E    ai   giogo  indissolubil  mi  richiama . 

Vedi  che  Amor    cangiato  in  volto ,  e  bieco 

M'  addita  anch'  egli  il  mio   carcere   aperto  , 
E  dispietato   mi  respinge  ed  urta  . 

Conoscer   ti  dovea  ,   Nume  fallace  , 
Pur  troppo  da  gran   tempo  :  ah   sconsigliato , 
Quando  a   guidarci  io    t'  invitai  !   Ma   aspetta, 
Non  insultarmi   più  ,    perfido   Nume  . 
Non  ti  basta  s'  io  torno?  Alcuni  istanti 
Lascia  parlarmi  ancora  .    A  un   infelice 
Perdona ,  o  Dori ,  se  ti  lascia  a  mezzo 
Del  cammin   periglioso  :   ahi  !  non   ha   pac* 
Chi  Amor  ha  seco ,  e  sventurato  passa 
Di  pena  in  pena ,   e  d'  uno  in  altro  affanno . 
Siegui  felice  il  bel  cammin ,   se  pure 
Felice  va  chi   ha  un  traditor   per    guida  : 
E   quando   arrivi  a   la  citta  di  Marte, 
Per   me  saluta  in  Campidoglio   il  vivo 
Spirante   bronzo  equestre  de  l' invitto 
Filosofo  e  guerrier  :  sofferse  anch'  egli , 


)(    *9    )( 
Benché   fosse  signor   del  mondo   intero, 
Per  un'  empia  infedele   affanni  ed    onte . 
Digli  eh.'  io   son  quello  Stranier  ,   eh'  ei  vide 
Si  sovente  salir  le   vaste  scale 
Del  vincitor  Tarpeo    per    guardar  solo 
L'  augusto    volto ,  che  severo  ancora 
Par  che  rinfacci  a  1'  Italia  languente 
L'  ignobil    ozio  che   F  opprime   e   guasta , 
E  il  prisco  suo  valor   spento  per  sempre  . 
Ammira  il  curvo  anfiteatro   e    quella 
Rotonda  mole  ,  che  sostiensi  altera 
Nel  Marzo   Campo   su   colonne   immense , 
E   fra  il  romor   dì  popol  numeroso 
Al  passegger  attonito   presenta 
Scuito  nel    fregio   de   la  gran  cornice 
L' immortai   nome    del   latino  Agrippa . 
Io  mi  credea   di  rivedervi ,  o  sacre 
Mura ,  che   il   tempo   ancor  teme ,  e  rispetta  ; 
Ma   il  fato  il  più  crudele   altro   volea  . 
Conosco  ,   o   Dori ,  che   de  F  arti  antiche 
Forse  troppo  amator  io   t' importuno  . 
Tal  mai    sempre   il    destin  fu  de   gli  afflitti 
Sentir    conforto   in  meditar  gli  avanzi 
De   le   umane  vicende  ,   e  piensierosi 
Ne'  dì  più  tetri  gli   affannosi    amanti 
Spesso  visti  gli  avrai  cupi  e  solinghi 
Fra   le  meste    ruine  andare  attorno  . 
Faccia  benigno  il  ciel ,  che  Dori  mai 


Di  ristoro  siimi  uopo  non  abbia  ; 

Che  ad  evitar  cP  un  traditor  gì'  inganni 

L'  esser  bella  talor ,  creoli ,  non  basta . 

Vedrai  pur  la  più  vaga  e  graziosa 

Fra  le  fanciulle  amabili  del  Tebro, 

Di  bella  madre  figlia  assai  più  bella , 

Che  a  le  falde  del   Colle   di  Quirino 

Soggiorna,  e  i  voti  ed  i  sospiri  ardenti 

Modesta  non/  ricusa ,  e  non  accetta  . 

A  le  brune  pupille ,    al  bruno  crine  , 

A   la  gota  vermiglia  ,   al    sen  di  latte 

Vittoriuccia  gentil  conoscerai 

D'  ogni  cuor,  benché  duro  ,  vincitrice  . 

Questa   ti  stringi   al   sen  ,   dalle  un    amplesso , 

Bella  Dori ,  per  me  ,  ma  non  le  dire  , 

Se  non  che  a  lei  lo  manda  un  infelice  , 

Che   pace   ovunque  cerca ,   e  non  la  trova  i 

Ah  !  morrei  di  rossor ,  se   mai   sapesse 

11  mio    duro  destino    e  i   miei    disastri, 

E  che  fino  da  V  Elba  a  Y  Alpi  tosche 

Senza  vederla  sconoscente  io  giunsi . 

Che  se   mai    curiosa  il  pie  ti  porta 

Verso  T  umido  monte  tiburtino  , 

Ove  solean   passare  i  dì  più  caldi 

Lunge  da  l' importun  clamore  urbano 

Col  gelido  falerno  e  con  Licinia 

Il  cantor  di  Venosa,  e  Mecenate  ; 

Entra  ne   la  città ,  volgi  a  sinistra , 


X    3i     )( 
E  una  balza   vedrai ,  cui   bagna  il  piede 
Strepitoso   ruscel ,   che   giù   da   un  sasso 
Con  orrido  fragor  fra   bianche   spume 
Casca  iracondo ,  e  per   angusta   foce 
A  la   pianura  e  al    mar   gemendo  fugge 
Rotóndo  ,   e   bianco  su  la   cima  s'  erge 
Marmoreo    tempio    di   colonne  cinto  : 
Qui  stassi    ancora  ,   e   sospirando  guarda 
Da    lunge    le    ruine  spaziose 
De   la  sua  Roma  ,  e   gli   acquidotti  infranti 
Il  fatidico  spirto  de   la  donna  , 
Che  in  versi  oscur.i   al  popolo  predisse 
L'  alle  vicende   del  latino  impero . 
Deh  !  se  pietà   d'  un  infelice   senti , 
Chiedi,  o  Dori   gentil,  chiedi   a  costei 
Quanto    ho    ancor  da    soffrire  ,  o   pur  se  morte 
Romper  sola  dovrà  questi   miei  ceppi  . 
Donna ,  ti  guidi  il   cielo  al  tuo   destino  , 
Ed   io  piangendo   a   presti   passi  torno 
Per  valli  e    monti,  e  per  foreste  oscure 
Pien   di  vergogna   e   di    rossore  in  faccia , 
Torno  su  V  Elba  a  la  prigion  d'  Irene  . 


LETTERE     VARIE 

DEL     CONSIGLIERE 

GIAN   LODOVICO   BIANCONI 

BOLOGNESE . 


IV. 


AL  CONTE   ALGAROTTI 


LETTERA    PRIMA. 


Dilinga  9  luglio   iJ^S. 

KJggi  sono  appunto  i5  giorni,  che  franco  di  porto 
ricevei  dal  sig.  Mìinich  un  pacchetto  a  nome  di  V.  S. 
contenente  le  lettere  di  Polianzio  ,  e  le  opere  del 
sig.  Pallavicino  .  Non  le  ne  diedi  parte  allora ,  co- 
me avrei  dovuto  fare  ,  perchè  la  posta  era  già  par- 
tita ,  come  né  pur  V  ordinario  dopo ,  perchè  giusto 
quel  giorno  ci  trovavamo  in  viaggio  alia  volta  di 
Dilinga .  Lo  faccio  però  adesso  con  tutto  V  agio , 
assicurandola  ,  che  quanto  sono  tenuto  alla  di  lei 
cortesia  e  gentilezza  ,  altrettanto  conosco  non  me- 
ritarmi questo  scelto  regalo  . 

Ho  letto  con  grandissimo  gusto  le  di  lei  spi- 
ritose lettere,  le  quali  hanno  fatta  una  luminosa  giu- 
stizia a  Virgilio,  in  tanti  luoghi  a  torto  oscurato  e 
guasto ,   ed  hanno    altresì  avvisato  il  mondo  a  non 


)(  36  )( 
prestar  pili  tanta  fede  ai  Caro  ,  che  io  non  avrei 
mai  creduto  così  trasandato ,  e  falsario .  Se  non  fosse 
un  mistero  ,  saprei  ben  voìentierissimo  chi  sia  que- 
st'  emulo  di  Terpandro  ,  a  cui  sono  scritte  ,  giac- 
ché so  chi  sia  Polianzio  leggiadrissimo  ;  a  cui  ,  se 
v'  è  giustizia  neh"  Eliso  ,  L'  ombra  certo  del  gran 
poeta  vendicato  intercederà  dalla  madre  d'  Enea  dol- 
cezze maggiori  di  quelle  ancora  ,  che  gode  quel- 
L'altro  Polianzio,  di  cui  parla  il  grazioso  Congresso 
di  Citerà  .  Circa  1'  edizione  poi  dei  Pallavicino  in 
poche  parole  le  dirò ,  che  è  bellissima  ,  e  vi  si  scor- 
ge in  tutto  il  buon  gusto  dell'  editore  ,  sì  per  i  ri- 
tratti ,  e  per  gì'  indici  delle  canzoni  d'  Orazio ,  i 
quali  si  possono  chiamare  piuttosto  sensate  note  , 
come  per  la  vita  del  traduttore ,  per  le  dedicato 
rie,  e  prefazioni,  le  quali,  oltre  all'essere  piene  di 
spirito ,  sono  ancora  accortissime  per  quello  ,  che 
spetta  ai  criterio ,  che  ella  sopra  quest'  autore  ha  la- 
sciato giudiziosamente  traspirare  .  Replico  adunque  , 
che  le  ne  ho  perpetue  obbligazioni . 

Sentii ,  se  non  isbaglio  ,  dallo  stesso  sig.  Mii- 
nich  ,  che  V.  S.  potesse  passar  per  Augusta  in  oc- 
casione d'  un  viaggio  alla  corte  di  Dresda .  Siccome 
che  mi  dispiacerebbe  infinitamente  di  non  poterla 
riverire  in  persona  dopo  tant'  anni  ,  che  non  ho 
avuto  P  onor  di  vederla ,  trovandomi  per  qualche 
mese  ancora  con  tutta  la  nostra  corte  a  Dìlinga , 
così  ardirei    pregarla  ,     che   proseguendo    il   viaggio 


)(  37  )( 
passasse  ancora  per  questa  nostra  città  tanto  più , 
che  non  uscendo  di  strada  ella  vedrebbe  il  nostro 
serenissim®  Principe ,  il  quale  per  1'  amore  ,  e  per 
la  stima  ,  che  ha  verso  tutti  i  cavalieri  del  di  lei 
merito,  non  mancherebbe  di  farle  tutte  le  dovute 
distinzioni .  Il  sig.  canonico  Bassi  da  lei  ben  cono- 
sciuto a  Milano  ed  a  Bologna  in  casa  Ratta  ,  tro- 
vandosi anch'  egli  qui  segretario  intimo  ,  e  consi- 
glier  ecclesiastiqo  di  S.  A.  S. ,  railegrerebbesi  infi- 
nitamente al  pari  di  me  ;  anzi1  mi  ordina  espressa- 
mente di  pregamela  a  suo  nome  ,  come  pure  dì 
farle  i  suoi  umilissimi  complimenti  .  Lusingandomi 
adunque  d'  aver  questa  grazia  ,  con  tutto  il  rispetto 
mi  protesto  » 


AL   CONTE    ALGAROTTI. 


LETTERA     SECONDA. 


Augusta   12.  agosto  ij^7- 


R 


ICEVO  con  somma  mia  consolazione  V  umanissi- 
ma lettera  di  V.  S.  in  data  dei  22  dello  scorso  .  Se 
io  non  sapessi  di  quanta  bontà  e  cortesia  ella  è  for- 
nita, potrei  facilissimamente  insuperbirmi,  credendo- 
mi degno  delle  gentilissime  espressioni,  delle  quali 
ella  vuole  onorarmi.  Ma  comunque  sia  io  non  posso 
non  renderlene  infinite  grazie  co'  sentimenti  più  vivi 
del  mio  rispetto ,  e  dei  mio  cuore .  Ella  mi  permet- 
ta poi  ,  che  seco  lei  mi  rallegri  vivamente  per  gli 
onori,  che  da  codesto  gran  re  ha  ricevuti:  e.  que- 
sto sì  clie  si  chiama  sostenere  il  nome  della  nostra 
Italia  ,  anzi  esserne  uno  dei  maggiori  ornamenti . 

Giacché  ho  P  onore  di  scriverle,  bisogna  an- 
cora che  abbia  quello  di  pregarla  di  due  grazie  ;  lo 
che  spero  non  le  dispiacerà  ,    non    essendo    che    un 


)(  39  )( 
argomento  della  confidenza  ,  che  giustamente  ognu- 
no in  lei  può  riporre  .  Sappia  adunque  V.  S.  che  il 
celebre  signor  Brucker  qui  di  Augusta ,  membro  di 
codesta  reale  accademia  delle  scienze,  amico  mìo 
grandissimo ,  mi  fece  sperar  l'  onore  di  essere  ascritto 
a  questo  illustre  corpo ,  e  perciò  mi  ordinò  i  giorni 
passati  ,  anche  da  parte  del  signor  Eller  medico  ài 
S.  M. ,  di  preparare  qualche  letteraria  fatica  inedita 
da  presentarsi  anticipatamente  per  ciò  all'  accademia . 
Trovandomi  io  avere  fatte  varie  riflessioni  ,  e  osser- 
vazioni melodiche  sopra  V  elettricità  ,  che  pensava  di 
dar  alla  luce  ,  ho  determinato  prima  di  pubblicarle 
di  servirmi  di  loro  a  quest'  uopo  :  ma  perchè  sareb- 
be una  cosa  troppo  estesa  il  mandare  quest'  opuscolo 
tal  quale  egli  è ,  ho  pensato  raccoglierne  solamente 
i  teoremi  fondamentali ,  e  formarne  una  lettera ,  la 
quale  per  servirmi  di  una  lingua  usifata  scriverò  in 
francese  .  Il  primo  favore  adunque ,  di  cui  la  preghe- 
rei ,  sarebbe  il  permettermi  di  potere  indirizzare  a  lei 
questa  lettera  ,  e  darle  col  di  lei  nome  quel  pregio, 
che  da  se  sole  le  cose  mie  invano  spererebbero  .  II 
secondo  favore  è  qualche  cosa  di  più  .  Gli  è  quello 
di  darmi  licenza,  che  io  le  offra  la  mia  persona  qua! 
ella  siasi ,  se  mai  ella  credesse  ?  che  potesse  in  qual- 
che onorevol  modo  essere  costì  impiegata .  La  na- 
scente accademia  delle  scienze,  e  la  magnifica  corte 
che  a  Berlino  risplendono  ,  ella  può  ben  credere  , 
che  non  possono  a  meno  dì  non  eccitare  in  ognuno 


)(    4o    )( 

ia  voglia  di  farsi  onore  .  Questo  è  il  secol  d'  oro 
della  Prussia  ,  di  cui ,  come  tutti  sanno  ,  Y  Europa  è 
debitrice  in  gran  parte  a  V.  S.  Quello  solo,  che  mi 
fa  ragionevolmente  timido ,  è  il  dubitare  di  essere  io 
per  luoghi  sì  grandi  troppo  piccola  cosa .  Quindi 
questa  mia  sincera  apertura  le  deve  esser  fatta  con 
tutta  la  possibile  sommissione  ad  ogni  di  lei  volontà 
e  consiglio,  perchè  qualunque  esito  che  sia  per  ave- 
re ,  non  farà ,  che  io  non  le  sia  sempre  oltre  modo 
obbligato  .  Ella  può  ben  persuadersi ,  che  chi  ha  ab- 
bandonata la  patria  per  cercare  avanzamento  in  paesi 
stranieri ,  non  può  sempre  superare  le  tentazioni  di 
procacciarselo  .  Io  farei  torto  alla  di  lei  bontà  e  per- 
spicacia, se  dicessi  di  più.  Intanto  supplicandola  con 
tutto  il  cuore  a  perdonarmi  1'  ardire  ,  pieno  di  ob- 
bligazioni e  di  rispetto  le  bacio  umilmente  le  mani . 


AL   CONTE    ALGAROTTI 


LETTERA     TERZA 


Augusta  2.  gennajo   ìy/^S. 

Jljcco  ,  che  finalmente  ghigne  a  V.  S.  la  mia 
eterna  dissertazione  dell'elettricità,  ed  oh  quanti  Im- 
pedimenti m'  hanno  fino  ad  ora  fatto  differire  !  lo 
la  prego  umilmente  a  presentarla  in  mio  nome  al- 
l' Accademia  regia ,  appresso  la  quale  io  bramerei 
che  questo  saggio ,  qualunque  ei  siasi ,  mi  produ- 
cesse i'  onore  di  essere  nel  numero  degli  accade- 
mici ascritto  ,  se  pure  il  mio  desiderio  non  è  trop- 
po grande .  Siccome  però  prevedo ,  che  se  V.  S. 
non  ha  la  bontà  di  correggerla ,  e  cancellarla  ove 
merita  ,  io  non  ci  arriverò  mai  ,  così  mi  è  forza  di- 
votamente  supplicamela ,  non  già  per  onor  mio , 
che  ciò  sarebbe  troppo  ,  ma  per  lei,  a  cui  è  indi- 
rizzata .  Non  credesse  già  ,  che  questa  preghiera 
fosse  un  complimento .    Io  la  prego  con  tutto  il  cuo* 


)(       42       )( 

re  ,  con  tutta  la  sincerità^;  e  la  piena  cognizione 
che  ho  del  di  lei  raro  merito  ,  le  ne  farà  amplissi- 
ma fede  .  Io  F  ho  scritta  in  francese  per  accomo  - 
darmi  all'  uso  di  costì  ;  però  la  supplico  ancora  a 
scusare  gii  errori ,  che  nella  lingua ,  e  neil'  orto- 
grafia per  me  straniera  vi  saranno  corsi .  In  som- 
ma io  la  raccomando  alia  di  lei  bontà,  in  cui  sola 
confido  . 

Bisogna,  che  le  dia  una  nuova  letteraria.  Per 
passare  il  tempo,  e  alleggerire  la  noja  ,  che  se- 
condo me  in  questo  paese  di  Augusta  più  che  al- 
trove fiorisce  ,  ho  incominciato  a  scrivere  un  gior- 
nale dei  letterati  d'  Italia  in  francese  ,  giacche  pare- 
vami,  che  questo  solo  mancasse  alla  repubblica  let- 
teraria .  Conosco ,  gli  è  vero ,  che  intraprendo  un' 
opera  forse  troppo  ardua ,  ma  mi  fo  coraggio  su 
i  buoni  amici  e  corrispondenti  che  ho  in  Italia, 
che  mi  aiuteranno .  Darò  alla  fine  d'  ogni  trime- 
stre un  tometto  in  ottavo  ,  e  comincio  quest'  anno  . 
Nel  primo  volume  ci  sarà  anche  un  articolo  pei  dì 
lei  magnifico  discorso  sopra  la  durata  dei  re  di  Ro- 
ma, in  cui,  come  in  tutte  le  altre  occasioni ,  pro- 
curerò di  farle  ogni  dovuta  giustizia .  Se  ella  adun- 
que in  avvenire  avesse  qualche  notizia  o  altro  da 
comunicarmi ,  la  prego  farlo  ,  e  con  ciò  darmi  ma- 
no ad  onorare  la  bella  pafria  nostra . 

Io  non  so  se  le  sia  giunta  una  mia ,  che  si- 
no  dal  principio  d'  ottobre  le  scrissi,   in  cui  le  rac- 


)(    43    )( 

contava  i  miei  guai ,  giacche  V.  S.  cortesissima- 
mente me  ne  diede  la  permissione .  Caso  che  sì , 
io  a  quella  del  tutto  mi  rapporto ,  e  le  rinovo 
umilmente  le  mie  preghiere  ,  assicurandola  ,  che  mol- 
tissimo nella  di  lei  cortesia  confido .  Ella  non  può 
credere  quanto  animo  in  me  cagioni  questa  speran- 
za .  Io  cerco  occasione  di  mandarle  il  nuovo  trattato 
dei  fulmini  del  sig.  marchese  Maffei ,  supposto  che 
non  lo  abbia  d'  altronde  ricevuto  .  Spero  ,  che  le 
piacerà,  perchè  è  assai  bello.  È  uscita,  come  saprà, 
le  scorse  settimane  la  terza  parte  del  secondo  tomo 
degli  atti  del  nostro  Instituto  .  Persuadendomi ,  che 
rare  volte  le  giungano  costì  versi  italiani  ,  ella  mi 
permetta  che  le  trascriva  qui  la  versione  che  i  giorni 
passati  feci  di  un*  ode  d' Anacreonle ,  di  cui  una  buo- 
na parte  ho  già  tradotta .  Mi  perdoni ,  la  prego , 
V  ardire ,  e  se  non  ha  tempo  da  perdere  non  la  lèg- 
ga .  La  supplico  de'  miei  complimenti  alla  signora 
Astrua  garbatissima ,  e  alla  signora  Gasparim .  Le 
bacio  con  ogni  ossequio  le  mani . 


)(    44    )( 

ODE     OTTA  VA 

DI     AN A C RE O N T E 


D, 


EH  !  colomba  graziosa  , 
Chiudi  F  ali ,  e  dimmi  un  poco 
Donde  vieni ,  ed  a  qua!  loco 
Si  veloce  drizzi  il  voi  ? 
Da  che  avvien  ,  che  tanti  spargi 
Da'  bei  vanni  volatori 
Peregrini  ,  e  rari  odori , 
Di  che  F  rftia  empisti,  e  il  suol  ? 

Me  spedita  ha  Anacreonte 
A  Batillo  suo  diletto , 
A  Batillo  stiperbetto 
D'  ogni  core  domator  . 
Me  a  lui  diede  in   ricompensa 
D'  un  beli'  inno  F  alma  dea 
De  la  piaggia  Citerea  , 
L'  alma  dea  madre  d'Amor . 

Io  lo  servo  ubbidiente  , 

Ed  a  questa  ,  o  a  queila  parte  , 
Ove  vuole  ,  e  versi  e  carte 
Messaggiera.  vo  a  portar; 


)(    45    )( 
Ed  ei  poscia  a  me  promette  , 
Che  in  mercè  di  mia  fatica 
Liberale  ruol  P  amica 
Libertade  a  me  donar. 

Ma  bench'  egli  me  la  dia , 

Io  ricuso  un  sì  bel  dono; 
Restar  serva  io  vo'  qual  sono  , 
Ne  partir  mai  mi  vedrà. 
Che  varrebbemi  volando 
Ricercare  le  montagne, 
E  raccor  per  le  campagne 
Rozze  ghiande  in  libertà  ? 

lo  felice  con  lui  vivo , 

E  a  rapirgli  volo  ardita 
Con  il  rostro  da  le  dita 
Quel  pan  eh'  ei  volea  per  se  » 
Ed  ei  poscia  di  sua  mano 
Lieto  porgemi  da  bere 
Nello  stesso  suo  bicchiere 
Di  quel  vin  ,  eh'  ei  pria  beve  . 

Allor  volo  e  scherzo  intorno         , 
Al  mio  caro  Anacreonte  , 
E  la  sua  canuta  fronte 
Vo  con  P  ali  a  ricoprir  . 
E  qualor  la  notte  oscura 
Dolce  sonno  in  sen  m' inspira  , 
Del  buon  vecchio  in  su  la  lira 
Io  ritiromi  a  dormir. 


)(    46    )( 
Ma  mi  pare,  che  abbastanza 
Appagato   ho   il  tuo  desio  ; 
Io  ripiglio  il  volo  mio , 
Detto  tutto  ho  quel  eh'  io  so  . 
Tu  m'  hai  fatta  più  eianciera 
Che  una  garrula  cornice  ; 
Trattenermi  più  non  lice: 
Vanne  in  pace ,  eh'  io  pur  vo 


Lettera  scrìtta  da  Perugia  al  sig.  abate 
Carlo  Hianconi  in  Roma  ,  nella  quale 
si  danno  notizie  intorno  alla  Vita  di 
Raffaello  da   Urbino  . 


JL  te'  pochi  giorni  ,  che  sono  in  Perugia,  ho  avuto 
agio  di  godere ,  benché  in  fretta  ,  le  bellissime  pitture 
sparse  in  gran  numero  per  le  Chiese  ,  e  Palazzi  di 
questa  nobilissima  Città.  Sarà  sempre  vero,  che  per 
ben  conoscere  gli  antichi  Maestri  bisogna  vederli  in 
varj  luoghi ,  e  talvolta  sorprenderli  a  casa  loro .  Uno 
di  quelli ,  che  nV  ha  più  occupato ,  è  il  gran  Raffael- 
lo ,  che  qui  studiò  ,  qui  prese  la  prima  volta  il  pen- 
nello in  mano ,  e  qui  si  fece  celebre ,  avendo  pas- 
sata in  Perugia  tutta  la  sua  adolescenza  sotto  la  di- 
rezione di  Pietro  Perugino  .  Urbino  è  la  sua  Patria , 
perchè  vi  nacque ,  ma  Perugia  dee  guardarsi  come 
la  sua  patria  pittoresca ,  e  il  suo  Liceo  .  Infatti  Ur- 
bino non  ha  niente  del  suo  ,  intanto  che  Perugia  ha 
varie  sue  fatiche  ,  oltre  quelle  che  sventuratamente 
ne  sono  state  portate  via  .  Mi  sono  particolarmente 
applicato  a  tener  dietro  ai  gradi ,  pei  quali  è  passato 
questo  immortale  artefice  prima  di  giungere  a  quel 
punto ,  di  là  dal  quale  uomo  forse  nella  pittura  non 


)(  43  X 
passò  ne  passerà  mai ,  ed  ho  avuta  la  compiacenza 
di  vedere  la  celerità  de'  suoi  progressi  giganteschi  . 
Il  Vasari  ci  dice ,  che  i  primi  lavori  suoi  non  si  di- 
stinguono da  quelli  del  suo  Maestro  ;  così  Dio  sa 
quante  cose  vi  sono  in  Perugia  fra  le  molte ,  che  si 
mostrano  di  Pier  Perugino  ,  nelle  quali  ha  lavorato 
il  gran  Piaffaello.  Una  certamente  dee  essere  la  tanto 
celebre  Ascensione  del  Salvatore  che  Pietro  fece  pei 
Benedettini ,  perchè  la  lavorò  fra  il  1496  ed  il  i5oo, 
che  sono  gli  anni ,  nei  quali  appunto  aveva  presso  di 
se  Raffaello  ,  epoca  mostrataci  dai  dotto  Padre  Prio- 
re Calassi  nella  sua  descrizione  di  s.  Pietro .  Ma 
queste  sono  cose  incerte  benché  probabilissime  . 

Quello  ,  che  ai  dir  del  Vasari  non  sembra  in- 
certo ,  è  che  prima  che  Raffaello  uscisse  da  Perugia , 
Madonna  Maddalena  degli  Oddi,  benché  giovinetto 
di  17  in  18  anni,  gli  commise  un  quadro  per  1'  al- 
tare della  Cappella  ,  che  questa  nobilissima  Casa  ha 
in  s.  Francesco  .  Certamente  ,  che  al  primo  colpo 
cT  occhio  quest'  Opera  pare  un  bellissimo  Pietro ,  ma 
ben  considerandola ,  e  paragonandola  alle  cose  del 
Perugino  ,  mi  sembrava  ,  che  quelle  leggiadre  figu- 
rine mi  dicessero  :  noi  vogliamo  moverci ,  noi  non 
istiamo  ritte  come  le  nostre  sorelle  fatte  da  Ma- 
stro Pietro  ;  noi  siamo  di  Raffaello  .  Il  quadro 
rappresenta  la  Madonna  che ,  dopo  essere  Assunta  in 
Cielo,  è  coronata  dal  Padre,  ed  intanto  gli  Aposto- 
li ,    che    circondano  il  di  lei  sepolcro  spalancato,  la 


sfanno 


)(  49  )( 
stanno  guardando  con  tenerezza,  e  maraviglia.  L'o- 
pera presentemente  è  un  poco  scrostata  ,  e  se  non 
si  leva  da  quella  cappella  alquanto  umida ,  e  chiusa , 
corre  pericolo  di  andare  a  perdersi .  Il  nome  di  Raf- 
faello dovette  spandersi  per  quella  parte  di  Tosca- 
na ,  perchè  il  Pinturicchio  ,  che  per  comando  del 
Cardinal  Piccolomini,  che  fu  poi  Pio  III  ,  doveva 
dipingere  la  Biblioteca  dei  Domo  di  Siena,  chiamò 
il  nostro  giovinetto  ad  ajutario  nel  disegno .  V  andò 
egli  tanto  più  volentieri ,  quanto  che  Pietro  suo  Mae- 
stro in  quel  tempo  dovette  andare  a  Firenze  ,  e  al- 
trove a  lavorare  .  Io  ho  veduto  la  Biblioteca  di  Sie- 
na ,  e  fra  1'  altre  figure  ho  considerato  il  ritratto , 
che  di  se  stesso  vi  fece  Raffaello  ,  il  quale  appunto 
mostra  un  giovinetto  di  18  in  19  anni  al  più,  bello, 
e.  biondo  come  un  Angioletto  .  L'  opera  si  risente 
ancora  moltissimo  del  Perugino ,  ma  è  più  sciolta 
del  quadro  degli  Oddi  suddetto  .  Raffaello  però  non 
si  fermò  in  Siena  (  per  quanto  dice  il  Vasari  )  sino 
al  di  lei  compimento  ,  ed  in  fatti  tutte  le  facciate  di 
quel  dipinto  non  sono  egualmente  hen  disegnate  . 
Volle  andar  a  Firenze  trattovi  dalla  fama  di  quella 
Scuola  ,  e  probabilmente  dalla  vicinanza  ,  o  dal  de- 
siderio di  rivedere  il  suo  Maestro  .  La  Biblioteca  di 
Siena  si  scoperse  nel  i5o3  ;  dunque  il  suo  primo 
viaggio  a  Firenze  fu  avanti  a  quest'  anno  .  Quanto 
egli  vi  dimorasse  non  saprei  dirvelo .  Posso  però  as- 
sicurarvi,   che  all'  intorno  del   i5o4  era  nuovamente 

iv.  4 


)(  5ò  )( 
in  Perugia  ,  perchè  v'  è  colà  un'  opera  sua  a  fresco 
assai  estesa,  e  compita  nel  i5o5.  È  in  s.  Severo  de* 
Monaci  Camaldolesi ,  e  consiste  nell'  Abside  d'  una 
cappella  .  Qui  si  vede  allargata  la  sua  maniera  proba- 
bilmente dopo  avere  vedute  in  Firenze  le  opere  di 
Masaccio  nel  Carmine,  e  quelle  del  Frate  Rappre- 
senta la  Santissima  Trinità  nel  Cielo  con  varj  Ange- 
li ,  e  sei  Santi ,  che  le  stanno  intorno  ,  figure  inte- 
re ,  e  poco  minori  del  naturale  ,  e  vi  si  vedono  te- 
ste incomparabili .  Fin  d'  allora  si  conosce ,  che  nella 
sua  mente  si  formavano  quelle  bellissime  idee  ,  che 
giunte  alla  loro  maturità  si  dovevano  poi  in  Roma 
ammirare  da  gì'  intendenti  della  bellezza  nel  Vatica- 
no ,  e  in  s.  Pietro  in  Montorio  .  Raffaello  vi  mise 
iì  suo  nome,  e  V  anno  che  fu  il  i5o5,  ma  la  parte 
inferiore  della  cappella  restò  in  bianco  .  Io  suppon- 
go ,  che  restasse  imperfetta ,  perchè  fu  appunto  in- 
torno a  quel  tempo  ,  che  Raffaello  impaziente  volle 
ritornare  a  studiare  in  Firenze.  Prima  di  partire  cer- 
tamente ,  se  pure  non  fu  prima  di  cominciare  que-r 
sta  cappella,  gli  aveva  ordinato  una  pittura  da  altare 
la  nobilissima  Casa  Ansidei  per  la  chiesa  di  s.  Fio- 
renzo .  Aveva  in  essa  fondata  una  cappella  dedicata 
a  s.  Nicola  Messer  Filippo  di  Simone  Ansidei  ,  il 
quale  morendo  poi  nel  1490  lasciò  buona  somma  da 
impiegarsi  nell'  abbellirla  .  Fu  questo  peculio  proba- 
bilmente ,  che  determinò  i  suoi  figliuoli  ad  allogare 
al  giovane  Raffaello  il  loro  nuovo   quadro  ,    giacche 


)(  5i  ,( 
tanto  la  fama  cominciava  a  parlare  di  lui  .  11  qua- 
dro riuscì  anch'  esso  assai  secco  e  peruginesco  per 
quanto  ci  assicura  neile  sue  note  al  Vasari  Monsi- 
gnor Botlari ,  che  lo  aveva  veduto  ,  ed  esaminato  , 
Io  non  lo  conosco ,  perchè  sono  varj  anni  ,  che  fu 
venduto  ,  e  probabilmente  è  andato  in  Inghilterra  . 
Non  daste  però  la  colpa  di  questa  perdita  ai  moderni 
signori  Conti  Ansidei .  Essi  non  v'  ebbero  alcuna 
parte,-  anzi  al  pari  d'  ogni  altro  cittadino  so,  che  se 
ne  dolsero  ,  perchè  conoscono  ,  ed  amano  le  pittu- 
re ,  delle  quali  hanno  una  superba  collezione  nel  lo- 
ro palazzo.  Simil  destino  ebbe  pure  nel  secolo  pas- 
sato un'  altr'  opera  di  Raffaello  dipinta  per  la  chiesa 
delle  Monache  di  s.  Antonio  da  Padova.  Quelle  mo- 
deste Vergini  lo  obbligarono  a  fare  il  Bambino  ve- 
stito come  ci  narra  il  Vasari ,  che  dell'  uno  ,  e  del- 
l' altro  di  questi  quadri  ce  ne  ha  data  la  descrizio- 
ne .  Da  queste  tre  opere  fatte  in  sì  breve  intervallo 
si  vede  che  Raffaello  poco  si  fermò  la  prima  volta 
in  Firenze  ,  e  che  sapeva  lavorare  celeremente  .  Pri- 
ma  che  partisse  nuovamente  per  Firenze  anche  la 
splendida  famiglia  Baglioni  voile  commettergli  un 
quadro  colla  Deposizione  di  Croce  per  1'  Oratorio  di 
s.  Bernardino  .  Ma  a  Raffaello  ,  che  aveva  lasciata 
imperfetta  la  cappella  di  s.  Severo,  non  conveniva 
più  il  fermarsi  in  Perugia  a  dipingere  per  altri  .  In 
quest'  anno  pure,  che  fu  del  i5o5,  le  Monache  di 
Monteluce  gli  ordinarono    un    gran   quadro  pel  loro 


X  5*  X 
Aitar  Maggiore  ,  in  cui  doveva  dipingere  il  medesi- 
mo soggetto  ,  che  pochi  anni  prima  aveva  fatto  per 
Maddalena  degli  Oddi .  Raffaello  giovane  di  22  an- 
ni ,  e  probabilmente  bisognoso  di  denari  accettò  a- 
mendue  gì'  impegni  ,  anzi  li  ^3  Dicembre  ricevette 
3o  ducati  d'  oro  per  arra  dal  Fattore  di  Monteluce 
Bernardino  Canaja  .  Tanto  ho  ricavato  dai  libri  di 
casa  di  quel  Monastero  ,  che  ho  avuto  occasione  di 
vedere  . 

Partì  Raffaello  nuovamente  verso  Firenze  con 
questi  due  impegni  oltre  alla  cappella  di  s.  Severo 
lasciata  imperfetta  ,  e  colà  giunto  vide  e  gustò  Lio- 
nardo  da  Vinci ,  e  Michelangelo  .  Sì  grandiosi  esem- 
pi gli  fecero  sempre  più  ingrandire  la  maniera,  e  le 
forme  ,  benché  il  vero  ingrandimento  non  lo  acqui- 
stasse che  dopo  aver  veduta  la  maniera  colossale  ,  e 
r  antico  di  Roma .  Con  queste  nuove  idee  e  coi  con- 
sigli probabilmente  del  Frate,  suo  grand'  amico,  fe- 
ce in  Firenze  il  disegno  pel  quadro  promesso  a  casa 
Baglioni  .  Dopo  qualche  tempo  ,  al  dir  del  Vasari ,  fu 
richiamato  a  Perugia  senza  però  dirci  da  chi  .  For- 
se che  lo  richiamarono  i  Monaci  di  s.  Severo  per 
finire  la  loro  Cappella  ,  o  le  Monache  di  Monteluce 
per  fare  il  loro  quadro.  Comunque  si  fosse,  impa- 
ziente Raffaello  di  far  vedere  ai  Perugini,  ed  al  suo 
Maestro  il  nuovo  modo  di  dipingere  alla  moderna , 
eseguì  meravigliosamente ,  e  d'  un  bellissimo  stile  la 
deposizione  di  Croce  per  i  Baglioni ,  e  la  collocò  in 


)(  53  )(. 
«an  Bernardino .  Sia  detto  di  passaggio ,  questa  tavola 
pure  è  partita  ,  ma  almeno  si  gode  ora  in  Roma 
nella  galleria  Borghese ,  ove  è  uno  de'  più  insigni 
quadri  di  quella  veramente  principesca  raccolta,  ed 
ottimo  pensiere  fu  il  farla  incidere  costì  ultimamente 
sul  disegno  del  sig.  Carlo  Giuseppe  Ratti  .  Fu  ap- 
punto quando  Raffaello  doveva  soddisfare  in  Peru- 
gia a  tanti  impegni ,  che  lo  chiamò  a  Roma  il  suo 
amico,  e  concjttsldino  Bramante  a  lavorare  nel  Va- 
ticano ,  il  quaje7  Giulio  II.  voleva  far  diventare  la 
più  magnifica  Reggia  dell'  Europa  .  Raffaello  tanto 
superiore  a  tutti  gli  altri  Pittori  nell'  arte  ,  mostrò  , 
che  era  eguale  alla  maggior  parte  di  loro  nel  man- 
tener la  parola  ,  perchè  parti  senza  far  il  quadro 
alle  Monache  di  Monteluce  ,  e  senza  finir  la  cap- 
pella  di   s.  Severo  . 

Questa  è  forse  la  ragione ,  per  cui  i  Monaci 
disperatamente  la  fecero  finire  da  Pier  Perugino , 
che  la  compì  nella  sua  parte  inferiore  l'anno  i5ns 
come  egli  stesso  vi  scrisse .  Si  vede ,  che  vi  faticò 
moltissimo  per  non  scomparire  all'  età  di  60  anni 
dipingendo  in  competenza  di  un  suo  scolare  che 
non  ne  avea  forse  22  quando  fece  la  parte  supe- 
riore. Ma  Maestro  Pietro  non  potea  più  tener  die- 
tro a  Raffaele  ;  così  non  fece  che  aggiugner  diligen 
za ,  e  leccatura  all'  antico  suo  stile .  A  queli'  età  è 
difficile  il  mutar  maniera ,  eccettuato  il  caso  d'  an- 
dare in   peggio  .   Le   povere  Monache   si  trovarono 


X    54    X 
senza  danaro,  e  senza    quadro.    Forza  è  però,  c'fife 
stimolassero  varj    anni  Raffaello ,  benché   absente ,   a 
mantenere  la  parola,    perchè   trovo,   che  nel    i5i7 
ai  2.1   di  Giugno  per   mezzo  di    Alfano  Alfani   Pro- 
curator  delle  Monache   in  Roma   si   fece   un'  Apoca 
giuridica  sottoscritta  da  Raffaello  stesso ,  in  cui  final- 
mente si  obbliga  fare   il   suddetto  quadro  in  capo  a 
quindici  mesi  in  circa.   In  essa  si   stabilisce  il  prez- 
zo dell'  opera  completa  per  200   scudi  d'  oro .    Dalia 
tenuità  del  prezzo  ,    del  quale  non  toccavano  a  Raf- 
faello ,  che    12.0  scudi,  arguisco  che  questo  fu  1'  ac-» 
cordo  della  prima   volta,  cioè  del   i5o5,    e  che    le 
Monache  per  l'  arra    anticipatagli    fecero   stare  a  se- 
gno ,   ed  in   parola   V  Artefice .   Noi  sappiamo  ,  che 
nel  i5i8  Raffaello    aveva  cominciato  a   farsi  pagare 
nobilmente  ,    ed    in    fatti    all'  intorno    di  quel    tempo 
non   volle  meno    di   65o  scudi  d'  oro  pel   quadro  di 
s.  Pietro   in    Montorio  .     Raffaello    prende    per    suo 
compagno  nel  lavoro  un  certo  Maestro  Berto,  o  sia 
Alberto.     Chi   sia    costui  lo   domanderò  a   voi,   non 
avendone  trovata  traccia  nella  Storia  pittorica  di  quei 
giorni.   Osservo  solamente   nell'  Apoca ,    che  egli  la- 
vorava in  Perugia  intanto ,  che  Raffaello  stava  in  Ro- 
ma ,    Notate    che   in    quesf  Apoca  si   dichiara  ,   che 
Raffaello    ha  avuto    per    arra   venti    scudi   d'  oro ,    e 
Maestro  Berlo  suo  compagno  dieci .    Questa  appunto 
è    la    somma  ,    che   docici   anni    prima  le    Monache 
sborsarono  anticipatamente  a  Raffaello,  il  qua! 


)(    55    )( 
poi  dovuto  contarne  dieci  a  Maestro   Berto  per  sua 
porzione  .  Notate   le   precauzioni  ,    che  prendono   le 
Monache  nelle  rate- del  pagamento,    cioè  tanto  a  ìa- 
voro   incominciato  ,    tanto  a  mezzo  deli7  opera  ,    e 
tanto  dopo  aver  ricevuto  il  quadro  .    Questa  appunto 
è  la  condotta  di  chi  è  stato  scottato  .    Tutto  ciò  siavi 
detto  per   mostrarvi  il    gran  Raffaello    nei   suo   pri- 
vato ,  e  per  così  dire    in  farsetto ,  e   in  berretta .  La 
grandezza    di   Raffaello,     che    allora    faceva    le    de- 
lizie di  Roma,    e  de' primi  letterati  del   su<r  tempo  , 
anzi   P  ammirazione  di  tutte  le  persone  di  buon  sen- 
so ,  e  che  dappoi    fu   quasi   premialo   colla  porpora, 
servirà  di  scusa,    se   sono  entrato   in   tante   minuzie. 
Dopo    che    avrete    letta    quest'  Apoca  ,    giacché    qui 
ve  la  voglio  esattamente  trascrivere ,  voi  non  dubite- 
rete più  che  Raffaello   non  soddisfacesse   alla  fine  le 
Monache  .    V  ingannate  ;   non  signore ,   non  ne  fece 
niente  ,   ed   era   scritto  nel   libro    dei  Fato ,    che    i{ 
Convento    di  Monteiuce  ,  malgrado    1 5    anni   d'  insi- 
stenza,  malgrado  l'avere  sborsato  danaro   anticipato, 
non  avesse   in  eterno   un   quadro   di  Raffaello  .   Mori 
questo   incomparabil  pittore,  come  sapete ,  nel  i520, 
cioè   due  anni   dopo  il   tempo,  in   cui  doveva  averi» 
finito ,  e   mori ,  che    probabilmente  non  1'  aveva  an- 
cora  abbozzato.     Era  troppo   impegnato   col   Papa, 
e    coi   primi   Principi   dell'  Europa    per   badare    alle 
istanze    di   poche    Monache  .   Raffaello   non   era    più 
il  bello,   il  compiacente   Pittorino  di   Perugia.    Giù- 


)(  S6  )( 
iio  Romano  ,  e  il  Fattore  ,  come  eredi ,  saranno  pro- 
babilmente stati  pressati  dalle  Monache  a  pagare  il 
debito  del  loro  Legatario .  Ecco  la  ragione ,  per  cui 
fecero  dappoi  amendue  unitamente  il  quadro  di  Mon- 
teluce,  come  senza  saper  niente  di  tutti  questi  an- 
tecedenti ci  dice  il  Vasari  nella  vita  del  Fattore . 
Dunque  in  quel  quadro  ,  che  passa  presso  di  molti 
per  Raffaello ,  non  v'  è  niente  del  suo  ,  che  il  pen- 
dere .  Per  dirvi  poi  due  parole  di  quest'  opera  , 
che  io  Ho  bene  considerata ,  vi  dirò ,  che  essa  è  con- 
servatissima  ,  e  beila  .  La  composizione  è  quasi  la 
stessa  del  quadro  della  Cappella  degli  Oddi ,  se  non 
che  è  di  maniera  molto  più  larga  .  Da  ciò  arguisco 
che  Giulio  ,  ed  il  Fattore  avranno  eseguito  il  dise- 
gno di  Raffaello ,  di  cui  è  fatta  menzione  nell'  Apo- 
ca .  In  fatti  ci  sono  alcuni  Apostoli ,  che  pajono 
fratelli,  benché  cadetti ,  di  quelli  di  s.  Pietro  in  Mon- 
torio  .  I  peducci  dell'  Altare  ,  che  per  averlo  tutto 
rimodernato  passarono  poc'  anni  sono  in  Sagristia , 
sono  assai  belli ,  e  secondo  l' Apoca  dovrebbero  es- 
sere di  questo  ignoto  Maestro  Berto  .  Quello  che  è 
sicuro ,  si  vede ,  che  sono  usciti  dalla  Scuola  Raf- 
faellesca . 

Eccovi  come  nei  libri  di  Monteluce  ho  trovato 
notato  F  arrivo  di  questo  contrastato  quadro  da  Ro 
ma  in   Perugia . 

Item  nel  preditto  milesimo  i5j24  a  di  doi  di 
Giugno    V  ultimo    anno    dell  Offizio    della   Madre 


)(■  57  )( 
Sor  Veronica  fu  portata  la  Cona  (  cioè  1'  Ancona  ) 
nostra  da  Roma  essendo  finita  di  pegnere ,  la 
quale  per  molti  anni  innanzi  la  bona  memoria 
della  Reverenda  Madre  Sera  Baptista  aveva  data 
commissione  fosse  facta  et  penta  per  lo  Altare 
della    Chiesa    da  fare   come    appare  al  presente  . 

Leggete  ora  1'  Apoca  ,  e  vi  auguro  che  dia  a 
voi  tanto  piacere ,  quanto  ne  diede  a  me  nel  vedere 
originalmente  e  baciar  come  feci  la  bella  scritturi- 
na  di  Raffaello  non  meno  elegante  delle  sue  ele- 
gantissime  pitture ,    e   state    sano  . 

Perugia   li  28   Agosto   1776. 

Apoca  di  Raffaello   da   Urbino   col  Convento 
di  Monteluce  . 

Al  nome  di  Dio  XXI.  de  Giugno  MDXVL 
in  Roma  .  Sia  note  ,  et  manifesto  a  qualunque 
leggerà  la  presente  scripta  come  M.  Raffaello  da 
Urbino  pictore  toglie  a  fare ,  e  dipingere  una  Ta- 
vola ovvero  Cona  per  le  MonecMe  del  Monasterio 
di  Monteluce  extra  muros  perusinos  con  li  infra- 
scripti  pacti ,  et  Capituìi  che  qui  di  sotte  se  an- 
notaranno  etc.  In  prima  ,  che  dieta  Tavola  sia 
del  altezza  ,  et  grandezza  che  fu  ragionata  nel 
primo  disegno  dato  da  prefato  m.  Raphaelo  con 
la  Incoronazione  de  la  gloriosissima  nostra  Don- 
na :  con  li  Capìtoli  in  modo  ,  e  forma  che  in  esso 


x   ss  x 

primo  disegno  se  dimostra  ad  uso  de  Bono  opti- 
ino,  et  leale  Maestro  depinta  di  fini ,  et  boni  co- 
lori  secondo  ad  tale  opera  se  conviene  :  Et  che 
prefato  M.  Raphaelo  sia  obligato  jare  dieta  ta- 
vola sive  Cona  ,  et  dipingere  solum  la  Istoria  su- 
pradicta  in  lo  campo  ò  vero  vano  de  ditto  tavola 
in  Roma  a  sue  spese  de  legname  colori  ,  et  oro 
che  ve  intrasse  :  Et  omnia  altra  cosa  ,  et  spesa 
che  andasse  per  Jare  depingere  ,  et  Jinire  de  tucto 
ponto  dieta  tavola:  Ma  la  Capsa  chiodi ,  corde, 
et  amagliatura  vectura  ,  et  gabelle  da  essa  per 
condurla  da  Roma  a  Perugia  va  di  a  spese  de 
esse  Moneche  :  Quale  opera  prefato  M.  Raphaelo 
prometèe  dare  finita  per  tempo  de  uno  anno  da 
hoggi  videìicet  ad  sumrnum  ad  tal  tempo  che  di- 
eta tavola  sia-  conducta  in  Perugia  aìeo  che  il 
giorno  della  s'agratissima  festa  della  Assumptione 
che  sarà  adì  1 5  d'  Agosto  del  1617  sia  per  feda 
et  messa  in  opera  nello  Altare  della  Chiesa  del 
dicto  Monasteri o  de  Monteluce  .  Ma  la  predella 
Cornicione  frigio  ,  et  orane  altro  adornamento  de 
dieta  tavola  ,  et  piciura  de  esse  cose  se  debbia  fa- 
re ,  et  depingere  in  Perugia  videìicet  il  legname 
intaglio  Magisterio  colori  oro  ,  et  omne  altra  co- 
sa ,  che  vi  andasse  a  tutte  spese  de  M  Berto  de 
Giovanni  pictore  supradicto  ,  et  in  questa  Opera 
Compagno  electo  da  prefato  M.  Raphaelo,  et  ào 
t epiato  da  prefate  Moneche.,  M.  Berto  ìmbbì 


)(  %  )( 

etiam  a  depingere  tutte  le  cose  contente  in  lo  pre- 
sente Capitalo  videlicet  predella  Cornicione  etiam  : 
Et  sia  obligato  ultra  li  adornamenti  de  pinger 
in  la  predella  la  Natività  de  predata  gloriosissi- 
ma nostra  Donna  suo  Sponsa/itio  ,  et  sua  Sane- 
iissima  Morte  ovvero  Transito .  Le  anale  tucte  cose 
videlicet  ornamento  predella  etiam  prefato  M.  Berto 
sia  obligato  fare  ad  uso  de  bona  ,  et  leale  Mae- 
stro et  per  termino  ut  supra  notato  videlicet  che 
se  posa  ponere  in  opera,  et  sia  perjecta  per  la 
Festa  de  Santa  Maria  ds  Agosto  1 5 1 7  ut  supra  : 
Per  le  aliali  opere ,  et  picture  le  prefate  Mone- 
che  fìano  obligate  pagare  ,  et  cum  effeeto  nume- 
rare alli  prefati  M.  Raphaelo ,  et  M.  Berto  du- 
cati doicenlo  doro  in  oro  de  Camera  videlicet  du- 
cati cento  vinti  simili  a  lo  prefato  M.  Raphaelo 
per  sua  mercede  ,  et  premio  de  la  tavola  come  de 
sopra  :  Ve  li  quali  ducati  cento  vinti  prefato  M. 
Raphaelo  ha  havuii  da  prefate  Moniche  ducati 
vinti  simili  per  arra  et  parte  de  pagamento  .  Et 
a  prefato  M.  Berto'  ducati  octanta  simili  videlicet 
per  legname  intaglio  colori  oro  pictura,  et  orna- 
mento de  dieta  predella  pilastri  cornicioni  fregi, 
et  omne  altra  cosa ,  che  andasse  per  ornamento 
de  essa  tavola  de  li  quali  ducati  octanta  prefato 
M  Berto  ne  ha  avuti  da  prefate  Moneche  ducati 
dieci  simili  per  arra  ,  et  parte  de  pagamento .  Et 
li  pagamenti  se  debbiano  fare   in  queste  modo  cioè 


X  60  )( 
ducati  sexanta  nel  principio  de  lo  lavoro  compu- 
tati però  li  ducati  trenta  supradicti ,  che  li  pre- 
Jati  hanno  havuti  come  de  sopra:  Et  ducati  sep- 
tanta  debbano  bavere  Jacta  la  mità  della  opera  , 
et  altri  septanta  che  sera  lo  residuo  de  dicti  du- 
cati doicento  ,  quando  dieta  opera  sarà  finita,  et 
conducta  al  dicto  Monasterio  :  cioè  a  ciascuno  de 
loro  la  sua  rata  da  per  se  de  tempo  in  tempo 
come  de  sopra .  Et  si  per  caso  nel  condurre  da 
Roma  a  Perugia  dieta  tavola  per  qualche  sinistro 
evento  havesse  qualche  lesione  prefato  M.  Raphaelo 
sia  tenuto   acconciarlo  . 

Io  Raphaelo  so  contento  quanto  de  sopra  è  scrip- 
to et  a  fede  ho  fatto  questa  de  mia  mano  in 
Roma  die  dieta ,    et    sono    contento    haver  il 


mio 


pagamento  videlicet  ducati  cento  finita 
tutta  la  opera  non  obstante  quanto  nel  penul- 
timo Capitolo  se  contiene . 

Io  Alfano  Alfani  da  Perugia  come  Procuratore 
de  le  prefate  Moneche  prometto  se  observa- 
rà  quanto  de  sopra  se  contiene ,  et  in  fede 
mi  sono  qui  de  propria  mano  subscripto  Ro- 
mse   die   dieta  . 

Et  io  Piernicolò  Alevolino  da  Rocchacontrata 
de  voluntà  delle  soprascripte  parte  ho  scripti 
li  soprascripti  Capitali  di  mia  propria  mano. 


Lettera  al  sig.  canonico  Reginaldo  Sellar i 
patrizio  Cortonese ,  e  Segretario  perpe- 
tuo dell'  accademia  Etnisca  di  Corto- 
na ,  nella  quale  si  dà  la  spiegazione 
d'  una  Iscrizione  trovata  in  un  Sarco- 
fago d'yìquileja  . 
* 

JT3LL  dotto ,  ai  gentil  custode  delle  reliquie  di  Bar- 
dano ,  e  di  Porsena  vadano  queste  poche  righe  te- 
stimonio delle  molte  mie  obbligazioni  .  Sì ,  sig.  Pie- 
ginaido  riveritissimo,  voi  ne'  brevi  momenti,  che  ul- 
timamente passai  nella  colta ,  e  nobilissima  vostra 
patria  ,  di  cui  conserverò  sempre  la  più  dolce  me- 
moria ,  voi  mi  mostraste  ,  e  spiegaste  le  insigni  an- 
tichità da  codesta  Accademia  confidate  alla  vigilan- 
za ,  ed  erudizione  vostra  ,  e  quel  che  più  mi  fa  ono- 
re trovai  il  mio  nome  nelP  onorato  vostro  catalogo  . 
Accettate  adunque  il  poco  che  per  ora  vi  tributo  ? 
in  segno,  di  gratitudine ,  ed  assicuratevi ,  che  per 
quanto  dipenderà  da  me  procurerò  di  darvi  un*  altra 
volta  di  più  .  Cosi  mi  fosse  possibile  il  darvi  quanto 
meritate.  La  mia  obblazione  non  è  però  priva  d'in- 
teresse perchè  chieggo  il  vostro  sentimento  sopra  un' 
antica  iscrizione  che  colle  mie  riflessioni  sottometto 
qui  al  vostro  giudizio  .  Mi  fu  essa  mandata  da  Monw 
signor  Gradenigo  Arcivescovo  d'  Udine ,  il  quale  alla 


X      $2      )( 

nobiltà  pu\  generosa  della  «uà  Repubblica  ,  e  famì- 
glia ha  saputa  unire  un'  egualmente  scelta  erudizio- 
ne ,  U  iscrizione  è  stata ,  son  pochi  mesi ,  trovata 
sopra  un  Sarcofago  in  Aquileja ,  nascosto  sotto  ai 
pavimento  delia  Chiesa  di  s.  Felice ,  ed  eccovela  tal 
quale  : 

CUM  COEPTA  PRIMA  ^ETATE 

INSTITUTA   GEMINIUS  HABERET 

IN   ANNiS  FERME   XL.   MENSE 

UNO   DXES  XV.   NATUS   EX   C1VITATE 

TUSUR^TAISA   AERICI   PROCI 

.«DB   RESTUTO   NATUS  DE  MATRE 

MAJOR!  CREATUS  FELIX  IN  DEO 

DEPOSITUS  SUB  DiE   Vili.  IDUS 

OCTOBRIS. 

Chi  avrebbe  mai  creduto  ,  che  in  Roma  si 
avesse  ora  a  scoprire  il  nome  probabilmente  del  Pa- 
dre di  questo  Geminio  sotterrato  da  tanti  secoli  in 
Aquileja  ,  e  trovarvi  fino  le  sue  vicende ,  le  quali 
non  poco  lume  poi  hanno  sparso  su  questo  nuovo  , 
ed  edificante  Sarcofago  ?  Ma  voi  siate  giudice  se  vi 
inganno  .  Nelle  antichità  d'  Aquileja  del  Rettoli  pa- 
gina 2.18  troverete  un'  iscrizione  all'  incirca  del  me- 
desimo tempo  ,  e  stile  ,  e  questa  sembra  fatta  al  Pa- 
dre del  nostro  Geminio.  Ma  affinchè  non  abbiate  la 
pena  di  cercarla,  eccovela  trascritta  in  caratteri  più 
chiari,  e  meno  equivoci  di  quelli  che  il  Bertoli  ha 
voluto  troppo  fedelmente  adoprare . 


X  63  X 


h 

co  -*i 


co 

I— ) 

w  S 
Q  ed 
w 

Q 


» 

U 

£ 


O 

W 
a, 

co 
> 

> 

co 
W 
ed 

W 

o 

2 


w 

PQ 
Cd 
> 

> 


«2 


Sì 


co 

> 

Oh 

ed 
O 
u 

H 

> 

o 
> 

> 

CO 


< 

ed 
W 

co 
2i 

O 

H 
< 

ed 

> 


o 

>     co 
co  > 


CO   «O 

>   > 


CO 

t-H 

w 


o 

a 
u 

HI 
W 

ed 


> 

J 
t> 
& 

Eh 

> 

co" 
> 

-3 
W 

> 

ed 
u 

CO 


CO 
I— | 

CO 


Cri 

> 


o  ed 


> 

S 

> 
ed 


o 

o 
> 

< 

o 

<   a 
^  w 

tri  co 

-  co 


h 

ed 


< 

Oh 

w 

CO 

Oh 

UH 

CO 

o 
> 

CO 


PS 

o 

l-H 


co  ~ 

tri  H 

ed  w 


CO 

oc 

tri 
ì> 

p*  coi 


4 

C/  Fh 


Eh 
> 

Pd 

tri 
CJ 

a 
> 

Eh 
O 

<! 

ed 
Fh 

O 
fri  u 

&  al 


O 

CO 
CJ 

> 


co 
co 

O 

tri 


S  «3 

ed 

CO 

3 


)(    64    )( 

Voi  vedete  in  ognuna  di  queste  due  iscrizioni 
un  Africano  ,  ciascheduno  de'  quali  è  venuto  pagano  in 
Aquileja ,  ed  ivi  poi  è  morto  cristiano  .  L'  iscrizione 
del  Bartoli  ci  dice  positivamente ,  che  quel  suo  Re- 
stuto  era  venuto  colà  per  vedere  la  Città  ,  la  quale, 
come  è  noto,  fu  una  delle  più  insigni  Colonie  del- 
l' Impero  Romano  .  Ci  dice  ,  che  quella  terra  non 
prima  da  lui  "veduta  volle  ritenere  il  suo  corpo  , 
benché  egli  desiderasse  di  far  ritorno  colà,  dov'era 
nato,  tanto  più  che  qui  non  avea  nessuno  de  suoi  , 
Ma  alla  fine  trovo  cQsa  assai  maggiore  de'  suoi 
parenti  (  s' intende  certamente  coloro ,  che  battez- 
zandolo lo  fecero  cristiano  )  e  allora  non  fa  più 
forestiere  come  quando  ci  venne  ;  (  cioè  entrò  in  co- 
munione cogli  altri  fedeli)  nessuno  può  resistere  alle 
chiamate  del  fato  .  A  costui  i  suoi  Sodali  contro 
il  lor  desiderio  hanno  fatto  il  Sepolcro  .  Io  non 
posso  intendere ,  che  per  Sepolcro  la  parola  Oren- 
sium  da  Opos  ,  che  significa  Tumulo ,  ovvero  Meta  : 
eccovi  dunque  quanto  di  quel  Restuto  si  cava  dalla 
Lapida  del  Bertoli  «  Venghiamo  ora  al  nostro  Ge- 
minio ,  che  è  1'  argomento  della  Lettera  .  Io  inter- 
preto così  la  sua  Lapida  : 

Geminio  nativo  della  Città  Tusuritana  nel- 
V  Africa  proconsolare  nato  in  Casa  Restuto,  aven- 
do conservato  fino  alT  età  quasi  di  quaranf  anni 
un  mese  quindici  giorni  V  instituto  ,  che  dalla  sua 
prima  età  aveva  preso    (  cioè  la  religione  pagana  ) , 

creato 


)(    65    )( 
creato   da  una  Madre  maggiore   (  cioè  della  Chiesa 
di   Gesù  Cristo  )  felice  in  Dio   è  stato   deposto  nel 
giorno  ottavo  delle  Idi  d  Ottobre  . 

A  me  pare  ,  che  questo  Geminio ,  non  vedendo 
far  ritorno  in  Africa  alla  casa  sua  Restuto  ,  venisse  a 
cercarlo  in  Aquileja  ,  e  che  non  solamente  lo  tro- 
vasse defunto  ,  ma  sapendo ,  che  era  morto  cristiano  , 
tratto  da  cosi  pio  esempio ,  si  battezzasse  anch'  egli , 
ed  al  pari  del  primo  ci  finisse  dappoi  la  vita . 

A  voi  ,  che  siete  cosi  pio  ecclesiastico ,  dee  far 
piacere  la  frase  di  '  chiamare  Madre  maggiore  la 
Chiesa ,  distinguendola  così  dalla  madre  naturale ,  che 
è  la  minore .  Tale  appellazione  di  tenerezza  non  era 
nuova  allo  zelo  de'  primi  Cristiani .  Rileggete  di  gra- 
zia la  incomparabile  relazione  dei  Martiri  della  Gal- 
lia  Lugdunense  ,  e  V iennense  ,  che  nel  libro  5  della 
Storia  Ecclesiastica  ci  ha  conservata  Eusebio  ,  rela- 
zione ,  che  ogni  ragion  mi  fa  credere  essere  detta- 
tura di  s.  Ireneo  allora  Vescovo  di  Lione  .  In  essa, 
parlando  di  que'  deboli  cristiani  ,  che  per  timore  ri- 
negarono la  fede  ,  ma  che  dappoi  incoraggiti  dall'  e- 
sempio  de'  costanti  si  pentirono ,  e  confessarono  Cri- 
sto ,  egli  eloquentissimamente  dice:  i  cadaveri  della 
Chiesa  per  mezzo  def  vivi  sono  tornati  in  vita  ,  e  i 
Martiri  hanno  benìjìcato  i  non  Martiri,  ha  Ver- 
gine Madre  (  cioè  la  Chiesa  )  è  stata  ricolma  di 
gaudio  vivi  riacquistando  coloro  ,  che  già  come 
morti  aveva  abortiti ,  imperciocché  questi  prevari- 
IV.  5 


)(    66    X 
calori  per  la  virtù   de  Martìri  nelV  utero  di  lei  ve-* 
nian  di  nuovo  delineati ,    innestati ,    e  ravvivati . 

La  frase  creatus  pare  adombrare  l'  espressione 
di  s.  Giovanni  nisi  qui  renatus  Jucrìt  ex  aqua  ,  et 
Spiritu  S ancfo  .  Notate  la  frase  Felix  in  Lieo  ,  che 
è  forinola  meno  frequente  dell'  altra  in  pace  .  Nel 
Fabretti  v*  è  in  pace  Dei ,  nel  Muratori  vivas  in 
Deo  .  Del  resto  anche  i  pagani ,  quando  loro  si  nomi- 
navano i  morti ,  solevano  dire  Felìces  ,  come  noi  cri- 
stianamente sogliamo  dire  Dio  gli  abbia  in  gloria  . 
Orazio  non  rispose  ,  che  Felices  a  quel  seccatore , 
che  nella  via  sacra  fra  1'  ali  re  cose  gli  disse ,  che 
tutti  i  suoi  parenti  erano  morti  . 

Del  resto  poi  non  vi  faccia  specie ,  se  non  v'  è 
il  Consolato ,  benché  vi  sia  il  giorno  della  sepoltura , 
Agli  antichi  fedeli  non  premeva  che  tramandare  ai 
posteri  il  giorno  della  deposizione  ,  perchè  in  quello 
si  celebrava  l'  anniversario  del  defunto  ,  al  qual  fine 
nulla  serviva  la  nota  dell'  anno  .  Queste  sono  le  po- 
che riflessioni  cristiane  ,  che  mi  sono  venute  alla 
mente  .  Eccovi  ora  quelle  che  possono  riguardare  la 
letteratura . 

Nella  iscrizione  di  Restuto  notate  quel  Feleger 
ih  senso  di  Forestiere  .  A  me  pare  travederci  un  ter- 
mine più  volgare ,  che  latino  ,  giacché  sono  persua- 
sissimo ,  che  una  specie  di  lingua  volgare  si  sia  par- 
lata sempre  dal  volgo,  da  cui  essa  trasse  fin  d'allora 
il  nome,  anche  in  que' secoli ,  ne' quali  comunemente 


)(  67  )( 
ti  crede  ,  die  tutti  gli  antichi  italiani ,  t  le.  Bonn* 
parlassero  latino  per  le  strade,  e  per  le  case,  coma 
tanti  Dottori  in  Collegio  .  Lo  stesso  sia  detto  della 
voce  Parentes  in  senso  di  alluni ,  o  congiunti .  S.  Gi<- 
rolamo  ce  lo  avverte  :  Parentes  militari  vulgarique 
sermone  cognatos ,  ajjìnes  nominata  Lib.  II.  apolog, 
a  Raffino  .  Fate  qualche  riflessione  a  quel  bulgari 
sermone  lino  nel  quarto  secolo,  e  poi  datemi  torto. 

La  parola  Orensium  per  Sepolcro  non  è  stata 
notata,  che  io  sappia ,  da  veruno ,  e  molto  meno  dai 
continuatori  dei  Du  Gange  ,  come  neppur  quella  di 
Peleger  . 

Neil'  iscrizione  di  Geminio  la  Città  Turusitana  è 
il  Tibopos  di  Tolomeo.  Que'  barbari  nomi  Africani 
si  facevano  spesso  adiettivi,  perchè  prendessero  un  po' 
d'  aria  romana  .  Nel  GruterO  5.  P.  Q.  Siagitanus , 
per  il  Senato  di  Siagul  S.  P.  Q.  Thimiligensis  pei" 
Thimiliga  nella  diplomatica  dei  Malici ,  Or  do  Me~ 
diditanorum  Midida ,  in  un'  iscrizione  del  Gori ,  ed 
altri  . 

Riflettete ,  che  Tusuro  qui  è  messo  nelì'  Africa 
pioconsolare .  Questa  parte  dell'  Impero  Romano  fi- 
no ai  tempi  di  san  Cipriano  (  epist.  45  )  era  divisa 
solamente  in  tre  governi ,  cioè  nei!'  Africa  così  detta 
proconsolare ,  nella  Numidia  ,  e  nella  Mauritania . 
Ma  al  tempo  ,  in  cui  fu  scritta  la  Notitia  utriusaue 
Imperii ,  che  si  creda  quello  d'  Onorio,  l'Africa  era 
g'à  stata  suddivisa  in  sette   governi .    Uno   di  «juesvi 


X  63  )(  . 
distinto  dall'  Africa  proconsolare  fu  la  Bizacena  ,  di 
cui  era  capitale  Adrumeto  ,  ed  ira  questo  territorio  si 
trovava  Tusuro ,  come  impariamo  ancora  dalla  Carta 
Feutingeriana  .  Dunque  se  Tusuro  era  tuttavia  nel- 
I'  Africa  proconsolare  ai  tempi  di  Geminio ,  si  con- 
clude ,  che  costui  visse  prima  della  divisione  delle 
Provincie  Africane .  Queste  divisioni  cominciarono  a 
farsi,  a  mio  credere,  dopo  la  duplicazione  degl'Im- 
peradori  ,  e  de'  Cesari ,  e  la  ragione  è  perchè  aven- 
do ognuno  di  que'  Principi  qualche  dipendente  da 
provedere  ,  e  V  Impero  invece  di  crescere  calando  , 
si  moltiplicavano  i  governi  col  rimpicciolirli.  Simile 
ripiego  è  stato  conosciuto  anche  dai  Principi  dei  giorni 
nostri  . 

Nella  medesima  Bizacena  v'  erano  anche  le  Città 
Turxo  e  Thysdras ,  che  alcuni  hanno  malamente 
confuse  con  Tusaro  ,  come  riflette  il  Ruinard  nelle 
sue  note  alla  Storia  Vandalica.  Notate  in  fine  la  sin- 
golare ,  anzi  a  mio  credere  unica  maniera  di  contar 
gli  anni  del  defunto ,  cioè  in  annis  ferme  XL.  Mense 
uno  dies  XV.  natus.  Se  questo  mese  e  mezzo  dee 
aggiugnersi  ai  quarant'  anni ,  a  che  serve  quei  ferme 
che  li  precede  ?  Par  dunque  ,  che  quest'  anno  e  mez- 
zo debba  piuttosto  sottrarsi  dai  XL.  1/  espressione  è 
tanto  nuova,  e  strana,  che  io  non  oso  né  affermar- 
lo ,  né  negarlo  . 

Dallo  stile  di  questi  due  epitafi  come  da  tanti 
altri  non  v'  è  da  imparare  ,    che    qualche   sollecism© 


)(  69  )( 
«li  nuova  invenzione  .  Il  dottissimo  Marchese  Scipio- 
ne Maffei  troverebbe  forse  in  queste  due  iscrizioni 
i  suoi  versi  Ritmici  fatti  a  orecchio ,  e  originati  dalle 
composizioni  volgari  di  que'  tempi ,  le  quali  come 
non  degne  di  scritture  non  sono  pervennte  fino  a  noi . 

Ma  si  finisca  oramai  questa  troppo  lunga  lette- 
ra .  Assicurate  della  mia  ossequiosa  gratitudine  tanti 
bravi  Cavalieri ,  e  Dame  ,  che  costì  ebbi  P  onore  di 
conoscere,  e  le  prime  di  queste  siano  le  ornatissime 
Signore  Anna  Semini ,  e  Margherita  Alticozzi . 

Roma  li  3o  Ottobre  1776. 


'li>I~^rT"~";:"TTv;'7-:r^r'  "  ~"-~~3f 


Lettera  L  ^41  sig*  marchese  De  Venuti 
patrizio  Cortonese  ,  e  Ciamherlano  del 
Rea!  arciduca  di  Toscana  ,  intorno 
F  urna  cineraria ,  ed  iscrizione  sepol- 
crale di  Livilla  figlia  di  Germanico 
Cesare  trovate  presso  il  Mausoleo  di 
^du gusto  . 


JDjella  nuova  ho  da  darvi  oggi ,  e  bene  inaspetta- 
ta ,  gentilissimo  sig.  marchese  .  Ne  ridano  pure  co- 
loro ,  che  apprezzano  soltanto  quelle  delle  Colonie 
Americane  ,  o  quelle  della  Crimea  ;  noi  siamo  alun- 
ni delie  Muse,  e  delle  beli' arti;  così  ci  compiaccia- 
mo di  nuove  meno  clamorose  .  Jeri  i'  altro  nello  sca- 
vare i  fondamenti  d'  una  casa  vicino  a  S.  Cario  al 
Corso  a  2.5  palmi  in  circa  sotto  il  presente  seliciato 
di  Roma  si  è  trovato  1'  Urna  cineraria  di  Livilla  , 
la  figliuola  di  Germanico  Cesare ,  la  pronipote  d'Au- 
gusto ,  la  sorella  di  Caligola  .  Immaginatevi  un'  Olla 
a  g&ìsa  di  Diota  alia  palmi  3  ,  e  tre  quarti  e  largì 
nei  suo  maggior  diametro  palmi  2  e  un  quarto  ,  ed 
Immaginate  vela  tutta  dJ  un  pezzo  d'  alabastro  orien- 
tale cotognino  venato  di  bianco ,  maravigliosamente 
lavorata  al  tomo  .    Il  diametro    della   bocca  è  di  un 


)(    7i     X 

palmo  avvantaggiato ,  ed  alquanto  sotto  al  breve  suo 
collo  che  è  poco  di  lei  più  stretto,  nascono  due  ma- 
nichi semplicissimi .  Chiudesi  1'  Olla  con  un  coper- 
chio rotondo  fatto  a  seudella  acuminala  della  mede- 
sima pietra  ,  in  cui  le  vene  concentriche  e  bianchis- 
sime girano  orizzontalmente  ,  e  finiscono  in  un  gran 
bottone  quasi  a  fior  di  Loto .  La  grossezza  delia  pa- 
rete del  vaso  sarà  d'  un  buon  pollice,  mia  la  pietra 
è  così  trasparente,  che  se  le  si  mette  dentro  un  lu- 
me ,  presenta  colla  sua  molle,  ed  appannata  diafanei- 
tà  uno  spettacolo  giocondissimo  ,  sembrando  proprio 
un'  immensa  gemma .  In  somma ,  eccettuati  gli  orna- 
menti della  scultura  ,  che  in  quesl'  Olla  non  ve  n'  è 
alcuno  ,  ella  è  forse  il  più  bello ,  ed  il  più  gentil  va- 
so ,  che  da  secoli  siasi  cavato  nelle  rovine  dell'  anti- 
ca Roma  .  Quello  che  accresce  valore  alla  scoperta  ,  è 
che  pochi  piedi  lontano  si  è  trovalo  un  Cippo  quadri- 
lungo di  travertino  rozzo  ,  in  cima  al  quale  si  leg- 
ge ,  benché  alquanto  mancante  ,  la  seguente  Iscri- 
zione incisa  in  elegantissime  lettere  : 
lIvilla 

GERMANICI   C    .    .    .    . 
UIC   SITA   E   .    .    .    . 

