'iililPfiÌiÌ(;Ì»ÌÌliÌ
Trrr,
HANDBOUND
AT THE
UNIVERSITY OF
TORONTO PRESS
i^ry
ARCHIVIO STORICO LOMBARDO
Whivio storico
LOMBARDO
GIORNALE
DELLA
SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
SERIE QUARTA
VOLUME III — ANNO XXXII
438717
l'3- te 43
MILANO
SEDE
DELLA SOCIETÀ
Castello Sforzesco
LIBRERIA
FRATELLI BOCCA
Corso Vitt. Em., 21
1905
La proprietà letteraria è riservata agli Autori dei singoli scritti
PS
657
Al
Ouuo 2 2.
Milano - Tip. L. F. Cogliati - Corso P Romana, 17
LA PARTE INEDITA
del più antico codice statutario bresciano (*)
Sommario. § I. Introduzione. — § II. Ricerche precedenti intorno agli statuti
bresciani. — § III. Descrizione dei due codici statutari del XIII secolo. —
§ IV. Ordine delle disposizioni nel codice statutario completo. — § V. La parte
inedita e sua importanza. (Attività legislativa della società dei mille e delle
associazioni popolari. Le fazioni bresciane. Norme varie di diritto pubblico
ed amministrativo. Statuti contro i ribelli di Valcamonica. Gli statuti della
gabella. Le consuetudini. L'ordinamentum ingrossatorum ed il sa-
cramentum extimatorum. Gli statuta clausorum). — § VI. Ca-
pitoli pubblicati in altre opere e collazione della parte inedita con lo statuto
del 1313.
§ I. Da molti anni campo ricchissimo di ricerche oltremodo
interessanti sono gli statuti dei nostri comuni medievali, fonti
preziose per la storia del diritto italiano. Fra i più antichi ben
pochi sono quelli che rimasero finora^ dimenticati nei polverosi
archivi, poiché quasi tutte le città sentirono alto il dovere di trarre
(*) Sento l'obbligo di ringraziare vivamente l'avv. Livio Tovini di Brescia
che volle, con grande cortesia, non potendo recarmi tanto spesso in quella città,
aiutarmi nel presente lavoro. Infatti la parte inedita del più antico codice sta-
tutario bresciano venne da lui esattamente copiata e sarebbe pronta per la stampa,
se qualche Istituto ritenesse opportuna tale pubblicazione. Così pure la collazione
della parte inedita con lo statuto del 1313 (a p. 39), lavoro lungo e paziente,
venne del tutto compilata dall'avv. Tovini. — Devo altresì ringraziare il prof. Gar-
belli della Queriniana di Brescia per la squisita gentilezza con la quale volle
aiutarmi nelle presenti ricerche.
M. Roberti.
Ó M. ROBERTI E L. TOVINI
dall'oblìo que' venerandi monumenti della sapienza e della pratica
esperienza dei nostri maggiori (i).
Però in quella, vera febbre di ricerca che, specialmente or fa
un ventennio, si accese fra gli studiosi della storia medievale
italiana, non tutte le edizioni degli statuti vennero condotte con
l'accuratezza, eh' è doverosa sempre, ma tanto più nella pubblica-
zione di opere di così grande mole. Talvolta (ciò però ad onor
del vero accadde ben di rado) l'edizione riuscì mancante sia dal
lato paleografico, sia per difetto di note storiche o giuridiche ;
oppure, cosa ancor più grave, venne quasi scelta a caso, senza
una opportuna critica dei vari manoscritti esistenti, e pubblicata
una copia di un codice statutario, reputato il più antico, ed invece
scorretto, o monco, od incompleto; così che l'opera, la quale era
stata con tanta fatica condotta a termine, finiva per portare sia
pur sempre un utile contributo, ma tuttavia ben limitato alla co-
noscenza di quella speciale legislazione statutaria.
Questo avvenne appunto, per una disgraziata vicenda di cose,
riguardo all'edizione degli statuti bresciani, pubblicati nel 1876
nel volume XVI dei Monumenta historiae patriae, sopra un esem-
plare tutt'altro che completo ; così che oggi sarebbe invero degna
opera scientifica il poter integrare tale pubblicazione, presentando
ai cultori delle storiche discipline ed in particolare agli studiosi di
storia del diritto, l' intero testo del codice statutario bresciano del
XIII secolo.
Ci si permetta intanto con questa breve dissertazione, dopo
di aver accennato ai vari scrittori che si occuparono dell'argomento,
di porre tra di loro a confronto i due codici che si conservano
nella biblioteca Queriniana di Brescia, facendo così notare al cor-
tese lettore l'importanza della parte inedita del più antico codice
statutario bresciano. Troppo spesso critici stranieri e nazionali
esprimono quasi il loro disgusto riguardo alle edizioni dei nostri
monumenti, che non riescono talvolta invero degni della scienza
italiana, e se ciò suona come un monito per il futuro, deve pure
(i) Fra gli statuti ancor inediti e che meriterebbero davvero di essere pub-
blicati, ricorderemo gli statuti antichi di Treviso, che si conservano nelle due bi-
blioteche comunale e capitolare ; gli statuti di Ferrara, la cui edizione rimase
sfortunatamente interrotta, e il codice carrarese della biblioteca civica di Padova,
che contiene numerosi capitoli inediti della fine del sec. XIII.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 7
spingerci ad un lavoro di revisione, vero atto di carità patria, per
correggere gli errori nei quali, forse per semplice inavvertenza,
sono caduti coloro che ci hanno preceduto.
§ II. Il primo che fece conoscere gli statuti di Brescia fu l'Odo-
rici, scrivendo la storia di quella città. Al testo egli volle unire la
maggior parte dei documenti citati, ed ancor inediti ; ma essendo
quasi impossibile inserire nell'opera tutti gli statuti bresciani, ne
pubblicò qualche breve tratto, riassumendo, per sommi capi, il
contenuto del codice, detto erroneamente del 1277. Il dotto scrit-
tore, nelle brevi parole d' introduzione, non accennò ai vari codici ;
ma notò soltanto che i capitoli di quel codice che aveva esaminato,
e dal quale aveva tratto alcuni frammenti, contenevano leggi diver-
sissime, agglomerate alla rinfusa, senza ordine di data, da diverse
commissioni elette a rivedere e riformare quelle già in vigore ; e
che per tali successivi rimaneggiamenti ne era uscito un caos di
consuetudini, di leggi, di statuti, di promissioni scritte in epoche
varie e di vario argomento (i). Alcuni anni più tardi egli si ac-
cinse a completare il disegno, da tanto tempo ideato, di una edizione
degli statuti del sec. XIII e di quelli del 1313; ma, per un caso stra-
nissimo, e di cui non si deve certo all' Odorici attribuire la colpa,
l'edizione ebbe a riuscire monca ed incompleta.
11 Rosa, nome ancor questo ben noto ai cultori dei nostri studi,
se attese nei suoi lavori di storia bresciana e nell'altra sua opera
Feudi e Comuni a tessere un completo racconto delle vicende del
comune di Brescia, valendosi abbastanza largamente delle fonti
statutarie, non sottopose mai ad una critica minuta i codici bre-
sciani più antichi, ad altri lasciando tale lavoro (2). Egli avrebbe
allora facilmente evitato al Lodrini e al Da Ponte l'errore nel quale
caddero, quando essi si prestarono « a pazienti e minutissimi ri-
« scontri sui codici dell'Archivio cittadino, lenta ed ardua im-
« presa » (3) ; forse troppo ardua, perchè essi, pure accorgendosi
che r Odorici compieva la sua pubblicazione sopra un codice in-
completo del XIII secolo, e conoscendo l'altro esemplare sincrono
(i) Odorici, Storie bresciane^ Brescia, Gilberti, 1854, voi. VII, p. 104 sgg.
(2) Rosa, Statuti di Brescia nel medio evo, in Arch. star, itaì., to. X, par. II,
P. 54 sgg.
(3) M. H. P., cit., prefazione dell'Odorici a p. [1584] 42.
8 M. ROBERTI E L. TOVINI
del tutto completo, non ne fecero caso, ritenendo forse quello molto
più antico di questo.
Ricorderemo ancora, così alla sfuggita, John Milton Gitterman
per avere pubblicato, in un breve lavoretto, la vita di Ezzelino da
Romano, con documenti tratti dallo statuto completo del XIII se-
colo (i). Notizia più larga merita invece l'opera di Andrea Valen-
tini. Questo diligentissimo raccoglitore delle notizie storiche cit-
tadine, in un lavoro specialmente critico, dopo di aver accennato
alle vicende delle leggi municipali bresciane, rilevò l'errore nel
quale era incorso involontariamente 1' Odorici, pubblicando gli sta-
tuti che formano oggetto di questa breve dissertazione. Il Valen-
tini, dopo un lungo esordio, descrive brevemente i due codici più
antichi che si conservano nella biblioteca civica Queriniana di Bre-
scia, segnati nn. 3 e 4, ambedue contenenti gli statuti del XIII se-
colo; affermando che il secondo è completo, mentre è incompleto
l'altro che servì per l'edizione dei Monumenta. Riassume quindi,
dopo aver accennato al codice n. 5 del 1313, edito pure dall'Odo-
rici, i codici ancor inediti del 1355 (n. 6) di Bernabò Visconti ; quello
del 1355 (n. 7) di Gian Galeazzo Visconti; nonché il codice statu-
tario del 1429, del quale si giovò il Ferando per pubblicare gli Statuta
civitatis Brixiae del 1473, oggi rarissimi. Oltre poi che arricchire il
suo lavoro di documenti inediti, come lo statuto contro i ribelli di
Valcamonica (cod. n. 4, e. 129 v.) del 1288, la pace « Inter intrin-
u secos et extrinsecos brixienses » del 1317 (cod. n. 6, e. 115),
l'estimo del comune di Brescia del 1385, collazionò altresì con op-
portuni confronti molti capitoli dei vari codici, chiudendo questa
operetta con una ricca bibliografia di tutti gli statuti dei paratici
bresciani.
Per ultimo il Lattes, il quale nei suoi primi lavori non rilevò
l'equivoco nel quale era caduto 1' Odorici (3), nel suo completo e
diligente studio intorno al diritto consuetudinario delle città lom«
(i) Eielin voti Romano, Stuttgart, 1890. La trascrizione del documento pub-
blicato venne compiuta dal Valentini.
(2) Valentini, Gli statuti di Brescia dai secoli XII al XV ili., in Nuovo Ar-
chivio veneto, XV, 1898, p. 370; XVI, p. 188.
(3) A. Lattes, Il diritto comm. nella legisl. statutaria, Milano, U. Hoepli,.
1884, p. 9 ; Intorno al diritto consuet. delle città lomh., in Rend. R. Ist. Lomb.,
serie II, voi. XXVII, 1895.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 9
barde, pubblicando le Consuetudini di Brescia (le quali si trovavano
ancor in gran parte inedite nel manoscritto completo del sec. XIII,
mentre mancavano del tutto nell'altro codice della stessa epoca)
notò come il codice n. 4 fosse per una parte rilevante ancor ine-
dito e come V Odorici avesse fatto uso per la stampa degli statuti
bresciani di una copia posteriore, piena di errori e di lacune. De-
scrisse altresì, per quanto brevemente, il codice ; ammettendo che
fosse stato compilato nel 1298; ma, eccetto tale fuggevole accenno,
non si occupò della parte inedita, uscendo tutto ciò dal suo interes-
sante argomento (i).
§ III. Gli statuti bresciani del sec. XIII sono, come abbiamo
accennato, contenuti in due codici, l'uno completo, con gravi lacune
invece il secondo. L'esemplare incompleto (segn. n. 3), benissimo
descritto dal Valentini, è un volume di 105 carte pergamenacee e
13 cartacee ; misura cm. 30 :x 32, è legato in pergamena, e porta
il titolo u Statuta civitatis Brixie ». 11 carattere è gotico, minu-
scolo ; r inchiostro è ancor nero, le iniziali sono in rosso ed in
azzurro ; manca però il titolo dei libri e dei singoli capitoli. An-
darono perdute di questo codice molte carte; in parecchie qualche
tratto venne raschiato in modo da lasciare delle parole appena la
traccia. Esso, sebbene ritenuto il più antico codice statutario bre-
sciano (2), non è che una copia del codice n. 4, del quale venne
tralasciata tutta la parte scritta in rosso, come chiaramente dimo-
stra il confronto dell' indice del secondo libro, che più innanzi pub-
blichiamo. Ben poco riuscirebbe certo a capire da questo manoscritto
chi volesse ricercare soltanto in esso la storia delle varie reda-
zioni statutarie bresciane. Più rilevante invece riuscirà la descri-
zione del codice completo.
È questo un volume in fogUo, legato come il precedente, in
pergamena ; composto di 188 carte, capaci ognuna di circa 36-38
linee : misura cm. 41 x 29 ; gli statuti sono scritti in un nitido ca-
rattere elegante, gotico minuscolo, proprio della fine del XIII secolo.
Come osservò già 1' Odorici, l'ordine numerico degli statuti e
delle pagine fu segnato più tardi ; infatti l' inchiostro adoperato in
(i) A. Lattes, // diritto consueta delle città lomh., Milano, U. Hoepli, 1898.
(2) Valentini, Gli statuti cit., p. 31: « questo è creduto il più antico co-
« dice degli statuti che ora esista ».
IO M. ROBERTI E L. TOVINI
tale posteriore lavoro ha una tinta che ha perduto assai della sua
primitiva vivacità. Ben a ragione si può presumere che il mede-
simo scrittore che fece tale numerazione (o almeno uno scrittore
della stessa età) abbia aggiunto in calce ad alcuni capitoli le di-
sposizioni più recenti che si leggono trascritte alla lettera nel co-
dice del 1313 (i); disegnando altresì nel margine di molte pagine
delle figurine (dadi, forche, vesti, croci, ecc.) le quali dovevano
offrire al lettore una materiale spiegazione della legge cui esse si
riferivano.
Il codice sul dorso porta scritto: « Statuto dal 1292 al 1298 »,
ed in carattere moderno: « Anno 1277 ». Questa seconda data
parve certa a molti studiosi, che vennero evidentemente tratti in
errore dal seguente proemio, pubblicato sia dall' Odorici, che dal
Valentini, in modo non però del tutto esatto, e che si legge, scritto
in rosso, a e. io del codice stesso :
« Hec statuta comunis brixie de latibulo confussionis exposita
« claritati. Seiuncta siquidem (correz. post, in inch. nero e caratt.
« cors. qua) erant olim statutorum membra que pertinere nosce-
n bantur ad idem et sparsum (corr. sparsim) locata per varias libri
« partes unde (corr. itaqué) grosine (corr. sine) tediosa concaucio-
« nis (?) indagine veritatis integritas non potuit (corr. poterai) repe-
« riri. Contrarietatis (corr. contrarietas) etiam et aet (?) (cane, post.)
« diversitas in quibusdam que (cane, post.) legencium mentes ad-
« versis (corr. diversis) dubitationibus impugnabat. Insuper quod
« (corr. que) obscuritati porrigebat (corr. porrigebant) augmentum,
« iuncta simul erant utilia cum superfluis et approbata Consilio cum
« cassatis. Et sic predictis occassionibus qui querebant in statuto
« aliquid, velut per nemus termitate (sic) carens ancipites vagabun-
« tur (corr. vagabantur). Sed resecatis que superfluitas viciabat, eli-
« minatis (corr. claritatis) que consilium robore denudavit, contri
« rietatis oppugnatione sublata, singulisque pertinentibus ad ean-
« dem materiam sub titulis competentibus laudabiliter agregatis,
a certe dispositionis ordine, quo via facilitatis adquirenda tribuitur,
« prout linquet inspicientibus, statuta ipsa dispositione, sunt debite
(i) Così ad esempio il tratto a e. 16 del cod. n. 4, dalle parole : « et quod qui-
« libet potestas » alle parole : « ipso facto et ipso iure », aggiunto nel margine,
è riprodotto alla lettera nel codice del 1 3 1 3 .
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. II
u ordinata (agg. post, per infrascriptos dominos statutarios ad hoc
u electos servatis solepniter opportunis. Nomina quorum sunt hec)
« anno domini Millesimo CC.LXXVII (corr. CCLXXXXVIII) in-
« die. quinta (corr. ind. XI) (i).
A questo proemio, come ben si vede, non troppo corretto,
fanno seguito alcuni versi, pubblicati pure dal Valentini, rimati a
due a due, con quella costruzione un po' strana e pur così cara
ai notai del dugento e del trecento che volevano dare prova, con
qualche vezzo letterario, della loro cultura :
Hec modo preclarent licet olim condita starent
Nube sub obscura peperai quam spersio dura.
De quibus exceptum fuit omne quod stat ineptum.
Versibus et prosa constructio fit preciosa.
Tunc epygrama placet cum sub utroque jacet.
Laus igitur (2) Christo versu referatur in iste.
Quo lux formatur gratia ubicuique datur.
Laus igitur Christo de cuius munere sisto.
Vi ha quindi riportato il titolo di venti capitoli, nell'ordine
che segue ; i quali trattano le cose le più disparate ; poi questo
elenco termina, ed incomincia il primo libro degli statuti col giura-
mento del podestà, nello stesso ordine del codice n. 3, già pubbli-
cato nei Monumenta. Ecco il brano d' indice, che sembra non avere
a prima vista molta relazione col contesto delle pagine succes-
sive (3) :
De sacramento et offitio et salano et satisfactione potestatis. (f.ij
agg. post.).
De registro et statutis et denunciationibus prò exhonorando.
De consilìariis et consiliis.
De spiis et ambaxatis et euntibus prò comuni.
De debito comunis solvendo.
De securando palatio et custodia broletti et carceris comunis.
De augmentanda civitate et inmunitatibus prò hoc concessis.
(i) Le indizioni corrispondono esattamente alle due date. Si confronti tale
proemio con quello del codice del 1315 nell'edizione dei Monumenta, 3. p. 1585.
(2) Il Valentini e 1' Odorici lessero « gloria », ma il segno paleografico
corrisponde precisamente ad « igitur ».
(3) Cosi ritenne anche il Valentini, op. cit., p. 34, il quale scrive: ce Segue
« un brano d'indice del primo libro tolto forse da qualche altro codice statutale,
« senza esatta relazione col contesto delle pagine successive ».
12 M. ROBERTI E L. TOVINI
De prelatis et pastoribus ecclesiarum.
De elimosinis et concessionibus amore dei fatiendis.
De toloneis et pedagiis et de ferris (?) fatiendis.
De strada mantuana asseguranda et ut negotiatiores securi vadant.
De mutuis et dathiis seu fodris.
De aptandis castris riperie oley.
De prohybitis in locis brixiane.
De afranciiitanda terra mosii.
De providendo ad statum castrorum et mercati novi.
De mercatis et mensuris.
De biava et victualibus et rebus nascentibus in nostro districtu ser-
vandis.
De emendando breve comunis.
De innovando regimine civitatis.
Ora sì il Valentin! che l' Odorici, avendo notato in fine del
proemio la data 1277, attribuirono la trascrizione dell' intero co-
dice all'autore medesimo del proemio ; anzi il Valentini sembra
quasi affermare, ciò che non era certamente nella sua intenzione,
che il codice stesso è del 1277, nel quale anno « si provvedeva
« che in un sol volume gli statuti fossero raccolti ed ordinati w.
« Per mala sorte, presegue il Valentini, la saggia deliberazione non
u conseguì lo scopo prefisso; è bensì vero che gli ordinatori an-
« nunziano di aver tolto dal latibulo confusionis le sparse membra
u delle vecchie deliberazioni, ma invece il loro lavoro presenta
« un caos di consuetudini, di leggi, di giuramenti, di convenzioni
« registrate senza alcun ordine sistematico, né cronologico » (i).
L'equivoco, originato forse dalle inesatte espressioni che usarono
i due dotti- scrittori, è chiarissimo, perchè questo codice contiene
moltissimi statuti emanati dopo il 1277. Secondo poi il Rosa « il
« notaro non fu che un semplice istrumento nei mani dei reggitori
« di quel tempo ; ad essi la colpa di avere intercalati nel volume
« ordinamenti per data ed argomenti disparatissimi » (2).
Dall'esame accurato del codice risulta invece che già esi-
steva da tempo una raccolta delle disposizioni statutarie bresciane,
probabilmente della fine del sec. XII (3) , o del principio del
(1) Valentini^ Gli statuti cit., p. 35.
(2) G. Rosa, Stor. bresc, p. $0.
(3) Ad essa forse si riferisce il doc. XIV del Lib. Potheris {M. H. P., XIX,
e. 46), nel quale si stabilisce che il testo dell'accordo avvenuto nel 1 199 fra Bre-
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. I3
sec. XIII, e che a questa prima raccolta erano state aggiunte
moltissime leggi nel frattempo emanate, così che « qui querebant
« in statuto aliquid, velut per nemus vagabantur » (i). Il notaio
che scrisse il proemio unì allora in una seconda raccolta gli
statuti emanati fino al 1277, dando forse loro una nuova disposi-
zione più sistematica (2). Della prima collezione non ci rimase che
il solo ricordo; ma di questa seconda abbiamo il proemio e l'ac-
cenno alla divisione in sei libri : a e. 28 (incipit liber secundus),
a e. 52 r. (liber quintus ; forse era scritto liber quartus), a e. 55 v.
(liber quintus) e a e. 183 (incipit liber sextus) del codice n. 4. Ri-
masero pure intercalati nel codice n. 4 dei brani d' indice : del
primo libro, che è quello più sopra riportato : del libro secondo e
del libro quinto, che qui pubblichiamo essendo ancora inediti :
a e. 28) Incipit liber secundus.
De sacramento et offitio iudicum potestatis et de offitio eius-
dem potestatis usque ad distinem (distinctionem ?) oflficio-
rum iudicum.
De cataris et alis sectis ab ecclesia reprobatis.
De maleficiis homicidiis et feritis.
De penis et bannis et libris bannitorum perpetualium et prò
malificio fatiendis et servandis.
De coniurationibus non fatiendis.
De incendiis et dampnis furtive factis.
De variis iniuriis et interdictis.
sciani e Bergamaschi « in statutis civitatis ponatur ut semper ibi permaneat
« immutabile », a meno che non si voglia ammettere una prima redazione fatta
nel sec. XII.
(i) È appunto a questa prima raccolta che si riferisce lo statuto del 1245
(col. 100 nell'ediz, dei Mon.) nel quale si prescrive al podestà l'obbligo di con-
servare gli statuti in tre esemplari, da tenersi uno presso del podestà stesso, uno
presso i giudici, il terzo presso un notaio « qui teneat et conservet ipsum librum
« statutorum ». Un documento del Liber Potheris {Moti. hist. patr.^ cit., e. 575,
n. 1^2. A. 1249-50) parla di questo corpus seti volumen statutorum, diviso al-
meno in tre libri. La divisione in libri fu introdotta quindi fino dalla metà del
sec. XIII.
(2) L'esistenza in quella età di una copia di questa prima redazione di sta-
tuti ci viene confermata da un documento del 1270. Infatti nei patti di concordia
fra Brescia e Carlo d'Angiò, stabiliti appunto in quell'anno, si legge : « ubi pena
« imponitur pecuniaria debeat procedere secundum statuta et ordinamenta et
« consuetudìnes civitatis Brixie ». (Liber Potheris in op. cit., e. 957).
I
14 M. ROBERTI E L. TOVINI
*
De inquisitionibus inde fatiendis.
De condemnationibus faciendis Consilio octo condempnatorum
et offitio illorum condempnatorum.
De condempnationibus quas potestas potest facere per se.
De ministralibus et eorum officio.
Queste rubriche sono scritte alternativamente in rosso ed in
nero, e vennero quindi solo in parte (quelle scritte in nero) ripor-
tate nel codice n. 3, e da questo nei Monumenta (col. 123). Ed
ecco infine le rubriche del libro quinto, scritte in rosso, e quindi
nel codice n. 3, del tutto tralasciate :
(a e. 55 V.) Liber quintus.
De electione officialium et eorum salariis.
De electione potestariarum terrarum brixiane.
De prohibitione potestariarum terrarum brixiane et locorum.
De cessatione (?) elegendi.
De cessatione et prohibitione officialium comunis.
De sacramento sequimenti.
De sacramentis et officio officialium comunis.
Confrontando poi i titoli contenuti in questi brani d' indice coi
capitoli di ciascun libro, si trova che essi coincidono con una certa
esattezza e che hanno più relazione di quello che si creda col
contesto delle pagine successive. Ci si presenta cioè, benché alte-
rata dalle numerosissime interpolazioni, la tela dell'antico codice
statutario bresciano del 1277.
Dal 1277 al 1293 circa, in questa seconda raccolta vennero
fatte molte, correzioni, che il Valentini enumera per sommi capi
nel lavoro sopra ricordato (i). Nel 1293, poiché le ultime aggiunte
sono appunto di tale anno (ce. 144 e 183), venne fatta la redazione
che ora ci rimane ; ricopiando, con vari errori (2), poiché il notaio
non seppe o non riuscì a decifrare bene lo scritto, il codice ora
perduto del 1277, con tutte le aggiunte e le modificazioni fatte nel
frattempo, senza darvi un ordine né cronologico, né giuridico (3).
(i) Valentini, op. cit, p. 36.
(2) Parecchie indizioni come a e. 99 (A. 1280, ind. VII) sono errate. Il
1280 corrisponde all' ind. VI.
(3) In molti luoghi di questo codice è ricordato che sotto la podestaria di
Rolandino di Canossa (1292-95) furono riordinati gli statuti, esaminati dagli
anziani e da sei sapienti per quartiere.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. I5
E forse si reputò inutile fissare una data alla nuova collezione,
tanto erano spessi nel trecento i mutamenti di istituzioni, di ma-
gistrature, di leggi, specialmente quando si faceva, come allora
dicevasi, popolo nuovo (i).
Nel 1298, come bene scrissero il Valentini ed il Lattes, gli sta-
tuti riordinati nel 1293 furono sottoposti a nuova revisione, ed i
correttori, presi in esame i due manoscritti del 1277 e del 1293 (2),
ne prepararono una quarta trascrizione che non giunse fino a noi
e che forse non fu mai compiuta. L'ipotesi è abbastanza logica,
osservando che la data 1277 scritta nel proemio venne cancellata
e sostituita dall'altra 1298, scritta in inchiostro nero ed in carattere
corsivo ; che nel primo paragrafo dello statuto, dove è scritto :
« iuro ego vicarius », questa parola è cancellata ed è sostituita
[all'altra « potestas » (3) ; che in moltissimi fogli si osservano cor-
rezioni nella stessa scrittura corsiva e cancellature interlineari, an-
notazioni di « vacat » e interi capitoli abrogati, aggiunte datate,
osservazioni marginali; e che infine la stessa mano aggiunse la
numerazione dei capitoli e la divisione in libri ripetuta in cima di
ogni foglio. L'ipotesi è tanto più logica, come pure osservarono
il Valentini ed il Lattes, poiché nel 1298, eletto a capo della
città il vescovo Maggi, fu giurata la pace tra guelfi e ghibellini, e
(i) duesta copia, del 1293, venne fatta senza alcun criterio giuridico, ma
in modo veramente materiale da uno scrivano o da un notaio qualunque. Oltre
che inserire negli statuti le correzioni marginali fatte in varie occasioni dagli
statutari, furono ricopiati altresì i verbali delle sedute nelle quali vennero vo-
tate le correzioni stesse. Cosi le correzioni che si leggono a e. 120 v. sgg. del
cod. n. 4, si vedono già inserite negli statuti a e. 17 v. ; anzi gli statutari eletti
nel 1298, con una nota marginale, segnarono evidentemente tale ripetizione.
(2) Che i correttori del 13 13 abbiano preso in esame anche il ms. del 1277,
crediamo poter desumere sia da una nota marginale che si legge nel cod. n. 4
a e. 121 V. e che dice, a proposito del cap. CXXI : « hic videtur vacare unum
« statutum qui est in libro veteri » ; sia dall'avere i correttori riportate nello
statuto del 13 13 varie disposizioni che mancano nel cod. n. 4 e che sono ante-
riori al 1277. (Mon. hist'patr., stat. del 13 13, lib. Il, § LVI, A. 1254; III, xil,
A. 1252).
(3) Non solo nel primo paragrafo, ma in tutto il codice la parola « potestas »
è sostituita dall'altra « vicarius ». Cfr. ad es. a e. 1 37 cap. XV ; a e. 174 cap. CXL, ecc. ;
variazioni riportate naturalmente nella redazione del 1 3 1 3 . Cfr. ad es. il cap. XV
a e. 137 cit. col cap. CXCIII del lib. Ili in ediz. dei Mon. stat. del 131 3.
l6 M. ROBERTI E L. TOVINI
in quel solenne giuramento trovasi l'ordine della riforma degli
statuti (i).
Dall'attento esame di questo codice, che si deve riguardare
come il più antico codice statutario bresciano, abbiamo quindi no-
tizia di ben quattro diverse redazioni fatte nel sec. XIII, cioè
quella senza data precisa, ma certo del principio di quel secolo,
quella del 1277 (ambedue perdute), quella del 1293, di cui esistono
due esemplari e quella del 1298.
§ IV. Descritti così i codici statutari bresciani del sec. XIII,
crediamo opportuno, senza voler ripetere quanto dissero il Rosa
ed il Valentini, seguire l'ordine delle disposizioni e vedere le date
dei principali gruppi di statuti contenuti nel codice completo, per
mostrare le gravi differenze di questo, col codice n. 3, pubblicato
nei Monumenta, e per conoscere altresì quali capitoli rimangano
ancor inediti.
Le lacune del codice n. 3 si devono in parte riferire allo scrit-
tore, il quale, come abbiamo sopra accennato, tralasciò nella copia
ch'egli fece quanto nel codice n. 4 era scritto in inchiostro rosso,
oltre tutte le aggiunte marginali; in parte invece dip^dono dalla
mancanza di fogli e di interi quaderni asportati, e da cancellature
ed abrasioni che rendono impossibile la lettura dello scritto. Dalle
prime che andremo più sotto annotando, noi possiamo trarre spesso
la data delle disposizioni, e talvolta il nome degli statutari e varie
altre interessanti notizie ; le seconde, che diligentemente pure segne-
remo, ci mostrano capitoli e interi gruppi di statuti ancor inediti.
Il codice venne diviso nei 1298 in otto libri ; ma tale divisione
priva di ogni criterio giuridico, non si dovrebbe certo nella pub-
blicazione seguire (2). Esso si apre con una nota di spese, fatta
(i) Valentin!, op. cit., p. 37; Lattes, // dir. cons., p. io.
(2) I codici statutari precedenti si dividevano in quaderni, carte e primo o
secondo lato della carta. Infatti, durante tutto il sec. XIII le citazioni (dovendo
ad es. correggere uno statuto) si facevano così : " Statuto posito in primo latere
« lercie carte, secundi quaderni quod incipit, etc. » (cfr. cod. n. 4, e. 121, lac.
in Mon., col. 248). Divisione, come ben si vede, molto primitiva e che doveva
ingenerare, nelle nuove redazioni statutarie, grande confusione e che s'abbandonò
nella nuova redazione del 1313. Cfr. cod. n. 4 a e. 121 (cap. LIUI) con il co-
dice del 13 13 in ediz. dei Mon. lib. II, § XXI.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. I7
sembra, nel 1309, e dal tempo resa quasi indecifrabile; segue una
u reformatio consilii centum » del 1292 e l'interessante statuto contro
i « malesardi « che manca nel codice n. 4 e che fu aggiunto più
tardi nel nostro codice per ordine del comune. A e. io si leggono
il proemio, i versi e l'indice, che abbiamo sopra riportato; l'indice
doveva essere nella redazione del 1277 quello del primo libro. Se-
guono quindi, fino a e. 28 v. gli statuti, secondo l'ordine preciso
<iel codice n. 3; soltanto in quest'ultimo mancano tutti i titoli delle
rubriche e dei capitoli, i quali però nulla ci offrono d'interessante.
In questo primo libro abbiamo riscontrato le seguenti princi-
pali lacune :
Cod. n. 3, lac. in col. 106 dell'ediz. dei Mon., 14 capitoli (cod. n. 4
dal LXXI al LXXXIV a e. 17).
„ „ 107 parte di un capit. (cap. LXXXVIII a e. 19).
„ „ 109 un capitolo (cap. XCIII a e. 20).
„ no „ „ ( „ XCV a e. 20).
A e. 28 fcfr. Mon.j e. 123) incomincia nella redazione del 1298,
seguendo quella del 1277, il secondo libro, coli' indice che abbiamo
sopra integralmente riportato. Gli statuti, che seguono da e. 28 v.
a e. 38 V., si possono a ragione affermare redatti in gran parte nel
1277, poiché leggiamo a e. 38 v. la seguente aggiunta inetiita scritta
in rosso : « Hec sunt statuta ultra predictas corectiones statutorum
« et suprascripta capitula de novo condita per corectores ad hoc
« electos de voluntate consilii generalis M.CC.LXXVII » ; le quali
parole gettano luce intorno alla redazione nuova avvenuta appunto
in quell'anno. È curiosa poi la seguente aggiunta inedita al cap. XV
(e. 32 r. ; cfr. Mon., col. 128: « Item quod orbi ») : « et gayuffi w,
e in margine : « et intelligantur gayuffi omnes de quibus quatuor
« boni homines et bone fame — fuerint concordes ».
A e. 40 {Mon., lac, col. 123) è riportata la seguente intesta-
-zione: « Statuta comunis Brixie que cancellata erant et de novo
u sunt confirmata et sunt XVII ». Si leggono quindi alcuni capi-
toli, molto importanti e del tutto inediti, del 1252 e del 1285; ma
non ci venne fatto trovare cenno alcuno di separazione che possa
-distinguere i diciasette capitoli accennati nell'intestazione da quelli
che seguono. Questo fatto avvalora l'opinione, espressa più sopra,
^he il notaio abbia raccolto nel 1277 gli statuti fino a quel tempo
emanati, ma che il comune fino al 1293 continuasse ad innestare
Arch. Slor. Lomb., Anno XXXII, Fase. V. 2
l8 M. ROBERTI E L. TOVINI
qua e là, senza aggiungere un legame qualunque con le leggi già
esistenti, le varie deliberazioni che si prendevano di anno in anno.
Come infatti si vede, l'ordine cronologico difetta assai in questo
codice, che riuscirebbe, se le date fossero certe per ogni gruppo
di leggi, tanto più prezioso per gli studi storici bresciani.
Così, senza accenno a data alcuna, leggiamo a e. 52 r. la se-
guente intestazione scritta in rosso ed ancora inedita (lac. in Mon.,
a col. 148, segnata da punteggiatura) : « De officio sacramento il-
« lorum duorum iudicum potestatis, qui debent preesse placitis et
« de iudiciis et modo rationum et de statutis pertinentibus ad eun-
u dem et de consuetlidinibus ». Questo titolo molto importante passò
inavvertito da tutti gli storici sopra ricordati, fuorché dal Lattes (i);
e diciamo importante, perchè dalle ultime parole sembrerebbe do-
vessero seguire le antiche consuetudini bresciane. Ora fino al n. CC,
i capitoli regolano Tufficio dei giudici e la procedura giudiziale ;
seguono quindi altri sette statuti (cfr. ediz. Mon., col. 152) dei quali
quattro, sia per la data, sia per l'argomento, non possono certo dirsi
di origine consuetudinaria, e tre soltanto (il 202 del 12 16, il 203
del 1225 e il 204) potrebbero riguardarsi come reliquie di un
gruppo di consuetudini (2). Forse gli statutari del 1293 raccolsero
a parte le consuetudini, che formano infatti il settimo libro del
codice stesso (3).
Con queste disposizioni termina il secondo libro, nel quale ab-
biamo riscontrate rispetto all'edizione dei Monumenta le seguenti
lacune :
Ediz. dei Mon., col. 133. Lac. di 51 capitoli (cod. n. 4 a e. 35 dal
XLIV al XCV).
„ 135 un capitolo (a e. 44 v. n. CVI).
„ 136 „ „ (a e. 44 n. CVIII).
„ 136 „ „ frammentario nello stampato (a e. 44
n. CVIIII).
„ 136 quattro capitoli frammentari nello stamp. (a e. 45
nn. CXI-CXIIII).
(i) Lattes, op. cit., p. io (25).
(2) Però il Lattes non riportò in appendice nessuno di questi capitoli.
(3) Si noti che il documento del 1270 ricordato più sopra dice : " Statuta et or-
" dinamenta et consuetudines „, mentre la parte che si riferisce alle consuetudini
bresciane è in questo stesso codice intitolata: " De usanciis „.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. I9
Segue quindi, secondo la redazione del 1298, a e. 55 v. il terzo
libro {liber quintus secondo quella del 1277), il quale incomincia
col breve indice inedito, che abbiamo sopra riportato. Le aggiunte
e le interpolazioni fatte dopo la redazione del 1277 qui si vedono
benissimo, poiché mentre a e. 70 lo statuto determina le funzioni
dell'ultimo ufficiale del comune, cioè del precone, dopo cominciano
senz'altro le leggi sui tavernieri. E le additiones o correctiones si
mostrano qua e là numerose, con date diverse, frammezzate ai ca-
pitoli riferentisi agli uffici delle varie magistrature. A e. 77 vi ha
una grande iniziale che dimostrerebbe il principio di un nuovo
libro o di una nuova rubrica, ma invece non si trova nel testo nessun
omogeneo gruppo di statuti (cfr. in edizione dei Mon., col. 187 ; « In
a primis w etc).
Continuando l'esame di questo codice, e' incontriamo in un no-
tevole gruppo di capitoli, da e. 83 a e. 92, dell'anno 1279 ; « hec
M sunt statuta partis ecclesie » leggiamo nel titolo, che manca nel-
l'edizione dei Mon. (col. 197) ; e si accompagnano a tali disposi-
zioni alcuni statuti dello stesso anno dove numerose sono le cor-
rezioni e i capitoli interpolati; i quali dopo la collazione del 1277
aumentarono certamente questa parte di più che il doppio. Infatti,
da e. 93 alla 97, vennero aggiunti gli atti della pace detta di Mon-
tecchiaro fatta tra Mantova, Brescia e Verona nel 1279 (i).
A e. 99 in inchiostro nero e con la lettera iniziale minuscola
(mentre quasi tutti i titoli sono in rosso ed hanno l'iniziale abba-
stanza finamente lavorata) cominciano gli statuti del 1280 (edizione
dei Mon., col. 225) che, bene raggruppati, vanno fino a e. 106; v' ha
quindi un altro gruppo di capitoli preceduti da una intestazione
*1 identica alla precedente, sotto la data 1281 ; tutti forse della me-
desima epoca, eccetto uno, inseritovi più tardi, del 1285. La solita
intestazione generale è ripetuta a e. 108 v., 109 e 109 v. con le tre
diverse date 1278, 1280 e 1282.
L'edizione dei Monumenta è, riguardo a questo terzo libro, ab-
bastanza completa; abbiamo però trovato, oltre tutti i titoli delle
rubriche e dei capitoli, le seguenti lacune :
Ediz. dei Man., col. 144 V indice del libro (cod. n. 4 a e. 55).
„ 166 otto capitoli (a e. 63 nn. XXXVIIII-XLVI).
(i) Vedasi riguardo a questa pace il Valentini, op. cit., p. 11.
20 M. ROBERTI E L. TOVINI
Ediz. dei Mon.^ col. i68 un capitolo (a e. 65 n. LIl).
„ 169 „ „ (a e. 66 n. LUI).
„ 176 undici capitoli (a e. 70 n. LXXVIII-LXXXVIII).
„ 190 un capitolo (a e. 79 n. CLXXI).
„ 191 „ „ (a e. 80 n. CLXXVI).
„ 193 „ „ (a e. 81 n. CLXXXII).
„ 235 cinque capitoli (a e. 105 nn. CCCXIV-
CCCXVIII).
Il libro IV, che, secondo V intenzione degli statutari, doveva
contenere le riforme del 1282, va da e. 112 a e. 135. Difatti a e. 112
si legge il seguente proemio, scritto in rosso, e che manca nel-
l'edizione dei Monumenta : « In Christi nomine amen. Ista sunt or-
« dinamenta seu statuta facta per nobilem militem dominum loran-
« dinum de Canossa honorabilem potestatem comunis Brixie exa-
« minata et probata per dominum capitaneum dominos ancianos et
« sex sapientes prò quolibet quarterio servata solemnitate statuto-
« rum et post modum emologata firma et aprobata per consilium ge-
« neralem comunis Brixie. Currentibus annis domini Millesimo. CC.
« LXXXIJ. Indictione X mense madii die XV ». Questi statuti però
occupano soltanto dodici facciate, poiché a e. 114 cominciano altri
statuti con date diverse. Qui appariscono le gravissime lacune del-
l'edizione dei Monumenta, nella quale mancano, nella col. 248 là
dove sta scritto: « mezza pagina in bianco » i capitoli da e. 114
a e. 144 del codice n. 4!
Dalla e. 119 alla 132 gli statuti si susseguono in ordine cro-
nologico; i primi (ce. 118-119) sono del 1283, redatti « per correc-
« tores et statutarios ad hoc electos voluntate consilii generalis »,
essendo ancora podestà Rolandino di Canossa; vi ha quindi una
« reformatio » di Garsedone de' Lovisini del 1284 (3- e. 119 r.) ;
uno statuto del 1285, preceduto dalla solita intestazione (a e. 120 v.),
ed un altro breve statuto del 1286 (a e. 122 v.). Segue un « con-
« silium » del 1287 (a e. 123 v.) ed altre disposizioni delio stesso
anno precedute dalla solita intestazione coi nomi degli statutari.
A e. 129 si leggono |importanti statuti contro i fuorusciti di
Valcamonica del 1288, che sarebbero ancora inediti, se il beneme-
rito Valentini non ne avesse curata nel Nuovo Archivio Veneto la
pubblicazione (i). Seguono quindi altri statuti del 1290 (fra i quali
(i) Cfr. op. cit., p. II ; ibid., XV, par. II, p. 370.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 21
uno a e. 132 V., molto rilevante, che vieta le « vindicte sanguinis »,
ed infine un'ordinanza senza data.
Le lacune in questo libro sono le seguenti :
Ediz. dei Mon., col. 246 T intestazione (cod. n. 4 a e. 112).
„ 248 cento quarantuno capitoli (a ce. 114-136
capp. VIIII-CL).
Il libro V comincia a e. 136 e finisce a e. 140 ; e contiene gli
statuti della gabella, corretti nel 1283. Sono ventitré capitoli molto
importanti, alcuni recano il titolo, altri ne mancano; in un gruppo
completo raggiungono la e. 140, dopo la quale vi sono quattro
carte in bianco, le quali aspettavano forse altre disposizioni nuove,
o che dovevano annullare o correggere le precedenti.
Questo libro manca nell'edizione dei Monumenta, ed è intera-
mente inedito.
Il libro VI occupa le ce. 144-158, e sono 115 paragrafi conte-
nenti in parte una nuova riforma agli statuti fatta da un consiglio
generale l'anno 1293 come si apprende infatti dalla seguente in-
testazione (la cui lettera iniziale è disegnata con larghi fregi) che
manca nell'edizione dei Monumenta: « Hec sunt statuta et ordina-
« menta comunis Brixie et rationum comunis Brixie emendata et
M correcta per corectores et statutarios ad hoc electos secundum
" reformacionem consilii generalis comunis Brixie M.CCLXXXXIII.
« Indictione sexta. Nomina quorum dictorum statutariorum sunt hec »,
Segue quindi un breve spazio in bianco, destinato evidentemente
a contenere i nomi degli statutari; ed il capitolo primo che si può
vedere in col. 248 dei Mon.: « Item consules terrarum etc. »».
Si noti come le correzioni e le aggiunte, man mano che ci av-
viciniamo alla fine del codice, siano sempre più recenti, ciò che
dimostra che esse vennero unite senza alcun ordine alla redazione
perduta del 1277. ^i ^^^^ ancora come, secondo forse il concetto degli
statutari del 1298, il libro VI doveva raccogliere le correzioni del
1293, nientre invece vi furono poi aggiunti altri statuti, come ora ve-
dremo, di diversa data e che trattano argomenti disparati ; ciò che
dimostra come gli statutari non fossero guidati da un criterio giu-
ridico o cronologico, ma da un concetto del tutto materiale.
Le aggiunte e le correzioni fatte nel 1293 vanno da e. 144 a
<^' 155 V. ; e corrispondono nell'edizione dei Mon. dalla coK 248 alla
22 M. ROBERTI E L. TOVINI
col. 268. Segue quindi nel codice completo una « reformatio »
riguardo agli atti di alienazione stipulati durante la signoria di
Ezzelino da Romano (i), con la seguente intestazione, scritta in
rosso e che manca nell'edizione dei Mon.: « Hec est quedam re-
« formatio facta in Consilio generali comunis Brixie Rubrica (?)
« de vendicionibus factis de bonis amicorum eciam (?) sub extima-
« toribus tempore Eccelini de Romano usque ad tempus cassandis
« et restituendis descripta secundum formam statuti contra ea lo-
« quentis precedenti carta huius quaterni »; che è appunto il capi-
tolo XCVIII del foglio precedente; accenno che depone a favore della
autenticità del codice stesso, che doveva essere certamente il co-
dice ufficiale del comune, in confronto del codice n. 3. Segue
quindi da e. 158 in poi lo statuto « de monetis » del 1257.
Tutto questo libro si può vedere nell'edizione dei Mon. da
col. 248 (« Item consules, etc. ») a col. 272 ; salvo i titoli dei ca-
pitoli, e una lacuna di quattro capitoli a col. 272 corr. a e. 158 del
codice n. 4 (nn. CXII-CXV).
Dalla metà del sec. XIII veniamo alla fine del sec. XII colle
Consuetudini bresciane « a longo tempore obtente w, che il Lat-
tes ebbe per il primo a pubblicare in una completa ed accurata
edizione nel suo prelodato studio intorno al diritto consuetudinario
delle città lombarde. Esse occupano buona parte del libro VII,
composto di 168 paragrafi, compresi dal foglio 159 al foglio 180;
e dal contesto si può a ragione argomentare eh' esse finiscano col
capitolo XLVII ; seguono altri capitoli di vario argomento del 1252,
del 1277 e del 1295; ed infine questa prima parte del libro VII
sembra terminare (a e. 172) con la formula: « Lecta et publicata
« fuerunt suprascripta statuta, etc. », che non si comprende a che
cosa si riferisca precisamente.
Il disordine cronologico, in questa parte, è aumentato altresì
da uno statuto (n. LXXV a e. 65) (2), il quale porta in nitida scrit-
tura, nella seconda parte, la data : « Millesimo. XX. VIIIJ ». Se
questa data fosse vera, il comune di Brescia potrebbe certo van-
tare il più antico capitolo statutario che esista. Essa però do-
veva suscitare forti dubbi nei cultori del diritto e della storia;
(i) Per la storia di queste riforme cfr. Valentini, op. cit., p. 9.
(2) Venne pubblicato dal Valentini, op. cit., p. 8, in nota.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 23
poiché se le ultime ricerche hanno affermato che ben lontane si
devono ricercare le fonti delle origini dei nostri comuni, bisogna
tuttavia sempre accettare con diffidenza le notizie di leggi promul-
gate dai comuni stessi almeno sino alla fine del XII secolo.
L'Odorici, il Wustenfeld, il Rosa ed il Valentini avvertirono
tale anacronismo, e cercarono di ritornare la data alla sua vera
lezione. Il primo, che da principio col Rosa (i) aveva ritenuto
essere questo il più antico statuto bresciano (2), più tardi ammise,
sembra per consiglio del Wustenfeld, che si trattava di un errore
dell'amanuense, « cui restarono forse nella penna i due CC corri-
n spondenti a due secoli dimenticati ». Invece il Valentini lasciò
la cosa sub iudice ; e poiché questo statuto medesimo é ripetuto
nella redazione del 1313 alla lettera, colla diff"erenza che invece di
« salvo quod in MXXVIIIJ » sta scritto « salvo quod in MCCXXVIIIJ »
non seppe a quale fra i due amanuensi addossare l'errore (3).
Certo non si può ammettere la data 1029, sia perché la frase
i< feudum antiquum vel paternum » trasporta • il lettore in pieno se-
colo XII; sia perché l'essere stato trascritto nel codice del 1313
con la data 1229 dimostra che gli statutari avevano notato questo
anacronismo. Ma neppure quest'ultima data ci sembra giusta, come
vorrebbe 1' Odorici. Infatti nello stesso capitolo vediamo che esso
è richiamato da uno statuto del 1227, come risulta chiaramente
dalle parole: « in millesimo CCXXVII de feudis statutum et or-
ii dinatum est etc. — salvo quod in millesimo XXVIIIJ, etc. ».
Ci sembra quindi fuor di dubbio che l'amanuense del codice
del 1313 errò nell'assegnare a quel capitolo la data del 1229; come
non si può accettare che esso sia stato redatto nel 1029. Invece
a noi pare più probabile, volendo pure ammettere un errore del-
l'amanuense, che questi abbia ommesso un solo C e che lo statuto
sia quindi del 1129 (4). A questa data non si oppone la frase
(i) Rosa, Stai, di Brescia cit., p. 61. Egli afferma, basandosi appunto sopra
questo statuto, che Brescia fino da quel tempo, e prima ancora della costituzione
dei feudi di Corrado II del 1037, aveva già assunto il diritto di surrogarsi agli
imperatori in alcune leggi feudali.
(2) Odorici, Stor. bresc, VII p. 194 e Cod. dipi., V, p. 48.
(3) Valentini, op. cit., p. 9, A p, 17 mostra seguire l'opinione del Rosa,
ritenendo autentica la data del cod. n. 4.
(4) Si noti che la serie dei consoli bresciani, storicamente documentata, prin-
cipia nel 112 1.
24 M. ROBERTI E L. TOVINI
u feudum antiquum et paternum » anzi ne riceve conferma ; ri-
correndo non solo la medesima frase, ma buona parte del concetto-
di tutto il capitolo in parola nelle Consuetudines feudorum (II, 45-46),.
certamente anteriori a quell'anno
Chiusa questa breve digressione , seguitando ad esaminare
questo libro quasi interamente inedito incontriamo alcune provvi-
sioni (a e. 175) proposte al consiglio generale, dopo un accordo tra
il vescovo ed il comune, in materia di decime (i). A e. 178 vi ha
una « reformatio tempore potestarie domini Grasendini de Love-
u sinis w del 1284. Più sotto si leggono altri statuti del 1393 ed
una serie di « ordinamenta » (a e. 199), dei quali uno solo porta,
la data del 1278.
Eccetto alcuni capitoli di diritto consuetudinario che si leggono^
nell'edizione dei Mon. (coli. 272-74) tutto questo libro, di ben cento-
sessant'otto capitoli, è inedito.
A questo punto nel codice mancano tre fogli, che erano pro-
babilmente bianchi, come quelli in fine del libro V e che furono
tagUati per servire ad altro scopo ; ma la numerazione delle pa-
gine salta dal 180 al 182, tralasciando non sappiamo il perchè una
sola unità. Da e. 182 fino alla 303 il codice contiene il libro Vili
con 125 paragrafi, risguardanti le correzioni e le riforme fatte agli
« Statuta clausorum » nel 1293, secondo una deliberazione del
consiglio generale, come infatti si legge nella intestazione, scritta,.
come il solito, in rosso, e con la lettera iniziale finamente lavorata :
« Hec sunt statuta clausorum statutorum et ordinamentorum corecta
M et emendata per statutarios emendatores electos secundum refor-
" mationem consilii generalis comunis Brixie. Die D. Mil-
« lesimo ce. nognagessimo (sic) tercio. Indictione sexta. Nomina
M quorum statutorum et emendatorum sunt hec »>. Segue quindi
uno spazio in bianco che doveva certo contenere i nomi degli sta-
tutari ; quindi comincia il nuovo libro '"con un « item », ciò che
dimostra (se pure ve n'ha ancora bisogno) il disordine che esiste,
come in tutto il codice, anche in quest' ultimo libro, nel quale
(a e. 183) troviamo, come abbiamo più sopra accennato, un resto
della divisione del precedente codice statutario del 1277.
(i) LMm portanza di questo accordo venne dimostrata benissimo dal Lattes^
Dir. cons., p. 525.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 25
Questo intero libro manca nell'edizione dei Mon., come pure
mancano i due documenti, inseriti nel codice n. 4 per ordine del
comune, l'uno del 1295, riguardo la custodia delle SS. Croci ; ed
il secondo del 1297, ^^ proibisce alle peccatrici di abitare in certo
luogo della città.
Il disordine, sia cronologico sia giuridico, delle disposizioni
contenute in questo codice n. 4 (che è il più completo e il più
antico codice statutario bresciano) dimostra chiaramente quanto
abbiamo detto più sopra riguardo all'autore e alla data di questa
raccolta. Ma ci dimostra altresì un'altra cosa : che cioè il comune
di Brescia, durante il sec. XIII, non affidò, come usarono molti altri
comuni, ad una speciale commissione di giuristi e di persone com-
petenti l'incarico di rivedere e riordinare tutti gli statuti, come
fece nel 13 13, così da riuscire ad avere un codice, non certo per-
fetto, ma che almeno ha una parvenza, per così dire, di ordine giu-
ridico. Il comune si limitò a raccolte parziali, forse fino dal ti8o, le
quali però andarono perdute o distrutte, quando una nuova redazione
rendeva inutili le precedenti. Ed al nostro codice servì appunto di
base l'ultima di tali raccolte, quella cioè del 1277, nella quale ven-
nero interpolati qua e là, od aggiunti in fine, statuti vari per tempo
e per argomento, e correzioni e addizioni diverse.
§ V. L' Odorici pubblicando nei Monumenta gli statuti bresciani
scriveva nella prefazione : « Or eccovi gli statuti del secolo XIII.
« Né qui soltanto vi si danno per filo e per segno nella loro in-
« tegrità; ma vi si aggiungono gli affatto inediti e di somma im-
« portanza del 1313, gli uni e gli altri corredati di nuove testimo-
« nianze ». E più sotto: « Ritornando agli statuti del secolo XIII
« due vetusti codici ne vanta l'Archivio soprascritto. L'uno con
« la data certa del 1277 (i), l'altro pur di quel secolo racchiudente,
« poco su, poco giù, le eguali deliberazioni con rettifiche e richiami
« di alcune del sec. XII. Noi verremo significando nelle appen-
« dici le più caratteristiche diversità d'ambo i volumi » (2),
L'Odorici quindi conosceva i due esemplari della Queriniana,
segnati n. 3 e n. 4, che abbiamo sopra descritti ; il secondo coni-
(i) Abbiamo già veduto come V Odorici errasse affermando vera tale data.
(2) M. H. P., XVI, col [1584] 98.
26 M. ROBERTI E L. TOVINI
pleto, incompleto il primo, cioè mancante di tutti quei capitoli, cui
abbiamo già accennato. Anzi molti anni prima, nelle sue Storie
bresciane riferendo per sommi capi il contenuto dell'esemplare com-
pleto, se ne augurava prossima la pubblicazione (i). L'errore quindi
si deve, a nostro avviso, attribuire soltanto al Lodrini e al Da Ponte,
i quali pubblicarono il codice n. 3 per incarico avutone dall' Odo-
rici, ritenendo quest'ultimo, sebbene incompleto, il più antico codice
bresciano (2).
Né l'errore è di poco momento, poiché son ben venticinque le
lacune dell'esemplare incompleto, che l'Odorici (od altri, usando il
suo nome) trascrisse e pubblicò nei Monumenta. Queste venticinque
lacune formano un complesso di circa 664 capitoli inediti, quasi
la metà degli statuti bresciani del sec. XIII. Per mostrare quanto
sarebbe utile la pubblicazione di questa parte ancor inedita, bre-
vemente vogliamo qui accennare ai gruppi maggiori di statuti inediti
e alla loro importanza, sia per la storia del comune bresciano, sia
delle diverse istituzioni giuridiche ch'ebbero a fiorire in quell'epoca.
Anzitutto è notevole il gruppo davvero organico del 1282, che
contiene il bando contro i « malesardi » il quale ci mostra, con l'aiuto
di altri statuti pure inediti, l'attività legislativa delle due maggiori
associazioni cittadine e la procedura usata dal comune per pubbli-
care le nuove leggi o correggere le antiche. Come tutti i comuni
italiani anche quello di Brescia sorge e vive fra lo strepito delle
armi cittadine, dei partiti sempre fra loro in discordia. Fino dagli
ultimi anni del sec. XII popolani e patrizi si erano stretti m due
società, i nobili in quella dei militi, i popolani, capitanati però da
qualche nobile, le cui blandizie profuse adescavano i tumultuanti,
in quella di S. Faustino e Giovita ; ciascuna avendo consoli propri
di fronte ai consoli del comune, e così bene organizzate da poter
(i) Odorici, Stor. bresc, VI, pp. 201, 208, 217, 224, 234, ecc.; VII, p. 104
sgg. ; VIII, p. 9 sgg. Il più curioso, come notava il Lattes, si è che 1' Odorici
trasse dal codice completo i testi citati nella prefazione dei M. H. P., (pref. [1584]
PP- 29, 39, 40) ; testi che venivano poi stampati traendoli dal secondo ms. in-
completo, ed ai quali le citazioni dell' Odorici non corrispondono. Cosi gli sta-
tuti sulle acque ivi citati mancano nel ms, incompleto, mentre si leggono nel
codice originale. Cfr. Odorici, op, cit., VIII, p. 49.
(2) Non si comprenderebbero altrimenti le note in Mon. coli. [1584], 139,
142, tee.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 27
contrarre paci ed alleanze, muovere guerra e scendere in campo
a favore o contro città intere (i). Sconfitte, annientate quasi, queste
fazioni risorgevano più vive, più feroci di prima.
L' Odorici, dopo avere ricordata la vittoria di Rudiano, par-
lando degli ordinamenti cittadini, nota il sorgere di queste due so-
cietà, dei militi (2) e della concordia, detta quest'ultima anche di
S. Faustino (3), aventi rettori e podestà propri, fratellanze batta-
gliere e talvolta anche mercenarie, alternativamente amiche e ne-
miche del comune. Ma nessuno ebbe ad accennare espressamente
all'azione legislativa esercitata da queste due società, ch'erano vere
fonti di diritto, fonti minori accanto alla fonte maggiore, l'arengo.
Neil' inedito del nostro codice vi sono molti accenni preziosi in-
torno a tale opera legislativa delle due società; e poiché le de-
liberazioni talvolta venivano inserite nel volume degli statuti, unen-
dovi i verbaU della radunanza, questi verbali mostrano con evi-
denza sia la funzione dell'arengo e dei consigli minori, sia quella
delle due associazioni, che tenevano divisa la città intera.
In via generale l' iniziativa degli statuti apparteneva diretta
mente al podestà, al capitano del popolo, al consigHo minore o ai
singoli consiglieri. Le proposte (« provisiones et consilium »>) do
vevano essere esaminate ed approvate dal capitano del popolo,
dagli anziani e dai sapienti scelti da ciascun quartiere. Vidimate
le firme nei modi di rito, le deliberazioni venivano presentate al
(i) Odorici, Stor. bresc, V, p. 246 sgg. ; pp. 260, 276, ecc. Nessun ac-
cenno vi ha riguardo a tale argomento negli altri due lavori dell'Odorici stesso:
Dello spirito di associazione in alcune città lombarde (Arch. stor. Hai., Nuova serie,
to. XI) e La battaglia di Rudiano (ibid., to. III).
(2) Odorici, Stor. bresc, VI, doc. 214, p. 109 (A. 1200). L'organizzazione
del partito nobiliare ia queste " Societates militum „, che esistevano già sulla
fine del sec. XII in molte città, a Pisa, a Pistoia, a Parma, a Treviso, non venne
mai studiata completamente. Eccetto il Gaudenzi, che per la società delle armi
di Bologna pubblicò una monografia nel Bull. deWIstit. stor. ital, n. 8, 1889, e i
lavori del Salvemini e del Tabarrini, gli scrittori di storia locale accennano ad
esse molto brevemente.
(3) Ai santi Faustino e Giovita (s. Afra) era dedicato nel sec. XUI un tempio
in Brescia (Odorici, op. cit., V, p. 507). Il popolo (" pedites „ di fronte ai
« milites »), chiamava anche a Lucca ed in molte altri luoghi la propria società
« della concordia „ (cfr. Tomasi, Stor. di Lucca, in Arch. stor. itah, X, p. 60 sgg. ;
XIV, p. 28).
28 M. ROBERTI E L. TOVINI
consiglio generale, il quale però non discuteva le proposte, ma de-
legava a ciò alcune persone (« emendatores » o « statutarii ») scelte
nei vari quartieri in tutti i ceti della cittadinanza. Fra gli statuti
inediti ve ne sono alcuni che regolano il modo di votare nel con-
siglio generale (i), e nel codice stesso si trovano pagine bellissime
ove sono descritta alcune sedute e riassunte le arringhe consigliari
e le finali deliberazioni. Queste notizie completano quella parte
tanto frammentaria (così organica invece in altri statuti) che si ri-
ferisce a tale argomento. Così, ad esempio, vediamo che gli ora-
tori avevano una grande libertà di parola, per quanto ogni licenza
fosse frenata con norme molto severe.
Le deliberazioni, destinate ad avere vigore di legge, dovevano
essere lette, dopo la votazione, alla presenza dei giudici e dei notai
e di alcuni cittadini che fungevano da testimoni ; i quali tutti si
sottoscrivevano nell'atto insieme allo « scriba » ed al « dictator »
Esse si distinguevano con nomi diversi : « ordinamenta » e « prò
u visiones » si dicevano le deliberazioni d' indole amministrativa
ed interna, e venivano per solito pubblicate in nome del podestà,
dal rettore o vicario, e dal capitano del popolo. Gli statuti pro-
priamente detti, le u reformationes », le « additiones » e le « cor-
u rectiones » si pubblicavano in nome dei « correctores » o « sta-
« tutarii », i quali rappresentavano l' intero comune. Queste deli-
berazioni, molto più importanti delle prime, erano scritte in qua-
derni distinti, che di quando in quando s' inserivano nelle raccolte
ufficiali degli statuti del comune. Secondo queste ultime dovevano
i pubblici . ufficiali amministrare la giustizia e dovevano, assumendo
il loro ufficio, giurare di osservarle, come appare evidente da molte
frasi contenute nella parte inedita del nostro codice.
Ma accanto a questa fonte maggiore di diritto, v'erano altre
due fonti minori; cioè, come abbiamo più sopra accennato, la so-
cietà dei militi e quella del popolo, le quali dettavano leggi, se-
condo che nelle lotte interne l'una o l'altra riusciva vincitrice.
Il documento, in gran parte inedito del 1282, e il verbale di
un'altra seduta, pure inedito, del 1280 (2), completa le fuggevoli
(i) Cod. n. 4, e. 65, capp. LII e LUI (lac. in Mon., coli. 168-169), ecc.
(2) Ibid., e. 119 sgg., capp. XLVII e LXXVI (lac. in col. 248 :dell'edi-
zione dei Moti.).
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 2^
notizie date dall' Odorici, dimostrando l'alto prestigio che aveva la
società dei mille (nuova espressione della « societas militum ») nel
governo del comune ; mentre altri statuti illustrano l' invadenza,
anche nel campo legislativo, del partito popolare, fortificato certa-
mente fin dall'origine dalla società di S. Faustino, contro la quale
così spesso si rivolgevano le ire degli avversari (i). Invero la
u reformatio » contro i malesardi del 1282, non giustamente forse
interpretata dal Valentini, mostra come da molto tempo esisteva
potente in Brescia la società dei mille. Era dessa composta di
mille persone, che eleggevano un consiglio di cento membri (« con-
« silium centum »), a capo del quale stava l'abbate giudice, circon-
dato da un determinato numero di anziani. Questo consiglio aveva
il diritto di proporre nuove leggi al podestà ed a tale scopo esso
eleggeva per ogni quartiere della città due sapienti o « iurisperiti »,
ai quali l'abbate alla presenza di tutti i consoci, radunati nel pa-
lazzo del comune, affidava l' incarico di preparare il progetto di
legge, il quale veniva poi esaminato dal consiglio dei cento e dopo
di essere stato approvato, era presentato al podestà per la sua
esecuzione. E non già soltanto, come sembrerebbe apparire dal do-
cumento del 1282, in materia di bandi avevano vigore le disposi-
zioni della società dei mille (si confronti la società dei crociati a
Parma), ma altresì in moltissimi altri casi le deliberazioni di questa
società, debitamente approvate, avevano forza di legge.
Da alcune disposizioni inedite dello statuto completo vediamo
ancora come la società dei mille fosse talvolta invitata (« rogata »)
dal podestà e dal capitano del popolo a studiare e votare speciali
provvedimenti legislativi. Così nel 1282 il podestà, gli anziani del
comune ed il capitano del popolo invocano dalla società dei mille
una decisione, che valga ad ottenere dal massaro della gabella del
sale e del ferro una somma di denaro necessaria per un'opera di
pubblica utilità (2). La società dei mille, aderendo all'invito, emette il
(i) Cod. n. 4, e. 35, cap. LXXXXIIIJ (lac. in col. 133 dei Mon.): Il
podestà giura di sciogliere tutte le " conspirationes „, le " coniurationes, sacra-
" menta, conventicule „, e tutte le " promissiones per manum et fidem vel alio
^' modo factas occasione societatis illius qui dicebatur esse Faustini et Jovite „.
(2) Documento inedito del 1292 in principio del cod. n. 4, cap. XVI : " cum
^' per dom. potestatem capitaneum et antianos partis et populi rogati sint antiani
*' mille et eorum consiliarii — super inveniendo modum et viam accipicndi CL.
" libr. imp. de gabella salis vel ferri, etc. „.
30 M. ROBERTI E L. TOVINI
proprio parere ; e viene deciso di dare ad esso pieno valore « et non
« obstante aliquibus statutis comunis vel populi vel consilii centum
« [societatis mille] ». Ed era perfino divenuto quasi obbligatorio l'uso
di non pubblicare gli statuti nuovi approvati dal podestà, dagli an-
ziani del comune e dal capitano del popolo, senza che altresì la
società dei mille avesse dato parere favorevole (i). I suoi statuti
speciali si inserivano nel codice statutario del comune (2), e un
esemplare di questo doveva essere consegnato all'abbate della so-
cietà stessa. Con ciò si spiega la disposizione che obbliga il vi-
cario o podestà di Brescia ed il capitano del popolo ad eseguire
sempre quanto sia loro ordinato dagli anziani della u societas
u mille peditum » (3).
Accennammo più sopra alla società dei crociati di Parma, sorta
colà per consiglio dell'Angioino nel 1265. Ci sembra non doversi
trascurare la somiglianza che corre fra di essa e la società dei
mille di Brescia. Ambedue appariscono costituite nella medesima
forma, cogli stessi vincoli, i medesimi doveri; questa era retta da
un capitano e dai primiceri, quella di Brescia dall'abbate e dagli
anziani. Ambedue esercitano la stessa influenza nel governo del
comune; a Brescia, come a Parma, le loro decisioni son leggi per
la città intera. I crociati si radunavano, come i membri della so-
cietà dei mille, nel palazzo comunale ed avevano il diritto di esa-
minare le proposte presentate al consiglio prima che avessero forza
di legge. Se nella parte inedita del codice n. 4 abbiamo veduto gruppi
interi di deliberazioni « ordinate et facte per sapientes ad hoc elec-
« tos secundum reformationem consilii centum societatis mille ",
anche a Parma « quidquid capitaneus, anciani, primiceri omnes in
« concordia, cum voluntate credencie populi et societatis dixerint
(i) Cod. n. 4 a e. 37, cap. LXIX (lac. a col. 133 nell' ediz. dei Moti.):
" vicarius et rector et capitaneus populi — teneantur et debeant — demandare
" quidquid antiani partis et societatis mille peditum sibi dixerunt de voluntate
" consilii generalis, etc. „ (A. 1277).
(2) Si leggono infatti nel cod. n. 4, parecchi interi verbali di sedute della
società dei mille e le disposizioni votate.
(5) Per conoscere veramente l'importanza della società dei mille, che non
ci sembra sia stata presa in grande considerazione dagli storici bresciani, baste-
rebbero i tre gruppi di statuti che si leggono a e. 114 del ms. n. 4 (lac. a col. 248
nell'ediz. dei Mon.) del 1280, cap. XLVII sgg. ; ibid., cap. LXXVI sgg. e cap. CV
sgg. (A. T287).
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 3I
u seu denunciaverint potestati seu rectori Parme, ipse rector seu
u potestas teneatur audire diligenter et executioni mandare »> (i).
Cosicché tanto a Brescia, come a Parma le due società sono, sulla
fine del secolo XIII, se non l'unica, certo una delle maggiori fonti
del diritto statutario.
Ma di fronte alla società dei mille anche a Brescia si armarono
le fazioni popolari, ed organizzate strettamente costituirono un forte
partito, a capo del quale stava, suU' esempio della « societas mi-
« litum w, un capo chiamato abbate o capitano del popolo, che era
assistito da un ristretto consiglio di anziani e da un consiglio più
largo di cento persone. Anche questa associazione di elementi po-
polari, aveva l'iniziativa delle leggi, ed aveva pure diritto di tenere
presso di sé una copia degli statuti municipali. Era simile a quella
Unione delle Arti che, sulla fine del sec. XIII, era diventata a
Padova ormai padrona del comune (2). Nelle raccolte statutarie bre-
sciane più antiche si possono quindi facilmente distinguere gli sta-
tuti del comune da quelli del popolo e della società dei mille; più
numerosi questi o quelli, secondo che l'un partito o l'altro era, nelle
continue lotte, riuscito vittorioso. Che se verso il 1280 (come si vede
dalla decisione inedita del codice n. 4) la società dei mille spiega
una grande attività legislativa e mostra una grande potenza ; invece
nel 1303 gli statuti e le deliberazioni del partito del popolo pre-
valgono sopra gli stessi statuti del comune (3).
Queste due società continuarono a lungo, come in tutti i co-
muni italiani a contrastarsi il potere, finché più tardi, deposte forse
le armi, unirono le loro energie per il bene della patria comune.
Il documento del 1282 insieme con altri statuti inediti del co-
dice n. 4 ci offre, come abbiamo veduto, messe larga di notizie
riguardo alla storia delle associazioni bresciane; ma lo stesso do-
cumento, confrontato con altri statuti pure inediti, completa in molte
parti la storia delle lotte fra le varie fazioni, alle quali con la non co-
(i) M. H. P. ad prov. partn. et plac. pert., voi. II, p. 32 ; cfr. N. Ta-
MASSIA, La cronaca di Salimbene, in Riv. di stor. e fil. del dir., voi. II, fase. II,
P- 55 sgg.
(2) Cfr. i documenti pubblicati nel lavoro intorno alle corporazioni artigiane
di Padova (in Mem. del R. Istit. Feti., 1902), p. 69.
(3) Odorici, Stor hresc, voi. VIII, doc, p. 209 (A. 1305).
32 M. ROBERTI E L. TOVINI
mune sua erudizione accennava l'Odorici nella prefazione dei Monu-
menta, ricordando però molti statuti del codice n. 4, che rimasero
invece inediti (i). Come a Padova si chiamavano « maleablati »,(2),
così a Brescia si chiamavano « malesardi » i banditi dal comune
per ragioni politiche ; ma non crediamo però che si volesse con
tale nome indicare un vero e proprio partito politico, men che
meno poi una famiglia; ma cacciati alcuni cittadini, venivano essi
chiamati malesardi dai vincitori ; i quali, vinti più tardi, diventa-
vano uscendo dalle patrie mura, alla lor volta malesardi e banditi.
E le medesime armi si adoperavano dai fratelli contro i fratelli ;
poiché il bando importava, almeno fino alla metà del sec. XIII,
come ci avvertono alcuni statuti inediti (3), la distruzione delle case
e dei poderi. Ed i « nefarii homines w contro i quali vediamo in
alcuni statuti fulminate le pene più severe, pochi anni appresso
inserivano accanto agli statuti, scritti contro di loro, altri ordina-
menti « ad purgandam civitatem et districtum Brixie iniquis et
u dampnosis et malitiosis hominibus », minacciando le stesse pene
a coloro che si macchiavano dei delitti più gravi e agli avversari
cacciati dalla patria per ragioni politiche (4).
Importante pure è il gruppo di statuti intorno alle fiere, del
1253-54, redatti cioè in quel periodo nel quale con la morte di
Federico di Svevia, il comune, libero, ormai, accrebbe con molte
leggi, segno di rinnovata alacrità, il codice statutario (5). Molti
capitoli di diritto pubblico ed amministrativo si leggono pure a
<^c. 63, 70 e 105 del codice completo. Essi riguardano l' ufficio
del massaro del comune, dei consoli di giustizia, dei consoli che
giudicavano le cause in sede di appello, il salario e gli obblighi
(i) M. H. P., XVI, par. II, col. 1584 [35, 40 e 41] ; Stor. hresc, Vili, p. 59.
(2) Gloria, Siat. di Padova, n. io, 418 e 419, 461, 640. Sembra però che
non sia del tutto rispondente alla verità la spiegazione che il Gloria dà alla pa-
rola " maleablati », ibid., p. io ; che troviamo invece in vari documenti vene-
ziani con diverso significato.
(3) Cod. n. 4, e. 35, cap. L (lac. a 133 dei Moti.) " de domibus non
*' destruendis „. (A. 1254).
(4) Ibid., cap. LII sgg. È una serie quasi organica di statuti emanati nel
1254, nel 1277 e nel 1285 coatro i malesardi ed i banditi, e non solo laici, ma
anche ecclesiastici (cap. LXXXX, lac. a e. 133 dei Mon.).
(5) Cod. n. 4, cap. LXXII sgg., ce. 17 e 19 (lac. a coli. 106 e 107
dei Mon.y
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICX) CODICE, ECC. 33
del podestà, dei preconi che dovevano ad alta voce promulgare
le leggi in certi luoghi della città (i).
La riforma agli statuti ordinata sotto la podestaria di Rolàn-
dino di Canossa nel 1282, e quelle degli anni sùcccessivi, alla cui
importanza accennò pure il Valentini, mancano interamente nella
edizione dei Monumenta (col. 248). Sono statuti molto interessanti
che riguardano la sicurezza della città dai nemici interni ed esterni,
per cui vengono istituite apposite guardie notturne e custodi a
piedi e a cavallo. Parecchi paragrafi minacciano gravi pene ai
ladri ed ai malfattori e ricordano l'obbligo che avevano i villani e i
cittadini di rincorrerli ed arrestarli, ne mancavano le multe per
i pigri e i premi per coloro che coraggiosamente avessero affron-
tato i banditi. La campana serale, secondo queste riforme, doveva
segnare veramente la fine della vita dentro le mura, proibiti i cla-
mori, le taverne chiuse ; e tutti coloro che si indugiavano per le vie,
od uscivano di casa, dovevano portare un lume acceso. Altri capi-
toli riguardano argomenti diversi : il dazio del vino, il lavoro degli
orefici secondo le norme chieste a Venezia, varie opere pubbliche,
fra le quali il restauro della strada di Leno, devastata e rotta,
che doveva venire rifatta a spese di parecchi comuni. Varie sono
le riforme di diritto penale; meritano speciale ricordo quelle che
proibivano certi supplizi, come quella terribile di accecare i rei;
quelle che limitavano l'abuso della tortura e molte altre riguardo
alle carceri ed ai carcerati. In quell'epoca le mura venivano mer-
late, ed erano scelti due legali per quartiere i quali dovevano vigi-
lare le mura del castello, le cui chiavi solevano affidarsi a persone
sicure. Nella chiesa di S. Stefano di Castello non essendovi « a me-
« moria hominum w un sacerdote, si istituiva una curazia, conve-
nientemente dotandola, e ad onor del santo si proibiva alle peccatrici
di abitare nelle stradette che conducevano al castello, ordine che
dovette avere effetto ben limitato, se lo vediamo ripetuto più tardi
nel 1297 (2).
Degli statuti contro i ribelli di Valcamonica parlarono 1' Odorici
ed il Valentini, alle cui opere rimandiamo il lettore (3). Qui ci basti
(i) Lac. a coli. 163, 176 e 235 dei Moti.
(2) Cod. n. 4 a ce. 1 14-129.
(3) Valentini, op. cit,, p. 11 ; Odorici, Stor. Iresc.^ VI, p. 234 sgg.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXIT, Fase. V. 3
43 M. ROBERTI E L. TOVINI
accennare come questo importante documento, dimenticato dalla
maggior parte degli scrittori che si occuparono di quel terribile
episodio, sarebbe ancor inedito, se il Valentini non lo avesse pub-
blicato in appendice alla monografia intorno agli statuti bresciani.
Ancor inedite invece sono le correzioni, di argomento vario, del
1290, fra le quali è molto notevole uno statuto « super homini-
« bus et universitatibus novis habitantibus in terris brixianis », che
riguarda cioè certe « universitates hominorum novorum — , que
« nove universitates nolunt respondere creditoribus antiquis ipsa-
« rum terrarum. Et gaudent et possident possessiones antiquas et
u novas ipsarum terrarum ». Dovevano essere ben numerose queste
« universitates », o consorzi di contadini, i quali prendevano in af-
fitto dei terreni, se uno speciale statuto dovette occuparsi di loro,
ma non si comprende bene la domanda dei creditori, che le « uni-
u versitates nove » avessero da assumere i debiti dei precedenti
coltivatori.
Come abbiamo in altro paragrafo accennato, è interamente
inedito il libro V, che contiene gli statuti della gabella, riformati
nel 1293. È una serie di ventitré capitoli, dove sono esposti i vari
diritti del comune sovra beni concessi a titolo di feudo, di loca-
zione o di temporaneo uso, per i quali si obbliga il giudice del
podestà « qui erit deputatus prò tempore ad exationem averis co-
u munis » a tenere uno speciale elenco. Alcuni capitoli riguardano
le tasse cui erano sottoposti i beni lasciati in eredità a chiese ed
a monasteri, le imposte che colpivano i cittadini, il modo di esi-
gerle, le persone destinate a tale ufficio, i loro diritti e i loro do-
veri. Né mancano alcune disposizioni contro i banditi, i beni dei
quali (capitolo XIII) servivano a pagare i soldati del comune. Di una
qualche importanza sono pure alcuni statuti inediti, in fine del
libro VI, intorno alle monete fuori di corso e che il « campsor »
doveva « tayare incontinenti » (i). Il capitolo CXIV proibisce tutte
le vecchie monete che fino allora liberamente correvano in Brescia,
« nisi ambroxianos, placentinos, veronenses et papienses de XII
« mexanis et alias monetas per comune Brixie concessas ad ex-
« pendendum et quod debeant currere per civitatem et districtum
« Brix. videlicet brixianenses novi grossi et parvi, veniciani grossi et
(i) Cod. n. 4 a e. 158 (capp. CXII-CXV) corr. a lac. in col. 272 dell'edi-
zione dei Mon.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 35
« parvi, veronenses grossi et parvi, mantuani grossi et parvi et
« trentini grossi ad ligam veronensium facti »>.
Delle u Consuetudini bresciane », colle quali si apre il libro VII,
scrisse e largamente il Lattes : accennare ad esse non sarebbe
che ripetere quanto fu scritto. Nello stesso libro che contiene le
consuetudini, si legge 1' « Ordinamentum ingrossatorum w: una lunga
serie di statuti di epoche varie, ma riuniti con un certo ordine.
Vengono in essi fissate le norme « quod anguli dirigantur seu dri-
u centur », concedendo agli ingrossatori il diritto di espropriare
forzatamente fino ad un iugero di terreno, dietro compenso di altro
terreno o di equivalente somma di denaro. I terreni venivano con-
cessi dopo la stima fatta da appositi « extimatores », dei quali si
legge pure inedito nel codice il « sacramentum » (i).
Un altro gruppo omogeneo di statuti fa seguito ai precedenti,
col titolo generale : « Statuta pertinencia ad officium extimatoris
« super facienda cessione honorum ». Sono molto interessanti non
tanto forse per l'argomento, quanto perchè essi rappresentano la
parte più antica del codice, portando tutti, salvo le aggiunte e le
correzioni posteriori che raddoppiarono quasi il numero degli sta-
tuti primitivi, la data 1195 (2).
Più innanzi, nello stesso libro, chiuso in mezzo fra il calmiere
per il pane e le leggi intorno ai fornaciai, v' ha un notevole sta-
tuto, pure inedito, che riguarda il collegio dei giudici bresciani (3).
A capo di questo stavano due anziani che duravano in carica un
anno, nella matricola dovevano essere scritti i nomi di tutti i
membri, né poteva essere accolto nel collegio chi non avesse stu-
diato « per quinquennium ad minus in studio generali legum et
'« postea aprobatus fuerit per collegium » ; norme, come si vede,
simili a quelle che vigevano in molte altre città, dove da tempi
antichissimi fiorirono i collegi dei giudici.
Notevole altresì è la serie organica delle disposizioni riguar-
danti le decime. Gli statuti che si leggono nel nostro codice (4)
(i) Cod. n. 4, e. 163 sgg. (capp. LIII-LXIX).
(2) Ibid., e. 164 (capp. LXX-LXXXII).
(3) Ibid., e. 169 (cap. CXVIII).
(4) Ibid., ce. 175-177 (cap. CXLVII diviso in 16 paragrafi) tralasciate anche
dall' Odorici nel suo Cod. dtp. {Stor. hresc, VII, p. 139).
36 . M. ROBERTI E L. TOVINI
non sono altro che modificazioni apportate all'antico diritto consue-
tudinario; alle decime infatti si riferiscono parecchie « usancie », con-
tenute nelle Consuetudini bresciane (i). Questa materia era oggetto
di continua controversia fra il vescovo ed il comune, sia riguardo
alla competenza dei giudici laici nelle liti, sia riguardo alla forma
ed al contenuto delle consuetudini stesse. Già uno statuto del 1277
obbligava i cittadini laici a non ricorrere ad altri giudici fuorché
a quelli del comune ; « quod nulla persona secularis audeat vel
u presumat modo aliquo conqueri de aliqua persona seculari oc-
« cassione alicuius decime vel iure decimatoris, nisi sub officialibus
u comunis Brix. sub pena et hanno X. lib. quociens quis contra-
ii fecerit w (2). Nel 1281 veniva finalmente formulato un accordo
speciale fra il comune ed il vescovo ; o meglio, come ben nota il
Lattes, da quello veniva imposto a quest'ultimo, avendo infatti il
vescovo dichiarato di voler fare « totum id quod placeret comuni
« brix. ». Parecchi furono i capitoli redatti dai « sapientes iuris »
per togliere ogni attrito « inter ipsum d. episcopum et clerum
u suum et comune Brix. occasione dicti negotii decimarum » ;
capitoli conservatici in questo codice insieme al processo ver-
bale dell' adunanza, in cui la convenzione venne presentata al
consiglio generale. Anzitutto venivano abrogate le mutazioni fatte
negli oneri a carico dei laici, a meno che questi non fossero
assenzienti, fin dal 1250, poiché (come giustamente, ci sembra,
spiega il Lattes) le usanze precedenti a tale anno, sebbene cattive,
erano protette dalla prescrizione trentennale. Venne altresì fissata
la procedura da seguire nelle liti ; esclusi i testimoni ecclesiastici
che fossero parte in causa, senza l'assenso del convenuto, come
pure invalide erano le deposizioni fatte dai coloni intorno a de-
cime gravanti i fondi da essi lavorati. Unico tribunale competente
fu dichiarato il tribunale del comune, né alle sentenze emanate
si poteva opporre l'appello; soltanto era ammessa da parte del
gravato una « supplicatio », entro dieci giorni « a die illati gra-
u vaminis » ai medesimi giudici, perchè avessero a prendere in
esame di nuovo la questione. Queste furono le sole disposizioni
ufficiali intorno alle decime inserite negli statuti bresciani del se-
(i) Lattes, Dir. cons., in append., p. 423, capp. XXXV e XXXVI.
(2) Cod. n. 4, e. 173 (cap. CXXXI) ined.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 37
colo XIII (i), le quali rendevano nulle tutte le « reformationes
u facte contra libertatem ecclesie » e le scomuniche lanciate contro
i consiglieri e l'interdetto, che sembra fosse stato fulminato contro
la ribelle città. E poiché esse rappresentavano certamente il risul-
tato favorevole al comune di una lotta lunga ed aspra, le pene
per i contravventori dovevano essere ben severe ; infatti chi, se-
guendo altre norme avesse con ciò dimostrato di parteggiare
per la chiesa, doveva essere privato della protezione del comune
« tam in persona quam in rebus ». Il nostro codice ci ha conser-
vato altresì il verbale della seduta con la discussione che seguì
dopo la lettura dei nuovi statuti ; notevoli sono le multe proposte
ed approvate contro i giudici (avvocati) che avessero scritto « con-
u silium aliquod contra predictam provisionem », contro i notai che
avessero redatto qualche istrumento, e contro i ministrali che aves-
sero fatta « aliquam ambaxatam contra ipsam provisionem ».
Il libro Vili comprende, come abbiamo sopra accennato, gli
« statuta clausorum » riformati nel 1293 dal consiglio generale e
che mancano completamente nell'edizione dei Monumenta, Ad essi
già accennarono l' Odorici , eh' ebbe a pubblicarli quasi intera-
mente nel suo Codice diplomatico (2}, ed il Valentini ; ne invero
crediamo meritino un lungo discorso. Sono i soliti provvedimenti,
che si leggono in fine di tutti i codici statutari delle nostre città,
sulle opere pubbliche, sulle fonti e sui fiumi e sugli obblighi che
gravavano le vicinie riguardo alle fonti stesse. Parecchi capitoli
riguardano il romano acquedotto di Valgobbia e Monpiano , i
cui avanzi vennero recentemente scoperti ; la conservazione degli
acquedotti di S. Salvatore, del Foro, della Torre d' Ercole e di
altri; alcuni di epoche diverse riguardano i mulini, i ponti e le strade,
mostrandoci la cura che aveva il comune bresciano per tenere in
buono stato le grandi vie di comunicazione con grande vantaggio
per i commerci e le industrie. Altre leggi riguardano gli spaldi
cittadini da Mombello a Portanuova ed altri lavori di pubblica uti-
(i) Andarono perdute le riforme fatte " super decimarum et occasione de-
" cimarum tempore Leonardi de Amatis olim vicarius Brixie „ (A. 1279), ri-
cordate nel nostro codice a e. 177, § XVI.
(2) Odorici, Stor. bresc, Vili, p. 49; M. H. P., prefaz., col. 1584 (39);
VALEhfTiNi, op. cit., p. 51.
38 M. ROBERTI E L. TOVINI
lità, per i quali s' utilizzavano i ruderi delle abbattute case dei
malesardi.
Inedite per ultimo sono le riforme, decretate già nel 1285 e
ripetute nel 1297, intorno alle donne di mala fama, riforme alle
quali ebbe già ad accennare T Odorici (i). Nelle stradette del ca-
stello esse continuavano a tenere pubblico ridotto con grave scan-
dalo, malgrado i severi provvedimenti del 1285. Infatti nel 1297
il prevosto di S. Pietro in Oliveto e i preti di S. Stefano e di
S. Martino presentavano al consiglio una petizione, perchè dalla
via Porta a S. Stefano e per tutto il colle della fortezza e presso
le chiesette attigue venissero cacciate le peccatrici ; e, pigliate le
renitenti e flagellate dinanzi al popolo, fossero espulse fuor delle
mura e del distretto dopo tre giorni dall'eseguita flagellazione. Il
consiglio accettava la proposta e la estendeva anzi a tutte le pec-
catrici della città, inserendola tal quale nel volume degli statuti.
Con questo documento termina la parte ancor inedita degli
statuti bresciani del sec. XIII ; e siamo certi che anche al lettore
non sembrerà fatica del tutto sprecata la sua pubblicazione, inte-
grando in tal modo l'opera, tanto laboriosa ed encomiabile, del-
l' Odorici.
§ VI. Per completare questo breve studio critico intorno ai co-
dici statutari bresciani del sec. XIII, e per rendere meno gravi
agli studiosi le lacune che abbiamo riscontrato nell'edizione dei
Monumenta, crediamo opportuno notare in questo ultimo paragrafo
quei capitoli, che, sebbene manchino nel codice n. 3, vennero in
tutto od in "parte pubbUcati in altre opere; |e quei capitoli com
presi nella nuova redazione del 1313, che si possono trovare
in questo codice , edito pure dall' Odorici nello stesso volume
dei Monumenta, Questo secondo lavoro sarebbe stato però ben
facile se gli statutari del 1313 avessero mantenuto l'ordine an-
tico degli statuti; ma poiché, com' ebbe a notare l'Odorici, v'era
« in quelle pagine un complesso di ordini, di promissiones, di con-
o suetudini, di provvedimenti per lo più raccolti sotto forma del
« solito giuramento del podestà, accumulati alla rinfusa », così gli
statutari, volendo porre un po' di ordine nella raccolta, dovettero
inserire alcuni capitoli in un luogo, altri in altro, dove essi stimarono
(i) Odorici, Stor. hresc, VI, p. 225.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 39
più opportuno. Il lavoro divenne quindi molto più grave, poiché ogni
capitolo inedito si dovette confrontare con le simili disposizioni in
ciascuna delle quattro parti nelle quali è diviso il codice del 1313.
Questa seconda parte del lavoro ci fu però proficua di utili
ammaestramenti. Anzitutto abbiamo facilmente notato che gli sta-
tutari del 13 13 lasciarono da parte un grande numero di disposi-
zioni che avevano ormai col tempo perduta ogni pratica importanza,
e che sopra 489 capitoli inediti (a tanti assommano le lacune del
codice n. 3, fatta eccezione del libro Vili) soltanto 175 furono com-
presi, e con varianti diverse, nella redazione del 1313; mentre 314
capitoli venivano ritenuti ormai privi di valore. Abbiamo altresì
potuto accertare Tepoca precisa nella quale vennero emanati molti
capitoli, ed infine abbiamo potuto avvertire le aggiunte e le inter-
polazioni varie fatte in alcuni capitoli del sec. XIII.
M. Roberti e L. Tovini.
APPENDICE
I. Capitoli già pubblicati in altre opere.
Statuto dei Malesardi (cod. n. 4 in princ.) in parte pubblicato dal-
TOdorici, Stor. bresc.^ VIII, p. 59.
Lac. a col. 106 dei Mon. in parte pubbl. dall'OooRici, ibid., VII, p. no.
„ „ 133 „ „ alcuni capitoli saltuariamente, ibid,, VII,
pp. 124-126 e Vili, p. 12.
„ „ 248 „ „ a piccoli brani e in parte, ibid., Vili, p. 35.
„ „ 248 „ „ (statuti di Valcamonica) Valentin!, Stai, di
Bresc.f Nuovo Arch. Ven,, XVI, p. 99.
„ „ 274 „ „ (De usanciis) Lattes, op. cit., (48 paragrafi).
„ „ 274 „ „ (dal cap. Lll al CLIV) saltuariamente in
Stor. bresc, VII, pp. 133-39.
„ „ 274 „ „ {Statuta clausorunty lib. Vili) quasi intera-
mente pubbl. ibid., Vili, pp. 47-58.
Statuto delle Croci in fine del cod. n. 4 pubbl. dal Valentini, Storie
delle SS. Croci di Brescia , in append.
Statuto delle peccatrici in fine del cod. n. 4 riassunto in Odorici^
op. cit, Vili, p. 58.
II. Collazione dei capitoli inediti del cod. n. 4 col cod. del 1313.
Lac. a col. 106 in ediz. dei " Monumenta „.
Cod. n. 4 a e. 17. Lib. I, cap. LXXI è riprodotto
nel cod. del 1313 . . Lib. I, § LXI.
40 , M. ROBERTI E L. TOVINI *
Cod. n. 4 a e. 17. Lib. I, cap. LXXVIII .... Lib. I, § LXIV.
cap. LXXVIIII (con una
breve aggiunta) . . „ § LXV.
cap. LXXX „ § LXVI.
cap. LXXXIII . . . . „ § LXII.
cap. LXXXUII . . . . Lib. II, § CCXXXIII.
Lac. a col. loy in ediz. dei " Monumenta „.
Cod. n. 4 a e. 19. Lib. I, cap. LXXXVIII è ripro-
dotto nel cod. del 1313 Lib. II, § CCXXXVII.
„ cap. LXXXXIII . . . „ §§ CCXLII e
CCLIV-V.
. . „ cap. LXXXXV ... „ § CCLVIII.
Lac. a col. ijj in ediz. dei " Monumenta „.
Cod. n. 4 a e. 35. Lib. II, cap. XLV è riprodotto
nelcod. del 1313 . . Lib. Il, § XLVIII.
„ cap. XLVIII (con due
brevi aggiunte). . . Lib. I, § CI.
„ cap. XLVIIII (invece
delle parole: " et om-
« « niaeorumbonafient
. " guasta „ si legge:
" deveniat in comu*
ni „ (I). . . . . . „ § CXXIX.
. cap. L . „ § CLII.
„ cap. LI Lib. II, § LXII.
„ cap. LII con aggiunte
le parole : " de ban-
no... libris,, e le altre:
; " Et quod nulla per-
" sona condenna-
« tionis „ (2) . . . „ § LV.
„ cap. LV con aggiunte
le parole: ^* de ban-
/* nitis.... librarum „
e le altre: " additum .
.V " est... seu condem-
' « nationis „ . ... „ : § LVI.
(i) È notevole questa modificazione che sostituisce la confisca alla distru-
zione dei beni dei banditi.
(2) Quest' aggiunta riassume molti capitoli del codice del scc. XIII, che yen^
nero quindi nella nuòva redazione lasciati da parte.
4
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC. 4I
Cod. n. 4 a c. 35. Lib. Il, cap. LVIII Lib.ll, § LVIII.
cap. LVIIII „ § UX.
cap. LXI „ § LXXII.
„ cap. LXIIII invece di
" partis ecclesia „ si
legge: * sancte ma-
" tris ecclesie et com.
" Brix. „ „ § LXXIII.
„ cap. LXXI con le parole:
" applicandos partis...
* de predictis „ . . „ § LUI.
cap. LXXVIIII . . . „ § LXXIV.
cap. LXXXI . . • . . „ § LXXV.
„' cap. LXXXXV ... „ § LXV.
Lac, a col. ij6 in ediz, dei " Monumenta „.
Cod. n. 4 a e. 45. Lib. II, cap. CXI è riprodotto
nel cod. del 1513 . . Lib. II, § LXXIX.
cap. CXII ..... „ § LXXX.
cap. CXIV ...... „ § LXXXII.
Lac. a coL 166 in ediz. dei " Monumenta „.
Cod. n. 4 4 e. 63. Lib. III, cap. XL è riprodotto nel
cod. del 1313 ... Lib. II, § CC.
cap. XLII „ § ceni.
cap.,XLIIII „ § CCIV.
„ cap. XLV. ..... „ §CCV.
cap. XLVI „ § CCVI.
Lac. a col. jy6 in ediz. dei " Monumenta „.
Cod. n. 4 a e. 70. Lib. III, cap. LXXVIII è ripro-
dotto nel cod. del 1 3 1 5 Lib. II, § CCXII.
cap. LXXXIII . . . . „ III, § IV.
cap. LXXXIV .... „ § IV.
Lac. a coi. 190 in ediz. dei " Monumenta „.
Cod. n. 4 a e. 79, Lib. III^ cap. CLXXI è ripro-
dotto nel cod. del 13 13 Lib. I, § XCII.
Lac. a col. ipj in ediz. dei " Monumenta „.
Cod. n. 4 a e. 81, Lib. III, cap. CLXXXII è ripro-
dotto nel cod. del 1313 Lib. IV, § XXXV.
42
M. ROBERTI E L, TOVINI
Lac, a col. 248 in edìz, dei " Monumenta „.
però
Cod. n. 4 a e. 114, Lib. IV, cap. X è riprodotto
nel cod. del 13 13
„ cap. XI con aggiunte
le parole : " et om
" nia... quandocum
" que „ .
„ cap. XIII . .
cap. XIV . .
„ cap. XVI (non
interamente)
cap. XVII.
cap. XXI .
cap. XXII.
cap. XXIII
cap. XXIV
cap. XXV
cap. XXVI
cap. XXVIII
cap. XXXIX
„ cap. LX . .
„ cap. XLI . .
„ cap. XLIL .
cap. XLVI .
„ cap. XLVIII. In
il concetto è r
dotto in . .
„ cap.LIIIIconagg
le parole : " Item te^
" nor... esset facta „ ;
eie parole : " et si
" militer... ad ter
" mentis ,
„ cap. LX .
„ cap. LXI .
cap. LXXII
cap. LXXIII
cap. LXXXVI. Lo
statuto " de remo
" vendo, etc. „, ivi
richiamato è ripro
dotto in . .
cap. LXXXVIII
cap. LXXXIX .
cap. LXXXXI con ag
parte
prò
unte
Lib. II, § XXXIV.
„ § XXII.
„ § LX.
„ § LXI.
„ § LXIII.
„ § LXIV.
Lib. I, § XLIV.
„ § XLVI.
„ § XLVn.
„ § XLVIIL
„ § XLIX.
» §L.
Lib. II, § CXI.
§ CLXVIIII.
Lib. I, § CLXXVin.
§ CLXXIX.
Lib. II, § CLXXXVIl.
Lib. I, § CLV.
Lib. II, § CCIV.
Lib.
§ XXI.
§ XCVI.
I, § CLI.
§ XCIX.
§c.
Lib. II, § XXXVIII.
Lib. I, § CHI.
« § cv.
ECC. 43
giunte le parole:
" et teneatur pote-
" stas statutum
" non habeat lo-
« cum „ (i) . . . Lib. I, § CUI.
Lib. IV, cap. LXXXXV . . . Lib. II, § XCV (2).
cap. LXXXXVII . . Lib. I, § CLXXXI.
„ cap. C molto affine
nel concetto al . . „ § CLIX.
cap. CHI , § CIX.
cap. CVIII , § ex.
cap. CXXXVIII con
aggiunte le parole ;
" et quod aliquis....
" et facere legale
« ferrum „ . . . Lib. II, § CXXXVIIL
„ cap. CXLVIII con ag-
giunte le parole:
" Et quod comunia...
" poterint vel inve-
"niri,, „ § LXX.
Lib. V, cap. IV „ § CXCVL
cap. VI. ..... „ § CXCVII.
„ cap. VIII ..... Lib. IV, § XVI.
„ cap. IX „ § XVIL
cap. XI ..... Lib. Il, § CXCIL
„ cap. XV con aggiunte
le parole " et quod...
« loquente „...., § CXCIIL
„ cap. XVIII ...... § C.
Lib. VII, cap. XLVIIII (i) è
molto affine a! . . Lib. IV, § LXIX.
cap. LI Lib. Ili, § IV.
cap. LII . . . . . „ § VL
cap. LUI „ § VIL
,, cap. LIV „ § Via.
„ cap. LV . . . . . „ § IX.
„ cap. LVI . . . . . „ § X.
cap. LVII . . . . „ § XI.
(i) Questa aggiunta dimostra come il comune bresciano volesse togliere intera-
mente l'uso di rovinare le case dei ribelli e dei banditi « ad decorem civitatis »,
come dice lo statuto inedito del codice del sec. XIII, " cum dicatur quod ci-
" vitates facte sunt ad similitudinem paradisi „.
(2) La multa esagerata di cento soldi venne però ridotta a venti.
44
M. ROBERTI E L. TOVINI
Lib. VII
, cap. LVIII ....
Lib.III,§ XII.
»
cap. LXV solo in par-
te riprodptto. . .
»
§ XIII.
j,
cap. LXVI ....
w
§XIV.
) '»
cap. LXX è molto af-
1] ^r\
fine ......
w
, § CCLXXV
M
cap. LXXl ....
»
§ XVI.
,,
cap. LXXIV . . .
I)
§ xvir.
W
cap. LXXV ....
w
§ XVIII.
»
cap. LXXVI ....
M
§ XIX.
»
cap. LXXVII . . .
n
§xx.
»
cap. LXXIX ....
n
§ XXI.
n
cap. LXXXII con ag-
giunte le parole:
" additam est, etc „.
»
§ XXII.
»
cap. LXXXIII con ag-
. giunte le parole:
" vel consulibus iu-
« stitiae „ ...
w
§ XXIII.
w
cap. LXXXIV con ag.
giunte le par ol^e:
" et nisi... ine'dit X „
»
§ XXIV.
»
cap. LXXXV salvo
qualche variante .
n
§xxv.
»
cap. LXXXVII . .
»
§ XXVI.
M
cap. LXXXVIII (2) .
»
§ XXVII.
W
cap. LXXXXIII salvo
qualche variante .
)ì
XXVIII.
>;
. cap. LXXXXIV . .
yy
§ XXIX.
>?
cap. LXXXXVI con
aggiunte le parole:
'/ ;
" exquo.... venden-
,111.'^
tium sit „ . ...
1f
§ XXX.
»
cap. LXXXXVn . .
»
§ XXXI.
w
cap. XC Vini con qual-
che variante. . .
»
§ XXXU.
»
cap. C con varianti .
lì
§ XXXIII.
Jf
cap. CI con piccole
varianti ....
ì)
§ XXXIV.
n
cap. CIV . . . . .
ì)
§ XXXV.
(i) Solo venne aggiunto il diritto di appello per le sentenze pronunciate
dagli stimatori, mentre nel codice del sec. XIII esse avevano forza di cosa
giudicata.
(2) Ved. nota precedente.
LA PARTE INEDITA DEL PIÙ ANTICO CODICE, ECC*
45
Lib. VII, cap. CVII . . . . ,
rap. CVIII «ultra XH
" sol. „ è cambiato
in « ultra XVII
« sold. „ e « ultra
«VIIIsold.„in«ul.
Lib. II, § CXVIII.
« tra IX sold. „ (i).
1}
§ CXIX.
cap. CVIIII ....
jf
§ CXX.
cap. ex
»
§ CXXL
cap. CXI
M
§ CXXII.
cap. CXII . . . .
>t
§ CXXIII.
cap. CXIII ....
»
§ CXXV.
cap. CXIV ....
»
§ CXXIV.
cap. CXV ....
»
§ cxxvn.
cap. CXVl . . . .
»
§ CXXVI.
cap. CXVIII ... .
Lib.
Ili, § CCIL
cap. CXVIIII . . .
Lib.
I, § CXVIII.
cap. CXXII con ag-
giunte le parole:
" additum est, etc. „,
e salvo qualche va-
riante
Lib.
Ili, § LIX.
cap. CXXIV molto af-
fine nel concetto al
»
§ XLV.
cap. CXXV ....
Lib. II, § CXXIX.
cap. CXXVII . . .
Lib.
UT, § XLVI.
cap. CXXVllI . . .
w
§ xeni.
cap. CXXVIIII (2) .
»
§ CLXXVIL
cap. CXXX ....
»
§ CXVI.
cap. CXXXI è nel
concetto molto af-
fine al
»
§ CLIX.
cap. CXXXII . . .
n
§ XCIV.
cap, CXXXIII molto
afl&ne al ... .
w
§ XXXIX.
cap. CXXXIV venne
aggiunto il lungo
tratto dopo : " Item
" statuunt „ . . .
w
§ CLXXV.
(i) Queste variazioni dei salari sono un fatto non speciale della città di
Brescia, ma comune a molte altre città italiane, e dipendono oltre che dal mag-
gior valore del denaro, anche dalle mutate condizioni dei lavoratori.
(2) Non sappiamo perchè sia stata cambiata la data del 1276, nell'altra 1273.
Forse fu un errore dell'amanuense.
■
46
M. ROBERTI E L, TOVINI - LA PARTE INEDITA, ECC.
ib, VII
, cap. CXXXV è molto
affine nel concetto
al
Lib.
III, § CLXXXV,
»
cap. CXXXVIII molto
affine al ... .
>;
§LL
»
cap. CXXXIX con ag-
giunte le parole:
" addunt correcto-
" res.... M.CC.LII „.
i>
§ XLIX.
»
cap. CXXXX . . .
»
§ XLV.
»
cap. CXLII . . - .
»
§ XXIV.
»
cap. CXLV . . . .
if
§ CLXXVIII.
»
cap. CXLVIII è affine
al
Lib.
I, § XXII.
w
cap. CL . . . . .
Lib. III, § XCVL
w
cap. CLI è affine nel
concetto al . . .
»
§ cLxvin.
w
cap. CUI
n
§ xcvn.
»
cap. CLIII . . . .
}}
§ XCVIIL
w
cap. CLIV . . , .
»
§ XCIX.
M
cap. CLV . . , .
)t
§c.
.n
cap. CLVI . . . .
w
§CL
»
cap. CLVII . . . .
i;
§ CLXXL
)j
cap. CLIX . . . .
w
§ CLXXI.
w
cap. CLX con qualche
variante . . . .
»
§ cLxxn.
»
cap. CLXIl . . . .
n
§ Lin.
w
cap. CLXIV. . . .
w
§ XXXIX.
w
cap. CLXV . . . .
Lib.
I, § evi.
»
cap. CLXVIl . . .
Lib.
Ili, § cu.
w
cap. CLX VIII è mol-
to affine nel con-
cetto al . . . .
)>
§ XXXIII.
Note e documenti santambrosiani ^*^
SECONDA SERIE.
La « SUPERSTANTIA » DELLA BASILICA.
RIAMATA anche ,iLjàfeoX.,.&Qte||g », la « superstantia »
rappresentò in origine una delegazione del comune, per
raccogliere ed amministrare i fondi destinati alla rifab-
brica della basilica. Di qui la preponderanza dell'ele-
mento laicale mantenutasi per più secoli nell'ufficio del « superstes »
o u superstans » (i) di questa, come di altre basiliche milanesi ; la
ricostruzione delle quali coincide, al pari della rifabbrica di S. Am-
brogio, col risveglio delle energie delle varie classi del laicato citta-
dino, uscito più gagliardo dalle lotte fra l'impero ed il papato, fra
l'alto clero concubinario e simoniaco ed il clero minore e la « pata-
« ria », conscio della propria forza, che lo portava a dirigere le sue
feconde iniziative in ogni campo della pubblica attività, cominciando
col soddisfare ai bisogni del culto e col provvedere ad una più deco-
(•) Cfr. la prima serie in quest'Archivio, XXXI, 1904, fase. IV, pp. 302-359.
(i) Con questa stessa denominazione erano indicati nell'antica porta Ro-
mana, sotto le sculture rappresentanti il ritorno dei milanesi in città, Guglielmo
Borro e Prevede Marcellino, « huius operis superstites », insieme ai nomi dei
consoli della repubblica,, sotto il cui reggimento era stata iniziata la ricostruzione
della porta il primo marzo 1171, e dell'architetto e scultore Girardo da Casti-
gnianega. La denominazione ricompare sino dai primi atti della fabbrica del
duomo, per indicare le persone incaricate di sorvegliare l'esecuzione dei lavori.
48 GEROLAMO DISCARO
rosa venerazione dei corpi dei santi, nella cui protezione la città
riponeva ogni speranza di grandezza e di prosperità (i).
Creata per la direzione amministrativa della rifabbrica, la so-
prastanzia ricevette ben presto legati e doni di terre e di censi; i
cui redditi, dopo compiuti i lavori in corso, si dovevano erogare
nelle spese di manutenzione ordinaria dell'edificio. Divenne così una
Istituzione permanente, che, essendo venuta a cessare, colla diffe-
renziazione compiutasi poco a poco nelle attribuzioni delle magi-
strature cittadine e dell'autorità ecclesiastica, l' influenza diretta del
comune nelle cose della basilica, finì per cadere sotto la giurisdi-
zione dell'arcivescovo; il quale nella sua veste di « dominus » del
tempio, rivendicò il diritto di porvi il « superstans » e di con-
trollarne la gestione.
È notevole rispetto alla contemporaneità della rifabbrica della
chiesa di S. Ambrogio colla ricostruzione di altri templi milanesi,
per mezzo di altrettanti uffici chiamati « labores w, il testamento del
febbraio 11 12 di Gisla, vedova di Amizone Ghiringhello, la quale
lasciò alcune terre alle chiese di S. Maria «j emale w, S. Nazaro al
corpo e S. Stefano alla ruota, assegnando ai « labores « delle tre
phiese « donec » (ciascuna di esse) « restaurata fuerit w, una parte
dei redditi, che « post completum ipsum laborem », dovevano an-
dare a favore delle rispettive canoniche (2). Altri documenti avver-
tono che nella stessa epoca si lavorava intorno alla grande basilica
di S. Eustorgio; il cui « labor » viene beneficato in un testamento
del 1121, come un ente distinto dalla canonica addetta all'officiatura
della chiesa (3). Più tardi, nel 1147, si ha notizia del « labor » della
(i) Il medesimo fenomeno si verificò intorno allo stesso periodo di tempo
a Pavia, Verona, Parma, Modena, ecc.
(2) Codice diplom. Della Croce, ms. Ambros. D. IV, Sup. V, e. 74. Chia-
mavasi « labor sancte Marie Maioris » o « Jemalis », la casa ove era la sede
della soprastanzia della metropolitana, presso al palazzo dell'arcivescovo, vicino
all'antico broletto del comune. Si hanno più sentenze consolari e arbitrali della
seconda metà del sec. XII pronunciate a in labore S. Marie jemalis ». Della sopra-
stanzia di S. Stefano « in brollio », detto anche « ad rotam », abbiamo trovato una
sola notizia indiretta in un atto del 1336 (Cod. Della Croce, XXIII, sub a. 1336).
(3) Ibid., V, e. 147, 1121, aprile i. Ambrogio (« qui dicor Saginus ») fu
Lanzone, dispone alcuni suoi beni a ad partem laboris ecclesie S. Eustorgii », e
vuole che alla morte della moglie anche altri beni « deveniant in iure supra-
« scripti laboris S. Eustorgii ad retinendum ipsum laborem ».
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 49
basilica di S. Simpliciano (i). Mentre a S. Ambrogio, S. Tecla,
S. Lorenzo, S. Eustorgio e a S. Maria j emale le soprastanzie con-
tinuarono ad essere affidate quasi sempre ai laici nei secoli XIII e
XIV (2), già nel 1153 troviamo « superstans « della chiesa diS. Gior-
gio al palazzo un diacono della stessa chiesa. Era sorta questione
fra il soprastante e il preposto della canonica per la pretesa del
primo di disporre, a suo arbitrio, del cimitero, nel quale aveva co-
struita una casa vicino alla « domus superstantie ». La causa fu
■decisa dall'arcivescovo Oberto, il quale dichiarò che « ut canones
(i) BoNOMi, Tah. Clarev., ms. Braidense^ A. E. XV, 20, doc, n. 75; 1142
gennaio 27. Alberico Ferrario del borgo di porta comasina, per il caso che a in
<( hoc itinere Yerusalem in quo modo iturus sum mortuus fuero », lascia fra
molti legati pii cinque soldi all'ospitale, cinque al monastero e cinque « labori »
■di S. Simpliciano.
(2) Della soprastanzia di S, Maria jemale si ha un atto del 1209 con cui
« Abiaticus, qui dicitur Pasquahs superstes laboris mediolanensis ecclesie beate
« Marie » concesse in affitto perpetuo una « braira ipsius laboris » ad una com-
pagnia di partecipanti (R. Archivio di Stato, Arch. dipi., pergam., fascio n. 144).
Nel 1220 troviamo Oprando fu Lanfranco da Besana « superstite laboris S. Marie
« raaioris » (Sassi, Series archiepisc, TI, 650). Argomentiamo che nel 1337 la
soprastanzia della metropolitana fosse stata unita al capitolo maggiore, da un atto
di quell'anno, col quale l'arciprete e il capitolo rinnovarono ad alcuni parteci-
panti l'investitura di alcune porzioni della braida suddetta, senza più fare men-
-zione della soprastanzia (i.\rch. di Stato, Se^. storica, comune di Milano, Fabbrica
del Duomo). A S. Eustorgio, sebbene, come si vedrà più innanzi, l'ammini-
strazione della soprastanzia fosse stata fino dal 11 56 affidata alla canonica della
basilica, i soprastanti laici continuarono ad alternarsi coi chierici per tutto il se-
colo XIII. Nel 12 51 era soprastante frate Anselmo Corbo (Cod. Della Croce,
XVII, sub a. 125 1), e nel 1294 « dominus Gasparrus Sella civis Mediolani
« porte ticin. » (Arch. dipi., perg. S. Ambrogio, fascio n. 116). '■ — Dell'antica so-
prastanzia di S. Lorenzo maggiore abbiamo un atto del 1209, di locazione con-
cessa da Riboldo e Guido « qui dicuntur Prestinarii, superstantes laboris S. Lau-
« rentii », di un fondo posto fuori di porta Ticinese, « ubi dicitur in Valle Orioni
« prope ecclesiam S. Eustorgii » (Ibid., Se:(^. storica, arcivescovi, busta IV). L'atto
porta la sottoscrizione dell'arcivescovo Uberto da Pirovano, che conferma la di-
pendenza diretta dall'arcivescovo di quella soprastanzia, sebbene retta da laici.
Nel 1255 era soprastante frate Guglielmo da Ferrabò, contro il quale la canonica
mosse querela per ottenerne la rimozione dall'ufficio a causa della sua cattiva
amministrazione. Si diceva fra altro che « remoto plumbo de tecto diete Ecclesie
•« et ibi contra antiquum statura ecclesie et decorem, positis cuppis », avesse
gravemente pregiudicata la basilica (ibid., perg. S. Lorenzo, fascio n. 144). Nel
1290 l'ufficio era tenuto da un Visconti, « d. Petrus Vicecomes superstans diete
<(. ecclesie » (ibid., perg. S. Ambrogio, fascio n. 115).
Arch. Star. Lomb., Anno XXXII, Fase. V. 4
50
GEROLAMO BISCARO
« dictant » spettava soltanto al preposto assegnare le sepolture, e che
il cimitero doveva rimanere libero « usque ad pedes » (i). Tre anni
dopo lo stesso arcivescovo Oberto concedeva il dominio della « su-
u perstantia » della basilica di S. Eustorgio al preposto di quella ca-
nonica (2).
Questi precedenti spiegano perchè intorno alla stessa epoca i
canonici di S. Ambrogio abbiano cominciato a portare i loro cupidi
sguardi sulla « domus laboris » della basilica, cercando di attirarla
nella propria orbita, per finire, come riuscirono molto tempo di poi,
a farsene padroni; con grande dispetto, è vero, dei monaci, ma
con nessun vantaggio per la manutenzione e per il decoro della
chiesa.
Abbiamo accennato altrove alla lite del 1143 ^^^ ^ monaci e i
canonici intorno ai diritti di parrocchialità sulle case ch'erano sorte
da poco tempo nei pressi della basilica, e alla sentenza consolare
che riconobbe tale diritto ai canonici per gli edifici compresi fra
la linea mediana della chiesa verso occidente e la sede della ca-
nonica, a settentrione. La « domus laboris » si trovava appunto a
settentrione della chiesa, poco lungi dalla canonica. Qualche pre-
tesa i canonici dovevano avere avanzato sulla soprastanzia nel T162.
Nel febbraio di quell'anno Gariziano Pecora « superstans ecclesie
« Sancti Ambrosii »> e Pietro « conversus illius superstantis >» addiven-
nero coi canonici ad una transazione in una lite relativa ad un annuo
censo, legato « labori ecclesie » ; rinunciando ad ogni maggiore di-
ritto si accontentarono di ricevere tre annualità del canone (3). L'atto
prova inoltre che ormai l'ufficio del soprastante, sebbene tenuto da
laici, si considerava di carattere ecclesiastico; tanto che erano am
messe le « conversiones w a favore del « labor ecclesie », ossia l'of-
ferta che faceva taluno della propria persona e dei suoi beni a
vantaggio dell' opera, la quale, per mezzo del soprastante, si ob-
(i) Sassi, op. cit., II, 544. L'orig. è in Arch. dipi., Se:(ione arcivescovi, bu-
sta IL La data della consacrazione della chiesa di S. Giorgio in palazzo (26
agosto II 27), ricordata nelle antiche notae sancti Georgii Mediolanensis (Pertz,
M. G. H., Scr. Vili, 386), dovrebbe segnare il compimento della rifabbrica della
basilica, avvenuto intorno alla stessa epoca della ricostruzione di S. Ambrogio,
S. Simpliciano, S. Eustorgio, S. Maria j emale, S. Nazzaro e S. Stefano.
(2) Cod. Della Croce, VII-VIII, sub a. 1156.
(3) Ibid, IX, e. 7.
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 5I
bligava di fornirgli gli alimenti per tutta la vita; come si praticava
nelle conversioni ai monasteri, alle chiese e agli ospitali (i).
Quanto si è detto, in via d' induzione, a proposito della sen-
tenza dei consoli, trova conferma per il tempo posteriore nel de-
creto dell'arbitro Milone, del 1174, che assegnò ai canonici la « do-
" mus laboris quo ad iura parochie » (2). Di questa « domus »
fanno ^menzione i testimoni del processo del 1200-1201, e quelli di
un'altra causa svoltasi avanti i consoli di giustizia nel 1207 ^^^ i ca-
nonici di S. Ambrogio e i vicini delle chiese di S. Pietro « al dorso »
e di S. Naborre, intorno alla proprietà di un pezzo di terra in conti-
nuazione della sede della canonica, oltre la linea segnata dal mezzo
della fronte di S. Naborre sino alla « columpna lapidea dricta », la
colonna romana isolata all'angolo nord-ovest del portico della basi-
lica (3), attraverso la chiesa di S. Maria Greca (4). Un testimonio
in questa seconda causa depose che, dopo il ritorno dei milanesi in
(i) Nel 1200 la « domus laboris » aveva oltre ai conversi, una conversa
(Cod. Della Croce, XII, ce, 121-131: Esame del teste Stefano da Vigonzone).
(2) PuRiCELLi, Moti. Bas. Amhr., n. 147.
(3) Sarebbe questa la prima notizia che si ha nelle 'carte milanesi della
colonna isolata presso il portico della basilica. Si è creduto da taluno di ravvisare
un accenno alla colonna nelle parole che si leggono in un documento del 776 :
« iuxta columpna que dicitur orphana » {Cod. Lang. in M. H. P., e. 106). Ma
la frase: a que infra hac civitate Mediolani », che precede quelle parole, dimo-
stra che la cosidetta colonna « orphana » sorgeva nell' interno della città, mentre
è risaputo che la basilica di S. Ambrogio fu compresa entro la cinta cittadina
non prima del 1162. È pure nota la parte che, secondo il Fiamma, era assegnata
alla (( collumpna marmorea recta » nella cerimonia dell'incoronazione dell'im-
peratore in S. Ambrogio {Chronic. mams in cod. Ambr. A. 275 inf, e. 154),
e si conosce da un istromento del 1507 riferito dal Puricelli, Dissert. Na^ar.,
pp. 630-52, che ancora al suo tempo era costume del pretore di Milano il giorno
che assumeva la carica, di recarsi presso la colonna, forse per abbracciarla, come
si dice facesse l' imperatore a in signo quod in ipso erit iustitia recta ». Crediamo
che la pratica dell'abbracciamento della colonna sì collegasse colla consuetudine
della offerta di un fiorino che il podestà faceva ogno anno sull'altare di S. Am-
brogio ; della quale consuetudine sì ha notizia in una lista delle oblazioni alla
chiesa negli anni 1284 e 1285 {Arch. dipi., perg. S. Ambrogio, fascio n. 107).
(4) Cod. Della Croce, XIIl, e. 156. Il teste Pagano « de bambace », in-
terrogato c( ubi incipìebat predicta via quando intrabat locum de quo queritur »,
rispose: « ad pizum solarli quod est per medium ecclesie S. Naboris incipìebat
« et ibat iuxta murum illius canonice usque ad ulmos qui erant ibi ubi est co-
« lumpna lapidea dricta que est per medium sancte Marie Grece ».
52 GEROLAMO BISCARO
patria, era stata costruita una casa nello spazio in questione, ove
stettero Lanfranco Bugnone, Zamperlo e Lorenzo. 11 primo dei tre
era « superstes » della chiesa di S Ambrogio, « et ibat querendo
« bonum et auditorium prò levare ecclesiam Sancte Marie Gre-
u ghe " (i). Per chiarire la portata di questa notizia come di altre
riferite dai testimoni intorno agli edifici eretti sopra quell'area dopo
il rimpatrio degli esuli, il causidico dei canonici inserì fra le linee
la seguente nota: « quando intravimus civitatem, omnia erant de-
u structa et quia canonici sancti Ambrosi! erant catholici, simul
« cun aliis exulaverunt ; sed cum intraverint et domos et sepes
i( et ortos statim restauraverunt » (2). D'onde si rileva che la
« domus laboris » ove abitava il soprastante, e la vicina chiesuola
di S. Maria Greca, come tutti gli altri edifizi esistenti a setten-
trione della basilica, erano stati diroccati nel 1162, quando Milano
fu distrutta.
Dopo il ritorno dei cittadini il nuovo soprastante, Lanfranco
Bugnone, ricostruì la « domus », e fece una colletta per riedificare
la chiesuola. « Querere bonum et adiutorium »; ecco il mezzo ordi-
nario, cui si ricorreva nel sec. XII, come sempre di poi ed an-
che in oggi, per raccogliere i fondi occorrenti alla costruzione degli
edifizi di culto. Il patrimonio delle soprastanzie bastava appena per
le spese di manutenzione ordinaria. Se occorrevano somme consi-
derevoli per rifabbriche, totali o parziali, in difetto di qualche lascito
particolare, non c'era altra risorsa che la questua o colletta, libera
od obbligatoria secondo le circostanze, limitata fra i vicini od estesa
a tutta la città, secondo che si trattava di chiese vicinali o parro-
chiali (3) ovvero delle principali basiliche.
(i) Cod. Della Croce, Esame del teste Nazzaro « panis et nucis » (sic).
(2) Ibid. Esame del teste Alberto « Bellinzonus ».
(3) Mentre agli interessi patrimoniali delle chiese basilicali provvedeva il
clero officiante coli' intervento o con licenza dell'arcivescovo, oppure il sopra-
stante, secondo che si trattava di beni destinati per il servizic^ del culto o di
beni assegnati per la rifabbrica o la manutenzione dell'edificio, invece nelle chiese
parrocchiali minori tutto si amministrava dal clero locale col concorso dell'as-
semblea dei vicini o parrocchiani. Veggansi ad esempio: i."" un atto del 1204,
di vendita di terre in Melzo spettanti alla chiesa di S. Eufemia di Milano, sti-
pulato da prete Vitale, « officiale » della chiesa, col concorso di otto « vicini
a ipsius ecclesìe qui fuerunt electi in antea communi Consilio vicinorum ipsius
« ecclesie » {Arch. dipi., sezione, arcivescovi, busta IV); 2.° un altro atto del 121 5
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 53
Rimane adunque stabilita la data della rifabbrica della piccola
chiesa di S. Maria Greca, ora sotto l'invocazione di S. Sigismondo,
intorno al 1167, a cura del soprastante della basilica, Lanfranco
Bugnone. Il sacello presenta ancora, non ostante la trasformazione
della volta compiuta nel sec. XV, tracce della costruzione del
sec. XII nell'arco dell'abside, che offre qualche affinità costrut-
tiva cogli archi delle grandi volte a crociera della basilica (i).
Nel 1200 si litigava fra i due cleri intorno a taluni servigi che
i monaci reclamavano dai canonici per l'officiatura della chiesa ;
pretendevano fra l'altro che in alcune solennità i canonici avessero
ad ornare la chiesa, gli altari ed il pulpito con palili e cortine. E
poiché la questione non era che un episodio dell'antico litigio sulla
preminenza che il monastero vantava in confronto della canonica,
nelle posizioni formulate per l'esame dei testimoni l'abbate dedusse
che i canonici non avevano mai avuto sedili, leggìo e lampade nel
coro, né mai avevano fatto uso del pulpito (2). I canonici, dal loro
canto, obbiettarono, che incombeva al soprastante provvedere al
restauro della chiesa e del pulpito, e che la nomina del soprastante
spettava all'arcivescovo (3) ; per concludere che coro e pulpito
di costituzione di livello sopra terre in Panilo di proprietà della chiesa dei
SS. Babila e Romano nel borgo di porta Orientale, stipulato da due preti
« officiali » col consenso di otto vicini, « tunc consulibus illius burgi et illius
« ecclesie » (ibid. perg. S. Maria Beltrade, fascio n. 153); 3.° un compromesso
del 31 marzo 1239 fra il prete « beneficiario » di S. Maria Podone col consenso
di otto vicini della parrocchia, e il monastero di S. Maria di Lampugnano (ibid.,
Se^. storica, arciv., busta IV).
(i) In fine di un codice della canonica di S. Ambrogio leggevasi la se-
guente nota: « MCCL. die mercurii septimo exeunte mense madii, ad onorem
« Domini nostri ecc. dominus frater Leo de ordine minorum archiepiscopus
« M. consecravit altare sancte Marie grece, quod altare celle est vel fuit in ca-
« nonica S. Ambrosi! » (Cod. Della Croce, XVII),
(2) Arch. dipi, perg. S. Amhr., fascio n. 107 : « Ponit d. abbas - item
« quod canonici non habent in choro S, Ambrosii sedilia, nec lectorile, nec ci-
« cindilia, nec catenelias cicinderiorum ; immo omnia predicta sunt infrascripti
« monasterii, et in destructione chori abbas sicut sua fecit portare in ecclesia
« S. Satiri; — Item quod canonici non consueverunt sedere in stadiis mona-
« chorum, seu in choro S. A. immo iuxta altare ab annis L supra ».
(3) Cod. Della Croce, XII, e. 17. « Ponunt sindicì canonicorum quod su-
« perstes reficit ecclesiam B. A. et pulpitum ; — quod superstes ipsi ecclesie po-
« nitur ibi per d. archiepiscopum ».
54 GEROLAMO DISCARO
appartenevano all'arcivescovo, il quale ne aveva affidato solo ad
essi l'uso e la custodia. I patroni delle parti, che assistevano
agli esami, si sbizzarrirono a muovere ai testimoni un' infinità di
domande sopra argomenti che presentavano coll'oggetto della lite
una relazione affatto occasionale ed indiretta. E così che si fece
raccontare da un teste dei canonici, che l'anno prima (1199), a na-
tale, il soprastante Ottone « de Arena » aveva offerto « un pomo
« citrino » (forse un limone) al preposto eh' era andato a portare
l'acqua e l' incenso alla « domus laboris sancti Ambrosii, « ubi
u sunt quedam monumenta » (i). Un secondo testimonio narrò
che i canonici avevano una volta fatto demolire 1' « hedificium
« ligneum », costrutto nel pulpito per ordine dell'abbate, giustifi-
cando il procedere dei canonici col dire che i restauri del pulpito
non erano di competenza dell'abbate, ma del soprastante. Invitato
a dare spiegazione intorno a questo suo apprezzamento, rispose
che aveva visto il soprastante fare accomodare il pulpito dopo
ch'era stato atterrato, e sopra il pulpito stesso, così accomodato,
far disporre un coperto di tegole (2). Un terzo testimonio, chie-
rico della canonica, si confessò autore, insieme ad altro familiare
dei canonici, della distruzione del « labor ligneus » del pulpito, che
il soprastante si era affrettato la stessa notte a rimettere a posto (3).
Un teste del monastero chiarì che i monaci avevano fatto accon-
ciare il pulpito per mezzo del soprastante e col consenso dell'ar-
civescovo, e che 1 canonici di notte tempo lo avevano demo-
lito; il soprastante la stessa notte, per evitare conflitti fra i due
cleri, lo aveva di nuovo accomodato (4). Un secondo testimo-
(i) Cod. Della Croce, XI I, e. 121 sg. Veggasi anche nello stesso cod. Della
Croce, XIII, e. 34 sg.
(2) Ibid., XII, ce. 165-174. Esame di Guiffredo, canonico e cimiliarca di
S. A. ; a per nuntios canonicorum diruptum fuit hedificium ligneum quod abbas
« et monaci facere fieri presumpserunt in ipso pulpito, quia ad abbatem vel mo-
« nacos non pertinet reficere pulpitum vel ecclesiam, sed ad superstitem ecclesie,
« qui ibi ponitur per d. archiepiscopum. Interr. quo modo scit. R. quia vidi su-
« perstitem qui modo est, facere reficere ipsum pulpitum quando diruptum fuit
« et supra pulpitum facere cohoperire de cuppis ».
(3) Ibid., XII, ce. 225-232. Esame di Pietro Taverna, chierico di S. A.:
« quia monaci presumpserunt facere laborem ligneum in pulpito, ego et Jacobus
« de labore et quidam servitores canonicorum ipsum destruximus, et antequam
a dies venerit, superstes, cuius officium erat, ipsum reficere fecit ».
(4) Ibid., XII, ce. 68-78. Esame di Martino, monaco di S. A.
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 55
nio (i) aggiunse che il soprastante aveva in quell'occasione accon-
ciato il pulpito nella forma che presentava ancora al momento del
suo esame (22 dicembre 1200). I monaci Martino e Guido precisarono
le funzioni del soprastante, dicendo che non era tenuto a provve-
dere per gli stalli del coro, ma soltanto per i banchi della chiesa
e per le porte, e a far ricoprire il tetto (2). Quasi tutti confer-
marono che la sua nomina spettava all'arcivescovo, e ch'egli soleva
provvedere ai ristauri coi redditi della « superstantia » ; ove questi
non bastavano, al di più suppliva l'arcivescovo. Così avevano fatto
nell'ultimo ristauro per la parziale caduta della basilica gli arcive-
scovi Oberto (da Terzago) e Filippo (da Lampugnano) (3).
Dal complesso di queste deposizioni e delle altre che per bre-
vità omettiamo di riassumere, si raccoglie che sulla fine del se-
colo XII le funzioni del soprastante continuavano ad essere quali
erano state in origine ; attendere alla ricostruzione e alla manu-
tenzione ordinaria e straordinaria dell'edificio, comprese le porte
e quant'altro è dato considerare immobile per natura, perchè sta-
bilmente incorporato al suolo; ad esempio il pulpito, il ciborio e
l'altare. Ne erano esclusi in generale i mobili; ma si faceva ecce-
zione per i banchi nella chiesa destinati ai fedeli. Agli stalli del
coro, ai leggìi, alle lampade, all'olio, alla cera, ecc., provvedeva il
clero addetto all'officiatura del tempio. Cessata da lunghi anni
r ingerenza del comune nella nomina del soprastante e nella sua
gestione, la « superstantia » era divenuta una dipendenza dell'ar-
civescovo, il quale continuava a destinarvi dei laici in omaggio ad
una tradizione quasi secolare.
Alquanto confusa è la storia delle peripezie del pulpito. Par-
rebbe che l'edificio ligneo fatto costrurre dai monaci, demolito a
(i) Cod. Della Croce, XII, ce. 94-102. Esame di Giovanni da S. Siro, converso
di S. A. : « ego prò nionacis ipsum pulpitum aptavi, postea ipsuni destruxerunt ca-
« nonici ecc. guod pulpitum ut modo est, superstes aptare fecit ».
(2) Ibid., XII, ce. 68-78 e 78-89.
(3) Ibid., XII, ce. 68-78. Esame del monaco Martino: « ego credo quod
« sit ibi superstes per d. archiepiscopum et quod reficit ecclesiam sicut potest, et
« si non potest d. archiepiscopus reficit eandem ecclesiam. Et vidi quod archi-
« episcopus Obertus ipsam ecclesiam fecit aptare et quod d. Philipus fecit opus
« inceptum perfici ». — e. 113. Esame di Pietro, primicerio dei vecchioni:
« quondam d. Obertus archiepiscopus ipsam [ecclesiam] refìcere fecit ».
56
GEROLAMO BISCARO
suggestione dei canonici e tosto racconciato dal soprastante, fosse
un assito provvisorio a forma di poggiolo, disposto sopra le colonne
dell'antico ambone ch'erano rimaste in piedi dopo il crollo di parte
della basilica; essendosi in quell'occasione trasportate nella piccola
chiesa di S. Satiro insieme a parte degli stalli del coro, le pietre
dello stesso ambone, ossia i frammenti delle volte, del fregio e del
davanzale (i). Nello stesso tempo che dai monaci si provvedeva
colla costruzione del poggiolo di legno ai bisogni più urgenti del
culto, in attesa che, ultimati i lavori del tiburio e della vicina cam-
pata, si potesse sgombrare lo spazio sottoposto dai ponti di fab-
brica e dagli assiti e por mano al completo rifacimento del pulpito,
il soprastante, affinchè l'edificio ligneo non rimanesse esposto alle
intemperie, dispose al disopra una tettoia coperta di tegole.
Ponendo a raff'ronto alcuni frammenti di queste testimonianze
pubblicati dal Puricelli (2), colla iscrizione che si legge sopra una
parete dell'ambone: « Gulielmus de Pomo superstes hujus ecclesie
u hoc opus multaque alia fieri fecit » ; si argomentò che il sopra-
stante, del quale parlarono i testimoni, fosse Guglielmo de Pomo,
e che il pulpito sia stato a di lui cura ristaurato fra il 1196 e il 1198.
Si è ora veduto che nel 1199 il soprastante era Ottone de Arena;
al quale, e non al de Pomo, allusero i testimoni che narrarono le
vicende dell'ambone, dal crollo della volta di sopra in poi. Gu-
glielmo de Pomo è qualificato « superstes ecclesie et laboris sancti
M Ambrosii » in vari atti dal 1204 al 1212 (3); ciò concorre a
far ritenere che il ristauro ricordato dalla iscrizione sia poste-
riore almeno di qualche anno al processo del 1200-1201. Qualche
frase dei testimoni, se fu raccolta con precisione, sembra indicare
che nel dicembre 1200 il pulpito era ancora come Ottone de Arena
lo aveva racconciato in fretta e furia la famosa notte, col poggiolo
di legno al posto del davanzale marmoreo. Se così è, bisogna ri-
(i) Cod. Della Croce, XII, ce. 68-89. Esame dei monaci Martino e Guido.
(2) Moti. Bus. Ambr., n. 626 sg.
(3) Con un atto del dicembre 1209 {Arch. dipi, Se^. storica, arciv., bu-
sta IV). (( Gulielmus qui dicitur de pomo superstes seu minister laboris ecclesie
« sancti Ambrosii », col consenso dell'arcivescovo Uberto dava esecuzione ad
una transazione col monastero di Chiaravalle intorno al diritto di decima spet-
tante alla « superstantia » nel territorio di Nosedo; transazione già intesa fra le
stesse parti fino dal novembre 1204. L'ultimo atto in cui figura il nome di Gu-
glielmo de Pomo è del marzo 12 12 (ibid., perg. S. Ambr., fascio n. 108).
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 57
tenere che il soprastante abbia atteso, prima di procedere al de-
finitivo ristauro, l'esito della lite. Solo dopo risolta dalla sentenza
del novembre 1201 dei commissari apostolici (i) la questione sul
dominio e sull'uso del pulpito, il nuovo soprastante Guglielmo de
Pomo si sarà deciso ad iniziare una diligente ricostruzione dell'am-
bone, ottenuta col ricomporre i frammenti delle volte e del fregio
e col rimettere a nuovo i grandi specchi marmorei del davanzale.
Quali altre opere il de Pomo possa avere fatto eseguire ad
ornamento della basilica nel tempo della sua soprastanzia, si vedrà
nel capitolo relativo all'altare e alla sua custodia. Intanto, poiché
si è parlato del pulpito e dei suoi ristauri, rammentiamo che nel 1254,
in una lite che si agitava fra il monastero e la canonica avanti
l'arcivescovo Leone da Perego, si discusse fra l'altro a carico di
quale dei due capitoli dovesse incombere la spesa occorrente per
un nuovo ristauro dell'ambone. I monaci pretendevano di addos-
sarla ai canonici, asserendo che era stato « destructum vel vio-
« latum » per loro colpa (2).
. È notevole il particolare riferito dal primo teste dei canonici
nel processo del 1200-1201 intorno all'esistenza di alcuni monu-
menti nella « domus laboris ». Poiché il teste venne a parlare di
questa casa a proposito della cerimonia dell' incenso e dell'acqua
che i canonici erano soliti portarvi la vigilia di natale, pensiamo
che quei monumenti fossero delle arche sepolcrali provenienti dal-
l'antica basiUca a colonne, rimosse dal suolo o dalle muraglie quando
la chiesa fu ricostruita, e colà trasportate in deposito insieme alle
colonne e ad altre pietre sopravanzate dalla rifabbrica. 11 preposto
portava l'incenso e l'acqua oltre che alla " domus laboris », a quelle
tombe, come una pertinenza dei cimiteri assegnati alla giurisdizione
della canonica. E probabile che fra i suddetti monumenti vi fossero
il grande avello marmoreo e i frammenti delle arche cristiane che
Guglielmo de Pomo, quando procedette al ristauro del pulpito, avrà
fatto trasportare là sotto fra le colonne, e nella parte posteriore del
davanzale, ove formano tuttora oggetto di particolare ammirazione.
(i) PaRiCELLi, op. cit., n. 653 e 654; eoa. Della Croce, XIII, e. 50. L'ori-
ginale si trova in Arch. dipi, Se^. bolle e brevi papali séc. XII, busta VI.
(2) Cod. Della Croce, XVIf, sub a. 1254. « Peticiones monachorum, ecc.,
a item quod reflciant [canonici] pulpituin ipsoruni culpa destructum vel violatum,
« cum debeant custodire ecclesiam ».
58 GEROLAMO BISCA RO
Della soprastanzia di S. Ambrogio non si hanno altre notizie
fino al 1282; ad eccezione della presenza come testimonio di Ven-
tura da Bescapè « superstans ecclesie Sancti Ambrosii », alla pub-
blicazione della sentenza proferita nel 1260 dal giurisperito Pagano
Valliano, arbitro in una delle tante controversie fra i due capi-
toli (i). Nel 1282 si discuteva a chi spettasse la spesa degli
stalli del coro che si dovevano rifare (2). Caso straordinario negli
annali della basilica dalla fine del sec. XI in poi; canonica e mo-
nastero si erano messi d' accordo. Pretendevano di accollarne il
carico al soprastante; il quale resisteva dicendo che non era di
sua competenza provvedere alla costruzione degli stalli.
La causa fu portata alla curia dell'arcivescovo Ottone Visconti;
il quale, osservando che la questione pareva dubbia e che trattata
u per viam juris » la sua definizione avrebbe richiesto troppo tempo,
e non si poteva frattanto lasciare il coro sprovvisto degli stalli,
troncò la lite col deferire ai sindaci del monastero e della canonica
il giuramento intorno all' obbligo del soprastante di provvedere a
tale opera. Il soprastante, eh' era ancora Ventura da Bescapè, in-
tesa la dichiarazione dei sindaci dei due capitoli di essere pronti
a giurare, li dispensò dalla prestazione dell' atto solenne, purché
confermassero « in fide et bonitate sua w il contenuto della relativa
formola. I sindaci non se lo fecero dire due volte; e l'arcivescovo,
appena ricevuta la loro dichiarazione, sentenziando giudicò che il
soprastante doveva costruire gli stalli nel termine di un anno dalla
successiva festa di S. Lorenzo (io agosto).
In un processo agitatosi fra il 1332 e il 1337 in seguito al ten-
tativo dei monaci di impadronirsi della chiave della cancellata che
chiudeva in mezzo l'altare, fu interrogato nel 5 settembre 1337 come
testimonio il prete Salomone da Bescap>è, nipote del Ventura, so-
prastante. Prete Salomone disse che suo zio aveva tenuta la so-
prastanzia per qurantacinque anni ; ne erano trascorsi altri ven-
tidue e più dalla sua morte (3). Essendo stato interrogato sul ser-
vizio diurno e notturno dei custodi della basilica, accennò a vari
(1) Cod. Della Croce, XVIII, sub a. 1260.
(2) Ibid., XIX, sub a. 1282.
(3) L'ultima notizia di Ventura da Bescapè quale soprastante di S. Ambrogio
è in data del 1304, in un registro dei censi e livelli attivi e passivi del mona-
stero di Chiaravalle (Arch. dipi, perg. S. Amhr., fascio n. no, e. 31).
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROS.'ANI 59
colloqui che aveva avuto in proposito col custode Arnoldo « de la
« cessa», mentre per incarico dello zio Ventura sorvegliava l'esecu-
zione di certe pitture nelle volte « anteriori », vicino alla « porta
« mastra de arcipresso » (i). Del custode Arnoldo si hanno notizie
per il periodo dal 1261 al 1306 (2). Tutto calcolato, crediamo che
le pitture, delle quali parlò prete Salomone da Bescapè, siano state
eseguite fra il 1290 e il 1300. Non è altrettanto facile determinare
a quali pitture intendesse alludere il testimonio. Si potrebbe anzi-
tutto dubitare se la « porta mastra de arcipresso » fosse quella di
mezzo che mette dal nartece nella basilica, o l'altra sulla stessa
linea per cui si discende dal piazzale esterno nell'atrio. Se non
che lo stesso prete Salomone, in altro punto del suo lungo esame,
riferì che aveva visto un giorno i canonici ricevere l' arcivescovo
Francesco da Parma (1296-1308) « ad introitum Ecclesiae, scilicet
« ad portam mastram que est de arcipresso ». Qui, meglio che
nell'altro punto, pare si sia voluto identificare la « porta mastra de
u arcipresso » con quella di mezzo sotto le vòlte del nartece.
Dopo che nei ristauri della basilica compiuti verso il 1870 si
scrostò una parte della decorazione pittorica della seconda metà
del sec. XV che copriva le pareti inferiori del nartece, riappar-
vero negli spazi a destra e a sinistra della porta di mezzo gli
avanzi di vari gruppi di santi dipinti a fresco in epoche diverse.
Nello spazio di destra si osserva al basso un santo in piedi, di-
nanzi alla Vergine col Bambino, ed in mezzo lo stemma Crivelli
che imprime a quella pittura carattere votivo (3). Gli affreschi, cui
attese prete Salomone, dovevano avere ben altre proporzioni, se
(i) SoRMANi, Cod. Mediol., V, e. 74 sg., ms. Ambrosiano, F. sup., IV, 5,
e cod. Della Croce, XXIII, sub a. 1337. Ecco come si espresse prete Salomone :
« Ego vidi eos custodes de die lacere in dictis duobus lectis quos predixi esse
« intra ipsam sagrestiam Inter ipsas grates ferreas; et me faciente depingi voltas
« anteriores que sunt penes ianuam mastram que est de arcipresso et quas voltas
<( faciebam depingi ad petitionem domni Venture de Basilica Petrì qui erat su-
<( perstans diete ecclesie, audiebam dici ab ipso Arnoldo de la Cesa cum quo
« tunc multociens conversabar, quod ipse iacebat in dieta sacristia prò custodia
« et munitione dictorum thesauri et paramentorum et altaris maioris ».
(2) Arch. dipi, perg. S. Ambr., fascio n. 116, 1261 agosto; ibid., fascio
n. 117, 1306 settembre.
(3) Hanno pure carattere votivo le altre pitture assai guaste, nella quinta
e nella sesta campata della parete di mezzogiorno dell'atrio.
6o GEROLAMO BISCARO
egli, come disse, aveva avuto occasione di recarsi molte volte [mul-
tociens) per assistere alla loro esecuzione. Inoltre, lo stile di quel
dipinto, per quanto si può ancora discernere, sembra indicare
un'epoca alquanto più tarda. Lo stesso è a dirsi della figura di
santa nell' altra parete, fra le colonne del monumento del Decem-
brio, e del santo benedettino con un piccolo devoto ai piedi, nella
lesena marmorea della porta di mezzo.
Rimangono a considerare un gruppo di tre santi allineati (forse
S. Ambrogio nel mezzo e ai lati i martiri Protaso e Gervaso)
nella parete di sinistra, e due santi (S. Ambrogio e S. Marcel-
lina?) nella parte superiore dello spazio di destra sopra un fondo
a zone rosse e gialle con una fascia a greca e piccoli tondi intorno
alla finestra arcuata. Le forme rigide e senza espressione dei tre
santi, dai capelli e dalle pieghe delle vesti a linee parallele, e le
tinte giallastre delle carni, ce li fanno ritenere coevi o di poco po-
steriori alla rifabbrica della basilica, verso la metà del sec. XII.
Allo stesso tempo dovrebbe appartenere il Redentore con un fram-
mento di decorazione a greca, nella campata dell'atrio in capo al
portico di destra.
11 gruppo che megUo risponde così per il carattere della pit-
tura che per la disposizione dell' elemento decorativo, alle indica-
zioni fornite da prete Salomone, sarebbe quello in alto della pa-
rete di destra. Il contorno della finestra e le zone del fondo sino
alla volta indicano lo svolgimento di un sistema decorativo che
avrebbe dovuto comprendere anche la parte inferiore della stessa
parete, ripetersi nello spazio di sinistra e continuare con qualche
motivo semplicissimo, forse un cielo azzurro stellato, nelle volte del
nartece.
Successore di Ventura da Bescapè nella soprastanzia fu il giu-
risperito Andrea « de Orto », probabilmente della famiglia dei ce-
lebri causidici del sec. XII, Oberto ed Anselmo (i). Nulla sap-
piamo della sua attività a vantaggio della basilica. La sua profes-
sione di giurisperito fa sospettare che 1' ufficio del soprastante si
considerasse ormai come una prebenda, alla quale si aspirava in
(i) Arch. dipi., perg. S. Ambr., fascio n. 119, 1325 gennaio 18. a d. An-
te dreas de Orto iurisperitus superstans superstantie ecclesie S. Ambrosii » esige
un censo dal monastero di Chiaravalle.
I
NOTE E DOCUMENTI SAN T AMBROSI ANI 6l
vista dei lucri che vi andavano uniti: e si conferisse non già ai
più idonei, ma ai procaccianti e ai favoriti dei potenti.
Un decreto del i dicembre 1340, dell'arcivescovo Giovanni Vi-
sconti, emanato ad istanza dei canonici, ordinava l'unione della so-
prastanzia alla canonica (i) che seguì con atto del febbraio 1350
del suo vicario Ambrogio Medici (2). 11 decreto imponeva al ca-
pitolo di erogare i redditi della soprastanzia nella fabbrica della
chiesa « et alias in utilitatem eiusdem ecclesie penitus »; con ob-
bligo di dare conto ogni anno della erogazione, all' arcivescovo o
ad un suo delegato. Al fine di stabilire le basi dei futuri rendiconti,
si procedette tosto all'inventario del patrimonio della soprastanzia,
che risultò costituito da terre in Nosedo, Vigentino e alla Vepra
presso Milano, a Lissone, Dairago e Ovari presso Locate, e dal
diritto di decima su molte terre della pieve di S. Donato. Non
ostante la decretata unione, l'ente continuò ad essere amministrato
da un laico, Ambrogio « de Naxo », di Gallarate, fino al 1390 (3).
Nel frattempo, e precisamente nel 1364, l'abbate del monastero, Bel-
tramo da Lampugnano, in esecuzione di certe lettere commissariali
di un legato apostolico, investì un Catellano « de Alzate »>, chierico
vercellese, della soprastanzia di S. Ambrogio, come la prima delle
quattro soprastanzie delle chiese di Milano nelle quali si alterna-
vano i laici e i chierici, che si era resa vacante, per la morte di
Giovannolo Cappello, « olim ipsius ecclesie superstitis ». Catellano,
appena investito, si affrettò ad « affittare » l'ufficio per cinque anni
a Simonello, figlio di Giovannolo, per l'annuo canone di trenta fio-
rini; dal suo canto Simonello si assunse di « reparare et restaurare »
la chiesa e di soddisfare tutti gli obblighi incombenti al sopra-
stante (4). Non abbiamo elementi per chiarire l'apparente contrad-
dizione fra i documenti dal 1344 al 1390, nei quali figura soprastante
Ambrogio « de Naxo » e i due atti del 1364, ove si parla di un so-
prastante defunto, Giovannolo Cappello, e del suo successore Ca-
(i) Cod. Della Croce, XXIII, sub a. 1349.
(2) Ibid., XXIII, sub a. 1350.
(3) Ibid., XXVII, sub a. 1390.
(4) Ibid., XXV, sub a. 1364. — Ci sembra caratteristico per i costumi dei
tempi questa forma di sfruttamento a vantaggio dì un privato, delle rendite dei
beni destinati a sopperire ai più elementari ed impres-cindibili bisogni per la con-
servazione delle chiese.
02 GEROLAMO DISCARO
tellano. Ma è probabile che il tutto si connetta con una lunga con-
tesa fra i due capitoli, disputantisi il possesso della soprastanzia;
nella quale contesa fini per prevalere la canonica, che nel 1374
ottenne una bolla di Gregorio XI confermante il decreto e l'atto
di unione (i).
Per tutto il quattrocento non si hanno notizie suU' esercizio
della soprastanzia. Si vedrà più innanzi che nel 1469 i due ca-
pitoli provvidero a spese comuni per la costruzione degli stalli
del coro. Consta inoltre che nel i486 l'arcivescovo Arcimboldi,
commendatario dei monastero, dispose per la ricopertura in piombo
del tetto (2). Nel 1507 monastero e canonica presero gli accordi
per trasportare gli stalli del coro dinanzi all'altare, nell'abside sopra
la cripta (3) e nel 1520 per la costruzione della cantoria dell'or-
gano (4). 11 silenzio intorno alla soprastanzia nella esecuzione di
queste opere indica che i suoi redditi si consideravano insufficienti
a provvedervi, e che il monastero acconciavasi a concorrere con
metà della spesa, rimanendo l'altra metà a carico della canonica
che disponeva di quei redditi;
Bisogna arrivare fino alla visita pastorale di S. Carlo Borro-
meo (1566-1567) per sapere ancora qualche cosa della soprastanzia
della basilica. Si disse allora ch'era da molti anni soprastante il
canonico Giovanni Biffi, il quale non aveva mai dato conto della
sua gestione. Si constatò che il capitolo prelevava ogni anno in-
debitamente dai redditi dell'ente quaranta lire imperiali e per di
più lo gravava della spesa del vino per le messe (5). Nelle scrit-
ture del 1592 i monaci, rivendicando il dominio della chiesa, tac-
ciavano l'arcivescovo Giovanni Visconti di avere favorito la cano-
nica con offesa dei diritti del monastero, già « domino w della
soprastanzia; il che non è vero. Ma ciò che più interessa in quelle
scritture su questo argomento, è l'accusa contro i canonici di di-
strarre e di godersi le rendite della soprastanzia, trascurando la
manutenzione dell'edificio che minacciava da ogni parte rovina (6).
(i) Cod. Della Croce, XXV, sub a. 1374.
(2) Fondo di Religione, Conventi, S. Ambrogio, busta 65.
(3) PuRiCELLi, Dissert, Na^., p. 630.
(4) Fondo di Rei, Capitoli, S. Amhr,, busta 115.
(5) Ibid., busta 113. Allegato negli atti della causa promossa nel 1594 dal
monastero contro la canonica per avere i conti della soprastanzia,
(6) Ibid., busta 115.
w
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 63
Vi sarà stata dell'esagerazione; ma un fondo di verità non può
mancare nella enunciazione di alcuni fatti specifici; quali, ad esem-
pio, che si lasciava scoperto il tetto della basilica dalle lastre di
piombo, oggetto di continui furti, che i dipendenti della canonica
avevano a scopo di furto manomesso l'aureo palliotto dell'altare, e
che si erano dal capitolo vendute per far denaro alcune colonne
di marmo ed altre cose di proprietà della chiesa. Riservandoci di
parlare della manomissione dell'altare nel capitolo seguente, quanto
alle colonne il fatto si collega col rilievo contenuto negli atti della
visita di S. Carlo, intorno alla esistenza nella canonica di parecchie
colonne, cinque erette, e cinque giacenti al suolo, destinate alla con-
tinuazione del chiostro. Già si erano venduti i capitelli di quattro
colonne al prezzo di venti scudi. Una decima colonna si era spez-
zata ed un canonico l'aveva asportata insieme a certi banchi mar-
morei; forse quelli dell'abside ai lati della cattedra dell'arcivescovo,
rimossi alcun tempo dopo l'adattamento, nell'abside stessa, degli
stalli del coro (i). Ad onta dei rilievi dell' illustre visitatore, i ca-
nonici non esitarono alcuni anni dopo, a vendere anche le colonne
e gli altri capitelli, postrando così di rinunciare definitivamente al
proposito di completare la fabbrica di singolare bellezza iniziata
nel loro chiostro dal Bramante. Che fosse divenuto sistema dei
canonici di rodere attorno alla basilica per cavarne marmi e se-
polcri, se ne ha una prova ulteriore nella vendita di un « navello »
od arca sepolcrale, e di un « lavello » o vasca per l'acqua lustrale,
il primo già esistente « ne la piaza inanti a la chiesa », del secondo
non si dice dove fosse, ceduti nel 1641 l'uno alle monache di S. Ago-
stino e l'altro alle monache spagnole (2).
(i) Fondo di Relig., busta 115, 1566 nov. 20. « In dieta canonica adsunt
« quamplures columnae partim erectae et partim prostratae, videlicet quatuor
« prostratae et quinque erectae cum suis capitellis simul erectis prò perficiendo
« porticum circum circa, consimile aliis porticis ibi existentibus. Capitulum prae-
« fatum vendidit quinque capitella dictarum columnarum magnifico domino Hie-
« ronimo Florentiae prò scutis XX expenditis ad utilitatem ecclesiae, cumpacto
« totidem capitella retrodandi quotiescumque perficerentur dictae porticus, quo
« casu pretium praefatum deberet eidem domino Florentiae per capitulum re-
« stitui. Alia vero columpna fuit fracta et abducta una cum nonnuUis bancis mar-
te moreis per d. Brugoram alias canonicum ».
(2) Ibid., busta 114. In un fascio di ricevute della soprastanzia dal 1637
al 1641.
64 GEROLAMO BISCARO
Il monastero, rimasto soccombente nel processo del 1588-1592,
tornò alla carica nel 1594 P^^ avere dai canonici il rendiconto del-
l'amministrazione della soprastanzia. Nel libello s' insisteva nel de-
nunciare la trascurata manutenzione del tempio, « undique minan-
« tem ruinam », e il guasto dell'altare non ancora riparato (i). Ma
pare che neppure questa volta la fortuna abbia arriso ai monaci, i
quali si sentirono rispondere che soltanto all'arcivescovo la canonica
era tenuta a dare conto della sua gestione. In una seconda visita
pastorale del 1603 si deplorava che i redditi della soprastanzia si
fossero assottigliati di molto in causa di improvvide livellazioni, e
che la loro amministrazione procedesse confusa con quella dei red-
diti particolari della sagrestia, tenuta allora dal sagrista-soprastante,
canonico Tibaldo Bossi (2). Dai registri della sagrestia per i pe-
riodi dal 1665 al 1670, dal 1686 al 1696 e dal 1699 al 1701, i soli
che si sono conservati (3), risulta che la confusione dei redditi e
delle spese della soprastanzia e della sagrestia continuò come per
il passato, non ostante le disposizioni impartite dal visitatore. Il
monastero tentò nel 1700 un nuovo giudizio, ripetendo ancora una
volta l'accusa che la maggior parte delle rendite andava distratta
per pagare l'organista, la musica, il vino, ecc. Ma la sua azione fu
respinta definitivamente da tre sentenze conformi (4); gli ultimi
atti da noi rinvenuti fra le carte santambrosiane dell'archivio di
stato, in cui si fa ancora parola della soprastanzia.
II.
L'altare aureo e la sua custodia.
L'assalto dei monaci alle oblazioni dell'altare di S. Ambrogio
in sulla fine del sec. XI, dovette destare nei canonici il più vivo
allarme; oltre che per l'entità di quel reddito che veniva loro a
mancare, perchè l'assalto stesso preludeva a maggiori e più audaci
rivendicazioni per il dominio della basilica, e segnatamente del-
(i) Fondo di Relig., busta 113.
(2) Ibid., busta 120.
(3) Ibid., busta 114.
(4) Ibid., busta 113.
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 65
l'altare, prezioso per le reliquie dei santi protettori e per il pàllio
risplendente d'oro e di gemme.
11 diploma di Angilberto, creato od alterato dai monaci per la
causa delle oblazioni, contiene la concessione dell'altare all'abbate
•Gaudenzio e ai suoi successori insieme alla custodia e al dominio
{ditió) della chiesa e al diritto di far proprie tutte le offerte dei
fedeli. Ma non vi è dubbio che l'altare fu sempre custodito e pos-
seduto dai preti « officiales » dell'ordine decumano, destinati dal-
l'arcivescovo all'officiatura ordinaria della basilica, indi costituiti in
canonica con un preposto, a mezzo del cimiliarca o tesoriere scelto
nel loro seno (i). Nelle « allegationes " del 1144 nulla vi ha che
riguardi in modo particolare le vicende dell'altare. Non manca però
nella scrittura dei canonici l'affermazione del possesso da tempo
immemorabile ch'essi avevano dell'altare e delle sue chiavi (2); in
quella dei monaci si invoca il diploma di Angilberto, il costruttore
dell'opera meravigliosa (3). Una lite scoppiata tre anni dopo fra i
due cleri conferma che l'altare continuava ad essere posseduto dai
canonici per mezzo del cimiliarca. L'abbate pretendeva che il ci-
miliarca gli aprisse l'altare durante la celebrazione dei divini uffici
nelle feste di S. Ambrogio e dei santi Protaso e Gervaso. I ca-
nonici, citati nella curia arcivescovile, obbiettavano che l'abbate non
I ^sapeva addurre altro titolo all'infuori della consuetudine. L'arcive-
■scovo Oberto trovò che la consuetudine costituiva in questa ma-
teria un titolo sufficiente, ed accolse il reclamo dell'abbate (4). Una
bolla di Eugenio III, del luglio 1148, confermò alla canonica il di-
ritto alle « refectiones », dovute dal monastero ai canonici secondo
(i) Nel processo del 1 200-1 201 1 testimoni dei canonici furono interrogati
^ulla origine e sulla funzione del cimiliarca. Il preposto Pietro Longo dichiarò
che il cimiliarca veniva nominato colla formola : « Ego investio te de cimiliarchia »
dal preposto, il quale teneva il « ius faciendi cimilìarcam ab archiepiscopo ».
« Ego credo quod quondam Satrapus primo investivit presbiterum Burrum de
« cimiliarchia, sed antea multi extiterunt cimiliarchi in ipsa canonica » (Cod. Della
Croce, XII, ce. 141-155). Il primo cimiliarca di S. Ambrogio del quale abbiamo
trovato notizia, è « Petrus presbiter officialis et cimiliarca ecclesie S. Ambrosii »,
intervenuto in un atto del 1084 (ibid., IV).
(2) « Canonici libere ac pacifice — claves altaris in sua potestate retineant ».
(3) « Ex lectione precepti dompni Angilberti bone memorie archiepiscopi
<( qui prefati mirifici operis constructor extitit ».
(4) Cod. Della Croce, VI, e. 275.
Arch. Sior. Lomb., Anno XXXII. Fase. V. 5
66 GEROLAMO BISCARO
l'antica consuetudine, « quando altare beati Ambrosii constitutis
« temporibus aperitur » (i).
Intorno all'obbligo dell'apertura dell'altare e al diritto alle re-
fezioni si litigò a lungo nei processi del 1189-1191 e 1200-1201, ed
in un terzo processo del 1250- 1254, del quale nessuna notizia fu
data dagli scrittori santambrosiani (2). Il monastero pretendeva che
il cimiliarca era tenuto ad aprire l'altare solo in alcune determinate
solennità dell'anno ed aveva diritto ogni volta ad una retribuzione
onorifica per il prestato servizio, consistente in una refezione alla
mensa dell'abbate, il quale doveva dargli il posto d'onore alla sua
destra (3). In relazione a questo punto di controversia, nel processo
del 1200-1201 i testimoni furono interrogati sulle funzioni del ci-
miliarca e dei due custodi destinati dal preposto a sorvegliare la
chiesa e l'altare, di giorno e di notte (4). Come si è veduto altrove
chiamavasi cimiliarchia l'abside maggiore, detta anche « locus » o
u sedes episcoporum w; ivi erano la cattedra dell'arcivescovo coi
(i) GiULiNi, op. cit., VII, p. Ili; cod. Della Croce, VI, e. 297.
{2) I primi atti sono in Arch. dipi, perg. S. Amhr., fascio n. 109. La causa
era stata commessa da Innocenzo IV con bolla (inedita) del 25 gennaio 1250,
all'abbate di S. Simpliciano, Tazone da Mandello. Ma pare che si fosse tosto
arenata in seguito alle eccezioni di ricusa del giudice, sollevate dai canonici. La
causa venne poi ripresa avanti l'arcivescovo Leone da Perego, il quale emanò
una sentenza in data io settembre 1254 (Cod. Della Croce, XVII, sub a. 1254;
l'originale è in Arch. dipi., perg. S. A., fascio n. iii).
(3) Cod. Della Croce, XII, e. 121. Esame del teste Stefano da Vigonzone.
Veggansi anche il libello del monastero e le « positiones » dei canonici nella
causa del 1200 (ibid , XII, ce. n e 17).
(4) Ibid., XII, e. 141. Esame del prevosto Pietro Longo: « Vidi cimiliarca
« habere claves altaris et cimiliarchie in qua sunt scrinia in quibus reponuntur
« thesauri huius ecclesie et in qua iacent custodes canonicorum qui custodiunt
« ecclesiam. Duo custodes modo sunt et esse consueverunt ; monache quamplures
" esse consueverunt, sed modo nulla est ». Le monache delle quali parla questo
testimonio, facevano nella chiesa i più umili servizi di pulizia. Nel libello dei
monaci del 1254 si accusavano i canonici di avere usurpato e di tenere « malo
a modo » il luogo e i proventi « quarumdam muliercularum agapete que Sco-
tt pabant ecclesiam S. A. et eam mundabant » ; e si chiedeva la divisione per
metà dei lucri di tali donne (Cod. Della Croce, XVII, sub a. 1254). Il predicato
« agapete » vorrebbe forse indicare l'uftìcio che esse avevano in origine di ser-
vire nelle agapi sacre ? A queste monache od agapete di S. Ambrogio dovevano
corrispondere le « scriptanes » della Metropolitana, costituite sino dal sec. XI
in corporazione con un primicerio e con un patrimonio comune.
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 67
seggi marmorei per i suffraganei, e le arche contenenti gli arredi,
le cortine, i palili e i libri della chiesa (i). Riposavano colà i due
custodi della basilica; una tramezza non molto alta con una can-
cellata chiusa a chiave doveva separare la cimiliarchia dal presbi-
tero (2). Nel monastero discendevano spesso personaggi illustri
che desideravano visitare l'altare per venerarvi i sacri corpi (3).
Si ricorreva allora al cimiliarca perchè venisse colle chiavi; ma
non sempre egli si prestava all'invito, nel timore che il monastero
traesse poi argomento dalla sua accondiscendenza per vantare un
diritto illimitato all'apertura dell'altare e fondarvi le proprie pre-
tese al dominio dell'altare medesimo (4). I testimoni rammentarono
le visite fatte all'altare negli ultimi anni da parecchi vescovi ita-
liani ed oltremontani, da un gruppo di prigionieri pavesi portatisi
alla basilica coi ceppi ai piedi, e da alcuni veneziani (5). Nel prò-
(i) Cod. Della Croce, XIl, ce. 131-141. Esame del canonico Burro: a Interr-
ii,: « gatus si scit quod locum quem dicunt cimiliarchiam esse locum episcoporum, R.
W' a quod est locus archiepiscopi quia vidi multociens archiepiscopus in eo loco asse-
« dere »; ce. 174^-187. Esame del canonico Prevosto « de Osenago »: « Interrogatus
« si scit quod locum quem, ecc. R. Nescio nisi quod ter in anno sedit ibi ar-
ce chiepiscopus cum fratribus suis cum veniunt ad festa »; ce. 155-165. Esame
del canonico Prevosto : « Offìcium cimiliarce est habere claves altaris et paliorum
« et curtinarum et librorum canonice ».
(2) Oltre al frammento dell'esame del prevosto Pietro Longo riportato in
n. 8, veggasi per il sec. XIV il brano della deposizione del prete Salomone da
Bescapè in n. 35[i].
(3^ Cq4. Della Croce, XII, ce. 33-41. Il monaco Giovanni Piatto depose
che avev^ veduto i cimiliarchi succedutisi nella basilica « aperire altare illius
« ecclesie ad petitionem » dei singoli abbati, « tam prò mìssis celebrandis, quam
« prò ostendendo illud magnatibus in ilio monasterio ospitantibus, vel alio cuilibet
« extrarieò qui volebat illud videro ».
(4) Ibid., XII, ce. 165-174. Esame del canonico e cimiliarca GuifFredo:
« Int. quare ergo canonici recusant aperire.-altare quotiescumque d. abbas missam
« celebrai vel altare apcrire precipit per se vel per extraneos. R. quia non te-
« nentur ei per subiectionem, nec per beneficium, neque per donationem quam
a habeant monaci vel abbas super canonicis ».
(5) Ibid., XII, ce. 121-134. Esame di Stefano da Vigonzono: « Ab annis
« XI. infra cum essem in ipsa canonica venit illue quidam monachus dicens me
a presente et audiente: Episeopus Astensis venit in monasterio B. A. dicens se
« velie videre altare domini B, A. quare ei altare apertura fuit a presbitero
a Burro, et altare presente episcopo Astense vidi apertum. Item ab annis II infra
« (l'esame ebbe luogo il 2 dicembre 1200) vidi homines de Papia compeditos
68 GEROLAMO BISCARO
cesso del 1332-1337 il prete Salomone da Bescapè riferì che l'altare
era stato aperto per l'incoronazione dell'imperatore Lodovico il
bavaro e per le nozze di Azzone Visconti con « domina Chatel-
u lina " (i).
L'accenno alle chiavi dell'altare nella scrittura dei canonici,
del 1144, e le questioni sul diritto alla sua apertura dal 1147 in
poi dimostrano che, da tempo immemorabile, prima del 1144, intorno
ai quattro lati del palliotto doveva esservi un assito od altro ro-
busto riparo munito di parecchie serrature, che normalmente si
teneva chiuso per ragioni di sicurezza, e si apriva solo nelle grandi
solennità o quando piaceva ai canonici aderire alla richiesta di
chi desiderava ammirare quel meraviglioso tesoro e venerare
le sacre reliquie attraverso le portelle dello specchio posteriore.
Intorno a questo assito furono interrogati quasi tutti i testimoni
dei canonici nel 1200-1 201. Si domandò a che cosa servissero
certe « postes seu absides circa altare »; la risposta fu una sola:
« venire in eandem canonicam dicentes canonicis ut sibi hostenderent altare B.
« A. — altare tunc ipsis prexoneriis apertum fuit per presbiterum Burrum. Et
« eodem modo ab annis II infra apertum fuit hominibus de Venetiis, et multas
<( alias personas vidi in canonicam ipsam venire exorantes canonicos ut sibi altare
« apenant ».
(i) Cod. Della Croce, XXIII, sub a. 1337. Esame di prete Salomone (5 settembre
1337): « Et ego testis fui ad divina officia cum ordinariis et ofdcialibus Mediolani —
« etiam quando imperator Lodovicus fuit unctus et incoronatus apud illud altare
« et vidi ipsum imperatorem ungi et incoronari, et ego testis tenebam chrismam
« de qua ille "imperator fuit unctus, qui fuit unctus per unum teotonicum qui
« erat episcopus, nomen cuius ignoro et coronatus per unum ex illis episcopis
« qui erant ibi, quem non habeo menti quis foret. — Et recordor quod quando
« dominus Azo dominus Mediolani duxit in uxorem suam dominam Chatellinam
« quam vidi quod dictus d. Azo sponsavit ad dictum altare, ad quod tunc eram
« praesens, vidi quod canonici S. A. portaverunt claves ad dictum altare ubi
« ad dictum altare ubi aderant praesentes multi ex canonicis et dominus Lu-
ce chinus Vicecomes et aliis de quorum nominibus non recordor, et aperierunt
e cum ipsis clavibus dictum altare, et postea vidi quod primicerius lectorum
« cantavit missam super ipsum altare et ego testis ut diaconus cantavi evan-
« gelium ». — Intorno all'incoronazione di Lodovico il bavaro veggasi in questo
Archivio, XXVIII, 1901, p. 308, una erudita recensione del prof. G. Calligaris
sopra uno studio del dott. G. Gerola. Sulle nozze di Azzone Visconti con Cate-
rina di Savoia celebrate nel 1333, veggansi Azakio, Chron., in Muratori, R. L 5.,
XVI, 313, e CoRio, op. cit., ad a. 1333.
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 69
« prò custodia altaris » (i). Nella bolla di Innocenzo IV del 23
gennaio 1250 che delegava l'abbate di S. Simpliciano, Tazone Man-
dello, a conoscere una questione sorta fra il monastero e la ca-
nonica per l'apertura dell'altare, si legge che l'altare stava « sub
« quibusdam tabulis clausum »» (2). Ne parlarono con maggior
precisione i testimoni nel processo del 1332-1337. Nelle posizioni
della canonica si deduceva: che le « postes » dell'altare erano da
tempo immemorabile in parte d'oro e in parte d'argento dorato, le
une e le altre adorne di gemme e di pietre preziose; che l'altare
si considerava di maggior valore di ogni altro in tutta la cristia-
nità; che per la sua ricchezza, magnificenza e valore si soleva te-
nerlo chiuso « sub quibusdam postibus ligneis cum certis clausuris
«ferreis»; e che spettava al cimiliarca di custodire le chiavi delle
« postes n lignee e di aprirle a beneplacito del preposto e dei canonici,
e, solo in talune feste solenni dell'anno, a richiesta dell'abbate (3).
I testimoni confermarono in ogni parte queste posizioni. Prete Sa-
lomone attestò di avere osservato molte volte da vicino il palliotto
che conteneva più di ottanta fra gemme e pietre preziose, e che
d'ordinario stava chiuso sotto le tavole di legno (4).
11 silenzio del monastero fino a tutto il sec. XII intorno al
modo col quale i canonici avevano provveduto alla custodia del-
l'altare e della chiesa, fa pensare che non si fossero verificati gravi
inconvenienti per colpa del cimiliarca e dei custodi destinati alla
sorveglianza diurna e notturna della basilica; diversamente i mo-
naci non avrebbero mancato di trarne pretesto per le loro riven-
dicazioni. L'assito assicurato da ferree chiusure aveva fatto fino
allora ottima prova, di fronte così ai ladri di fuori come ai custodi
di dubbia fede, pei quali le grandi lastre d'oro e le gemme avranno
sempre esercitato un fascino assai pericoloso; ed il pallio aveva
potuto attraversare incolume, insieme alle sottoposte reliquie, il
funesto periodo della distruzione e del saccheggio della città.
(i) Cod. Della Croce, XII. Esami dei canonici Burro, Prevosto, Prevosto
« de Osenago », Guiffredo, ecc.
(2) Arch. dipi, perg. S. Ambi:, fascio n. 109. La bolla di Innocenzo IV,
trovasi inserita in un precetto dell'abbate di S. Simpliciano al preposto e ai ca-
nonici.
(5) Cod. Della Croce, XXN, sub a. 1354.
(4) Ibid., XXIII, sub a. 1337.
«yO GEROLAMO BISCARO
È già Stato osservato che il pallio d'oro presenta tracce evi-
denti della sostituzione di alcune lastre alle originarie che, a giudi-
care dallo stile degli ornati e dalla composizione dei quadri, do-
vrebbe essere stata effettuata sulla fine del cinquecento (i). D'onde
il sospetto di qualche furto commesso verso quel tempo. Di re-
cente il dott. A. Ratti ha stabilita la verità di questa induzione,
pubblicando la minuta di una petizione che il capitolo dei cano-
nici voleva presentare alla regina Margherita d'Austria, trattenutasi
a Milano dal novembre 1598 al febbraio 1599; dalla quale petizione
si apprende che il pallio prezioso era stato o stava per essere ac-
comodato colla spesa di mille scudi d'oro, colmando il vuoto la-
sciatovi dieci anni prima « da scelerate e sacrileghe mani sin bora
« incognite » (2). Le nostre ricerche ci hanno condotto ad accer-
tare oltre alle circostanze nelle quali quel furto fu perpetrato, altre
due manomissioni del palliotto, di data molto più antica.
Il giorno 8 marzo 1235 Giacomo Descazio, già custode della
basilica (3), confessava avanti un notaio e alcuni testimoni di avere
sottratto dell'oro dall'altare. A titolo di indennizzo faceva cessione
al preposto della canonica, Ambrogio Boffa, di una sua casa « in
« contrata Sancti Petri supra dorsum », vicino alla chiesa di San
Francesco. Interveniva nell'istromento di cessione Agnese, « amasia »>
di Giacomo, per rinunciare ad ogni suo diritto sullo stabile (4). Non
pare dubbio che l'oro strappato dall'altare consistesse in qualche la-
stra del palliotto e che Giacomo Descazio avesse approfittato per
impadronirsene della sua qualità di custode della chiesa e dell'al-
tare. Per isfuggire le terribili conseguenze di una accusa penale,
egli fece sacrifizio della piccola casa ove teneva la propria con-
cubina. A questo guasto, forse il primo, che dopo quasi vent'anni
non era ancora stato riparato, è probabile si riferisse la querela
portata dal monastero contro la canonica nel 1254 per la « cor-
« ruptio sive devastatio que est in altare sancti Ambrosii » (5).
(i) A. VhNTURi, Storia dell'arte itaì., II, pp. 235, 238, ecc. e M. Zimmer-
,MANN, Oberitalische plasttk,,ecc., 1897, p. 186.
(2) Per la storia del palliotto d'oro^ in Rassegna d'arte, 1902, p. 185.
{3) Si hanno notizie di lui quale custode della canonica nel 1230 e 1232,
in Cod. Della Croce, XV, e. 223 e XVI, e. 11.
(4) Veggasi doc. I.
(5) Cod. Della Croce, XVII, sub a. 1254. Sentenza dell'arcivescovo Leone
pronunciata l'ii settembre 1254.
r
NOTE E DOCUMENTI S \NTAMBROSIANI 7I
Nelle posizioni il monastero deduceva che il guasto si era verificato,
mentre l'altare si trovava in custodia dei canonici (i). Costoro ri-
spondevano, protestando che non erano in colpa, e che il danno
era piuttosto da ascriversi a negligenza dell'abbate e dei monaci;
ammettevano però che vi era di mezzo il fatto dell'uomo, che è
quanto dire che il danno proveniva da delitto (2). Da quel poco
che si può rilevare dal libello e dalle posizioni, parrebbe che i
canonici avessero tenuta segreta la confessione del loro ex custode,
per non dovere rispondere civilmente del suo delitto; sebbene da
quasi un ventennio fossero al possesso dello stabile loro ceduto
dal Descazio, a titolo appunto di indennizzo. Non sarebbe tuttavia
da escludere la ipotesi che nel 1254 si alludesse ad un nuovo
guasto, posteriore a quello del 1235, che poteva essere già stato ri-
parato; di ciò si avrebbe un indizio nel difetto di qualsiasi accenno alle
condizioni materiali dell'altare, nel libello e nelle posizioni del 1250.
Ignoriamo a spese di chi e quanto tempo dopo la fine del processo
del 1254 l'altare sia stato riparato. Nella sentenza proferita il io
settembre di quest'anno, l'arcivescovo Leone da Perego si era ri-
servato di deliberare dopo più maturo esame, sulla questione « de
ii altari S. Ambrosi! et pulpito restaurandis, que devastata vel
*( corrupta dicuntur, per quos vel quem debeant restaurari » (3);
ma non consta se e come egli abbia poi risolto questo punto di
controversia.
Intorno ad una seconda opera costruita per la custodia e la
protezione dell'altare si ha una serie di documenti degli anni 1292
e 1293 (4)' Con un primo atto del maggio 1292, presente un vi-
cario dell'arcivescovo Ottone Visconti, il priore dei predicatori di
(i) Arch. dipi., perg. S. Amhr., fascio n. 107: « Ponit magister de Vi-
<( glevano sindicus d. abbatis, ecc., in causa appellationis centra prepositum et
« canonicos, qcc. Item quod corruptio sive devastatio que est in pulpito et in
« altari S. Ambrosii facta est ipsis altari et pulpito existentibus in custodia pre-
« positi et canonicorum seu nuaciorum suorum; item quod illa corruptio sive
« devastatio facta est per alium vel alios quam per abbatem et monacos; item
« quod illa corruptio sive devastatio opere hominis facta est ».
(2) Ibid. In margine a ciascuna posizione vi è la risposta. Sulla i.* « credit
« sed non culpa prepositi et canonicorum » ; sulla 2.* a credit quod per culpam
« vel neligenciam abbatis et monacorum »; sulla 3.* « credit ».
(3) Cod. Della Croce, XVII, sub a. 1254.
(4) Ibid., XX, sub a. 1292 e 1293.
72
GEROLAMO BISCARO
S. Eustorgio, il celebre frate Stefanardo da Vimercate, il guardiano
dei minori di S. Francesco, frate Protaso Calmi, di concerto con
frate Giacomo, converso del monastero di Chiaravalle, e con due
maestri dell'arte dei ferrai, Pietro Correrlo e Torello, stabilirono
il modo di costruzione di una « crates ferrea » od inferriata, da
impiantarsi nella basilica « ad conservationem altaris ». L'infer-
riata si doveva disporre sopra il terzo gradino davanti l'altare per
tutta la larghezza del coro sotto il tiburio, fra le due colonne di
mezzo; due robuste spranghe a guisa di ramponi, assicurate alla
parete di sopralzo della cripta, erano destinate a rafforzare la so-
lidità della chiusura, affinchè non avesse a cedere agli urti « propter
li presuram gentium ». Dinanzi all'altare una porta a due « clapes >^
(sic) od imposte, larga quant'è lo spazio fra le colonne del ciborio,,
con due chiavi, una per i monaci e l'altra per i canonici, serviva
per accedere all'altare.
L'atto non dice in base a quali decisioni dell'autorità eccle-
siastica competente, l'arcivescovo Ottone, si siano prese le suddette
disposizioni. Si comprende però che l'arcivescovo, lasciando da
parte i due capitoli che sarebbe stato difficile ridurre ad un accordo,,
aveva deferito ad una commissione di religiosi e di maestri del-
l'arte l'incarico di concretare i provvedimenti per la costruzione
di una cancellata in difesa dell'altare. Tuttavia dal monastero
non si lasciò passare l'occasione senza battagliare un po'; tanto
per non perdere l'abitudine del litigio. Ma avendo i monaci ten-
tato di impedire con vie di fatto ai due maestri Pietro Correrlo e
Tomaso da Vaprio di piantare l'inferriata, suscitando contro di essi
perfino gli anziani del loro paratico, fu intimato ai monaci un
severo monitorio con minaccia di scomunica. Intervenne pure il
vicario di Matteo Visconti, capitano del popolo, in difesa dei due
maestri, che poterono così compiere il loro lavoro. Collo stesso
atto del maggio 1292 si provvide a portare maggior luce all'altare,
rendendo più ampia la finestra di mezzo della « truina » (abside),
che doveva essere rimasta dimezzata in seguito alla costruzione
della cripta, e a rinforzare le inferriate di quella e delle altre
due finestre laterali. È possibile che in questa occasione si sia
distrutta la parte centrale della zona inferiore del mosaico che
conteneva, come si ritiene, un'iscrizione; ma è più probabile che
il guasto maggiore dati dal 1507, quando il coro fu trasportato
NOTE E DOCUMANTI SANTAMBROSIANI ^ 73
dalla campata del tiburio, nell'abside (i). L'arco scemo che la fi-
nestra di mezzo presentava ai tempi del Puricelli (2) indicherebbe
ch'era stata modificata nella forma e fors' anco ampliata una se-
conda volta.
Dalle testimonianze del 1337 emerge che l'altare era stato og-
getto di un nuovo attentato. Brunasio da Manziago, notaio della
curia arcivescovile, attestò che un giorno il custode Arnaldo Della
Chiesa gli aveva mostrato certe figure scolpite « in dicto altari de
« antea in sinistro latere », deteriorate. I ladri avevano tentato di
rubare Targento dell'altare, guastando così quelle figure; ma non
essendo riusciti ad uscire di chiesa, erano stati scoperti (3). Le
parole del teste lasciano qualche incertezza intorno a quale dei tre
specchi d'argento dorato che coprono la parete posteriore e le due
laterali dell'altare, egli abbia alluso; se alla parete posteriore che
sarebbe meglio indicata dall'accenno alle figure scolpite che i ladri
avevano guastate, mentre la frase « de antea » potrebbe spiegarsi
per l'antica consuetudine di celebrare colla faccia rivolta ad occi-
dente verso il popolo; ovvero se alla parete laterale sinistra « in
a sinistro latere ». Crediamo più probabile questa seconda inter-
pretazione, perchè in altri punti delle stesse testimonianze si qua-
lifica come « postes de antea » quella d'oro (4). Se così è, le figure
scolpite, che il teste vide danneggiate, sarebbero i quattro busti di
santi nei clipei dello specchio di sinistra, o le dodici figure di an-
geli in rilievo negli spazi geometrici formati dalle divisioni di quello
specchio. Un altro teste, prete Salomone da Bescapè, chiarì che
(i) Puricelli, Dissert. Na^ar., p, 630.
(2) Veggasi il disegno del mosaico dell'abside in Puricelli, Mon. Bas.
Amhr., p. 134.
(3) Cod. Della Croce, XXIII, sub a. 1337. Esame del teste Bennasio da
Manziago : « Ego testis vidi per plures vices dictum altare B. A. et una vice qua
« dictus Arnoldus ipsum aperuit, ostendit mihi certas figuras scultas in dicto al-
« tari de antea versus manum sinistram seu in sinistro latere positas dampnifi-
« catas, que dicebat esse latrones qui voluerunt furari argentum et ornamentum
« de altari predicto, et audiebam ipsum Arnoldum dicere quod illi latrones fue-
« runt ad ipsum altare et quod illud devastaverunt ibi, sed quod non potuerunt
(( exire dictam ecclesiam, donec fuerunt inventi ».
(4) Ibid. Esame di prete Salomone: « lUam postem que est de ante ipsum
« altare vidi esse auream et dico quod vidi intus ipsam postem de antea ima-
« gincs sanctorum videlicet Christum in magistate, etc. ».
74
GEROLAMO BISCARO
appunto in causa di quell'audace tentativo di spogliazione dell'al-
tare era sorta Tidea nel legato pontificio Pietro de Peragrossis di
provvedere in modo più sicuro alla custodia di esso coli' impianto
di una robusta cancellata in ferro che doveva proteggerlo dai colpi
di mano dei ladri di professione; prima di allora dinanzi l'altare
non vi erano altri ripari oltre il noto assito, (i).
Sebbene nel 1292 si fosse disposto che ciascuno dei due capitoli
avrebbe avuto una chiave della cancellata, ai monaci non fu dato
di possederla e continuarono anche nei secoli successivi, con loro
grande dispetto, a dipendere dai canonici per potere accedere all'al-
tare. Tentarono bensì nel 1332 con un deplorevole sotterfugio, di
emanciparsi da questa servitù (2); ma la cosa non ebbe seguito, e la
chiave rimase presso i canonici fino alla concordia del 1630 (3).
11 Puricelli narrava nel 1645 che, tre anni prima, era stata sostituita
una nuova cancellata a quella che prima esisteva, e ch'egli descrive
indicando che aveva le aste di ferro infisse al basso e all'alto in
lastre di marmo, formanti zoccolo e cornice (4). Questa descrizione
dimostra che la « crates prealta et firmissima », rimossa nel 1642,
non era l'inferriata del 1292, ma una specie di tramezza con can-
celli che probabilmente datava da poco più di un secolo.
Mentre esisteva questa seconda chiusura, fu commesso il furto
al quale si riferisce il documento pubblicato dal dottor Ratti. Del
furto si occupano a lungo le scritture del 1592; quelle del mona-
stero per attribuirne la responsabilità ai canonici, e quelle della
canonica per scagionarli. Il furto era stato perpetrato di notte tempo.
Il ladro, persona pratica del luogo, entrato nel recinto dell'altare,
« inter binas crates et parietes », aveva strappato alcune lastre del
pallio d'oro e ne era uscito col bottino. Si sospettò subito l'autore
fra i custodi della basilica che soli avevano le chiavi per entrare
(i) Cod. Della Croce : a Bene recorder quod antequam illae crates ferreae forent
« voluit devastar! dictum altari, secundum quod audivi tunc dici, et d. Petrus de Pe-
« ragrossis qui tunc erat cardinalis apostolicae sedis sive vicecancellarius scivit et
« tunc ipse d. Petrus fecit fieri illas crates sicut dicebatur. Et ego vidi fieri illas
« crates ibi et de antea ubi modo suut illae crates non erat aliquid ».
(2) Ibid. Esame di Brunasio da Manziago.
(3) Puricelli, Moti. B. Amhr. La « concordia » è inserita nel testo del
diploma di Urbano Vili: Gregis Domini cura.
(4)- Ibid., p. 125.
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 75
nel recinto, e che anche senza le chiavi avevano modo di pene-
trarvi lasciandosi cadere con una fune dalla finestra del locale a
sinistra dell'abside, ove riposavano durante la notte (i). I canonici
obbiettavano ch'essi avevano avuto sempre custodi di specchiata
onestà, dimenticando, si comprende, le gesta del custode Descazio;
con pari ragione, dicevano, si sarebbe potuto sospettare dei famigli
dei monaci, che potevano entrare nella basilica per le porte comu-
nicanti col monastero e per la finestra di un altro locale a destra
dell'abside, prospiciente sopra il recinto dell'altare. Ma avvenne
che mentre così discutevano, un custode della basilica, a nome Ce-
sare, scappò da Milano, portando via alcuni paramenti della basi-
lica. Riparò a Roma, ove pare commettesse altri furti sacrileghi,
per i quali venne condannato alla galera. Non ci voleva di più
perchè sorgessero i monaci ad accusare l'ex-custode, quale autore
del furto del palliotto. Fecero pratiche a Roma, perchè prima di
mandarlo ad espiare la pena, lo si ponesse alla corda e lo si esa-
minasse con diligenza e rigore intorno al furto dell'altare, ma si
trovarono sbarrata la via dai canonici, i quali, sollevando un con-
flitto di giurisdizione, tanto seppero destreggiarsi che riuscirono
ad impedire che il loro ex-dipendente fosse sottoposto all'esame
desiderato dai monaci. Così le cose venivano narrate dai patroni
del monastero, che si spingevano fino ad insinuare il sospetto della
partecipazione dei canonici o di alcuni di essi nel furto; tanto sem-
brava eccessivo il loro arrabattarsi per impedire che si facesse la
luce. A parte l'accusa di complicità, che pare fosse del tutto gra-
tuita, mentre l' interesse dei canonici a che non si chiarissero i so-
spetti a carico dell'ex-custode, può spiegarsi per il timore di dovere,
una volta accertata la sua reità, rispondere del danno colla propria
borsa, le circostanze di fatto poste in rilievo a carico del fuggiasco
dal patrono dei monaci, furono dai canonici sostanzialmente am-
messe; pur negando che si potesse indurne la prova della sua col-
pevolezza. Non conosciamo il testo della sentenza proferita nella
causa del 1592. Ma la petizione predisposta dai canonici fra il 1598
e il 1599 per la regina Margherita, lascia comprendere ch'erano
(i) Fondo di Religione, Capitoli S. Ambrogio, busta 115. Atti della causa
fra i monaci e i canonici per l'uso degli abiti pontificali, e per il dominio della
chiesa; « allegationes iuris » presentate dal sindaco del monastero nel febbraio
e lugli) 1592, e dai sindaci della canonica nel marzo dello stesso anno.
76 GEROLAMO DISCARO
stati condannati a rimettere le parti mancanti. Ed essi vi provvi-
dero, battendo a destra e a sinistra per raccogliere la cospicua
somma di mille scudi d'oro, indicata nella petizione come necessaria
per il restauro.
Abbiamo trovato una « memoria delle cose che bisognano di
« necessità per servitio della chiesa di S. Ambrogio », che dalla
scrittura si può con certezza attribuire alla fine del sec. XVI o
ai primi anni del successivo (i). Fra le spese necessarie vi è in-
dicata quella di « raccomodare l'altare d'oro nella parte che resta
« guasto e specialmente li ornamenti che mancano quasi tutti in-
u torno alle piastre d'oro della parte stanca (sinistra) ». La parte
che u resta guasta », doveva essere quella delle due o tre piastre
all'angolo superiore di destra coi quadretti della Risurrezione, del-
l'Ascensione e dalla Pentecoste, che si riconoscono opera di mo-
derno artefice.
Molte notizie sull'altare e sulla sua custodia si hanno anche
negli atti della visita pastorale del 1603 (2). L'altare, opera pre-
ziosa di « Angilberto primo Posteria », si custodiva medianti ta-
vole ben ferme e solide, munite di otto chiavi, delle quali quattro
custodite dal preposto e quattro dal canonico più anziano, chiamato
anche il cimiliarca o sagrista. Per il passato usavasi aprirlo nelle
maggiori solennità; ma ciò non si praticava più dopo che negli anni
precedenti, spezzate le assi, una mano sacrilega aveva sottratte
alcune lastre d'oro. L'altare era rimasto per molti anni invisibile
ai fedeli; finché « la magnifica comunità di Milano " aveva elar-
gito duecento scudi d'oro, coi quali era stato possibile eseguire
(i) Fondo di Relig., busta 120.
(2) Ibid., busta 120: « Clauditur dictum altare octo clavibus Inter se di-
« versis, appositis tabulatis bene firmis et tutis; claves autem ipsae steterunt
« semper et modo etiam sunt in potestate canonicorum et asservantur quatuor
« scilicet a praeposito et reliquae quatuor a canonico antiquiori qui cimiliarca
« dicitur. In maioribus solemnitatibus consueverat altare aperiri, sed hoc tempore
« non fit quia annis praeteritis fractis assidibus anteriori parte nonnullae laminae
« auri sacrilega manu ablatae fuerunt et postquam per multos annos apertum non
« fuit, tandem magnificas comunitas Mediolani canonicorum rogatu ducentum
« aursos nummos elargita est, quibus satis instauratum fuit, sed nondum pcrfecte
«et penes canonicorum sagristiam adhuc remanent aliqua fragmenta auii et ar-
ce genti, et lapilli in hunc usu adhibendi, si de hoc ageretur cum communitate
« forte suppleret ad operis perfectionem ».
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 77
un discreto ristauro. Ma il lavoro non era ancora compiuto e ri-
manevano nella sagrestia dei canonici alcuni frammenti d'oro e
d'argento e delle pietre preziose da porre in opera, qualora la co-
munità si fosse prestata a fare una seconda elargizione. Dobbiamo
credere che negli anni successivi, forse in seguito alle disposi-
zioni date dal visitatore del 1603 e ad un nuovo sussidio offerto
dalla rappresentanza cittadina, siasi finalmente compiuto il ristauro;
perchè nel processo definito colla concordia del settembre 1630 non
si fa più parola delle condizioni dell'altare (i).