Due,  come  sapete,  sono  le  Liville  note  nella  storia 
Romana .  L*  una  è  figlia  di  Druso  Germanico  fratel- 
lo di  Tiberio ,  la  quale  fu  dappoi  moglie  di  Druso 
suo  cugino,  e  fu  mala  donna,  perchè  fra  l'altre  gen- 
tilezze ,  per  isposare  Sejano  suo  seduttore,    awelenè 


)(  m  x 

lì  marko  .  L'  altra  è  una  delle  tre  sorelle  di  Caligo- 
la ,  cioè  Agrippina ,  Drusìlia ,  e  Livilla  figlie  del 
tanto  amabile  ,  che  sventurato  principe  Germanico 
Cesare  gran  Capitano  ,  gran  Poeta  ,  grand'  Oratore . 
e  protettore  ,  anzi  amico  d'  Ovidio  ,  che  gli  dedicò  i 
Fasti .  Di  nove  figliuoli  che  da  Agrippina  nipote  di 
Augusto  ebbe  Germanico  ,  Livilla  fu  1'  ultima  .  Si 
crede  ,  che  nascesse  neh"  Isola  di  Samo  ,  allorché 
il  di  lei  Padre  colla  fedele  sua  Sposa  era  andato  in 
Oriente  a  comporre  i  torbidi  deli'  Armenia .  Giunta 
in  età  nubile  Livilla  fu  data  da  Tiberio  a  M.  Vi- 
nicio oriondo  di  Cales  ,  ma  di  famiglia  distinta ,  e 
che  fu  creato  Console  per  decorare  questo  spo- 
salizio .  Tacito  dice  che  era  uomo  mitis  ingemi  et 
contae  Jacundiae .  A  lui  dedicò  la  sua  Storia  Vel- 
lejo  Paterculo  ,  ragione  di  più  per  credere  Vinicio 
persona  dipendente  da  Tiberio,  come  era  lo  Slori- 
co  .  Giunto  all'  Impero  Caligola  diede  a  Livilla  uni- 
tamente a  Drusiila  e  ad  Agrippina  sue  sorelle  i 
privilegi  accordati  alle  Vestali ,  ma  non  tarderete 
molto  a  sentire  quanto  li  meritassero  .  Volle  dap- 
poi ,  che  per  onore  fossero  nominate  con  lui  in  tut- 
ti i  pubblici  giuramenti ,  come  anche  nelle  relazioni 
dei  Consoli  al  senato.  Svetonio  pretende,  che  tanto 
amore  per  queste  principesse  sorelle  andasse  a  finire 
molto  indecentemente  .  Sospettò  Caligola  che  M, 
Emilio  Lepido ,  che  era  il  marito  di  Drusiila ,  ono- 
rasse un  po'  troppo  tutta  la  famiglia,  facendo  lo  stes- 


)(  73  )( 
so  con  Agrippina ,  e  con  Livilla  ;  quindi  perdetie 
pazienza ,  e  punito  di  morte  P  adultero  incestuoso 
cognato  esiliò  Livilla  ,  ed  Agrippina  nell'  Isola  di 
Ponza .  Ucciso  Caligola  gli  successe  1'  Imperatore 
Claudio  loro  Zio ,  il  quale  richiamò  in  Roma  le  due 
nipoti.  La  forse  troppo  bella  Livilla  piacque  anche 
a  Claudio ,  e  Messalina ,  sotto  pretesto  d'adulterio ,  la 
fece  nuovamente  esiliare  .  Risum  teneatis  amici  ? 
Messalina  punire  d'  incontinenza  una  cognata  !  Ma 
v'  è  di  più  .  Chi  crederebbe  ,  che  tra  gli  adulteri  di 
Xi villa  fosse  annoverato  ancora  il  malinconico,  il  se- 
vero predicatore ,  il  morale  Seneca  ?  Strana  inespli- 
cabil  cosa  è  V  uomo  !  Io  non  so  come  la  cosa  an- 
dasse ,  ma  certo  è  che  Seneca  fu  rilegato  in  Cor- 
sica anche  sotto  questo  pretesto  .  Livilla  finalmente 
fu  fatta  morire  per  ordine  di  Messalina  ,  e  lo  stesso 
successe  al  marito  Vinicio ,  benché  per  ragioni  diame- 
tralmente opposte,  giacche  fu  perchè  egli  non  volle 
soddisfare  i  capricci  di  Messalina  .  Nel  raccorre  per 
voi  queste  notizie  in  varj  autori  disperse  e  sdruscite 
io  credo 

Portar  nottole  a  Atene ,  e  vasi  a  Samo  ; 
così  abbiate  la  bontà  di  scusarmi  .  Avvertite ,  che 
tutte  le  tre  sorelle  ebbero  anche  il  nome  di  Giulia, 
come  dalle  medaglie  si  vede ,  ma  bisogna  che  ne 
facesse  uso  talvolta  soltanto  l  ivilla  ;  giacché  l'  altre 
due ,  forse  per  brevità ,  o  per  non  confonderle ,  ven- 
gono semplicemente  chiamate  Agrippina,  e  DmsHh 


X  74  )( 
Eceo  la  ragione  ,  per  cui  Tacito ,  e  Dione  danno  pef 
!o  più  solamente  il  nome  di  Giulia  alla  nostra  Livel- 
la .  Il  nome  di  Livilla ,  o  sia  Liviuccia  fu  introdot- 
to per  fare  onore  a  Livia  entrata  nella  famiglia  d'  Au- 
gusto .  È  fuor  di  dubbio ,  che  di  questa  tale  Livilla  è 
iì  sepolcro  scoperto  ;  come  ce  ne  assicura  l' Iscrizio- 
ne col  Germanici  Cce^aris  FiUa  ,  la  quale  certa- 
mente non  può  altrimenti  supplirsi  .  Voi  sapete  che 
l'altro  Germanico  padre  della  prima  Livilla  chiamos- 
si  Druso  Germanico ,  né  mai  ebbe  il  titolo  di  Cesa- 
re .~  Due  versi  ancora  sopra  il  luogo  di  questa  sco- 
perta .  Impariamo  da  Strabene ,  che  nel  Campo 
Marzo,  oltre  al  sepolcro  d'Augusto ,  vi  erano  altri  se-* 
polcri  di  cittadini ,  e  di  matrone  illustri  .  Di  più  ci 
dice  che  a  tergo  delia  fabbrica  del  Mausoleo  vi  era- 
no maraviglio  se  ,  e  verdeggianti  passeggiate  ,  e  non 
molto  da  lui  lontano  i  sepolcri  de'  congiunti  ,  e  fa- 
migliari dell'  lmperadore  \  Ciò  dee  mostrarvi,  che 
sotto  nome  di  Mausoleo  non  solo  s'  intendeva  V  edi- 
lìzio rotondo  in  gran  parte  tuttavia  sussistente,  ma 
tutto  anche  il  suo  circondario  ,  ed  in  fatti  non  altri- 
menti potrebbe  spiegarsi  la  legge ,  (  che  proibiva  iì 
sepolcri  nel  campo  Marzo  ,  legge  ,  a  cui  si  derogò 
per  Augusto  ,  e  per  pochi  altri .  Le  passeggiate  noi* 
potevano  estendersi ,  che  verso  la  via  Flaminia  ,  per- 
chè ,  oltre  all'  esser  essa  a  tergo  dell'  edilìzio ,  dalla 
parte  anteriore  apri  v'  era  luogo,  giacché  il  Tevere 
quasi    lo  bagnava .    Ora    è  appunto   nella    parte    del 


)(  ?5  )( 
Campo  Marzo  ,  che  guida  alla  vìa  Flaminia  non 
moltissimo  distante  dal  Mausoleo  ,  che  è  stato  tro- 
vato il  sepolcro  di  Liviila  ,  Non  è  possibile  pai  il 
persuadersi  che  questa  incomparabile  Olla  cineraria 
degna  d'  una  pronipote  d'  Augusto  fosse  collocata  an- 
ticamente a  cielo  scoperto,  ed  esposta  al  perìcolo  di 
essere  violata,  o  danneggiata.  Sarà  dunque  stata, 
conforme  al  solito,  custodita  in  una  camera  sepolcra- 
le ,  ed  in  fatti  v'  erano  ali'  intorno  rottami  di  muri , 
benché  informi,  che  a  gran  fortuna  dopo  tanti  se- 
coli non  T  hanno  guastata  .  Il  Cippo  coli'  iscrizione  , 
come  lo  indica  la  sua  rozzezza  ,  sarà  stato  esposto 
fuori  della  camera  sepolcrale,  ed  in  fatti ,  come  v'ho 
detto  ,  è  stato  trovato  alcuni  piedi  distante  .  Chi  sa 
quante  altre  belle  cose  non  si  caverebbero  nei  fon- 
damenti delle  circonvicine  case?  Se  mi  chiedete  co- 
sa v'era  dentro  nell' Olla  ,  vi  dirò,  per  quanto  io  so, 
che  non  v'  era  più  che  terra  bagnata  .  Nessun  vesti- 
gio ne  di  ceneri  ,  né  d'  ossa  ,  e  mollo  meno  poi  di 
que'  piccoli  ornamenti  feminili ,  che  soglionsi  trovare 
ne'  sepolcri  delle  donne  ,  quando  sono  tuttavia  invio» 
lati ,  come  anelli  ,  spilli ,  pettini  ,  pendenti  ,  meda- 
glie ,  caraffe  da  profumi  ec.  Chiaro  è  ,  che  il  sepol- 
cro di  Liviila  fu,  come  tant'  altri,  anticamente  spo- 
gliato ,  lo  che  sari  stato  dopo  la  caduta  del  paga- 
nesimo ,  quando  non  era  più  delitto  di  religione  l'a- 
prirli,  o  dopo  che  fu  abbandonata  Pioma  alle  note 
vicende  <fe\ Barbari  .  Io  sempre  ho  creduto,    che  la 


)(  ^  K 
maggior  parte  delle  antiche  gemme  intagliate ,  le 
quali  troviamo  slegate  per  le  campagne,  e  più  spes- 
so ne'  sepolcreti ,  siano  state  cavate  dall'  Urne  cine- 
rarie aperte  o  rotte ,  e  che  i  barbari  ignoranti  le 
buttassero  via  come  inutili  dopo  averle  svelte  dal- 
l' oro  ,  che  lo  legava .  Eccovi  quanto  frettolosamen- 
te ho  potuto  raccorre  in  quest'  oggi ,  per  non  ritar- 
darvi la  nuova  .  L'  Urna  di  Livilla  è  già  destinata 
all'  ottimo  de'  Sovrani  PIO  VI.  protettore  e  cono- 
scitore della  bella  antichità ,  Temporum  nostrorum  fé- 
licitas  .  Vi  sfido  a  mandarmi  nuove  simili  da  Cor- 
tona malgrado  i  vostri  Dardano ,  e  Porsena .  Non 
crediate  però  ,  che  io  per  ciò  la  stimi  meno  .  Essa 
è  vostra  patria ,  e  tanto  basti ,  perchè  mi  sia  cara  al 
pari  d'  ogni  altra  più  bella  Città  .  Vale  . 
Roma  li  14  Giugno  1777. 


Lettera  li  yll  medesimo  ,    in    cui   si  dà 
conto    del    sepolcro    di  Tiberio    Cesare 
figliuolo  di  Druso  ,  figlio  unico  d'r  Ti- 
berio   Imperatore ,    disotterrato  fra    le 
rovine  dell'antico  Mausoleo  d'augusto  . 


_LN  on  ve  lo  diss'  io ,    caro  sig.  marchese  ,  c^e  cer- 
cando vicino  al  sepolcro    di  Livilla    si    sarebbe    fatta 
qualche  altra  scoperta  ?    Lunedi   passato  f   giorno    tra 
noi ,  come  sapete  ,  per  molte  ragioni  lieùssimo  ,  uscì 
dopo  tanti  secoli  dallo  squallore  del  suo  ignorato  se- 
polcro a  partecipare  di  sì  bella  luce,  ed  a  far  com- 
pagnia a  Livilla,  uscì,  dico,  un   altro  Principe  della 
famiglia   d*  Angusto  .    Si  è  disotterrato    nuovo  Cippo 
egualissimo  a  quelle  di  Livilla ,  su  cui  leggesi  la  se- 
guente bella ,  e  non  equivoca  Iscrizione  : 
TI      CAESAR 
D  RU  Si     CESARIS     I 
HlC     S1TUS     EST 
Conoscerete    ora  sempre  più  ,    che  non  mi  sono  in- 
gannalo credendo,  che  sotto  nome  di  Mausoleo  d'Au- 
gusto debba  intendersi  non  solo  il  grande  ,  e  roton- 
do edilizio  in  parte  esistente ,  ma  anche  quel  terre- 
no ,  che  piantato  a  cipressi ,  e  diviso  in  beili  ed  ora- 


X  7$  X 
Lrosi  viali  unitamente  a  lui  era  stato  consacrato  al- 
le ceneri  de'  congiunti  e  de'  famigliari  del  fonda- 
tore.  Quando  dunque  leggiamo  negli  antichi,  che  le 
Ceneri  di  quaicheduno  sono  state  portate  nel  Mau- 
soleo d'  Augusto,  non  crediate,  che  sia  sèmpre  nel- 
le camere  sepolcrali  di  quell'  edilizio  .  Glie  i  sepol- 
cri a\ressero  all'  intorno  un  terreno  sacro  ,  il  quale 
da  loro  dipendesse  ,  lo  impariamo  da  mille  Lapide 
sepolcrali,  che  ne  indicano  l'estensione.  Tanti  pie- 
di per  esempio  in  Fronte,  tanti  in  Agro  vi  si  leg- 
ge comunemente  .  Che  se  questo  era  ne'  sepolcri 
de'  più  insignificanti  particolari,  qual  maggiore  esten» 
sìone  non  amck  avuto  il  terreno  dipendente  dal  se» 
polcro  d'  Augusto  Imperadore  ?  In  fatti  dalle  pre- 
senti scoperte  si  vede,  che  una  delle  dimensioni  di 
questo  Mausoleo  cominciava  vicino  alla  sponda  del 
Tevere  ,  ed  arrivava  fino  alia  via  Flaminia  ,  lo  che 
in  linguaggio  moderno  si  direbbe  da  S.  Rocco  fino 
al  corso .  In  fatti  questo  tratto  di  luo^o  ne'  bassi 
secoli  chbmavasi  Augusto  .  Il  Marliani  dice ,  che 
tal  nome  durava  ancora  a'  suoi  giorni  a  S.  Rocco  . 
Neil'  antiche  scritture  si  trova  ,  che  S.  Giacomo  de- 
gl'  incurabili  si  chiamava  anch'  esso  in  Augusta  . 
Certi  nomi  antichi  qui  in  Roma  durano  tuttavia  tra 
il  popolo  .  Le  Terme  d'  Antonino  non  sono  chia- 
mate da'  vignajoli ,  che  1'  Antoniana  ec. 

Fu ,  come  sappiamo ,  in  un  antico  scavo  di  que- 
sto terreno  $  Augusto  che  varj    «ccoli  fa  «i  trovò  il 


)(    79    X     ' 
Cippo  Cinerario  cT  Agrippa  moglie  di  Germanico  ,  «r 
madre    di  Livida,  Cippo,    che -ora   si  vede  nei  cor- 
tile de'  conservatori    in   Campidoglio  ?    e  che  nel  ste- 
solo XIV.  servì  di  misura  pel  grano  . 

Appena  finita  la  fabbrica  del  Mausoleo  furono 
sepolti  nelle  camere  Agrippa  ,  Marcello  ,  Ottavia  ,  e 
Druso  ,  come  sappiamo  da  Pedone  .  Dopo  si  sarà 
cominciato  a  seppellire  anche  pei  viali ,  e  nel  cani-* 
pò  sacro  ,  che  lo  circondava .  Ecco  la  ragione  ,  per 
cui  era  profanazione ,  anzi  empietà ,  il  lavorare ,  e  se- 
mentare que'  funebri  ,  e  sacri  terreni  .  Che  passas- 
sero sotto  nome  di  sepolcro  anch'  essi  ,  come  sotto 
nome  di  Mausoleo  passava  lutto  il  vasto  campo ,  che 
lo  circondava ,  ve  lo  insegnerà  la  celia  d%  Augusto 
conservataci  da  Macrobio  .  Avendo  egli  saputo  ,  che 
Vezio  contro  il  dovere  della  religione  faceva  lavora- 
re il  terreno  appartenente  ai  sepolcro  del  proprio 
padre ,  questo  è  veramente  ,  diss'  egli ,  monumentimi 
patris  colere  .  Ma  venghiamo  alia  nostra  nuova 
«coperta  . 

Il  trovare  qui  sepolto  un  figliuolo  di  Druso,  e 
di  Livilla  sorella  di  Germanico  darà  forse  ansa  a  ta- 
luno di  credere ,  che  la  iscrizione  di  Livilla  ,  di  cui 
vi  scrissi  li  i4  del  corrente,  appartenga  piuttosto  al- 
la madre  di  questo  Tiberio  Cesare  ,  che  alla  figli- 
uola di  Germanico  Cesare ,  a  cui  io  con  tutti  i  let- 
terati di  Roma  francamente  1'  ho  attribuita.  Per  en- 
trare in  questo  nuovo,  sentimento   bisognerebbe    pri- 


)(  So  )( 
mieramente  potere  persuadersi,  che  il  terreno  del 
Mausoleo  d'  Augusto  fosse  distribuito  per  famiglie , 
e  non  alla  rifusa,  e  voi  non  tarderete  a  vedere,  che 
questa  supposizione  è  insussistente  .  Secondariamente 
se  alla  prima  Livilla  madre  di  Tiberio  Cesare,  e 
non  alla  figliuola  di  Germanico  dovesse  attribuirsi  la 
scoperta  lapida  ,  bisognerebbe  necessariamente  sup- 
plire 1'  iscrizione  in  modo  che  le  leggi  della  lapida  - 
daria  ne  sarebbero  lese  .  Chi  non  vede  ,  che  biso- 
gnerebbe leggere 

LIVILLA   GERMANICI   CAESARIS 
S  O  R  O  R  ? 

Ma  chi  ha  mai  sentito ,  che  le  persone  insigni , 
solite  a  distinguersi  col  nome  dei  padre  ,  o,  trattan- 
dosi di  donne  ,  con  quello  del  marito,  lasciassero  i 
più  onorifici,  e  bei  titoli,  per  far  uso  solamente  del 
distintivo  d'  un  fratello  ,  e  di  più  fratello  non  re>- 
gnante  ?  La  Livilla  ,  a  cui  taluno  vorrebbe  assegnare 
la  scoperta  iscrizione  ,  era  moglie  di  Druso  Cesare , 
e  figliuolo  di  Druso  Germanico  ,  che  fu  adottato  da 
Tiberio  ,  e  in  conseguenza  ,  oltre  a  questi  due  bei  ti- 
toli ,  ella  potea  denominarsi  anche  nipote  di  questo 
Imperadore  .  Quai  distintivi  più  onorifici  di  questi  ? 
Uno  almeno  di  loro  avrebbero  messo  nella  iscrizio- 
ne ,  e  non  quello  solamente  del  fratello  Germanico , 
benché  Principe  per  tante  altre  ragioni  rispettabi- 
lissimo .  Resti  dunque  malgrado  la  nuova  lapida  sco- 
perta ,    resti  a  Livilla   figliuola    di  Germanico    la  sua 

iscri- 


)(     Si     )( 
iscrizione  ,  e  leggasi    LITILLA  GERMANICI  CAESARIS 
filia  .  Ma  qui  non  finiscono  le  nostre  scoperte  . 

Poco  distante  dai  Cippi  di  Livilla  ,  e  di  Tiberio 
Cesare  se  ne  è  trovato  un  altro  somigliantissimo  per 
la  forma,  e  per  la  pietra,  ma  tutto  rovinato  .  Non 
io  è  però  in  modo ,  che  in  chiare ,  e  grandi  lettere 
non  vi  si  legga  la  parola 


VESPASIANI 

Eccovi  nel  Mausoleo  d'  Augusto  un  Cippo  di  per- 
sona ,  che  nulla  può  avere  che  fare  con  Livilla  qua- 
lunque ella  siasi ,  né  colla  famiglia  di  Tiberio  Cesa- 
re, lo  che  basterà  per  provarvi  ,  come  v'  ho  pro- 
messo ,  che  qui  i  morti  si  seppellivano  non  divisi 
per  famiglie  ,  ma  alla  rinfusa  ,  giacché  tutti  si  con- 
sideravano della  medesima  casa  .  Non  basta  dunque 
lo  scoprire  il  sepolcro  di  Tiberio  Cesare  per  inferir- 
ne ,  che  quello  di  una  Livilla  a  lui  vicino  sia  il  se- 
polcro di  Livilla  sua  madre  . 

Ma  a  qual  defunto  poteva  mai  appartenere  que- 
sta tronca,  e,  pel  luogo  ov'è  stata  trovata  ,  stranie- 
ra iscrizione  ?  É  noto  che  la  casa  Flavia  ebbe  il  suo 
Mausoleo  a  parte  ,  e  vicino  ad  un  Tempio  ,  che  da 
lei  prendeva  il  nome .  In  prova  di  ciò  saprete  ,  che 
quando  stava  morendo  Vespasiano  vennero  ad  an- 
nunziargli come  un  prodigio ,  che  erasi  da  se  spalan- 
cato il  Mausoleo  d'  Augusto .  Poco  rrì  importa ,  diss* 
IV.  6 


X  8a  )( 
egli  ;  ciò  non  pub  riguardare  ,  che  Giunta  Cairi-* 
na  .  Questa  era  una  degli  ultimi  attinenti  d'  Augu- 
sto ,  e  Vespasiano  con  ciò  ci  fa  capire ,  che  egli  nul- 
la avea  che  fare  nel  Mausoleo  d'  Augusto .  Fille  nu- 
trice di  Giulia  figliuola  di  Tito,  e  midrice  di  Domi- 
ziano ,  dopo  che  costui  fu  ucciso  ne  raccolse  di  na- 
scosto il  cadavere,  ed  abbruciollo  in  una  sua  villa 
suburbana  nella  via  Latina  ,  Ciò  fatto  ne  portò  clan- 
destinamente le  Generi  nel  Tempio  della  famiglia 
Flavia,  e  pietosamente  xnischiolle  con  quelle  di  Giu- 
lia ,  che  Domiziano ,  finché  ella  visse ,  avea  amata  an- 
che più  teneramente  di  quello  che  convenisse  ad  uno 
zio  .  Ma  questo  poco  e'  importa  ,  e  non  sia  detto  , 
che  per  mostrarvi  come  la  famiglia  Flavia  avea  il 
suo  Mausoleo  a  parte  .  Una  congettura  però  voglio 
qui  additarvi,  ma  senza  verun  impegno,  su  questo 
rotto  Cippo  col  nome  di  Vespasiano  trovato  nel 
Mausoleo  d'  Augusto .  Voi  la  valuterete  quanto  vi 
parerà  opportuno  ,  e  nulla  più . 

Riflettete  dunque ,  che  il  Mausoleo  della  casa 
Flavia  non  potè  essere  anteriore  certamente  alla  esal- 
tazione di  Vespasiano  all'  Impero  ,  perchè  egli  era 
uscito  da  casa  mediocre  dell'  agro  Pieatino  .  Suppo- 
sto ancora  ,  che  Vespasiano  ne  fosse  il  fondatore  , 
dovette  passare  qualche  spazio  di  tempo  fra  la  sua 
esaltazione,  e  la  fabbrica  del  Mausoleo1.  Ma  Ve- 
spasiano prima  appunto  deli'  Impero  perdette  Flavia 
Domicilia  sua  moglie  .    Chi  sa  se  giunto   all'  Impero 


)(  83  X 
non  ne  fece  portare  le  ceneri  nel  Mausoleo  d'  Augu- 
sto per  depositarle  in  luogo  conveniente  alia  nuova 
sua  dignità,  e  che  questo  frammento  di  Cippo  non 
le  abbia  appartenuto  ?  In  quei  caso  faci!  cosa  sarebbe 
il  supplire  questa  tronca  Iscrizione  nel  modo  seguente  ; 
OSSA 
?IAVIAE  DOMITILLAE 
VESPASIANI 
Ma  tanto  basti  su  questo  Cippo  .  Forza  è ,  che  gì; 
attinenti  laterali  d'  Augusto  crescessero  a  dismisura  , 
perchè  troviamo  in  Dione  ,  che  ai  tempi  d'Adriano  , 
malgrado  la  tanta  estensione  del  Mausoleo,  esso  era 
ripieno  in  modo ,  che  non  vi  restava  più  luogo .  Que- 
sto determinò  quelF  lmperadore  ad  erigerne  un  altro 
incomparabilmente  più  magnifico  negli  Orli  di  Do- 
mizia  di  là  dal  Tevere ,  ed  a  vista  di  questo  d'  Au- 
gusto .  Considerate  meco  per  un  istante  quanto  F  an- 
tica magnificenza  cercasse  di  rallegrare  fino  i  sog- 
giorni de'  morti  rendendoli  deliziosi  a  forza  di  co- 
lonne ,  di  obelischi ,  di  bassi  rilievi ,  viali  ombrosi ,  ed 
ameni  passeggi .  Io  ho  veduto  alcune  camere  sepol- 
crali nel  regno  di  Napoli ,  le  quali  negli  ornamenti, 
che  internamente  tuttavia  conservano  ,  inspirano  tutt* 
altro ,  che  malinconiche  meditazioni  suli'  umana  ca- 
ducità, e  sulia  morte  .  Ma  tanto  basti  al  proposito 
del  Mausoleo  d' Augusto  . 

Eruditissimo  sig.    marchese  ,    tenete  conto  del^ 
l' iscrizione  di  Livilla  ,  di  cui  vi  mandai  copia ,  pe^ 


)(  84  X 
che  T  originale  in  questi  pochi  giorni  è  quasi  che  to- 
talmente perito .  Quel  Cippo  si  scrosta  in  modo  , 
che  basta  il  toccarlo  per  romperne  la  troppo  fragile 
sua  superficie  .  Fortuna ,  che  tutta  Roma  1'  ha  ve- 
duta ,  letta  ,  e  copiata  !  Nella  passata  mia  mi  fuggi 
dalla  mente  una  notizia  di  più  ;  cioè  che  conosciamo 
anche  il  nome  del  Pedagogo  di  Livilla  ,  che  fu  un 
certo  Hymno ,  di  cui  troverete  la  lapida  nel  Colom- 
ba} o  di  Livia  dei  Gori  : 

H  Y  M  N  V  S 
PAEDAGOGVS 
LIVILLAE      GERMANICI 
E  I  L  I  A  E 
Da  ciò  vedete  ,    che  questa  Principessa    avea  studia- 
to ,  cosa ,  come  dice  Macrobio ,  assai    comune    nella 
casa  d'  Augusto  ,  dove  tutto  respirava  coltura  .  For- 
se che  da  questo  suo  amore   per  la  letteratura    nac- 
que V  unione  troppo  intima  che  Livilla  contrasse  dap- 
poi col  filosofo  Seneca  ,  com*  era  nata  quella  d'Ovi- 
dio colle  due  Giulie  famose  . 

Due  parole  ancora  sopra  questo  Tiberio  Cesa- 
re ,  di  cui  pochi ,  e  sparsi  indizj  si  trovano  nella 
storia  romana .  Egli ,  come  vi  ho  detto ,  era  figliuolo 
di  Druso  figlio  unico  di  Tiberio  Imperadore  ,  e  di 
Livilla  di  Druso  Germanico  bellissima  Principessa  . 
Nacque  Gemello,  ma  ben  presto  per  morte  del  fra- 
tello restò  solo.  Sotto  nome  di  Tiberio  Gemello  ne 
fa  menzione  Gioseffo  Ebreo  .    Per  la  perfidia  di  sua 


)(  85  )( 
madre,  e  dì  Sejario  restò  senza  padre  nella  infanzia. 
Andava  intanto  crescendo  all'  Impero  come  pivi  pros- 
simo erede  dell'  avolo  Tiberio  ,  benché  Io  spirito  di 
questo  irresoluto  Principe  dividesse  con  Caligola  1'  af- 
fezione del  sangue.  Era  vicino  a  morire  in  Capri  il 
suddetto  Imperadore  ,  né  sapea  determinarsi  a  quale  dì 
questi  due  nipoti  lasciasse  il  principato .  Commise  hx 
scelta  alla  sorte ,  determinando  in  cuor  suo  di  lasciar 
lo  a  quello  dei  due,  che  venisse  il  primo  a  trovarlo 
la  seguente  mattina  .  Tiberio  Cesare  fece  colazione 
un  po'  troppo  tardi,  e  per  pochi  momenti  giunse  in 
camera  dell'  infermo  dopo  Caligola  .  Oh  da  quai  pic- 
cole circostanze  dipendono  alle  volte  i  più  grandi 
avvenimenti  ,  e  talvolta  fino  gì'  Imperi  !  Morì  Tibe- 
rio, e  Caligola,  che  gli  successe,  e  non  lardò  a  far 
morire  il  suo  giovanetto  rivale  ,  e  cugino .  In  Filone 
Giudeo  troverete  circostanziata  la  tragica  storia  della 
sua  morte  troppo  lunga  per  una  lettera  .  Fu  sepol- 
to nel  Mausoleo  d'  Augusto ,  ed  ora  eccovene  ricom- 
parse alla  luce  le  ceneri .  Se  il  bellissimo  vaso  ri- 
trovato sia  dì  lui ,  o  di  LIvilla,  sua  cugina  ora  divie- 
ne incerto,  ma  ciò  poco  importa  .  Al  più  si  potreb- 
be dire ,  che  trovando  due  iscrizioni  ,  ed  un  vaso 
solo,  sembra,  che  cercando  dovrebbe  trovarsene  an- 
che un  altro .  Non  si  troveranno  però  mai  quelli  del- 
le due  Giulie  d'  Augusto  ,  perchè  sapete ,  che  egli 
lasciò  nel  testamento  ,  che  non  potessero  seppellirsi 
nel    Mausoleo    dì   casa  ,  lo   che  equivalse    all'  averle 


)(    86    K 

snaturate  .  Pare  ,  che  Augusto  nella  sua  famiglia  vo- 
lesse per  se  la  privativa  di  certi  delitti ,  giacché  in- 
dulgente per  sestesso  non  li  perdonò  mai  ne  alla  fi- 
glia, né  alla  nipote.  Ma  finiscasi  questa  troppo  lun- 
ga lettera .  A  forza  di  sepolcri ,  di  ceneri ,  e  d'  os- 
sa ,  mi  pare  d' avervi  fatta  ima  nuova  Notte  di 
Yung  .  Vogliatemi  bene  ,  che  io  ne  voglio  a  voi 
moltissimo  .  Vale  < 

P*oma  li  28  Giugno  1777. 


Lettera  III  Allo  stesso  ?  in  cui  si  parla 
di  tre  cippi  di  travertino  ,  innalzati 
alla  memoria  de'  tre  figliuoli  di  Ger^ 
manico  Cesare ,  e  di  Agrippina  trovati 
nel  medesimo  luogo  «  # 


I 


O  mi  credea ,  gentilissimo  Signor  Marchese ,  dì 
non  aver  più  a  parlarvi  di  morti ,  né  di  sepolcri  , 
ed  oggi  tutto  lieto  volea  dire  a  voi  pure  que'  bei 
versi,  che  appunto  sul  Mausoleo  d'Augusto  disse  Pe- 
done Albinovano  a  Livia 

Clauàite  jam  Parcae  nirnium  reserata  sepulcra  : 
Clauàite  plus  justo  jam  domus  ista  patet  « 
Nuove  scoperte  però  mi  fanno  ripigliare  lo  stile  se= 
polcrale ,  ma  non  vi  parlerò  più  di  Filosofi  adulteri , 
né  di  Sorelle  incestuose  ,  ma  é'  innocenti ,  ed  ama- 
bili Bambini  .  Sappiate  dunque ,  che  sabbato  scors» 
si  scoperse  un  altro  picciol  tratto  del  Mausoleo  d'Au- 
gusto, e  si  trovarono  tre  Cippi  dì  travertino  elegan- 
tissimamente scritti ,  e  più  interessanti  ancora  dei  già 
indicativi  di  Livilla  ,  e  di  Tiberio  Cesare .  Accenna- 
no essi  tre  figliuoli  di  Germanico  Cesare ,  e  d' Agrip- 
pina morti  in  tenera  età  ,  e  così  dalla  provvidenza 
sottratti  alle-  infinite  disgrazie  ,  che  ostinatamente  per- 


)(    88    )( 
seguitarono    la  discendenza    di    quel!'  incomparabile  ? 
ma  sventurato  Principe  loro  Padre .  Eccone  la  copia 
da  me  scritta  sulle  pietre  medesime  : 
i. 
C.   CAESAR 
GERMANICI  CAESARIS  F. 
HlC  CREMATVS  EST 
*         2. 
TI.   CAESAR 
GERMANICI  CAESARIS  F 
HlC   CREMATVS  EST 
3. 

AR 

.  .  .  RMANICI  CAESARIS  F 
HlC  CREMATVS  EST 
Richiamatevi  alla  mente ,  che  Germanico  ebbe 
tra  maschi  e  femmine  nove  figliuoli  dalla  più  savia 
moglie  ,  di  cui  parli  la  storia  di  que'  giorni.  Delle 
tre  femmine  v'  ho  già  abbastanza  discorso  nelle  mie 
precedenti .  De'  sei  maschi  tre  morirono  nella  loro 
tenera  età  ,  ed  è  di  loro ,  che  se  ne  sono  scoperte 
ora  le  memorie  .  Di  uno  solo  sapevamo  il  nome 
conservatoci  da  Svetonio ,  ed  era  Cajo  Cesare .  Fu 
fanciullino  tanto  amabile  ,  e  ,  come  dice  lo  Storico 
suddetto,  insignì s  Jestìrìtatìs  ,  che  Livia  dopo  averlo 
perduto  ne  dedicò  1'  immagine  nel  Tempio  di  Ve- 
nere Capitolina  in  forma  d' un  Amorino  ,  ed  Augu- 
sto  ne  ripose  un'  altra   nella   sua   camera   da  letto, 


)(  %  )( 

©ve  non  entrava  mai  senza  darle  un  bacio .  Da  sab- 
bato  in  qua  sappiamo,  che  un  altro  chiamossi  Ti" 
berio  Cesare,  e  sapremmo  ancora  il  nome  del  ter- 
zo ,  se  per  disgrazia  non  fosse  scheggialo  il  Cippo 
appunto  nella  linea  ov'  era  inciso .  Tenete  però  quasi 
per  fermo ,  che  vi  sarà  stato  scritto  NERO  CAE- 
SAR.  Vedendo  io  replicato  in  Caligola  il  nome  dei 
defunto  Cajo  ,  e  trovando  fra  gli  altri  tre  fratelli 
posteriori  un  Nerone ,  nome  troppo  caro  nella  fa- 
miglia di  Germanico ,  ho  tutto  il  luogo  di  credere , 
che  tal  nome  non  si  dasse  al  secondo,  se  non  per- 
chè quegli ,  che  prima  portavalo ,  era  morto .  Quel- 
lo ,  che  v'  è  di  strano  in  queste  iscrizioni ,  è  la  frase 
inudita,  ed  in  tutte  tre  costante  di  Hic  crematus 
est ,  e  non  di  Hic  situs  ,  come  nell'  altre  a  loro 
vicine .  Non  trovandosi  essa ,  che  n^el  campo  del 
Mausoleo  d'Augusto,  pare  avere  la  sua  origine  da 
questa  situazione  .  Eccovene  il  mio  sentimento  ,  e 
voi  ne  giudicherete  a  vostro  piacere ,  giacche  sape- 
te ,   che  io   non  sono  tenace  delle  mie  opinioni . 

Pare  più  chiaro  della  luce ,  che  il  dire  hic  cre- 
matus est ,  e  non  hìc  situs  est  significhi ,  che  quel 
cadavere  ivi  era  stato  abbruciato ,  ma  non  ivi  sepol- 
to .  Augusto  per  la  tenerezza  particolare ,  che  ebbe 
verso  i  figliuoli  di  Germanico  ,  e  suoi  pronipoti , 
avrà  voluto ,  che  si  distinguesse  il  luogo ,  ove  prima 
erano  stati  inceneriti ,  per  poi  collocare  nelle  came- 
re sepolcrali  del  Mausoleo  le  loro  ceneri ,  ed  unirle 


X  9£>  )( 
a  quelle  dì  Marcello ,  d'  Agrippa ,  d3  Ottavia  ,  e  Ci 
Druso  loro  stretti  congiunti .  Considerate  meco  ,  che 
questa  diversità  di  luoghi  non  potea  nascere  nei  fu- 
nerali de'  particolari ,  i  quali  non  aveano  sepolcri  con 
recinti  così  vasti.  Ergevasi  per  loro  il  Rogo  nel  ter- 
reno' sacro ,  che  girava  intorno  al  sepolcro  di  fami- 
glia ,  e  i'  iscrizione  indicando  il  luogo  delie  ceneri 
indicava  implicitamente  ancora  quello  del  Rogo .  Ec- 
co ,  a  mio  credere ,  perchè  non  s' è  mai  trovata  que- 
sta formola ,  che  nei  Mausoleo  d'  Augusto  ,  ove  per 
la  vastità  dei  recinto  sarà  accaduto  spesso ,  che  quel- 
li ?  le  cui  ceneri  si  destinavano  alle  camere  sepolcri  • 
li  j  si  abbruciassero  a  varie  distanze  dai  sepolcro .  Se 
continuerassi  a  scavare  in  questa  ricca  miniera  d'eru- 
dizione, io  non  dubito,  che  si  troveranno  altre  iscri- 
zioni ,  le  quali  confermeranno  la  presente  lapidaria 
scoperta  . 

Che  se  poi  mi  domandaste ,  perchè  questi  tre 
bambini  non  furono  inceneriti  in  quel  luogo ,  che 
per  questa  lugubre  funzione  avea  fatto  fabbricare  Au- 
gusto ,  luogo ,  che ,  come  ce  lo  descrive  Strabone ,  il 
quale  io  avea  veduto  ,  era  circondato  da  una  balau- 
strata di  ferro  ,  e  seliciato  di  marmo  ,  io  non  saprei 
che  rispondervi .  Noi  collo  smarrimento  de'  Libri  Ri- 
tuali dei  Pagani ,  abbiamo  perdute  moltissime  noti- 
zie sacre  della  loro  Liturgìa  .  Io  ho  però  sempre 
sospettato ,  che  il  recinto  descritto  da  Strabone  fosse 


)C  91  )( 
riserbato  particolarmente  pel  magnifico  straordinario 
Rogo  dell'  Apoteosi ,  e  quindi  potesse  sembrar  pro- 
fanamento T  abbruciarvi  cadaveri ,  ai  quali  non  com- 
peteva tanta  distinzione.  Questa  non  fecesi  poi ,  che 
a  quegl'  Imperadori  ,  o  Imperadrici ,  che  1*  aveano 
meritata  con  una  vita  gloriosa ,  e  così  essi  soli  sa- 
ranno stati  inceneriti  là  dentro .  Vespasiano  neli'  ul- 
tima sua  malattia  disse  burlando  co'  suoi  domestici  i 
so  sento  già ,  che  al  primo  parossismo  ,  che  mi  so" 
prawerrà ,  sarò  fatto  Dio  .  Che  se  il  mio  sospetto  è 
vero ,  voi  vedete ,  che  si  saranno  abbruciati  i  cada- 
veri dei  congiunti  della  Casa  d*  Augusto  in  quella 
parte  di  terreno  ,  che  sarà  stata  più  opportuna ,  ed 
a  voglia  di  chi  dirigeva  il  funerale ,  e  se  ne  saran- 
no messe  le  ceneri  ora  nelle  camere  del  Mausoleo  , 
ora  nel  luogo  medesimo  del  Rogo .  Ai  primi  si  sarà 
scrìtto  :  Hic  crematus  est;  ai  secondi  :  Hic  situs  est» 
Questi  tre  Bambini  furono  bruciati  precisamente  sulla 
sponda  della  Via  Flaminia  ,  e  tutti  i  passeggeri  a~ 
vranno  potuto  leggerne  i  nomi  nei  Cippi ,  che  ora 
abbiamo  scoperti . 

Che  se  poi  foste  curioso  di  sapere,  perchè  que- 
sti furono  portati  nelle  camere  del  Mausoleo  ,  e  tal 
onore  non  siasi  accordato  a  Tiberio  Cesare  ,  ed  a 
Livilla ,  che  Hic  siti  erant ,  facile  forse  sarà  la  rispo- 
sta .  Primieramente  non  era  necessario ,  che  tutti  fos- 
sero riposti  nelle  camere  ,  massime  se  trattavasì  di 
parenti  più  lontani .  Secondariamente  raTOaentatevx 


)(  92  )( 
che  Tiberio  Nerone  morì  condannato  per  preteso  de» 
lilto  di  stato  da  Caligola  suo  nimico;  e  Livilla  con- 
dannata da  Messalina  sua  rivale.  Qual  maraviglia 
dunque  ,  se  non  furono  riputati  degni  d'  avere  le  lóro 
ceneri  nel  Sacrario ,  per  dir  così ,  del  Mausoleo  ,  e 
fra  quelle  dei  personaggi  più  cari  della  Casa  d'  Au- 
gusto ?  Chi  sa  ancora ,  se  per  ragione  di  parentela 
non  furono  depositate  le  ossa  dell'  uno ,  e  dell'  altra 
in  questo  medesimo  luogo  ,  perchè  appunto  consa- 
crato prima  dal  Rogo  dei  figliuoli  di  Germanico  fra- 
telli di  Livilla,  e  cugini  di  Tiberio  Cesare?  Oh  ama- 
bile Marchese ,  quante  belle  cose  è  probabile ,  che 
si  nascondano  sotto  le  case ,  che  ora  cuoprono  quel 
vasto  terreno  ?  Chi  sa ,  se  scavando  non  si  trovassero 
quelle  gran  tavole  o  sia  colonne  di  bronzo  ,  che  con- 
tenevano tutta  la  storia  d'  Augusto ,  giacche  sap- 
piamo ,  che  egli  nel  suo  testamento  ordinò ,  che 
qui  fossero  affisse  ?  Parlo  del  famoso  monumen- 
to ,  di  cui  la  copia  infranta  ,  e  mancante  ora  leggesi 
in  Ancira  in  Levante ,  e  perciò  detta  il  monumento 
Ancirano  .  Chi  sa  ,  se  come  ci  si  è  trovata  l' iscri- 
zione d'  Agrippina  non  si  trovasse  ancora  quell'  Ur- 
na ,  che  colle  ceneri  di  Germanico  si  portò  essa  me* 
desima  in  grembo  da  Antiochia  a  Brindisi ,  e  che 
lavò  per  tutta  la  navigazione  colle  più  sincere  lagri- 
me ,  che  sieno  mai  state  versate  ?  Quant'  altre  belle 
cose ,  che  noi  non  possiamo  forse  neppur  prevedere  ? 


)(    93    )C 

Caro  signor  Marchese,  se  queste  reliquie  del- 
l' Impero  d'  Augusto  non  rivedono  la  luce  sotto  il 
Pontificato  di  PIO  SESTO ,  che  per  dottrina ,  e  ge- 
nerosità a  lui  non  cede  ,  par  molto  probabile ,  che 
non  avranno  il  piacere  di  vederle  che  i  figli  de'  no- 
stri pronipoti.  Vale. 

Roma  li  5  Luglio   1777^ 


Lettera  al  sig>  alate  Tommaso  Puccini 
patrizio  Pistojese  sopra  di  un  passo  di 
Plinio ,  che  sembra  indicare  assai  chia- 
ramente ,  che  la  stampa  delle  figure 
fosse  conosciuta  dagli  ^Antichi . 


OlFGOLAR  passo,  cercando  tutt' altro  trovai  gli  scorsi 
giorni  in  Plinio  ,  ma  senza  la  vostra  permissione  io 
non  ardisco  interpretarlo  a  modo  mio  .  Voi  vedrete , 
che  non  ho  torto  a  domandarvela ,  quando  v'  accor- 
gerete della  strana  conseguenza  ,  che  indi  se  ne  va 
a  cavare  .  Più  singoiare  ancora  del  passo  è  ,  che  nes- 
suno de'  suoi  Commentatori  ha  mostrato  di  sentirne 
1'  importanza  ,  e  non  eccettuo  neppure  ii  dottissimo 
Harduino  .  La  maggior  parte  de'  Commentatori  ci 
annoja  collo  spiegare  diligentissimamente  i  luoghi  chia- 
rissimi, e  poi  passa  sotto  disinvolto  silenzio  gli  oscu- 
ri .  Vedremo  xin  giorno  cosa  ne  dirà  il  Traduttore , 
e  Commentatore  Francese ,  che  non  credo  essere 
giunto  ancora  a  questo  luogo .  Intanto  eccovi  il  pas- 
so di  Plinio  tutto  ben  isolato ,  in  cui ,  oltre  a  molte 
eloquentissime  cose,  vedrete  ancora  quanto  siano  au- 
tentici i  Busti  d'  Omero  antichi ,  de  quali  vanno  su- 
perbe le  nostre  Collezioni  cominciando  da  quella  dd 


Campidoglio  :  Non  est  praetereundum  et  novitinm 
inventum  .  Si  quidam  non  solum  ex  auro  argentone 
aut  certe  ex  aere  in  Bibliothecis  dicantur  UH  ,  quo» 
rum  immortales  animae  in  locis  ìisdem  loquuntur  ; 
quin  immo  etiam  quae  non  sunt  Jìnguntur ,  pariunt- 
que  desiderio  non  traditi  vaftus  sicut  in  Homer» 
esenti  .  Quo  majus  (  ut  equidem  arbitror  )  nullum 
est  felici  tatis  specimen  ,  quam  semper  omnes  scire 
cupere  ,  quaìis  Juerit  aliquis  .  Asini i  Polìionis  hoc 
Fioniae  inventum ,  qui  primus  Bibliotkecam  dicande 
ir/genia  hominum  rem  publicam  fecit .  An  priores 
coeperint  Aìexandriae  et  Pergami  Reges  ,  qui  Bi~ 
bliothecas  magno  certamine  instituere ,  non  facile 
dixerim  .  Imaginum  amore  flagrasse  quondam  te- 
stes  suni  et  Atticus  Me  Cicero nis  edito  de  his  co- 
llimine, et  Marcus  Varrò  benignissimo  invento,  in- 
sertis  voluminum  suorum  J e cun ditati ,  non  nomini- 
bus  tantum  septingentorum  illustrium*  sed  et  aliquo 
modo  imaginibus  :  non  passus  intercidere  fguras  9 
aut  vetustatem  aevi  cantra  homines  valere,  inven* 
tor  muneris  etiam  diis  invidiosi ,  quando  immorta- 
li tatem  non  solum  dedit,  veruni  etiam  in  omnes 
terras  mi  sii ,  ut  praesentes  esse  uhique }  et  claudi 
possent .  Fini.  lib.  35.  2. 

Da  questo  luogo  deesi  necessariamente  inferire , 
che  M.  Vairone  trovò  un  modo  di  unire  ai  suoi  Vo- 
lumi non  solamente  i  nomi  di  700  Uomini  illustri , 
ma  anche  in  qualche  modo  ìe  loro  immagini,,  affinchè 


)(    96    X  ■ 
non  perisse  la  figura  dei  loro  volti .  S' inferisce   an- 
cora ,  che  con  tale    invenzione  si  resero  facili  queste 
immagini  ad  essere  mandate    per  tutti  i  paesi ,  e  ad 
essere  o  presenti ,  o  chiuse    come  più  piacesse  . 

Ciò  posto,  ditemi  in  cortesìa ,  che  cosa  può  mai  essere 
questa  invenzione  di  Varrone ,  invenzione  degna  dell'in- 
vidia de'suoi  Dei,  giacché  dava  agli  uomini  quell'immor- 
talità ,  che  loro  ha  negata  il  destino  ?  Non  potea  certa- 
mente essere  una  specie  di  ritratti  diligentemente  dise- 
gnati ,  e  coloriti  sulle  membrane  dei  Codici ,  perchè  il 
dipingere  in  piccolo  non  era  cosa  nuova  neppure  a 
que'  tempi ,  e  quand'  anche  fosse  stata  tale ,  non  ci 
volea  il  grand'  ingegno  di  quel  dottissimo  fra  i  Ro- 
mani ,  per  pensare  ad  eseguire  su  d'  una  membra- 
na ,  o  d'  un  papiro  quelle  pitture  ,  che  quotidiana- 
mente si  facevano  su  j  muri ,  e  sulle  tavole  ?  Qui  si 
capisce  ,  che  trattasi  d'  una  nuova  scoperta  ,  e  tale  , 
se  ben  riflettete ,  da  potere  moltiplicare  su  tanti  li- 
bli ,  quanti  si  volevano  ,  la  medesima  figura  ,  altri  - 
menti  non  sarebbe  seguita  queil'  immortalità  vantata 
da  Plinio  .  Ognun  vede,  che  la  durabilità  della  fiso- 
nomìa  d'  urt  volto  ,  se  non  trattasi  d'  un  marmo  ,  o 
d'  un  bronzo  ,  non  può  nascere  ,  che  dal  moltiplicar- 
ne a  dismisura  le  copie,  affinchè  qualcheduna  delle 
molte  sfugga  all'  edacità  degli  anni  ,  com'  anche  dal 
non  fare  copie  di  copie  ,  lo  che  ^  lungo  andare  le 
slontanerebbe  troppo  dall'  originale. 

A  me  non  pare  possibile  lo  spiegare  questo  luo- 

20, 


X  97  X 
go  che  supponendo  Varrone  inventore  <T  una  qual- 
che impronta ,  o  sia  stampa  ,  per  cui  si  moltiplicasse 
a  piacere  sulle  pagine  dei  Codici  la  medesima  figu- 
ra d'  un  volto  con  metodo  non  molto  differente  da 
quello ,  che  oggidì  costumasi  ne'  nostri  libri  colle 
stampe  in  legno.  Non  vi  maravigliate  di  questa  no- 
vità .  Troppo  facile  per  l' ingegno  umano  dovea  es  - 
sere  il  passaggio  dal  cuniare  una  medaglia,  o  dal- 
l' improntare  sulla  cera  una  testa  con  una  gemma  in- 
cavata ,  ai  farne  altrettanto  sopra  una  membrana  per 
mezzo  di  una  specie  di  sigillo  inciso  a  rilievo  in  me- 
tallo o  in  legno  ,  e  tinto  di  qualche  colore .  Forse 
fu  Varrone  il  primo  a  trasportare  queste  impronte 
sui  libri  ,  nei  leggere  i  quali  capì  essere  ben  natura- 
le che  nascerebbe  il  desiderio  di  sapere  com'  era  fat- 
to quel  tale ,  di  cui  si  parla  ,  o  quegli  che  aveva  com* 
posta  quell'  opera  .  Gli  è  vero  ,  che  talvolta  si  fac- 
ceano  simili  adornamenti  con  miniature,  ma  ciò  pra- 
ticavasi  solamente  ne'  pochi  esemplari  destinati  a  que' 
personaggi ,  che  voleano  le  cose  magnifiche ,  ma  non 
potea  farsi  fri  quelli ,  che  erano  pei  compratori  men 
ricchi  .  li  pubblicare  anticamente  un  libro  consisteva 
nel  dare  1*  originale  ad  un  librajo  che  facealo  scri- 
vere sotto  la  dettatura  a  molti  copisti  contempora- 
neamente ,•  e  ne  spacciava  dappoi  a  proprio  conto 
nel  pubblico  gli  esemplari ,  come  oggidì  fassi  de'  li- 
bri stampati .  Ma  torniamo  alle  nostre  figure  .  Oltre 
all'  esempio  delle  teste  nelle  medaglie ,  e  nei  sigilli 
IV.  7 


)(    98    X 
gli  antichi  afceano  anche  de'  sigilli  di  metallo  con  no- 
mi scritti  al  rovescio  per  servire    ali*  impressione  ,  e 
varj  se  ne  trovano  nelle  collezioni  .de'  curiosi  .  Ma  che 
diremo  de'  mattoni  cotti ,  i  quali ,  oltre  a  qualche  fi- 
gura ,  portano  i'  impronta  col  nome  del  padrone  della 
fornace  ,  o  dell'  operajo  ,  e  talvolta  ancora  col  nome 
de'  Consoli  ?  Voi  qui  veq^te  ,  che  per  imprimere  nella 
creta  fresca  un  qualche  simholo  non  potea  usarsi  che 
un  gran  sigillo  non  dissimile  da    quello  che  avrà  in- 
ventato   \  arrone  per  istampare  con  qualche  tinta  una 
testa,  od  un  profilo  sulle  pagine  d'  un    libro,  giac- 
che il  meccanismo  è  lo  stesso .  Eccovi  adunque ,  caro 
Sig.  Abate  ,  (  seppure  in  questa    congettura  io    non 
m'  inganno  )  eccovi  più  antica ,  che    non    credevate 
la  stampa  delle  figure,  epoca,  che  non  poco  ha  tor. 
mentalo    gì''  indagatori  di    queste    curiosità  .    Ma  v*  è 
ben  di  più,  cioè,  dhe  io  non  credo  ,  che    quest'  arte 
da  que'  tempi  in  qua  siasi  mai    interamente  smarrita, 
Noi  sappiamo  a  un  dipresso  1'  anno  ,  in  cui  si  comin- 
ciarono a  stampare  in  Germania  i  libri ,  ma  non  sap- 
piamo quanto  tempo  prima  si  stampassero  colle  for- 
me di  legno  le  figure  dei  santi  ,  o  quelle  degli  Eroi 
dei  Romanzi  d'  allora  ,  ed  è  certissimo  che  si  stam- 
pavano.  Ve  ne  siano    esempio  tra  i  molti,  che  po- 
trei qui  citarvi  ,  le  carte  da  gioco  ,  delle  quali  igne-*- 
riamo  l'  origine,  ma  che  io  ho  sempre  credute  anti- 
chissime ,  se  considerasene    il  disegno ,  la    vestitura  , 
ed  il  significato  delle  figure.  In  Francia  il  Re  di  Pic- 
che ha  scritto  sotto  il  nome  di  Carlo  Magno  .  Io  non 


X  99  ,  X 
vi  dico ,  che  le  carte  siano  coetanee  a  quel  Re  Im- 
peratore 9  ma  essendo  esse  antiche ,  e  necessariamen- 
te fette  con  mia  stampa  di  legno  e  non  dipinte  ad 
una  alla  volta  ;  ne  inferisco,  che  l'arte  di  stampare 
con  forme  di  legno  è  antichissima  ,  e  forse  in  vigo- 
re da  Varrone  lino  a  que'  giorni.  Vi  dirò  ben  di  più  , 
che  quest'  arte  di  stampare  presso  gli  antichi  si  dila- 
tò ancora  gppra  le  tele  che  servivano  per  addobbi  5  e 
per  tende  .  Oltre  alle  toghe  dipinte  de'  trionfatori  ■> 
che  forse  erano  stampate  ,  Trebeiiio  Pollione  ci  dice 
che  Erode  figliuolo  di  Odenato  Re  di  Paimira ,  e  fi- 
gliastro della  famosa  Zenobia  avea  le  tende  stampa- 
te :  Tentorìa  sigillata .  I  Persiani  inventarono  gli 
arazzi ,  che  Cicerone  chiama  picture  textiles ,  e  che 
saranno  stati  carissimi  ;  quindi  si  saranno  dappoi  fatti 
arazzi  a  miglior  mercato ,  stampando  e  non  tessendo 
sui  tappeti  le  figure  .  Così  hanno  fatto  anche  i  mo- 
derni colie  tele  stampate  succedute  per  economia  ai 
ricami  ,  o  al  tessuto  .  Non  bisogna  immaginarsi  sem- 
pre che  un  muro  impenetrabile  separi  i  nostri  costu- 
mi da  quelli  degli  antichi  Romani.  Se  la  storia  non  ci 
mancasse  ,  vedremmo  ì  che  molte  delle  nostre  domesti- 
che usanze  sonoci  stale  tramandate  per  tradizione  da 
loro  ,  quantunque  non  ne  troviamo  menzione  nei  po- 
chi scritti  che  ci  sono  restati ,  Voi  mi  darete  ragione 
quando  anderete  un  giorno  a  vedere  l' incomparabile 
raccolta  d'  antichità  del  Re  di  Napoli  a  Portici . 

Io  sono  persuaso ,  che    se    agli    scavi    di  Pom- 
pe)a  si  troveranno  Codici  antichi    c$me    se   ne  spnfc 


)(  ioo  )( 
trovati  tanti  in  quelli  d'  Ercolano  ,  ve  ne  sarà  pro- 
babilmente qualcuno  ,  che  metterà  più  in  chiaro 
questa  scoperta .  Voi  sapete  che  per  ragione  delia 
loro  aridità ,  anzi  abbrpstidura ,  sono  presso  che  inu- 
tili quelli  d' Ercolano  ,  e  che  Carbohes  prò  thesau- 
ro  invenimus ,  come  dice  Fedro  .  Pompei  fu  co- 
perto solamente  da  ceneri  e  lapillo ,  ma  Ercolano 
fu  sepolto  nella  lava  bollente  del  Vesuvio,  e  quasi 
tutti  i  mobili  si  guastarono  .  Dopo  tutte  queste  no- 
tizie ,  chi  direbbe  che  1'  uomo  ha  tardato  fino  alla 
metà  del  XV.  secolo  a  trovare  la  stampa  delle  let- 
tere ,  che  non  era  che  un  passo  ,  e  che  invece  di 
essere  chiamata  invenzione  dee  piuttosto  chiamarsi 
cessazione  d'  ignoranza  ? 

Del  resto  gli  è  indubitabile  che  i  libri  degli 
antichi  erano  talvolta  ornati  di  eleganti  figure  parte 
per  lusso ,  e  parte  per  necessità  .  Tra  questi  ultimi 
mettete  Euclide,  Apollonio  ed  altri  scrittori  di  Geo- 
metria inintelligibili  senza  figure  ,  com'  anche  Tolo- 
meo il  Geografo ,  e  Vitruvio  .  Per  ornamento  ,  e 
per  lusso  vi  rammenterò  solamente  quel!'  esemplare 
di  Virgilio  ,  di  cui  parla  Marziale  : 
Qiiam  brens  immensum  capit  membrana  Maronem  : 

Ipsius  vultus  prima   tabella   gerit . 

Voi  conoscete  i  due  antichissimi  Codici  di  Vir- 
gilio del  V.  secolo  nella  Vaticana ,  e  che  sono  cer- 
famente  i  più  antichi  libri  a  noi  noti ,  e  conoscete 
le  singolari  miniature ,  che  gli  adornano  .  Immagi- 
natori adunque  ,  come  v'  ho  detto ,  che  così  si  abbellì- 


)(       '01       )( 

vano  gli  esemplari  destinati  a  gran  personaggio ,  o 
a  chi  volea  spender  molto  .  Quelli  che  dovean  ser- 
vire per  il  comune  de'  leggitori,  o  non  aveano  figure 
dipinte  ,  o  pure  le  avranno  avute  improntate  in  le- 
gno conforme  all'  invenzione  di  Varrone .  Due  soli 
de'  primi  si  son  conservati  probabilmente  per  la 
loro  bellezza  ,  e  perchè  scritti  in  membrana  ,  e  nes- 
suno de'  secondi  perchè  scritti  in  fragile  papiro  ,  e 
poco  apprezzati  come  cose  triviali  .  Fino  le  legature 
de*  codici  erano ,  come  sapete ,  elegantissime  .  La 
bottega  de'  Sosii  libraj  Romani  ha  meritato  1'  ono- 
re di  vivere  eternamente  ne'  versi  d' Orazio  come 
vive  il  nome  di  Trifone  neh'  auree  Instituzioni  dì 
Quintiliano .  Fino  da  allora  le  botteghe  de'  libra] 
servivano  di  radunamento  ai  letterati,  e  mi  ricordo 
che  Galeno  ,  non  so  in  qual  de'  suoi  libri ,  ne  ac- 
cenna una  verso  il  Foro  Romano  ,  ov*  egli  andava  a 
chiacchierare  la  sera.  Il  lusso  andò  tanto  avanti,  che 
fino  le  custodie  de'  libri  si  fecero  d'  avorio  con  bel- 
lissimi bassirilievi  alludenti  all'  argomento  e  le  lettere 
si  fecero  d'  oro  o  d'  argento  sopra  membrane  tinte 
di  porpora  .  Ma  nulla  più ,  amabilissimo  mio  signor 
Tommaso  .  Non  ad  altri  che  a  Voi ,  grand'  amatore 
e  conoscitore  di  stampe  ,  doveansi  scrivere  queste 
mie  congetture ,  perchè  appunto  parlano  di  stampe  » 
Voi  per  il  vostro  candore  e  cortesìa  siete  amato  da 
chiunque  vi  conosce,  ma  tenete  per  fe.rmo,  che  nes- 
suno vi  ama  più  dì  me .  KVpWa , 
Roma  lì  21  luglio  j 


Biglietto  al  sig.  cibate  Gian*Cristoforo 
^Lmaduzzi  pubblico  Professore  nella 
Sapienza  di  Roma  sopra  di  un  Erma 
singolare  ,  anzi  unica  di  Pericle  tra- 
vata di  fresco  a  Tivoli ,  e  quindi  tra- 
sportata al  Museo  Vaticano  * 


JAI  ON  tardate  di  grazia  gentilissimo ,  ed  erudisissx- 
mo  amico ,  a  vedere  un'  Erma  singolare ,  anzi  unica 
trovata  di  fresco  a  Tivoli .  Io  la  vidi  accidentalmen- 
te arrivare  a  Roma  per  sopraccarico  in  un  carro  di 
barili  d'  olio  Tivolese  ,  e  benché  per  la  bella  cura 
dell'  erudito  carrettiere  fosse  tutta  unta  ,  e  bisunta , 
dopo  d'  averne  letta  V  iscrizione  ne  fui  veramente 
incantato .  Molto  più  poi  mi  ha  piaciuto  questa  mat- 
tina ,  che  sono  andato  a  rivederla  in  casa  del  sig. 
abate  Visconti,  ove,  aspettando  d'  essere  trasportata  al 
gran  Museo  del  Vaticano,  essa  è  stata  lavata,  e  di- 
ligentemente smacchiata  a  guisa  dell'  antico  simula» 
ero  della  madre  Idea  nel!'  Aimone . 

Questa  è  V  Erma  di  Pericle  figliuolo  di  Santip- 
pe ,  e  celebre  generale  anzi  capo  della  Repubblica 
■V  Atene  : 


ìl  E  P  I  K  A.  H  X 

EANeinnoY 

A  0  H  N  A  1  O  X 

Le  lettere  di  questa  iscrizione  sono  bellissime  , 
ed  antichissime  ,  perche  tanto  gli  O  ,  che  i  0  so- 
no quadrati  ,  forma  ,  che  ,  come  voi  sapete  meglio 
di  me ,  fu  abbandonata  dagli  Ateniesi  assai  di  buono- 
ra .  Tale  forma  però  si  è  osservato  in  molte  altre 
Erme  trovate  egualmente  nelle  vicinanze  di  Tivoli , 
ove  gli  antichi ,  e  ricchi  cittadini  Romani  avevano 
fabbricate  moltissime  deliziose  ville  per  loro  dipor- 
to .  oh  di  quante  belle  rarità  è  mai  debitrice  Roma 
a  quel  terreno  ,  e  di  quant'  altre  sarà  in  avvenire  , 
perchè  a  Tivoli  pare  ,  che  basti  smovere  la  terra 
per  trovarne  !  La  presente  è  stata  disotterrata  nelle 
rovine  d'  una  villa  ,  che  credcsi  forse  di  Cassio  , 
benché  in  tanta  confusione  di  rottami  chi  potrà  de- 
ciderlo ?  Notate  ,  che  in  questa  pure ,  come  in  lant' 
altri  marmi  greci ,  gli  alpha  sono  tagliali  con  una  li- 
neetta angolata  ,  ecdavente  P  angolo  rivolto  al  bas-^ 
so  a  differenza  degli  À  Ialini ,  che  sono  tagliati 
con  linea  retta  .  Il  dotto  Martorelii  pretende  ,  che 
questa  sia  forma  Ateniese  ,  e  forse  ha  ragione  :  bel- 
lissima statua  di  bronzo  vid'  io  nel  real  Museo  di 
Portici ,  rappresentante  un  giovane  coi  nome  di  Apol- 
*lodoro  Ateniese  fonditore  ,  e  in  essa  gli  alpha  era- 
no simili  a  questi  di  Pericle  .  Ma  si  ha  egli  dunque 
a  dire  ",    che    tutte    le    iscrizioni    con  quest/  angoletto 


)(    «4    )( 

éìeno  incìse  in  Atene  ?  Ve  n'  è  certamente  una  in 
N^)oii  mezza  greca ,  e  mezza  latina  fatta  ai  tempi 
dì  Tito  ,  in  cui  gli  alpha  sono  così  anch'  essi ,  ep- 
pure y  è  tutto  a  scommettere ,  che  fu  incisa  sul  luo- 
go ,  perchè  pare  iscrizione  locale .  E  riferita  nel 
Grutero  al  num.  8  della  pagina  CLXXIII. ,  benché 
forse  per  mancanza  di  caratteri  alia  stamperìa  gli 
alpha  sieno  all'  usanza  latina  .  Venghiamo  a  parlare 
della  scultura . 

Io  non  mi  ricordo  d'  avere  mai  veduta  né  in 
marmi  antichi,  né  in  istampe  sicure  la  testa  di  Pe- 
ricle, e  voi  deciderete  se  non  è  ora  la  prima  volta, 
che  impariamo  a  conoscere  la  fisonomìa  di  questo 
singolare  Ateniese  .  Vedrete  un  giovane  di  prima 
barba  con  capelli  ricci,  e  con  aria  militare  ,  e  ri- 
soluta .  I  tratti  del  volto  sono  però  da  piacere .  Non 
vi  maravigliate  dunque  se  egli  piacque  alla  celebre 
Aspasia ,  che ,  dopo  aver  dati  segni  di  tanta  incostan- 
za ,  e  volubilità  ne'  suoi  amori ,  si  soggettò  a  divenire 
sua  moglie  .  Non  v'  è  donna ,  ^r  quanto  bella  siasi , 
ed  infedele ,  che  presto  o  tardi  non  trovi  un  Peri- 
cle j  che  la  soggioghi .  Lo  scalpello  è  elegantissimo , 
ne  si  possono  vedere  capelli  ,  barba  ,  ed  occhi  me- 
glio tra! tati .  Notate  sopra  tutto  quella  lunghissima 
celata  ,  che  ha  sul  capo  alta  quasi  quanto  gli  odier- 
ni assetti  delle  nostre  dame  Romane  .  Non  vi  fare'i 
questa  riflessione  se  non  mi  ci  forzasse  Plutarco  , 
che  sul  principio    delia    vita   di  Pericle  ce    ne  dà  la 


)(  io5  )( 
ragione  .  Vedrete ,  che  quei  luogo  pare  esserci  sialo 
tramandato  apposta  per  nobilitare  quest'  Erma ,  che 
doveva  rivedere  il  sole  ai  tempi  felici  di  PIO  VI. 
protettore  delle  beli'  arti  ,  e  della  antichità  .  Eccovi 
il  passo  di  Plutarco  tradotto  fedelmente  ,  benché  voi 
intendiate  forse  meglio  il  greco  ,  che  il  mio  italia- 
no .  A  dirvi  il  vero  mi  dà  ora  minore  fastidio  a 
tradurlo ,  che  a  copiarlo  frettoiosamonte  in  greco  : 
Ebbe  Pericle  la  forma  del  corpo  sufficientemente 
bella ,  ma  la  testa  fu  sì  bislunga  ,  che  non  si  ac- 
cordava col  resto  della  corporatura  .  Ecco  ,  a  mio 
credere  ,  la  ragione ,  per  cui  tutte  le  sìie  statue  han- 
na  V  elmo  in  capo  ,  artifizio  degli,  scultori  affine 
di  nascondere  questo  suo  vizio  .  Aggiugne ,  che  la 
cosa  era  tanto  mostruosa ,  che  i  Poeti  Ateniesi ,  per 
deriderlo,  lo  chiamavano'  Schinocejalo  ,  o  sia  testa  di 
cipolla  marina  .  Qual  maraviglia  dunque  se  lo  mise- 
ro in  ridicolo  fino  sui  teatri  coloro  ,  che  non  1'  ave- 
vano perdonata  neppure  al  più  savio  degli  uomini , 
cioè  al  loro  concittadino  Socrate  ? 

Pericle  merita  la  stima  de*  conquistatori  ,  per- 
che fu  valoroso  generale  di  terra  ,  e  di  mare  ,  e 
perchè  soslenne  per  27  anni  gloriosamente  la  guer- 
ra Peloponesiaca  d'  Archidamo  ;  ma  merita  assai  più 
la  nostra  per  essere  stato  gran  protettore  delle  belle 
arti ,  massime  dell'  architettura .  Perfetto  conoscitore 
del  buon  gusto  ,  e  del  sapere  del  famoso  ^cultore 
Fidia  j  se  lo  fece  intrinseco  amico  }  ed  a  Im  confidò 


X   *4   )( 

la  cìiresione  delle  molte  ,  ed  insigni  fabbriche ,  che 
col  danaro  della  repubblica  faceva  innalzare  in  Ate- 
ne .  Ciò  vi  servirà  d'  esempio  antico  per  provare  la 
proposizione  di  m-onsig.  Bottari,  che  giova  infinita- 
mente per  riuscire  buon  architetto  1'  essere  buon  di- 
segnatore di  figura  ;  e  lo  aggiungeremo  ai  moderni 
di  Raffaele  ,  di  Michelagnolo  ,  del  Donienichino  ,  e 
del  Bernino  *  Nel  tempo  ,  che  Fidia  sotto  gli  auspi- 
ci di  Pericle  faceva  innalzare  i  portici  ,  e  1'  Odeo  , 
fra  gli  altri  curiosi  vi  accorrevano  anche  le  più  belle 
.matrone  Ateniesi  .  Le  male  lingue  cominciarono  a 
dirsi  all'orecchio,  che  Fidia  le  radunava  per  conse- 
gnarle dappoi  ai  piaceri  segreti  dell'  amico  Pericle  - 
Potrete  leggere  in  Plutarco  il  cicaleccio  ,  che  allora 
si  fece  contro  P  artefice  ,  e  contro  il  suo  protettore  : 
tanto  è  vero  ,  che  il  mondo  è  stato  sempre  simile  a 
sestesso  .  Oh  !  vedete  qui ,  chi  avrebbe  mai  creduto 
di  trovare  un  mestiere  così  strano  nelP  esemplare 
creatore  di  tanti  bei  Giovi,  e  di  tante  belle  Minerve? 
Chi  volesse  sospettare  ,  che  P  Erma  di  Pericle 
fosse  opera  dello  stesso  Fidia  ,  non  potrebbe  essere 
convinto  del  contrario  se  riguardasi  P  eleganza  della 
scultura  ,  e  P  amicizia ,  che  Tra  loro  passava  .  Sarei)* 
he  però  molto  più  certo  il  limitarsi  a  dire ,  che 
«juest'  Erma  è  antichissimo  lavoro  di  Grecia ,  perchè 
non  sappiamo  ,  che  gli  scultori  greci ,  che  lavorava- 
no in  Italia ,  abbiano  mai  usate  le  antiche  lettere  qua- 
drate .  •  . 


)(     107     X 

L'  Erma  certamente  è  stata  qui  portata  di  Gre- 
cia quando  i  cittadini  Romani  vincitori  del  mondo 
spogliavano  le  piazze  ,  i  lempj ,  ed  i  porticati  dei 
vinti  per  adornarne  le  loro  ridenti  ville ,  o  le  loro 
basiliche  nel  Lazio.  Bisogna,  che  in  questi  giri  l'Er. 
ma  di  Pericle  si  rompesse  ,  perchè  si  vede ,  che  la 
testa  fino  dall'  antico  è  stata  assicurata  con  un  per- 
no di  ferro ,  che  dura  ancora  .  Non  tardate  dunque , 
amico  caro,  a  far  visita  a  questo  gran  forestiere  ar- 
rivalo tra  noi.  Ricordatevi  di  prendere  con  voi  il 
gentile  cavaliere  Pindemonte  prima  che  parta  per 
Malta  .  È  ben  giusto  ,  che  egli  veda  anche  Penicle 
dopo  avere  conosciuta  al  Vaticano  la  beila  Aspasia  sua 
anoglie .  Quantunque  giovane  egli  non  è  di  quegli 
scortesi  cavalieri ,  che  dopo  aver  fatta  conoscenza 
colle  mogli  non  si  curano  più  de'  mariti  .  Volesse 
il  Cielo  ,  che  potesse  mostrargli  piuttosto  qualche 
bella  ed  antica  Erma  d'  Ulisse  ,  giacché  egli  Io  ha 
restituito  in  vita ,  e  ce  io  ha  fatto  conoscere  sulle 
•cene  d'  Italia ,  dalle  quali  questo  scaltro  Greco  ha 
nuovamente  fatto  piangere  le  nostre  moderne,  e  fie. 
re  Penelopi .  Salutatemelo  caramente ,  e  vogliatemi 
hene .  Addio  . 

DI  casa  li  i3  Maggio   1779.. 


Lettera  al  sig.  D.  Antonio  di  Gennaro 
Duca  di  JBelforle  sopra  il  Sepolcro  degli 
S  cip  ioni  Coperto  non  ha  guari  acci- 
dentalmente in  una  vigna  presso  porta 
S,  Sebastiano... 


C3e  le  sono  sconosciuti ,  gentilissimo  sig.  Duca ,  I 
miei  caratteri ,  non  dee  esserle  ignota  la  gratitudine , 
che  le  devo  per  gli  aurei  suoi  versi  fattimi  comuni- 
care dal  sig.  ab.  Amaduzzi  nostro  comune  amico  , 
e  per  le  infinite  cortesie,  delle  quali  ella  onorò  mio 
fratello  P  abate  Carlo  quando  ebbe  V  onore  di  ve- 
derla in  Napoli .  In  seguito  di  ciò  voglio  farle  oggi 
un  regalo  ,  che  diminuisca  almeno  le  mie  obbli- 
gazioni ,  perchè  pretendo  darle  una  nuova  grande 
per  un  estimatore  della  più  bella  antichità,  com'  el4a 
è  certamente  .  Sappia  dunque ,  che  i  passati  giorni 
sono  stati  accidentalmente  scoperti  i  sepolcri  degli 
Sciptoni  ,  i  quali  da  tanti  secoli  aspettavano  il  pon- 
tificato di  PIO  VI.  per^rivedere  la  luce  del  giorno. 
A  sì  gran  nomi  parmi  già  di  vederla  commoversi  ; 
perchè  meglio  d'  ogni  altri  conosce  questa  illustre  fa- 
miglia ,  per  cui  è  così  bella ,  e  maravigliosa  la  storia 
della  Repubblica  di  Roma  .    Le    devono  tosto  affol- 


X  io9  )( 
larsi  alla  mente  le  clamorose  vittorie  della  Spagna  , 
dell'  Africa  ,  dell'  Asia  ,  la  disfatta  d'  Annibale  ,  di 
Siface,  e  d'Antioco,  la  maravigliosa  battaglia  di  Ma- 
gnesia ,  ma  quello  ,  che  è  più ,  la  generosa  mode- 
razione dei  vincitori ,  e  P  ingratitudine  della  loro  pa- 
tria .  Deponga  ella  adunque  per  pochi  minuti  la  lira 
emula  di  quella  d' Anacreonte  ,  e  d'  Orazio ,  dimen- 
tichi ,  se  ella  può  almeno  per  pochi  momenti ,  i  be- 
gli occhi ,  ed  il  riso  di  Licori  ,  e  quietamente  stia  a 
leggermi  nell'  ombroso  ,  ed  ameno  suo  palazzino  dì 
Mergellina .  Me  felice  se  invece  di  scriverle  potessi 
parlarle  ! 

Ella  non  ignora  ,  che  sino  nel  16 1 6  non  molti 
passi  prima  d'uscire  dalla  porta  Capena  oggidì  porta 
s.  Sebastiano  fu  scavata  una  lapide  di  rozzo  peperi- 
no colle  seguenti  parole  in  antica  lingua  latina  : 

HONC   .   GINO   .   PLOIRVME  .   COSENTIONT  ,  R 
ÌDVONGRO    .   OPTVMO   .   FVISE  ".   VIRO 
LVflOM   .   SCIPIONE   .   FjLIOS  .   BARBATI 
CONSOL   .   CENSOR   .   AID1LIS   .    HIC   .   EVET   .   A 
HEC   .   CEPIT   .   CORSICA   .   ALERIAQVE   .    VRBE 
DEDET   ,   TEMPESTATEBVS   .   AIDE    .   MERETO 

Questa  iscrizione,  che  appartenne  allora  a  Fran- 
cesco Agostini ,  mise  alla  tortura  1*  ingegno  de'  let- 
terali di  que'  giorni  ,  ma  la  tortura  fu  ben  tosto  fi- 
nita quando  1'  ebbe  in  mano  il  gran  Sirmondo  Ret- 


ìl     no     ti- 
tofé  allqra  elei  Collegio  de'  Gesuiti    di    Parigi ,    per- 
chè la  interpretò  in  buon  latino  così  : 

HVNC   VNVM  PLVRIMI  CONSENTI  VST  ROMAE 
BONORVM   OPT1MVM  EVISSE   VIRVM 
LVCIVM.  SCIPlONEM  FILIVS  BARBATI 
COFSVL  CENSO R   AEDILIS  JVIT 
HIC  CEP1T  CQRSICAM   ALERIAMQVE   VRBEM 
DEDIT  TEMPESTAT1BVS  AEDEM  MERITO 

Ella  noti,  che  il  Sirmondo  non  interpretò  quei- 
Y  A  ,  che  è  il  finale  del  quarto  verso  ,  quando  a  me 
pare ,  che  potesse  naturalissimamente  interpretarsi  per 
atque  ;  come  avea  fatto  per  Romae  quel  B.  finale 
dei  primo  .  Stampò  questa  interpretazione  in  Roma 
nel  1617  corredata  da  dottissima  dissertazione  dello 
stesso  Gesuita  V  Agostini  ,  e  vi  aggiunse  alcune  po- 
che pagine  anche  Girolamo  Aleandro  .  Non  tardò 
molto  la  lapida  a  passare  in  casa  Barberini ,  ove  con- 
servasi ancora  incastrata  in  un  muro  nella  bibliote- 
ca  .  Varj  amai  dopo  insorsero  dubbj  sulla  sua  auten- 
ticità ,  finché  a'  giorni  nostri  il  Marchese  Scipione 
Maffei  nella  sua  Arte  critica  lapidaria  ,  opera  pe- 
rò postuma ,  e  non  ben  digerita,  la  dichiarò  positiva- 
mente falsa  ,  .adducendo  ragioni  assai  plausibili  .  Da 
quel  dì  in  qua  nessuno  V  ha  più  degnata  d'  un  guar- 
do ,  perchè  così  sono  fatti  anche  i  letterati ,  i  quali 
per  lo  più  tengono  di«tro  alla  corrente  . 


X  in  )( 
Gli  scorsi  giorni  il  sagristano  delle  Stimmate  di. 
&fi  Francesco  ,  volendo  allungare  ,  e  profondare  la 
grotta  della  sua  vigna  ,  la  quale  resta  alla  sinistra 
passato  s.  Cesareo  non  molti  passi  prima  d'  uscire 
dalla  porta  Capena  o  sia  di  s.  Sebastiano,  trovò  for- 
tunatamente l'autentica  di  questa  iscrizione.  Scoperse 
egli  alcuni  cunicoli  di  mattoni  ottimamente  conser- 
vati ,  e  vide  che  v'  erano  nei  muri  due  rozze  lapidi 
di  peperino  ,  o  sia  pietra  d'  Albano  somigliantissima 
in  tutto  al  peperino  dell'iscrizione  controversa,  e  nel 
medesimo  luogo  ,  ove  quasi  170  anni  prima  fu  essa 
disotterrata  .  Questi  due  pezzi  erano  ottimamente 
uniti  insieme,  e  scritti  a  gran  lettere  incavate,  e  rosse 
ancóra  di  minio  come  usavano  gli  antichi  .  La  loro 
larghezza  uniti  è  di  palmi  6  ,  ed  altrettant'  once  ,  1'  al- 
tezza è  di  palmi  5  ,  e  la  grossezza  è  d*  un  palmo  , 
Eccole  fedelmente  copiata  la  scrittura  : 

QVEI  .  APICE  .  INSIGNE  .   DIAìJs  JlaMimS  .  GESISTI 
MORS   .    PERFEQÉ    fVA    .    VT   .    ESSENT    .    OMNIA 
BREVlA    .    HQNOS   .    FAMA    .    VIRTVSQVE 
GLORIA   .    ATQVE    .    INGENIVM   .    QVIBVS   .    SEI 
IN   .    LUNGA   .    L1CYISSET    .    TIBE    •   VTIER    .    VITA 
FACILE    .   FACTEiS  .   SVPERASES  .   GLORI AM 
MAIORVM    ,    QVA   .   RE   .  LVBENS  .  TE  .  IN  .  GREMIT' 
SCIPIO    .    REC1PIT   .   TERRA    .   PVBLI 
rRUGNATVM   •    PVBLIO   .   CORNELI 


X    **s    )( 

Sì  è  seguitato  avanti  lo  scavo ,  e  si  è  trovato  a 
pochi  passi  nuova  iscrizione,  ma  in  un  solo  pezzo 
di  peperino  largo  palmi  3  once  2 ,  alto  palmi  4  >  e 
grosso  un  palmo ,  e  2.  once .  Ecco  di  questa  pure 
il  tenore  da  me  fedelmente  ,  e  con  gran  piacere 
copiato  : 

L.   CORNELI   .   L.    F.    P 
SCIPIO   .   QVAIST 
TR.   MIL.   ANNOS 
GNATVS   .   XXXIII 
MORTVOS   .   PATER 
REGEM   .   ANTIOCO 
SVBEGIT 

Cominciamo  a  parlare  della  prima.  In  essa  non 
v'  è  niente  d'  oscuro ,  perchè  la  lingua  latina  è  un 
poco  meno  antiquata  ,  né  v'  è  bisogno  d'  un  nuovo 
Sirmondo  per  ispiegarla  .  Ma  mi  saprebbe  ella  dire 
chi  sia  questo  Publio  Cornelio  Scipione  nato  da  un 
Publio,  questo  Flamine  Diale  ,  che  morì  in  gioven- 
tù ,  e  che  se  avesse  più  vissuto  avrebbe  superata  la 
gloria  de'  suoi  maggiori  ?  Dopo  avere  attentamente 
esaminati  negli  antichi  scrittori  i  Publj  Scipioni ,  cbe 
vi  s' incontrano ,  io  non  vedo ,  che  un  figliuolo  di  Pu- 
blio P  Africano,  a  cui  possa  convenire  il  Publio  Cor- 
nelio Scipione  figliuolo  di  Publio  . 