I testi, che abbiamo fin qui esaminati, non oftrono sicuri ele-
menti per determinare la data approssimativa della costruzione del
pallio quadrifronte e della copertura del ciborio nella loro forma
attuale. Pure ammettendo, come riteniamo fermamente, la falsità
intrinseca del diploma di Angilberto, è indubitato che quell'arci-
vescovo ebbe ad offrire in onore del titolare del tempio un altare
prezioso per le lamine d'oro e d'argento e per le gemme ond'era
adorno; ce ne fanno fede l'iscrizione poetica lungo la cornice dello
specchio posteriore, il tondo coli' immagine di Angilberto in atto
di presentare a S. Ambrogio l'altare, e la tradizione costante, della
quale si facevano eco i patroni dei due cleri nelle « allegationes »
del 1144, e quelli dei canonici nelle scritture del 1200. Soltanto
negli atti della visita pastorale di S. Carlo si fa il nome di un ar-
civescovo Anselmo, alludendo forse ad Anselmo (IV) Pusterla
{1126-1135). Si equivocò certamente con Angilberto (II), che alcuni
cronisti di epoca assai tarda, seguendo qualche leggenda formatasi
per piaggiare una delle famiglie più illustri della città, avevano
attribuito alla agnazione dei Pusterla.
Si sostiene da parecchi scrittori (2) che il palliotto nelle sue
parti principali presenta caratteri affatto difformi dagli elementi che
si riscontrano nelle opere di oreficeria e negli avori dell'epoca ca-
rolingia, più consoni invece alle opere del sec. XII. Se così fosse
in realtà, converrebbe ammettere che l'altare sia stato rifatto a
nuovo, fondendo le antiche lamine e adoperando le pietre preziose
(i) Fondo di Relig., Capitoli, S, Ambr., busta uy. Memorie del monastero
e della canonica presentate ai cardinali e agli altri prelati a concordiam trac-
" tantes ».
(2) Attribuiscono il palliotto al sec. XII lo Zimmermann, il Kondakow e
D. Sant'Ambrogio; non si scostano dalla tradizione L. Beltrami ed A. Venturi.
'^S GEROLAMO DISCARO
del pallio di Angilberto. Si sarebbe ripetuto il carme e il tondo
colla immagine e il nome del pio presule, considerando che la
preziosità del dono consisteva più che tutto nel valore del metallo
e delle gemme da lui offerte. Si è anche tentato di sottilizzare sul
significato della iscrizione, col leggervi un implicito accenno al ri-
facimento del dono di Angilberto per opera di un suo successore.
Ma se è vero che quasi due versi interi del carme, compreso il
nome di Angilberto, sono scritti con caratteri rozzi e scorretti che
rivelano un parziale ristauro dell'orlo inferiore di quello specchio,
non per questo si ha motivo di dubitare che le parole originarie,
scomparse forse in una delle tre manomissioni delle quali si è di-
scorso superiormente, non fossero conformi a quelle che ora si
leggono, trovando le parole stesse perfetta corrispondenza colla
rappresentazione dell'arcivescovo Angilberto in atto di offrire l'al-
tare al titolare della basilica. Ed è d'altronde abbastanza comune
che il donatore parli, nella dedica, di sé stesso in terza persona,
ed accenni alla dignità della quale era investito (i).
Parrebbe invece che se l'altare fosse stato rifatto totalmente a
cura e a spese di un successore di Angilberto, pur ripetendosi
l'antico carme e riproducendosi il tondo coli' immagine e il nome
di Angilberto, non si sarebbe mancato di segnarvi anche il nome
del nuovo donatore. La spesa per il completo rifacimento di un'o-
pera, che richiedeva un lavoro lungo, minuto e difficile, sarebbe
stata di tale entità da giustificare il ricordo almeno del nome, se
non anche della effigie dell'oblatore. Lo stesso dovrebbe dirsi, e a
maggiore ragione, dell'artefice. La posizione che è fatta nel pal-
liotto a « Wólvinius magister phaber », sulla stessa linea e nelle
medesime proporzioni dell'arcivescovo Angilberto, sta ad indicare
in Volvinio l'autore dell'altare, quale fu offerto da Angilberto nella
prima metà del sec. IX. Data l'ipotesi di un totale rifacimento,
non si comprende per quale motivo si sarebbero ripetuti il nome
(i) Si possono consultare anche per l'analogia collo stile e coi concetti del
carme di Angilberto alcune poesie di Alcuino e di Sedulio Scoto in Dùmmlep,
Poetag latini aevi caroL, I e III; in particolare un'iscrizione del primo In ec-
clesia S. Vedasti (I, p. 308), ed una dedica « de quodam altari », del secondo
(IH, p. 210). Veggansi anche di Sedulio, versus qui descritti sunt in calice d'oro,
che Angilberto aveva fatto rifare, accrescendone il pregio con grosse gemme
(III, p. 237).
NOTE E DOCUMEiNTI SANTAMBROSIANI 79
e la effigie di un artista, la cui opera era andata a finire nel fondo
del crogiuolo, anziché dell'artefice del nuovo altare che, intrinseco
a parte, quanto alla forma e alla decorazione poteva avere assai
poco di comune coU'altare di tre o quattro secoli prima.
Si è detto che l'altare non può essere anteriore al sec. XII.
Ma in contrario noi troviamo che proprio verso la metà di quel
secolo, nel 1144, il monastero affermava che Angilberto era « pre-
« fati mirifici operis constructor » ; e la canonica, contestando l'au-
tenticità del diploma e l'affermazione del monastero che « claves
« aurei altaris ac potestatem monachis ab eiusdem constructore
« fuisse traditam », non metteva però in dubbio che l'altare fosse
stato offerto da Angilberto. Non una parola, neppure nelle succes-
sive scritture dei canonici del 1200-1201, intorno ad un secondo
costruttore o rifacitore del pallio o a nuove disposizioni impartite
circa le chiavi e il possesso dell'altare. Nel 1147 si litiga sull'aper-
tura dell'altare, del quale le chiavi continuavano ad essere presso
il cimiliarca. Neppure allora si dice che l'altare fosse nuovo o ri-
fatto; si accenna per contrario ad antiche consuetudini sulla sua
apertura, ch'erano state sempre osservate. Nel 1200-1201 si discute
di nuovo e più a lungo sulla stessa questione. I testimoni del mo-
nastero vengono interrogati con grande diligenza sulle circostanze
nelle quali avevano visto il cimiliarca e i custodi della canonica
aprire l'altare a richiesta del monastero; risalendo taluno fra i più
vecchi fino ai tempi del preposto Martino Corbo ([132-1152) e del-
l'abbate Guiffredo (1139-1148), e passando, in rassegna tutti i cimi-
liarchi, gli abbati e i preposti succedutisi per oltre mezzo secolo.
Nessuno dei numerosi testimoni disse o lasciò comprendere che
in quell'intervallo di tempo vi fosse stata altra interruzione nella
consuetudinaria apertura dell'altare, oltre quella del periodo del-
l'esiglio dei milanesi (1162-1167). Qualche importanza offre pure la
posizione dei canonici nel processo del 1332-1337, che le « postes n
dell'altare, quali allora si ammiravano, « partim argentee deaurate,
a partim totaliter auree », vi si trovavano da tempo immemorabile ;
perchè se fossero state rifatte appena un secolo e mezzo innanzi,
non si sarebbe forse mancato di farne cenno. Se non proprio nella
posizione, se ne troverebbe traccia almeno negli esami dei testi, i
quali si sono dilungati a descrivere e magnificare la ricchezza del-
l'altare e a raffrontarlo con quello di S. Tommaso « de Conturbia »,
80 GEROLAMO BISCARO
che da alcuni si riteneva il più splendido di tutti gli altari della
cristianità (i).
Le osservazioni dei competenti su alcuni elementi nella tec-
nica del palliotto propri di un'arte non anteriore alla metà del
sec. XII, possono avere un fondo di verità e riferirsi alle parti
rifatte o ristaurate in seguito alle due o tre manomissioni del se-
colo XIII, delle quali sin qui non si aveva alcuna notizia. Ma nel
disegno generale, nella distribuzione delle varie parti dei quattro
specchi, nei soggetti delle istorie e nei tondi colle immagini del-
l'arcivescovo, dell'artefice e dei due arcangeli Michele e Gabriele,
il pallio dovrebbe essere ancora il « mirificum opus », costruito da
Volvinio e da Angilberto dedicato al santo tutelare della sua chiesa.
Questa la ipotesi che l'esame dei documenti ci fa apparire più ve-
rosimile.
Non meno grave è il problema rispetto al padiglione del ci-
borio e ai gruppi ed ornati in plastica dei quattro frontoni (2). Se
fra il 1194 e il 1196 crollò il tiburio, sia pure soltanto in parte, è
difficile ammettere che il sottoposto padiglione si sia salvato dalla
rovina. Si salvarono gli stalli del coro e 1' altare coperto dal ci-
borio e protetto da robuste tavole. I particolari riferiti dai testimoni
del 1200-1201 intorno alla rimozione degli stalli dopo la caduta par-
ziale della basilica e durante la sua ricostruzione, e alla loro ricollo-
cazione nello stesso spazio di prima, accertano che nessun danno
sensibile ebbero a soffrire (3). Ma la cosa si può per essi spiegare,
considerando che dovevano essere disposti lungo le arcate laterali
che resistettero. E d'uopo credere che abbia invece ceduto il grande
arco ad occidente, comune alla crociera del pulpito. Certamente l'al-
tare non deve avere sofferto grave danno. Se fra il 1194 e il 1200
si fosse rifatto in tutto od in parte il pallio quadrifronte, non avreb-
bero mancato di parlarne i testimoni, accennando al tempo, non
(i) Cod. Della Croce, XXIII, sub a. 1337: Esami di prete Bernardo degli
Ermenolfi, di Ambrogio Roano e di Brunasio da Manziago. — Si alludeva all'altare
della cappella dedicata nel 122 1 a S. Tommaso Becket in Canterbury, a cura di
Enrico III d' Inghilterra, che, come è noto, fu distrutta per ordine di Enrico VIII.
(2) Attribuiscono il padiglione e gli stucchi del ciborio al sec. IX Dartein,
Landriani, Beltrami, ecc.] ai secc. XI o XII Rohant de Fleury, Zimmermann,
Sant'Ambrogio, Venturi^ ecc.
(3) Ibid., XII, ce. 68-78, 78-87, 87-94. Esami dei monaci Martino e Guido,
-del chierico Ambrogio da S. Ambrogio e del converso Giovanni da S. Siro.
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 8l
breve, data la mole e la qualità del lavoro, durante il quale la
consueta apertura dell'altare avrebbe dovuto rimanere sospesa (i).
Si può anzi dubitare se il periodo di cinque o sei anni, decorsi fra
il crollo della chiesa e l'esame dei testimoni, avrebbe bastato alla
bisogna.
Il ritardo nel definitivo ristauro del pulpito fino al tempo della
soprastanzia di Guglielmo de Pomo (1204-1212) indicherebbe che
non si ebbe grande premura di riparare in modo decoroso e stabile
i danni cagionati nell'interno del tempio dalla parziale rovina. Ri-
fatto il tiburio e la vicina crociera per iniziativa dell'arcivescovo
Oberto da Terzago, proseguita dal suo successore Filippo da Lam-
pugnano, il soprastante attese, prima di por mano al ristauro del-
l'ambone, che i due cleri fossero ridotti al silenzio nel grave litigio
allora in corso. Dalla sentenza del 24 novembre 120 1 del vescovo
di Vercelli e dell'abbate di Lucedio, si arriva fino al 1250 senza
che si abbiano notizie di altre controversie fra i due capitoli. Nel
periodo intermedio Guglielmo de Pomo o i suoi successori nel-
l'ufficio della soprastanzia avranno provveduto anche al rifacimento
della copertura del ciborio; come è probabile che abbiano nello
stesso periodo costrutta la cripta sotto l'abside (2).
Le figure dei due monaci benedettini neri nella fronte poste-
riore del ciborio, in atto di offrirne il modello a S. Ambrogio, in-
dicano abbastanza chiaramente che l'opera fu eseguita a spese del
monastero. La loro rappresentazione, che dovette apparire come
una segnalata concessione ai voti ardenti del monastero, non sa-
rebbe stata possibile nel secolo precedente ; quando le liti fra i
monaci e i canonici, questi ultimi quasi sempre spalleggiati dal-
l'arcivescovo, si succedevano l'una all'altra, lasciando appena qual-
che breve tregua. Nell'intervallo, lungi dall' iniziarsi rapporti di
(i) È frutto non d'altro che di equivoco l'attribuzione alla basilica di
S. Ambrogio della notizia che dà il Puricelli, Mon. Bas. Ambr., n. 629, intomo
alla consacrazione degli altari celebrata nel 11 96 dall'arcivescovo Oberto, mentre
dal testo stesso e più ancora dalla rubrica nell'indice risulta chiaramente che la
notizia si riferiva alla chiesa di Chiara valle.
(2) È noto che secondo il Corio, op. cit., ed. 1503, I, p. 401, la cripta
sarebbe stata costrutta a spese di alcuni suoi agnati, verso il 1230. Ma l'argomento
ch'egli adduce, della presenza nella cripta dello stemma Corio, non ci sembra
molto concludente. Lo stemma poteva avere carattere votivo, com' è delle insegne
che si vedono in alcune pitture dell'atrio.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXIf, Fase. V. 6
82 GEROLAMO BISCARO
mutua fiducia e cordialità^ d'ambo le parti si affilavano le armi per
nuove offese. Invece la lunga pace fra le due corporazioni dal 120 1
al 1250 permette di pensare che si sia veduto dai canonici e dal-
r&rcivescovo senza eccessivo sospetto inalberarsi i simboli del
monastero nel padiglione sopra l'altare; nella lusinga, quanto mai
fallace, che dopo le numerose sentenze pronunciate intorno al do-
minio € alla custodia della chiesa e dell'altare, non sarebbero state
possibili nuove contestazioni. Forse la concessione rappresentò il
compenso di servigi prestati dal monastero alla canonica o allo
stesso arcivescovo.
Ne ci sembra senza significato nella questione sull'età dell'at-
tuale copertura del ciborio, il silenzio dei monaci nelle « allega-
ci tiones » del 1144, intorno alla scena raffigurata nel frontone
posteriore. Poiché tutta la scrittura è diretta a dimostrare la premi-
nenza del monastero sulla canonica e il diritto dei monaci alla cu-
stodia della chiesa e dell'altare, e alle oblazioni, sembra evidente
che, se, in quell'epoca vi fosse stato sul frontone del ciborio il
gruppo dei due monaci prostrati innanzi a S. Ambrogio col modello
dello stesso ciborio nelle mani, non si sarebbe omesso dal diligente
ed accorto patrono del monastero di trarne argomento a prò' della
sua tesi. Sebbene ci manchino le scritture del monastero nei pro-
cessi del 1186-1191 e del 1200-1201, si può dalle scritture della
canonica, ove si espongono con somma diligenza gli antichi e i
nuovi argomenti del monastero, per confutarli, rilevare l'assoluto
difetto di qualsiasi allusione alle figure o ai simboli del ciborio.
Lo stesso dicasi delle lunghissime e particolareggiate deposizioni
dei testimoni escussi nel secondo processo; alcuni dei quali, inte-
ft^ssati in sommo grado nella controversia, perchè appartenenti al-
l'una o all'altra delle corporazioni rivali, ebbero modo di diffondersi
su tutte le circostanze di fatto che in via anche indiretta potevano
connettersi coi molteplici argomenti portati in campo a sostegno
delle rispettive rivendicazioni. Non una parola intorno al ciborio
in quegli esami, che nel codice Della Croce occupano oltre duecento
carte di fitta scrittura; all' infuori della frase « propter lignamen
« quod erat subter tevorium >% se è vero che colla parola « tevo-
u rìum » s'intese significare il ciborio, e non il tiburio, nel qual
caso è probabile si alludesse a lavori in corso per portare l'aitare
alla maggiore altezza resa necessaria dal piano piti elevato asse-
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 83
gnato al presbiterio nella rifabbrica della basilica (i). Non è che
nel 1592 (2) e di poi, dal Puricelli (3) e dall' Aresi (4), alla distanza
di più secoli, che se ne parla diflfusamente, sostenendo che il mo-
naco col modello del ciborio è l'abbate Gaudenzio, il quale, avendo
nel 835 ricevuto da Angilberto in consegna il prezioso altare, volle,
a maggior decoro del servizio divino, coprire l'altare stesso di un
ricco padiglione sorretto dalle quattro colonne di porfido. Ma le
fonti sono troppo tarde e troppo parziali, perchè si possa attribuire
valore al racconto.
Chiudiamo le notizie sull'altare e sulla sua custodia con un voto;
che la fedeltà delle persone alle quali è commessa la sorveglianza
della basilica ^ del suo inestimabile tesoro, abbia in avvenire a con-
servarsi così forte e tetragona agli stiraoli della « auri sacra fames »,
come per il passato si sono sempre dimostrate salde e resistenti
di fronte ai u fures extrinseci » le robuste inferriate delle finestre
le serrature delle porte e le grosse cancellate che cingevano l'altare.
in.
Gli stalli del coro.
Uno degli argomenti portati in campo dai monaci del secolo XII,
per giustificare le loro pretese al dominio della basilica, era l'esi-
stenza, da tempo immemorabile, del coro avanti l'altare, cogli stalli
costruiti e mantenuti a loro spese e a loro uso esclusivo. Fino dai
primi anni di quel secolo il coro doveva avere la stessa posizione
che conservò fino al 1507, lungo le due linee oggi segnate dall'at-
tacco della navata mediana coll'abside fino ai due pilastri del tiburio
verso occidente. Landolfo da San Paolo narra che nel 1103, quando
prete Liprando accusò di simonia l'arcivescovo Grossolano, questi
entrò nella chiesa di S. Ambrogio portando la croce, e salì il pul-
(i) Trattandosi di semplici lavori di muratura, si può ammettre che ab-
biano avuto breve durata, tale da non portare una rimarchevole interruzione
nella consuetudinaria apertura dell'altare.
(2) Fondo di >Relig., Capitoli S. Amhr.^ busta 115.
(3) Mon. Bas. Amhr., n. 62.
(4) Ahhatum S. Amhr. Series, Milano, 1674, p. 3.
84 GEROLAMO BISCARO
pito con Arialdo da Melegnano, suo grande fautore, e Berardo,
giudice di Asti; Liprando prese posizione di fronte a Grossolano,
stando a piedi nudi « in introitu chori >', sopra la pietra marmorea
raffigurante un simulacro di Ercole. Ne seguì fra i due una disputa
violentissima, finché il popolo, infuriato, li interruppe gridando:
il exite foras, ad iudicium! (i) ». La posizione presa da prete Li-
prando all'ingresso del coro, per rispondere a Grossolano, denota
che r ingresso del coro era allora, come rimase di poi fino al 1507,
a pochi passi dall'ambone.
Intorno agli stalli vi è una prima notizia nelle « allegationes w
dei monaci del 1144; ove si legge che nessun uomo sano di mente
ignorava che i sedili del coro appartenevano all'abbate e al mona-
stero. Si è già accennato che nel processo del 1200- 1201 i testimoni
furono interrogati a lungo sulla costruzione e manutenzione degli
stalli. Nelle posizioni del monastero vi era un capitolo per provare
che nel coro i canonici non tenevano né sedili né leggìo né lam-
pade, e che da oltre mezzo secolo non avevano mai usato sedere
negli stalli dei monaci od in altro luogo del coro, ma sempre vicino
all'altare (2). Alcuni monaci deposero di avere saputo nella loro
gioventù dai più anziani del monastero, che gli stalli erano stati
costruiti da un monaco dello stesso monastero, Ariberto da Pasi-
liano (3); un converso, Giovanni da San Siro, che viveva a S. Am-
brogio da circa quarant'anni, disse che lo stesso monaco Ariberto
gli avea confermato di avere fatto « ipsa sedilia ad utilitatem
« monasterii » (4). 11 Puricelli, a proposito di questo Ariberto, riferì
un'iscrizione collocata sopra la porta di un sacello dedicato ai
santi Pietro e Paolo fuori di porta Vercellina (l'odierna chiesa di
S. Pietro in Sala) che attribuisce il merito ad Ariberto, di averlo
riedificato nel T141 (5). Avuto riguardo a questa data, all'epoca nella
quale il converso Giovanni poteva avere parlato con Ariberto e
alla vibrata affermazione contenuta nelle « allegationes » del 1144
rispetto alla proprietà dei sedili del coro spettante all'abbate, rite-
niamo che Ariberto li avesse costruiti qualche anno prima del 1144.
(i) Pertz, M. G. H,, XX, 26.
(2) Arch. dipi, perg, S. Ambr., fascio n. 107.
(3) Cod. Della Croce, XII, ce. yó e 78. Esame dei monaci Martino e Guido.
(4) Ibid., XII, ce. 9)-i02.
(5) Moti. Bas. Ambr., n. 389.
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 85
Alcuni testimoni parlarono delle « forme que sunt iuxta sedilia »,
che spesso si portavano in monastero per i bisogni dei monaci;
avevano visto riattare, a cura e spese del monastero, sedili e
u forme n, e i monaci usare liberamente degli uni e delle altre (i).
È probabile che queste « forme » fossero delle scranne o panche
che si disponevano dinanzi agli stalli. Nelle « forme » avranno
preso posto i conversi, i novizi e i chierici, rimanendo gli stalli
riservati ai monaci professi. Si fa menzione anche degli « scabelli »
dei sedili, che crediamo servissero ad uso di inginocchiatoi (2).
Nessuno dei testimoni del monastero osò affermare che ai ca-
nonici fosse in quel tempo vietato di sedere negli stalli. Dal loro
canto tutti i testi della canonica confermarono che canonici e mo-
naci li usavano promiscuamente, alternandosi duranti le rispettive
ufficiature. Posero inoltre in evidenza che, mentre i cori delle chiese
monastiche di Milano si chiudevano con porte e chiavistelli, il
coro di S. Ambrogio rimaneva sempre aperto, perchè potessero
servirsene i sacerdoti della canonica, i quali, a differenza dei mo-
naci, non avevano bisogno di chiudersi dentro. Una voce piuttosto
vaga che in un passato abbastanza lontano i canonici non avevano
né adoperavano stalli giù dell'altare, si era fatta sentire nel processo
del 1189-1191, avendo allora un familiare del monastero riferito
che « per vetustissima tempora canonici non habebant sedes in
u ecclesia sancti Ambrosii ab altari in zosum » (3). Giova anche
rammentare quanto disse nel 1200 un teste dei canonici, maestro
Prevosto, canonico, che cioè essi, oltre ad usare dei sedili e del
leggìo del coro, avevano propri sedili sopra i tre gradini, per i
quali si sale all'altare (4). Da tutte queste circostanze sembra di
poter arguire che in antico, prima che scoppiasse fra i due cleri
il dissidio delle oblazioni, e quando la canonica non era ancora
organizzata con un proprio preposto, il coro cogli stalli serviva,
come nelle chiese prettamente monastiche, soltanto ai monaci, ed
il clero secolare disponeva per i bisogni della propria officiatura,
'i di alcuni sedili d'ambo i lati dell'altare. Il principio della comu-
nione, dapprima « prò indiviso », indi, per quanto fu possibile,
(i) Cod. Della Croce, XII, e. 68. Esame, del monaco Martino.
(2) Ibid., XII, e. 102. Esame del converso Giovanni da S. Siro.
(3) Ibid., XI, e. 7 sg. Esame di Ungarino da S. Ambrogio.
(4) Ibid., XII, ce. 155-165.
86 GEROLAMO BISCARO
« prò diviso ", di alcuni diritti sulla basilica, e dei lucri conse-
quenziali fra i due cleri, che fino dalla metà del sec. XII coniinciò
a sostituirsi per ragioni di equità, all'applicazione rigorosa dello
stretto diritto e all'osservanza di più antiche consuetudini, spiega
come il mormstero, mentre guadagnò terreno nella questione sulle
oblazioni e in altri punti di discordia^ ebbe a perderne nelle que-
stioni sul campanile e sull'uso del coro.
Abbiamo già esposto, parlando della soprastanzia, il tenore
della sentenza pronunciata nel 1282 da Ottone Visconti nella lite
dei monaci e dei canonici alleatisi contro il soprastante Ventura da
Bescapè, allo scopo di addossare alla soprastanzia la spesa occor-
rente per la costruzione dei nuovi stalli del coro. La sentenza non
dice per quali circostanze il coro fosse allora rimasto senza stalli.
Non sapremmo spiegarci la cosa, se non pensando che gli stalli
antichi, quelli di Ariberto da Pasiliano, fossero ridotti in così de-
plorevoli condizioni di vetustà che, rimossi per provvedere alla loro
sostituzione o ad un ristauro, si fossero completamente sfasciati.
Di qui r impossibilità di rimetterli a posto per i bisogni della quo-
tidiana ufficiatura, duranti le non brevi more della lite. L' alta au-
torità politica dell'arcivescovo Ottone che diede la sentenza, ed il
contegno più che remissivo tenuto in causa dal soprastante, accer-
tano che costui si aff'rettò, prestando ossequio alla sentenza, a co-
struire i nuovi stalli entro il termine fissato dall'arcivescovo, e cioè
non oltre il io agosto 1283 (i).
Ma non erano trascorsi due secoli dalla loro ricostruzione che
si pensò di. rifarli a nuovo. Era l'epoca nella quale la tendenza ad
un profondo rinnovamento artistico cominciava a diffondersi anche
in queste contrade. L'arte dell'intaglio e della tarsia era in auge,
e le chiese monastiche andavano a gara nell'arricchirsi di nuovi e
suntuosi stalli per il coro, decorati di tarsie e di scolture. Non è
compito nostro di dare qui una descrizione artistica degli stalli di
S. Ambrogio, oggi disposti nell'abside della basilica. Ci basta se-
gnalare l'errore gravissimo in cui sono incorsi anche i migliori fra
i critici d'arte che ne parlarono, attribuendoli al sec. XIV. Seb-
bene vi predomini ancora l'influsso dello stile ogivale nella sua più
tarda e meno simpatica evoluzione, dalle forme tozze, dalle linee
(i) Cod. Della Croce, XIX, sub a. 1282.
NOTE F. DOCUMENTI SANTaMBROSIANI 87
trite e frastagliate e dal sovracarico di ornati pesanti ch'ebbe voga
in Lombardia fino oltre la metà del quattrocento, non mancano in
qualche elemento le note spiccate dello stile nuovo e geniale che
altrove aveva già conquistato il campo anche nelle arti minori, e
che Milano aveva imparato a conoscere nell'architettura dal Filarete
e da Michelozzo.
L'atto di commissione del coro di S. Ambrogio era sfuggito
sin qui alle indagini degli studiosi. Il documento fa parte dì una
miscellanea dì carte relative alle solite liti fra i due capitoli che tro-
vasi nel « Fondo di religione » del nostro archivio di stato (i); non
è l'atto originale, ma una copia contemporanea. Contiene i patti di
una convenzione stipulata il 13 ottobre 1469 tra Giovanni Antonio
da San Giorgio, dottore nelle decretali e preposto della canonica,
a nome anche dell'abbate, e i maestri Lorenzo « de Udrugio »
(Origgio), Giacomo « de Turri », ambedue di porta Vercellina,
parrocchia dì S. Vittore al teatro, e Giacomo « de mayno » (Del
Maino), di porta Ticinese, parrocchia di S. Giorgio al palazzo. I
tre il magistri lignaminis »» si obbligarono di fabbricare a loro spese
nel termine di diciotto mesi a partire dal i.** dicembre successivo,
e quindi a tutto luglio 147T, ventotto stalli superiori ed un nu-
mero proporzionato di stalli inferiori, in legno di noce rossa, forte,
senza nodi e « in morsa », conforme alla qualità del campione
consegnato al preposto. Il primo stallo a destra doveva essere a
forma di cattedra, secondo il disegno all'uopo predisposto, con in-
tagli nelle spalliere, angeli e altre figure indicate nel disegno, e
coir Annunciazione nel grande « testale » superiore, ed una fi-
gura di santo a scelta del preposto nel « testale » di sotto. Negli
altri tre « testali » maggiori si dovevano scolpire due figure, e nei
tre inferiori una, pure a scelta del preposto. Corrispondono gli
otto « testali », così denominati nel capitolato, agli otto specchi
scolpiti ad intaglio che formano una delle principali attrattive del
coro. Ma nel corso del lavoro, come si aumentò il numero degli
stalli, così si mutarono anche i soggetti degli intagli nei « testali »,
sostituendo alla rappresentazione dell'Annunciata e alle immagini
accoppiate od isolate di santi, altrettante scene istoriate, alcune re-
lative ai fasti di S. Ambrogio, ed altre, come si è detto, non sap-
(I) Ved. doc. II.
88 GCROLAMO BISCARO
piamo con quanto fondamento, alla conversione degli inglesi al
cristianesimo per opera del monaco benedettino S. Agostino.
Era stabilito che tutti gli stalli si decorassero ad intagli nelle spal-
liere, secondo otto diversi disegni, e che i dossali (« super capita »)
si ornassero con scene di animali od altri soggetti di fantasia. Il
cornicione (« frixo ») doveva portare nel mezzo figure di santi in
rilievo, e, al di sopra, statuine di angeli in pose svariate. Nelle assi
divisorie degli stalli andava 'praticato un foro rotondo con entro
qualche intaglio di animali od altro. Si dovevano decorare di tarsie i
margini (« orla »), ma non con osso, e dipingere a vari colori le
assi. Per le dimensioni e per quanto non era stato disposto in modo
particolare, si prendevano a modello gli stalli del coro della vicina
chiesa di S. Francesco; meno che per la cattedra, le cui propor-
zioni erano state indicate nel disegno. La commissione comprendeva
pure due leggìi minori ai due capi del coro ed uno più grande,
u pulchrum et laudabile w, con tarsie, nel mezzo. Il prezzo era conve-
nuto in lire imperiali 902 di moneta milanese, da pagarsi in più rate.
Dei tre « magistri lignaminis w, che costruirono il coro di
S. Ambrogio, era noto fin qui solo il terzo, Giacomo Del Maino
fu Damiano, per la parte da esso avuta nella costruzione del coro
per i conversi della certosa di Pavia, già incominciato dal modenese
Bartolomeo de Polli, che il Del Maino con atto del 14 giugno 1502
si assunse di portare a compimento (i). E risaputo che il coro dei
conversi della certosa fu disfatto al tempo della soppressione del-
l'ordine certosino, nel 1782; si disse che il governatore, conte
Wilczech, avendo acquistati gli stalli, li adattò ad uso biblioteca
nel palazzo Serbelloni, ove abitava. Scrittori pavesi scrissero che
il Del Maino era di Pavia (2); ma oltre che nel contratto del 1469
esso è indicato come abitante a Milano, senza alcun accenno alla
sua pretesa origine pavese, la sua qualità di cittadino milanese si
trova espressa in un atto del 3 giugno 1491, quando già abitava
a Pavia; col quale atto assunse nella propria bottega come gar-
zone, tale Ambrogio da Donalla della Valtellina, obbligandosi ad
insegnargli « artem et magisterium sculpiendi et intaleandi ligna-
u men » (3).
(i) L. Beltrami, La Certosa di Pavia, Milano, 1897, p. 93.
(2) C. Magenta, La Certosa di Pavia, Milano, 1897, p. 481.
(3) Arch. dipi, Sei. storica, autografi di intagliatori.
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 89
Di Lorenzo da Origgio abbiamo trovato qualche notizia in do-
cumenti che provengono dalla cancelleria ducale di Milano. Egli
aveva sposato Giovannina da Vimercate, che fu nutrice di Gian
Galeazzo e di Bianca Maria Sforza. La sua qualità di « balio » del
giovane duca e della principessina fu da lui invocata come titolo
alla protezione e ai favori della corte, in una supplica alla reggente
Bona di Savoia, nel novembre 1478, per ottenere la concessione
gratuita della così detta torre dell'imperatore (i), e in altra sup-
plica allo stesso duca Gian Galeazzo, « per poter comprare ligne
« de cadauna maynera ecc. et venderla ecc. senza alcuno impedi-
u mento, inhibitione ecc. dei Vicari della provisione, cobbie seu
u officiali (2) ». In una terza supplica, di data forse anteriore alla
prima, diretta alla stessa reggente Bona, Lorenzo « de Udrugio,
« magistro da legname in la citade de Mediolano », si professava
creditore di sei ducati verso Filippo Maria Sforza, zio del duca Gian
Galeazzo, quale residuo prezzo di « casoni quattro intersa.ti, tavola
« una et payra tria de trispi », ch'egli aveva eseguito per com-
missione di quel principe al prezzo convenuto di ducati 19. Pregava
il il poverello magister Laurentio », che la reggente gli procurasse
il saldo del suo avere, « a ciò possa sustentarse cum li suoy fio-
« Jeti (3) ».
Del secondo, Giacomo « de Turri », non ci fu dato sapere alcun
che. Ma si può credere ch'egli pure, come gli altri due, fosse un ar-
tista indigeno, appartenente al paratico dei maestri di legname. L'ul-
timo posto che occupa il Del Maino nella convenzione, denoterebbe
in lui il più giovane dei tre maestri; della sua età giovanile si ha
un ulteriore argomento nel lavoro assunto per la certosa di Pavia
ben trentasette anni dopo. Invece Lorenzo da Origgio, nella supplica
al duca Gian Galeazzo, si diceva già « vechiarello », che non « va-
« leva più laborare ». E probabile che nel 1469 Lorenzo e Gia-
(i) Arch. dipi, S&1' storica^ autogr. di intagliatori. Nel Registro di missive du-
cali n. 138 (1478-1479) vi ha in data 21 novembre 1478 la lettera della Reg-
gente al vicario di provvisione ed ai maestri delle entrate straordinarie, perchè
diano il loro parere sulla supplica dei coniugi Lorenzo da Origgio e Giovannina
da Vimercate; ove si dice che per parte sua la Reggente sarebbe lieta di poterli
accontentare, « ob merita Joannine de V. nutricis domini ducis Io. Galeaz ».
(2) Ibid., Se:(. storica^ autogr. di intagliatori.
(3) Ibid., autogr. di intagliatori.
90 ^ GEROLAMO BISCA RO
corno « de Turri », i quali abitavano nella stessa contrada, tenes-
sero bottega insieme, ed avessero, pure in società, costruito qualche
anno prima il coro di S. Francesco, citato come modello nel ca-
pitolato per gli stalli di S. Ambrogio. Imbevuti nelle tradizioni
dell'arte ogivale, sulle quali cominciavano appena a fare breccia
nelle arti minori della tarsia e dell' intaglio, le influenze del nuovo
stile portato di Toscana dagli architetti, essi si saranno associati
al Del Maino, come ad un giovane promettente, che doveva por-
tare nella costruzione del coro la nota più moderna, rappresen-
tata dalle scene agresti dei dossali, spiranti una soave aura virgi-
liana, e dalle istorie movimentate dei « testali »», composte sopra
le istruzioni del preposto della canonica, e fors'anco sui cartoni di
qualche distinto pittore all'uopo richiesto.
Le sommarie indicazioni del capitolato corrispondono, salve
le modificazioni sopraccennate nel numero degli stalli e nelle storie
dei « testali », agli elementi principali del coro della basilica. La
sua disposizione originaria era quella dei due cori che lo prece-
dettero, sotto il tiburìo, davanti l'altare: Nel 1507, si stabilì di
sgombrare l'abside, occupata ancora dall'antica cimiliarchia, e di
trasportarvi il coro ad uso comune dei due capitoli. Si abbattè al-
lora il muro o tramezza che divideva sino ad una certa altezza
l'abside dal presbitero; gli stalli dei tre maestri milanesi salirono
così al piano dell'abside, ove tuttora fanno bella mostra di sé.
Gerolamo Biscaro.
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANl 9I
DOCUMENTI
L
12^ Si fnarzo, 8, ind. Vili.
GlACOxMO DeSCAZIO, ex-custode della basilica di S. AM-
BROGIO;, CEDE ALLA CANONICA UNA SUA CASA IN PARROCHIA
DI S. Pietro « surra dorsum » a titolo d'indennizzo
PER IL furto commesso DALL' ALTARE DELLA BASILICA.
Ambrosiana, Codice diplomatico Della Croce, D. sup. IV, n. i6,
e. 65 (ex Archivio S. Amhrosii Mediolani).
Anno domini incarnationis millesimo ducentesimo trigesimo quinto,
die iovis octavo die mensis martii, indictione octava. Jacobus Descatius
qui olim fuit custos ecclesie sancti Ambrosii prò restitutione illius auri
quod subripuit de altari eiusdem ecclesie, sicuti confessus est, cessit
dompno Ambrosio Boifae Praeposito domum unam sitam in contrata
sancti Petri supra dorsum: cui cohaeret a mane Uberti Marapongiae, a
meridie ecclesia sancti Francisci sive sancti Naboris, a sero Belloti de
Brossano. Ibique Angnexia quae dicebatur esse amasia praedicti Jacobi
de eius consenso, nec non ad interrogationem Mirani filli q. Serbruchi
de Legniano missi domini Regis, renunciavit omni iuri pignoris vel hy-
pothecae si quod haberet in praedicta domo. — Actum in canonica sancti
Ambrosii, in praesentia Beltrami de Merate prò secundo notarlo et in-
frascripti Mirani missi Regis. — Interfuerunt Otto filius Anselmi Gia-
pini (?), Trussus fil. Merini de Legniano, Gratianus fil. Mincherini de
Besuzo omnes de civitate Mediolani testes.
Ego Redulfus filius q. ser Gilberti Boffae de contrata S. Sixti nota-
rius sacri palacii tradidi et subscripsi.
Ego Chunradus filius Ambrosii de Lomacio portae Ticinensis de con-
trata S. Sixti notarius sacri palacii iussu infrascripti Redulfi scripsi.
92 GEROLAMO BISCARO
IL
i46g, ottobre^ i6.
I MAESTRI DI LEGNAME LoRENZO DA 'OrIGGIO, GiACOMO DA
Torre e Giacomo Del Maino assumono la costru-
zione DEGLI stalli DEL CORO DI S. AMBROGIO.
R Archivio di Stato, Fondo di Religione, Capitoli, S. Am-
brogio, busta n. 115. Copia non autentica, della fine del sec. XV.
Pateat universis et singulis praesentes inspecturis qualiter nunc
quondam Petrus Paulus de Perochis olim Mediolani notarius anno
MCCCCLXVIIII.o die sabbati tertio decimo mensis octubris tradidit in-
strumentum unum pactorum et conventionum factorum per et inter ve-
nerabilem virum dominum Johannem de sancto Georgio de Placentia de-
cretorum doctorem praepositum ecclesiae S. Ambrosii maioris Mediolani
suo nomine et nomine et vice reverendi domini Abbatis sancti Am-
brosii ac capituli et eius monasterii ac dominorum canonichorum eccle-
siae et prò quibus promisit, parte una ; et magister Laurentius de
Udrugio filius quondam domini Sozini, magister Jacobus de Turri filius
quondam domini Paganini, ambo portae Vercellinae, parochiae sancti
Victoris ad theatrum Mediolani, et magister Jacobus de Mayno filius
quondam domini Damiani portae Ticinensis parochiae sancti Georgii in
pallatio Mediolani, omnes magistri lignaminis etcetera et quilibet eorum
in solidum etcetera.
Primo quod dicti magistri ut supra teneantur hinc ad menses XVIII
proximos futuros incipientes post calendas mensis decembris proximae
futurae eorum propriis expensis tam lignaminis quam aliarum rerum fa-
cere et fabricare in ecclesia sancti Ambrosii maioris Mediolani stadia
tam superiora quam inferiora, et sunt stadia numero XXVIII superiora,
inferiora autem secundum suas proportiones, de lignamine nucis, scilicet
de rubeo precipue de eo quod est in demonstratione, et sit lignamen
forte et bene sichum, grossum in morsa, cum sculturis fortibus et li-
matis secondum proportionatam rationem scolturae, et ponantur assides
sub pedibus in omnibus stadiis pobye, et sint praedicta stadia in forma
infrascripta. Primo stadium unum quod sit prò cathedra et ex forma
cathedrae a manu dextra designatum secondum formam {lacuna dello
spazio di una parola) prefati domini praepositi dimissam de voluntate
praedictorum magistrorum cum scoltura in spalarolis angelis et figuris
NOTE E DOCUMENTI SANTAMBROSIANI 93
in ipsa lista designatis et annunciata beatae Mariae Virginis in te-
stali magno superiori, et in testali parvo inferiori ponatur figura unius
sancti ad libitum prefati d. praepositi et ita in aliis testalibus magnis
principalibus per singulum testale ponantur duae figurae, in testalibus
parvis inferioribus principalibus ponatur una figura ad libitum ut su-
pra. Item quod fiant alia stadia et sint forma eorum et scoltura in
spalarolis variando scolturas per singulo stadio in ceto mayneribus
formatis, fiat figura in friso et sit figura alicuius sancti ad libitum ut
supra, et super capite ponatur aliquod disignum alicuius animalis vel
simile, et orla fiant intersiata, dum tamen non intelligatur de osso, et
assides ubi necesse fuerit et poni poterit pingeantur de vario colore,
fiat etiam angelus de super variatus per singula stadia in actu suo di-
verso, et frisum sit relevatum, et assides que sunt intermedia Inter sin-
gula stadia habeant fondum unum, scilicet foramen ubi sit intus aliqua
scoltura animalis vel alterius designi tam in superioribus stadiis quam
in inferioribus; et stadia inferiora sint cum suis orlis relevatis et scoltis,
et fiant prò singula parte cori ecclesia duo lectorili parvi. Item quod
magnitudo praedictorum stadiorum sit prout sunt stadia quae sunt in
ecclesia S. Francisci fratrum minorum, excepto primo stadio quod sit
prò cathedra, quia illud debet esse maius secundum designatam por-
tionem. Item fiat lectorille unum magnum ponendum in medio chori
ecclesiae praedictae cum scholtura tersiae circhum circha coronam de-
super ita quod sit pulchrum et laudabile, Item quod in omnibus si quae
deficerint declarata vel expressa non fuerint, habeatur rellatio ad desi-
gnum demissum penes prefatum d. praepositum ut supra, in quo est de-
signum cathedrae quam unius superioris et inferioris et si ex designo
non appareat habeatur recursus ad corum S. Francisci. Et praedicta
omnia sub pretio librarum novem centum duarum imperialium monetae
Mediolani eis dandarum et solvendarum per dictum d. praepositum pre-
fato nomine, sub terminis infrascriptis, primo Hbras ducentum impe-
rialium hinc ad dies octo proxime futuros, libras centum imperialium-
post mensem a die coepti operis per ipsos tres suprascriptos et li-
bras (?) inde ad duos menses post secundum terminum, et libras centum
ad calendas septembris proxime futuri et libras centum ad festum nati-
vitatis anni 1471 et residuum in fine operis completi, et inteligatur com-
pletum quando fuerit repositum per ipsos magistros in ecclesia ad libitum
prefati d. praepositi, hoc excepto quod de libris centum fiat credentia
per menses tres post finem operis per ipsos magistros prefato d. pre-
posito ; sub poena ducatorum XXV auri et in auro insti valoris, prò
qualibet parte non attendente quae poena non habeat locum si super-
venerit aliquis casus adversus videlicet iustus quod deus advertat, -belli
vel infirmitatis.
Et in fidem praemissorum Henricus de Modoetia notarius et causi-
dicus Mediolani qui habet auctoritatem complendi instrumenta rogata
per dictum nunc quondam Petrum Paulum de Perochis olim Mediolani
notarli ut supra scripsit et etiam subscripsit manu propria.
94 GEROLAMO BI3CARO - NOTE E DOCUMENTI SA.NTAMBROSIANI
Idem Heiaricus prò fide ut supra subscripsit
Item pateat ut supra dictus quondam notarius ut supra rogavit sub
die merchurii XXVIIIJ.» suprascripti mensis octobris ratificationem factam
per prefatum dominum abbatem de suprascripto instrumento pactorum,
et in fidem praemissorum suprascriptus Henrichus de Modoetia habens
auctoritatem ut supra pariter subscripsit.
Idem Henricus prò fide ut supra subscripsit.
i
Un'opera medita di Alessandro Verri
sulla Storia d'Italia
i.
« La mia opera è in mano dell'avvocato Baldassaroni: avuti
« alcuni congressi con lui ritorno a scorrerla e poi la stampo. Sa-
« ranno trenta fogli in quarto di stampa Algarotti e vi vogliono
u due mesi, a me basta di incamminarla. L'auditore Franceschini
« me ne parla con stima, il suo voto mi fa piacere. . ». Così scri-
veva da Livorno Alessandro Verri al fratello Pietro, mentre, re-
duce da Parigi e da Londra, avviavasi a Roma.
Quarant'anni dopo però l'opera giaceva ancora inedita sul ta-
volino dell'autore ed egli apponeva al manoscritto la seguente
postilla:
« Opera di mia gioventù con giudizi arditi, stile bastardo, an-
« sietà di paradossi, troppo scarsa nel racconto, nondimeno com-
ii posta con molta fatica e diligenza dal vigesimo secondo al vi-
« gesimo quinto anno della mia età, avendo veduto in buone
« edizioni della libreria del Questore Lambertenghi ed anche della
« Trivulzi in Milano i testi tutti da me citati. Non si stampi se non
« la correggo in vita. — 3 gennaio 1808 ».
Sotto alla postilla aggiunse ancora più tardi le due parole:
il Non corretta ».
La cortesia dei conti Sormani e della marchesa Faas di Bruno,
eredi della storica famiglia Verri, dischiudendomene l'archivio, mi
ha offerto il modo di far conoscere più di quanto oggi sia noto per
quali vicende rincominciata edizione sia rimasta indefinitamente
sospesa, e in che la storia consista, presentando anche ai nostri
96 EMANUELE GREPPI
lettori la pubblicazione integrale della Prefazione. Malgrado l'ab-
bondanza dei documenti non possiamo però assistere alle fatiche,
alle discussioni, alle compiacenze del periodo nel quale venne com-
posta, perchè i fratelli e gli amici, tutti riuniti in Milano, non si
comunicavano per iscritto i loro sentimenti, ma la corrispondenza
tosto avviatasi dopo la partenza di Alessandro per Parigi, e solo
incompletamente pubblicata dal Casati, ci fa invece conoscere
quanto avvenne dopoché essa, definitivamente compiuta, pareva
destinata alla stampa. Ci risulta dunque che nell'ottobre 1766 l'an-
davano rivedendo il fratello Pietro coU'amico Luigi Lambertenghi,.
che ai tre di novembre il manoscritto, per la via di Genova, era
stato spedito all'editore Aubert di Livorno; ma che, adducendo esso
prima ancor di riceverlo varie scuse per tardarne la stampa, Ales-
sandro ai 18 di novembre scriveva da Parigi : « Vorrei che il nostro
« Aubert non protraesse di troppo. Mi annojo di far lungo tempo
a anticamera al pubblico e forse alla fama qualunque sia per es-
« sere ».
Il 24 di gennaio successivo Pietro lo incoraggiava in questo
suo sogno di gloria scrivendogli : « Aspetto il riscontro da Livorno
« dell'esame fatto della Storia. Ti assicuro che ne sono impaziente,
« perchè ti deve far conoscere per quel che sei e darti una repu-
« tazione non minore di quella di Beccaria ».
In febbraio si sapeva che l'Auditore aveva letto con molto
piacere il manoscritto, lo aveva restituito ad Aubert senza dirgli
di non stamparlo (come facevasi quando un libro era creduto degno
di censura, tanto da non tollerarne la pubblicazione nemmeno sotto
finta data), ma lo aveva invitato a farlo leggere anche all'avvocato
Baldassaroni che stava scorrendolo e lo trovava buonissimo.
Confortato da queste approvazioni l'editore diveniva più pre-
muroso ed in Quaresima accoglieva l'autore ospite festeggiatissimo
nella sua casa di Livorno.
i( La mia opera comincia a stamparsi sotto ai miei auspici;.
« sarà un volume di circa cinquecento facciate in quarto della
« stampa del Gazzettino americano » ; così Alessandro al fratello
il 15 aprile 1767, pochi giorni dopo l'altra lettera, della quale ab-
biamo trascritto un paragrafo al principio di queste notizie.
La buona accoglienza dei toscani e le cure della edizione fe-
cero sostare Alessandro circa un mese fra Pisa e Livorno ; ma anche
a Roma, ove era giunto il 19 maggio, attendeva alla correzione
UN OPERA INEDITA DI ALESSANDRO VERRI, ECC. 97
della stampa, della quale ai 27 giugno scriveva che: « andava
a avanti correttamente e lentamente ».
Senonchè proprio forse in quei giorni, avendo incominciato a
frequentare la società romana, imbattevasi in una donna la cui in-
fluenza doveva interrompere la pacifica pubblicazione della sua
Storia e mutare i destini di tutta la sua vita.
a Oh povero Alessandro! »> (scriveva a Pietro l'ii luglio) « sono
i( innamorato come una bestia e sono in una maledetta contraddi-
ci zione fra l'amicizia e la passione. Io non ho mai trovato al mondo
« donna più seducente e che mi faccia credere meglio di amarmi.
« Oh povero Alessandro, egli è fritto. Non sono più io. Non ho
a mai provato passione così viva, né credevo di averne i semi nel
« cuore ».
E con veemenza ancor maggiore il 15 agosto : « Tu conosci il
a mio cuore, tu sai se egli sia sensibile, tu conosci infine il tuo
« Alessandro. Mio buon amico, mio buon Pietro, io amo come non
« ho mai amato, come non credevo mai che si potesse amare, amo
« con tutta la energia dei cuori che hanno una ragionata e finissima
« sensibilità. Credo che il cuore umano non sia capace di maggiore
a tenerezza od almeno il mio non lo è. Se parlassi a tutt'altri che
it al mio Piero io troverei della dissonanza e della disanalogia nei
a nostri sentimenti, ma parlando con te che conosci i tormenti, la
a veemenza e la divina dolcezza di una funesta e sacra sensibilità,
« io mi abbandono al mio cuore ed alzo il velo degli ultimi suoi
a penetrali. Mio caro, mio buon Pietro! Crederesti tu che mentre
^< che ti scrivo questo giorno quindici agosto alle ore otto e mezzo
4< della notte, mi sia preso uno scoppio di pianto, abbia abbando-
ni nato la penna, sia andato alla finestra per sfogarmi in lagrime
« e che io sia il più tenero, il più debole, il più fortunato degli
« uomini? »
Concludeva mostrando a Pietro come gli sarebbe stato impos-
sibile di lasciar Roma e scongiurandolo di preparar la famiglia ad
un suo soggiorno indefinito fuori della patria, di trovargli il mezzo
di sussistere in Roma, ma di rinunciare a qualsiasi disegno pel suo
avvenire, che contrastasse alla possibilità di rimanere sempre presso
la dama adorata.
Pietro rispose con aff'ettuosa tristezza che intendeva la sua
passione, nulla avrebbe fatto per contrastarla, anzi si sarebbe ade
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXIT, Fase. V. 7
g8 EMANUELE GREPPI
perato per rendergli possibile la permanenza in Roma, ma diceva:
u Io ho provato ieri sera » (nel ricevere la lettera) « la stessa sen-
« sazione che ho avuto l'anno scorso alla tua partenza. Nel tempo
u stesso mi è venuto da Livorno il pacchetto con undici fogli della
<» tua stampa. Pareva che contemporaneamente mi venisse la nuova
« di non doverti più vedere e un documento del valore della mìa
u perdita ».
Egli anzi pensava contemporaneamente al colpo che quella
passione portava alle speranze di una convivenza fraterna e alle
speranze di una fama letteraria che sarebbe stata anch'essa quasi
comune fra loro, poiché aggiungeva: « Una cosa è degna di ri-
« flessione. La tua storia sarebbe bene che venisse pubblicata
« mentre tu sei in Roma? Mi pare che no. Io vi ho scorto dei
« passi scabrosi ».
Alessandro da principio non volle riconoscere tutta la gravità
della osservazione, e al due settembre replicava: « Quanto al pub-
« blicarla che si ha a fare? Le spese sono fatte e la fatica. S'hanno
« da gettare tutte quante e devo io sottoscrivere a questo sacri-
« fizio? Tratti un po' vivi ci sono, ma in fondo ho avuto sempre
u giudizio, posso difendermi e far tacere la calunnia ».
L'otto settembre scriveva ancora: « Ho pensato che sarebbe
u una gran perdita per me il sacrificare un po' di fama e i primi
« anni della mia gioventù ad un timore che non ha fondamento.
« Parlo della Storia. Ti ridico che posso avere qualche piccolo
« colpo di pennello un po' vivo, ma il fondo è ortodosso. Avessi
« anche a fare una guerra di penna d'oca, avessi anche a soffrire
« qualche guajo maggiore che poi si ridurrebbe a poco, non so
" risolvermi a gettare negli abissi della oblivione un'opera che mi
« costò tanto e che ha fatto la più dolce delle occupazioni del fiore
li degli anni miei »•.
Ma il 12 settembre gli era forza mutare avviso: « Ho riflettuto
« che avendo la mia storia tratti un po' vivi, non è da arrischiarsi
Il sotto questo pontificato che ben conosco da vicino... Dorma la
ti Storia sino a nuovo più lambertiniano pontificato. Scrivo ad Au-
« bert perchè non si prosegua e poi penseremo ad un compenso »•
« Aubert » (aggiunge il 3 ottobre) « mi ha risposto ed è sor-
« preso che gli dica di sospendere. Mi rimprovera di aver paura
« di uomini in gonnella, ma sono a casa loro; hanno forza ed
u opinione ".
UN OPERA INEDITA DI ALESSANDRO VERRI, ECC. 99
La sospensione della pubblicazione finì col guastare le relazioni
fra l'editore e l'autore. Questi lamentavasi del ritardo alla restitu-
zione del manoscritto che avvenne infatti soltanto nel maggio suc-
cessivo e delle indiscrezioni per le quali era divenuto quasi pub-
blico il nome del Verri che dovevasi tenere celato; quello della
intromissione poco discreta del padre Majnoni incaricato da Ales-
sandro di sollecitare quanto a lui premeva.
La Storia però non si poteva ancora considerare sepolta per
sempre, poiché andava girando manoscritta fra gli amici, provocan-
done più volte le sollecitazioni perchè fosse tratta dalla oscurità.
Così nel marzo 1708 Pietro scriveva al fratello: « Lloyd mi
u scrive da Genova che il senatore Lomellini gli ha parlato di te
u con molta stima e vorrebbe si pubblicasse la tua Storia che non
ti può aver tempo più favorevole di comparire di questo. Molta
u gloria e quattrocento zecchini sono in tua mano, ma le inquie-
« tudini e le persecuzioni pesano di più senza paragone ».
Più tardi, sul finire del 1770, un celebre editore e letterato
francese insisteva per avere la facoltà di pubblicarne la traduzione
francese. « Non ti ho detto » (così Alessandro il 18 ottobre) « che,
« avendo dato una copia del mio manoscritto all'abate Vauxcelles,
u egli la fece vedere a Parigi a qualche suo amico e fra gli altri
« alla moglie di MJ Suard, uno degli autori della Gazzetta letteraria
u ed essa mi fece interpellare dal padre Jacquier se le volessi
« permettere di tradurla e stamparla, lo ho risposto che mi faceva
i. gran piacere l'offerta, ma che non volevo, amando più la tran-
u quillità che ogni altra cosa ».
Un altro suggerimento era stato precedentemente subito da
lui declinato per considerazioni che tornano a suo grande onore.
Il 9 aprile 1768 Pietro gli aveva scritto: « Aggiungo una riga
« nata da un discorso del nostro Lloyd; egli è entusiasta della tua
« Storia e dice che spenderebbe volontieri del suo per vederla
u stampata, ma suggerisce qualche cosa di meglio; cioè di farla
« trascrivere eccellentemente e presentarla all'imperatore venendo
u in Italia. Aggiungere qualche nota, se vi è, interessante i diritti
u dell'Impero, una prefazione, etc. Io so che l'imperatore fa at-
« tualmente travagliare per porre in giorno i diritti imperiali. Io
« te la communico perchè vi pensi e mi risponda, sicuro che nelle
u cose tue io sarò sempre fedele esecutore delle tue disposizioni,
« né mai farò un impegno ultroneo ».
100 EMANUELE GREPPI
Alessandro così rispondeva: « Sono obbligato alla amicizia del
« nostro buon inglese e lusingato del suo suffragio. La mia ricom-
u pensa sono simili voti, ma in generale, quand'anche fossi in tut-
« t'altre circostanze, non mi piace il dedicare il libro. Non voglio
« appoggi: la ragione non è feudataria dell'Impero. Altronde nel
« progresso dell'opera varie cose dispiacerebbero. Gli imperatori
« non vi fanno sempre buona figura. Bisognerebbe spennare le
u ali della immortale fenice, la verità. Le note che mi si propon-
« gono sarebbero da pubbhcista anziché da filosofo. Tu sai cosa
« vagliano i diritti sui principati, di che sostanza siano i trattati e
« quanto siano vaghe tutte queste idee di giustizia. In verità non
« saprei come ragionare con tali principi. Poi bisognerebbe non
« mostrarsi Ghibellino e perciò bisognerebbe fare lo stesso cogli
« altri principi, altrimenti sarei creduto sposare un partito. Final-
« mente chi mi crederebbe imparziale se tanto disputo fra le due
« Potenze, quando dedico l'opera ad una delle due parti? w.
Un'ultima proposta, che non avrebbe presentato gli stessi in-
convenienti, gli veniva tre anni dopo da Vienna. L'amico Luigi
Lambertenghi, uno dei collaboratori alla revisione del manoscritto,
occupava allora una carica importante nel Dipartimento d'Italia, e
d'accordo col suo capo barone de Sperges, al quale aveva fatto
leggere la Storia, insisteva perchè fosse pubblicata in Vienna stessa,
senza alcuna modificazione, ma bensì colla garanzia che non ne
sarebbe derivata all'autore alcuna molestia anche nel soggiorno di
Roma. E Alessandro questa volta, se declina ancora l'offerta, non
lo fa più per timore, ma perchè dice di non essere più soddisfatto
dell'opera sua. « Molte cose », egli scrive il 2 novembre 1771,
« avrei da mutare, moltissime non mi piacciono più, ma mi atter-
« risce il lungo travaglio. Nella mia maniera di lavorare non la
u finisco mai e vedo che mi domanderebbe degli anni una simile
« rifusione. Bisogna leggere assai e scrivere poco ».
Quattro anni di soggiorno in Roma avevano mutato il brioso
e satirico discepolo degli enciclopedisti francesi in uno scrittore,
purista per la lingua e per lo stile, aborrente da ogni storica im-
provvisazione, anzi scrupoloso censore di ogni inesattezza e per
di più politicamente devoto alle tradizioni della Curia romana, co-
sicché si può dire già in lui formato sull'opera sua quel giudizio
che poi riassunse nella postilla. Le tracce però della sua tendenza
a disertare la scuola, alla quale si era ascritto a Milano con tanto
un'opera inedita di ALESSANDRO VERRI, ECC. lOI
entusiasmo, sì scoprono prima àncora del suo arrivo in Roma e
ci dimostrano come l'indole sua naturalmente vi inclinasse anche
senza l'influenza dell'ambiente romano.
La prima oscillazione si nota a Livorno, proprio quando egli
era ancora nel maggior fervore per la sua Storia. 11 23 aprile 1767
aveva scritto al fratello: « Professo molte obbligazioni al signor
« avvocato [Baldassaroni] il quale mi va parlando di alcuni sbagli
« con buonissima grazia. Non è del mio parere sul poco conto che
u faccio degli italiani e sull'entusiasmo con cui parlo dei francesi,
« ma non importa, io non lascio la mia robustissima guerra che
u faccio alle nostre mediocrità «.
Senonchè, al primo maggio, mezzo convertito dal Baldassaroni,
continua: « Sto rivedendo la mia Storia, la quale con tua pace
u meritava assaissimo questa riveduta. Ho levato le punte troppo
« acute ad alcuni tratti contro il pedantismo e contro gli italiani
u massimamente nell'ultimo capo. I francesi non mi sarebbero ob-
u bligati di tanto lodarli e gli italiani mi prenderebbero tutti in
« quel servizio. Vedo come si pensa qui in Toscana e se ho da
« procurarmi i voti della Etruria non bisogna sfidare tanto il suo
u amor proprio. In parte anche io aveva torto ".
Pietro ebbe forse sin d'allora l'istinto che la comunione intel-
lettuale col fratello era in pericolo, cosicché rispondeva con una
certa vivacità: « Ho piacere che tu mi tocchi alcuni punti della tua
« Storia, ma temo che non ti si attacchino dei rispetti umani vedendo
« da vicino, come tu fai, i pregiudizi dell'Italia; mi fido della tua
« anima robusta che oserà dire la verità. La guerra ai pedanti è
« quella che si deve fare ora da chiunque ha cuore per i progressi
u delle lettere d'Italia ».
La partenza di Alessandro per Roma troncò la polemica, ma
un'altra sopravvenne nel marzo successivo, la quale mi sembra una
vera lotta di tendenze, efficacemente sostenuta da entrambe le parti.
Alessandro, dopo avere accennato che voleva mutare il prin-
cipio troppo risonante di uno dei suoi capitoli, aggiungeva: « lo
« vorrei una misurata filosofia anche contro gli errori e vorrei che
« la sua forza stesse nella verità e non nell'entusiasmo. Lo stile
« di Hume per questo mi piace assai. Ha detto e provato più lui
« colla sua tranquilla profondità che non tutti insieme i filosofi
« francesi, se ne eccettuiamo Voltaire, tremendo fulmine delle opi-
u nioni. Hume, dubitando sempre delle forze della umana ragione.
102 EMANUELE GREPPI
u accrebbe i di lei diritti e, degradandola in apparenza, la esalta
« in sostanza. Segue passo a passo il vero e leva le penne ad una
« ad una senza scorticare la pelle. La sua modestia incanta e con
« questo vantaggio dispone ad ascoltarlo, ed avendo detto tutto il
« dicibile, non ha fatto strepito come gli altri ed ha fatto più se-
u guaci; ma il tuono fastoso, intollerante, audace di alcuni suoi
« colleghi ha sdegnato infinitamente ".
Pietro per contro rispondeva: « E molto interessante il quesito
« che mi fai nella cara tua del 5. Tu sei assai inglese e non puoi
« soffrire l'entusiasmo dei francesi. Sono anch'io con te. Però con-
ti viene confessare che i gradassi della filosofia hanno fatto forse
« più bene alla società vivente che i filosofi modesti. Vi voleva
« chi riscuotesse la moltitudine con una sorta di arditissimo tuono
« di ispirazione; bisognava dare moltissima importanza alle lettere;
« vi voleva impostura molta e calore per risvegliarci. Beyle, paci-
u fico e modesto, ha fatto alcuni seguaci; gli enciclopedisti hanno
« con molta ciarlataneria posto la filosofia in un aspetto più ve-
ii nerando e luminoso al guardo non tuo, ne mio, ma del pubblico.
« La filosofia in loro mano ha chiamato altamente al suo tribunale
« i sovrani, i ministri, i generali e tutto quanto il volgo ha sempre
« rispettato; alla voce imperiosa di coloro sono corsi i sovrani a
« cercare la loro amicizia, l'opinione loro; e forse alla sola impo-
rt stura si devono i tributi che nella Svezia, nel Brandeburgo,
« nella Lorrena e nella Russia, i monarchi hanno offerto alla fi-
« losofia ».
La discussione, per quanto andasse dilatandosi in teorie ge-
nerali, aveva avuto in questo caso, come lo ebbe in altri, per punto
di partenza e per punto di mira il valore della Storia d'ItaUa e
l'opportunità di pubblicarla; ma gli eccitamenti del fratello, sebbene
molte volte ripetuti, a nulla dovevano valere.
Grande influenza ebbero sull'animo di Alessandro le osserva-
zioni del padre Jacquier che con lui legossi in Roma di strettissima
amicizia. Non sembra che questo padre lo prendesse di fronte per
le sue opinioni contrarie alla autorità temporale della Chiesa, non
sembra anzi nemmeno che di queste opinioni egli molto si offen-
desse, poiché le sue cordiali relazioni cogli enciclopedisti non ce
lo fanno ritenere uomo rigido e scrupoloso, ma deve piuttosto,
analizzando punto per punto ogni passo della Storia, aver convinto
l'autore di molte affermazioni inesatte. Lo stesso Pietro d'altronde
I
UN OPERA INEDITA DI ALESSAN:)RO VERRI, ECC. IO3
quando si pose a studiare la storia di Milano, scriveva al fratello
che aveva notato molti difetti nella narrazione e nell'apprezzamento
dei fatti relativi alla prima lega lombarda.
Per tali ragioni Alessandro andava sempre più dubitando del
valore della sua Storia, sebben in lui rimanesse il vago proposito,
non contradetto nemmeno dalla postilla, di rifondere l'opera in
modo che corrispondesse ai maggiori studi e alle convinzioni del-
l'autore parzialmente mutate. Ma ad allontanarne il pensiero con-
tribuirono le Rivoluzioni d' Italia del Denina, poiché parve ad Ales-
sandro che con questo Ubro la nostra storia si fosse affermata su
ragionevoli basi senza bisogno del suo concorso.
Il fratello tentò inutilmente di combattere tale obbiezione con
una lettera del 9 luglio 1777, ove scrive: « Egli è certo che, se la
« stampa di Livorno continuava, dieci anni sarebbero passati dacché
a sarebbe pubblico il tuo eccellente Saggio sulla Storia e godresti
« la fama corispondente. 11 Denina e il Tiraboschi sarebbero stati
u prevenuti da te; ma le loro fatiche possono rivolgersi in tua uti-
« lità, perchè chi ti distoglie dal ripassare agiatamente il tuo ma-
« noscritto? Mi pare anzi che faresti assai bene a tenerlo sempre
« di vista, e i bei pensieri, le riflessioni politiche, le erudizioni in-
« teressanti che vai radunando di mano in mano le potresti incas-
« sare in quell'opera. Un lavo] o di quella indole dà luogo, in un
« posto o nell'altro, di poter dir tutto opportunamente e il fondo
« della cosa é tanto bello che merita la tua cura ».
Finalmente due bellissime lettere del 1779 rappresentano forse
l'ultimo tentativo di Pietro a difesa di quella Storia da cui il fra-
tello andava sempre più alienandosi. Nella prima, in data 23 otto-
bre, dopo avergli dato conto dei lavori già molto progrediti per la
Storia di Milano, aggiunge: « Vedrai però che in nulla il mio la-
u voro pregiudica alla tua Storia; io lavoro un ritratto e tu hai fatto
« un quadro di molte figure istoriate; il mio pregio sarà la verità
« della somiglianza, in te il merito principale consiste nella somma
« varietà di fisonomie tutte vere, nella abbondanza delle cose col-
« locate nel loro lume, nella industria ingegnosa di dare vaste idee
« con un rapido cenno e nella rapidità colla quale l'occhio trascorre
« su tante interessanti e variate cose. 11 tuo libro é destinato a ri-
» flettere sugli avvenimenti piuttostochè a raccontarli ed é una le-
« zione di filosofia estratta dagli esempii piuttostochè una istru-
« zione storica; il mio ha per principale oggetto di informare il
104
EMANUELE GREPPI
u lettore su quanto ha la nostra storia di interessante e le rifles-
« sioni non sempre le faccio, lasciando, per buoni riguardi, per lo
M più al lettore di ragionare da sé w.
La seconda di queste lettere, in data del 24 novembre, prende
le difese dello stile della Storia d'Italia contro il parere di Ales-
sandro che lo definiva « bastardo, metà Tacito e metà Voltaire ».
« Io non ti contrasterò che lo stile della tua Storia, allora che
« la scrivesti, non era formato ; vi si vedeva la imitazione di Ta-
« cito, vi erano molti francesismi, ma ne quelle punte si potevano
« rintuzzare senza togliere dei tratti non comuni di spirito, ne
« quella difettosa imitazione e disuguaglianza di stile era correg-
u gibile se non colla intiera rifusione. Se quell'opera fosse stata
« scritta per ottenere il vanto di uno stile formato all'età di ven-
« tiquattro anni, quanti ne avevi allora, non era possibile di riu-
« scirvi, ma quante bellezze di sentimenti, di idee, di principii di
«legislazione e di morale, quante giudiziose e nuove combinazioni
« in una storia già tanto dibattuta non troverai tu stesso in quel-
« l'aureo libro di cui nessuno simile ha sinora prodotto l'Italia per
« la nostra storia! Onde, convinto del tuo torto, io ti condanno a non
« dirmi più male della tua Storia, sinché non mi nomini un libro
« italiano su cui con maggior piacere e profitto io possa leggere
« tutte le varie vicende di questo stivale, dandomi una migliore
« idea dei costumi, delle arti, delle scienze e della felicità nei di-
« versi secoli, di quello che tu hai fatto ».
Malgrado questi scongiuri la Storia rimase inedita e l'ultimo
saluto di Pietro trovasi al capo secondo della Storia di Milano,
dove, avvertendo che la storia particolare della città doveva scin-
dersi dalla storia d'Italia, aggiunge: « Questo argomento più vasto
u e generale è stato trattato prima del 1766 da un uomo che nel
« fiore della gioventù ha posposto i piaceri, che le grazie della
u persona e dello spirito potevano cagionargli, ai meno volgari
« piaceri di illuminare i suoi simili e di lasciare una non volgare
« memoria alla posterità. Alcune circostanze hanno consigliato il
« difi"erire di render pubblico quel lavoro di erudizione, di fatica
« e d'ingegno non comune. I lettori un giorno giudicheranno se
« quel compendio della storia d'Italia sia stato annunciato da me
w con parzialità e se fautore che li ha fatti piangere colla Panica,
u li ha fatti fremere colla congiura di Galeazzo Sforza, li ha oc-
« cupati colla placida e sensibile narrazione di Saffo, abbia saputo
un'opera inedita di alessandr) verri, ecc. 105
u dipingere al vivo il carattere dei secoli, lo stato della felicità e
« della coltura degli italiani da Romolo sino a noi »».
Questo Archivio non è sede opportuna per la integrale pub-
blicazione della Storia, ma lo è, parmi, per la riproduzione della
prefazione, la quale, insieme a questi cenni preliminari, e ad un
riassunto dei principali argomenti svolti nei successivi trentasei
capitoli e nella conclusione, varrà intanto a fornire qualche mag-
giore notizia intorno alle attitudini storiche, ai metodi, ai giudizi,
alle aspirazioni di uno scrittore milanese, oggi ancora meritamente
stimato pel suo personale valore e per la comunanza con altri uo-
mini illustri che fecero di Milano uno dei focolari del pensiero
moderno.
IL
Prefazione al Saggio della Storia d'Italia.
Mio scopo è stato scrivendo questo saggio di svellere dalle
mani di pochi eruditi la storia nostra per diffonderla nei nostri
leggitori. Perciò ho temuto di fare un grosso libro ed ho diretto
le mie fatiche a scegliere, a restringere, come altri a compilare ed
ammucchiare.
Non si aspetti il lettore descrizioni di guerre, non discussioni
erudite, non genealogie di principi. Forse è più facile il compilare
queste cose che il leggerle.
Nella storia come nella poesia furono gli uomini più coraggiosi
che in qualunque altro genere di letteratura. Ogni nazione, per
poco colta che sia, ha una vasta biblioteca di cronisti: eppur pochi
sono coloro che li conoscono. Non condanniamo questa ignoranza.
Rare sono le opere di tal genere che si meritarono la pazienza
dei lettori.
^ Quanto a me' non ho misurato il mio stile colla benignità, ma
-'i col piacere dei leggenti ; perciò non la imploro, ma ho cercato di
meritarla.
mm: Che mi offre alla mente quello sterminato mucchio di follie e
^ di atrocità, di vizii e di virtù che formano gli annali del genere
umano? Una confusa ed immensa folla di vicende : chi può tutte
descriverle o chi lo deve? Conviene pur dunque ridurre questa
k
I06 EMANUELE GREPPI
gran materia in poco, e, misurando la brevità della vita e la mol-
tiplicità delle cognizioni, non pretendere che gli uomini consacrino
tutto sé stessi per sapere che fecero i loro antenati; onde è ne-
cessario non ignorare quanto di più utile e degno a sapersi giace
involto nelle infinite memorie che ci sono tramandate. Deplori
l'erudito il saccheggio che noi faremo della storia, sfiorandone il
sommo sugo e lasciando nella oscurità il molto che ci par degno
di rimanervi. Noi cerchiamo di costruire, di far pensare. Ciò che
non ottiene questo fine ci è sembrato inutile.
Non è che la storia non possa scriversi con dettaglio. Non
sono mai bastevolmente copiose quelle degli scrittori contemporanei
e le vaste raccolte. Le prime assicurano ai posteri la conoscenza
dei fatti e, se sono anco scritte con inutile abbondanza, egli è questo
sempre un piccolo male in paragone della irreparabile sterilità.
Quanto poi alle vaste raccolte esse sono grandi magazzini, il di
cui pregio è d'esser tale che ogni sorta di letterati vi ritrovi merce
opportuna ai suoi lavori. La sola possibilità che a qualche cosa
servir possa una notizia basta per inscriverla. Debbono essere ster-
minati depositi della memoria umana.
Ma conviene distinguere questi due generi di storia da quello
di chi intraprende la pittura di molti secoli. Il minuto dettaglio e
la vastità della erudizione sono in tal cosa fuor di luogo. Sono
condannati gli uomini a sempre ignorare la storia se ella ha da
esser sempre copiosissima. Conviene distinguere l'erudito dallo
storico. Quello prepara i materiali ed i colori, questo fabbrica e
dipinge; egli è come il punto d'appoggio fra il comune degli uo-
mini e gli eruditi. Presenta ai leggitori il risultato di studi immensi.
Non farò gli elogi della nostra storia. Essa è la più antica di
Europa, se ne eccettuate la greca. Prima ci presenta una nazione
che aveva resi soggetti ed ammiratori tutti i popoli che ella co-
nobbe, il di cui governo, milizia, leggi, scrittori, eroi sono tuttora
la nostra maravigUa ed istruzione. Roma, che era stata signora
delle genti colla forza, lo divenne colla religione. T£, come il senato
romano dava e toglieva i regni ed i trionfatori, consoli e dittatori,
conducevano cattivi i re al Campidoglio, così i pontefici reggevano
l'Europa colla non meno possente forza della veneranda opinione.
Diedero, tolsero scettri e corone, videro supplici ai loro piedi i re,
viderli vassalli e tributarli, unirono armate colle Crociate, le scon-
fissero cogli interdetti.
UN OPERA INEDITA DI ALESSANDRO VERRI, ECC. IO7
Non sono opere leggiere i compendii. È facile il compilar la
storia con tutto quello che si sa, non mai rinunciando alla propria
vanità in favore dei lettori, ai quali vogliamo imprimere alta idea
di nostra erudizione coll'opprimerli di mille discussioni. Più illu-
minato è l'amor proprio, più utile è l'opera di ridurre in sugo la
vasta e diradata materia storica, di chi cerca sempre di nascondere
la fatica piuttosto che di palesarla, di chi sparge il suo stile di ri-
flessiva, semplice, facile narrazione e presenta in poco l'estratto
di lunghi e faticosi studii. Egli otterrà di essere letto, egli renderà
universali quelle notizie che stanno sepolte in volumi immensi,
ispidi per molta pedanteria. Non vi è altro mezzo di render comune
la storia.
Non mancò chi si lagnasse che tal sorta di opere abbia fatto
perire le grandi. Si incolpa Giustino di aver fatto perire Trogo
Pompeo, ma fortunato quel compendiatore che faccia cadere nel-
l'oblio le opere voluminose! Bisogna che le abbia rese inutili. Non
avrà perduto molto la filosofia riducendo un grosso libro in un
piccolo.
In questo genere di letteratura tutto dipende dalla buona scelta
e dal non sostituire la nostra persona a quella del lettore, ma bensì
porre noi al suo luogo.
A forza di abituazione negli studii si acquista per essi un grado
di stima, si dà loro una importanza che il lettore non conosce. Da
qui ne viene che poco giudiziosamente attribuendo altrui le nostre
passioni crediamo che i lettori debbansi compiacere di alcune mi-
nute discussioni e di alcune notizie, le quali noi amiamo assais-
simo, come in ogni arte avvenir suole che ella sia stimata all'ec-
cesso dai suoi professori. Ciascuno si ferma volontieri e siede
agiatamente a discorrere del proprio mestiere; ciascuno è chiac-
chierone nell'arte sua. Anche lo storico ha questo difetto se non è
cauto ad evitarlo. La difficoltà è grande. Per intraprendere e con-
durre a fine un'opera faticosa vi vuol molta passione e per iscri-
verla non ve ne vuol tanta. Vi sono dei gravi trattatisti sul modo
di fare il caffè e le perrucche; i loro autori non vedevano che per-
rucche e caffè. Ciò può avvenire in ogni altra materia. Io non so
se mi sia riuscito di sfuggire questi difetti, ben so che ho procurato
di farlo. Ho sempre avuto fretta di correre il mio cammino, ho ri-
spettata la impazienza degli uomini, ho cercato di istruire in buona
fede, non mi sono proposto di rendere il mio lettore un profondo
I08 J^MANUELE GREPPI
erudito, ma un uomo colto. Come chi deve fare un lungo viaggio
con un compagno, cui voglia mostrar le vedute, le campagne, i
villaggi laterali al cammino, dimostra in breve ciò che è degno di
attenzione e prosegue la sua strada senza fermarsi sui due piedi
ad ogni momento ed opprimere il suo compagno lettore con lunghe
disquisizioni e con minute osservazioni su tutti gli alberi, le vedute,
i rottami e le capanne, coll'immancabil successo di render lunga
e faticosa la via, annojato, non istrutto, il socio suo.
Mi sono guardato parimenti da un altro difetto che egualmente
nasce da una lunga dimora in un solo genere di studii. Non vi è,
per avventura, nella storia uno stile più sconciamente falso che il
poetico, quando dipingere vogliamo le azioni ed i fatti come se vi
fossimo presenti. L'immaginazione arriva a trasportare l'erudito in
Atene ed in Roma e quasi a sognare di esservi propriamente.
Quindi si descrivono le battaglie con calore da cui sembra che lo
storico stesso vi stia combattendo ; quindi non mancano le esatte
descrizioni delle passioni, i sospiri, il pianto, l'ira, il valore, la
compassione si dipingono su volti da noi più secoli distanti, si
entra con mirabil coraggio nei pensieri dei principi e si annullano
gli invalicabili anni che stanno di mezzo fra lo storico ed i fatti.
Questa è una falsa vivacità di stile.
Essa non disconviene ai contemporanei: ma nei posteri deve
comprendersi una esatta e cauta discussione del vero e trasparir
dee sempre in' loro, per mio avviso, un timido spirito di dubita-
zione che escluda ogni sospetto di romanzesco arbitrio.
Bisogna conciliarsi fede e benevolenza nei leggitori.
Bisogna perciò che essi vedano nello scrittore un amico che,
seco loro favellando, cerca il vero per quelle poche e scabrose vie
che rimangono dopo molti secoli di menzogne. Egli è incredibile
quanto indisponga gli animi, in ogni genere, lo stile magistrale.
Sembra che ci rimproveri ad ogni momento la ignoranza del leg-
gitore, il quale si offende, diventa nemico, ostilmente va in traccia
dei difetti dell'opera, non ne cura le bellezze: l'amor proprio è un
giudice inesorabile.
Bisogna ancora guardarsi nella storia dalla voglia di sistemiz-
zare. Per poco che si abbia di ingegno se ne può in tal guisa abu-
sare. Si scoprono delle relazioni tra fatti e fatti, tutto si vuol ri-
durre ad un fattizio sistema della mente, si alzano dei vasti edifizii
su due dita di terreno, vi sono, per così dire, i suoi Descartes anche
\
un'opera inedita di ALESSANDRO VERRI, ECC. IO9
nella storia, vi sono i microscopisti che vedono colla immaginazione,
e non cogli occhi. Non cadono in questi difetti gli uomini medio-
cri e freddi; i grandi e fervidi ingegni hanno questo felice incon-
veniente, padre di illustri ed ammirabili delirii. Ma, più si conosce
la storia, più comprendonsi le cagioni degli avvenimenti, più la
mente ne abbraccia una gran massa, più ancora ella è cauta nel
formar sistemi. Chi vede pochi fatti, e sceglie quelli che siano con-
formi alle sue idee, può facilmente sistemizzare; chi ha viste più
lontane vede come possano formarsi questi sistemi, ma anche come
distruggersi.
Ben di rado la fortuna delle vicende presenta allo spirito una
costanza di avvenimenti la quale ci conduca ad una general cagione
di molti effetti produttrice. Ad ogni momento il tumultuoso am-
masso dei delirii e delle crudeltà degli uomini tronca il filo allo
storico che aveva cominciato ad entrare in questo labirinto, ed ei
la ritrova per lo più composta di isolati e disgiunti pezzi difficil-
mente costituenti la materia, molto meno una serie di conseguenze
generali. La storia istessa di tutto il globo non porgerebbe che di
rado questa materia; che sarà in quella di un mucchio di persone
abitanti un piccol canto del mondo? Perciò conviene, preferendo il
timido vero agli splendidi errori, limitarsi per lo più a qualche fug-
gitiva riflessione, e, paragonando fra di loro le parti della storia,
vederne piuttosto le varietà che le somiglianze; perchè quelle son
molte e poche queste, in quelle non ci seduce l' imaginazione, ed
in queste ci lusinga il piacere di ridurre molte azioni ad un sol
punto.
Non v'è per avventura che il popolo romano che nella nostra
storia ci presenti un soggetto di concatenate generali riflessioni. È.
una nazione che passò a traverso di infinite vicende ; è una na-
zione grande e strana in tutte le sue cose, di una costante con-
dotta in molte parti, ove ritrovi vasta materia di ragionare, perchè
è una massa di avvenimenti l'uno all'altro appartenenti e parago-
nabili in molti prospetti. Dopo di questi secoli più non ritrovi sì
grande nazione. Sono crudeli e pazzi, poi imbecilli imperatori che
guidano una mandra di uomini: sono barbari che saccheggiano le
ruine di un vasto impero, che lo squarciano, poi se lo dividono.
Quindi sorgono le atroci controversie fra i contraddittorii diritti
dell'impero e del sacerdozio, cui vanno dietro le fazioni dal seno
delle quali rinacque in Italia la libertà; libertà funesta che la di-
no EMANUELE GREPPI
vise in tante piccole e gelose repubbliche, perpetue nemiche e
spente alfine dall'abuso di una licenziosa indipendenza. Successero
a lei i tiranni, finche, vinti anch'essi da maggiori potenze, le sparse |
forze in queste si riunirono e cangiate le trepide opinioni con
principii più conformi alla nascente cultura, le grandi idee sui
terreni diritti del sacerdozio scemaronsi, e, decaduta quella sola
grande potenza che a sé rivolgeva lo sguardo delle genti, divenne
r Italia una provincia obliata in un canto di Europa, finché con
mezzi meno funesti riscosse T ammirazione diventando la madre
delle belle arti, nelle quali, un tempo maestra, ora le é serbato un
posto men glorioso. Tali furono le vicende sue: e s'elleno presen-
tano un sempre istruttivo e variato quadro, non sono però, per la
loro irregolarità e tumulto, il soggetto di un vasto e seguito si-
stema. Egli è ben vero che la stranezza e varietà delle cose es-
sendo materia di molte particolari riflessioni, esse divengono così
importanti come le generali.
Vi è chi brama ritrovare nella storia i puri e succinti fatti,
lasciando ai lettori il merito di ragionarvi. Questo metodo é ottimo,
quando si possano presentare i fatti così strettamente uniti che,
per poco di finezza abbia il lettore, ne può dedurre le conseguenze.
È lo stesso il far riflessioni come il farle necessariamente fare.
Anzi la storica pedanteria consiste in ciò, di far le più triviali ri-
flessioni, quelle che altro non esigono che un mediocre buon senso.
Ma sono ben pochi i casi nei quali si ritrovi questa fortunata com-
binazione. Troppo si stima colui il quale si crede di poter fare su
di una serie di vicende riflessioni così esatte e vere quante ve ne
farà chi si é consacrato ad esaminarle e conoscerle. Egli é più in
istato da paragonare fatti con fatti, di vedere la materia nella sua
estensione; vi ha impiegato lunghi studii, ne ha fatto il soggetto
delle sue meditazioni. Debbono bensì nascere spontaneamente que-
ste riflessioni; né si veda nell'autore la voglia e quasi il mestiere
di riflettere. Ei sia più frequente nel farle che prolisso, più rapido
che discusso, più agiato che faticoso ; riunisca al momento i fatti,
poi li abbandoni e segua il suo viaggio; non mai esaurisca la ma-
teria; indichi e lasci pensare.
Non è esatto quel precetto che le riflessioni debbano essere
fatte per la storia, ma la storia per le riflessioni. Basta che in
esse vi regni uno spirito di filosofia. Se non formeranno una sto-
ria formeranno un buon libro.
UN OPERA INEDITA DI ALESSANDRO VERRI. ECC. Ili
Non bisogna mai essere municipale nella storia, non bisogna
restringere la piccola mente in un palmo di paese. È prodigiosa-
mente modesto chi non brama di aver qualche voto dagli stra-
nieri. Ogni serie di vicende è capace di interessare generalmente
i leggitori, se sia dettata dal condimento di ogni cosa, cioè dallo
spirito di filosofia. 11 filosofo rende importante tutto ciò che passa
fra le sue mani: non v'è cronaca di un villaggio che egli non sa-
pesse render più grande che non quella dei più vasti regni scritta
da raccontatori di battaglie, di leghe e di paci, di matrimonii e
successioni di principi.
Debbo i miei omaggi alla illustre memoria del signor Mura-
tori. Quel gran letterato ha tanto scritto sulle cose nostre che ad
(ogni momento bisogna ricorrere a lui. Egli è dappertutto. Prima
l di lui sapevamo poco della nostra storia; dopo le gloriose sue fa-
tiche non abbiamo da invidiare nessuna nazione. Non mi si op-
ponga di essere il suo compendiatore. Egli comincia da Augusto,
io da Romolo; e spero svanirà tal sospetto anche di quei secoli
dei quali egli scrisse, confrontando questo mio opuscolo colle va-
ste opere sue. I suoi gran lumi mi hanno dato il filo, ma, quando
l'ebbi fra le mani, camminai da me stesso.
11 metodo che scelse quel rispettabile uomo non mi sembra il
migliore, quantunque il più comune: intendo il dividere la storia in
annali. Ella così tutta si sfracella: la catena degli avvenimenti si
frange ad ogni passo. La divisione non è mai arbitraria, molto
meno può essere così regolare nelle vicende umane. Ella nasce dai
fatti stessi, essi determinano i confini del racconto, non già i do-
dici segni del zodiaco.
Da qui ne viene che la storia diventa una gazzetta, e come
l'Ariosto, si troncano a mezzo tutti i racconti. Si lascia Rinaldo per
parlare di Angelica. Questo inconveniente si vede negli annali del
signor Muratori e vi sarà in ogni opera di tal genere. Tal metodo
rende ancora difficile l' intelligenza dei fatti, e reca alla memoria
una confusa serie di avvenimenti che più si sminuzzano, più si
involgono e si confondono.
Ho creduto necessario il citare gli autori, non tanto perchè mi
si credesse, quanto perchè li ho risguardati come una interessante
parte della storia. Importa sapere chi di mano in mano la scrisse.
Questa filologia costa nessuna fatica ed è di molta istruzione. Per-
ciò io non credo da seguirsi il metodo degli antichi, grandi nemici
112 EMANUELE GREPPI
delle citazioni. Forse alcuni le temono perchè danno in mano al
lettore il filo per mettere a prova la fedeltà ed esattezza del rac-
conto; ma bisogna fare in guisa di non avere di questi timori. Non
sono però stato così scrupoloso di citare ad ogni parola. L'ho fatto
quando mi parve necessario.
Chieggo per fine di esser giudicato con quella imparzialità con
cui ho scritto. Non esigo altro sentimento nel lettore che questo:
ho desiderato di scrivere in modo che ei solo mi bastasse.
III.
« Non sono leggieri i compendii.... utile è l'opera di chi cerca
« ridurre in sugo la vasta e diradata materia storica.... di chi
« sparge il suo stile di riflessiva, semplice, facile narrazione e pre-
u senta in poco 1' estratto di lunghi e faticosi studii. Egli otterrà
« di esser letto, egli renderà universali quelle notizie che stanno
« sepolte in volumi immensi, ispidi per molta pedanteria.... Non
« v'è altro mezzo per render comune la storia w.
Questo problema non ha perduto interesse. Anche oggi si vor-
rebbe profittar meglio del grande materiale di erudizione e di cu-
riosità che va accumulandosi per merito di molti studiosi, ma an-
che oggi si è più fortunati nell' opera di produzione di un nuovo
materiale storico e critico che in quella della sua difi"usione fra
un conveniente numero di lettori.
La prefazione espone a questo riguardo precetti interessanti;
ma poiché meglio dei precetti valgono gli esempii, né potendo of-
frire qui l'opera intera, procurerò con qualche estratto e con qualche
commento di indicare in che modo il Verri abbia messi in pratica
i suoi stessi precetti.
lì principale merito letterario della Storia sua consiste dunque a
mio giudizio, nella felice combinazione di una rapida sintesi di
fatti con riflessioni filosofiche e con digressioni aneddotiche giudi-
ziosamente introdotte, le quali, togliendo la consueta aridità dei
compendi, danno molta varietà al racconto e gli imprimono spesso
l'evidenza e la naturalezza di speciali monografie.
L' autore, fedele alla promessa fatta nella prefazione, si con-
sidera davvero come la guida del lettore in un rapido viaggio e
gli mostra un po' saltuariamente quanto gli par degno di atten-
UN OPERA INEDITA DI ALESSANDRO VERRI, ECC. II3
zione senza opprimerlo con minute osservazioni; ma lo invita al-
tresì ad esaminare con cura qualche modesta particolarità, quando
ciò reputi opportuno per illustrare ed imprimere in lui la figura
tipica del paesaggio.
« Il filosofo " ; scrive Alessandro Verri, e par quasi dica del
Taine ; « rende importante tutto ciò che passa per le sue mani ; non
u v' è cronaca di un oscuro villaggio che egli non sappia render
« più grande che non quella dei più vasti regni ».
Così, per esempio, al capo ottavo si indugia alquanto nel con-
siderare certi speciali artifizii della eloquenza romana^ rappresen-
tandoci Cajo Gracco accompagnato nelle concioni da un suonatore
di flauto, che dà il tuono alla sua voce, e mostrandoci in Cicerone
uno scolaro di Roselo il comico più famoso dei tempi suoi.
Così al capo dodicesimo, per renderci evidenti gli eccessi dei
cristiani contro le reliquie del paganesimo, trascrive una legge di
Valentiniano stigmatizzante gli ecclesiastici che, « armati di ferro,
(t deturpano i cadaveri e scordati di Dio portano ai sacri altari le
a mani ancor lorde di ceneri ».
Al dieciassettesimo ci descrive il conclave che elesse Alessan-
dro III e il cardinale Ottaviano che, « perdute le sue speranze,
« corse a strappare la cappa d'indosso al nuovo papa e stava per
« ricoprirsene egli stesso, se un senatore che era presente non
« glie lo avesse impedito. Allora Ottaviano si rivolse furiosamente
u verso di un suo capellano gridando che gli desse la cappa rossa
« che aveva portato, tanto era deciso di voler essere papa. Con
u somma fretta se la pose sulle spalle, e, per il grande affanno
« di vestirsene, non trovando il cappuccio, se la mise al rovescio,
« lo che mosse alle risate. Fu perciò chiamato dai suoi avversari
« papa scelto a rovescio e papa smanta-compagno ».
Al decimonono, ad indicar la ferocia degli odii fra guelfi e
ghibellini, cita un fatto quasi domestico narrato dal Fontano: « Io
« ho udito, essendo fanciullo, raccontare con molte laigrime dalla
u mia avola Leonarda quanto fossero grandi gli odii che certe fa-
« raiglie esercitavano fra di esse. Fu preso un tale della fazione
^ u contraria, fu tagliato a pezzi; gli fu strappato il fegato e fu dai
« capi di quella fazione arrostito nelle bragie e carboni accesi.
« Poi fu tagliato in bocconi minutamente e si distribuì per cola-
« zione ai cognati a tal pasto invitati ».
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. V. 8
114 EMANUELE GREPPI
Al ventesimo secondo trascrive dal commento a Dante di Ben-
venuto da Imola il racconto di quanto capitò al Boccaccio in Mon-
tecassino, per farci conoscere come gli studi fossero nel Trecento
trascurati anche nei conventi più celebri.
Più avanti dedica dieci pagine a piacevoli estratti delle pre-
diche di frate Domenico Gabriele da Barletta, come in precedenza
altre dieci sono riempite da curiose citazioni a spese di Bartolo e
di Accurzio, celebri giureconsulti; e finalmente un intero capitolo
di venti pagine tratta del pubblico atto di fede seguito in Palermo
nel 1724 che descrive colle minuzie di un corrispondente di gior-
nale, ricopiando interi brani della relazione del dottor Antonio
Mongitore consultore del santo uffizio.
A questi innesti egli teneva in modo speciale e li difendeva
con calore contro chi ne contestava la opportunità.
a Non gli piace parimenti » (scrive al fratello a proposito dei
giudizii dell'abate Vauxelles) « il capitolo del Barletta e dice che
« questa è roba buona per M.'' de Saint Foin nei saggi di Parigi,
« ma non per un' opera grave, quasicchè la bizzarria di quelle
ti prediche non fosse una pittura molto viva dei costumi e della
« letteratura di quei tempi ».
Queste macchiette episodiche, ritratte con brio e giudizio, do-
vrebbero risaltare sullo sfondo dei grandi avvenimenti storici; né
il Verri intese sottrarsi a questo suo principale dovere, poiché
infatti la Storia è tutta divisa in capitoli dove si raccontano con
ordine le vicende di ogni epoca in modo da far vedere « tutti i se-
« coli alla medesima distanza, onde i fatti di ciascuno non mi sem-
« brassero o più grandi o più piccoli di quello che essi sono " (i).
Se però la breve narrazione è per misura equamente distri-
buita, non potrei dire altrettanto della evidenza e della abilità del
racconto. Vi sono dei capitoli, anche di semplice narrazione, pro-
prio bellissimi, altri invece monchi e confusi.
La insufficienza della narrazione storica, dal Verri riconosciuta
nella postilla e già da lui anche prima addotta più volte come una
delle ragioni per non consentire la pubblicazione, gli era stata su-
bito fatta notare da parecchi fra i lettori privilegiati del manoscritto.
Di fronte a queste critiche la sua opinione variò fra due estre-
mi. Da principio, affettò di proposito una eccessiva noncuranza dei
(i) Capitolo ultimo, conclusione.
UN OPERA INEDITA DI ALESSANDRO VERRI, ECC. I r5
fatti; più tardi troppo si commosse pei difetti della narrazione; si
giudicò superato dal Denina e dal Tiraboschi, e non accettò il giusto
avvertimento del fratello che gli diceva in vari modi potersi trat-
tare la storia, essendoci dei libri destinati a riflettere sugli avveni-
menti, altri invece a raccontarli.