Ella  sa  ,  che  il  prenome  di  Publio  fu  costante- 
>  mente 


)(     n3    )( 

mente  attaccato  alla  branca  de'  discendenti  di  quel 
Publio  Cornelio ,  che  tu  Console  F  anno  536 ,  e  for- 
tunato padre  dell'  Africano ,  e  dell'  Asiatico  .  I  di- 
scendenti del  primo  furono  Publj  ,  quei  del  secondo 
Lucj  .  Gli  è  vero  ,  che  il  prenome  di  Publio  si  pro- 
pagò pure  nei  ramo  degli  Scipioni  Nasica,  ma  que- 
sto soprannome  non  andava  mai  da  loro  disgiunto 
appunto  per  non  confonderli  coi  discendenti  dell'A- 
fricano .  Ciò  posto ,  il  soggetto  di  questa  bellissima 
iscrizione  non  può  essere  ,  che  .  un  figliuolo  di  Pu- 
blio Cornelio  Scipione  Africano  .  Se  si  dasse  mente 
ad  alcuni  scrittori  moderni  ,  essi  non  conoscono  al- 
tro figliuolo  di  questo  Eroe ,  che  quel  Publio ,  il 
quale  da  giovinetto  fu  preso  prigionere  dal  Re  An- 
tioco, e  dappoi  restituito  con  tanta  generosità  al  pa- 
dre .  Ma  questi  certamente  non  è  F  indicato  nella 
nostra  iscrizione ,  perchè  sappiamo  da  Valerio  Mas- 
simo ,  che  egli  fu  ben  lontano  dal  meritar  tante  lo- 
di ,  e  che  fu  anzi  il  disonore  de'  suoi  maggiori .  O 
la  nostra  iscrizione  adunque  parla'  d'  un  altro  figli- 
uolo dell'  Africano  ,  di  cui  non  v'  è  menzione  nella 
storia  appunto  per  esser  mancato  nel  fiore  della  gio- 
vinezza ,  e  dopo  d'  essere  pervenuto  al  sacerdozio 
Diale  ,  ed  in  questo  caso  la  iscrizione  ci  farebbe  co- 
noscere un  nuovo  Scipione;  o  è  quello,  di  cui>  Cice 
rone  nel  suo  bel  trattato  de  senectute  parla  con  tanta 
lode ,  e  che  adottò  Scipione  Emiliano  ,  o  sia  F  Afri- 
cano secondo  .  Ella  senta  qui  le  parole  medesime  > 
IV.        ,  8 


)(    ni   X 

che  Cicerone  fa  dire  a  Scipione  Emiliano    da  Cato- 
ne ,  e  poi  mi  dica  se  non  pajono  conservateci  appo- 
sta per  ispiegare  questa  nuova  lapida  ,   o   se  la  lapi- 
da non  pare    disotterrata  ora  per  illustrarle  :    At  id 
quiàem  (  cioè  la  debolezza  )  non  proprium  senectu- 
tis  est  vitìum  ,  sed  comune  valetudinis  .    Qttam  Juit 
imbecillus  P.  africani  Jìlius  ,  is  qui  te  adoptavit  ? 
Qttod  ni  ita  fuisset ,    alterum  Me  exstitisset  lumen 
cmtatis  .    Ad  paternam  enim  magnitudinem  animi 
doctrina  uberior    accesserat .   Quid  mirum  igitur  in 
senibus  si  infirmi  sunt  alienando  ,  cum  ne  id  qui- 
dem  adoìescentes  effugere  possint  ?    Or  via  ,  signor 
Duca  ,  ella  non  esiti  più  a  determinarsi .    Il  giovane 
Flamine  Diale  della  nostra  bella  iscrizione  è  il  padre- 
adottivo  di  Scipione  Emiliano ,  giovane  di  grandi  spe- 
ranze, se  la  sua  inferma  costituzione  gli  avesse  con- 
cessa vita  più  lunga ,  ed  è  il  fratello  della  gran  Cor- 
nelia la  madre  de'  Gracchi  .    Ella  ,  che  è  così  vicina 
a  Lilerno  ,  ove  dovrebb'  essere  il  sepolcro  deli'  Afri- 
cano suo  padre  ,    giacche    i    poeti  vedono  alle  volte 
cose  nascoste  a  noi  profani ,  se  mai  in  una  delle  sue 
estasi  poetiche  elle  vedesse  V  ombra  onorata   di  tan- 
to ,  e  sì  sfortunato  Eroe,  gli  dia  la  lieta  nuova,  che 
vivono  ancora  le  ossa  del  suo  Publio  ,  del  suo  illu- 
stre figliuolo  ,  giacche    per  le  belle  qualità ,  ond'  era 
dotato ,  egli  non  può  a  meno  d'  amarlo  ancora  .  Gli 
dica  ,  che  gli  fu  fatta  forse  la  più  bella  ,  la  più  pa- 
tetica iscrizione  in  versi,  che  leggasi  ora  da  noi  ne 


X  n5  )( 
lapidar]  antichi  ;  anzi  glie  la  reciti ,  e  gii  piacerà  di 
certo  .  Chi  sa  se  non  è  lavoro  d'  Ennio  poeta  ,  che 
fu  il  poeta  degli  Scipioni?  Ennio  ,  ed  il  Flamine  Diale 
furono  senza  dubbio  contemporanei ,  ed  è  incerto 
chi  di  lor  due  morisse  il  primo .  Gli  dica  ,  che  spe- 
riamo di  trovare  ancora  la  statua  di  questo  poeta  , 
che  ebbe  1'  onore  di  cantare  le  sue  grandi  imprese  , 
statua  che  in  premio  fu  collocata  in  questo  luogo , 
e  sulla  tomba  degli  Scipioni  suoi  protettori .  Ma  pas- 
siamo alla  seconda  iscrizione  Scipioniana  ,  le  di  cui 
terribili  parole  Pater  JHegem  Antiochum  subegit 
fanno  tremare  noi  poveri  meschini  moderni  leggitori . 
Qui  non  v'  è  dubbio ,  che  trattasi  d' un  figli- 
uolo di  L.  Cornelio  Scipione  fratello  dell'  Africano  , 
il  quale  ,  per  avere  cacciato  di  là  dal  monte  Tauro 
Antioco  Re  di  Siria  ,  meritossi  il  glorioso  titolo  di 
Asiatico  .  Ella  noti ,  che  nella  prima  linea  manca 
la  finale  sigla  N  indicante  Nepos  ,  e  che  dee  sosti- 
tuitisi senza  timore  di  sbaglio,  perchè,  come  le  ho 
detto ,  il  padre  dell'  Asiatico  fu  anch'  egli  un  Publio  , 
Questo  suo  nipote  Lucio ,  essendo  stato  Questore ,  e 
Tribuno ,  fu  incaricato  dal  Senato  di  andare  a  Capua 
ad  incontrare  Prusia  Re  di  Bitinia,  che  sotto  prete- 
sto di  venire  a  veder  Nicomede  suo  figliuolo,  il  quale 
educavasi  in  Roma ,  venne  per  cattivarsi  la  protei 
zione  della  Repubblica ,  che  già  comandava  ai  Re 
dell'  Oriente  .  Il  nostro  L.  Scipione  lo  accompagnò 
sempre  ,  gli  fece  preparare    gii    alloggi    tra  Capua  ? 


)(  n6  )( 
e  Roma  ,  ed  in  questa  capitale  non  lo  abbandonò 
mai ,  e  mostratagli  le  cose  più  degne  da  vedersi  , 
che  a  que'  giorni  però  non  erano  molte .  I  Senatori 
allora  erano  eertamente  tanti  Re,  ma  le  loro  fabbri- 
che non  cominciarono  ad  alzare  superba  la  fronte  , 
che  quando  i  Senatori  diventarono  sudditi  d'  un  solo . 
Ella  non  ignora  le  bassezze  ,  che  questo  vigliacco 
Re  fece  per  cattivarsi  la  grazia  del  Senato  ,  e  che 
troviamo  riferite  da  Polibio  ,  e  da  Livio  .  S'  imma- 
gini adunque  con  qual  disprezzo  doveva  riguardarlo 
in  cuor  suo  un  figliuolo  dì  Cornelio  Scipione  Asia- 
tico, di  cui  la  grandezza  dell'animo  non  cedea,  che 
alla  benignità  • 

Ella  qui  potrebbe  domandarmi  come  sia  possi- 
bile il  trovare  dentro  al  recinto  di  Roma  i.  sepolcri 
de'  Cornelj  òcipioni ,  quando ,  oltre  alla  legge  ,  che 
vietava  il  seppellire  morti  in  città,  noi  siamo  sicuri, 
che  essi  erano  fuori  della  porta  Capena .  In  fatti  Ci- 
cerone dice  nelle  Tusculane  :  An  tu  egressus  poHa 
Capena  cum  Caladni  ,  Scipionum  ,  Serviliorum  , 
Metellorum  sepulcra  vides  ttc.  Ma  io  le  risponde- 
rò ,  che  Cicerone  ha  ragione ,  perchè  a'  suoi  giorni  la 
porta  Capena  era  all'  inc;rca  dove  ora  dividesi  den- 
tro Roma  la  via  Latina  dall'  Appia .  Augusto ,  o  Clau- 
dio furono  quelli  ,  che ,  dilatando  il  Pomerio ,  dopo 
d'  avere  accresciuto  1'  Impero,  la  slontanarono,  por- 
tandola ove  ora  è  il  preteso  ,  ma  bellissimo  arco  di 
Druso  sopra  di  cui  passava  un  acquidotto ,  di  cui  ve- 


H    ni    )( 

desi  ancora  il  canale ,  onde  quella  porta  hagnava 
sempre  i  passeggeri  .  Ecco  la  ragione,  per  cui  vien 
chiamata  stillante ,  e  bagnata  da  Giovenale  ,  e  da 
Marziale  .  La  porta  Capena  d'  oggi  ,  che  è  a  pochi 
passi  di  là  da  qnest'  arco  ,  io  la  credo  fermamente 
opera  di  Aureliano  ,  il  quale  nel  fare  le  nuove  mura 
di  Roma  non  servissi  dell'antica  Capena  vicinissima, 
perchè  essa  non  era  suscettibile  di  queste  fortifica- 
zioni ,  che  fece  dai  lati  alla  sua  ,  e  che  hanno  an- 
cora .  Roma  ai  tempi  d'  Aureliano  aveva  più  biso- 
gno di  fortificazioni ,  che  di  greche  o  latine  archi- 
tetture .  Che  se  ella  mi  domanda  ancora  da  chi  io 
abbia  imparata  questa  Claudiana  dilatazione  del  re- 
cinto di  Roma ,  giacché  quella  d'  Augusto  è  troppo 
nota,  le  dirò,  che  la  accenna  Tacito  nel  libro  XII. 
degli  Annali ,  ma  molto  più  una  bella  iscrizione , 
che  anticamente  era  in  un  cippo  poco  disi  ante  da 
campo  di  fiore ,  e  che  ora  credo  ai  Vaticano  , 
iscrizione  riferita  dal  Grillerò  pag.  igfi  mini.  4»  Ec- 
co finalmente  deciso  il  luogo  dei  sepolcri  degli  Sci- 
pioni  ,  che  i  nostri  antiquarj  fissavano  in  uno  di  que* 
rimasugli  sepolcrali  ,  che  sono  fuori  di  porta  s.  .Se- 
bastian  »  .  Essi  suppongono  pure  sepolcro  de'  Mettili 
quello  bellissimo  di  Cecilia  Metella  dt  tto  capo  di  bo- 
ve ,  ma  io  credo  ,  che  anche  in  ciò  s' ingannino  . 
Capo  di  bove  è  il  sepolcro  di  Cecilia  Metella  sola  , 
come  lo  porta  la  iscrizione ,  ed  io  credo  ,  che  fosse 
differente,  e  separato  da  quello  dei  Metelli,  che  da 


X     n8    )( 
lui  però  non  dovevano  essere  molto  distanti.    Infatti 
nell'  interno  di  quella  gran  fabbrica  non  v*  era   luo- 
go ,    che  per  il  solo  sarcofago  di  Cecilia  ,    il  quale 
dicesi  essere  ora  nel  cortile  del  palazzo  Farnese . 

Eccole  qui  tutto  ciò ,  che  rapidamente  mi  è  ve- 
nuto in  capo  sulla  nuova,  e  rara  scoperta,  che  me- 
rita d'  andar  dei  pari  con  quella ,  che  tre  anni  fa  si 
fece  dei  sepolcri  di  Livilla ,  e  de'  figliuolini  di  Ger- 
manico ,  al  mausoleo  d'  Augusto  .  Il  Prete  ,  a  cui 
per  la  rivoluzione  de'  secoli  sono  toccati  in  sorte  i 
sepolcri  degli  Scipioni ,  e  che  ora  li  tiene  tra  le  sue 
doti,  ha  più  a  cuore,  ed  ha  ragione  ,  la  prossima 
vendemmia  della  sua  vigna ,  che  le  iscrizioni  dei  viti' 
citori  deli'  Asia  ,  e  dell'  Àfrica .  Ciò  non  ostante  spe- 
ro ,  che  permetterà  agli  eruditi ,  che  senza  suo  data- 
no vadano  a  lavorare  in  questo  terreno  il  prossimo 
novembre,  ed  allora  le  prometto  mandarle  le  ulte- 
riori scoperte  ,  che  faremo  ,  e  che  mi  pajono  im- 
mancabili .  Si  dovrebbe  scoprire  ancora  il  sepolcro 
di  Calatine,  che  ,  secondo  Cicerone,  doveva  essere  pri- 
ma ,  e  non  molto  lontano  da  questo  degli  Scipioni  . 
Intanto  ella  faccia  qualche  libazione  ai  Mani  di  Vir- 
gilio ,  e  del  Sanazzaro  suoi  vicini  ,  perchè  proteg- 
gano le  nostre  ricerche  ,  tanto  più  che  gli  Scipioni 
furono  sempre  amici  delle  lettere,  e  dei  poeti.- Elia 
sa ,  che  Ennio  ,  Terenzio ,  Polibio  erano  loro  clien- 
ti ,  e  che  al  dir  di  Cicerone  questo  medesimo  Lucio 
Scipione,  di  cui  ella  ha  letta  l'iscrizione,  tenea  in  casa 


)(  H9  )( 
fino  C.  Gallo  astronomo  ,  per  avere  il  piacere  ,  che 
gli  predicesse  le  ecclissi  del  sole ,  e  della  luna .  Oh 
quanto  questi  grandi  luminari  della  Repubblica  avreb- 
bero amato  lei  ,  gentilissimo  sig.  Duca  ,  se  per  no-- 
stra  disgrazia  ella  avesse  vissuto  piuttosto  ai  loro  gior- 
ni ,  che  ai  nostri  ! 

Roma  li  3©  maggio  1780» 


Lettera  confidenziale    delV  antologìa    alle 
Effemeridi  letterarie  di  Roma  . 


JL  U  dovresti  esserti  accorta ,  sorella  mia  cara ,  che 
da  qualche  tempo  non  ti  mostro  più  quel  lieto  vol- 
to, che  indicava  ad  ognuno  la  stretta  amicizia,  che 
sino  dal  mio  nascere  ci  rese  oggetto  dell'  invidia  di 
tutti  i  nostri  confratelli ,  o  rivali  d'  Italia .  Giusto  è 
dunque  lo  svelartene  la  cagione  ,  giacché  tu  non  hai 
avuta  finora  1'  amichevole  confidenza  di  domandar- 
mela .  Tu  non  sei  più  tanto  veritiera  come  fosti  quan- 
do venisti  a  Roma  ,  e  sei  diventata  una  bella  co- 
cketta  ,  perchè  fai  buon  viso  a  tutti ,  ed  accogli  con 
lusinghiero  sorriso  ,  e  con  lodi  i  meritevoli ,  e  gli 
immeritevoli .  Questo  vizio  passa  per  le  giovani ,  ma 
tu  non  sei  più  tale  ,  giacché  giri  per  1'  Europa  da 
varj  anni.  O  finiscasi  la  nostra  unione,  o  cangia  di 
metodo  ,  perchè  io  non  voglio  essere  presa  più  per 
tua  complice  .  So  che  mi  dirai  non  esser  tu  sempre 
in  libertà  di  parlare  a  modo  tuo  ;  te  lo  accordo  , 
ma  taci  piuttosto  che  lodare  chi  non  lo  merita ,  e 
sopra  tutto  non  far  mai  uso  degli  articoli  ,  che  ti 
sono  mandati ,  come  so  che  alle  volte  hai  fatto  for- 
se per  una  certa  compiacenza  y  ma  con  nostro  dan- 


)(   "I  )( 

no  .  Potrei  citarti  molti  esempi ,  ma  mi  limiterò  ad 
un  solo ,  perchè  è  uno  de'  più  recenti ,  benché  non 
sia  il  peggiore  .  Che  diamene  hai  tu  detto  ultimamen- 
te a  proposito  del   Socrate    del  sig.  abate    Antonino 

G ?  Egli  è  certamente  un  ottimo  galantuomo,  ma 

non  mi  pare  buon  Poeta  drammatico  come  lo  hai 
fatto  comparire  .  Io  sospetto  ,  che  qui  pure  qualcu- 
no abbia  sorpresa  la  bontà  del  tuo  naturale,  dandoti 
quell'  infelice  articolo .  Perchè  io  non  passi  presso  di 
te  per  mala  lingua ,  osserva  meco  solamente  la  prima 
scena  di  quest'  opera  ,  che  senza  dubbio  è  la  men 
cattiva  di  tutto  il  libro  ,  e  poi  non  arrossire  se  ti  dà 
V  animo  .  11  dialogo  è  tra  Melito  sommo  sacerdote 
marito  di  Menippe  ,  e  tra  Argene  nobil  donzella  fi- 
glia di  Lachete  Arconte  Ateniese ,  e  scolara  di  So- 
crate ,  della  qual  Argene  il  sacerdote  è  fieramente 
innamorato  .  La   scena  è   nel   gabinetto   di  Argene  . 

Mei.  Bella  Argene ,  siam  soli . 

Arg.   E   ben  ? 

Mei.  Deh  soffri  , 

Soffri ,  che  un   bacio   imprima 
Sulla  candida   man  . 

Ringraziamo  il  cielo  ,  che  la  cosa  è  andata  a 
finire  in  un  bacio  ,  perchè  ti  confesso ,  che  le  pri  - 
me  parole  mi   avevano  un   poco   allarmato . 

Arg.   Tu  pur  vaneggi; 
Melito,  in  te  rispetto 
lì  sommo  sacerdote .  A  te  contiene 


)(       122      X 

QuelP  atto    riverente, 
Che  irragionevolmente  offri  ad   Argehe  . 
Locchè   in    linguaggio    corrente  vuol   dire  :    sig, 
Melito ,   sta  a   me  ?  e    non   a  te  il  baciar  la  mano  * 
Che  bel   contrasto  di  divozione ,  e    d'  amore  ! 
Mei.  Dell'  Arconte  figliuola 
Meriti  il  mio  rispetto , 
Meriti  V  amor  mio  . 
Buon  per  Argene,   che   è  figliuola  dell'  Arcon- 
te ,  perchè  altrimenti  le  mancava  di  rispetto  .    A  dir 
il  vero  il  complimento  non  è  galante .  Ma  qui  il  sig. 
Melito  subito  si  corregge ,  e  si  spiega  : 

Quando  son  teca  obblio  quasi  a  un  istante 
Il  mio  grado  ,  me  stesso  ,  e  pia  non  vedo 
Il  sacerdote  in  me ,    veggo  V  amanti  . 
L'  azione  diventa  furiosamente  calda  . 
Arg.  (  Oh  Dio  !  che  sento  mai  ?  ) 


Melito f  ahi  tu  deliri  : 

Rammentati  chi  sti , 

Hammentati  chi  son  :  la  voglia  rea 

Che  nella  mente  hai  Jìssa  , 

Il  chiaro  sol  di  tua  ragione  ecclissa  . 

Se    al   sig.    abate    G mi  qualche   curioso,    o 

impertinente    domandasse    in  che    consista    la    voglia 
rea  del  sig.  Melito  ,  che  risponderebbe  ? 
Mei.  E  che  ?  forse  ragione 

No.-n  insegna  ad  amar  ? 


)(    **3    )( 

Ricordatevi ,  sig.  Melito  ,  che  avete  moglie , 
che  siete  sacerdote  ,  e  che  la  ragione  non  insegna 
d'  andare  ne'  gabinetti  segreti  delle  onorate  donzelle 
a  spacciar  queste  massime ,  ed  a  tendere  loro  insidie . 

V1  è  forse  al  mondo 

Chi  non  arda  d'  amore  ? 

1  numi ,  i  numi  i stessi 

Furpn  preda  d'  amor  .  La  bella  Dea 

Che  ora  splende  tra  gli  astri , 

Quando  fra  noi  vivea  ....... 

Arg.  Taci ,  che  tutta 

La  storia  io  so  di  quella  donna  impura* 
Ma  casta ,  e  bella  Argene  ,  direi  io  Antologìa  , 
chi  vi  ha  insegnata  questa  brutta  storia  ?  La  vostra 
mamma  ?  Socrate  il  vostro  maestro  ?  no  certo1*.  Eh 
via  !  vergognatevi  di  saper  queste  sudicerie ,  o  almeno 
fate  finta  di  non  saperle  come  fanno  sempre  le  scal- 
tre fanciulle  . 

Mei.  Venere  impura  appelli  ?  Ecco  quai  sono 

Le  arcane  ,  le  divine 

Socratiche  dottrine  !  Eterni  Dei, 

Che  mi  fate  ascoltar  !  Questi  è  il  maestro  9 

A  cui  va  dietro  Atene  ? 

Misera  gioventù  !  misera  Argene  ! 

Arg 

No ,  ragion  non  condanna 

Un    legittimo  amor)  ma  non  approva  , 

Come  approvò    Licurgo  , 


X    1*4    )( 

ti  desìo  di  taluni , 

Che  vorrebber  le  donne  all'  uova  comuni» 
Una  donzella  ,  che  sa  la  storia  della  donna  im- 
pura ,  non  potea  parlare  diversamente ,  e  qui  il  sig, 

Ab.  G ha  ragione  .  Che  beli'  educazione  davano  gli 

Arconti  Ateniesi  alle  loro  figliuole  !  Che  bei  senti- 
menti !  Che  disinvoltura  !  Ma  stiamo  attenti  alla  in- 
nocente Argene  : 

Menippe,  a  cui  ti  strinse 
Il   nodo    maritai,  Menippe   deve 
Le  tue  voglie  appagar  ;  se  ingordo  ancora , 
Ancor  pago   non  sei , 
Va  da  colei ,    che   lusinghiera  in  viso 
Vende    pubblicamente   i  vezzi ,  e  il   riso  . 
f^h  !  via,   sorella     mia    cara,   calisi  il  sipario  di 
questo    indecente   teatro    da   te    encomiato ,  o  si  tra- 
sporti alle  Vaschette,  o  in  Trastevere,  che  io  pove- 
ra ,   ma  onorata  Antologìa  ,  benché  non  sia   ne  ver- 
ginella  .   ne  figlia  d'un  Arconte,  non  posso  più  sentir 
queste  cose  .  Impara ,  Efemer'de    mia  ,  a  non  fidarti 
di    chi    ti  fa  P  amico  ,  e  ti     tradisce  .  Impara   a  non 
fidarti  de'  libri  quantunque  stampati   colle  dovute  cau- 
tele e  sotto   i  tuoi  oc  hi  .  $ii  più  cauta  in  avvenire, 
se    no     m'   aspetterai    in    vano   a   tenerti     compagnia 
quel  sabbato  ,  che  una   volta  era   giorno  sì   lieto  per 
me,  e   ora  mi   fa  sempre    tremare.  A  certi  poeta- 
stri ,  che  alle  volte  vai  lodando  quasi  che  non   fosse 


)(     "5     )( 
abbastanza  profanato  il  Parnaso  Romano ,  dirai  quello 
di  Boileau  : 

Pourquoì  rìècrit-il  pas  en  prose  F 
Che  se  pur  volevi  lodare  il  sig.  abate  G....,  po- 
tevi far  piuttosto  vedere  a'  tuoi  leggitori  la  prodigio- 
sa facilità ,  che  egli  ha  a  scrivere  in  versi  ,  pregio 
che  bisogna  pure  accordargli .  Avresti  potuto  mostra- 
re ,  che  sino  nella  dedica  ,  che  egli  ha  fatto  in  pro- 
sa del  suo  Socrate  ad  una  rispettabile  dama ,  alla 
quale  io  domanderei  perdono  di  queste  mie  riflessio- 
ni ,  se  credessi ,  che  dovesse  vederle  ,  benché  non 
possano  offenderla  ,  avresti ,  dico  ,  potuto  rilevare 
questa  sua  inimitabili    prosa  armonica ,  per  esempio  : 

Volesse  il  culo 

Che  il  nome  stesso 

In  lui  giugnesse 

A  trasfondere 

Il  chiaro  lume 

Che  in  lei  ridonda 

Da'  suoi  grand'  avi, 

O  almen  que'  vezzi , 

Ch'ella  ebbe  in  dono 

Dalla  natura  . 

Ma  non  essendo 

Ciò  da  sperarsi, 

Io  lo  commetto  ec.  ec. 
Ed    avresti   potuto    dare   al  prosatore    Poeta  la 
bella  lode ,  che  dà  a  sestesso  Ovidio  : 


)(       12*      X 

Sponte  sua  nurneros  Carmen  veniebat  ad  apios  ; 
Et  auod  tentàbam  dicere ,  versus  erat  . 

E  questa  è  la  ricompensa,  che  conviene  all'an- 
fore dell'  Ambasciata ,  e  dei    Tempio  della  Follìa . 

Il  sig.  abate  G ha  gran  doni    dalla  natura,  e  su 

questi  puoi  lodarlo ,  ma  non  sui  drammi ,  mestiere 
troppo  incanto  dai  nostro  gran  Metastasio .  Orsù ,  fi- 
niscasi ,  cara  sorella ,  questo  pettegoleggiare ,  ed  e- 
mendati ,  se  vuoi  ,  che  duri  la  nostra  consorterìa . 
Dammi  la  mano ,  e  andiamo  a  sentire  per  Roma , 
secondo  il  solito  ,  i  lamenti  degli  Aristarchi . 

Dalla  stamperìa  di  Giovanni  Zempel  li  17 
giugno  1780. 

iJ  ANTOLOGIA. 


Risposta  delle  Effemeridi  letterarie  di 
Ro?na  alla  lettera  confidenziale  del- 
l'antologìa . 


Jljgli  è  un  beli'  ardire  il  tuo  di  trovare  a  ridire 
nella  condotta  della  tua  sorella  maggiore  ,  e  di  una 
sorella ,  a  cui  tanto  devi  é  Tu  dovresti  ben  ricordar- 
ti ,  Antologìa ,  che  tu  crescesti  alla  mia  ombra ,  che 
io  fui  quella  ,  che  ti  produssi ,  e  ti  feci  conoscere 
nel  mondo  letterario,  e  che  tu,  malgrado  le  tue  pre- 
tensioni ,  ed  i  tuoi  sforzi ,  non  potesti  mai  giugnere 
a  farti  quel  nome  ,  né  a  riscuotere  quegli  applausi  , 
che  io  acquistai  fin  da  principio  ,  e  che  spero  dà 
conservar  lungamente .  Io  voglio  però  perdonarti  que- 
sto tuo  giovanile  trascorso  ,  e  voglio  esser  persuasa  t 
che  tu  ti  sei  fatta  trasportare  dal  puro  zelo  de'  no- 
stri comuni  vantaggi  ,  e  deli'  onore  di  nostra  casa  , 
ìh  vero  che  trovando  tu  in  me  qualche  cosa  di  ri- 
prensibile ,  e  credendo  di  dovermene  assolutamente 
avvertire  ,  avresti  potuto  farlo  a  quattro  occhi ,  sen- 
za far  strepito  ,  e  divertire  il  pubblico  a  nostre  spe- 
se .  Ma  lungi  dal  rampognarti  su  di  questo  ,  io  ti 
vo'  anzi  ringraziare ,  perchè  tu  mi  apristi  così  il  cam* 
pò  a  poter  render  conto  al  pubblico  del  mio  ope- 
rato . 


X  i*8  )( 
Questo  pubblico ,  questa  beli  uà  multorum  ca- 
pitimi è  ben  difficile  a  contentare  .  Esce  appena  un 
libro  alla  luce  ,  che  ,  buono  ,  mediocre ,  o  cattivo  , 
eh'  ei  sia,  viene  innalzato  alle  stelle  da  una  metà  de' 
lettori  ,  e  Incerato  senza  compassione  dall'  altra .  Sa- 
rebbe difficile  impresa  il  citarne  un  solo  ,  a  cui  sia 
riuscito  di  riunir  tutti  i  voti .  Quinci  è ,  che  gli  uni 
con  impegno  te  lo  raccomandano ,  e  gli  altri  con 
non  minor  calore  vogliono ,  che  lo  condanni  alle 
fiamme .  Che  fare  in  queste  circostanze  ?  Per  il  quieto 
vivere  ,  e  per  iscansare  le  brighe  ,  ti  convien  pure 
cercare  ,  e  trovar  qualche  mezzo  termine  di  conten- 
tar gli  uni,  e  gli  altri.  Questo  prudenziale  stratagem- 
ma ti  si  rende  molto  più  necessario  ,  allorché  1'  Au- 
tore sta  in  Roma ,  e  che  i  suoi  amici  ,  e  nemici  ti 
stanno  continuamente  a  lato .  Necessarissimo  poi  si 
rende ,  allorché  si  tratta  di  poeti ,  poiché  tu  ben  sai , 
che  genus  irritabile  vatum  non  perdona  così  facil- 
mente .  Aggiugni  a  questo  ,  che  P  obbligo  ,  in  cui 
mi  son  messa  di  annunciare  un  libro  di  Roma  in 
ciascuno  de'  miei  fogli  ,  mi  costringe  a  far  uso  an- 
cora de'  cattivi  ;  poiché  spero  ,  che  tu  mi  accorde- 
rai volentieri ,  non  esser  possibile ,  che  escano  in  Ro- 
ma cinquanta,  e  più  buoni  libri  all'  anno.  Accorda- 
mi che  almeno  la  metà  debbano  esser  mediocri ,  o 
cattivi ,  e  tu  vedi  subito  ,  che  volendone  io  dir  fran- 
camente ciò,  che  ne  penso,  mi  farei  venti,  o  trenta 
capitali  nemici  all'  anno  ,    senza   contarvi  i  protettori 

degli 


)(    «9    )( 

degù  autori  ;    ciò    che   non    sarebbe    un    troppo  bel 
guadagno  certamente . 

Ma  tu  mi  dirai ,  che ,  avendomi  preso  P  assunto 
d' istruire  il  pubblico  sul  merito  ,  o  demerito  de'  li- 
bri nuovi  ,  deggio  metter  da  banda  tutti  questi  ri- 
guardi ,  e  che  1'  imparziale  bilancia  delia  verità  deve 
esser  P  unica  mia  guida  .  Bellissima  massima  ;  mas- 
sima veramente  eccellente ,  nobile  ,  e  grande  !  Ma 
il  fatto  sta ,  che  se  se  n'  eccettuino  le  verità  rileva- 
te,  e  le  geometriche ,  pochissime  volte  si  ha  la  sorte 
di  sapere  dove  questa  bella  verità  stia  di  casa  .  O- 
gnuno  vorrebbe  spacciare  per  vero  il  sistema  delle 
proprie  opinioni  ;  ed  intanto  la  bella  verità  se  ne  sta 
nascosta  nel  fondo  del  pozzo  di  Democrito  ,  dove 
anderà  a  cercarla  chi  ha  più  coraggio  di  me  ,  che 
io  certamente  non  me  la  sento  .  Aspettando  ,  che 
ne  esca  ,  ascolta  quali  sono  stati  ,  e  saranno  sempre 
i  miei  principi  nelP  estensione  de'  miei  fogli ,  e  quale 
sarà  P  invariabile  misura  di  lode,  e  di  biasimo,  che 
anderò  spargendo  su  i  libri,  che  mi  capiteranno  alle 
mani .  Nelle  scienze ,  purché  non  si  urtin  i  sacro- 
santi insegnamenti  del  Vangelo  ,  e  della  Chiesa  ,  o 
quelle  poche  verità  naturali ,  che  P  ostinato  studio  de* 
Filosofi  ha  messo  fuori  di  ogni  dubbio  ,  (  nel  qual 
caso  sarò  sempre  implacabile  ,  come  lo  sono  stata 
coli'  autor  dell'  Uomo  ,  del  Purgatorio  politico  ,  con 
quello  del  nuovo  sistema  fisico  ,  e  con  tanti  altri  ) 
farò  buon  viso  a  tutti,  e  senza  offender  la  verità,  ri- 
IV.  9 


X  i3o  )( 
sparmierò  1'  amor  proprio  di  tutti .  Similmente  nella 
poesia,  nell'eloquenza,  e  nelle  materie  di  bella,  ed 
amena  letteratura  ,  purché  si  rispettino  i  fondamen- 
tali principj  dei  buon  gusto  ,  non  sarò  così  crudele 
da  escluder  ,  come  Orazio  ,  ogni  sorta  di  mediocri- 
tà ,  ma  seguendo  piuttosto  quell'  altra  sua  più  uma- 
na massima  : 

.  .   .  ubi  fiuta   nittnt,   non  ego  paucis 

Offendar  macuìis  . 
non  sarò  mai  avara  dì  quelle  lodi  generali  ,  le  qua- 
li ,  mentre  contentan  gli  autori ,  non  fanno  poi  gran- 
de impressione  suìl*  animo  di  chi  le  legge  .  Il  letto- 
re intelligente  non  si  lascia  mai  ingannare  da  questi 
elogi  di  convenzione  ,  che  sono  ,  per  dir  così ,  co- 
llie i  complimenti  nella  società;  ma  mirando  più  ad- 
dentro bada  solo  all'  estratto  stesso  del  libro  ,  o  a 
qualche  saggio ,  che  gliesene  presenta ,  per  giudicar- 
ne sanamente  , 

Ma  tu  forse  pretenderai ,  che  io  siami  allonta- 
nata da  queste  savie  massime  nel  riferire  il  Socrate 
del  sig.  abate  Antonino  G.  .  .  .  E  perchè  ?  Perchè 
quel  dramma ,  mi  dirai ,  è  veramente  scellerato  ,  e 
tu  lo  hai  fatto  passare  per  eccellente .  Perdonami , 
Antologìa  mia  ,  se  ti  rispondo  ,  che  io  non  credo 
vero  né  1'  uno  né  V  altro  .  Non  ti  dirò  già  ,  che  due 
rinomati  letterati ,  i  quali  sono  al  tempo  stesso  due 
de'  più  celebri  poeti  del  Romano  Parnaso  ,  nel  far- 
ne T  approvazione  ,  ne  han  detto  molto  maggior  bé- 


X  i3i  )( 
ne  di  me ,  e  che  il  primo  di  essi  rispettabile  egual- 
mente per  i  suoi  lumi,  che  per  il  suo  impiego,  non 
ha  avuto  difficoltà  di  chiamare  P  Autore  un  fortu- 
nato seguace  della  musa  di  Artino ,  vale  a  dire  del 
gran  Metastasio  .  Ti  dirò  solo  ,  che  1'  Stessa  sedi- 
zione poetica  ,  che  gli  si  è  mossa  contro  ,  mi  prova 
abbastanza  ,  che  quel  disgraziato  dramma  debba  nel 
fondo  valer  qualche  cosa  .  Non  si  parla  mai  tanto  di 
ciò  ,  che  si  disprezza  ,  o  merita  di  essere  disprez- 
zato . 

Ma  risulta  poi  veramente  dal  mio  articolo,  che 
il  Socrate  sia  un  capo  d'  opera  dell'  arte  drammati- 
ca, come  tu  vuoi  assolutamente  farmi  dire?  Io  posso 
assicurarti,  che  la  mia  intenzione  è  stata  di  dire  tut- 
l'  altro  ;  e  so  che  mi,  hanno  ben  capito  i  lettori  for- 
niti di  buon  naso  ,  e  solo  han  menato  rumore  su  di 
quegP  articoli  certuni  prevenuti  contro  P  autore  ,  fra 
i  quali  mi  dispiace  di  vedere  ancor  te  ,  e  che  non 
han  potuto  sopportare  di  vedere  accompagnato  il  si- 
gnor  abate  G.  .  .  .  neppure  da  una  vana  ombra  di 
lode .  A  buon  conto  egli  è  certo  ,  che  io  ho  detto , 
che  il  signor  ab.  G.  ...  si  è  ingannato  nella  scelta 
dell'  argomento  .  DifTatti ,  dopo  di  aver  detto  ,  che 
forse  potrà  recar  meraviglia ,  che  un  argomento ,  il 
^uale  SEMBRA  A  PRIMO  ASPETTO  così  fa- 
vorevole alla  scena  f  non  sia  stato  sinora  maneg- 
giato da  veruno  scrittore  drammatico  ,  soggiungo 
immediatamente  :  Forse  che  si  è  temuto  ,   E  NON 


)(    i3*    )( 

SENZA  FONDAMENTO,  che  un  argomento, 
quantunque  grande ,  e  sublime  in  se  stesso ,  non 
fosse  interamente  adattato  alla  scena .  Tu  vedi  be- 
ne ,  che  1'  errore  nella  scelta  del  soggetto  ,  che  io 
rimprovero  assai  chiaramente  al  sig.  ab.  G.  .  .  ,  non 
è  un  error  così  lieve  .  Un  altro  difetto  niente  meno 
sostanziale  io  rilevo  poco  dopo  in  queir  amore  epi- 
sodico di  Argene ,  e  di  Menesseuo  ,  dicendo  con  un 
gran  maestro  della  tragedia  Francese  ,  che  se  1'  a- 
more  non  signoreggia  sul  teatro ,  non  può  in  verun 
conto  interessare  .  Conchiudo  poi  il  mio  articolo, 
annunciando  al  sig.  ab.  G.  ...  la  grata  nuova ,  che 
il  suo  Socrate  non  anderà  mai  sul  teatro,  e  solo  per 
indorargli  la  pillola  ,  lo  vado  consolando  colla  lusin- 
ga de'  segreti  applausi ,  che  gli  daranno  i  filosofi ,  e 
le  anime  sensibili  ne'  lor  gabinetti . 

Or  dimmi  in  grazia,  sorella  carissima  ,  se  ti 
par  che  sia  poco  il  dire  di  un  dramma  ,  che  1'  ar- 
gomento è  stato  scelto  male ,  che  P  Autore  si  è  stu- 
diato in  vano  di  racconciarlo ,  e  che  il  teatro  non 
lo  vedrà  mai .  Questo  è  ben  altro  ,  che  far  V  analisi 
di  una  scena  ,  come  hai  fatto  tw,  con  somma  gra- 
zia ,  è  vero ,  ma  un  poco  maliziosamente .  E  in  quale 
de'  migliori  drammi  non  si  potrebbe  trovare  qual- 
che scena  da  criticare  ?  Ma  tu  pretendi ,  che  quella 
prima  scena  del  Socrate  sia  la  men  cattiva  del  li- 
bro s  e  quasi  vorresti  dire ,  dopo  aver  terminato  il 
minuto  processo ,  che  le  hai  fatto  : 


)(     i33    )( 

,«..  Et  crimine  ab  uno 

Disce  omnes  . 
Ma  qui  appunto  è  dove  io  ti  trovo  un  poco  mali- 
ziosetta  anzi  che  no  ,  poiché  tu  ben  sai  ,  che  fuori 
di  quella  scena  ,  la  di  cui  indecenza  mi  saltò  subito 
agli  occhi,  egualmente  che  a  te,  non  si  sono  sapute 
rilevare ,  se  non  pochissime  altre  coserelle  in  quel 
dramma . 

Conchiudasi  adunque ,  che  io  tanto  arrossisco 
degli  elogi  da  me  fatti  al  sig.  ab.  G.  .  .  ,  quanto  ar- 
rossirei di  un  Servidore  umilissimo  ,  di  un  Bacio  le 
mani  a  V.  S.  ,  o  di  tale  altro  complimento  ,  con 
cui  1*  avessi  salutato ,  incontrandolo  per  la  via .  A 
dirti  il  vero  ,  vorrei  ancor  io  poter  dir  ciò  ,  che 
penso  un  po'  più  apertamente  ;  ma  torno  a  ripeter- 
ti ,  che  oltre  la  verità  amo  ancor  la  mia  pace  5 
e  che  piacerammi  sempre  un  mezzo  termine  ,  che 
possa  farmi  conciliar  1'  una ,  e  1'  altra  .  Tu  hai  un 
bei  dire ,  e  dar  consigli  ;  tu  non  t' imbarazzi  di  que- 
sto .  Una  nuova  esperienza,  un  Fenomeno  ,  un  A- 
neddoto ,  un  Premio  Accademico ,  un  Avviso  Li- 
brario ec.  non  possono  offender  veruno  ;  e  chi  non 
ti  vuol  leggere,  ti  lascia  stare.  L'unico  scoglio,  in 
cui  tu  puoi  urtare ,  si  è  quello  degli  Elogi  ;  e  di  fatti 
di  questi  tuoi  Elogi  non  tutti  si  mostrano  egual- 
mente soddisfatti .  Puoi  vedere  da  te  stessa  ciò ,  che 
recentemente  ne  abbia  detto  nelP  Introduzione  alla 
ristampa  delle  sue  opere  un  dotto,  ed  elegante  Scrìt- 


)(  i34  K 
tore  ,  il  sìg.  ab.  Saverio  Bettinelli  .  Ma  io  non  vo-, 
glio  esser  la  tua  delatrice  al  pubblico ,  come  tu  Io 
sei  stata  verso  di  me  ;  e  mi  farò  sempre  un  sacro 
dovere  di  sostenerti  dappertutto  con  quella  sincera 
fraterna  cordialità ,  con  cui  mi  dico 

Dalla    stamperìa    di   Giovanni  Zempel  li  ^4 
giugno   1 780. 

Affezionatissima  Sorella 
V  EFEMERIDE  LETTERARIA  DI  ROMA. 


Sentenza  definitiva  di  .Apollo    sulle    con- 
troversie   insorte    neW  anno    scorso   fra 

l'  Efemeride  ,  e  Politologìa  . 


NOI  APOLLO  FIGLIUOLO  DI  GIOVE, 
E  DI  LATONA 

Signore  di  Parnaso  ,  di  Aganippe  ,  di  'Elicona  , 
di  Delfo  ,  di  Deh ,  di  Cirra ,  di  Tenedo  ,  di 
Patarea  ec.  ,  Padre  delle  nove  Muse  ,  Saetta- 
tore  del  mostro  Pitone ,  Despota  di  tutte  le 
Provincie  Letterarie  Cìtra  ,  ed  Ultra  ,  Amico 
de1  buoni  Poeti ,  Nimico  de  Cattivi  ,  Padrone 
assoluto  degli  Arcadi ,  dei  Quirini ,  degV  In- 
fecondi ,  de'  Prolifici  ,  dei  Forti,  dei  Deboli, 
dei  Rozzi ,  degli  Affinati  ,  degli  ardenti  9 
dei  Gelati,    dei  Grossi ,   dei  Sottili  ec,  ec.  ec, 

XL/SSENDOCI  stato  riferito  essere  recentemente  in- 
sorto qualche  dissapore  fra  le  Efemeridi ,  e  V  Anto- 
logìa Romana  a  cagione  di  certo  turibolo ,  e  d'  in- 
censi ,  dopo  avere  sentito  il  parere  delie  nostre  no- 
ve figliuole ,  nimiche  anch'  esse  dei  profumi ,  e  quello 
del  loro  Cancelliere  ,    nostro  amico  ,    e  leale  Consi- 


)(  i36  )( 
gliere  Orazio  Fiacco ,-  siamo  venuti  in  determinazione 
di  ordinare  come  di  nostro  pieno  potere  ordiniamo 
ai  suddetti  due  fogli  di  obbedire  alle  seguenti  leggi 
sotto  pena  della  nostra  sovrana  indignazione ,  e  d'  al- 
tre punizioni  pecuniarie  ad  arbitrìum  etc. 
ALLE     EFEMERJDI . 

i.  Desistano  dall'  impegno  di  mettere  ostinata- 
mente ogni  sabbato  una  data  di  Roma  ,  perchè  non 
v'  è  città  al  mondo  ,  massime  ai  nostri  giorni ,  la  quale 
pubblichi  ogni  settimana  un  libro  degno  di  particolar 
menzione  . 

i.  Lascino  al  Crachas ,  o  agli  annali  ecclesiastici  di 
Firenze  la  cura  di  riferire  le  tesi ,  i  panegirici ,  le 
scritture  legali ,  i  limar j ,  le  novene  ec. 

3.  Si  lodino  i  libri  buoni ,  e  si  disapprovino 
modestamente  gì*  insulsi ,  perchè  non  è  permesso 
V  ingannare  nessuno ,  massime  quelli  ,  che  onorata- 
mente pagano  il  loro  danaro  per  sapere  la  verità  . 
Il  quieto  vivere  è  scusa  peggiore  del  male  in  un 
Giornalista  . 

4-  Dì  libri  poetici  si  parli  meno  ,  che  sia  pos- 
sibile ,  essendo  rarissimi  i  buoni .  Quando  però  ne  do- 
vranno parlare ,  stendano  gli  articoli  coloro ,  che  han- 
no l'anima  armonica,  e  poetica,  e  così  non  si  sce- 
glieranno più  per  saggio  i  luoghi  deboli  ,  o  me- 
schini . 

5.  Sia  loro  permesso  solamente  il  dissimulare  i 
difetti  dei  libri  di  quegli  autori ,  che  possono  perse- 


)(  i37  )( 
guitarie  ,  purché  questi  non  contengano  cose  contra- 
rie al  vero  ,  ed  al  buon  costume  .  Solca  dire  pru- 
dentemente Pollione  ,  che  non  bisogna  mai  scrivere 
contro  chi  puh  proscrivere.  In  quel  caso  abbiano 
però  per  loro  tacita  discolpa  la  cura  di  mettere  il 
nome  dell'  autore  *tìel  libro  ancora ,  che  fosse  ano- 
nimo . 

6.  Non  mettano  mai  gli  estratti ,  che  gli  autori 
alle  volte  mandano  de'  loro  proprj  scritti ,  o  se  li  vo- 
gliono mettere  ,  avvisino  ,  che  1'  autore  cortesemente 
ha  loro  voluto  risparmiare  questa  fatica . 

7.  Non  diano  mai  1'  estratto  del  medesimo  li- 
bro due  volte ,  massime  se  in  uno  lo  lodino ,  e  nel- 
l'altro  Io  disapprovino  . 

8.  Non  parlare  più  né  in  bene  ,  né  in  male  dei 
Socrate  del  sig.  abate  G.  .  .  .  ,  finché  non  si  è  fis- 
sato in  Parnaso  in  qual  classe  di  poesia  egli  debba 
essere  posto  .  Si  parli  solo  ad  libitum  del  Mar 
grande  del  nostro  diletto  alunno  1'  abate  Sperandlo  , 
che  abbiamo  saputo  essere  attualmente  nel  buco  per 

uscire  alla  luce  . 

•f 

9.  Non  rispondano  mai  a  nessuna  critica,  se  non 
dopo  averne  impetrata  da  noi  permissione  in  iscrit- 
to .  Il  pubblico,  e  non  le  parti  devono  essere  5  gui- 
dici delle  dispute  letterarie  . 


K    i33    ) 

ALL'  ANTOLOGIA  ì 

i.  Noti  riferisca  più,  che  con  molta  ponderazió- 
ne gli  Aneddoti ,  che  si  trovano  in  certi  libri  Fran- 
cesi ,  perchè  per  lo  più  non  v'  è^nienle  di  vero  . 

a.  Non  s'  impegni  mai  a  descrivere  macchine  , 
perchè  non  potendo  corroborare  la  descrizione  con 
figure ,  P  Antologìa  allora  diventa  oscurissima  ,  anzi 
inintelligibile .  Chi  la  compra  Vuoi  capire  quello  che 
legge  . 

3.  Quando  gli  articoli ,  che  sono  mandati  ,  so- 
no troppo  lunghi ,  si  abbrevino  per  amputati  onera  af- 
fine di  non  anno j are  chi  paga  i  suoi  quattrini  per 
divertirsi .  L'  Antologìa  imiti  Procuste  ,  ma  tagliando 
piuttosto  il  troppo  lungo  ,  che  stirando  il  troppo 
corto  * 

4.  Malgrado  certe  crìtiche  non  si  ributti  dal 
dare  di  tempo  in  tempo  gli  Elogi  dei  letterati  ben- 
ché poco  noti ,  purché  il  iodato  lo  meriti .  Questi  ap- 
punto sono  quelli  ,  che  più  degli  altri  hanno  biso- 
gno d'  essere  conosciuti .  Plinio  il  giovane  dice ,  che 
carminum  exigua  est  grafia ,  ni  si  sunt  optima  ; 
historia  quoque  modo    scripta    delectat . 

5.  Abbiano  gran  cura  amendue  i  fogli  di  scri- 
vere bene  la  lingua  Italiana ,  e  solo  si  perdonerà  lo- 
ro qualche  inevitabile ,  o  grazioso  francesismo  quan- 
do contribuisca  alla  chiarezza ,    come   si  perdonano , 


)(    i39    )C 
anzi  si  lodano  in  Cicerone  -,    in  Virgilio ,   in   Orazio 
tanti  bellissimi  grecismi . 

6.  Si  avvertano  i  compositori  tipografici  dello 
Zempel  a  non  ardire  di  mettere  mai  in  questi  fogli 
avressimo  per  avremmo  ,  parlassimo  per  parlam- 
mo y  Jalzò  per  falso  ,  lui  per  egli ,  ed  altre  simili 
gentilezze ,  perchè  i  leggitori  potrebbero  ben  crederle 
ingiustamente  barbarismi  degli  estensori . 

Tanto  comandiamo  di  nostro  pieno  potere ,  e 
noi  non  siamo  soliti  a  comandare  ,  che  per  essere 
obbediti . 

Dalla  nostra  residenza  li  20  luglio  1780. 

APOLLO , 

Orazio  Fiacco  Cancelliere. 


ARTICOLI 


DI 


VARIO    GENERE. 


Pitture  antiche  trovate  nella  Vigna  Lau- 
reti a  S.  Pietro  in  Vincola  . 


N< 


on  è  sempre  per  le  rovine  ,  che  si  distruggono 
gli  antichi  monumenti  ;  anzi  questa  volta  sono  elleno 
state  le  benefiche  conservatrici  di  molte  eleganti  Pit- 
ture nell'  antico  Palazzo  ,  o  sia  nelle  Terme ,  che  in 
Ptoma  appartenevano  all'  Imperiale  Famiglia  Flavia  . 
Sappiasi  adunque  dagli  amatori  delle  belle  Arti,  che 
da  poco  in  qua  si  sono  aperte  nella  Vigna  Laureti 
vicina  a  s.  Pietro  in  Vincola  alcune  Camere  quasi 
che  sotterranee,  parte  dipinte  a  figure,  parte  a  grot- 
teschi ,  state  finora  ripiene  di  terra,  e  di  rottami  . 
Quattro  sono  le  stanze ,  ove  si  è  entrato  ,  ma  ve  ne 
sono  dell'  altre ,  che  sono  tuttavia  da  scoprire  .  La 
loro  figura  è  quadrilatera  ,  e  le  volte  sono  a  botte  • 
La  prima  ha  il  fondo  nero  ,  giallo  lo  ha  la  secon- 
da ,  rosso  la  terza ,  e  la  quarta  bianco  .  La  pittura  * 
che  è  sopra  questi  fondi ,  orna  le  volte  egualmente 
che  le  pareti  .  Nella  terza  stanza  vi  è  in  mezzo  ad 
ima  facciata  un  gran  nicchione  che  non  sapremmo 
dire  se  abbia  servito  per  qualche  bagno  domestico  , 
o  per  una  grande  Statua  ,  delle  quali  sappiamo  che 
questo  imperiale  soggiorno  era  ornato.  Fu  in  un  si- 


)(    i44    )( 

miie  nicchio,  che  due  e  più  secoli  fa  si  trovò  in  al- 
tra parte  di  questo  medesimo  edilìzio  il  Laooconte  di 
Belvedere,  come  ce  ne  aveva  prevenuto  Plinio.  La 
pittura  èà  questo  nicchione  è  ombreggiata  qua  e  là 
d'  oro  in  modo  assai  galante  ,  ed  ha  nel  mezzo  un 
picco!  riquadro  con  una  Venerina  giacente .  Non 
mancano  in  alcuni  luoghi  degli  scudetti  di  stucco  , 
che  a  guisa  di  leggerissimi  cammei  interrompono  la 
superficialità  della  pittura  ,  dando  con  ciò  al  totale 
molta  vaghezza ,  e  venustà  .  Fu  senza  dubbio  da 
queste  stanze  che  Raffaele  ed  il  suo  elegante  disce- 
polo ornatista  Giovanni  da  Udine  presero  l' idea ,  con 
cui  per  comando  di  Leone  X.  ornarono  i  magnifici 
porticati  del  Vaticano  .  Che  fossero  appunto  queste 
Camere ,  si  deduce ,  primo  perchè  l'Architetto  Brenna 
che  le  disegna ,  ci  ha  assicurato  avere  trovati  sui  muri 
varj  nomi  grafiti  di  carattere  del  XVI.  secolo ,  se- 
condariamente un  Autore  poco  posteriore  a  Raffaele 
ci -dice  che  in  questo  luogo  si  scopersero  allora  al- 
cune camere  piene  di  compartimenti ,  di  stucchi  sot- 
tili ,  e  di  pitture  con  sì  diverse  bizzarrie  ,  ed  in 
copia  tanta,  e  sì  bene  intese ,  che  tutta  Homa  vi 
concorse .  Lo  stesso  dice  il  Vasari  nella  vita  di  Gio- 
vanni da  Udine  .  Grotte  furono  dai  Romani  chia- 
mate queste  camere  ,  e  grottesco  quello  stile,  che 
nacque  dalla  loro  imitazione .  Sia  detto  di  passaggio, 
che  i  moderni  Francesi  dimenticatisi  deli'  origine  dì 
quest'  espressione  1'  hanno  per  loro  cortesia  ,  e  con- 
forme 


(orme  al  solito  contorta,  e  ridotta  fino  al  significai© 
di  buffonesco  .    Ballo  grottesco  ,    Musica  grottesca  , 
Lettera ,  o  Cena  grottesca  ec.  si  dice  a  Parigi  quan- 
do vuoisi  dare  un'  aria  di  ridicolo  .   Varj  rumori  so- 
no nati  in  quest'  occasione  fra  gli    artefici  in  Roma  . 
Dicono  alcuni ,  che  Raffaele  facesse  nuovamente  chiu- 
dere queste  grotte  dopo    averle  vedute  ,  perchè    non 
si  scoprisse  la  sorgente ,  da  cui  avea  preso  quel  bello 
stile  d'  ornati.  Ma  questo  divino  artefice,  che  ad  un 
sapere  infinito  accozzava  una  singolare  onoratezza ,  non 
avea  bisogno  di  simili  ignobili  ripieghi  per  farsi    va- 
lere .    Sarebbe  stato  anzi  suo  interesse  che  si  vedes- 
sero ,    perchè    gli    ornati  del  Vaticano  sono  infinita- 
mente superiori  a  questi  ,  lo  che  sia  detto  senza  of- 
fendere coloro  ,    i    quali  non  hanno  occhio  ammira- 
tore che  per  le  anticaglie .  Altra  disputa  pure  ,    cioè 
se  sieno  esse  una  pertinenza  delle  Terme    di    Tito  , 
o  del  Palazzo  Flavio  che  da  esse  non  era  molto  di- 
stante.  Le  Terme ,  dicono  i  primi,  erano  frequentate 
da  migliaja  di  persone  del  volgo ,  le  quali,  come  og- 
gi giorno  succede ,  avranno  sporcato  ogni  muro ,  ogni 
parete  ,  intanto  che  queste    (  dal  danno  in  poi  degli 
anni  )  sono  intatte  .  Simili  pitture  minute  convengo- 
no più  ad  appartamenti  nobili  ,    che    ad    un    edilizio 
pubblicamente  aperto ,  e  frequentato  dal  popolo .  De- 
cidasi per  quale  delle  due  opinioni  a  lui  piace  il  no- 
stro erudito  leggitore  .    Altri    domandano  donde  na- 
sca ,    che    queste   camere    non    hanno ,    né  potevano 
IV.  io 


)(     i$6    )( 

*vere  alcuna  finestra  che  ìe  rischiarasse  .  VJ  è  stat® 
fino  taluno ,  il  quale  ha  francamente  asserito  che  gli 
antichi  non  praticavano  finestre  ne'  loro  edifizj  .  Chi 
crederebbe  ,  che  simili  delirj  potessero  nascere  ir* 
menti  sane  ?  Aveano  finestre  come  noi  gli  antichi  , 
le  aveano  coi  vetri ,  o  colla  pietra  specolare  per  non 
essere  esposti  all'  aria  esterna ,  e  le  chiudevano  collo 
sportello  probabilmente  dì  tavola  quando  volevano 
essere  all'  oscuro  .  Pars  adaperta  fuit ,  pars  altera 
clausa  Jenestrae ,  dice  Ovidio  .  Gli  antichi ,  come  noi 
miseri  moderni ,  avevano  bisogno  di  vederci  per  fare 
le  loro  faccende.  Le  presenti  camere,  probabilmente 
per  un  eccesso  di  lusso ,  saranno  state  forse  destinate 
soltanto  ad  uso  notturno  ,  e  non  saranno  state  illu- 
minate che  colle  lucerle ,  delle  quali  si  sa  ,  che  uso 
grandissimo  facevano  gli  antichi  massime  i  più  opu- 
lenti .  Nel  giorno  v'  è  apparenza  che  avranno  abita- 
to nelle  parti  superiori  de'  loro  edifizi  ,  et  in  con- 
clavi lucido  *  come  dice  Celso  .  Oggidì  le  persone  co- 
mode hanno  appartamenti  da  estate  e  da  inverno  ; 
chi  sa  se  i  Magnati  antichi  non  avevano  apparta- 
menti per  la  notte,  ed  altri  pel  giorno  ?  Potrebbe 
dire  taluno ,  che  appunto  queste  camere  erano  oscu- 
re ,  perchè  destinate  a'  Bagni ,  e  quindi  far  uso  di 
quel  passo  di  Seneca,  ove  dice,  che  il  piccol  bagno 
di  Scipione  nella  sua  villa  di  Literno  era  oscuro  : 
Balneolum  angustimi  tenrbricosum  ;  ex  consuetudine 
antiqua  non  videbatur  majoribus  nostris  caldum  nisi 


H    47    >( 

obscarurn  .  Ma  notisi  che  Seneca  sembra  dire  avi  f 
che  questa  oscurità  non  era  più  in  uso  ne'  bagni  ai 
suo  tempo  ,  e  che  colà  non  si  tratta  di  Terme  pub- 
bliche ,  ma  di  un  piccolo  bagno  domestico  e  perso- 
nale .  Dopo  queste  riflessioni  creda  anche  in  ciò  il 
nostro  1  ettore  quello  che  più  gli  aggrada  .  Le  pit- 
ture ,  delle  quali  abbiamo  parlato ,  consistono  in  com- 
partimenti ornati  di  colonnette  ,  d'  uccelli ,  di  mean- 
dri ,  di  piccoli  riquadri  a  figurine ,  ma  il  tutto  di  uq. 
disegno  meschino  ,  e  dì  una  esecuzione  ,  che  di  po- 
co passa  il  mediocre  .  Nella  volta  della  terza  came- 
ra vi  è  nel  mezzo  un  gran  riquadro  con  pittura  a  fi- 
gure rappresentante  un  giovane  Bacco  circondato  da 
varie  Ninfe  ,  le  quali,  se  le  copie  che  ci  hanno  mo- 
strate ,  sono  fedeli  ,  non  pajono  mancare  di  venustà  : 
dico  le  copie,  perchè  l'originale  è  troppo  oscuro  per 
poterlo  esaminare  con  esattezza ,  ne  si  può  goder 
tutto  in  un  colpo  d'  occhio .  Prima  di  finire  questo 
articolo  siaci  lecito  il  far  qui  una  riflessione  forse  non 
venuta  in  mente  a  tutti .  Noi  siamo  persuasi ,  che 
gli  antichi  non  lasciavano  mai  vermi  muro  nudo  co- 
me oggidì  si  costuma  .  Ove  non  gì'  incrostavano  di 
marmi ,  o  di  stucchi ,  li  dipìngevano  ,  Dipinti  sono  i 
muri  esterni  del  Teatro  di  Ercolano ,  dipinte  dentro 
e  fuori  tutte  le  case  ,  e  dipinte  fino  le  porte  della 
città  di  Pompei  .  Vestigi  di  pittura  si  vedono  tuttavia 
nella  porta  della  distrutta  città  di  Pesto  o  sia  Possj- 
donia  nella  Lucania  da  noi  minutamente  esaminata  » 


)(  i48  )( 
Non  è  gran  tempo  che  si  è  fatto  scoprire  una  parte 
delle  atterrate  carceri  del  Circo  di  Caracalla  sulla 
Via  Appia  ,  e  vi  si  videro  segni  di  pittura ,  come 
manifesti  si  vedono  nella  volta  della  gran  porla  del 
Circo  medesimo  .  Dipinte  erano  fino  le  camere  mor- 
tuarie de'  sepolcri  ;  in  somma  tutte  le  antichità  ,  nelle 
quali  conservasi  V  intonaco,  conservano  anche  vestigi 
di  pittura .  Un  certo  sig.  Miri  Mercante  di  quadri 
è  quegli ,  che  ha  intrapresa  la  lodevole  fatica  di  pub- 
blicare le  pitture  di  queste  camere  in  rami  colorati . 
Ha  data  la  cura  di  disegnarle  all'  Architetto  Vincen- 
zo Brenna ,  e  quella  d*  inciderle  al  sig.  Marco  Car- 
loni  noto  per  altri  simili  rami ,  coi  quali  sono  già 
pubblicate  dieci  antiche  volte  sotterranee  .  L'  intra- 
presa certamente  non  può  essere  che  utile ,  e  dilet- 
tevole ,  ma  sul  luogo  '  abbiamo  veduto  che  il  dise- 
gnatore supplisce  di  sua  invenzione  a  ciò  che  il  tem- 
po ha  scrostato ,  o  cancellato  .  Sarebbe  desiderabile , 
che  1'  Editore  avvisasse  quali  sieno  i  supplementi  mo- 
derni per  soddisfazione  degli  amatori  della  bella  an- 
tichità .  In  ogni  caso  lo  faremo  noi  francamente  quan- 
do F  opera  sarà  uscita  ,  e  che  ne  renderemo  conto 
al  Pubblico  nelle  Efemeridi ,  o  neh"  Antologia .  Non 
ha  permesso  Apollo  che  al  dotto  Vannier  di  supplire 
con  maestà  antica  ai  versi  che  incompleti  avea  la- 
sciati nella   sua   Eneide   il   gran   Virgilio , 


R@paai 


Pezzi  varj  d'Antichità  ritrovati  in  Francia. 


Oe  mai  taluno  de'  nostri  leggitori  si  lagnasse ,  che 
per  noi  nelP  Antologìa  non  diasi  conto  ,  e  raggua- 
glio di  molte  belle  cose  antiche ,  le  quali  in  Roma , 
e  ne'  suoi  contorni  alla  giornata  ne*  varj  scavi  si  di- 
sotterrano ,  abbia  un  po'  di  pazienza,  e  ci  permetta 
qualche  maggior  dilazione ,  e  precauzione  ;  e  poi  si 
assicuri ,  che  non  mancheremo  di  arricchire  il  nostra 
foglio  di  cotali  curiosi  articoli  interessantissimi .  Ora 
intanto  gradiscano  essi ,  che  annunziamo  loro ,  che 
sendosi  spaccato  il  terreno  fra  iS.  Paolo  tre  Castel* 
li.  e  Claussaje  in  Francia  per  una  scossa  di  terre- 
moto li  16  Gennajo  del  1773  ,  trovati  furono  nello 
scavare  in  giro  due  pezzi  nobili  di  antichità ,  i  quali 
ora  esposti  si  vedono  a  Parigi  presso  il  Libra jo  Ruaulfc» 
11  primo  di  cotesti  pezzi  gli  è  una  statua  di  pollici 
18  di  altezza ,  di  candidissimo  ,  e  purgatissimo  ala-» 
bastro,  la  quale  a  prima  vista  pare  che  rappresenti 
una  Venere  poco  dissomigliante  da  quella  ,  che  am- 
mirasi nella  galleria  di  Firenze  ;  ma  un  cocodrillo  , 
che  giace  appiè  del  sasso  9  a  cui  si  appoggia  la  sta- 


)(  i5o  )( 
fc>aa ,  giustamente  fa  concepire  altra  idea .  La  testa 
•della  statua  è  ornata  -di  diadema  ;  la  posizione  ed  il 
sentimento 5  che  ne  risulta,  è  di  persona  mesta,  che 
soffre  ,  il  che  potrebbe  confermare  il  sospette  di  al- 
cuni e  dell'  egregio  Scultore  M.  Gaillard ,  che  qui 
fosse  rappresentata  la  sfortunata  Cleopatra  sotto  l'em- 
blema di  una  Venere  .  Il  sig.  Calvet  antiquario  di 
molto  merito ,  P  ha  battezzata  per  una  Rodope  ; 
noi  ne  aspettiamo  il  rame  con  impazienza  .  Il  se- 
condo pezzo  egli  è  un  vaso  del  Giappone  antichis- 
simo »   i   cui  caratteri   sono  ben  conservati . 


as 


Piramidi   d'  Egitto  ;   r 

J_JE  Piramidi  di  Egitto ,  eccettuati  alcuni  pochi 
monumenti  del  Nord ,  sono  le  opere  deli'  arte  umana 
le  più  vaste  ,  le  più  considerabili ,  e  le  più  sorprendenti . 
Elleno  sono  state  sovente  visitate,  e  descritte,  ma  offrono 
sempre  nuova  materia  di  riflessione  .  Sepolture  ,  mo- 
numenti ,  tempj  ?  abitazioni ,  geroglifici ,  magazzeni , 
tesori ,  osservatoj ,  gnomoni ,  fortezze  ,  argini  ;  tutti 
questi  usi  i  viaggiatori ,  e  gli  antiquari  hanno  asse- 
gnati a  codeste  moli  immense .  Gli  antichi  scrittori 
tutti  sonosi  fermati  nella  prima  di  queste  idee ,  egli- 
no hanno  considerato  le  Piramidi  come  altrettante 
tombe  dei  Faraoni,  e  questo  sentimento  è  stato  adot- 
tato dagli  Arabi  ;  ed  in  fatti  oltre  essere  il  più  na~ 
turale ,  è  anche  meno  esposto  alle  difficoltà  .  Non 
s'  incontrano  minori  ostacoli  nel  fissare  la  maniera  , 
onde  queste  Piramidi  sono  state  costruite  .  Sono  el- 
leno di  una  «stensione  così  vasta,  di  un'  altezza  cosi 
straordinaria ,  che  la  immaginazione  nostra  difficil- 
mente può  concepire  quello,  che  seppero  quegli  ar« 
tichi  eseguire  *  Come  si  sono  potute  caricare  masse 
di  pietre  così  enormi ,  come  elevarle  a  tanta  altez- 
za ,  alla  quale  innalzanti  questi  monumenti  della  gran* 
dezza  Egiziana?  Questo  è  un  problema,  che  si  pre-r 


)(   ite  )( 

senta  alia  prima  a  chiunque  abbia  gettato  uno  sguar- 
do fuggitivo  su  queste  piramidi  .  Moltissime  sono 
state  le  spiegazioni  di  questo  straordinario  fenomeno 
dell'  arte  .  Il  console  Maillet  nella  sua  descrizione 
dell'  Egitto ,  in  cui  ha  procurato  di  mettere  in  ordi- 
ne tutti  i  racconti  arabici  su  questo  soggetto  ,  e  di 
formarne  un  sistema ,  ha  somministrata  la  idea  pia 
semplice  del  meccanismo ,  con  cui  si  sono  potuti  inal- 
zare questi  monumenti .  Pretende  egli  che  la  faccia 
esterna  delle  piramidi  non  fu  fabbricata,  come  costu- 
masi nelle  piramidi  moderne ,  soprapponendo  gra- 
datamente un  suolo  all'  altro  ,  quasi  in  forma  di 
scala ,  ma  bensì  fu  immediatamente  inalzata  in  linea 
diritta  dal  suolo  sino  alla  sommità,  e  che  in  seguito 
le  pietre  interne  sono  state  applicate  lateralmente , 
e  per  sbieco  ,  onde  si  è  potuto  facilmente  spingere 
quelle ,   che    andavano    situate  in  alto . 

Il  Greaves  nella  sua  P *ir -amido grafia  ha  tenuta 
una  diversa  opinione  .  Questo  Antiquario  è  d'  idea  . 
cjie  durante  la  costruzione  delle  piramidi  mantene- 
é  vasi  una  apertura  orizzontale ,  nella  quale  introduce- 
vansi  le  pietre ,  come  si  fa  dei  pezzi  di  marmo  nel 
lavoro  delle  miniere  ;  quindi  per  mezzo  di  carruc- 
cole  ,  di  cunei  ,  e  di  leve  spingevansi  le  pietre  in- 
trodotte verso  quelle  parti  ,  alle  quali  erano  desti- 
nate .  In  questa  operazione  non  si  ritrova  impossi- 
bilità assoluta  ;  forse  anco  quegli  antichi  avevano 
bastante  cognizione  <lella  Meccanica  pratica  per  ese- 


)(  i53  X 
guirla  .  Ma  una  difficoltà  non  sì  può  spiegare  in 
questo  sistema  .  Imperciocché ,  fabbricata  la  pirami- 
de ,  come  si  sarebbe  potuta  colmare  l' apertura  ,  e 
fare  sparire  tutti  i  segni  di  questa  operazione  ,  che 
non  sonosi    ritrovati  in   alcuno  di  questi  edilìzi? 

Queste  sono  le  opinioni  dei  moderni  Antiqua- 
ri ,  ì  quali  hanno  parlato  in  seguito  dei  loro  siste- 
mi .  Ma  Erodoto ,  Diodoro  e  Plinio ,  i  quali  era- 
no forse  più  in  grado  di  sapere  la  verità ,  hanno 
date  idee  diverse  di  questa  operazione ,  quantunque 
neppure  essi  siano  di  accordo.  Erodoto  è  quello, 
che  racconta  essere  state  le  piramidi  fabbricate  a 
gradi ,  e  che  per  inaiare  le  pietre  servironsi  gli 
Egiziani  di  macchine ,  delle  quali  non  ne  dice  né 
come  fossero  costruite  ,  né  se  fossero  fissate  a  cia- 
scun grado ,  oppure  si  trasportassero  da  uno  all'  al- 
tro .  Il  sig.  Goguet  nel  celebre  Trattato  della  ori' 
gine  delle  Scienze,  e  delle  Arti  ha  procurato  d'im- 
maginare queste  macchine ,  e  di  darne  la  figura , 
che  rassomiglia  a  quella  macchina  ,  che  chiamasi 
Grue  .  Il  sig.  Pownall  in  una  dotta  sua  Disserta- 
zione sopra  un  Monumento  sepolcrale  d'  Irlanda 
assai  simile  alle  Piramidi  di  Egitto  ha  proposto  uh' 
altra  macchina,  il  principale  istrumento  della  quale 
è  il  Cuneo  ,  che  serve  a  sollevare  le  pietre  per 
gettarle  in  seguito  in  una  specie  di  spirale  ?  che 
serve  a  facilitarne  1'  avanzamento  . 

Diodoro ,  '  e  Plinio  hanno  indicata  una  maniera 


)(    x*4    X 

differente ,  con  cui  si  sono  potute  sollevare  queste 
Moli.  Si  facevano,  secondo  essi,  delle  Scarpe  simili 
a  quelle  delle  Fortezze  ,  e  si  conducevano  sopra  a 
queste  le  pietre  a  forza  di  braccia,  o  con  1'  ajuto 
cK  qualche  strumento  .  Quale  immenso  lavoro  per 
fabbricare  queste  Scarpe  ?  Ma  si  può  rispondere  , 
che  la  difficoltà  della  esecuzione  non  era  in  quei 
tempi  un  ostacolo ,  come  noi  ce  Io  supponiamo . 
Tutti  i  soccorsi  necessarj  non  dipendevano  che  dal 
cenno  di  quei  Sovrani  potentissimi  ,  i  quali  erano 
impegnati  nella  costruzione  di  questi   monumenti . 

Queste  sono  state  le  opinioni  principali  dei  mo- 
derni ,  e  degli  antichi .  Il  sig.  Meister  in  una  memo- 
ria letta  ultimamente  in  una  Assemblea  della  So- 
cietà Reale  delle  Scienze  di  Gottinga,  la  quale  non 
ha  veduta  la  luce,  propone  molte  sue  bellissime  ri- 
flessioni sopra  questo  argomento  .  La  sua  princi- 
pale cura  è  di  conciliare  i  sentimenti  degli  antichi 
con  quei  dei  moderni .  Combina  egli  ,  e  riunisce 
tutto  ciò  ,  che  nelle  esposizioni  di  Erodoto  ,  e  di 
Diodoro  avvi  di  compatibile  con  le  macchine  im- 
maginate dai  moderni .  Egli  adotta  in  particolare  la 
idea  delle  Scarpe  ;  ma  avvedutamente  le  cangia  in 
Jstrade  simili  a  quelle  intagliate  sul  vivo  delle  mon- 
tagne ,  le  quali  a  forma  di  spirale  vanno  girando 
intorno  .  E  per  dare  all'  aggetto  dei  gradi  ,  e  di 
queste  strade  spirali  la  convenevole  larghezza,  sup- 
pone ,  che  molte  nel  medesimo  sito  venivano  a  ter- 
minare ,   e  riunivano  nei  luoghi ,  nei  quali  dovevano 


)(     i55    )( 

passare  le  piò  grosse  pietre  .  Con  questo  sistema 
rende  facilmente  ragione  di  tatto  il  difficile  mecca- 
nismo di  queste  fabbriche  senza  avere  bisogno  di  ri- 
correre ad  istrumenti  gran  fatto  complicati  . 

A  questa  opinione  del  signor  Meister  se  ne  può 
aggiungere  anche  un'  altra  ,  che  non  esiste'  in  alcu- 
na opera.  Forse  le  Piramidi  egualmente  che  la  Sfin- 
ge, e  la  Statua  immensa  di  Meninone  erano  delle 
Torri  tagliate  nello  scoglio  vivo  ,  le  quali  lasciavansi 
nel  luogo  medesimo ,  ove  aveale  poste  la  natura  con 
le  modificazioni  aggiunte  dall'  arte  .  Questa  conget- 
tura riguardo  alla  seconda  Piramide  di  Egitto ,  è  ba- 
stantemente sicura  ;  anche  al  presente  si  vede ,  che 
lo  spazio  libero ,  che  dai  tre  lati  la  circonda ,  è  ope- 
ra dell'  arte .  D'  altra  parte  ancora  questa  opinione 
può  incontrare  difficoltà  gravissime  per  riguardo  par- 
ticolarmente alla  incrostazione  interna  dei  marmi  di 
grandezza  prodigiosa  ;  e  poi  con  essa  non  si  spiega 
la  costruzione  delle  piramidi  fabbricate  di  creta ,  e 
di  cementi ,  delle  quali  una  sicuramente  egualmente 
grande  ,  che  quelle  di  pietra ,  ne  esiste  .  Pare  adun- 
que ,  che  si  possa  assolutamente  tra  tutti  i  sistemi 
possibili  dare  il  vanto  a  quello  del  sig.  Meister  ?  il 
quale  ,  quantunque  richieda  forze  superiori  a  quelle 
che  noi  possiamo  immaginare  non  può  sembrare,- 
straordinario  a  chi  conosca  le  forze  di  quei  tempi  , 
nei  quali  sonosi  inalzati  i  monumenti  di  Babilonia , 
le  Piramidi  dell'  Egitto  ?  e  lo  Stone-Henghe  ài 
Scozia . 


Storia  ,  e  costumi  degli  abitanti 
della  Scozia  . 