L'originaria e più completa giustificazione del metodo da lui
seguito trovasi in una lettera del 14 aprile 1770: « lo ho studiato
« talvolta una settimana per scrivere due righe e mi sarebbe stato
u molte altre volte più facile scrivere una facciata che una parola.
u Potevo estendermi, ma non avrei detto in molto quello che ho
u detto in poco ; potevo fare del brodo, ma ho voluto fare della
I; u gelatina, ma pure pochi conoscono quanto costa un compendio,
^ u e per soddisfare il volgare delle persone bisognerebbe stendersi
; « assai e riferire le diverse opinioni sui punti controversi e rifon-
« dere nella narrazione dei fatti tutta 1' erudizione su la quale ci
« siamo appoggiati; ed io so che ho scritto tre volte più di quanto
« ho composto e che se avessi a fare una apologia di quanto
u avanzo, caccierei fuori una parata di non comune erudizione,
« dalla quale si vedrebbe che, per dire una parola, ho esaminato
« e paragonato gli autori, nascondendo la fatica e dando al let-
'< tore solamente il risultato ».
Tuttavia se un compendio critico e polemico non può e non
deve esaurir la materia, bisogna pur riconoscere che anche in un
compendio si poteva far meglio, tanto più che V autore erasi pre-
fisso di scrivere una storia popolare, la quale, insieme a riflessioni
argute e profonde, doveva presentare le notizie in modo chiaro
ed abbastanza completo.
Probabilmente quando egli scriveva la giustificazione sopra ri-
ferita, trovavasi appunto in quel giusto punto di mezzo fra i due
estremi, partendo dal quale avrebbe potuto seguir la strada mi-
gliore; ma la storia era già scritta ed a correggerla la mano si sen-
tiva impotente, perchè narrazione, riflessioni, episodi erano stati
fusi insieme dal calore di una eletta mente giovanile ; cosicché
scomporne il prodotto cogli scrupoli, colla riflessione, colla erudi-
zione successivamente acquistate equivaleva a distruggerlo senza
rimedio.
Ritorniamo dunque un momento con lui ai felici errori di una
vigorosa gioventù, ed udiamone le care esagerazioni:
« La prima spedizione », scrive al capo quarto a proposito
Il6 EMANUELE GREPPI
delle guerre Puniche, « fu in Sicilia, in cui più che le guerre (no-
« josa e funesta monotonia negli annali di tutte le nazioni) im-
u porta r osservare come il console Valerio portasse da Catania
« un orologio solare che fu esposto in Roma pubblicamente.... »
(Intorno a questo fa una diligente discussione).
Più diffusamente al capo ventesimosesto: « Non v'è parte de-
u gli annali umani più difficile da rendersi istruttiva che le batta-
u glie. Squallida ed infruttuosa materia di ragionamento. La storia
« di tutte le nazioni è la stessa in questo argomento. La miseria
u degli uomini l'ha reso così comune che non è più importante. 11
« signor Muratori ha riempito i suoi altronde pregevoli Annali di
« tutte le piccole guerre dei guelfi e ghibellini, tralasciando la storia
« e cclesiastica e facendo un' opera separata di ciò che riguarda i
« costumi, le arti, le lettere, il governo degli italiani. Chi può di-
« pingere senza questi colori? Come sarà storia degli uomini
u quella che non li fa conoscere? Chi la divide in civile, in ec-
« clesiastica, in letteraria, in filosofica, fa uno scheletro di cia-
u scuna ».
Questa suddivisione della storia, che il Verri in massima giu-
stamente condanna, è però parzialmente subita da molti per la
estrema difficoltà di ordinare tante cose in un tutto armonico, e
il Verri stesso non sempre ha saputo vincere tale difficoltà, quan-
tunque vi ci sia provato molto valorosamente.
Finalmente in un periodo notevole del capo ventesimonono
scrive: « Le guerre, gli errori, le fraudi formano la vasta ed igno-
« mimosa porzione delle memorie umane. La necessaria connes-
« sione degli avvenimenti mi trattiene mio malgrado in tale argo-
ii mento ; io lo abbandono quando posso e mi rifugio alla storia
« delle pacifiche arti dell' ingegno, perchè mi consoU. In lei sola
u veggo gli uomini ».
Su per giù tutti i novatori hanno gli stessi pregi e gli stessi
difetti. Si infervorano per il perfezionamento di qualche lato man-
cante dell' arte o della scienza loro, ma nel fervore dimenticano
spesso certe esigenze che, appunto perchè venute prima, sono or-
dinariamente fondamentali.
A rendere poi meno spiccati i periodi storici, quali siamo abi-
tuati ad impararli nelle scuole, contribuisce un' altra particolarità
che non potrei chiamare un difetto, ma una tendenza.
I passaggi da un epoca all' altra, dalla repubblica all' impero
un'opera inedita di ALESSANDRO VERRr, ECC. 117
romano, da questo alla dominazione dei barbari, dalle libertà co-
munali alle signorie, dalla indipendenza d'Italia alla oppressione
straniera, anziché essere, come ordinariamente si usa, fortemente
rilevati, vi sono invece studiatamente attenuati in modo che il pas-
saggio risulti quasi insensibile.
E qui apparisce, sia pure con qualche danno del lettore im-
preparato, il pensatore moderno che attenua l'importanza improv-
visa dei più strepitosi avvenimenti, perchè li considera predisposti
da fatti precedenti.
La teoria della evoluzione, rivelati al Verri dal Vico, spunta
spiccatamente in certi passi.
Così al capo decimosettimo, descritto il promettente risorgi-
mento civile e commerciale dei comuni italiani, egli aggiunge: « Ma
u non era tuttora compiuta la misura di quelle serie, lepide e tristi
« vicissitudini per mezzo delle quali passano tutte le nazioni per
u fare sempre il disastroso e lento viaggio dalla barbarie alla
« coltura ».
Altra volta, trattando della nobiltà, e avvertita la analogia fra
il costume feudale di armar cavalieri, la usanza germanica di pre^
sentare con solennità le armi ai giovani nelle assemblee della na-
zione, e il rito romano di creare gli equites, consegnando loro il
cavallo e l'anello pubblico, conclude: « Le distinzioni sono sem-
« pre in origine conformi alla utilità pubblica ed alle idee che di
« essa ha la nazione. Gli onori sono distribuiti dal bisogno. Così
« quando si credettero uomini utili alla società quelli che in tempi
« di anarchia sapevan le leggi ed avevano più chiare idee di giusti-
« zia, i giureconsulti, si usò di dar loro la toga con certi esterni
« atti di onore. E per lo stesso principio che solennemente si fa-
« ceva un giureconsulto ed un cavaliere. Credo che con questi
« principii si possa trovare 1' origine della nobiltà in tutte le na-
« zioni e qual sia quella conforme ai veri vantaggi di ciascuna ».
In un terzo passo precorre in certo modo la politica dei no-
stri giorni, aliena dalle guerre ambiziose in Europa, ma disposta
ad affrontare per interessi economici guerre più lontane. Ivi : « L'in-
ai dustria non andò esente dalle gelosie. Genova, Pisa, Amalfi, Fi-
ii renze erano in continue dissensioni per escludersi a vicenda dalle
« negoziazioni d'Oriente; ma son ben diverse le guerre della in-
« dustria da quelle della ambizione Lo spirito dei suoi abita-
« tori rivolto, alla industria, la forza delle repubbliche di molto
Il8 EMANUELE GREPPI
u accresciuta con ben corredate marittime flotte e colle dominanti
« ricchezze sembrava dover ricondurre la romana coltura Senza la
u ferocia dei costumi di nazione guerriera. Era in istato l'Italia di
« soffrire degli urti senza minare. 11 gran commercio ha molti
« scampi. Egli ripara presto anche le perdite grandi »». (Cap. XVII),
Altri ragionamenti filosofici del N. intorno alla storia meno si
staccano da concetti anche ai suoi tempi abbastanza diffusi ; egli
espone però con forma sua propria che dimostra pur sempre ori-
ginalità di pensiero.
La migliore delle sue sintesi trovasi al principio del capo ven-
tesimoprimo come spiegazione della degenerazione dei nostri co-
muni in despotiche signorie: « Dal seno delle discordie nasce la
« libertà. Ella s'invecchia, degenera nella anarchia e si incurva nel
« despotismo. Tali furono, tali saranno le vicende delle repubbli-
« che. 11 popolo sente la tirannia e si rifugia nella libertà con moti
u violenti e convulsivi, ma se la libertà non è fondata sulla egua-
« glianza di fortune, i ricchi sanno a poco a poco corroderla, per-
« che nello stato civile più vai l' ingegno che la forza, come al-
« r opposto questa e non quello diede gli imperi nelle primitive
« unioni del genere umano. Le astute ricchezze con lento ed oc-
« culto artificio non perdono occasione, accelerano talvolta l'inchi-
« namento ai disordini per rendersi necessarie, finche il popolo,
« stanco di sé- stesso, chiede in beneficio quel despotismo che
« odiò ».
Cogli stessi principi è condotto il ragionamento sulla storia
romana; ma di questo ha già parlato con la competenza che gli è
propria il professore Attilio De Marchi in uno scritto inserito nel
volume: Dai tempi antichi ai tempi moderni — da Dante a Leo-
pardiy offerto da settanta insigni scrittori per le nozze di Michele
Scherillo e di Teresa Negri, come una specie di plebiscito intellet-
tuale in omaggio allo sposo illustre e alla memoria indimenticabile
del padre della gentile sua sposa.
Nota il De Marchi come la storia del Verri « risenta di quello
« spirito di indipendenza che in quei tempi, auspice la Francia,
« pervadeva tutto e faceva il giudizio individuale forte e audace
« contro ogni tradizione e contro ogni autorità » ; riconosce in lui
una mente acuta che pensa e vuol far pensare, cita parecchi dei
suoi giudizi che reputa felicissimi e arguti, e conchiude : «< Difetti,
« insufficienze, errori, certo vi sono nella Storia romana di questo
un'opera inedita di alessa ni ro verri, ecc. 119
« saggio inedito del Verri, ma vi sono pure notevoli pregi di chia-
« rezza, di sobrietà, di senso critico e di acutezza filosofica, e poi
u quello grande di farsi, leggere con piacere e con utilità anche
« dove si dissente dall'autore. Quando poi si ricordi l'intento suo
« di parlare non agli eruditi, ma ad un più largo pubblico.... si
u pensa a ragione che 1' autore meglio avrebbe provveduto alla
« coltura del paese e forse al nome proprio con questo volume
« di storia romana, dove qua e là pare lampeggino dei bagliori di
« critica nuova, che non colla scenografica rappresentazione degli
« eroi paludati e declamanti al sepolcro de' Sci pioni ».
I sentimenti politici dell'autore già si rivelano in questa prima
parte, ma, riservandoci di osservarli meglio nello sviluppo della
storia moderna, diremo ora soltanto che, analogamente a molti altri
suoi contemporanei, professava in teorica la eccellenza del go-
verno democratico e repubblicano, ma praticamente riteneva « il
« più dolce governo esser quello di un dispotico, illuminato e vir-
ii tuoso principe ». Tutte le sue punte invece riservava contro gli
abusi della aristocrazia e del sacerdozio, tantoché questi precon-
cetti alterano talvolta anche la serenità dello storico.
Più personale è un suo giudizio sulla instabilità della costi-
tuzione romana, che il De Marchi ha ritenuto tanto notevole da
riferirlo per esteso; e nel quale non divide la comune ammira-
zione per la sapienza delle leggi romane. Infatti pur riconoscendo
che i< per intrinseca loro natura i liberi stati non giacciono in
« quella tranquillità in cui dormono i regni despotici, non poten-
" dovi essere letargo dove è libertà » ; continua dicendo che non
perciò poteva indursi a credere fosse salutare a Roma tanto con-
trasto di potenza con potenza. « Non era » (prosegue) « quell'on-
« deggiamento che preserva le acque dalla corruzione, ella era una
« furiosa tempesta in cui tutta naufragò la repubblica ».
Questa ripugnanza ai disordini, alle agitazioni, alle illegalità,
non ostante il prestigio del popolo e della storia romana, ci ri-
vela già il conservatore avversissimo alla rivoluzione francese ;
anche nel giovane baldanzoso, ribelle alla tradizione e un poco an-
che alla autorità, e ci mostra già predisposta la crepa, che, grada-
tamente allargandosi, lo separò poi dal fratello e dalle stesse con-
vinzioni che avevano ispirato questa Storia.
Colla caduta dell'impero comincia propriamente la storia d'Ita-
lia quale oggi l'intendiamo, e qui ci interessa osservare come un
I20 EMANUELE GREPPI
pensatore distinto la considerasse, senza scorgere come termine
ultimo dei suoi destini l'unità nazionale che abbiamo raggiunto.
Non mancava a lui certamente la coscienza di una nazionalità
italiana, il sentimento di appartenervi e un vivo affetto per la pa-
tria; nelle sue lettere e nei suoi scritti appare anzi frequentemente
il dolore di saperla, e in parte anche a ragione, poco stimata dagli
stranieri ; non manca lo studio di sollevarne le sorti né manca in
lui la speranza di un vicino risorgimento.
Anzi le ultime parole di tutta l'opera son queste: « Vi è un
« numeroso partito che si querela e mugge e muove scandali con-
« tro la oltremontana letteratura, ve ne è un altro forse più nume-
« roso, ma non rumoreggiante, che nel silenzio e nella solitudine
« prepara ai posteri piiì tranquilla filosofia Alcune nuove opere
« annunciano già 1' avvento della vicina filosofia, ne hanno fatto
u risuonare le prime sue voci maestose; se gli ululati si alzarono
u contro di esse, caddero anche ben tosto nel discredito. È un fatto
« di molta considerazione ".
Ma se ansiosamente tendeva al risorgimento morale, econo-
mico ed intellettuale della nazione, nulla accenna in lui al risorgi-
mento politico, quale noi l'abbiamo voluto e raggiunto. I brevi passi
che si riferiscono alle condizioni politiche del tempo suo indicano
un certo quietismo, che non è certamente sentimento di soddisfa-
zione, ma che in sé però non racchiude speranza e volontà di so-
stanziali mutamenti.
A un passo che trovasi nella prefazione, aggiungeremo ora in
proposito altri due successivi.
Al capo trentesimosecondo, dove riassume le vicende e le con-
dizioni d'Italia verso la fine del secolo decimosettimo, scrive:
« L'Italia non ci presenta più un grande soggetto di storia. Qual-
« che guerra che, come di rigurgito, la inondava di tempo in tempo
u la toglieva dalla oscurità, poi vi ricadeva. La potenza del seg-
« gio [pontificio] era decaduta, la maggior parte di questa penisola,
« soggetta al dominio spagnuolo, era una dimenticata porzione di
« vasti regni. Gli altri piccoli principi che la dividevano temevano
« le rivoluzioni, non le cercavano. Così era steso sull'Italia non
u so se dica il letargo o la tranquillità. La sola storia faceva ri-
« sovvenire che ella aveva dominato l'Europa prima colle armi
« dei romani, poi colla religione •».
E parimenti nella conclusione: « Tutto il seguito di questa
UN'oPER\ inedita di ALESSANDRO VERRI, ECC. 121
« Storia avrà potuto insegnare che l'Italia non ebbe mai tempi
u più tranquilli. Non è la conquistatrice dei romani, non è 1' og-
u getto delle prede di cento nazioni, non ha tributaria tutta TEu-
« ropa colla venerazione del Seggio, non è squarciata dalle fazioni,
u non divisa fra molti tiranni feudatarii; ella è quasi oscura, non
u rumoreggia di grandi sfortune. Le rimane qualche guerra pas-
« saggiera, quando tutta l'Europa è in armi e poi ritorna la tran-
« quillità. Chi conosce la storia si contenta anche della sola assenza
« dei mali. Chi paragonerà il governo degli attuali principi con
« quello dei trapassati, avrà di che consolarsi ».
La conclusione non può certamente procacciare vanto di pro-
feta al nostro autore, che, non vecchio ancora, doveva assistere
alla più furiosa tempesta di passioni e di guerre, ma, avvicinando
questa conclusione ad un altro passo della storia, la profezia vien
fuori a sua stessa insaputa.
In un passo cioè del capitolo ventesimo, a spiegazione dell'or-
ribile divampare di contese fra guelfi e ghibellini, aveva scritto
questa profonda verità : « L'uomo sociale ha tante passioni che i
« soliti avvenimenti umani non bastano ad esercitarle tutte. Vi vo-
« gliono, per occuparlo, delle rivoluzioni. Le desidera, se ne com-
u piace. Lo spirito di partito è perciò facilissimo a destarsi; è la
u malattia più comune dello spirito umano. In ogni ceto di uomini
u si introduce, nessun teatro ne va esente. Le passioni degli uo-
« mini, condensate nel recinto delle città, si urtano violentemente,
u sembra che non vi possano contenere e che rigurgitino ".
Concordando i due passi se ne deve dedurre che, per quanto
la storia possa ammonirci della convenienza di accontentarci della
semplice assenza dei mali, tuttavia non se ne appaga la natura
umana; onde sorti oscure e tempi eccezionalmente tranquilli prelu-
diano alle rivoluzioni, non bastando i soliti avvenimenti ad eser-
citare tutte le passioni dell'uomo sociale.
E così infatti la grande rivoluzione esplose da una società che
pareva indolente, pacifica e serena.
Ma se con qualche sforzo si può giungere a far del Verri il pro-
feta di prossimi rivolgimenti, nessuna dialettica può mostrarcelo come
un sognatore della unità nazionale. Ho cercato in ogni sua lettera,
in ogni suo scritto quanto anche lontanamente vi potesse alludere,
ed una sola volta ho trovato ne discutesse come di una semplice
ipotesi, ma quell' unica volta conclude per contestarne la coiive-
122 EMANUELK GREPPI
nienza. L'accenno trovasi in una pagina inedita destinata alla terza
parte delle Notti Romane: « Quand'anche », egli scrive, «l'Italia
« fosse tutta impero dello stesso monarca, ella sarebbe sempre
« meno ampia e poderosa della Iberia e della Allemagna e di tanti
« altri paesi più di lei vasti e temuti, dove ora per quella mera-
« vigliosa podestà [del pontificato] sorge regina e riverita e stende
« l'impero suo di pace nelle più remote spiagge della terra ».
Sebbene questa pagina sia stata scritta dal N. un quarto di se-
colo dopo la Storia, quando le sue opinioni eransi modificate, tut-
tavia, per quanto riguarda la missione nazionale del nostro paese,
non dovevano differire molto dalle {'recedenti.
Me ne convince una lettera di Pietro in data 24 giugno 1775,
nella quale, pure approvando le rivendicazioni del potere civile
sul potere ecclesiastico, ammette che soltanto dal papato l'Italia può
aver forza e grandezza. « La pace che gode l'Europa, » egli scrive,
u la buona armonia fra le due antiche rivali, Austria e Francia,
u sono le più fatali combinazioni per Roma, di cui la sussistenza
« e la gloria dovrebbero interessare ogni italiano, perchè sono il
« solo mezzo col quale l'Italia ancora si nomina ed ha qualche in-
« fluenza in Europa. Togli Roma, e siamo considerati poco più dei
« greci, cioè gente ingegnosa, gloriosa un tempo, ma resa avvilita
« e spogliata di ogni gloria. Anche Roma è poi il ricovero di ogni
« italiano che, se per azzardo si trova male nella sua città, può ivi
« ricoverarsi e avere cariche, dignità superiori a quelle che po-
« trebbe sperare dal proprio sovrano ».
In Pietro però abbiamo talvolta qualche lampo dell' avvenire
che non troviamo in Alessandro. In questa stessa lettera, per esem-
pio, discutendo che cosa avrebbe dovuto fare il papa per riformare
la propria autorità allora così compromessa, gli vien fatto di pen-
sare che, rispondendo ai sovrani, dovrebbe insinuar loro: « La
« base dei regni essere l'opinione, la voc^ dovere essere vuota di
« senso se non emana dalla Divinità, la forza delle truppe dipen-
ii dere essa stessa dalla opinione degli uomini che compongono
« l'armata.... ».
In altra del 1782, aggravandosi la rovina della autorità ponti-
ficia e, considerandone un'altra volta gli effetti in relazione della
gloria nazionale italiana, conclude: « Io augurerei bene per il tempo
« avvenire se l'edificio crollasse e se la naturale attività degli ita-
« liani, resa più libera almeno nei suoi pensieri, potesse operare
UN OPERA INEDITA HI ALESSANDRO VERRI, ECC. I23
« per sentimento e non per imitazione, e ciascun uomo fosse lui
<i medesimo. Ma, ripeto, questo è un problema ».
Anche in .questi passi più arditi, non si va però oltre alla li-
bertà di pensiero. La libertà 4)olitica e tanto meno 1' unità nazio-
nale non vi trovano un posto.
Questa disposizione dello spirito, e non diversa poteva essere
quella di Alessandro anche nel tempo in cui divideva le idee più
avanzate del fratello, influisce sulla materia del racconto, tantoché
ci sembra percorrer l'Italia con itinerario diverso da quello che
oggi ci è ordinariamente tracciato. Le cime ci si presentano con
forme diverse, sostiamo in luoghi oggi poco frequentati, lasciando
lontani o traversando di fretta quelli che oggi ci ospitano più lun-
gamente.
Il passaggio del dominio d'Italia dai Goti ai Greci, dai Greci
ai Longobardi, da questi ai Franchi è raccontato fiaccamente e
svogliatamente^ senza sentire che l'uno o l'altro dei popoli barbari,
che avevano fatta del nostro paese la loro unica sede, avrebbero
potuto essere i creatori della nuova Italia. Nelle molteplici elezioni
di re o di imperatori, avvenute dopo la divisione dell'impero di
Carlo Magno non par che l'A. avverta una gran differenza se il regno
rimaneva indipendente, oppure era offerto, come seconda corona,
a un sovrano straniero. Soltanto al tempo di re Arduino egli os-
serva come allora si determinasse una certa reazione degli italiani
contro i tedeschi. Freddo e incompleto è il racconto della prima
Lega lombarda, che presso di noi divenne una epopea nazionale.
Tratta assai poco del dominio dei Visconti e meno ancora della
Casa di Savoja, tantoché Emmanuele Filiberto non é neppure no-
minato, e in genere, curiosissima cosa in uno scrittore milanese,
le vicende del mezzogiorno sono descritte con cura ed esattezza
molto maggiore che non quelle del settentrione.
Delle libertà comunali discorre assai bene in alcune pagine di
considerazioni generali; ma troppo poco, anche per un compendio,
dei fatti storici che vi si riferiscono; nulle quasi le notizie di Ge-
nova, scarse quelle di Venezia, più abbondanti per Firenze perchè
più strettamente legate alla storia di Roma e dei papi; ma la caduta
della sua libertà é commemorata con queste sole parole: « Altro
« non perde Firenze col ricevere dall'imperatore un sovrano che
« i mali delle fazioni ».
Tutta invece la cura dello scrittore è assorbita nel raccontare
124 EMANUELE GREPPI
e satireggiare l'opera del sacerdozio costantemente intesa a pro-
cacciarsi terreni diritti. Tutta la sua erudizione, tutto il suo spirito^
tutta la sua filosofia a ciò sono rivolte, onde la campagna contro
il sacerdozio la comincia tanto alla lentana, che prime sue vittime
ne sono i pitagorici: « Si facevano digiunare i novizii per molto
« tempo, loro si imponeva vestire dimesso e tacere, dormire po-
« chissimo. Tollerare dovevano mille insulti fatti a bella posta per
« avvezzarli al disprezzo, alle vessazioni d'ogni sorta. Era loro co-
« mandato il silenzio di due, tre, sino a cinque anni, nello spazio
« dei quali non dovevano che ascoltare. Qual uomo di buon senso
il avrebbe avuto la docilità veramente inimitabile di fare tal novi-
u ziato da cappuccino o da certosino col pericolo di ritrovare alla
« fine di tanti incommodi qualche impostura? È difficile che abbia
« questa ignorante pazienza un uomo di merito ».
Siccome però sulla strada dei certosini si imbatte anche nei
framassoni, non manca di dar loro, sempre a proposito di Pitagora,
una «stoccata: « La stampa, quel flagello di ogni mistero, e qualche
« spergiuro, ha fatto conoscere a che si riducesse il preteso arcano
« dei franchi-muratori, cui l'oscurità dava tanta importanza. Forse
u altro non mancava che lo stesso mezzo per far vedere che quelle
« sette antiche avevano di comune con questa, nonché il mistero
« ed i simboli, anche la futilità ».
Altre occasioni, durante il racconto della storia romana, gli si
presentano, ed egli non le trascura, per frustare cogli stessi in-
tendimenti i suoi contemporanei ma, per non dilungarci, saltiamo al
primo ingresso del pontefice romano nella sua Storia: « I papi in
" Roma cominciarono a godere di qualche considerazione. Le dame
« principalmente troviamo che avevano un gran rispetto per quella
« dignità. L'imperatore Costanzo, fra i varii vescovi che aveva man-
« dato in esiglio perchè si opponevano all'arianesimo che egli favo-
« riva, fuvvi ancora il pontefice Liberio (sic). Le dame romane tutte
« in corpo pregarono l'imperatore perchè lo richiamasse ». E con-
tinua a mostrarceli come i beniamini delle dame, citando un passa
di Ammiano Marcellino e un altro di S. Gerolamo, che per verità
si riferiscono a certi preti insidiatori, non ai pontefici, ma che,
abilmente collegati col primo, riescono maliziosamente a completare
il quadro.
Pili avanti, sempre per trovare i papi in difetto, prende par-
tito per chi pretende avere papa Innocenzo permesso che dai pa-
I
UN OPERA INEDITA DI ALESSANDRO VERRI, ECC. I25
gani si facessero dei sacrifizi agli Dei per scampar Roma da
Alarico.
Caduto l'impero romano, satireggia Gregorio Magno perchè
usava chiamare i Longobardi: « nefandissima gens », e i loro re:
Vostra Eccellenza. Dovendo correre in questa rassegna, saltiamo
ad Adriano II, che aveva minacciato di scomunicare Carlo il Calvo,
ma aveva finito col raddolcirsi e promettergli l'impero dopo averne
ricevuto un solenne rabbuffo nella risposta che gli diceva: non sa-
pere dove avesse mai trovato che un re di Francia fosse obbligato
di mandare a Roma un reo cpndannato secondo le regole, e che né
lui, né la sua stirpe si erano mai ritenuti luogotenenti dei vescovi.
Nel descrivere le condizioni d'Italia sullo scorcio del primo
millennio enumera i molti modi coi quali monaci e clero giungevano
ad a ccaparrarsi quasi ogni ricchezza e li riassume in una formola
energica. « Gli ecclesiastici avevano reso i peccati un fondo censi-
« bile ", onde viene poi a giustificare i principi, che, non avendo più
bastanti tributi, presero monasteri e abbadie per pagare generali
e ministri, cosicché « con quanta generosità si era donato, con al-
« trettanta rapina si tolse ». Predispone in tal modo il terreno alla
lotta fra Enrico IV e Gregorio VII. In essa tratta con una certa
imparzialità entrambi i campioni, affascinato dalla energia di Gre-
gorio, che u eseguiva i progetti più pericolosi con una precisione
u che li rendeva audacissimi soltanto in apparenza », ma riguar-
doso alla memoria di Enrico che definisce: « sfortunato principe
« le cui sventure sono più certe che le colpe ».
Delle pretese pontificie fa più tardi umoristicamente la satira,
trattando delle singolari deduzioni che si traevano dai libri sacri.
« Il senso allegorico servì molto in tale affare. Gesù Cristo vicino
« alla sua passione dice ai suoi discepoli che bisogna abbiano due
« spade per compiere la profezia: sarà messo nel numero dei per-
« versi. I discepoli gli dicono: ecco due spade. Risponde Gesù: ciò
« basta. Tutti i commentatori interpretano che le due spade erano le
« due potenze, temporale e spirituale, che queste due potenze appar-
ii tengono alla Chiesa, perchè anche codeste spade erano in mano
« dei discepoli, che perciò la Chiesa esercisce la spirituale podestà
« da se stessa e quanto alla temporale ha delegato i principi ad
« eseguirla in suo nome.... ».
Dell'abuso poi della podestà pontificia cita a testimonio S. Ber-
nardcr che a papa Lucio scriveva : « Si sottraggono gli abati dai
126 EMANUELE GUKPPI
« vescovi, i vescovi dagli arcivescovi, gli arcivescovi dai primati.
« Voi mostrate in tal modo che avete pienezza di podestà, ma forse
u a danno della giustizia ».
Un altro santo egli oppone un poco più tardi alle pretese dei
pontefici e cioè S. Luigi re di Francia, che nelle contese fra papa
Gregorio e Federico II scriveva: « Come ardisce il papa deporre
« un sì gran principe senza che sia convinto dei delitti che gii si
u accagionano? Quanto a questi non si deve credere ai suoi nemici,
« fra i quali il primo è il papa ». Aggiunge anzi l'aneddoto di un
curato di Parigi, che avendo avuto l'ordine di pubblicare la sco-
munica contro di Federico, così eseguillo in chiesa: « Ascoltate
u tutti quanti. Mi vien comandato che con le candele accese ed al
u suono delle campane pronunzii solenne sentenza di scomunica
u contro l'imperatore Federico. Io non ne so la cagione, ben so
« che fra lui e il papa vi è grave controversia ed inesorabil odio,
u e so altresì che uno di loro reca ingiuria all'altro, quale dei due
u mi è ignoto. Io pertanto, in quanto si estende la mia autorità,
li scomunico e denuncio come scomunicato quello dei due che reca
« all'altro ingiuria ed assolvo chi la soffre ». Il curato, aggiunge
il Verri, fu regalato dall'imperatore e punito dal papa.
Di scomuniche però si parla troppo, sebbene sempre con
arguzia efficace, ma anche lo spirito conduce a sazietà. Sorvo-
lando dunque su molti altri aneddoti, ricorderò l'osservazione che
ai tempi di Lodovico il Bavaro, sembrando oramai insufficiente
contro ai ghibellini l'arma della scomunica, si volle chiamarli
eretici, e che la frequenza delle scomuniche avendone diminuita la
forza, i laici introdussero il sistema di controscomunicare gli ec-
clesiastici con accendere in tal funzione invece di candele dei fasci
di paglia e dei tizzoni. « Questo abuso •' (osserva) « fu ripreso dal
« concilio di Avignone tenuto dal papa Giovanni XXII. Sembra
« strano che si punisca il disprezzo delle scomuniche, nato dalla
u loro profusione, colla scomunica stessa. Tale pena fu imposta in
« quel canone ».
Il periodo acuto delle lotte fra il sacerdozio e l'impero stava
per finire, e l'autore registra la dissoluzione dei vincoli che l'uno
all'altro avvincevano; ma non cessa per questo di tartassare i papi
che ai tempi di Alessandro VI e di Giulio II dice « cresciuti
« nella potenza, ma diminuiti nella venerazione ».
Della ribellione protestante traccia brevemente e con riserbo
UN OPERA INhDITA DI ALKSSANDRO VERRI, PXC. I27
le orìgini, concludendo così: <• La storia ecclesiastica era dimenti-
« cata. Ne risorse lo studio con tutto il fervore dello spirito di
« controversia. Le parti furono costrette ad istruirsi. Fu questo il
« solo bene che produssero queste grandi rivoluzioni che non
«. spettano al mio istituto ».
Sulla fine dell'opera si parla un po' meno di papi e di scomu-
niche; molto però di supplizi religiosi in Spagna e in Sicilia, finché
si rammenta con soddisfazione l'abolizione della inquisizione de-
cretata a Napoli dal re.
La nota satirica, arma preferita dall'autore nelle discussioni
ecclesiastiche, vibra però ancora qualche volta con una certa effi-
cacia: « La bolla In coena Domini non fu accettata da nessun prin-
« cipe. Altro non produsse che dei tumulti. Se accrescevasi un
« tributo i popoli citavano la bolla In coena Domini e ricusavano
« di pagarlo. Alcuni teologhi e confessori fomentavano queste opi-
« nioni. Altri dicevano essere sospetto di eresia perfino chi mettesse
« in quistione se in alcuna provincia non fosse accettata la bolla.
« Non permettevano soltanto di dubitare del merito suo, ma tam-
« poco della sua accettazione, benché fosse palese il contrario ». E
altrove: « Il papa Clemente [XII] promosse il commercio attivo di
« Roma erigendovi un lotto e scomunicando chi lo giuocasse fuori
« dei suoi stati. Prima di lui Benedetto XIII aveva scomunicato chi
« giuocasse al lotto di Genova ».
Le iodi ai papi sono invece in questa storia assai scarse, si
contano sulle dita di una mano : non mi pare anzi aver trovato che
queste. L'una ai tempi delle lotte cogli imperatori d'Oriente: « La
« pubblica opinione si rivolse ai pontefici. Essi ressero Roma col
« più legittimo di tutti i diritti, il consenso comune ». L'altra in
omaggio a Niccolò V: « Finalmente fu del tutto estinto lo scisma
« coll'avere il pontefice Niccolò ceduto alquanto per vincere. Rara
« politica in tali dissensioni ». La terza, a tutto onore di Grego-
rio XIII e a dileggio dei protestanti: « Gregorio XIII senza sfoggio
« di letteratura e quasi senza strepito si rese immortale colla ri-
« forma del Calendario.... Gli astronomi di Germania protestavano
« contro del Calendario come avean fatto nelle materie di contro-
« versia. Ricusarono le verità di astronomia perchè promulgate da
<« una potenza ecclesiastica che essi non conoscevano per legittima.
« Si unì una Dieta in Augusta. L' elettore di Sassonia vi disse che
« non comportava l'onore dell'impero germanico che si ricevesse
128 EMANUELE GREPPI
u tal riforma. Tutti furono del suo savio parere.... Tacquero poi
« le passioni e si cedette.... La pacifica politica di Gregorio gli
« acquistò molta venerazione. Giovanni Basilovich gran duca di
« Moscovia mandò ambasciatori pregandolo di essergli mediatore
« con Stefano Batory, re di Polonia. Difatti la pace fu conclusa ».
Nel complesso però la storia ecclesiastica non si può dire im-
parziale. E bensì lecito convenire col Verri nella critica che fa di
Bonifacio Vili, e implicitamente anche degli altri pontefici: « avere
« essi avuto idee di grandezza non conformi al pacifico sacerdozio » ;
ma i molti meriti di questa imponente dinastia di re sacerdoti sono
troppo trascurati e non si tien conto delle ragioni che hanno spinto i
pontefici ad entrare in lotta anche violenta coi principi, mentre un
contegno più remissivo avrebbe potuto abbassare la Chiesa d'Occi^
dente al livello di quella d'Oriente; senonchè l'apologia dei pontefici
è fatta invece sin troppo completamente nella terza parte inedita
delle Notti romane, ove l'opera loro è spiegata come logicamente
coordinata tutta ad un altissimo fine. Avvocato dei pontefici è nien-
temeno che Cicerone, il quale in una lunga dissertazione, ragio-
nando sopra quanto si suppone essergli stato raccontato dal Verri,
comincia dicendo:
« Di imperi fatti con la fortuna delle armi sono gli esempi
*i comuni e più frequenti che non comporta la felicità delle genti,
u dove che questo è il solo il quale, nato dal consenso dei sub-
« bietti e dalla paterna benevolenza dei pontefici, sia cresciuto pur
u sempre con volontarie dedizioni, senza strepito d'armi e, for-
u mate con origine celeste, indusse gli uomini al consenso ed
« alla persuasione. Per la qual cosa, mentre la fondazione di tutti
« gli imperii, è storia atroce scritta col sangue e macchiata da de-
« litti, questa, incominciando da umili e pietosi ufficii di benevo-
« lenza, dalla paterna protezione del sacerdozio verso popoli ab-
u bandonati dal principe loro e oppressi dai barbari, crebbe di poi
u a tanta maestà d'imperio divino, che le fronti coronate, ingom-
« brate da un divino terrore, si piegassero ai piedi suoi, tremassero
« i tiranni, i popoli ne scotessero il giogo, e potenti re stringessero
« lo scettro con mano tremante quando usciva da questi colli voce
« tremenda dispositrice degli imperii, al suono della quale altri
« ascendevano sicuri, altri scendevano dal trono.... »,
Segue narrando i fasti più noti del pontificato, dei quali citerò
solo per le considerazioni più acute quanto riflette il suo intervento
un'opera inedita di ALESSANDRO VERR[, ECC. I 29
nel cambiamento di dinastia presso i Franchi: « Mentre presso di
a noi e presso le altre genti tutte narrano le storie che non senza
<i guerre lunghe, pericolosi rivolgimenti di fortuna e vicissitudini
« di sangue o di morte, o si fondarono o si distrussero o trapas-
« sarono i regni, presso voi fu risoluta quest'opera in modo tutto
« pacifico e compiuta con liete cerimonie fra gli applausi del con-
« senso comune ».
Ad atti riprovevoli talora commessi dai pontefici allude spe-
cialmente a proposito del supplizio di Corradino, ma ne scagiona
l'istituzione dicendo: « E se pure in tanta podestà vi furono abusi,
« conviene pure che la discreta mente consideri essere ella stata
« amministrata e confidata ad uomini non esenti dalle infermità
« mortali »; e Cicerone finalmente conclude: « Eppure, siccome in
« tutte le cose discordi e varii sono gli umani giudizii, veggo ora
« taluni, dopoché le furono sommessi, volgere in altrettanto orgo-
« glio le passate loro umiltà, e sembra ascrivano la cagione di
ti tanta sommissione piuttosto alla umiltà dei tempi ed alla infermità
« degli uomini che ad altra cagione, quasi fosse stata sorpresa la
« mente loro ed oscurato il mondo tutto da triste ignoranza, ma
« chi con animo discreto consideri queste vicende vedrà che il più
u delle volte con matura prudenza furono praticati consigli, i quali
u ora sembrano inavveduti, per modo che, qualora si tralasci ogni
« altra considerazione, niuno potrà negare non essere stata al mondo
« podestà cUcuna, la quale abbia superata questa nella prudenza,
il e, certo, considerando i modi maravigliosi coi quali fu stabilita
« e conservata una tale podestà anche nella mente aliena da lei
u desta così alta meraviglia che non è da giudicarsi consueto ef-
« fetto di umana virtù, ma sente in tutto del divino e del celeste,
« siccome cosa, più che terrena, immortale ».
Per quanto le due storie del pontificato, scritte dallo stesso
autore, ma a trent' anni di distanza, si contraddicano, tuttavia
hanno questo in comune che fanno del poter pontificio il centro
della storia d'Italia.
Quando scema la potenza politica dei papi, scema anche di
calore e di interesse la Storia d'Italia del Verri; onde la narra-
zione è più languida, meno confortata da serie o argute conside-
razioni, a misura che essa si avvicina ai tempi nostri. Le imprese
della casa di Savoia, delle quali sarebbe ora riempiuto un com-
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXH, Fase. V. <)
I
130 EMANUELE GREPPI
pendio popolare, non destano che di sfuggita l'attenzione dell'au-
tore, quantunque ne andasse crescendo l'influenza sugli avvenimenti
del nostro paese. Di Emanuele Filiberto, lo abbiam già detto, ei
tace completamente, di Carlo Emanuele si sbriga scrivendo: « Prin-
« cipe di una grande intraprendenza di cui molto bene e molto
.< male dissero gli storici, sempre imparziali w ; nelle ultime pagine
rammenta come per la pace di Aquisgranà: « il r.e di Sardegna
'■< accrebbe, come in tutte le altre guerre, i suoi stati ». Ma, seb-
bene poco prima avesse narrato i torti patiti da altri principi ita-
liani, dall'ultimo Medici, che vedeva farsi e rifarsi il suo testamento,
dall'ultimo Farnese, che vide anch' esso disporre della sua succes-
sione senza essere chiamato a parteciparvi ; non gli passa mai per
la mente di cercar le ragioni per le quali quei principi subivano
dei torti, il re invece all'occorrenza ne infliggeva altrui.
Belli invece, e scritti con amore, sono certi episodi delle vi-
cende italiane, come l'effimero governo di Masaniello, ed altri oggi
più trascurati, come le ribellioni della Corsica e i tristi casi di Mes-
sina abbandonata dai francesi.
Per ultimo, merita di essere riprodotto un periodo che tratta,
con criteri morali molto indulgenti, della influenza dei francesi,
dopoché la guerra di successione di Spagna li ricondusse in Italia:
u I francesi, come avevano fatto ai tempi di Carlo Vili, dirozza-
'i rono i nostri costumi. Ci introdussero il commercio civile, ci
il tolsero alla selvatichezza. Portarono le donne nella società, che
« prima venivano gelosamente custodite da severi e solitarii ma-
« riti. Si dolevano della corruzione dei costumi le gravi persone,
« ma gli orrori delle insidie, le atroci vendette del così detto
« punto di onore, riposto nella fedeltà del conjugio, i tradimenti,
ti i trabocchetti, i sicarii, tutti questi orribili effetti di incolti ed
« insociali costumi non più ci funestarono »-.
La minor vivacità della narrazione storica è compensata pei
tempi più moderni da un crescente interesse per la cultura. Sotto
questo aspetto tutte le discussioni, sino dai primi capi che trattano
della storia romana, sono rivolte a preparar gli argomenti per la
polemica contemporanea.
Il periodo che meglio riassume il pensiero del Verri trovasi
alla fine del capo ventesimonono: « Sembra che i greci ed i ro-
« mani abbiano esaurite quasi tutte le combinazioni del bello nella
« architettura. Molti secoli di esperienza, vaste ed infinite opere
UN OPERA INEDITA DI ALESSANDRO VERRI, ECC. I31
u di ogni genere da essi fabbricate possono aver prodotto questo
" effetto. Bisogna ricorrere sempre a questi grandi modelli. Finora
« chi ha voluto dipartirsene, non vi ha sostituito niente di migliore,
« mi intendo quanto alla architettura presa in generale, non quanto
« a piccole e parziali riforme. Non così è avvenuto in questa Na-
u zione riguardo alle opere di ingegno. Furono pregevoli, ma non
« insuperabili. Farmi dunque che la libertà di invenzione, che si
u va introducendo nella architettura, dovrebbe trasportarsi nelle
« arti di ingegno, e la servitù che tuttora sussiste nelle arti di in-
« gegno trasferirsi alla architettura. Vorrei che fossimo contenti
« di imitare le moli del secolo di Augusto e che avessimo il co-
« raggio di superarne gli scrittori ».
Con queste idee ci spieghiamo il silenzio assoluto del nostro
autore su tutte le grandi costruzioni della età di mezzo, sul no-
stro stesso Duomo, che egli aveva pure sempre dinnanzi agli occhi,
mentre la sua storia doveva essere ed è, sotto altro aspetto, più
che la storia politica, la storia dell' ingegno umano, della musica,
degli spettacoli, della letteratura, delle arti, delle scienze, della le-
gislazione, della filosofia.
Alla musica è dedicata, in modo speciale, una bella digressione
di dieci pagine che trae occasione dalla vita di S. Gregorio Magno
e dal canto da lui detto gregoriano. L'autore sostiene che questo
canto, con poche differenze, riproduce la musica dei romani e « così
« le arie degli inni secolari servirono a cantare quei di Prudenzio ».
Sostiene, malgrado certe ampollose asserzioni di Quintiliano e di Ma-
crobio,che la musica non era giunta a grande perfezione presso i greci
e i romani, « perchè » ; e qui ancora una volta appare lo scrittore
precocemente moderno; « se quella nazione fosse giunta a tal per-
" fezione avrebbe' perfezionato al sommo tutte le arti e la sublime
it scienza del cuore. Le cognizioni si abbracciano. La meccanica vi
« dovrebbe aver fatto maravigliosi progressi per fabbricare per-
« fettissimi strumenti, la scienza della armonia dovrebbe essere
« ridotta ai suoi elementi più semplici, la sensibilità degli uomini
« dovrebbe essere conosciuta intimamente. Quanto erano lontani
« da tal punto i romani! "
E più avanti continua dicendo che quei che scrìssero miracoli
della efficacia della musica riferirono soltanto vecchie tradizioni,
non però del tutto infondate. « Narrano ciò che era stato, non ciò
u che era ai loro tempi. Le passioni dei popoli colti non sono così
I
132 EMANUELE GREPPI
« veementi. La cultura accresce il raziocinio a spese della imma-
« ginazione. I barbari sentono, i colti ragionano. La ferocia di-
« venta valore, l'ira risentimento, l'amore benevolenza. Questo in-
« fievolimento dell'animo è manifesto paragonando in massa i colti
« coi selvaggi popoli. Le arti che accompagnano il ripulimento
u delle nazioni altro non fanno che compensare la perdita delle
u prime robuste sensazioni. Ecco in qual guisa la musica possa
a essere stata di meravigliosa forza presso i popoli barbari, e, per
« quanto si raffini, non produca grande impressione nei più ri-
« puliti ».
La stessa dissertazione si chiude colla testuale citazione di una
disputa fra cantori francesi e cantori italiani, narrata dal monaco
di Angouléme, biografo di Carlo Magno e definita dall' imperatore
a favore degli italiani. « Anche adesso », osserva il Verri, « vi è
« difierenza fra la agilità della voce degli italiani e dei francesi.
" Forse ciò dipende dalla costituzione degli organi e dal clima.
u Da Carlo Magno fino alla Serva Padrona abbiamo coi francesi
« questa disputa ».
Meno originale, quantunque sempre acuto, nel trattar di spet-
tacoli, dice del teatro romano: « Per quanto potesse esser magni-
« fico, a gran fatica mi indurrei a sospettare che nell'arte di fare
« illusione e di porre in moto i sentimenti, pareggiasse 1' odierno
u francese. Un attore tragico montato su due alti coturni, che erano
u come una specie di trampoli, con una sconcia maschera in viso,
« declamante o meglio urlante per essere inteso in un vasto teatro,
u non so come possa eccitare ed esprimere le passioni delicate ".
Celebra, tuttavia il pantomimo Pilade, che « facendo un giorno
« la parte di Ercole furioso, gli spettatori trovarono che ei gestiva
« troppo e cominciarono le fischiate. Levò egli la maschera dal
li viso e disse ad alta voce : pazzi che voi siete, io rappresento un
« più gran pazzo che non siete voi. Questa espressione sola prova
.. che Pilade era un gran maestro; ella è piena di sicurezza di sé
« stesso e di un genio vigoroso »».
Degli spettacoli della età di mezzo si sbriga con noncuranza:
« Ad autori tragici, che non conoscevano i tasti delicati delle pas-
u sioni, la nobiltà dei sentimenti e la storia, non si offriva altro
« soggetto di pianto che quello dei predicatori. Le giostre ed i
« tornei, le corti bandite (feste pubbliche piene di strepito e di
a bagordi che ofìrivano i principi) erano i nostri divertimenti ».
UN OPERA INEDITA DI ALESSANDRO VERRI, ECC. I33
Per le epoche posteriori allude a qualche dramma, più come
opera letteraria che per l'effetto scenico, mentre invece non man-
cano notevoli osservazioni sul teatro a lui contemporaneo. « Il no-
" stro teatro sembrava essere vicino ad una grande riforma per
« le illustri produzioni del signor dottor Goldoni, il primo e l'unico
« grande uomo d'Italia in questo genere.... Egli è il primo che,
« non imitando alcuno, abbia seguito il vasto suo genio. Il mio
« libro è la natura, ei dice in una sua prefazione. Ma non basta
« il grande autore a far risorgere il teatro. Vi vogliono anche i
« grandi attori. Le nostre compagnie sono così lontane dal cono-
ii scere quest'arte, che disprezzano con tutta ingenuità i francesi....
« Se il gran maestro del teatro francese fosse presente alla rappre-
« sentazione delle sue tragedie tradotte in italiano, avrebbe da stu-
« pire. Gli sembrerebbe più la parodia che la rappresentazione delle
« opere sue Quanto alla tragedia né i nostri commedianti sono
« in istato di rappresentarla, né l'Italia la conosce. Non ne abbiamo
" che una la quale possa resistere al teatro. Questa é la celebre
« Merope del marchese Maffei. Sempre mi sono maravigliato che
« quell'autore, dopo tanti applausi, non ne abbia fatte delle altre.
« Chi poi chiama capo d'opera la Sofonisba del Trissino, V Ulisse
« del Lazzarini, la Giocasta del Baruffaldi, non ha che ad esporle
« sul teatro per farne prova. Abbiamo un genere di tragedia to-
« talmente destinato alla musica. I drammi di Apostolo Zeno e del
u signor Metastasio faranno sempre onore all'Italia. Possono essere
u un modello del tragico teatro; ma essendo fatti per la declama-
ti zione musicale, riuscirebbero troppo condensati e veloci nelle
« declamazioni semplicemente vocali.... ».
Quanto alla letteratura, fin dal secolo d'Augusto manifesta un
modo proprio di apprezzarla e di intenderla, dal quale non si sco-
sta anche in tutti i giudizi successivi. « Virgilio, Ovidio, Cicerone,
u Lucrezio sono ornamento di tal secolo e monumenti immortali
« della letteratura. L' incolta poesia di Ennio fu cangiata in una
« dolce armonia di ragione e di parole. Ma non puossi senza par-
« zialità, dove si tratti di pensare, dare il vanto a tal secolo sopra
« il seguente, chiamato, con metafora stranissima, d' argento. Poi-
« che in questo, quantunque aureo, non ritrovi la filosofia di Se-
« neca, la politica di Tacito, la fisica di Plinio. Ebbero le lettere
« nel loro nascimento le istesse vicende che da noi nel secolo de-
ii cimosesto. Fu in quel secolo coltivata la Hngua e la poesia, né
134 EMANUELE GREPPI
« SO se fossimo più sapienti di parole o di idee. Il secolo seguente
a fu quello in cui nacque l'arte di pensare, eppure gli fu po-
<« sposto ».
Fanno riscontro i giudizi esposti a proposito di questi nostri
due secoli. Del primo egli dice; u La cultura si diJBTondeva dap-
u pertutto. Il cardinale Pietro Bembo, segretario di Leone X, e
« Giovanni della Casa erano due bei spiriti che scrivevano ele-
« gantemente in prosa ed in verso. Vi vuole molta parzialità per
« chiamarli grandi uomini. Sono conosciute le loro opere che eb-
u bero tanti imitatori. L'armonioso stile con cui sono scritte ci se-
« dusse. Vi sono cento scrittori italiani che tutti hanno la loro di-
« citura Non si può negare che non ci sia in questi autori uno
« stile contorto e dal quale trasparisce lo sforzo che facevano per
« collocare con sommo studio i vocaboli con faticosa sintassi. Si
« vede la ricerca delle parole più che delle idee, vi è della timi-
u dita nelle espressioni, non vi è niente di libero e di generoso.
« Temevano i difetti, non cercavano le bellezze. Questo non sarà
« mai lo stile dei pensatori. Lo spirito di pedanteria che impres-
« sero nella nostra nazione appena comincia a perdere il suo ti-
n rannico impero 11 Tasso illustrava questo secolo ed impazzì
« per le critiche fatte dai grammatici al suo poema immortale
« L'Ariosto suo contemporaneo dedicava il suo Orlando al cardi-
u naie d'Este ed aveva la nota accoglienza ».
Del seicento invece egli scrive^ « È noto lo stile che chia-
« miamo del seicento. Le sconcie metafore, i coraggiosi traslati
« erano succeduti alla timida esattezza dei cinquecentisti. I qua-
u resimali e le poesie di questi tempi sono la più umiliante por-
li zione della nostra letteratura. Al tempo dei Longobardi eravamo
« ignoranti, in questo secolo eravamo ridicolmente dotti. Pure non
« è che nei nostri sentimenti non si ritrovi, in mezzo di gigante-
« sche metafore, qualche gran lampo. L'ardimento col quale scri-
« vevano li rendeva o ridicoli, o sublimi, giammai mediocri. Se gli
u scrittori del cinquecento furono colti, limati e regolati, quelli del
u seicento avevano difetti e bellezze grandi ».
Alla critica accurata e profonda di questi secoli corrisponde
una noncuranza, che oggi parrebbe inconcepibile, di quanto aveva
creato l'epoca precedente. Il Boccaccio è messo a fascio col Bembo,
il Poliziano è ricordato soltanto per le traduzioni dal greco, e il
Petrarca principalmente perchè ha scritto in latino e perchè più
UN OPERA INEDITA DI ALESSANDRO VERRI, ECC. I35
che imitatore, era plagiario dei provenzali, credendo provarlo col-
l'allegare il sonetto: Pace non trovo e non ho da far guerra, che
egli riteneva in gran parte tradotto dal poeta catalano Mosen Jordi
Ancora più curiosa è la disinvoltura con cui scivola su Dante.
Dissertando sulla formazione della nostra lingua volgare egli scrive:
« Dante Alighieri fiorentino fu uno dei primi che conosciamo scri-
« vesse lingua volgare. Fioriva al principio del secolo decimo-
u quarto ». Altrove, parlando delle nostre atroci guerre intestine:
« Le carceri erano piene di prigionieri e si era introdotto il bar-
« baro costume di farli morire di fame. Così perì il conte Ugolino,
« fatto degno delle lagrime dei posteri dai versi di Dante, il cui
« passo molto noto è uno di quelli che ha resa immortale la su-
« blime e strana sua Commedia ».
Eppure Dante era ben conosciuto dal Verri, che di lui più
volte valevasi come fonte storica, citando per esempio, il canto
ventesimoprimo del Paradiso a proposito dei costumi ecclesiastici,
il ventesimoquarto per gli orologi a ruota, il ventesimoquinto pel
lusso delle vesti.
La sintesi della nostra storia letteraria si integra pel Verri colla
fortuna della nostra lingua, pensando egli che una prematura perfe-
zione e stabilità della lingua sia indizio di pigro sviluppo del pen-
siero. « Trovo altresì una cosa m; scrive al capo ventesimosecondo;
« che consola il grammatico e dispiace al filosofo, e questo è che
<< da Petrarca sino a noi la lingua nostra ha quasi nulla cangiato.
u Questa purità non ci è onorevole. Non succede rivoluzione nelle
« idee di una nazione che non gli sia parallela anche la lingua,
a la quale altro non è che il mezzo con cui le esprime. L' immo-
« bilità delle voci forse prova quella dei pensieri. Non vi è na-
*i zione colta in Europa che abbia la stessa lingua che aveva ai
« tempi del Petrarca. Questa costanza dal secolo decimoquarto in
« qua mi sembra assai sospetta ».
Queste considerazioni però, interpolate in un capo ove si tratta
dei principi della nostra cultura, sono predisposte per preparare
le ultime della conclusione, ove apertamente si giustificano le forme
letterarie della piccola scuola che aveva pubblicato il Caffè: « I fran-
ai cesi » (là in fondo si dice) « sono i nostri maestri e sdegniamo
« di averli.... Bisogna non ricusare la luce da qualunque parte ella
« venga.... Non è possibile formarsi sui libri di una nazione e non
« prendere il loro stile. Se abbiamo da acquistare nuove idee
136 ' EMANUELE GREPPI
u dobbiamo acquistare anche un nuovo mezzo di esprimerle. Non
M scriveremo come il Boccaccio, come il Bembo, come il Casa. Non
« importa. Scriviamo come Montesquieu. Abbiamo dei francesismi,
u ma leggiamo l'enciclopedia.. . Si comincia a riguardare la lingua
« come mezzo e non come fine ».
Delle scienze e delle arti il Verri parla volontieri, sia interpolan-
done il discorso nella narrazione, sia trattandone separatamente;
ma di preferenza va ricercando le origini e i progressi delle arti
comuni, che sino allora erano state interamente trascurate dagli
storici. « Quando poi venisse portato il baco da seta non si sa »,
scrive al capo decimosettimo. « Questa è la sorte delle pacifiche
« arti. Un macello di uomini è sempre celebre. I beni della tran-
« quilla industria, i nomi dei più grandi benefattori della umanità
« sono ricoperti dalle vaste ombre della oblivione. Tutto ciò che
u non fa strepito è dimenticato » ; e, come del baco da seta, si in-
teressa degli orologi, della carta, della bussola, degli occhiali, della
stampa, dei cannocchiali.
Tra le scienze, una ne troviamo così qualificata da lui e della
quale attribuisce la paternità al Machiavelli con queste parole:
u È una ben triste gloria per l'Italia l'avere prodotto il primo au-
u tore consciuto nella storia di un metodico trattato della scienza
« dei tradimenti, delle stilettate e degli assassinii, e di avergliene
u fornito la materia ».
Della scienza del diritto, che era quella da lui professata, tratta
sobriamente, sebbene non dimentichi di illustrare la storia colla le-
gislazione e sebbene in certe argute sue satire dei primi pandet-»
tisti miri a colpire il curialismo del nostro Senato ; ma due passi
ne rivelano specialmente l'ingegno. L'uno allude ad una imminente,
ma non ancora invocata riforma, così concludendo intorno all'opera
legislativa di Giustiniano: « Lo stesso accade oggidì. Abbiamo ven-
« timila volumi di opere legali in foglio. In tutte le nazioni le cose
« meno semplice sono le leggi. In mezzo alla somma coltura vi è
u questa somma barbarie. I filosofi non hanno finora rivolto gli
« sguardi a questa materia m. L'altro può annoverarsi fra quelli
in cui si rivela l'osservatore profondo delle relazioni fra i fenomeni
sociali in modo aff"atto moderno. Egli infatti così giustifica i così
detti giudizi di Dio, accolti come prove giudiziarie: « Questa su-
u perstizione fu così universale che non sembra soltanto da attri-
« buirsi alla imitazione, ma ad un principio ancor più inerente al
un'opera inedita di ALESSANDRO VERRI, ECC. I37
« cuore umano. Le nazioni barbare, che non hanno ancora svilup-
ii paté le più complicate idee di giustizia negli atti umani, che non
« hanno principio e regole per le prove giudiziali da farsi, non
a sapevano istituire un giudizio, dare un grado di giusta probabi-
u lità agli indizii, determinar la forza e le condizioni dei testimonii.
« Tali formole richiedono un codice di leggi ragionato e costante.
« Una nazione barbara non è capace di tanto, o non ha leggi, o
« le ha semplicissime. Nella incertezza dunque del giudizio, nella
« necessità di decidere altro criterio non ritrovavasi che di com-
u metterlo ad un giudice infallibile. 11 duello dovette essere il più
« usitato perchè il primo giudizio che si presenti a popoli che hanno
u sempre le armi in mano. Egli eziandio ha maggiore apparenza
« di giustizia. La condizione di entrambi i contendenti è eguale.
« Tali sono le mie congetture su di ciò ».
Nelle scienze naturali le indicazioni sono abbastanza diligenti,
ma superficiali, finché giunto al secolo decimosettimo e persuaso
che soltanto allora la scienza cominciasse a trovar seriamente la sua
via, il N. lor dedica uno speciale capitolo, notando il contemporaneo
progresso della Germania con Keplero e Copernico e dell'Italia con
Galileo, l'Accademia Cosentina e quella del Cimento, e riassumendo
il pensier suo con queste parole: « Bernardino Telesio gettò fon-
« damenti più universali di quella sola e lungamente trascurata via
« di andare alla natura, la esperienza. Le vaste menti hanno per-
« turbato la fisica con sistemi. I pazienti osservatori con poco stre-
u pito hanno alzato un canto dell'immenso velo che la nasconde »».
Di scienze non tratta per l'epoca successiva quasi a lui con-
temporanea; ma questo silenzio, più che a negligenza, mi pare do-
versi attribuire a un certo presentimento che prossime strepitose
innovazioni toglierebbero ogni interesse ai parziali progressi che
sino allora andavansi conseguendo nel secolo suo. <« L'Italia »,. dice
nella conclusione, « sembra progredire con velocità verso la filosofia w.
E per lui u filosofia » aveva l'originario significato di disciplina uni-
versale della fantasia e della ragione; ma ciò non lo dispensava
di discorrere anche della filosofia nel senso più comune e di com-
mentar brevemente in ogni tempo le opere dei filosofi. Ma questi
pensatori di sistemi tratta ordinariamente colla ironia: « Pietro
« Lombardo, detto il maestro delle sentenze, fu autore di una ri-
« voluzione negli studii teologici.... Il suo libro delle sentenze gettò
« i fondamenti della scolastica teologica.... Sembravano maravigliose
138 EMANUELE GREPPI
u tali opere. Il libro delle sentenze fu messo al pari della Sacra
« Scrittura. Fu commentato da duecento quarantaquattro teologhi
« successivamente. Bisogna che fosse ben oscuro e che ora sia ben
« chiaro. Lo Spirito delle Leggi ha appena qualche nota da un solo
« commentatore ".
« San Tomaso d'Aquino » (prosegue) « seguì le tracce di Pietro
« Lombardo.... Questa nuova teologia consisteva in darle un metodo
a dialettico.... La teologia chiamò in suo soccorso la dialettica ara-
« bica e aristotelica; tutto si volle ridurre ad un metodo logicale
« e spiegare i miracoli e la dottrina colla debole forza della ra-
« gione. Questo divenne un gran mostro.... La filosofia, e la teologia
« si diedero in tal guisa la mano, consorzio pericoloso, che sempre
a ha turbato la letteratura.... ».
Altrove scrive: « Famosa è fra le altre la questione dei no-
« minali e dei reali. Sostenevano i nominali che gli universali si
« formano dopo la esistenza del soggetto, colla mente e col pen-
« siero. I reali dicevano che gli universali esistono nel soggetto
u stesso. Sono sublimi questioni.... Quando i pazzi sono molti di-
« vengono rispettabilissimi.... »».
I filosofi eterodossi sono trattati anche peggio. Pompohaccio e
Cremonino Ferrarese, di lui contemporaneo, ebbero « lo stesso de-
« lirio di essere empii non tanto per irreligione quanto per cre-
« dulità alle opinioni di Aristotile ». Giordano Bruno « è un fre-
« netico che scrive » ; egli e Gerolamo Cardano « si eressero in
« riformatori degli studii per rendere spregevoli così utili sforzi ».
« Tomaso Campanella è da riporsi nel numero di questi uomini
« singolari." Si predicava al profeta ed al Messia.... Sembravano
« ritornati in Italia i tempi dei greci filosofi. Con sedizioni, tumulti,
« entusiasmi, stranezze, delirii, lo spirito umano faceva degli sforzi
« più che dei progressi. Egli era in rivoluzione ».
Ma finalmente, in epoca di poco anteriore alla sua, il V. trova
anche nella filosofia italiana Tuomo di genio. « Abbiamo avuto in
« questo secolo un grande uomo il cui nome non è così celebre quanto
« meriterebbe. Questo è Giambattista Vico, napoletano, autore della
« Scienza nuova. La oscurità, la stranezza dei vocaboli, con cui è
a scritta quest'opera ha respinto i lettori. Egli imprende non meno
« che di far la vita del genere umano, di spiegare come l'uomo si
« unisca in società, come in lui nascessero le idee religiose e mo-
« rali, quali siano i principii della legislazione, per quali gradi prò-
un'opera inedita di alessnndro vkrri, ecc. 139
« grediscano le nazioni alla coltura, per quali ritornino nella bar-
« barie. Libro pieno di vaste e sublimi idee, di ben collocata e
« profonda erudizione. Non so se l'Italia abbia avuto prima di lui
il un così gran pensatore. Non si può dare esatta idea del suo libro;
« bisogna leggerlo. Quel gran filosofo sentiva più che non vedeva
« gli oggetti; aveva delle vaste idee e balbettava nell'esprimerle.
« La sua opera può farne nascere altre mille migliori di lei ».
Questo giudizio pare possa chiudere degnamente la nostra ras-
segna. Le citazioni fatte bastano a rivelarci la mente di Alessandro
Verri, quale si era formata nella sua studiosa gioventù e nel con-
tatto degli amici che avevano creato una scuola gloriosa di pensa-
tori lombardi.
Infatti negli articoli del Caffè, e non nei soli di Alessandro, ma
anche in quelli di Pietro, si trovano tracce delle idee svolte nella
Storia, ma non quante si potrebbe supporre, il che cresce merito
di originalità ad Alessandro, che, a breve distanza, sapeva tra-
sformarle, completarle e volgere a nuovi pensieri la mente. Una
sentenza però, tratta da un suo scritto in quel celebre giornale,
potrebbe porsi come epigrafe alla Storia: « Le verità politiche
« come le fisiche sofi'rono più danno da chi le ha volute genera-
« lizzare e ridurre a sistema, che da chi con idee meno vaste, ma
" più sicure le analizzò nei loro particolari »>. Da questa sentenza
deriva la modernità del suo pensiero, ma deriva anche la mancanza
di una fede robusta che tolse efficacia alla sua azione nella vita e
deriva altresì la incessante auto-critica analitica intorno alla stessa
sua Storia, che gli procurò le prime esitazioni e ne determinò final-
mente l'abbandono.
La sua pubblicazione potrebbe anche oggi essere accolta favo-
revolmente dagli studiosi, più però come documento storico, che come
storia; ma potrebbe specialmente essere molto efficace, come stimolo
ed esempio a dettar libri di storia da leggersi comunemente con pia-
cere e con frutto, cosicché concludendo ne direi quanto il suo autore
disse del Vico: « La sua opera può farne nascere altre migliori
« di lei w.
Emanuele Greppi.
VARIETÀ
Per la storia artistica della chiesa di S. Satiro
in Milano.
(SPIGOLATURE D'ARCHIVIO).
AGENDO recentemente, nell'Archivio nostro di Stato, al-
cune ricerche sui pittori che hanno lavorato nelle chiese
milanesi, ho avuto opportunità di rinvenire alcuni docu-
menti sulla fabbrica e su opere d'arte dell'antica chiesa
di S. Satiro. Benché slegati fra loro penso sia utile ; data la po-
vertà di notizie sicure e documentate su quell'antica chiesa, che
è fra le più belle d'Italia; di renderli noti, quale modesto contri-
buto ad una futura illustrazione del tempio.
Francesco Malaguzzi Valeri. •
• DOCUMENTI
I.
Inventario degli oggetti del rettore della chiesa di San
Satiro del 1476.
I4^6.
Haec est descriptio honorum relictorum per dominum Christophorum
de Grassis rectorem ecclesie Sancti Satani Mediolani et ordinarium ec-
clesie Mediolani facta per dominum Johannem de Imperialibus sub diebus
dominico et lune xxi et xxij Julij Mcccclxxvj.
Imprimis soto il porticho cadrighe tre da Raina
Item credenza una
Item payra ij de trespede
Item tavole nj
VARIETÀ 141
Item marna j
Item mexa r
Item una altra credenza
Item uno schagno rotondo ramato
Item archabancho uno vegio
Item uno altro archabancho cum tovalia una de braza iij vel
cìrcha
Item cribieto uno perferoto (sic) de lottono
Item una altra credenza granda cum certi taglieri et gratirola dua
Item Cavali ij (o caneli ?)
Item Schachera j
Item certa quantitade de legne
Item sidella una
Item in camera ubi dormiebat prefatus dominus presbiter Christophe-
rus in soUario
Item uno capsono in el quale era una bazilleta de lottono cum
certe scripte dentro.
Item capseta una de piumbo cum certe relequie intro
Item una altra capseta de marmoro cum certe relequie intro
Item uno Prospero in carta
Item uno libro confessionario in carta
Item breviario uno pizenino
Item payra ij de candire de ararne.
-Item cestellum unum cum certe bolle dentro.
Item bussere ij cum certe geme dentro.
Item una nostra dona de marmoro
Item ofììtiolo uno
Item ace xxvj de filo
Item una baxleta piena de scripture
Item bussole ij cum certe relequie dentro
Item tella una de linzolo
Item zornia una turchina
Item zupono uno rosso
Item zornia una rossa
Item paniti ij novi cum una barreta rossa
Item una altra capsa unde he certe schatole cum certi ferra-
menti intus et altre cosse.
Item uno altro cassone voio
Item uno altro cassono in el quale he sacheta una rossa cum
certe franze et cerrate dentro
Item sacheta una biancha in la quale he una preda negra faciata
cum uno pario de scharpe da Vescho et parlo uno de calze de sen-
dale rosso.
Item una altra sacheta biancha in la quale he sacheta una in la
quale son certe geme et altre cosse.
Item uno bazile de ararne.
142 VARIETÀ
Item in la camera apresso a la camera donde dormiva tavola una cum
payro uno de trispede de acupresso quam Géorgio da Verano dixe
essere sua.
Item banche ij
Item schragni ij
Item [tre]spedi de ferro da resto
Item tripè j alto de ferro
Item una credenza vegia
Item credexella una
Item cadrega una ramada
Item lettera una cum una fodra et uno piumazo
Item in la lobieta capsono uno vegio cum langi (lamegi?) ij
Item in capsa una super lobieta uno pocho de brochato d'oro
Item una pianeda de fustagno biancho
Item uno camexe biancho
Item una tovalia da altare lavorata da rosso
Item guardanapa una lavorata de cillestro
Item uno vestito mesgio
Item in uno spazachà su la lobieta panere ij
Item uno libro da Raxone el quale dixe Johannepedro da Campo
essere so.
Item in la caneva una coldera et testo uno de arame.
Item payro j de bardene
Item Socarda (?) una.
Item vasie iij da vino, uno de tenuta de br. viiij®; l'altro de
brente viij et l'altro de brente vj
Item uno vassello de axeo pieno de tenuta de br. iiij*
Item vaseli ij pieni de aceto de tenuta de br. 3 vel circha.
Item vassello uno de vino biancho de tenuta de brente ij pieno
Item segiono uno
Item vasseleti iij d'agresto de tenuta de uno stare per zes-
chadunq.
Item armayro uno
Item calestre xij da vino
Item fiaschi ij rutti
Item la giexa in la prima capsa da man sinestra tre prede sacrate
Item paxa una da rechalcho
Item tabernachulo uno
Item capsa una cum uno calice de argento
Item payra ij de corpore
Item camexe uno
Item una pianeta fornita
Item missale uno in carta
Item uno altro payro de Corporale
In la secunda capseta capsa una cum certis reliquiis intus
Item schatula una cum più reliquij dentro
VARIEIA
143
Item capseta una de legno cum più reliquij dentro
Item uno putto de rechalcho
Item una stolla da vescho
Item cortelini ij cum vagini iij fornite de argento
Item coppa una de argento
Item manti xxviij et tovalie v
Item tascha una cum certe scripture dentro
Item uno libro da Luna
In la terza capseta una sacheta cum fiodregete ij da cossini dentro
Item panixeli irj
Item barrete v negre et una rossa et una altra barrete
Item barrete ij grande de bruna
Item camere uno cum certe scripture dentro
Item cavezolo uno de pano de lino br. x vel circha
Item copertorio uno
In la quarta capsa mantello uno de zamboloto cum uno capuzo
Item uno oltro mantello de zamboloto truchino (sic) cum il ca-
puzo de pano truchino
Item uno vestito de zamboloto cilleslro fodrato de pranze
Item uno sellerò
Item uno mantello de zambolloto cillestro foderato de pano
Item banchali iij frusti
Item capuzo uno barretino foderato de sandale
Item in la capsa prima in giexa da man dritta piattello uno grande et
quadreti iij
Item una sacheta cum giape ij de veluto cremexile
Item panixello uno da reno laborato doro
Item manti iiij* laborati doro
Item uno fornimento d'una pianeda laborato doro et molte altre
cosse in la dieta sacheta
Item coverto uno frusto de mezza lana
Item covertura una laborata de aqua forte
In la seconda capsa tovalie iiij° et mantili xnij" et palij xij
Item dalmadege ij et pianea j de bambaxina
Item una altra pianea de sendale
In la terza capsa pagni ij uno rosso e laltro negro mantili ij
Item payro duo
Item pianea una et uno camexe
Item uno messale
Item uno libro da Canto
Item super altare croxe una granda
Item una pezenina
Item uno tabernachulo cum la testa de sancta Barbara dentro
Item in camera scriptarum capsono uno in el quale sono pianeda j* de
cremexille cum le Montagne cum li so fornimenti
Item cotte ij
J
144 VARIETÀ
Item cavezo de tella
Item certe scripture dentro
Item libro uno grando da Canto in carta cum li giovi
Item libri xviij da Canto diversarum manerierum
Item uno altro capsono cum cilastreli vj de eira biancha.
Item uno candire grande de lottono
Item valixa una
Item rexega una
Item schachera una
Item payra ij de speroni
Item sedelino uno rotto
Item una figura de nostra dona de preda
Item una cadrega da Rama
Item cossini nj da giexa
Item pianede ij una lavorada doro e laltra gialda
Item piviale uno de seda biancha.
Item una altra pianeda cum le j^roxe doro
Item una binda
Item payra ij de bolge et una piena de scripture
Item una lectera cum una bancha vegia
Item uno bazil de lottono
Item tre cossini
Item una campana et uno campanino
Item fornimento de una croxe da rechalcho pezi vuij^
Item assa una piena de diverse scripture et libri
Item torgielo uno
Item canuroli ij pieni de scripture
Item stagnino uno de lottono
Item bazira una granda et una pizenina.
Item ole una granda et laltra pezenina
Item forexe uno
Item in la camera unde dormive el prefato d. Christoforo Grasso cam-
panino uno et molte altre scripture.
Item pexa una da duchati... (sic)
Item in capsono uno cotta una
Item una altra cotta
Item barrete iij
Item camixa una dagipto (sie)
Item tovalia una da br. v
Item sugaro uno de braza iij
Item capuzo uno de saya de bruna
Item aze ij de filo
Item in capsono alio croxeta una da rechalcho
Item tabernachulo uno de legno
Item corporali iij
Item pìanea una de veluto cellestro cum uno camexe
VARIETÀ 145
Item una tovalia
Item uno sugaman
Item paniti v
Item mantile uno da altare
Item paniti iij et arete (?) iij
Item mantile uno da altare
Item capzelo uno negro
Item ferro uno longo
Item campanino uno
Item in el schrigno che su la lobia certa quantitade de ferramenti
In la camera suo (sic) uno lecto cum uno lenzolo una tavola cum uno tape.
Ili la credenza eh' è soto el porticho padelle ij una nova et una vegia
rotta padellino uno pizenino cadena j da fogo payro uno de bar-
dene et multe altre ferramenti et in notabele quantitade
Item tenaie viiij da frixura
Item payro uno de marteli
Item uxeli vij da fuxina.
Et que quidem descriptio facta fuit in presentia domini Cristhophori
de Vicecomitibus filij quondam Spectabilis Millitis domini Bartholomei
Vincentij de Gallinis filij quondam domini Jacobi Damiani de Novaria
filij quondam Magistri Johannis Johannis Marci de Medda Anziani Do-
menici de Busso filij Ambrosij omnibus vicinorum et parochianorum
diete Ecclesie Sancti Satari Mediolani
Ego Antonius de Baxilicapetri publi-
cus imperiali auctoritate Curieque
Archiepiscopalis notarius et pre-
fati domini Economi Canzelarius
predictam descriptionem scripsi et
subscripsi.
(Sezione storica, Milano, Culto: Monasteri, ecc., 5. Satiro).
II.
La Cappella di Santa Barbara in S. Satiro.
Illustrissimi Principes. Li fidelissimi servitori vicini di la parochia
de sancto Sattaro di questa Vostra Citate de Milano fano intendere a
la Eccellentia Vostra qualiter in essa Ecclesia è una vostra ducale Ca-
pella fondata sotto il vocabolo di Sancta Barbara et dotata di I3 quale
è Capellano presente Jacobo de la Cruce. Et sicut iam uno mense che
è venuto lo dicto Capellano non gli è unqua celebrato missa ne etiam
in altri mesi circa quatro passati, in admiratione de molti, però che non
Arch. Sior. Lomb., Anno XXXII. Fase. V. io
146 VARIETÀ
gli pare conveniente né comportabile che quello Capellano debia gau-
dere la intrata dotale, et non benefitiarla.
Qua de re fi supplicato humiliter per li dicti vicini che se degnano
le Signorie Vostre provedere a tanto manchamento non comportando
che la dota se golda et non se facia il dovero ih beneficiare la dieta
Capella come se debe, et si è creduto essere di vostra bona intentione.
Fuori: Supplicatio Vicinorum parochie Sancti Sattari Mediolani.
(Sezione storica, Vicende di comuni. Milano, Culto: chiese, mo-
nasteri, S. Satiro, sec. XV).
III.
Una Cappella ducale in S. Satiro.
Illustrissimi Principes. Esendo za per spatio de anni xlj vel circa
che la felice memoria de la Illustrissima Madonna Biancha duchesa de
Milano vostra ava dete una capela construta in la giesia de Sancto
Setero {sic) al vostro fedelissimo servitore et horatore de Dio preto
Jachobo da Croce, qual fu fiolo de una servetrice de Sua S. per spatio
de anni più de vinti, et sempre ha habuto li paramenti de dieta capela
a suo piacemento per potere celebrare mesa et da uno poco tempo in
qua Tè zonto una grandissima devocione a dieta giesia et a dicto ca-
pelano per honore de dieta capela et per che li concorre tuto Milano
volea tenere dicto altare hornato per honoro de V. S. quali sono pa-
troni de dieta capela, s'è asaltato una eerta congregatione et non gè
voleveno lasare tore li dicti paramenti per non volere lassare celebrare
et questa matina el dicto capelano l'è handato per celebrare mesa ala
dieta capella li è stato vedato logava (sic) de dicti paramenti e lui ha roto
una cassa dove beri [sic) drento dicti paramenti. E così lo caseto l'è
roto, quali ho serito a fare hordinare a soy spese e fare lo debito suo
a dieta capela.
Prego la V. S. se degno (sic) scrivere al Vicario de Monsignore
arcivescho che manda per li procuratori de prochiano [sic) de Sancto
Setero e per quella congregatione se li astringa a dare dicti paramenti
al dicto capellano et che al possa dire et fare dire mesa a quilli che
volono celebrare mesa e questo è per honoro de V. S. qualH siti pa-
troni, a le quale continue s'aricomanda.
Fuori: Supplicatio presbiteri Jacobi de la Cruce.
(Sezione storica, Vicende di comuni. Milano, Culto: chiese, mo-
nasteri, S. Satiro, sec. XV).
VARIETÀ 147
IV.
Note d'arte e oGGETTr artistici in S. Satiro.
Za « Santa Barbara » del RoltrafRo (1509). — I^* altare « della Pietà ». —
Porte minori della chiesa. — I^a cappella di Santa Caterina. — I,avoTi
eseguiti da Cristoforo da Birago « lapicida ». — Pagamenti al pittore
' Ambrogio da Possano. - Modello della facciata. (1487). — Figure in
cotto levate dal tiburio.
Da un fascicolo di note di spese e di ricordi dal 1502 al 1550
dell'antica Congregazione di S. Maria di S. Satiro (R. Archivio di
Stato di Milano, Fondo di Religione, Cause Pie, Milano: Santa
Maria presso S. Satiro) tolgo i più notevoli accenni relativi a cose
d'arte :
e. I, v. n. n.: MDII. Notta che a di 27 de octobre de l'ano supra-
scripto fu concluso nel Capitolo et ne la Congregatione del Priore et
scolari de domina santa Maria de Santo Satiro de Milano che se dovesse
fare dipingere per maestro Johanne Antonio Boltraffio dipintore de
Milano suso una tavola una figura de sancta Barbara per essere posta
a lo altare de suprascripta sancta posto ne la suprascripta giesia per
honore de dieta sancta et delo altare: et ala dita conglusione sono pre-
senti li infrascritti come de sotto quali tuti fumo contenti de dita con-
clusione.
In prima Domino Filipo da Raynoldi Priore de dieta scola
Domino Gallo Resta
Domino Gasparo Codega
Domino Maffeo de Valnexia
Domino Antogniotto da Meda
Domino Caldino da Seregnio
Domino Lelio da Valle
Domino Angustino da Brasgo
Domino Leonelo del Conte
Domino Nicolò da Gerenzano.
e. 2, r: Al nome de Dio adì 9 aprili 1507. Noeta che adì suprascripto
s'è ordinato in Congregatione che el se voglia fare le infrascripte cose,
videlicet:
Item fare ornare lo altare de la Pietà.
Item vendere una anchona vegia.
Item fare mettere lo aramo sopra ala volta de la giexa.
Item fare la capela de D. Nicolò de Gerenzano per tore uno
loco per metere lo corpus domini
{Omissis)
148 VARIETÀ
id.: Adì II Zugno
Noeta che adì suprascripto s'è ordinato in Congregatione che el se volia
fare le infra scripte cosse videlicet:
Iteni che el se volia fare una protesta de le finestre et uscie (sic)
che guardano sopra antido seu o Corte (i) de la scola de Madonna
Santa Maria de Sancto Satiro facti a nome de D. Andrea de Arexijo
seu a nome de altre in posto a D. Antonio da Medda e a D. Bernar-
dino da Cornerò et dicto uscio che el sia facto con doue sarradure zoè
■una de dentro et una de fora.
e. 6 V.: Ihesus Maria 1514 adì 29 Genaro. Notta de la ordinatione
facta per li diputati seu scolari de la nostra scolla de Sancta Maria de
Sancto Satiro ha stabelito e ordinato per fare una porta appresso a lo
altare de la Pietà simile a quelo ch'è facto appresso ala porta che va
al malcantono. Dieta ordinaiione è facta da eomissione e consentimento
de li infra seripti videiicet:
D. Bernardo Carpano
D. Gallo Resta
D. Leonardo da Hoxijo
D. Lelio de Val
D. Ambrosio da Vimercato •
D. Bernardino da Corneno
D. Gaspar Codica
D. Antoniotto da Medda
D, Dionisio da Roxa
D. Filipo Rinoldo.
e. 7, r.: 1514. Notta adì 29 Genaro è messo a lo incanto per fare la
porta appresso alo altare de la Pietà per farla similli {sic) a quella ch'è
fata de presente appresso a quela che va al malcantono ne la giexia
de nostra Dona dagando li scolari quelo marmoro bastardo che ha li
dicti scolari.
Adì 29 Ginaro 1514 ha comparso in capitulo Magistro Jo. Antonio
de Hogioni p. h. p. Sancto Mabillo e a havocato la dieta porta dagando
li scolari lo dito marmoro bastardo et non altro cossa alchuna salvo
dagando al dicto magistro Jo. Antonio per la dieta porta L. trexento
sive L. 300 e darghe la fuxina pientata e lo dicto Magistro promette de
comenzare e fornire in termino de mexi 6 et darà sigurtà de tuto quelo
che po' inportare lo precio del tuto de dita porta.
e. II, r. : 1517. Richordo come questo di 14 de Septembre D. Am-
broxio de Vimercato priore, D. Jo. Lucha da Cavenago, D. Marcho Caymo
D. Bernardo Carpano, D. Michele Toxo et Bernardo da Meda hanno
(i) Forse: andito seu corte.
VARIETÀ 149
concluso de mandare in montagna per lo marmoro biancho, rosso et
negro et tra lori sono resolti de andare D. Marcho Caymo et lo fatore
et a lori li hanno data ampia et larga commissione de tore tuto quelo
bisogna.
e. 12, V.: Adì primo de Zenaro 1518.
Item li suprascripti scholari hanno comisso a domino Bernardo
Carpano habia lui cura de li magistri a farli lavorare.
Item die 3 Januarij d. lo priore d. Bernardo da Corneno d. Liono
del Conte et d. Michele toxo et lo magnifico d. Baptista di Negri hanno
ordinato se dacha (sic) a Jo. Angelo Picaprede s. 30 in sino a s. 40
sopra al marmoro ch'è a Como.
e. 14, r.: 1518.... De mandare a Mussio li magistri a tore le prede
de le sepolture et mandare a Milano.
e. 14, V.: 1518. Ricordo chomo questo di 12 de Augusto li infra-
scripti scholari sono congregatti a fare la infrascripta ordinatione D. Ber-
nardo da Meda priore, d. Jo. Lucha da Cavenagho, d. Antognotto de
Meda, domino Ambrosio da Vimercato, d. Lionelo da Oxio, d. Michele
Toxo et domino Bernardino de Corneno
hanno deliberato a maestro Mariotto et a maestro Cristoforo de
Birago pichaprede la porta quale se ha a fare per L. 250 dachando (sic)
ben fatto secondo la porta et medio de l'altra porta fatta et fazendo
de meglio Tanno remisso a d. Ambrosio de Vimercato et tuto quelo
comandarà de sopra più che li scholari soni (sic) a darcheli senza al-
cuna exceptione.
s. n. : 1520. Richordo chomo questo dì melcoldì 29 de febraro Re-
verend.mo (?) d. Roffino vicario (?) de lo Reverendissimo Monsignore
Arcivescovo de Milano ha consecrato (?) la capela de Sancta Catelina
constructa in la giexia de Santo Sataro de Milano et dottata per lo
M.co dottore Jacomo da Elio per L. 250 ogni anno sopra a un livelo
che giaxe
s. n.: 7/2<5 7 Jan.
Item ordinant quod Thesaurarius prefate schole det et solvat libr.
quattuor impr. ad ebdomada Magistro Cristoforo de Birago lapicide
prefate scole eo laborante in fabricare pavimentum sive solum prefate
ecclesie et non aliter. Et hoc ad bonum computum donec finita fuerit
dieta opera.
Da alcune copie moderne raccolte dal defunto archivista P. Cos-
sali, unite ai documenti originali nella citata busta in Sezione sto-
rica. Vicende di comuni, Milano, Culto, chiese, ecc., e che sembran
tratte dagli originali ritirati dalla parrocchia, si rilevano, fra le altre,
queste notazioni che credo utile riportare e che si potranno con-^
I50
VARIETÀ
trollare, quando sia possibile rintracciarle e averne visione, con gli
originali relativi :
In una nota delle spese di fabbrica e degli artisti del sec. XV (riti-
rata dal parroco nel 1858) si legge : 17 Agosto. Conto a M.® Amb.® Pos-
sano d.o Borgognono Pentore L. 50
Nel 1487 si pagavano per opere fatte a Maestro Dominico da Roxa,
ad Antonio da Lomazzo ed a M.o Filippo da Pozo, a M 0 Bartholomeo
legnamaro per braccia VII de asse per fare una tabula del desegno de
la Fazada L. Ili, sol. x.
A Dona da Lona per opere 4 s. . . . (sic)
A Cristoforo Panietti (o Panicelo) per opere 4 ... s. . . .
. A Amb.o de farre (o da Cara) per opere 6 s. . . .
A Ant.o de Dexio per opere III .... s
A M. Beltramino da Moirano per opere 4 s
A Dona de Cux.o (Cusago o Cusano) per opere 4 s
A Jacopo de Pavia per opere 5 s. . . .
A Tognino da Brignano per opere 2 s.
A Filippo da Serra per opere 3 (sic)
A Zohane de Pandino per opere 6
A Angelo da Cirnuscolo piccaprede per opere i
A Ottorino da Busti per opera i
Opera una per fare coprire il tiburìo sopra il coro L. — ?.di VI
Per fare penze {sic) la banderola suxo il tibureto suxo le
capele L. — ss.dì xmj
Per una croce dorata posta suxo il tiburieto suxo le capelete
L. VII ... .
A Gabriel di Suaroli per opere 3
Al pentore per penze il tiburieto sopra le capellete L. X
A Pedro del Monte di Brianza per opere 5.
Nel 1521 a M.ro Pazino di Molli picapreda per parte di pagamento di
43 medoni et piode da sepolture de marmoro 6 L. 3.
A M.ro Mariotto picapreda a li suoy lavoranti L, 19.12
A certi carradori per condotta marmoro negro
1532. 7.0 Giugno. Gli scolari di S. Maria pregano Messer Pagano d'Adda a
Vercelli di far fare un disegno di una ferrata da porsi all'altare di S.ta
Maria, simile a quello esistente in una chiesa di Vercelli.
U32- 30 Luglio. L'ing. Cristoforo Lombardo ingeniero della fabbrica
della Chiesa maggiore, stima il solo di marmoro bianco e negro fatto
in S. Satero da Magistro Cristoforo dicto lo Abraichino.
ISSI' 22 Luglio, Contratto per fare il solo, sotto il tiburio cioè dentro
VARIETÀ
151
da li pilastri, di bianco, negro e giallo con M.o Stefano de Osteno e
ring.re suddetto
jjS^- ^^ Dicembre. [Stima del detto ingegnere].
1693. Si è fatta la balaustrata di marmo lustro avanti l'aitar maggiore
dove vi è la miracolosa Imagine di M. V. sopra disegno dell' Ing.re pje-
trasanta.
772^. Si visita dall' Ing. re Gio. Francesco Malatesta la cupola di S. Maria
presso S. Satiro ed opina che sieno levate le 30 figurine di cotto poste
in giro al cornicione di detta cupola come che male assicurate ed in
buona parte rotte e si levano.
1804. Come chiesa monumentale si proibisce dal governo ogni ristau-
razione senza inteUigenza del governo.
1820-1834. Si ristaurò la cupola e l'aitar maggiore con pitture ed altro.
(Ved. Gazzetta di Milano, 5 marzo e 17 ottobre 1820, nn. 65 e 291; e
1834, 13 novembre, n. 317) e Carteggio.
1834 circa. Disegno di porta principale verso la contrada Falcone del-
l'Arch.o Canonica regalato \sic\
1832. Porta d'ingresso dalla parte della contrada della Lupa, del-
l'Arch.o Vandoni.
1857. Scoperta di pitture a fresco del Borgognone di cui il S. Rocco
venduto alla Pinacoteca di Brera nel 1868.
Sec. XV. Distinta della spesa fatta alla Cappella di S. Satiro per la
somma di ducati 2200 per Bartolomeo della Valle, architetto ducale.
1841. Rotonda bramantesca. Ristauri.
152 VARIETÀ
Le séjour à Milan d'Aulo Giano Parrasio.
E début du XVIe siècle fut, en Italie, l'àge d'or des pro-
fesseurs de rhétorique. Aux grands érudits du XV^ siede,
qui étaient pénétrés de l'esprit de l'antiquité classique,
on vit succèder une generation de pédants pour qui les
auteurs anciens devinrent une mine inépuisable de formules com-
modes, de métaphores, de citations, d'allusions mythologiques, pro-
pres à orner leurs discours: la rhétorique commenda d'y sévir. Il
est vrai que ces pédants étaient aussi des hommes violents et que-
relleurs: on retrouve dans leurs tirades ampoulées l'écho de leurs
haines personnelles, et leurs « praelectiones » sont de véritables
pamphlets contre leurs ennerais littéraires.
C'est le cas pour celles d'Aulo Giano Parrasio. Elles ont été
récemment publiées (i) et fournissent des témoignages fort curieux
sur la violence des polémiques qui mirent alors aux prises les meil-
leurs professeurs des écoles milanaises; sans doute, elles ne nié-
ritent pas tonte confiance, mais nous avons d'autres écrits de ce
temps-là qui les complètent ou les réctifient. En s'aidant des uns et
des autres, on peut écrire un chapitre intéressant de l'histoire des
universités italiennes au commencement du XVI« siècle: c'est ce que
j'ai tàché de faire.
(i) Cf. Francesco Lo Parco, Aulo Giano Parrasio, Studio biografico-critico^
à Vasto, chez L. Anelli, 1899. Les discours et les lettres de Parrasio sont réunis
dans un appendice qui occupe les pages 115-184: j'y ren verrai sans cesse au
cours de ce travail et je dois, de ce fait, beaucoup de reconnaissance à M. Lo
Parco. Cependant il me sera bien permis du lui adresser ici quelques critiques.
En faisant un choix dans les lettres et les discours de son héros, M. Lo Parco
en a parfois laissé de coté qui offraient un réel intérét. Il a totalement ignoré
un manuscrit du Vatican qui contient d'autres discours également inédits. Enfin
il n*a pas toujours su tirer de ses documents tout le parti possible, J'ai jugé
inutile d'indiquer tous les points où je me séparé de lui, mais je puis dire qu'à
la première partie de son livre, je ne dois presque rien, sauf quelques citations
d'ouvrages antérieurs.
VARIETÀ 153
I.
Aulo Giano Parrasio (i), originaire d'une vieille famille de Ca-
labre, était né en 1470 (2) et s'était de bonne heure fait une place
assez honorable dans le monde des humanistes napolitains (3). Mais
il encourut la disgràce du roi Frédéric (4) et il vint se fixer à Rome;
il n'y devait rester que peu de temps. 11 était le client des Savelli
et des Caétani, deux familles dont Alexandre VI était l'ennemi mor-
tel. farrasio faillit étre entraìné dans leur ruine. Heureusement il
était l'ami de Tommaso Inghirami, le savant chanoine du Latran;
Inghirami ou Phaeder, comme on l'appelle plus souvent, aurait in-
tercéde pour lui; mais Parrasio crut plus sage de se mettre hors
de l'atteinte du pape: il gagna la frontière et se rendit à Milan (5).
Il y arriva au début de l'année 1499 (6); tout de suite, il cher-
cha à s'employer comme « pédagogue » et c'est ainsi qu'il fit, pour
son malheur, disait-il plus tard, la connaissance d'Alessandro Mi-
nuziano. Celui-ci était depuis longtemps professeur aux Ecoles pa-
latines (7); mais en outre il dirigeait à la fois une librairie et un
(i) Sur l'ensemble de la vie de Parrasio, 011 pourra consulter, outre Lo Parco
le tra vai l très copieux de Cataldo Jannellt, De vita et scriptis Auli latti Par-
rhasii, Naples, 1854. Nous emprunterons aussi plusieurs renseignements à une
apologie de Parrasio qui fut imprimée en 1505 à la suite de ses commentaires sur
Claudien. Nous en reparlerons par la suite, mais voici toujours la description du
volume en question. Au recto du feuillet de titre : a CI. Claudiani Proser-
« pinae raptus cum lani Parrhasii commentariis ab eo castigatis et auctis acces-
« sione multarum rerum cognitu dignarum. Sequitur Apologia lani contra ob-
« trectatores: per Furium Valium Echinatum eius auditorem ». A la suite de
V Apologie, f . k 7 v°, colophon du 28 aoùt 1505.
(2) Parrasio est toujours qualifié de « Consentinus », mais cela peut signi-
fier seulement qu'il était des eavirons de Cosenza. Sur sa naissance en general,
cf. Lo Parco, o. c, pp. 4-8.
(3) CI ìbid., pp. 1 19-123, le discours par lequel Parrasio ouvrit, à Naples,
son explication publique des Silves de Stace.
(4) ibid., p. 142. Parrasio dit, il est vrai : « odio tyrannidis patria cessi »,
mais nous aurons l'occasion de voir qu'il ne faut pas se laisser prendrc à ses pé-
riphrases d'humaniste.
(5) Lo Parco, o. c, p. 30, note r, et V Apologia, f . C 3 v*.
(6) Cf. ibid., p. 33.
(7) Sur Minuziano, cf. la notice de l'abbé Guillon, dans \q Journal de la Li-
brairie, 1820, pp. 517-320, 551-336, 348-352. Pour le fait en question, voir à la
154 VARIETÀ
pensionnat; le temps depuis lequel il était installé à Milan, le nom-
bre et la nature des ouvrages sortis de ses presses, les relations
enfili que nous lui connaissons, tout laisse croire qu'il avait dans
la ville une situation considérable et que ses affaires marchaient
fort bien. Ce n'était pas qu'il fùt, à proprement parler, philologue:
son Horace ou son Tite-Live, par exemple, ne marquent aucun
progrès sur les éditions précédentes (i). Mais cela lui importait
peu; il visait surtout à fournir de livres ses propres écoliers et
éditait de préférence les auteurs qu'il devait expliquer. Ainsi l'école
faisait marcher la librairie (2).
Bien qu'il fùt d'environ vingt ans plus jeune que Minuzi^no,
Parrasio lui était certainement supérieur par le talent et l'érudition.