N, 


EL  viaggio  fatto  ultimamente  in  Iscozia  ,  e  nelle 
isole  Ebride  da  M.  Pennant  vi  è  una  relazione  dei 
costumi  degli  abitatori  della  Scozia  ,  la  quale  merita 
di  essere  veramente  esaminata  .  Non  vi  ha  esempio 
di  alcun  paese  ,  il  quale  abbia  provato  un  cangia- 
mento così  repentino  di  costumi ,  come  quello ,  che 
si  vede  in  poco  tempo  succeduto  nella  vasta  esten- 
sione ,  che  separa  Arnisdaie  ,  e  Lochnaes  in  Iseo- 
zia.  Si  è  sparsa  la  coltura,  e  F  incivilimento  da  tut- 
te le  parti  in  tanto  che  trenta  anni  addietro  tutto 
questo  paese  non  era  ,  che  un  asilo  di  ladri  della 
più  rara  specie.  L'  arte  del  rubare  era  presso  loro 
ridotta  ad  un  sistema  regolare  ,  ed  una  politica  la 
più  fina,  e  la  più  destra  li  dirigeva  nelle  loro  escur- 
sioni ,  e  nelle  loro  prede .  Lungi  dal  considerare  que- 
sti delitti  come  una  violazione  delie  leggi  della  na- 
tura ,  eglino  li  riguardavano  come  imprese  gloriose  , 
che  la  loro  situazione  ,  ed  i  loro  bisogni  rendevano 
necessarie  ;  e  quando  essi  formavano  i  loro  com- 
plotti per  qualche  spedizione  contro  i  loro  vicini  , 
imploravano  F  ajuto  del  Cielo  con  un  fervore ,  ed 
una  compunzione  di  cuore,  come  se  si  fossero  ac- 
cinti alla  più  religiosa ,  ed  alia  più  virtuosa  azione . 


)(     i57     )C 
Questa  era   la  forinola   della  preghiera  ,    che    recita- 
vano unitamente  in  Coro  colla  più  tenera  devozione, 
ailor  quando  si  preparavano  a  depredare ,   e  ad  as- 
sassinare i   loro  prossimi ,  ed  i  loro  vicini  :  Signore , 
mettete  sossopra  la  terra,  acciocché  i  vostri  Cristiani 
passino  trovare  del  pane  :  Così  essi  avevano  tradotta 
la    seconda  parte   del   Pater  noster .    Erano   per  al- 
tro eglino  religiosissimi  nei  loro   giuramenti .   Ma  in 
una  truppa  sì  fatta   di  banditi  guidati  non  dalla   re- 
ligione ,  ma  dalla   superstizione    capricciosa ,    ciascu- 
no    si    formava    un    oggetto     particolare     di    culto  . 
Quegli ,  giurando  sul  suo  Dirk ,  temeva   i   più  terribili 
castighi  dal  Cielo  ,  quando  non  si  sarebbe    fatto   al- 
cuno scrupolo   di   spergiurare  sulle  sacre  carte  ;  l'al- 
tro giurava  per  il  suo  Signore  ;  un  terzo  per  il  Cro- 
cifisso ,  ec.  Bisognava   in   somma   conoscere    in  par- 
ticolare   P  oggetto  della   venerazione   di   ciascuno  in- 
dividuo  per  potersi  fidare  dei   loro  giuramenti  . 

U  ospitalità  era  presso  questi  ladri  in  grandis- 
simo pregio  ,  ed  in  questo  rassomigliavansi  esatta- 
mente agli  Arabi  erranti .  Si  facevano  un  punto  di 
onore ,  e  di  religione  nel  trattare  i  loro  ospiti ,  da 
qualunque  parte  del  Mondo  venissero,  con  la  più 
grande  umanità  senza  tradire  giammai  la  fiducia  di 
chi  presso  loro  si  ritirava.  Ne  sia  testimonio  il  se- 
guente fatto .  Quando  il  figlio  di  Giacomo  III.  an- 
dò in  Iscozia  due  celebri  ladri  chiamati  Kennecdj 
lo   presero   sotto   la    loro  protezione ,    e   quantunque 


a  X  J-58  )( 
la  testa  del  loro  ospite  fosse  messa  ad  un  prezza 
strabocchevolissimo,  non  ostante  gli  furono  sempre  fe- 
deli, esponendosi  ancora  per  lui  ai  più  grandi  perico- 
li .  Spesse  volte  si  esposero  a  rubare  per  procurare 
al  loro  protetto  la  sussistenza ,  ed  in  una  occasione , 
in  cui  egli  abbisognava  di  biancheria,  si  ardirono  di 
togliere  il  Bagaglio  ad  un  OfEziale  maggiore ,  e 
spesse  volte  ebbero  1'  ardire  di  andare  in  mezzo  ai 
nemici  travestiti  alla  città  d' Inverness  per  comprar- 
gli le  previsioni .  Non  ostante  poco  tempo  dopo  uno 
di  questi  così  fedeli  ,  e  così  valorosi  Campioni  , 
che  aveva  avuto  il  coraggio  di  resistere  alla  tenta- 
zione di  un  tradinient®  ,  che  gli  sarebbe  valuto 
trenta  mila  lire  sterline ,  ossia  cento  venti  mila  scudi , 
fu  impiccato  per  il  furto  di  una  Vacca ,  che  poteva 
costare  una  ventina  di  scudi .  Chi  può  spiegare  r  in- 
costanza de^li  uomini  nelle  loro  massime  ,  e  nei  lo- 
ro capricci  ? 

Questi  ladri  formavano  società  ,  avevano  capi , 
giudici ,  leggi  .  Il  più  gran  delitto  tra  loro  era  di 
mancarsi  reciprocamente  di  fede  .  Il  reo  era  giudica- 
to sul  fatto  ,  ed  un  tale  delitto  non  gli  costava  me- 
no che  la  perdita  della  testa  .  I  loro  giudizj  civili 
avevano  una  forma  mollo  esecutiva  .  Se  il  debitore 
non  pagava  ,  era  lecito  al  creditore  di  rubargli  tanti 
capi  di  bestiami  (  queste  erano  le  loro  possessioni), 
che  avessero  agguagliato  il  credito ,  purché  ne  dasse 
P  a^eg\ia  con  promessa  di  restituirgli  quando  fosse 
■-seguito  il  pagamento  .    Queste  società    di   ladri ,  che 


)(  i'59  )( 
infestavano  la  Scozia,  sì  rendevano  formidabili  a 
tutta  la  Provincia ,  ed  anche  a  tutto  il  regno . 
Nel  secolo  passato  tra  questi  corsari  di  terra  vi 
fu  un  certo  Ewin  Gameron,  il  quale  ebbe  P  ar- 
dire di  resistere  lungamente  al  potere  di  Crom- 
wel .  Mac  Gregor  ,  che  fu  chiamato  il  re  de'  ladri , 
fece  prodezze  grandissime  .  11  duca  di  Montrosa  era 
per  disgrazia  suo  vicino .  Per  quanto  si  adoperasse 
presso  la  corte  non  potè  giammai  impedire  le  vio- 
lenze di  questo  ladro .  Egli  per  risparmiare  ai  duca 
la  pena  di  riscuotere  le  sue  entrate  ,  le  esigeva  per 
forza  dai  di  lui  debitori ,  e  se  le  appropriava .  Per 
altro  aveva  dei  grandi  protettori  ,  ai  quali  giovava 
molto  lo  spirito  intraprendente  ,  ed  ardito  di  costui , 
Egli  faceasi  chiamale  il  difensore  delle  vedove ,  e 
degli  orfani .  L'  ultimo  che  si  distinse  tra  questi  eroi , 
fu  il  famoso  Barisoal ,  perfezionò  egli  la  sua  arte  , 
e  V  arricchì  di  nuove  invenzioni  .  Mentre  non  vivea 
di  altro,  che  di  prede  tolte  ai  vicini,  era  così  ripieno 
di  stima  per  se  stesso ,  che  voleva  essere  chiamato 
il  benefattore  del  genere  umano  ,  ed  il  conservato- 
te  della  pubblica  tranquillità  .  Aveva  fatto  scrivere 
sulla  lama  della  sua  spada  per  divisa  questi  versi  di 
Virgilio  : 

TIce  tibi  erunt  artes  pacis  componere  mores . 

Parcere  subjectis  ,  et  debellare  superbos  . 
Egli  poteva  avere   diritto  a  questo    titolo    quanto  ne 
aveva  un  Cesare  ,    un  Alessandro  Magno  ,    un  Car- 


Storia    di    un    Selvaggio    ritrovato    nelle 
vicinanze  d'^4sti  in  Piemonte . 


Ol  divertivano  a  caccia  nelle  vicinanze  della  Città 
d'  Asti  in  Piemonte  due  particolari ,  e  scorgendo  fra 
la  macchie  una  specie  di  animale ,  che  strascinavasi 
su  quattro  gambe ,  senza  ben  distinguerne  la  figura , 
e  la  forma  ,  già  preparavansi  a  scaricarci  sopra  lo 
schioppo  .  Uno  de'  due  l'  osservò  meglio  ,  e  egli 
parve  di  ravvisare  non  so  che  di  umana  forma:  te 
cenno  al  compagno  ,  si  accostarono  con  precauzio- 
ne ,  e  trovarono  ,  eh'  era  un  maschio  di  spezie  uma- 
na dell'  età  m  circa  di  dodici  anni  .  Questi  non  die- 
de segno  di  timore ,  non  fece  ninna  resistenza  quan- 
do il  vollero  i  cacciatori  prendere  per  la  mano ,  e  si 
lasciò  tranquillamente  condurre  a  Cunico ,  villaggio 
del  Monferrato,  poco  da  que'  contorni  lontano.  Co- 
testo avvenimento  fece  strepito ,  e  se  ne  sparse  la 
nuova  per  que'  paesi,  e  dopo  un  qualche  spazio  di 
tempo  comparve  in  Cunico  una  donna ,  la  quale , 
come  suo  figlio  ,  reclamò ,  e  chiedette  quel  giova  - 
ne:  disse,  che  nel  1762,  partorito  avendo  un  fi- 
glio maschio  ,  lo  consegnò  ad  una  povera  donna ,  la 
quale  in  que'  contorni  smarritolo  non   ne  seppe   mai 

più 


)(  161  )( 
mò.  novella  :  esaminando  V  incognito  ritrovato  prete- 
se la  madre  di  ravvisare  in  esso  alcuni  segni  da  lei 
notati  ,  e  giuridicamente  provati ,  e  dopo  lungo  esa- 
me ,  ottenne  ,  che  gli  fosse  ridonato  il  suo  figlio  . 
Cotesto  selvaggio  nostrale ,  s'  è  avvezzato  a  gran  pe- 
na a  reggersi  su  due  piedi  ritto ,  come  noi ,  ed  a 
stento  s'  è  avvezzato  a'  cibi ,  che  noi  usiamo  .  Appe- 
na vede  erba  ,  che  vi  si  butta  con  avidità  incredibi- 
le ,  e  se  la  mangia  mista  colla  terra  con  sommo 
gusto  :  resiste  il  medico  ,  il  quale  ne  ha  cura  ,  ma 
pena  assai  a  distornelo  .  Era  ne'  primi  mesi  piuttosto 
feroce,  ma  ora  si  è  ammansato,  e  permette,  che 
sia  coperta  la  nudità  de'  suoi  membri ,  che  sono  pe- 
losi assai ,  induriti ,  e  coperti  di  una  cute  assai  resi- 
stenle  .  Costui  sarà  robustissimo  ,  e  temperato  ad  ogni 
intemperie  .  Dio  volesse,  che  nell'  infanzia  fossimo 
meno  coperti ,  meno  dilicatamente  guardati ,  esposti 
nudi  al  sole  ,  al  freddo  ,  all'  aria  aperta  ,  avvezzati 
a  bagnarci  nell'  acqua  fredda ,  a  correre  ,  a  rotolar- 
ci ,  ed  agli  esercizi  atletici ,  e  ginnastici  nella  gioven- 
tù !  ma  questi  sono  inutili  desideri.  Egli  è  vero  pe- 
rò ,  che  gli  Oltramontani  ,  massime  verso  il  Nord  , 
non  disprezzano  coleste  utili  massime  di  fisica  edu- 
cazione .  Tornando  al  nostro  selvaggio  ,  ora  gli  s' in- 
segna a  parlare  ,  ed  a  vivere  :  sarà  curiosa  cosa  ,  e 
degna  osservazione  di  un  filosofo  lo  esaminare ,  e  il 
sapere ,  quali  erano  le  idee  ,  che  fra  le  selve  lo  OC" 
IV.  ii 


)(  i6*  )( 
capavano,  cosa  pensava  ,  è  qual  era  la  vita  sua  in- 
feriore .  Desideriamo ,  che  codesta  interessante  re- 
lazione ci  venga  fatta  da  imo  spregiudicato  filosofo, 
e  che  sia  più  sincera  di  quella ,  che  fu  fatta  del  sel- 
vaggio di   Charires ,  e  di  quello  di  Hannover , 


Sopra  V  inoculazione  del  Va/' nolo 


J-JVIGI  XV.  è  il  solo  Re  di  Francia ,  che  sia  morto 
di  Vajuolo .  Egli  è  il  solo  sopra  dieci  mila  persone , 
che  abbia  avuto  questa  malattia  due  volte  ,  giacché 
tutti  ci  assicurano  ,  che  1'  aveva  avuta  all'  età  di  i4 
anni . 

È  egualmente  strano  ,  che  questo  veleno  abbia 
appunto  scelto  lui  in  mezzo  alla  sua  numerosa  Corte 
per  farlo  perire  all'  età  di  64  anni  e  in  tempo,  in 
cui  non  correva  questo  male  né  nel  palazzo  né  nella 
Città  di  Versailles. 

Ecco  tre  fatalità  ben  singolari  .  Una  quarta  na- 
sce dal  modo ,  con  <)ui  vuoisi ,  che  gli  fosse  comuni- 
cato .  Si  pretende  ,  che  essendo  alia  caccia  incon- 
trasse un  morto ,  che  portavasi  a  seppellire  .  S'  ac- 
costò per  curiosità  alla  bara ,  ed  avendo  domandato 
chi  fosse,  gli  fu  risposto  essere  una  giovinetta  morta 
di  Vajuolo  .  Un  tal  incontro  non  parve  avergli  ca- 
gionata veruna  impressione ,  ma  da  quel  momento 
fu  cosa  notabile  ,  che  s' ingiallì  di  colore .  Due  giorni 
dopo  Mons,  Bourdèe  suo  Chirurgo  dentista  uomo  di 
grand'  esperienza   esaminando    le   gengive   di  S,  M, 


)(     i64    )( 
trovò  in  esse  un  nuovo  carattere  di  corruzione  v.    Ne 
avvertì  uno  de'  Ministri  di  Stato ,  ma  1'  avvertimento 
non  fu  curato ,   e  poco  dopo  il  Vajuolo  si  dichiarò  , 
e  il  Re  morì . 

Par  molto  credibile  ,  che  cinquant'  anni  fa  non 
avesse  avuto  ,  che  quel  Vajuolo  ,  che  chiamasi  Sel- 
vatico ,  il  quale  non  è  vero  Vajuolo  .  Il  numero 
delle  malattie  ,  che  affliggono  Y  umanità,  è  così  gran- 
de ,  che  non  abbiamo  abbastanza  termini  per  indi- 
carle ,  Pare  ,  che  i  mali  del  corpo  sieno  come  quelli 
dell'  animo  ,  perchè  nessuna  delle  lingue  cognite  ha 
termini  abbastanza  giusti  per  notarne  tutte  le  picco- 
le ,  ma  non  men  funeste  diversità  .  Quello  ,  che  vi 
è  di  certo,  è,  che  il  Vajuolo  spontaneo  uccide  1'  uo- 
mo ,  e  che  P  inoculazione  lo  salva  . 

Il  Duca  d'  Orleans  diede  un  esempio  ben  sin- 
golare alla  famiglia  Reale  quando  sordo  ai  rumori 
popolari  fece  inoculare  i  suoi  figliuoli  .  L'  infante  di 
Parma  con  egual  fortuna  fece  anch'  egli  la  prova  so- 
pra V  unico  suo  figliuolo  .  Il  Re  di  Danimarca  ,  e 
dopo  lui  il  Re  di  Svezia  ,  ed  i  suoi  fratelli  sogget- 
tandosi tutti  all'  inoculazione  hanno  eccitato  tutto  il 
Nord  ad  imitarli  .  Neil'  assicurare  sì  preziose  vite 
hanno  conservata  la  sesta  parte  de'  loro  sudditi  , 
L'  Imperadrice  Regina  d'  Ungheria  e  Y  Elettrice  di 
Sassonia  hanno  fatto  lo  stesso  benefìcio  alla  Germa- 
nia .  La  Czarina  di  tutte  le  Russie  avendo  fatto  pro- 
vare sopra  se  stessa  quel!'  inoculazione,  che  destina- 


)(  i65  )( 
va  pel  suo  unico  figliuolo  ed  erede ,  dopo  avere  sal- 
vato se  stessa  e  lui ,  ordinò ,  che  percorressero  tutte 
le  Russie  i  più  esperti  inoculatori ,  e  conservò  con 
questo  la  vita  alla  quarta  parte  de'  suoi  sudditi,  che 
sarebbero  morti  per  questa  peste ,  la  quale  fa  più 
strage  in  quel  vasto  Impero  ,  che  nel  resto  del 
mondo.  Finalmente,  per  andare  alla  sorgente  di  que- 
sti grand'  esempi ,  la  Sposa  di  Giorgio  II.  fu  la  pri- 
ma a  dare  il  Vajuolo  artificiale  ai  Principi  suoi  figli- 
uoli ,  e   salvò   la  prima  V  Europa   cristiana  . 

I  Turchi  ,  che  pel  loro  sistema  della  prede- 
stinazione ,  ma  più  ancora  per  la  loro  negligenza  , 
si  lasciano  divorar  dalla  peste  ,  fanno  uso  da  lun- 
go tempo  in  qua  dell'inoculazione  e  si  salvano  da 
quest'  altra  specie  di  contagio  .  I  Tartari  loro  in- 
segnarono questo  metodo  ,  che  avevano  imparato 
dall'  Indie ,  come  1'  Indie  i'  avevano  imparato  dàlia 
China . 

Quando  il  Dottor  Mead  fece  per  la  prima  volta 
l'esperienza  dell'inoculazione  in  Inghilterra  del  1721 
€gli  la  tentò  col  metodo  della  China,  e  riuscì  ma- 
ravigliosamente bene . 

Tutto  il  nostro  emisfero  presentemente  cospira 
a  indebolire  questo  funesto  veleno ,  che  nel  VII. 
secolo  ci  fu  portato  dagli  Arabi  ;  e  gì'  Inglesi  inse- 
gnano oggigiorno  agli  Americani  come  debba  col- 
1'  inoculazione  combattersi  questo  contagio  ,  che  j 
compagni  di  Colombo  alla  fine  del  XV.  secolo  por- 


)(  m  x 

tahmo  nel  nuovo  Mondo  ,  e  n'  ebbero  in  contratti* 
cambio  un  altro  non  meno  feroce  .  Ecco  per  que- 
sta nuova  specie  di  commercio  rovinato  il  globo 
terrestre  ;  studiasi  ora  dai  Filosofi ,  come  garantirci 
per  quanto  è  possibile  dall'  uno  ,  e  dall'  altro  di 
questi  mali .  Che  concludesi  da  questa  pittura  egual- 
mente vera ,  che  terribile  ?  Re  ,  e  Principi ,  che  siete 
tanto  necessarj  a?  vostri  sudditi  s  se  amate  la  vita  sot- 
tomettetevi alla  inoculazione  ,  e  incoraggiteli  se  vo- 
tele ,  che  essi  pure  vivano,  e  vi  servano. 

Si  dice ,  che  all'  estremità  dell'  occidente  nel  no- 
stro Emisfero  trovasi .  un  popolo  situato  tra  P  Ocea- 
no ,  e  il  Mediterraneo ,  e  che  occupa  all'  intorno  $i 
otto  gradi  di  latitudine  ,  e  nove  di  longitudine  . 
(  V Autore  intende  ironicamente  la  Francia  )  .  Un 
picciol  numero  d'  uomini  prudenti  compone  la  parte 
più  seria  di  questa  nazione  .  Qualora  questi  ebbero 
scoperto  ,  che  si  pensava  dagli  altri  a  porre  un  fre- 
no al  Vajuolo  ,  i  più  attempati  s'  unirono  ,  e  parla- 
rono in  questi  termini  :  Come  soffriremo  noi  ,  che 
i  nostri  pronipoti ,  i  quali  sono  teste  sventate ,  pre~ 
tendano  di  evitare  una  malattia ,  per  cui  i  nostri 
antenati  sono  in  diritto  di  morire  da  dieci  secoli 
in  qua  ?  V  antichità  è  troppo  rispettabile ,  e  que- 
ste innovazioni  sono  scandalose  .  Bisogna  ,  che  i 
nostri  Druidi  fulminino  un  decre*^  sopra  questo 
caso  di  coscienza ,  e  die  noi  pure  emaniamo  un  ar- 
resto   giuridico    contro    un  tanto  delitto  .    1   nostri 


)(  *67  )( 
vecchi  si  opposero  vigorosamente  alla  scoperta  f  che 
alcuni  Eretici  avevano  fatta  della  circolazione  del 
sangue  ;  noi  abbiamo  proscritto  V  Emetico  ,  benché 
avesse  salvato  il  nostro  penultimo  Pie  ;  i  nostri  an^ 
fenati  dichiararono  pena  di  morte  a  chi  pensava 
diversamente  da  Aristotele,  e  trattarono  di  sorti- 
legio Varie  di  stampare.  Sostengasi  ora  la  no- 
stra gloria  .  JJ  anno  i4?7  i  nostri  antenati  con- 
dannarono alla  morte  chi,  avendo  contratto  quel 
tal  male  delV  America ,  72072  usciva  in  2.1^  ore  dalla 
Città;  condannisi  ora  pure  alla  morte  chi,  dopo 
essersi  fatto  innestare  il  male  dell'  Arabia  ,  avrà 
la   temerità  di  goder  buona  salute. 

Un  dotto  Medico  presentò  ai  Prudenti  un  me- 
moriale per  addolcire  almeno  quest'  arresto  *  Dis-». 
se  loro  ,  che  a  conto  fatto  in  Inghilterra  non  erano 
morte  ,  che  due  persone  sopra  dugento  mila  inocu- 
lati ,  anzi  che  queste  due  persone  erano  già  prima 
di  mala  salute  .  Ne  veniva  dunque  di  conseguenza  , 
che  non  v'  era  da  temere  neppur  1'  unità  contro  cento 
mila  .  i  Prudenti  risposero  ?  che  essi  non  s'  intende- 
vano d'  Algebra. 

Alcuni  poi  ,  che  si  piccavano  d'  essere  Metafìsi- 
ci ,  fecero  un'  obbiezione ,  la  quale  non  valeva  meglio 
dell'  arresto  dei  Prudenti  .  Tutto  è  disposto ,  diceva- 
no essi  ;  tutto  è  preveduto  ,  e  tutto  succede  per  le 
immutabili  leggi  dell'  autore  della  natura  .  Gii  è  im- 
possibile che  queste  determinazioni  possano  cangiar- 


)(    iG8    re 

si  ,  perchè  altrimenti  sarebbe  un  assurdo,  e  V  Esser 
supremo  passerebbe  per  incostante  ,  o  per  troppo  de- 
bole .  Ciaschedun  animale ,  ciaschedun  vegetabile  rin- 
chiuso nel  suo  germe  è  destinato  a  svilupparsi  ,  a 
crescere ,  ed  a  perire  a  certi  istanti ,  istanti  prede- 
stinati ,  come  sono  predestinale  le  ecclissi  nel  corso 
del  sole  ,  e  de'  pianeti .  Se  questi  fenomeni  arrivas- 
sero un  minuto  più  presto  o  più  tardi ,  sarebbe  un 
universo  differente  da  quello  ,  in  cui  siamo  .  L'  uo- 
mo è  libero ,  cioè  1'  uomo  può  fare  ciò  che  gli  pia- 
ce ;  ma  non  può  aver  la  facoltà  di  opporsi  ai  decreti 
eterni  del  cielo  .  Sarebbe  un  opporsegli ,  sarebbe  un 
annientarli ,  se  dipendesse  da  noi  il  prolungare  per 
un  istante  la  vita ,  non  solamente  ad  un  uomo  ,  ma 
ancora  ad  un  insetto .  Volendo  dunque  noi  coli'  ino- 
eulazion  del  Vajuolo  prolungare  la  vita  d'  un  uomo  ; 
non  solamente  tentasi  cosa  impossibile  ,  ma  fassi  \m* 
ingiuria  alla  providenza  eterna. 

Facilissimo  è  il  distruggere  quest'  argomento , 
quando  anche  si  accordi  ,  che  il  suo  principio  sia 
giusto  .  Tutto  certamente  è  obbligato ,  tutto  è  dispo  - 
sto  dall'  eternità  in  qua  .  Non  v'  è  forza  umana ,  che 
possa  rompere  un  solo  anello  di  questa  gran  cate- 
na .  Noi  non  siamo  in  libertà  di  fare  un  solo  passo 
contra  i  decreti  immutabili .  Il  sommo  Ente  avea  pre- 
veduto ,  avea  ordinato  ab  eterno  ,  che  nel  settimo 
secolo  della  nostra  età  venisse  il  vajuolo  ad  unirsi  a 
quegli    altri   molti    flagelli,    che  fanno    della    nostra 


)(  1%  )( 

terra  un  soggiorno  di  morte  .  Ma  questo  medesimo 
sommo  Ente  aveva  preveduto ,  che  Miledi  di  Mon- 
tagne ,  essendo  ambasciadrice  d'  Inghilterra  al  die- 
ciottesimo  secolo  in  Costantinopoli,  vedrebbe  le  don- 
ne inoculare  sulle  strade ,  e  per  pochi  soldi  i  pic- 
coli fanciulli ,  e  che  questi  scherzerebbero  col  veleno 
salutare,  anzi  non  ne  sarebbero  niente  più  incomo- 
dati di  quel  che  siasi  alla  loro  età  da  un  leggerissi- 
mo male  cutaneo  . 

La  previdenza  avea  preveduto  ,  che  questa  si- 
gnora inoculerebbe  il  vajuolo  al  suo  proprio  figlio 
nella  capitale  della  Turchia  ;  e  che  al  suo  ritorno  in 
Londra  persuaderebbe  la  principessa  di  Galles  a  fare 
T  inoculazione  anch'  essa  a'  suoi  proprj  figliuoli .  La 
provvidenza  avea  preveduto ,  e  ordinato ,  che  tutti 
questi  principi  sottometterebbero  se,  e  i  loro  fi- 
gliuoli all'  inoculazione ,  che  salverebbero  con  ciò 
la  vita  a  tanti  uomini ,  quanti  forse  ne  hanno 
fatti  perire  nelle  battaglie  .  Speriamo  che  verrà  un 
tempo  ,  in  cui  l'inoculazione  farà  parte  della  edu- 
cazione de'  figliuoli ,  e  loro  si  darà  il  vajuolo  ,  co- 
me si  levano  i  denti  di  latte  ad  alcuni ,  affinchè  ab- 
biano maggior  libertà  di  spuntare  i  secondi  . 

Miledi  s' ingannava  ,  quando  diceva  nella  tren- 
tunesima delle  sue  lettere  da  Costantinopoli  :  Io  seri- 
verei  ai  nostri  Medici  di  Londra,  se  li  credessi 
abbastanza  generosi  per  sagrìpeare  il  loro  parti- 
colare interesse    a    quello    dell'1  umanità  ;  ma  pur 


X    ijo    )( 
troppo  temo  di  espormi  al   loro  pericoloso  risenti" 
mento ,  se  intraprendo   a  diminuire  gran  parie  del 
guadagno  ,   che   a  loro  producono  le  epidemie   de* 
vajuoli .  Forse  al  mìo  ritorno   in  Inghilterra  avrò 
abbastanza  zelo  per  dichiarar  a  costoro  la  guerra* 
&  esperienza  gì  ha  mostrato  ,  che  i  primi  Me- 
dici di  Londra  non  si  sono  opposti    alla    inoculazio- 
ne ;  anzi  il  celebre  Mead  fu  il  primo ,    che  diede  il 
vajuolo  artifiziale  agi'  Inglesi  ,    e    Maitland   lo    diede 
dappoi  all'  Erede  della  Corona  „    I  Medici ,    che  se- 
guirono qu<  sto  esempio  in  Europa  ,  e  che  inocularo- 
no tanti  Principi ,    furono  più  generosamtnte  ricom- 
pensati ,  che  se  avessero  risuscitati  de'  morti .  Eppure 
non  v'  è  operazione  più  facile  di  questa  ;  anzi  è  me- 
no pericolosa  di  una  cavata  di  sangue ,    in    cui    tal- 
volta si  corre  il  rischio,  d'  aver  punto  un  tendine ,  o 
una  arteria.  Una  donna  di  casa,  una  serva  può  ino- 
culare un  fanciullo  con  egual  scurezza  ,    che   se  ella 
fosse  un  Chirurgo,  purché  il  fanciullo  sia  sano.  Con 
uno  scudo  si  può  salvar  la  vita  a  tutt    i  bambini    di 
un  intero  villaggio .  La  Sovrana  di  Russia  ,  dopo  es- 
sere stata  inoculata ,  usciva  ogni  giorno  a  trottare  ia 
carrozza  .    Il   suo    gran    Maestro    d'  Artiglieria  ,  che 
quantunque  avesse  avuto  nella  sua  infanzia   il  vajuolo 
selvatico  ,    si    era    sottoposto   alla   medesima  opera- 
zione,    andò    il    terzo    giorno   alla    caccia  .    Questa 
gran   Signora    scrisse    ella  medesima   queste  precise 
parole  all'  Autore  :   non  valea  la  pena  di  far  tanto 


)(     »7»     )C 

rumore  per  una  sì  piccola  bagattella ,  ed  impedi- 
re, che  si  salvi  la  vita  al  genere  umano  sì  facil- 
mente .  La  provvidenza  avea  dunque  preveduto ,  e 
ordinato  ,  die  m  un  Paese  egualmente  grande  ,  che 
tutto  il  resto  di  Europa  questa  Principessa  fosse  la 
prima ,  che  vincesse ,  e  trionfasse  di  un  sì  ridicolo 
pregiudizio  ,  come  in  Francia  dovea  esserlo  tra  i 
Principi  Ylel  sangue  reale  il  Duca  di  Orleans.  Era 
Scritto  nel  gran  libro  del  destino  ,  che  i  Turchi  sa- 
rebbero abbastanza  sciocchi  per  non  istabiiir  mai 
una  quarantena  ,  donde  garantirsi  dalla  peste  ;  ma 
che  fossero  abbastanza  savj  per  preservarsi  '  da'  peri- 
coli dei  Vajuolo  .  Questo  stesso  destino  volea  ,  che 
i  signori  Banks ,  e  Solander  scoprissero  ai  giorni  no- 
stri un  immenso  paese  ,  in  cui  gli  uomini  si  man- 
giano tra  di  loro ,  come  noi  ne'  nostri  paesi  ci  ca- 
lunniamo ,  e  perseguitiamo ,  con  questa  differenza 
però  ,  che  quegli  Antropofagi  non  credono  di  far 
male,  e  con  buona  coscienza  fanno  un  ottimo  ar- 
rosto con  un  lombo  dì  un  qualche  loro  nemico ,  in- 
tanto che  i  nostri  calunniatori  sanno  positivamen- 
te ,   che  commettono   un  delitto  . 

In  questo  medesimo  libro  del  destino  era  scrit- 
to ,  che  io  comporrei  questa  memoria ,  e  che  essa 
sarebbe  letta  da  cinque  ,  o  sei  oziosi ,  ì  quali  direb- 
bero tutti ,  che  ho  ragione ,  ma  che  ciò  nonostante 
le  cose   resterebbero  sul  piede  di  prima  * 


Osservazioni  sul  Terremoto  di  Bologna 


ON  sembra  molto  desiderabile  ,  cbe  si  possan  ri- 
peter spesso  le  esperienze  ,  e  le  osservazioni ,  che  i 
dotti  fisici  bolognesi  han  fatto ,  e  van  tuttavia  facen- 
do sul  terremoto  .  Sia  pur  vero  quanto  si  voglia , 
cbe  felice  è  colui ,  cbe  rerum  potuit  conoscere  caussas  , 
non  vi  sarà  certamente  verun  fisico  cosi  temerario  , 
e  coraggioso  ,  cbe  volesse  acquistare  la  cognizione 
delia  cagione  produci trice  di  quello  spaventevoi  fe- 
nomeno a  prezzo  di  proprie  esperienze  .  Ma  il  peg- 
gio si  è  ,  cbe  quantunque  non  sieno  state  né  pocbe 
ne  indifferenti  le  triste  esperienze,  cbe  malgrado  lo- 
ro ne  bari  fatto ,  e  tuttora  ne  fanno  i  filosofi  bolo- 
gnesi ,  ciò  non  ostante ,  lungi ,  cbe  queste  abbian  ser- 
vito ad  illuminarli  sulla  vera  cagione  del  terremoto  , 
non  ban  fatto  altro  ,  cbe  suscitar  varie  ipotesi  ,  ed 
accendere  una  filosofica  guerra  fra  i  partigiani  di  es- 
se .  Senza  prendere  verun  partito  ,  ci  piace  ora  di 
accennarne  brevemente  qualcuna  ;  non  solo  perchè 
la  storia  delle  opinioni  degli  uomini  in  qualunque 
materia  è  per  se  stessa  istruttiva,  ma  ancora  per- 
chè spesso  è  accaduto  ,  che  i  nuovi  pensamenti  in 
materie  filosofiche  ,,    quantunque    non  sieno    stati    da 


X     173    )( 
principio  ,    che    ipotetici ,   e    meramente    congettura- 
li ,    essendo  però  meglio  coltivati    sono  poi  saliti  col 
tempo  al  grado  di  evidenza  ,   o  almeno  hanno  aper- 
ta la  strada  ad  altre  scoperte  importanti  . 

Già  si  sa ,  che  ora  tutto  deve  essere  elettrici- 
smo ,  e  che  grazie  ai  moderni  fisici  il  fluido  elettri- 
co è  veramente  divenuto  l'  anima  mundi .  Non  so- 
lo le  procelle  ,  i  fulmini ,  la  pioggia ,  la  neve  ,  la 
gragnuola  ,  le  aurore  boreali ,  e  tutte  in  somma  le 
meteore  sono  effetti  ,  secondo  essi  ,  prodotti  da 
quest'  «efficacissimo ,  anzi  unico,  agente  della  natura, 
ma  la  vegetazione  ancora ,  la  nutrizione  ,  il  moto 
muscolare ,  tutta  insomma  F  economia  animale  ,  e 
vegetabile  ne  dipende  interamente  .  Quindi  è  che 
si  è  anche  introdotto  nella  medicina  ,  ed  ognuno  sa 
quanti  prodigi  abbia  il  medesimo  operato  nelle  ma- 
ni di  certi  medici  provvisti  di  bastante  credulità  od 
impostura .  Or  ecco  ,  che  si  è  preteso ,  che  la  ma- 
teria elettrica  sia  pur  anche  la  causa  efficiente  de' 
terremoti ,  e  per  certo ,  che  non  sarebbono  questi 
i  più  graditi  presenti ,  che  dessa  potrebbe  farci  .  Il 
P.  D.  Michele  Augusti  ha  combattuto  coraggiosa- 
mente in  favore  di  questa  opinione  in  due  operette 
da  lui  stampate  nell'  anno  scorso  1'  una  a  Firenze , 
e  F  altra  a  Bologna,  e  ne  sembra  così  intimamen» 
te  persuaso ,  che  nulla  più  .  Egli  vuole  adunque , 
che  tutte  le  concussioni  naturali  della  terra  sieno  at- 
tribuite   ad   un    maggiore    radunamento    di   vapore 


)(  i7i  X 
elettrico  condensato  nelV  interno  di  essa ,  che  cer~ 
e  andò  di  uscire  ,  e  di  risarcire  il  perduto  equili- 
brio,  sforza  ed  urta  quei  corpi,  che  gli  sono  di 
ostacolo  ,  sino  a  che  abbia  trovati  differenti  sen- 
tieri al  smo  fine . 

Non  possiamo  in  vero  negare  ,  eh*  egli  non  si 
mostri  sommamente  ingegnoso  nelF  applicazione  , 
eh'  ei  fa  della  sua  spiegazione  agli  ultimi  terremoti 
Bolognesi  .  Ricordatevi  ,  die'  egli  ,  de'  freddi  ,  e 
de*  geli  consecutivi ,  che  dominarono  senza  veruna 
interruzione  in  Bologna  dopo  V  autunno  del  1778, 
e  de'  venti  costantemente  aridi ,  e  sereni ,  che  ten- 
ner  loro  dietro  nella  primavera .  Or  vedete  qual  do- 
se di  particole  fermentanti ,  e  producenti  coi  loro 
attrito  un'  eccessiva  quantità  di  elettrico  vapore  do- 
vette quindi  a  poco  a  poco  accumularsi  nelle  vi- 
scere della  terra .  Già  si  sa  ,  che  i'  acqua  ,  e  i  cor- 
pi umettati  sono  potentissimi  conduttori  della  ma- 
teria elettrica ,  e  che  1'  aria  asciutta  per  lo  contra- 
rio è  un  perfetto  isolante .  Non  poteva  adunque  tro- 
var via  di  uscire  all'  aria  il  vapore  racchiuso  per 
mancanza  di  umido ,  e  dovea  quindi  sempre  più 
accumularsi .  DifTatti  tutto  annunciava  allora  in  Bo- 
logna la  mancanza  di  elettricità  nelP  atmosfera.  In 
tutta  la  bella  stagione  del  1779,  contro  il  solito  di 
quei  paese,  non  si  ebbe  un  temporale  immaginabile, 
non  si  vide  un  baleno  ,  non  si  cpdà  un  tuono  .  Le 
medesime    macelline    elettriche    mostravano    appena 


)(  i?5  )( 
un  terzo  della  loro  forza  ordinaria  ,  ed  andavano 
sempre  più  illanguidendosi  di  giorno  in  giorno  . 
Che  dovea  dunque  fare  ,  seguita  a  dire  il  P.  Au- 
gusti ,  quel  vapore  radunato ,  che  non  trovava  pò- 
ri  aperti  per  uscire ,  e  che  voleva  pure  ristabilire 
il  suo  equilibrio  ?  Quello  appunto  ,  risponde  il  me- 
desimo P.  Augusti ,  che  opera  /'  elettricità  raduna- 
ta nei  nostri  gabinetti  ;  rimuovere  cioè  da  se 
ogni  ostacolo ,  e  non  trovando  un  continuo  ,  pas- 
sando da  corpo  a  corpo  ,  scommuovere  ,  e  scuo- 
tere i  medesimi,  come  appunto  V  introdotto  vapo- 
re scommuove ,  e  scuote  le  nostre  giunture ,  e  le 
altre  parti,  che  di  ostacolo  sono  alla  libera  tra- 
sfusione  di  esso  . 

Lo  sprigionamento,  che  si  faceva  della  mate- 
ria elettrica  a  Bologna  nel  tempo ,  e  nella  stagio- 
ne de'  terremoti ,  era  poi  indicato  da  mille  segni . 
Un'  assai  sensibile  romba  simile  affatto  a  quella  del 
fulmine,  che  nessuno  più  dubita  essere  un  fenome- 
no elettrico ,  si  udì  preventivamente  al  primo  ter- 
remoto ,  che  si  fece  sentire  sulla  mezza  notte  de! 
ci]  primo  giugno  venendo  il  2.  alle  ore  4  e  mez- 
za .  Molti  sentirono  in  quel  tempo  un  odore  di 
zolfo  ,  o  di  bitume  abbruciato  ;  alcuni  altri  risen- 
tirono intorno  alla  persona ,  e  massimamente  alle 
gambe  un  maggiore  calore  ,  ed  una  tal  quale  ac- 
censione ,  eh'  essendo  durata  per  qualche  tempo  do- 
po   la    scossa  ,    lasciò    finalmente   nelle    gambe    un 


X  i?6  )( 
maggior  freddo ,  che  nel  resto  della  vita .  Alcuni 
videro  nel  tempo  dì  una  concussione  alzarsi  da  ter- 
ra una  piccola  nube  dì  color  fosco  albeggiante  ;  al- 
tri osservarono  due  piccoli ,  e  foschi  baleni  nella 
gran  chiesa  di  S.  Petronio  apparire  in  una  consi- 
mile circostanza  .  Non  erano  questi  tanti  patenti  in- 
dizj  di  un  fuoco ,  che  andava  sprigionandosi  dagli 
interni  nascondigli  della  terra  ?  Che  poi  questo  fuo- 
co fosse  veramente  fuoco  elettrico ,  può  ripetersi 
fra  le  altre  cose  dalla  scossa  dei  9  giugno  ,  la 
quale  fecesi  sentire  molto  più  violenta  alla  parte 
del  Ferrarese ,  dove  avea  piovuto  qualche  cosa  di 
più  ne'  giorni  antecedenti ,  che  negli  altri  luoghi  , 
e  dove  perciò  la  materia  elettrica  trovava  un  più 
comodo ,  e  pronto  deferente .  Ma  ciò  che  più  chia- 
ro mostrò  la  presenza  di  un'  accresciuta ,  e  sovrab- 
bondante quantità  di  materia  elettrica  dopo  le  scos- 
se ,  si  fu  la  bella  aurora  boreale  ,  che  fecesi  ve- 
dere ai  18  di  settembre  dell'  anno  scorso  .  Dopo 
ciò  ,  che  ne  han  detto  Franklin,  e  Beccaria  ,  non 
è  più  permesso  di  dubitare ,  che  un  tal  fenomeno 
possa  esser  prodotto  da  altra  cagione  ,  che  da  un 
elettrico  accendimento  . 

Che  se  si  domanda  al  P.  Augusti  ,  in  qual 
modo  sia  accaduto  ,  che  quella  costante  siccità 
d'  aria  ,  la  quale  è  slata ,  secondo  lui ,  la  primaria 
causa  produttrice  de'  terremoti  di  Bologna  ,  avendo 
regnato  egualmente  od  anche  maggiormente  in  qua- 
si 


X  '77  )( 
si  tutte  le  altre  parti  <!'  il  alla  ,  non  Ubbia  pero 
prodotto  dappertutto  i  medesimi  funesti  e  ile  iti ,  egli 
non  si  sgomenta  per  così  poco,  «  risponde  franca- 
mente ,  che  diverse  piccole  circostanze  ,  che  sfug- 
gono spesso  anche  agli  occhi  de'  più  diligenti  os- 
servatori, possono,  e  dcggiono  aver  sospeso  l'ef- 
fetto terribile  che  doveva  infallibilmente  senza  di 
essa  aspettarsi  dalla  causa  generale.  Così  Roma  per 
esempio  deboe  attribuire  la  sua  salvezza  alle  molte 
paludi  ,  ed  acque  stagnanti  ,  che  sono  disseminate 
per  la  di  lei  campagna,  ed  anche  più  alla  solfatara  dì 
Tivoli ,  che  le  scorre  vicina  ,  e  che  offre  alla  ma- 
teria elettrica  un  sì  nobile  sfogo  .  Alcune  acque- 
ruggiole  cadute  nella  primavera  salvarono  la  Tosca- 
na ,  e  la  Lombardia  ,  Napoli  dee  ringraziare  il  suo 
Vesuvio:  e  la  Sicilia  il  suo  Etna.  Ninno  di  questi 
sfoghi  ha  potuto  trovare  il  fuoco  elettrico  nel  Bo- 
lognese . 

Ma  e  perchè  non  si  potrebbe  coli'  arte  pro- 
curarglielo ,  giacche  la  natura  scortese  glie  lo  ha 
rifiutato  ?  Se  siamo  giunti  a  poter  disperdere  inno- 
cuamente la  materia  del  fulmine  per  mezzo  de* 
conduttori,  perchè  non  si  potrà  fare  altrettanto  col- 
la materia  del  terremoto  ?  Perchè  non  si  potrà 
aprire  nelle  vicinanze  di  Bologna  un  vulcano  artifi- 
ciale ,  che  dia  un  libero  esito  alla  materia  peccan- 
te ,  in  quella  guisa ,  che  a  un  corpo  umano ,  che 
perda   quegli  sfoghi  ,   per  i  quali  la   natura  si  sgra- 

IV.  19 


X  178  X 
vaya  dagli  umori  superflui ,  si  h  uri  cauterio ,  si 
apre  una  fontanella  ?  Per  lo  passato  le  paludi  ,  che 
si  avvicinavano  alia  distanza  di*  circa  dieci  miglia 
della  città  ,  presentavano  al  fuoco  elettrico  un  co- 
modissimo deferente  ,  e  per  Bologna  non  vi  era  al- 
cun pericolo  di  terremoto.  Ma  giacché  per  le  pro- 
vide  curo  del  principato  sonosi  disseccate  queste  pa- 
ludi ,  bisogna  pur  supplirvi  in  qualche  altro  rao* 
do  ;  e  l'  espediente  del  vulcano  artificiale  ,  non  sa- 
rebbe forse  il  meno  opportuno .  Così  la  discorre 
con  tutta  la  serietà  possibile  il  P.  Augusti  ,  ed  egli 
giunge  perfino  ad  assegnare  il  luogo  ,  dove  vor- 
rebbe applicare  il  suo  vessicante ,  vale  à  dire  nelle 
colline  di  Gaiboìa  ,  in  pochissima  distanza  dalla 
città,  dove  si  trova  un  terreno  assai  sulfureo  ,  che 
essendo  scavato  un  po'  affondo  tramanda  sensibili 
esalazioni  ,  e  prorompe  anche  spesso  in  accensioni . 
Abbiamo  sinora  brevemente  sì,  ma  fedelmente 
ancora  accennate  le  principali  ragioni ,  colle  quali 
si  è  studiato  il  P.  Augusti  di  stabilire  ,  che  la  po- 
tenza elettrica  -  sia  la  cagione  de*  terribili  effetti  del 
terremoto  .  Non  vogliamo  però  dissimulare  neppure 
alcune  forti  obbiezioni ,  che  qualche  Fisico  anti-elet- 
trico  gli  ha  fatte  ,  affinchè  il  lettore  possa  libera- 
mente ,  e  giustamente  prendere  il  suo  partito  fra 
3e  due  contrarie  opinioni  ;  non  credendoci  da  tanto 
èa.  potere  fra  sì  gran  Filosofi  tantas  componete  lì- 
Us.  Si  è  detto  adunque,   che  non  sembra  gran  fatto 


)(    i79    X 

facìl  cosa  a  concepirsi ,   in  qual  guisa  un  fluido  cosi 
sottile  ,  e  così  mobile   come   ii  fuoco   elettrico ,   che 
scorre   in   un    istante    impercettibile  notabilissime  di- 
stanze ,    e    che    penetra    liberamente    i  corpi    i    pia 
compatti,    e    più  duri,    possa    poi    rimanere    impri- 
gionato sotto    1'  esterior  superfìcie   della    terra  da   un 
moderato  freddo  notturno,    da   un  po'  di   siccità   nel 
terreno ,   o  da  una  s  >ttile  crosta   di  gelo  .    Si  è  detto 
che  la  terra  debbe  esser   ben  delicata  nella  sua  cor- 
teccia ,   poiché   un    leggiero   freddo  notturno  ,    ed  un 
freddo  solo  di  estate   può    cagionarle   si    funeste   co- 
stipazioni »    Si  è  osservato  ,  che  in   vicinanza   de'  vul- 
cani ,    ove    pur    restano    sempre   aperti  ,     e    liberi   i 
conduttori  per  la  sortita  del  vapore  elettrico  ,  si  fan- 
no nondimeno  più  frequenti  i  terremoti.   Si  è  osser- 
vato pur   anche ,    che  più   degli   altri   sono   soggetti 
ai   terremoti   i   paesi    confinanti   col  mare  ,  quantun- 
que  nel  mare  vi  soglia  esser  sempre  acqua  bastante 
per    servire   di  conduttore    al   valore    elettrico   con- 
densato .    Si  è  detto   finalmente,   che  sembra   risen- 
tirsi  alcun   poco    del   fanatismo    lo   schiamazzo ,    che 
fassi  per  il   fluido  elettrico,  quando  il  semplice  fuo- 
co elementare   colle    materie   infiammabili  è  bastante 
a  produrre  tutti   gli  effetti  attribuiti  al   tanto  esaltato 
elettricismo  .    Difìatti  ognun  conosce    la   volgatissima 
esperienza  del  Lemery ,  colla  quale  chiunque  può  pro- 
durre  a  sua   voglia,    e  dovunque   un   piccolo  ^terre- 
moto artificiale .  Basta  prendere  in  parti  eguali  zoU'o 


)(  iBp  }( 
polverizzato ,  e  limatura  di  aceìajo ,  impastarli  eoli 
acqua  ,  e  seppellirli  sotterra  ad  una  conveniente  pro- 
fondila ,  che  la  materia  tosto  fermenterà ,  e  dopo 
cinque ,  o  sei  ore  s'  infiammerà ,  e  1'  esplosione  farà 
tremare  la  terra  ,  e  produrrà  in  quel  luogo  tutti  gli 
effetti  del  terremoto .  Ora  i  tre  ingredienti  di  que- 
sto artificial  terremoto  sono  appunto  quei  che  la 
natura  per  i  suoi  grandi  fini  ha  disseminato  in  mag- 
gior abbondanza  nelle  viscere  della  terra.  Dapper- 
tutto quasi  vi  è  zolfo ,  ferro ,  ed  acqua  .  Se  dunqu» 
dall'  unione  di  questi  componenti  deve  immancabil- 
mente nascere  un*  accensione  ,  e  se  questa  impedita 
nella  sua  esplosione  dee  necessariamente  dar  origi- 
ne ad  un  terremoto  ,  perchè  cercare  le  cause  pro- 
ducitrici  di   questo   nell'  elettricismo  ? 

Basti  il  fin  qui  detto  per  dare  un  saggio  ai 
nostri  lettori  delle  ragioni ,  che  assistono ,  e  di  quel- 
le ,  che  combattono  i'  opinione  del  P.  Augusti  in- 
torno alle  cause  del  terremoto .  Questo  buon  reli- 
gioso dee  tremare  ,  allorché  vede  regnare  troppo 
lungamente  i  dì  sereni ,  o  che  sente  progettarsi  od 
eseguirsi  intorno  a  lui  il  disseccamento  di  qualche 
palude  ;  poiché  egli  in  vero  sembra  intimamente 
convinto  della  sua  opinione .  Ci  dispiace  di  non  po- 
tergli far  compagnia ,  poiché ,  a  dirla  schietta ,  ci 
piacciono  le  belle  giornate  ,  e  non  crediamo  ,  che 
le  paludi  ,  e  le  acque  stagnanti  sian  buone  ad  al- 
tro .    che.  ad   ingombrare.. inutilmente  una  pò. 


X    181    )( 
di  terreno  ,   e   ad  ammorbar    1'  aria  colle  loro   esa- 
lazioni . 

Siamo  solamente  sorpresi,  che  il  P.  Augusti  co- 
me buon  Si  ni  gag!  lese  non  abbia  fatto  maggior  uso 
dell'  osservazione  dell'  Arcidiacono  Fagnani  suo  con- 
cittadino fatta  nel  1 744  >  cioè  ,  che  nei  momento 
delle  scosse  dei  terremoti ,  che  allora  successero  in 
Sinigaglia  ,  le  frecce  dei  campanili  girarono  fretto- 
losamente ,  dal  che  egli  poteva  mirabilmente  accre- 
scere peso  al  suo  elettricismo .  Bisogna  però ,  che 
questo  fenomeno  non  sia  succeduto  ora  in  Bologna, 
giacché  di  tante  lettere  ,  che  abbiamo  avuto  ,  le 
quali  ci  parlavano  di  terremoto  ,  neppur  una  ne  ha 
latta  menzione  .  Ma  lasciamo  ormai  la  fisica ,  che 
quando  si  tratta  dì  cose  meteorologiche  sarà  sem- 
pre incertissima  ,  e   trattiamo  di  fatti   più  sicuri  . 

I  signori  Bolognesi  non  hanno  torto  ad  essersi 
fieramente  spaventati  a  questo  orrendo  disastro  .  Ben- 
ché il  basso  popolo  vivesse  in  una  fallace  fiducia , 
che  Bologna  non  avesse  molto  da  temere  i  terre- 
moti ,  perchè  la  credono  più  vota  sotterraneamente 
dell'  altre  città  d' Italia ,  quasi  che  i  terremoti  potes- 
sero svaporarsi  per  le  cantine  ,  o  per  le  cloache  , 
quelli  ,  che  leggono ,  non  possono  ignorare ,  che 
anzi  Bologna  è  stata  al  pari ,  se  non  più ,  di  qua- 
Iimqu'  altra   città    d'  Italia    esposta  a  tanto   flagello  . 

Senza  andare  a  pescare  terremoti  Bolognesi  nel- 
la storia  antica,  o  in  crucila  del  medio  evo,  comm- 


èiamo  a  rammentare  quei  terribile  ,  ctie  essa  sof- 
ferse nel  1222  con  rovine  d'  edifi^j  ,  e  particolare 
mente  del  Duomo  .  La  cosa  fu  così  Seria  ,  che  fé* 
ce  fuggire  sino  s.  Francesco  d'  Assisi  ,  che  allora 
appunto  era  venuto  a  predicare  sulla  piazza  di  Bo- 
logna ,   e    che   tutt'  altro  aspettavasf .    ' 

Fortissimo  terremoto  pure  la  danneggiò  nei 
1276  ,  e  novellamente  la  urtò  quattr'  anni  dopo  nel 
tempo  preciso  d'  un'  ecclissi  del  sole ,  come  V  anno 
passato   successe   nel   punto    di  una    delia  luna . 

Nuove  scosse  la  spaventarono  V  anno  i3.3,  ma 
molto  maggiore  hi  il  terrore  ,  che  provò  li  25  2^n^ 
najo  nel  i348,  perchè  furono  furiosamente  rovescia- 
te varie  case  in  piazza,  e  per  la  città,  e  restarono 
sotto  le  rovine  alcuni  infelici .  Sia  detto  di  passag- 
gio, che  dal  diluvio  ih.  qua  questo  fu  forse  il  più 
funesto  di  tutti  gli  anni  per  i'  Europa ,  perchè  do- 
po il  terremoto  ,  ed  altri  disastri  s'  accese  quella 
ferissima  peste  ?  che  distrusse  quasi  due  terzi  del 
genere  umano ,  e  fu  1'  epoca  deli'  attuale  spopola- 
zione d'  Italia .  Non  v*  era  ai  mondo  ,  che  un  cra- 
nio sventato  quai  fu  quello  di  Messer  Giovannino , 
che,  invece  di  raccomandarsi  a  Dio,  fosse  capace  di 
far  nascere  in  mezzo  a  tanti  flagelli  un  Dccanier 
rone. 

Nel  i363  furono  da  capo  col  terremoto  i  Bo- 
lognesi ,  e  videro  cader  case  ?  e  schiacciarsi  varjj 
loro  cittadini . 


K    «B3    )( 

Nel  i393  tremò  di  nuovo  la  città  ,  ma  peri* 
colo  maggiore  corse  sei  anni  dopo,  cioè  nel  1^99, 
perchè  ai  2.0 ,  e  2.1  luglio  Bologna  tutta  ondulò 
così  forte ,  che  le  campane  sulle  torri  suonarono  * 
Pochi  anni  passarono  in  pace  ,  giacché  nel  i4cS 
91  sentirono  urti  fortissimi  ,  caddero  ediiìzj  ,  ed  al* 
lora  pure  le  campane  diedero  segno  di  scuoti- 
mento . 

Li  3  agosto  i4i4  ^  furono  scosse  rovinosissi- 
me con  gran  danno  delle  fabbriche  ,  che  crepola- 
rono .  Ma  a  che  continuare  questa  funesta  enume- 
razione cavata  dal  Ghirardazzi  ,  e  da  qualche  cro- 
naca MS.  ?  Finiscasi  piuttosto  indicando  solamente 
il  terremoto  dei  i5o5  ,  che  dei  forti  fu  1'  ultimo, 
e  di  molto  superiore  a  quello ,  che  ha  dato  luogo 
a  quest'  articolo  .  Cominciò  egli  la  prima  notte  del- 
l' anno  suddetto  ,  e  continuò  varie  settimane  .  Fi- 
lippo Beroaldo  il  seniore  ,  che  ci  si  trovò  ,  ce  lo 
ha  pateticamente  raccontato  in  un  suo  opuscolett© 
Sul  terremoto ,  che  compose  ,  e  stampò  appunto  in 
quell'anno.  Erano  precedute,  die'  egli ,  le  improv- 
vise scosse  da  spaventosa  romba  come  appunto  suc- 
cedeva ultimamente  .  Gran  parte  del  bellissimo  pa- 
lazzo ,  che  aveva  in  via  s.  Donato  Giovanni  Bentivoglio 
signore  allora  di  Bologna ,  rovinò ,  e  con  lui  rovina- 
rono varj  altri  edifìzj  .  Il  povero  Beroaldo ,  il  quale 
abitava  al  principio  del  borgo  della  Paglia ,  vide 
cadérsi    sotto    gli    occhi    tutta    la    facciata  della   sua 


X  i8i  x 
bella  casa*  Crepolò  la  chiesa  di  s.  Giacomo  >  quella 
di  s.  Francesco,  quella  di  s.  Pietro,  e  varie  altre» 
Tutte  le  fucine  de*  fabbri  lavoravano  dì  ,  e  notte 
chiavi  di  ferro  per  tenere  in  piedi  le  case  perieli- 
tanti  ,  e  non  trovavasi  più  ferro  in  città  .  Ginevra 
Bentivoglio  moglie  di  Giovanni  ,  donna  di  somma 
vivacità  ,  benché  non  troppo  portata  pel  ritiro  nei 
Monasteri  massime  di  Monache  ,  ebbe  tal  paura  , 
che  con  due  sue  figliuole  ritirossi  in  quello  del  Cor- 
pus Domini ,  che  allora  era  il  più  accreditato,  ed 
esemplare .  Beroaldo  dice  ,  che  ogni  giorno  anda- 
vano alla  porta  del  convento  a  farle  la  corte  ,  come 
a  loro  alta ,  e  potente  Signora ,  le  Dame  Bolognesi 
Forse  più  spaventate  di  lei .  Non  dormivano  più  per  le 
case  le  persone ,  ma  benché  nel  più  rigido  deli'  in- 
verno giacevano  a  cielo  scoperto  ,  dal  che  ,  e  dalla 
paura  nacquero  infinite  febbri  ,  e  mali  di  petto , 
che  ne  portarono  moltissimi  al  sepolcro  .  Fra  1'  al- 
tre morì  Cammiila  Paleotti  moglie  dello  stesso  Be- 
roaldo ,  ed  egli  non  tardò  guari  a  tenerle  dietro . 
Crollarono  molte  torri,  per  lo  che  Giovanni  Ben- 
tivoglio fece  demolire  quella  bellissima,  che  era  at- 
taccata al  suo  palazzo  ,  ed  allora  si  perdettero  le 
più  belle  pitture  a  fresco ,  che  poco  tempo  prima 
aveva  ivi  fatte  il  Francia ,  che  era  allora  il  Raf- 
faele di  Bologna  .  Sarebbe  stato  molto  prudente , 
che  tutti  avessero  fatto  lo  stesso  ,  e  che  a  tal  giu- 
sto Jfine  fossero   state  condannate   anche  quelle  due 

che 


)(  i85  )( 
che  il  popolo  crede  capi  d'opera,  cioè  FÀsineila5 
e  la  Garìsenda,  che  presto  o  tardi  hanno  da  farei 
un  brutto  scherzo  ai  loro  ammiratori  .  Sono  elleno 
due  torrioni  quadrati  di  mattoni  cotti  vote  di  den- 
tro ,  e  senza  scale  stabili ,  e  che  da  sei ,  e  più  se- 
coli in  qua  stanno  ad  insultare  la  ragione  ,  e  1'  ar- 
chitettura nella  patria  delle  belle  arti,  e  del  dise- 
gno L'  Asinelia  non  ha  altro  merito ,  che  una  pe- 
ricolosa sperticata  lunghezza  ,  ed  una  considerabil 
pendenza  .  La  Garisenda  poi  pende  a  segno  di  mi- 
nacciare il  vicinato  massime  in  occasione  di  qual- 
che altro  terremoto.  li  volgo  appunto  per  tanta 
pendenza  lo  crede  uno  sforzo  d'  architettura  ,  per- 
chè ridicolosamente  la  suppone  innalzata  apposta  con 
questa  bella  qualità  ,  intanto  che  e  un  orrore  ,  anzi 
un  vero  principio  di  rovina .  Noi  conosciamo  chi 
1'  ha  esattamente  visitata  ,  ed  è  dimostrato ,  che  il 
terreno ,   su  cui  essa   posa ,   è   andato  cedendo . 

Lo  stesso  è  succeduto  alla  bellissima  torre  di 
Fisa  ,  di  cui  le  prime  colonne ,  che  la  circondano , 
sono  già  sprofondate  in  terra,  colla  base  ,  e  con 
parte  del  fusto  dalla  banda  della  pendenza .  Gli  an- 
tichi Bolognesi  saviamente  mozzarono  la  cima  della 
lor  torre  per  diminuirne  il  pericolo  ,  e  F  Architet- 
to ,  che  innalzava  la  Pisana,  quando  se  n'accorse, 
non  ebbe  altro  partito  ,  che  piegarla  alquanto  dalla 
parte  opposta  per  diminuirne  lo  spiombo  ;  ma  ve- 
dendo ,  che   ciò   non   bastava ,   V  abbandonò  incorn- 

IV.  12    * 


X  186  )( 
pìeta .  Chi  conosce  T  architettura  sa ,  che  le  fabbri- 
che  pendenti  sono  impossibili  all'  arte  ad  alzarsi  . 
La  sola  guida  per  gli  architetti  è  il  piombo  ,  ed  il 
livello  orizzontale .  Ma  ci  perdonino  i  nostri  Leg- 
gitori ,  se  il  terremoto  ci  ha  guidati  così  lontani 
dall'  elettricità  del  Padre   Augusti  , 

Sperasi ,  che  i  Fisici  di  Bologna ,  i  quali  do- 
vrebbero pure  esser  molti ,  non  mancheranno  di  dare 
all'  Europa  curiosa  un  dotto  ,  ed  esatto  giornale  di 
questo  spaventoso  fenomeno ,  tanto  più ,  che  sentia- 
mo essere  il  medesimo  stato  accompagnato  da  singo- 
lari circostanze ,  e  non  prima  osservate .  Se  ciò  si  farà , 
vedranno,  che  uscirà  alla  luce  qualche  cosa  di  me- 
glio ,  e  di  p'ù  utile ,  che  i  caulerj ,  e  P  elettricità 
rinchiusa  solarne  aie  nella  terra  del  Bolognese  ora 
dal  freddo ,  e  dall'  umido ,  ed  ora  dal  caldo ,  e  dal 
secco  . 


DESCRIZIONE 

DE5    CIRCHI 


PARTICOLARMENTE  DI  QUELLO 

DI    CARACALLA 

E    DEI    GIUOCHI 
IN    ESSI    CELEBRATI. 


/ 

CAPO    I. 

Orìgine  Etrusco   dei  Giuochi  Circensi , 
e  loro  principiò  in  Roma  . 

vJHl  legge  con  ispirito  filosofico  la  storia  de'  prin- 
cipi di  Roma  ,  avrà  osservato  ,  che  questa  singo- 
lare città  presse  ne'  suoi  primordj  il  governo ,  le  leg- 
gi ,  la  magistratura  ,  la  religione  ,  i  riti ,  e  le  arti 
dagli  Etruschi  ,  da'  quali  era  circondata  .  Io  credo  , 
che  sarei  in  istato  di  dimostrarlo  ,  se  i'  argomento 
non  fosse  estraneo ,  e  superfluo  a  questo  mio  libro . 
Fra  le  altre  prove  non  è  la  più  piccola  il  vedere 
lo  strano  sforzo  ,  che  ,  dovunque  trattasi  di  origini 
romane  ,  fa  Dionigi  d'  Alicarnasso  per  farci  crede- 
re ,  che  la  cosa  sia  altrimenti .  Si  vede  chiara- 
mente ,  eh'  egli  cerca  di  distruggere  un'  opinione 
contraria ,  la  quale  giustamente  esser  doveva  radi- 
cata fra  i  Romani  ;  e  di  questa ,  come  di  tante  al- 
tre savie  riflessioni  storiche ,  siamo  debitori  alla  per- 
spicacia ,  ed  alla  filosofica  erudizione  di  monsignor 
Guarnacci   (o)  .    Del  resto  poi  si   vede  ,    che  i   libri 


(a)  Origini  Italiche ,  o  siano  memorie  istori- 
co-etrusche  sopra  V  antichissimo  regno  d1  Italia  ,  e 
sopra  i  di  lei  primi  abitatori  nei  secoli  più  remoti» 
Lucca  1767  tomi  IL  fol.  e  tomo  III,  ivi  1772. 

IV.  i3 


)(  194  )( 
incomparibili    di    Dionigi    furono    da    lui    ideati    per 
fare  onore  a'  suoi    Greci  \    mostrando    che  da  loro  , 
e  non  da  altre    nazioni,    avevano    preso   le    migliori 
lor  cose  i  Romani  « 

Qual  maraviglia  dunque  ,  se  i  giuochi  circensi  , 
i  quali  furono  forse  la  più  magnifica  rappresentazio- 
ne .  che  sapesse  immaginare  la  grandezza  de'  Ro- 
mani ,  qua!  maraviglia  ,  dico,  se  Dionigi  volle  farne 
onore  alta  sua  Grecia  ?  Furono  trasportati  certamen- 
te anch'  essi  dall'  Etruria  in  Roma-,*  giacché  i  giuo- 
chi formavano  una  parte  della  lor  religione  .  Tertul- 
liano ,  uomo  dottissimo  ,  ce  lo  dice  nel  suo  libro 
degli  spettacoli ,  e  ce  lo  dice  in  modo  da  non  la- 
sciar verun  dubbio  .  Fa  egli  uso  dell'  autorità  di  Ti- 
meo ,  antico  autore  siciliano ,  il  quale  aveva  la- 
sciato scritto ,  che  i  Lidj  fuggitivi  dall'  Asia  sotto 
la  scorta  di  Tirreno ,  aveano  piantata  neh*  Etruria 
la  lor  sede ,  e  che  fra  gli  altri  superstiziosi  riti 
aveano  introdotti  gli  spettacoli  sotto  nome  di  reli- 
gione .  Da  costoro  ,  cioè  dagli  Etruschi ,  presero  i 
Romani  quelli  ,  che  ne  erano  pratici ,  per  regolarne 
in  Roma  1'  esecuzione  .  Si  determinarono  allora  in 
quella  nascente  città  i  tempi,  ne'  quali  si  doveva  - 
no  celebrare  qoesti  giuochi  ,  e  li  chiamarono  ludi  , 
che  probabilmente  era  il  nome,  che  avevano  nel- 
F  Etruria  ;  nome  erignato  dalla  Lidia  ,  da  cui  ave- 
vano tratta  la  loro  primiera  origine  . 

Questa  testimonianza  è  di  tal   precisione ,  e  an- 


tichità ,  che  non  lascia  luogo  a  verun'  altra  ricerca  . 
Livio  (a)  anche  egli  dice ,  che  i  ludioni ,  o  siano  i 
direttori  dei  ludi,  furono  fatti  venire  a  Roma  dal- 
l' Etruria  ,  e  che  vi  portarono  ia  musica ,  il  canto  , 
e  i  balli  .  L'  Etruria  era  il  paese  dell'  allegria ,  del 
lusso ,  della  ricchezza  ,  della  magnificenza  ,  e  della 
superstizione  :  ed  appunto  per  questo  alla  lunga  do  - 
vette  cedere  poi  alla  ferocia  ,  ed  al  genio  militare 
dei  Romani ,  che  la  soggiogarono  .  Ovidio  (b)  ele- 
gantemente ci  dipinge  i  primi  giuochi  celebrati  fino 
da  Romolo  sull'  erba,  sedibus  de  cespite  Jactis , 
quando  volle  dare  mogli  Sabine  alle  sue  genti  ;  ed 
aggiunge  erpressamente ,  che  i  Toscani  vennero  a 
suonare  ,  e  a  danzare  a  questa  traditrice  festa  .  Gra- 
ziosamente aggiunge  ,  che  que'  primi  plausi  roma- 
ni furono  un  poco  più  sinceri  ,  che  non  erano  di- 
venuti a'  suoi  giorni ,  ne'  quali  ,  come  ai  nostri ,  s'  u- 
divano  ne'  teatri  applausi  comprati ,  e  di  concertd . 

Di  tre  specie  erano  i  giuochi  ,  o  siano  i  ludi  , 
I  primi  erano  scenici  ,  o  teatrali  ;  e  consistevano  , 
come  oggi  ,  a  rappresentare  sul  teatro  commedie  , 
canti ,  suoni ,  balli  ;  e  tutti  questi  alla  foggia  toscana  . 

Anfiteatrali  erano  i  secondi  ;  e  si  riducevano  a 
combattimenti    gladiatorj  fra   uomini ,  ed    uomini ,  o 


(a)  Lio.   7  cap.  2  n.  2. 

(b)  De  arte  am.  lib.   1  v.   107. 


)(  *96  )( 
tra  uomini ,  e  fiere  .  Di  queste  feroce  spettacolo  > 
come  pure  dei  teatrali,  si  è  parlato  da  tanti  auto- 
ri ,  che  stimo  superfluo  1'  arrestarmici  ;  tanto  più , 
che  in  questo  libro  non  si  parlerà  né  di  teatri  , 
ne  d'  anfiteatri  ,  ma  solamente  di  Circhi .  Basterà 
il  riflettere  ,  che  tanto  i  giuochi  teatrali ,  quanto 
gli  anfiteatrali  si  celebravano  ad  onore  degli  Dei , 
e  per  placare  le  ombre  dei  morti  ;  e  che  dall'Etra- 
ria  vennero  questi  pure  in  Roma.  In  fatti  per  rap- 
porto agli  anfiteatraii ,  gran  parte  delle  urne  sepol- 
crali etrusche ,  che  andiamo  disotterrando ,  ci  mo- 
strano ancora  combattimenti  gladiatorj  per  rammen- 
tarci la  loro  origine  . 

I  giuochi  circensi  formano  la  terza  specie  ;  ed 
-.erano,  come  dice  Tertulliano  ,  nel  loro  apparato  i 
più  ricchi ,  e  ì  più  pomposi .  Consistevano  essi  in 
corse  di  cavalli  precedute  da  varj  sagrifìzj  ,  nel 
portarsi  in  giro  le  immagini  degli  Dei,  e  nel  vede- 
re schierato  il  fiore  della  magistratura  romana,  che 
v'  interveniva .  Concorreva  a  questo  brillante  spetta- 
colo tutto  il  popolo  romano,  e  specialmente  la  più 
elegante  gioventù,  e  le  più  belle  fanciulle,  le  qua- 
li ,  come  dice  lo  stesso  Ovidio  (a)  ,  a  guisa  di 
lunghi  stuoli  di  formiche,  andavano  parte  per  vede- 
re, e   parte  per  essere   vedute.  Di  tutte  queste   co- 


(a)  Loc.  cit,  v.  93.  seqq. 


)(  '97  )( 
se  parleremo  nel  nostro  libro  \  e  benché  1'  argo- 
mento sia  stato  trattato  dottamente  dal  Panvinio  (a) , 
e  dal  Bulengero  (b) ,  procureremo  dì  renderlo  più 
a  portata  d'  ognuno  ,  spogliandolo  da  ogni  superflua 
erudizione  ,  ed  aggiugnendo  quanto  crediamo  ne- 
cessario .  In  questa  maniera  metteremo  sotto  gli 
occhi  de'  nostri  leggitori  la  più  bella  forse  delle 
funzioni ,  che  abbia  inventata  la  magnificenza  del 
popolo  dominatore  dell'  universo  .  Ricordisi  però  di 
grazia  il  lettore  che  questo  picciol  trattato  non  ser- 
ve ,  che  a  rendere  più  intelligibile  la  descrizione 
del  Circo  di  Caracalia ,  che  quasi  in  intero  sussi- 
ste tuttavia  fuori  delle  mura  di  Roma  ,  e  che  non 
è  stato  ancora  ,  non  saprei  dire  perchè ,  ben  illu- 
strato da  veruno  scrittore    d' antichità  . 

CAPO    IL 

De1  varj  Circhi  dell  antica  Roma  . 

JL  giuochi  circensi ,  de'  quali  io  parlo  ,  consistevano 
da  principio  in  una  corsa  di  leggiere  carrette  a  due 
rote ,  e   a  due ,  o  più   cavalli  ,  le    quali    facevano  a 


(a)  De  ludis  tircensibus  libri  duo  ,  curri  notis 
Joann.  Argoli ,  et  additemi.  Nic.  Vinelli.  Patavii 
1642  fol. 

(b)  De  Circo  Romano  ,  ludisque  circensibus 
liber.  Inter  Opera  omnia  Lugd.  i6ai  Tomo  II,  fot 


)(  i98  K 
gassa  a  chi ,  dopo  sette  giri  dentro  V  area  df  1  Cir- 
co ,  giungeva  la  prima  a  un  dato  termine  .  Soleva- 
no correre  sulla  sponda  del  Tevere ,  acciocché  il 
pericolo  rendesse  lo  spettacolo  più  interessante  .  Cer- 
ti termini,  intorno  ai  quali  per  legge  del  giucco  sul 
principio  di  questa  istituzione  dovevano  strettamente 
girar  le  carrette ,  erano  guerniti  di  molte  spade , 
che  in  essi  piantate  presentavano  ali'  altezza  dei  ca- 
valli la  punta  .  Un  tanto  rischio  obbligava  gli  aun- 
ghi alla  massima  destrezza  per  evitarne  ,  senza  ri- 
tardare il  loro  rapido  giro  ,  1*  incontro  pericoloso  . 
Questo  pensiere  ,  che  ha  Y  aria  assai  militare ,  die- 
de orìgine  ad  una  singolare  etimologia  adottata 
da  Cassiodoro  (a)  ,  e  da  Isidoro  (b)  ,  cioè  che  cir- 
censes  nasca  da  circum  enses  .  Derida  ,  o  abbracci 
questa  derivazione  a  suo  talento  il  mio  lettore  ;  a 
ma  pare  ,  che  circenses  nasca  più  naturalmente  da 
Circus ,  e  questo  dalla  figura  degli  stessi  luoghi 
del  giuoco  s  perchè  d'  ogn'  intorno  erano  circondati 
da  muri . 

JI  primo  Circo  chiuso  ,  che  si  edificasse  in 
Roma,  fu  opera  di  Tarquinio  Prisco  ,  principe ,  che 
ebbe  lo  spirito  edificatorio,  e  grande,  portato  pro- 
babilmente   a   Roma    dall'   Etruria    sua    patria .  In- 


(a)  Variar.  Uh.  'à  cap    5i. 

(b)  Qrig.    lib.    18    cap.   17  .   Servio    aà    Vìrg. 
Georg,  lib,  3  v.    18  e  180  Aen.  hb.  8  v.  636. 


)(  '93  )( 
nalzollo  egli  nella  Valle  Murcia  fra  il  colle  Aven- 
tino ,  e  il  Palatino .  Col  tratto  del  tempo  fu  chia- 
mato il  Circo  Massimo,  perchè  se  ne  edificarono 
in  Roma  dappoi  de'  minori ,  cioè  non  capaci  di  tanti 
spettatori .  Questo  Circo  non  bastò  più  alla  cresciuta 
popolazione  di  Roma  .  Giulio  Cesare  credette  dover 
dedicare  al  popolo  romano ,  ed  alla  religione ,  di 
cui  era  divenuto  capo ,  un  Circo  proporzionato  al 
bisogno;  ma  in  vece  di  farlo  nuovo,  credette  me- 
glio  accrescere   quello    di    Tarquinio    (a)  . 

Augusto  suo  successore ,  il  quale ,  malgrado  la 
sua  affettala  dipendenza  dal  Senato  ,  cominciava  a 
riguardare  la  gran  Roma  per  cosa  sua ,  anch'  egli 
rifabbricò  questo  Circo ,  ornandolo  di  marmi  in  oc- 
casione ,  che  andava  rimodernando  la  sua  capita- 
le (b)  .  Bella  descrizione  ce  ne  ha  lasciata  un  dotto 
greco  ,  che  vi  sarà  stato  tante  volte  a  vedervi  le 
corse ,  e  che  era  uomo  di  finissimo  discernimento  ; 
voglio  dire  il  già  mentovato  Dionigi  d' Alicarnasso . 
Egli  dice  (e)  ,  che  al  suo  tempo  il  Circo  Massimo 
era  circondato  da  gran  porticato  ,*  che  avea  molte 
scale  artificiosamente   distribuite  perchè  non  nascesse 


(a)  Plin.    Hist.    nat,    lib.  36    cap.   i5,  Sveton. 
in  Jul.  Caes.  cap.  39. 

(b)  Cassiod.   Var.  Hb.Z  epist.  5i. 

(e)  Antiq»  Rom.  lib.  3  cap.  68  pag.  192  edit, 
Oxon.  1704. 


)(     *oo     )(" 
confusione  fra  quelli ,  che  entravano ,  ed  uscivano  ; 
e    finalmente  ,    che  conteneva   cento  cinquanta  mila 
spettatori . 