C'était irne raison de plus pour que Minuziano cherchàt à se l'at-
tacher. Il le fit entrer chez lui comme « hypodidascalos » ainsi
qu'on disait alors; Parrasio devait le seconder dans ses fonctions
de pédagogue; mais il prétend que tout le soin de l'enseignement
retombait sur lui; en méme temps, il travaillait à l' imprimerle
comme correcteur (3); en échange de ses services, il était logé
et nourri avec les pensionnaires qu'il devait instruire; mais, à l'en
croire, on ne lui donnait que des viandes passées, du pain moisi et
une piquette détestable (4).
Pendant quelques mois, Taccord regna entre les deux hommes;
à deux reprises, Parrasio rendit méme à Minuziano un service assez
p. 332. Ces" écoles palatines n'étaient pas, à proprement parler, une université ;
l'universìté du Milanais était à Pavie ; la fondation des écoles fut l'oeuvre de
Ludovic le More; il en est souvent question dans les épigrammes de Lancinus
Curtius; cf. Lancini Curtii, Epigrammaton libri decem, Milan, 1521, ffs. 30-31
du livre II.
(i) L'Horace est de i486; le Tite-Live est de 1495; en 1505, Minuziano en
donna une réimpression dont il sera parie plus loin.
(2) Cf., dans la notice de Guillon, o c, p. 333, l'avertissement mis par
Minuziano à la fin de son édition du de Oratore.
(3) Il assure qu'il collabora très activement à une édition de Virgile que
Minuziano était en train de préparer ; il aurait rétabli quelques vers altérés de la
Ciris ; et c'est lui qui aurait restitué à Donat la biographie de Virgile ordinaire-
ment attribribuée a Servius. Cf. Lo Parco, o. c, p. 36, note 3, et les Comnien-
tarii de Raptu Proserp., f. a i v°. Dans ses Annales Typographici, Panzer men-
tionne une édition de Virgile parue chez Minuziano en i504:jen'ai pu la ren-
contrer.
(4) Lo Parco, o. c, p. 143 : « Meum fuit illud in te beneficium. . », et
p. 144 : « I nunc et confer illa sapidissima tuceta... ».
VARIETÀ 155
important. Pour pi aire aux Mécènes du temps et les incliner à la
munificence, rien ne valait alors une pièce de vers latins bien tour-
nés. Minuziano le savait, mais hélas! il n'était pas né poète: Par-
rasio dut venir à son secours et lui composer des vers; Minuziano
les presenta comme siens à son protecteur et cela lui valut une
pension de 40 écus d'or (i). D'autre part il était en butte aux cri-
tiques et aux railleries d'un de ses collègues aux écoles palatines,
Emilio Ferrari (2). Celui-ci l'accusait d'avoir « déchiré, gate, bou-
« leversé » Cicéron dans l'édition qu'il avait donnée de ses oeu-
vres; il attaquait Minuziano au cours de ses legons; il l'attaquait
encore dans des épigrammes qu'il faisait afficher sur la grand'place
de Milan. Minuziano se trouvait fort empéché d'y répondre de la
méme manière: Parrasio lui préta le secours de sa Muse et le four-
nit d'épigrammes pour riposter à son adversaire. 11 fit mieux en-
core, il vint au cours de Ferrari pour prendre publiquement la dé-
fense de Minuziano; un duel d'éloquence allait s'engager entre les
deux hommes, mais il semble que les partisans de Ferrari empé-
chèrent Parrasio de parler (3).
La querelle continua; mais maintenant c'était pour son compte
que Parrasio forgeait les épigrammes; il s'y eleva sans effort au
(1) Lo Parco, p 143 : « Quid quod mea opera liberalitatem tui Lysonis prouo-
« casti... ». Il faut noter qu'en un autre endroit (p. 133) Parrasio parie d'Etienne
Poncher comme du « successeur de Lyson ». Or on sait que Poncher rempla9a
comme chancelier du duché de Milan Pierre de Sacierges, évéque de Lugon.
Estce celuici qui est Lyson? M. Léon-G. Pélissier me fait remarquer que pour
les Italiens qui appelaient « Rohano » le cardinal d'Amboise, le nom de Lyson
pourrait fort bien représenter l'évéque de Lucon. Cf. infra la note 2 de la
p. 158.
Je dois faire une remarque generale à propos des témoignages que Parrasio
fournira contre son adversaire. C'est qu'ils sont empruntés à des discours pro-
noncés en public au cours de la querelle, et devant un auditoire où les parti-
sans de Minuziano pouvaient étre nombreux. Parrasio ne pouvait dénaturer les
faits dont il parlait sans s'exposer à étre contredit ; je pense donc qu'en l'espèce
son témoignage peut étre accepté.
(2) C'est ce Ferrari qui, en 1490, donnait à Milan une édition d'Ausone ;
cf. Catal. des livres itnprimés de la Bihlioth. Nat., to. V, col. 613. En dehors de
ce qui va étre raconté, on ne sait que peu de chose sur son compte; Tiraboschi
lui consacre seulement quelques lignes. Cf. tome VI, partie IP, de l'édition de
Modène (1790), p. 789.
(5) Cf. Apologia, f. C I r", et Lo Parco, o. c, p. 144. L'édition de Ci-
céron donnée par Minuziano forme quatre volumes qui parurent en 1498-99 ;
cf. Maittaire, Annales Typographici, tome I, p. 687.
156 VARIETÀ
ton qui était de mise dans le gerire des Invectives. Il vomit contre
ses adversaires les accusations les plus grossières; il se défendit
contre celles dont on voulait l'accabler; on l'avait traité de « mé-
u chant pédagogue » ; il répondit fièrement qu'avant de brandir la
ferule, il avait manie l'épée et que de grands personnages de l'an-
tiquité avaient d'ailleurs fait de méme (i).
Gependant les Frangais avaient reconquis le Milanais et ve-
naient de rentrer à Milan (2); en méme temps Ferrari se décidait
à quitter la ville; dans un discours où il attaquait encore Minu-
ziano, il laissait entendre qu'il partait pour fuir la domination
frangaise. Parrasio était de ceux qui l'avaient accueillie avec joie;
il protesta contre ces allusions dans une nouvelle épigramme et
chanta Page d'or que les Frangais venaient de ramener à Milan: ce
fut le dernier épisode de la querelle, le départ de Ferrari y mit
fin pour tout de bon (3).
L'année 1501 apporta dans la vie de Parrasio plusieurs chan-,
gements heureux. Chez Minuziano, il avait eu comme élève le jeune
Catelliano Cotta, dont le pére était à Milan un personnage impor-
tant. Catelliano s'attacha vite à son maitre et voulut l'avoir comme
précepteur. Parrasio vint demeurer chez lui; mais durant quelques
mois, il continua, semble-t-il, de faire la classe dans le pensionnat
de Minuziano (4). Puis il se lassa de ce ròle subalterne et quitta
le vieux pédagogue; à quel moment, nous ne saurions le dire au
juste, mais en 1501, il semble uniquement occupé de ses travaux
philologiques. Le 17 avril, il obtenait de Louis XII un privilège
pour l'impression de commentaires sur le poème de Claudien de
(1) Cf. l'épigramme citée dans V Apologia, f. D iii v°: on y verrà la vio-
lence de cette guerre de piume. Les autres épigrammes composées alors par Par-
rasio ont été recueillies par Jannelli aux pages 188-194 de son ouvrage (Lo Parco,
o. e, p. 39, note 3).
(2) Avril 1500.
(3) Cf. Apologia, f . C 6 v», et Lo Parco, o. c, p. 39.
(4) Cf la dédicace à Catelliano Cotta des Commentar, de Raptu Proserp.^
f. aa 8 r° : « Quom multos omnis ordinis aetatisque discipulos habeam moruni
« gratia carissimos : noster in te tamen amor praecipuus est. ». Plus loin (v°)
Parrasio dédie ces commentaires à Cotta comme « pietatis erga praeceptorem
« tuae... perpetuum testimonium ». On peut compléter ce témoignage par celui
de V Apologia, f D v" : « Habeàs confessum reum : si quod ultimo loco ponis
(( ostendes: ab Alexandre uel unum discipulum abduxisse: praeter Catullianum
« Cottam : cuius hospitio lanus est usus Alexandri permissu : nisi simulata fuit
« eius oratio ». ; -
VARIETÀ 157
Raptu Proserpinae (i). L'ouvrage flit imprimée dans la maison
méme de Lucio Cotta en méme temps que le Carmen Paschale de
Sedulius et que les poèmes de Prudence (2). Ces deux dernières
ceuvres forment un autre volume qui fut dédié au Napolitain Michele
Rizzi, un des membres du nouveau sénat de Milan. Parrasio savait
que ce Napolitain avait l'oreille de Louis XII ; il glissa dans sa lettre
de dédicace un éloge bien senti du roi de France: c'était sur les
Fran^ais qu'il fondait à présent tous ses espoirs de fortune (3).
11 n'attendit pas longtemps pour les voir se réaliser; le départ
d'Emilio Ferrari laissait libre la chaire d'éloquence des écoles pa-
latines; Parrasio la demanda et l'obtint de Georges d'Amboise, par
un acte du 14 aoùt 1501 (4). Mais il fallait encore qu'il fut agréé
par l'ensemble du sénat. Devant tous les sénateurs assemblés et
les personnages les plus doctes de la ville, il improvisa une courte
harangue pour demander au sénat de ratifier le choix du cardinal.
Sans doute, il était pauvre, mais c'était le mérite qu'on recherchait
en lui, et non les richesses. 11 rappela qu'à Rome, il avait déjà
enseigné l'éloquence et il promit de faire tous ses efforts pour que
(i) Cf. la première édition des Conimentarii (Biblioth. Nat., Vélins, 562).
Le prìvilège est reproduit au verso du dernier feuillet. ©'autre part, dans son Hi-
storia typographica mediolanensis, Sassi décrit un exemplaire des Commentarti qui
porterait le colophon suivant: a Impressum Mediolani In aedibus clariss. Viri Lucii
« Cottae, pridie Kal. sextiles MDI dexteritate Guillelmorum le signerre fratrum »
(voir Sassi, apud Argelati, BibJiotheca scriptorum medici anmsium, to. I, par. I,
col. 612).
(2) Cf., à la Bibliothèque Nationale (Vélins, 2130): « Sedulii Carmen Pa-
ce schale. Aurelii Prudentii Poemata ». Au f. P 6 r°, le colophon suivant: « Im-
w pressum Mediolani sumptibus lani : et Catelliani Cottae : dexteritate Guillel-
« morum le signerre fratrum ». Au f. P ii v°, Parrasio expJique que ses Com-
mentaires sur Claudien ont été imprimés, à mesure qu'il les rédigeait, par des
ouvriers engagés exprès. Mais ceux-ci allaient plus vite que lui en besogne : pour
les occuper il leur a fait imprimer en méme temps ces poèmes de Sedulius et
de Prudence.
(3) F. a ii r": « Ciuilis et Pontificii luris consultiss. Insubriaeque Regio
« Senatori domino Michaeli Riccio Neapolitano Patricio lanus P. S. P. D. ».
Au f. a ili r°, éloge de Louis Xll: « qui... tuo Consilio maximis in rebus utitur ».
Ceite lettre-préface est datée du 13 juin 1501, Ce Michele Rizzi, à qui elle est
dediée, Michel Riz pour les Fran(;ais, joua un certain ròle dans la dìplomatie de
son temps; on le voit par celles de ses lettres qui figurent dans le manuscrit 261
de la collection Dupuy ; nous retrouverons son nom dans la suite de ce récit.
(4) Le diplòme dans Lo Parco, o. c, p. 47, note i. Parrasio devait en-
■seigner « cum solito salario ». D'après V Apologia, (f. B ii v°) ces appointements
s'élevaient à 150 écus d'or.
158 VARIETÀ
les Milanais n'eussent pas à se repentir de lui avoir confié leurs
enfants (i).
Il est probable que Minuziano n'avait pas vu sans envie les
succès de son ancien sous-maitre; nous avons dit qu'il était lui-
méme professeur aux écoles palatines; il se dit sans doute qu'il
allait étre exposé à des comparaisons fàcheuses pour son amour-
propre; les élèves délaisseraient ses legons pour courir à celles de
Parrasio; peut-étre y eut-il aussi des raisons politiques qui l'exci-
tèrent contre son jeune rivai; toujours est-il que brusquement il
lui déclara la guerre. Nous ne pouvons dire avec précision com-
ment les hostilités débutèrent; voici pourtant ce que l'on croit de-
viner. En pleine chaire, Minuziano se fit Taccusateur de Parrasio;
il dit les griefs qu'il avait contre lui, raconta tous les bienfaits dont
Parrasio lui était redevable et lui reprocha son ingratitude; il alla
plus loin; si Parrasio a quitte Naples, disaitil, c'est qu'il s'y était
rendu coupable de meurtre qualifié et qu'il voulait échapper à la
justice de son pays. Quelques jours après, Parrasio ouvrait son
cours: il consacra sa première le^on à se défendre de ces attaques.
On l'avait dissuade, disait-il, de répondre à Minuziano sur le ton
injurieux que celui-ci avait employé, il ne parlerait donc pas de sa
vie privée; il laisser^ait de coté ses meurtres, ses vols, ses rapines,
enfin ses vices honteux. Puis, comme entraìné par le tour de son
discours, il disait avec plus de précision ce qu'avait fait Minuziano ;
il lui reprochait d'avoir servi d'espion à ce haut fonctionnaire qui
venait justement d'étre condamné pour concussion (2); il s'étonnait
(i) Lo Parco, o. c, pp. 137-139.
(2) Ibid ,, o. e, p. 142: « Hic est ille... qui nostrum prae>uleiu, le-
ce petundarum nuper damnatum, in nostras doraos, in nostras fortunas, in no-
ce stras ceruices incitabat, etc. ». Cf. encore, p. 133 : « Non est amplius uulpi
ce locus,... nusquam Lysonis excussor emissarius, iacet cruentus ille delator, in
c( ade linguae qui necem gerebat ». Dans le premier de ces passages, Parrasio
ne nomme pas cet évéque dont Minuziano se serait fait l'agent, mais dans le deu-
xième, celui-ci est nettement accuse d'ètre a l'espion et le pourvoyeur de Lyson ».
Le prélat, condamné pour concussion, serait donc Lyson lui-méme, c'est-à-dire,
très probablement (cf. supra la note i, p. 155) Pierre de Sacierges, évèque de
Lu^on. En attendant que des documents d'archives viennent confirmer cette hy-
pothèse, voici encore une raìson qui me semble l'autoriser. Le deuxième des pas-
sages cités vient immédiatement après un développement où Parrasio chante les
louanges de Poncher qui avait, nous l'avons dit, succède à Sacierges comme
chancelier du duché de Milan. Il est donc vraisemblable qu'au présent il oppose
le passe et le bonheur dont jouissent maintenant les Milanais à la terreur qui
pesait sur eux du temps de Sacierges.
VARIETÀ 159
enfiti qu'un pareli homme l'accusàt. Habile transition pour passar
à l'apologie personnelle qui faisait la deuxième partie du discours (i).
Nous ne connaissons pas la réponse de Minuziano ; mais il est pro-
bable qu'il s'y montrait aussi violent que la première fois. Parrasio
releva cette nouvelle attaque, avec plus de modération cette fois:
u Je ne suis pas venu, disait-il, pour répondre aux calomnies, aux
« chicanes et aux injures que cet homme, le pire des animaux
« à deux pieds, a déversées hier contre moi »>, et il continuait un
peu plus loin: « Pourquoi donc s'applique-t-il ainsi à vous empé-
u cher de venir m'entendre? C'est qu'il veut vous entretenir plus
« longtemps dans l'admiration de sa propre personne » (2).
Le ton méme de ces paroles nous montre que Parrasio avait,
dès lors, cause gagnée: en dépit de Minuziano, les élèves venaient
à lui et savaient apprécier son mérite. Mais Tannée suivante, quand
rouvrirent les cours, la lutte reprit encore entre les deux adver-
saires. Parrasio, sur maintenant de son public, le prit de haut avec
son ancien protecteur. Il conseillait à ses élèves d'aller entendre
u cette bete brute,... pour apprendre à faire la difFérence du chant
« d'Apollon et du chant de Marsyas ». Qu'ils fassent l'épreuve;
ils verront, dit Parrasio, que Minuziano est un plagiaire sans ver-
gogne; l'autre jour, il n'a fait que reprendre, presque dans les
mémes termes, une de mes le^ons de Fan passe (3). Voilà ce que
vaut le professeur, mais que dira-t-on du citoyen? Pourquoi n'est-il
pas venu encore présenter ses hommages à Poncher, le nouveau
président du Sénat de Milan? « C'est qu'au fond il le hait, comma
« le successeur de son cher Lyson : en public, il feint de l'aimer, il
u le loue à haute voix, mais il y met si peu de conviction qu'il a
« l'air d'un homme pleurant sur le tombeaude sa belle-mère » (4).
On voit assez à quoi tendaient ces paroles où se cachait une dé-
nonciation; pourtant elles n'atteignirent pas leur but. Est-il donc
vrai qu'on pùt trouver à redire au « loyalisme " de Minuziano?
En tout cas, Poncher ne le pensa pas, car on ne voit pas qu'il ait
fi) Pour tout ce qui précède, cf., dans Lo Parco, o. c, pp. 140-145, toute
VOratio 5^ in Aìexandrum Minutianum. Dans le manuscrit de Naples, nous avons
là le premier des discours contre Minuziano ; puis viennent le deuxième et enfin
le premier discours du recueil Lo Parco. A les lire attentivement, on se con-
vainc que cet ordre-là est le bon, et que l'éditeur a eu tort de l'intervenir.
(2) Lo Parco, o. c, pp. 135-136.
(3) Ibid., pp. 15 I-I 32. Si la querelle a commencé en 1501, ce discours-ci
doit étre de 1502 : « quae... nos anno superiore... uobiscum communicauimus ».
(4) Ibid., pp. 133, en bas. Sur Etienne Poncher, cf. infra note 3, p. 162.
l60 VARIETÀ
tenu Minuziano en disgràce. Ce fut méme lui, l'année suivante, qui
engagea Parrasio à faire la paix. Celui-ci n'eut garde de s'y refuser;
dans une le^on d'ouverture, il annonga à ses élèves qu'il s'était
réconcilié avec Minuziano, et il enumera tous les Romains célèbres
qui avaient, avant lui, renoncé à leurs haines personnelles. Il ajou-
tait naivement que les élèves y gagneraient, car leur temps ne se
passerait plus à écouter les injures qu'il se devait de lancer contre
son adversaire (i).
II.
Ainsi se termina la querelle (2). Pendant les deux années
qu'elle avait dure, Parrasio se fit connaìtre comme philologue par
de nouvelles publications. En 1502, parut à Milan une édition de
l'opuscule de viris illustribus. Elle était donnée comme l'oeuvre
de Catelliano Cotta, mais celui-ci, dans sa préface, avouait la part
qu'y avait prise Parrasio et qui était évidemment très grande (3).
Un peu plus tard, Parrasio publiait en son nom, cette fois, une
(i) Lo Parco, p. 147. A la fin de cette legon préliminaire à l'explication de Perse,
Parrasio rappelle que l'année précédente il a expliqné les Silves de Stace. Or, à la
fin du discours que nous avons cité plus haut (p. 1 59, note 3), il déclare (Lo Parco,
o. e, p. 134) qu'il va passer à l'explication de Stace, sans doute à celle des Silves.
Le discours étant de 1502, la praefatio in Persiutn, doit étre de l'année 1303. On
y lit d'ailleurs une phrase qui semble confirmer cette dernière date : « Minutia-
<( nus... annis abbine duobus, an tertius agitur, ex hospite factus hostis ».
(2) A la fin de 1502, les adversaires devaient méme étre déjà réconciliés.
L'Ambrosienne conserve un petit poème, intitulé Sirmio, dont la dédicace est
datée du 31 octobre 1502. L'auteur, Stephanus Dulcinus, y célèbre les poètes "mi-
lanais et il nonime, còte à còte, Parrasio et le « docte Minuziano », « cui par
« ingenium eruditioni » (f. e 6 r»).
(3) Cf. Sassi apud Argelati, Biblioth. script, mediol, to. I, par. \, col. 427 :
« Interea uiros illustres... sub titulo Cornelii Nepotis emittemus, et illos quidem
<( multis in locis a me castigatos, ipsius ope lani... » On discutait déjà, à l'epoque,
pour savoir qui était l'auteur de De viris illustribus. Tandis que Parrasio, et
Cotta après lui, le donnait à Cornelius Nepos, d'autres l'attribuaient à Suétone
cu à Pline le Jeune. En 15 io, il en paraissait à Strasbourg une édition dont voici
l'intitulé : Suetonii de Viris illustr. Vrhis Romae : quos qui Cornelio Nipoti uin-
dicant maxime falli Alexander Minutianus praeceptor luce clarius prohauit (Graesse,
Trésor). Ainsi Minuziano s'était più à reprendre le travail de Parrasio, et sans
doute qu'en paraissant le critiquer, il en avait fait son profit : on verrà que, plus
tard, il procèderà de la méme fagon.
VARIETÀ l6l
édition de l'opuscule de regionibus urbis Romae qu'on attribuait
alors à Publius Victor (i). Chaque année enfin, il expliquait à ses
auditeurs des textes nouveaux et difficiles (2).
Ce labeur incessant fut mal récompensé : en 1502 les profes-
seurs des écoles palatines ne furent pas payés de leurs appointe-
ments, suivant un procède d'économies qui était courant à l'epo-
que. Parrasio suspendit ses cours et vécut chichement, nous dit-il,
des quelques le9ons qu'il donnait; il ne remonta en chaire qu'après
s'ètre fait assurer un traitement effectif (3). Mais bientòt la peste
qui avait déjà ravagé Rome, arriva à Milan et y répandit la ter-
reur. C'était alors un fléau périodique, auquel on pouvait toujours
s'attendre. Dès qu'il avait fondu sur une ville, la vie normale y
était suspendue, les écoles étaient licenciées. C'est sans doute ce
qui arriva à Milan; Parrasio interrompit ses le^ons et ne les reprit
qu'au début de l'autre année scolaire (4). Il semble, dès lors, les
avoir continuées sans encombre pendant plusieurs années de suite
et nous savons qu'il eut beaucoup de succès. Son nom tient une
place d'honneur dans ces poésies latines de l'epoque qui sont
comme un journal de la vie milanaise (5). Un prétre qui était lui-
méme pédagogue, abandonna l'école qu'il avait fondée en dehors
de la ville, et rentra loger dans Milan pour suivre plus assidùment
(i) Cf. Marini, Gli atti de' fratelli Arvali, to. II, p. 619; au début du
volume se trouvait une épigramme de Parrasio à Etienne Poncher. La réimpies-
sioii de l'opuscule qui fut faite à Venise, en 1505, contient une préface où l'on
pcut lire l'éloge de Parrasio (L. Preller, Die Regionen der Stadi Rom, p. 47).
On peut donc accepter la date de 1503 que Lo Parco , o. e, p. 55, donne
pour ce travail, sans que d'ailleurs il la justifie.
(2) Cf., dans Lo Parco, o. c, p. 56, la liste des auteurs latins auxquels
sont consacrés les commentaires manuscrits conservés à Naples. Il est vrai que
tous n'ont pas été rédigés pour les cours faits à Milan. Mais V Apologia nous ap-
prend (f. A 4 v**) que Parrasio y expliqua notamment Valerius Flaccus, Florus,
les Silves de Stace, la « Poétique » d'Horace. Au point de vue surtout de l'età-
blissement du texte, certains de ces auteurs étaient alors fort difficiles.
(3) Lo Parco, o. c, p. 151 e 152.
(4) Ibid., p. 156. Sur la peste qui ravagea alors l'Italie, cf. Rosmini, Storia
di Milano, to. Ili, p. 290.
(5) Cf., outre le recueil déjà cité de Lancinus Curtius, les Opuscules poé-
tiques de Giovanni Biffi (Biblioth. Nat., Réserve mYc 668). C'est de Biffi que
l'Apologia (f, A 5 r°) raconte le trait que je cite ici. Il fut, ses vers l'attestent,
un des plus chauds partisans de Parrasio, et sans doute un de ses meilleurs élèves
car le maitre, un peu plus tard, se fit suppléer par lui ; voir le 5* des Opuscules,
f. AA 4 r°.
Ardi. Star. Lomb., Anno XXXII, Fase. V. "
j62 varietà
es cours du professeur en vogue. Parrasio possédait aussi ramitié
de Démétrius Chalcondyle et bientòt il devenait son gendre. Il an-
non9a la nouvelle à ses auditeurs au début d'une legon d'ouverture
et il ajouta qu'en faisant choix d'une femme, il avait surto ut visé
leur intérét: il s'était allié à un homme fort savant dont le com-
merce le ferait chaque jour avancer un peu plus dans la science;
et sa femme ne le dérangerait nullement de ses travaux, pas plus
que jadis Martia ne troubla ceux d'Hortensius, Calpurnia ceux de
Pline, Argentarla ceux de Lucien, Claudia ceux de Stace et Pu-
dentilla ceux d'Apulée (i).
Ces succès et ces amitiés n'étaient rien encore; il fallait à Par-
rasio la faveur et les largesses du gouvernement fran^ais. Nous
l'avons vu, dès l'arrivée des Franc^ais à Milan, se déclarer leur
chaud partisan et plus tard dénoncer Minuziano comme gallo-
phobe. Pour conquérir la faveur des grands seigneurs fran9ais il
ne dut épargner aucune platitude. Nous avons conserve les louanges
grandiloquentes qu'au début d'une legon il adressait à Trivulze,
venu pour y assister; elles sembleraient plus sincères, s'il n'avait,
plus tard, fait resservir le méme discours pour un haut person-
nage de Vicence (2). Son effort dut tendre surtout à s'assurer les
bonnes gràces de cet Etienne Poncher que nous avons nommé plus
haut (3). Les hautes fonctions qu'il occupait à Milan faisaient de
(i) Lo Parco, o. c, pp. 149-150. Une épigramme de Curtius, au f. 80 r°
du livre 16, a eté composée pour les noces de Parrasio. Sur Chalcondyle méme,
on consulterà la notice de Legrand, Bihliogr. helUn., to. l, pp xciv-cr.
(2) Les deuK discours sont conservés dans le Vat. latin 5233 qui contient
plusieurs morceaux de Parrasio restés jusqu'a présent inédits. Le premier discours,
au folio 176- r°, est intitulé : « Praefatio ad Caesa. Commentarla in Laudem Io.
« laco. triuuicii ». Voici un specimen des louanges que Parrasio dècerne à Tri-
vulze : « a seruitute exemptam patriam... suis auctoribus Gallis aduinxisti, Ita-
(( lìae iam fatiscenti pacem reddidisti, quodque feliciter et tranquille uiuamus
« (absit uerbo inuidia) tuum munus est ». A l'exceptìon de quelques phrases ap-
propriées à Trivalze, comme celle-ci, tout le discours se retrouve dans le méme
raanuscrit, au foHo 137 r°. Il n'y a de changé que le nom du haut personnage
devant qui parie Parrasio et les allusions faites à sa famille et à sa carrière. Ce
haut personnage s'appaile Moro (Maurus) et ce qui est dit de lui nous permet
de l'identifier avec Gabriele Moro, de Vicence, qui fut ambassadeur à Ferrare
auprès du due de Bourgogne et en Espagne (Marino Sanuto, / Diarii^ to. VI) ;
oa verrà que Parrasio, après qu'il eut quitte Milan, s'en alla enseigner à Vicence.
(3) Cf. p. 159. Etienne Poncher était devenu évéque de Paris le 3 fé-
vrier 1502 (Gaìlia christ., to. VII, col. 158). Vers le méme temps, il avait été
nommé président du sénat de Milan et chancelier du duché (cf. supra les remar-
ques sur la date des discours de Parrasio contre Minuziano).
VARIETÀ 163
lui le Mécène désigné de tous les gens de lettres. Poncher se préta
de bonne gràce à ce ròle qu'on voulait lui faire jouer: on le voit
par les vers qui célèbrent ses mérites; on le voit encore par les
dédicaces nombreuses qui lui furent alors adressées, et dont Fune
a Minuziano pour auteur (i).
Parnasio est de ceux qui se comptent parmi les intimes du
prélat. C'est Poncher qui lui avait assuré un traitement régulier;
il le comblait de présents; il lui confia, pour l'instruire, son neveu
Francois Poncher (2). Enfin il s'intéressait à ses travaux et lui fit
avoir ce manuscrit inédit des grammairiens latins que Parrasio pu-
blia en 1504 (3). Lui-méme se sentait attiré et séduit par cette
antiquité que les Fran^ais trouvaient partout en Italie et qui avait
pour eux l'attrait de l'inconnu et de la nouveauté; mais il était
trop vieux pour se remettre sur les bancs de l'école. Parrasio dut
étre pour lui comme un dictionnaire vivant qu'il se plaisait à feuil-
leter sans cesse. Nous voyons notre érudit composer pour son pa-
tron un petit travail sur les usages de la table chez les Gaulois et
chez les Espagnols de l'antiquité (4). Parfois méme il dut lui préter
(i ) Lanciaus Curtius lui a consacré plusieurs pièces (op. cit., livre 13, f. 31 r^',
v° des ffs. 35, 36, 37, f. 42 r»). Le livre que lui offrit Minuziano est son édi-
tion des Comnientaires et Lettres de Jacopo Ammannati, parue en 1 506, quand
Poncher avait déjà quitte le Milanais. Parmi les auteurs qui lui ont dédié leurs
ouvrages, on peut citer Battista Spagnoli {Gallia chrisL, ibid., col. 159), et le
secrétaire royal Tristanus Chalcus, qui l'appelle « son Mécène » (Biblioth Nat.,
ms. latin 8785, feuillet du titre). Cf. encore, à la Bibiioth. Nat., le ms. latin 8391
dont la dédicace est adressée à Poncher « patrono literatorum optimo ».
(a) Lo Parco, o. c, p. 133, et aussi, à la p. 152, le passage auquel nous
avons déjà renvoyé. Le fait que le neveu de Poncher fut l'élèvj de Parrasio nou«?
est attesté par un autre témoignage. Une editici des Métamorphoses d'Ovide,
parue à Milan en 1503, est dédiée à Francois Poncher, et, dans sa lettre-prétace,
I E'Tiilio Merula l'appelle « assiduutn lani auditoreni » Janelli, op. cit., p. 37,
note I, et p. 60, note 3). Des termes de cette préface, on ne saurait conclure que
Parrasio alt été, au sens moderne, le précepteur du jeune homme. Mais celui-ci
I fut au moins un assidu de ses cours.
(3) Cf. Keil, Grammat. lai., to. I, pp. vii-ix, et surtout to. IV, pp. viii-x
I où l'édition est décrite et presque tonte la préface reproduite. Je relève ce membre
de phrase : « Quippe quorum [operum] uix e media Bibliothecarum strage quani
« geticus dedit furor, unicum quod extabat exemplar erutum sit auxilio Patris
« Amplissimi Stephani Poncherii luteciae parisiorum pontificis indulgentissimique
a mei patroni ».
(4) Vat. lat. 5233, f. 131 r" : « Ampliss. patri... Stephano Poncherio... lanus S.
a Quoniam Demetrius tibi noster, ex auctoribus graecis in latinum transfert in-
164 VARIETÀ
le secours de son éloquence; il y a dans ses manuscrits un discours
destine au Sénat de Milan; pour qui fut-il compose sinon pour
Etienne Poncher? (i).
Poncher fut rappelé en 1504 et remplacé par Jeffroy Charles,
président du parlement dauphinois et membre du Sénat de Milan
depuis son institution par Louis XII (2). Tout de suite, on vit les
lettrés se tourner vers ce nouvel astre de qui dépendait leur for-
tune. Charles suivit l'exemple de son prédecesseur, et il leur fit
bon accueil. Au reste, il était lui-méme fort curieux de géographie
et il n'épargnait rien pour devenir plus savant en cette science (j).
Il achetait beaucoup de livres anciens et les prétait aux humanistes
de ses amis (4): sur l'un de ses manuscrits, on lit encore: « Est
« genitos hispanorum gallorumque niores, et quales in rep. utrique se gesserint,
« ingrntum me facturum tibi non arbitrar, si pariter ipse tibi cxpressero, quain
« uitae rationem piiblicis et priuatis in epulis iidein sectabautur, quantumque inter
« utriusque elegantiani differat... ;).
(i) Le discours se trouve à la Bibliothèque Nationale de Naples, dans le
manuscrit mème et à la suite des discours contre Minuziano (Manoscr. V. D. 15);
en voici l'incipit : « Non auderem profecto CoUegae Car.mi... ». Jannelli^ qui l'a
connu, pense que Parrasio l'a prononcé lui-méme devant ses collègues (op. cit.,
p. 68). C'est ce qu'on ne saurait soutenir sérieusement, après une lecture atteu-
tive du discours. Ainsi l'orateur donne plus loin à ses « collègues « le nom de
a patres optimi ». Il s'adresse donc aux sénateurs, et, dès lors, on comprend
cette phrase : «. Nam quom diuina mens Reuer. domini Cardinalis buie ordini nos
« praeesse uoluerit ». C'est le président du sénat qui parie; au cours de sa ha-
rangue, il promet d'ètre accessible à tous, chez lui, comme au tribunal. Dans la
bouche de Parrasio, cette promesse n'aurait aucun sens. Au reste, ce n'est pas, dans
le manuscrit de Naples, le seul discours qui ait été prononcé pour Etienne Poncher.
(2) Sur Jeffroy Charles, on consulterà Piollet, Étudg historique sur Geofroy
Charles^ Grenoble, 1882, ou encore, à défaut de cette brochure difficile à re-i-
contrer, le quatrième volume de V Heptaméron dans l'édition Anat. de Montai-
glon : il s'y trouve, pp. 293-299, une notice très complète sur notre personnage.
On rencontre son nom orthographié de diverses manières, mais il avait l'habi-
tude de signer Jeffroy Charles. Le manuscrit 261 de la collection Dupuy con-
tient cinq lettres des lui à Florimond Robertet (L. Dorez, Catal. de la colìeclìon
Dupuy, to. r, p, 261).
(5) Cf., dans VIUnerarlum Portugalhnsium e Lusitania in Indiam, imprimé
à Milan en 1508 (Biblioth. Nat., Réserve G 457), la lettre de dédicace, de Ma-
drignano à Jeffroy Charles, f. A il r°. Elle est à lire tout entière pour la pré-
cision des détails qu'elle renferme sur les études géographiques du chancclier.
C'est lui d'ailleurs qui avait commandé cette traduction à Madrignano.
(4) Cf l'édition que Ioannes Maria Catanaeus a donnée, en 1505, des oeu-
vres de Pline le Jeune. La réimpression qui en fut faite, en 1533, par Josse Bade
VARIETÀ 163
« communis Carolo cum amicis w (i). Il y avait toujours à sa table
des poètes, des savants, des professeurs de l'Académie (2); Aide
Manuce y dina plus d'une fois (3). Minuziano s'empressa d'oftrir
au nouveau Mécène un ouvrage sorti de ses presses: en 1505, il
lui dédiait une nouvelle édition de Tite*Live (4).
III.
Ce volume fut l'occasion d'une nouvelle querelle avec Parra-
sio. 11 y avait deux années pleines que celui-ci expliquait à ses
cours publics les livres de Tite-Live sur la guerre de Macédoine,
et il y avait fait d'innombrables corrections; Minuziano s'arrangea
pour en avoir connaissance, et, dans son Tite-Live, il les publia
comme siennes. Tout de suite Parrasio s'émut, et puisque le pla-
giaire semblait mettre le fruit de son larcin sous la protection de
Jeffroy Charles, lui aussi s'adresserait au président. du Sénat et
i«
et Jean de Roigny reproduit la lettre de dédicace à Jeffroy Charles où se trouve
le détail en question. J'en extrais encóre ce passage (f. a iiì v") : « Plinius doctos
« ueaerabatur. Tu imdique cónquiris, et inuentos stipendiis publicis, sacerdotiis
« honestissimìs, de tuo muneraris, eruditorumque conspectu libentissime frueris ».
(i) Ce manuscrit est à la Bibliothèque Nationale et porte, dans la collection
Dupuy, le numero 454.
(2) Dans la lettre-préface dont il vient d'ètre question, Madrignano raconte
quc Charles le retint un jour à dìner ; « aderant enim philosophi : poetae, astro-
« logi : et oratores: ... aderat et Alexander Minutianus huius urbis decus : qui
« sua doctrina prope innumeros patritios reddidit clariores » (op. cit., f. A 8 r").
Lancinus Curtius, qui, ce jour-là, était aussi au nombre des convives, a d'ailleurs
une épigramme qui célèbre ces diners (op. cit., lib. 18, f. 105 r°) : « De mensa
« praesidis «.
(3) Cf. la lettre de dédicace de l'Horace paru chez Aide ei 1509; elle a
été réimpriniée dans Schelhorn, Amoenttates histor., to. Il, pp. 620-622 ; en voici
un passage intéressant : « sic me uidisti libeater, ut saepe eti;im... conuiuam
tuum esse uolueris, cum multi una cenarent familiares, iidetnque Academici, et
« doctissimi uiri, qui ad te ut olim doctissimi quique ad Mecoenatem, frequentes
« concurrunt atque confugiunt ».
(4) Biblioth. Nat., lav. Rés , J 198. Le recto du premier feuillet est blanc.
Au verso cominence la lettre de dédicace à Jeffroy Charles, elle est datée du
13 septembre 1503. Oh là trouvera tout entière dans le Tite-Live de Draken-
BORCH, to. VII (1746), pp. 257-259: elle contient beaucoup de détails fort in-
téressants pour la biographie de Charles, et confirme, sur certains points, les té-
moignages précédenti.
l66 VARIETÀ
dénoncerait cette manoeuvre. 11 s'occupait justement de réimprimer
ses commentaires sur Claudien. 11 les fit precèder d'une lettre-pré-
face où il lui exposait ses griefs et qui parut trois mois après celle
de Minuziano (i). De plus, il y joignit V Apologia que son élève
Furius avait composée pour lui (2). Furius y répondait aux « In-
« vectives » de Panatus et de Nauta où Parrasio était couramment
appelé « par asino » ou bien: « àne d'Arcadie » (3). Il reprénait
point par point leurs accusations; il en montrait le néant et relevait
avec pedanterie toutes les fautes de grammaire échappées à ses
(i) Elle est datée du 12 décembre et se trouve au f. aa il r" des Com-
mentaires sur Claudien, édition de 1505. Le passage auquel j'emprunte les dé-
tails précédents est reproduit par Drakenborch, ibid., p. 552. Nous désirerions,
sans doute, étre renseignés sur cet incident par un autre que l'interesse lui-mème ;
mais le récit de Parrasio semble très vraisemblable. Nous avons de lui une « Prae-
« fatio in Liuium de bello Macedonico ». (Vat. lat. 5253, f. 170 r°) ; il y fait
allusion au profìt que ses élèves ont tire de Tite-Live l'année précédente (ibid.,
(f. 174 r°). Cette explication de Tite-Live succèda elle mème à celle de Florus
(Lo Parco, o. c, p. 155) qui date de 1502. Ainsi il est vrai qu'en 1505, Par-
rasio s'était déjà occupé beaucoup de Tite-Live. Au contraire Minuziano ne donne,
dans son édition, que le texte de son auteur, sans le moindre commentaire, sans
aucune note; c'est qu'il était incapable, sans doute, de justifier des corrections
qui étaient l'oeuvre d'autrui.
(2) Cf. supra, la note i, p. 153.
(3) L'opuscule est conserve à la bibliothèque Ambrosienne ; le feuillet du
titre manque ; au f. a ii r° se trouve la préface, dont voici l' intitulé : « Rolan-
« dini Panati Laudensis ad illustrem marchionem Pallauicinum praefatio in
« inuectiuas contra lanum Parrhasium asinum archadicum ». A la suite de ces
Invectives, Panatus en publie une autre, de son maitre Nauta (f. e v**), et à la
fin de l'opuscule (f. e ii v"), il réimprime plusieurs épigrammes de ce méme
Nauta, toutes dirigées contre Parrasio. Cette publication ne porte pas de date,
mais tous les faits qui y sont mentionnées concernent la première querelle avec
Minuziano ou méme la querelle avec Ferrari ; elle doit ètre à peu près de l'année
1502, et par suite V Apologia, qui dut la suivre de près, serait antérieure à l'année
1505. D'aìlleurs il suffit de lire le passage du f. B iii r^ où Furius parie de
Poncher ; on verrà qu'au moment où il fut écrit, celui-ci n'avait pas encore été
remplacé par Charles comme président du Sénat. De mème Furius dit ailleurs
(f. C 3 v®) que Parrasio est parti de Naples depuis bientót cinq ans. Or il semble
prouvé (Lo Parco, o. c, p. 27) qu'il quitta cette ville en 1498 au plus tard ;
cela mettrait à l'année 1502 la composition de V Apologia, Il est vrai qu'il s'y
trouve (f. B 5 v°) une allusion au Tite-Live de Minuziano. Mais on peut ad-
mettre que l'ouvrage, compose en 1502, regut des additions au moment d'ètre
employé par Parrasio dans la querelle du Tite-Live.
VARIETÀ 167
adversaires. Heureux temps où quelques solécismes suffisaient à
déshonorer un homme!
Cependant, on ne s'en tenait pas toujours à ces assauts d'in-
jures et de gros mots, et Parrasio l'éprou'va. Un soir qu'il revenait
de dìner chez un sénateur, une pierre Tatteignit à la téte et lui fit
une blessure assez grave. Une enquéte fut ordonnée qui, sans
doute, n'aboutit pas, et Parrasio resta persuade que Minuziano
avait arme la main d'un agresseur. C'était là de quoi l'inquiéter,
mais, comme il l'écrivait à l'humaniste Pio, il gardait la sympathie
des grands personnages de la ville (i). Charles sans doute n'avait
pas encore pris parti entre les deux adversaires: s'il avait été net-
tement hostile à Minuziano, Parrasio, dans cette méme lettre, n'au-
rait pas manqué de nous le dire.
Il changera bientòt d'attitude sans que l'on puisse dire pour-
quoi. Parrasio, il est vrai, a parie plus tard de la baine tenace que
Charles lui avait vouée (2). Mais nul témoignage n'est ici plus
suspect que le sien. Pour célébrer le président du sénat milanais,
il avait, jadis, épuisé toutes les ressources de sa rhétorique; il était
mal venu maintenant à le traiter d'homme cruel et de brute gros-
sière. Surtout, il était de mauvaise foi, en accusant Jeffroy Charles
d'avoir voulu le faire assassiner: au moment de l'agression, c'est
Minuziano, on l'a vu, qu'il en rendait responsable. On ne peut non
plus accepter sans réserves les deux raisons qu'il donne de sa dis-
gràce soudaine. Charles, nous dit-il, s'était brouillé avec Michele
Rizzi, ce Napolitain passe au service de la France dont nous avons
déjà parie ; il voua dès lors une baine mortelle à tous les Napoli-
tains, et surtout à Parrasio qui avait, à deux reprises, loué Rizzi
dans des lettres-préfaces (3). Puis il prétendit installer dans Fècole
(1) Cf. les deux kttres à Pio publiées par Jannklli, o. c , pp. 167-170. Dans
la p emière Parrasio raconte brièvetnent l'agression. C'est seulement dans la deu-
xième lettre qu'il en rend Minuziano responsable : « Incidi iam in suspicionem...
« ab eo [Minuziano] immissum in me sicarium, cum uideret me uiuo furta sibi
« non impune cessura... Habemus adhuc integra principum studia ». Cette lettre
qu'on trouvera tout cntière dans Janelli, a suivi de très près la réimpression du
Claudien; car Parrasio y écrit de son livre : « Sub incudem reuocatus in
« manu nunc est ».
(2) Cf., dans Lo Parco, o. c, pp. 166-171, toute VOratio ad municipium
Vicentinum.
(5) Lo Parco, o. c, p. 167. La ^première de ces lettres-préfaces est celle
du Sedulius (cf. supra^ p. 157, et la note 3). M. Lo Parco note que la deuxième
l68 VARIETÀ
de Parrasio quelques enfants savoyards qu'il protégeait; il voulut
méme, pour leur faire place, obliger Parrasio à renvoyer plusieurs
fils de Milanais et il lui garda rancune de n'avoir pas consenti à
le faire (i). Une telle fermeté est bien étonnante chez un homme
aussi plat que notre rhéteur. Il est plus vraisemblable qu'il y eut à
sa disgràce des raisons politiques. 11 faudrait, pour les pénétrer, con-
naìtre toutes les intrigues qui se tramaient contre la domination
fran^aise, savoir si Parrasio n'était pas l'ami de Milanais suspects
au président du Senat. Cela put faire naìtre des soup^ons que
Minuziano se chargea sans doute d'exploiter. Bref, Parrasio sentii
qu'il n'était plus en faveur; il songea à quitter Milan pour retourner
dans son pays. Ce fut, dit-il, Etienne Poncher qui l'en dissuada (2).
Il resta, et à l'automne de 1506, il continuait d'occuper sa chaire
et d'étre inscrit pour deux cents écus d'or au budget de l'État de
Milan; l'hostilité de Charles, si tant est qu'elle fut réelle, ne se
montrait pas encore par des actes (3).
Cependant, quelques mois plus tard, Parrasio avait quitte Milan
et enseignait à Vicence. On devine comment la chose dut arriver.
Il avait connu à Milan un jeune noble Vicentin qui venait étudier
le grec chez Démétrius Chalcondyle, c'était Trissino, le futur auteur
figure ea tète d'un ouvrage de Rizzio lui-méme, intitulé : De Regibus Hispaniae^
Hierusalem, Galliae... bistorta; elle serait datée du ler octobre 1505, epoque à
laquelle Parrasio possédait encore la faveur de Charles ; la baine que celui-ci lui
voua plus tard aurait don- été toute rétrospective.
(i) Lo Parco, o. c, p. 167: « lUud autem nullo pacto ferre potuit, me
« sua causa noluisse quorundatn Meiiolaaensiuni liberos a nostris aedibus extur-
« bare, quo uacuus apud me contubernio locus AUobrogibus esset suis ». Ce texte
est précieux ; il indique que Parrasio, en mème temps qu'il faisait des cours pu-
blics, avait chez lui une « pédagogie ».
(2) Poncher avait quitte Milan pour partir en arabassade, mais il y revint
sans doute, en passant, dans le courant de l'année 1506.
(3) Lo Parco, o. c, p. 170: « Extat ecce diploma.... senatus eiusque [Ca-
« roli] decreto factum, quo decernuntur annua mihi ducenta, optioque datur, ut ex
a animi mei sententia Mediolani uel Ticini profitear ». On remarquera que Par-
rasio pouvait, à son gre, enseigner à Milan ou à Pavie. Pour comprendre ce dé-
tail, il faut savoir qu'un édit du 7 septembre 1506 enjoignit aux étudiants mi-
lanais d'aller étudier à l'Université de Pavie (Léon-G. Pélissier, Documents pour
Vhistoire de la domination fran^aise dans le Milanais, Toulouse, 1891, p. 148). Il
va de soi que les professeurs de Milan durent, tous les premiers, se transporter
à Pavie. Le diplòme qui autorisait Parrasio à n'en ricn faire doit étre contem-
porain de l'édit en question.
VARIETÀ 169
de la Sophonisbe (i). 11 vit que Parrasio était dégoùté de Milan et
cherchait à quitter la ville; il tàcha sans doute de Tattirer à Vicence
et dut lui servir d'intermédiaire auprès du municipe vicentin. Mais
peut-étre que Charles prit ombrage de ces négociations; il rappela
Parrasio qui s'était rendu à Venise et lui interdit sans doute de
quitter de nouveau Milan {2). Parrasio, devenu suspect, dut at-
tendre, pour gagner Vicence, une occasion favorable. 11 y arriva,
semble-t-il, dans les premiers mois de Tannée 1507 (3).
Où était Tenthousiasme avec lequel, sept ans plus tòt, il célé-
brait la venne des Fran^ais en Italie? 11 n'avait plus que baine et
mépris pour « ces barbares stupides » et il satisfit sa rancune dans
le discours inaugurai qu'il adressa aux Vicentins. Au moins, ils
étaient dignes, eux, que l'on cherchàt à leur plaire; « aux Fran^ais
il ne demandait que le pain de sa vieillesse » (4), mais il se sou-
ciait peu d'emporter leurs suifrages. Quant à Charles, ce n'est plus
l'homme éclairé, le généreux protecteur des lettres qu'il célébrait
jadis; ce Savoyard est la pire des brutes, c'est aussi un imposteur,
un malhonnéte homme. 11 a tout fait pour se venger de Parrasio.
Ce sont des hommes à lui qui Font attaqué dans la rue, mais le
coup ne réussit qu'à demi ; Charles voulut alors le faire empoisonner
par le chirurgien qui soignait sa blessare. A présent, il veut le
perdre dans l'esprit des Vicentins; il va lancer contre lui des ac-
cusations terribles, mais il les tient encore secrètes, voulant ainsi
l'empécher de préparer sa défense. Pour les réfuter, Parrasio at-
tend de les connaìtre: les preuves ne lui manqueront pas; les faits
(i) Cf. les lettres de Parrasio à Tri^sino dans RoscoÈ, Vita e pontificato
di Leone X, trad. par Bossi, to. X, p. 161 sqq. La première, où Parrasio prie
son ami de lui prèter trois écus d'or, est datée « de la maison de Démétrius, le
« 14 octobre 1506 ».
(^) Lo Parco, o. c, p. 169: a Ostentare impotentiam suam... ».
(3) Dans son discours aux Vicentins, Parrasio fait allusion à une recente
victoire des Fran^ais (Lo Parco, o. c , p. 166). Ce ne peut étre que la prise de
Génes, qui est d'avril 1507. Parrasio serait arrivé à Vicence peu de tenips après.
Il n'y parvint pas sans encombre; dans un discours inédit qui fut prononcé à Vi-
cence, il disait en pirlant de ses tribulations : « Quintus iam mensis est: ex quo
« male feriatus bine illuc: illinc huc erro bellumque musis indixi » (Biblioth. Nat.
de Naples, uis. V. D. 15, 5^ f. r° d'un discours intitulé : Praefatio in Liuhim.
Vicentiae).
(4) Cette phrase est extraite du discours inédit cité dans la note précédente
(6® f. r") ; tout le reste ne fait que résumer VOraiio ad tnunicipium Vicentinumy
publiée par Lo Parco.
170 VARIETÀ
eux-mémes, la vie qu'il méne enfin diront aux Vicentins s'il est
rhomme que représentent ses calomniateurs. i
Parrasio n'eut pas, setnble-t-il, à faire cette démonstration; on
n'a gardé de lui aucun discours qui formule avec précision et qui
réfute formellement les calomnies dont il se disait la victime. On
devine cependant quelles elles pouvaient étre; c'étaient celles qu'il
avait lui-méme exploitées contre Minuziano et qui reviennent dans
toutes les « Invectives » d'humanistes; on avait attaqué ses moeurs,
on l'avait accuse d'amours contre nature; il est vrai que cette ca-
lomnie était devenue un lieu commun de l'invective, mais cela
méme nous force d'admettre que la vie des pédagogues ou plutòt
les moeurs du temps semblaient souvent l'autoriser.
Notre intention n'est pas de suivre Parrasio à Vicence; il y
passa deux années qui furent encore troublées par des polémiques
et assombries par des besoins d'argent (i); après la bataille d'A-
gnadel, l'approche des troupes ennémies le for9a de quitter la ville;
il se réfugia à Venise, puis enseigna quelque temps à Padoue, mais
la guerre l'empéchait de se fixer nulle part; au début de l'année
151 1, il quitta l'Italie du Nord pour retourner dans son pays (2).
étai reste à Milan sept années entières, sept années qui fu-
rent peut-étre les plus laborieuses et aussi les plus agitées de son
existence. Ce sont celles de ses meilleurs travaux, celles aussi de
ses polémiques les plus vives. En l'étudiant pendant cette période,
on peut se flatter de le connaitre tout entier et l'on apprend à
connaìtre en méme temps l'esprit et la condition des professeurs
de son epoque. Ce sont 'de pauvres hères qui vivent au jour le jour
et qui souvent sont exposés à mourir de faim. Pédagogues ou pro-
fesseurs publics, ils sont toujours à attendre leurs honoraires ou
leur traitement. Ils dépendent uniquement du caprice des « Mécènes »
qui les entretiennent, et, pour se les rendre favorables, les prières
et les flatteries ne leur coùtent jamais rien. Ils n'ont pas de dignité;
en revanche ils sont pleins d'orgueil. Ils sont fiers de leur science
du latin et surtout ils sont fiers de leur érudition; ils en font pa-
rade dans leurs le9ons d'ouverture, ils en éblouissent leurs audi-
teurs et leurs élèves. Mais la concurrence est trop apre; les rivaux
moins heureux s'agitent; des polémiques s'engagent; de gros mots
sont échangés. Finies, ces belles attitudes imitées de l'antiquité,
l'homme du XVI<= siècle reparaìt avec ses passions à fleur de peau.
(i) Cf. RoscoÈ, o. et 1. e.
(2) Lo Parco, o. c, pp. 76-80.
VARIETÀ
171
avec son tempérament querelleur et violent; ces guerres de piume
se terminent souvent par des coups d'épée.
Quelques-uns de ces rhéteurs étaient des hommes fort médio-
cres, mais Parrasio fut au moins un bon ouvrier qui fit de la be-
sogne fort utile. Il s'attacha avant tout à l'épuration des textes an-
ciens; il rechercha les bons manuscrits des auteurs classiques et en
I forma une collection importante. Il a joui, en son temps, d'une re-
nommée incontestée; qu'on juge de celle qu'il dut avoir parmi les
Fran^ais plus grossiers qui suivirent ses le^ons à Milan. L'impres-
sion qu'ils en emportèrent acheva de les conquérir à la cause de
l'humanisme (i); et ce ne fut pas, sans doute, le moindre resultai
du long séjour que fit à Milan notre Parrasio.
Louis Delaruelle.
(i) Ceci n'est pas une simple hypothèse; ce mème Poncher, qui fut le Mé-
cène de Parrasio, essaiera, un peu plus tard, d'attirar Erasme en France.
172 VARIETÀ
Un'edizione ufficiale di storici milanesi.
L culto che mólte città italiane, grandi e piccole, ebbero
per la raccolta e la conservazione delle memorie patrie,
la municipalità di Milano cominciò a nutrirlo relativa-
mente tardi. L'occasione che prima il comune avrebbe
potuto cogliere per dare incremento agli studi storici milanesi, si
presentò nel 1598, quando Giacomo Filippo Besta, con una supplica
a stampa, chiese al consiglio generale un sussidio per la pubblica-
zione della sua opera in tre volumi, intitolata Descrizione e mera-
viglie della città di Milano e delle imprese de* suoi cittadini. La sup-
plica fu messa all'ordine del giorno per la tornata del 18 settembre
di quell'anno, e il consiglio de' LX conferi al Tribunale di Prov-
visione il mandato di eleggere una commissione per « visitare »
il manoscritta e riferire (i); ma, a quel che pare, non se ne fece
nulla, e l'opera del Besta rimase ed è tuttora inedita (2). Né miglior
sorte dovette avere il progetto di un' edizione corretta del Corio,
per la quale, nel 1601, il vicario Fabrizio Bossi e i XII di Prov-
visione officiarono direttamente il signor Giovanni Antonio Tas-
sani (3).
La prima deliberazione, destinata effettivamente a dotare la
città di una collana storica municipale, fu quella presa dalla Came-
retta molti anni più tardi, e proprio nel 1622. Il benemerito vicario
di queir anno, Gio. Batta Brivio, nell' adunanza del 6 settembre
parlò della cosa a' LX del consiglio con vero amore se non con
grande eloquenza. Egli mise in rilievo ; dice il verbale, « che già
u che le antiche memorie delle grandezze di questa città per l'in-
(i) Arch. stor, civ. di Milano, Dicasteri, Cameretta, e. 121; v. pure nella
biografia premessa alla 2.* edizione del Giulini, Memorie, Milano, 1854, la nota
a p. XV del voi, I.
(2) I tre volumi autografi, e una copia del 2." voi,, fatta eseguire dallo stesso
autore, sono in Trivulziana (Codd. 180-83). L'Ambrosiana possiede un volume
di Frammenti (P. 258, sup.) e una copia del 2." voi. (P, 276, sup).
(3) Porro, Della necessità di correggere il Corio, in (\uQst^ Archivio, IV, p. 852.
VARIETÀ 173
« giuria de' tempi andavano perendo e consumandosi, era ben ra-
« gione che si procurasse almen di conservar V opera di quegli
« auttori, che le attioni memorabili e gloriose de' nostri antenati
« avevano alla posterità trasmesso negli annali e componimenti
« loro. De' quali perché alcuni erano scritti, et altri seben alla stampa
a da principio furono dati, nondimeno per 1' antichità rarissimi si
« trovavano di presente, et erano in breve per smarrirsi a fatto,
« veneva raccordato per cosa sommamente convenevole e neces-
« saria al servizio e splendor publico il far una scelta delle più
u degne historie di Milano, e darle alla stampa a spese d' essa
« città, col deputar persone che di tal impresa prendessero parti-
« colar cura, e cercassero di effettuarla in quel miglior modo che
« fosse possibile » (/).
La Cameretta, « approvato e commendato » a unanimità il
" raccordo » del vicario, deliberò di affidare la cura della stampa
al dottore Paolo Ro, regio avvocato fiscale, con l'incarico di aggre-
garsi alquanti collaboratori. Il Ro, che nel 1622 era de' LX, scelse
nel seno di questo consesso tre colleghi di lavoro nelle persone del
marchese Giovanni Maria Visconte e de' conti Antonio Visconte e
Massimiliano Attendolo Bolognino. Ma costui mori presto, e il Ro,
distratto da altre cure, fu assente da Milano per più di due anni,
sicché il lavoro rimase in gran parte a carico degli altri due (2).
I delegati dal comune per la stampa delle storie si rivolsero
f^jnaturalmente alla nota tipografia regia e camerale de' Malatesta,
citata anche dal Manzoni, come quella alla quale, nel settembre del
1612, fu commessa da don Giovanni de Mendozza la stampa della
u solita grida, corretta ed accresciuta ad esterminio dei bra-
« vi » (3). I Malatesta furono una vera dinastia di tipografi, il cui
albero genealogico, con 1' elenco de' numerosi privilegi non senza
contrasto ottenuti, si conserva nell'Archivio storico civico di Mi-
lano (4), dove, con la cortese assistenza del dott. Ettore Verga, ho
senza fatica rintracciato i documenti inediti che formano l'appen-
dice di questo scritto.
Fu Melchiorre Malatesta quegli che fissò con la municipalità
di Milano i patti per l'edizione ufficiale degli storici cittadini; ma,
venuto egli a morte nel sessennio che trascorse fra la delibera-
(i) Arch. stor. civ., Dicasteri, Cameretta, e. 131.
(2) Ved. le relazioni premesse a' due volumi che della collana vennero alla luce.
(3) Promessi sposi, cap. I.
(4) Stampatori, e. 891.
174 VARIETÀ
zione della Cameretta e la pubblicazione del primo volume, l' im-
presa fu effettivamente compiuta da' suoi due figli ed eredi Gero-
lamo e Paolo Landolfo Malatesta. Nella supplica indirizzata ap-
punto da costoro al governatore di Milano nel 1628 (quando cioè
era imminente la pubblicazione del primo volume) per conseguire
il diritto di esclusività nella stampa e nelia vendita delle storie
milanesi edite e inedite, appare uno degli obblighi assunti da' con-
traenti, e cioè « che dalla città si mantenesse un correttore, et
« dall'impressore un altro ». Il Motta, a cui dobbiamo la pubblica-
zione di questo documento (i), dice che il correttore municipale
fu « evidentemente » quel G. A. Tassani, incaricato, come abbiara
detto, molti anni prima, di correggere il Corio; ma a noi questa
sembra una congettura arrischiata, perché, fra l'altro, crediamo
che i correttori di cui si fa parola nella supplica, dovessero com-
piere un ufficio assai più umile di quello per il quale il Vicario e
i XII di Provvisione avevano scritto direttamente al Tassani nel
1601 (2). I delegati stabilirono inoltre con i tipografi camerali il
formato dell'edizione, che fu fatta in folio, e fissarono, come ri-
sulta da' documenti che pubblichiamo, il prezzo d'ogni foglio di
stampa in L. 9, senza l'incisione e l'impressione de' rami.
Per quanto l'opera si dovesse compiere a cura e spese della
città, a' Malatesta non sfuggi il beneficio morale e materiale che a
loro ne sarebbe potuto venire, e però invocarono tutti i fulmini
della legge contro i concorrenti, che già cominciavano ad apparire
sul mercato librario milanese. Difatti la pubblicazione ufficiale delle
storie non era stata per anco intrapresa, che il tipografo Bidelli
nel 1625 dava alla luce i Rerum patriae lib. IV dì Andrea Alciato.
I Malatesta quindi: « perché non siano defraudati da qualche emuli
« et invidiosi », desiderano un « privilegio perpetuo, a fine che
u ninno lìbraro, né stampatore, né di qualsivoglia conditione, che
« non abbi causa de detti heredi possa stampare, né tener venali
« in questa città, né in qualsivoglia luogo del dominio di Milano i
u detti libri, né parte di quelli, sotto pena della perdita de' detti
« libri, che si troveranno o stampati o introdotti contro forma d'esso
a privilegio, e de scudi 500, ed altre pene arbitrarie » ecc., ecc. Il
governatore Gonzalo Fernandez de Cordova, di manzoniana me-
(i) E. Motta, Briciole bibliografiche, Como, 1893, pp. 36-7.
(2) Questi avrebbe dovuto rivedere la Storia del Corio « et correggerla de-
« gli errori che dentro vi sono sparsi et ridurla in stile più ornato e più con-
ce forme a' tempi », Ved. quest'' Archivio, IV, p. 854.
VARIETÀ 175
moria, « dal Campo sopra Casali, a' 15 maggio 1628 », concesse
il privilegio, ma limitò di molto le pretese de' fratelli Malatesta, ri-
ducendo la durata del diritto di esclusività a soli dieci anni, e i
500 scudi di multa a 100, quante volte però si fosse trattato di
u opera nuova et non più data in luce da altri ». Sicché il Bidelli,
avvalendosi di questa restrinzione, che lo metteva in grado di fare
la concorrenza a' tipografi camerali, l'anno appresso si accinse a
pubblicare, e pubblicò in un volume, che gareggia con le edizioni
malatestiane per il formato, i tipi, le incisioni, il De bello inussiano
di Galeazzo Capella, e le Historiae cisalpinae del Puteano. I Mala-
testa allora fecero buon viso a cattivo gioco: gelosi di conservare
la privativa di fornitori comunali, si accordarono col Bidelli, e, in-
cettata r edizione, riuscirono a venderla tutta intera al comune,
come se fosse stata fatta da loro, a L. 9 il foglio di stampa, oltre
la spesa per l'incisione e l'impressione di due rami (i).
Con la pubblicazione delle Historiae cisalpinae il Bidelli era
venuto ad attraversare il disegno de' delegati del comune, perché
questi le avevano comprese nel piano della collezione ufficiale (che
vogliamo ritenere incompleto, per giustificare, fra le altre omis-
sioni, quella gravissima del Corio) insieme con le Historiae insu-
bricae dello stesso Puteano, i dieci libri del Merula, il De rebus
gestis prò restitutione Francisci Sfortiae del Capella, le Vitae vi-
scontee del Giovio (v. doc. I), e due opere affatto inedite: i venti
libri di Tristano Calco e la Vita Philippi Mariae di P. C. Decembri.
Ma non tutti questi scritti ebbero la stessa sorte, perché la stampa
delia collana si arrestò a' due primi volumi, l'uno consacrato al
Calco, e l'altro al Merula, al Giovio e al Decembri.
Preparata la materia, e spinta a buon punto la composizione
tipografica, il delegato Giovanni Maria Visconti, che più degli altri
(i) Questi due rami sono i « ritratti del Medichino » e le a Imprese del
« Medichino » del doc. IV. Dal quale si rileva la eccessiva condiscendenza degli
amministratori verso i Malatesta, che facevano addebitare al comune (e il comune
pagava) parecchie spese di lavori eseguiti dall'incisore nel loro esclusivo interesse.
Difatti l'edizione di quattro operette del Bescapé, che vide la luce nel 1628, essi
la stamparono per loro conto, addossando al comune le spese de' frontespizi. Cosi
pure VEpitome Historiae Mediolanensis Tristani Calchi fu edita da' Malatesta nel
1627 (e non già senza anno, come dice il Predari, Bibliografia enciclopedica mi-
lanese, Milano, 1857, p. 126) per farne un presente a' signori P. Ro, G. M. Vi-
sconti, e A. Visconti; ma il comune pagò le spese delle incisioni, se non il re-
sto. Gli omaggi personali fatti col pubblico denaro non sono quindi una inven-
zione del sec. XX!
176 VARIETÀ
si spese per tradurre in atto la volontà del consiglio generale,
pensò di provvedere a' disegni e alle incisioni de' frontespizi, de' ri-
tratti e de' fregi necessari, perché 1' opera riuscisse degna del co-
mune milanese. I disegni, chi avrebbe saputo tracciarli meglio del
Cerano, nonostante la sua tarda età? La fama di Gio. Batta Cre-
spi, detto il Cerano dal nome del suo borgo natio, empiva allora di
sé tutto il dominio, e volava anche lontana. Reduce da Roma e da
Venezia, nelle cui scuole aveva studiato pittura, architettura e pla-
stica, egli si distinse sùbito a Milano, dove il cardinale Borromeo
gli commise un gran numero di opere, e lo chiamò a insegnar pit-
tura nell'accademia fondata da lui. 11 modello e la direzione de' la-
vori per il colosso di S. Carlo sopra Arona, le statue e le scul-
ture ornamentali compiute per le porte del Duomo lo avevano reso
da molto tempo popolare, quando G. M. Visconti si rivolse a lui,
settantenne, per l'illustrazione delle storie cittadine. Dev'essere in-
fatti del marchese Visconti una traccia di frontespizio (doc. II) de-
ferentemente inviata al Crespi nell'ottobre del 1627.
L'artista accettò di buon grado l'incarico, e disegnò non solo
il frontespizio e un'arma di Milano per il primo volume della col-
lezione, ma anche i frontespizi per VEpitome del Calco e per il
secondo volume, oltre i dodici ritratti de* Visconti inseriti nelle
Vitae del Giovio, i quali, pur non essendo firmati, non si possono
attribuire che a lui.
Questi disegni, notevoli tutti per il loro valore intrinseco, fu-
rono fra le ultime manifestazioni artistiche del Cerano, morto, com'è
noto, nel 1633, e meritano perciò di non essere trascurati dagli
studiosi dell'arte. Il frontespizio per il primo volume fu eseguito
scrupolosamente sulla traccia proposta da' delegati: in alto, l'arma
di Milano fra due figure simboleggianti la Virtù e la Gloria; sotto
r arma, la figura di Milano in veste di giovine guerriero, che ha
nella destra lo scettro e la corona, e nella sinistra altri simboli di
sovranità; a' lati, Marte e Mercurio; nella parte inferiore, una targa
rettangolare recante il titolo dell'opera contenuta nel volume (Tri-
stani I Calchi \ Medio lanen. \ Historiae \ patriae 1 libri \ XX) ^ fian-
cheggiata dalle personificazioni dell'Adda e del Ticino che ofi'rono
pesci alla città. L' « invenzione della machina », per dirla con la
frase ufficiale, cioè la composizione e la disposizione delle parti,
in questo frontespizio a tema troppo obbligato, è abbastanza felice;
il disegno rapido e senza smancerie nell'insieme, ha però un poco
di quell'ampollosità e quella pesantezza, specialmente ne' nudi, di
cui il Cerano non sempre si seppe liberare.
Più armonico forse, ma non men grave di elementi ornamen-
VARIETÀ 177
tali è il frontespizio disegnato per il secondo volume: in alto, lo
stemma de' Visconti sostenuto da due putti uscenti dalle bocche di
due angui attorti; sotto, una targa col titolo del libro (i), sorretta
da un' aquila e da due figure che sembrano l'Adda e il Mincio in-
catenati. La grande arma di Milano in mezzo a due putti, che tro-
vasi nel secondo foglio del primo volume, e il piccolo frontespizio
per V Epitome del Calco, costituito in gran parte da una targa col
titolo dell'opera, sormontata dall' insegna di Milano « con bam-
u bozzi », rivelano pure la mano esperta del Crespi, che non di-
sdegnò di firmare questi lavori di minor conto, come soleva : Cer-
ranus delin,
Cotesta sua buona consuetudine mi ha fatto dapprima dubi-
tare che i dodici ritratti anonimi de' Visconti non fossero opera
sua; ma, in séguito a un attento esame delle incisioni, ogni dubbio
è completamente scomparso. Ne' dodici ritratti tutte le eccellenti
qualità del Cerano appaiono armonizzate: la franchezza del dise-
gno, r eleganza del tocco, e, più di ogni altro, alcune caratteristi-
che botte di scuro ne' fondi, con le quali egli sapeva rendere ani-
mate e luminose le figure; mentre i suoi difetti di maniera e di
grazia affettata ritornano nelle cornici, che chiudono i ritratti con
motivi ornamentali ricordanti l'autore de' frontespizi.
D'altronde non si saprebbe spiegare perché mai il comune, con
imperdonabile e irriverente leggerezza, pensasse di affidare al Ce-
rano la sola parte decorativa dell'edizione, e a un anonimo la parte
veramente artistica; e come mai il Cerano, lungi dall'adontarsene,
accettasse di buon grado la parziale e modesta commissione con-
feritagli. Ma su questi ritratti viscontei del Crespi, e in genere su
tutti quelli che servirono ad illustrare le diverse edizioni delle
Vitae del Giovio, io mi propongo di parlare un' altra volta, men
rapidamente, rilevando parecchie inesattezze nelle quali si è in-
corsi finora (2).
(i) Questo frontespizio fu adoperato due volte nel secondo volume; prima
col titolo: Georgi Merulae Alexandrini antìquitatis Vicecotnitum libri X, e poi con
l'altro: Duodecim Vicecomitum Mediolani Principum Vitae auctore Paolo Jovio
Episcopo Nucerino. La Vita Ph. Mariae del Decembri fu stampata in fondo a
questo stesso volume senza frontespizio.
(2) Il D'Adda, per dirne una, nelle sue Indagini storiche, artistiche e biblio-
grafiche sulla libreria visconteo-sfor^esca di Pavia, Milano, 1875, p. XLIX, chiama
il ritratto di Filippo Maria Visconti, contenuto nell' edizione pari^na del 1 549
delle Vitae di P. Giovio, esatta riproduzione della nota medaglia di Vittore Pi-
sano, che in verità è tutt'altra cosa.
Arch. Star. Lomb., Anno XXXII. Fase. V. 12
178 VARIETÀ
Il marchese G. M. Visconti, ottenuti i disegni dal Crespi, ne
commise l' incisione a Cesare Bassano, uno de' migliori bulini del
seicento. Della precisione e dell' eleganza di quest' artefice si po-
trebbe convincere sùbito anche un profano, raffrontando il nitido
frontespizio che egli incise per 1' edizione del Calco, con quello
sciatto e sgarbato che suU' identico disegno esegui nel 1644 un
L. P. Bianco per il Theatrum mediolanense di Salvatore Vitale.
Il lavoro di preparazione, il disegno, l'incisione, l'impressione
de' rami e la stampa del testo non richiesero meno di cinque anni;
e quindi solo nell'adunanza camerale del dicembre 1627 il vicario
dottor Fabio Dugnani potè comunicare a' signori LX « che in cou-
rt formità di quello che fu stabilito a gli anni passati circa il dar
« alla stampa le Historie di Milano, i sigg. Delegati a tal impresa
« non havevano mancato d'ogni cura e diligenza possibile, e che
« finalmente s'era stampato Tristano Calco nella forma che si po-
« teva vedere dal libro quivi essibito, di cui doppo le feste si man-
« derebbe copia a ciascuno di loro sigg., e che tuttavia da i me-
« desimi sigg. Delegati si proseguirebbe il rimanente dell'impresa,
« col procurare che si mandino in luce l'altre bistorie » (i). Ma il
libro non fu effettivamente pubblicato che dopo il maggio del 1628,
come si deduce dalla Summa privilegii che trovasi a tergo del se-
condo frontespizio, e che altro non è se non la parte essenziale del
documento edito dal Motta, redatta in latino.
Non risulta dagli atti che il Vicario annunciasse egualmente la
compiuta stampa del secondo volume, il quale però dovette veder
a luce nel 1630, nonostante che la relazione premessavi da' delegati
rechi la data de' 13 agosto 1629. Difatti a'ia fine delle Vitae vi-
scontee si legge: « Mediolani. Apud her. Melchioris Malatestae Im-
pressores Reg. Due. et Civit. M. DCXXX ».
Dopo quest'anno, la collana non ebbe più séguito, almeno nella
forma e con gl'intenti iniziali. Il comune e i delegati per esso mi-
sero da parte le storie degli scrittori passati a miglior vita, e si mostra-
rono solleciti esclusivamente de' vivi, ora incoraggiandone l'opera
con l'acquisto di molti esemplari (v. doc. VI), ora assumendosi in
tutto o in parte le spese di stampa (2), ma più specialmente isti-
tuendo la carica di storiografo municipale, che primo occupò il Ri-
pamonti nel 1635. Cosi che i delegati non si dissero come una volta
(i) Arch. stor. civ., Dicasteri^ Cameretta, e. 132.
(2) Ved. nell'Arch. stor. civ. gli atti della Cameretta sotto le seguenti date:
24 novembre, 1639; 3° dicembre, 1649; ^ aprile, i^joj 30 dicembre, 1654; 24
gennaio, 1656.
I
VARIETÀ 179
« per la stampa », ma « sopra il far scrivere le storie di questa pa-
« tria w (t); e alla carica di storiografo aspirarono spesso più cac-
ciatori d'impieghi, che persone degne dell'ufficio. La ressa fu
tale nel 1645, che il comune incaricò il signor Gerolamo Legnano
e il marchese Vercellino M. Visconti di assumere le dovute infor-
mazioni « sopra il concorso de' soggetti pretendenti di continuare
« la storia di Milano » (2).
Una vera appendice a' due volumi pubblicati tra il '28 e il '30
vide la luce quattordici anni dopo, sotto il vicariato di Giulio Du-
gnano, fratello di quel Fabio Dugnano che nel 1627 aveva tenuto
a battesimo l' impresa del comune, e fu la raccolta de' Residua di
Tristano Calco (3), tratti per opera del Puricelli da un codice pos-
seduto da L. A. Cotta, e preventivamente esaminato dal Legnano
e dal Visconti summentovati. Tutte le altre pubblicazioni storiche
ufficiali e semi-ufficiali che furon fatte poi, non si possono consi-
derare come atti esecutivi della deliberazione presa dalla Cameretta
il 6 settembre del 1622, perché non rispondono allo spirito, diciamo
COSI, di conservazione, e non di produzione, che l'aveva informata.
Prima di chiudere però questi appunti bibliografici, possiamo
rivolgerci due domande: Quanto costò la stampa de' due volumi
alla municipalità di Milano? Il denaro fu bene speso?
I documenti che pubblichiamo, e che forse non riusciranno
inutili per la storia economica delle arti grafiche, ci consentono di
rispondere facilmente alla prima domanda. 11 comune spese per la
stampa de' 248 fogli che compongono i due volumi (4) L. 2232, e
per l'incisione e l'impressione de' rami altre L. 1758; in tutto
L. 3990; e poiché di ciascun volume si tirarono 250 copie, ogni
copia venne a costare quasi L. 8 (5). Occorrerebbe conoscere il
(1) Cameretta, 5 aprile, 1653.
(2) Ibid., 23 dicembre, 1645.
(•{) Tkisiami Chalci mediolanensfs historioeraphi Residua e Bihliotheca Pa-
tricij Nobilissimi Ludi Hadriani Cottae, nunc primo prodeunt in Iticem, studio et
opera Joannis Pe tri Puricelli, Sacrae Theol. Doctoris et Laurentianae Basilicae
Archipresbyterij qui suos etiam iìlis Indices et Epitomas adiecit. Mediolani, apud
Ioannem-Baptistam et lulium-Caesarem fratres Malatestas, Regio- Camerales et Ci-
vitatis Typographos, MDCXLIV, in f., pp. 120.
(4) Le pagine stampate sono 471-I-8 n. n. nel i.° voi., e 326 1 139-1-40+3
n, n. nel 2.°; le rimanenti sono bianche.
(5) In questa cifra non é compreso però il valore de' disegni di G. B. Cre-
spi, che non sappiamo se, e in qual misura fu ricompensato ; né il prezzo de'
libri a stampa e manoscritti, di cui si servirono i tipografi, che ci è noto solo
in parte (ved. doc. I).
l8o VARIETÀ
prezzo della mano d'opera, della carta, e moltissimi altri elementi
d'indole economica per poter giustamente valutare queste cifre;
però, data l'ingordigia de' Malatesta, non crediamo di apporci male
ritenendo che a uno speculatore accorto l'impresa sarebbe costata
molto di meno.
Infine, se spese troppo, spese bene il comune? Non vorremmo
esser tacciati di severità verso i delegati preposti all' esecuzione
dell'opera; è un fatto però che essi non presero nessuna elemen-
tare cautela nella scelta e nella revisione de' testi. Certo, da due
valentuomini del secolo XVII, orecchianti di studi storici e lette-
rari, non si potrebbe pretendere ciò che oggi dicesi un' edizione
critica, ma un tantino di circospezione, di prudenza e di diligenza,
si. Essi invece buttarono nelle mani de' tipografi il primo Giovio
o il primo Decembri che capitò loro fra' piedi, senza dar nem-
meno un' occhiata al nome dell' editore o dell' amanuense. Si che,
per esempio, la lezione della Vita Philippi Mariae edita dal co-
mune, è talmente guasta, da non poter reggere il confronto con
nessuno de' codici che dell' opera di P. C. Decembri sono a mia
conoscenza. Eppure uno di questi, il Trivulziano 1273, è dovuto a
Giovan Giacomo Chiesa, noto copista milanese, e, per giunta, se-
gretario, come suo padre, della municipalità di Milano (i); il quale
lo trascrisse proprio nel 1625, quando cioè l'edizione affidata a' de-
legati non aveva ancor visto la luce.
Giuseppe Petraglione.
(i) Ved. Teatro genealogico delle famiglie illustri e cittadine di Milano, ms.
Trivulziano, fondo Belgioioso, non ancora collocato.
VARIETÀ
l8l
DOCUMENTI
(Archivio storico civico di Milano, Storici milanesi).
I.
1628^ A di II agosto.
Communità de Milano deve dare per V infrascritti libri :
Dati al Sig.
Sen.re Ro
in occa-
sione del-
le Histo-
' rie che si
dovevano
stampare
Hist. di Giorgio Merola in fol. datta che
hanno adoperata per copia da fare
ristampare L. 24
Hist. Cesaip'tna del Puteano, in 4° . . . „ 6
Hist. Insubria del Pateano, in 8°. . . . „ 4:10
Hist. Galeatij Capette de Restitut. Francisci
Sfortiae Mediolani Ducis, in 8° . . . „ 3
Vite Illustrium Virorunt Pauli Jovij cum
figuris in fol. allemagna speso . .
» 24
(0
L. 1155:17:6
E più deve dare n. 250 Vita Philippi Mariae Vicecomes (sic)
Mediolani Ducis è fogli undeci a L. 9 il foglio . . L.
99
L. 1254:17:6
E più n. 250 Hist. Cesalpina Puteano, fol. 22 a L. 9 ii
folio L. 198
L. 1452:17:6
Si detrano dalla suddetta lista centonovanta due e soldi
due . . L. 192: 2
Resta in L. 1260:15:6
Gio. Batta Arcimboldo, Delegato.
(i) Omettiamo, perché estranei al nostro argomento, i titoli de' non pochi
altri libri, in gran parte riguardanti la peste, forniti da' Malatesta al comune
sino a' 27 gennaio del 1632.
l82 VARIETÀ
li.
Al Sig.f Gio. Baila Crespi Cerrano.
I principali soggetti che si desiderano sulla prospettiva de* libri delle
Historie di Milano sono questi :
Nella parte superiore TArma della Città fra due figure rappresen-
tanti runa la Virtù e l'altra la Gloria.
Milano in figura di giovane robusto nella forma che V. S. giudi-
cherà, havuto quel riguardo che le parerà alle descrittioni 'di lui fatte
in occasione delle venute et essequie Reali.
Ai lati di Milano due figure, l'una di Marte e Taltra di Mercurio.
Nella parte inferiore, due fiumi, il Ticino e TAdda.
Nel rimanente e quanto all' inventione della Machina, alla disposi-
zione delle figure, a gli abiti, e simboli loro, a i trofFei^ et ogni altro
ornamento, il tutto si rimette al giudicio et al valore di V. S., bastando
haverle accennato questo poco, piuttosto per soddisfattione di lei, che
bisogno dell'opera. Nostro Signore conservi e felici[ti] V. S. come de-
sidera.
Milano, li 2'j ottobre i62y.
III.
i6j2, Alti 7 maggio.
Intagli fatti in rame da Cesare Bassani per le Historie di Milano
stampate sin a questo giorno di ordine de' SS." Delegati dal Consiglio
Generale de'- SS." LX per li quali intagli si è accordato e stabilito il
prezzo col detto Bassani nelle somme infrascritte dal Sig/ Marchese
Gio. Maria Visconti uno di essi Sig." Delegati.
L'intaglio della prospettiva ééiV Historia ài Tristano Calco, scudi
trentacinque D. 35
L'Intaglio deìVHistoria di Giorgio Merula, e delle Vite de' XII
Prencipi Visconti, scudi trentacinque w 35
Un'arma grande della Città con bambozzi che sostengono la co-
rona e diversi trofei di libri et armi, scudi undeci . . . . „ 11
Un'altra arma mezana con gl'istessi bambozzi, scudi otto. . . „ 8
Un'altra arma con diversi trofei pendenti, scudi sette . . . . „ 7
Due armette della Città piccole scudi sei „ 6
Da riportarsi D. 102
i
VARIETÀ 183
Riporto D. 102
Quattordeci ritratti con suoi ornamenti attorno, cioè dei XII Prin-
cipi Visconti, de' quali uno si è fatto due volte, et uno di Gio.
Jacopo Medici nell' Historia De Bello Mediceo, a ragione di
scudi nove per ciascuno, sono in tutto scudi cento ventisei. D, 126
Una impresa del detto Medici, scudi tre „ 3
Intaglio posto a gli epitomi di Tristano Calco, scudi sei ... „ 6
Nei suddetti prezzi si è avuto riguardo alli intagli fatti
di alcune delle suddette Armi della Città.
E per le spese fatte nella stampatura di tutti i suddetti Intagli,
come per la lista a parte in somma di Lire trecento trenta
sei, che sono », 56
D. 293
Sono in tutto scudi ducento novanta tre, che fanno lire mille set-
tecento cinquantotto.
Gio. M. Visconti.
IV.
NOTTA DELLE SPESE FATTE DA CeSARE BaSSANO PER FAR
STAMPARE GLI InTAGLIJ FATTI PER LA CiTTÀ.
Per la stampatura di 250 principij del Tristano Calco a
L. 4 il cento L. io, ss. —
Per la stampatura de 400 armi della Città con li duoi
puttini a L. 4 il cento „ 16, ss. —
Per la stampatura de 400 principij dell'epitome a L. 4 il
cento ^^ 16, ss. —
Per la stampatura de 250 principij del Bascapé a L. 4 il
cento „ IO, ss. —
Per la stampatura de 250 ritratti del Medichino . . . . „ io, ss. —
Per la stampatura de 250 imprese del Medichino . . . „ io, ss. —
Per la stampatura de 250 armi con li duoi puttini . . . „ io, ss. —
Per la stampatura d'altre 250 armi con li duoi puttini . „ io, ss. —
Per la stampatura di 400 armette della Città per porre
sopra le liste de SS." Sessanta . „ 16, ss. —
Per averli consignato cop. 250 Monti Etna a ss. cinque
l'uno „ 62, ss. IO
Da riportarsi L. 170 ss. io
184 VARIETÀ
^
Riporto L. 170 ss. IO
Per la stampatura de 150 armi nel principio del Roccona
delle pubbliche allegrezze L. 6, ss.
Per la stampatura de 250 principij di Giorgio Merula. . „ io, ss.
Per la stampatura delli dodeci Visconti havendone fatto
stampare cop. 250 per sorte, che in tutto fanno la
somma di retratti 3000 a L. 4 il cento „ 120, ss.
Per 250 principij dell'opera de 12 Visconti » io, ss.
Per 250 principij di un altro libro del Basgapé . . . . „ io, ss.
Per 250 principij di un altro libro del Basgapé . . . . „ io, ss.
L. 336, ss. IO
Gio. M. Visconti.
V.
Ordine a favore di Cesare Bassani Intagliatore in rame.
i6}2^ Alli X maggio,
I Sig." Gio. Batta Rainoldi Vicario di Provvisione e Conservatori
del Patrimonio della Città di Milano, congregati etc.
Vista la nota degl'Intagli fatti in rame da Cesare Bassani per le
Historie di questa Città di ordine de SS." Delegati fatte stampare in
essecutione dell'ordinatione de' SS." LX del Consiglio generale delli
6 Settembre 1622, con la quale fu stabilito che si facessero stampare
quelle Historie di Milano cosi manoscritte che già stampate altre volte,
che fossero parse degne della stampa. I quali Intagli sono poi stati ac-
cordati dal Sig. Marchese Gio. Maria Visconti, uno de suddetti Sig." De-
putati, in scudi ducento novanta tre, da lire sei per scudo in tutto, com-
putata la spesa di fargli stampare, come distintamente si vede dalla
lista del tenore che segue.
Hanno ordinato che si spedisca un mandato al Tesoriere della Città,
che paghi al suddetto Bassani Lire novecento cinquanta tre Imperiali,
le quali, computate altre lire ottocento cinque, già pagategli a buon
conto in diverse partite, fanno il saldo et intiero pagamento delli sud-
detti scudi 293, che importano gl'intagh e le stampe loro contenute nella
lista di sopra inserta.
Raynoldus v[icarius] Cesare Visconte
Meltius Giov. Batta Arcim[bol]do
H[iERONiMus] ADv[ocArus] Carlo Visconte.
VARIETÀ 185
VI.
i6jOj Lunedi a gli XI febr.o la sera.
Congregati i Sig." Francesco Landreani Vicario di Provvisione e
Conservatori del Patrimonio della Città di Milano nel loro Tribunale etc.
Propose il S.r Vicario, che il S.r Senatore Re, al quale da SS." LX
fu raccomandata la cura dell'impressione delle Historie di Milano, haveva
fatto ufficio ed istanza con Ericio Puteani Historico Regio e già publico
lettore in questa Città, che adesso dimora in Lovanio, acciò finisse e
dassi alla stampa THistoria deirinsubria.
Il che avendo egli fatto, era parso al medemo S.'" Senatore, che per
trattarsi nell'opera di molte cose appartenenti alla Città e provincia
nostra, e per essere uscita da persona di quel valore e forma, che è il
Puteani, fossi bene, che di là se ne mandasser cento copie, parte per
dare a' SS." LX, e parte per riporsi nell'Archivio. E però aveva voluto
darne parte a lor signori, acciò fossero serviti dar ordine che si sbor-
sassero ducente scudi, che tanto importa il prezzo e costo d'essi libri.
Sopra di che hanno stabilito che il negozio si rimetti ad esso Sig. Se-
natore, et a' SS." Marchese Gio. Maria Visconti e Co. Antonio Visconti,
che insieme hanno questa Impresa, acciò proveggano come loro parerà
con auttorità di far pagare il danaro richiesto.
F. Landrianus
Meltius
Gio. Pietro Negroli (?)
Odoardo Croce
Antonio Rainoldi.
BIBLIOGRAFIA
D. Johann Graus, S. Maria im Ahrenkleid und die Madonna cum cohazono
vom Mailander Dom (La Vergine dall'abito a spighe eia Madonna
del Coazzone del Duomo di Milano), estratto dal Kirchenschmuck^
Graz, 1904, pp. 20.
Il titolo stesso dell' opuscolo mostra come l'argomento abbia inte-
resse anche pei milanesi; infatti si tratta della relazione tra una serie
di rappresentanze tedesche della Vergine sotto sembianze assai singo-
lari e una statua del nostro Duomo, ora nel Museo del Castello, che
offre le medesime caratteristiche. Tali rappresentanze l'A. aveva già
studiato in alcuni articoli del Kirchenschmuck; qui egli riassume la que-
stione e cerca risolverla col sussidio di nuovi elementi e traendo par-
tito dagli articoli del Sant'Ambrogio sull'argomento pubblicati néìì'Arte
e Storia, nella Rivista pavese di scienze storiche e nella Lega Lombarda.
L'opuscolo è corredato di parecchie buone illustrazioni.
Queste singolari raffigurazioni della " Vergine dell'abito a spighe „,
sparse in numero di trenta circa, in Baviera, a Salzburg e in Tirolo,
di cui la pila antica risale al 1400 circa, hanno per caratteristica comune,
salvo lievi varianti : l'aspetto giovanile, le mani giunte in atto di pre-
ghiera, le lunghe chiome sciolte scendenti fin quasi alle ginocchia, la
veste seminata di spighe e stretta alla cintura da un nastro, di cui un
lembo scende sul davanti fino a terra, e un raggiante intorno al collo.
Alcune di esse portano un'iscrizione in cui si dice che l'immagine rap-
presenta la Vergine prima delle sue nozze e che è dipinta anche nel
Duomo di Milano, oppure in una città " Olana „ , " Osana „ o " Osan-
na „ nello stato di Milano. Ciò aveva dapprima fatto sperare all'A. di
poter trovare una traccia dell'originale a Milano o a Olona (Corte Olona,
Castiglione Olona), ma le sue ricerche riuscirono vane, finché ebbe no-
tizia d'una statua, proveniente dal Duomo e ora nel Museo del Castello,
raffigurante una Vergine assai simile a quella in questione e giudicata
dal Sant'Ambrogio il ritratto della duchessa Caterina Visconti, moglie
di Gian Galeazzo, la quale è costantemente ritratta coU'abito a spighe
e la radia araldica al collo.
BIBLIOGRAFIA X87
L'A. crede invece che la presenza del motto biblico " Electa ut sol,
" pulchra ut luna „, letto dal Sant'Ambrogio sul nastro infranto della
statua (el....t luna) basti a rivelarla per un'immagine di Maria Vergine,
e ne rileva la perfetta rispondenza colle rappresentanze tedesche, e
insieme certe differenze, per cui quelle non possono esserne copie
I; dirette.
Infatti dagli Annali del Duomo, si ricava la notizia di un'antica
immagine d'argento della Madonna del Coazzone, assai venerata dai
*f tedeschi, sostituita poi da un dipinto di Cristoforo De Motti nel 1466
.td infine da una statua di Pietro Antonio Salari nel 1485, la quale sa-
prebbe, secondo il Sant'Ambrogio, quella appunto del Castello.
L'A. nota che la denominazione antica di " Madonna del Coazzone „
caratterizza assai meglio le rappresentazioni tedesche della Vergine
che non le altre caratteristiche, dell' abito a spighe, ecc., e condivide
l'opinione del Sant'Ambrogio che quelle siano derivate dal dipinto del
De Motti del 1466.
Abolito poi da San Carlo il culto della " Madonna del Coazzone „,
la statua fu tolta dall'altare e deposta nei magazzeni della Fabbrica;
così se ne spense non solo la divozione, ma anche il ricordo, mentre
sopravvisse tra i tedeschi e vi si diffuse mediante numerose riprodu-
zioni. Neir^/Zas Marianus di Gumppenberg del 1673 si parla d'una
celebre e miracolosa immagine della Vergine nel Duomo di Milano,
per la quale Gian Galeazzo avrebbe fondato una nuova cattedrale.
Nelle iscrizioni di due rappresentanze di Budweis e di Salzburg
si legge, tra altri miracoli, quello della rosa bianca colta dalla duchessa
di Milano davanti all'immagine della Vergine e portata nel suo palazzo,
ma riapparsa al mattino seguente al luogo primitivo. Riguardo alla
caratteristica dell'abito a spighe, l'A. la fa derivare col Sant'Ambrogio
da quello della duchessa Caterina, quale appare sempre, senza ecce-
zione, nei ritratti che ce ne rimangono nella^Certosa di Pavia, fondata
per voto fatto da lei avanti il parto del secondo figlio, Filippo Maria ;
per gratitudine alla Vergine, che aveva esaudito il suo voto e verso
la quale aveva una speciale devozione, di cui son parecchie e signifi-
canti le prove, la duchessa avrebbe adottato per sé l'abito col simbolo
della fecondazione e fatto rappresentare con tale abito la Vergine stessa:
tale intima relazione tra la persona della duchessa e l'originale delle
rappresentanze tedesche sarebbe confermata anche dalla leggenda della
rosa bianca e dalla radia ducale intorno al collo della Vergine, divisa
per la quale l'A. conclude col ritenere un'istituzione dei Visconti l'ori-
ginale perduto della u Madonna del Coazzone „ e come data del mede-
simo la fine del XIV secolo.
Arturo Frova.
l88 BIBLIOGRAFIA
Enrico Casanova, Dizionario feudale delle Provincie componenti Vantico
stato di Milano air epoca della cessazione del sistema fendale {Ducato
di Milano, principato di Pavia di qua dal Po, contado di Como, con-
tado di Cremona, contado di Lodi) — {i796\ — Firenze, stab. tip.
- Giuseppe Civelli, 1904, in-8, pp. xii-124.
Nelle vecchie biblioteche familiari milanesi si possono tuttora rin-
tracciare parecchi volumoni, per lo più rilegati in pergamena, e che
portano od il titolo significativo di Nobiltà smascherata, come il più noto
di essi, od altro consimile. Queste pubblicazioni, che circolarono, più o
meno discretamente, manoscritte, rimontavano, ove si voglia ricercarne
Torigine, alle pazienti investigazioni di qualche patrizio autentico, un
po' schizzinoso ed un po' burlone, come quel Pusterla che è ritenuto
autore del più reputato di tali lavori. Essi ebbero, e possono avere
tuttora, un certo sapore di scandalo col semplice raccontare fatti sicuri
naturalissimi, neppur disonorevoli, ma così rapidamente e forse voluta-
mente posti in oblio! Non si contentavano di porre in chiaro la sepa-
razione genetica fra i Crivelli, antichissima prosapia milanese, ancor
oggi superstite in tre rami, ed i nuovi Crivelli del Lago Maggiore, o di
lumeggiare altre notizie storiche quasi volgari. Ma, in un' epoca, che
dallo spagnolismo derivava i funesti pregiudizi contro i commerci, un
tempo vanto della nostra nobiltà, ed in contrapposizione ai genealogisti
adulatori o falsari, si compiacevano di rievocare le umili professioni dei
prossimi ascendenti di molti titolati contemporanei. Senza troppo adden-
trarsi nell'esame di tali lavori, sarà agevole il constatare come la cosi
detta " nobiltà diplomatica „ ne abbia fatte costantemente le spese.