Tanta  magnificenza  non  bastò  ai  successori  di 
Augusto  ;  perchè  Tiberio  ,  Caligola ,  Claudio ,  e  Ne- 
rone vi  fecero  anch'  essi  varj  accrescimenti .  Ai 
tempi  di  Plinio  (a)  il  Circo  Massimo  era  cresciuto 
fino  a  poter  contenere  duecento  sessanta  mila  spet- 
tatori ,  Quegli  però  ,  che  più  d'  ogn'  altro  lo  ac- 
crebbe ,  fu  Trajano  ,  perchè  a'  suoi  tempi  la  popo- 
lazione di  Roma  era  giunta  forse  al  massimo  suo 
aumento  (b) .  L*  iscrizione  ,  che  Trajano  vi  fece 
sopra  la  gran  porta ,  di  cui  Ci  ha  conservata  la  tra- 
duzione in  greco  Dion  Cassio  (e)  ,  dice ,  che  quel- 
F  imperatore  lo  aveva  reso  capace  del  popolo  ro- 
mano (d)  .   Di  questa  insigne  mole  non  restano  più 


(a)  JjOc.  cit. 

(b)  Plinio  nel  'Panegirico  cap.  5i  :  Hinc  im- 
mensum  latus  Circi  templorum  pulchritudinem  pro~ 
vocat  ,  digna  populo  victore  gentium  sedes  ,  nec 
minus  ipso  visenda  ,  qunm  quoe  ex  Ma  spectabun- 
tur  .  Plinio  segue  a  dire ,  che  Trajan©  così  aggiunse 
al  Circo  cinque  mila  posti  ;  ma  il  Lipsio  nelle  note 
ad  esso  crede  ,  che  debba  leggersi  cinquanta  mila  , 
e  più  .  Certamente  che  il  numero  di  5ooo  è  troppo 
piccolo  ,  e  non  corrisponde  all'  immensum  latus  . 

(e)  Uh.  68  cap.  7  vag.   \\2.\  ed't.   17 52. 
(d)  Anche  Costantino  lo  adornò  di  nuovi  porti- 
ci forse  più  alti  ,  e    con    indorature  ♦  come  si  ha  da 


)(       201       )( 

che  poche  incerte  vestigie  a  fior  di  terra  :  tanta  è 
la  caducità  delle  umane  cose  (a) .  La  tradizione  ce 
ne  ha  conservato  il  nome,  perchè  tuttavia  in  Ro- 
ma chiamasi  Cerchi  quel  pezzo  di  terreno  disabita- 
to ,  su  cui  alzavasi  una  mole  sì  sterminata ,  e  che 
ora  serve  per  orti  ,  e  pel  cimiterio  degli  Ebrei . 
Chi  dall'  alto  delle  rovine  del  colle  Palatino  guar- 
da la  sottoposta  valle  ,  riconosce  benissimo  1'  area 
del  Circo  Massimo  ;  e  dall'  ineguaglianza  del  terre- 
no da  lui  anticamente  occupato  ne  riconosce  il  cir- 
condario ,  e  il  pendìo ,  su  cui  erano  appoggiati  i 
sedili  dal  di  lui  lato  destro  opposto  al  palazzo  de* 
Cesari . 

Insigne  pure  bisogna  che  fosse  il  Circo  Fla- 
minio ;  giacché  così  sovente  ne  fanno  menzione  gli 
antichi  scrittori .  Secondo  Livio  (b)  par  che  ne  fosse 
fondatore    quelP  infortunato   Flaminio ,   che    fu    bat- 


Nazario  nel  panegirico  d»  questo  imperatore ,  cap.  35  : 
Circo  ipsi  Maximo  sublimes  porticus  ,  et  rvtilan- 
tes  auro  columnac  tantum  inusitati  ornatus  dede~ 
runt ,  ut  ilio  non  minus  cupide  conveniahir  loci 
gratia  ,  quam  spedami i  vo1upta*e  .  Pare  ,  che  qui 
INazario  abbia  imitato  Plinio  nel  lurgo  citato  . 

(a)  Il  Panvinio  ne  dà  la  figura  come  è  nello 
stato  attuale ,  e  come  crede  che  potesse  essere  anti- 
camente .  Da  questa  il  Bianchini  ha  ricavata  la  sua  , 
che  dà  nel  Palazzo  de1  Cesari,  Tav.  T. 

(b)  Epit.  lib.  20.  Vedasi  il  Paiavinio  lib*  J 
cap.   t8  ;  il  Bulengero  cap,  5. 


X       202       )( 

tuto  così  solennemente  ,  ed  ammazzato  da  An- 
nibale sul  lago  Trasimeno  .  Dione  (a)  ci  narra ,  che 
Augusto  diede  in  questo  Circo  uno  spettacolo  assai 
raro  in  Italia ,  cioè  una  caccia  di  coccodrilli  d'  E- 
gitto ,  nella  quale  ne  furono  uccisi  trentasei .  Qua! 
maraviglia  ,  che  fossero  anche  coccodrilli  in  Roma, 
se  dal  più  alto  dell'  Egitto  vi  si  portavano  fino  gli 
obelischi  più  smisurati,  e  le  più  immense  colonne? 
Quella  grossa  vena  d'  acqua  ,  che  serviva  a  questo 
Circo  ,  sentesi  tuttavia  gorgogliare  sotto  terra  fra  le 
sue  rovine  alla  chiavica  dell'  Olmo  ;  e  nei  sotter- 
ranei d'  un  tintore  a  lei  vicino  si  vedono  ancora 
gli  archi  immensi  del  Circo  ,  fra  i  quali  scaturisce 
per  uso  della  sua  officina  ampia  vena  di  quest'  ac- 
qua lìmpida,  e  purissima  (b)  .  Come  poi  facessero 
i  Romani  a  chiudere  Y  acqua  in  un  Circo  ,  che  do- 
vea   aver  tante   porte ,   io  qui   non  saprei  dirlo .   Ho 


(a)  Ub.   55  cap.    io  pag.   781. 

(b)  Il  Cassio  Corso  delle  acqui  ,  Tom.  1  par.  1 
n.  4  §•  io  ne  descrive  il  corso,  e  crede  sia  l'an- 
tico rivo  deli'  Augusta ,  che  veniva  sempre  sotterra 
lino  a  Roma  dal  Tusculo.  Potendosi  con  facilità  far 
uscire  all'  aperto  ,  e  servire  agli  usi  della  Roma  mo- 
derna in  ajuto  della  Vergine  che  è  di  qualità  infe- 
riore ,  si  farebbe  un  grandissimo  benelìzio  al  pubbli- 
co ,  e  s'  immortalerebbe  il  Sovrano  ,  che  facesse  ri- 
vivere il  nome  di  Augusto  ,  e  di  Agrippa  in  un' 
acqua ,  che  sarebbe  Y  unica  veramente  sincera ,  come 
era  da  principio  . 


X       203       )( 

sempre  però  sospettato ,  che  la  caccia  de*  coccodrilli  si 
facesse  relPeuripo,  o  sia  canale,  che  lungo  i  se- 
dili degli  spettatori  correda  ,  come  nel  progresso  di 
quest'  opera  si  vedrà  .  Anche  di  questa  gran  fab- 
brica non  resta  più  che  un  monte  di  rottami  na- 
scosi sotto  il  pavimento  odierno  di  Roma ,  il  quale 
visibilmente  quivi  si  alza  non  poco  .  Una  parte  di 
tanto  edifìzìo  serve  di  fondamento  alla  chiesa ,  e 
monastero  di  s.  Catterina  de'  Funari ,  ai  due  palazzi 
dei  Duchi  Mattei  ,  ed  a  tante  altre  fabbriche  cir- 
convicine .  Ai  tempi  di  Celestino  III.  ,  cioè  del 
1192,  bisogna,  che  sussistessero  ancora  gran  reli- 
quie di  questo  Circo.  Lo  raccolgo  da  una  sua  bolla 
non  ancora  osservata  dagli  antiquarj  (e)  ,  in  cui  è 
nominato  a  proposito  di  questo  preciso  luogo  il  ca- 
stello aureo  ,  le  antiche  mura  circolari  ,  e  le  vol- 
te. II  nome,  che  tuttavia  dura,  di  botteghe  oscure 
ad  una  parte  di  questo  distratto ,  ove  non  sono  bot- 
teghe ,  e  se  vi  fossero  non  sarebbero  oscure ,  nasce 
certamente  da  quegli  archi  esterni  del  Circo ,  che 
dappoi  saranno  stati  demoliti .  Servivano  essi  d'  offi- 
cine in  questi  luoghi  ,  e  1'  antico  volgo  gli  avrà 
chiamati  botteghe ,  prodotto  del  nome  greco  di 
apothecae ,  che  vuol  dire  arcuate  . 


(a>  È  inserita    nel    Bollano    Vaticano    Tom.  I. 
pag.  74. 


X    2o4    )( 

La  moderna  Piazza  Navona  occupa  gran  parte 
delio  spazio  ,  o  sia  arena  del  Circo  agonale,  dal 
qual  nome  il  volgo  ha  probabilmente  composto 
quello  di  Navona  (a)  .  L'  andamento  curvo  delle 
case  poste  sulla  sua  estremità  settentrionale  ,  mo- 
stra che  sono  fondate  su  quella  curvatura ,  che  il 
Circo   avea   nella   parte   lunata   opposta  alle   carceri . 

Il  fianco  destro  della  gran  basilica  del  Vatica- 
no appoggia  sulle  mura  d'  un  Circo  cominciato  da 
Caligola  ,  e  finito  da  Nerone ,  e  che  fu  uno  de'  più 
insigni  di  Roma  .  A  lui  apparteneva  il  bellissimo 
obelisco ,  che  ora  fa  P  onore  della  gran  piazza  di 
s.  Pietro .  Nello  scavare ,  che  attualmente  (b)  fassi 
pei  fondamenti  della  nuova  sagristia  di  questo  au- 
gusto tempio ,  sj  sono  trovati  molti  pezzi  di  muro 
di  questo  Circo  ;  ma  si  vedeva  ,  che  fino  dall'  an- 
tichità erano  rovinati ,   e  guasti    (e)  . 


(a)  Il  Nardini  Roma  Ant.  lib.  6  cap.  5  pre- 
tende ,  che  sia  detto  da  una  gran  nave  ,  di  cui  la 
piazza  ha  la  somiglianza  .  Io  credo  ,  che  sia  nato  da 
in  agone  ,  da  cui  ne'  bassi  tempi  per  la  pronunzia 
popolare  si  è  scritto,  e  detto  Nagone ,  e  quindi  Na- 
vone ,  Navona  . 

(b)  L'  anno   1776. 

(e)  Si  può  vedere  la  sua  direzione  nelle  stam-" 
pe  del  tempio  Vaticano  ,  nelle  quali  è  combinata  la 
pianta  moderna  colle  fabbriche  antiche  ,  e  in  ispe- 
cie  in  quella  pubblicata  dal  Fontana ,  II  tempio  vatic. 
pag.  245,  dalla  quale  si  vede,  che  il  Circo  era  più 
lungo  che  tutta  la  chiesa  moderna  ,  e  il  colonnato . 


)(    so5     )( 

Era  vene  un  altro  cominciato ,  per  quanto  si  cre- 
de ,  da  Nerone  negli  orti  di  Domizia  sua  zia ,  e  fi- 
nito da  Adriano .  Restava  vicinissimo  al  sepolcro 
di  quest'  ultimo  imperatole  .  Sono  pochi  anni ,  che 
nello  scavare  la  terra,  se  ne  trovarono  grandi  avan- 
zi ,  ne'  quali  riconoscevansi  ancora  segni  delie  anti- 
che pitture ,  che   lo  adornavano    (a)  . 

Sappiamo ,  che  Eliogabalo  edificò  fuori  di  Ro- 
ma (b)  un  Circo  ,  che  supponesi  essere  quello , 
che  qualche  regionario  ha  attribuito  ad  Aureliano  ; 
ma  la  cosa  è  assai  oscura .  Di  là  si  cavò  quelF  o- 
belisco  ,  che  dovea  servire  dr  ornamento  nella  piaz- 
za Barberina  ,  e  che  dopo  essere  restato  tanti  anni 
giacente  in  faccia  al  bel  palazzo  di  questa  nobilissi- 
ma famiglia  ,  fu  ultimamente  trasportato  al  Vatica- 
no :  regalo  degno  d'  un'  imperatrice  romana  ,  fatto 
da  Donna  Cornelia  Barberini  principessa  di  Palesti- 
na a  Clemente  XIV.   (e) . 

Negli  Orti  Sallustiani  ve  n3  era  uno  bellissimo 
capace  anch'  esso  ,  per  quanto  si  dice  ,  d'  essere 
riempito  d'  acqua  in  caso  di  spettacoli  navali .  Fu 
opera  ,    per    quanto   si  crede  ,    di  Sallustio    insigne 


(a)  Nel  secolo  deciìnosesto  se  ne  vedevano  an- 
cora grandi  avanzi  di  muri ,  come  attesta  il  Gamucci 
nelle  sue  Antichità  di  Roma  ,  in  fine . 

(b)  Fuori  di  Porta  Maggiore  . 

(e)  Sta  ora  nel  giardino  interno  del  Vaticano. 


)(       206       )( 

cittadino  romano  ;  e  se  ne  distingue  tuttavia  il  luo- 
go da  varie  informi  sì ,  ma  grandiose  rovine ,  che 
ne  dovevano  sostenere  un  fianco  (a) .  Non  ebbe  torto 
quei  Greco  ,  quando  disse ,  che  i  cittadini  romani 
gli  parvero   tanti   re  . 

Del  Circo    di  Flora  ,    che    era   sul  Quirinale  , 


(a)  L*  Obelisco  Sallustiano  è  stato  ultimamen- 
te collocato  per  ordine  del  regnante  Pio  VI.  avanti 
alla  chiesa  della  Trinità  de'  monti  .  Ammiano  Mar- 
cellino ne  parla  lib.  17  cap.  4.:  Secutaeque  aetates 
alias  transtulerunt  ;  quorum  unus  in  Vaticano  ,  al- 
ter in  hortis  Sallustii  ,  duo  in  Augusti  monu- 
mento erecti  sunt .  Il  nominarlo  prima  dei  due 
del  Mausoleo  d'  Augusto ,  se  non  è  per  la  grandez- 
za, farebbe  credere,  che  fosse  stato  portato  a  Ro- 
ma prima  .  Forse  lo  avrà  fatto  venire  qualcuno  di 
quegli  imperatori ,  che  hanno  abitato  nel  palazzo 
contiguo  ,  e  hanno  adornato  di  monumenti  antichi 
quelle  delizie  ;  tra  i  quali  fu  probabilmente  Vespa- 
siano ,  come  pensa  il  Winckelmann  Stor.  delle  ar- 
ti ,  ec,  lib.  2  cap.  3  §.  18  Tom.  IL  pag.  364-  Se 
è  venuto  a  Roma  dopo  Augusto  ,  secondo  il  detto 
di  Arnmiano  Marcellino  ,  non  potrà  dirsi  col  Cassio 
Corso  delle  acque  antiche  ,  par.  1  num.  36  §.  6 
pag.  333 ,  che  lo  portasse  io  stesso  Crispo  Sallustio , 
che  fu  fatto  prefetto  della  Numidia  da  Giulio  Cesare 
per  saccheggiarla  ,  e  spogliarla  ,  anziché  per  hen 
governarla  ,  come  si  ha  da  Dione  lib.  43  num.  9 
pag.  346.  Né  la  Numidia  avea  che  fare  coli'  Egit- 
te  .  Dall'  esser  poi  stato  trovato  nel  recinto  dell'  odier- 
na villa  Lodovisi ,  e  dal  dirlo  Ammiano  Marcellino 
collocato  negli  Orti  di  Sallustio ,  pare  che  non  sia 
stato  mai  nel  Circo  annessovi  . 


)(       207        )( 

sappiamo  pochissimo  .  Si  dice  solamente ,  che  in 
esso  davano  gli  spettacoli  le  pubbliche  meretrici,-  e 
in  conseguenza  sarà  stato  il  più  allegro  di  tutti  . 
Forse  ve  n'  erano  degli  altri ,  de'  quali  non  restano , 
che  tracce  incerte ,  malgrado  le  indicazioni  ,  che 
nella  sua  pianta  di  Roma  ne  ha  date  il  Panvinio  ; 
ma  il  mio  scopo  non  è  qui  di  rintracciare  ogni  ro- 
vina 9  ed  ogni  visione  degli  antiqusrj  .  Incerto  però 
non  è  quello  ,  che  tuttavia  vedesi  fuori  di  Porta  Ca- 
pena ,  chiamata  Porta  s.  Sebastiano .  Da  molti  secoli 
le  sue  rovine  vengono  chiamate  dal  volgo  ,  il  Cir- 
co ,  o  sia  la' Giostra  di  C ar acalla  .  Di  questo  darò 
alla  fine  della  presente  opera  un'  esatta  descrizione  ; 
giacché  è  1'  unico  de'  Circhi  non  solo  di  Ptoma  ,  ma 
di  tutto  il  mondo  ,  che  conservi  ancora  in  gran  parte 
T  antica  sua  struttura  .  Io  non  saprei  dire  per  qual 
cagione  sia  stato  negletto  da  tanti  eruditi  antiquarj  ; 
giacché  non  v'  è  quasi  sasso  in  Roma ,  che  non  ab- 
bia trovato  il  suo  illustratore .  Ne  parlò  in  poche  ri- 
ghe ,  e  ne  diede  la  figura  il  Panvinio  ;  ma  con  pace 
di  tant'  uomo  non  v'  è  cosa  piò  inesatta  ;  come  fa- 
cilmente se  ne  acorgèrà  chi  vorrà  darsi  la  pena  di 
paragonarla  colla  mia  (a)  . 

Finiscasi  questo  capo  col  dire,  che  non  dee  ma- 
ravigliarsi il  lettore,  se  v'erano  tanti  Circhi  neh"  an- 

(a)  Con  maggiore  esattezza  ne    avea   parlato   il 
Fabretti  de  Col,  Troj.  cap.  6  pag.   i4$  segg. 


)(  *o8  )( 
tica  Roma  ,  quando  pare  che  uno ,  o  due  de*  più 
grandi  avrebbero  più  che  bastato  a  dare  i  giuochi  a 
tutta  questa  gran  capitale  .  1  Circhi  erano  i  luoghi 
più  interessanti  per  la  religione  (a)  ;  ed  il  fondarli 
era  un  atto  delia  pietà  de*  Gentili,  come  è  atto  della 
nostra  il  fondare  conventi ,  ospidali ,  e  chiese  . 

CAPO    III. 

Dell*  uso  dei  Circhi  ,  e  delle  cagioni 
della  loro  distruzione  . 

.Benché  ì  Circhi  fossero  architettati  per  le  solenni 
corse  de*  cavalli ,  le  quali  costituivano  la  parte  più 
divertente  dei  giuochi  circensi ,  servivano  ancora  a 
varj  altri  usi ,  ed  al  comodo  della  città  .  Oltre  ai 
giuochi  della  lotta ,  del  pugillato  ,  della  corsa  a 
piedi ,  che  ne'  Circhi  si  celebravano  ,  in  essi  spesso 
si  radunavano  anche  i  comizj ,  e  vi  si  tenevano 
quelle  pubbliche  funzioni,  le  quali  per  la  gran  mol- 
titudine del  popolo  non  potevano  più  tenersi  ne' 
tempj  ,   e  nelle  basiliche  . 

Gli  Anagnini  dovendo  raunare  un  consiglio  ge- 
nerale , 


(a)  I  giuochi  circensi  venivano  dati  qualche  vol- 
ta nelle  .pubbliche  preghiere  per  il  bene  dello  stato , 
o  della  famiglia  imperiale  ,  e  casi  simili  .  Vedali 
Tacito  Annoi,  lib.  i5  cap.  23,  e  in  fine. 


)(  2o9  )( 
nerale ,  lo  intimarono  nel  loro  Circo ,  e  vi  dichia-" 
rarono  la  guerra  ai  Romani  (a)  .  Da  Cicerone  (b) 
lappiamo  ,  che  specialmente  nel  Circo  Flaminio  si 
recitarono  molte  concioni .  Nel  medesimo  Circo , 
al  dir  di  Plutarco  (e)  ,  Luculio  schierò  il  suo  trion- 
fo \  ed  è  ben  ragionevole  ,  perchè  ivi  potevalo  ot- 
timamente godere  gran  parte  del  popolo  romano  as- 
siso con  comodità .  Fu  pure  nello  stesso  Circo ,  che 
Augusto  recitò  al  popolo  Porazion  funebre  di  Bra- 
so morto  in  Germania  (d)  .  Ovidio  (e)  avver- 
te ,  che  non  è  tempo  d' andare  a  parlar  d' amo- 
re alle  fanciulle  quando  incantate  stanno  ammiran- 
do nel  Circo  schierate  le  spoglie  dei  re  .  Da  ciò 
arguisco  ,  come  dopo  che  i  vincitori  avevano,  por- 
tato a  Roma  le  spoglie  de'  vinti ,  queste  si  espone- 
vano nei  Circhi  alla  pubblica  vista  :  lo  che  non 
poteva  certamente  aver  luogo  nel  tempo  delle  corse . 
I  Circhi  erano  divenuti  ancora  una  specie  di 
pubblica  piazza ,  ove  quotidianamente  concorreva  il 
popolo .  Vi  si  radunavano  i  ciarlatani ,  gP  indovini , 
i  venditori  di  unguenti ,  ed  altra  simile  razza .  Ca- 
tullo   (/)    dice    a    Camerio ,    che    lo   aveva   cercato 


(a)  Liv.  lib.  o,  cap,  3i  num.  l\2» 

(b)  Pro  Sextio  . 
(e)  In  Luculio  . 

(d)  Dione    lib.  55  cap.  2.  pag,  771. 

(e)  De  Arte  am.  Ub.   1  v,  I±io  seg. 

(f)  Carni,  5  2  v.  4 

IV.  4 


X      2IQ      )( 

invano  nel  Campo  minore ,  nelle  botteghe  de'  li- 
bra) ,  nei  gran  tempio  di  Giove ,  nel  Portico  di 
Pompeo ,  e  nel  Circo  ;  perchè  questi  erano  i  luo- 
ghi della  maggiore  frequenza  .  Il  Circo  era  luogo 
consecrato  agii  Dei  :  ed  infatti  oltre  le  are,  statue, 
e  tempietti  interni,  delle  quali  cose  si  parlerà  a 
suo  luogo ,  v'  erano  ali'  esterno  molti  tempj  vicini  « 
Questa  probabilmente  è  la  cagione ,  per  cui  fra  le 
antichità  i  Circhi  sono  le  più  distrutte  di  qualunque 
altra .  Le  funzioni  sacre  ,  che  in  essi  si  celebrava- 
no ,  e  che  erano  le  più  importanti ,  ispirarono  ai 
primi  Cristiani  una  ben  giusta  avversione  a  questi 
edifizj.  Basta  leggere  Tertulliano  ,  s.  Girolamo ,  e 
s.  Agostino  per  convincersene  (a)  .  Qual  meravi- 
glia dunque  se  contro  questi  edifizj  scaricarono  i 
Fedeli  il  loro  zelo  distruttore ,  tosto  che  furono  in 
istato  di  farlo  impunemente  ?  Le  vestigie  di  teatri  , 
d'  anfiteatri  i  di  basiliche  ,  di  tempj  ,  di  terme  tanto 
in  Roma  ,  quanto  pel  resto  dell'  impero  romano  , 
si  sono  conservate  più  o  meno ,  quantunque  tutti  questi 
edifizj   contenessero    qualche   superstizione  ;   ma  se  si 


(a)  Cassiodoro  Var.  lib.  3  epist.  5i  li  dete- 
sta anche  per  altre  ragioni  ;  Spectaculum  expellens 
gravissimos  mores  ,  invitans  levissimas  contentiones , 
evacuator  hone  stati  s  ìJons  irriguus  jurgiorum;  quod 
vetustas  quidem  habuit  sacrum  ,  sed  contentiosa  po- 
sterità* fecit  esse  ludibrium  .  Vedasi  anche  il  Bu 
lengero  de  Circo  ,  praef.  ad  s.  Joann.  Chrys.  Orat. 
pag>  79  segg. 


X    *n    )( 

eccettua  l' Ippodromo  di  Costantinopoli  ,  e  il  Circa' 
di  Caracalla  in  Roma  ,  non  resta  ,  come  abbiam 
detto  ,  verun  vestigio  di  Circhi ,  eh'  io  sappia ,  in 
tutta  P  Europa  (a)  .  L'  Ippodromo  di  Costantinopoli 
ha  durato ,  benché  in  cattivo  stato  ,  più  degli  altri , 
perchè  continuarono  per  varj  secoli  in  esso  le  pub- 
bliche corse  de'  cavalli  (b)  .  Costantino  fatto  cristia- 
no tolse  dai  giuochi  la  pompa,  che  veramente  era 
tutta  idolatrica  ;  ma  lasciò  per  soddisfazione  del  po- 
polo le  corse  {e)  ,  le  quali  hanno  durato  quasi  fi- 
no  alla   presa ,   che   di  Costantinopoli  fecero  i  Tur- 


(a)  Dei  Circhi  fuori  di  Roma  ne  parlano  il  Pan- 
vìnio  lib.  i  cap.  26  segg. ,  e  il  Bulengero  cap.  6. 
Se  ne  potrebbero  numerare  degli  altri  ricordati  dagli 
scrittori  de'  bassi  tempi ,  e  dai  moderni  ;  ma  io  non 
credo  di  dover  entrare  qui  in  molte  ricerche  ,  ben  me- 
more di  ciò,  che  fa  osservare  il  march.  Maffei  degli 
Anfit.  lib.  1  cap.  io  ,  cioè  che  ne' bassi  tempi  spe- 
cialmente si  è  fatta  una  confusione  grande  nei  nomi 
di  teatro  ,  d'  anfiteatro  ,  e  di  Circo ,  usandoli  promi. 
scuamente . 

(b)  Ne  dà  la  figura  il  Panvinio  al  luogo  citato 
pag.  61.  Alla  pag.  60  dice,  che  i  quattro  cavalli  di 
bronzo ,  che  stanno  nel  portico  della  chiesa  di  s. 
Marco  a  Venezia,  furono  tolti  da  questo  Circo  al 
tempo  ,  che  i  Veneziani  furono  padroni  di  Costanti- 
nopoli nel  secolo  XIII.  (  Ora  (1802)  sono  a  Pa- 
rigi )  .  La  figura  dell'  Ippodromo  la  dà  anche  il 
Bandurio  lmp.  Qrient.  par.  4.   Tom.  II.  pag.  664. 

(e)  Zosim.  lib.  2.  cap.  3 1  pag.  184  edit.  1679, 
Marcellino  Conte  Chron.  anno  Ghr.  5z$. 


)(       212       )( 

chi  nel  decimoquinto  secolo  .  Da  un  luogo  delie 
Ceremonie  di  Costantino  Porfirogenito  (a)  si  ve- 
de, che  a  que' giorni  fino  la  musica  di  s.  Sofìa  an- 
dava a  decorare  le  corse  nelP  Ippodromo  .  Sta  an- 
cora in  piedi  sulla  spina  di  quel  Circo,  benché  di- 
roccato ,  1'  obelisco ,  ed  un  bellissimo  tripode  com- 
posto di  tre  gran  serpenti  di  bronzo  capricciosa- 
mente  attortigliati . 

Le  rovine  del  Circo  di  Caracalla  qui  in  Roma 
hanno  forse  durato  più  di  quelle  degli  altri  ,  perchè 
esso  è  quasi  due  miglia  distante  dalla  città  fra  sepol- 
cri ,  e  in  luogo  appartato  ,  ed  in  un  angolo  fra  la 
via  appia ,  e  la  latina  .  A  questo  aggiungasi  ,  che  era 
tanto  meschino  in  comparazione  degli  altri  Circhi  di 
Roma  5  che  i  primi  distruttori  non  lo  avranno  forse 
creduto  degno  della  loro  collera .  E'  stato  però  mal- 
menato anch'  esso  ,  come  chiaramente  si  vede  ,  più 
dallo  zelo ,  che  dal  tempo  ;  perchè  sussistono  molte 
parti,  le  quali  per  la  loro  debolezza  avrebbero  dovu- 
to crollar  le  prime  ,  e  sono    cadute  le  più  robuste  , 


(a)  De  Cerem.  Aulae  Biz.  lib.  i  cap.  68  segg. 
Vi  andavano  i  cantori ,  perchè  vi  si  cantavano  molte 
preci ,  ed  acclamazioni ,  in  modo ,  che  pareva  quasi 
una  festa  religiosa  .  Nei  citati  capitoli  si  descrivono  i 
preparativi ,  e  la  direzione  delle  corse  ;  i  premj  ,  e 
il  modo  di  darli ,  e  cose  simili  secondo  1'  viso  dì 
quel  tempo  . 


)(     2i3     )( 
guaii  sono  le  volte  ,  e  la  galleria  coperta   circonda- 
rla (a)  . 

11  fin  qui  detto  basti  siili'  uso  dei  Circhi  ,  e  sul- 
le cause  della  loro  distruzione.  Passiamo  ora  a  de- 
scrivere le  parti  di  questi  edilìzi  ,  per  indi  passare  a 
ragionar  dei  giuochi ,  che  in  essi  si  celebravano  , 
Essendo  i  Circhi  tutti  più ,  o  meno  della  mede- 
sima struttura  ,  io  credo ,  che  il  descriverli  in  ge- 
nerale sarà  un  dar  idea  di  tutti ,  dalla  maggiore,  o 
minore  magnificenza  in  poi  .  Dividiamoli  in  ambito, 
o  siano  sedili  ,  in  carceri  ,  o  sia  oppido,  e  nella  spi- 
na ,  intorno  a  cui  si  correva  . 


(a)  L'  Autore  ragiona  secondo  P  opinione  vol- 
gare ,  che  ì  Cristiani  abbiano  rovinate  le  fabbriche  , 
gì'  idoli ,  e  le  altre  magnificenze  antiche  di  Roma  . 
Credo  di  aver  provato  ,  che  ciò  non  sia  vero ,  nella 
mia  Dissertazione  sulle  rovine  di  Boma  citata  poc' 
anzi  ;  e  che  altre  siano  state  le  cagioni  di  tal  deva- 
stamento .  Il  Circo  di  Caracalla  ha  forse  sussistito 
in  gran  parte  ,  perchè  è  lontano  da  Roma  ;  e  non 
è  tutto  fatto  di  gran  mattoni,  che  sono  quelli,  che 
si  cercano  da  coloroj  che  rovinano  le  fabbriche  antiche . 


CAPO    IV. 

Pianta   dei  Circhi   in  generale  . 

1  ER  evitare  lunghe,  ed  oscure  spiegazioni  nel  de- 
scrivere la  struttura  dei  Circhi ,  credo  opportuno  il 
darne  qui  prima  una  figura  generale ,  che  non  poca 
luce  spargerà  per  tutto  questo  mio  libro  .  Non  a— 
vremmo  avuto  bisogno  di  cercare  le  regole  deli'  ar- 
chitettura circense,  se  Vitruvio ,  come  ci  ha  parlato 
de*  teatri,  ci  avesse  parlato  ancora  de*  Circhi  .  Ma  è 
cosa  strana  il  non  averne  fatta  neppure  menzione  , 
quasiché  questa  specie  di  pubblici  edifizi ,  anzi  forse 
i  più  vasti  deli'  antichità ,  non  fosse  stata  in  uso  a' 
suoi  tempi  (a)  .  Non  è  ignoto  a  veruno  ,  che  v'  era 
Circo  in  Roma  fino  dai  tempi  di  Tarquinio  .  Degli  an- 
fiteatri pure  non  ne  ha  detto  parola  .  Tal  silenzio  po- 
trebbe forse  autorizzare  il  sospetto  di  taluno  ,  che 
non  avessimo  intera  1*  opera  di  questo  grand'  arte- 
fice dell'  architettura  romana  . 

Sarebbe   forse  concepibile  cotesto  suo   silenzio  , 
se  la  struttura  de'  Circhi    fosse  cosa  semplice ,  ed  ar- 


(a)  //  riflesso  deìV  Autore  diviene  più  forte 
ilei  vedere,  che  T~ifrui>io  nel  lib.  i  cap.  7  menzio- 
na i  Circhi  in  genere  .  Nel  lib.  2  cap.  2.  il  Circo 
Massimo  ;  e    nel  lib.  .4  cap.  7  il.,  Circo  Flaminia 


)(  ai5  )( 
bitraria  ,  come  ce  la  mostrano  le  figure  circensi  da- 
teci finora  da  alcuni  antiquari  .  Ma  vedrassi  fra  poco 
quanta  esattezza  richiedevano  questi  edifizj  ,  e  quante 
circostanze  richiamavano  la  speculazione  deli'  archi- 
tetto . 

Avvertasi  che  nei  dare  questa  figura  generale 
noi  non  possiamo  che  far  uso  delle  misure  ricavate 
dai  Circo  di  Caracalla ,  che  è  il  solo  ,  come  dicem- 
mo, fra  tutti  i  Circhi  distrutti  d'  Europa,  di  cui  ci 
resti  qualche  traccia  sicura  .  Esse  ne  guideranno  ;  ed 
io  credo  ,  che  i  principj  generali,  che  da  lui  stabi- 
lirò, saranno  comuni  a  tutti  i  Circhi;  perchè  nasco- 
no dalla  costituzione ,  e  dalle  leggi  medesime  delle 
corse  circensi ,  per  le  quali  ognuno  di  questi  edì  ~ 
fizj  era  architettato  (a)  . 

A  A  A  Area    dello    stadio ,  o    sia  campo  ,  su 
cui  correvano  le  quadrighe  . 

BBB  Carceri  ,  o  siano  poste  ,  le  quali  erano 
in  numero  di  dodici .  Non  èrano  esse  già  disposte 
in  linea  retta  coli'  angolo  retto  ai  lati  del  Circo,  co 
me  ce  le  hanno  rappresentate  finora  gli  eruditi  (b)  .. 


(a)  Tavola  I.  ng.  I. 

(b)  Il  Fabretti  los.  cit.  è  stato  il  primo  a  rap- 
presentarla bene  nel  Circo  di  Caracalla  .  Negli  altri 
Circhi  erano  forse  in  linea  retta  (*)..  Neil'  Agonale 
non  si  capisce  chiaramente ,  e  neppure  nel  Massimo . 

C)  Come  mai  si  può  sospettare  simile  cosa? 
Era  meglio  che  tali  parole  restassero  nella  penna 
di  chi  le  scrisse  .  Gli  Edit, 


)(  *iG  )( 
Erano  sopra  un  arco  di  circolo,  il  cui  centro  era  al 
punto  e .  Ognun  vede  la  ragione  di  questa  disposi  - 
zione  circolare ,  affinchè  nessuna  carretta  avesse  il 
menomo  spazio  più  dell'  altra  da  percorrere  (a)  .  Le 
carceri  erano  pervie ,  e  non  avevano  che  la  larghez 
za  necessaria  a  quattro  cavalli  di  fronte ,  e  la  lunghez- 
za per  una  breve  carretta  a  due  rote  coi  cavalli  at- 
taccati al  timone  . 

e  Centro  del  circolo  ,  sul  cui  arco  erano  dispo- 
ste le  dodici   carceri  . 

D  D  Aggere  ,  o  sia  spina ,  lungo  la  quale  dal- 
l' una ,  e  dall'  altra  parte  correvano  in  giro  a  gara  le 
carrette  .  Era  essa  fondata  quasi  precisamente  sopra 
una  linea  retta,  la  quale  può  chiamarsi  1'  asse  del  Cir 
co  .  Io  non  dubito,  che  la  larghezza,  e  lunghezza 
della  spina  fosse  in  tutti  i  Circhi  la  stessa  ,  cioè  lar- 
ga piedi  12,  ,  e  lunga   128  tese  di  Francia  . 

E  E  Le  due  mele  ,  attorno  alle  quali  giravano 
le  carrette  .  E  1  meta  prima  :  E  2  meta  seconda .  La 
meta  prima  era  ad  una  distanza  determinata  dalle  car- 
ceri ,  cioè  poche  tese  di  più  della  metà  della  lunghez  - 
za  della  spina  .  Il  sito  della  meta  seconda  E  2  vie- 
ne determinato  dalla  lunghezza  della  spina ,  cioè  128 
tese  lontano  dalla  prima  . 

FFF  Circonferenza  del  Circo  ,  sulla  grossez- 
za della  quale    erano    disposti  i  sedili ,  ì  portici ,  ec. 


(a)  Si  veda  appresso  il  capo  X. 


Dalla  parte  sinistra  il  lato  F  i  F  i  F  i  era  quasi 
parallelo  alla  spina  fin  dove  cominciava  a  curvarsi 
circolarmente  ,  e  voltare  .  Alla  parte  destra  il  lato 
F  2.  F  2. ,  ove  finiva  la  suddetta  curvità ,  cominciava 
alcun  poco  a  divergere  dalla  spina  ,  e  così  conti- 
nuava fino  al  punto  *  in  faccia  alla  prima  meta  E  i. 
Tornava  in  quel  medesimo  punto  a  piegarsi  in  den- 
tro per  andare  a  raggiugnere  la  prima  carcere  B  i, 
e  così  chiudere  lo  steccato  .  Ognun  vede  la  ragione 
di  questa  divergenza  ,  cioè  per  lasciare  più  ampiez- 
za all'  ingresso  nello  spazio  alle  carrette. 

G  Porta  principale  dei  Circo  .  Io  credo,  chela 
sua  distanza  dalla  meta  seconda  fosse  arbitraria ,  pur- 
ché tra  lei ,  e  la  meta  restasse  sufficiente ,  e  comodo 
passaggio  per  le  carrette  .  Io  suppongo  ,  che  V  ar- 
chitetto potesse  tenere  questa  porta  più,  o  meno  lon- 
tana dalla  meta  a  misura  ,  che  voleva  rendere  il  Cir- 
co più  ,  o  meno  capace  di  spettatori . 

H  H  Due  porte  laterali  del  Circo ,  che  separa- 
vano i  lati  dalle  earceri  . 

I  Porta  fra  le  carceri  poco  più  larga  di  quelle 
delie  carceri,  ed  egualmente  alta  . 

K  Porta  libitinaria  ,  o  sia  sandapilaria  per  por- 
tare fuori  dello  spazio  i  cadaveri  ,  se  qualcheduno  vi 
periva  . 

L  L  Torri  inalzate  alla  estremità  delle  carceri . 

M  D  Linea  tangente  alla  prima  meta,  la  cjuale 
alla  destra  fissava  il  principio  ,  ed  alla  sinistra  il  fine 
dei  giuoco  , 


)(     ai8     )( 
CAPO     V. 

Dei  lati  Esterni,  ed  Interni  del  Circo  , 
e  di  ciò  ,  che  loro  apparteneva  . 

_l\lcuni  Circhi  della  gran  Roma  erano  esterna- 
mente circondati  da  gran  portici  ;  eccettuato  quel 
Iato  ,  in  cui  erano  disposte  le  carceri  .  Così  era  il 
Circo  Massimo  ai  giorni  di  Dionigi  d'  Alìcamasso  ; 
e  così  probabilmente  sarà  stato  ancora  il  Flaminio 
non  minore  a  lui  di  bellezza  ,  benché  minore  di 
capacità  .  Altri  Circhi  poi  erano  semplicemente  cir- 
condati di  muri  con  porte ,  e  finestre ,  come  tutta- 
via si  vede  il  Circo  di  Caracalla.  Non  essendo  ne- 
cessari i  portici  per  le  funzioni ,  che  internamente 
nello  steccato  si  celebravano  ,  non  erano  essi  ag- 
giunti all'  esterno ,  che  per  maggiore  magnificenza , 
o  per  servire  di  ricovero  agli  spettatori  in  caso  di 
pioggia  improvisa  (a)  .  I  portici  del  Circo  Massi- 
mo ai  tempi  d'  Augusto  erano  d'  un  sol  piano  ;  ma 
a   quelli    di    Trajano  „    che    notabilmente    gì'  inalzò , 


(a)  O  più  verisimilmente  5  perchè  non  vi  era 
altro  mezzo  per  accrescere  luoghi  agli  spettatori,  che 
con  fare  alti  loggiati  dietro  al  circondario  antico  del 
Circo  . 

La  seconda  ragione  addotta  dal  Bianconi  è 
appoggiata  a  Vitruvio ,  Lib.  V.  cap.  y.  Fast  sce- 
nam  etc,  Gli  Edit 


)(    aig    )( 

è  probabile ,  che  fossero  a  più  piani .  Tanto  ci  fa 
arguire  qualche  di  lui  medaglia ,  nel  cui  rovescio  v'  è 
un  Circo  con  portico ,  e  galleria  superiore  (a)  .  Sola- 
mente e  cosa  certa,  che  il  lato  del  Circo  Massimo, 
dopo  1'  accrescimento  fattogli  da  Trajano ,  gareggia- 
va in  bellezza  co'  più  bei  tempj ,  e  faceva  una  delle 
meraviglie  di  Roma  . 

Gli  archi,  o  sieno  i  fornici  di  questi  porticati 
servivano  parte  per  dare  accesso  alle  scale ,  che  gui- 
davano ai  posti  del  Circo,  e  parte  di  officione  per 
differenti  artefici  .  Fra  gli  artefici  mettevansi  ancora 
le  donne  pubbliche  (b)  .  Affine  <3i  dare  idea  del 
libertinaggio  di  que'  giorni  ,  dirò  che  stavano  esse 
dentro  quegli  scuri  fornici  sotto  la  condotta  d' uno 
scaltro  lenone  ,  e  al  tetro  lume  di  fetida  lucerna 
aspettavano  chi  le  cercasse  .  Chiudea  la  loro  porta 
un  vecchio  panno  rappezzato  da  più  colori  ,  chia- 
mato centone  ,  e  per  invito  leggevasi  fuori  il  nome 
vero  ,  o  falso  della  donna ,  e  il  prezzo  fissatole . 
Ad  un  simile  fornice  del  Circo  Agonale  fu  condan- 
nata ,  e  condotta  s.  Agnese  nobil  fanciulla  romana 
per  essere  profanata  :  fornice  ,  che  ora  è  convertito 
in  un  santuario  ne'  sotterranei  della  sua  chiesa  al 
Circo  Agonale  .  In  uno  pure  di  tali  fornici  andava 
in  abito  mentito  ,  e  sotto  nome  di  Licisca  ,  P  impe- 


(a)  Sono  portate  dal  Panvinio  pcg.  So. 

(b)  Giovenale    Sat.  3    y[  65  segg,  :  Et  ad  cir* 
rum  jussas  prostare  puellas  . 


)(     >20       )( 

fatrice  Messalina  a  far  onore  a  Claudio  (a)  .  Sensa 
dubbio  il  nome  di  Jornicari  ha  tratta  origine  dai  for- 
nici circensi ,  prima  probabilmente  per  burla ,  e  dap- 
poi in  senso  ben  serio  . 

Le  porte  del  portico  avranno  avuto  esternamen- 
te inciso  sopra  iì  loro  numero  ,  come  vediamo  tut- 
tavia su  quelle  del  Colosseo ,  e  su  quelle  dell'  anfitea- 
tro di  Verona .  Ciò  pare  indispensabile  per  evitare 
la  confusione  ,  che  sarebbe  nata  da  tante  porte  so- 
miglianti . 

La  disposizione  ,  e  il  comparto  di  queste  scale 
interne  era*  in  libertà  dell'  architetto  .  Ingegnosissime 
sono  quelle ,  che  durano  neìV  anfiteatro  di  Verona  , 
e  nel  Colosseo  di  Roma  .  Avendo  esse  lo  stesso 
scopo  a  un  dipresso  delle  scale  de'  Circhi ,  almeno 
ne'  più  capaci ,  è  probabile  che  siano  state  molto 
somiglianti  fra  loro  .  Ingegnosissime  pure  s©no  quel' 
le  del  Circo  di  Caracalla  ,  come  a  suo  luogo  ve- 
dremo .  Le  scale  più  nobili  nel  fondo  del  porticato 
guidavano  alle  moke ,  e  differenti  porticelle  del 
podio .  Era  il  podio  un  lungo ,  e  stretto  sentiere 
scoperto ,  che  pochi  piedi  sopra  il  suolo  dei  Circo 
seguitamente  girava  da  un  estremo  all'  altro  delPe- 
difizio    (b)  .   Essendo    il  posto   più    vicino  al   piano , 


(a)  Giovenale  sat.  G  v,   n3  segg. 

(b)  Con  questa  descrizione  resta    ancora  incerta 
la  vera  idea  del  podio  tanto  in  questa  fabbrica ,  co- 


)(       *21        X 

su  cui   si  facevano   i  giuochi  ,   era  riguardato    come 

il  posto   d'  onore  .    Non    avevano  dunque    ingresso 

in  lui  che   i    magistrati   primarj ,   i  pontefici ,    le   ve- 


nie nei    teatri  ,  anfiteatri ,  tempj  ,  ed  altre  .  Già  nel 
mio  progetto  per  una  nuova  edizione  di  Vitruvio  mo- 
tivai degli  assurdi  messi  fuori    anche  dagli    architetti 
interpreti  di  quell'  autore  ,    per  non  essersi   bene  in- 
tesa questa  parola  ;  riservandomi  a  darne  la  vera  spie- 
gazione nelle   note  all'  opera  .  Ma    giacche  qui  viene 
1'  opportunità  di  doverne  dire  qualche  cosa  ,  e  a  ciò 
fare  mi  consiglia    anche  il  eh.    sig.  ah.  Carlo    Bian- 
coni fratello    del    nostro    autore  ,    e  mi    comunica  la 
sua    interpretazione  ,    che  riviene   alla    mia  ;    dirò  in 
sostanza ,    che    podio    non  è  il  parapetto    di  qualche 
loggia ,  o  altra  parte  da  affacciarvisi  ;  ma  che  è  co- 
me il  basamento  ,  il  pedale  di  un  edilizio ,  il  zocco- 
lo ,  che  gira  da  qualche  parte  ,  o  da  tutta  la  fabbri- 
ca,  sporgendo  in  fuori,    come  il    piede  al  corpo  li- 
mano ,  siccome  bene  lo  spiegò  Roberto    Stefano  nel 
suo  Lessico  .  Notò  già  lo  Scaligero   conject.  in  Varr, 
de  Ling.  lat.  pag.  40  edit.   i585  ,   che  pes   dai  la- 
tini si  diceva  per  dire  fondamento  ,  o  base  di  un  e- 
difizio,  e  d'altre  cose;  come  i  Greci  dicevano  na; ,  nodog, 
da  cui  è  venuto  iroSio»,  e  in  latino  podium  ,  come  no. 
ta  il  Vossio  nell'  Etimologico,  e  forse  podio  ,  podia- 
re    ne' tempi  più  bassi.  Vitruvio  fra  gli  altri  luoghi, 
ove  parla    del    podio    lib.  6  cap.  4  usa  questa  voce 
per  dire  quello  ,  che  noi  diciamo  zoccolo  nelle  pit- 
ture a  guazzo  nelle  nostre   camere  .  Anche    Palladio 
de  Re  rust.    lib.   1  cap.    38 ,    citato    parimente    dal 
lodato  sig.  Bianconi  ,  ce  ne  dà  una  chiara  idea,  scri- 
vendo :  Podia  ternr's  alta  pedibus  Jabricentur 

et  super  hasc  podia  ahearia  collocentur .   Parla  del 
murello  a  ridosso  di  un  muro  più  alto  ,  sul  quale  si 


\ 


'  )(  aaa  )( 
stali  (a)  ,  e  talvolta  ancora  le  persone  della  famiglia 
imperiale  quando  volevano  farsi  vedere  al  popolo  , 
o  godere  pivi  da  vicino  i  giuochi  (h)  .  Davanti  al 
podio  era  un  cancello ,  o  sìa  balaustra ,  per  ripa- 
ro di  que'  nobilissimi  spettatori ,  e  non  v'  erano  se- 
dili fissi ,  perchè  era  privilegio  di  quelli  ,  che  vi 
aveano'  luogo ,  il  farvi  portare  le  loro  sedie  magi- 
strali .  Nello  scavarsi  il  teatro  d'  Ercolano  si  trovò 
in  una  camera  appartata,  per  quanto  colà  mi  ven- 
ne assicurato  ,  una  quantità  di  sedie  di  bronzo,  che 
vidi  nel  mio  viaggio  di  Napoli,  le  quali  probabil- 
mente dovevano  colà  dentro  serbarsi  per  farne  uso 
sul  podio  quando  intervenivano  allo  spettacolo  i  ma- 
gistrati di  quella    città  .  Il  MafTei    (e)  suppone  ,  che 


pongono  gli  alveari  .  Figuriamoci  dunque  il  podio 
nelle  anzidette  fabbriche  come  un  pedale  ,  su  cui  si 
appoggia  il  resto  .  Il  sapersi  ,  che  su  di  esso  vi  era 
la  balaustrata  ,  o  parapetto  ,  ha  dato  luogo  alla  con- 
fusione ,  quasi  che  balaustrata  si  dicesse  podio ,  per- 
chè uno  ci  si  appoggia,  come  viene  spiegalo  volgar 
mente  . 

(a)  Di  queste    parla    Prudenzio    contra    Symm. 
lib.  2.  in  fine  : 

An  quoniarn  podii  meliore  in  parte  sedentes 
Speda nt  . 
Sveton  in  Aug.  cap.  44- 

(b)  Giovenale  sai.  2.  v.   i45  segg.  : 

Et  Capitolinis  generosior ,  et  Marcellis, 
Et  Catuli ,   'Pauli  que  minori  bus ,  et  Fabiis^et 
Omnibus  ad  podium  spectantibus . 
(e)  Lib.  2.  cap.  i3. 


)(  ^3  ;( 
nei  podio  degli  anfiteatri  sedessero  i  magistrati  in  pan- 
che di  legno  .  Può  darsi ,  ma  non  par  ragionevole  , 
che  le  prime  dignità  dello  Stato  non  fossero  distinte 
dal  popolo  ,  che  in  banchi  di  legno  sedeva  anch'  e* 
gli  sull'alto.  Doveva  fare  un  bellissimo  colpo,  d'oc 
chio  quand'  era  pieno  il  podio  delle  persone  della 
magistratura,  del  senato,  e  di  tante  altre  ne'  loro  a- 
Liti .  Al  dorso  dei  podio  raggravasi  in  guisa  d'  ap- 
poggio tutt'  intorno  un  muro  non  molto  più  alto 
d*  un  uomo ,  che  potremmo  chiamare  all'  uso  di  Vi- 
truvio  («)  ,  precinzione  ;  ed  in  questo  erano  distri- 
buite dì  tratto  in  tratto  le  porticelle  ,  che  ,  come  ho 
detto  ,  a  lui  dai  porticati  esterni  guidavano  . 

Dagli  stessi  porticati  pure  altre  scale  più  lunghe 
conducevano  ai  sedili  superiori  ai  podio .  A  questi 
ancora  s'  aveva  accesso  per  porticelle  simili  alle  de- 
scritte nel  podio  medesimo  ,  le  quali  erano  aperte  "in 
un  muro ,  che  circondava  tutto  ).'  edilizio  ,  egualmen- 
te che  circondavalo  1'  appoggio  del  podio  .  Precin- 
zione ,  o  sia  balteo  ,  era  pure  chiamato  questo  mu- 
ro ;  ma  per  capirne  bene  la  struttura  ,  mi  si  permet- 
ta il  parlare  prima  dell'  architettura  dei  sedili  ,  dalia, 
quale  le  precinzioni  dipendevano  .  I  sedili  erano  tanti- 
gradi  disposti  a  guisa  di  scala  sostenuti  da  una ,  o  più 
volle  inclinate  ;  e  così  ascendevano  fino  verso  la  som- 


(a)  Liib.  5.  cap.  3. 


X    224    )( 

rnità  del  fianco  del  Circo  .  Giravano  anch'  essi  come 
r  ambulacro ,  o  via  del  podio  per  tutta  la  lunghez- 
za dell'  edilìzio  .  E  cosa  incerta ,  se  vi  fosse  misura 
costante  per  la  larghezza  ,  e  allezza  di  questi  gradi, 
o  sia  sedili  .  Egli  è  infallibile,  che  la  loro  larghezza 
dovea  essere  capace  d'  una  persona ,  che  su  loro  co- 
modamente sedesse ,  e  dei  piedi  di  colui ,  che  nel 
grado  a  lui  superiore  sede»  (a) .  L'  altezza  anch'  es- 
sa dovea  esser  tale ,  che  la  persona  sedente  potesse 
tenere  agiatamente  posati  i  piedi  sul  piano  .  Da  ciò 
pare,  che  i  sedili  fossero  più  larghi ,  che  alti.  In- 
fatti nell'  anfiteatro  veronese  ,  che  è  il  solo ,  in  cui 
si  conservino  misure  certe  de' sedili,  la  loro  larghez- 
za  è  di  26  once  veronesi ,  e  1'  altezza  di  17;  cioè 
1'  altezza  sta  in  circa  alla  larghezza ,  come  due  a  tre . 
Tale  è  appunto  la  misura  assegnata  da  Vitruvio  (b) 
ai  sedili  de'  teatri  . 

1  gran  Circhi  egualmente  che  i  teatri,  e  gli  an- 
fiteatri più  vasti ,  a  guisa  de'  nostri  teatri  moderni 
eiano  divisi  in  varj  ordini  per  tenere  separatigli  spet- 
tatori secondo  le  loro  differenti  condizioni  .  Era  da 
tale  separazione ,  che  nascevano  le  precinzioni  ,  che 
ora  dobbiamo  spiegare . 

Sopra 


(a)  Nei  Circo  di  Caracalla  non  era  così ,  come 
si  farà  vedere  in  appresso  . 

(b)  Uh*  5  cap.  6. 


)(  **5  )( 
Sopra  il  muro  postergale  del  podio  cominciava- 
no i  sedili  ;  e  dopo  il  numero ,  che  di  questi  era  cre- 
duto sufficiente  per  dar  luogo  alle  persone  destinate 
al  prim'  ordine,  se  ne  interrompeva  la  scala  ,  lascian- 
done fuori  due ,  o  tre  intieri  .  Da  tale  interruzione 
nasceva  necessariamente  in  queste  scale  di  sedili  uno 
spazio  voto ,  il  quale  serviva  di  ambulacro  somiglian  - 
tissimo  a  quello  dei  podio,  e  che  al  pari  di  lui  gi- 
rava lungo  tutto  il  Circo  ;  e  vi  stavano  in  piedi ,  ap- 
poggiati alla  precinzione  ,  coloro ,  che  giugnendo  trop- 
po tardi  alto  spettacolo  trovavano  i  sedili  ripieni . 
Nasceva  altresì  un  muro  perpendicolare,  il  quale  face- 
va angolo  retto  colf  ambulacro  ;  e  sopra  quel  muro 
ricominciava  la  scala  dei  sedili  superiori ,  la  quale  for- 
mava poi  1'  ordine  secondo  .  Questa  interruzione  co- 
stituiva la  divisione  fra  il  primo  ,  e  il  second'  ordi- 
ne ,  e  questi  ordini  erano  rinchiusi  fra  una  interru- 
zione ,  e  F  altra  .  L*  ambulacro  chiamavasi  via ,  ed  il 
muro  a  lei  perpendicolare  chiamavasi  precinzione  , 
o  sia  balteo .  Tali  denominazioni  erano  giustissime , 
perchè  per  F  ambulacro  avrebbero  potuto  girare  gli 
spettatori  da  un  luogo  all'  altro  per  tutto  quell'  or- 
dine; e  il  muro  perpendicolare,  lungo  il  quale  po- 
tea  girarsi ,  guardato  da  lontano  sembrava  una  lar- 
ga fascia,  o  sia  cintura,  che  cingesse  tutto  quel  va- 
stissimo edifizio  .    Da  un  passo  di  Calpurino   (a)  av~ 


(a)  Eclog.  7  v.  45.   Tratta  dell'  Anfiteatro  Fla- 
vi. i5 


)(     **6     )( 

^ertito  dal  marchese  MafFei  (a),  si  vede  che  le  pie 
cinzioni  in  alcuni  di  questi  edifizj  erano  ricoperte 
di  musaici  messi  a  oro ,  e  a  più  colori  :  tanta  era 
!'  antica  magnificenza  .  La  via  ,  secondo  Vitruvio  (b)  , 
dovea  essere  tanto  larga  quanto  era  la  precinzione  . 
Resta  ora  chiaro  ,  che  vi  dovevano  essere  tante 
precinzioni  5  quanti  erano  gli  ordini  deli'  edifizio  ;  e 
questi  ordini  erano  più,  o  meno  capaci  di  spettato- 
ri ,  quanto  maggiore  ,  o  minore  era  il  numero  dei 
cedili ,  o  sia  gradi  contenuti  fra  una  precinzione ,  e 
r  altra .  Gli  ordini  dagli  antichi  erano  chiamati  mae- 
niana  (e)  ,  nome  anch'  esso  ,  che  ha  recato  confu- 
sione negli  scritti  de'  moderni  ,  massime  nel  Panvi- 
nio  .  Al  nostro  modo  di  esprimerci ,  meniamo  pri- 
mo ,  meniamo  secondo  ,  volea  dire  ,  ordine  primo  , 
ordine  secondo  .  S'  inferisce  ,  che  come  dal  podio 
non  si  potea  passare  ai  sedili  superiori  a  cagione  del- 
l' altezza  del  muro ,  che  da  lui  li  separava  ;  così 
dalia  precinzione ,  che  neli'  alto  limitava  il  prim'  or- 
dine ,  non  poteasi  passare  ai  sedili  dei  secondo  ,  a 
cagione  che  essa  pure  li  separava  .  Quello ,  che  si  è 


vio ,  ma  parla  solo  di  oro  ,  e  di  gemme  : 

Balteus  en  gemmis  ,  en  illitas  porticus  auro 
Certatim  radìant  . 

(a)  Degli  Anfit.  lib.  2  cap.  8. 

(b)  Uh,  5  cap.  3. 

(e)  Così  sono   chiamati  nell'  iscrizione   de'  Fra- 
telli Arralj,   di  cui  si  parlerà  qui  appresso. 


detto  del  primo  ordine  ,    sia  detto  di  tutti  gli  altri  , 
se  ve  n'  erano  più . 

Ecco  divisi  semplicissimamente  i  varj  ordini  dei 
Circhi ,  dei  teatri  ,  e  degli  anfiteatri  ;  e  divisi  in  mo- 
do ,  che  non  v'  era  comunicazione  alcuna  fra  di  lo- 
ro ,  benché  gli  spettatori  fossero  vicinissimi ,  e  po- 
tessero comodamente  vedersi  ,  parlarsi ,  e  taluni  an- 
cora dall'  alto  della  precinzione  toccarsi  la  mano .  Io 
mi  sono  forse  troppo  minutamente  esteso  ;  ma  1'  ho 
fatto ,  non  parendomi ,  che  ciò  sia  slato  prima  d'  ora 
spiegato  da  veruno  con  sufficiente  chiarezza.  Dirò  di 
più ,  che  architettonicamente  parlando ,  la  cosa  non 
poteva  essere  altrimenti ,  se  voglionsi  ammettere  le 
separazioni  ,  le  precinzioni  ,  e  le  vie  ,  le  quali  sono 
indispensabili  per  ispiegare  gli  autori  antichi,  che  ne 
fanno  menzione  ,  e  massime  un  luogo  di  Tertullia- 
no ,  che  senza  questa  costruzione  sarebbe  inesplica- 
bile (o)  . 


(a)  Il  passo  è  questo  de  Speci .  eap.  2.0  :  Nam 
apud  spectacula  et  in  via  statur  ;  vias  enim  vocant 
cardines  balteorum  per  ambitum ,  et  discrimina  pò- 
pularium  per  proclivum  ;  cathedra  quoque  nomina- 
tur  ipse  in  anfractu  ad  consessum  situs .  Lo  ha 
spiegato  egregiamente  il  MaiTei  degli  anfit.  lib.  2 
eap.  8  per  vie  ,  precinzioni ,  vomitorj  e  ordini  di  sedili . 

Non  è  vero  ,  ehe  il  Maffei  abbia  egregiamente 
spiegato  il  passo  di  Tertulliano  ,  come  dice  il  Fea 
per  abbassare  anche  in  questo  il  Consigliere,  per- 
chè   il    Majfii    asserisce    ~    Vie   si    chiamavano    i 


)(       228       )( 

Non  faccia  ostacolo  1'  interno  dell'  anfiteatro  di 
Verona ,  che  sembra  intero .  eppure  non  ha  precin- 
zioni ,  anzi  ha  tutti  i  gradi  continuati .  I  sedili  di  que- 
sto edifizio  furono  rifatti ,  perchè  gli  antichi  erano 
presso  che  distrutti .  L'  architetto  moderno  dovette 
farli  di  nuovo ,  é  li  fece  senza  conoscere  la  divisione 
degli  antichi ,  e  senza  regole  ;  anzi  ha  sbagliato  per- 
fino le  misure.  Tanto  ho  veduto  io  cogli  occhi  miei, 
e  tanto  ha  onoratamente  confessato  il  marchese  Maf- 
fei  (a)  .  La  soia  direzione  de'  vomitorj ,  che  non  po- 
teva essere  alterata  nel  r istauro  y  è  restata  a  luogo 
suo ,  ma  malmenata  anch'  essa  in  varj  luoghi  ;  ed 
appuntò  da  essa  possiamo  congetturare'  dov'  erano  le 
precinzioni . 

Vomitorj  erano  chiamate  le  porticelle ,  che  aperte 
nelle   precinzioni    mettevano    nella  via ,    Quando    da 


piani  delle  Precinzioni  ,  e  le  Scale  zr:  e  Tertul- 
liano dice  rr  Nam  apud  spectacula  et  in  via  sta- 
tur .  Chi  può  pensare ,  che  nelle  scale  stessero  fer- 
mi gli  Spettatori,  quando  per  esse  dovevano  an- 
dar passando  coloro ,  che  da  una  parte  ,  o  dal- 
l' altra  venivano  ?  Per  vie  adunque ,  con  pace  del 
Mqffei ,  e  del  Fea,  si  debbono  intendere  solamente 
i  piani  ,  os  si  ano  ambular  i  ,  sui  quali  ad  angolo 
retto  si  alzavano  le  Precinzioni ,  come  indica  chia- 
ramente il  Consigliere ,  e  Tertulliano  giustamente 
chiama  cardines  balteorum,  sui  quali  potevano  sta- 
re ,  e  stavano  gli  Spettatori  ,  (  Gli  Edit.  ) 
(a)  Loc,  ciU 


X  aa9  X 
loro  uscivano  nel  Circo  a  torme  gli  spettatori ,  ve- 
duti da  lontano  i  vomitorj  sembravano  tante  bocche, 
le  quali  vomitassero  sul  pendio  de'  gradi  globi  di  po- 
polo (a) .  Dalla  suddetta  disposizione  si  conosce ,  che 
i  vomitorj ,  i  quali  non  erano  che  porticelle  ,  dove- 
vano essere  piantati  perpendicolarmente.  Ma  appunto 
per  non  avere  lasciate  fuori  le  precinzioni  nel  instau- 
ro de'  gradi  dell'  anfiteatro  Veronese  ,  i  vomitorj  so- 
no diventati  tante  buche  spalancate,  le  quali  a  chi 
va  pei  gradi  passeggiando  si  presentano  con  pericolo 
all'  improvviso  ,  e  barbaramente  deformano  quclP  in- 
comparabile edifizio  . 

Per  sedervi  sopra  furono  fatti  i  gradi  ne'  Cir- 
chi ,  ne'  teatri ,  e  negli  anfiteatri .  La  loro  altezza , 
e  molto  più  la  loro  larghezza  gli  avrebbe  resi  in- 
comodissimi a  chi  se  ne  avesse  voluto  servire  per 
salire  ,  o  per  discendere .  Per  tal  effetto  vi  erano 
scalette  fatte  apposta ,  e  chiamate  scalari  (è) .  Era- 
no esse  tagliate  nel  vivo  de'  sedili  in  modo  ,  che 
due  gradini  dello  scalare   ne  occupavano  uno;   cioè 


(a)  Macrobio  Saturn.  lib,  6  cap>  4  illustran- 
do il  passo  di  Virgilio  Georg.  Uh.  2.  v.  4^2  :  totis 
vomii  cedikus  undam  ;  scrìve  ;  Pulchre  vomii  undam , 
et  antique  ;  nam  ait  ennius  :  et  tiberis  flumen  vo- 
mii in  mare  salsum  .  linde  et  nunc  vomiloria  in 
spectacufis  dicimus  ,  unde  homines  glomeratim  in- 
grediente* in  sedilia  se  Junduni . 

(b)  Vitruvio  Uh,  5  cap.  6» 


X  *3°  X 
gli  scalini  erano  alti,  e  larghi  la  metà  dell' altezza , 
e  della  larghezza  d'  un  sedile  .  La  larghezza  degli 
scalari  ,  per  quanto  ricavasi  dai  loro  pèzzi  antichi , 
che  nei  gradi  di  Verona  ,  benché  fuori  di  luogo , 
durano  ancora  ,  era  di  due  piedi  ,  e  mezzo  vero- 
nesi.  Gli  scalari  cominciavano  nella  via  precisamente 
in  faccia  a  quel  vomitorio,  che  ad  essi  guidava;  e 
dalla  precinzione  del  prim'  ordine  ,  per  esempio  i 
Scendevano  ,  e  finivano  alla  sommità  dei  muro ,  che 
serviva  d'  appoggio  al  podio  ,  come  dalla  via  del 
secondo  ordine  scendevano ,  e  finivano  alla  sommità 
della  precinzione  del   primo  ;  e   così  di  seguito . 

I  vomitorj  dei  differenti  ordini  non  erano  già 
disposti  uno  sopra  V  altro ,  e  nella  medesima  linea  ; 
ma,  come  si  vede  dalle  rovine  degli  anfiteatri,  era* 
no  disposti  a  scacchiere  ,  e  in  conseguenza  a  scac- 
chiere pure  venivano  gli  scalari  >  che  da  loro  par-- 
ti  vano  .  Ciò  avrà  fatto  un  bellissimo  effetto  a  chi 
dà  lontano  li  guardava.  Tutto  mettevano  a  profitto 
i  saggi  architetti  deli'  antichità  per  ispargere  elegan- 
za ,  e  simmetria  ne*  pubblici  edifizj .  Conseguenza 
necessaria  era ,  che  uscendo  per  uno  de'  vomitorj 
sulla  via  uno  spettatore ,  egli  non  potea  che  discen- 
dere per  lo  scalare ,  se  voleva  andare  a  collocarsi 
in  quei  grado  ,  che  a  lui  conveniva  .  Non  potea 
neppure  andare  orizzontalmente  spaziando  a  suo  ta- 
lento da  un  capo  ali'  altro  del  Circo  nell'  ordine  , 
m   cui  era  ammesso  ,  perchè  gii  ordini   erano  sud- 


)(  *3i  )( 
divisi  anch'  essi  in  tanti  compartimenti  ,  anzi  erano 
gli  scalari ,  che  li  dividevano  .  Un  compartimento 
era  assegnato  ad  un  genere  di  persone ,  e  un  altro 
ad  altre  per  evitare  la  confusione ,  e  le  dispute  in 
tante  migliaja  di  spettatori .  Nei  teatri ,  e  negli  an- 
fiteatri questi  compartimenti  erano  chiamati  cunei , 
perchè  V  interno  dell'  edilizio  partecipando  della  fi- 
gura d'  un  imbuto ,  i  compartimenti  erano  larghi 
nel!'  alto  ,  e  stretti  nel  basso  .  Nel  Circo ,  in  cui  i 
lati ,  ed  i  sedili  erano  in  linea  quasi  retta  ,  i  com- 
partimenti saranno  stati  di  figura  quasi  quadrango- 
lare ,  quantunque  per  la  loro  origine  si  chiamassero 
cunei  anch'  essi .  Concependo  le  cose  in  questa  ma- 
niera ,  ognun  vede  quanto  siano  inutili  quegli  sca- 
lari obliqui,  che  per  disegnare  i  cunei  ha  immagi- 
nato nel  suo  anfiteatro  il  marchese  MafFei  (a);  sca- 
lari difficili  a  concepirsi  in  buona  architettura  ;  ma 
infinitamente  più  difficili  a  farne  uso .  L'  uomo  nello 
scendere  le  scale  è  portato  dal  proprio  peso  alla 
linea  più  prossima  alla  perpendicolare ,  e  non  all'  o- 
bliqua .  Con  questo  mio  sistema  ardisco  dire ,  che 
diventeranno  chiari  que'  passi ,  i  quali  fino  ad  ora 
sembravano  intralciati  negli  autori  antichi,  ove  par- 
lano dei  posti  negli  spettacoli ,  dei  meniani  ,  delle 
precinzioni ,  e  de'  cunei ,  com'  anche  le  leggi ,  che 
su  questi  furono   promulgate ,   e  la  celebre  lapide  , 


(a)  Uh,  2,  cap,  8  Tav*  IX-  ,  e  cap,  i3  Tav .  XII 


)(     s3s     )( 

eoe  assegna   ai   Fratelli  Àrvali  i   luoghi  nel!'  anfitea- 
tro  (a)  . 

Oltre  al  podio ,  ed  ai  sedili ,  da'  quali  vedevansi 
ì  giuochi,  veniva  nel  più  alto  del  Circo  il  lunghis- 
simo porticato ,  o  sia  galleria  coperta  ,  da  cui  guar- 
davano i  più  lontani ,  e  le  persone  più  ordinarie , 
come  è  1'  ultimo  ordine  ne'  nostri  teatri  (b)  .  Que- 
sto portico ,  che  era  anche  negli  anfiteatri  ,  come 
si  conosce  dalle  rovine  del  Flavio ,  e  dei  Verone- 
se ,  non  era  certamente  nei  Circo  di  Caracalla  ;  né 
capisco  come  il  Panvinio ,  che  ne  vide  i  chiarissi- 
mi avanzi,  abbia  potuto  supporre  il  contrario,  co- 
me ci  dà  nelle  sue  figure  .  Da  ciò  arguisco,  che 
questo    grand'   uomo    leggermente    considerò    questo 


(a)  Questa  lapide  ora  esistente  nel  Museo  Capi- 
tolino ,  appena  trovata  sul  fine  dei  secolo  passato  fu 
pubblicata ,  e  illustrata  da  monsig.  della  Torre  Mo- 
ntini, vct.  Antii ' ,  in  fine  ,  pag-  386  edit.  172/f  *->  na 
ripetuta  il  Guasco  Mus.  Capii.  In  script.  Tom.  I.  png. 
i2&  ,  e  il  eh.  sig.  ab.  Cancellieri  de  Sacrar,  vet. 
Tom.  IV.  pag.  7072  tab.  XXIII.  11  solo  pezzo  ,  che 
riguarda  1'  anfiteatro  ,  è  stato  pubblicato ,  e  illustrato 
un  poco  diversamente  dal  sig.  ab.  Morcelli  de  Stylo 
inscript,  lib.  1  par.  1  cap.  6  pag.  199,  e  dal  con- 
te Carli  Ant.  Ital.  par.  2.  lib.  3  §.  4  Pag-  2°°-   ' 

(b)  11  Maffei  lib.  2.  cap.  i3  osserva  ,  che  dopo 
la  legge  d'  Augusto  ,  di  cui  il  nostro  autore  parla  qui 
appresso ,  ié  donne  sedeano  su  banchi  di  legno  nel- 
la parte  avanti  di  questo  portico  ,  e  dietro  ad  esse 
stava  la  gente  ordinaria .  Vedasi  anche  il  Bulengero 
cap.  35. 


)(  233  )( 
Circo  ;  ed  è  ben  naturale  se  fassi  riflessione  alla 
prodigiosa  quantità  de'  suoi  scritti  editi ,  e  inediti  , 
ed  alla  brevità  della  gloriosa ,  ma  troppo  ristretta 
sua  vita .  Quei  luoghi  ,  che  si  chiamavano  coena- 
cula  ,  e  gli  altri  detti  tabernae  9  dovevano  essere  in 
quella  galleria  .  E  in  qual  altro  luogo  se  non  co- 
lassi! possono  collocarsi  senza  guastare  tutta  la  bella 
simmetria  dell'  edilìzio  mostrata  finora  ?  Certissimo 
è  ,  che  i  cenacoli  erano  luoghi  rinchiusi ,  e  padro- 
nali .  Se  tali  non  fossero  stati ,  Svetonio  (o)  non  ci 
direbbe ,  che  Angusto  andava  spesso  ne'  cenacoli  de' 
suoi   liberti   a  vedere   le    corse    (b)  .   Sappiamo ,  che 


(a)  In  Aug.  cap.  45. 

(b)  I  cenacoli  si  saranno  detti  cosi  a  somiglianza 
di  quelli  delle  case,  che  erano  mezzanini  nella  parte 
superiore  ,  e  per  lo  più  vi  si  tenevano  i  liberti ,  o  vi 
abitava  gente  ordinaria  .  Ne  parlammo  nelle  note  al 
Winkelmann  Tom.  III.  pag.  62.  Si  potrebbe  sospet- 
tare ,  che  i  liberti  d'  Augusto  stessero  a  vedere  nei 
mezzanini  di  qualche  parte  del  palazzo  ,  che  guar- 
dasse il  Circo  Massimo  ;  ma  primieramente  bisogne- 
rebbe provare  ,  che  il  Palai  ino  da  quella  parte  fosse 
già  occupato  tutto  dalie  fabbriche  imperiali ,  e  che  vi 
fosse  anche  il  pulvinare  per  l' imperatore  ;  e  in  secon- 
do luogo  Svetonio  dice ,  che  Augusto  andava  anche 
nei  cenacoli  degli  amici  ,  e  vi  sedeva  colla  moglie  ,  e 
coi  figli ,  come  anche  in  que'  dei  liberti  :  Ipse  circen- 
ses  ex  amicorum  fere  lìbertorumqae  coenaculis  spe~ 
ctabat ,  interdum  et  pulvinari .  Et  quidem  cura  con- 
juge  ,  et  Uberi s  sedens  :  spectacuìo  plurimas  horas , 
aliquando  totos  dies  aderat  .  Tutto  il  contesto  mo- 
stra ,  che  stesse  nel  Circo .  Che  il  pulvinare  fosse  an. 


)(  ^34  )( 
ì  liberti  non  potevano  avere  luogo ,  che  l'osse  de- 
gno dell'  imperadore ,  se  non  fosse  stato  luogo  chiu- 
so,  e  di  libertà  .  Sappiamo  che  i  Grandi  compra- 
vano taberne  intiere  a  comodo  dei  popoli  delle  tri- 
bù per  cattivarseli  .  Siccome  ,  che  in  queir  altura 
pure  v'  andava ,  come  ben  tosto  vedremo  ,  la  ^ple- 
be,  ne  viene  di  conseguenza,  che  i  cenacoli,  e  le 
taberne  saranno  stati  recinti  chiusi ,  e  separati  di 
quella  gran  galleria  (a)  .  Dall'  affitto  di  queste  se- 
parazioni, come   dall'affitto  delle   officine  dei  porti  - 


che  nello  stesso  Circo  si  rileva  dallo  stesso  Svetonio 
W  Claud  cap.  4  9  ove  porta  il  biglietto  d'  Augusto  a 
Livia,  di  cui  parla  il  sig.  Bianconi  poco  appresso  :  Spec- 
tare  eum  circenses  ex  pulvinari  non  placet  nobis  :  ex* 
poMtus  enim  in  prima  fronte  spectaculorum  conspi- 
cietur  .  Parla  di  Claudio  giovane  .  Dice  anche  Sve- 
tonio nella  di  lui  vita  cap.  43  •>  che  egli  fece  passare 
per  T  arena  gli  ostaggi  dei  parli  introdotti  a  vedere 
i  giuochi ,  quali  poi  fece  sedere  nel  gradino  ,  o  se- 
dile secondo  sopra  il  suo .  Del  pulvinare  se  ne  ripar- 
lerà in  appresso  .  E'  bensì  da  notarsi  ,  che  se  Augu- 
sto andava  nei  cenacoli  degli  amici ,  i  cenacoli  noia 
«erano  tutti  per  la  gente  ordinaria  . 

(a)  Non  ho  trovato  autore  alcuno ,  che  parli 
delle  taberne  nel  Circo  ;  ma  bensì  tutt:  nel  foro  ,  ove 
si  davano  più  comunemente  gli  spettacoli  gladiatori  » 
come  si  ha  ,  fra  gli  altri  autori  ,  da  Vitruvio  lib.  5 
cap.  1  .  Cicerone  prò  Sextio  ,  cap.  12.4  parla  sicura- 
mente di  questi  giuochi  gladiatori  nel  foro  ,  non  dei 
fori ,  o  meniani  nel  Circo ,  siccome  lo  ha  voluto  spie- 
gare il  sig.  conte  Carli  Antich.  Jtal.  par.  2.  lib.  3 
cap.  3  §.  o  pag.  184.  E'  manifesto,  se  non  altro yfo\ 


)(    *35    )( 
ci  ,    si  saranno    tratti    fondi    pel  mantenimento   del 
Circo  ,  giacche  è  impossibile ,  che  simili  edifizj  non 
avessero  qualche  dote  ,    con  che  essere   riparati   nel 
bisogno  . 

Per  mantenere  1*  ordine  in  tanta  affluenza  dì 
popolo  v'  erano  negli  spettacoli  i  designatovi .  Cura 
di  castoro  era  il  collocare  ognuno  al  posto ,  che 
gli  conveniva .  Alcuni  dunque  saranno  stati  alle  porte 
delle  precinzioni ,  ed  altri  saranno  andati  passeggian- 
do per  le  vie .  I  primi  non  avranno  forse  lasciato 
passare  per  le  porticelle  di  un  ordine  se  non  chi 
ci  aveva  diritto:  i  secondi  avranno  mandati  gli  spet- 
tatori a  quel  sedile ,  che  loro  conveniva ,  acciocché 
non  passassero  nei  compartimento ,  o  cuneo  vicino  s 
che  ad  altri  era  destinato .  Tarquinio  divise  il  suo 
Circo  in  trenta  compartimenti  ,  assegnandone  imo 
per  ciascheduna  delle  trenta  curie ,  nelle  quali  al- 
lora era  divisa  Roma.  Augusto  nel  teatro  assegnò 
un  cuneo  ai  figliuoli  di  famiglia  nobili  ;  ed  assegnò 
il  cuneo  vicino  ai  loro  pedagoghi ,  perchè  senza  es- 
sere mischiati  con  loro  fossero  a  portata  di  vegliare 
su  di  loro  (a)  .  Il  marchese  Maffei  crede  (b)  ,  che 
coloro ,    i    quali    avevano    la    ispezione   di    collocare 


dire  Cicerone ,  che  quei  giuochi  sì  vedevano  dal  Cam- 
pidoglio ,  da  dove  si  vedeva  il  Foro  Romano  ,  non 
il  Circo  . 

(a)  Sveton,  in  Aug.  cap.  44- 

(b)  Begli  Anfit.  lib.  2.  cap.  i3  .  Così  ha    ere- 


)(  ^36  )( 
gli  spettatori  ,  si  chiamassero  locar)  ;  ma  io  non 
saprei  essere  del  suo  parere .  Pare ,  che  i  locarj 
fossero  coloro  ,  che  prendevano  in  affitto  i  luoghi 
venali ,  e  poi  li  sullocavano  ben  cari  a  chi  non  ave- 
va luogo  fisso  ne'  cunei .  Tanto  e'  insegna  Marzia- 
le (a)  d' un  celebre  gladiatore  nomato  Ermete  ,  che 
egli  era  la  ricchezza  de'  locarj  (b)  .  Anche  al  gior- 
no d'  oggi  in  Roma  una  casa  da  affittare  si  dice  : 
est  locanda  . 

Tante  precauzioni ,  e  tanto  ordine  era  necessa- 
rio in  una  città  piena  di  popolo  ,  e  di  forestieri  , 
che  tutti  volevano  godere  de'  pubblici  spettacoli .  Sen- 
za ciò  avrebbero  corso  rischio  le  persone  nobili  di 
trovarsi  al  fianco  d'  un  vile  plebeo  ;  su  che  1'  anti- 
co orgoglio  era  assai  schizzignoso .  Augusto  un  gior- 
no in  pieno  teatro  fece  uscire  da  un  ordine  un  mi- 
litare ,    che   osservò   non    essere    a   suo    luogo    (e)  . 


duto  anche  il  citato  conte  Carli  Ant.  Ital.  par.  2  lib. 
3  §.  4-  Pag.   iq5  . 

Plauto  nel  Prologo  del   Penulo  decide  in  fa- 
vore del  Consigliere  dicendo  rr 

Neu  dissignator   praeler   os  obambulet , 

Neu  sessum  ducat ,    dum  histrio  in  scena  sciet  ; 

che    noi    traduciamo    casi    ■=.    Non    passeggi    fuori 

della  porta  chi  mette  a  luogo    gli    Spettatori ,    ne   li 

ponga  a  sedere  quando  sia  in  iscena  il  Commediante . 

(a)  Epigr.  lib.  5  ep.  2.S  t».  9  ed.  i644* 

(b)  Così    motivò  il  Bulengero    de   Circo    Rom. 
cap.  35  . 

(e)  Svelon.  in  Aug,  cap.  i4- 


)(  *37  )( 
Malgrado  queste  leggi  andavano  di  tempo  in  tem- 
po gli  uomini ,  e  le  donne  della  medesima  condi- 
zione a  sedere  promiscuamente ,  e  vicini  nel  me- 
desimo grado  .  Angusto  però ,  che  aveva  veduti  gli 
sconcerti  nati  fino  nel  seno  della  sua  famiglia  per 
la  troppa  vicinanza  degli  uomini  ,  e  delle  donne , 
emanò  una  legge  (a)  ,  che  li  separò  almeno  negli 
spettacoli  pubblici  :  legge  ,  che  sarà  certo  dispia- 
ciuta alla  gioventù ,  ed  agli  amanti  ;  ma  che  avrà 
fatto  gran  piacere  ai  padri ,  e  ai  mariti  .  Andò  que- 
sta legge  in  qualche  anno  nuovamente  in  disuso  j 
com'  è  ben  naturale  ;  giacché  vedo ,  che  vi  fu  bi- 
sogno  di  rinnovarla  . 

Sapendo  noi  ,  che  per  entrare  nei  teatri ,  e 
negli  anfiteatri  bisognava  presentare  una  tessera  e- 
quivalente  ai  nostri  biglietti ,  par  naturale  il  crede- 
re ,  che  vi  abbisognasse  anche  nei  Circhi ,  nei  qnali 
militava  la  stessa  ragione .  Si  sono  trovate  varie  tes- 
sere teatrali  ,  e  anfiteatrali  ;  e  per  tali  si  conosco- 
no ,  essendovi  scritto  su  il  nome  della  tragedia , 
che  dovea  recitarsi ,  o  io  spettacolo  gladiatorio ,  che 
davasi   (b)  ;   ma  delle  circensi ,   che   io  sappia ,  V  az- 


(a)  Sv'eton.  in  Aug.  cap.  44* 

(b>  Per  non  fare  qui  una  nota  troppo  lunga  ,  di- 
remo solo  ,  che  possono  vedersi  intorno  a  queste  tes- 
sere il  Grutero  Inscr.  pag.  334  n*  5  segg. ,  il  Prigno- 
rio  de  Serv.  cap.  18  ,  V  Oderici  Syll.  vet.  inscr .  n. 
io  pag:  i85  ,  Lupi  Epit.  s.  Sev.  §.   n  pag.  87,  già 


X  238  )( 
sardo  fin  ora  non  ne  ha  dato  fuora  alcuna  abba- 
stanza chiara .  Ve  ne  sono  certune ,  le  quali  han- 
no un  G  avanti  ad  un  numero  ,  ed  un  altro  C  do- 
po .  Queste  sono  le  sole  ,  che  possono  forse  in- 
terpretarsi ,  per  esempio  ,  C.  XX.  C.  Cuneus  XX. 
Circensis  .  Di  più  trovo ,  che  v'  erano  dei  luoghi 
chiamati  gratuiti ,  e  che  saranno  stati  del  primo  oc- 
cupante, poiché  li  vedo  riservati  alla  gentaglia.  Par 
dunque ,  che  non  fossero  gratuiti  altri  luoghi  forse 
più  distinti  ,  cioè  che  vi  volesse  qualche  contrase- 
gno per  entrarvi  ,  e  questo  sarà  stato  la  tessera . 
A  proposito  de'  luoghi  gratuiti  è  noto ,  che  una  not- 
te ,   precedente  i  giuochi    nel   Circo   Massimo    (a)  , 


Accademici  Ercolanesi  nella  prefazione  al  Tomo  IV. 
delle  pitture  d' Ercolano ,  il  Caylus  Ree.  d1  antiq. 
Tom.  IV.  pag.  284  pi»  87  72.  1.  Il  sig.  ab.  Giam- 
battista Visconti ,  già  commissario  delle  antichità ,  ne 
possedeva  una  orbiculare  di  osso  coli'  iscrizione 
XIII  I 
A  P  H  C 

I  A 
e  il  dotto  P.  ab.  Sanclemente  Camaldolese  ne  possie- 
de un'  altra  di  avorio ,    colla    parola    spectavit ,    che 
V  Ignarra  de  Pai.  ISeap.  pag.   i4*  npt.  3  crede  pos- 
sa spiegarsi  per  Spectatus  est. 

(a)  I  giuochi  si  principiavano  la  mattina  a  buon* 
ora  .  Ved.  Sveton.  in  Aug.  cap.  44  >  Lampridio  ih 
Eliogab.  Alle  volte  si  facevano  dopo  il  mezzo  gior- 
no ;  perciò  s.  Agostino  Confess.  lib.  8  cap.  6  li  chia- 
ma spettacolo  pomeridiano  .  Per  lo  più  duravano  l' in. 
tiera  giornata  . 


X  *39  X 
era  concorsa  molta  gente  sui  luoghi  gratuiti  ,  fors& 
per  non  essere  prevenuta  dai  più  solleciti  ;  e  fece 
tanto  fracasso  ,  che  Caligola  inquietato  per  non  po- 
ter riposare,  colla  naturale  sua  ferocia  la  fece  cac- 
ciare a  furore  di  bastonate  (a)  .  Sia  detto  di  pas- 
saggio ,  che  arguisco  da  ciò,  che  nel  vastissimo  pa- 
lazzo imperiale  Caligola  avrà  abitato  negli  apparta- 
menti posteriori ,  che  corrispondevano  sopra  il  Cir- 
co .  Pare  ancora ,  che  i  luoghi  gratuiti ,  come  po- 
co fa  ho  accennato ,  fossero  i  più  sollevati ,  perchè 
quelli  erano  i  più  ignobili  (Z>)  ;  e  poi  perchè  es- 
sendo il  Circo  in  una  vaile  ,  ed  il  palazzo  impe-" 
riale  in  un'  alta  collina ,  bisogna ,  che  costoro  fos- 
sero bene   in  alto  per  infastidire    F  imperatore  . 

Prima  di  finire  il  discorso  dei  sedili  ,  due  cose 
avvertansi  ancora  .  La  prima ,  che  come  davanti  al 
podio  v'  era  un  cancello  ,  o  sia  balaustrata  ,  che  ser- 
viva di  difesa  a  quegli  spettatori;  così  non  è  da  du- 
bitare ,  che  ve  ne  fosse  uno  pure  a  quei  sedili ,  i 
quali    corrispondevano    sopra  il  ^muro  del    podio  ,    o 


(a)  Svet.  in  Calig,  cap.  26. 

(b)  Svetonio  dice  ,  che  vi  furono  schiacciati  più  di 
venti  «avalieri  Romani ,  e  altrettante  matrone ,  oltre 
l'infinita  turba  di  altri ,  forse  per  la  furia  nello  scappare  1 
Inquietatus  fremitu  gratuita  in  Circo  loca  de  media 
nocte  occupantium  ,  omnes  Justibus  abegit  :  eìisique 
per  eum  tumultum  viginti  amplius  equites  romani , 
totidem  matronae,  super  innumeram  turbam  caeteram, 
Ciò  fa  dubitare  delle  riflessioni  dei  nostro  Autore  .   • 


sopra  quello  delie  precinzioni.  In  altra  maniera  sa- 
rebbe stato  luogo  pericoloso  io  starvi  a  sedere,  per 
la  facilità  di  precipitare  nella  sottoposta  via  a  qua- 
lunque picciol  urto  in  tanta  folla  ,  e  in  tanti  pas- 
saggi .  Ecco  perchè  Ovidio  (a)  alla  sua  fanciulla , 
che  vicina  a  lui  stava  a  godere  le  corse  circensi , 
elice ,  che  per  non  tenere  le  gambe  a  pendolonè 
introduca  la  punta  del  piede  nel  cancello  ,  che  le 
sta  davanti  :  dal  che  arguisco  ancora ,  che  i  cancelli 
circensi  erano  traforati  .  Questa  fanciulla  certamen- 
te ,  a  quel  che  il  poeta  le  dice ,  si  vede ,  che  non 
era  una  delie  vestali  da  potere  aver  luogo  nel  po- 
dio .  V  era  dunque  cancello  anche  davanti  ad  altri 
spettatori ,  che  non  avean  luogo  nel  podio  :  lo  che 
Ignorarebbesi  senza  questo  luogo   d*  Ovidio  . 

La  seconda  cosa  da  avvertirsi ,  è  che  tutti  i  se- 
dili erano  coperti  di  tavole  di  legno ,  acciocché  le 
persone  non  istessero  con  incomodo  a  sedere  sulla 
nuda ,  ed  umida  pietra  ;  com'  erano  di  tavole  pure 
le  panche  ,  che  stavano  nella  più  alta  parte ,  dove 
era  la  galleria  coperta  .  Da  questa  gran  quantità  di 
legname  nascevano  alle  volte  gì'  incendj  di  questi 
edifizj,  dei  teatri,  e  degli  anfiteatri  rammentati  nella 

sto- 


(a)  Amor.  lib.  S  el.  2  v.  63  seg.  : 

Sed  pendent  libi  crura  Ppotes ,  si  forte  juvabit , 
Cancellìs  prìmtìs  inseruisse  pedes  . 


)(    *4i    )( 

storia  (a) ,  In  altro  modo  come  avrebbero  potuto 
incendiarsi  ediiizj  tutti  di  pietra  ?  Trovo  di  più  che 
era  costume ,  massime  alle  donne  ,  il  portarvi  un 
cuscino ,  com'  anche  il  portarvi  Io  sgabello  per  te- 
nervi su  i  piedi  (J?)  .  Le  tavole  ,  che  coprivano  i 
sedili ,  erano  divise  in  tanti  posti  per  una  persona 
sola,  mediante  un  regoletto  di  legno  su  di  loro  in- 
chiodato ,  per  traverso ,  e  questo  chiamavasi  la  li- 
nea .  Tal  costume  dura  tuttavia  nelle  panche  di  le- 
gno dei  teatri  di  Roma;  ed  è  ottimo  provvedimento 
per  impedire  ,  che  gli  spettatori  vicini  non  si  strin- 
gano troppo  1'  uno  contro  Y  altro  ,  e  non  s'  inco- 
modino .  Ovidio  ,  eh'  io  sappia  ,  è  il  solo  fra  gli 
antichi ,  che  abbia  fatta  menzione  di  questa  linea  (e)  ; 


(a)  Ved.  il  Maffei  degli  Anfit.  lib.  2.  cap.  12, 
seg. ,  che  così  li  spiega.  Jborse  anche  il  lacunare  sa- 
rà stato  di  legno,  per  recare  tanto  danno.  Nel  Cir- 
co Massimo  arse  il  fianco  verso  il  monte  Aventino  al 
tempo  di  Tiberio ,  come  narra  Tacito  Annal.  lib.  6 
cap.  45.  ;  e  dal  fianco  opposto  sotto  al  Palatino ,  si 
propagò  1'  incendio  per  tutta  la  sua  lunghezza  nel 
famoso  incendio  di  Nerone,  come  si  ha  dallo  stesso 
Tacito  lib.   i5  cap.  38.. 

(b)  Ovidio  de  arte  ani.  lib.   i   v.   160  segg. 
(e)  Quid  frustra  refugis  ?  cogit  nos  linea  j  un  gì  : 

Haec  in  lege  loci  commoda  Circus  habet . 
Amor.   lib.  ò  el.  2  v.   19  e  ao  ;    e  lo   ripete 
de  arte  am.  lib.   1  v.   \+\.  \ 

Proxìtnus  a  domina ,  nullo  proliibente,  sedeto  : 
Junge  tuum  lateri ,  qua  potes  usque  ,  latus  : 
Et  bene,  quod  cogit,  si  nolis ,  linea  jungi  ; 
Quod  libi  tangenda  est  lege  puella  loci  . 

IV.  16 


)(  242  X 
ed  è  cosa  lepida  il  vedere  quante  stravaganza  per 
impiegare  la  linea  circense  hanno  detto  i  moderni 
suoi  commentatori  (a)  .  Dopo  tale  spiegazione  rileg- 
gasi il  poeta  ,  e  si  troverà  tutto  piano ,  e  chiaro  . 
Non  v-  è  che  una  simile  linea  ,  la  quale  non  per- 
metta  allo    spettatore    lo    scostarsi   troppo    dal   vici- 


(a)  li  Micflio  nel  secondo  luogo  citato,  edizio- 
ne del  1662  di  Leyden  in  8.°  accurante  Corri.  Schre- 
velio  ,  lo  ha  capito  bene  con  queste  parole:  per  li- 
neam  funìcu'um  ,  aut  simile  aliquid  intelligo  ,  quo 
scdilia  alia  ab  aliis  in  Circo  distincia  /aere  .  Il  conte 
Carli  Ant.  Jtal.  par.  2.  lib.  3  §.  4  Pag>  197  ha  ri- 
portato anche  questi  passi  di  Ovidio  ,  e  di  altri  auto- 
ri per  tal  linea  :  e  dice  di  aver  osservato  nel  teatro 
ài  Verona  un  sedile  antico  eli  marmo  con  un  labro 
ad  ambi  ì  lati  rialzato  ,  distante  uno  dall'  altro  quasi 
due  piedi  .  Alla  pag.  z/fi  dà  una  iscrizione  trovata 
in  fronte  di  un  altro  di  tali  sedili ,  in  questo  modo  : 

T  L  O  G  .  I  I  I  1 

1  L  I  N  .  I 
che  egli  spiega  gradus  I.  locus  IP.  linea  I.  ;  dedu- 
cendo dalla  linea ,  o  labro  ,  che  ha  la  pietra  da  un 
lato  ,  che  il  grado  fosse  diviso  per  mezzo  di  linee  in 
più  spazj  ;  e  che  il  primo  spazio  del  primo  grado  si- 
no alia  prima  linea  dividente  comprendeva  quattro 
luoghi  .  Questa  numerazione  avrà  servito  di  rincon- 
tro per  le  tessere,  che  si  distribuivano  ,e  per  li  Ilio. 
ghi  privilegiati ,  come  si  deduce  anche  dalla  citata 
iscrizione  degli  Arvali .  Anche  il  Serlio  lib.  3  cap.  79 
ed.  1600  dice  di  avere  osservati  nell'  anfiteatro  Fla- 
vio certi  canaletti ,  che  saranno  state  linee  divisorie  ; 
ma  egli  non  li  conobbe  che  per  canaletti  da  fare 
scorrere  l'  acqua ,  e  V  urina  ,  che  sarebbe  stata  cosa 
impropria .  ' 


)(  ;43  )( 
no ,  e  nello  stesso  tempo  permetta  di  toccarlo  col 
fianco .  Ognun  vede  quanto  era  facile  per  mezzo 
di  queste  divisioni  il  sapere  il  numero  preciso  delie 
persone  ,  delle  quali  era  capace  un  Circo  ,  un  tea- 
tro,  o  én  anfiteatro,  perchè  bastava  contare  le  li- 
nee .  Il  Circo  di  Caracalla ,  che  fu  certamente  il 
più  mediocre ,  e  non  avea  che  dieci  gradi ,  e  sen- 
za il  portico  superiore  ,  non  era  capace  che  di  ven- 
tiquattro mila  spettatori  (a) .  Ma  immaginiamoci  per 
un  istante  il  Circo  Massimo  capace  di  38o  mila 
spettatori ,  con  tante  balaustrate  da  un  capo  all'  al- 
tro ,  con  tante  vastissime  gallerie  ,  con  tante  divi- 
sioni ,  con  tanti  comodi ,  e  tanto  apparato  ;  e  poi 
dicasi-  con  umiltà  quanto  siamo  diventati  piccoli  ne' 
nostri   moderni  spettacoli  . 

Fino  ad  ora  non  si  è  parlato  che  dei  luoghi 
destinati  ai  cittadini  ,  e  al  popolo  :  parlisi  ora  di 
quello  ,  da  cui  stavano  a  vedere  i  giuochi  circensi 
gì'  imperadori ,  e  la  famiglia  augusta  .  Chiamavasi 
questo  il  pulvinare ,  e  bisogna  che  fosse  fabbrica 
insigne  ,  perchè  Augusto  nel  Monumento  Andra- 
nò   (b)   si    fa   gloria    d'  avere    innalzato    il    pulvinare 

(a)  Il  sig.  de  la  Lande  Voyage  en  Ital.  T.  V.  chap. 
12.  pag.  355  edit.  Par.  1786  ricorda  questo  calcolo 
del  nostro  Autore  ,  che  forse  aveva  inteso  da  lui  a 
voce  .  Noi  crediamo  ,  che  il  numero  non  passasse  i 
18000  ,  come  si  dirà  in  appresso  . 

(b)  Presso  il  Grutero  pag.  2Ò2.  ,  e  in  fine  deli' 
edizione  di  Svetonio  heosmrdiae  17 15  Tom.  IL  pag. 


nei  Circo  Massimo .  Nacque  lai  nome  probabilmente 
dall'  adulazione  compagna  inseparabile  de'  sovrani  „ 
JNei  tempj  il  pulvinare  era  il  sacrario  intimo  ,  in 
cui  sopra  molle  cuscino  si  tenevano  gì'  idoletti  più 
rispettabili  d'  oro  ,  e  "di  avorio  .  Sarassi  dunque  chia- 
mato collo  stesso  nome  il  luogo  ,  ove  andava  la  fa- 
miglia augusta  ,  quasi  che  fosse  composta  di  tanti 
Dei .  Pulvinare  pure  chiamossi  ,  forse  per  la  stessa 
ragione  ,  la  camera ,  in  cui  dormivano  gì'  imperato- 
ri .  Potrebbe  darsi  ancora  ,  che  avessero  ottenuto 
tal  nome  per  molti  cuscini ,  che  per  comodo  vi  sa- 
ranno  stati  distesi  in  ogni  parte. 

Due  erano  i  punti  più  importanti  per  vedere 
nel  Circo  gli  accidenti  ,  che  vi  succedevano  ;  ed  in 
uno  di  questi ,  se  non  in  amendue ,  ho  ragione  di 
credere  ,  che  vi  fosse  il  pulvinare  .  L'  uno  era  alla 
sinistra  del  Circo,  appunto  m  faccia  alle  prime  me- 
te,   e   a    vista  delle   carceri . 

Da  tal  luogo  non  solo  potea  1'  imperatore 
dare  visibilmente  il  cenno  della  mossa  agli  aurighi , 
che  pronti  al  corso  dalle  carceri  aperte  lo  aspetta- 
vano ;  ma  se  ne  vedeva  da  vicino  la  prima  scap- 
pata ,    le    seconde  voltate ,    ed    egualmente   la   vitto- 


ii4i  :  e  nell'  edizione  d'  Aurelio  Vittore  fatta  dall' 
Arnlzenio  Amstelodumi  ifò$  Tom.  II.  pag.  4%  > 
e  presso  Chishull  Antiq.  Asiat.pog.  172  seg. ,  oltre 
Lipsio  ,  e  Busbequio  ,  che  fu  il  primo  a  pubblicarlo 
nel  i579- 


)(  ^45  )( 
ria ,  che  si  decideva  precisamente  sotto  i  suoi  oc- 
chi (a)  U  altro  era  sul  lato  destro  dell'  edilìzio 
più  vicino  alle  seconde  mete  .  Di  colà  vedeva  sotto 
di  lui  le  gare ,  e  gli  urti  ,  che  tra  di  loro  si  da- 
vano le  carrette ,  e  le  loro  anguste  voltate  intorno 
alia  tondeggiante  base  delle  mete,  dalle  quali,  co- 
me vedremo  ,  dipendeva  in  gran  parte  la  probabi- 
lità della  vittoria .  Tali  luoghi  erano  degni  dei  prin- 
cipe.  Augusto  in  un  biglietto,  che  scrisse  a  Livia, 
le  disse ,  che  non  gli  piacea  ,  che  Claudio  ancor 
giovinetto  stesse  ad  osservare  le  corse  dal  pulvina- 
re; perchè  era  troppo  in  vista  del  popolo  (b)  .  Quel 
principe  fino  da'  suoi  primi  anni  diede  segni  di-  stu- 
pidità ;  e  Augusto  non  avrà  voluto  ,  che  fosse  co- 
nosciuto sì  sollecitamente  dal  popolo .  All'  esterno 
del  Circo  era  1'  ingresso  particolare  al  pulvinare  \ 
e  ciò  per  maggiore  libertà  dei  principi  nel!'  andar- 
vi ,  e  del  popolo  ,  che  stando  seduto  nel  Circo  ad 
«spettarli ,  li  vedea  tutti  a  un  fratto  presentarsi  al 
balcone  del  pulvinare,  come  noi  vediamo  presen- 
tarsi il  sovrano  al  luminoso  suo  palco  ne'  nostri 
teatri . 

Tra j  ano  nel  Circo   Massimo   levò  affatto  il  pul- 
vinare ,   e    perciò    meritò  lode   di   rara  clemenza   da 


(a)  Avrà  servito  anche  per  vedere  gli  altri  giuo- 
chi ,  che  si  facevano  dopo  le  corse ,  principalmente 
neìY  arca  davanti  alle  carceri  . 

(b)  Sveton,  in  Clauà,  cop.  4« 


)(  ^46  )( 
Plinio ,  per  essersi  con  ciò  accomunato  col  popolo 
Romano'.  Il  popolo  non  vedrà  più,  die'  egli,  so- 
lamente la  camera  del  principe  ,  ma  vedrà  il  prin- 
cipe stessa  assiso  fra  lui  (a)  .  Forza  è  però  ,  che 
non  volessero  tanta  clemenza  i  suoi  successori;  per- 
chè si  vede  tuttavia  nelle  rovine  del  palazzo  de'  Ce- 
sari sulla  parte  posteriore ,  e  nel  più  alto  del  colle , 
una  camera  isolata,  che  sostenuta  da  tre  grandi  ar- 
chi sporge  in  fuori  ?  e  domina  a  cavaliere  tutto  Io 
spazio  del  Circo  a  lei  sottoposto  .  Pare ,  che  que- 
sta servisse  per  vedere  le  corse  circensi  senza  usci- 
re dagli  appartamenti  imperiali  .  La  camera  dura 
ancora  intiera ,  benché  spogliata  de'  suoi  ornamenti , 
ed  affatto  smantellata  (b)  . 


(a)  In  Vaneg.  cap.  Si.  Tutto  il  contesto  fa  ca- 
pire ,  che  realmente  Trajano  levasse  il  pulvinare  ,  non 
che  egli  semplicemente  sedesse  fra  il  popolo  :  Visen- 
da  autem  (  il  Circo  )  ,  cum  celerà  specie,  tum  quod 
mquàtus  plebi s  ,  ac  principi s  focus  .  Siquidem  per 
omne  spatium  una  facies  ,  omnia  continua  ,  et  pa- 
ria ;  nec  magis  proprius  spectancìi  Cossaris  sugge- 
stus  ,  quam  propria  ,  quee  spectet  .  Licebit  ergo  ci- 
vibus  tuis  invicem  contueri  ;  d&bitur  non  ciìbiculum 
principis  ,  se d  ipsum  prineipem  cernere  in  publico  . 
in  populo  sedentem  .  E  ciò  conferma  quello ,  che  ho 
detto  innanzi  appunto  del  pulvinare  del  principe  ; 
che  fosse  nello  stesso  Circo .  Quel  per  omne  spatium 
una  facies  ,  omnia  continua  ,  et  paria  ,  non  può 
intendersi  mai  di  una  fabbrica  lontana  dai  sedili  co- 
muni a  tutto  il.  popolo  . 

(b)  Con  questo  discorso  pare.,  che  l'autore  con* 


)(  'Al  )( 
Nel  Circo  di  Caracaila  io  feci  scavare  alcun 
poco  appunto  sotto  il  pulvinare ,  che  restava  in  fac- 
cia alle  prime  mete ,  avendo  bisogno  di  prendere 
certe  misure  ;  ed  oltre  ad  un  bellissimo  pezzo  di 
cornice  maravigliosamente  lavorato  con  eleganti  men- 
sole ,  vi  trovai  molti  frammenti  di  capitelli  corintj  , 
un  pezzo  di  colonna  scanalata  ,  una  mano  di  gran- 
dezza naturale  tenente  dei  pomi ,  una  mezza  testa , 
e  molti  altri  rottami ,  il  tutto  di  marmo .  Si  ve- 
dea ,  che  tanta  rovina  era  piuttosto  effetto  di  colpì 
violenti ,  che  del  tempo  edace  ,  come  si  osserva  in 
quasi  tutte  le  antichità  romane  .  Vi  trovai  pure  un 
pezzo  di  muro  dipinto  a  ligure ,  com'  anche  molte 
lastre  di  marmi  colorati  per  incrostare  pareti ,  o  pa- 
vimenti .  Se  tanto  erano  ornati  i  pulvinari  d' un  Cir- 
co ,  che  come  mostrerò  ,  era  fabbrica  privata ,  e 
fatta  per  un  semplice  spogliatoio  suburbano  de'  Ce- 
sari (a)  y  che  non  sarà  stato  il  pulvinare  nei  Circo 
Massimo,  in  cui  la  magnificenza  sovrana  dovea  fa- 
re maggior   comparsa?    Ma    tanto  basti  dei  lati   del 


fonda  il  pulvinare  ,  che  poc'  anzi  ha  collocato  nello 
stesso  Circo,  con  questo,  che  ora  mette  sullo  stesso 
monte  Palatino  .  Avrà  voluto  dire ,  che  questo  fu  so- 
stituito a  quello  ;  che  considerava  come  un  pulvina- 
re privato  dei  giuochi  con  libertà  . 

(a)  Non  so    quali    ragioni    avesse   1'  autore    per 
provarlo,  non  avendone  troiata  alcuna  nei  suoi  scritti. 


)(    «B    )( 
Circo .    Parliamo   ora  delle    gran   porte ,    che   dalla 
pubblica  via  davano  ingresso   nello   steccato  . 

La  porta  principale  era  ali'  apice  della  curva- 
tura del  Circo ,  ih  faccia  precisamente  alle  carce- 
ri .  Per  essa  io  credo ,  che  uscissero  quasi  trion- 
falmente  dopo  la  funzione   i  vincitori  delle  corse. 

Due  gran  porte  laterali  ,  e  compagne  ,  una 
cioè  per  parte,  terminavano  i  lati  del  Circo  dalla 
banda  delle  carceri .  Se  il  Circo  era  circondato  da 
portici,  venivano  queste  a  corrispondere  precisa- 
mente in  faccia  al  primo  arco  dell'  uno ,  e  dell'  al- 
tro dei  fianchi .  Se  non  avea  ,  che  un  muro  cir- 
condario ,  com'  è  il  Circo  di  Caracaìla ,  erano  aperte 
nel  muro  in  quel  medesimo  luogo  .  Per  una  di 
queste ,  cred'  io  ,  che  entrasse ,  e  per  1'  altra  uscisse 
!a  pompa  ,  dopo  aver  fatto  il  giro  dello  steccato  , 
e  finite  le  funzioni  sacre ,  per  le  quali  entrava  nei 
giuochi. 

L'  arco  di  mezzo  delie  carceri  serviva  anche 
esso  per  una  delle  principali  porte .  Per  questo  ave- 
vano ingresso  nello  spazio  i  consoli ,  e  que'  magi- 
strati ,  che  presiedevano  allo  spettacolo .  Di  esso  si 
parlerà  nel  capo  seguente ,  ove  si  descriverà  l' op- 
pido ,    di    cui  esso  è   parte . 

La  quinta  porta ,  se  pure  non  ve  n'  era  più 
d'  una  ,  chiamavasi  libitinaria  .  Stava  ad  un  lato 
del  Circo ,  e  quasi  nascosta  sotto  il  podio ,  e  i  se- 
dili ;   e  serviva   a  portar  fuori  i  cadaveri  di  coloro, 


)(  ^49  )( 
che  perivano  in  tali  pericolosi  giuochi  (a)  .  Era  rito 
rigorosissimo  nelP  antichità ,  che  ì  morti  non  pas- 
sassero mai  per  le  porte ,  che  servivano  ai  vivi , 
per  evitare  il  funesto  augurio .  Simile  superstizione 
ha  durato  quasi  fino  ai  nostri  secoli  in  alcune  città 
della  Toscana .  Si  vedono  ancora  case  antiche  con 
due  porte ,  una  delle  quali ,  raccontano  gli  antiquarj 
d'  oggidì ,  e  i  filopatrj  ,  che  non  si  apriva ,  che  al- 
l' occasione  de'  mortorj  .  Chiamavasi  ancora  porta 
sandapilaria  da  sandapila  ,  che  era  la  bara  ,  su 
cui  portavansi  i  cadaveri  delle  persone  plebee  .  Ma 
il  fin  qui  detto  basti  sui  lati  del  Circo*  Parlisi  ora 
dell'  oppido  . 

CAPO     VI. 

Dell'  Oppido  . 

JLj  estremità'  del  Circo ,  la  quale  era  in  faccia 
alla  porta  lunata ,  ed  era  compresa  fra  i  due  lati 
più   lunghi    dell'  edifizio  ,    chiamavasi   oppido  .     Era 


(a)  Nel  Circo  di  Caracalla  questa  porta  è  ve- 
ramente una,  e  tale  ,  quale  la  descrive  P  autore,  co- 
me può  vedersi  nella  Tavola  I.  L'  altra  porta  sup- 
posta da  taluni ,  e  chiamata  sanavivaria ,  con  parola 
barbara,  è  già  stata  bandita  dal  Maffei  degli  AnJ* 
lib.  2.  cap.  7  il  quale  fa  osservare ,  che  quella  pa- 
rola è  nata  dalla  falsa  lezione  di  sandapilaria .  Mol- 
to maggior  errore  sarebbe  il  voler    collocare    queste 


1'  oppido  una  serie  di  tredici  archi  uniti  di  fronte  ? 
e  contigui ,  ma  non  tra  loro  comunicanti .  Alle  due 
estremità  di  questa  serie  sorgeano  due  torri  ,  una 
cioè  per  parte ,  le  quali  colla  loro  altezza  sovrasta- 
vano a  tutto  P  edilizio ,  e  lo  dominavano  .  L'  arco 
di  mezzo  ,  che  non  era  che  di  poco  più  largo  de- 
gli altri  senza  essere  più  alto,  serviva  di  porta  an- 
eli' esso  per  entrare  nel  Circo  .  Veduta  da  lontano 
tutta  questa  unione  d'  archi ,  di  porte  ,  e.  di  torri , 
pareva  un  castello;  e  da  ciò  nacquegli  fino  ne' tem- 
pi più   antichi  il  nome   di  oppido  . 

I  dodici  archi ,  che  nel  mezzo  aveano  la  por- 
ta ,  servivano  di  stanzini  per  tenervi  rinchiuse  le 
carrette  fino  ai  momento  della  corsa.  Era  ognuno 
in  larghezza  capace  di  quattro  cavalli  di  fronte ,  e 
non  più  ;  e  la  sua  profondità  non  eccedea  la  lun- 
ghezza d'  una   carretta  coi   cavalli    al  timone  . 

Questi  archi  erano  pervj ,  cioè  trapassavano ,  ne  lì 
chiudea  che  un  cancello  bivalve  di  legno  dalla  parte 
interna  del  Circo  .  Dalla  parte  esterna  è  naturale  „ 
che  le  carceri  avessero  una  porta  per  custodia  della 
carcere  medesima  nei  tempi ,  ne'  quali  non  se  ne 
Faceva  uso  .  Il  popolo  indocile ,  e  che  ama  di  gua- 
stare impunemente  le  cose  quando  nessuno  lo  ve- 
lie ,  sarà   stato  in   uso   fino    d'  allora  . 


due  porte  ove  sono  le  due  porte  lateralmente  al- 
le carceri ,  segnale  nella  citata  Tavola  lett.  H  H  , 
mentovale  poco  prima  dall'  autore . 


)(-*5i    )( 

Un  semplice  muro  separava  fra  loro  le  carce- 
ri ;  e  questo  nella  facciata  interna  del  Circo  ,  nella 
quale  serviva  dì  pilastro  divisorio  .  Era  ornato  di 
una  grand'  Erma  di  marmo  ,  o  di  pietra ,  che  a 
lui  appoggiata  assomigliava  quasi  ad  una  Cariatide. 
Il  cancello ,  che  chiudea  le  carceri ,  non  era  più 
allo  dei  loro  stipiti ,  e  la  lunetta  superiore  dell'  ar- 
co era  chiusa  da  una  gran  placa  di  marmo  sottile, 
e  semicircolare  ,  traforata  a  fiori  ,  e  ad  altri  orna- 
menti .  Due  di  queste  plache  elegantissime  ,  ed  in- 
tiere (a)  si  vedono  ancora  incastrate  nel  muro  della 
seconda  corte  nel  palazzo  Mattei ,,  trovate  probabil- 
mente nel  fabbricarlo  ;  giacché  esso  è  precisamente 
fondato  sopra  le  rovine  d'  una  gran  parte  del  Circo 
Flaminio . 

Benché  di  queste  Erme  ,  e  della  loro  forma 
troviamo  traccia  in  alcuni  bassorilievi  circensi ,  e'  ne 
troviamo  anche  P  uso  chiarissimo  in  Cassiodoro  (b)  ; 
pure  da  questo  '  medesimo  luogo  di  Cassiodoro  ha 
presa  occasione  il  Panvinio  {e)  di  urtare  in  grosso 
sbaglio  .  Egli  ha  creduto  ,  che  non  vi  fossero  che 
due  Erme  ,  cioè  due  statue  intiere  di  Mercurio  \ 
e  queste  piantate  nell'  area  del  Circo  a  qualche  dì- 
stanza  dalle  carceri  ,   e   vicinissime  ai   due  podj    op- 


(a)  Sono  in  gran  parte  restaurate    colla  calce  , 
o  stucco  . 

(b)  Var.  Uh.  3  ep,  5i 
(e.)   TJb.   t  cap.  6. 


)(       *5*       )( 

posti ,  Ha  creduto ,  che  da  queste  statue  sì  tenesse 
in  mano  il  canape  ,  a  cui  ,  e  non  entro  le  carce- 
ri ,  stessero  ad  aspettare  la  mossa  le  carrette  ;  e 
che  al  cadere  di  questo  canape  ,  come  si  fa  oggi 
giorno  nelle  nostre  corse  de'  barbari,  cominciasse 
la  corsa .  Ha  data  di  più  la  figura  ,  come  cosa 
certissima  ,  di  questa  sua  supposizione  nella  gran  ta- 
vola del  Circo  Massimo  da  lui  unita  al  suo  trattato 
de'  giuochi  circensi  .  Ma  non  ha  riflettuto  questo 
grand'  uomo  ,  che  le  carrette  cominciavano  la  corsa 
dall'  interno  delle  carceri .  Non  ha  riflettuto  ,  che 
quelle  due  statue  piantate  nel  campo  medesimo , 
su  cui  correvano  le  carrette ,  sarebbero  state  di  gran- 
dissimo imbarazzo  ;  e  finalmente  non  ha  riflettuto  , 
che  è  cosa  impossibile  il  tendere  con  forza ,  e  sol- 
levar da  terra  in  tanta  distanza  un  grosso  canape  ; 
e  molto  più  difficile  ,  non  essendo  raccomandato 
che  ad  una  piccola  statua  isolata .  La  forza  delia 
catenaria  in  tanta  estensione  ,  e  una  di  quelle ,  che 
in  meccanica  si  accosta  quasi  al!'  infinito .  Serviva- 
no dunque  le  nostre  Erme  a  tenere  una  corda , 
che  passava  da  una  carcere  all'  altra  ,  e  non  più  ; 
e  che  cadeva  veramente  ai  momento ,  m  cui  do- 
veva cominciare   la  corsa . 

L'  allineamento  di  queste  tredici  arcate  ,  o  sia. 
carceri ,  non  era  già  in  linea  retta  ;  e  molto  me- 
no faceva  un  angolo  retto  coi  lati  del  Circo .  Era- 
no esse  disposte   in  un  arco  di   circolo ,   il  cui  cen~ 


,  ,  )(  ^53  )( 
tro  cadeva  nell'  area  dello  steccato  dalla  parte  de- 
stra. Tal  centro  doveva  essere  egualmente  distante 
dalla  prima  meta  ,  che  dai  podio  della  parte  de- 
stra del  Circo  .  Da  questa  situazione  ognun  ve- 
de ,  come  T  arco  delle  carceri  dovea  cadere  di  sghem- 
bo rispetto  al  totale  dell'  edilizio  ;  e  in  conseguen- 
za ,  che.  il  lato  destro  del  Circo  doveva  essere  un 
po'  più  lungo  dei  sinistro,  per  venire  ad  unirsi  alle 
carceri  ,  le  quali  cadevano  un  po'  più  lontane  .  La 
pianta  generale  del  Circo  darà  idea  più  giusta  di 
questa  struttura,  che  qualunque  mio  ulteriore  discor- 
so .  La  ragione  poi  di  tale  curvità ,  ed  inclinazione 
alla  sinistra  ,  era  affinchè  tutte  le  carrette ,  qualunque 
fosse  la  carcere ,  da  cui  partivano  ,  avessero  uno  spa- 
zio eguale  da  percorrere  prima  d'entrare  nella  lizza 
comune  ;  e  così  doveva  essere ,  perchè  percorreva- 
no raggi  del  medesimo  circolo . 

Ogni  carcere  aveva  il  suo  numero  ,  che  la  di- 
stingueva .  Nella  iscrizione  di  Diocle ,  presso  il  Gru- 
tero  (a)  ,  è  fatta  menzione  dell'  agitare  summa  qua- 
driga .  Il  Panvinio  (b)  crede ,  che  significhi  il  par- 
tir dalla  carcere  in  faccia  alla  spina  ;  il  che  sembra 
falso  .  Vedendo  ,  che  dopo  questa  frase  V  iscrizione 
dice ,  mìssus  ab  hostio  UH. ,  e  dappoi ,  missus  a 
pompa  ,  mi  fa  credere ,  che  summa  quadriga  signi- 


(a)  Pag.  3^7  e  presso  il  Panvinio  lìb.  1  cap,  io. 

(b)  Lìb,  1  cap.   14  pag.  17. 


)(  ^54  )( 
fichi  l'  ultima  carcere  verso  i  gradi  dall'  una ,  o  dal  - 
i'  altra  parte  ;  perchè  queste  erano  le  raen  vantag- 
giose .  Si  vede ,  che  Diocle  durò  ventiquattro  anni 
a  prendere  volontariamente  questo  luogo  ,  per  fare 
comparir  più  la  sua  bravura .  Dopo  questa  carcere  , 
quella ,  che  veniva  ,  chiamavasi  la  quarta  ;  quindi  sa- 
rassi chiamata  terza  ,  1'  altra  seconda ,  e  prima ,  fino 
a  quella,  che  era  contigua  alla  porta  di  mezzo,  per 
cui  entrava  la  pompa  .  Quest'  ultima  carcere  ,  che 
era  la  prima  ,  cominciando  dalla  summa ,  dicevasi  a 
pompa  . 

Sopra  questa  serie  arcuata  delie  carceri  v'  era 
un  grand*  ambulacro ,  o  sia  terrazzo  scoperto ,  da 
cui  perfettamente  poteano  vedersi ,  benché  soltanto 
per  il  lungo,  tutte  le  funzioni  circensi.  A  lui  anda- 
vasi  perle  medesime  scale  interne  delle  torri,  il  cui 
primo  ripiano  riusciva  appunto  a  livello  di  questo 
ambulacro  .  Dallo  stesso  ripiano  s'  andava  ancora  ad 
un  altro  terrazzo ,  che  restava  sopra  la  volta  dell'  ar 
co  delle  due  gran  porte  laterali  (a)  . 

Non  si  credesse  già  ,  che  quest'  ambulacro  ser- 
visse anch'  esso  pel  popolo    spettatore  .    Vedendo    io 
in   alcuni  bassirilievi  circensi  ,   e  massime  in  quello, 
che  si  vede  in  Foligno   intaglialo    sopra    un  sarcofa- 


(a)  In  quelle  del  Circo  di  Caracaila,  delle  quali 
forse  intende  parlare  1'  Autore ,  non  era  così ,  come  s:, 
vedrà  nella  spiegazione  della  Tavola  I. 


)(  ^55  )( 
go  ,  e  dato  in  rame  dal  Panvinnio  (a}9  che  sopra 
la  porta  di  mezzo  v'  è  un  tribunale ,  o  sia  suggesto 
per  persone  quaiilìcale  ;  e  leggendosi  in  Sidonio  (&) , 
che  a  questa  porta  eira  la  sede  dei  consoli ,  sono 
tentato  a  credere  ?  che  su  quelf  ambulacro  avessero 
essi  il  loro  luogo  .  In  tal  caso  non  è  naturale  ,  che 
fossero  accomunati  col  popolo .  Ove  parleremo  dei 
giuochi  vedremo  a  qual  altro  genere  di  spettatori, 
oltre  ai  consoli ,  sia  probabile  che  quel  luogo  fosse 
destinato  (e) . 

Qual  uso  aveano  le  due  alte  torri  dell'  oppido 
nel  Circo  ?  Qui  pure  non  possono  aver  lu<  go  che 
congetture  .  Parleremo  dì  esse  ove  si  tratterà  dei 
giuochi ,  e  si  vedrà  essere  molto  probàbile ,  che  in 
quella  tanta  altezza  si  collocasse  la  musica  .  Nel 
pian  terreno  delle  torri  non  par  dubbio  ,  che  vi 
saranno  stali  coloro  ,  che  movevano  la  macchina , 
per  cui  in  un  istante  aprivansi  come  da  loro  i  can- 
celli delle  carceri  :  io  che  era  il  primo  segno  della 
corsa  .    Pare   che   fosse  una   parte   dell'  eleganza    del 


(a)  Il  sig.  Bianconi  lo  aveva  fatto  disegnare  dall' 
originale  per  darlo  qui  inciso  in  rame  :  ma  il  dise- 
gno che  si  è  trovato  fra  le  di  lui  carte  ,  non  ci  è 
sembrato  tale  da  meritare  dì  farne  uso  . 

(b)  Ad  Consent.  carm.  zò  v.  3 17  edìt.  Paris, 
1609  pag.   194. 

\  (e)  Il  nostro  Autore  dopo  avere  scritte  queste 
cose  acquistò  il  bassorilievo  ,  per  il  quale  avrebbe  fat- 
te^deile  nuove  riflessioni  a  questo  proposito . 


)(  s56  )( 
giuoco,  che  gli  spettatori  non  vedessero  gli  operaj; 
ma  vedessero  la  sola  operazione  al  dato  segno  .  li 
pian  terreno  delle  torri  era  il  solo  luogo,  ove  il  po- 
polo inserviente  potea  celarsi  ;  e  pare  che  fosse  il 
più  contacente  per  agire  sulle  macchine  dei  cancel- 
li ,   perchè  era   il  più   ad   esse  vicino  . 

Finiscasi  coli'  avvertire  ,  che  le  carceri  egual- 
mente che  le  torri  erano  tutte  dipinte .  Tanto  an- 
cora vedesi  nelle  torri  dei  Circo  di  Caracalla ,  ,in 
cui  durano  esse  quasi  intiere  ;  e  tanto  ho  veduto  io 
ancora  nelle  rovine  delle  sue  carceri  ali'  occasione  , 
che  per  prendere  le  necessarie  misure  ne  feci  sco- 
prire i  rimasugli  .  Gii  antichi  non  lasciavano  mai 
muri  bianchi  ,  come  fassi  ai  giorni  nostri .  Pareva 
loro  ,  che  un  edilìzio  non  fosse  finito  ,  se  non  ne 
incrostavano  ancora  di  marmi ,  o  di  bassirilievi  di 
stucco  le  pareti ,  o  almeno  non  le  dipingevano ,  o 
non   le  colorivano    (a)  . 

CAPO     VII. 

Della  Spina ,   e  delV  Arena  . 

JLja   spina  fu  la   parte   più    rispettabile   del    Circo  , 
anzi   ne  fu   precisamente    il   santuario  ,    perchè    era 

nata 


(a)  Sono  tanto  frequenti  queste  pitture  ,  e  stuc- 
chi nelle  rovine  delle  antiche  fabbriche  pubbliche  ,  e 


)(  *57  )( 
tutta  destinata  agli  Dei .  Era  essa  un  gran  murello 
alto  quattro  piedi  in  circa  ,  e  largo  forse  dodici  , 
o  più  (a)  \  il  quale  per  un  tratto  a  un  dipresso  dì 
due  terzi  del  Circo  divideva  per  lungo  in  due  gran 
corsie  T  arena ,  come  la  spina  divide  in  due  parti 
il  dorso  dei  pesci .  Fu  da  questa  similitudine  ,  che 
trasse  il  nome  di  spina  ;  e  ben  giustamente  .  Co- 
minciava essa  ad  una  certa  distanza  dalle  carceri  , 
e  finiva  prima  d'arrivare  alla  porta  trionfale.  /Non 
trovando  io  usato  questo  nome  di  spina  da  verun 
antico  scrittore  prima  di  Cassiodoro  (b)  ,  mi  do  a 
credere,  che  ai  tempi  della  pura  latinità  questa  pa- 
rola non  fosse  ancora  stata  introdotta  in  quella  lin- 
gua ,  che  dai  dotti  ài  scriveva  ;  e  che  s'  adoprasse 
solamente  nel  discorso  dal  volgo.  Da  simile  diffe- 
renza di  parole  nacque  la  distinzione ,  che  tuttavia 
dura,  di  lingua  latina,  e  volgare,  le  di  cui  parole 
furono  dappoi  adottate  coli'  andar  de'  secoli  nella 
scrittura  (e)  . 


private  ,   in    Pioma  ,  e    fuori ,   che    non .  è    necessario 
darne  esempi  a  confermare  la  proposizione  dell'  Autore. 

(a)  Forse  il  nostro  Autore  assegna  queste  misu- 
re suir  autorità  del  Bulengero  de  Circo  roin.  cap. 
22.  Nel  Circo  di  Caracalla  sono  maggiori,  come  si 
vedrà  nella  Tavola  1.  Pure  maggiori  saranno  state  nei 
Circo  Massimo . 

(b)  Variar,  lib.  3  epist.  5i. 

(e)   Fra  le  altre    opere,  che   meditava  il  nostro 
Autore  ,  wna  era  su  questo  argomento  ,  come  scrìve 
IV.  17 


)(    ^58    )( 

Era  d'  intorno  alia  spina  ,  che  ne'  giuochi  cor- 
revano a  gara  le  carrette  .  Descrivasene  per  quanto 
è  possibile  la  figura  ,  gli  ornamenti ,  ed  il  prospetto 
sulle  antiche  tracce  ,  che  ce  ne  danno  le  medaglie  , 
i  bassirilievi ,  ed  i  pochi  tratti  degli  scrittori  antichi . 
Si  potrebbe  camminare  molto  più  sul  sicuro ,  se , 
come  Vitruvio }  che  ci  ha  così  dottamente  parlato 
de' teatri,  non  avesse  poi  taciuto  sull'articolo  de'  Cir- 
chi j  e  degli  anfiteatri;  omissione,  secondo  me,  ine- 
splieabile  . 

Prima  d'  ogn'  altra  cosa  riflettasi,  che  alle  due 
estremità  della  spina  stavano  piantate  le  mete .  Era- 
ne queste  tre  coni ,  che  uniti  triangolarmente  tor- 
reggiavano a  guisa  di  cipresso,  e  si  vedeano  di  lon- 
tano. Da  principio  si  fecero  di  legno;  ma  crescen- 
do la  magnificenza  furono  costrutte  di  marmo  (a)  . 
Sul  loro  apice  v'  era  un  grand'  ovo  ,  probabilmente 
di  marmo  anch'  esso ,  in  memoria  delle  ova  parto- 
rite da  Leda  ,  dalle  quali  nacque  Castore  ,  e  Pollu- 
ce protettori  dell'  impero  romano .  Le  mete  in  quella 
estremità  della  spina  ,  che  riguardava  le  carceri  ,  e 
che  chiamavansi  prime  mete  ,  posavano  sopra  la 
volta   d'  un  angusto   tempietto  ,    o  cappelle tta    semì- 


il  sig.  Annibale  Mariotti  nella  di  lui    orazione   fune- 
bre ,  not.  h.  pag.  35. 

(a)  Si  parla  del  Circo  Massimo  ,  in  cui  Clau- 
dio fece  le  carceri  di  marmo,  ed  anche  le  mete 
pure  indorate.  Svetonio  nella  di  lui  vita,  cap.  21. 


)(  *59  )( 
circolare  ,  poco  più  larga  della  spina .  Questa ,  al 
dire  di  Tertulliano  ,  doveva  essere  sotterranea ,  di 
modo  che  per  entrarvi  bisognasse  discendere .  Nel 
Circo  di  Caracalla ,  in  cui  tuttavia  questo  tempietto 
è  quasi  intiero ,  vedesi  chiaramente  anch'  esso  sotto 
il  livello  dell'  arena .  Nello  stesso  Circo  all'  opposta 
estremità  della  spina  dura  ancora  un  altro  tempietto 
sotterraneo  ,  in  ogni  sua  parte  eguale  ai  primo  ,  e 
che  oggi  è  pieno  d' acqua  (a) .  Su  questo  pure  era- 
no le  altre  mete  ,  che  chiamavansi  seconde ,  e  so- 
migliantissime   in    tutto    alle    prime    (b)  •    La    parte 


(a)  Neil'  estate  è  secco  .  Noi  vi  siamo  entrati 
per  esaminarne  ogni  parte  . 

(b)  Io  credo  che  in  Cassiodoro  Var.  lib.  3 
epist.  5i  vada  letto:  Metae  orientis ,  et  occidentis 
terminos  design&nt;  non  rotae ,  come  si  legge  vol- 
garmente ,  e  molto  meno  Eoe,  come  ha  un  codice 
Chisiano  ,  e  come  nota  in  margine  il  Fornerio  nel- 
V  edizione  del  i63y  e  1664  :  parole,  che  qui  nulla 
significano.  S.  Isidoro  Orig.  lib.  18  cap.  3o  confer- 
ma la  mia  correzione  ,  dicendo  :  Metarum  quippe 
appellatione  proprie  terminimi  ,  ac  Jìnem  mundi 
designari  volimi  ,  ab  eo  quod  alicui  emensus  Jinis 
est  :  sive  ad  testimonium  orientis  ,  o  cri  denti  sque 
solis  :  e  Cedreno  Comp.  hist.  Tom.  I.  pag,  147  ed. 
Par.  1647  :  tov  &£<trt  t<x$  8»pa?  x<x.mtttov  tiìv  clvoltqXw  , 
xai  tov  ini  tv  cQèvS-ovv  t*v  -9-vj/i;  ,  metam  ad  carceres 
designare  orientem  ;  metam  ad  jundam  ,  (  o  me- 
glio ante  curvaturam  )  occasum  :  e  così  va  tra- 
dotto, come  fa  il  Bulengero  de  Circo  rom.  cap,  zS, 
non  come  si  legge  nella  citata  edizione  fatta  sulla 
versione  dei  Silandro  :   Flexus  ,    qui    ad  Jores  est , 


)(  s6o  )( 
semicircolare,  o  sia  il  fondo  di  questi  due  tempiet- 
ti, nelle  prime  mete  era  rivolta  verso  le  carceri  , 
e  nelle  seconde  verso  la  porta  trionfale  :  e  la  loro 
porticella  d'  ingresso  restava  quasi  nascosta  in  uno 
stretto  sentiere ,  che  separava  la  spina  dal  tempiet- 
to, come  chiaramente  si  vedrà  nella  pianta  del  Cir- 
co di  Garacalla .  Il  primo  di  questi  due  tempietti , 
quello  cioè  vicino  alle  carceri ,  era  dedicato ,  secon- 
do Tertulliano ,  alla  dea  Marcia  ,  o  sia  dea  della 
languidezza  ;  e  questa  fu  la  ragione ,  per  cui  la  li- 
turgia pagana  facea  quasi  solfo  terra  questo  santua- 
rio .  In  esso  nascondevano   il  Dìo  Conso  ,  che  fu  lo 


ortum  solis  ;  qui  ad  Jundam  ,  occasum  .  Ce- 
dreno  chiama  sfendone  la  curvatura  ;  perchè  ap- 
punto somiglia  a  una  fionda  ,  o  ad  un  anello  ,  con- 
siderando le  due  braccia  del  Circo  ,  che  vanno  ad 
unirsi  alla  porta  ,  la  quale  così  in  mezzo  a  due  cur- 
ve somiglia  alla  pietra  nella  fionda  ,  e  neli'  anello  . 
Il  Bulengero  cap.  2,2.  ,  per  non  aver  fatta  questa 
semplicissima  riflessione  ,  volendo  spiegare  questa 
parola  ,  usata  in  proposito  di  questa  parie  del  Circo 
pure  da  s.  Gio.  Crisostomo  Orat.  de  Circo ,  e  da 
Niceta  lib.  1  num.  io  in  Andr.  Comn.  pag.  2.00 
ed.  1647?  dice,  che  era  un  luogo  in  forma  di  fion- 
da vicino  alia  meta,  anzi  la  meta  stessa.  Onde  pres- 
so Niceta  YìOLTct  Ti*  rov  gtolSiov  sQevSovtv,  non  va  tra- 
dotto, come  fa  il  Bulengero,  per  fundam  Circi,  o 
come  il  Volfio  nella  citata  edizione  ,  in  sphtndone 
Circi',  ma  bensì  e  regione  sphendonìs  ,  o  cureaturae 
Circi  ;  cioè  nello  spazio  avanti  la  curvatura  del  Cir- 
co :  intendendo  »ar%  per  contra  ,  adversus ,  e  re- 
gione ,  ec 


)(  a6i  )( 
stesso  che  Nettuno .  Dovea  presiedere  ai  Circhi ,  per- 
chè Nettuno  fu  il  creatore  de'  cavalli ,  e  pei  cavalli 
principalmente  erano  fatti  questi  edifizj  .  Ai  giorni  di 
Tertulliano  in  uno  dei  Circhi  di  Roma  vicino  alle 
-prime  mete  si  disotterrò  un'  ara  antica  con  questa 
iscrizione  :  CONSUS  CONSILIO  MARS  DUELLO 
LARES  COMITIO  POTENTES .  A  qual  divinità 
fosse  consecrato  Y  altro  tempietto  eguale  ,  e  sotter- 
raneo ,  che  all'  altra  estremità  delia  spina  sosteneva 
le  seconde  mete ,   non  saprei   dirlo  . 

Il  lungo  tratto  della  spina ,  che  stendevasi  da 
una  meta  all'  altra ,  era  ornato  di  colonne  ,  di  sta- 
tue ,  e  d'  altari .  Non  al  solo  Nettuno  erano  dedi- 
cati principalmente  i  Circhi ,  ma  anche  al  Sole  , 
Questo  grand'  astro  benefico ,  astro  padre  della  fe- 
condità ,  avea  d'  ordinario  un  tempietto  nel  mezzo 
della  spina ,  sopra  il  quale  altamente  splendeva  la 
sua  effigie  .  Era  questo  senza  tetto  ,  perchè  ,  come 
dice  Tertulliano  ,  non  parca  proprio  ai  Pagani  il 
Gonsecrare  al  coperto  1'  immagine  di  quel  nume  > 
che  la  natura  ha  esposto  alla  vista  d'  ognuno  sul 
cielo  (a)  .  Dopo  che  Augusto  ebbe  conquistato  l' E- 
gitto  ,  si  trasportarono  a  Roma  vaij  obelischi  di 
quel  regno ,   colà  pure    dedicati   al   Sole  .     Ciò   fece 


(a)  Anche  Vitruvio  lib.  i  cnp.  2  dà  per  cosa 
solita  ,  che  i  tempj  di  Giove  fulminante  ,  del  Cielo  , 
del  Sole  ?  e  della  Luna  si  facessero  scoperti  nel 
mezzo  . 


)(  262  )( 
nascere  V  idea  di  piantarne  uno  sulla  spina  in  ono- 
re di  questa  lucente  divinità ,  in  luogo  dell'  antico 
suo  tempietto  .  A  questo ,  in  vece  dell'  immagine  del 
Soie,  posero  in  cima  un  globo  d'  oro  risplenden- 
tissimo ,  e  fiammeggiante .  Quindi  giudichi  ognuno  , 
quanto  ornasse  i  Circhi  una  sì  grande  novità .  Ab- 
biamo qui  fra  gli  altri  ancora  uno  di  questi  obeli- 
schi ,  sulla  cui  base  si  leggono  le  seguenti  parole 
non  meno  grandiose  dell'  obelisco  medesimo  :  AE- 
GYPTO  IN  POTESTATEM  POPULI  ROMANI 
REDACTA  SOLI  DONUM  DEDIT  (a).  Parole 
di  tanta  grandezza  non  potea  proferirle,  che  Au- 
gusto ,  e  pochi  suoi  successori .  Tal  grandiosa  idea 
piacque  tanto  alla  magnificenza  romana,  che  non  si 
lasciò  quasi  più  verun  Circo  senza  obelisco  .  Fino 
V  imperatore  Costanzo  tanto  tempo  dopo  ebbe  il  no- 
bile ardire  ,  che  non  ebbe  Augusto  ,  di  trasportare 
dall'  Egitto  a  Roma  il  maggiore  di  tutti  gli  obeli- 
schi ,    e   d'  innalzarlo    nel    Circo    Massimo    vicino  a 


(a)  Questo  è  1'  obelisco  ,  che  servì  di  gnomo- 
ne all'  orologio  solare  nel  Campo  Marzo  .  Il  eh. 
Bandini  lo  ha  pubblicato  in  rame  ,  e  illustrato  con 
una  dotta  opera  stampata  nel  ijSo  ,  dopo  che  fu 
disotterrato  per  comando  di  Benedetto  XIV.  Ora 
per  previdenza  di  Pio  VI.  si  erige  restaurato  nella 
piazza  di  Monte  Citorio  .  Ma  è  da  nomarsi  .  che  la 
citata  iscrizione  si  legge  anche  nell'  obelisco  della 
p'azza  del  Popolo  ,  trasportato  già  dallo  stesso 
Angusto  nel   Circo  Massimo . 


)(    ^63    )( 
quello  di  Augusto   (a)  .   Ammiano  Marcellino    scrit- 
tore contemporaneo    e'  insegna    (b)    come   gli  archi- 
tetti  Io   conducessero  ,    e   come  lo  drizzassero  .     Da 
quel   luogo    si   vede ,    che    si    servirono   dello    stesso 


(a)  Sisto  V.  Io  fece  trasportare  ,  ed  erigere  ai 
Laterano  .  E'  il  più  alto  di  tutti  .  Il  Gori  Thes. 
vet.  dipt.  Tom.  IL  Tab.  XVI.  pag.  76  pretende, 
che  Costanzo  facesse  mettere  a  terra  P  obelisco  di 
Augusto  per  sostituirvi  il  suo  .  Ciò  non  mi  pare 
probabile  ,  i.°  perchè  sarebbe  stata  una  vanità  scioc 
ca ,  2..0  perchè  steso  per  terra  ,  come  fu  trovalo  ai 
tempi  di  Sisto  V.  ,  avrebbe  impedito  le  corse  , 
3.°  perchè  non  è  probabile  7  che  lo  avesse  fatto  get- 
tare s  terra  con  impeto  per  fracassarlo;  e  se  lo 
fece  abbassare  intiero  ,  non  si  sarebbe  potuto  rom- 
pere in  seguito  in  tre  pezzi ,  e  piò  ,  come  fu  tro- 
vato :  e  per  ultimo  decide  P  autorità  di  Cassiodoro , 
il  quale  si  esprime  in  modo  Var.  ììb.  3  cap.  5i  , 
che  fa  capire ,  che  al  suo  tempo  erano  amendue  in 
piedi  ,  il  più  grande  dedicato  al  Sole  ,  e  il  più  pic- 
colo alla  Luna  :  Obelistorum  quoque  prolìxitntes  ad 
coelì  altifudinem  sublevantur  ;  sed  potior  Soli,  in- 

ferior  Lunae  dicatus  est  .  La  testimonianza  di  Pub. 
Vittore ,  su  cui  si  fonda  il  Gori  ,  che  nella  regione 
del  Circo  Massimo  dice  :  obelixn  77.  ,  jaret  alter , 
alter  erectus ,  anderà  intesa  di  tempi  posteriori  . 
Lo  stesso  Gori  pag.  72.de  più  esatte  le  iscrizioni 
antiche ,  che  vi  erano  nella  base  ;  qualche  fram- 
mento delle  quali  esistente  prima  nella  piazza  del 
Laterano  ,  è  passato  nel  Museo  Borgiano  a  Velie- 
tri  .  Dell'  obelisco  ,  oltre  ciò  che  ne  ha  detto  il 
Kirchero  ,  può  leggersi  una  dissertazione  del  ài?:. 
Larcher  nel   Journal   des   Savans  . 

(b)  Lib.   17  cap.  4- 


)(    M    X 

metodo ,  di  cui  fece  uso  iì  Fontana  ai  tempi  di 
Sisto  V.,  per  trasportare,  ed  erigere  gli  stessi  obe- 
lischi nella  moderna  Roma  (e)  .  La  meccanica  de- 
gli antichi  non  era  quasi  differente  dalla  nostra  5 
come  taluno  crede  ;  ma  aveano  più  operaj  al  loro 
comando  ;  e  in  conseguenza  maggior  forza  .  Ciò  sia 
detto   di    passaggio  . 

Secondo  alcuni  bassorilievi  ,  e  qualche  meda- 
glia ,  vi  era  vicino  all'  obelisco  sulla  spina  la  statua 
della  Dea  Iside  a  sedere  su  d'  un  leone  .  La  devo- 
zione di  questa  Dea  fu  portata  anch'  essa  dall'  Egit- 
to ,  e  stranamente  propagossi  con  celerità  per  tutto 
F  impero  .  Fu  Iside  la  madre  degli  Dei ,  e  Tertul- 
liano dice  ,  che  senza  essa  il  Circo  avrebbe  langui- 
to .  Non  v'  è  rovina  d'  antica  città ,  in  cui  non  si 
trovino  monumenti  di  questa  Dea  ,  che  chiamavasi 
ancora   la  Dea  grande   (b)  .    Presiedeva  essa  all'  eu- 


(a)  I-e  macchine  del  Fontana  Furono  pubblicate 
in  Roma  nel  1 590  dallo  stesso  Fontana  Domenico  , 
che  le  ripubblicò  in  Napoli  nel  1G04  ,  indi  in  Roma 
nel  1694  da  Carlo  Fontana  nel!'  *  *pera  —  il  Tem- 
pio Vaticano  \  e  finalmente  in  Roma  pure  nel  174^ 
nel  libro  m  Castelli  e  Ponti  di  Nicola  Zabaglia, 
sempre  in  foglio  grande.  Nella  base  dell'obelisco  di 
Costantinopoli  è  scolpito  lo  stesso  metodo  a  un  di- 
presso per  elevare  1'  obelisco  con  argani  girati  da 
cavalli .  Può  vedersi  presso  il  Eandurio  Imp.  Orient, 
part.  IV.    Tom.    TI.   pag.   667. 

(b)  Questa  figura  sedante  era,  propriamente  Cibele, 
detta  la  Dea  grande,  la  madre  degli  Dei,  ce,  e  quindi  i 


)(    265    )( 
ri'po   (a) ,   ed  è  molto   probabile  ,    che  a  lei    abbia- 
no   fatti    voti    gli   aurighi ,    per    non    cadervi   dentro 
nel!'  impeto   della    corsa . 

Varie  colonne! te  ergevansi  sulla  spina;  ed  al- 
cuna di  queste  sosteneva  una  statuetta  di  qualche 
nume  ,  a  cui  era  dedicata  .  V  erano ,  per  esempio , 
le  colonne  sessie  ,  innalzate  per  ottener  da  Giove 
buone  sementi  ;  v'  erano  le  messie ,  per  ottenere 
buone  raccolte  ;  le  tuteline ,  perchè  fossero  salvati  i 
campi  dagl'  infortunj  della  stagione  .  Una  di  queste 
colonne  sosteneva  la  Dea  della  Vittoria ,  a  cui  tanto 
dovevano  i  Romani  .  Piccole  però  saranno  state 
queste  statue  ;  giacche  trovo ,  che  Ovidio  (£)  le 
chiama  statuette  :    e  questo  è  ben   ragionevole ,   per- 

giuochi  istituiti  in  di  lei  onore  si  dicevano  Megalesia  . 
Ved.  il  Bulengero  cap.  8  ,  Vettori  del  Culto  superst.  di 
Cibele  detta  dagli  antichi  la  gran  madre ,  pag.  i3 
segg.  Essa  si  credeva  la  stessa  ,  che  Iside  presso  gli 
Egiziani  ;  ma  presso  i  Romani  non  si  conobbe  sotto 
questo  nome ,  che  più  tardi  .  Si  veda  ciò  ,  che  dicia- 
mo nelle  note  al  Winkelmann  Storia  delle  arti  del 
dis.  Tom.  I.  pag.    116  Tom.  III.  pag.  43 1. 

(a)  Tertulliano  de  Spect.  cap.   8. 

(b)  Non  ho  potuto  trovare  questo  luogo  d'  O- 
vidio  .    Forse   è    un    equivoco   dell'  Autore  . 

Non  lo  crediamo  equivoco  dell'  Autore  .  Ecco  il 
passo  d'  Ovidio  che  il  Fea  non  ha  potuto  trovare 

Sive'erit  ornatus  ,  non  ut  Juit  ante ,  sigillis  ; 

Sed   Hegum  posifas  Cìrcw:  habebit  opes  ; 
Srgill's .    Parvis   statuis  ,    quibus    etiam  theatra   orna- 
bantur  ,    Scribìt  Plin.  Uhi  7  cap.  3.   Pompeum  M#- 


)(    ^66    )( 
che  in   altro  modo  avrebbero  interrotta  la  vista  agli 
spettatori   degli  opposti   sedili  . 

Avanti  alle  colonnette  stavano  sulla  spina  varj 
altari ,  su'  quali  probabilmente  prima  dei  giuoclii  sa- 
grificavasi  a  quelle  divinità .  Fra  gli  altari  Tertul- 
liano distingue  i  tre  dedicati  ai  tre  Dei  ,  che  ,  co- 
ni9 ei  dice  ,  erano  chiamati ,  magni ,  potenti ,  e  va- 
lenti ,  cioè  gli  Dei  di  Samotracia .  V  erano  ancora 
alcune  colonnette  ,  che  unite  con  un  architrave  pre- 
sentavano una  specie  di  porta  ;  e  sul  loro  architra- 
ve vi  si  piantavano  sette  delfini ,  probabilmente  di 
legno ,  dedicati  a  Nettuno  .  Amovibili  furono  que- 
sti delfini ,  perchè  servivano  a  segnare  il  nume- 
ro dei  giri  ,  che  facevano  intorno  alla  spina  le 
carrette  (a)  .  La  celerità  del  corso  era  tanto  gran- 
de, e  il  popolo  era  così  occupato  a  seguitarle  col- 
1*  occhio ,  che  facilmente  potea  nascer  disputa  del 
numero  dei  giri  fatti  intorno  alla  spina .  Un  altro 
di  questi  architravi  su  due  colonnette  sosteneva  molte 
grandi  ova  ,  probabilmenfe  di  legno  anch'  esse  ,  ed 
amovibili .  Queste  pure  ,  come  quelle  delle  mete  , 
erano   dedicate    a    Castore  ,    e    Polluce  .     Servivano 


gnum  ,   in   ornamentis   theatri  :    m'rabiles    fama    po- 
suisse  offi^ìes .    Ordo  autem  est  :    sive    non    erit    or- 
natus   Cireus  sigillis  ,    ut   fuit   ante  :    q  ùa   primo    ilio 
solum  paryis  statuis  ornabatur,   deinde  regalihus  rau 
fieribus  ornari  coepit  .    Gli  Edit. 

(a)  Vedasi  il  Bulengero  cap.   19. 


)(  a67  )( 
probabilmente  a  segnare  il  numero  delle  mandate, 
o  siano  corse  ;  venticinque  delle  quali  ,  come  in  un 
altro  Capo  vedremo ,  formavano  i  giuochi  circen- 
si .  Vedremo  altresì,  che  ogni  mandata,  o  sia  cor- 
sa ,  consisteva  per  io  più  in  sette  giri  intorno  alla 
spina  . 

Quanti  altri  sacri  ornamenti  saranno  stati  sulla 
spina  ,  che  noi*  ora  ignoriamo  ?  Io  credo  ,  che  in 
questo  ogni  fondatore  di  Circo  ,  ogni  principe  po- 
tesse dar  luogo  alla  sua  devozione  particolare  (a)  . 
Fra  le  rovine  del  Circo  di  Caracalla  giacque  rove- 
sciato sull'  arena  fino  ai  tempi  d'  Innocenzo  X.  il 
grande  obelisco ,  che  fa  ora  nella  piazza  Navona 
il  più  beli'  ornamento  di  quella  incomparabile  fon- 
tana (b) .  Nelle  medesime  rovine  si  vedono  ancora 
vicino  alla  spina  mezzo  sepolti  alcuni  frammenti  delle 
colonnette  ,  che  la  guarnivano  ;  e  molti  altri  sono 
sparsi  ,  o  impiegati  nelle  vigne  vicine  .  Un  gran 
frammento  d'  ara  rotonda  è  tuttavia  sotto  un  arco , 
che    sosteneva    una    galleria ,    per  cui  probabilmente 


(a)  Nei  bassirilievi  ,  nelle  medaglie  ,  e  nei  dittici 
si  osserva  una  gran  differenza  riguardo  alla  spina  . 
Ma  questi  monumenti  non  devono  dar  regola;  per- 
chè ivi  gli  artisti  avranno  cercato  il  loro  comodo  per 
la  ristrettezza  del  luogo  .  V  obelisco  però  non  man- 
ca quasi  mai . 

(b)  Pubblicato  in  rame,  e  illustrato  dal  Kirche- 
ro  con  un'opera  particolare:  Obeliscus  Pamphih'us, 
Bomae   i65o  infoi. 


)(    268    x 
passava  V  imperatore  per  andare  allo  spettacolo  (a) . 

Prima  di  finire  il  discorso  della  spina ,  notisi , 
che  fino  ad  ora  gli  autori ,  che  hanno  date  figure 
di  Circhi  ,  hanno  messa  la  spina  parallela  ai  lati 
dell'  edifizio  .  Dal  Circo  di  Caracalla  si  raccoglie  } 
come  fu  già  mostrato  nei  Capo  IV. ,  che  essa  non 
era  parallela  ,  ma  inclinata  in  modo ,  che  dalla  parte 
delle  carceri  lasciava  alle  carrette  •un'  apertura  più 
larga  per  entrare  dallo  spazio  nella  corsìa;  ed  uno 
in  conseguenza  più  stretto  dove  in  faccia  alia  se- 
conda meta  esse  dovevano  voltarvi  intorno  .  In  se- 
guito di  tale  costruzione  tornava  ad  esser  più  larga 
1'  apertura  della  seconda  corsìa  dopo  la  voltata ,  e 
andava  ristringendosi  a  misura  ,  che  le  carrette  si 
accostavano  verso  la  prima  meta  ,  ove  girando  tor- 
cevano di  nuovo  la  corsa .  Se  guardasi  la  pianta 
dei  suddetto  Circo ,  si  vedrà  che  la  spina  è  incli- 
nata  all'  asse  del    Circo   piedi  sedici    (a) . 

Deli'  area  del  Circo  poco  avremo  da  dire  ,  se 
se  n'  eccettui   l'  euripo .    Essa   era  interrata ,   benché 


(a)  In  uno  scavo  fatto  da  noi  tra  la  prim?i  meta , 
o  la  snina  ,  sì  è  trovato  un  grosso  pezzo  di  marmo  gre- 
co informe  ,  perchè  tutto  guasto  ;  ma  che  da  una  par- 
te ha  scolpita  a  bassorilievo  una  quadriga  della  lun- 
ghezza di  tre  palmi  incirca,  e  di  un  lavoro  non  tan- 
to cattivo  da  farla  credere  de'  bassi  tempi . 

(b)  Questo  numero  1'  abbiamo  messo  qui  noi  se- 
condo le  nostre  misure  ,•  perchè  neìl'  originale  dell' 
Autore  mancava  . 


)(  *69  )( 
probabilmente  battuta ,  per  facilitare  il  corso  ai  ca- 
valli :  ed  infatti  s'  alzava  dal  suolo  gran  nube  di 
polvere  neli'  impeto  rapidissimo  delle  carrette ,  a  se- 
gno che  giugneva  ad  imbrattar  le  vesti  degli  spet- 
tatori. Questa  è  quella  polvere,  che  Orazio  (a)  chia- 
ma olimpica ,  e  non  indecora  (b)  .  Ovidio  (e)  dà  per 
precetto  a'  suoi  discepoli ,  di  scuoterla  colie  mani  dal 
grembo  delle  loro  belle  vicine  ,  quando  erano  con 
loro  nei  Circo,  e  farsene  merito  .  Scuotetela  ancora, 
die*  egli ,  quando  non  ve  n'  è .  Caligola  (d)  /  e  Ne- 
rone (<?)  giunsero  fino  all'  eccessivo  lusso  di  far  co- 
prire di  crisocolla  ,  e  di  minio  disposti  a  comparti- 
menti,  1'  arena  ;  come  noi  copriamo  le  nostre  mense 
di  confetture  colorate ,  e  a  giardino . 

(a)  Ode  i   v.  3. 

(b)  La  polvere  ,  che  Orazio  chiama  olimpica  , 
era  la  polvere  dello  stadio  d'  Olimpia  ,  in  cui  gareg- 
giavano a  correre  i  più  bravi  atleti  della  Grecia,  e 
del  mondo  ;  e  V  onore ,  che  riportava  il  vincitore  , 
era  dei  più  grandi  .  Si  veda  la  storia  delle  arti  del 
dis.  Tom.  1.  pag.  26  e  2,5 1  IL  267  117.  g4.  Chia- 
ma anche  non  indecora ,  Od.  lib.  2.  od.  1  v.  22  , 
per  li  capitani  romani  la  polvere  ,  o  sia  la  terra  ,  ond' 
erano  coperti  dopo  esser  morti  nelle  guerre  per  la  li- 
bertà della  patria  ;    non    mai  dei  giuochi  dei  Circo  . 

Il  buon  Fea  non  ha  sentito  la  forza  poetica 
Oraziana  ,  che  trasferisce  V  epiteto  olimpica  alla 
polvere  de'  Circhi.  Gli  Edit. 

(e)  Amor.  lib.  3  el.  2,  v.  l±\  seg. ,  de  Arte  am. 
Uh.   1  v.   149  segg. 

(d)  Svetonio  nella  di  lui  vita  ,  cap.   18. 