La bufera rivoluzionaria eguagliatrice e, forse in un grado ancor
maggiore, il carattere esotico, che volle, questa volta, assumere il regime
austriaco alla restaurazione del 1814, cancellarono dalle leggi e quasi
dai costumi ogni vetusta distinzione fra i membri della nobiltà lombarda
ammessi agli onori di corte. Appena sopravissero, né si potrebbero an-
cora affermare scomparse, talune diffidenze ed una certa riserva verso
i maggiori finanzieri della fine del settecento, celebri per le loro ric-
chezze conseguite colle " ferme „. Ma, ancora all'agonia dell'antico re-
gime, e, per essere precisi, ai ricevimenti della corte arciducale di Milano
nell'inverno del 1796, vigevano le norme rigorose in odio ai nobili di-
plomatici. Là dove gli alti magistrati ed i canonici delle maggiori col-
legiate erano accolti senza riguardo alla loro nascita, i nobili diploma-
tici potevano entrare, ma come semplici spettatori, poiché era loro
vietato giocare, ballare e sedere, e le loro mogli, fossero pur discese
da schiatte di nobiltà " generosa „, perdevano il diritto di essere rice-
vute a corte. E vi è memoria di laboriosissime pratiche che furono
imposte alla discendente d'una delle più chiare famiglie del patriziato
civico per poter continuare ad essere ricevuta a palazzo dopo il suo
matrimonio con un semplice.... feudatario.
BIBLIOGRAFIA 189
Parole queste che sembrerebbero incomprensibili in altri paesi che
posero il possesso di un feudo quale criterio precipuo delle distinzioni
araldiche. Invece l'egemonia del patriziato cittadino di fronte ad ogni
altra classe privilegiata fu vittoriosamente affermata in Milano durante
lunghi secoli, e per avventura i maggiori della sua storia, quelli di cui
permangono più dirette la ripercussione, la traccia nella nostra vita
moderna. Non si deve, per altro, dimenticare che dalla nobiltà diploma-
tica delle epoche tarde, che comperava i feudi dalla Regia Camera, e
presentava quindi le caratteristiche, sempre poco pregiate da noi, di
un'origine prettamente censitaria e di un conferimento d'un potere so-
I vrano straniero, era ben diversa la feudalità più antica.
Non occorre neppur risalire alle più remote investiture, affini a
quelle inglesi che ci diedero il germe delle libertà parlamentari, così
ìonfigurate, che i feudi si perdevano ove i vassalli non intervenissero
Ralla Dieta. (Secondo si legge per esempio in Ottone di Frisinga). Dopo
i capitani costretti a patto nel duecento coi patrizi cittadini, vennero i
gentiluomini investiti dai Vicari imperiali indigeni, dai nostri illustri
\. principi, i Visconti e gli Sforza. Vi è una profonda differenza, non solo
fj fra i poteri affidati fin dall'alto medio evo ai da Carcano ed ai conti
|di Biandrate e quelli derivati per esempio agli Arbona dall'acquisto
dei 105 fuochi di Agrate per rogito notarile, ma anche fra l'investitura
i del feudo di Sant'Angelo concessa dal duca Francesco I al castellano
u Attendolo Bolognini e tante altre del periodo spagnuolo, nelle quali
campeggia, per usare la frase del C, " la vendita degli effetti camerali
" alienabili „.
Pare a chi scrive che in tanta trasformazione d'istituti e di costumi
il significato del feudo siasi venuto alterando così da non rimanere
costanti che alcuni elementi della figura giuridica ed il nome. Ora, il
Dizionario feudale, lavoro accurato e prezioso del compianto Enrico
Casanova, basato sopratutto sulle scritture che rimangono più ampie e
numerose per i tempi recenti, di maggiore rilevanza per il fisco, con-
sidera tutte quante le investiture dello Stato di Milano, ma in molto
maggior numero quelle di età tarda. E la demarcazione non è nep-
pure tentata fra i feudi di diverso tipo, fatta eccezione di quelli impe-
riali, che in numero di tre sono mandati innanzi alla serie degli altri.
Sarebbe d'altro canto ingiusto ed avventato il muoverne censura al-
l'autore, ove si ponga mente al carattere frammentario di quest'opera,
che viene, pur troppo, postuma alla luce. Altri lavori dovevano seguire
nel pensiero del valente studioso e tali da ricevere dal criterio crono-
logico una maggiore chiarezza nella disposizione dei feudi. Così come
è, il diligentissimo Dizionario feudale segna un gran progresso in con-
fronto al passato, quando dovevamo contentarci di vecchi cataloghi
sparsi negli archivi. Si paragonino l'elenco del Benalio (i) od il breve
(i) Elenchui familiarum in Mediolani dominio feudis, iurisdictionihus iituli-
sqiie insignium (17 14).
190 BIBLIOGRAFIA
catalogo dei titolati che non giunge oltre l'epoca spagnuola ed è Tunico
accenno di tal natura che si possa rintracciare nel volume del Calvi
intorno al patriziato milanese, e le colonne fitte di notizie, di riferimenti
ad innumerevoli atti notarili, che costituiscono quest'opera. Ha per og-
getto precipuo quella serie copiosa di feudi che la regia camera disse-
minò per tutto il milanese negli ultimi due secoli dell'antico regime. In
proposito noi abbiamo qui una vera miniera, utile, indispensabile ad
ogni ricerca che vi si connetta. Ma ho già detto come non siano deli-
beratamente omessi dal C. i richiami ad un tempo più antico, anche se
possano parere scarsi al nostro desiderio. Per verità l'introduzione,
molto succinta ed al tempo stesso notevole per un abbozzo di storia
del feudo, tace delle fonti a cui furono attinti gli elementi del ponde-
roso lavoro ; e non possiamo sapere, solo in parte intuire nella defi-
cienza di indicazioni altrettanto precise, la cagione per la quale i feudi
più antichi sieno stati dunque meno sistematicamente studiati. Piuttosto
un altro motivo ci appare derivante dal disegno di un lavoro che, non
privo di qualche scopo pratico attuale, ha in vista specialmente lo stato
dei feudi alla vigilia della morte dell'istituto. È fatto cenno di terre ri-
tornate al demanio prima della rivoluzione, ma generalmente non sem-
bra si siano elencate quelle comunità che, astrette a vincolo feudale in
altri tempi, non lo siano più state alla fine dell'antico regime. Sarebbe
ozioso che io qui insistessi nell'espressione del vivo rammarico per
questi limiti cronologici del lavoro. Quanto a quelli di spazio, fissati
dall'autore stesso al principio dell' introduzione, anche qui ci sia con-
cesso dolerci di non aver incontrato una maggiore larghezza. Le ces-
sioni delle pingui terre d'oltre Po e d'oltre Ticino alla monarchia sa-
bauda avvennero così tardi, nell' ultimo secolo dell' antico regime, che
la loro storia è tutta lombarda ed istintivamente si corre al dizionario
per cercarvi taluno, di quei " numerosissimi feudi „ , secondo riconosce
lo stesso Casanova, che però ci rimanda genericamente ai lavori del
barone A. Manno sul patriziato subalpino, opera preziosa, che nulla
però avrebbe perduto ad essere alcun poco accompagnata per via dalla
degna sorella. Non solo invece le ragioni pratiche connesse colla ripar-
tizione del lavoro delle nostre commissioni araldiche, ma anche la se-
parazione secolare giustificano l'esclusione decisa dal C. per i feudi della
terraferma veneta poi divenuta lombarda. Sta bene d'altra parte che
nel mantovano non si riscontrassero che alcuni feudi imperiali; pre-
scindendo dalla questione dei beni di casa Zanini da molti ritenuti sem- m
plicemente enfiteutici; nondimeno perchè tacerli quando si parla di '
Maccagno e di Retegno ? I rami secondari dei Gonzaga meritavano di
stare accanto ai Mandelli, ai Borromeo ed ai Trivulzio, e sarebbero
anzi state preziose notizie sistematiche intorno a quegli staterelli. Se si
vuole poi por mente alla condizione attuale delle circoscrizioni araldiche,
i feudi mantovani avrebbero dovuto, parmi, aver posto nell'elenco degli
altri di Lombardia. Né avrebbero potuto mancare quelli della Valtel-
lina che non si sa altrimenti come elencare. Il C. accenna alla scarsa
BIBLIOGRAFIA I9I
fioritura feudale di quelle montagne. E sia ; non si contendano, neppur
nel ramo di Zizers divenuto cosi italiano, i Salis ai nativi Grigioni, ma
come cancellare dalla nostra storia l'importante e vetusto feudo di Chia-
venna e quelli di Mazzo e di Villa, nerbo della potenza dei Venosta ?
E poiché sono a parlare della ripartizione topografica, mi sia concesso
di additare il grandissimo vantaggio che verrebbe a lavori come questo
da una carta che ritraesse con suggestiva evidenza la collocazione e
Testensione dei feudi. Il Darmstàdter ne unì al suo interessante vo-
lume (i), per molti lati affine a quello che abbiamo alle mani, intorno
al Reichsgut nella Lombardia.
Apparirebbero meglio allora le notevolissime disuguaglianze per
ciò che riguarda l'ampiezza dei feudi che sono fra le constatazioni che
prime si impongono a chi esamina con ordine e con cura il libro di
cui discorriamo. L'A. richiama l'attenzione dello studioso sui beni feu-
dali estesissimi dei Gavazzi alla Somaglia e degli Attendolo-Bolognini
a Sant'Angelo. Entrambi questi feudi furono fra i più antichi dei super-
stiti sino alla fine del regime. Nicorolo Gavazza ebbe l'investitura della
Somaglia e terre annesse da Bernabò Visconti il io luglio 1371. Nel
corso del secolo seguente i beni feudali della Somaglia furono tempo-
raneamente perduti per i Gavazzi, sui quali era scesa la vendetta del
duca Filippo Maria, che li riteneva complici del ribelle Gabrino Fondulo.
Allora la Somaglia mutò in breve tempo molti, e tutti illustri signori,
dei quali fu il Garmagnola ed ultimo Nicolò Piccinino, quando Filippo
Maria, come narra il Godo " quasi li havea dato tutto il Governo de
" la Republica „. Ma i Gavazzi, strettisi con Francesco Sforza, ripresero
colle armi il loro feudo sì che, pur essendo tanto mutati i tempi e la
forma e la ragione del possesso, si può dire che se lo tengono oggi
ancora. L'investitura ai Bolognini rimonta al 1452, ma non vi fu alcuna
soluzione di continuità nel dominio di quelle terre e di quel castello
che è tuttora nelle loro mani. La Somaglia e Sant'Angelo Lodigiano
abbracciavano vasti e ricchi territori, ma non gran numero di villaggi;
vi furono invece, sovratutto nei tempi piìi antichi, feudi che si compo-
sero di moltissimi paesi ed anche di tutta una pieve. Tali furono i
feudi della pieve di Brebbia data per più lungo tempo ai Visconti Bor-
romeo, di quella di Dairago degli Arconati e poi dei Lossetti, d'Incino,
antico possesso dei Dal Verme, di Nesso, regalata da Lodovico il Moro
a Lucrezia Grivelli, di Seveso divisa fra i Carcassola e gli Arese, di
Vimercate, per trecent'anni dei Secco Borella, di Agliate, Angera, Ar-
cisate, Leggiuno e Rosate. Due pievi insieme raggruppate. Cariate ed
Oggiono, costituirono un feudo comprato dai d'Adda a mezzo il secolo
sedicesimo. Infine le ultime terre dello stato verso il confine svizzero,
lungo le rive del lago di Gomo, erano riunite nel feudo detto per an-
tonomasia delle tre pievi, di Dongo, Sorico e Gravedona. Il feudatario
ne fu sovente potentissimo e basterà citare i nomi di Gian Giacomo
(i) Pubblicato a Strasburgo, Trùbner, 1896.
192 BIBLIOGRAFIA
Medici e di Tolomeo Gallio. Non pieve ma contado vastissimo fu quello
di Melzo, più lungamente infeudato ai Trivulzio che non ai Marliani,
ai Cotta, ai Fieschi di Lavagna, agli Sforza, agli Stampa, ai de Leyva,
che tutti ne godettero i pingui redditi per breve tempo. Il destino di
così grandi territori era quello di non restare, generalmente, infeudati
quale complesso unico né per lungo tempo. Così fu smembrato in vario
modo il contado di Melzo, e simil cosa accadde dei due altri celebri
feudi che ebber nome di vicariati: Belgioioso, che dal 1500 non uscì
mai più dalle mani degli eredi estensi, e Desio composto della pieve
omonima e di quella di Bollate, alienato via via a frammenti dagli
investiti marchesi Manriquez de Mendoza. Questo processo di smem-
bramento dei maggiori feudi nel seicento e nel settecento è ben chia-
rito dal Casanova, che lascia per altro n^l'oscurità la fine di raggrup-
pamenti più antichi non meno importanti, quali la pieve di Incino, che
non si capisce quando né come abbia cessato di appartenere ai Dal
Verme.
Il Dizionario del C. registra un piccolo numero di terre come in-
feudate ai loro signori " ex immemorabili possessione „. Sono verosi-
milmente quelli i cui titoli d' investitura rimontano ad un tempo ante-
riore al limite (che non è, non capisco come, precisato) al quale
si arrestano le fonti del nostro dizionario. Consistono in alcuni pochi
feudi di enti morali, in un bel gruppetto di dominii viscontei e nel feudo
di Campomorto, giuridicamente devoluto ad un ente ecclesiastico, ma
praticamente sempre in possesso della famiglia Mantegazza, poiché era
un membro di tale famiglia l'abate commendatario in forza di un diritto
di iuspatronato antichissimo, che, come è noto, il Giulini fa risalire al-
l'undecimo secolo (i). Inverno nel contado di Pavia era pure stato ab
antiquo feudo dei cavalieri gerosolimitani, ma fu appreso dal demanio
alla fine del settecento per ordinazione del senato della quale il Casa-
nova tace il motivo ; mal vezzo in cui incorre altre volte.
La Valsolda, che, colla Val Bodia, la Val Cuvia, la Valsassina, la
Val d'Intelvi e la Valtravaglia (dalia quale furono staccate nel 500 le
così dette" quattro valli), offre l'esempio di un altro tipo di feudo a larga
estensione, era anch'essa sempre stata, salvo due piccolissime interru-
zioni, feudo dell'arcivescovo di Milano. Beni feudali infine dei Visconti
« ex immemorabili possessione » appaiono esser stati : Agnadello, Be-
snate, Crenna, Jerago, Moncucco e Pissarello (spettanti al ramo di Fon-
taneto) e Somma. Accanto al feudo dei Gavazzi alla Somaglia il C. ne
elenca ben pochi altri che rimontino al quattordicesimo secolo ; epoca
per la quale si può cominciare a riferirsi a rogiti notarili, ed a partir
dalla quale il C, sulle tracce del Benalio, cessa di parlare generica-
mente d'immemorabile possesso. Un numero ancora minore di questi
giunse superstite fino a tempi più recenti. Lodovico il Bavaro aveva
(i) Memoria per servire alla storia di Milano^ ecc., lib. XXIII, voi. II della
ediz. del 1854.
BIBLIOGRAFIA 193
ncesso fin dal 1329 il feudo di Vidigulfo ai Landriani che poi molto
se lo suddivisero fra le loro linee. Angera, la quale, prima che da im-
peratori e duchi veniva infeudata, non è detto per qual ragione, dalla
Santa Sede, fu appunto data nel 1350 da Clemente VI a Caterina Vi-
sconti, in attesa di divenire celebre feudo di casa Borromeo. Questa
terra aveva il privilegio di ricevere investiture da differenti poteri ed
il conte Vitaliano Borromeo fu appunto investito dal consiglio generale
della comunità di Milano.
L'esempio mostra come sarebbe opportuno che codesti dizionari
facessero precedere, agli elenchi di atti e rogiti in ordine cronologico,
qualche notizia sulla natura del feudo. É proprio troppo sibillino il ve-
dere senz'altro indicato che una stessa terra sia stata infeudata in non
più di cent'anni, una volta da un papa, un'altra da un imperatore, una
terza da un duca di Milano, ed una quarta, secondo si è detto, da corpi
civici rappresentativi. Al 1359 rimonta la donazione di Bernabò Visconti
a fondazioni ospitaliere conglobate più tardi nell'Ospedale Maggiore,
beni questi che finirono poi per perdere ogni carattere feudale. Lo
stesso Bernabò investì i Cagnola del feudo di Tormo rimasto a quella
famigha fino al principio del XVIII secolo. Il nostro A. ricorda quindi
due soli altri feudi che rimontino sino al secolo XIV : Maccastorna
(1385) sul lodigiano, che i Bevilacqua tennero poi per tutta la durata
dell'antico regime, e Castel Visconti in territorio di Cremona infeudato,
salvo una breve interruzione nel quattrocento, al capitolo di Santa Ma-
ria della Scala in Milano. L'esame molto istruttivo delle dotte pagine
del Dizionario ci rivela come non siano sopravissute a lungo molte
delle investiture ch'ebbero luogo nel secolo XV. Ne ho contato in tutto
una trentina oltre i feudi più vasti di cui si è già parlato. Li indicherò
in ordine cronologico :
Melzo e Rosate (entrambi infeudati il Ì2 luglio 1412) ; Castel Pon-
zone (1416); Besozzo (1417); Carimate (1434); Bissone (1447); Bere-
guardo (1448); Laveno (1449).' Codogno (1450); Sant'Angelo (1452);
Venegono Superiore (1454); Brignano (1470); Motta Visconti (1473);
Lacchiarella (1475); Cantù (1475); Antignate (1480); Orio(i48i); Ospe-
daletto (1482) ; Villanova sul Lodigiano (1482) ; Maleo (1483) ; Mettone
(1484); Lonate Pozzolo (1490); Trigolo (1496).
Non ho tenuto conto di qualche investitura precedente per le me-
desime terre che abbia avuto una durata troppo breve. Questi rapidi
rilievi avranno forse potuto servire a mostrare quale copiosissima
messe di preziose osservazioni per la storia lombarda ci sia recata
dal lavoro del Casanova. Qualche esempio avrà pure potuto iniziare il
lettore al metodo seguito nel Dizionario Feudale ed anche a documen-
tarlo rispetto ad alcune mende che possono richiedere una correzione.
Non si è, naturalmente, inteso qui con iattanza inopportuna di racco-
gliere il materiale pazientemente adunato dall' A. secondo altri criteri
Arch. Stor. Lontb., Anno XXXII, Fase. V. 13
194 BIBLIOGRAFIA
che quelli da lui prescelti, ma piuttosto si ebbe di mira l' indicazione
della convenienza di completare in determinati sensi Topera già così
imponente.
Bene fece l'autore dichiarando col titolo stesso, che forse per isvi-
sta è alterato dall'editore là dove stampa : « estratto dall'Opera : Il pa-
" triziato lombardo », e fin dalle prime parole dell'introduzione che l'opera
sua non riguarda direttamente le nostre famiglie patrizie. Ne cerche-
reste infatti invano talune delle più chiare, come gli Alciati, i Piola e
perfino i Menclozi, nomi che invece ricorrono ad ogni tratto negli elenchi
dei decurioni. Non è superfluo il porre in luce ancora una volta questo
indice di una efi"ettiva distinzione fra la classe dei feudatari e quella
dei patrizi civici, distinzione non cancellata dal ritrovarsi, col procedere
del tempo, un numero crescente di patrizi investiti di feudi, ed anche,
sebbene con molta maggior parsimonia, di casate feudali ammesse fra
le patrizie milanesi.
Chi prenda poi in esame la celebre matricola degli Ordinari, vetusto
libro d'oro milanese, quale si trova nel codice del Castelli nella bibho-
teca Ambrosiana, subito rileva gran numero di quelle schiatte, esempio
tipico di nobiltà generosa, che mai ricorrono sfogliando le pagine del
Dizionario feudale. Cito i saggi più significativi. Né Amiconi, né Appiani,
né Caponago, né Ghiringhelli, né Martignoni, né Scaccabarozzi appaiono
investiti di quelle concessioni feudali che il C. elenca così diligentemente.
Il metodo adottato nell' opera che esaminiamo consiste essenzial-
mente nell'elencare in ordine alfabetico i feudi, sovra tutto, come ho già
avuto occasione di rilevare, quelli superstiti verso la fine dell' antico
regime, e nel riferire per ogni singolo feudo i relativi provvedimenti
in ordine di data. La serie si apre naturalmente, salvo per i pochissimi
casi già accennati d'immemorabile possesso, coU'investitura e si chiude
coll'apprensione da parte del fisco, se la linea investita venga ad estin-
guersi ; ma sovente la colonna del Dizionario deve proseguire alcun
poco registrando gli strascichi di liti tra il fisco ed i pretendenti legati
da parentela all'ultimo investito. Molte volte poi la regia Camera riinfeu-
dava la terra a scopo di lucro. Il C. indica quasi costantemente, desu-
mendolo dai rogiti notarili, che appaiono essere stati la spina dorsale
del suo lavoro, il prezzo delle infeudazioni onerose; indica pure di re-
gola i conseguenti conferimenti di titoli agli investiti ed il numero di
fuochi di ciascuna terra, indicazione quest'ultima di qualche rilevanza
statistica. Tra l'investitura ed il termine dell'infeudazione vi era campo
per non pochi avvenimenti interessanti lo storico ed il giurista. Il C.
annota un buon numero di refute, di permute, di vendite, di transazioni,
sì da comporre notevoli frammenti di storia locale, per non parlare
delle confische e d'altre interruzioni violente. Meno facilmente si può
seguire il processo di divisione fra gli agnati od il trapasso in linea
femminile, là dove queste mutazioni fossero consentite dalla natura del
feudo. Mi pare sarebbe utile (né 1' ho sin qui taciuto) il premettere,
all'elenco cronologico degli atti sovraindicati, un breve cenno della legge
BIBLIOGRAFIA I95
jdel feudo, indicante i limiti del trapasso, se questo sia ammesso per i
soli maschi od anche per le femmine ed in quale misura, se per tutti
I gli agnati, per i legittimati, ecc. Del pari opportuno sarebbe V indicare,
ove si abbia, l'esistenza di statuti della terra, di Jura curiae. Come è
noto, furono numerosi nel milanese gli statuti promulgati nelle piccole
terre del contado, anche se infeudate.
Attenendosi ad uno sguardo complessivo, si dovrà riconoscere che
le notizie offerte dal C. sono molto ineguali, variando in una propor-
zione che dipende non tanto dall'importanza della voce del Dizionario,
quanto dalle opportunità presentatesi per il compilatore di utilizzare
antichi documenti, come per esempio le informazioni assunte in vista
|. dell'apprensione parziale per il feudo di Albizzate per la morte del car-
dinale Federico Visconti, che si chiarirono tali da rendere ricca di inte-
ressanti dettagli la notizia del C. riguardante quella terra. É ovvio che
codeste disparità nella trattazione si debbano imporre quasi fatalmente
al primo saggio, tentato dopo lungo e fortunoso intervallo, di una ela-
borazione sistematica della materia. Certamente in un'auspicata nuova
edizione, che la nostra Commissione araldica ci vorrà ben regalare in
un tempo non troppo lontano, l'edilìzio così onoratamente avviato dal
compianto genealogista avrà modo di essere completato in ogni sua
parte.
Pare a molti che, dopo le leggi della Cisalpina, abolitive di ogni
diritto feudale, qualsiasi portata pratica ed attuale di lavori intorno ai
feudi debba essere ormai esclusa. Pure non si può trascurare il fatto
che, sessant'anni più tardi, alla vigilia della legge del regno d'ItaUa
che tolse via le superstiti vestigia patrimoniali del regime feudale, i
beni ancora vincolati in base a quelle vetuste leggi sommavano ad
almeno un centinaio. Si veda in proposito l'elenco molto istruttivo pub-
blicato dal consigliere Angelo Decio nel 1860, nel suo hbro: Notizie
sulla situazione di fatto e di diritto dei beni feudali in Lombardia. Ed
ancora la legge 1887 intorno alle decime aveva di fronte resti della
feudalità contro cui partire in guerra, secondo dottrine care alle scuole
politiche prevalenti nel secolo testé spirato.
Questa tenacia di resistenze ha pure il suo significato: non si can-
cellano a colpi d'articoli di codice istituti secolari, sieno pur divenuti
in gran parte vieti, senza che ne rimanga un solco profondo nella vita
della nazione. Oggi ancora in quasi tutta la Lombardia si hanno esempi
del sussistere di rapporti di clientela, sovente adorni di simpatiche ca-
ratteristiche patriarcali, fra i terrazzani ed i discendenti dei loro antichi
signori feudali, tuttora proprietari a titolo semplicemente allodiale di
tenute un tempo rette da altre e più rigide norme. Ora ciò si osserva
anche ai nostri giorni, e forse in maggiore misura per feudi non recen-
tissimi, tenuto sempre fermo ciò che spero aver già lumeggiato e cioè
per un lato che " carattere fondamentale delle usanze lombarde.... si è
" che i feudi si considerano piuttosto dal punto di vista patrimoniale,
" anziché sotto l'aspetto militare e politico, quale predomina nel feudo
196 BIBLIOGRAFIA
u franco „ (i); e per altro canto il prevalere in Milano del patriziato
civico, in confronto, se non degli antichi " capitani „, certo della tarda
" nobiltà diplomatica „. Osservazioni queste del resto appena accennate
che io ho inteso precisamente a rilevare l'importanza della pubblica-
zione del benemerito don Enrico Casanova, a mostrarne lo svolgimento,
a trarne un saggio dei contributi che ne verranno alla storia della no-
stra regione.
Giuseppe Gallavresi.
Giovanni Visconti Venosta, Ricordi di gioventù, cose vedute 0 sapute
{1847-1860), Seconda ediz., Milano, tip. editr. L. F. Cogliati, 1904, in-8,
pp. 610.
Questo bel libro viene a tenere degna compagnia a quella schiera
numerosa di " memorie „, " ricordi „, " note „ e " noterelle „, che pul-
lularono su dall'età del nostro risorgimento, tanto ricco e denso di fatti
e di sentimenti svariati, e che offrono ed offriranno materiali preziosi,
come al critico, così all'artista della storia : materiali tanto più preziosi,
quanto meglio frangono la visione sintetica de' grandi avvenimenti nelle
osservazioni analitiche di que' fuggevoli casi, di quelle incerte opinioni,
onde l'animo nostro entra in diretto immediato contatto con la realità
dell'evoluzione storica. E nella schiera numerosa, questo libro, che ha
meritato già la fortuna di una seconda edizione, occupa un posto singo-
lare per alcune sue qualità caratteristiche, come la intimità del racconto,
la obiettività serena anche tra i più acerbi dolori pubblici e privati, la
continua varietà della materia, che rende talvolta troppo spezzettata
la tela della narrazione, la sottile vena di umorismo, con qualche sprazzo
di riso lievemente beffardo anche in mezzo a fatti della più dolorosa
gravità. Integrano le caratteristiche accennate una facilità ed una cor-
rettezza di parola e di frase, una tranquillità di stile lontana da ogni
nervosità, .da ogni scatto, una decenza e compostezza di materia e di
forma, che vi fanno pensare spontaneamente all'efficacia che su questa
può aver esercitato la prosa del gran Lombardo. E tali belle qualità
tutt'assieme concorrono, più che a far di questo un libro superiore, a
staccarlo nettamente dal fondo comune, a renderlo davvero non volgare
opera di lettura dilettevole e sana.
Il movente intimo dell'autore è tutto familiare ed educativo. 11 libro
egli lo ha dedicato alla consorte donna Laura D'Adda Salvaterra, che
con la più felice e sicura memoria femminile gli è più volte venuta in
(i) A. Lattes, // diritto consuetudinario delle città lombarde, Milano, Hoepli,
1899, cap. X, § 43.
BIBLIOGRAFIA I97
soccorso " or completando i fatti „ ora risvegliando " la commozione „
che quei fatti già suscitarono. Lo ha scritto per i nipoti, i figliuoli di
Emilio Visconti Venosta: ai quali volle far dono di tutto un tesoro di
notizie domestiche, di piccoli ricordi ed aneddoti, di impressioni e giu-
dizi, inquadrati nella cornice del grande rivolgimento storico, tra il 1847
e il 1859, non senza qualche rapido accenno alle memorie precedenti
di casa Venosta e della Valtellina, né senza qualche occhiata fuggitiva
al 1860.
In questo mondo del passato l'autore rivive, e fa rivivere, con la
compiacenza di chi ebbe a soffrire o godere, con i suoi, nel grande
palpito del risorgimento, di chi molte cose vide e notò, ed una piccola
pietra cementò ancor egli del comune edificio ; né vuole che tutto que-
sto sia perduto, anche per insegnamento altrui. Ma V intimo movente
familiare ed educativo, se trapela qua e là, non soffoca per questo la
composizione. La quale procede senza preoccupazioni organatrici, così
a frammenti, a mosaico di note e ricordanze più o meno brevi, e non
tanto collegate quanto accostate l'una all'altra, con un aspetto di veri-
dicità, con una fedeltà al reale, che si sarebbero perdute qualora fosse
intervenuta Topera di fusione. Queste pagine di " cose vedute e sapute „
mi somigliano tanti pastelli dalle mille figure e dai mille colori svaria-
tissimi fortemente sovrapposti.
Ma alla raccolta delle memorie ed alla narrazione serve di guida
e di lume una veduta superiore di psicologia storica, che dalle prime
pagine alle ukime si può dire abbia" accompagnato l'autore. L'opera si
apre così : " Nel leggere i libri di storia ho avuto più volte la curiosità
" di sapere che cosa facesse, che cosa dicesse, durante i principali av-
" venimenti, tutta quella parte di pubblico che non ha l'onore di es-
" sere ricordata nei libri (i) „ : e prosegue : " Non è una storia com-
" pietà di quei tempi, ^che io vi scriverò.... Vi dirò quello che ne ho
" veduto io, e quello che ne ho sentito dire, e le 'impressioni che me ne
« sono rimaste, vi condurrò in mezzo ad alcuni fatti grandi e a molti
" fatterelli ; vi farò conoscere qualcuna delle persone che ho conosciute
" allora, gente d'importanza o gente oscura, qualche parente, qualche
" amico ; insomma, cercherò di darvi un' idea dell' " ambiente „ in cui
" sono vissuto a quei tempi (2) „ : si chiude con tali parole : " Questa
" non é una storia, ve lo ripeto, è una " cronaca „ di cose vedute o
" sapute da me : é .una cronaca, oltre che dei fatti, delle impressioni
" e delle opinioni che correvano nei tempi in cui quei fatti si svolge-
" vano. Molte delle opinioni e dei giudizi d'allora saranno forse corretti
" dal tempo, ma riferendoli quali erano nella comune opinione, la^quale
" reggeva alla sua volta e determinava i fatti, sono anch'essi " docu-
" menti „ di cui la storia un giorno dovrà pur tenere conto „ (3).
(i) Gap. J, p. 2.
(2) Gap. I, p.3.
(3) Gap. XXXVir, p 608.
I
198 BIBLIOGRAFIA
Ora, per il filosofo della storia nulla v'ha di più interessante che
poter assistere al rimescolio di quelle molecole di fatti e di opinioni,
la cui risultante sia poi un grande rivolgimento. Dai personaggi e dalle
azioni che appaiono sul davanti della scena, passando allo sfondo av-
volto nel buio, se si rovescia, per dir così, il palcoscenico, non si ro-
vescia per ciò la storia ; essa anzi ci si rivela in tutta la verità vivente;
e par che ci si viva, ci si respiri in mezzo.
In tal guisa, con questo libro, ci è offerta l'imagine intera dell' ari-
stocrazia lombarda e di parte della borghesia, quando si preparava la
unità, rindipendenza. Peccato che uno specchio simile manchi per le
altre regioni, e per la " plebe „ lombarda : su cui, per altro, qui si get-
tano ogni tanto sprazzi di luce.
Dato il carattere dell'opera, riesce difficile, per non dire impossi-
bile, tentarne un riassunto tale, che se ne conosca in breve tutta la
materia e se ne misuri tutta l'importanza. Ciò non di meno, procedendo
per linee sommarie, ricorderò che, di trentasette capitoli, sette sono
consacrati al fortunoso " quarantotto „ , quattro al disgraziato " cin-
" quantatre „, dieci interi all'avventurato " cinquantanove „, tre al " ses-
" santa „ : agli altri anni sono assegnati uno o due capitoli, in propor-
zione della loro gravità e ricchezza storica.
Precede, nel capitolo I, una breve notizia di casa Visconti Venosta
e del loro mescolarsi alle sorti e alle vicende della Valtellina, quando
questa, prima da Napoleone, poi, premente la popolazione medesima,
annuente il plenipotenziario sardo, ottenne nel Congresso di Vienna di
essere staccata dai Grigioni e annessa alla Lombardia (i). Dagli ultimi
anni del Settecento, attraverso il bisnonno, il nonno (2) e il padre, l'au-
tore ci trasporta ai suoi primi anni d' infanzia, ed a quelli della prima
adolescenza, schizzando un quadretto dell'educazione che s'impartiva
nelle famiglie lombarde prima del quarantotto, e presentandoci una
serie di particolari atti a spiegarci come a poco a poco spuntasse e si
radicasse, nelle compagnie dei giovani e nella scuola, l'avversione al-
l'Austria. Questa specie di preparazione alla prima grande rivoluzione
italiana l'autore termina al settembre del 1846, quando gli morì, meno
che cinquantenne, il babbo.
Segue il preludio al quarantotto (3). I fratelli Emilio, Gino, Enrico,
sono affidati per istruzione alle cure di Cesare Correnti, che li dirige,
ma assai piìi per le vie della politica. Il giovinetto osserva quel che
(1) Il Diario, ms. dei plenipotenziari della Valtellina, si trova presso l'autore.
(2) Fu benemerito raccoglitore di documenti antichi valtellinesi, che si con-
servano in casa Venosta.
(5) Gap. II.
BIBLIOGRAFIA I99
vede, tende l'orecchio a ciò che sente dire, sui funeraH del Gonfalonieri,
su l'elezione dell'arcivescovo Romilli, sui primi furori pio-noniani, sui
primi tafferugli e le dimostrazioni pacifiche, ma efficaci, come quella,
dell'astensione dal fumare. Il preludio si chiude con gli aumenti di guar-
nigione nel Lombardo- Veneto, con la coraggiosa proposta di G. B. Na-
zari, rappresentante di Bergamo, alla Gongregazione centrale delle Pro-
vincie. Le autorità cercavano il bandolo della matassa, il " Gomitato
segreto „ che doveva dirigere tutto, e che viceversa non esisteva.
Eccoci al '48. Il capitolo III comprende dal primo di gennaio al 18
marzo. Gon l'autore, assistiamo al convulso agitarsi di coloro che pre-
paravano gli eventi, ai dibattiti tra le varie opinioni: entriamo nelle
case, nei caffè, conosciamo la condotta dell* aristocrazia milanese. Si
chiedono riforme con una dimostrazione pubblica : scoppia il vero moto
rivoluzionario d'azione : sentiamo e vediamo quel che potè vedere e
sentire, nella prima giornata, il giovinetto quattordicenne.
Dalla seconda alla quarta giornata (i), la scena è per noi ristretta
al quartiere di casa Visconti, tra via della Gerva, Monforte, Burini e
poco attorno: ed è inquadrata entro una cornice di altre notizie tutte
interessanti, fino alla presa del palazzo del genio per l'atto eroico di
Pasquale Sottocorno. La quinta giornata (2), la presa di porta Tosa,
l'aspetto magnificamente terribile della città nella notte tra il 22 e il 23
di marzo, l'esultanza ed anche un po' il patriottismo della sesta gior-
nata, le notizie dei paesi insorti e degli ostaggi, la ritirata degli ^au-
striaci, si chiudono con la formazione del battaglione lombardo guidato
da Luciano Manara ; la sola cosa seria che, dopo la vittoria, facessero
gli spensierati e fiduciosi milanesi. Dalla partenza degli austriaci a Gur-
tatone e Montanara (3); l'opinione pubblica dei milanesi, la guardia
nazionale, la palestra parlamentare, dove s'addestravano a discutere e
legiferare in reboanti e dissennati discorsi, il formarsi di associazioni
e di partiti prò e contro la fusione con il Piemonte, i giornali pullulati
subito dopK), le agitazioni vane, disperditrici di energie, offrono l'agio
a vere pagine di psicologia storica, per cui intendiamo perfettamente
come si corra alla catastrofe. E questa fu precipitata (4) dal rifiuto che
il governo provvisorio opponeva alla pace al Mincio offerta dal ministro
Wessemberg. Nell'ambiente milanese non si poteva forse pensare né
rispondere diversamente; al campo piemontese era ben altra cosa: ma
Garlo Alberto non potè che elogiare con tristezza ironica il rifiuto, di-
cendo solo: " La risposta del governo provvisorio è degna della città
" delle Ginque Giornate „ ; e piegò il capo e sostenne rassegnato il
disastro. A Milano si preparavano, in una specie di convulsione, difese
(i) Gap. IV.
(2) Gap. V.
($) Cap. VI.
(4) Gap. VII.
200 BIBLIOGRAFIA
impossibili e vane, contro gli Austriaci che avanzavano rapidamente.
Emilio Visconti Venosta si arrola con Garibaldi; la mamma con i fra-
telli minori parte in Svizzera, per Bellinzona.
Durante il viaggio (i), l'autore potè osservare l'atteggiamento mi-
naccioso dei contadini lombardi contro i signori, a Bellinzona le ire
tristi, rabbiose degli emigrati contro Carlo Alberto. Gustavo Modena
furoreggiava tra subissi di applausi recitando 1' " esecrato Carignano „
del Berchet. A Lugano, dopo un viaggio avventuroso traverso le mon-
tagne, il giovanetto Gino ritrova Emilio, in una stalla, sdraiato sulla
paglia, ravvolto nel cappotto, febbricitante, sfinito dagli ultimi scontri,
dalle lunghe marce, per sfuggire e sbandarsi. Il Mazzini, o Pippo, come
lo chiamavano confidenzialmente gli emigranti, si trova là a tener desto
l'incendio, a rinverdire le speranze, a provocare colpi di mano in Val-
tellina e in Val d'Intelvi : tutto riuscito a vani sacrifici di vite preziose.
La famiglia Visconti Venosta {2), mentre Emilio parte per Genova e
Pisa, vuol ritrarsi a Tirano, ma deve passare prima per la capitale
lombarda. Tutto è occupato militarmente; le case dei signori, in ogni
città o paese, devono servire di alloggio ai croati. Lo squallore della
Lombardia, l'irritazione, la nausea della compagnia, del contatto insul-
tante sono descritte con evidenza mirabile. Che impressione fa sull'ani-
mo giovinetto lo spettacolo della patria calpestata dallo straniero, e
che lezione per l'avvenire ! (3). Sul finire del decembre tornano in città
per gli studi. Università e Licei erano chiusi ; si permettevano soltanto
lezioni private, ma non mai a gruppi di scolari più numerosi di dieci!
Vengono i primi mesi, tristi ed angosciosi, del '49 (4); i milanesi as-
sistono alla partenza dei croati per i campi di Novara : i croati vanno
e sicuri come a lesta. Luciano Manara, sposo di fresco, parte con i lieti
volontari per Roma: " Noi dobbiamo morire „ egli diceva " per chiu-
" dere con serietà il quarantotto. Affinchè il nostro esempio sia efficace,
" noi dobbiamo morire „ (5).
E poi tornano alla spicciolata i reduci, da Roma, da Venezia, tri-
sti, malconci, mutilati : il 18 agosto, la festa dell'imperatore, procura
bastonate a sangue ad uomini e donne. 1 nostri tornano a Tirano, e
quivi devono subire l'occupazione militare, e la famiglia è punita per
aver mancato di rispetto ad un attendente croato devastatore di mo-
bili ! Nello squallore dello stato d'assedio (6), reso più che mai duro e
crudele durante il 1850, tra i primi tentativi dei comitati mazziniani,
che lanciano le cedole del prestito nazionale, tra le prime condanne a
(i) Cap. VIIL
(2) Cap. IX.
(3) Cap. IX, p. 150.
(4) Cap. X.
(5) P- 168.
(6) Capp. XI e XII.
i
BIBLIOGRAFIA 20I
morte, spuntano a Milano i germi di quella resistenza, attiva e passiva
insieme, che segnò nella storia una pagina meravigliosa di eroismo meno
appariscente, ma in sostanza più difficile e meritorio ; resistenza " ad
ogni costo „ che, separando completamente il paese dallo straniero,
facendo trattare i dominatori come un'orda passeggiera di occupanti,
forse salvò davvero la causa nazionale. " La vita giornaliera di questo
rigido programma doveva riuscire ben dura; ma fu vissuta e non si
piegò mai „ (i).
Quasi tutti si astengono dai divertimenti ; i giovani studiano più
che altro la scherma. Carlo Tenca fonda il Crepuscolo, che non parlò
mai dell'Austria né dell' imperatore ; Clara Maffei crea, si può dire, il
" salotto „ famoso; Cesare Giulini torna di Piemonte (2) " convinto „
come diceva " di poter meglio servire il suo paese vivendo in patria
" che nell'esilio „.
Nel 1851 (3), le Università rimangono chiuse ancora; si studia presso
i professori di Pavia, privatamente. Mentre le cedole del prestito na-
zionale, i libri ed i manifesti incendiari mandano alle forche il sacerdote
Orioli, il Dottesio e lo Sciesa; i giovani si riscaldano di patriottismo
e si educano alla politica tra le fide mura dei loro insegnanti : iniziano
la serie dei duelli con gli ufficiali austriaci, di cui prima vittima cade
l'animoso Luigi della Porta. La venuta dell' imperatore alle manovre
offre ai municipii di Milano e di Como l'occasione di mostrarsi con fie-
rezza indiff'erenti e inossequenti. I comitati mazziniani (4) sono scoperti;
cominciano i processi di Mantova del '52 e del '53: dolore e terrore
occupano l'animo dei milanesi; gli- austriaci, stupidamente feroci, sca-
vano sempre più profondo l'abisso tra loro e il popolo lombardo con
il bastone e con le prime forche di Belfiore.
L'anima del patriottismo lombardo (5) nel '53 era tuttavia Giuseppe
Mazzini. Questi vuole un'insurrezione ad ogni costo; non ascolta né
consigli né ragioni contrarie ; la parte più ponderata ed aristocratica
si tira in disparte, sta a vedere. Il Piolti De Bianchi si volge alla bor-
ghesia ; il Brizio di Assisi arrola dei popolani. Il 6 febbraio persuade
della vanità dell'impresa. L'autore, gli amici, Carlo De Cristoforis atten-
dono trepidanti ; nessuno credeva che finisse così presto e così misera-
mente. La cittadinanza ne rimane disgustata; qualcuno osa presentarsi
a Giulay per scagionare la città: la severità repressiva aumenta; Carlo
De Cristoforis deve fuggire, riesce a mettersi in salvo; i processi rin-
crudiscono a Mantova. Il Lazzati scampa alle forche per la memore
gratitudine del generale Wratislaw : ma in vece sua è giustiziato il Gra-
zioli. Che dramma nell'intimo del Lazzati, quando lo seppe ! Giuseppe
(i) p. 189.
(2) p. 188.
(3) Cap. XIII.
(4) Cap. XIV.
(5) Capp. XV-XVI.
202 BIBLIOGRAFIA
Mazzini cerca nuovi capi e nuove fila al partito repubblicano unitario;
ma questo in Lombardia si sfascia.
" Io non fui mai in relazione col Mazzini; ma ero tra gli intimi
del salotto Maffei e del gruppo del Crepuscolo, ove il M. aveva avuto
gli amici più autorevoli in Milano (i). Le impressioni mie che ho qui
esposte sono l'eco fedele dei discorsi che ho udito, e di ciò che ho ve-
duto svolgersi in quel tempo. L'anno 1853, che doveva segnare l'apogeo
di Mazzini e il trionfo della sua idea, ne principiò invece in Lombar-
dia la decadenza e il suo rapido tramonto..,. E mentre l'astro di Mazzini
impallidiva, cominciavano in Piemonte ad apparire quei primi albori di
una luce nuova, che presto doveva diffondersi in tutta l'Italia „.
Dal lugho al settembre del '53 (2) Emilio e Gino fanno un viaggio a
Roma, a Napoh, in Sicilia; lieta e istruttiva diversione dal triste anno. Le
condizioni reali dello stato pontificio e borbonico sono dipinte con una ve-
rità, che talvolta fa sorridere, ma di un riso amaro. Alla dogana pontificia
sequestrano loro, e non restituiscono più, un Machiavelli, un Molière, ogni
libro : a Roma osservano il dispregio in cui erano tenuti i preti qui a pa-
ragone di quelli di Lombardia. A Napoli ottengono il passaporto per la Si-
cilia, ma solo in riguardo alla " bandiera austriaca „ : in Sicilia si trovano
come divisi moralmente e materialmente dal mondo civile : perfino le
comunicazioni epistolari erano vietate o inceppate : si stava molto me-
glio sotto l'Austria ! Governi stupidamente tiranni, inferiori a quello
austriaco, ancora in parte di altri tempi, giustamente ritenuti tra i
peggiori del mondo civile, conchiude l'autore parlando de' governi del
papa e del re Borbone (3).
Alla fine del settembre (4), a Genova, sentono notizie gravi della
Valtellina e tornano a Milano, dove sanno dell'eroico capitano Calvi e
della prigionia di Ulisse Salis, che non compromise però né Emilio né
altri. L'anno 1854 (5) non occupa gran parte del racconto, e questo si
restringe a mettere in rilievo lo sfacelo del partito repubblicano, l'evo-
luzione del salotto Maffei, l'opera del Giuhni. L'Austria istituisce la
leva obbligatoria: chi la scansa fuggendo, chi ungendo qualche commis-
sario con bei marenghi : l'autore si esercita a fare il pompiere. E poco
si dedica anche al '55 (6). Laguerra di Crimea, la partecipazione del
Piemonte, il nome delle armi italiane associate a quelle europee nella
vittoria, l'esposizione di Parigi, la cessazione dello stato d'assedio fanno
allargare un po' il cuore ai patriotti. I due Venosta vanno a Parigi
, per divertirsi e per studiare le opinioni: e là si comincia a intuire e
(i) p. 259.
(2) Gap. XVil.
(3) P. 283.
(4) Gap. XVI II.
(5) Cap. XIX.
(6) Cap. XX.
BIBLIOGRAFIA 203
precorrere con la speranza il futuro: onde una forte ripercussione nel
salotto Maffei.
Nel '56 (i) il patriottismo italiano, e specialmente quello lombardo,
prende un nuovo e più sicuro indirizzo. 11 Crepuscolo dé[ Tenca, il sa-
lotto Maffei ed i salotti minori, Dandolo, Carcano, Manara fanno eco
alla voce di Cavour al congresso di Parigi. Le signore milanesi, dette
" le oche „ dalle austriacanti, pochine, perchè volevano salvare la pa-
tria, contribuiscono anch' esse a rianimare la vita cittadina, a tener
fermo nella resistenza. Dalle feste sono sempre esclusi gli ufficiali au-
striaci. I duelli spesseggiano : tra questi famoso il duello tra Manfredo
Camperio e il capitano Schònhalls, dal Camperio stesso descritto in
una lettera qui riprodotta. Da Torino si promuove una sottoscrizione
di cento cannoni per la fortezza di Alessandria, e a Milano si vuole
che ogni città lombarda dia un cannone. Si preannunzia la visita del-
l'imperatore : si organizza l'astensione e la contro-dimostrazione. Difatti,
la miglior società milanese e la popolazione, d'accordo, non ostante gli
sforzi della polizia, non partecipano per nulla alle feste imperiali; pro-
prio nel momento in cui Francesco Giuseppe entra in città, 15 di gen-
naio 1857, gira tra il suo seguito la fotografia del monumento all'eser-
cito piemontese, donato in quel giorno dai lombardi alla città di Torino.
Il ricevimento a corte fallito, la figura buffa e decorativa del conte
Archinto, scialacquatore vanitoso, chiamato' a proporre riforme, l'amni-
stia, il collocamento a riposo di Radeztki prenunziano la nomina a vi-
ceré di Massimiliano.
Seguono due capitoli (2), tra i più interessanti a documentare la
gravità del pericolo corso dal patriottismo e dalla politica piemontese,
l'energia audace con cui il pericolo fu scongiurato. Massimiliano era
troppo abile e troppo colto e nobile d'animo per non fare un po' di
breccia nella migliore società milanese. " Combattere Massimiliano in
" ogni modo e ad ogni costo „ fu la parola d'ordine. Tra i numerosi
episodi ed aneddoti di questa lotta campeggia il duello con il D'Adda
che aveva abboccato all'amo di un invito dell'arciduca. Il duello si fa
a dispetto della polizia : e questa, quando era già avvenuto, non ne
sapeva nulla ancora. 11 Cavour, d'accordo con Giulini ed Enrico Dan-
dolo, già agli ultimi mesi di sua vita, promove una sottoscrizione per
mandare i coscritti lombardi a servire nell'esercito piemontese. Non si
riuscì a questo : ma incominciò l'esodo dei giovani, atti alle armi, che
si offrivano volontari al Piemonte : e furono diecimila ! Tutti passano
il confine, di nascosto, con varie vicende e tra mille pericoli. " A que-
" sta intesa parteciparono persone d'ogni classe e d'ogni paese nelle
" Provincie lombarde e nelle venete. Tale occulto lavorìo durò quasi
" tre mesi : noto a molti, vi parteciparono pure, com'era naturale, vet-
(i) Capp. XXI-XXIII.
(2) Capp. XXIV-XXV.
204 BIBLIOGRAFIA
" turali, contrabbandieri, barcaioli : la polizia n'era sulle tracce, ma
" non riuscì ad impedirlo : nessuno tradì „'^(i).
Gli eventi precipitano. Ecco l'anno meraviglioso, il Cinquantanove,
quando l'alta Italia visse la vita d'un secolo. Soltanto a quello che tocca
più da vicino l'autore, egli consacra ben nove capitoli (2). Incomincia
l'esodo dei volontari, dal gennaio. Ai funerali di Enrico Dandolo av-
viene la più solenne e degna manifestazione patriottica. Ricercato, come
uno degli organizzatori, dalla polizia, l'autore fugge via, quasi di tra
le unghie dei birri, e passa il Ticino sotto il naso di un commissario,
che a lui, creduto ingegnere ferroviario facilita la via, raccomandandogli
per un impiego il figliolo. A Torino s'imbatte con Emilio, scappato an-
cora lui sotto le oneste spoglie di un mercante di formaggi.
A Milano intanto si imbastiscono processi insulsi per i funerali :
un grazioso interrogatorio avviene, ed è qui riferito, tra il giudice Fluk
e la contessa Ermellina Dandolo a proposito della magnifica corona
tricolore levata trionfalmente ad ornare la bara (3). L'autore, arrolatosi
tra i volontari, una mattina alle cinque, facendo anticamera presso Ca-
vour vide Garibaldi che entrava dal ministro, di soppiatto. Poco dopo
fu creato il corpo dei cacciatori delle Alpi. Emilio Visconti Venosta è
mandato commissario civile a fianco di Garibaldi. Cavour voleva subito
dar ordine ai paesi occupati ; e nel tempo stesso intendeva che i paesi
lombardi fossero dai francesi trovati già in piena rivolta contro lo stra-
niero. L'ufficio di E. Visconti Venosta fu davvero delicatissimo e diffi-
cilissimo: egli così lo definiva al fratello: " Il mio incarico è quello di
servire da guanciale tra l'ordine e la rivoluzione, tra il governo regio
e Garibaldi, tra i volontari e i paesi da cui passiamo „ ved. p. 517.
L'autore, mandato ancor egli presso Garibaldi, passa il Lago Mag-
giore con Nievo, Griziotti e quattro cannoni, e va in Valtellina com-
missario regio.
Qui ci si apre una breve storia particolareggiata della Valtellina,
insorta, lasciata sola con pochi soldati, a contatto con le truppe au-
striache. Che succedersi di spionaggi, di piccole reazioni, e che periodi
di ansie, incertezze, pericoli, fu quello per la Valtellina, dopo la batta-
glia di San Fermo e prima di Solferino e San Martino! Il commissario
va a Bergamo presso il quartiere generale di Garibaldi, dove assiste
a scene interessanti e dove ottiene 1' occupazione stabile della sua re-
gione ed una più accurata difesa. Assiste allo scontro ed alla presa di
Bormio. Piomba la pace di Villafranca: egli lascia l'ufficio e se ne viene
a Milano, dove già si formano i partiti, si fonda la Perseveranza e in-
comincia l'immigrazione veneta, di carattere patriottico allora, più tardi
economico.
(0 p. 415.
(2) Capp. XXVI-XXXIV.
(3) pp. 452-4.
BIBLIOGRAFIA 205
Negli ultimi tre capitoli (i) l'autore ci offre alcune bricciche stori-
che e letterarie di importanza locale e nazionale. Come si formò il
primo municipio di Milano, come si assestò la sicurezza pubblica in
quel subbuglio, come si diportò il D'Azeglio, primo governatore e il
Beretta, primo sindaco; e le feste gaie, e la vita novella del paese, e
il contegno del generale Vaillant, e lo spuntare dei partiti e dei gior-
nali politici, e Crispi che, pertinace, insinua l'idea della spedizione sici-
liana ; e tanti e tanti altri fatti ed aspetti della vita milanese, ci sfilano
innanzi come in un caleidoscopio. Un capitolo è consacrato interamente
alle memorie ed alle notizie sul Manzoni, della cui familiarità egli inco-
minciò a godere, appunto nel sessanta. Un ricordo del Manzoni mi
sembra conchiuda degnamente il libro : " Di questi guai e di queste
" noie se ne passarono in rassegna, quella sera, parecchie „.
Il Manzoni ascoltava e taceva; e poi, a guisa di conclusione, prese
a dire: " Tra qualche anno, e forse tra pochi mesi, di tutti questi pic-
" coli guai che ora ci preoccupano tanto, chi si ricorderà? D'una cosa
" sola ci ricorderemo tutti, e per sempre : ci ricorderemo che in questi
" due anni si è fatta l'Italia „ (2). Accanto a queste parole stanno degna-
mente quelle con cui si chiude il libro : " Possano questi sentimenti e
" questi fatti testimoniarvi parimenti la fede che animava i giovani d'al-
" lora, e se i tempi nuovi saranno fiacchi o immemori del passato, con-
" servate negli animi vostri tanto più salda l'antica divisa : Tutto per
" la patria e la patria al disopra di tutto „ (3).
Questa rapida corsa attraverso la materia del libro servirà a mala
pena a farne indovinare tutta l'estensione e tutto il valore. A chi in-
tendesse approfondirlo, il libro off'rirebbe agio ed argomento per bel-
lissime questioni storiche. Una delle dimostrazioni storiche di maggiore
importanza cui tende l'autore evidentemente, riguarda l'opera di Cavour.
La maggior parte delle pagine che precedono immediatamente alla
narrazione del '59, e quasi tutte quelle che la comprendono e la seguono,
espongono una serie di fatti e di considerazioni traverso le quali, con
una specie di rigidità matematica, si arriva a tessere tutta la tela del
risorgimento nazionale, per quello che ebbe di effettivo, attorno un solo
centro, l'opera del Cavour. " Bisogna „ dice l'autore, " essere vissuti a
" quei tempi, bisogna aver seguito quei fatti ansiosamente giorno per
" giorno, per avere la profonda convinzione che Cavour tutto mosse
" e diresse e che il grande artefice del nuovo regno d'Italia fu lui „ (4).
(i) Capp. XXXV-XXXVII.
(2) p. 607.
(3) P- 608.
(4) P- 413.
206 BIBLIOGRAFIA
E senza dubbio, dove si voglia tener conto che fu il suo genio ad al-
lacciare la Francia e Napoleone III nelle spire della politica propria, a
preparare e movere il Piemonte e Vittorio Emanuele, a disciplinare la
rivoluzione e Garibaldi ; dove si aggiungano i documenti venuti or ora
in luce e specialmente i Ricordi dell'Hilbner, e si vogliano ricostruire
gli enormi ostacoli che governi, diplomazia, opinione pubblica ergevano
sulla nostra strada, tutti abilmente e potentemente superati da lui, senza
dubbio viene spontanea la domanda : si sarebbe fatta l'Italia, se Cavour
non era ? Chiunque, assistendo agli spettacoli storici ne' libri del passato
e ne' moti del presente, si sarà accorato alla vista di tante idealità, sen-
tite e volute da migliaia e pure miseramente infrante, perchè non sorse
né l'occasione di attuarle né l'uomo capace di afferrarla; chiunque creda
che senza la forza effettiva nulla si ottiene in realtà, alla domanda ri-
sponderebbe : Se Cavour non era, l'Italia non sarebbe fatta.
Ma guai ad applicare, nell'assoluta integrità della risposta, un tale
semplicismo storico al risorgimento nostro, come ad ogni altro profondo
mutamento politico o sociale. Cavour trovò predisposti i cuori e gli
intelletti delle migliaia, per non dire dei milioni. Se così non fosse stato,
la sua forza pratica ed esecutiva, nella doppia forma, diplomatica e
militare, non avrebbe avuto su che esercitarsi, nulla da eseguire. La
prima proposizione è vera, ma non è men vera l'altra : Cavour non
avrebbe fatto nulla, se prima l'Italia non fosse stata.... per esempio,
mazziniana.
Questo io dico per una certa ruggine che, contro il Mazzini e l'o-
pera di lui, traspare qua e là nel libro del Visconti Venosta. Che que-
sta ruggine si sia depositata sull'animo dell' autore dopo i miseri moti
del *53, é umano, è spiegabile. Ma una superiore serenità storica vuole
che non ci lasciamo abbagliare dal successo soltanto, che si riconosca
anzi la necessità dell'opera mazziniana. Quanti sarebbero divenuti pa-
triotti, i giovani specialmente, senza gli scritti ardenti, le follie generose
del Mazzini? Ecco quello che l'autore stesso ci attesta di sé e di tanti
altri giovani nel 1854 : " Le discussioni politiche seguivano di solito la
" falsariga delle idee e dei precetti di Mazzini; i suoi assiomi ci sembra-
" vano verità; il suo patriottismo mistico intransigente ci esaltava : le sue
" formole Dio e il Popolo, Pensiero ed Azione, ci dispensavano dal pen-
" sare e ci spronavano ad agire „ (i). Era appunto quello che ci voleva
per la moltitudine, per i giovani. Ogni freddo raziocinio avrebbe di-
strutto ciascuna di quelle " utopie „ che animavano persino quel terri-
bile loico che era il Manzoni, che in casa Correnti diceva, come ne
riferisce il Visconti Venosta medesimo : " Oggi tutto é utopia; ma tra la
" utopia bella dell' unità e quella della federazione, sto per l'utopia
" bella „ (2).
il) p. 204.
(2) p. 586.
BIBLIOGRAFIA 2< 7
Così, de' moti inconsulti eccitati dal Mazzini, delle condanne, dei
martirii d'ogni genere sofferti dai suoi affiliati non si può giudicare
soltanto in linea assoluta di convenienza pratica o di idealismo umani-
tario. La relatività del giudizio qui si impone : tutto serviva a scavare
sempre più profondo l'abisso tra oppressi ed oppressori : guai se si
fosse escogitato un mezzo termine, se si fosse costruito un ponte di
passaggio! E lo spettacolo di chi sfida la morte è d'una suggestione
incommensurabile. Certe aspirazioni a idealità contrastanti con la realtà
non diventano solo per forza propria necessità psicologiche, prepotenti
motrici d'azione negli animi dei più. Dello spettacolo educativo del sa-
crificio altrui, hanno bisogno uomini d' ogni classe, dell' aristocrazia e
del volgo.
Ma lasciamo stare le questioni di giudizio e di apprezzamento :
sono molto elastiche ed irriducibili ad elementi scientifici. Ciò che me-
glio importa nel libro presente, pare a me l'esattezza dell'informazione
storica generale, la precisione del ricordo particolare (i). Ogni qual volta
occorre di comparare con altre fonti attendibili quanto il Visconti Ve-
nosta afferma, non lo si può cogliere in fallo. Cito, ad esempio, quanto vi
ha di comune tra questo libro e il Mezzo secolo di patriottismo del Bonfa-
dini, quello che si narra del Cattaneo a raffronto delle dichiarazioni inserite
dal Cattaneo stesso néìY Archivio triennale; e la guerriglia della Valtellina
a raffronto della relazione del Carrano; e le notizie attinenti ai pro-
cessi di Mantova riscontrate negli studi ben noti del Luzio. Il che ci dà
pieno affidamento per tutti gli aneddoti caratteristici, per tutti i piccoli
avvenimenti, per tutte le piccole cause efficienti e concomitanti dei
grandi effetti. Molte volte, anzi, si riportano a prova passi altrui ri-
cordi inediti : ovvero lettere di altri a documentazione infallibile. Così il
Camperio descrive egli stesso ne' minimi particolari il duello avuto col
capitano Schònalls : l'ingegnere Guy narra come avvenisse, per suo
mezzo, la fuga di Emilio Visconti Venosta ; la contessa Ermellina Dan-
dolo riferisce l'interrogatorio sostenuto dal consigliere Fliik : e il ban-
chiere Costantino Garavaglia attesta come, due o tre giorni prima che
Garibaldi salpasse da Quarto, egli fu chiamato in tutta fretta dal D'Aze-
glio, governatore di Milano, e dalle preghiere sue, che gli faceva da
parte di Cavour, fu indotto a racimolare in giorno di festa trecentomila
lire in oro, che consegnò sulla parola al capitano garibaldino Chiassi (2).
Così che, anche dove manchi o il documento o il termine di raffronto,
noi possiamo indurci a prestare pienissima fede all'autore : tanta, del
resto, è la sincerità e la sicurezza del racconto, del ricordo : tanta
(i) Un Grtola per Grioli, a p. 209, dev'essere semplice svista tipografica.
(2) Cfr. pp. 585-7.
2o8 BIBLIOGRAFIA
schiettezza e veridicità traspare da ogni pagina. Né ultima cagione di
sicurezza storica ci porge la stima personale di cui gode il gentiluomo
lombardo.
Premesso questo, s' intende bene quanto preziosa riesca questa
nuova miniera aperta ai ricercatori d'ogni specie. Lo storico della let-
teratura vi troverà notizie di grandi e piccini, assai interessanti. Del Re-
vere, ad esempio, saprà che parecchi sonetti scrisse in casa Visconti
Venosta; del Berchet, che la fama e l'ammirazione era indiscussa e
generale in Milano, ed i versi sonavano sulle labbra di tutti avanti il
'48: del Mazzini, che gli scritti erano molto discussi prima del '48,
ma dopo, fino al '54 almeno, regnarono sovrani nella letteratura pa-
triottica ed educativa. Lo Stoppani gli apparirà, nel '48, giovine chie-
rico, alla testa dei seminaristi dirigendo la costruzione e la difesa di
una barricata : e Giuseppe Rovani, nel '57, si vanterà di una pelliccia
nuova che dirà di dovere all'imperatore; ed all'autore dichiarerà una sera,
mezzo brillo : " So perchè lei non mi saluta, ma devo dirle ch'io era
" una buona ed eletta fanciulla.... ma che ho finito male „ (i).
Ecco il Montanelli, tra i cacciatori degli Appennini mandati in Val-
tellina, che " col modesto cappotto del soldato seguiva umilmente il duca
" di San Donato, il quale pomposamente precedeva a cavallo un batta-
" glione di cui era maggiore „ (2). Belle, interessanti pagine riguardano
il Manzoni, sebbene non tutto riesca nuovo, massime dopo l'ultima pub-
blicazione del Fabris: si può dire che gran parte del secondo capitolo
e tutto il penultimo siano dedicati ai ricordi del gran Lombardo.
Quante figure, degnissime di memoria, sono qui illustrate breve-
mente, che in altra guisa cadrebbero nel piìi perfetto oblio ! Tali, il
maestro Pozzi, che utilmente consacrò se stesso, prima del '48, al rin-
novamento dei metodi della scuola primaria in Milano (3) : il BoseUi,
che nel collegio omonimo educava con una pedagogia tutta speciale a
base di ceffoni e di purganti, massime per guarire l' irrequietudine dei
ragazzi " stato morboso „ secondo lui (4) ; e che fu dei primi a cadere
nelle cinque giornate, ucciso a colpi di baionetta sulla porta del Bro-
letto: Antonio Pasetti, che nei processi del '52, fu bastonato a sangue
e non parlò mai, ed incorporato in una compagnia miUtare ungherese
ai confini orientali dell'Austria, morì dagli strapazzi : eroe ignorato ed
incompianto (5). Un vero dramma psicologico è racchiuso in due pagine
dove si narra di Antonio Pievani, volontario, che dall'autore fu sorpreso
di notte mentre leggeva per istudio tra i compagni d'armi che riposa-
vano; che militò nel 59 e nel 60 con Garibaldi, in Sicilia; poi affrontò
(1) p. 383.
(2) p. 542.
(3) PP- 15-16.
(4) PP- 18-19.
(5) P- 223.
BIBLIOGRAFIA 209
il colèra facendo l'infermiere, e in fine, nel contrasto crudele tra le sue
convinzioni liberali e religiose, e tra la condotta della rivoluzione e
qnella del pontificato, finì frate e morì ben presto in un convento di
Valcamonica (i).
E quante notizie caratteristiche intorno a personaggi già noti 1
Carlo De Cristotoris, ad esempio, ci viene descritto allegrissimo d'u-
more, attivissimo, irrequieto e d'una audacia romanzesca, tanto che ne
era soprannominato D'Artagnan : e qui si narra di lui quando si na-
scose nelle sale dell'esposizione e tagliuzzò il ritratto vistoso del conte
Nava, austriacante, che vi si pompeggiava in uniforme di ciambellano
imperiale, e come fu mescolato ai moti del 6 febbraio 1853 e fuggì tra-
vestito da cocchiere. Sei anni di poi, a Torino, dopo una vita avven-
turosa, s'mcontra nt^ll'amico Gino Visconti Venosta. Doveva partire per
la guerra : ma si mostrava sempre allegro ; ad un tratto si fece serio,
lo abbracciò e gli disse : (2) — " Ti saluto per l'ultima volta !.... Sì, caro
* Gino, noi non ci rivedremo più ! La mia vita fu una sequela di avven-
* ture e ne uscii sempre salvo: essa ebbe una grande aspirazione: com-
* battere per l'Italia e poi servirla nell'esercito nazionale. Ora che il mio
* sogno si avvera.... io morirò. Sì, caro Gino, lo sento ; ne ho il presen-
* timento.... questa volta ci lascio la pelle.... — Sorrise, poi esclamò: —
" Addio, addio, ricordati di me! — Entrò nel vagone, il treno partì e io
" rimasi mesto, qiiasi atterrito. Pochi giorni dopo, ossia il 27 maggio,
'' egli moriva all'assalto di San Fermo alla testa della sua compagnia.
" Povero e generoso Cadetto! „
Lascio d'insistere su la singolare attitudine dell'autore a cogliere
la nota drammatica, tragica o comica, dello spettacolo di cui è testimone
o parte. Quei giovani che una mattina delle cinque giornate vanno in
chiesa con i loro insegnanti a confessarsi e comunicarsi prima di affron-
tar la morte; quel sacerdote che benedice in articulo mortis i cittadini
inginocchiati dinanzi a lui; l'ingegner Alfieri che prende il comando
del quartiere ov'è l'autore, durante la prima giornata, ed era pazzo, e
ne commette tante finché se n'accorgono, cosa difficile in quei momenti;
quel ladro che gli ruba l'orologio ed è lasciato andar libero, senza che
né meno gli frughino in tasca, dalla guardia nazionale del quarantotto,
in nome dei diritti dell' uomo ; e la notte passata sui tetti tra il 22 e
il 23 marzo con il pittore De Albertis, mentre tutt'attorno la città pa-
reva circondata da un orizzonte d'incendio per le cannonate furiose
degli austriaci ; e quei marinai napoletani che, nell'infuriare della tem-
pesta, ad ogni ondata violenta facevano un nuovo voto : e " ne fecero
" di così smisurati (fra gli altri quello di un organo a tre tastiere con
" sessanta canne) da scommettere che non furono mantenuti tutti „ :
e la salita verso Bormio sotto il fuoco dei tirolesi, sul cui tiro troppo
(1) pp. 549-30-
(2) p. 463.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. V. I4
fe
21 0 BIBLIOGRAFIA
alto gli ufficiali garibaldini trovavano a ridire, ma l'autore in cuor suo
la pensava diversamente e benediceva i nemici; tutto questo ed altri
cenni episodici ed aneddotici disseminati a profusione per il libro, non
rimangono soltanto impressi nella memoria di chi legge, ma ofifrono in
copia all'artista ed allo psicologo della storia elementi di studio e di
lavoro preziosi.
Se libri tali, così utili all'educazione della gioventù, così necessari
all'integrazione della storia, si moltiplicassero nelle varie regioni d'Ita-
lia, noi dovremmo agli autori tutta quella gratitudine e quella ammira-
zione di cui siamo larghi al colto gentiluomo lombardo.
G. Lisio.
APPUNTI E NOTIZIE
/^ Eriprando notaio milanese del SEC. XI. — Nel fascicolo prece-
dente di quesl'Jrc/iwio (XXXI, p. 488 sg.) è stato fatto cenno d'un do*
cumento milanese dell'anno ino, insigne per una curiosa sottoscrizione
poetica, additato agli studiosi nel primo fascicolo degli Studi Medievali,
dove però una mera svista tipografica ha fatto qualificare la carta del
Ilio come un atto spettante al secolo " undicesimo „. Ci piace rilevar
qui quell'errore puramente materiale, perchè esso ci dà occasione di
chiarire che se a cagione di quel documento Ser Eriprando deve essere
detto un notaio del sec. XIl, ciò non toglie tuttavia che egli, e forse con
maggior diritto, possa chiamarsi un uomo del sec. XI. Difatti son parec-
chie nell'Archivio di Stato di Milano le pergamene che recano la sua
sottoscrizione e tutte appartengono al sec. XI, a cominciar dalla piti
antica, che è in data del 4 agosto 1078 (S. Apollinare), passando ad
una seconda del 29 gennaio ic8i (Lentasio), ad una terza del 29 di-
cembre 1084 (S. Radegonda), infine ad una quarta del 29 febbraio 1088
<(S. Margherita).
Ove si ammetta dunque che Eriprando abbia cominciato ad espli-
care l'attività sua come notaio verso il 1075 e ch'egli contasse allora
dai venti ai venticinque anni, è ovvio eh' ei debba considerarsi più come
un uomo del sec. XI che non del XII.
^*^ Come sono nati i Lombardi secondo un epigramma francese del
SEC. XIL — Fra i componimenti che con criteri assai discutibili il padre
Beaugendre ha voluto assegnare ad Ildeberto di Lavardin, arcivescovo
di Tours, il più famoso certo tra i poeti latini fioriti in Francia sullo
scorcio del sec. XI e gli inizi del XII (i), si legge un epigramma, del
quale B. Hauréau nel suo eruditissimo scritto intorno ai " carmina mi-
(i) Venerai). Hildebekti, primo Cenomanensis episcopi^ deinde Turonensis ar-
chiepiscopi Opera tam edita qnam inedita^ ed. Ant. Beaugendre, Parisiis, MDCCVIII.
Sopra Ildeberto si vegga Hìst. littér. de la France, to. XI, p. 250 sgg. ; A. Dieu-
donné, Hildebert de Lavardin, éveque de Mans, archevèque de Tours (1056- 11 3 3),
Sa vie, ses lettres, Paris, 1898.
♦
212 APPUNTI E NOTIZIE
" scellanea „ d' Ildeberto, non ha saputo indicare la fonte (i). Esso è
intitolato De Ligurihus e suona così:
Vulpe salitur ovis dum densis vepribus haeret :
hac genitos Ligures fabula stirpe refert.
Impliciti sunt sex vitiis : a vepribus unum,
a vervece duo, cetera vulpis habet.
Gens ea vepre tenax, ove simplex, veliere mollis,
gens ea patre suo cauta, delusa, pavens.
Siamo dunque qui in cospetto d'una delle piii antiche (se non della
più antica) tra le satire lanciate dai Francesi contro i poveri Lombardi,
giacché che dei Lombardi si tratti, non può correre dubbio veruno (2).
La divulgatissima storiella del duello del Lombardo colla lumaca o colla
tartaruga, già raccolta a mezzo il sec. XII da Giovanni di Salisbury
sulla bocca degli scolari parigini (3), mirava a colpir sopratutto la viltà
che i Francesi rimproveravano ai Lombardi; ma Fautore anonimo del-
l'epigramma pseudo-ildebertino non sta pago a quahficarli vili {paventes))
egli rinfaccia loro altri cinque difetti o vizi che dir si vogliano: H ac-
cusa d'essere tenaci, sciocchi, molli, astuti ed ingannatori. Non c'è
male davvero!
Curiosa poi e nuovissima la storiella intorno al modo bizzarro con
cui i Lombardi sono venuti al mondo: dal congiungimento cioè d'una
volpe con una pecora. Che l'invenzione di questa facezia debba ascri-
versi all'ignoto poeta non oserei asserire. Forse si tratta d'una piace-
volezza che correva da tempo immemorabile in Francia, quand'egli la
raccolse. Vetustissimo difatti e colà ed altrove è stato sempre il vezzo
di attribuire origini ridicole o vituperose a certi popoli (4) o a certe
classi di uomini. Che cosa non è stato detto, per esempio, intorno alla
(i) Notice sur Ics Mélanges poétiques d'Hildehert de Lavar din^ in Notic. et
Extr. des mss., to. XXVIII, 2® partie, p. 420: « Baluze les a copiées (cette
« pièce et la précédente) lui-mème pour son édition d'Hildebert. C'est là tout
« ce nous en pòuvons dire ».
(2) Nel secolo quarto, dopo la ritorma di Diocleziano, oltreché l'antica re-
gione cosi denominata, indicossi col nome di « Liguria » tutta la pianura trans-
padana, di cui Milano, sede del « vicarius Italiae », era la metropoli. Cfr. Corp.
Inscr. Lai., to. V, par. II, p. 810. Di qui la consuetudine, divenuta comunissiraa
più tardi, di chiamare « Liguria » la Lombardia, specie in causa dell'autorità di
Paolo Diacono e d' Uguccione. Contro l' improprietà di quest'usanza insorgeva
sulla fine del sec. XIV Benvenuto da Imola (cfr. Epistolario di C. Salutati,
lib. IV, ep. I, voi. II, p. 137); ma le sue proteste a nulla valsero: gli scrittori
del suo tempo chiaman ancora Liguria la Lombardia e a dux Ligurum » è Gian
Galeazzo Visconti per l'autore del suo epitafio!
(3) Cfr. Il Lombardo e la lumaca, nel mio volume Attraverso il medio evo,..
Bari, Laterza, 1905, p. 117 sgg.
(4) Basterà ricordare la leggenda sull'origine degli Unni.
APPUNTI E NOTIZIE 2I3
creazione del villano? (i) In quanto concerne poi la origine dei popoli,
io sono lieto di potere, a conforto di noi Lombardi, riportare qui due
altri epigrammi che riguardano la nascita della gente tedesca e della
francese , quali si rinvengono in un manoscritto della Palatina di
Vienna (2). Da essi si potrà rilevare che se noi abbiamo avuto de' pro-
genitori poco umani, neppure i Teutoni ed i Galli possono andar molto
superbi delle loro scaturigini :
De origine germanorum.
Genti teutonicae mirabilis extat origo.
Ova tulit cygnus, qua fuit alta palus.
Alnus et alta fuit; asinus piger ova recepit,
Lepus contra fovit : hoc genus inde fuit.
Cygnus candentes et asellus monstrat inertes,
Molles alta palus, sed proceros exprimit alnus.
De origine francorum.
Fnincigenae genti dispar datur ortus habendi :
Flumina scrutanti cum pavo coisset anati,
Ovum fera viae deponit in aggere tritae,
Dama quod inventum fovit caveis glacierum.
Credite Francigenas hinc prima quod extulit aetas.
Pavo decorantes, sed anas designat edaces ;
Flumen luxuriam, sterilem via publica terram,
Ast frigus glacies ; bene prodit dama tugaces.
F. N.
/^ Una MERIDIANA DEL XII SECOLO. — Una congregazione di bene-
dettini francesi ha rioccupato recentemente l'antico cenobio della badia
di Acquafredda in territorio di Lenno sul lago di Como, già dei monaci
cistercensi, e dopo un secolo e più ha così fatto ritorno ai silenzi della
vita claustrale l'ampio edificio coll'annessa chiesa e coi vicini orti e
giardini, annoverato, anni or sono, una fra le più deliziose villeggiature
del Lario.
Niun luogo più adatto allo studio ed al raccogUmento di quell'ameno»
poggio ove, fino dal 1147 s'erano dato cura di estendere l'azione loro
in Lombardia i frati cistercensi della badia di Morimondo, il cui priore
Pietro acquistava per l'appunto in detto anno da Azzone d' Isola l'altura
d' Acquafredda e vi fondava una piccola casa monastica sussidiaria.
Né è qui il luogo di riassumere neppur brevemente le vicende di
(i) Per quanto si riferisce alla nascita de' villani, cfr. le storielle popolari
accennate dal Meklini, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano, Torino^
1894, p. 30 sgg., alle quali altre parecchie si potrebbero aggiungere.
(2) Cod. Lat. $233, del sec. XV, che contiene gli Epigrammi di Prospero,
ved. S. Endlicher, Catalog. codd. philolog. latin. Uhi. Palat. Vindohonensis, 1836:
p. 277.
214 APPUNTI E NOTIZIE
quel cenobio che andò soppresso nel 1783 collo sperpero di tutto quanto
conteneva di prezioso per l'arte e per la storia. Chi saprebbe racimo-
lare oggidì tanti tesori? e a malapena sappiamo che, nell'intento di
salvare e utilizzare qualche resto dell'insigne monastero, le campane
vennero date alla chiesa di Zelbio poco sopra Nesso, l'organo a Sala,
le reliquie del corpo di S. Agrippino a Delebio.
Poca speranza adunque di rinvenire oggidì in quel luogo, dopo tante
vicende, qualche oggetto meritevole di considerazione se, pregandosi ul-
timamente il collega dott. E. Verga, che si recava colà, di constatare
l'esistenza o meno nella chiesuola d'Acquafredda di toccante iscrizione
sul sepolcro dei claustrali, già esistenti in passato, e citata in una sua
pubblicazione dal conte Cavagna Sangiuliani, non si avesse avuto la
ventura di accertare la conservazione di quell'epigrafe e nel tempo
stesso di scoprire in un lastrone di marmo una meridiana, disusata da
tempo ma che risale ai primi anni dalla fondazione del chiostro, e cioè
al 1193.
La tavola di marmo, levigata solo nella sua parte anteriore e delle
dimensioni di circa m. 0.50 per 0.60, giace ora a terra in un cortile del
convento ed offre in vista scolpito il circolo del meridiano diviso in due
emisferi. Quello inferiore appar riportato con linee moventi dal centro,
ove doveva levarsi lo stilo indicatore, in- dodici segmenti rispondenti
alle ore dalle 6 alle 18, né presenta altra particolarità che tre intacca-
ture profonde nelle ore dalle 8 alle 9, dalle 12 alla i, e dalle 2 alle 3,
riferibili manifestamente ad ore di preghiera o di speciali occupazioni
quotidiane della congregazione.
Nell'emisfero superiore sta scritta al disopra della linea equino-
ziale, designata colle lettere in gotico antico di LN e AEQ, la data
che dà più particolarmente valore a questo marmo, così espressa
MC xeni, lasciando posto nell'intervallo fra le due cifre e così pure
fra le due sigle testé menzionate della linea equinoziale a un circolo
minore che dalla X e dalla lettera greca P inscrittavi altro non può
significare, che il monogramma xpi^'^ó?.
Appar chiaro da tutto ciò che la lastra era destinata a stare ver-
ticalmente o, come si diceva dai vecchi astronomi, con circolo azimath;
la simmetria poi delle linee orarie rispetto alla verticale o linea del
mezzodì, indica che s'intendeva di fissarla o che fu esattamente disposta
in passato nel piano verticale est-ovest, ossia, come si dice, a perfetto
mezzogiorno.
Diego Sant'Ambrogio.
/^ La Badia di San Giovanni Battista di Vertemate. — La linea
ferroviaria che da Milano va a Como, tocca qua e là a breve distanza
edificii religiosi d'antica data, meritevoli di qualche considerazione; la
chiesa ed il convento delle benedettine di Meda, poco dopo Seregno
sulla destra, e più innanzi dall'egual lato la cappelletta di Mocchirolo,
APPUNTI E NOTIZIE
215
cui fa riscontro sulla sinistra il più importante oratorio di Lentate sul
Seveso (i).
Procedendo poi oltre verso Como, una strada tortuosa risale da
Cucciago, frammezzo ai boschi, fino all'altipiano di sinistra su cui siede
Vertemate, e poco prima di raggiungere la vetta, incontrasi la vetusta
badia di San Giovanni di Vertemate.
Ridotta oggidì allo stato di cascinale agricolo e solo serbando degli
antichi splendori il nome di " badia „, non invita a tutta prima il visi-
tatore ad accedervi, e la chiesa è poi sì cadente e malandata da servire
a mala pena come deposito di legna ed attrezzi rurali.
Vi fa pompa ancora al sommo della porta un grandioso stemma
cimato da un cappello cardinalizio e colle insegne dei Visconti Aimi, ma
la facciata rinzaffata a calce, come l'interno tutto quanto del fabbricato,
nulla ha che richiami l'attenzione. Un altro stemma, oggidì obliterato,
vedevasi sulla porta che dai piazzale dà adito al monastero propria-
mente detto, ridotto ora ad abitazione del castaido e dei dipendenti
contadini, e in cui la stessa corte quadrata, che doveva servire come
chiostro principale, nulla offre di artistico all' infuori di un portichetto
sul fianco destro della chiesa.
Nonostante i rimaneggiamenti che ebbe quella parte della costru-
zione e l'adattamento di una scala di legno per l'accesso al portico su-
periore, scorgonsi ivi ancora sulla parete alcune pitture di qualche me-
rito, fra cui una Pietà nella piccola mezzaluna al disopra della porta e
poco discosto a destra due figure in ampii paludamenti che parrebbero
rappresentare i santi Pietro e Paolo.
Migliore di tutte ed anzi notevole per smalto pittorico e accurata
esecuzione è un grande affresco a sinistra delia porta, incorniciato da
una zona a quadretti policromi nello stile delle opere giottesche, col
soggetto dell'Annunciazione. Oltremodo commendevole la testa della
Vergine che è mirabile possa essere giunta fino a noi colla rustica scala
praticata in prossimità del dipinto, locchè dinota che i contadini stessi
del luogo tennero sempre quell' immagine in particolar venerazione.
Penetrando da quella porticina laterale nella chiesa, tutta quanta
imbiancata a calce come dicemmo e ingombra di fitte cataste di legname,
ci colpisce tosto lo stato di squallore a cui è ridotto l'edificio. Come già
osservava nella sua visita del 1676 il vescovo comense Ambrogio Tor-
riani, essa è " satis ampia „ coll'altare verso oriente, e volte a crociera
tanto nel presbitero e nei due ambienti laterali, quanto nel piedicroce
con quattro pilastri rotondi, aventi basi senza unghie protezionali e ca-
pitelli a cubo di rozza fattura.
Nessuna traccia oggidì né dell'altare principale, con ancona un giorno
in onore di San Giovanni Battista, né degli altri due a destra ed a si-
nistra dell'apparente navata trasversale, dedicati a Santa Maria delle
{1) Su Meda e su Lentate veggansi la Lega Lombarda del
tobre 1901 e del 4 dicembre 1904.
9, 12 e 13 ot-
2l6 APPUNTI E NOTIZIE
Grazie ed a San Francesco. Chiusa da muri divisori, per foggiarne
un pili sicuro ripostiglio, è la navata di sinistra, ove presso la porta era
stato adattato in passato altro altare a San Francesco da Paola, come
risulta dalla visita a San Giovanni di Vertemate del cardinal Ciceri,
vescovo di Como, l'anno 1686.
Non ancora vuotate del tutto in quella dissacrata chiesa, con poco
riguardo all'igiene e minor decoro, sono le due cripte, una delle quali
può scoperchiarsi tuttora con somma facilità, e in cui per lunga serie
d'anni vennero tumulati i cadaveri degli uomini nell'una e delle donne
nell'altra, del cascinale della badia e dei vicini molini. Si direbbe che
l'azione esiziale del tempo, che fu sì funesta all'antica basilica, si sia
soffermata davanti a quelle tombe che pur meritavano maggior rispetto,
benché sia sparito invece da tempo l'ossario che si apriva sul lato de-
stro della facciata.
Nella sola ristretta e spoglia sagrestia, che già il vescovo Torriani
qualificava come " parva, humilis et humida „ e oggi pure debolmente
rischiarata, v'è ancora un buon ricordo d'arte nelle pitture che decorano
la vòlta con medaglioni di santi, e la parete a tramontana con un Cristo
nel sepolcro, intorno a cui volano due triadi d'angeli che rammentano,
a dir del Monti, la leggiadria di quelli dipinti dal beato Angelico di Fie-
sole, e certo sono opere con un vicino San Benedetto ed altre cose
minori, degne di riguardo e tali da invocarsene la conservazione, ove
ciò appena riesca possibile.
L'esterno della chiesa, intonacato di calce anche nelle tre absidi
di sfondo e provvisto della torricciuola ottagonale per le campane al
disapra del presbitero, nulla offre di speciale sotto il rispetto artistico;
e altrettanto può dirsi dei locali costituenti l'antico monastero, disposti
intorno alla corte quadrangolare sul lato destro della basilica, e recinti
d'ogni intorno dal brolo cintato, su tutto il perimetro, e da ortaglie di
proprietà del cenobio.
Il convento di San Giovanni doveva costituire in passato su quell'alto
poggio, dominante larga estensione di paese e da cui si gode d'un' in-
cantevole panorama sulla valle sottostante fino ai monti di Brunate, un
tranquillo e sicuro luogo di refugio; e non è senza commozione che se
ne visitano ancor oggi le scarse vestigia rimaste, evocando colla me-
moria le vicende molteplici cui ebbe a sottostare e che ci sforzeremo
d qui brevemente riassumere.
Una notizia convalidìita dalla Bibliotheca cluniacensis del Marrier,
ci informa intanto che fino dagli albori del XII secolo fu istituito in luogo
un Priorato dei monaci benedettini cluniacensi, e la relativa chiesuola
sarebbe stata consacrata l'anno 1107 da Oddone, vescovo di Imola, per
incarico di Guido, vescovo di Como.
Il Marrier annovera infatti quel convento fra gli altri cluniacensi
elencati nella Definizione del 1367, come segue: " Prioratus S. Johannis
" de Vertemate, qui est unitus Prioratui de Cernobbio, ubi debent esse
'' cum Priore 6 monachi et fit ibi eleemosyna omnibus petentibus „.
APPUNTI E NOTIZIE 217
Benché dipendente da altro priorato, sarebbe pur sempre riescito
di qualche interesse ravvisar nella nostra badia le tracce almeno del-
l'antica Obbedienza cluniacense; ma sgraziatamente, come a Santa Maria
di Cernobbio, tutto il tempo ha travolto e sperperato, cosicché di quegli
antichi priorati dei secoli XII e XIII non ci rimane altro esempio che in
quello di Piona presso Gravedona, col pittoresco suo chiostro del 1252.
Risulta anzi dalle notizie dei cronisti che un claustrino cluniacense
esisteva pure a San Giovanni di Vertemate, ma esso andò distrutto
barbaramente nel 1688, allorché i comaschi irritati contro gli abitanti
•di Vertemate che pareva inclinassero verso i milanesi, fecero colà
un'incursione guerresca, distruggendo il castello edificato poco prima
in luogo contro le offese degli oltramontani e la non lontana badia di
San Giovanni.
Vano riesce dunque il far ricerca oggidì colà di memorie clunia-
censi, ed anzi la distruzione deve essere stata così radicale che rite-
niamo ascrivibile a posteriore rifabbrica anche la chiesa con volte a
■crociere e capitelli a cubo fino a noi pervenuta e che abbiamo più sopra
descritta.
In tale avviso ne inducono la rozzezza della costruzione per lo più
in cotto e non in pietrame, quale usavano i Cluniacensi, e con molti
particolari che tradiscono un'epoca già inoltrata dell'architettura lom-
barda.
Avremmo così sott'occhio in quella chiesa un edificio della fine del
XIII o dei primi anni del XIV secolo, ed anche i dipinti a fresco di ca-
rattere più antico verso la porticina laterale della chiesa non risalgono
oltre la fine del trecento, e posteriori ancora sono quelli, della metà
invece del XV, nella cappella della sagrestia.
Si ha anzi ragione di credere da un documento che citeremo più in-
nanzi di papa Gregorio XV del 1621, che dopo la rovina del pristino
chiostro cluniacense, la congregazione religiosa la quale ne continuò
in luogo le tradizioni, si avvicinasse di preferenza alle prescrizioni ri-
tuali degli Umiliati, e ne abbracciasse le dottrine, benché il Tiraboschi
nella sua storia di quell'Ordine non citi San Giovanni di Vertemate
espressamente fra i conventi degli Umiliati nella provincia di Como.
Quell'autore per altro fa esplicite riserve sul non aver egli pub-
blicati tutti i documenti che possedeva, e d'altronde benché, verso la
fine del XVI secolo, non sia stato anche San Giovanni di Vertemate
compreso tassativamente fra le case soppresse nel 1579 ed incorporate
di quella congregazione, come lo fu la casa di Rondenario colle altre
due di Vico e le molte del bacino lacuale comasco, data anche per la
badia di San Giovanni da quell'epoca ad un dipresso la cessazione del
convento propriamente detto e l'istituzione dello stato di commenda, che
fu del resto la rovina totale del poco che rimaneva dell'antico cenobio.
Primo commendatario della badia fu infatti sugli inizi del XVII se-
colo l'abate Marco Gallio di Como, nipote dell'illustre cardinale To-
lomeo e fratello di Carlo, capitano delle tre pievi superiori del lago. In-
2l8 APPUNTI E NOTIZIE
signito della carica onorifica di protonotario apostolico, fu sotto il suo
governo nel 1621 concesso da papa Gregorio precitato il breve aposto-
lico indirizzato al vescovo di Como e diretto ad introdurre nella chiesa
abbaziale di San Giovanni di Vertemate i " Frati rriinimi „ di San Fran-
cesco da Paola.
Avevano fatta istanza all'uopo presso il pontefice lo stesso com-
mendatario Marco Gallio e il padre Antonio Barberi, correggitore del-
l'Ordine nella provincia di Milano, ed è in quel documento che la badia
è designata come già di proprietà un giorno dell'ordine degli Umiliati.
Fu del resto una chiamata più che altro " prò forma „, giacché,
benché un altare sia stato eretto nella chiesa a San Francesco di Paola
per l'appunto, non risiedeva alla badia che il cappellano incaricato della
messa quotidiana, né il convento tornò mai più a funzionare, se non per
assoluta deficienza di mezzi, per lo stato stesso di commenda introdotto
in quella istituzione.
Dalle notizie risultanti all'epoca della soppressione possedeva la
badia non pochi fondi agricoli fra cui a Caslino, a Cadorago, Lenna, e.
vasti possessi in Vertemate stessa con molti dei molini della sottostante
valle, sicché calcolavasi nel 1787 che ammontassero i livelli attivi a
L. 246 e i fondi a L. 9193, e spettassero al cardinal commendatario
L. 7130, dedotte le L. 450 per l'onere della messa, restando, ben inteso,
a suo favore i mobili e le scorte.
Venuto a mancare il protonotario Gallo, nel 1632, gli succedettero
come commendatari in quel secolo, don Giuseppe Donesaiia fino al
1664 e poscia da quella data fino al 1712 il munifico cardinale Giuseppe
Archinti. Furono, al dir del Litta, i meriti del padre che procurarono a
quest'ultimo da Alessandro VII la badia di San Giovanni, a quel modo
che allo stesso porporato veniva assegnata poco dopo l'altra badia, già
di compendio degli Umiliati essa pure, di San Giovanni della Vigna nella
diocesi di Lodi. Com'è noto, si distinse per altro l'Archinti, nominato
cardinale da papa Innocenzo XII, oltrecchè come arcivescovo di Milano,,
in varie mansioni politiche ed, entusiasta di Filippo V di Spagna, era
poco propenso invece al governo d'Austria che stava per stabilirsi in.
Lombardia.
Dal 17J2 al 1737 fu commendatario di San Giovanni di Vertemate
il cardinale Curtis de Origo, della famiglia omonima di Milano, e mag-
gior lustro le diede poscia, per titoli ed aderenze, il commendatario
che gli successe dal 1737 al 1769 cardinal Carlo Francesco Diirini, arci-
vescovo di Rodi, prelato domestico ed assistente della Santa Sede per
nomina di papa Clemente XII. Si recò come nunzio apostolico in Elvezia
e presso Luigi XV di Francia; divenne vescovo di Pavia, e in mezzo
a tanti onori come non scordare l'umile e depauperata badia di cui era
titolare ? Magagne dei tempi !
Non meno di lui illustre fu l'ultimo commendatario della badia negli
anni dal 1774 al 1788, in cui venne a morte, cardinale Eugenio Visconti.
Già possedeva egli fin dal 1725 l'abbadia di San Pietro all'Olmo, e molto-
APPUNTI E NOTIZIE 21 9
si distinse negli uffici pubblici come referendario dapprima e da ultimo
come prefetto di Propaganda Fide. Fu altresì nunzio in Polonia nel 1759
e gli venne addebitata certa soverchia tendenza alla vita gaja e rumo-
rosa in Vienna ove trovavasi per mansioni diplomatiche.
Era per altro uomo di retto sentire, ed allorché cessò colla sua
commenda di aver vita a sé la badia di Vertemate, a stento si potè ot-
tenere dall'Economato ne aveva assunto la gestione vacante, il quale
che venisse conservato l'uso introdotto dai commendatari e mantenuto
dal Visconti di una dote di L. 25 alle fanciulle nubende dei fittabili e
coloni della gestione agricola.
Venuti poi i giorni delle affrettate e violente soppressioni, la badia
di San Giovanni di Vertemate che già s'era andata lentamente prepa-
rando alla sua disparizione, fu venduta al pubblico incanto e la posse-
derono i Cusani dapprima e poscia i Traversi e a stento la parroc-
chialità di Vertemate ottenne nel 1798 di poter ritirar essa alcuni pochi
effetti di culto chiesastico rimasti abbandonati e che avrebbero dovuto
altrimenti essere venduti essi pure, come lo furono i fabbricati tutti della
badia, e i fondi, l'orto e il giardino.
Va da sé che, nello stato di squallore in cui trovavasi la chiesa,
non potè allora essere presa in considerazione la domanda fatta nello
stesso anno 1798 dai deputati dell'Estimo del comune di Vertemate,.
perchè si conservasse quella chiesa abbaziale a comodo di quella par-
rocchia, e da allora in poi, la sconsacrata chiesetta di San Giovanni
andò sempre più deperendo e la sua esistenza stessa è seriamente mi-
nacciata da qualche tempo in qua.
Non riesca quindi discaro se, a scongiurare, per quanto è possibile,
siffatta estrema jattura, si richiami l'attenzione degli studiosi su questa
dimenticata e vetusta badia che, trovandosi a poca distanza dalla gran
via che unisce Como a Milano ed in amena e ridente posizione, con
tracce tuttora di curiosità architettoniche e di dipinti di qualche vaglia,,
può essere facilmente visitata. D. S.