(e)  Plinio  Hist.  nat.  lib,  33  cap*  5* 


)(  *7o  X 
Lo  spazio ,  che  restava  fra  le  carceri ,  e  le  pri- 
me mete ,  era  lungo  all'  incirca  una  volta  e  mezza  la 
larghezza  del  Circo.  Quello,  che  restava  frale  ulti- 
me mete ,  e  la  porta  trionfale ,  era  la  metà  a  un  di- 
presso della  larghezza .  Il  primo ,  se  non  m' inganna 
un  luogo  di  Virgilio  (a) ,  chiamatasi  spazio  .  Il  se- 
condo chiamavasi  il  flesso  della  meta  ,  per  quanto 
pare  da  Cicerone  (b)  .  Ivi  era  ,  che  intorno  alla  me- 
ta ,  radendola ,  piegavano  le  carrette  ;  e  questa  stretta 
voltata ,  massime  neii'  ultimo  giro  ,  come  vedremo  , 
decideva  per  lo  più  della  vittoria .  Nella  pianta  del 
Circo  di  Caracalia  si  vedrà,  che  nello  spazio  cadeva 
il  centro  dì  queir  arco  di  circolo  ,    su  cui  erano  di- 


(a)  Forse  intende  del  luogo  seguente,  Aeneid. 
lib.  5  v.  óib  segg.y  ove  appunto  Virgilio  descrive 
una  corsa  di  cavalieri  Trojani  : 

Haec  ubi  dieta,  lo cum  capiunt ,  signoque  repente 
Conripiunt  spatia  audito  ,  limenque  relinquunt 
Effusi  nimbo  similes  :  simul  ultima  signant . 
Primus  abit ,  longeque  ante  omnia  corpora  Nisus 
Emicat ,  et  ventis ,  et  Julminis  ocyor  alis  . 
Proximus  huic ,  longo  sed  proximus  intervallo  , 
Insequitur  Salius  :  spatio  post  deinde  relieto , 
Tertius  Euryalus  . 
Qui    però    è   da  rilevarsi,  che  il  poeta  non  parla   di 
corsa  circense  ;  ma  di  una  corsa  per  uno  spazio  sem- 
plicemente in  lungo  ,  e  per  spatium  intende  il  prin- 
cipio ,  e  il  fine  . 

(b)  Pro  Coelio  :  in  hoc  flexu  aetatis  fama  a- 
dolescentis  haesit  ad  metas  .  A  me  pare  chiaro  ,  che 
intenda  solamente  della  voltata ,  anzi  del  principio 
della  voltata ,  o  curvità  della  meta  . 


poste  le  carceri.  Fra  gli  architetti  questo  centro  do- 
veva essere  un  punto  probabilmente  invariabile  ,  e 
che  si  sarà  fissato  prima  di  tracciar  sul  disegno  le 
carceri .  Questo  pure  dee  mostrare ,  che  non  era 
possibile  fare  dei  Circhi  piccoli ,  se  si  volevano  dare 
ad  essi ,  com'  era  solito ,  dodici  carceri ,  della  lar- 
ghezza ciascheduna  di  cinque  cavalli.  Tutte  le  mi- 
sure in  somma  erano  obbligate ,  e  invariabili  (a) . 
Nel  campo  del  Circo  era  anche  P  euripo . 
Questo  era  un  canale  ,  che  scorreva  ai  piede  di 
tutto  il  podio,  e  lo  bagnava.  Era  largo,  e  pro- 
fondo dieci  piedi .  Davanti  alle  carceri  (b)  ,  e  da- 
vanti alle  porte  non  v'  era  certamente  euripo  ;  per- 
chè il  passaggio  doveva  esser  libero  ,  e  asciutto . 
Forza  è  credere ,  che  vi  fosse  un  ponte  coperto  , 
sotto  cui  P  acqua  oltrepassasse  .  Chiamavano  gli  an- 
tichi euripo  qualunque  piccolo  canale  manufatto  ; 
come  chiamavano  nilo  i  grandi .  L'  origine  d'  un 
euripo  nel  Circo  pare ,  che  fosse  a  difesa  degli  spet- 
tatori .  Egli  è  vero ,  che  -  col  fuggire  dal  campo 
erano  fuori  d'  ogni  pericolo ,  perchè  i  più  bassi  era- 
no sul  podio  ;   ma  non  fu  cosi  quando   cominciossi 


(a)  L' Ippodromo  di  Costantinopoli  non  avea 
•he  quattro  carceri ,  come  scrive  il  Bulengero  cap. 
i4*  Nella  stampa  datane  dal  Panvinio  pare  che  fos- 
sero sei . 

(b)  Così  dice  Dionigi  d'  AUcarnasso  lib,  3  cap. 
66  pag.  192. 


)(  m  )( 
ad  usare  i'  euripo  .Il  podio  allora  non  v*  era  ,  e 
gli  spettatori  sedevano  vicini  al  suolo  .  Si  alzarono 
dappoi  i  sedili  per  ragione  del  podio  ;  ma  t' euripo 
restò  ,  ciò  non  ostante  (a)  .  Forse  che  v'  era  qual- 
che cosa  di  mistico  in  questo  canale  ',  perchè  vedo , 
che  Tertulliano  dice,  che  a  lui  presiedeva  la  Dea 
Iside  (J>)  .  Siccome  che  i  primi  giuochi  si  celebra- 
vano sulle  sponde  dei  fiumi  ,  per  aumentare  con 
ciò  il  pericolo  ,  e  in  conseguenza  il  piacere  de'  ri- 
guardanti; così  forse  si  ebbe  riguardo  a  questa  ori- 
gine ,  conservando  1'  euripo .  Forza  però  è ,  che  que- 
sto canale  non  fosse  necessario  ;  perchè  Nerone  per 
ampliare  lo  spazio  nel  Circo  Massimo  lo  fece  chiu- 
dere  (e)  .    Ai   tempi    di    Tertulliano  però   sì   vede  , 

che 


(a)  Credo  ,  che  i  sedili  si  facessero  a  qualche 
altezza ,  per  goder  meglio  da  una  parte  all'  altra 
del  Circo  .  Nel  Massimo  furono  sollevati  a  dodici 
piedi  fin  dal  principio  j  che  lo  fabbricò  Tarquinio  . 
Livio  ìib  i  cap  i5  n.  35:  loca  divisa  patribus , 
equitibusque  ,  ubi  spectacula  sibi  quisque  facerent , 
fori  appellati  .  Spectavere  ,  furcis  duodenos  ab  ter- 
ra spectacula  alta  sustinentibus  pedes  .  Qui  s'  inten- 
de del  podio  . 

(b)  Loc.  cit.  La  chiama  Magna  Water  ,  che  è 
Cibele  ,  come  o  notato  poc'  anzi  . 

(e)  Plinio  ,  a  cui  dobbiamo  questa  notizia ,  Hist. 
Nat.  lib.  8  cap.  7  racconta,  che  Giulio  Cesare  avea 
fatto  circondare  il  Circo  di  euripi  per  difendere  gli 
spettatori  dalle  fiere  ,  in  specie  dagli  elefanti  ,  de 
quali  vi  si  dava  la  caccia  ;  al  qual  effetto  non  basta- 


)C  273  )( 
the  v'  era  di  bel  nuovo  ;  se  pure  è  il  Circo  Massi- 
mo quello ,  di  cui  ragiona  questo  antico  cristiano , 
come  par  probabile  {a)  .  Il  Circo  di  Caracalla ,  che 
descriveremo  ,  non  aveva  probabilmente  euripo  ,  co- 
me credo  di  poter  provare  a  suo  luogo  (b)  .  Il  pe- 
ricolo ancora  di  corrervi  le  carrette  sulla  sponda , 
avrà  accresciuto  1'  interesse  degli  spettatori ,  come 
quando  correvasi  sulla  sponda  del  nume  .  Nel  luo- 
go ,  in  cui  era  il  Circo  Massimo  ,  scorre  tuttavia 
la  Marrana  ,  la  quale  avrà  senza  dubbio  formato 
T  euripo  di  quel  Circo,  (e);  come  dov'era  il  Circo 
Flaminio  ,  secondo  che  s'  è  detto  nel  Circo  II. , 
scorre  sotterra  ancora  oggidì  una  gran  vena  d'  ac- 
qua  purissima   nei  vicini  fornici   sotterranei   di   quel- 


vano  le  cancellate  di  ferro ,  che  circondavano  P  are- 
na ,  forse  perchè  il  primo  ordine  degli  spettatori  sta- 
va ai  pari  dell'  arena  ,  o  poco  più  alto  .  Di  questa 
giunta  dell'  euripo  ne  parla  anche  Svetonio  nella  vi- 
ta di  quell'  imperatore  cap.  3g  Cedreno  Comp.  hisi. 
Tom.  I.  pag.  147  edit.  Paris.  1647  malamente  at- 
tribuisce P  euripo  a  Romolo  . 

(a)  Vi  era  pure  ai  tempo  di  Cassiodoro ,  che 
ne  parla  Var.  lib.  3  epist.  5i. 

(b)  Non  lo  ha  poi  fatto;  o  almeno  non  ho  tro- 
vato ,  che  ne  parli  nelle  carte  ,  che  ho  avute  in  ma- 
no .  Una  prova  sarebbe  ,  che  dall'  arena  si  andava 
sul  podio  ,  e  che  non  vi  è  indizio  d*  acquedotto  .  Si 
veda  la  spiegazione  della  Tavola  I. 

(e)   Il  Cannicci  antich.  di  Roma  ,  lib.  2  pag.  So 
ed.   1S79- osserva  »    c*ie    ora  v*    s*  faceva    andare    la 
Crabra  ,  che  è  ia  Marrana  ;  ora  P  Appi  a 
IV.  18 


)(  274  )( 
l' edifìcio .  Per  dare  una  strana  magnificenza ,  o  paz 
zia ,  non  so  in  qual  giuoco  1'  imperatore  Eliogabaio 
fece  riempire  tutto  1'  euripo  di  vino  (a)  .  Le  matrone 
della  moderna  Roma  non  avrebbero  certamente  lodata 
questa  grandiosità ,  che  avrà  riempito  tutto  il  Circo  di 
un  vapore  stomacosissimo .  Ecco  quanto  ho  saputo  tro* 
vare  neil'  antichità  sopra  la  spina  ,  e  sopra  l' arena  * 
Resta  a  domandare ,  come  tanto  popolo  adu- 
nato nel  Circo  si  riparasse  dal  raggio  del  sole  ;  mo- 
lestia intollerabile  massime  ne'  giorni  d' estate  .  Nei 
teatri ,  e  negli  anfiteatri  sappiamo  ,  che  v'  era  un 
velario ,  che  lo  difendeva .  Par  probabile ,  che  vi 
fosse  ancora  nei  Circhi  ;  ma  non  se  ne  trova  verun 
indizio  negli  autori  antichi.  Non  esistendo  più  ro- 
vine dei  gran  Circhi  di  Roma  non  si  può  conosce- 
re ,  come  si  conosce  peli'  anfiteatro  Flavio  ,  se  vi 
era  costruzione  adattata  a  sostenere  il  velario.  Nulla 
certamente  se  ne  scopre  nei  Circo  di  Caracalla  ; 
benché  a  forza  d'antenne  di  legno  piantate  in  terra, 
ed  appoggiate  al  gran  muro  circonda  rio»  facii  cosa 
fosse  il  coprirlo  anch'  esso   in   caso    di   bisogno  (b)  . 


(a)  Lampridio  nella  di  lui  vita  . 

(b)  Non  v  è  dubbio  che  nei  teatri ,  ed  anfitea- 
tri ,  almeno  in  qqe'  di  Roma ,  e  di  Pola ,  e  in  altri , 
che.  si  conoscono  ,  si  tenesse  il  velario  ,  o  tendone 
per  riparare  il  soie .  Possono  vedersene  le  prove 
presso  il  Lipsio  de  Ampjiith.  cap.  iy  seg. ,  il  Maf- 
fei  lib.  2  cap.  i3,  il  conte  Gian  Rinaldo  Carli  Ant 
Ital.  par.  2  lib.  3  §.  7  pa%.  227  seg, ,   e  tanti   al- 


)(       *fi       X 

CAPO     V  1 1  L 

"Dei  Giuochi  Circensi  in  particolare ,  e  della  pompa 
che  si  premetteva  alla  solennità   di  essi. 


D, 


'ESCRITTA  la  struttura  de' Circhi,  parlisi  ora  dei 
giuochi ,  che  in  essi  si  rappresentavano ,  e  che  per- 
ciò furono  chiamati  circensi .  Non  parlerò  qui  né 
delle  cacce  ,  né  del  pugillato  ,  né  d'  altri  esercizj 
praticati  talvolta    anch'  essi   nel  Circo  ,*    perchè  vi  si 

tri  ;  come  anche  si  vede  chiaramente  neli'  anfiteatro 
Flavio  :  ma  nei  Circhi,  per  quanto  fossero  grandi, 
eccettuato  forse  il  Massimo  al  tempo  di  Trajano , 
pare  impossibile  per  le  cose,  che  erano  sulla  spina, 
e  principalmente  per  gli  obelischi .  Molto  meno  può 
credersi  di  quello  di  Caracalla  ,  che  ha  muri  cir- 
condar] assai  bassi ,  e  deboli ,  ai  quali  non  potevasi 
supplire  neppure  con  travi.  Il  eh.  Guattani  nei  suoi 
Mon.  ani.  ined.  di  quest'  anno  1789,  mese  di  mar- 
zo ,  Tav.  I.  ha  combinata  col  nostro  sig.  ab.  Ug- 
geri ,  e  data  T  idea  più  giusta  del  velario  sul  detto 
anfiteatro  Flavio . 

Sembra  giusta  la  riflessione  del  Fea  rispetto 
al  velario  ne*  Circhi  ;  che  gli  obelischi  cioè  ne  po- 
tessero impedire  la  distensione ,  e  conseguentemente 
la  collocazione  .  Ma  non  pare  troppo  fondato  il 
di  lui  pensiere  su  questa  parte  riguardo  a  quello 
di  Caracalla ,  eh*  egli  appoggia  alla  bassezza  e  de- 
holezza  de1  suoi  muri.  Bisognerebbe  che  Fea  fosse 
in  grado  di  provare  che  non  si  potessero  dare  mac- 
chine di  legno  capaci  di  sostenere  un  velario  mal" 
grado  simili  muri .    (  Gli  Edit=  ) 


){  276  )( 
rappresentavano  piuttosto  a  cagione  dell'  ampiezza 
del  luogo ,  e  del  comodo  degli  spettatori ,  che  per 
esser  fatto  il  Circo  per  loro  .  I  Circhi  furono  ideati 
per  le  corse,  de'  cavalli  ;  ed  a  queste  limitiamoci  nel 
presente  trattato  . 

Celebravansi  questi  giuochi  regolarmente  in  certi 
giorni  Essi  dell'  anno  in  commemorazione  d'  alcune 
solennità  ,  a  un  di  presso  come  fassi  oggigiorno 
delie  nostre  feste  .  Da  queste  solennità  traevano  il 
loro  nome  i  giuochi,  e  si  chiamavano  Apollinari  i 
dedicati  ad  Apollo  ,  Florali  i  dedicati  a  Flora ,  Ce- 
reali quelli  di  Cerere  y  Saturnali  quelli  di  Saturno  , 
Consuali  quelli  di  Conso ,  Baccanali  quelli  di  Bac- 
co ,  ec.  (a) .  Gli  uni ,  e  gli  altri  erano  più ,  o  me- 
no magnifici  secondo  il  rituale .  V  erano  quelli ,  che 
si  davano  una  volta  ogni  secolo;  e  che  perciò  fu- 
rono detti  i  giuochi  secolari  .  Augusto  li  celebrò 
1'  anno  di  Roma  787  ,  e  Orazio  per  questi  fece  il 
più  beli' inno  ,  che  sia  mai  stato  fatto  ad  Apoliine, 
e  che  abbiamo  ancora.  Questi  giucchi  furono  i  più 
sfarzosi ,  e  brillanti .  Si  stabilirono  giuochi  ancora 
per  il  giorno  natale  degl'  imperatori  ;  altri  ad  ogni 
lustro  ,  e  si  chiamarono  voti  quinquennali  ;  altri  ad 
ogni  due  lustri ,  e  furono  i  decennali .  Alle  volte 
duravano  varj  giorni ,  e  massimamente  i  più  solen- 
ni .    Dal  calendario  di  Gru  Flavio  pubblicato  dal  Gru- 


(a)   Vedasi  il  Bulengero  cap.   7  segg. 


)(  A77  )( 
tero  (a)  ,  si  raccoglie  ,  che  ai  i4  di  settembre  ,  ed 
ai  i4  di  novembre  si  provavano  i  cavalli:  ed  in- 
fatti ai  i5  dell'uno,  e  dell'altro  mese  v'erano  suc- 
cessivamente i  giuochi  nel  Circo  (b)  .  In  questo 
stesso  calendario  s' indicano  pure  i  giuochi  Consualì 
ai  2.1  di  agosto  ,  ed  ai  1 5  di  dicembre  .  Per  que- 
ste grandissime  spese  v'  erano  dei  fondi  pubblici . 
Davano  talvolta  i  giuochi  anche  coloro ,  che  aspi- 
ravano alle  pubbliche  cariche  per  cattivarsi  V  aura 
popolare;  e  li  davano  ne'  secoli  posteriori  i  consoli, 
ex  le  altre  primarie  dignità  dell'  impero  ;  lo  che  ca- 
gionava spese  rovinose  alle  famiglie  (e)  .  In  una 
iscrizione  presso  il  citato  Grutero  (d)  sì  ricorda  Apo- 
nia  Montana  sacerdotessa  delle  dive  Auguste,  che 
dà  i  giuochi  circensi  per  onore  del  suo  sacerdozio; 
oh  honorem  sacerdotii .  Lo  stesso  si  ha  in  altra 
iscrizione  presso  il  medesimo  (e)  di  L.  Lucrezio 
Fulviano,  che  li  diede  a  onore  dei  suo  pontificato; 
ob  honorem  pontìjicatus  . 


(a)  Pag.  i33. 

(b)  Di  altri  -giorni  registrati  nel  Calendario  Ro^ 
mano  si  veda  il  dottissimo  Foggini  Fastor.  anni 
Rom.  a  Verr.  Fiacco  ,  ec.  pag.  53  56  Sj  ;  e  i 
Fasti  sacri  in   fine   dell'  opera  stessa  . 

(e)  Si  veda  il  Bulengero  cap.  4°  42  >  e  Già*» 
corno  Gottofredo  nei  commentar]  al  Codice  Teodo- 
aiano  lib.  i5  tit.  g   leg.  i. 

(d)  Pag.   lot   n.'ò. 

(e)  Xvi  n.  3. 


)(    278    )( 

Precorreva  la  fama  ,  che  i  tali  giorni  doveansi 
celebrare  in  Roma  i  solenni  giuochi  circensi .  Infi- 
nito era  il  concorso  degli  spettatori,  che  a  questo 
avviso  faceasi  da  ogni  parte  alla  capitale  (a)  .  Si  chiu- 
devano in  que'  giorni  le  botteghe  ,  s'  esercitava  più 
che  mai  V  ospitalità  ;  e  Roma  non  respirava  più  che 
gioja  ,  e  allegria .  I  Romani  erano  così  sensibili  a 
questa  solennità,  che  il  popolo  non  domandava  al 
principe ,  che  abbondanza  di  parie ,  e  frequenza  di 
giuochi  circensi  (£)  . 

Infinite  erano  le  spese  ,  che  in  quel?  occasione 
si  facevano  dai  magistrati ,  e  molto  più  dagl'  impe- 
ratori ai  tempi  del  principale .  Di  tutti  gli  spetta- 
coli dell'  antica  Roma ,   i  più  pomposi  erano  i  giuo- 


(a)  In  occasione  dei  giuochi  circensi  dati  da 
Giulio  Cesare  nel  Circo  Massimo  fu  tanto  il  con- 
corso dei  forestieri ,  che  oltre  al  dover  restare  per 
le  strade ,  e  sotto  alle  tende  ,  molti  vi  perirono 
schiacciati  dalia  calca  .  Svetonìo  nella  di  lui  vita 
cap.  39. 

(b)  Gioven.  Sat.  io  v.  77  segg.  Il  poeta  lo 
dice  forse  ironicamente  ,  per  far  vedere  come  il  po- 
polo romano  spogliato  dagl'  imperatori  d' ogni  dirit- 
to,  e  parte  della  sovranità,  si  era  ridotto  a  godere 
del  divertimento  di  questi  giuochi ,  mantenuti ,  ed 
accresciuti  perciò   dalla  politica  : 

Jampridem  9    ex   quo   suffragio*  nulli 
lrendimu$ ,   tffugit  curas:   narri   qui  dabat  olim 
Imperium  ,  fasces  ,    legiones  ,   omnia  ;   nunr.  se 
Continet ,  aìqut  duas  tantum  res  anxius  optai, 
Panem. ,   et  circense*  , 


X  *79  X 
chi  dei  Circo  ,  e  i  trionfi  dei  vincitori  quando  tor- 
navano carichi  di  gloria  .  A  questi  trionfi  pure  ser- 
virono qualche  volta  i  Circhi  medesimi ,  perchè  j?i 
facea  passare  per  mezzo  loro  fra  un*  infinità  di  spet- 
tatori il  trionfatore  ,  nell'  andar  che  faceva  al  Cam- 
pidoglio .  Abbiamo  detto  di  Lucullo ,  che  nel  Circo 
Flaminio  fece  il  suo  trionfo . 

Consistevano  poi  questi  gran  giuochi  circensi 
in  una  solenne  processione ,  terminata  da  varj  pub- 
blici sacrifizj ,  che  si  facevano  sulla  spina  ;  e  in  una 
corsa  di  cento  carrette ,  che  per  divertimento  del 
popolo  faceasi  ,  e  con  cui  terminava  la  festa  .  Di 
tutte  queste  solennità  diasi  descrizione  tanto  esatta , 
quanto  per  me  si  potrà,  sull'autorità  degli  antichi; 
e  prima  parlerò  in  questo  Capo  della  processione , 
che  chiamavasi  pompa',    e  della  corsa  nel  seguente. 

Pompa  chiamavasi  qualunque  magnifica  proces- 
sione ,  che  a  guisa  delle  nostre  accompagnava  le 
pubbliche  funzioni  (a)'.  Pompa  funebre  era  quel- 
la ,  che  precedeva  i  cadaveri  de*  Grandi  portati  ai 
rogo ,   o  al  sepolcro  ;   trionfale  quella ,  che  scortava 


(a)  Osservò  il  Noris  De  Nummo  Diocl.  cap,  5 
Diss.  Noris.  in  Salien  gre  SuppL  Anti^Rom.  Tom.  I. 
col-  414>  e  dopo  di  lui  il  Bonaroti  Ossero,  sopra 
alcune  me  da  gì.  pag.  186  seg.  ,  che  i  magistrati , 
ed  altri  primi  rappresentanti  in  queste  funzioni,  si 
dicevano  procedere ,  onde  è  nato  processione ,  rite- 
nuto particolarmente  nelle  nostre  funzioni  ecclesia- 
atiohe  , 


X      2-So       )( 

£  trionfato  ri  nei  solenne  ingresso,  che  facevano  m 
Roma  ;  e  circense  quella  ,  con  cui  si  eomincìavano 
i  giuochi  nel  Circo .  Aurea  la  disse  Ovidio  (a) , 
forse  per  le  gran  ricchezze ,  che  in  essa  compariva- 
no :  ed  infatti  Tertulliano  dice ,  che  di  tutte  le  pom- 
pe la  circense   era  la   più  magnifica  . 

Dionigi  d' Alicarnasso ,  storico  grave,  e  dotto, 
il  quale  nei  lungo  soggiorno  da  lui  fatto  in  Roma 
avrà  veduto  moltissime  volte  i  giuochi  circensi,  ce 
ne  ha  lasciata  fortunatamente  un'  esattissima  descri- 
zione (b) .  Non  può  sospettarsi ,  che  P  abbia  esage- 
rata, perchè  scriveva  in  faccia  di  chi  al  pari  di  luj 
la  conosceva  . 

Dice  adunque  Dionigi ,  e  con  lui  Ovidio  (e)  , 
ed  altri,  che  avanti  dì  cominciare  i  giuochi,  la  pom- 
pa, o  sia  processione ,  scendeva  dal  Campidoglio, 
e  pel  Foro  Romano  s'  incamminava  in  beli'  ordine 
verso  il  Circo  Massimo  per  la  strada  detta  il  Ve- 
labro  .  Era  vietato  sotto  pena  di  sacrilegio  a  chiun- 
que V  affacciarsi  alle  finestre ,  per  non  profanare 
collo  sguardo  le  arcane ,  e  sacre  cose ,  le  quali  per 
essere  dappoi  esposi  e  alla  pubblica  vista  nel  Circo  $ 
si  portavano  scopertamente  dentro  l'arche  mistiche. 
Successe  anticamente,  che  un  curioso  fanciullo  dalle 
finestre    della   casa    paterna  volle  vedere  ciò,  che  in 


(a)  Amor.  ìib.   3  ef.   2.  v.   44- 

(b)  TJb.   7  cap.   72  pag.   fój  e  s 
(e)   Fast.  lib.  6  v.  4o5. 


)(  *8i  )( 
queste  arche  contenevasi ,  e  ne  fece  relazione  a!  pa- 
dre forse  non  meno  di  lui  curioso  .  Sdegnati  gli  Dei 
di  tanto  ardire ,  mandarono  in  Roma  fiera  pestilen- 
za ,  la  quale  ,  al  riferire  degli  storici  ,  non  cessò 
mio  a  tanto  ,  che  il  padre  non  ebbe  confessato  al 
senato  il  delitto  suo ,  e  del  figliuolo .  Allora  fu  , 
che  per  provvedere  in  avvenire  a  simili  profanazio- 
ni ,  si  ordinò ,  che  in  quella  occasione  si  coprisse 
la  strada  ,  per  cui  passava  la  pompa  dal  Campido- 
glio al  Circo,  con  un  gran  velario  ;  dal  che  nac- 
que il  nome  di  V elabro ,  che  tuttora  dura  alla  via, 
che  va  appunto  dai  Campidoglio  a'  Circhi  (a) .  No- 
tisi di  passaggio ,  che  i'  uso  di  coprire  le  strade  in 
occasione  delle  solenni  processioni  dura  tuttavia  in 
Roma  :  tanto  è  vero ,  che  molte  delle  moderne  m- 
sanze  sono  più  antiche  di  quel ,  che  forse  taluno 
si  crede . 

Giunta  la  pompa  ai  gran  Circo  già  preparato, 
e  ripieno  di  ducento ,  e  forse  più  mila  spettatori  , 
e  spettatrici   (b)  ,    entravano    per  la   gran  porta  pri- 

(a)  Questa  etimologia  cavata  dà  Plutarco  da  tale 
storiella  ,  che  racconta  nella  vita  di  Romolo  ,  e  ri- 
petuta da  Macrobio  Soturn.  Uh.  i  cap.  6  ,  è  stata 
rigettata  da  Giusto  Li psio  de  Amphith^cap  17,  dal 
Vossio  Etym.  v.  Veho  ,  e  da  altri . 

(b)  Il  numero  di  questi  spettatori  era  in  pro- 
porzione ,  parlandosi  del  Circo  Massimo ,  degli  ac- 
crescimenti di  portici,  che  vi  si  andavano  facendo  ; 
come  si  vede  dal  detto  addietro  alla  pug.  200.  Qui 
T  Autore  parla  dei  tempi  di  Dionigi  ?  e  dopo  .   Pu~ 


)(  a8a  )( 
mìeramente  tutte  ìe  pubbliche  magistrature»  vestite 
de*  ìoro  abiti  solenni .  Venivano  dopo  queste  i  fan- 
ciulli  nobili  non  pervenuti  ancora  alla  pubertà  .  Si 
presentavano  a  cavallo  quelli  di  famiglie  senatorie  , 
ed  equestri  divisi  in  decurie  ;  e  a  piedi  gli  altri , 
che  dovevano  un  giorno  militare  nella  fanteria  della 
repubblica ,  partiti  in  centurie  .  Andavano  questi  nel 
medesimo  ordine  J  in  cui  solevano  andare  ai  loro 
esercizj  palestrici .  Amavano  con  ciò  i  Romani ,  che 
i  forestieri  j  concorsi  in  queste  occasioni  alia  capi- 
tale ,  vedessero  quanto  poteva  un  giorno  sperare  la 
repubblica  da  sì  fiorita  ,  e  crescente  moltitudine  . 
Seguivano  gli  aurighi  ,  che  a  lenii  passi  facevano 
mostra  delle  loro  carrette  a  due  ,  o  a  quattro  ca- 
valli ;  e  queste ,  come  vedrassi ,  non  potevano  es- 
sere mai  meno  di  cento .  Al  fianco  d?  esse  caracol- 
lavano i  giovani  cavalli  sciolti ,  e  bizzarri ,  col  ca- 
valcante sul  dorso  .  Venivano  dappoi  gli  atleti ,  e  i 
lottatori  destinati  ai  differenti  giuochi ,  e  questi  ignu- 
di ,  eccettuato  ciò  ,  che  la  modestia  vuol  vedere  co- 
perto .  Dopo  questi  comparivano  i  saltatori ,  o  sie- 
aio   ballarmi,    divisi  in   tre  classi  :   la  prima  di  gio- 


blio  Vittore  nella  descrizione  delle  regioni  di  Roma 
Reg*  XI.  lo  fa  ascendere  a  38oooo ,  come  ha  detto 
il  sig  Bianconi  alla  pag.  ^43  >  ed  altri  anche  più . 
Ma  qualunque  sia  stato  1'  ingrandimento  fattovi  da 
Traj ano  ,  da  Costantino ,  e  da  altri ,  quel  numero 
pars    esagerato ,   se   non  vi    è    errore  nella  lezione  . 


)(  283  )( 
venta  già  formata  ;  ia  seconda  di  adolescenti  ;  la 
terza  di  fanciulli  ,  e  questi  erano  seguitati  da  gran 
numero  di  suonatori  da  corda,  e  da  fiato,  che  fa- 
cevano echeggiare  d'  intorno  le  loro  differenti  sin- 
fonie .  I  saltatori  portavano  in  mano  una  breve  lan- 
cia ,  ed  entravano  nel  Circo  ballando .  Il  loro  abito 
era  di  scartato ,  e  dai  loro  brodieri  guerniti  d'  ac- 
eiajo  pendeva  una  spada  ,  ed  una  piccola  lancia  „ 
Àveano  oltre  ciò  i  suonatori  P  elmo  sul  capo  ornato 
di  creste ,  e  di  pennacchi .  Ciascheduna  torma  era 
preceduta  da  un  direttore  di  ballo  ,  che  dava  il 
tempo  ai  saltatori ,  e  il  tono  ai  suonatori  ;  e  la  ra- 
pidità sì  dell'  uno  »  che  dell'  altro  indicava  P  ardore  f 
e  ia  celerità  necessaria  ne'  combattimenti .  Era  que- 
sto quel  celebre  ballo  armato ,  che  i  Greci  chiama- 
vano saltazione  pirrica ,  che  taluno  credeva  inven- 
tata da   Minerva  dopo   avere   domati  i   Titani  . 

In  seguito  dei  cori  militari  venivano  i  cori  sa- 
tirici ,  che  all'  uso  di  Grecia  nello  stesso  tempo  can- 
tando ballavano  .  Coloro ,  che  rappresentavano  la  fi- 
gura de'  Sileni ,  erano  vestiti  d'  abiti  setolosi  semi- 
nati di  fiori;  e  quelli,  che  rappresentavano  i  Sati- 
ri ,  erano  coperti  di  pelli  caprine  ,  ed  avevano  in 
capo  ruvide  capigliature  posticce  .  Era  incombenza 
di  costoro  il  volgere  in  ridicolo  i  balli  più  serj  ,  e 
rallegrare  con  ciò  gli  spettatori  .  Da  simil  genio 
scurrile,  e  pungente  nacque  il  nome  di  satira,  che 
nel  medesimo  senso  dura  ancora  j   perchè  a   astore 


X    *U    )( 

era  permesso  il  pungere  talvolta  le  persone  più  ri* 
spettabili,  e  nel  farlo  improvvisavano  in  versi.  En- 
trava dappoi  un  nuovo  coro  di  citaristi ,  e  di  suo- 
natori da  fiato,  ai  quali  immediatamente  tenevan  die- 
tro coloro ,  che  portavano  gì'  incensieri ,  e  gli  altri 
vasi  d'oro,  e  d' argento  necessari  ai  sacrifizj  '..  Tutto 
il  Circo  allora  non  avrà  spirato  più  che  fumo  odo- 
roso; dal  che  si  vedeva,  che  non  erano  più  lon- 
tani gli  Del .  In  mezzo  a  questi  sacri  incensi  entra- 
vano  nello  stadio  le  statue  d'  avorio  delle  divinità 
vestite  alla  Greca  ,  e  portate  su  certe  macchine , 
chiamate  ferculo.  t>  sulle  spalle  de'  cittadini  destinati 
a  questo  onore .  Al  loro  presentarsi ,  i  Flamini  in- 
dicavano silenzio  colla  solita  formola  :  /avete  lin- 
guis  ,  /avete  animis  (a).  Non  era  allora  più  per- 
messo ,  che  il  batter  palma  a  palma  a  quelle  divi- 
nità, a  cui  ciascheduno  era  più  devoto  ;  e  ciò  chia- 
mavasi  far  plauso  .  Nel  passare  queste  immagini  da- 
vanti agli  spettatori  ,  si  levavano  in  piedi  coloro , 
che  ne  erano  particolarmente  devoti  ;  e  nel  pre- 
garle tendevano  ad  esse  le  mani .  Dai  varj  ondeg- 
giamenti ,  che  nel  portarle  sulle  spalle  dovevano  fa- 
re necessariamente  le  statue,  ne  cavava  il  popolo  i 
presagi  favorevoli  ,  o  contrarj  per  le  grazie ,  che 
ad  esse  domandavano  .  I  primi  si  chiamavano  si- 
gna  secunda  ,   e  naturalmente  adversa  gli  altri  :  co- 


(a)    Qvid.   Amor.  lib.  3  el.  2.  v.  43* 


)(    ^85    )( 
se ,    che   saranno    poi    state   spiegate    ne'  libri  degli 
auguri  . 

La  prima  divinila ,   che  compariva  ,  era  la  Vit- 
toria ,    a   cui   tanto    della  loro   grandezza  dovevano  i 
Romani  .    Aveva  essa  la  figura    d'  una  giovane  vesti- 
ta alla  Greca ,    coli'  elmo   in   capo  a   guisa  di  Palla- 
de.    Le  sporgevano  dal  dorso  due   lunghe    ali  spie- 
gate ,  indicanti  la  celerità ,   che  non  va  disgiunta  dai 
vincitori .   Veniva  in  secondo  luogo  la  statua  di  Net- 
tuno,  a   cui  particolarmente  erano  dedicati  i  giuochi 
dei   Circo ,    ed  i    cavalli  ;   e   quindi   quella  di    Marte 
padre  di  Romolo ,    e   Remo  .    Seguiva    la    statua   di 
Febo ,  e   della   Luna  i  protettori  della  scienza   augu- 
rale ,    che    era   uno    de*  punti   più   importanti  della 
loro   religione .    Seguiva   la  statua  di  Minerva  ,   Dea 
delle  arti*   quella  di   Cerere,    e  Bacco,    Dei  dell' a 
gricoltura  ;    di  Castore ,    e    Polluce  protettori ,  e  tu- 
telari  dell'  impero  ;    di    Venere ,  e   di   Cupido ,   e  di 
altri  moltissimi ,    de'   quali    se    ne    trova    enumerata 
gran   parte    nel   suddetto  Dionigi .    Ne'  secoli  poste- 
riori   alla   repubblica  ,    secoli    d'  adulazione  ,   comin- 
ciaronsi    ad    introdurre    nella   pompa  circense  anche 
le   statue   dei  Cesari  defonti ,    e    delle   donne   Augu- 
ste ,    divenuti   semidei    per  1'  apoteosi    (a)  .    Compa- 
rivano esse  su   bei   carri  a  due  rote  ,   ornati  d'  oro , 
e  d'avorio,   e   tirati  ora  da   uomini,    che  se  ne    fa- 


(a)  Bulengero  cap~  38, 


)(  *86  )( 
cevano  onore  ,  ed  ora  da  mule  rarissime,  o  da  al- 
tri animali  peregrini .  Si  videro  in  queste  occasioni 
simili  carpenti  sacri  tirati  da  elefanti  ,  da  leoni ,  da 
cervi ,  o  da  cameli  .  Chiudevano  la  marcia  le  vitti- 
me destinate  ai  sacrifizj ,  precedute ,  e  seguite  dai 
consoli,  dai  pontefici,  dai  sacerdoti,  dagli  auguri* 
dagli  aruspici ,  dai  flamini ,  e  dagli  altri  ministri  del 
tempio  .  Tutte  le  are  collocate  a  quest'  effetto  sulla 
spina ,  erano  preparate  ai  sacrifizj  ,  e  fumavano  di 
fuoco  sacro .  Bel  colpo  d'  occhio  il  vedere  fermata 
finalmente  tutta  questa  splendida,  e  popolosa  pom- 
pa ,  schierata  in  due  lunghissime  fila  per  tutta  la 
lunghezza  del  Circo  di  qua  ,  e  di  là  dalla  spina ,  e 
veduta  fra  le  colonne ,  le  statue ,  e  gli  obelischi  su 
di  lei  collocati ,  e  torreggiane  !  Che  prodigiosa  ma- 
gnificenza tante  migliaja  di  spettatori,  e  spettatrici, 
che  ornatissimi  stavano  distribuiti  sul  podio ,  sui  se- 
dili, e  sull'alta  galleria,  senza  che  una  sola  di  tante 
persone  non  vedesse  tutto  in  im  solo  girar  d'  oc- 
chio I  Era  in  questo  terribil  momento  ,  che  Ovi- 
dio (s)  giura  alla  sua  nuova ,  e  bella  conquista  ; 
per  tutti  que'  Dei  presenti ,  che  le  sarà  eternamente 
fedele .  Da  ciò  si  comprende ,  che  per  li  credenti 
era  questo  il  momento  più  terribile  di  tutta  la  pa- 
gana  religione . 

Ma  qui   non   era   finita  la  funzione .    I  consoli , 

(a)  Amor.   Uh.  3  el.  2  v.  6* 


X  *$7  )( 
i  sacerdoti ,  e  gli  auguri  si  lavavano  le  mani ,  e 
versavano  acqua  pura  sulla  fronte  alle  infiorate  vit- 
time vicine  all'  are .  Finita  questa  specie  di  lustra- 
zione sì  facevano  le  pubbliche  preghiere  ,  che  sa- 
ranno state  regniate  dai  rituali;  e  poi  davasi  l'or- 
dine ai  sacri  ministri  di  uccidere  in  faccia  di  tutto  il 
Circo  le  vittime  .  Percoteansi  alcune  sulla  fronte 
colla  mazza ,  altre  si  scannavano  coi  coltelli  sacri . 
Si  scorticavano  dappoi  da  chi  era  incaricato  di  que- 
st'  ufficio ,  e  sì  tagliavano  in  pezzi .  Parte  delle  loro 
interiora ,  e  parte  dei  membri  ancora  caldi ,  e  san- 
guinosi si  spargevano  di  farina  di  grano  ,  e  fumanti 
portavansi  in  canestre  sacre  ai  sacrificatori ,  i  quali 
li  gettavano  sulF  are  ardenti  per  farle  consumare 
dal  fuoco  .  Frattanto  che  ardevano ,  si  spruzzava  la 
fiamma  con  vino  generoso ,  ed  alla  total  consunzio- 
ne era    finito  il    sacrificio  . 

Più  non  restava  allora,  che  sgombrare  da  tante 
cose ,  e  da  tante  persone  il  Circo  ,  Andava  dunque 
ognuno  di  quelli,  che  avevano  avuto  parte  nella 
pompa ,  a  collocarsi  in  quella  parie  di  Circo  a  Ini 
destinata .  I  magistrati ,  i  pontefici ,  i  sacerdoti ,  le 
vestali  andavano  certamente  sul  podio ,  che  era  il 
luogo  d'  onore .  Vi  saranno  state  senz*  dubbio  le 
vie ,  che  dall'  arena  a  lui  ccnducevano  immediata- 
mente ,  senza  tornar  fuori  a  cercare  l' ingresso  de- 
stinato pei   popolo ,  e  turbare  con  ciò  gli  spettatori 


)(  M  )( 
già  collocati  (a)  .  Queste  vie,  che  dall'arena  ai  pò 
dio  passano  direttamente ,  sì  sono  da  me  trovate 
belle  ,  e  lampanti  nel  Circo  di  Caracalla .  Le  altre 
persone ,  che  non  aveano  luogo  sul  podio  ,  come  i 
giovinetti  di  famiglie  nobili ,  i  saltatori ,  e  suonato- 
ri ,  i  satirici ,  i  sileni ,  i  ministri  secondarj  dei  tem- 
pio ,  i  vitiimarj ,  ec. ,  non  potevano  andar  nei  se- 
dili dei  popolo  senza  fare  lunga  strada  ,  e  sconcer- 
tare gli  spettatori  .  Par  quasi  dimostrato  ,  che  ad 
essi  fossero  destinati  que'  luoghi ,  che  sono  sopra  le 
carceri ,  e  nelle  due  torri ,  alle  quali  non  v'  era  in- 
gresso sufficiente  pel  popolo.  Oltre  che  questi  luo- 
ghi, come  vedesi  nel  Circo  di  Caracalla,  non  avea- 
*)o  che  un  solo ,  e  non  molto  ampio  ingresso  ;  e 
questo  anch'  esso  dall'  arena  per  le  scale  d'  una ,  o 
d'  amen  due  le  torri  ;  ne  nasceva  un  altro  ornamento 
per  la  decorazione  della  festa  .  I  suddetti  due  luo- 
ghi erano  in  certo  modo  una  specie  di  teatro  espo 
sto  alla  vista  di  tutto  il  Circo  .  Si  sarà  dunque  ve- 
duto il  terrazzo  ,  o  sia  grand'  ambulacro  sopra  le 
carceri,    popolato  di  persone   cogli  abiti  ancora  della 

pompa  ; 


(a)  Si  può  credere  ,  che  nel  Circo  Massimo  vi 
fosse  qualcheduna  di  queste  vie,  argomentandolo 
dal  dire  Syetonio  nella  vita  di  Augusto  cap.  4-3 , 
che  questo,  imperatore  fece  passare  per  mezzo  del- 
l' arena ,  e'  quindi  collocò  nel!'  ordine  sopra  di  se  gli 
ostaggi  dei  Parti . 


)(  *«9  )C 
pompa  ;  nel  qual  caso  vi  saranno  stati  franchi  di  le?. 
gno  disposti  ad  anfiteatro  ,  come  abbiamo  detto , 
che  usavasi  nella  gran  galleria  superiore  ,  perchè 
tutti  potessero  egualmente  vedere  la  corsa.  Le  due 
torri  saranno  state  guemite  dai  citaristi ,  e  dai  tibi- 
cini ,  «he  in  quell'  altezza  avranno  fatto  risuonare 
tutto  il  Circo ,  nel  mentre ,  che  sfavasi  preparando 
la  corsa  ;  ed  animati  gli  aurighi ,  ed  i  cavalli  nel 
mentre  ,    che   correvano  . 

Eccovi  dunque  P  arena  ,  o  sia  lo  stadio ,  che 
prima  era  ingombrato  da  tanto  popolo,  da  cavalli, 
da  cocchi ,  da  magistrature ,  da  sacerdoti ,  e  da  tan- 
t'  altri  (a)  ,  eccovelo  vuoto  in  pochi  istanti  j  ed  ec- 
co pronto  il  Circo  alle  corse .  Non  credasi  però , 
che  questa  funzione ,  benché  tanto  sacra ,  e  tanto 
splendida ,  piacesse  egualmente  a  tutti .  Seneca  di- 
ce ,  che  per  l'  impazienza  di  vedere  le  corse  molti 
$'  annojavano  della  lunghezza  delia  pompa.  In  tutti 
i  secoli ,  e  in  tutte  le  religioni  vi  sono  sempre  stati 
i  profani,   e    i    poco   devoti. 


(a)   Anche    il  Panvinio    lìb.  2.  cap.    2.    descrive 

tutta  la  pompa  minutamente ,    e    le    persone  ,    che 

v'  intervenivano  ,    e    ne  dà  la  figura   incisa  in  rame, 

-Ma  non  è  dipinta  così  bene  come  dal  nostro 

Autore  .   (  Gli  Edit.  ) 

IV,  19 


CAPO    IX. 
Della   Corsa  . 

Il  OSTI  così,  come  si  è  detto  ,  gli  spettatori  ai  lo- 
ro luogo ,  e  sbarazzata  1'  area  del  Circo ,  si  dovea 
dare  principio  alla  corsa.  L'oggetto  di  essa  ;  come 
fu  anche  accennato  in  principio ,  era  una  disfida  tra 
varj  aunghi ,  a  chi ,  dopo  avere  sette  volte  velo- 
cissimamente girato  intorno  alla  spina ,  giugneva  il 
primo  a  quelle  mete  ,  che  erano  in  faccia  alle  car- 
ceri ,   da   dove  eran  partiti . 

Tutte  pertanto  le  carrette  destinate  ad  un  giuo- 
co ,  dopo  aver  servito  alla  comparsa  nella  pompa  , 
si  radunavano  certamente  fuori  del  Circo  in  un  lar- 
go spazio  dietro  le  carceri ,  per  ivi  aspettare  la  loro 
chiamata .  Essendo  ciascun  giuoco  composto  di  ven- 
ticinque corse  ,  o  sia  mandate ,  e  ciascheduna  di 
queste  essendo  di  quattro  carrette  ,  ognun  vede , 
che  dietro  le  carceri  ve  ne  dovevano  essere  cento . 
Non  è  naturale ,  che  il  medesimo  legno  servisse  a 
più  d'  una  corsa  ,  e  a  più  d'  un  auriga  ;  perchè 
Dionigi  d'  Àlicarnasso  ci  dice ,  che  le  carrette  an- 
ch' esse  prima  della  corsa  si  facevano  vedere  schie- 
rate nella  pompa  coi  loro  cavalli .  Vi  saranno  stati 
dunque  colle  carrette  i  quattrocento  cavalli ,  che  do- 
levano  tirarle  ;   poiché    ognuna    ne    aveva    quattro . 


)(  *9i  )( 
Oltre  a  questi  ve  ne  saranno  stati  cento  altri  » 
giacché  mi  pare  di  dover  credere ,  particolarmente 
dai  bassirilievi  circensi ,  che  ogni  carretta  avesse  un 
cavallo  sciolto  ,  che  col  suo  cavalcante  sul  dorso 
T  accompagnasse  nella  corsa ,  o  fosse  questo  per 
incoraggirla ,  o  fosse  per  ajutarla  in  un  bisogno .  Ci 
volevano  anche  agitatori ,  cavalcanti ,  cavalli ,  e  car- 
rette in  riserva  per  le  eventualità .    Neil'  uno ,  e  nel- 

V  altro  "caso ,  chi  non  vede  qual'  enorme  spesa  era 
quella  di  dare  i  giuochi  al  popolo  romano  ?  Non 
avea  torto  Aproniano  Asterio ,  se  dice  ■(<?.)  ,  che  si 
era  rovinato  nel  dare  gli  spettacoli  circensi  .  Que- 
sta era  forse  la  più  terribile  fra  le  spese,  che  por- 
tava seco  d'  ordinario  la  magistratura  . 

Quelle    cento    carrette   erano    divise    in  quattro 
fazioni,  distinte  dai  colori ,    coi  quali  erano  dipinte. 

V  erano  le  bianche ,  le  rosse  ,  le  prasine  ,  o  sia 
verde  chiaro  ,  e  le  venete ,  o  sia  ceruleo  marino  ; 
in  modo ,  che  ve  n'  erano  venticinque  per  ciascun 
colore  (b)  .  Ogni  carretta  avrà  avuto  il  nome ,  e 
quello  probabilmente  del  suo  agitatore  .  Le  dodici 
carceri ,    o    sieno    le    poste  ,    saranno   state   distinte 


(a)  Nella  iscrizione ,  che  mise  nel  Virgilio  Me- 
diceo dopo  le  Bucoliche,  pubblicala  con  quel  Vir- 
gilio dal  Foggini  nel  1741,  dall' Einsio ,  dal  Bur- 
manno  nel  suo  Tom.  I.  pag.  xxxvi.,  e  dal  Mu- 
ratori Nov.  Thes.  inscr*  Tom.  IL  pag.  662  n.  a. 
'      (b)   Ved.  il    Buiengero  cap.  48. 


)(    *9*    )C 
anch'  esse    col  loro   numero ,    come  già    dicemmo . 

Ad  ogni  corsa  ,  o  sia  mandata,  tiravasi  prima 
a  sorte  da  un'  urna  il  nome  di  quattro  carrette ,  o 
sia  di  quattro  agitatori ,  uno  per  colore  ;  e  tiravasi 
ugualmente  il  numero  della  carcere ,  che  a  lui  as- 
segnavasi .  Non  si  voleva ,  che  ci  fosse  tra  di  loro 
verun  lamento  di  predilezione  (a)  .  Li  quattro  agi- 
tatori estratti  dall'  urna  ,  e  chiamati  a  nome ,  anda- 
vano colla  loro  quadriga  a  collocarsi  ciascheduno 
nella  carcere  toccatagli  in  sorte,  per  aspettarvi  l'i- 
stante della  corsa  :  ed  entravano  per  la  parte  po- 
steriore ;  giacché  1'  anteriore ,  che  metteva  nel  Cir- 
co ,  era  chiusa  con  un  cancello  bivalve  di  leg»o . 
Dalla  larghezza  ,  che  ho  misurata  nelle  carceri  del 
Circo  di  Caracalla ,  delle  quali  ho  fatto  scoprire  i 
fondamenti,  ho  veduto,  che  erano  precisamente  ca- 
paci di  cinque  cavalli  di  fronte ,  e  non  più  :  dal 
che  sospetto  ,  che  oltre  i  quattro  della  quadriga ,  o 
sia  carretta  ,  stesse  con  lei  a  fianco  ad  aspettare 
l'istante  della  corsa  anche  il  cavallo  sciolto  ,  che 
V  accompagnava  . 

Le  carrette  da  principio  non  ebbero  che  due 
cavalli ,  e  chiamaronsi  bighe  .  A  questi  se  ne  ag- 
giunse un  terzo,  che  chiamossi  il  cavallo  funario  (£), 


(a)  Simmaco  Epist.  lib.  io  ep.  2.1  ,  Sidon.  A- 
poli.   Carm.  ad  Consent.  v.  3i5  e  segg. 

(b)  Vedasi  il  Bulengero  cap.  5j> 


)(  293  )( 
perchè  era  legato  alla  biga  con  una  fune  ;  ai  giorni 
nostri  sì  direbbe  bilancino  .  Finalmente  si  aggiun- 
sero due  cavalli  funarj  ,  e  la  carretta  diventò  una 
quadriga .  Questa  fu  la  maniera  di  correre  la  più 
ordinaria  (a)  .  Non  si  contentarono  di  questo  i  di- 
rettori de'  giuochi ,  o  gli  agitatori .  Si  aggiunse  tal- 
volta ancora  a  ciascheduna  carretta  un  quinto  ca- 
vallo sciolto,  che  montato  da  un  cavalcante  accom- 
pagnavala  ne'  sette  giri .  Neil'  iscrizione  citata  di 
Diocle ,  è  fatta  menzione  di  sei ,  e  sette  cavalli  di 
fronte;  anzi  di  quest'ultimo  numero  si  dice:  num- 
tjuam  ante  hoc  numero  equorum  spedato  certami- 
ne .  In  quel  caso  bisogna ,  che  le  corse  comincias- 
sero esternamente  dalle  carceri;  perchè  queste  non 
erano  larghe  abbastanza  per  tanta  estensione  .  Si- 
mili corse  erano  sfide  personali  degli  aurighi  piiH 
eminenti  ;  poiché  i  giuochi  regolari  si  facevano  a 
quattro  cavalli  per  carretta .  Giacché  l' iscrizione  di- 
ce ,  che  tanto  numero  dì  cavalli  non  era  mai  slato 
veduto  prima  di  Diocle  ,  bisogna  accordare  ,  che 
vennero  alla  moda  ai  tempi  di  Antonino  Pio  ,  ai 
quali  agitava  Diocle  .  La  prima  sua  corsa ,  di  cui 
ivi  si  facia  menzione ,  è  deir  anno  di  Roma  874» 
Ma  prima  di  vederli  in  corsa,  dicasi  qui  come 
era  la  carretta ,  come  i  cavalli ,  e  come  1'  agitato- 
re.  La  carretta  era   composta  di   due  sole  rote  non 


(a)  Dionis.  d' Alicarn.  Uh,   7  in  fine 


X  £94  K 
molto  alte ,  ed  era  leggerissima .  Non  avea  che  un 
fondo ,  o  sia  palco  di  tavolette ,  di  figura  lunata , 
e  bislunga  ,  che  era  posto  quasi  in  bilico  sopra 
V  asse .  La  parte  curva  di  questo  palco ,  la  quale 
guardava  il  davanti  ,  era  guarnita  d'  un  parapetto 
poco  più  alto  della  metà  della  gamba  dell'  agitatore  ? 
il  qual  parapetto  diminuendo  dai  lati  d' altezza ,  an- 
dava a  finire  insensibilmente  ,  ove  finivano  i  fian- 
chi della  carretta  .  Montava  sopra  di  lei  facilmente 
l'auriga  per  la  parte  posteriore,  la  quale  senza  pa- 
rapetto tanto  accostavasi  ai  suolo ,  quanto  alzavasi  il 
timone  ,-(*)  per  essere  attaccato  all'  altezza  dei  petto 
dei  cavalli .  Nulla  di  più  saprei  dire  della  carretta  ; 
se  non  che  dai  bassirilievi  non  pare ,  che  fosse  molto 
Ornata  di  sculture   (a). 

I  cavalli  destinati  alle  corse  circensi  non  ser- 
vivano ad  altri  usi  ,  affinchè  non  si  guastassero  . 
Vi   sono    leggi   su    questo    assai    precise    nei  Codice 


(*)  Sembra  che  Fea  ed  Uggeri  si  siano  dimen- 
ticati ài  questo  timore  ,  tanto  e  semiale  nella  qua- 
driga posta  al  fronti  spi  zio  deìV  opera  stampata  in 
Homa .  Non  si  vuole  però  omettere  che  sembra 
scordalo  ancora  negli  antichi  bassi  rilievi  Circen- 
si .  Ma  se  si  può  far  bene  ,  perchè  non  farlo  /* 
(  Gli-  Edit  ) 

(a)  Quella  in  marmo  più  grande  del  vero,  esi- 
stente nel  Museo  Pio  dementino  ,  è  ornata  dentro, 
e  fuori  di  molte  ,  e  belle  sculture  a  bassorilievo , 
rappresentanti  frondi  di  lauro  ,  ed  altre  con  varj 
fiori .   e  frutti  a   modo  di  arabesco . 


)(    295.  X       ■ 
Teodosiano  (a) .    V*  erano  alimentatori  di  questi  cor 

sieri,  i  quali  si  chiamavano  conditores  gregis ,  quasi 
fossero  fondatori  di  quella  loro  razza  .  Nelle  corse 
i  cavalli  erano  partiti  in  fazioni  distinte  dai  colori 
summentovati ,  albato  ,  russato ,  praslno  ,  e  veneto  9 
i  quali  colori  si  distinguevano  nel  Circo  pel  dipinto 
della  carretta ,  e  per  1'  abito  dell'  auriga .  I  condito" 
res  si  determinavano  ad  uno  di  questi  colori ,  e  si 
chiamavano ,  per  esempio ,  conditores  gregis  rw5- 
satae ,  ec.  (b)  Io  credo,  che  gli  affittassero,  e  bea 
cari ,  a  chi  volea  dare  i  giuochi  al  pubblico .  La 
spesa  del  loro  mantenimento  era  oggetto  considera- 
bile ,  perchè  oltre  a  cento  cavalli ,  lo  che  costitui- 
va una  greggia ,  ve  n'  erano  poi  di  più  per  supplire 
in  caso  di  qualche  non  pensato  accidente .  Vi  ab- 
bisognava in  oltre  buon  numero  di  poledri ,  per  av- 
vezzarli ,  e  con  loro  reclutare  i  vecchi ,  che  man- 
davansi  per  benemerenza  ,  e  ben  servito  ,  a  far 
razza  alla  campagna  (cj .  Somma  era  la  cura ,  che 
si  aveva  di  loro  in  ogni  genere  ;  ma  maggiore  an- 
cora era  la  diligenza ,  che  usavasi  affinchè  si  sapesse 
la  loro  origine ,   i   loro   parenti ,   e  non   V  imbastar- 


(a)  Lib.  i5  Ut.  5  leg.  3  de  Spect.,  tit.  j  leg.  6 
de  Scaen.i  tit.   io  leg.  2.  de  Equis  curul. 

(b)  Gruferò   pag.    338   n.    4,    Panvinio   Uh.   1 
cap.   1 1  pag.  2$. 

(e)  Plìn.  lib.  8  cap.  4-2.   Dice  ,    che  si  giubila- 
vano dopo  avere  servito  vent'  anni . 


)(   296   )( 

desini©  (a) .  In  un  cippo  sepolcrale  sì  vede  un'  i~ 
scrizione ,  in  cui  sono  nominati  due  cavalli ,  cioè 
Aquilone  ,  ed  Irpino  figli  d'  Aquilone  .  La  Spagna 
ne  mandava  a  Roma  molti  per  le  corse  .  Da  varie 
lettere  di  Simmaco  (b)  si  vede  %  che  egli  ne  com- 
mise colà  spesse  volte  a  grandi  spese  ,  per  farli 
correre  all'  occasione  de'  giuochi ,  che  diede  per  se , 
e  per  suo  figliuolo. 

(a)  Stazio  Theb.  lib.  6  v.  32,5  segg.  ,  Sjlv. 
lib.  5  Protrept.  ad   Crisp.  v.   21  segg.: 

Romulei   qualis  per  jugera   Circi 
Cura  pulcher  visu  ,  titulis  generosus   avitis  , 
JLxpectatur  equus ,    cujus  de  stemmate  longo 
Felix  emeritos  habet  admissura  parentes . 
Ilìum    omnes  acuunt  plausus  ,   illum   ipsc  vo- 
laniem 
Pulvis ,   et  incurvae  gaudent  agnoscere  metae . 
E   qui  forse  è  da  riferirsi  anche  Orazio  lib.  4  od.  4 
v.  29: 

Fortes  creantur  Jortibus  ;  et  bonis 
Est   in  juvencis  ,    est  in  equis  patrum 
Virtus  ;   nec  imbellem  Jeroces 
Progenerant  aquilqe  columbam  . 
ove   leggo   bonis  accordato  con  juvencis  ,   come  ho 
trovato  punteggiato  in  qualche   codice  ;    come  vuole 
lo   Scaligero  ,    e    come   porta   il  senso  ;    checche   si 
dica   il  Baxter  in  contrario  .   Non   di   tutti  i   gioven- 
chi ,  e  cavalli  si  può  dire ,  che  abbiano  il  vigore  dei 
loro  padri   in  grado  distinto ,   ma   soltanto  di  quelli , 
che  sono    realmente  spiritosi,  e  bravi  5    come  jortes 
creantur  fortibus . 

(b)  Lib.  4  ep.  6  58  60  63 ,  lib.  5  ep.  56 , 
lib.  7  ep.  48  52,  io5  106,  lib.  9  ep.  12  18  a  2.1 
edit.  1617  Ncap.  Nemet.  in  12. 


)(  297  )( 
Ogni  cavallo  ,  come  a'  nostri  giorni ,  aveva  il 
suo  nome ,  e  nomi  similissimi  ai  nostri  ;  come  Su- 
perbo, Smeraldo,  Passerino,  Indomito,  Fastidioso  j, 
Valente ,  Florido ,  Delicato ,  e  cento  altri  conserva- 
tici nelle  lapidi  circensi  (a) .  Leggiero  era  V  arne- 
se ,  con  cui  erano  armati ,  affinchè  fossero  più  agi- 
li .  Intorno  al  collo  avevano  una  difesa ,  o  sìa  col- 
lare ,  perchè  il  timone  non  li  offendesse .  Forse 
che  a  questi  collari  era  raccomandato  il  timone  me- 
desimo ,  come  costumasi  oggi  ancora  in  Francia ,  e 
in  Germania ,  affinchè  il  cavallo  lavori  col  petto , 
Questa  specie  di  collare  fu  chiamata  il  marino  dai 
Greci  (Jb) ,  e  pare  che  fosse  ornato  eli  denti  di  ci- 
gnale ,  o  di  lupo ,  Da  un  vetro  del  dottissimo  se- 
nator  Bonaroti  (e)  pare  ,  che  talvolta  avessero  an- 
che un  grembialetto  sul  petto  ,  o  sia  pettorina ,  e 
questo  guarnito  di  sonagli  ;  probabilmente  non  dis- 
simile da  quelli  ,  che  costumansi  ancora  in  Roma 
all'  occasione  di  ornare  ì  cavalli  pel  corso  nel  car** 
nevale.  Tale  almeno  ce  Io  rappresenta  il  vetro  XXVII. 


(a)  Si  vedano  il  Panvinio  lib.  i  cap.  lòpag.  23, 
Bulengero  cap.  5o  pag.  182,  Fabretti  Inscr.  domesi. 
cap.  4  pag.  273  n.  12.  ,  e  ad  Tab.  Iliad.  post  Col. 
Traj.  Synt.  pag.  338,  Grutero  pag,  34 1  ,  Gora 
Thes.  vet.  dipt.  Tom.  IT.  Tab.  XTT.  pag.  Si.  , 
Averani  Interpr.  jur.  lib.    5  cap.  29   n.  3. 

(b)  Scoliaste  di  Teocr.  ìdyll.  11,  Polluce  Onom. 
lib.   5  cap.   16  segm.  99. 

(e)    Ossero,  sopra   ali.Jramm.  di  vasi  ani.  *£« 


)(  ^  )( 

del  Bbnatori.  Le  briglie  saranno  state  bellissime  i 
perchè  avevano  '  le  borchie  alle  tempia  elegantissi- 
mamente scolpite ,  ed  analoghe  talvolta  ai  giuochi , 
o  coli'  eiEgie  del  principe ,  sotto  cui  si  celebrava- 
no. Lo  stesso  Bonaroti  («)  erede  essere  quelle,  che 
noi  oggidì  chiamiamo  medaglioni  corniciati  .  o  sia 
cotroni ,  per  servirmi  del  termine  degli  antiquarj  * 
In  fatti  in  alcuni  si  vedono  i  buchi ,  o  chiodi  per 
fermarli  sul  cuojo  ;  lo  che  sarebbe  inesplicabile  se 
fossero  semplici  medaglioni.  Fasciavano  talvolta  an- 
cora le  zampe  di  dietro  a  que'  due  cavalli  (&) ,  che 
stavano  al  timone,  acciocché  non  fossero  da  lui  dan- 
neggiati nel  correre  .  I  crini  ,  all'  uso  d'  oggidì ,  si 
annodavano  forse  con  nastri  del  colore  della  fazione; 
e  sul  capo  ondeggiava  un  bizzarro  pennacchio  (e) . 
Alle  volte  per  renderli  più  bizzarri  li  dipingevano  a 
varj   colori . 

Dovendo  farsi  nel  correre  tutte  le  voltate  sem- 
pre alla  sinistra,  ne  veniva  ,  che  il  cavallo  funario 
a  mano  manca  era  ,  per  cosi  dire ,  il  direttore  della 
corsa  ;    e   non   gli   si    sarà  mutato    mai    luogo ,    per 


(a)  Ta*.   XXV IL  pag.    179. 

(b)  Il  Gori  Thes.  vet.  dipt.  Tom.  II.  Tao.  XVI 
pag.  83  li  fa  osservare  tutti  così  fasciati  nella  qua- 
driga rappresentata  nel  dittico  Quiriniuno  dei  Lam- 
padj  . 

(e)  Ovidio    de  Arte  am.  Ito.   1   v.  63 1  : 
Quadrupedes  ,  ìnter  rapidi  certamina  cursus , 
Depexaeque  juòae  ,  plausaqus  colla  juvant  * 


)(  293  )( 
tenerlo  avvezzato  a  tal  maestria  .  Gli  altri  tre  non 
facevano ,  che  ubbidirlo  .  Erano  però  tanto  avezzi 
a  questo  mestiere ,  che  alcuni  correvano  di  buona 
voglia  ,  e  senza  frusta .  Narrasi'  (a)  ,  che  una  volta 
caduto  di  carretta  V  auriga  ,  non  solamente  i  suoi 
cavalli  fecero  i  giri  della  corsa  a  dovere ,  ma  gua- 
dagnarono la  palma .  In  alcune  iscrizioni  di  aun- 
ghi ,  v'  è  che  quel  tale  guadagnò  la  corsa  senza 
aver  fatto  uso  della  frusta  .  Tanto  basti  de'  cavalli . 
Parlisi  ora    degli  aunghi. 

Furono  costoro  un  genere  d'  uomini ,  che  pare 
non  avessero  altro  mestiere  .  Da  principio  erano  per 
lo  più  servi  (b) .  Col  tratto  degli  anni  cominciarono 
ad  esercitarla  per  divertimento  talvolta  anche  de'  si- 
gnori ,  benché  questo  probabilmente  sarà  stato  nei 
giuochi  privati  (fi) .  Nerone  non  ebbe  tanti  riguar- 
di ,  ed  agitò  spesso  ne'  giuochi  pubblici .  Ai  tempi 
più  bassi  narra  Cedreno  (d) ,  e  Zonara  (e) ,  che  in 
Costantinopoli  agitava  fino  un  patriarca.  Bisogna, 
che   costui    fosse   un  singolare    ecclesiastico  ,   perchè 


(a)  Plinio  lib.  8  cap.  42« 

(b)  Vedasi  il  Bulengero  cap.  5o. 

(e)  Svetonio  nella  vita  di  Giulio  Cesare  cap.  39 
dice  che  nei  giuochi  circensi  dati  da  quelP  impera- 
tore nel  Circo  Massimo  agitarono  bighe,  quadrighe» 
e    cavalli   desultorj ,   giovani    nobilissimi . 

(d)  Comp.  hist.  Tom.  IL  pag.  638  edit.  Pa- 
ris.   1647. 

(e)  Annoi.  Tom.  IL  pag.  19©  ed,  Paris,   i§&n. 


X    3oo     ).( 
sì   dice,    che  spesso   interrompeva  ìa  messa  per  an- 
dare a  dar  un'  occhiata   a'  suoi   poledri   {a)  . 

Il  mestiere  d'agitatore  dipendendo  da  destrez- 
za ,  agilità ,  e  pratica  (b)  ,  non  costava  poca  pena 
ad  impararlo  per  eccellenza  .  V  è  nel  Grutero  1'  i- 
scrizione  d'  un  fanciullo  ,  che  imparava  1'  arte  del- 
l' auriga ,  e  che  morì  in  tenera  età  (e) .  E  chia- 
mato bigario  :  dal  che  si  vede ,  quanto  presto  si  co- 
minciasse a  farne  lo  studio .  Gli  aurighi  infatti  co- 
minciavano il  mestiere  agitando  prima  due  cavalli , 
e  poi  passavano   a  quattro ,  come  ricavasi  da  un'  al- 


(a)  Il  sig.  Bianconi ,  che  ha  presa  questa  no- 
tizia dal  Bulengero  cap.  19,  ove  più  in  succinto 
racconta  il  fatto ,  e  cita  quegli  autori ,  senza  indi- 
carne i  luoghi  ,  e  nominare  il  patriarca  ,  avrebbe 
scritto  diversamente  se  gli  avesse  veduti  in  fonte  * 
Sì  l'uno,  che  l'altro  dunque  dice,  die  il  patriar- 
ca Teofiiatto  sotto  l' imperatore  Costantino  VII.  Por 
lìrogenneta  ,  verso  la  metà  del  secolo  decimo ,  nu- 
triva molti  cavalli  ;  e  che  una  volta  interruppe  la 
funzione  del  giovedì  santo ,  per  andare  a  vedere  un 
puledro  ,  che  gli  avea  partorito  una  sua  bella  ca- 
valla:  ma  non  parlano   di  giuochi  circensi. 

(b)  Vedasi  il  Bulengero  cap.  27. 

(e)  Pag.  656  n.  1,  Muratori  Tom.  IL  pag.  621 
n.  1  ,  Bonada  Carni,  ex  ant.  lapid.  ci.  '9  n.  35 
Tom.  Il  pag.  386.  Noi  la  daremo  più  corretta  se- 
condo un   codice  Chigiano  : 

ELORVS  EGO  UIC  IACEO  QVONDAM  BIGAR1VS  INFANS 

QVI  CITO  DVM  CVRRVS  CAPIO  CITO  DECIDO  AD  VMBRAS 

lAKVARiVS  ALYMNO  DVLCI55IMO 


)(    3oi     )( 
tra  iscrizione  presso  il  medesimo  (a) ,   ove  parlasi  di 
uno  di  essi  morto  in  giovanile  età  : 

IAM  QVI  QVADRI1VGOS  AVDEREM  SCANDERE  CVRRVS 
ET   TAMEN   A    BIIVGIS   NON  REMOVERER   EQVIS 

Da  questa  iscrizione  si  vede  ,    che   a  tali  novizj   non 
si  dava   la  gloria  del  Circo  : 

NEC  MIHI  CONCESSA  EST  JMORITVRO  GLORIA  CIRCI 

Io  suppongo,  che  la  gloria  dei  Circo  fossero  i  pre- 
mj  maggiori ,  e  non  le  vittorie  ordinarie .  Meritava 
però  quella  pena,  perchè  essendo  molti  in  capo  al- 
l' anno  i  giuochi  in  Ptoma ,  chi  in  essi  era  vincito- 
re ,  oltre  alla  palma  della  vittoria ,  riceveva  molti 
regali ,  e  accumulava  ricchezze .  Siccome  che  v'  er- 
rano scommesse  grandissime  fra  gli  spettatori  nei 
Circhi  sull'esito  delle  corse  (b),  non  avranno  man- 
cato gli  agitatori  ,  quando  vincevano  ,  di  ricevere 
regali  da  chi  per  cagion  loro  aveva  vinta  la  scom- 
messa .  Di  queste  se  ne  facevano  anche  espressa- 
mente in  favore  degli  aurighi .  Fanatismo  non  molto 
dissimile  dura  tuttavia  nelle  corse ,  che  si  fanno  in. 
Inghilterra,   ove  fino  la   riuscita  degli  affari  più  im- 


(a)  Pag.  34o  72.  4,  Murat.  loc.  cit.  m  2,  Bo- 
nada  loc.  cip.  pog.  387. 

(b)  Ovidio  de  Arte  am.  lib.  1  v.  166,  Giove- 
nale Sat.  11  v.  5o  e  ivi  lo  Scoliaste  amico,  Tertul- 
liano de  Spect.  cap.  16 ,  Ammiano  Marcellino  lib. 
i4  cap.  6.  Vedasi  1'  Argoli  nelle  note  al  Panvinio 
lib.   1   cap.    1 1  pag.  20. 


X  3o2  X 
portanti,  ed  incerti,  com'è  la  vita  umana,  la  na- 
vigazione ,  o  altro ,  si  riduce  a  scommesse  ,  o  come 
essi  chiamano ,  ad  assicurazioni .  Troviamo  scritto 
di  un  agitatore  ,  che  lasciò  alla  sua  morte  un  patri- 
monio esorbitante .  Tanta  era  la  passione ,  che  il 
popolo  aveva  per  l'  uno ,  o  per  i*  altro  di  costoro , 
che  Plinio  (a)  ci  narra ,  che  un  partigiano  di  Felice 
agitatore  della  fazione  russata  gettossi  disperatamente 
nel  rogo  nei  tempo  ,  in  cui  ardevasi  il  cadavere  di 
costui .  Arrivavano  a  segno  taluni  di  vestirsi  dei  co- 
lori della  fazione ,  alla  quale  favorivano  (3)  ;  e  sino 
le  ombrelle,  colle  quali  le  matrone  si  difendevano 
dal  sole ,  erano  anch'  esse  del  colore  favorito  (e)  . 
Gli  aunghi  erano  presi  a  nolo  dagli  editori  dei 
giuochi ,  e  servivano  ora  in  una  fazione ,  ed  ora 
fu  un'  altra  (d)  ,  probabilmente  determinandosi  per 
clii  meglio  li  pagava  :  ma  anch'  essi  al  pari  dei  con- 
ditori  stavano    quasi  sempre  attaccati  ad  un   colore, 


(a)  Lìb.  7  cap.  53. 

(b)  Giovenale   Saf.    il    v.   198. 

(e)  Giovenale  Sat.  9  v.  5o.  Ho  aggiunta  1'  au- 
torità di  Giovenale  a  questi  due  luughi  ,  come  fa  il 
Bulengero  cap.  48,  da  cui  il  nostro  Autore  ha  prese 
quelle  due  notizie  ;  ma  Giovenale  non  parla  dei  par- 
titami delle  fazioni  ;  ma  delia  stessa  fazione  verde  ; 
e  nel  secondo  luogo  parla  in  genere  di  ombrelle 
verdi  regalate  a  donne  ,  senza  parlar  del  Circo  . 

(d)  Ciò  si  rileva  anche  dalia  citata  iscrizione 
èi  Dio  eie» 


X  3o3  )( 
e  correvano  coi  soliti  cavalli  .  Da  ciò  si  arguisce., 
che  chi  prendeva  a  nolo  i  cavalli  per  un  giuoco, 
avrà  preso  anche  gli  aunghi ,  e  le  carrette  appar- 
tenenti a  quella  greggia  .  Alle  volte  il  padrone  ,  o 
sia  conditore  di  una  fazione,  agitava  egli  medesimo, 
come  si  legge  nelle  iscrizioni   (a)  . 

Vestivano    del    colore    delia    loro    fazione  ;   ma 
per    tutto    vestimento    non    aveano   che    un    leggero 
corpetto    senza    maniche ,     stretto    al  petto ,    e   che 
svolazzando     dal   fianco   in   giù    non    oltrepassava    il 
ginocchio  .    Non  molto  diversi  vediamo  oggidì  i  no- 
stri volanti  .    Erano  senza   calzoni    per  essere  più  le- 
ali ,  e  a  gambe  nude .    Non  so   se  portassero  calza- 
ri ,    o    sandali    al    piede ,    non    potendosi   distinguere 
abbastanza  in  verun  bassorilievo  ;   ma  par  probabile , 
che  non  li  avessero .    Il  piede  nudo   teneva  più  fer- 
mo ,    e  s'  addattava  meglio  al   palco   della   carretta  • 
Aveano  il  capo  dentro   ad  un   elmetto  ,    o  sia  celata 
rotonda    di   ferro  ,     che   appena    lasciava    scoperto  il 
viso  .   Era   essa  legata  sotto    il   mento  ,  per  difesa  in 
caso    di  precipitosa  caduta ,  come    assai  sovente  suc- 
cedeva .    Non    v'  è  quasi    bassorilievo    circense  ,    in 
cui  non   vedasi  qualche    carretta   rovesciata,  e  T  au- 
riga ,    o   i    cavalli   stramazzati    per    terra  ,    e  calpe- 
stati . 

Sopra  il  corpetto   tutto   il  tratto  del  torace  era 


(a)   Gruter.  pag*   $3$  n*   2  3. 


)(  3o4  )( 
Strettamente  annodato  da  certe  sottili,  e  larghe  fa- 
sce ,  che  io  credo  di  cuojo  ,  le  quali  erano  intral- 
ciate a  guisa  del  nodo ,  detto  nodo  da  imballatore  . 
Un  torso  di  statua  d'  un  auriga ,  che  è  a  villa  Ne- 
grotti (a)  ,  ce  ne  dà  un'  idea  chiarissima  y  com'  an- 
che del  resto  della  vestitura  .  Galeno  (b)  volendo 
descriverci  la  fasciatura  ,  che  dovea  farsi  al  torace 
di  chi  s'  era  rotte  le  coste ,  dice ,  che  sia  simile  a 
quelle ,  che  fansi  agli  aurighi  circensi .  Fasciatara 
non  molto  diversa  mostra  anche  il  gladiatore  Baio- 
ne in  un  cippo  ,  che  è  nella  villa  Panfili ,  riferito 
dal  Fabretti  (e) ,  e  dal  Winkelmann  (d)  :  dal  che 
si  vede ,  che  non  erano  soli  gli  aurighi  a  servirse- 
ne. Tale  stringimento  serviva  per  diminuire  la  cir- 
conferenza del  corpo  ,  e  così  renderlo  unito ,  e  se 
fosse  possibile  più  leggero,  e  più  atto  alla  massima 
rapidità ,  con  cui  dovevano  correre .  La  figura  di 
quel  torso  (e)  ,  spiegherà  assai  meglio  ,  che  le  ul- 
teriori mie  parole .  Chi  V  andasse  a  rincontrare  sul 
luogo ,  non  si  lasci  ingannare  dai  falso  ristauro ,  che 

V  ha 


(a)  Ora  nel  Museo   Pio-Clementino . 

(b)  De  Fasciis  ,  cap.  106  opcr.  Tom.  XII.  ed. 
Cart.   Paris.  i649' 

(e)  De  Col.  Traj.  cap  8.  pag.  zb§. 

(d)  Mori.   ant.  ined.  n.   199. 