/^ Bandiere dell'armata d'Italia (1797). — Sono tanto pochi gli
studiosi di bandiere di guerra e coloro che per persistenza di ricerche
posson dirsi competenti in materia, che davvero si potrebbero contare
sulle dita di una mano. I lavori però che l'Hollander ha già pubblicato
sia nel Carnet de la Sabretache che in altri periodici, sono più che suf-
ficienti per stabilire la di lui fama quale di uno dei più intelligenti, eru-
diti e pazienti indagatori di questa difficilissima e sinora nemmanco sfio-
rata materia che, mancando un appropriato vocabolo latino, oseremo
germanicamente chiamare " Fahnenkunde „. I cultori degli studi storici,
e specialmente coloro che s'interessano al turbinoso periodo dell'occu-
pazione francese in Italia alla fine del XVIII secolo, leggeranno con
piacere la nuova sua pubblicazione (i) esclusivamente basata su doci -
(i) O. Hollander, Les drapeaux et ètendards de Varmée d'Italie et de Varmée
d'Égypte, ly^j-iSoi (Extrait du Carnet de la Sabretache), Paris, Leroy, 1904.
220 APPUNTI E NOTIZIE
menti, inediti per la massima parte, e sulT illustrazione dei cimeli che
per la difficoltà stessa della loro durabilità soltanto in piccolissimo nu-
mero sono pervenuti sino a noi.
Il 14 dicembre 1796 il generale in capo Bonaparte da Milano risol-
veva di dare delle nuove bandiere a tutte le mezze brigate (così chia-
mavansi allora i reggimenti) che facevano parte della sua armata d'Italia,
ed in una lettera al generale Berthier egli prescriveva che su ciascun
drappo si facessero iscrivere le battaglie a cui i differenti corpi eransi
trovati presenti, distinguendo con carattere più vistoso quelle fazioni
vittoriose cui maggiormente avevano contribuito.
Si incaricò di sorvegliare la confezione di queste bandiere il capo
battaglione Leopoldo Berthier, " logé (dicono i documenti) Casa Trivulci
" place Saint Alexandre „. Il modello adottato era quello che nel 1794
veniva assegnato alle bandiere dell'allora già disciolta 197.* mezza brigata,
e se ne ordinarono 90, come appare dal contratto in data io gennaio 1797
tra il cittadino Garros, " agent en chef des effets militaires, commis des
" deniers et affaires de la République Frangaise „, ed il negoziante
Gian Giacomo Boudet, che si obbligava a fornirle ai magazzini militari
in Milano nello spazio di un mese, complete con asta a lancia dorata,
zoccolo in ottone giallo e puntale in ferro e colle relative cravatte guer-
nite di frangie, al prezzo di 195 lire, numerario di Francia in oro od
argento.
Stante qualche lentezza per parte dei corpi nel declinare i fatti
d'arme di cui potevano andar fregiate le loro nuove insegne, non fu
che pel 1° Pratile che il cittadino Boudet venne obbligato a portare le
nuove bandiere alla sede dello stato maggiore (" Casa Cerbellonni „)
per essere collaudate, incassate e spedite alle divisioni disseminate nel
paese occupato, e fu anche puntuale, visto che non gli era stato pos-
sibile, malgrado i reclami avanzati, di riscuotere il pattuito anticipo di
6000 lire.
Ogni mezza brigata ebbe tre bandiere e cioè una per battaglione;
la parte di drappo che andava arrotolata ed inchiodata all'asta era
bianca pel i.°, rossa pel 2° e bleu pel 3,** battaglione. La stoffa di taf-
fetà di seta misurava circa metri 1,60 in quadrato : al centro stava un
quadro bianco circondato ai quattro lati da un trapezio diviso in tre
strisele ineguali disposte obliquamente; un aspetto, come si vede, assai
caratteristico. In ciascun trapezio la striscia esterna era rossa, bianca
quella di mezzo ; il bleu toccava sempre il quadro del centro il quale
nel diritto presentava dipinti ad olio un fascio da littore sormontato dal
berretto frigio scarlatto e circondato da due ramoscelli di quercia; sul
rovescio però soltanto questi ultimi che dovevan rinchiudere sia il nu-
mero del corpo oppure delle leggende ricordanti le testimonianze spe-
ciali d'onore conferite sia poi oralmente, sia nei rapporti ufficiali, a
quel dato corpo dal generale in capo in persona. Citeremo ad esempio^
le seguenti per quanto ne sia controverso il testo, nessun originale es-
sendo pervenuto sino all'età nostra :
APPUNTI E NOTIZIE 221
J'ÉTAIS TRANQUILLE, LA BRAVE 32® É TAIT LÀ!
La 57* DEMI BRIGADE QUE RIEN n'aRRÉTE.
Brave 18®. Je vous connais, l'Ennemi ne tiendra pas devant vous.
La 25* s'est cou verte de gloire.
La terrible 75* que rien n'arrète.
Le altre iscrizioni, pure dipinte in lettere d'oro, erano disposte oriz-
zontalmente sulle striscie tricolori, quelle del davanti sono le regola-
mentari, ossia, République franqaise sopra e Discipline et Soumission
Aux Loix militaires sotto, ed ai quattro angoli alternati i numeri della
mezza brigata e del battaglione.
Al rovescio invece, disposte in vario modo a seconda del loro nu-
mero e della loro lunghezza, le iscrizioni dei fatti d'arme. Quelle che
piij di sovente ricorrono sono :
combat de montenotto (sic) bataille de MONDOVI
BATAILLE de millesimo PASSAGE DU PONT DE LODI
bataille de LONATO bataille de CASTIGLIONE
BATAILLE DE BASSANO COMBAT SUR LA BRENTA
BATAILLE d'aRCOLO {sÌc) JRE ET 2ME BATAILLE DE RIVOLI
BATAILLE DE S.T GEORGE BLOCUS ET PRISE DE MANTOUE
COMBAT d'aNGUILLARI PASSAGE DU TAGLIAMENTO
TRAVERSÉE DU TIROL BATAILLE DE CEMBRA.
Due di queste bandiere sono conservate al Royal Hospital a Chelsea
presso Londra, essendo cadute in mano degli inglesi il 4 settembre 1800
in seguito alla capitolazione di Malta ; altre dieci si trovano nell' I. R.
Museo dell'armata a Vienna, prese quasi tutte tra il 1799 ed il 1801.
Sembra non ne esistano altre.
Il 14 luglio 1797 queste bandiere venivano distribuite con grande
solennità ed il chiarissimo autore riproduce un documento ufficiale da
cui si rilevano i seguenti dati circa la dislocazione dei corpi, dati che
qui vale la pena di riportare :
i.^ Divisione, Brune a Padova — 2.* mezza brigata leggiera; 18.%
25.', 32.% 75.* mezze brigate di linea,
2." „ Augerau a Verona — 27.» leggiera; 4.*, 40.*, 43.»^ e
51.* di linea.
3.^ „ Bernadette a Udine — 16.* leggiera; 30.», 55.% 61.^
ed 88.* di linea.
4.'' „ Fiorella a Treviso — 21.^ leggiera; 6.», 12.% 64.» e
69.* di linea.
5.'^ „ Joubert a Vicenza — 4.* e 22.» leggiere; 11.'', 14.»,
33.» ed 85.» di linea.
6^ „ Delmas a Belluno — 26.** leggiera; 39.* e 93." di
linea.
222 APPUNTI E NOTIZIE
7.a Divisione Baraguay d'Hilliers a Venezia — 17.^ leggiera; 5.%
58.», 63.^ e 79.^ di linea, di quest'ultimo solo il
i.^ battaglione gli altri due essendo distaccati
a Cor fu.
8.a „ Victor a Genova — 5.» e 18.* leggiera; 57.* di linea.
Colonna mobile al comando del generale Bon a Milano — 9.* e
13.* di linea.
Divisioni in paesi conquistati :
i.a Divisione, Miollis a Mantova — 29.» leggiera.
2.^ „ Kilmaine a Milano — ii.% I2.«' e so.'i leggiera.
3.^ „ Sauret a Tortona — 45.^ di linea (2.° e 3." batt.^).
4.^ „ Casabianca a Cuneo — 45.» di linea (i.° batt.**).
5.* „ Vaubois in Corsica — 19.^ di linea.
A Milano la distribuzione delle bandiere ebbe luogo nel recinto del
Lazzaretto, ove cinque giorni prima si era celebrata, con quella pompa
che tutti gli studiosi dell'epoca conoscono, la festa della Federazione
della Repubblica Cisalpina di cui l'Aspari ci ha lasciato memoria in
una sua incisione. Mentre nella prima si distribuirono le bandiere alle
nostre Guardie Nazionali in questa 'seconda solennità ebbero uguale
onore tre coorti cisalpine comandate dal La Hoz (i).
Alla cavalleria ed all'artiglieria i nuovi stendardi non furono con-
segnati che alli 22 settembre 1797, anniversario della fondazione della
Repubblica. Essi portavano dipinto nel diritto un fascio da littore sor-
montato da berretto e contornato da due rami d'alloro dorati, il tutto
LIBERTÉ EGALITÉ
circondato dalle iscrizioni : discipline subordination
VIGILANCE
L'altro lato era senz'emblemi, ma tutto riempito dalle iscrizioni delle
imprese compmte, leggendosi sulle due prime linee : république fran-
gAiSE e l'indicazione del corpo. Tutt' intorno d'ambo i lati a mo' di
cornice una fascia ricamata a foglie di quercia e terminante in fitta
frangia dorata. Il drappo del i.° squadrone era scarlatto, con fascia
rossa ricamata in oro. Quello del 2.° squadrone era cilestre con fascia
bleu e ricami in oro. Quello del 3.° squadrone era verde chiaro con fa-
scia verde ricamata in oro ; infine quello del 4.° squadrone era giallo
con fascia e ricami oro su oro.
Lo stendardo per altro dell'Artiglieria delle Guide aveva il drappo
tricolore ed invece dei nomi delle battaglie la leggenda: partout l'ar-
TiLLERiE s'est comblée DE GLoiRE. Qucsto cd i quattro stendardi della co-
sìdetta Compagnie des Guides sono conservati a Parigi nel Museo d'ar-
tiglieria.
(i) Ved. Corriere Milanese del 17 luglio, n. 57, p. 457; ed in Ambrosiana.
SCV Vili, 4 sotto al n. 39.
I
APPUNTI E NOTIZIE 223
Il Museo del Risorgimento in Milano ha però la somma ventura di
possedere (i), per quanto incompleto e manomesso, il drappo del 3.°
squadrone del 3.° reggimento d'artiglieria leggiera che il chiarissimo
autore fa oggetto d'una riuscitissima illustrazione e che i lettori po-
tranno esaminare a loro bell'agio a miglior comprensione dei cenni
dati qui sopra.
Vi si leggono le seguenti iscrizioni :
Aff: de Mondovi et Pas : du Pò.
Bat: de Lodi et Pas: du Mincio.
Bat : DE Castillon et Aff : de la Corona.
Prise DE Trente.
Aff : de Trente et de Bassano.
Capitulation de Porto Legnago.
Bat : de St George et de Rivoli.
Bat : d'Arcole et de la Favorita.
Reddition de Mantoue.
Pas : de la Piave.
Pas : du Tagliamento.
Pas : de Lisonzo, et Prise de Gradisca.
Aff : et prise de Indemburg (2).
Per non riuscire troppo lungo ed anche perchè presenta troppo
lieve interesse per la storia lombarda, tralascierò di riassumere l' inte-
ressante illustrazione delle bandiere delle cosidette mezze brigate di
battaglia e dell'armata d' Egitto, colla quale si chiude questo lavoro.
Degne d'ammirazione le magnifiche tavole di cui esso va corredato.
Enrico Ghisi.
/^ Onoranze centenarie al poeta Giovanni Fantoni. — Ricorrendo
tra breve il primo centenario della morte di Labindo, la città di Fiviz-
zano, la quale giustamente si vanta di avere dato i natali a chi fu detto
l'Orazio Toscano, ha deliberato di onorare il più degnamente che per
lei si possa la memoria del valoroso poeta. A tal fine si è costituito in
Fivizzano sotto la presidenza di quel sindaco, signor Ignazio Angeli, un
Comitato che si rivolge per aiuto nella nobile impresa a quanti sono
studiosi italiani. Noi confidiamo che la gentile città lunigianese saprà
rendere il miglior tributo al geniale artista, facendone conoscere la vita
e gh scritti meglio di quanto siasi fatto sin qui.
/^ Tra gli acquisti fatti nel mese di novembre u. s. dalla Biblioteca
del Senato del Regno in Roma sono da comprendersi 151 Statuti e or-
dini municipali italiani, mss. e a stampa, provenienti per la più gran parte
(i) Lascito del conte Aldo Annoni.
(2) Per ludenhirg.
224 APPUNTI E NOTIZIE
dalla biblioteca del defunto barone F. Em. Bollati di St. -Pierre, sovrin-
tendente agli Archivi piemontesi. La Commissione per la Biblioteca, che
ne ha deliberato l'acquisto nell'intendimento di accrescere la collezione,
già ricca di ben 2280 statuti italiani e costituente il più prezioso fondo
storico dell'Istituto, ne darà notizia particolareggiata in uno dei pros-
simi fascicoli dell'utile Bollettino delle pubblicazioni di recente acquisto, che
col 1904 ha iniziato le sue pubblicazioni (Roma, tip. del Senato).
*^ È uscito il primo volume del Codice Diplomatico dell' Università
di Pavia (atti dal 1361 al 1400), pubblicazione promossa dalla Società
di storia patria pavese, e curata dal prof. dott. R. Majocchi, Essa torna
a grande onore del nostro egregio consocio ; e V Archivio si riserva di
riparlarne.
*^ Anche l'ottavo volume degli Atti del Congresso storico interna-
zionale di Roma ha veduto ora la luce. Esso per materia e per sezioni
è il secondo della serie. Benché per mole minore di altri già pubblicati
(ha pagine xxxvii-373), non riesce per la importanza e la varietà del
contenuto inferiore a veruno. Esso si divide in quattro parti di cui la
i.a e la 2.* contengono i verbali delle sedute dei gruppi I e II, Storia
antica. Epigrafìa, e III, Filologia classica. La 3.» parte abbraccia le co-
municazioni concernenti ai primi due gruppi, in numero di diciassette,
dovute ad epigrafisti e storici ben conosciuti, italiani e stranieri; citiamo
tra altri i nomi del Bormann, del Conway, dell'Eusebio, del Lumbroso,
del Petersen, del Vulié. La parte 4.*, oltre ai temi presentati per la di-
scussione al III gruppo, da uomini competentissimi, quali il Ramorino,
il Sabbadini, lo Stampini, il Vitelli, abbraccia ventiquattro comunica-
zioni concernenti tutte alla filologia classica. Ricordiamo tra queste la
Vili, la XVII di G. ViteUi e A. Mancini sopra papiri greci; la IV del
prof. Monro Binning sul dialetto omerico, la XIV del prof. R. Seymour
Conway su un' iscrizione preellenica di Creta. Di un codice di Palefato
parla poi il dott. Butti; di un ms. di Tacito recentemente rinvenuto il
Ramorino (V, XIII); il Pascal ed il Curcio toccan questioni lucreziane
(XXII, XXIII); di letteratura latina cristiana trattano il Labroue, il Puech
(VI, X) ; infine il Sécheresse discute (XX) sulla questione oggi.assai viva
se il latino possa divenire la vagheggiata lingua internazionale dell'av-
venire. Varietà e dottrina : ecco le caratteristiche doti di questo bel vo-
lume che fa onore al pari di quelli già pubblicati all' infaticabile zelo
del benemerito segretario del Congresso, il comm. dott. G. Gorrini.
/^ Pubblicazioni recenti. — Per cause indipendenti dalla Direzione
à^W Archivio essendo mancato il solito Bollettino trimestrale di biblio-
grafia storica lombarda^ segnaleremo qui le pubblicazioni storiche più
recenti che concernono alla storia lombarda, su alcune delle quali ri-
torneremo con qualche maggiore notizia:
Bragagnolo G. & Bettazzi e., La vita di G. Verdi narrata al popolo, in-8,
Milano, G. Ricordi & C, 1905.
APPUNTI E NOTIZIE 225
Carotti prof. Giulio, Le opere di Leonardo, Bramante e Raffaello, in -8 fig.,
Milano, U. Hoepli, edit., 1905.
Clementi Giuseppe, // B. Venturina da Bergamo dell'Ordine de' Predicatori
(1504- 1346), in-8, Roma, Puster, 1904.
Colle-^ione Giorgio Mylitts di battenti in ferro ed in bronco. Venti tavole
in eliotipia. Note illustrative di Andrea Balletti, fol., Milano, Allegretti, 1905.
Dalla Santa Giuseppe, Un episodio della vita universi taria di Giasone del
Mayno, in-8, Venezia, Visentini, 1904.
Darowski Adam, Bona Sfor:(a, in- 16 fig., Kzym [Roma], Forzani, 1904.
Da VARI Stefano, Descri:(ione dello storico palax':(o del Te di Mantova^ in-4 ili.,
Mantova, Segna, 1905.
Del Balzo Carlo, L'Italia nella letteratura francese dalla caduta dell'impero
romano alla morte di Enrico IV^ in-8, Torino-Roma, casa editrice nazionale, 1905.
Garnett Richard, Italian villas and their gardens. With ill^ London, 1905.
Giani Maria Anglla, Di Gian Carlo Passeroni e di alcuni riscontri fra il
" Cicerone „ e il « Giorno », in-4, Tortona, Rossi, 1 904.
Giovannini prof. Alberto, Carlo Cattaneo economista, in-8, Bologna, Zani-
chelli, 1905.
Graziani Ern., Brescia nella storia delle armi, in-8 fig., Brescia, tip. della
Provincia, 1904.
GuiDiNi arch. A.., Il tempio di Santa Croce in Riva San Vitale, in-4 il^»
Milano, Treves, 1905.
Lombardo dott. Giacomo Maria, Bianca Milesi, con documenti inediti, in-i6,
Firenze, Seeber, 1905.
Majocchi dott. Rodolfo, Codice diplomatico della Università di Pavia,
(sec. XIV), in-4, Pavia, Fusi, 1905.
Malaguzzi Valeri Francesco, Gio. Antonio Amadeo, scultore e architetto,
lombardo (1447-1562), in-8 fig., Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1904.
Magistretti Marco, Manuale Ambrosianum, ex codice saec. XI. Pars prima:
Psalterium et Kalendarium ; Pars altera : Officia totius anni et dlii ordines, ■ in
fol., 2 voi., Mediolani, U. Hoepli, 1905.
Mazzi A., Il Beato Venturina da Bergamo, Bergamo, tip. Bolis, 1905.
OuRoussow princesse M., Gauden:(io Ferrari a Varallo et Saranno. Esquisse
d'art, in 4 ili., Paris, Fischbacher, 1905.
Parini, Oeuvres choisies tradmtes pour la première fois en langue frangaise par
le prof. Th. Feriaud. Voi. Ili (Prose), in- 16, Paris, Boyveau et Chevillet édi-
teurs, '1904.
226 APPUNTI E NOTIZIE
PoRiauET René, Histoire diplomatique du Pìémont, 18^^-18^6, in 8, Bar-le-Duc,
Brodard, 1904.
Rivista Archeologica della Provincia e antica diocesi di Como. Fase. 50.®, in-8 \
ili., Milano, L. F. Cogliati, 1905.
Rivista Archeologica Lombarda, diretta dal dott. prof. Serafino Ricci. A. I,
fase. I, in-8 ili., Milano, L. F. Cogliati, 1905.
Sartori Treves Pia, Una umanista bresciana del secolo XV {Laura De Ce-
rato), in-8, Brescia, Apollonio, 1904.
ViLLARi PASQ.UALE, Le invasioni barbariche in Italia, seconda edizione, in 8,
-.Milano, U. Hoepli, 1905.
>
O I* E? I« B?
pervenute alla Biblioteca Sociale nel I trimestre del 1905
Ambrosoli S., Intorno ad un nuovo esemplare della moneta Cavallina di
Candia. Lettera al signor conte sen. Nicolò Papadopoli, Milano,
tip. L. F. Cogliati, 1905 (d. d. s. A.).
Biblioteca della Società Storica Subalpina diretta da F. Gabotto, voi. I,
III, V-VIII, Pinerolo^ tip. Chiantore-Mascarelli, 1899-1901 (d. d. socio
Novati).
Bollettino delle pubblicazioni di recente acquisto della Biblioteca del Senato
del Regno. A. I, 1904, Roma, Forzani (d. d. Commissione della Bi-
blioteca del Senato).
Braga GNOLo G. & Bettazzi E., La vita di G. Verdi narrata al popolo,
Milano, G, Ricordi & C, 1905 (d. d. s. Seletti).
Bollettino della Società Dantesca italiana, nn. 1-2-3-9, Firenze, tip. S. Landi,
1890-1892 (d. d. s. Novati).
Calvi, E., Bibliografia analitica petrarchesca 1877- 1904, Roma, 1904 (dono
d. s. Novati).
Carotti G., Le opere di Leonardo, Bramante e Raffaello^ con 188 ili., Mi-
lano, U. Hoepli, 1905 (d. d. E. e d. s. A.).
Chiesa G., Regesto dell'Archivio comunale della città di Rovereto, fase. I,
(1280-1450), Rovereto, tip. Roveretana, 1904 (d. d. Biblioteca civica
di Rovereto).
CiccHiTELLi V., Sulle opere poetiche di Marco Gerolamo Vida, Napoli,
L. Pierro & F., 1904 (d. d. s. Novati).
Collezione Giorgio Mylius di battenti in ferro ed in bronzo. Venti tavole
in eliotipia. Note illustrative di Andrea Balletti, Milano, 1905 (dono
d. s. G. Mylius).
Dalla Santa Giusepìe, Un episodio della vita universitaria di Giasone del
Maino, Venezia, Visentin!. 1904 (d. d. A.).
Da VARI S., Descrizione dello storico palazzo del Te di Mantova, Mantova,
tip. Segna, 1905 (d. d. A.).
228 OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE
Ferrigno G. B., La peste a Castelvetrano ne^li anni 1624-1626, Trani,
V. Vecchi, 1905 (d. d. A. e del Municipio di Mantova).
Greppi G., Le dernier cri de Venise mourante (1797), Rome, Imprimerie
editrice romaine, 1905 (d. d. s. A,).
HoLLANDER A., Les drapeaux et étendards de Varmée d'Italie et de l'armée
d'Égypte, 1797-1801, Paris, J. Leroy, 1904 (d. d. A,).
Intra G. B., Del conte Luigi Magnaguti. Cenni biografici, Mantova,
G. Mondovì, s. a. (d. d. s. A).
Lenzi F., L'arte e le opere di Benedetto Pistrucci, Orbetello, 1004 (dono
d. s. A.).
Mazzi Angklo, // Beato Venturina da Bergamo, in-8, Bergamo, tip. Bolis,
1905 (d. d. s. A.).
Milano Sanitaria. Anno X, Milano, tip. L. F. Cogliati, 1905 (d. d. dottor
Levati).
Nava C, Un monumento sconosciuto dell'architettura lombarda. La chiesa
di Rivolta d'Adda, Milano, tip. degli Ingegneri, 1903 (d. d. s. A.).
PAsaucco G., Elagabalo. Contributo agli studi sugli a Scriptores Histo-
riae Augustae », Feltre, tip. Panfilo Castaldi, 1905 (d. d. A.).
Primo trentennio della Società Ceramica Richard- Ginori. Commemorazione,
Milano, tip. Bonetti, s. a. (d. d. s. No vati).
Rivoli [Due de], Les Missels imprimées à Venise de 1481-1600, Descrip-
tion, illustration^ bibliogì^aphie. Avec cinq planches sur cuivre et 350
gravures, initiales et marques, Paris, J, Rothschild, editeur, 1896
(d. d. s. A.).
Senato del Regno, Catalogo della Biblioteca, Roma, tip. del Senato, 1879,
— Appendice I, Roma, ivi, 1886.
— Indice per materie, ivi, 1888 (d. d. Senato).
Ved. Bollettino.
SoMMERFELD G. Matthàus von Krakau und Albert Éngelschalk zur Quel-
lenkunde des spàteren Mittelalters, s. i. t. (d. d. A.).
35 mar{0 rgos»
Il Bibliotecario
B. Sanvisenti
Achille Martelli, gerente-responsabile .
Le sentenze dei consoli di Milano
nei secolo XII
E origini del consolato e dei comuni italiani nel se-
colo XII aprirono agli storici nostri ed agli stranieri
un vasto campo di laboriose ricerche e di lunghi studi,
nel corso dei quali furono emesse tante opinioni così
diverse (i) da far diffidare poi della possibilità di giungere ad una
unica teoria (2).
(i) Rimandiamo per la rassegna di codeste opinioni e dei più autorevoli
storici meno recenti al lavoro di Pr. de Haulleville, His taire des communes lom-
bardes, Paris, 1859. Tra i recenti ricordiamo: A. Amati, // risorgimento del co-
mune di Milano, Milano, 1865 ; A. Pawinski, Zur Entstehungsgeschichte des Con-
suìatus in den Communen Nord und Mittel Italiens XI-XII Jahrh., Berlin, 1867;
F. ScHUPFER, La società milanese all'epoca del risorgimento del comune, in Ar-
chivio giurid. ital, 1870, fase. Ili al VI (anche a parte); Max Hadloike, Die
lombardischen Stàdie unter der Herrschajt der Bischòfe und die Entstehung der
Conmumn, Berlin, 1883 ; Paolucci, L'origine del comune di Milano e Roma, To-
rino, 1892; R. Davidsohn, Origine del consolato con speciale riguardo al contado di
Firenze-Fiesole, in Arch. stor. ital, 1892, p. 225; R. Bonfadiki, Origini del comune
di Milano, Milano, 1890 ; K. Neumayek, Die gemeinrechtliche Entwickelung des
internati onahn Privai und Stadtnchts his Bartolus Bd. I, Mùnchen, 1901; H. Pacl-
zow, Ueber die italienischen Stadirechte (Beitràge ^ur Bùcherkunde und Philologie
A. Wilmans), Leipzig, 1905 ; F. Gabotto, Le origini signorili del comune, To,
rino, 1903. Quanto ai comuni rurali vanno meriZicnati : E. Berta, Sull'origine
dei comuni turali, in Riv. ital. di sociologia, a. Ili, p. 749; A. Palmieri, Degli
antichi comuni rurali e di quelli deli' Apennino bolognese, Bologna, 1899. Giovano
a complemento di questa rassegna: S. Villanova, Saggio di bibliografia della
storia dei comuni italiani (%ivista di storia e filosofia del diritto), Palermo, 1900,
voi. II; E. Calvi, Tavole storiche dei comuni italiani, Roma, 1903.
(2) G. VcLPE, Una nuova teoria sulle origini dei comuni, m Arch. stor. itaL,
serie V, to. XXXIII, p. 350 sg. e la replica del Gabotto, ibid., to. XXXV, 1905,
P- 65 sg.
Arch. i>ior. Lomb., Anno XXXII, Fase. VI. it
230 EZIO RIBOLDI
Gli è che i documenti, i quali ci parlano direttamente della co-
stituzione dei comuni stessi (Brevi, statuti, ecc.) sono pochissimi (i),
e le narrazioni dei cronisti, per quanto degne di considerazione,
aumentano la confusione già così grande in tutta la storia di quella
età. Altro fonte sicuro non rimane se non queir ingente mole
diplomatica che pel sec. XII può attestarci indirettamente l'azione
politica, giudiziaria, amministrativa del consolato e del comune du-
rante la loro gloriosa e non breve esistenza. L'attività giudicante
di quella età ha lasciato le più numerose tracce nei nostri ar-
chivi; e per quanto non si presenti in forma di responsi di giu-
risprudenza, perchè priva quasi sempre di motivazioni, tuttavia,
anche nel suo lato negativo, conservando il fatto della causa le
deduzioni avversarie, la soluzione del giudice, ci offre i presup-
posti del nostro diritto statutario. Sono sentenze di giudici, messi
regi, consoli, arbitri, delegati papali, vescovi, abati, prevosti ; sono
allegazioni processuali, libelli, interrogatori di testi, mandati ; sono
atti di esecuzione o di giurisdizione volontaria. La raccolta di tanto
materiale richiederà certo ingegno e lena superiore alle forze indi-
viduali, ma sarà utilissima per lo studio del diritto municipale, in-
dispensabile per lo studio di quel corpo comunale che con tanto
spreco d'anatomia finora ci siamo affaccendati a ricostruire di se-
conda mano. Ma a tal lavoro nessuno ha finora pensato (2); sicché
della stessa Milano, che scrisse una pagina immortale della storia co-
munale, tre quarti degli atti consolari sono sconosciuti ancora ed i
pochi noti si considerano alla stessa stregua degli altri documenti.
A compilarne una prima raccolta ed a dare un primo saggio
di studio abbiamo pensato noi con la modestia di chi sa di por-
tare una pietra per la ricostruzione di un grande edifizio, e nel
riunire gli elementi del paziente esame^ abbiamo distinto codesto
materiale diplomatico così :
i.o Le sentenze ; 2.0 Gli atti d' indole politico-amministrativa;
3.® Gli atti diversi.
1^
(i) Unici quelli di Pisa e Genova. Cfr. Breve consuìum pisanae civitatis, 1164,
in BoNAiNi, Statuta civitatis Pisarum a saec. XII ad XIV, Firenze, 1852 ; Breve
del comune di Pisa, 1143, in Ciby^krio, Storia della monarchia di Savoia^ Torino,
1840, voi. I ; Statuta consulatus lanuensis in H. P. Ai., Leges municipales, 241 ;
Breve della campagna genovese, in Atti della Società Ligure, voi. I, p. 176.
(2) Tranne il comune di Alba, dove il podestà nel 121 5 ne ordinava un re-
gesto. Cfr. E. Milano, // regestum comunis Albe, Pinerolo, 1903.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 23 T
Le prime hanno certamente maggiore importanza per il loro
numero e per il contenuto, e si trovano in abbondanza nei mano-
scritti< milanesi del Sormanni, del Della Croce e del Bonomi ; qua
e là anche nell'Archivio di Stato e negli archivi minori (i) ; tut-
tavia la ricerca non si potrà mai dire esaurita perchè le carte,
specialmente del massimo archivio milanese, soffrirono tante e taU
trasposizioni dietro criteri così disparati, da richiedere lo spoglio
paziente di tutti i fondi, cosa per noi impossibile. Ci accontente-
remo quindi di esser riusciti a metterne insieme un buon numero
e di averle fatto oggetto d'uno studio speciale che presentiamo,
quale saggio di quei frutti che si possono cogliere da cotesta
nuova pianta (2). Qualche sentenza però venne già alla luce per
cura del Giulini ; molte furono da lui semplicemente citate ; poche
appaiono in altri scrittori, ma una buona metà è materiale ine-
splorato.
Gli atti d'indole politico-amministrativa non sono molti e vi-
dero quasi tutti la luce mercè il Muratori, il GiuUni, il Vignati.
Sono in maggioranza del periodo enobarbico e consistono in trat-
tati d'alleanze e di paci, conchiusi tra le città della lega a mezzo
o 'colla testimonianza diretta dei consoli milanesi. Siccome ci
siamo prefissi di segnalare e studiare le sole sentenze, così tra-
lasceremo questi, come gli ultimi atti di vario contenuto, i quali
per la maggior parte sono emanazione della competenza in ma-
teria volontaria del collegio consolare e non raggiungono un nu-
mero cospicuo, sebbene non sian tutti noti. Consistono in nomine
di curatori, omologazioni di contratti, assistenze a minorenni ed
anche, fuori di questo campo, in nomine d'arbitri, ordini a notai, ecc.
Abbiam stabilito come limite delle nostre ricerche Tanno 1216,
perchè la raccolta delle « consuetudini » che allora venne alla luce,
ha tale importanza da offuscare il valore dei documenti pari a
quelli da noi studiati, e perchè fu nostra intenzione di far cono-
scere in queste carte una delle più ricche e sicure fonti della
stessa raccolta ufficiale. Di più il periodo della vita del comune
in cui esso fu retto dai consoli si chiude precisamente verso la fine
(i) Per queste e per le seguenti citazioni rimandiamo alle note bibliogra-
fiche del Repertorio.
(2) Precedenti esempi non mancano. Cfr. Q. Santoli, / consoli a Pìsfoìn.
Pistoia, 1904.
232 EZIO RIBOLDI
del sec. XII e sugli inizi del XIII, sicché se i documenti posteriori
non sono trascurabili, hanno per noi minor valore e non si tro-
verebbero qui nella giusta sede.
Non abbiamo creduto opportuno di ripetere nel Repertorio
i nomi dei consoli, già noti, e nemmeno di palesare l'oggetto delle
controversie, sembrandoci più che sufficiente indicare a quale parte
del diritto esse si riferiscano ; ci parve invece utile ricordare il
sistema probatorio, così importante per la storia della procedura.
Nel compilare la serie dei consoli più volte siamo stati in pro-
cinto d* inchiudervi i nomi di quei personaggi che negli atti poli-
tico-a mministrativi appaiono spesso come testimoni o come rettori.
Essi infatti erano in buon numero de' consoli, sicché non sarebbe
ardi mento il conchiudere che tali fossero tutti. Ma, come vedremo,
anche molti personaggi che compaiono nelle sentenze in qualità di
giudici o causidici, dovevano essere consoli; eppur da noi non sono
indicati come tali; e parecchie carte, come bene osservò il Bo-
nomi (i), ci provano che l'ufficio di console non era sempre unito
a quello di rettore della lega (2).
Nel dar oggi in luce la nostra raccolta ci conforta il pensiero di
aver aperta la via e dato l'esempio, e la certezza di veder presto appa-
rir saggi migliori a vantaggio dell'intiera storia dei nostri comuni (3).
I.
Il consolato come tribunale.
Strano davvero potrà sembrare a chi scorra la storia dell'alto
medioevo l'apparente contrasto tra il diritto giudiziario e il preva-
lente diritto comune; l'esistenza cioè di un giudice unico (« comes w,
(f) E. BoNOMi, Exetnpla diplomatum S. M. Clarevallis, cod. ms. della Brai-
dense di Milano, sig. AE, XV, 32. p. 5.
(2) Ved. Giù LINI, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descri-
zione delia città e campagna di Milano^ Milano, Colombo, 1855, voi. Ili, p. 743,
che pone i rettori nel novero dei consoli.
(3) Nel corso del lavoro ci varremo delle sigle seguenti:
L. C. .• Liher Consuetudinum Mediolani anni MCCXVI nunc primum editus,
curante L. Blklan, Milano, Agnelli, 1866; H. P. M. : Monumenta Historiae Pa-
triae ediia iussu R. Caroli Alberti ; S.: Sentenza; a): fonte manoscritta; h): fonte
a stampa ; r) : citazione semplice.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 233
o « marchio w o « iudex » o « regis missus »), quando il diritto
germanico tiene il campo, ed il succedersi del giudizio collegiale
quando il 'diritto romano riprende il sopravvento. Già molti, av-
vertita tale circostanza, si sono affaccendati nella ricerca del carat-
tere del consolato per spiegare le origini di esso e dei comuni, le
quali, meglio che nei cronisti o nelle congetture messe fuori per
semplici analogie, si possono studiare tra le numerose sentenze e
in quegli elementi di diritto giudiziario che, presentandoci la fisio-
nomia del consolato come tribunale, verranno illuminandone tutta
la -Storia. Giacché nella mancanza di una distinzione di poteri e di
diritti, l'organo che noi studiamo quale collegio giudicante era nello
stesso tempo capo supremo della amministrazione comunale.
Nelle sentenze noi possiamo distinguere: il preambo lo, del
quale sono elementi costanti la data espressa nel solo mese e
giorno, r enunciazione dei giudici componenti il collegio e delle
parti in causa; il corpo col riassunto delle deduzioni, delle prove
e del giudicato del tribunale senza alcun motivo né di fatto né
di diritto; la chiusa, coli' indicazione dell'anno, coll'enumerazione
delle persone presenti al giudizio, le firme dei consoli, di qualche
giudice o messo regio e del notaio scrivente. Tutte quante prin
cipiano: « sentenfiam protulit »>, col nome di un console sen-
tenziante « una cum noticia » o « in concordia » oppure « con-
u scilio » o ancora « parabula et consensu » di colleghi nomi-
nati o sottintesi o assenti. Nel corpo, dopo la rassegna delle
deduzioni e delle prove, « bis et aliis multis auditis », lo stesso
primo console interroga le parti, deferisce il giuramento, valuta
le ragioni, solo qualche rara volta dichiarando il consiglio preso
dai colleghi o dai sapienti, ed enumera tassativamente in sin-
golare le prese decisioni e il deliberato nella causa. Esso poi
varia da sentenza a sentenza e talvolta appare anche come semplice
membro del collegio (i), oppure si trova nel preambolo e non nella
sottoscrizione della chiusa (2) ; ciò che diventa norma costante man
mano che ci avviciniamo alla fine del sec. XII, quando il primo
console è anche giudice unico, solo talvolta assistito da due col-
leghi menzionati appena nella sottoscrizione. Leggendo attenta-
ci) Cfr. vedi ad es. in S. Ili, IX, X, XL Citiamo costantemente per la
itenza il numero rispondente al Repertorio.
(2) S. II, IV, X, XIV, XXX.
234 EZIO RIBOLDI
mente codesti giudicati consolari, si avverte con facilità la prepon-
deranza di codesto primo console nel giudizio, anzi sempre più ci si
persuade che la menzione dei colleghi non fosse che una formalità
consuetudinaria, dipendente dal fatto di reputar virtualmente pre-
senti tutti i consoli ai giudizi. Perchè non è possibile supporre che
al pri mo console spettasse solo di stender la sentenza, dopoché,
come si disse, spettava a lui udire le parti, deferire il giuramento,
vagliare ed ammettere le prove. Ma una circostanza speciale gitta
una luce nuova sulla realtà di questo personaggio: egli è quasi
sempre, almeno per la prima metà del secolo, insieme messo regio
o giudice o causidico (i). Superfluo il* ricordare quanta e quale
fosse l'autorità dei giudici e dei messi regi (2), i quali erano rivestiti
dal sovrano d'autorità per amministrare la giustizia. Ciascuna città
aveva i propri giudici cittadini, in gran parte reclutati dalle mi-
gliori famiglie, e i messi regi si sceglievano per consuetudine
da quelli (3), tanto che nel mentre essi erano i legittimi e naturali
rappresentanti del potere sovrano e i luogotenenti dell'imperatore,
agli occhi dei cittadini potevano presentarsi più sotto la sembianza
del patriota e la loro giurisdizione pareva merce di casa propria. 11
console messo regio o giudice conciliava quindi il rispetto o la con-
tinuità del potere imperiale da una parte, e le giuste aspirazioni e
nuove tendenze dell'altra: il suo giudicato e il suo tribunale erano per-
fettamente secondo le leggi ; nulla creava di nuovo, nulla cancellava
dell'antico. Man mano però che ci avviciniamo alla fine del secolo
la funzione di primo console è assunta indifferentemente da tutti (4),
(i) Non lo sono quelli menzionati in S. IV, XIV, XXVI, XXIX.
(2) GiuLiNi, op. cit., voi. I, pp. 129, 221 sg. ; voi. Ili, p. 744; Muratori,
Antiq. M. Aevi, voi. II, p. 41 ; Haulleville, op. cit., voi. I, p. 265 ; Schupfer,
Storia del diritto italiano. Città di Castello, 1895, p. 164; Volpe, op. cit., in
Arch. stor. ital. cit., p. 375 sg.
(3) GiuLiNi, op. cit., voi. I, pp. 262, 276, 315 sg. ; voi. II, p. 615; Haul-
leville, op. cit., p. 300 sg. ; Leo, op. cit., voi. I, p. 180; Frisi, Memorie di
Mon:(a, Milano, 1784, voi. I, p. 59 sg.
(4) Il GiULiNi, op. cit, voi. VÌI, p. 330, non sappiamo perchè, pone l'a Un-
« garus de. Curte Ducis » (S. II) tra i cittadini, nel mentre la sua parentela
farebbe pensare ben diversamente. Qualcuno credette che « Curte Ducis » signi-
ficasse « della corte ducale » (cfr. Schupfef, op. cit., Arch. giurid. cit., 1870,
"• 3j P- 59) "la si ingannò, come bene disse il Paolucci, op. cit., p. 75. Di
questo personaggio, che appare presente nelle due S. I, Il e in parecchi lodi
(cfr. GiuLiNi, op. cit., voi. Ili, pp. 129-154) e della sua famiglia parlò minuta-
mente lo stesso Giulini ai passi citati
LE SENTENZE DEI CONSOLI DEI MILANO, ECC. 235
sicché parrebbe lecito asserire che essa non fosse regolata da cri-
teri fissi, bensì la potessero esercitare tutti i membri del collegio
consolare, per quanto la consuetudine desse preferenza a quelli già
insigniti delle cariche, emananti dalla suprema autorità imperiale, di
giudice, causidico o messo regio.
Nel preambolo della sentenza, come si è veduto, il primo con-
sole annunzia il suo accordo con colleghi spesso nominati, spesso
sottintesi, e spesso, ma non sempre, sottoscritti nella chiusa, talvolta
prima, talvolta dopo lo stesso primo console. Il loro numero varia
da sentenza a sentenza, e gradatamente diminuisce fin quando alla
fine del XII secolo nel preambolo compare un console unico e nella
chiusa due o più consoli sottoscritti, diversi dal primo (i). Non è
possibile mettere in relazione l'importanza della causa col numero
dei consoli; talvolta l'analogia sembra evidente (2), tal'altra non ap-
pare; e di frequente la stessa indeterminatezza si trova in un'unica
sentenza, dove il preambolo e la chiusa non corrispondono tra
loro (3). Ma nel corpo della sentenza i colleghi non appaiono
mai, ed è solo rarissimo il caso (4) che il primo console valuti le
prove assieme con uno o più di essi; sicché la loro funzione era
puramente passiva, diversa affatto da quella degli « auditores » o
giudici o u boni homines » dei placiti comitali e delle sentenze dei
messi regi, i quali erano parte essenziale del giudizio, perchè la
sentenza era sempre pronunziata in plurale e le prove erano va-
gliate in comune. Inoltre i consoli colleghi variano, come il primo
console, da sentenza a sentenza, di modo che, compilandone una
serie, sulla scorta anche degli altri atti, si vedono mutare annual-
mente o ripetersi più di frequente dopo l'intervallo di qualche anno.
I cronisti nostri affermano che il consolato era un collegio
annuale; e ciò é quasi luminosamente confermato dalla serie; ma
da chi e tra chi si sceglievano i consoli? In qual numero? For-
mavano un unico collegio od erano distinti a seconda della loro
funzione?
(i) Per la prima volta in S. LXXX.
(2) S. I, II, IX, XVIII, XIX, XXI.
(5) Ibid. II, IV, VI, XIII, XVII, XIX, XXVI. Ved. anche Leo, op. cit.,
voi. I, p. 175, sg., sostiene che il numero dei consoli era proporzionato all'im-
portanza del convenuto.
(4) S. XI, XXXI, LXXX.
326 EZIO RI80LDI
Studiando la serie noi avvertiamo i fatti seguenti:
i.° Anche pei consoli colleghi si ripete il fatto, costante pei
primi cinquant'anni, dell' unione dalla carica consolare a quella di
messo regio, di giudice, di causidico, con prevalenza dei giudici
sui messi regi. E notate ancora che nelle sentenze spesso com-
paiono sottoscritti giudici e messi regi senza dichiarazione di essere
consoli, per quanto o appaiano nel preambolo come tali, oppure
in atti dello stesso torno di tempo si professino rivestiti d'autorità
consolare (i); segno quindi che non era sacramentale la qualifica
di « consules ". A fianco poi dei consoli giudici o messi regi, tro-
viamo colleghi spogli di tale autorità, e il loro numero aumenta
man mano che ci avviciniamo alla fine del secolo.
2.° Una parte dei consoli è reclutata da casate che si rin-
vengono neir elenco delle famiglie nobili milanesi sia di capitani,
sia di valvassori (2); non pochi hanno per cognome una denomi-
nazione sarcastica, bufia, anche triviale, e compaiono precisamente
tra le famiglie cittadine (3), sicché dovrebbesi conchiudere che i
consoli si scegliessero dalle tre classi cittadine dei capitani, dei
valvassori, dei « cives » ; ciò che luminosamente è provato dalla sen-
tenza del II 30 (4).
3.° La quasi totalità delle sentenze denomina i membri del
tribunale come semplici « consules » ma verso la metà del sec. XII
incominciano ad apparire « consules causarum vel iusfitie ([156) »,
i « consules comunis seu comunitatis w (1156, 11 70, ecc.), e solo
rare volte e quasi di furtivo negli ultimi anni del secolo qualche
« consul reipublicae » (1182-1184). Contemporaneamente compaiono
i « consules negotiatorum » (1159), poi i « consules credenti ae
« S. Ambrosii " (1199); e anche talvolta i consoli dei Capitani e
(i) S. Vili, IX, X, XI, XII, XIII, XVII, Xv^III, Qcc.
(2) Flamma, Cronicon Maius, in Misceli, stor. ital, VII, p. 370 sg. ; Cre-
SCENZi, Anfiteatro romano, Roma, 1649, voi. I, p. 63 ; Giulixi, op. cit., voi. IV,
pp. 104 e 644.
(3) GiULiNL, op. cit., vol."I; pp. 315, 355; G. Rosa, Feudi e comuni, Bre-
scia, 1876, p. 79 sg.
(4) Flamma, Manipulus Florum, in R. L S., voi. XI, p. 223; Otto Frisino,
De Gestis Frider, voi. II, p. 15 ;Guntherus, De Gestis Frid. (Reqber, Vet. Script»^
rer. germ., 1584, lib. II, p. 305); Mjratori, Antiq. Med. Aevi, voi. IV, p. 484 ;
Leo, op. cit., voi. I, p. 176 sg. ; Haulleville, op. cit., voi. I, p. 424.
I
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 237
Valvassori, i consoli della Motta, i consoli dei Capitani e Valvassori
del Seprio e della Martesana (1225) (i).
4.° Il numero dei consoli non è mai costante : ha un maximum
di 21 e un minimum di 3; la media annuale è di 12, e proporzio-
nale appare la presenza di individui appartenenti alle diverse parti
cittadine.
Si può conchiudere dunque che il tribunale consolare era un col-
legio elettivo di carattere politico, composto di elementi tratti dai di-
versi ordini cittadini, ma diretto preponderantemente da messi regi e
dai giudici. Era il naturale frutto delle lotte intestine, ma non dovette
essere sanzionato da voti o da costituzioni, bensì confusamente creato
dalla consuetudine, preoccupata di salvare la secolare legalità e le
nuove esigenze, incerto quindi nella funzione, nel numero dei compo-
nenti e fors'anche della designazione del mandato. Tale carattere di
^ incertezza, che si trova in tutti il diritto consuetudinario (2), appa-
ia rirebbe dal fatto che in origine il nome di console viene a desi-
gnare quei giudici cittadini in cui si concentrava già il potere ; e
forse nome e mandato erano precari, indeterminati nel tempo e
nell'entità. Una trasformazione avvenne in forza delle lotte interne
e per la infiltrazione dell'elemento cittadino che, spoglio di ogni
altro titolo, avrà lentamente assodata la carica consolare, aumen-
tandone la durata, dichiarandone il valore fino a stabilirne defi-
nitivamente la fisionomia (3).
Anche la distinzione tra i « consules iustitie » e « comunis »
in origine non esisteva, perchè spesso gli uni e gli altri appaiono
promiscuamente in casi non giustificati da veruna ragione plausibile.
Così una controversia tra il comune di Milano e certa Biriana (4) è
trattata presso i consoli del comune, senza dar luogo a ricusazioni
o da parte del giudice o della convenuta. Chi volesse spiegare
l'intervento dei consoli del comune dalla materia d'indole ammi-
(i) T. Calchi, Historia Mediai^ voi. I, ix, in Graevius, Thes. Antiq. Rom.,
Londra, 1704, voi. I, pp. 2, 187 ; Corio, Historia di Milano, Venezia, 1554, p. Sy;
GiULiNi, op. cit., voi. VI, p. 289 sg., e passim negli altri storici milanesi.
(2) A. LaTtes, Il diritto consuetudinario delle città lombarde, Milano, 1889, p. 64.
(3) GiULiNi, op. cit., voi. IH, p. 553. Il fatto fu affermato anche dal Caf-
faro negli Annali pel consolato di Genova, e il Giulini lo credette giustamente
applicabile anche al consolato milanese.
(4) S. XXXI.
I
238 EZIO RIBOLDI
»
nistrativa, non saprebbe poi come giustificare V intervento dei sem-
plici « consules » nella lunga controversia amministrativa tra i
comuni di Chiavenna e Piuro presso il foro milanese (i). Né in
tali consoli appare la qualifica di giudici, come non si trova in
queir Ottone Zendadario, che nel 1 182 e nel 1 184, essendo con-
sole della repubblica, pone la firma a due sentenze (2). Di più av-
vertasi che il L. C, parlando della giurisdizione consolare, dice che
la competenza criminale spetta o al potestà o al console della
repubblica, « licet consules iustitie ex ordine illam potestatem ha-
« beant » (3); sicché virtualmente il collegio consolare era tribunale
e in un capo supremo dello stato e solo per facilità di lavoro nei
primordi alcuni consoli attendevano alle cause, altri al comune, senza
che fosse irregolare la partecipazione di questi agli uffici di quelli
e viceversa (4); più tardi e per abitudine la divisione divenne netta
e sanzionata dagli statuti.
Anche i due nomi di comune e di repubblica non devono as-
sumersi come termini omotetici, per quanto ^'autorità del Muratori
sembri confortarne 1' eguaglianza che alla fine del XII secolo po-
teva sussistere. Ma prima né il comune era tutta la città né i suoi
consoli trattavano gli affari di tutti: non era né il municipio né la
« respublica « dei romani, bensì « universitas civium » (5), come
ben disse il Muratori ; una gran parte ma non tutta la cittadi-
nanza; aveva insomma un significato meno comprensivo della
« repubblica ». E di ciò è sicura prova l'esistenza del collegio
mercantile, il quale viene spesso a patti, a leghe, a convenzioni
col comune, e la creazione del potestà verso la fine del sec. XII.
Ad essa si arrivò solo per la strapotenza ognor più crescente
dei consoli del comune i quali, trasformatisi appunto in consoli
della repubblica, si credettero arbitri dei destini di tutta la città, a
scapito dell'indipendenza mercantile (6). La credenza di S. Am-
(1) S. XX, XXIII, XXV; GiuLiNi, op. cit., voi. Ili, p. 412; Crolla-
LANZA, Storia di Chiavenna, Chiavenna, 1901, p. 27.
(2) S. XLIX, LI, e GiuuNi, op. cit., voi. Ili, p. 5.
(3) L. C r. VI, p. 16; Lattes, op. cit., p. 84.
(4) I consoli di giustizia appaiono insieme ai consoli del comune in atti po-
litico-amministrativi. Cfr. Rovelli, Storia di Como, voi. II, p. 364.
(5) Muratori, Antiq, Med. Aevi, voi. I, p. 981.
(6) ScHUPFER, op. e loc. cit., nota 3, p. 40 sg. ; Paolucci, op. cit., p. 45 sgg.;
Lattes, op. cit., p. 166 sg. ; Volpe, op. cit., p. 375 sg.
I
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 239
brogio (i), apparsa per la prima volta con propri consoli nel 1199,
è Tultimo e più convincente indizio della verità di quanto abbiamo
affermato.
Nella chiusa delle sentenze si trovano menzionate molte per-
sone presenti al giudizio, senza che la qualità della causa eser-
citi una evidente influenza sul maggiore o minor numero di essi.
Sono in gran parte nobili, persone consolari, giudici, non sempre
milanesi, ma spesso appartenenti a quelle città di cui qualche cit-
tadino appare come parte in causa. Qual'è 1' ufficio che a tale con-
sesso spettava nello svolgimento del giudizio?
Quattro sentenze chiamano codeste persone presenti sempli-
cemente come « testes » (2); le altre non attribuiscono loro alcuna
qualità. Ma come dobbiamo intendere quella parola di « testes? »
Testi in causa o testi dell'operato dei consoli? Alla prima do-
manda pare si debba rispondere negativamente, giacché là dove
le parti citano testimoni, la sentenza o ne riferisce i nomi e le
deposizioni, oppure accenna genericamente alla prova per testi.
Ma in moltissime cause dove tale prova non si esperisce o dove
i testi sono nominati, i personaggi appaiono presenti e ben di-
stinti, o nello stesso anno il medesimo personaggio appare in
più sentenze e più tardi nel collegio consolare. Eccoci quindi
portati a credere che costoro fossero testimoni dell'operato dei
consoli, cioè un vero consiglio del consolato, ciò che appare
anche dal testo di certe sentenze, dove per questioni di notevole
importanza i consoli chiedono parere a personaggi sapienti e dal
vederli menzionati anche in atti di giurisdizione volontaria o di
semplice amministrazione (3). Siamo dunque di fronte a un corpp
consulente composto di personalità di provata scienza , perso-
nalità che si incontrano come « consules », come « testes »,
u come boni homines » , tre corpi distinti di attribuzioni ma
quasi unici di personalità. Il Giulini credette ravvisare in questo
corpo consulente il primo nucleo del Consiglio di Credenza (4) e
forse mal non si appose, come attesterebbe una carta inedita
(i) I. Ghiron, La credenza di S. Ambrogio, ecc., in quGSt'' Archivio, serie I,
a. Ili, p. 583, e a. IV, p. 70.
(2) S. Ili, XXIX, XLVII.
(3) Giulini, op. cit., voi. VII, p. 142; voi. IV, pp. 43 e 63.
(4) Ibid,, voi. Ili, pp. 417 e 458.
240 EZIO RIBOLDI
del 1188 (i), nella quale è detto che quattro consoli milanesi pa-
gano per conto del comune all' abate di S. Ambrogio, pel prezzo
di un mulino, tre libre di terzioli, « habito conscilio credentie » :
tale consiglio era dato dalle persone che si trovano menzio-
nate poi.
Oltre cotesti personaggi insigni, la chiusa delle sentenze enu-
mera uno o parecchi servi, i quali dovevano compiere le funzioni
di ufficiale giudiziario, per quanto fossero in pari tempo messi
comunali e si trovino per ciò presenti ad atti di semplice ammi-
nistrazione ; e termina con le sottoscrizioni dei consoli e di uno o
più giudici o notai scriventi « admonitione istorum consulum ». Il
L, C. parla di « tabelliones qui ad pedes consulum sedent » (2) e
di « scriptores sedentes in banchis » (3), e un documento del 1213 (4)
di « scriba et ufficialis consulum iustitie Mediolani prò faciendis
u sententiis et aliis pubblicis scripturis ». Questo documento ci fa
inoltre sapere come fosse imperfetta la cancelleria di quei tempi,
in quanto attesta che nessuna memoria delle sentenze era con-
servata presso il tribunale, giacché lo stesso scriba è invitato a
testificare l'autenticità della sentenza prodotta come documento in
causa e scritta, come da dichiarazione fatta in calce, tutta di
suo pugno. Noi dovremmo conchiudere che i « tabelliones », gli
« scriptores », gli « scribae » altro non fossero che giudici o
notai, i quali appunto in tutte le sentenze dichiarano di aver scritto
per comando del primo console.
Il preambolo delle sentenze nostre e degli atti ci offre buoni
elementi per stabilire la sede del tribunale consolare, che doveva
consuetudinariamente esser fissa. Esisteva infatti a Milano un pa-
lazzo speciale chiamato « consolato », dove i consoli amministravano
la giustizia e pronunziavano le sentenze. Trovavasi nel broletto
vecchio, e senza essere un gran palazzo, era una « domus » o casa
notevole a quei tempi; aveva un proprio brolo e metteva nella
via pubblica, precisamente di fronte alla porta del palazzo arcive-
(i) Arch. di Stato di Milano^ Corp, Relig., perg. Mon. S. Amhr.
(2) L. a, t. Ili, p. 9 h.
(3) Ibid., p. IO b.
(4) S. L ; Beklan, Le due edi:(ioni milanese e torinese del L. C. M., Ve-
nezia, 1892, p. 178 sg.
LE SENTENZE DEI» CONSOLI DI MILANO, ECC. 24!
scovile nel centro della città (i). Le sentenze genericamente sono
date « in consulatu », o in « broileto » oppure, a grande maggio-
ranza, « in broileto consularie » o semplicemente « in ci vitate » (2).
Ciò mi conduce a credere che le sentenze definitive venissero
pronunziate o pubblicate nel brolo del palazzo consolare, mentre
che gli atti di istruttoria si tenevano in appositi locali, come ap-
pare da una sentenza interlocutoria, datata dal « solario consula-
« rie » (3), cioè in una stanza del piano superiore, dove forse era
in corso il procedimento.
Inoltre « in camera consulum iustitie » (4), cioè in una sala
che serviva di tesoreria (5), noi troviamo i consoli trattare e discu-
tere sulla esecuzione di parecchie sentenze già emanate e « in
« casella » (6), o stanza del consolato, provvedere al disbrigo di
affari di giurisdizione volontaria. Il palazzo aveva dunque un piano
superiore, parecchie camere, una usata come tesoreria (crederei
segreteria), una come sala di riunione, e doveva nello stesso tempo
esser palazzo del comune, come si dedurrebbe da un atto di giu-
risdizione volontaria in cui è detto: « in camera consulum iustitie »,
alludendosi così ad altra « camera consulum comunis w e da un
atto di pura e semplice amministrazione compiuto « in solario con-
« sulatus » (7), e da altro atto dei consoli del comune fatto « in
u broileto consularie » (8).
(5) GiULiNi, op. cit., voi. I, p. 146; voi. II, p. 112; voi. Ili, pp. 550, 381.
Era perciò poco lontano da S. Maria Iemale, l'antico Duomo. Ecco così spiegata
la data del documento a. 1097, in cui si dice : « in civitate mediolani in consu-
« latu civium prope ecclesiam sancte marie ». (Cfr. Rend. deìVIst. Lomh. di
scten. e kit., serie II, voi. XV, p. 435). Il Paolucci, op. cit., pp. 47-48, com-
battendo la lezione a consulatus », si domanda appunto dove mai fosse situata
la chiesa di S. Maria, e noi, rispondendo alla domanda sua, gli segnaliamo qui
che nella stessa chiesa furono pronunziate sentenze arbitrali e trattati affari im-
portanti della città nostra. Cfr. quest''ArchiviOj XXXII, 1905, ni, p. 48, nota 2.
(2) Vedansi le date delle singole carte nel Repertorio citato.
(3) S. XVIII.
(4) Ibid. LXXXI e CVII ; Bonomi, ms. cit., voi. II, p. 854; Porro, Liher
consuet. med.^ Torino, 1869, p. 181.
(5) GiULiNi, op. cit,, voi. 1, p. 586; Du Canoe, Glossariutn med. et inf.
ìatinitatis, ad v.
(6) S. XXXVI, XLVI; Giulini, op. cit, voi. Ili, p. 3; voi. IV, p. 43.
(7) Carta in Arch. di Stato di Milano, Moti. S. Ambrogio.
(8) Giulini, op. cit, voi. VII, p. 122; Rovelli, op. cit.. voi. II, p. 364.
242 EZIO RIBOLDI
Del tribunale milanese per tutto il sec. XII possiamo dunque
rendere la fisionomia in questo modo: aveva la sua sede nel pa-
lazzo comunale o broletto vecchio, dove, in apposite sale ed a
giorni determinati, stavano i consoli per sbrigar gli affari. Le parti
presentavansi al banco di uno dei consoli; e questi istruiva la causa,
dava le sentenze come primo console, annunziando l'accordo cogli
altri colleghi, cui in affari importanti chiedeva anche consiglio. As-
sistevano parecchi personaggi come testimoni dell'operato conso-
^ lare ; dei servi, un giudice o notaio per la scrittura, la firma o l'au-
tenticazione degli atti, dei quali ordinariamente redigevasi solo
l'originale, ed, a richiesta delle parti, anche copia che veniva con-
segnata, assieme all'originale, all'interessato, senza verun deposito
nella cancelleria o segreteria consolare (i). Tali norme incerte e
confuse vengono solo regolate negli statuti del 121 1 ricordati dal
Corio (2) e nella pace perpetua firmatasi nel 1215, auspice il potestà
Vialta, nella quale si determina (3) il numero, la durata in carica,
la forma d'elezione e le mansioni dei consoli di giustizia.
Sostanzialmente adunque questo tribunale nulla mutava alla
costituzione del tribunale dei marchesi, conti, messi regi, giudici,
nelle cui sentenze (4) compaiono sempre:
i.o Primo giudice (« comes », « index », « missus regis ») ;
2.° Colleghi assistenti (chiamati « auditores »);
3.0 Personaggi presenti e servi;
4.0 Firme di giudici o notai; colla stessa incertezza nel nu-
mero, nelle sottoscrizioni, nelle rispondenze tra il preambolo e la
chiusa. Sono quindi i consoli colleghi che prendono il posto degli
« auditores », i quali però dovevano pur sempre essere le solite
personalità cittadine, da cui, come dicemmo, si sceglievano i giudici,
i u boni homines » i consoli. L'unica importante differenza sta nel-
l'evidente ritorno al giudice unico, perchè l'azione del tribunale
comitale o del messo regio si svolge sempre in plurale e l'istrut-
toria e il giudicato emanano sempre dagli « auditores » (5). Con-
(i) Beklan, Le due edizioni cit., p. 178 ; S. XXI, L.
(2) T. Calco, op. cit., P- 81; Corio, op. cit,, all'anno.
(3) GiULiMi, op. cit., voi. IV, p. 223 sg.; Porro, op. cit,, p. 181.
(4) Di queste non molte si possono vedere nei cartulari; cfr. Giulimi, op. cit.,
voi. VII, p. 60 sg. ; H. P. M., Scriptores, voi. I e II passim.
($) Vi si dice sempre: « paruit supradictis audito ribus », e di seguito: « iu-
« dicaverunt » ; cfr. Giulini, op. e loc. cit.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 243
Statiamo adunque l'influenza del rinnovato studio del diritto romano
anche nel diritto giudiziario e la rispondenza perfetta fra di esso
e il diritto comune non solo in questa età, ma anche precedente-
mente quando l'apparenza farebbe credere alla esistenza di un
giudice unico, nel mentre il tribunale comitale o del messo regio
era essenzialmente collegiale.
II.
Competenza del tribunale consolare.
Se il tribunale consolare nelle origini era un organo giudiziario
confuso nella sua costituzione, dobbiamo di conseguenza presup-
porre che altrettanto dovesse essere nelle sue funzioni. Riguardo
alle norme di competenza in base agli atti faremo più delle con-
statazioni di fatto che induzione a principi o a regole fisse, e in
genere ^/erremo confermando come consuetudine anche pei secoli
precedenti quanto il Lattes studiò nella disamina del L. C. (i).
La raccolta nostra ci dà esempi di atti di giurisdizione volontaria
e di giurisdizione contenziosa, astrazion fatta da quanti documenti
attestano l'ingerenza del collegio consolare in affari amministrativi e
politici, conseguenza della mancanza di una distinzione netta tra i
consoli del comune e quelli di giustizia. Troviamo infatti alcune
nomine di tutori o di curatori (2), omologazioni di contratti di mi-
norenni e di tutori (3), aggiudicati di proprietà legittime (4), assi-
stenze alle donne e autorizzazione, insieme al marito, al compi-
mento di atti civili (5), assistenze a contratti (6), pei quali però la
presenza o la registrazione dei giudici non doveva essere a pena
di nullità, ma per maggior solennità ed efficacia (7). V'è sempre
(i) Lattes, op. cit., p. 27.
(2) S. XCII; GiULiNi, op. cit., voi. IV, p. 43!
(5) Porro, op. cit., pp. 62 e 63 ; Bonomi, ms. cit, voi. IH, p. 413.
(4) GiULiNi, op. citt., voi. IV, pp. 63 e 128; BoNOMr, ms. cit., voi. II, p. 854.
($) Bonomi, ms. cit., voi. Ili, p. 413.
(6) GiuLiNi, op. cit., voi. Ili, p. 3.
(7) T. Guzzi, Le obbligao^ioni nel diritto milanese antico^ Torino, 1903,
127 sg.
2^4 EZIO RIBOLDI
un primo console, la dichiarazione della sua concordia coi colleghi,
i personaggi presenti, i giudici, i notai; e le stesse indeterminatezze
delle sentenze, le quali alla lor volta, nel testimoniarci la svariata
attività giudicatrice del consolato, ci sono guida a conoscere la sua
competenza per materia, valore, grado e connessione di causa.
Nessun atto però, nessuna sentenza ci parla di giurisdizione pe-
nale, ma tale silenzio non è sufficiente per escluderla dal collegio
consolare. Poiché il L. C. ci fa sicura testimonianza in contrario,
dove ad esempio dice che il reo deve tenersi « sub fida custodia
« tam diu donec consulis arbitrio idoneam satisfactionem praesti-
« terit » (i); e che le cause penali non si trattano da altri, « quam
u potestatem si affuerit, vel per consules reipublice, licet consules
u iustitie ex ordine illam potestatem habeant » {2). Di più della
nessuna traccia a noi rimasta di giurisdizione criminale ci è data
spiegazione da altro passo, in cui è detto che le sentenze criminali
non venivano mai scritte (3), e le civili solo quando trattavano
cause superiori in valore a cinquanta soldi (4). Tale consuetudine
doveva essere antica, giacché nei cartulari nostri non vi é.che po-
chissimi vestigi di simile materia e se ve n' ha qualcuno non si
riferisce né ai consoli né all'età da noi studiata, neppure pel caso
di occupazione violenta di possesso, a spiegazione della notevole
questione sollevata dal L. C. (5). Veramente noi ne troviamo un
curiosissimo esempio nella lunga controversia tra le città di Pavia
e Vercelli per lo spoglio violento da questa subito del castello di
Rebbio (6). Ma avvertasi qui piuttosto un caso specialissimo di di-
ritto internazionale, perché la causa si dibatte tra due comuni per
un fatto avvenuto in seguito a conquista a mano armata; al pos-
sesso é inerente sovranità e la causa é delegata al comune di Milano
più probabilmente in forza di compromesso che di giurisdizione
ordinaria. Però anche in questo caso eccezionale la -causa assume
tutta la forma civile nella procedura e nel diritto, ciò che non
esclude la possibilità di azione penale, come si trova più tardi, per
(i) L. a, t. VI, p. 16 b.
(2) Ibid., p. 16 d.
(3) Ibid., p. 16 e.
(4) Ibid., t. Iir, p. 12 d.
(5) Ibid., t. VI, p. 16 a; Lattes, op. cit., p. 140 sg.
(6) H. P. M, Chartarum, voi. I, p. 1079 sgg.; S. LXXXII, LXXXIII, XC.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 245
I quanto qui non se ne rinvenga traccia alcuna. Solo dopo il 1385,
jj quando il potestà fu obbligato a passar copia delle sue sentenze
al sindaco del comune, si die* mano ad una raccolta di sentenze
criminali (i), ma siamo troppo lontani dall'età nostra e le tracce
diventano sempre più insignificanti.
In materia civile l'attività dei consoli si dimostra invece assai
assidua ed appaiono come di competenza del loro tribunale azioni
patrimoniali, sia personali che reali, azioni di stato, azioni miste.
Numerose sono le cause di locazioni, di medietà, di danni, di ob-
bligazioni, di fideiussioni, ma prevalgono assai le sentenze in ma-
teria possessoria; tra esse vari gruppi che bastano a ricostruire
intieramente cause interessanti. Uno riguarda la disputa di pos-
sessi tra l'arciprete di S. Maria del Monte in Varese ed i comu-
nisti di Velate: incomincia nel 1145 e prosegue fino al 1153 sotto
i consoli di Milano, poi dal 1162 al 1165 sotto quelli di Seprio, e
più tardi in Milano dal 1201 al 1204. Un altro riguarda liti per
diritti d'acqua tra un cittadino milanese e il capitolo di S. Ambrogio
(1187-1189) e l'ultimo altra lite lunghissima per gli stessi motivi
tra Giacomo Pelucco e l'arciprete di Monza (1204-1206).
Della competenza consolare in materia feudale e signorile ci
danno pure testimonianza. buon numero di sentenze nelle quali si
vedono risolte questioni di giurisdizione, distrettabilità, sudditanza,
fodri, prestazioni in opere e in denaro, alloggi, albergarla, seguiti,
rendimenti di onori ; questioni reali, come si vede, e questioni di
stato. Notiamo però che, quando discutevasi di privilegi emanati
dall' impero, prudentemente i consoli rimettevano la causa al tri-
bunale imperiale, senza però dichiararsi incompetenti (2). E qualche
testimonianza troviamo pure della competenza in materia di di-
ritto pubblico amministrativo, non solo in questioni sollevate da
privati per loro interessi riflessi, ma ben anche in questioni di puro
diritto, come nella citata controversia tra Piuro e Chiavenna.
Più difficile invece ci riesce lo stabilire, sulla scorta delle sen-
I tenze, se mai vi fosse un limite nella competenza per valore. Ripe-
tiamo intanto che le sentenze in cause di valore inferiore a cinquanta
soldi non venivano scritte, per quanto ve ne sia taluna nelle nostre
(i) E. Verga, Le sentenie crìminaìi dei podestà milanesi, Milano, 1901
(2) S. IV.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VI. 16
d46 EZIO RIBOLDI
che verta intorno a liti per 36 soldi e per poche libre (i). Solo negli
statuti del 121 1 menzionati dal Calco fu stabilito che i consoli delle
ville giudicassero in cause di valore inferiore a venti soldi; segno
evidentissimo che queUi di Milano erano competenti per qualsiasi
valore, tranne nei soli paesi di campagna. Indeterminata ancora ci
riesce la competenza per connessione di causa, giacché si trovano
unite azioni principali e secondarie, azioni di riconvenzione e di
compensazione, più azioni principali talvolta diversissime e solo
avvicinate dalla identità della persona.
Studiando poi la competenza per territorio devesi premettere
che il fatto di veder trattate questioni di beni immobili posti in de-
terminati paesi, non ci autorizza a concludere che fin là giungesse
la giurisdizione del nostro tribunale, perchè spesso le parti erano
entrambe cittadine o era tale l'attrice, e in tali casi consuetudini e
statuti non accennano alFobbligo di adire il tribunale nella cui giu-
risdizione risiedeva l' immobile. Ciò non ostante appare indubbio
che la competenza del tribunale consolare si estendesse a tutto il
territorio del contado di Milano, a paesi della Bazana e della Mar-
tesana (2), ai contadi di Seprio (3), di Lecco (4) e di Stazzona (5) .
Altre cause per azioni di immobili posti nel lodigiano e tra conten-
denti lodigiani sono trattate dai nostri consoli (6); qualcuna simile
per Como (7), una per Pavia (i 151), nella quale però il convenuto
solleva eccezione di incompetenza, volendo riferire la causa al tri-
bunale pavese, ciò che non gli fu concesso. Avvertiamo però che
i paesi del contado milanese avevano propri consoli, più tardi
anche il potestà, e che dall'esame di qualche sentenza di codesti
tribunali foresi risulta che la loro competenza non aveva limiti di
materia e di valore. Parrebbe che gli abitanti della campagna, dei
borghi, delle città dipendenti potessero scegliere tra il foro loro
proprio e il milanese. Infatti tra il comune di Velate e l'arciprete
di S. Maria del Monte durò, come si disse, a lungo una lite per
(i) S. XXXIV.
(2) Ibid. II, XVII, XXVII, XXXII, ecc.
(3) Ibid. IV, V, Vili, e molte altre.
(4) Ibid. XLV.
(5) Ibid. LIV.
(6) Ibid. XX, XXIII, XXV.
(7) Ibid. XI, XIV, XIX, XXVIII.
I
I
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 247
possessi comuni, divisioni, diritti di pascolo e di legna in parec-
chie località del contado sepriese. La prima fase si svolse al tri-
bunale milanese (io gennaio 1153) e fu favorevole ai velatesi; la
seconda (13 aprile 1162) e la terza (20 maggio 1165) al tribunale
di Seprio ; l'ultima presso i consoli di Velate e ancora di Milano.
Possiamo poi ammettere tale principio per la nostra città, visto che
si trova regolato presso città vicine e precisamente in un trattato
del giugno 1167 tra i comuni di Mandello e di Como, col quale si
stabilisce che gli abitanti di Mandello saranno quindi innanzi trat-
tati come comaschi e che per la giustizia potranno rivolgersi ai
consoli di Como, sia direttamente che in grado di appello (i). Tale
fatto ha per noi grande importanza perchè ci illumina nel risolvere
la questione della competenza in secondo grado del consolato no-
stro. Non possediamo che un'unica sentenza nella quale si parla
di appello presso consoli milanesi contro una sentenza pronun-
ciata dal potestà e ne abbiamo molte invece nelle quali apparen-
temente il tribunale funziona come giudice di secondo grado ; in
realtà opera in forza della sua ordinaria giurisdizione. Ma nel
primo caso tale facoltà è delegata e concessa quasi per privilegio
dai rettori della lega (2), e nei secondi il tribunale si pronuncia
intorno a cause già altrove risolte, instituendo un nuovo giudizio
indipendentemente dal primo e nel quale le decisioni di questo
rimangono semplici prove documentali delle quali il giudice tien
quel conto che crede o ritrae presunzioni di diritto (3).
Noi non troviamo perciò regolata a Milano per tutto il XII se-
colo la competenza di appello come a Pavia e in altre città lom-
barde (4), in conseguenza forse di quello stesso principio per cui
la causa poteva liberamente trattarsi presso parecchi fori; la parte
che rimaneva insoddisfatta dall'uno credevasi in diritto di rivol-
gersi all'altro, prima o poi a seconda delle circostanze, dando
(i) Rovelli, op. eh., voi. II, p. 350.
(2) S. XLVII. Vi è detto : c< Girardus iudex atque consul raediolani qui
« dicor Pistus cognoscens de appellatione super sententia lata a Girardo iudice
« qui dicitur de Baniole assessore potestatis Laude ».
(5) Cfr. le sentenze citate per la controversia tra Piuro e Chiavenna e per
quella tra i comuni di Velate e l'arciprete di S. Maria del Monte. Vedi anche
S. II ; e Periodico Soc. Stor. Comense, voi. VI, p. 273 sg.
(4) LaTTES, op. Cit., p. UT sg.
248 EZIO RIBOLDI
spesso esempio di cause già risolte dal tribunale cittadino e trat-
tate poi in un tribunale forese (i), quasi che questo avesse giuri-
sdizione di secondo grado contro le sentenze di quello. E lo stesso
principio ci spiega come potesse darsi il caso di appellare dalle
sentenze dei consoli nostri presso tribunali di ecclesiastici o di si-
gnori e viceversa, per quanto i signori in molti statuti vietino ai
loro sudditi di chieder giustizia ad altri signori o consoli (2). E
una carta del 1183 ce ne dà manifesta prova; vi si legge infatti:
u Ego lacob qui dicor Coallia notarius sacri palati dieta istorum
« testium quos abbadissa monasterii maioris produxit super causa
« quam habebat cum Suzone de Canturio sub consulibus medio-
u lani et qua causa translata est ad dominum Obertum archipre-
u sbiterum modoecensis ecclesie per appellationem » (3).
Questi esempi e la circostanza di trovar talvolta delle parti
le quali si obbligano a non appellare da una sentenza qualunque,
ci fanno conchiudere che precisamente la libertà di scelta fosse
regola comune, che l'appello non si intendesse come più tardi o
come nel nostro diritto, e che perciò il tribunale milanese si tro-
vasse, di fronte ai tribunali foresi, sullo stesso gradino nella scala
del diritto giudiziario, solo godendo forse di quella maggior re-
putazione od egemonia che la sua qualità ed i suoi membri gli
potevano far acquistare.
III.
Note di diritto e di procedura.
Superfluo e inutile sarebbe il ritornar sovr'un argomento così
sapientemente trattato e quasi esaurito da quel profondo conosci-
tore del diritto lombardo che è il Lattes, ricercando tra le sentenze
gli elementi di diritto consuetudinario milanese ; ma l'occasione ci
è propizia per dimostrare come il chiarissimo A. asserisse il vero
(i) Così dicasi per le note sentenze di Velate.
(2) Cfr. gli statuti di Cremella in Frisi, op. cit., voi. II, p. 48 ; Seregni,
Gli statuti dì Arosio e Bigoncio^ Torino, 1901, p. 59 e altrove.
(3) Arch. di Stato di Milano, Corp. Relig., perg. Moti. Magg. (carta anno
1183).
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 249
.quando scriveva : « che le raccolte autentiche non sono l'unica
« fonte delle consuetudini lombarde e che le usanze si devono
u ricercare anche nei documenti, sentenze e carte private » (i).
Perchè in verità noi abbiamo trovato nel nostro materiale alcuni
elementi di diritto e di procedura tralasciati dal L. C, specie pel
diritto pubblico amministrativo, di cui le radici, come ben disse lo
stesso autore, devono pur ricercarsi tra le consuetudini. Già nel
primo capitolo non ci mancò occasione per suffragare tale verità;
ma qui toccheremo qualche altro tratto anche per contribuire meno
mediatamente alla ricerca delle origini dei nostri comuni.
Nel campo del diritto rinveniamo un primo notevole accenno
alla capacità e alla rappresentanza in giudizio come attore o come
convenuto. In una sentenza del 9 novembre 1159 stanno di fronte
come attore due figli emancipati contro il proprio genitore. I giudici
sono commerciah, la causa civile, trattandosi di possesso di terre e di
diritti d'acqua, onde il carattere prevalentemente soggettivo del
diritto antico ci fa pensare che le parti fossero commercianti. Ne
seguirebbe una duplice deduzione : che l'emancipato non avea bi-
sogno di autorizzazione alcuna per essere commerciante ; che po-
teva stare in giudizio senza essere assistito dal curatore, nel mentre
ciò avviene per il minore, come appare da altra sentenza (2).
Numerosi esempi illustrano il concetto della rappresentanza,
sempre incerto nei limiti e nella forma. Il padre è rappresentato
dal figlio (3) ; molti convenuti da pochi, i quali talvolta danno
« guadiam »■ di comunicar la decisione ai mandanti, talvolta no (4).
Frequenti pure sono i casi di « procuratores », di « advocati », assi-
stenti o rappresentanti e giuranti per le parti, e un caso notevole
abbiamo di rappresentanti di mandatari, i quali alla lor volta de-
(i) Lattes, op. cit., p. 52. Ciò non fu avvertito dai precedenti scrittori di
diritto milanese. Cfr. Argellati, Bihlioth. Scrip, Med., Mediolani, 1745, voi. I,
coli. CCIX-CCXIV ; G. Verri, De oriu et progressu iuris Med. Prod., ecc., Me-
diolani, 1759, p. XVIII ; GiULiNi, op. cit., voi. IV, p. 224 sg. ; F. Rezzonico,
Origini e vicende del dir. mil. in Milano, Milano, 1846; Bérlan, Gli statuti
municip. milanesi^ Milano, 1868 ; F. Schupfer, Delle fonti del diritto a cui fu-
rono attinte le Cons. Milan., Milano, 1868.
(2) S. XCII ; GiULiNi, op. cit, voi. IV, p. 43 ; Porro, op. cit., p. 62 ; Bo-
NOMI, ms. cit, voi. Ili, p. 413.
(3) S. IV, XVII.
(4) Ibid. XXVII, XXXIX.
250 EZIO RIBOLDI
legano altri che « prò illis et prò se respondebant » (i). Per le
persone giuridiche religiose (chiese, conventi, canonicati) l'abate,
l'arciprete, il vescovo, spesso anche semplici membri, le rappre-
sentano legalmente, mentre difficile è il determinare a chi spettasse
o chi potesse rappresentare in giudizio il comune (2). In una in-
teressante sentenza del 21 maggio 11 70 già ricordata si vede con-
venuto in giudizio presso i consoli del comune di Milano da una
Biriana lo stesso comune, per la restituzione di possessi confiscati
ai figli di lei, i quali durante la guerra avevano fatto del danno alla
nostra città. Non è detto chi fossero i rappresentanti del comune,
ma si svolge l'azione come se virtualmente lo stesso fosse pre-
sente ; i consoli, naturali rappresentanti, costituiscono invece il tri-
bunale e giudicano contro la città. In altra sentenza noi troviamo
il comune di Seguria non rappresentato dai consoli, bensì da quattro
messi (11 76), mentre il comune di Velate è rappresentato dai suoi
consoli (1202). In questa causa anzi troviamo esempio di riassun-
zione di istanza, poiché nel preambolo della sentenza è detto che
la causa « fuit incepta » da altri individui, « qui tunc erant con-
« sules ipsius loci »>. 11 nome di comune però, come avvertimmo,
raramente fa capolino, bensì spesso troviamo detto « gli uomini
« del tal paese » in cause nelle quali veramente è coinvolto il co-
mune, come nella lunga controversia tra i comuni di Chiavenna e
Piuro, rappresentati da un console e parecchi vicini. Spesso poi il
comune è rappresentato dai soli consoli (3), o dai consoli con qualche
cittadino, sicché devesi credere che la naturale rappresentanza non
spettasse ai soli consoli, ma che altre persone, a seconda della co-
stituzione comunale, la assumessero e spesso semplici mandatari (4)
estranei all'amministrazione, distinguendo però sempre la propria
persona dal comune, quasi non ne fossero membri, colle parole :
« prò se et prò comune, ecc. w. Altra nota di diritto ricaviamo da
una sentenza del 24 maggio 11 77, nella quale il convenuto chiede,
prima di ogni altra difesa, di voler esser giudicato secondo la sua
legge (e non dice quale), non secondo la legge romana, e viene
assolto dal giudice che non ne espone però i motivi. E notevole
(i) S. XLVI.
(2) Lattes, op. cit., p. 69 sg.
(3) S. XXV.
s(4) Ibid. LXXXII e H. P. M, Chariarwn, p. 1079 sg.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 25I
questa eccezione per professione di legge personale, in un tempo
relativamente lontano da quello in cui tali professioni avevano una
vera efficacia giuridica (i). Notevole ancora una causa risolta con
sentenza del 25 ottobre 1207, nella quale un cittadino milanese
chiede al prevosto di S. Ambrogio la consegna di terre già ap^
partenenti ad un suo debitore pignoratizio. Il convenuto osserva
doversi in primo luogo esercitare l'azione contro il debitore prin-
cipale, i suoi fideiussori, i suoi eredi, e poiché l'attore asserisce
con giuramento di averli escussi e di aver loro posto il hanno,
fuor che agli eredi i quali avevano rinunziato alla eredità, così il
console condanna il convenuto a restituire tali terre.
Ben più importanti sono o appaiono a noi le note di diritto
pubblico qua e là raccolte, specie nella stessa controversia tra
Chiavenna e Piuro, dalla quale risulta che i due .paesi formavano
unico comune, avendo « in comune consularia w; che il consolato
era misto di chiavennati e piuriesi in proporzione dell'importanza
dei due paesi, un quarto cioè di piuriesi e tre quarti di chiaven-
nati; che il consiglio dei consoli trattava gli affari amministrativi
a maggioranza; che nelle spese comuni i piuriesi contribuivano per
un quarto, solo quando nel voto di maggioranza vi entrasse uno
dei piuriesi; infine che il comune doveva la sua costituzione ai
vicini, e che perciò il vicinatico qui come altrove fu la base della
origine comunale (2). Come si vede un'intiera costituzione comu-
nale è illustrata e ne è illustrata l'origine, diversa dalla milanese,
diversa dal comune di Seguria, il quale nella sentenza del 13
aprile 1176 appare composto di due elementi: i « curtusii » o abi-
tanti della corte e i « villani » o abitanti della villa, nel mentre
il comune di Velate appare come frutto dell'unione dei nobili coi
rustici, proporzionalmente rappresentati da consoli scelti nel loro
seno (31 agosto 120 1). Tali notizie confermerebbero 1' opinione di
chi asserì doversi studiare la formazione dei comuni nelle asso-
ciazioni preesistenti delle singole località (3). Non ripetiamo gli
(i) G. Salvigli, Nuovi studi sulle professioni delle leggi, in Atti e Memorie
R. Dep. Star. Patr, per le Prov. Mod, e'Parm., 1884, voi. II, p. 389 sg.
(2) Notizie più diffuse, oltreché negli storici valtellinesi (Quadrio, Rome-
gialli, Lavizzara) si trovano in Crollalanza, op. cit, passim.
(3) G. Rosa, op. cit., p. 80; Soimi, Le associazioni in Italia avanti le origini
del comune, Modena, 1898.
I
252 EZIO RIBOLDl
accenni alla costituzione del comune e del consolato milanese, ma
aggiungiamo quanto gli atti confermano delle notizie già note: che
cioè i consoli trattavano la pace e le alleanze, amministravano le
finanze e i beni demaniali, contraevano prestiti e mutui, avevano
ingerenza su le gabelle, sui pedaggi, sulle tasse in genere, ecc.
Nel campo della procedura si rinvengono pure notizie preziose
ed esempi pratici delle principali formalità ricordate anche dal L, C.
Per quanto riguarda l'arbitrato, oltre le numerose sentenze sparse
anche nei nostri cartulari, troviamo atti consolari di delega ed ar-
bitri, colla indicazione della causa e del tempo per trattarla (i),
colla esclusione di appelli per volontà delle parti. Frequenti gli
esempi di libelli riportati dalle sentenze, di comparse (« posi-
« tiones ») (2), di mandati « ad lites » (3) e di incidenti, quali l'ec-
cezione di incompetenza, risolta dal tribunale e, come pare, pro-
posta prima di ogni altra difesa (4) e l'intervento di terzo sia « ad
« escludendum »» che « ad confirmandum » (5). Tutte le forme di
prova ricordate dal L. C. occorrono, ma vi appare ripetutamente
la perizia, non menzionata in quello, sola e congiunta ad accesso
giudiziale, sia nel giudizio di merito che nella fase esecutiva (ó).
Notiamo anche un giuramento prestato sette giorni dopo la sen-
tenza, la quale risolve precisamente la causa in base a questo giù
ramento posteriore (7); esempi di rinunzia agli atti e di rinunzie
a un capo solo di domanda (8); di transazioni compiute durante lo
svolgimento del giudizio (9); di azioni possessorie congiunte ad
azioni petitorie (io); di azioni accessorie congiunte o separate dalla
principale.
Troviamo pure qualche sentenza in giudizio esecutivo. Il 27
gennaio 1173 l'abate di S. Ambrogio conviene in giudizio parecchi
cittadini, per obbligarli ad abbattere alcuni mulini che gli arreca-
(i) BoNOMi, ms. cit., voi. Ili, p. 435.
(2) S. CU ; GrjLTNi, op. cit., voi. IV, p. 58 sg.
(3) Ambrosiana di Milaao, cod. Della Croce, v. 14, a. 12 12.
(4) S. XVIir, LXXXI.
(5) Ibid. XCVII.
(6) Ibid. XXXV, LXXXVir.
(7) Ibid. XLII. ..,v...
(8; Ibid. LX e LXI. • '"
(9) Ved. le precedeati sentenze.
(io) Lattes, op. cit., p. 304.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 253
vano danno. A meglio conoscere la causa il tribunale consolare
nomina perito un maestro dei mulini, procede ad un accesso giu-
diziale e, fatto giurare l'attore perchè affermi la verità della sua
domanda, ordina che i mulini siano abbassati alla giusta misura.
Il 28 giugno II 73 con nuova sentenza indica le norme e le misure
cui attenersi in detto abbattimento, sentite le parti in causa. Così
il 20 dicembre 1204 in seguito a sentenza consolare si ordina al-
Tarciprete di Monza di dividere dei prati con tal Giacomo Pelucco;
il i.** aprile del seguente anno, volendo il tribunale « sententiam
« executioni mandare » nomina tre persone « ad curandam divi-
« sionem eius predii » in presenza di testimoni e di periti per la
stima. Ma spesso le sentenze restavano lettera morta, e allora il
tribunale, a domanda di parte, interveniva con nuova sentenza (i)
per costringere il soccombente ad uniformarsi al giudicato conso-
lare. Avvertiamo però che in unica istanza sono promiscuamente
trattate questioni di merito e questioni per esecuzione di precedenti
sentenze, ciò che dimostra la mancanza di una chiara distinzione
tra il giudizio cognoscitivo e il giudizio esecutivo, il che risponde
perfettamente alFindole del diritto in quell'età. Siamo sempre in
un campo ove la consuetudine è unica norma e sarebbe sogno
concepirvi anche distinti il diritto costituzionale, civile, amministra-
tivo, feudale, penale, commerciale e la stessa procedura. Tutto è
riunito in un sol codice e in un sol organo di potere ; talché uno
studio unilaterale non potrà mai condurci alla conclusione più lon-
tana e molto meno renderci l'idea completa di quello che fu il
consolato nella età comunale. Speriamo di poter giungere più pros-
simi a tal meta dopo qualche lavoro particolare e l'esame degli
altri atti citati nella introduzione.
Ezio Riboldi.
(I) S. LX e LXI.
254 EZIO RIBOLDl
REPERTORIO
4 luglio 1117 nell'arengo.
L'arcivescovo di Milano, " presentibus mediolanensibus consulibus „
dichiara di nessun valore le investiture e le alienazioni fatte dal ve-
scovo intruso di Lodi.
a) Ambrosiana, cod. Della Croce, v. 11 ad a. ; b) Giulini, op. cit., voi. VII, p. 82 sg. ;
Vignati, op. cit., voi. I p. 97 sg.
II.
II luglio iijo nel teatro.
Ungaro da Corte Duce, console di Milano, e con lui i colleghi nel
consolato distinti nei tre ordini dei Capitani, Valvassori, e Cittadini,
conferma la sentenza del vescovo di Bergamo nella controversia di di-
ritto feudale e signorile tra i ministri della chiesa di Bergamo e i vil-
lani di Calusco.
a) Ambrosiana, Fagnani, Famigrlte Milanesi (f. Da Ro) e cod. Della Croce, io ad a. ;
b) Giulini, op. cit , voi. VII, p. 96 sg.; Lupi, Cod. Diplom. Berg.,\o]. II, p, 944.
III.
IO novembre iij8 nel broletto.
Quattro consoli di Milano assolvono due cittadini di Sesto dalla
domanda di un loro concittadino relativa ad una medietà. La prova è
testimoniale.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Monastero di Chiaravalle; Bonomi, Diplomata
Clarevallis, ms. Braidense, AE. XV, 20, p. 190 sg.
IV.
21 agosto 1140 nella pubblica via.
I consoli di Milano giudicano in una controversia tra Locamo da
Besozzo e i conti di Seprio per diritti feudali e rimandano le parti al
foro imperiale; poi, in altra controversia tra lo stesso attore e il co-
mune di Mendrisio per una preda e pel " districtum „ dello stesso paese^
\
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 255
dopo giuramento, obbligano Locamo alla restituzione e assolvono il co-
mune dalla seconda domanda.
a) Ambrosiana, cod. Della Croce, v. 12 ad a.; b) Rovelli, Storia di Como, voi. II,
p. 3^6 8g. ; e) GiULiNi, op. cit., voi. Ili, p. 289 sg. ; Fìcker, Forsch., IV, n. 113; e eh", que-
sVArchivio, XXXI, 1904, i, p. 65.
V.
20 maggio 1142 nel broletto,
I consoli di Milano assolvono gli abitanti di Mendrisio dalla do-
manda di fodro regale fatta loro dai conti di Seprio. Come prova il
giuramento decisorio.
a) Ambrosiana, cod. Della Croce, io ad a. ; h) Rovelli, op. cit., voi. II, p. 347; e) Giu-
LiNi, op. cit., voi. IH, p. 303 e questMrcAmo, XXXI, 1904, i, p. 63.
VI.
II luglio 114J nell'arcivescovado.
I consoli di Milano, delegati come arbitri dalle parti, sentenziano in
una causa religiosa fra i monaci e i canonici di S. Ambrogio.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Monastero di S. Ambrogio ; b) Puricelli, Ambr.
Bus. Mon., n. 390; e) Giulini, op. cit., voi. ITI, p. 310 e quesV Archivio, XXXI, 1Q04, 11, p. 332.
VII.
2j giugno 114J.
Un console di Milano giudica in una controversia promossa da un
tale di Inverigo contro la badessa del Monastero Maggiore e due mas-
sari del monastero per alcune prestazioni signorili. In difetto di prova
per parte dell'attore viene deferito il giuramento all'avvocato della
badessa.
a) BoNOMi, mss. cit., Tab. Mon. Maior., p. 204.
Vili.
22 agosto 114S nel broletto.
I consoli di Milano giudicano in una controversia tra l'arciprete di
S. Maria del Monte sopra Varese e due fratelli abitanti di Porta Ro-
mana per diritti di legna in un bosco comune e per la proprietà di un
podere. In seguito a deposizione testimoniale e al giuramento, la sen
tenza è favorevole all'attore.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Maria dil Monte sopra Varese.
256 EZIO RIBOLDI
IX.
77 ottobre 114J nel consolato,
I consoli di Milano giudicano favorevolmente all'arciprete stesso in
una causa con un tale di Velate per il possesso di un campo. Prova,
la testimonianza e il giuramento.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. infondo cit.
X.
ij maggio 114'j nel broletto.
I consoli di Milano giudicano favorevolmente ai decumani della
chiesa di S. Maria Iemale in una causa contro i Carcano, contumaci,
per una pescheria. Prova, la testimonianza e il giuramento.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Beneficiati delh Metropolitana; Ambrosiana, cod.
Della Croce, v. 6 ad a. ; e) Giur.iNi, op. cit., voi. Ili, p. 3^2.
XI.
2j ottobre 114'j ^^^ consolato.
I consoli di Milano giudicano in una controversia tra il vescovo di
Lodi e i villani di Cerveniano per la proprietà di un bosco in Galva-
gnano. Provano la testimonianza è il giuramento.
a) Arch. Vesc. di Lodi, Bonomf, Mon. Land. Episcop., voi. I; b) Vignati, Cod. Diplom.
Laud., voi. II, p. 134.
XII.
18 giugno 1148 nel consolato.
I consoli di Milano giudicano favorevolmente all'arciprete di S. Maria
del Monte sopra Varese, in una causa per possesso di terre con uno
di Arzago. Prova, la testimonianza e il giuramento.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Lorenzo Maggtorv.
XIII.
ij gennaio 11 49 nel broletto.
I consoli di Milano sentenziano favorevolmente al prevosto di S. Lo-
renzo in una causa contro un cittadino milanese pel possesso di un
mulino. Prova testimoniale e giuramento.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Lor. Magg.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 257
XIV.
8 luglio J14P nel consolato.
I consoli di Milano danno ragione ad alcuni cittadini di Lodi in una
causa per una decima contro due fratelli del borgo di Landriano. Prova,
il giuramento.
a) Arch. Vesc. di f.odi, calta originale; b) Vignati, op. cit, voL II, p. 67.
XV.
J gennaio iijo nel broletto.
I consoli di Milano sentenziano favorevolmente ai custodi e decu-
mani della chiesa di Monza, in una causa per la chiusa di un mulino
contro Pabate di S. Ambrogio. Prova, i testi e il giuramento.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Collegiata di Mon^a; b) Frisi, Mem. di Mon^a^
voi. II, p. 59; e) GiULiNi, op. cit., voi. Ili, p. 381.
XVI.
18 settembre iiyo nel broletto,
I consoli di Milano sentenziano favorevolmente ai consoli dei pa-
scoli di P. Vercellina in una causa per possesso di un prato e un pa-
scolo comune contro l'abate di S. Ambrogio. Prova, i testi e il giura-
mento.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Monastero di S. Ambrogio ; e) Giulini, op cit.,
voi. Ili, p. 381.