(e)  Vedi  la  detta  figura  nella  Tavola  XIX. 
dell'  Edizione  pubblicata  daU  Avvocato  Carlo  Fé  a . 
(  Gli  Edit.  ) 


X  3o5  )( 
i'  Ha  cangiata  in  figura  d'  un  giardiniere  tenente  una 
zappa  in  mano  ;  e  consideri  solamente  il  torso ,  che 
è  tutto  ciò ,  che  ha  d'  antico .  Così  dagli  scultori 
imperiti  si  deforma  in  Roma  V  antichità  ,  come  tutto 
di  vediamo  ;  anzi  i  più  accreditati  rappezzato™  fan- 
no talvolta    peggio    degli  altri . 

Tenevano  intralciato  traile  fasce  sul  fianco  sini- 
stro un  coltello  falcato ,  probabilmente  per.  troncare 
le  fasce,  ed  anche  le  guide,  e  salvarsi  in  caso  di 
disgrazia.  Ciò  era  tanto  più  necessario,  perchè  l'au- 
riga non  sostenea  colla  mano  le  redini .  Le  aveva 
legate  ,  e  tese  a  traverso  del  corpo ,  per  non  aver 
bisogno  che  della  sinistra  sola  ,  onde  regolare  i  ca- 
valli :  così  non  avea  bisogno ,  che  di  tirare  or  l' li- 
na ,  or  1'  altra  .  Colla  destra  tenea  la  frusta  alza- 
ta Qa)  .  Guai  dunque  a  chi  così  legato  fosse  caduto 
dalla  carretta  ,  perchè  non  avea  più  scampo  senza 
sbrogliarsi  col  taglio  .  La  sua  positura  era  quella  di 
un  uomo  ,  che  curvato  ,  e  prono  col  corpo  s*  ap- 
poggiava con  un  piede  ai  parapetto ,  e  coli'  altro 
gravitando  sulla  parte  posteriore  della  carretta ,  la 
teneva   quasi   in  bilancia   sull'  asse .    Così  leggermen- 


(a)  All'  occasione  adopravano  1'  una  ,  e  1'  altra 
mano  per  tenere  le  redini ,  come  si  vede  nei  bas- 
sìrilievi ,  e  in  ispecie  in  uno  di  terra  cotta  datfo  in 
rame  dal  Piranesi  ,  e  nel  dittico  Quiriniano  dei 
Lampadj  presso  il  Gori  Thes.  vet»  dipi.  Tom.  IL 
Tab.  XVI. 

IV,  2.0 


X    3oG    )< 
te ,   e  quasi  m  equilibrio  correva  .    Tanto   s' impara 
sicuramente  dai  bassirilievi  . 

Intanto  quasi  sospesi  con  gran  contensione  di 
spirito  e  P  auriga ,  e  i  cavalli  chiusi  dal  cancello 
dentro  la  carcere  ,  stavano  ad  aspettare  P  istante 
della  scappata .  Neil'  inverno  si  vedeva  dagl'  inter- 
valli di  questi  cancelli  uscire  quai  fumo  1'  anelito 
de' cavalli;  e  si  sentivano  battere  coli' unghie  il  suolo 
indurato  (a)  .  Il  pretore  del  Circo ,  o  del  giuoco 
dava  allora  il  primo  segno  della  corsa  (5)  ,  al  quale 
per  mezzo  d'  una  non  so  quai  macchina  spalanca- 
vansi  tutti  in  un  istante  i  cancelli  delle  carceri  (e) , 
e  si  scoprivano  agli  spettatori  i  cavalli,  e  gli  au- 
nghi preparati .  Questo  primo  segno  è  stato  diverso 
secondo  le  varie  età  ,  Anticamente  per  segno  pre-^ 
sentavasi  una  face  accesa  .  Ai  tempi  di  Nerone  cojni» 


(a)  Stazio  Theb.  Uh.  6  v.  398  e  seg.  ,  Sidonio 
ad  Coment,  carm.  23  v.  33 1  segg. ,  Apollonio  De 
excid.  Jerosol.  Uh.  2  p.  61  e  seggi 

(b)  Maxima  jam  vacuo  Praetor  spectacula  Circo 

Quadrijuges  aequo  carcere  misit  equos . 
Ovidio  Amor.  Uh.  3  el.  2  9*  65  e  seg. 
(e)  Tutti  gli  scrittori  antichi  ,  che  ho  potuto 
vedere ,  alcuni  de'  quali  sono  riportati  dal  Bulengero 
cap.  11  e  io  seg.,  convengono  nei  far  capire,  che 
i  cancelli  si  aprivano  tutti  in  un  tratto  ,  e  come 
per  mezzo  di  una  macchina  ;  ma  nel  bassorilievo  , 
che  si  dà  inciso  in  principio  della  prefazione  del- 
P  Avvocato  Carlo  Fea  ,  si  vedono  uomini ,  che  li 
aprono  colle  mani .  Il  sig.  Bianconi  comprò  quel 
bassorilievo  principalmente  per  questa   singolarità  . 


)(  3o7  )/ 
dossi  a  gettare  dall'  alto  un  panno  bianco ,  che  ch^a* 
mavasi  la  mappa  (a)  ,  in  memoria  d'  avere  dal  suo 
pulvinare ,  ove  quest'  imperatore  mangiava  ,  gettata 
per  capriccio  la  salvietta  per  dare  il  primo  segno 
della  mossa   (b)  . 

Al  secondo ,  ed  ultimo  segno ,  che  almeno  ai 
tempi  di  Sidonio  Apollinare  (p)  era  un  suono  di 
tromba ,  cadeva  istantaneamente  la  fune ,  ossia  il  ca- 
nape ,  che  traversava  da  un*  erma  all'  altra  ;  e  scap- 
pavano fuori  le  carrette,  indirizzandosi  verso  la  parte 
destra  del  Circo,  dove  l'imboccatura  della  spina  era 
più  larga.  Tendendo  queste  per  tanti  raggi  di  cir- 
colo quasi  al  medesimo  centro ,  norì  potevano ,  anzi 
non  dovevano  urtarsi  prima  d'  essere  entrati  nella 
lizza .  Allora  non  si  sentiva  più  che  un  grido  uni- 
versale degli  spettatori;  perchè  essendo  essi  divisi  di 
genio  chi  per  un  auriga ,  chi  per  un  altro ,  applau- 
diva ognuno  al  suo  favorito ,  e  lo  animava .  Una 
creile  parole ,  cred'  io ,  che  dicessero ,  era  forti  men- 
te ,  conservataci  in  questo  senso  da  Ovidio  (J) .  Il 
marchese  Maffei  pretende  non  senza  ragione ,  esser 
una  delle  parole    volgari   di   quel  tempo;  anzi  essere 

(a)  Giovenale  Sat.  n  e.  193,  Tertulliano  de 
Spect.  cap,  16,  Cassiodoro  Var.  lib.  3-*p.  5i.  Ve- 
dasi il  Gori  Thes.  vet.  dipt.  Tarn.  Ih  Toh.  XIX. 
pag.  i32. 

(b)  Ved.  il  Bulengero  cap.   16. 

(e)  Ad  Consent.  carm.  23  v.  339  Vag-  1(ò^ 
(d)   Amor.  lìb.  3  eh  2  *\  io. 


j%  3o8  )( 
precisamente  la  odierna Jortement ey  cioè  àa  bravo, 
Ognuno  sa  ,  che  quel  dottissimo  cavaliere  non  ha 
mai  potuto  credere  ?  che  nelP  antica  Roma  il  po- 
polò parlasse  quel  latino  ?  che  leggiamo  ne'  libri  ; 
ed  ha  ragione  . 

Dall'  ingresso  nella  lizza  fino  alla  seconda  meta 
non  era  che  lotta  ,  fracasso ,  e  conflitto  tra  le  car- 
rette ,  affine  di  girare  intorno  ad  essa  prima ,  e  più 
strettamente  che  si  potesse  ;  e  così  guadagnare  tem- 
po ,  minorando  lo  spazio  da  percorrersi  .  Questo 
conflitto  si  rinovava  nei  ritornare ,  che  dall'  altra 
parte  della  spina  facevano  le  carrette  ;  giacche  colà 
pure  v*  era  1-  altra  meta  in  faccia  alle  carceri  da  gi- 
rare strettamente.  In  sette  di  questi  giri  consisteva 
tutta  la  corsa  ,  e  ne  era  il  vincitore  colui  ,  che  al 
compiere  del  settimo  giugneva  primo  alla  meta  in 
faccia  alle  carceri  ;  septtm  spatiis  merere  coronata , 
come  dice  Ovidio   (a) . 

L'  artifizio  dunque  tutto  consisteva  non  solo  a 
correre ,  per  quanto  umanamente  è  possibile  ;  ma 
ad  abbreviare  il  cammino  col  tirarsi  vicinissimo  alla 
spina ,  e  voltare  intorno  alle  mete  strettamente .  Bi- 
sognava però  guardarsi  di  non  toccarle  neppur  di 
fuga  ;  perchè  il  minimo  urto  facea  sbalzar  giù  dalla 
carretta  l'auriga,  e  perdere  con  vergogna  la  vitto- 
ria .    Questa   disgrazia   in   linguaggio    circense    chia- 


(a)  Halieut,  vers.  ti8« 


)(  3o9  )( 
«lavasi  Jar  naufragio  ;  termine ,  a  mio  credere  s 
tollo  dal  greco  in  un  luogo  dì  Sofocle  (a) .  Una 
parte  dei  sapere  degli  aurighì  consisteva  anche  nel- 
l' impedire  ,  che  gli  altri  suoi  competitori  loro  non 
passassero  davanti  :  cosi  era  lecito  1'  urtarli ,  ed  il 
rovesciarli  ancora  ;  purché  questo  non  si  facesse  pri- 
ma d' essere  entrati  nella  lizza  ,  cioè  fra  le  carceri , 
e  la  linea,  è  che  era  tirata  dalla  meta  prima  al  po- 
dio destro,  e  ad  angolo  retto  colla  spina,  come  si 
dirà   tra  poco . 

I  cavalli  correvano  divaricati ,  o  sia  divergenti , 
cioè  due  a  destra  ,  e  due  a  sinistra  .  Questo  diede 
luogo  ad  un  divertimento  assai  rischioso  ,  e  che  io 
hp  imparato  da  quasi  tutti  i  bassirilievì  circensi .  Vi 
erano  alcuni ,  che  per  fare  spiccare  più  la  destrezza 
degli  aurighi  conduttori  si  mettevano  giacenti  per 
terra ,  e  la  carretta  passava  lor  sopra  senza  offen- 
derli ;  perchè  restavano  illesi,  passando  loro  i  cavalli 
due  di  qua,  e  due  di  là  senza  toccarli.  Forse  pas- 
savano loro  anche  di  qua  ,  e  di  là  le  rote  ;  ma 
quand'  anche  fossero  lóro  trapassate  sopra,  tanta  era 
la  celerità  ,  e  leggerezza  ,  che  nulla  aveano  da  te- 
mere (b).   A  tal  segno  giugne  la  temerità  degli  uo- 

(a)  In  Electra  ;  vers.  y3 1  ,  osservato  anche  dal 
Bulengero   cap.  29  e  seg. 

(b)  Questo  è  un  bel  raziocinio  ;  ma  non  so  se 
in  fatto  la  cosa  sia  possibile  .  In  molti  bassirijtievi  i 
putii  ,  o  Oenj  stanno  stramazzati  in  modo  da  non 
istervi  così  a  bella  posta ,   ma  piuttosto  come  caduti . 


K  3io  )( 
mini,  quando  le  arti  anche  più  pericolose  sono  tanto 
raffinate .  Talvoka  in  vece  d'  uomini  mettevano  per 
la  stessa  ragione  gran  vasi  di  terra  cotta  fragilissi- 
mi ,  perchè  si  vedessero  restare  illesi  in  tanto  pe- 
ricolo .  Tale  essendo  1'  abilità  degli  aunghi  ,  qual 
maraviglia  se  Roma  andava ,  per  così  dir ,  pazza  a 
vederli   operare  ? 

Pare  che  a  traverso  del  Circo  vi  fosse  una  linea 
bianca  tirata  dalla  spina,  (  ove  è  la  meta  verso  le 
carceri  )  al  podio  destro  dalla  parte  in  cui  s'  entrava 
nella  lizza  «  Questa  linea  serviva  di  limite  ;  perchè  pri- 
ma di  averla  passata  non  era  permesso  alle  carrette 
P  urtarsi ,  1/  altra  parte  di  questa  linea ,  la  quale  non 
era ,  che  la  continuazione  della  prima  ,  serviva  di 
segno ,  o  sia  termine  delia  corsa  .  Con  che  fosse 
tracciala  questa  linea  non  P  ho  mai  potuto  capire  . 
Qualche  passo  antico  pare  indicarci  ,  che  fosse  di 
creta  bianca .  Ma  come  persuadersi ,  che  non  fosse 
mischiata  ben  presto  colla  terra  ,  e  col  suolo ,  e 
cancellata  col  passarvi  sopra  sette  volte  quattro  car- 
rette >   e  tanti   cavalli  fuggenti  (a)  P  Da  quesf  ultima 


Se  il  Fea  avesse  osservato  attentamente  tutti  i 
hassirilievi  circensi ,  avrebbe  veduto  che  i  putti ,  o 
Genj  giacenti  per  terra  sono  tutti  in  modo,  che  il 
tergo  loro  viene  ad  essere  contro  la  corsa  de  caval- 
li, e  che  però  tale  positura  non  è  accidentale ,  ma 
volontaria  .  Questa  riflessione  gli  avrebbe  fatto  gu- 
stare il  fino  e  giusto  raziocinio  delV  autore .  (Gli  Ed.) 

(e)  Pajono  così  chiari  i  passi  degli  antichi ,  da 


)(  Su  )( 
linea ,  e  da  questo  giuoco  ,  è  nato  1'  antico  pro- 
verbio del  fine  del  viver  dell'  uomo .  La  nostra  vita 
fugace  è  stata  sempre  dagli  antichi  assomigliata  alla 
corsa  circense  si  per  la  sua  rapidità ,  che  per  li 
pericoli ,  che  per  tutto  il  suo  corso  V  accompagna- 
no :  e  in  fatti  si  diceva  curriculum  vitae  (a)  ;  e  da 
questa  linea  nacque  il  proverbio  usato  ancora  da 
Orazio  (b)  :  mors  ultima  linea  rerum  :  la  morte  è 
la  meta  dell'  uomo  .  Ma  torniamo  al  giuoco  • 

Sulla  gran  base  deli'  ultima  meta  stava  il  giu- 
dice ,  per  vedere  da  vicino  quai  carretta  giugnesse 
la  prima  .  Affinchè  non  nascesse  sbaglio  nei  contare 
i  giri,   che  con   tanta  rapidità  si  facevano  dalle  car- 

non  dover  dubitare  che  fosse  di  creta  bianca ,  in 
sspecie  Plinio  Histor.  naturai.  lib.  35  cap.  17  ;  Est 
vilissima  creta  ,  qua  Circum  praeducere  ad  vieto- 
riae  notam  instituerunt  majores  :  Seneca  Epist.  108: 
Hanc,  quam  nunc  in  Circo  cretam  vocamus  ,  cai- 
cem  antiqui  dicebant  :  Vegezio  Artis  veterinariae 
Uh.  1  cap.  56  ;  In  sicco  itaque ,  aequalique  tolo 
auinquaginta  passus  in  longum  ,  et  quinque  in  la- 
tum  plenis  copfiinis  digerittir  per  ordines  creta ,  ad 
similitudinem  stadii  :  Cassiodoro  Var.  lib.  3  ep.  5i  1 
Alba  linea  non  longe  ab  ostiis  in  ulrumque  podium 
quasi  regula  directa  perducitur .  Se  la  creta ,  o 
calce  si  gettava  con  ceste  ,  come  dice  Vegezio ,  sa- 
rà stata  tanto  grande  la  linea  da  non  potersi  can- 
cellare, per  quante  carrette  vi  passassero  sopra,  in 
maniera  da  non  essere  visibile  . 

(a)  Per  questa  ragione  probabilmente  si  rap- 
presentava sulle   urne  sepolcrali  una  corsa  di  Gercj . 

(b)  Epist,  Uè.  i  ep.  16  vers,  uh. 


)(      3l2      )( 

rette,  sì  faceva  uso  dì  que*  sette  delfini,  e  di  quelle 
sette  ova  amovibili ,  delle  quali  parlammo  nella  de- 
scrizione della  spina  (a)  .  Un  ministro  appostato  le- 
^ava  dal  suo  luogo  ad  ogni  giro  un  delfino  ;  ed  un 
altro  levava  una  di  quelle  grandi  oya  dall'  altro .  Al 
levarsi  dell'ultimo  delfino,  e  dell'ultimo  ovo  cor- 
reva T  ultimo  giro .  In  un  bellissimo  bassorilievo  cir- 
cense ,  che  è  al  Vaticano  ,  v'  è  rappresentata  una 
scaletta  portàtile  appoggiata  all'  architrave  ,  su  cui 
sono  collocati  i  sette  delfini  ;  perchè  non  vi  pote- 
va arrivare  senza  questa  il  ministro  destinato  a  te- 
nere  il  conto . 

Se  la  corsa  sul  principio  non  andava  a  dove- 
re, e  se  v'era  qualche  soverchieria,  era  permesso 
al  popolo  il  domandare ,  che  la  corsa  si  ricomin- 
ciasse .  Per  far  ciò  ventilavano  le  toghe  (b)  ;  ed  a 
questo  segno ,  se  era  generale ,  doveva  condiscen- 
dere il  pretore  del  Circo .  Il  domandarlo  colla  voce 
non    era   praticabile    in   tanta    moltitudine  ;    perchè  , 


(a)  Alla  pagina  2.67  1'  Autore  ha  riferito  que- 
ste ova  ad  un  nitro  proposito,*  e  qui  pare  che  si  ri- 
tratti ,  abbracciando  i'  idea   vera . 

Questa  nota  non  sembra  giusta  .  ÌJ  autore  nel 
luogo  citato  dice  parlando  di  queste  ova:  Servivano 
probabilmente  a  segnare  il  numero  delle  mandate,  o 
siano  corse  .   (  Gli  Edit.  ) 

(b)  Ovidio  Amor.  lib.  3  eh  2.  v.  j'ò  e  seg.  : 
Favimus  ignavo:  sed  enim  revocate ,  Quirite*} 

Et  date  jactatis  undique  signa  togis  . 


X  3i3  )( 
come  distinguere  questa  domanda  dai  rumore  del 
plausi ,  che ,  come  dice  Orazio  (a)  ,  rassomigliava 
al  fremito  del  mare ,  o  al  muggito  del  bosco  Gar- 
gano? Questa  circostanza  non  è  mai  stata  rilevata, 
a  quel  che  io  credo  ,  da  nessun  moderno  scrittore 
di   cose   circensi  . 

Tale  era  una  mandata .  Di  queste  ve  n'  erano , 
come  abbiamo  detto  ,  venticinque  .  Virgilio  per  di- 
re ,  che  darà  un  giuoco  circense  ,  dice  poeticamen^ 
te  (b)  ,  che  agiterà  cento  carrette  a  quattro  cavalli 
sulla    sponda   del   fiume  : 

Centum  quadrìjugos  agitalo  ad  fiumina  currus  • 
Quantunque  tutte  le  corse  fossero  eguali ,  erano 
però  le  ultime  più  gradite  dal  popolo,  perchè  la 
gara  produceva  sempre  in  queste  nuovi  acciden- 
ti indispensabili .  La  vigesima  quinta ,  ed  ultima 
chiamavasi  missus  aerarius ,  per  la  seguente»  ra- 
gione .  Erano  essb  anticamente  soltanto  ventiquat- 
tro j  ma  il  popolo ,  il  quale  non  le  vedeva  finire 
che  malvolontieri ,  aveva  introdotto  1'  uso  di  far  rac- 
cogliere in  giro  dagli  spettatori  denaro,  e  con  que- 
sto pagare  quattro  altri  agitatori  ,  affinchè  facessero 
una  corsa  di  sopra  più  (e)  .  Questo  produceva  alle 
volte  somme  immense.  Ma  col  tratto  del  tempo  quei 
cittadini,  o  quegl' imperatori ,    che  davano   gratuita - 


(a)  Epist.  Uh.  2.  ep.   i  vers,  202, 

(}.)   Georg,  lib.  3  v.  18. 

(e)  Vairone  presso  Servio   ad  Vìrg.  he.  cu 


)(    34    X 

mente  i  giuochi  al  popolo  ,  credettero,  che  v'  an-* 
dasse  del  loro  decoro,  se  tutte  le  mandate  non  fos- 
sero a  loro  conto  :  così  all'  enorme  spesa ,  che  fa- 
cevano ,  aggiunsero  generosamente  anche  la  venticin- 
quesima mandata .  Queli'  uso  adunque  finì  ;  ma  durò 
il  nome  di  missus  aerarius ,  che  volea  dir  V  ultima 
mandata  (a)  . 

Queste  regole  delle  mandate  però  non  furono 
tanto  fisse  ,  che  talvolta  da  loro  non  si  slontanasse- 
ro ,  massime  sotto  il  principato  degP  imperatori ,  clic 
non  ebbero  più  altra  legge,  che  la  loro  volontà.  Do- 
miziano ali'  occasione  de'  giuochi  secolari  in  vece  dì 
venticinque  mandate  ,  ne  diede  cento  in  un  sol  gior- 
no .  Ma  siccome  la  giornata  non  era  abbastanza  lun- 
ga per  tante  corse ,  comandò  che  le  carrette ,  in  ve- 
ce di  sette  giri ,  ne  facessero  solamente  cinque  (b)  . 
Claudio  fra  una  mandata  ,  e  1'  altra  diede  nel  Circo 
lo  spettacolo  d'  una  caccia  (e)  .  Corsero  talvolta  an- 
cora più  di  quattro  carrette  insieme  .  Bisogna  bene 
che  la  cosa  fosse  così,  perchè  v'erano  costantemente 
dodici  carceri  ne'  Circhi  (d)  .  A  che  avrebbero  ser- 
vito dodici  ,  se  non  se  ne  fossero  mai  adoprate  che 
quattro  ?    Dione  {e)  ci  dice ,  che  Comodo  fece  cor- 

(a)  Ved.   Bulengero   cap.    i5. 

(b)  Svet.  in  Domit.  cap.  4- 
(e)  Svet.  in  Claud.  cap.  2.1. 

(d)  Si  veda  qui  avanti ,  e  ciò ,  che  diremo  al  fine 
dei  capo  seguente  . 

(e)  Lìb.  75  nurn.  4  peg.   *a5&. 


)(  3i5  )( 
rere  qualche  volta  anche  sei  carrette  .  Nel  mento- 
vato bassorilievo  sepolcrale  di  Foligno  si  veggono  no- 
ve carrette  in  pieno  corso  .  D'una  di  queste  non  es- 
sendo scolpita  che  la  parte  posteriore  colle  rote  sul 
finir  del  marmo ,  pare  che  lo  scultore  abbia  voluto 
far  capire  ,  che  ve  ne  sarebbero  state  anche  più  di 
nove ,  se  il  sarcofago  fosse  stato  più  lungo  (a)  .  I! 
Panvinio  nel  riferirlo  non  ha  fatta  riflessione  a  que- 
sta moltipiicità  di  carrette  .  Forse  che  quest'  ultima 
specie  di  giuoco  era  fatta  per  divertire  talvolta  il  po- 
polo con  un  conflitto  maggiore  d' aurighi  ;  e  non  si 
saranno  fatte  in  essa  tante  mandate,  né  tante  for- 
malità ,  quante  facevansi  in  que'  giuochi  ,  ne'  quali 
tutto  era  regolato  colla  maggior  precisione ,  ed  e- 
satlezaa  sotto  la  direzione  d'  un  pretore  circense  . 
Oggidì  si  corrono  in  Roma  de' palj  irregolari,  e  con 
quanti  cavalli  si  trovano ,  e  chiamasi  correre  in  trup- 
pa. Chi  sa  se  queste  corse  di  dieci,  o  dodici  car- 
rette non   erano    a   un   dipresso  una  cosa  simile  ? 

Al  vincitore  di  qualunque  mandata  si  dava  per 
premio  un  ramo  di  palma  ;  a  cui  ne*  secoli  poste- 
riori cominciossi  ad  aggiugnere  una  corona,  o  altre 
galanterie  di  seta  .  Da  qualche  autore  pare ,  che  la 
palma  fosse  piantata  sulla  base  della  meta ,  e  che 
il  vincitore  nel!'  arrivarvi   se  la  rapisse .  Da  altri  pa- 


(a)  Questa  parte  posteriore  di  carretta,  a  giu- 
dicarne dalla  figura  in  rame,  pare  un  carpento ,  non 
una  carretta  da  corsa ,   come  forse  è  nelV  originale , 


)(  3i6  )( 
re ,  che  a  lui  la  desse  il  giudice  (a)  ,  e  questo 
sembra  più  naturale  per  evitare  le  liti  .  Comunque 
siasi ,  era  tanto  1'  onore  d'  acquistarla ,  che  Orazio  (b) 
dice  ,  che  rendeva  gli  uomini  quasi  eguali  agli  Dei  ; 
Chiamavasi  in  linguaggio  circense  il  travio  .  Io  non 
dubito ,  che  questa  parola ,  la  quale  ha  avuto  l' o- 
nore  d' essere  consacrata  da  s.  Paolo  medesimo  nelle 
sue  epistole  (e)  ,  non  sia  la  genitrice  antichissima 
di  quella  di  bravo  ,  che  per  lode  diamo  ad  un  uo- 
mo valoroso  :  ed  infatti  è  resa  comune  a  quasi  tutte 
le  lingue  viventi  d'  Europa .  Gii  antichi  facevano 
tanto  caso  delie  corse  circensi ,  che  come  si  chia- 
mavano nobili  i  cavalli ,  che  vi  si  adopravano ,  no- 
bile pure  si  chiamava  la  palma  del  vincitore  (d)  . 

Non  per  questo  però  restava  senza  ricompensa 
ll  auriga  secondo ,  e  il  terzo  .  Vincere  si  dicea  del 
primo  ,   forre  secundas  ,  forre  tertias  ,    degli  altri 


(a)  Vedi  Bulengero  cap.  2$  e  54.  Nel  basso- 
rilievo, che  pose  il  Fea  alla  pag.  i",  vi  è  un  Genio 
alla  meta  ,  che  pare  -voglia  dare  la  palma  al  vin- 
citore .  Nello  stesso  atto  si  vede  un  uomo  in  un 
bassorilievo  presso  il  Fabretti  De  Col.  Traj,  Synt. 
pag.  i47-  ^n  un  au"ro  bassorilievo  dello  stesso  Mu- 
seo Pio-Clementino  V  auriga  prende  la  corona  da! 
Pretore ,  che   sta   come   in  un   tribunale . 

(b)  Od.   1   v.  6. 

(e)  Ad  Corinth.  1  cap,  9  y.  ^4  >  ad  Philipp, 
cap.  3  v.   14. 

(d)  Orazio  Iog.  cit. 


X  3i7  )( 
due.  Era  dunque  gran  gloria  per  un  agitatore,  e 
per  un  cavallo  V  avere  vinto  molte  volte  ;  e  la  glo- 
ria cresceva  a  misura ,  che  erano  in  minor  numero 
le  seconde ,  ed  assai  meno  le  terze  .  Infatti  nelle 
iscrizioni  di  questo  genere  vede  si  sempre  questa 
grande  sproporzione  (a)  .  Il  quarto  auriga  non  avea 
che  la  vergogna  d'  essere  stato  V  ultimo,  e  di  avere 
costato  molte  scommesse  a'  suoi  ingannati  fautori  ; 
Io  che  non  gli  avrà  certamente  attirati  grandi  ap- 
plausi. Dalla  più  volte  ricordata  iscrizione  di  Dio- 
cle  si  vede ,  che  si  tenevano  gli  atti  degli  agitato- 
ri ,    o   siano  i    registri    delle    loro    vittorie . 

Finite  le  corse  de'  carri ,  gli  agitatori  scende- 
vano neir  arena  ,  e  correvano  a  piedi  a  gara .  Do- 
po la  corsa  venivano  gli  atleti ,  e  i  lottatori ,  i  quali 
facevano  anch'  essi  i  loro  esercizj ,  e  con  ciò  fini- 
vasi  la  giornata  .  Questi  differenti  esercizj  erano  in- 
terrotti dai  pubblici  elogi  ,  che  recitavansi  in  lode 
dei  vincitori ,  e  dalle  distribuzioni ,  che  ad  essi  fa- 
ceansi  delie  corone  .  Ecco ,  a  mio  credere ,  quanto 
basta  per  dare  un'  idea  del  regolamento ,  e  delle 
leggi  dei  giuochi  circensi. 


(a)  In  quella  di  Diocle  specialmente» 


)(    3i8    )( 

CAPO    X. 

Esame  particolare  della  Corsa  seconda  la 

disposizione  delle  carceri  nel  Circo 

di  C  arac  ali  a  . 


E, 


LAMINANDO  la  curva,  in  cui  sono  disposte  le 
dodici  carceri  dei  Circo  di  Caracalla ,  ho  scoperto  , 
mercè  1'  attuale  misura ,  essere  la  medesima  un  ar- 
co di  circolo ,  il  cui  centro  giace  verso  il  mezzo 
dell'  area  destra  nel  punto  C  ;  essendo  il  raggio  C  N 
di  esso  circolo  uguale  a  cinque  quarti  delia  corda 
KO;  vaie  a  dire ,  il  raggio  sta  alia  detta  corda 
come  5  a  4» 

Non  posso  negare ,  che  a  prima  vista  ,  osser- 
vando r  obliquità  del  detto  arco  circolare  N  Q  O  , 
sui  sono  nati  nell'  animo  diversi  dubbj  .  Primiera- 
mente ho  detto  fra  me  stesso  :  V  onore  ,  e  il  pre- 
mio di  quel  nobilissimo  giuoco  era  certamente  de- 
stinato a  colui ,  che  partendosi  colla  sua  quadriga 
dalle  carceri  nello  stesso  tempo  degli  altri  gio- 
catori; ed  entrando  in  lizza  dalla  parte  destra  delia 
spina ,  dopo  fatti  sette  giri  intorno  alla  medesima  , 
sapeva  uscir  fuori,  e  sboccare  il  primo  dalla  parte 
sinistra  della  stessa  lizza  ,  lasciandosi  addietro  la  me- 
ta ,  ed  i  compagni .  Questo  era  il  giuoco ,  come  fu 
detto    più   volte .    Dunque  supponendo   in    ciascuno 


)(  3i9  )( 
de'  concorrenti  velocità  uguale ,  tutta  V  industria ,  e 
l'  arte  dei  giuocatori  doveva  unicamente  impiegarsi 
a  scegliere  la  via  più  breve  ,  ed  il  minor  viaggio 
possibile  di  detta  corsa  .  Chi  fosse  giunto  a  cono- 
scerlo, ed  afferrarlo,  quegli  senza  dubbio  doveva 
essere  il  vincitore  .  Non  di  molto  studio  facea  però 
mestieri  a  penetrare  cotesto  artificio ,  e  magistero  - 
Ognun  ben  vede  ,  che  il  massimo  vantaggio  del- 
la corsa  doveva  essere  di  colui ,  il  quale  prima 
ci'  ogni  altro  avesse  saputo  arrivare  al  punto  P  t 
principio  della  spina ,  e  tenersi  sempre  col  veloce 
carro  saggiamente  accosto  alia  medesima  ;  poiché 
egli  solo  e  nella  precipitosa  corsa  ,  e  nelle  accorte 
voltate  aveva  il  più  breve  cammino  da  superare  ; 
supposti  già  sempre  i  suoi  colleghi  al  pari  di  lui 
veloci ,  ed  ansiosi  :  mentre  rimanendo  essi  alquanto 
più  discosti  dalla  spina  ,  erano  costretti  a  segnare 
un  giro  più   largo  intorno  alle   due  mete  . 

D'  altra  parte  in  quella  singolare  posizione  dì 
arco ,  e  di  carceri ,  pareami ,  che  non  si  dovesse 
ascriver  sempre  a  merito  ,  ed  arte  del  giuocatore , 
uscendo  dalle  mosse ,  il  giugner  prima  degli  altri 
alla  parte  superiore  di  essa  spina  ,  afferrare  il  suo 
principio  in  P ,  e  costeggiarla  in  appresso  incessan- 
temente ;  imperocché  la  prima  carcere  a  sinistra 
segnata  num.  I.  rimane  sensibilmente  più  vicina  delle 
altre  al  suddetto  punto  P  ;  e  la  XII. ,  che  è  la  più 
lontana ,   vi  si  discosta  fino  a  quattro  tese  più  della 


;(       320       )( 

prima  ,  come  può  ognuno  assicurarsene  col  com- 
passo :  onde  senza  riguardare  più  avanti ,  sembra- 
tami ,  che  alt'  auriga  possessore  della  prima  carcere 
ridondasse  un  troppo  maggior  vantaggio,  e  la  giu- 
stizia dei   giuoco  non   fosse    a  tutti  eguale  . 

In  tal  mia  supposizione,  che  forse  naturalmente 
si  presenterà  anche  ad  altri ,  io  pensava  ,  che  me- 
glio si  fossero  potute  equilibrare  le  cose ,  accioc- 
ché toccasse  ad  ognuno  egual  fatica  ,  ed  eguale  viag- 
gio da  superare  .  Io  dunque  ,  per  collocare  ciascu- 
na carcere  in  pari  distanza  dalla  spina,  faceva  cen- 
tro nel  punto  P,  e  col  raggio  PN  descrivevo  l'al- 
tro arco  di  cerchio  OQS.  In  quest'arco,  io  dice- 
va ,  se  fossero  disposte  le  carceri  ,  sarebbe  qualun- 
que giuocatore  ugualmente  distante  dal  punto  P  ,  e 
tutti  sin  dalle  mosse  si  troverebbero  pari  in  questa 
circostanza  del  giuoco,  che  non  è  invero  da  trascu- 
rarsi .  Ma  ben  presto  m'  avvidi  del  mio  errore  ;  poi- 
che  lungo  il  suddetto  arco  O  Q  S  le  prime  carceri  a 
sinistra  troppo  rimangono  mal  voltate  ;  né  guardano 
sì  ben  di  prospetto,  e  di  faccia  (  cosa  molto  neces- 
saria da  ottenersi  )  tutta  Y  apertura  della  corsa ,  cioè 
lo  spazio  fra  il  destro  Iato  del  Circo ,  e  la  spina  , 
che  è  il  luogo  ,  a  cui  ogni  quadriga  deve  immedia- 
tamente dirigersi ,  e  studiarsi  di  preoccupare  sin  da 
principio  .  Il  nudo  occhio  ,  che  attento  consideri  la 
Tavola ,  vede  ,  e  distingue  da  sé  stesso  il  vantag- 
gio ,   che    tiene   in   questo   particolare   1'  antico   arco 

NQO 


)(      321       )( 

JN  Q  O  così  ben  piegato  al  di  fuori ,  sopra  il  secon- 
do arco  O  Q  S  da  me  supposto  . 

Qui  di  nuovo  io  dicevo  :  come  dunque  soddisfa- 
remo al  difetto  delle  suddette  disuguali  distanze  ,  in 
cui  pur  sono  le  carceri  respettivamente  al  principio 
della  spina  ?  Per  rimediarvi  io  mi  appigliai  ad  un  al- 
tro partito.  Supposi,  che  le  medesime  fossero  tutte 
collocate  dentro  P  arco  O  Q  S  ;  ed  in  cjuesta  guisa 
salvando  in  tutte  una  egual  lontananza  dal  punto  P, 
io  caddi  in  altro  inconveniente  .  La  misura  delle  car- 
ceri era  data  ,  siccome  quella  ,  che  dovea  rendere 
ciascuna  capace  della  larghezza  di  una  quadriga:  la- 
onde in  questo  secondo  arco  io  non  potea  conse- 
guire che  sole  dieci  carceri  nel  Circo  di  Caracalla  : 
numero  incongruente  ,  e  non  bastevole  alla  magnifi- 
cenza de'  giuochi  soliti  a  farsi  alcune  volte  con  do- 
dici carri  in  que  superbi  teatri ,  i  quali  tutti  pur  di 
dodici  carceri  troviamo   composti . 

Se  io  mi  gittava  poi  fuori  del  presente  antico 
arco  NQO,  partendomi  però  sempre  dalla  sinistra 
torre  ,  come  da  punto  dato ,  il  nuovo  esterno  arco , 
che  mi  nasceva ,  restando  ancora  più  obliquo ,  e  più 
respinto  dell'  odierno ,  mi  dava  una  maggiore  dì- 
stanza  nel  duodecimo  carcere  della  spina  :  errore , 
che  in  vece  di  emendare,  mi  si  faceva  anzi  più 
sensibile,  e  che  in  appresso  non  si  sarebbe  potuto 
riparare  da  altri  vantaggi ,  come  procurerà  in  breve 
di   conseguire 

IV.  21  t 


)(  3*a  }( 
Dopo  queste  mie  inutili  ricerche,  io  mi  posi 
dunque  a  considerare ,  se  rimanendo  fermo  il  sud- 
detto antico  arco  del  Circo ,  coloro  ,  che  otteneano 
le  prime  carceri  I.  II.  III.,  quantunque  potessero 
gradatamente  rallegrarsi  della  respettiva  lor  minore 
distanza  dalla  spina,  soggiacessero  poi  nella  corsa  a 
qualche  incomodo  da  me  non  peranche  ben  cono- 
sciuto ,  per  cui  venissero  compensate  le  cose ,  e 
tutti  rimanessero  in  circostanze  prossimamente  ugua- 
li ,  secondo  richiedea  la  giustizia  dei  giuoco  ,  ed  il 
sommo  rischio  di  tanta  impresa  .  Questo  si  è  quel- 
lo ,  che  parmi  di  avere  sufficientemente  scoperto  p 
e  che  qui  mi  accingo  ad  esporre  più  col  desiderio, 
che  altri  corregga  ,  o  renda  migliori  questi  miei 
tenui  pensamenti  ;  che  in  aria  di  presentarli  come 
se  fossero   dimostrazioni  . 

Sia  collocata  nei  primo  carcere  segnato  num.  I. 
una  quadriga  .  Egli  è  certo ,  che  il  cavallo  a  sini- 
stra mano  si  è  quello ,  a  cui  più  ,  che  agli  altri 
suoi  tre  compagni  ,  viene  raccomandata  tutta  la 
maestria,  e  la  direzione  della  corsa,  sì  pel  mas- 
simo possibile  accostamento  alla  spina  ;  come  per  la 
sagace  ,  e  veloce  strettezza  delle  voltate .  Convien 
dunque  esaminare ,  se  non  ostante  la  sua  maggior 
vicinanza  alla  lizza ,  sia  per  avventura  sottoposto  colla 
quadriga  a  qualche  svantaggioso  incontro  ,  per  cui 
|a  corsa  gli  sìa  resa  più  difficile ,  e  più  tarda  ,  che 
agli  altri   di   mano   in    mano    mossi    dalle  seguenti 


X  3^3  )( 
carceri  ;  onde  la  difficoltà  dei  giuoco  divenga  poi  a 
tutti  men  disuguale ,  anzi  prossimamente  la  stessa  . 
Accosto  al  sinistro  lato  del  suddetto  carcere ,  io  fo 
partire  una  tangente ,  che  vada  ad  incontrare  la  cir- 
conferenza della  meta  superiore  .  Seguirà  il  punto 
del  contatto  in  T  ;  e  prolungata  questa  tangente , 
andrà  ad  incontrare  la  linea  M  P ,  che  è  il  diame- 
tro ,  o  sia  la  larghezza  della  corsa  ,  nel  punto  V , 
Ciò  posto  ,  io  dico  :  se  questa  linea  fosse  un  rag- 
gio visuale  mosso  dall'  occhio  del  mentovato  cavallo 
sinistro  del  carro ,  oppure  anche  del  suo  auriga  , 
egli  è  chiaro ,  che  dal  suddetto  carcere  quegli  non 
iscopre  ,  e  non  vede  il  principio  P  delia  spina }  a 
cui  anela  .  Dunque  sin  dalia  prima  mossa  è  sfor- 
zato a  dirigersi  colla  quadriga  al  punto  V  sensibil- 
mente lontano  da  essa  spina  ;  ed  in  quel  punto ,  o 
poco  prima ,  gli  è  d'  uopo  d' intraprendere  una  vol- 
tata per  la  linea  VX,  o  altra  simile  ;  ingegnan- 
dosi in  questa  guisa  di  accostarsi  alla  spina  il  più 
prontamente ,  che  gii  è  possibile .  Ma  sommando 
insieme  i  due  lati  TV,  VX,  egli  è  innegabile , 
che  sono  maggiori  dei  terzo  lato  T  X .  Dunque 
dovendo  la  suddetta  quadriga  allungar  ivi  alcun  po- 
co il  suo  viaggio ,  e  perdere  qualche  istante  di  tem- 
po nella  prima  sua  voltata  ,  viene  con  questo  inco- 
modo a  soddisfare  bastantemente  al  poco  vantag- 
gio ,  che  da  principio  godea ,  della  sua  maggior  vi- 
cinanza alla  meta  superiore ,  ed  alla  spina  . 


X  3*4  )( 
Passo  alla  seconda  carcere  ,  la  quale  è  meri  vi- 
cina nella  prima  al  punto  P  .  Se  da  quella  pari- 
mente io  conduco  un'  altra  tangente ,  o  sia  raggio 
visuale  alla  suddetta  circonferenza  delia  meta ,  il 
punto  del  contatto  andrà  a  cadere  di  sotto  al  punto 
T  ;  e  prolungando  questa  tangente ,  incontrerà  la 
linea  M  P  in  un  punto  più  vicino  al  lato  T  X  : 
onde  il  secondo  auriga  scoprirà  più  presto  la  spi- 
na ,  e  si  troverà  difatti  più  vicino  ad  essa .  Quindi 
computando  la  voltata,  che  dovrà  fare  per  afferrar- 
la ,  formerà  due  lati ,  che  presi  insieme  riusciranno 
minori  dei  due  ,  che  ha  scorsi  il  primo  ;  e  così  a 
questo  secondo  auriga  abbisognerà  fare  minor  viag- 
gio ,  e  perdere  minor  tempo  per  impadronirsi  del 
suddetto   accostamento  . 

Lo  stesso  metodo  posso  tenere  inoltrandomi  alle 
altre  carceri  susseguenti .  Di  mano  in  mano  ciascun 
auriga  si  troverà  diretto  colla  sua  tangente  ,  e  col 
carro  ad  un  punto  più  inferiore  della  meta  ;  e  per 
conseguenza  riuscendo  più  prossimo  ai  principio  della 
spina  ,  sarà  obbligato  a  minor  voltata.  Si  prenda- 
no poi  coteste  voltate  dopo  il  punto  del  conlatto 
della  meta  o  in  due  linee  rette  ,  come  noi  abbia-^ 
ino  fallo  ,  o  piuttosto  seguitando  una  linea  curva  ; 
sempre  sarà  vero  ,  che  quella  curva ,  su  cui  dovrà 
tenersi  il  secondo  carro  ,  si  troverà  più  breve  di  quella 
del  primo  ;  e  conseguentemente  più  sollecita  :  nel  che 
appunto  consiste  il  ricercato  compenso ,  che  si  vuole 


)(  325  )( 
poi  adattare  colla  debita  proporzione  alle  susseguenjì 
carceri  fino  alla  sesta  inclusivamente.  E  qui  notar 
debbo ,  che  la  massima  differenza  fra  le  varie  di- 
stanze delle  predette  carceri  dal  principio  della  spi- 
na ,  è  quella ,  che  passa  fra  la  prima  carcere ,  e  la 
duodecima .  Or  questa  differenza  indicata  dal  seg- 
mento di  linea  N  T  S ,  in  tutto  e  per  tutto  è  di 
quattro  tese  :  cosa  assai  tenue ,  avendo  riguardo  al 
tempo ,  che  si  richiede  a  scorrere  solamente  quattro 
tese  con  quella  precipitosa  velocità  ,  ond'  erano  le 
quadrighe  incredibilmente  agitate.  Laonde  con  un 
giusto  sforzo  di  detta  velocità ,  non  era  difficile  a 
fervido ,  ed  accorto  auriga  mettersi  presto  del  pari 
cogli  altri  emuli. 

Benché  in  questa  lieve  differenza  di  cose  rispetto 
alle  suddette  ineguali  distanze  ,  vi  fossero  ,  parten- 
do obliquamente  dalle  mosse,  e  dirigendosi  alla  spi- 
na, le  sue  diverse  voltate,  ed  i  suoi  giusti  compen- 
si ,  non  si  voglian  però  questi  intendere  in  una  geo- 
metrica  precisione  .  Né  tampoco  è  da  credersi ,  che 
gli  animosi  competitori  misurassero  col  compasso 
lutti  i  passi  da  farsi,  e  le  tracce,  su  cui  tenere  le 
lor  quadrighe .  L'impeto,  e  l'ardore,  da  cui  era- 
no accesi  alla  gloria  del  premio ,  e  1'  ansioso  studio 
di  romper  1' uno  la  strada  all'altro,  e  di  rovesciar- 
si ,  non  dava  luogo  di  prendere  misure  sul  campo  ; 
né  so  di  esse  quanto  fossero  matematicamente  ca- 
paci,  Dirò  bene,  che   io  non  potea  prescindere  dal 


X  3s6  )( 
porre  in  chiaro  ,  che  non  ostante  la  suddetta  ine- 
guale distanza  delle  carceri  (  dato  innegabile  del 
Circo  di  Caracalla  )  t  realmente  il  giuoco  in  sé  stesso 
non  racchiudea  una  patente  ingiustizia  ;  ma  discre- 
tamente venivano  temperate  le  ineguaglianze  da  al- 
tri comodi .  Anzi  per  quel  minimo  vantaggio  di 
più ,  o  di  meno ,  che  potesse  esservi  nella  destina- 
zione delie  carceri  ;  questo  veniva  dato  ,  o  tolto  dalla 
sorte  :  e  se  appunto  si  destinavano  a  sorte ,  questa 
sola  era  a  tutti  la  debitrice  di  ogni  benché  piccola 
discrepanza . 

Mi  rimane  solamente  a  dir  poche  parole  delle 
sei  carceri  a  destra .  Partendo  da  queste  ,  ognun 
hen  vede ,  che  la  lontananza  dalla  spina  ,  ed  il 
viaggio  per  arrivarla  rimane  con  loro  danno  viep- 
più maggiore  di  quello,  che  sia  movendo  dalle  si- 
nistre carceri  precedenti  .  Qual  dunque  è  il  com- 
penso ,  che  a  loro  tocca  ?  Considero  la  carcere  più 
lontana,  che  appunto  è  la  XII.,  e  vengo  a  para- 
gonarla colla  VII.  Se  dal  lato  destro  di  questa  set- 
tima o  dal  mezzo  (  basta  ,  che  in  tutte  si  osservi 
la  stessa  legge  )  io  conduco  un  raggio  visuale  ,  o 
sia  una  tangente  alla  meta  superiore  ,  cotesta  tan- 
gente verrà  quasi  perpendicolare  al  diametro  di  detta 
meta;  e  producendola  avanti,  raderà  prossimamente 
il  lato  destro  della  spina ,  scorrendo  sempre  accosto 
ad  essa  :  onde  la  situazione  della  settima  carcere 
sembra  a  prima  vista  la  più  felice  delle  altre  »  Qui 


)(  3*7  )( 
però  ;convien  riguardare  più  avanti,  e  rivolgere  i* at- 
tenzione alla  meta  inferiore .  Chi  si  tenesse  col  carro 
sulla  traccia  della  mentovata  tangente  ,  giunto  ad 
essa  meta  inferiore  ,  la  tocearebbe  appunto  nel  bel 
principio  della  sua  circonferenza  :  onde  voltando  a 
sinistra  è  costretto  a  costeggiare  tutta  quanta  cotesta 
circonferenza  .  Ma  una  simile  curva  presa  in  gran- 
de ,  e  fabbricata  di  materiali  ,  viene  ad  essere ,  se- 
condo pure  il  sentimento  de'  geometri ,  un  poligono 
di  molti  latercoii ,  cioè  composto  di  tante  piccole 
rette  linee ,  che  formano  fra  loro  angoli  eguali  , 
ove  si  tratti  della  circonferenza  di  un  circolo.  Però 
intorno  a  questi  moltissimi  angoli ,  il  carro  è  co- 
stretto di  fare  altrettante  voltate  ,  raddoppiando  con 
«udore  V  industria  nel  lungo  giro ,  ed  impiegando  in 
ciò  qualche  particella  di  tempo  più,  che  se  com- 
pier dovesse  un  egual  viaggio  continuando  il  suo 
corso  per  retta  linea .  Ecco  lo  svantaggio  della  set- 
tima carcere .  Al  contrario  chi  muove  dalla  duode- 
cima più  lontana ,  trova  un  compenso  nel  giro  della 
stessa  meta  inferiore .  Si  conduca  da  quest'  ultima 
carcere  una  tangente  ad  essa  meta  ;  vedrassi ,  che 
per  retta  linea  va  ad  incontrarla  verso  Y  in  un  punto 
più  basso  di  quello  della  settima  ;  cosicché  il  carro 
duodecimo  non  ha  bisogno  di  cignere  tutta  quanta 
la  detta  meta,  e  di  aggirarsi  intorno  a  tutta  la  sua 
circonferenza .  Questo  minor  incomodo ,  e  minor 
perdimento  di  tecyipo ,    supposte   già  in   ciascuno  le 


X  3^8  )( 
velocità  eguali  ,  compensa  il  difetto  della  suddetta 
ineguale  distanza  ,  quanto  fisicamente  può  bastare  . 
Chi  volesse  distrarsi  in  curiose  indagini ,  sarebbe  da 
ricercarsi  di  quanto  maggiore  velocità  dovrebbe  cia- 
scuno animarsi ,  per  avanzare  il  comprgno  a  un  dato 
punto:  ma  noi  lasceremo  queste  sottili  distrazioni 
ai  matematici . 

Piuttosto  son  vago  dJ  investigare  quanta  lun- 
ghezza di  spazio  scorresse  una  quadriga,  aggiran- 
dosi sette  volte  intorno  alla  spina  ;  per  iscoprire  qual 
proporzione  abbia  cotesta  antica  ,  e  difficil  corsa  a 
quella ,  che  si  fa  in  Roma  da'  barberi  a'  nostri  gior» 
ni .  La  predetta  settupla  lunghezza  raddoppiata ,  e 
computati  ancora  li  tredici  giri  attorno  alle  due  me- 
te ,  ed  una  volta  sola  nella  prima  mossa  la  distan- 
za maggiore  della  duodecima  carcere  dalla  meta  su- 
periore ;  tutte  queste  misure ,  come  si  può  riscon- 
trare sulla  pianta  ,  formano  insieme  tese  incirca  nu- 
mero 1937. 

Ed  essendo  la  tesa  di  Francia  composta  di  sei 
piedi  del  re  ,  e  stando  questo  piede  al  palmo  ro- 
mano architettonico  come  60  a  86  ;  ne  viene ,  che 
tutta  la  suddetta  lunghezza  si  riduce  a  palmi  ro- 
mani in  circa  numero    i6658. 

Ma  la  lunghezza  della  strada  dritta  del  Corso 
di  Roma,  che  in  oggi  si  compie  dai  barberi,  prin- 
cipiando dalla  guglia  della  piazza  del  Popolo ,  e  ve- 
nendo sino  al  muro  del  palazzo  di  Venezia  >  è  di 
palmi  suddetti  y5oo. 

\ 


)(  329  )( 
Dunque  la  lunghezza  dell'  antica  ,  difficilissima , 
ed  inestimabilmente  magnifica  corsa  romana  nel  Cir- 
co di  Caracalla ,  sta  alla  lunghezza  di  quella  ,  che 
si  pratica  a'  nostri  giorni  co'  barberi  sciolti ,  come 
il  numero  i6658  al  numero  75oo  ;  vale  a  dire,  la 
prima  era  lunga  due  volte,  e  quasi  un  quarto  più, 
che  la   nostra  (a)  . 


(a)  Sebbene  in  questo  capo  noi  abbiamo  adat- 
tate le  lettere,  e  le  piccole  misure  a  quelle  della 
nostra  pianta,  non  abbiamo  poi  voluto  alterare  le 
misure  generali  ,  ossia  il  risultato  di  esse ,  con  cui 
V  Autore  Ja  poscia  il  confronto  colla  corsa  moder- 
na; avendo  stimato  meglio  dirlo  qui  in  una  notay 
secondo  le  nostre  più  giuste  misure .  Queste  dunque 
prese  a  parte  a  parte  sono  le  seguenti ,  contando  a, 
tese  di  Francia  . 

Spazio  primo  fra  la  carcere  VII. 
{medio  spazio)  ,  ed  il  principio  in  P, 
forma tese         87         3 

Spazio  fra  i  tempietti ,  e  la  spi- 
na ,    tese    2    moltiplicate  per  27     .     .  54  — • 

Lato  della  spina,  tese  182  molti- 
plicate per    14 iS^S  — — 

Circonferenze  delle  mete ,  Use  1 1  : 
%  moltiplicate  per  i3 i45  * 

Risultato  di  tutta  la  misura  .     .     2i34         4 

t  piedi  francesi  12808  

e    siano      ....     e       ,    .  .     ootro        2 

1  palmi  romani   ioioo        -r 

Il  Corso  di  Roma  secondo  la 
misura  del  signor  Bianconi  sareb- 
be di     palmi  romani     7'5oo  » 

che  sono piedi  francesi     S12S    6   8 


X 

Secondo    uri  altra 
signor    Domenico 


33o     )( 

misura 
Lucchi 


dataci 
,    va- 


dal 

lente  architetto  ,  e  nostro  amico  ,    sa- 
rebbe di palmi  romani     7575  -— 

0  sia  un  miglio  ,  e  circa  un  settimo .  Secondo  poi 
la  misura  stampata  dal  Padredio  nella  sua  ope- 
retta :  Misure  delle  sette ,  e  nove  chiese ,  del  circui- 
to ,  e  parti  principali  di  Roma  ec.  Roma  1677  » 
pag.  39 ,  sarebbe  di  meno  assai  .  Ma  questo  auto- 
re non  è  troppo  esatto  .    Confrontando   pertanto    i 

palmi  romani  i8358*-—  della  corsa  del  Circo  ,   coi 

palmi  7500 ,  o  anche  7S7S  del  Curso  moderno ,  la 
corsa  del  primo  era  maggiore  quasi  una  volta  ,  e 
mezza  della  seconda . 

Oltre  questo  nuovo  calcolo,  e  confronto,  ne 
abbiamo  voluto  fare  un  altro  ,  quasi  necessario  ,  e 
più  curioso  ;  vale  a  dire ,  il  paragone  dell'  arena 
di  tre  altri  Circhi  di  Roma>  de*  quali  in  qualche 
maniera  si  può  avere  la  misura  :  e  sono  il  Massi- 
mo ,  il  Vaticano  ,  e  V  Agonale  ,  dove  ora  è  piaz- 
za Navona  .  Quella  del  Massimo  V  abbiamo  tolta 
dal  Nardini  Uh.  7  cap.  2.  ;  quella  del  Vaticano  dal 
Fontana  II  Tempio  Vatic.  pag.  28  e  89  ;  quella 
dell  Agonale  V  abbiamo  presa  noi  sul  luogo ,  per 
non  fidarci  di  quella  data  dal  Padredio  ;  riducen- 
do però  a  tesa ,  che  vale  sei  piedi  francesi ,  o  sia 
palmi  romani  otto  e  tre  quinti ,  le  canne  del  Nar- 
dini ,  e  i  palmi  del  Fontana .  Avranno  dunque  il 
Circo  Massimo  ,  larghezza 

lunghezza 
Circo  dì  Caracolla ,  larghezza 

lunghezza 
Circo   Vaticano  ,  larghezza 

lunghezza 
Circo  Agonale  t  larghezza 

lunghezza 


.    i 

lese     96     5 

.   . 

.    40    4 

.  247  — 

.    26    4 

.  x54    4 

.    27    4 

,    .  i3o  — . 

/ 

X    33r    )( 

Quindi  ognun  vede  la  maggiore ,  o  minore 
grandezza  di  tutti  quattro  .  Quello  di  Caracolla 
dunque ,  essendo  il  più  grande  dopo  il  Massimo  , 
e  non  molto  meno  di  esso ,  era  un  gran  Circo .  Su 
questo  paragone  vi  è  da  fare  una  più  rimarchevole 
osservazione  riguardo  alle  carceri  di  ciascun  Cir- 
co ;  cioè ,  se  in  tutti  potessero  essere  veramente  dó- 
dici; e  se  erano  tante,  come  fossero  capaci  di 
una  quadriga  .  Se  il  nostro  Autore  ha  osservato  , 
che  quelle  del  Circo  di  Caracolla  erano  precisa- 
mente capaci  di  una  quadriga ,  e  di  un  cavallo 
sciolto  ;  come  questi  avrebbero  potuto  aver  luogo 
nei  due  Circhi  più  piccoli  ?  Il  Fontana  in  quella 
pianta  del  Vaticano  non  ne  mette  ,  che  sei ,  non 
so  per  qual  ragione .  Neil'  Agonale ,  che  era  pia 
coreo ,  ma  più  largo ,  si  stenderebbe  a  trovarvi  una 
giusta  capacità  per  dodici  carceri  da  contenere  qua- 
drighe .  Per  la  direzione  di  esse  retta ,  ovvero  obli" 
qua  ,  come  nel  Circo  di  Caracolla,  non  possiamo 
assicurarne  cosa  alcuna  ,  Nel  Massimo  soltanto  si 
potrebbe  rilevare  giustamente  con  uno  scavo  ;  peroc* 
che  sotterra  ne  esistono  in  gran  parte  gli  avanzi . 


JO  E  S  CRIZIONE 

DELLA  PIANTA  DEL   CIRCO, 

FlG.  1.  £.  primi  numeri  arabici  indicano  le  tese  ;  i 
secondi  ,  e  i  terzi ,  distinti  da  imo ,  e  da  due  accen- 
ti ,  o  tratti ,  indicano  i  piedi ,  e  i  pollici ,  misura  di 
Francia . 

LL   Torri  dell'  oppido  . 

BBB  Carceri  in  numero  di  XII. 

I  Porta  in  mezzo  alle  carceri . 

HH  Forte  fra  le  torri ,  e  i  lati  del  Circo . 

FF  Portico ,  o  androne  con  scalette ,  che  dallo 
stesso  portico  davano  accesso  ai  soprapposti  gradi . 

K  Porta  libitinaria ,  o  sandapilara ,  per  cui  si 
trasportavano  fuori  dal  Circo  i  cadaveri  di  coloro  , 
che  fossero  restati  morti  nei  giuochi .  JNkm  sappiamo 
con  qual  fondamento  il  Fabretti  (a)  collochi  sopra 
questa  porta  un  terzo  pulvinare  ,  che  chiama  podio 
falsamente ,  del  quale  non  si  può  trovare  alcun  prin- 
cipio nei  muri ,  che  ancora  sussistono  ;  e  non  par 
verisimile,  che  sotto  al  pulvinare  del  principe,  e 
sotto  i  suoi  occhi  si  facessero  passar  cadaveri . 
>  K  i  Pulvinare  ,  o  loggia  ,  dove  stava  il  princi- 
pe a  vedere  i  giuochi  . 

G  Porta  trionfale  d'  ingresso  nel  Circo  , 

G  i  Altro  pulvinare  del  principe,  vicino  alle  me- 
te ,  ove  era  il  termine  delle  corse . 

G  2.  G  2.  Fabbriche  ,  le  quali  davano  accesso 
privato  dal  palazzo  imperiate  al  Circo  .  Si  può  cre- 
dere ,  che  il  pian  terreno  ,  il  quale  contiene  alcune 
camerette  ,  servisse  di  abitazione  a'  famigliari  del 
principe .  Il  materiale  di  questo  piano  è  a  cortina  ; 
e  la  di  lui  opera  interna  è  di  selci ,  come  il  basa- 
mento del  vicino  sepolcro  di  Cecilia   Metella  .   ed  al- 


(a)  De  Col.  Traj.  Synt.  cap.  6  pag.   i4-8. 


)(  333  )( 
tre  fabbriche .  La  pai  le  superiore ,  che  avrà  com- 
posta una  lunga  galleria  ,  la  quale  melteva  al  piano 
del  pulvinare  ,  era  d'  opera  simile  a  quella  dei  Cir- 
co ,,  per  quanto  si  vede  dall'  avanzo  circolare  di  es- 
sa ,  e  dalla  rotonda  cella  annessa  al  pulvinare  . 

G  3  Adito  ,  che  conduce  ad  alcune  camerette  , 
la  struttura  delie  quali ,  ora  in  molti  luoghi  priva 
dell'  intonaco  ,  è  di  reticolato  misto  di  cortina  .  Sui- 
T  intonaco  ,  grosso  in  alcuni  luoghi  più  d'  ur\  polli- 
ce ,  e  fatto  di  tre  strati  ,  incluso  1'  ultimo  di  stuc- 
co,  e  polvere  di  marmo,  ben  conservato,  e  assai 
liscio ,  come  la  nostra  scajola ,  si  vedono  ancora 
molti  avanzi  di  pitture  alquanto  svanite  ,  di  medio- 
cre stiìe  ,  fatte  con  riquadri  di  linee ,  o  con  colon- 
ne sottilissime,  arabeschi,  e  simili  chimere,  come 
quelle  d'  Ercolano ,   ed   altre  . 

G  4  Camera  della  natura  delle  suddette  ,  pure 
dipinta  sullo  stesso  gusto .  Nel  fondo  della  camera 
incontro  alla  porta,  è  siondalo  il  pavimento;  né  ben 
si  capisce  se  vi  fosse  tal  apertura  da  tempo  anti- 
co .  E'  bensì  vero  ,  che  per  questo  ingresso  si  tro- 
va subito  una  scala  ,  che  conduce  a  dei  sotterranei . 
Alla  metà  forse  di  essa ,  lateralmente  vi  sono  due 
fori,  scavati  nel  tufo,  uno  in  faccia  all'  altro.  Quello 
di  mano  dritta  pare  un  corridore  ,  ove  nei  lati  si 
vedono  i  buchi ,  o  loculi  per  riporvi  cadaveri ,  come 
nelle  catacombe  .  Per  la  quantità  de'  rottami  ,  e  ac- 
qua non  si  può  vedere  fin  dove  conduca:  cosi  e  dei 
fondo  della  rovinata  scala  ,  anch'  essa  scolpila  nel  tu' 
f o  .  Chi  sa  ,  che  non  comunichino  cogli  altri  vicini 
sotterranei  ,  e  colle  catacombe  ?  A  mano  manca  i'  al- 
tro foro  conduce  ad  un  colombajo  ,  che  ha  sei  nic- 
chie pure  per  loculi  ,  e  sarcofagi  ;  trovandovisi  anco- 
ra dei  pezzi  di  rottami  di  marmo  bianco  .  Il  qua- 
drato interno  del  colombajo  è  di  cinque  braccia  ,  ed 
è  parimente  scolpito  nel  tufo;  eccettuate  le  sponde, 
e  Ae  volte  delle  tre  nicchie  di  sotto,  e  la  volta  del- 
l' ingresso  ,  che  sono  di  mattonato ,  in  qualche  parie 


)C    334    )( 

stabilito  di  buona  calce  .  Abbiamo  volentieri  segnato 
nella  pianta  questo  sotterraneo  ,  perchè  forse  era  igno- 
to ,  e  non  marcato  dall'  Arringhio ,  né  dagli  altri  > 
che  descrivono  le  catacombe. 

E  i  E  2.  Tempietti ,  su'  quali  erano  le  mete  . 

DD  Aggere ,  o  spina ,  nel  cui  mezzo  vedesi  la 
pianta  dell'  obelisco . 

AAA  Arena  . 

yy  Punto ,  dove  varia  la  natura  dei  materiale  > 
e  la  impqgte  della  volta  . 

z  i  z  2.  La  prima  di  queste  scalette  ,  che  manca 
di  vomitorio ,  pare  evidente ,  che  servisse  per  chi 
dall'  arena  voleva  andare  su  i  gradi  del  Circo  .  Ne- 
gli scavi  fatti  espressamente  non  abbiamo  trovati  ì 
giardini,  che  dal  ripiano  della  scaletta  andassero  nei- 
1'  arena  .  Erano  forse  questi  amovibili,  e  di  legno? 
La  seconda ,  che  ha  il  vomitorio  ,  è  pure  aperta  nel 
«lavanti  ;  cioè  non  continua  il  parapetto  delle  scaie  a 
chiudere  il  ripiano  :  e  pare ,  che  da  questo  si  do- 
vesse andare  neli'  arena  .  Né  qui  parimente  abbiamo 
trovato  i  necessarj  gradini  per  discendervi .  Chi  sa-, 
che  molte  altre  scalette  non  avessero  l' accesso  nel- 
1'  arena ,  in  cui  non  avendo  trovato  traccia  d' euri- 
po ,  sembra  che  non  fosse  destinato  il  Circo  agli 
spettacoli  venatorj  ,  ma  ai  soli  atletici ,  e  di  corse  . 
In  tal  supposizione  non  sarebbero  stati  mal  a  pro- 
posito gli  aditi  dall'  arena  ai  gradi  degli  spettatori  . 
Considerando  bene  anche  all'  intorno  del  Circo ,  non 
abbiamo  potuto  trovare  indizio  d'  acqua  ,  o  di  acque- 
dotto ,    che    ve   la   portasse    per   allagare    l'euripo  . 

*  Questo  asterisco  segna  l'  angolo  ottuso  rien- 
trante del  lato  destro  del  Circo  ,  nei  punto  ,  dove 
s' incontra  la  linea  punteggiata  M  P  ,  che  segna  il 
principio  della  corsa  ;  siccome  la  linea  opposta  P  D , 
ne  è  il  termine  . 

FiG.  li.  Fabbrica  quadrata  appartenente  al  Cir- 
co ,  lungo  la  via  Appia  ,  che  noi  chiameremo  Cor- 
tile ,  per  non  sapere  qual  altro  nome  darle .  Serviva 


)(  335  )( 
probabilmente  per  rimettervi  le  carrette  circensi.  Il 
modo  di  fabbricare  è  lo  stesso  ;  e  mostra  di  essere 
lavoro  d'  un  tempo  medesimo  col  Circo  ,  ed  altre 
fabbriche  adjacenti .  Il  Serlio ,  che  1'  ha  data  incisa 
forse  il  primo  (a) ,  e  il  Palladio  (b)  rappresentano 
ogni  arcata  aperta  verso  il  di  dentro  ;  ma  noi  le 
abbiamo  trovate  tutte  chiuse  da  un  pluteo  alto  otto 
piedi ,  ed  in  alcune  meno ,  fuorché  nei  luoghi  segnati 
nella  pianta ,  che  crediamo  fossero  aperti ,  parendo 
«juasi  necessario ,  che  alnreno  nella  parte  di  mezzo 
avessero  comunicazione  col  cortile  ;  tanto  più ,  che 
non  vi  abbiamo  trovato  avanzo  del  pluteo  ,  e  i  pi- 
lastri laterali  sono  tutti  rovinati .  Neil'  interno  fra  I 
due  muri  maestri  era  aperto ,  e  comunicante  dal 
principio  al  fine  tutto  intorno;  di  modo  che  le  car- 
rette entrando  per  una  porta ,  potevano  girare  den- 
tro ,  e  uscire  per  l' altra .  Nel  muro  esterno  ,  oltre 
due  aperture  a  guisa  di  porticelle  ,  v'  è  una  porta 
grande  verso  le  carceri ,  dalla  quale  forse  uscivano 
le  carrette  ,  che  doveano  correre  nel  Circo .  Il  por- 
tico anteriore  sulla  strada ,  non  esistendo  più  ,  si  è 
lasciato  nella  pianta,  come  il  nostro  Autore  lo  aveva 
copiato  dal  Serlio  ,  e  dal  Palladio ,  al  tempo  dei  quali 
forse  ne  esistevano  gli  avanzi.  E'  supponìbile  che  le 
stanze  ,  che  vi  sono  ,  abbiano  servito  per  abitazione 
del  custode  ,  o  d'  altre  persone  ,  che  avevano  inge- 
renza in  questo  luogo  .  Ove  è  la  lettera  e ,  s' indi- 
ca ,  che  vi  è  una  scala  antica »  che  guida  a  dei  sot- 
tefanei ,  nei  quali  non  abbiamo  potuto  penetrare , 
per  1'  acqua  onde  sono  ripieni .  Il  muro  circondario , 
che  ancora  esiste  ,  e  per  conseguenza  i  pilastri  cor- 
rispondenti nell'  interno  ,  sono  assai  alti ,  e  grandiosi . 
A  Cortile  del  vignajuolo  custode  del  Circo ,  a 
cu*  si  perviene  per  la  strada  punteggiata  .  Fra  gli 
avanzi  dell'  antica  fabbrica ,  che  esistono  ancora  nel- 
1'  annessa  casa  del  suddetto  custode ,    segnata  a  ,    si 


fa)  hib.  3  pag.  6q.         (b)  Lifc  4  caP>  22< 


X  336  )( 
osserva  quasi  intiero  il  pavimento  di  mattoni  lunghi 
due  pollici ,  posti  a  spiga  ,  detti  perciò  opus  spìca- 
tum  (a)  ,  come  si  vedono  nei  così  delti  Bagni  di 
Baoio  Emilio  ,  o  Calcidica  del  Foro  di  Trajano  ,  e 
in  tante  altre  antiche  fabbriche  .  Da  ciò ,  e  dal  muro 
segnato  b  ,  che  in  pianta  chiude  la  cella ,  fatto  a 
reticolato  ,  rilevasi ,  che  questa  era  una  fabbrica  an- 
teriore alio  stesso  gran  cortile  .  Il  Serlio  ,  e  il  Palla- 
dio fanno  un'  altra  stanza  in  quest'  angolo ,  e  nel!'  op- 
posto ;  ma  non  vi  e  stata  mai . 

BB  Cavedio  ridotto  ora  a  vigna  . 

C  Tempio  ,  creduto  circense  . 

D  Sepolcro  creduto  della  famiglia  Servilia,  Forse 
perchè  Cicerone  ricorda  (£)  il  sepolcro  di  quella  fa- 
miglia in  questi  contorni  ,  tra  quelli  degli  Scipioni  , 
e  dei  Metelli .  Ma  come  si  è  sbagliato  fino  al  1780 
per  quello  degli  Scipioni ,  che  si  credeva  altrove  , 
ove  non  era;  così  potrebbe  avvenire  di  questo  dei 
Servilj ,  se  se  ne  trovassero  documenti  in  qualche  al- 
tro luog©  E'  chiaro ,  che  questo  fosse  un  sepolcro , 
osservandovi^  ancora  il  luogo  per  un'  urna  sepolcra- 
le ,  e  per  olle  a  modo  di  colombajo  .  L' interno  di 
esso  era  dipinto  a  ornati ,  con  degli  stucchi  delicati , 
e  leggieri  .  Riceveva  lume  da  due  piccole  finestrelle 
nel  lato  destro ,  e  sinistro  sopra  i  loculi .  Un  piccolo 
corridore  divideva  il  muro  esterno  dall'interno,  che 
non  erano  dipinti .  Quando  fu  fabbricato  P  annesso 
cortile  fu  lasciato  in  piedi,  forse  per  non  violare  un 
sepolcro  ,  addossandogli  soltanto  il  muro  .  Il  mate- 
riale è  di  buona  calce,  e  tufi  ,  incrostato  internamente 
con  calce  bianca  ,  e  stucco  per  ogni  intorno  . 

E  Via  Appia . 


(a)  Vedasi  Winkelm.  Storia  delle  arti  del  dis> 
Tom.  III.  pag.  39. 

(b)  Tuscul.  quaest.  Uh.    1  cap.  7. 

FINE   DEL  IV.,  ED   ULTIMO   VOLUME, 


INDICE 

DI  CIO',  CHE  SI  CONTIENE 
NEL  VOLUME  QUARTO . 


JJjlogìo   del  Consigliere  Giovanni  Lodovico 

Bianconi                                                   Pag.  III. 
POESIE    VARIE 

Canzone  :  Arcadi  Selve  eg.                                 »  5 

Sonetto  ;  Libico  Augel                                         »  1 1 

Sonetto  :  Al  Tempio  tuo                                      »»  iz 

Canzonetta  :  Guardami  in  volto                          i>  i3 

Sonetto  :  Pur  troppo  io  lessi                                »  17 

Viaggio  a  Roma  a  Dori  dama  Veronese       »>  18 

LETTERE    VARIE 

Lettera  1.  al  Conte  Algarotti  »     35 

Lettera  IL  »     38 

Lettera  III.  t»     £t 

Lettera  scritta  da  Perugia  al  sig.  abate  Carlo 
Bianconi  in  Roma ,  nella  quale  si  danno 
notizie  intorno  alla  vita  di  Raffaello  da 
Urbino  »     47 

Lettera  al  sig.  Canonico  Reginaldo  Sellari  ea. 
nella   quale  si   dà   la   spiegazione  d  una 


X    338    )( 
iscrizione  trovata  in   un   sarcofago   d  A- 
quileja  »      61 

Lettera  I.  al  sig.  Marchese  de  Venuti  ec.  in- 
torno V  urna  cineraria  ,  ed  iscrizione  se- 
polcrale di  Li  villa  Jìglia  di  Germanico 
Cesare  trovate  presso  il  Mausoleo  di  Au- 
gusto tt     70 

Lettera  II.  al  medesimo  ,  in  cui  si  dà  conto 
del  sepolcro  di  Druso,  figlio  unico  di  Ti- 
berio Imperatore ,  disotterrato  Jra  le  ro- 
vine deir  antico  tylausoleo  d'  Augusto       »     77 

Lettera  IH.  allo  stesso ,  in  cui  si  parla  di  tre 
cippi  di  travertino,  innalzati  alla  memo- 
ria de  tre  figliuoli  di  Germanico  Cesa- 
re ,  e  di  Agrippina  trovati  nel  medesimo 
luogo  »     87 

Lettera  al  sig.  abate  Tommaso  Puccini  sopra 
di  un  passo  di  Plinio  ,  che  sembra  indi- 
care assai  chiaramente ,  che  la  stampa 
delle  figure  fosse  conosciuta  dagli  anti- 
chi »     94 

Biglietto  al  sig.  abate  Gian- Cristoforo  Ama- 
duzzi  sopra  di  un  Erma  singolare ,  anzi 
y.nica  di  Pericle  trovata  di  fresco  a  Ti- 
voli ,  e  quindi  trasportata  al  Museo  Va- 
ticano »   102 

Lettera  al  sig..  don  Antonio  di  Gennaro  so- 
pra il  sepolcro  degli  Scipioni  scoperto  non 


)C    339    )( 
ha  guari   accidentalmente   in    una   vigna 
presso  porta  s.  Sebastiano  »   108 

Lettera  confidenziale  delV  Antologìa    olle  Ef- 
femeridi letterarie  di  Roma  »    120 

Risposta  delle  Effemeridi   letterarie    di  Roma 

alla  Lettera  confidenziale  delV  Antologìa  v   12S 

Sentenza  definitiva  di  Apollo  sulle   controver- 
sie insorte  nelV  anno  scorso  fra  V  Effeme- 
ride e  V  Antologìa  tt   i35 
ARTICOLI  DI    VARIO   GENERE. 

Pitture  antiche  trovate  nella  vigna   Laureti   a 

s.  Pietro  in  Vincola                                     i>  i43 
Pezzi  varj  d  Antichità  ritrovati  in  Francia  »  147 
Piramidi  d  Egitto                                               »  i5x 
v  Storia  e  costumi  degli  abitanti  della  Scozia  »  i56 
Storia  di  un  Selvaggio  ritrovato  nelle  vicinan- 
ze d}  Asti  in  Piemonte                                »  160 
Sopra  r  inoculazione  del  Vajuolo                      »  i63 
Osservazioni   sul  Terremoto  di  Bologna          »  172 
Descrizione  de'  Circhi  particolarmente  di  quel- 
lo di  Caracolla ,  e  dei  giuochi  in  essi  ce- 
lebrati.                                                         v  187 
Lettera  diretta  alVAb.  N.  2V.                            »  I 
Ai  Lettori  dell'  Opera  Circense                        n  il 
Cap.  I.    Origine  Etrusca    dei  Giuochi  Circen- 
si ,  e  loro  principio  in  Roma                    »  19^ 
Cap.  II.  Dei  varj  Circhi  dell  antica  Roma    »  197 
Cap.  III.  DelV  uso  dei  Circhi ,  e  delle  cagioni 

della  loro  distruzione                               «  208 


)(    34o    )( 
Gap.  IV.  Pianta  dei  Circhi  in  generale  ?'  2i4 

Cap.  V.   Dei  lati  esterni  y  ed  interni  del  Cir- 
co ,  e  di  ciò  che  loro  apparteneva  »»  218 
Cap.  VI.  Dell'  Oppido                                         »  249 
Cap.  VII.  Della  opina  ,  e  dell*  Arena  »  a56 
Cap.   Vili.  Dei  Giuochi  Circensi  in  particolare  , 
e  della  pompa ,  che  si  premetteva  alla  so- 
lennità di  essi  »»  276 
Cap.  IX.  Della  Corsa  »  290 
Cap.  X.  Esame  particolare  della  Corsa  secon- 
do la  disposizione  delle  Carceri  nel  Cir- 
co di  Caracolla                                             »  3i8 
Descrizione  della  Pianta  del  Circo                  »  33s 


sas 


■**■  ,"-, 


%aJnéa    cleL  I  ivco   \ 
vtcuio  a   C  \e,bcifticLrLo  '; 
cl   es(ctMas7n  e  rute,  ■  iz&ll&  A, 
cAe,  /lcl  Icùfciato  iLK  fo  ixfit. 


V 


#o  Oo 


Lil 


UNIVERSA 


OF0.LINOIS 


URBANA 


3  0112  057780121 


■ 


•^u 


m 


<?/ 


ì'VViT 


V  * 


1* 


'vTR 


.   p