XVII.
, 19 dicembre iijo nel consolato.
I consoli di Milano danno piena ragione alla chiesa di Monza in
una causa di diritto feudale o signorile contro alcuni di Centemero.
Prove, documenti, testi e giuramento.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Colleg. di Motiva; b) Frisi, op. cit., voi. II, p. 60;
e) Giulini, op. cit., voi. IH, p. 412,
XVIII.
4 maggio iiji in solario consulatus.
I consoli di Milano giudicano di essere competenti a trattare una
causa possessoria vertente tra parecchi pavesi, che volevano adire ai
consoli di Pavia, e il Prevosto di S. Lorenzo.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Lor. Magg.
258 EZIO RIBOLDI
XIX.
j settembre iijr nel broletto.
I consSi di Milano trattano una causa per diritto di pascolo, arare, ecc.
in località lodigiane, tra il vescovo di Lodi e molti militi milanesi. Prova,
i testi. La sentenza è favorevole al convenuto.
a) Arch. Vesc. di Lodi, originale; b) Vignati, op. cit., voi. IT, p. 174.
XX.
8 maggio IIS2 nel consolato.
I consoli di Milano giudicano in una causa di diritto pubblico am-
ministrativo tra i comunisti di Piuro e di Chiavenna, con richiamo ad
una sentenza dei consoli comaschi. Prova, il giuramento.
a) Non rinvenuta ; b) Periodico Società Storica Comense, IV, p. 2-5; e) Giulini, op. cit.,
voi. HI, p. 412.
XXI.
IO gennaio ujj nel consolato.
I consoli di Milano sentenziano favorevolmente all'arciprete di Santa
Maria del Monte sopra Varese in una causa per diritti su parecchi bo-
schi e prati coi vicini di Velate. Prova, documenti, testi e giuramento.
a) Arch. di Stato di Milano, pergr- S. Maria del Monte.
XXII.
14 aprile iijj nel consolato.
I consoli di Milano giudicano in una causa di diritto feudale e si-
gnorile tra alcuni militi milanesi e l*abate di S. Abbondio in Como.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Abbondio, Como; e) Giulini, op. cit., voi. Ili,
p. 413.
XXIII.
14 aprile 11S4 nel consolato.
I consoli di Milano danno sentenza in una causa di diritto pubbHco
amministrativo tra gli abitanti di Chiavenna e di Piuro.
a) Non rinvenuta; b) Per. Soc Stor. Com., IV, p. 287; e) Giulini, op. cit., voi. Ili,
P. 473-
I
I
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 259
XXIV.
13 ottobre 11S4 nel consolato.
I consoli di Milano giudicano in una causa per un anniversario tra
il primicerio della Metropolitana di Milano e Micara, moglie di Alberto
da Lampugnano.
a) Bibliot. Arch. Arcivescovile di IAWslvìo^ pergamene antiche diverse^ cart. n. 141 ; Am-
brosiana, cod. Della Croce, v. 7, p. 72 ; e) Gfr. qnQsV Archivio, XXXI, 1904, 11, p. 222.
XXV.
29 gennaio iijj nel consolato.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa di diritto feudale e si-
gnorile tra i Conti di Seprio e gli abitanti di Ronago. Prova, il giura-
mento di 12 abitanti.
a) Ambrosiana, cod. Della Croce, n. 12 ad. a.; b) Rovelli, op. cit., voi. II, p. 348,
XXVI.
2p giugno iiss nel broletto.
Nuova sentenza dei consoli di Milano in una causa di diritto pub-
blico amministrativo tra gli abitanti di Piuro e Ghiavenna. Prova, i do-
cumenti.
a) Non rinvenuta; b) Allégranza, Dell'antica fonte battesimale di Chiavenna, Ve-
nezia, I7r5, p. 87; Ter. Soc. Stor. Com., IV, p 291; e) Giulini, op. cit., voi. Ili, p. 447.
XXVII.
6 ottobre iijó nel consolato.
I consoli di Milario giudicano favorevolmente al vescovo di Lodi
in una causa di diritto feudale e signorile contro alcuni di Cavenago.
Prova, i testi.
a) Arch. Vesc. di Lodi; Bonomi, Mon. Land. Episcop., voi. I; b) VIG^fATI, op. cit,
voi. II, p. 197.
ì
XXVIII.
jp ottobre rijó nel consolato.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per tributo di siligine
miglio tra il vescovo di Lodi e un villano suo massaro. Prova, testi
giuramento.
a) Bonomi, op. cit. ; b) Vigmati, op. cit., voi. II, p. 199.
26o EZIO RIBOLDI
XXIX.
ij maggio IIJ9 nel consolato.
I consoli di Milano giudicano in una causa per sfratto di locazione
rurale tra l'abbadessa del Monastero Maggiore ed un Borelli.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Mon. Magg.: copia in cod. Trivulziano, n. 1738.
Pare una falsificazione del Galluzio.
XXX.
9 novembre 11S9 in città.
I consoli dei negozianti di Milano danno piena ragione a due figli
emancipati che volevano usar liberamente di tre pezze di terra e che
vietavano al padre Tuso di una roggia in danno ai propri mulini. Prove,
Tatto di emancipazione e il giuramento.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni; b) Giulini, op. cit., voi. VII, p. 125.
XXXI.
21 maggio iiyo nel borgo di Varese.
I consoli del comune di Milano danno piena ragione a donna Bi-
riana in una causa possessoria tra essa e lo stesso comune. Prova, una
semplice presunzione.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Marta del Monte.
XXXII.
16 ottobre iijo nel consolato.
I consoli di Milano danno sentenza in una causa di diritto feudale
tra la famiglia Pozzobonello e Tabate di Chiaravalle, che viene assolto.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Monas. di Chtar. ; Bonomi, op. cit., voi. I, p. 440;
e) Giulini, op. cit., voi. Ili, p. 701.
XXXIII.
21 febbraio 11J2 nel consolato.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa di diritto feudale e si-
gnorile tra Tabate di S. Ambrogio e alcuni fratelli di Concorezzo.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Ambr. ; b) Puricelli, Ambr. Bas. Mon.,n 523;
e) Giulini, op. cit., voi. HI, p 742.
LE SENTENZE DEI COItSOLI DI MILANO, ECC. 201
XXXIV.
IO gennaio iijs «*^ broletto.
I consoli di Milano sentenziano in una causa tra due cittadini mi-
lanesi per il pagamento di un pezzo di terra venduto. Prove, un docu-
mento, i testi e il giuramento.
a) Ambrosiana, codd. Sormanni e Della Croce cit. ; b) Porro,!. C, p. ^ ; e) GrotAi,
op. cit., voi. ni, p. 744.
XXXV.
27 gennaio ii'jj nel consolato.
I consoli di Milano sentenziano in una causa promossa dairabbate
di S. Ambrogio per fare abbassare i molini di alcuni cittadini che dan-
neggiavano i molini del monastero. Prove, una perizia, un accesso giu-
diziale, il giuramento.
a) Arch. dì Stato di Milano, perg. S. Ambr. ; e) Giulini, op. cit., voi. Ili, p. 744.
XXXVI.
28 giugno iiy^ in casella consularie.
I consoli di Milano fissano in qual modo e misura devonsi e abbas-
sare i mulini dei convenuti nella sentenza precedente.
a) Gli stessi fonti.
XXXVII.
26 febbraio 1174 nel broletto.
I consoli di Milano giudicano in una causa per una chiusa sul Re-
freddo tra parecchi cittadini e un altro cittadino. Prova, un accesso giu-
diziale.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni cit., e) Giulini, op. cit., voi HI, p. 751.
XXXVIII.
12 luglio ii']4 in città.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa tra l'abate di S. Apol-
linare e un cittadino milanese pel possesso di un campo.
a) BoNOMi, Tab. Morimundi, p. 496: e) Arch. di Stato dì Milano, Musaeum Dtplom. cit.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VI. 17
202 EZIO RIBOLDI
XXXIX.
8 novembre 11J4 nel consolato.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per la chiusa di una
roggia tra due fratelli, cittadini milanesi.
a) Ambrosiana, cod. Della Croce, v. 9 ad a. ; e) Arch. dì Stato dì Milano, Musaeum
Dtplom. cit.
XL.
16 luglio iiyj nel consolaio.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per diritto di pascolo
tra Tabate di S. Ambrogio e i consoli dei pascoli della comunità di
P. Vercellina. Prove, documenti.
a) Arch. di Stato di Milano, perg: S. Ambr.; e) Giulimi, op. cit., voi. III. p. 760.
XLI.
ij aprile 1176 nella strada tra Garbagnate e Seguria.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per Tabbattimento di
fossati e terrapieni e per una servitù di passaggio tra il comune di
Seguria e un milanese. Prova, un accesso giudiziale.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni cit. ; e) Giulini, op. cit., voi. Ili, p. 770.
XLII.
• 2y maggio iiyj nel consolato.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa tra due cittadini mì-^
lanesi per una medietà. Il convenuto chiede di esser giudicato secondo
la sua legge e non secondo la legge romana.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Mon. di Chiarav. ; Bonomi, ma. cit., voi. I, p. 443.
XLIII.
^7 novembre Jiyy nella pescheria.
I consoli dei negozianti di Milano danno sentenza in una causa, per
la serviti! di passaggio in una viottola, tra Tarciprete di Monza ed un
monzese. Prova, documenti, testi, giuramento.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni, ad a.; b) Porro, L. C, p. 112; e) Giulini, op. cit.,.
voi. III, p. 771.
*
263
XLIV.
18 settembre 1179 nel consolato.
I consoli di Milano ratificano l'operato di alcuni messi consolari
che, in seguito a sentenza, avevano compiuta la divisione d'acque tra
due fratelli e contemporaneamente accordano al convenuto il diritto di
chiudere una roggia per inafl5are il proprio campo. Prova, documenti.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni, ad a. ; e) Giulini, op. cit., voi. Ili, p. 780.
XLV.
ij novembre iiyg nel consolato.
I consoli di Milano giudicano in una causa per sfratto di locazione
rurale tra la badessa del Monastero Maggiore e parecchi villani, massai
in Brinzio e traslocati in Concorezzo.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Capitolo di S. Ambrogio.
XLVI.
tji dicembre iiyg in casa consularie,
I consoli di Milano danno sentenza in una causa di diritto feudale
e signorile tra la badessa di Orona e i villani di Cesano e Bienzago.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Man. Orona; Ambrosiana, cod. Sormanni, ad a. ;
b) Porro, L. C, p. 126 sg. ; e) Giulini, op. cit., voi. Ili, p. 781.
XLVIT.
2p dicembre 11 80 nella chiesa di S. Stefano.
Girardo Pisto console di Milano, in seguito ad autorizzazione dei
^rettori della Lega, dà sentenza in grado di appello del podestà di Lodi
in una causa di diritto feudale e signorile in Cavenago tra il vescovo
di Lodi e tal Ribaldo Incelso. Prova, documenti.
a) BoNOMi, Monum. Land. Episcop. cit. in Arch. Vesc. di Lodi ; b) Vignati , op. cit.,
voi. Ili, p. 113.
XLVIII.
22 agosto 1181 nel consolato.
I consoli di Milano danno sentenza in una causa per servitù di
passaggio tra Tabate di S. Vittore e i villani di Grancino.
a) Non rinvenuta; e) Giulini, op. cit., voi. Ili, p. 790.
264 EZIO RIBOLDI
XLIX.
27 febbraio 1182 nel consolato.
I consoli di Milano danno ragione alla badessa del Monastero Mag-
giore in una causa possessoria contro un cittadino milanese. È presente
e firma la sentenza un console della repubblica.
a) Ai^ch. di Stato di Milano, perg. Cap. di S. Ambr.
L.
ij dicembre 1183 nel consolato.
I consoli di Milano assolvono Sozone da Cantù dalla domanda di
prestazioni come distrettuale a lui fatta dalla badessa del Monastero
Maggiore. Prova, una presunzione di diritto.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Mon. Magg. ; b) Berlan, Le due edizioni citate,
p. 178 sg.
LI.
4 luglio 1184 nel consolato.
I consoli di Milano sentenziano in cause di decime, diritto signo-
rile, diritti di pascolo, tra la badessa di S. Dalmazio in Colliate e gli
uomini di Coliate.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni, ad a. ; e) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 6.
LII.
2) dicembre iiSj nel broletto (i).
I consoli di Milano sentenziano in una controversia per diritti su
un campo in Brusuglio, tra Guidone prete di S. Silvestro e alcuni fra-
telli soprannominati Porcelli, cui si dà piena ragione.
a) Non rinvenuta; e) Arch. di Stato di Milano, Musaeum Diplom. cit.
LUI.
29 dicembre Ji8j in città.
I consoli di Milano danno sentenza in una causa per risarcimento
di danni, tra alcuni cittadini milanesi e Tabate di Chiaravalle. È pre-
sente e firma la sentenza un console della repubblica.
a) Arch. di Stato di Milano, Cap. di S. Ambr. ; e) Giuuni, op. cit.. voi. IV, p 21.
(1) Il Giulini, op. cit., voi. IV, p. 5, ricorda altra sentenza del 1$ dicem-
bre II 84, di contenuto ignoto e da noi non rinvenuta.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 265
LIV.
I giugno 1187 nel broletto.
I consoli di Milano condannano il prevosto di S. Ambrogio a di-
struggere una chiusa sul Refreddo, costruita in danno di Acerbo Teso.
Prova testimoniale.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni, ad a.; e) Porro, L. C., p. 7 «g.
LV.
I giugno 1187 nel broletto,
I consoli di Milano condannano Acerbo Teso a chiudere un fossato
ed a ripristinarne un antico. Attore il prevosto di S. Ambrogio. Prova
i documenti.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni, ad a. ; b) Porro, L. C, p. 5 sg. ; e) Giulini, op. cit.^
TOl. IV, p. 42.
LVI.
9 novembre 1187 nel consolato.
I consoli di Milano danno piena ragione all'abate e console di San
Sepolcro pei vicini in una causa per diritti di pascolo contro i consoli
di Comabio rappresentanti anche i vicini.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Ambr.; Ambrosiana, cod. Della Croce, v. 13;
e) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 41.
LVII.
12 novembre iiSy nel consolato.
I consoli di Milano condannano alcuni villani di Consonno in una
causa per diritti feudali e signorili promossa dal monastero di Chiara-
valle. Prova, documenti e testi.
a) Arch. di Stato di Milano, perg-. di Chi ar. ; Boìtom, Diplomata Clarevallis, ms. cit.,
voi. II, p. 504.
LVIII.
2p dicembre iiSy in città.
Per la stessa causa i consoli di Milano condannano un altro villano
di Consonno.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Cap. di S. Ambr. ; e) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 41.
206 EZIO RIBOLDI
LIX.
i8 giugno 1188 in città.
Sentenza dei consoli di Milano (?) a favore della badessa di Fon-
tegio per un podere ed una roggia presso Gratosoglio, il cui possesso
veniva contrastato dall'ospedale dei crociferi.
a) Non rinvenuta; e) Arch. di Stato di Milano, Musaeum Diplom. cit.
LX.
29 agosto 1188 nel consolato.
I consoli di Milano sono chiamati a giudicare in una causa tra
Acerbo e Teso e il prevosto di S. Nazaro per uso di acque dal Re-
freddo. L^attore, giunto a sentenza, rinunzia agli atti.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Ambr. ; b) Porro, L. C, p. Q sg.
LXI.
7 luglio 1189 nella chiesa di S. Tecla.
I consoli di Milano trattano ancora parecchie cause per diritti di
acqua del Refreddo tra Acerbo Teso e il prevosto di S. Ambrogio.
Si chiude con transazione.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Ambr.; b) Porro, L. C, p. 110 sg.
LXII.
2j febbraio iipo nel consolato.
I consoli di Milano danno sentenza in una causa di diritto signorile
tra il monastero di Chiaravalle e un villano suo colono. Prova, docu-
menti e testi.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. di Chiarav.; Bonomi, IHplom. Clarev. cit., toI. II,
P. 540.
LXIII.
2j ottobre 1190 in città.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa di diritto signorile tra
un rustico e il monastero di Chiaravalle.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. di Chiarav.; Bonomi, ms. cit., voi. II. p. 553.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 267
LXIV.
ly novembre iipo in città.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per rescissione di un
contratto di locazione fra il prevosto di S. Lorenzo e uno dei suoi ono-
rari, che " in re locata malum usatum est. „ (sic).
a) Arch. di Stato di Milano, pergr. S. Lor. Mag^gr.
LXV.
ip dicembre iigo nel consolato.
I consoli di Milano giudicano doversi pagare una guadiam alla ba-
dessa di Orona, perchè un individuo di Bianzago abitante in Boisio
aveva aperto un fossato vicino al " castrum „ del convento.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Moti. Orona; Ambrosiana, cod. Sormanni, adja. ;
b) Porro, L. C, p. 201 ; e) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 56.
{LXVI.
2p dicembre iipi in città.
I consoli di Milano obbligano per sentenza a chiudere un fossato
presso la " braida „ del convento di Chiaravalle alcuni abitanti in Vi-
comaggiore. L'attore presta come prova il giuramento.
a) Bonghi, ms. cit., voi. II, p. 556.
LXVII.
II marzo 1192 nel consolato.
I consoli di Milano condannano Tabate di S. Ambrogio a togliere
una chiusa dal fiume Orona, la quale produceva danni al mulino di un
milanese. Prova, la perizia.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Monas. diS. Ambr. ; e) Giulini, op. cit., voi. lY, p. 63.
LXVIII.
22 giugno 1192 nel broletto.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per decima tra Guar-
nerio Cagainsterio e uno da Terzago.
a) BoNom, Tab. Morini.,p. 553; e) Arch. di Stato di Milano, Musaeum Dtplom. cit.
268 E2aO TUBOLDI
LXIX.
2j ottobre 1192 in città,
I consoli di Milano condannano un massaro del monastero di Chia-
ravalle al pagamento di un annuo canone per un fondo da lui condotto.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Mon. di Chiarav,
LXX.
29 dicembre 1192.
I consoli di Milano condannano parecchi villani a risarcire il danno
prodotto al monastero di Chiaravalle col taglio di alcune piante.
a) Non rinvenuta ; e) Arch. di Stato di Milano, Musaeum Diplom. cit.
LXXI.
y febbraio iigj in città.
I consoli di Milano danno sentenza in una causa per espropriazione
della quota dei beni del debitore defunto pervenuta al fatello superstite
possessore dell'altra porzione. Prova, la testimonianza.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni, ad a. ; e) Giulini. op. cit , voi. IV, p. 77,
LXXII.
19 aprile iigj nel broletto.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per diritti d*acqua tra
il prevosto di S. Ambrogio e gli eredi di Ottone da Moirano.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni, ad a. ; e) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 77.
LXXIIl.
14 ottobre iigj nel consolato.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per diritto di decima
tra il monastero di Chiaravalle e due suoi coloni. Prova, i testi.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Chiarav. ; Bonomi, ras. cit., voi. II, p. 868.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 269
LXXIV.
2^ novembre iigj ^^ città.
I consoli di Milano danno sentenza in una causa possessoria unita
^ad altra per diritto di passaggio tra il prevosto di S. Ambrogio e un
milanese.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Chiar. ; Ambrosiana, cod Sormanni, ad a. ; e) Giulini,
op. cit., voi. IV, p. 77.
LXXV.
// agosto 1198 in città (i).
I consoli di Milano danno piena ragione al monastero di Chiara-
valle in una causa tra questi e un nobile milanese il quale, appunto
perchè tale, pretendeva di non pagare alcuni appendizi al monastero
stesso.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Chiarav. : Bonomi, Viplom. Clarev., ms cit , voi. IT,
p. 901.
LXXVI.
/ gennaio iipp nel consolato.
I consoli di Milano sentenziano in una causa tra la badessa del
Monastero Maggiore e Zuzone da Cantù per il fitto di un campo in
Arosio.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Mon. Magg: ; cod. Trivulziano, 1740. Pare opera
di un falsario.
LXXVII.
21 dicembre iigg in città.
I consoli di Milano giudicano in una causa per disputa di possessi
tra un prestinaio e parecchi milanesi.
a) Ambrosiana, cod. Sormanni, ad a. ; e) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 128.
(i) Il Giulini, op. cit., voi. IV, pp. 87, 97, 100, 122, ricorda quattro altre
sentenze, senza indicare il contenuto (2 ottobre 1196; 25 aprile 1197 ; 15 ago-
sto 1198 ; 15 ottobre 1199). Noi non abbiamo potuto rinvenirle.
270 EZIO RIBOLDI
LXXVIII.
)i dicembre iipp in città.
I consoli di Milano danno sentenza in una causa possessoria tra
un milanese ed alcuni abitanti di Trezzano. Prova, i documenti.
a) Manca; b) Porro, L. C, p. 33.
LXXIX.
ji dicembre 1200 in città (i).
I consoli di Milano danno sentenza in una causa tra Ottone Pri-
stinario e Lorenzo da Trezzano con suo nipote per alcuni diritti d'acqua
in Trezzano.
a) Manca ; e) Àrch. di Stato di Milano, Musaeum Diplom. cit.
LXXX.
ji agosto 1201 in città.
I consoli di Milano danno sentenza in una causa per {diritti di pa-
scolo tra l'arciprete di S. Maria del Monte e il comune e gli uomini di
Velate.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Maria del Monte.
LXXXI.
22 aprile 1202 nel consolato.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per risarcimento di
danni tra Uberto da Sesto e l'arciprete di Monza. Avendo il convenuto
sollevato eccezione di incompetenza, la causa è rimandata al foro ec-
clesiastico.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Colleg. di Mon^a; b) Frisi, op. cit., voi. II, p. 82;
e) GiuLiNi, pò. cit., voi. IV, p. 13C).
(i) Il GiULiNi, op. cit., voi. IV, p. 128, ricorda altra sentenza del 9 marre
1200, di contenuto ignoto e da noi non rinvenuta.
»
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 27I
LXXXII.
1} dicembre 1202 nel palazzo comunale,
I consoli del comune di Milano giudicano esser valevole la procura
data dal comune di Vercelli al suo procuratore nella causa contro il
comune di Pavia.
a) Arch. Civico di Vercelli, reg. sec. XIV ; b) H. P. M., Chartarum, voi. I, p. io83.
LXXXIII.
14 dicembre 1202 nel palazzo comunale.
Sentenza interlocutoria dei consoli del comune di Milano nella causa
tra il comune di Vercelli e quello di Pavia per il castello di Robbio.
a) Arch. Civ. di Vercelli, cod. cit. ; b) H. P. M., Charlar., voi. I, p. 1089.
LXXXIV.
21 luglio J204 in città (i).
I consoli milanesi danno piena ragione all'arciprete di S. Maria del
Monte, il quale convenne in giudizio per causa di decime il comune di
Velate.
a) Arch. di Stato di Milano, Raccolta Diplomatica, voi. II, p. 28 sg.
LXXXV.
jo ottobre 1204 in città.
I consoli di Milano assolvono un abitante di Vicomaggiore dalla
domanda di Amizeto Pozzobonello per la restituzione di un prato.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Chiarav. ; Bonomi, Diplom. Clarev.^ voi. Ili, p. 184.
LXXXVI.
20 dicembre 1204 a Baraggiola presso Monza,
In una causa per diritti d'acqua tra Giacomo Pelucco e Tarciprete
di Monza i consoli di Milano pronunziano sentenza favorevole all'attore.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Capitolo di Mon:(a ; e) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 147.
(i) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 143, ricorda altra sentenza del 4 feb-
braio 1203, senza indicare il contenuto. Non fu da noi rinvenuta.
272 EZIO RIBOLDI
LXXXVII.
/ aprile 120S presso il Lambro.
I consoli milanesi nominano tre persone incaricate di dividere le
acque tra Giacomo Pelucco e l'arciprete di Monza.
a) Arch. di Stato di Milano, per^. Cap. di Mon^a; e) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 147.
LXXXVIII.
2j aprile 120S in camera dei consoli.
I consoli di Milano costringono il figlio di Giacomo Pelucco a non
impedire l'uso di acqua per irrigare in una roggia presso un prato di-
viso, giusta la precedente sentenza.
a) e e) Come doc prec.
LXXXIX.
27 ottobre 120J nel consolato.
Sentenza dei consoli milanesi in una causa possessoria tra Alberto
Capello e due fratelli Beccaria, i quali vengono assolti dalla domanda
attrice.
a) BoNOMi, Diplom. Clarev., ms. cit., voi. TU, p. loq.
XC.
I dicembre 120S.
I consoli del comune di Milano danno piena ragione al comune di
Vercelli nella causa da questi promossa contro il comune di Pavia per
il possesso del castello di Robbio, di cui i pavesi si erano impadroniti
con violenza.
a) Arch. Giv. di Vercelli, reg. sec. XIV; b) H. P. M., Chartar., voi. I, p. 11 19 sg.
XCI.
21 marzo 1206 nel consolato.
Lunghissima sentenza dei consoli milanesi nella nota causa per di-
ritti d'acqua tra l'arciprete di Monza e Giacomo Pelucco, nella quale
appare ricostruita tutta la causa e si rinvengono preziose notizie coro-
grafiche, e di diritti rurali.
a) Arch. di Stato di Milano, Cap. di Morula; b) Frisi, op. cit., voi. II, p. 84 sg.
I
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 273
XCII.
¥
22 maggio 1206 nel broletto.
I
I consoli milanesi; dopo aver dato il curatore ad un minorenne,
pronunziano sentenza in una causa possessoria tra lui e il capitolo di
S. Ambrogio.
a) Arch. di Stato di Milano, per^. Cap. di S. Ambr ; b) Porro, L. C, p. 149 sg.; e) Giu-
LiNi, op. cit., voi. IV, p, 150 sg.
xeni.
19 luglio 1206 in città.
Sentenza dei consoli milanesi in una causa di diritto signorile tra
i rustici di Baggio ed Algisio da Varedo.
a) Bibliot. Arch. Capitolare di Milano, perg. ant. diver., cart. n. 141 ; Ambrosiana, co-
dice Della Croce, v. 13, ad a. ; e) qxiesV Archivio, XXXI, 1904, 11, p. 235.
XCIV.
p ottobre 1206 in città.
I consoli di Milano costringono per sentenza il prevosto di S. Am-
brogio ad eseguire una obbligazione stipulata, ed obbligano il conve-
nuto Rosso da Gerenzano a rilasciarne il documento.
a) Ambrosiana, eod. Della Croce, n. 13 ad a.
xcv.
4 maggio i2oy in città.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per evizione tra un fi-
glio emancipato e la canonica di S. Ambrogio.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S.Ambr. ; e) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 158 sg.
XCVI.
/ giugno 120'].
Un console di Milano condanna in contumacia Algisio Abuello da
Consonno, al pagamento di un fitto a Girardo Prealloni.
a) BoNOMi, Diplont. Clarev., ms. cit., voi. Ili, p. 130.
1;
274 EZIO RIBOLDI
XCVII.
31 luglio 120^ in città.
I consoli di Milano assolvono un villano dalla domanda dell'Ospe-
dale di S. Vincenzo per una decima. Interviene la canonica di S. Am-
brogio ad excludendum.
a) Arch. di Stato di Milano, per§^. S. Ambr. ; Ambrosiana , cod. Della Croce, v. 13 ad a. ;
e) GiULiNi, op. cit., voi. IV, p. 158 sg.
XCVIII.
IO luglio 1207 in città.
Sentenza per una decima feudale in una causa trattata dai consoli
di Milano tra un cittadino milanese e un villano di Quarto Cagnino.
Interviene ad excludendum l'Ospedale di S. Vincenzo.
a) Ambrosiana, cod. Della Croce, v. 13 ad a.
XCIX.
14 agosto 120J in città.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per la remissione di
un terreno livellato tra la canonica di S. Ambrogio e Lorenzo da Trez-
zano. L'attore chiede anche le spese di giudizio, e in seguito a confes-
sione del convenuto gli è data piena ragione.
a) Arch. di Stato di Milano, perg, S. Ambr. ; Ambrosiana, cod. Della Croce, v. 13 ad a. ;
e) GiULiNi, op. cit., voi. IV, p. 158 sg.
c.
2y ottobre i2oy in città.
Sentenza dei consoli milanesi in una causa per evizione tra un cit-
tadino milanese e la canonica di S. Ambrogio.
a) Ambrosiana, cod. Della Croce, v. 13 ad a.; b) Porro, £,.,C., p. n sg. ; e) Giulini,
op. cit., voi, IV, p. 158.
CI.
28 ottobre 120^ nel consolato.
I consoli di Milano condannano Giacomo Perdice e figli a pagare
alla canonica di S. Ambrogio una decima.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. S. Ambr. ; Ambrosiana, cod. Della Croce, v. 13 ad a. ;
e) GiuLiNi, op. cit., voi. IV, p. 158.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC. 275
CU.
21 dicembre 1207 in città (i).
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per abbattimento di
una porta in luogo pubblico tra i vicini di S. Pietro e Naborre a Mi-
lano e la canonica di S. Ambrogio. Poiché il convenuto dimostra che
furono invece costrutte sulla sua proprietà, viene assolto.
a) Ambrosiana, cod. Della Croce, v. 13 ad a.; e) Giulini, op. cit., voi. IV, p. 158 sg.
e quest'i4rcA/wo, XXXFI, 1905, in, p. 51, nota 4.
CHI.
4 luglio 1209 nel consolato.
I consoli di Milano condannano un cittadino da Trezzano a resti-
tuire ad Albergato Prealloni alcuni beni di un suo debitore pignoratizio.
a) Arch. di Stato dì Milano, perg. S. Ambr. ; Ambrosiana, cod. Sormanni, ad a. ; e) Giu-
lini, op. cit., voi. IV, p. 108.
CIV.
27 luglio 1209 nel consolato.
I consoli di Milano assolvono dalla domanda attrice due fratelli
Beccaria in una causa possessoria.
a) BoNOMi, Diplom. Clarev., voi. IH, p, 254.
cv.
j£ dicembre 1209 nel consolato.
Sentenza dei consoli milanesi in una causa di diritto feudale e si-
gnorile tra la chiesa di Monza e parecchi frateUi di Monguzzo.
a) Arch. di Stato di Milano, Colleg. di Moriva; b) Frisi, op. cit., voi. II, p. qi sg.
(i) Il Giulini, op. cit., voi. IV, pp. 161, 168, ricorda, senza allegarne il
contenuto, due altre sentenze (29 marzo 1208-29 giugno 1208) citando come
fonte l'Arch. Ambrosiano. Non furono rinvenute.
276 EZIO RIBOLDI
evi.
3 aprile 1210 in città.
Sentenza dei consoli di Milano in una causa per diritto di decima
tra il prevosto di Vimercate e Giacomo Beroldi.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Collegiata di Vimercate; b) Porro, L. C, p, 145.
CVII.
p novembre 1210 in camera dei consoli.
I consoli di Milano con nuova sentenza ordinano Tesecuzione di
una parte di precedente sentenza tra un milanese e il monastero di
di Chiaravalle.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Chiar. ; Bonomi, Diplom. Clarev., voi. Ili, p. 314
CVIII.
20 luglio I2II nel consolato.
I consoli di Milano danno sentenza in una causa di diritto feudale
e signorile tra alcuni di Giussano e molti abitanti di Arosio.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Mon. Magg.
CIX.
ij settembre 1212 nel consolato.
Sentenza consolare in una causa per diritti di decima feudale tra
il prevosto di Vimercate ed Uberto Ismaelli di Vimercate, il quale
viene condannato.
a) Arch. di Stato di Milano, perg. Colleg. di Vimercate; Ambrosiana, cod. Della
Croce, V. 14 ad a. ; b) Porro, L. C, p. 145 sg.
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC.
277
SERIE DEI CONSOLI MILANESI (0
22 agosto 114S.
Stephanardus ludex ac Missùs R.
Lanfrancus de Setara
Gigo Burrus
Azo ludex ac R. Missus.
77 ottobre 114S.
Gregorius ludex ac R. Missus
Otto de Raude
Malastreva Bordella
Gilbertus.
7^ giugno 1148.
Girardua Cagapistus.
7/ gennaio 1149.
Azo Ciceranus.
Gilbertus Penarus.
8 luglio 1149.
Ariprandus Confanonerius
Guercius ludex ac R. Missus.
4 maggio USI.
Heriprandus Confanonerius.
Alberti de Porta Romana
Heriprandus ludex.
IO gennaio iijj.
Alberti de Porta Romana
Otto de Mairola.
29 gennaio iiSS-
Obertus de Orto ludex ac R. Missus
Guasco de Mairola
Bordolle
Albertus de Carata
Guercius ludex ac R. Missus.
7/ maggio iijg.
Rogerius de Isembardo
lohannes de Stampa
Malasterna de Fabagrossa
Oldradus Vicecomes
Fridericus ludex
Otto de la Turre
Oldradus de Vicomercato
Fridericus ludex
Franciscus de Bimio.
27 maggio iiSy (2).
Uvidottus Polengonus.
28 dicembre iióy (3).
Guido Confanonerius
Grotto de Grogonzola
Mainerius de Pixina.
(i) Aggiunta a quella del Giulini, op. cit,, voi. VII, p. 350 sg.; ed a quelle
in (\Vitsl'' Archivio^ XXII, 1895, i, p. 363 sg. e XXXI, 1904, 11, p. 222.
Si citano in calce le fonti escluse dal Repertorio.
(2) Vignati, Codex Diplotn. Laud.^ voi. Ili, p." 39. A p. 56, in un trattato
di alleanza, figurano de' testi in cui si dovranno probabilmente riconoscere de'
consoli.
(3) Vignati, op. cit,, voi. IN, p. 44.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VL 18
278
EZIO RIBOLDI
jo dicembre iiój (i).
Squarsapars de Buxinate.
21 ottobre 1181.
Albericus de Bonna.
27 febbraio 1182.
Anricus Mainerius
Otto Vicecomes
Guilielmus ludex
Mediolani
Stephanus Menclocius
Oto Zendadarius consul reipubblice.
ij dicembre ii8j.
Heriprandus ludex.
24 dicembre 1184 (2).
Rogerius Vicecomes
Arialdus Vicecomes
Arnaldi de Mairola
Guilielmi Corbi
Astulfi Cotte
Ardrigotti Marcellini.
28 maggio II 88 (3).
Chonradus ludex.
2p agosto 1188.
Giggottus de Mairola
Azo de Pusterla
lacopus Gambarus
Ariprandus Morigia
Ambroxotus de Comite
Guilielmotus de Alitate.
7 luglio 1189.
Anselmus de la Cruce
Guilielmus GaCurius
Johannes ludex
Guertius de Ostiolo
17 novembre iigo.
lacopus Gambarus
Giggottus de Mairola.
I gennaio 1199.
Ariprandus Bonafides
Rainerius Cotta
Ubertus Vicecomes
Otto Zendadarius
Alcherius de Vicomercato.
II gennaio iigg (4).
De Consulibus lustitie.
Guillielmotus Brema
lacopus Cagapistus
lacobus de Aiate
Rogerius Marinonus
Aliprandus
Petracius de Gluxiano.
De Consulibus Credentie S. Ambrosii.
Ardericus Stampha
Grossus de Ninguarda
lohannes de Levate
Rogerius de Riclus
Rogerius de Leoni.
ji agosto 1201.
Giggottus de Mairola
Baldicionus Stampa
(i) Vignati, op. cìt., voi. Ili, p. 36.
(2) Trivulziana, Fondo BelgioiosOj n. 291 carta all'anno. Una copia del
migerato Bianchini si trova pure nel cod. 1738.
(3) GiULiNi, op. cit., voi. IV, p. 43.
(4) Vignati, op. cit., voi. III, p. 233.
fa-
LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC.
279
Guertius de Ostiolo
Preallonus de Preallonis
Leo de la Cruce.
ij dicembre 1202.
Consules Comunis.
lohannes de Raudus (sic)
Enricus de Comiliano
Obizone de Advocato
Anselmus Tenzago
Obizono
Amicono
Guilielmus Calzagrixia
Philippus Lanterio de Moetia (sic)
Albertus Mirabilia.
21 marzo 1206.
21 agosto 1204.
Guilielmus de Terzago
Guido de Buinate.
I dicembre 120J.
Consules Comunis.
Rizardus Crivellus
Paganus de la Turre
Guido de Landriano
lohannes de Raide (sic)
Albertus de Mandello
Guidus Baldus
lacobus de Moetia (sic)
Ugo de Camerario
lacobus de Aliate
Drudo Marcellinus
Arnaldus ludex de Supralaqua.
Monachus de Modoetia
Guastacons de la turre
Obizo de Surexina
Gaspar Menclocius
Guido Faroldus
Ugo Salarius
Alborgellus de Dexio.
ij dicembre 1209 (i).
Albertus de Marliano
Guifredus de la turre
Prevede de Ovreno
lacobus Menclocius.
ij settembre 121 2.
Gottecinus de Ovreno
Albertonus Saporitus.
IO febbraio luj (2).
Andrioto de la Cruce
Norando de Pusterla
lohanne Codevillano de Surexina
Domifilo Toppo
Duirante de Marliano.
24 marzo 121 6 (3).
Vicecomes de Vicecomitibus
Rolandus de Erba.
24 febbraio 12 17 (4).
Miranus Incressus
lacobus de Populo.
(i) Porro, op. cit., p. 65.
(2) Berlan, Le due edizioni cit., p,
(3) Cod. Trivulziano, 1740.
(4) Ambrosiana, cod. Della Croce, n.
178.
14: Can. S. Ambrogio,
28o EZIO RIBOLDI - LE SENTENZE DEI CONSOLI DI MILANO, ECC.
7 Ottobre 1219 (i). ij maggio 1221 {2).
Sanzanomen Albericus Redulfus de la Cruce.
Bonaccursus de Vicecomitibus
Obizo Pellucus. . 2j giugno 122J (3).
lohannes de Legnano.
(i) Ambrosiana, cod. Della Croce, n. 14: Collegiata S. Stefano, Viminate,
sentenza ad a.
(2) Porro, op. cit., p. 185.
(3) Ambrosiana, pergamena, n. 1620.
JEAN GALÉAZ VISCONTI
et le Comté de Vertus
Es Archives départementales de la Marne, dans le dépòt
de Chalons-sur-Marne, possèdent une pièce écrite en
fran9ais et émanant de Jean Galéaz Visconti comme
Comte de Vertus en Champagne. Cette pièce attira
mon attention, lors de récentes recherches au dépòt de Chalons.
Elle est datée de Pavie, le" 5 octobre 1368. Et, bien qu'elle n'ait
trait qu'à une affaire d'assez mediocre importance (l'amortissement
d'une rente léguée à une église de Chalons), elle constitue assuré-
ment une rareté. En effet il ne m'a pas été donne de retrouver
aucune pièce analogue, aucun acte « direct » d'administration re-
dige en fran^ais et émanant de Jean Galéaz comme Comte de
Vertus. Nous verrons si l'on peut assigner des causes à cette ra-
reté. Pour rinstant, et avant de citer la pièce, on fera remarquer
ceci. La pièce n'intéresse directement que l'égUse Saint Etienne de
Chalons ; le Comte de Vertus n'a eu à intervenir dans l'affaire que
pour une seule raison : c'est que la rente amortie était assise à
Clamanges, au comté de Vertus (i).
Voici maintenant le texte de la charte (2):
A tous ceulz qui ces présentes lettres verront et orront, Galéaz
Visconte de Melan, Conte de Vertus en Champaigne, salut. Nous avons
veu un admortissement fait a honorables et discretes personnes Doyen
(i) Je note en passant que ce bourg de Clamanges nous rappelle un nom
bien fameux dans l'histoire des lettres au XV' siede, celui de Nicolas de Cla-
manges, né en 1360 dans le méme village champenois dont il est ici question.
Et, incidemment aussi, on noterà dans la pièce un autre nom de lieu illustre
dans les lettres et dans l'histoire, Joinville. Si je relève ces deux noms c'est pour
donner quelque idée des environs connus de la petite ville de Vertus.
(2) Archives du département de la Marne, Dépòt de Chalons-sur-Marne, G. 579.
282 HENRY COCHIN
et Chapitre de l'église Saint Estienne de Chaalons par notre feal et amé
vicaire et procureur general Messire Amechin de Bozele, dont la te-
neure s'ensieut. A tous ceulz qui ces présentes lettres verront et or-
ront, Amechin de Bozele, vicaire et procureur general de très excellent
^t poissant primpce monsigneur Galeaz Visconte de Melan, Conte de
Vertus et de très excellent dame, madame Ysabel, fille de Roy de France,
Contesse du dit Vertus, salut. Comme honorable et discrète personne
maistre Guillaume de la Mote, iadiz chanoines et archediacres de Join-
ville en l'église Saint Estienne de Chaalons, en son testament ou der-
raine volonté, ait, pour le salut et remède de son ame, donne et laissié
a la dite église de Chaalons une rente annuelle et perpétuelle de qua-
rante moutons lainne portans, quarante deruers tournois, et un petit
sestier d'avainne, la quelle rente tenoit, levoit et possidoit paisiblement
le dit maistre Guillaume pour le temps qu'il vivoit, par lui ou ses de-
putés, à pranre chascun an a tous jours, le jour de TAscention nostre
signeur, en et seur la ville de Clamanges assise ou dit Conte, pour cer-
tain et iustes causes contenues es lettres seur ce faites; et de par nos
amez en Dieu les Doyen et Chapitre de la dite Eglise de Chaalons,
nous alt esté requis et supplié que, come- la dite rente soit assise en
la terre signourie et justice du dit Conte, et ne porroient tenir les diz
Doyen et Chapitre la dite rente sans le congié et hcence de mes diz
sigheurs et dame ou leurs gens, nous ycelìe leur vousissiens admortir
et, pour ce, pranre finance d'eulz,- tele comme il appartendroit. Savoir
faisons que, considerò le bon propos du dit maistre Guilliaume, l'amour
et l'affection que mes diz signeur et dame et nous avons a la dite église,
et pour l'augmentation du devin servise, nous les diz Doyens et Cha-
pitre avons receu a finance pour raison de la dite rente parmi la somme
de soissante royaulk de bon or et de boh poiz courans pour le temps
de feu le Roy Jehan notre signeur dònt Dieux ait l'ame, de laquelle
somme il ont fait bónne et souffissant satisfaction. Si nous plaist et vo-
lons et ottroyons et consentons et de certaine science, en tant comme
en nous est et faire le poons, ou nom et par le pooir a nous baillié de
par mesdiz signeur et dame, que lesdiz Doiens et Chapitre et leurs
successeurs en la dite Eglise puissent dores en avant a tous jours,
perpetuelment, tenir, posseder, lever et joir paisiblement de la dite
rente de quarante moutons, quarante deniers tournois et un petit sestier
d'avainne, comme de rentè admortie; la quele, ou nom que dessus, ad-
mortissons par ces présentes, tenons et réputons pour admortie, sans
ce que les diz Doyen et Chapitre ne leurs successeurs en ycelle Eglise
soient en rien tenu, ne puissent estre constraint de la jamais mettre
hors de leur main, ne de en paier, pour ce, ou temps a venir, aucune
autre finance que desdiz soissante royaulz, sauf en autres choses le
droit de mes diz signeur et dame et en toutes l'autrui. Et pour ce que
ce soit ferme chose et estable a tous jours mais, nous avons mis nostre
seel à ces lettres, dou quel nous usons et entendons a user, qui furent
i'aites le douzime jour dbu mois de fevrier, l'an de grace mil trois cena
Pi.. I.
ncuix aiiCHO jicffc ctc» wnttt» VV: nvc fl«f 4>.i\% fiivint fiii*r:s .t ^
.• .É '^
\it.
"^
fr
Sceaii eu ciré jauue appendu à la charte du Comte de Yertus
datée de Pavle le 5 octobre 13«8.
Phototypie Menotti Bassani & C. à Milan.
Pr.. II.
k
Sceaux de Jean Galéas et de Valcntiiie Visconti,
existants aux Archivcs Nationales, Collection Douèt d'Arcq, N.os 591, 11708, 11709.
Phototypie Menotti Rassani & C. à Milan.
JEAN GALÉAZ VISCONTI ET LE COMTÉ DE VERTUS 283
soissant et sept. Lequel admortissement, en la forme et manière que
fait est par nostre dit vicaire et procureur et comme dessus est dit,
loons, gréons, ratiffions et approuvons, et prometons en bonne foì et
seur l'obligation des biens de notre dit Conte de le tenir et avoir ferme
et estable sans jamais venir ni faire venir encontre. En tesmoing de ce
nous avons seelé ces presentes de nostre seel, qui furent faites de
Pavye, le VP jour d'octembre, l'an de grace mil trois cents soissant
et huit.
signé: Antonius.
La pièce originale, qui se trouve aux Archives à Chalons, porte
encore sur doublé queue un assez beau sceau, en ciré jaune, du
Comte de Vertus. J'en ai fait faire une épreuve photographique, que
Fon trouvera cì-contre (1 Planche). Ce sceau, comme on le remar-
quera, n'est pas semblable aux divers sceaux de Jean Galéaz que
possèdent les Archives Nationales, et dont je public les moulages à
titre de comparaison (pour ceux du moins qui fìgurent dans la Col-
lection Douet d'Arcq) (i) (II Planche). Mais par contre, le sceau de
Chalons est à peu près semblable à une des monnaies si rares du
Comte de Vertus, que M. de Longpérier à étudiées, et après lui
M. Auguste Denis (2).
Dans le mémoire que je viens de citer, M. de Longpérier a
affirnié, — sur le dire de l'Archiviste d'alors, — que les Archives
de Chalons ne possédaient « aucune » pièce émanant de Jean Ga-
léaz comme Comte de Vertus. 11 n'est pas très surprenant que
notre petite charte ait alors échappé à l'attention. Le dépòt de
Chalons est considérable, et, bien qu'aujourd'hui encore il soit
loin d'avoir été complètement inventorié, il y a cependant quelques
progrès en ce sens, depuis les jours où Longpérier faisait ses
recherches. Pourtant il ne m'a pas été donne de rencontrer rien
de plus qu'une seule charte de Jean Galéaz.
(i) Ce sont les n.o»: 591. Appendu à un traile d'alliance du Comte avec
le roi de France (30 aoùt 1395). — 11708. Procuration pour le mariage de Va-
lentine Visconti (1387). — J'y joins le n.° 11709, Sceau de Valentine. — On
trouverait encore d'autres sceaux'de Jean Galéaz dans ncs dépóts fran^ais, Je si-
gnale, cès à présent, celui qui est appendu au traité entre Jean Galéaz et le
Comte de Savoie (Arch. Nat., K. 50, n." 8; Tardif, Cartons des rois, n." 1578).
(2) A. DE Longpérier, Oeuvres, to. V, p. ic6, Monnaies de Jean Galéaz,
Comte de Vertus en Champagne (Extrait du to. IV, Nouv. sèrie, de la Revue
Numismatiqtte)', cf. Auguste Denis, Essai sur la Numistnatique de la parile de la
Champagne représentée aujourd'hui par le dép. de la Marne, Chalons, 1872.
^4 HENRY COCHIN
Je me suis attaché à examiner les liasses abondantes qui ren-
ferment des documents intéressant les divers lieux de eulte qui ont
existé à Vertus, et notamment les deux abbayes de Saint Sauveur
et de Notre Dame, ainsi que l'église Collegiale. Il y a là d'assez
beaux chartriers possédant des bulles pontificales, et bien fournis
de titres, qui témoignent de nombreuses fondations pieuses éma-
nant surtout des comtes de Champagne et rois de Navarre. J'y
ai trouvé des traces du gouvernement de Jean Galéaz, mais toujours
par l'intermédiaire de procureurs ou de gouverneurs. Ainsi nous
sont révélés les noms de plusieurs des intermédiaires et fonction-
naires qu'employa le Comte de Vertus; mais on ne le voit jamais
paraitre de sa personne que dans Tunique pièce que j'ai repro-
duite, et oìi Ton se demande vraiment quelle est la raison particu-
lière de son intervention. Car cette pièce elle-méme d'ailleurs n'est
que la confirmation, le « vidimus » d'un acte émané d'un person-
nage qui servit de procureur à Jean Galéaz en 1367, et se nommait
Amechin de Vozèle (ou Bozèle). Mais, Gomme nous l'apprendra la
" Prisée » qui sera analysée plus loin, il s'était servi, l'année précé^
dente (1366) d'un autre personnage nommé Berthelemin de Garim-
baut, et désigné comme « procureur et receveur ». Un peu plus
tard, un document nous révèle la présence d'un fonctionnaire de
caractère plus stable, un gouverneur; ce document concerne Notre
Dame de Vertus (i) pour un démélé au sujet de certaines « ma-
u sures » sises au lieu dit « le four aux raynes ». Il émane d'un
certain u Sauces de Nogent, chevalier, seigneur d'Auney, gouver-
« neur du Comté de Vertus » (2). 1 ,
Quelques années plus tard, et sans que l'on puisse dire à quel
moment et pour quelles causes, Sauces de Nogent quitta ses fonc-
tions. On rencontre le nora d'un autre gouverneur de Vertus « Ber-
« tram Guasch, escuier ». Celui-là semble avoir joué un ròle assez
important, et on le voit figurer dans plusieurs des pièces concer-
nant le mariage de Valentine Visconti. J'en parlerai plus loin. Je
finis d'abord ce qui concerne l'administration du Comté de Vertus.
M. Jarry (3) a transfor/^ié le nom jJe Guasch en Guasco et a suppose
(i) Archives de la Marne, Chalons sur Marne, G. 1474.
(2) Il y est (pour tout dire) question d'un autre fonctionnaire plus modeste,
« Jacquet Vidamour, sergeant de monsigneur le Comte de Vertus ».
(3) E. Jarry, La vie politiqus de Louis de France, due d'Orléans (i)j2-i40j),
Paris, 1889.
JEAN GALÉAZ VISCONTI ET LE COMTÉ DE VERTUS 285
le personnage italien. Il ne dit pas pour quelle raison. J'ai rencontré
le nom sous ces formes: Guaschi Giiasc ou Gasch, en fran^ais, et
Guaschus en latin. Par lui-méme, le nom peut étre fran^ais aussi
bien qu'italien. Quoi qu'il en soit, Guasch figure comme gouverneur
de Vertus dans des actes de 1373, puis de 1387 (t) ; il re9oit le méme
titre en 1397, y ajoutant celui de « Chambellan de Monsigneur le Due
« d'Orléans » (2). Puis j'ai lieu de croire qu'il cesse d'étre gouver-
neur au moment de la mort de Jean Galéaz, ou peu après. En effet
dans un acte de 1404, Bertram Guasch s'intitule encore « Cham-
« bellan du Due d'Orléans », mais il ajoute: « jadis gouverneur de
« la Comté de Vertus » (3).
En general donc, le comté est administré par des fonction-
naires et non directement par le comte, et c'est pourquoi, ainsi
d^ailleurs que Fon s'y devait attendre, le nombre des pièces éma-
nées du comte lui-méme ont dù, en tous temps, étre rares. Pour-
tant il en a existé, puisque nous en tenons une, mais sauf un hasard
heureux, il est douteux que nous en rencontrions d'autres. En effet
nous apprenons en outre, par un autre document, que les archives
du comté avaient été brùlées et détruites par fait de guerre. C'est
ce que nous verrons tout à l'heure, en parlant du précieux docu-
ment que possèdent encore les Archives Nationales, la « Prisée » du
comté de Vertus.
Il faut rappeler en quelques mots ce que fut le comté quand
Jean le Bon le constitua pour en faire la dot de sa fille Isabelle
de France, et aussi ce qu'avait été Vertus dans des temps plus
anciens. Cette histoire est aisée à suivre dans les travaux de
d'Arbois de Jubainville (4), de Longpérier déjà cité et de Lon-
gnon (5).
(i) 29 décembre 1387, Arch. Nat., K. 552. Cf. aussi Lalore, Collection des
cartuìaires du diocèse de Troyes, Paris, 1878, to. IV.
(2) 5 aoùt 1397, Arch. de la Marne à Chalons sur Marne, G. 144$.
(3) Arch. de la Marne à Chalons sur Marne, G. 144 1. — L'acte est fait au
nom de a Jehan le Gay d'Ay, bailli de monsigneur le due d'Orléans pour ses terres
« de Champagne et de Brie ». — Il est clair que dès lors le système d'administra-
tìon institué par Jean Galéaz a pris fin.
(4) D'Arbois de Jubainville, Histoire des ducs et des comtes de Champagne,
Paris, 1859-66 ; cf. aussi : CalmetTe, Histoire des villes et villages de la Marne,
Reims, 1880. Voir aussi : Ordonnances des Rois de France, to. Ili, p. 549.
(5) Dìctionnaire topographique de la Marne, Paris, 1891.
286 HENRY COCHIN
Vertus est situé à 30 kil. au sud-ouest de Chalons-sur-Marne,
dans cette grande plaine crayeuse, à peine traversée de quelques
ondulations de collines, qui s'étend d'Epernay à Vitry-le-Frangois.
C'est aujourd'hui un chef lieu de canton, présentant un aspect
de propreté et d'aisance, semblable d'ailleurs à tant d'autres pe-
tites villes de la région champenoise. Elle est à l'heure présente,
comme elle l'était au Moyen àge (i), entourée de vignes, et le
centre d'un important commerce de vins. La ville actuelle ne garde
guère que deux souvenirs du passe : la belle Collegiale, qui date,
en partie du moins, du douzième siècle, et possedè une crypte
plus ancienne peut-étre; puis un fragment des remparts du moyen
àge, avec une belle porte en ogive, que l'on nomme Porte-Baudet. La
ville entière a gardé la forme arrondie que lui a imposée longtemps
la ceinture de ses remparts aujourd'hui disparus. Elle est d'ailleurs
posée au flanc d'un coteau et toute en pente. En haut de la ville
et au dessus de la Collegiale, le nom d'une rue [Rue du Chàteau)
et un mouvement de terrain bien marqué prouvent seuls l'existence
d'un ancien chàteau fort.
On ne peut oublier de parler des eaux, dont la beauté fait le
caractère du lieu et explique aisément qu'il ait du ètre, dès les
temps les plus anciens, un centre de population. Il y a deux sources;
l'une, en haut de la colline, est si abondante qu'elle forme un petit
étang d'eau vive, où baigne le pied méme de la Collegiale; l'autre.
au milieu de la ville, fournit incessamment un volume extraordi-
naire d'eau plus limpide encore. Les eaux de ces deux sources
forment, à la sortie méme de la ville, une rivière assez importante,
que l'on nomme aujourd'hui la Berle.
A deux kilomètres de Vertus, sur le territoire de Bergères-
les-Vertus, s'élève une colline isolée, qui mesure 240 mètres de
haut, ce qui lui donne, au milieu des plaines et de bas coteaux
de Champagne, l'aspect et la renommée d'une montagne. On nomme
aujourd'hui cette colHne le Montaimé; cette forme moderne du nom,
modelé sur une forme latine imaginaire, a supplanté la forme en
usage pendant tout le moyen-àge: Moymer (2). C'est sur le Moy-
(i) L'immense majorité des pièces que j'ai rencontrées aux Archives de la Marne
touchent à des questions de dimes sur les vignes de Vertus et de Bcrgères-les-Vertus.
(2) En latin ce nom a plusieurs formes diverses. La plus frequente est Mons
Aymeri. Mais à l'année 877, les Annales Bertìnianì donnent : Mons Witmari. —
Le chàteau fut définitivement détruit au quinzième siècle. Cf. Longnon, loc. cit.
JEAN GALÉAZ VISCONTI ET LE COMTÉ DE VERTUS 287
mer que s'élevait jadis le chàteau fort des comtes de Champa-
gne, qui va figurer, comme un don de valeur, dans la dot d'Isabelle
de France en 1361. Le Moymer avait sa legende au moyen àge.
La tradition populaìre y pla^ait le chàteau d'Hautefeuille, demeure
du traitre Ganelon. M. Longnon le trouve bien désigné en cette
qualité dans la Chanson de geste qui a pour titre Gaufrey.
Ce qui signale Vertus à l'attention au cours du moyen àge, e' est
d'avoir servi de séjour fréquent aux comtes de Champagne, qui y
avaient, de bonne heure, institué une prévoté. Le nom méme de
Vertus remonte à une epoque bien plus ancienne. 11 n'a pas d'autre
rapport, bien entendu, qu'une assonnance de hasard, avec le mot qui
signifie les mérites de l'àme; mais cette assonnance a naturellement
et dès longtemps donne lieu à des confusions et à des jeux de mots,
dont le principal est contenu dans cette devise connue : Post funera
virtus ; on en rapportait l'invention à Jean le Bon, pour honorer la
fidélité des Champenois envers le roi de France captif.
Quoi qu'il en soit de cette devise, dont l'origine et l'ancien-
neté sont également douteuses, il est certain du moins que le
nom de la ville de Vertus a une étymologie tout autre que psy-
chologique. C'est un vieux nom celtique. Il y a eu un « Pagus
u Virtudensis », nommé dans une charte de Louis le Débonnaire
et Lothaire en 825. Il est appelé « Virtudisus » dans un capitu-
laire de Charles-le-Chauve, qui le désigne parmi les lieux appar-
tenant à la « Missie » d'Hincmar. Flodoard mentionne la « Villa
« Virtudis ». Un peu plus tard, le jeu de mots est accompli: Raoul
Glaber parie du « Vicus Virtutis », et dàns une vie anonyme de
S. Arnoul, il y a un lieu dit « Virtutes ». Cette forme persiste
dans les chartes d'Henri le Liberal au douzième siècle et semble
prendre une possession definitive (i).
Voila pour ce qui est du nom. Quant à l'histoire, en voici le
résumé. Vertus nous apparaìt d'abord, comme archidiaconé de
l'évéché de Reims. Le comte de Champagne Herbert II s'en em-
para, en 970, malgré les résistances du fameux évéque Adalbé-
ron (2). En 977, la cession fut régularisée et consentie par le cha-
(i) Cependant on trouve ancore « de Virtuto » au XIV^ siècle. (Jean XXII,
Lettres communes, analysées d'après les registres dits d'Avignon et du Vatican,
Paris, 1905, to. V, fase. III). Cf aussi Lex, Eudes comte de Blois, p. 56,
(2) Il est question de ces faits dans les Lettres de Gerbert.
288 HENRY COCHIN
pitre de Reims, moyennant une redevance annuelle. Cette situation
durait encore au douzième siede. Pendant ce dernier siècle, Vertus
est un séjour presque habituel des comtes de Champagne. A plu-
sieurs reprises des dames le re9oivent comme douaire. On le voit
en particulier figurer dans le douaire de Bianche de Navarre, qui
construisit ou plutòt augmenta le chàteau de Moymer en 1210.
En 1229, notre Sire de Joinville raconte un siège et un incendie
de la ville de Vertus. Pourtant la destruction n'avait pas dù étre
complète, puisque nous voyons, en 1230, les habitants de Vertus
recevoir du comte de Champagne une charte de libertés commu-
nales. Ils sont d'ailleurs en fréquentes relations avec leurs comtes,
car ceux-ci continuent à multiplier leurs séjours à Vertus, ou plutòt
dans le chàteau fort de Moymer. C'est sur ce mont, qu'on voit par
exemple, en 1239, le fameux comte Thibaut IV, le poéte, brùler
83 hérétiques Albigeois, en présence d'une nombreuse assemblée.
Les comtes de Champagne ont trouvé à Vertus un séjour de pré-
dilection. Ils y ont fonde les deux abbayes de Notre Dame et de
Saint Sauveur. Voilà ce qu'il importe de savoir jusqu'au moment
où Jeanne de Champagne, en épousant Philippe IV le Bel, apporte
la Champagne à la France.
La Champagne ne mit pas longtemps à devenir très frangaise
de coeur ; les rois y rencontrèrent aide et appui, au moment du
plus apre danger. En 1358, pendant méme la captivité du roi, le
Dauphin trouva moyen de réunir à Vertus les notables de Cham-
pagne et d'obtenir d'eux les subsides que les Etats Généraux lui
avaient refusé. Deux ans plus tard, il négociait le mariage de sa
soeur avec Jean Galéaz, et cette « heureuse aventure, gràce à la-
it quelle », dit Longpérier, « le jeune prince Milanais allait se trouver
« beau-frère de Charles V roi de France, de Louis d'Anjou comte
« de Provence et roi de Naples, de Jean due de Berri, de Phi-
« lippe le Hardi due de Bourgogne et comte de Fiandre, de Jeanne
u reine de Navarre et comtesse d'Evreux, de Marie duchesse de
u Bar M. Le roi Jean, en 1361, érigea Vertus en comté en y ajou-
tant les seigneuries de Rosnay (i) et de la Ferté sur Aube (2),
(i) Aujourd'hui Rosnay- l'hópi tal , Aube, arrondissement de Bar-sur-Aube,
cantori de Brienne-le-Chàteau. — Cf. Boutrot et Socard, DicHonnaire topogra-
phique de VAuie^ P- I37«
(2) Haute-Marne. Arrondissement de Chaumont, canton de Chateauvillain.
JEAN GALÉAZ VISCONTI ET LE COMTÉ DE VERTUS 289
afin d'en constituer une dot à sa fille Isabelle. 11 avait voulu
d'abord lui donner un comté erige à Sommières en Languedoc,
dans la sénéchaussée de Beaucaire; on verrà plus loin les raisons
touchantes mais improbables qui furent mises en avant pour faire
préférer Vertus à Sommières : il était, disait-on, désirable de choisir
une contrée qui ne fùt pas trop éloignée du séjour usuel du roi,
afin que Galéaz et Isabelle, lorsqu'ils viendraient visiter leur fief,
pùssent aisement saisir l'occasion pour aller saluer à Paris leur
très cher pére et beau-père. J'ajoute que le roi leur assurait à
Vertus une demeure noble et fortifiée, puisqu'ainsi que nous le
verrons, il leur donnait, « hors prisée » et à part du comté, le vieux
chàteau des comtes de Champagne sur le sommet du Moymer.
Je ne sais si Galéaz alla jamais à Vertus. S'il y alla, le séjour
y dùt manquer à la fois et de sécurité et d'agrément. Nous venons
aux plus durs moments de la Guerre de Cent ans. Tous les do-
cuments que nous consultons ne parlent que de faits de guerre.
Nous apprenons notamment que Vertus est brulé et pillé par le
due de Buckingham en 1380. Si l'on veut se faire une idée des
maux incroyables soufiferts part cette partie de la Champagne pen-
dant les dernières années du XIV^ siècle et les premières années du
XVe, il faut voir aux Archives de la Marne certaines pièces qui eùs-
sent pu trouver place dans le beau livre du pére Denifle sur la Déso-
lation des Eglises. C'est notamment le mémoire redige par Michel
Joly, abbé de Notre Dame de Vertus, pour faire connaìtre la misere
de son abbaye en 1420, et les déprédations incessamment souffertes
pendant les trente ou quarante années qui viennent de s'écouler (i).
Tous ces faits rendent moins surprenante la disette de docu-
ments que nous avons constatée, touchant l'administration du comté
de Vertus. Ce n'est pas pourtant que nos Archives soient pauvres
de documents émanant de Jean Galéaz Visconti, ou le concernant.
Mais parmi ces documents, les principaux ont trait, non au mariage
de Jean Galéaz avec Isabelle de France, mais au mariage de sa
fille, la belle et bonne Valentine, avec Louis due de Touraine
(i) Archives de la Marne à Chalons sur Marne, H. 469. — On trouve dans
la mème liasse une magnifique bulle de la mème année, donnée par Martin V
à Florence, en faveur de l'abbaye de Notre Dame de Vertus, à l'occasion des maux
qu'elle avait soufiferts.
290 HENRY COCHIN
puis due d'Orléans, fils de Charles V. Il était donc naturai que
M. Jarry les publiàt dans son livre sur le due d'Orléans. Nous trou-
vons notamment dans ses pièees justificatives : i.o Sous le numero VI,
une pièee de J387 (concernant la eoncession faite au Comte de Ver-
tus par le roi Charles V, d'un quartier aux Armes de France),
commengant par les mots : « Nos Johannes Galéaz, eomes virtutum,
u mediolani.... imperialis viearius generalis ». C'est un vidimus des
Lettres Patentes de Charles V (i). 2.0 Sous le numero VII, le con-
trat de mariage de Louis due de Touraine avec Valentine Vi-
sconti (2), confirmé par le Comte de Vertus ; la pièce commence
par les mèmes mots.
M. Jarry a publié encore une autre pièee émanant du Comte
de Vertus, et qui n'a pas rapport au mariage de sa fille Valentine,
sous le titre : « Instructions milanaises relati ves au Royaume
« d'Adria » (3). Je l'indique en passant. Il n'est pas douteux que
nos Arehives ne contiennent encore de nombreux documents tou-
chant les relations diplomatiques de la France et de Milan sous
Jean Galéaz. Mais il n'a pas pu entrer dans le cadre de eette
modeste recherche d'établir méme une enquéte approximative sur
ce vaste sujet (4). Je me contente d'une mince récolte, concernant
seulement le eomté de Vertus et son administration. Et à ce point
de vue special, il faudra noter aux Arehives Nationales, dans la
(i) Arch. Nat., KK. 896.
(2) Ibid., K. 532.
(3) Je note encore aux Arehives Nationales un superbe document, mais as-
sùrément connu, et dont une reproduction doit se trouver dans les Arehives mi-
lanaises. C'est le traité d'alliance conclu entre Amédée comte de Savoie et le
Comte de Vertus, « in campis Inter Casalem et fortalicium Trece prope rippam
« Padi, die sexta Junii Anno domini millesimo trecentesimo septuagesimo quarto ».
Arch. Nat., K. 50 (sceaux).
(4) On aura remarqué dans le a Ròle de la dépense du due de Touraine »
ce motif de dépense assez pittoresque: « Conduite de quatorze destriers envoyés
a d'Italie par le Comte de Vertus ». [Les ColUctions de Bastarci d'Estang, Cata-
logne par Léopold Delisle, Paris, 1885). Je signale incidemment encore la belle
lettre publiée ailleurs par Léopold Delisle, et par laquelle, en 1369, Charles V sol-
licitait de Jean Galéaz une aide pécuniaire pour la rangon de leur commun beau-
frère le comte de Bar, retenu prisonnier à Metz. Je remarqué que Jean Galéaz
n'y TQqo'it pas son titre de Comte de Vertus : « Magnifico et potenti viro do-
« mino Galeachio domino Mediolani amico nostro carissimo ». (Mandements
et Acks divers de Charles F, Paris, 1874. Dans ColUctions de documtnts inédits).
JEAN GALÉAZ VISCONTI ET LE COMTÉ DE VERTUS 29I
liasse qui fournit les pièces touchant le mariage de Valentine, une
pièce au moins qui a rapport plus direct au comté de Vertus
par lui-méme, mais encore n'est elle dressée qu'en vue du mariage,
et comme suite du contrat de mariage approuvé le 8 avril 1387.
C'est une pièce qui donne pouvoirs pour Texécution de certaines
obligations résultant du contrat de mariage; et si ces pouvoirs sont
donnés à Bertrand Guasch, gouverneur de Vertus, ce n'est pas
seulement parce qu'il peut étre question occasionnellement dans
l'acte du comté de Vertus, mais surtout parcequ'à ce moment
Guasch était le représentant habituel de Jean Galéaz pour toutes
les affaires qu'il avait à traiter en France. C'est de quoi on peut
s'assurer en étudiant les documents publiés par Jarry et surtout
l'important document dont nous donnerons en terminant l'analyse.
Le comté de Vertus sortit des mains des Visconti par la mort
de Jean Galéaz, ainsi d'ailleurs qu'il avait été stipulé dans le con-
trat de mariage de Valentine. Il ne resta pas longtemps dans la
maison d'Orléans. La fille de Louis d'Orléans et de Valentine Vi-
sconti, Marguerite d'Orléans, née en 1406, fut donnée en mariage
à Richard de Bretagne, comte d'Etampes (i). Elle mourut en 1466.
C'est elle qui porta le comté de Vertus dans la maison de Breta-
gne. Cette Marguerite fut mère de Francois, deuxième du nom,
due de Bretagne, et, par lui, grand'mère d'Anne de Bretagne, reine
de France. Je fais remarquer pour mémoire que Louis XII, le se-
cond époux d'Anne de Bretagne avait, comme elle, pour bisaieule
Valentine Visconti et pour trisaieul Jean Galéaz.
(i) Nous n'avons pas à suivre le Comté de Vertus dans ses destinées ul-
térieures. Mais je devais indiquer une nouvelle direction de recherches aux érudìts
qui voudraient continuer jusqu'au bout la recherche de documents concernant
Jean Galéaz, Comte de Vertus, et Valentine sa fille. Par exemple, les Archives
départementales de la Loire Inférieure renferment plusieurs documents de cette
origine. UInventaire Sommaire signale (to. Ili, Nantes, 1879, p. 8) : i.» E, 26.
Ratification par Jean Galéaz, Comte de Milan et de Vertus, des articles du con-
trat de mariage de sa fille Valentine, fiancée à Louis, due de Touraine et comte
de Valois, et de la promesse y contenue d'une dote immobilière de 30,000 du-
cats. — 2.° E. 33. Copie extraite des Archives de la Chambre des Comptes
contenant le prisage du comté de Vertus, aveux de vassaux, donations, privi-
lèges. — Ces deux documents ne sont sans doute que des doubles des pièces
que possèdent les Archives Nationales. — On peut consulter: J. Trévédy, Sei-
^muries de Bretapie hors de Bretagne (dans Revue de Bretagne, de Vendèe et
d'Anjou, Année 1896, notamement le n." du mois d'aoùt).
292 HENRY COCHIN
C'est par le fait de Marguerite d'Orléans, comtesse d^Etampes
et de Vertus et dame de Clisson, que nous possédons le plus im-
portant document que je connaisse sur le mariage d'Isabelle de
France avec Jean Galéaz et sur l'érection et l'importance du comté
de Vertus. En 1446 la comtesse d'Etampes n'ayant plus d'archives
concernant Vertus par suite des incendies et des pillages de la
dernière guerre, fit faire une copie d'un important document reste
depuis quatre vingts ans en la Chambre des Comptes du roi à
Paris. C'est la « Prisée », que Charles V avait fait dresser en 1366
du comté de Vertus, afin d'en bien fixer la valeur et la mesurer
au chifFre de la dot promise à sa soeur Isabelle. Cette Prisée est
suivie d'un véritable cartulaire, et il renferme un nombre considé-
rable de pièces et de renseignements touchant l'histoire locale et
l'histoire generale (i).
La « Prisée » du comté de Vertus copiée en 1446, forme un
volume in-4 de 163 folios numérotés, dont deux (57 et 58) blancs; il
se trouve à Paris, aux Archives Nationales, sous la cote KK. 1080:
fol. I - fol. 2 r.o Mandement de Charles V, donne à Paris, le
29 avril 1366. Charles V mande à maitre Colart Cathon clerc et
à Jacques Soyer, procureur du Roi au baillage de Vitry, de se tran-
sporter au comté de Vertus et d'en faire la prisée, comme il a été
convenu lors du mariage d'Isabelle de France avec « Jean Galeach ».
Le résultat de cette prisée devra étre envoyé à la Chambre des
Comptes à Paris ;
fol. 3 r.o « C'est la prisée de la Comté de Vertus.... faite par
u nous Colart Cathon.... et Jacques Sohier »; les priseurs deman-
dèrent conseil dans leur mission à plusieurs personnes notables,
dont « Berthelemin de Garimbaut, procureur et receveur de Mon-
« seigneur le Comte de Vertus » ;
fol. 3 v.o - 5 v.o Cathon et Soyer nomment les divers lieux
auxquels ils ont dù se transporter dans le comté, en méme temps
que les dates choisies par eux pour opérer la prisée (depuis
(i) Quoique ce document n'émane pas personellement de Jean Galéaz, il a
pour l'histoire de ce persomiage assez d'importance pour qu'il n'ait pas paru inu-
tile de l'analyser, en citant brièvement les passages les plus intéressants. Il a été
publié en grande partie récemment : Aug. Longnon, Documents relatifs au comté
de Champagne et de Brie (1172-1361), to. II, pp. 550-570 (Coli de doc.inédits).
JEAN GALÉAZ VISCONTI ET LE COMTÉ DE VERTUS 293
juin 1366 jusqti'en décembre 1367); ils disent les difficultés qu'ils
ont eu lorsque « vindrent les eompaignes ou pays » (i) : ils expo-
sent aussi les raisons pour lesquelles ils ont dù estimer certaines
terres ou certains droits à très bas prix, u eonsidéré les guerres
« qui avoyent destruit le pais et que les choses estoyent en très
« petit estat ». Le comté de Vertus se compose de trois chàtel-
lenies, celle de Vertus avec le chàteau de Moymer, celle de Ro-
snay, celle de la Ferté sur Aube.
Suit la liste détaillée ées revenus de ces chàtellenies:
fol. 6 r.o - 20 r.o Revenus de la ville, chàtellenie et prevóté
de Vertus et de Moymer (2).
fol. 20 r.*' - 21 r.o Chsìrges de cette chàtellenie; rcivenu net.
fol. 21 v.o - 33 r.o Rentes et charges de la chàtellenie de
Rosnay; revenu net.
fol. 34 r.° - 44 r.o Revenu et charges de la Ferté sur Aube.
fol. 44 r.o Total des revenus de l'ensemble du comté de
Vertus, 3.358 livres tournois, 12 sous, 3 deniers; somme sur la-
quelle (fol. 44 v.**) il faut rabattre les gages du « bailli, procureur
« et receveur » de la dite comté « pour gouverner icelle », qui se
montent à 100 1. par an.
Fin de la prisée proprement dite.
fol. 44 v.o - 45 r.o Observations faites le 9' juin 1375 par la
Chambre des Comptes à propos de cette prisée. Le roi n'ayaflt
donne à Jean Galéaz et à sa femme que 3000 livres de rente et
la prisée ayant montré que le comté produisait net 3258 1., 12 s.,
3 d., 258 1., 12 s., 3 d. devaient revenir par an au roi; or cette somme
ne lui a pas été remise « depuis XIII ans en 9a que la possession
« des dis lieux fu baillée au dit conte ou à ses gens pour lui »;
cela fait que le Comte de V. doit au roi la somme de 3361 1., 19 s.,
3 d.; mais comme, d'autre pàrt, le gouverneur du comté de V. se
plaignait à la Chambre des Comptes que les revenus de ce comté
avaient été fort exagérés dans la prisée, il est décide par le con-
(i) C'est le moment méme où Bertrand du Guesclin mit fin aux ravages
des Grandes Compagnies en les entrainant en Espagne (1366),
(2) Remarquons que parmi les revenus assignés à J. G. dans la ville méme
de Vertus se trouve la collation des prébendes canonicales de la collegiale de
S.tjean.
Arch Slor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VI. 19
294 HENRY COCHIN
seil du roi que le roi rattacherait à son domaine quelques terres
attribuées d'abord au comté et qu'il tiendrait quitte le comte des
sommes à lui dùes; cette transaction est exposée avec plus de
détail dans les lettres royaux qui suivent.
fol. 45 V." - 56 r.o Copie de lettres patentes en forme de
charte de Charles V; Paris le 9 juin 1375; ces lettres contiennent
(fol. 45 V. - 50 V.) le vidimus de lettres patentes en forme de charte
de Jean le Bon datées de Paris, avril 1361. Celles de Charles V
sont en fran^ais, celles de Jean le Bon en latin (i).
Charles V rappelle que, comme régent du royaume, en l'ab-
sence de son pére, il a constitué en dot a sa soeur Isabelle, lors
de son mariage avec Jean Galéaz Visconti, trois mille livres de
rente sur la ville et chàtellenie de Sommières (2), érigées en comté.
Le roi Jean (charte latine), sur la demande des conjoints, con-
sent à leur assigner ce revenu sur un territoire plus rapproché de
Paris, afìn que « quando dictos filium et filiam nostros in Fran-
« ciam venire contigerit, frequencius ipsos videre possimus quam
« eosdem videremus si in locis de Sumidrio predicto residerent »>.
Il fait rentrer Sommières dans le domaine royal, et choisit en
échange un territoire forme du chàteau de Moymer, des villes de
Vertus et de Rosnay, du chàteau et de la ville de La Ferté sur
Aube et de leurs dépendances; il forme un comté, ayant exacte-
ment les mémes droits et les mémes devoirs que celui de Som-
mières; c'est à dire que Galéaz et Isabelle auront le droit de tou-
cher tous les revenus du comté jusqu'à concurrence de 3000 1. t. ;
que le comté resterà a celui des dé^tx conjoints qui survivra à
l'autre; qu'après leur décès il reviendra à leurs enfants ; que s'ils
n*en ont pas, il fera retour à la couronne. Le comté aura toutes
les franchises ; l'hommage, cependant, en sera du au roi et il res-
sortira à la juridiction du Parlement. Il devra étre fait prisée de ce
nouveau comté. En dehors des 3000 1. de rente qu'ils pourront en
percevoir, le roi leur donne, en plus de l'estimation, les bàtiments
du chàteau de Moymer. La Chambre des Comptes de vrase charger
de la prisée.
(i) M. Longnon a préféré pubblier ce document d'aprés le texte qui en
existe au Trésor des Charles, J. 503, n.*' 3.
(2) Sommière, département du Gard, arrondissement de Nimes. Cf. Germer -
Durano, Dictionnaire topographique du Gard, p. 239.
JEAN GALÉAZ VISCONTI ET LE COMTE DE VERTUS 295
lei finit la charte de Jean le Bon et reprend celle de Charles V;
le roi dit qu'après que la prisée ordonnée, « escripte en un livre
« de parchemin seellé de nostre contre seel » (i), a été exécutée
« notre amé Bertran Guasch, escuyer, gouverneur du dit conte de
u Vertus, si comme il puet apparoir par lettres patentes seellées du
« grant seel de nostre dit frère [GaleasJ (2), dont le transcript est de-
« mouré en nostre dite Chambre des Comptes, se soit puis naguères
« trait par devers nous et nos dites gens des Comptes, et soy dolu
« et complaint de plusieurs villes et habitans d'icelles, nobles et au-
u tres du dit conte, qu'il disoit à lui estre baillez en la dite assiette
« lesquelz refusoyent et contredisoyent ».... D'un autre coté le comte
de Vertus devait au roi une somme (3361 livres) pour la raison
exposée plus haut; la Chambre de Comptes, comme nous Tavons vu,
rattache à la couronne un certain nombre de terres indiquées primi-
tivement comme faisant partie du comté (par exemple tous les biens
de Tabbaye de Clairvaux) mais, en méme temps, elle veut que Jean
Galéas paie la somme due. Après avoir pris ces mesures la Cham-
bre des Comptes dèci are que « toutes les autres parties, demaines
« et villes contenues en la dite prisée et assiette seront et demour-
« ront à tous jours de la conte de Vertus et ressort d'icellui
« conte ". Le roi approuve et ratifie ces mesures; il donne cepen-
dant u de grace espécial » pleine et entière quittance au comte
àe Vertus de la somme de 3361 livres et cela « pour et ou nom
« des enfens du dit conte et de nostre dite suer et pour contem-
« placion des dis meneurs ».
fol. 56 r.o Fin de la charte de Charles V; suit immédiate-
ment l'exposé de la raison pour laquelle la copie de la prisée a
été entreprise en 1446.
fol. 56 r.o - V ° Lettre du procureur de « Madame Marguerite
u d'Orléans, comtesse d'Estampes et de Vertus, dame de Cligon ",
demandant que l'on lui fasse une copie de « l'assiette et prisée
« qui fut faicte ja pie^a à feu le due de Milan ».
fol. 56 v.o « Ex ordinacione dominorum Compotorum.... cujus
(i) Voilà donc la description de l'originai de la « prisée », dont nous n'avons
plus que la copie.
(2) Notons ce fait : Galeas prévenait le roi des nominations qu'il faisait daps
l'intérieur de son comté.
296 HENRY COCHIN - JEAN GALÉAZ VISCONTI, ECC.
« assiete in dieta camera existentis facta fuit collacio hujus pre-
u sentis copie, die XVIIJ maii millesimo CCCC'"^ XLVJto, per yne
u (plus bas) Fromont »;
fol* 57» 5^ r° v.o blancs;
fol. 59 r.* n Copie de plusieurs adveuz et dénombremens de
« plusieurs terres et seigneuries tenues et mouvant de la conte de
a Vertus.... et aussi de certains previlèges.... baillez au temps que
« la prisée et assiete fut faicte, lors baillée en assiete de terre par
« le roy Charles le Quint de ce nom, à feue Madame Ysabel de
li France sa seur, fiUe du roy Jehan leur pére, et feu le comte de
u Milan son mary, et depuis apportez en la Chambre des Comptes
u à Paris, avec la dite prisée; lesquelz dénombremens et previlèges
« à la requeste de noble et puissante dame Madame Marguerite
a d'Orléans, à présent dame et comtesse de la dite conte de Ver-
« tus, par l'ordonnance de nosseigneurs des comptes ont esté et
« sont copiez et escriptz en ce présent livre et icelui livre ou copie
4i baillié à ses gens et officiers pour elle afìn d'avoir cognoissance
« de ses vassaulx et subgiez.... dont icelle dame ne ses gens et
« officiers ne povoyent avoir vraye cognoissance parce que les
« papiers, registres et autres anciens enseignemens d'icelle conte
« ont esté perduz, destruiz, ars, gastez.... ou la plus grant partie
« d'iceeulx par la fortune de la guerre ».
Suivent fol. 59 v.» à 163 v.o (fin du volume), les copies de nom-
breux aveux, de nombreux privilèges émanés surtout des comtes
de Champagne. Nous laisserons de coté ces pièces qui malgré leur
intérét évident pour l'histoire de France, sont en dehors de Fobjet
propre de la prisée et touchent peu Jean Galéas.
La coUation de la copie de toutes ces pièces a été faite le
20 juin 1447.
Henry Cochin.
L'ingresso di Francesco Sforza in Milano
e r inizio di un nuovo principato
IO intendimento è di esporre, nella presente Memoria,
gli ultimi giorni della lotta titanica fra il conte di Pavia
e la repubblica milanese, i primi del dominio della
casa sforzesca, la quale per potenza, per attività, per
benemerenze non fu certamente inferiore a quella che la prece-
dette e di cui fu la diretta e legittima continuatrice : la viscontea.
Dividerò pertanto il mio lavoro in quattro capitoli : nel primo trat-
terò delle condizioni di Milano sul tramontare di sua vita repubbli-
cana, de' tentativi da essa fatti per resistere al fortunato condottiere,
della laboriosa tela da costui ordita per prepararne definitivamente
la rovina ; nel secondo e nel terzo parlerò degli avvenimenti, che
si svolsero dalla prima entrata in Milano del vittorioso conte al
giorno in cui fu proclamato solennemente duca; nel quarto, infine,
accennerò al lavorìo diplomatico del novello duca per farsi rico-
noscere tale da' potentati italiani ed esteri, fino al momento in cui,
per rendere stabile la propria condizione, comprese essere neces-
saria la lotta con Venezia. Ad altra epoca, però, l'esposizione do-
cumentata di questa fino alla pace di Lodi; la quale, mentre chiuse
l'età de' grandi condottieri, segnò il principio di quel glorioso e
fecondo periodo, noto sotto il nome di « equilibrio italiano ».
CAPO PRIMO.
L'ultimo atto del grande dramma, che ha per suoi protagonisti
il popolo milanese, desioso di libertà, e il conte Francesco Sforza,
avido di succedere nell'ex-dominio visconteo, sta oramai per com-
298 ALESSANDRO COLOMBO
piersi. Né la catastrofe poteva essere diversa. La repubblica di S. Am.
brogio, guidata negli ultimi momenti da uomini inetti ed ambiziosi,
aveva creduto di trovare la propria salvezza nell'alleanza co' vene-
ziani; ma questi, suoi naturali nemici, mentre potevano benis-
simo difenderla (e lo fecero, crediamo, in parte), miravano in se-
greto a rovinarla, per estendere i propri domini fino all'Adda, ed
oltre. Le lunghe guerre e le continue scorrerie degli amici e dei
nemici avevano, d'altra parte, ridotto il paese all'intorno un vero
deserto ; e però le popolazioni che, fuggendo dalla campagna, si
erano agglomerate nella assediata città con la speranza di trovarvi
sicurezza e vettovagliamento, vi aveano accresciuto la miseria e la
desolazione. Si era, è vero, sul finire di febbraio, e cominciavano
allora i primi tepori della bella stagione ; ma molti mesi doveano
ancor passare prima della raccolta : e quale raccolta si poteva at-
tendere, sperare da un corpo smunto e disfatto, qual'era quello
del territorio di Milano? La carestia, pertanto, era l'unica prospet-
tiva possibile ; la fame, l' inevitabile e triste sua compagna. Ora,
si sa, contro la fame riescono vane tutte le ragioni, tutte le pro-
messe, fossero state anco più lusinghiere di quelle che si sforza-
vano di dare i veneziani ; e Francesco Sforza ne era tanto bene
persuaso, che, a buon conto, avea dato ordine rigoroso a' suoi di
non soccorrere gli affamati milanesi, che sarebbero venuti (e ne
venivano continuamente) a cercare un po' di alimento al campo.
Egli aveva deciso di vincere l'ostinata città con l'unico mezzo, che
ancora gli rimaneva nelle mani, dopo che gli era andato a vuoto
il tentativo di sorprendere Monza (i); e vi riusciva egregiamente.
Gli storici e i cronisti contemporanei ci hanno lasciato un quadro
abbastanza completo delle tristi condizioni di Milano in que' giorni,
e in modo particolare il Simonetta (2), che fra tutti è certamente
quello che ancora merita maggior considerazione. Sulla sua falsa-
riga si sono calcati posteriormente il Corio (3), il Ripamonti (4), il
(i) Addi I.! febbraio 1450.
(2) JoH. SiMONETTAE, De reb. gest. Frane. I Sfortiae, in Muratori, R, I. SS.^
to. XXI, ce. 593-94.
(3) B. CoRio, Storia di Milano^ voi. Ili, pp. 173-74, Milano, 1857.
(4) Jo3. RiPAMONTii Hist. patriae dee. Ili, lib. V, p. 402, Mediolani, 1641.
Le parole del R. sono riportate, tradotte in italiano, dal Cusani, Storia di Mi-
lano, Milano, 1861, voi. I, p. 207.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 299
Rosmini (i), per non citare che i maggiori ; il Verri (2) ha creduto
bene di aggiungervi un documento, estratto dall'Archivio Civico, seb-
bene porti una data alquanto anteriore (28 aprile 1449). In una let-
tera, poi, dello Sforza a' fiorentini, scritta da Cassano il 21 dicem-
bre 1449 e pubblicata dal Sickel (3), si dice che tale era fin d'allora
la carestia in Milano, che molti cadevano « morti de fame per le
« strate ». \arì altri accenni di questo miserando stato di cose
potremmo ritrovare altrove (4); e che ne fosse edotto lo Sforza,
e in cuor suo forse se ne rammaricasse, appare da una minuta
lettera, senza indicazione di luogo, di tempo e di indirizzo, ma
scritta probabilmente al conte da un suo fido in Milano, poco prima
della resa della città (5). Ivi, infatti, si consiglia allo Sforza di non
allarmarsi delle cattive notizie, che gli potessero venire dagli as-
sediati, né di darne dimostrazione ad alcuno; perchè essi « scranno
u sempre boni Castellani », e se potranno resistere « fin che have-
« ranno da mangiare », l'avvenire è nelle mani di Dio. Quanto
fanno per essi i veneziani è semplicemente da « barbari » ; li lu-
singano a resistere, nella speranza che alla fine abbiano a gettarsi
nelle loro braccia; ma in ciò sono favoriti da pochi. Noi, per conto
nostro, dice l'autore ignoto della lettera, nulla lascieremo d'inten-
tato per conservare e salvare l'afflitta città « da tanti pericoli et
« affanni », e se fino ad ora « cum una mano se siamo scaldati per
« hauere Millano, da mo inanzi lo farimo cum doe ». Parlando poi
espressamente de' milanesi, li chiama « poueri homeni...., ali quali
u hauemo una grandissima compassione ». Noi insistiamo su tale
fatto, cioè della miserabile situazione economica della repubblica
in questi tempi, perchè siamo convinti che la fame e il triste mi-
raggio di un più fosco avvenire abbiano veramente indotto i buoni
(i) C. Rosmini, Storia di Milano, voi. II, p. 44, Milano, 1820.
(2) P. Verri, Storia di Milano, voi. Il, p. 27, nota i, Firenze, 1851. — Tale
documento è pure riportato, ma senza data, dall'annotatore del Corio, op. cit.,
voi. Ili, pp. 189-90.
(5) Th. SiCKhL, Beitràge und Bericht. ^ur Gesch. der Ewerb, Mailands durch
Frani Sforma, doc. XI, in Archiv fur Ktinde òsterr. Geschichtes-Quellen, Wien,
1855, XIV B.
(4) Fr. Philelphi, Epist,, lib. VII, p. 46, Venetiis, 1492 ; P. C. Decembrii,
Vita di Frane. I Sfor., in Muratori, R. I. SS., to. XX, e. 1042.
(5) Arch. di Stato di Milano, Docum. diplom., Repuh. Ambrosiana, 14^0 (ma-
lamente attribuita all'anno 1449).
300 ALESSANDRO COLOMBO
ambrosiani, più che la retorica del futuro conte di Valenza, a
sottomettersi al già odiato e vilipeso Sforza. A ciò si aggiunga il
rancore mal dissimulato contro i veneti, non ostante il formale
trattato di alleanza del 24 dicembre 1449 (i), rancore che s' era
andato sempre più rinfocolando dopo le disillusioni degli ultimi
avvenimenti, come proverebbero anche le parole della lettera sopra
citata: « alcuni citadini Milanesi gli adheriscono », e il fatto
che lo stesso partito della guerra, nelle cui mani era la somma
delle cose e che fino allora era rimasto l' idolo della moltitudine,
perdeva continuamente terreno. Eppure — strano a dirsi ! — a Ve-
nezia, ancora il 26 febbraio, si avea ferma fiducia di trionfare dello
Sforza ; e l' inviato milanese Righino de' Panigarola scriveva in
quel giorno stesso di là al suo governo, esortandolo a bene spe-
rare nelle promesse e negli aiuti della Serenissima, ma in pari
tempo a non esimersi dal concorrere per la sua parte nelle spese
della guerra campale (2).
(i) SrcKEL, op. cit., doc. XIV. — Il Bertolini, nella sua recensione a questo
importante lavoro (in Arch. stor. Hai, Nuova serie, XV, 2, p. 43, nota 43, Fi-
renze, 1862), dice che la copia, di cui si servi il Sickel (in Arch. di Stato di
Milano, Corrispond. ducale^ ^449)ì è però scorretta e manchevole, e perciò si
astiene dal trascriverla. Al postutto, le basi delle proposizioni fatte da Venezia
a Milano doveano essere le stesse di quelle da essa fatte allo Sforza, cioè a' suoi
inviati, il fratello Alessandro e gli oratori Andrea da Birago e Angelo Simonetta :.
trattative, com' è noto, andate a monte.
(2) Arch. di Stato di Milano, Docutn. diplom , Repub. ambrosiana, 14^0.
Esiste solo in copia cartacea; manca quindi della firma e del recapito. In fine ha
però questa annotazione: « Copia litterarura Righini de panicarolis ex uenetijs
« ad Mediolanum in cifra missa ex ferr.^ per ant. de tricio ». Tale lettera iu
dunque intercettata dall'agente sforzesco Antonio da Trezzo, di cui parlerò più
avanti, e da lui spedita poi in cifra al suo signore ? — Ecco che cosa dice in
sostanza il Panigarola : la Signoria di Venezia ha troppa carae al fuoco, ed ha
ormai sostenuto tante spese, che è anche giusto che Milano vi concorra per la
sua parte ; bastano 506 mila ducati : con questi si potrà levare gente in Pie-
monte, acquistare Novara « et quello paese, dal quale se hauerano uictualie ».
Il Conte, per tal modo, « hauerà tanto fuoco ale spale, chel non saperà come
« governarse ». Notevole, poi, l'accenno ad Innocenzo Cotta, fermato al campo
dì Sigismondo Malatesta, al quale avea chiesto un salvacondotto per Bergamo,
dove teneva il suo bagaglio, perchè la Signoria vedeva in lui un inviato segreto
dello Sforza ; anzi essa, nel mattino del 26 febbraio, avea scritto al Malatesta,
rimproverandolo di aver concesso al Cotta il salvacondotto, e dandogli ordine
di farlo venire a Venezia, perchè « questa S.rìa uole hauere da luy informatioae
l'ingresso di FRANXESCO sforma in MILANO, ECC. 30I
Del resto, neanche lo Sforza era rimasto per parte sua iao-
peroso ; e se gli avvenimenti- Io condussero alla vittoria finale, si
fu perchè egli seppe, con la sua consueta abilità, dirigerli a pro-
prio esclusivo vantaggio. Egli non si era mai create illusioni sulle
difficoltà dell'impresa di Milano ; basterebbero a provar ciò, se non
ci fosse altro, le prime parole della lettera più volte ricordata:
« Quando accade ala ex. vostra a parlare cum qualchuno da Mil-
H lano, che uada a Millano, ne intrare in rasonando deli facti de
« Millano, per niente non se mostra la ex. vostra alterata cum al-
« cuno.... ». Ma egli temeva non tanto da' milanesi, quanto da' loro
alleati e da quelli che si facevano chiamar tali. Prima sua cura per-
tanto era stata quella di diminuire il numero di costoro, staccandoli
naturalmente dall'orbita di Milano e di Venezia : il che gli era riuscito
in parte abbastanza bene, ricorrendo ora alle lusinghe e alle arti della
diplomazia, ora adoperando, se queste non bastavano, le minaccie
e le pressioni a mano armata. È noto quanto egli fece a proposito
di Guglielmo di Monferrato, allorché ebbe motivo di dubitare della
sua fedeltà (i); ma ben di rado ricorreva a questi estremi. Noi
possiamo seguire la politica dello Sforza consultando, oltre la
pregevole pubblicazione documentata del Sickel (2), i lavori del
Buser (3) e del Toderini (4). Nuovi documenti, da noi veduti al-
« di facti del Conte ». È pur ricordato (ciò che prova, come vedremo, che il so-
spetto del conte era giusto) il tradimento del marchese di Cotrone, ossia del
Ventimiglia, uno dei luogotenenti dello Sforza, incaricato di difendere Cantù dai
v^eti. II tradimento, come si sa, andò a vuoto per l'accortezza del conte ; tut-
tavia il Panigarola pare si contenti del semplice tentativo, quantunque certo alla
Signoria sarebbe piaciuto che fosse completamente riuscito. La elezione infine dei
nuovi capitani, conchiude la lettera, è riuscita molto grata alla Signoria, avendo
avuto assicurazione « che tuti sonno fidelissimi, et de dispositione prima de mo-
« rire che perdere la libertà ». AUudesi a' Capitani e difensori della libertà nomi-
nati il i.° gennaio 1450, de' quali avremo occasione di parlare più avanti.
(i) Guglielmo di Monferrato, rinchiuso nel castello di Pavia nel maggio
?:449, mentre lo Sforza moveva al campo contro Vigevano (cfr. il mio lavoro :
Vigevano e la Repubblica Ambrosiana nella lotta contro Francesco Sfor-^a in
Boll, della Soc. pav. di stor, patria^ fase. Ili, 1903, pp^ 18-19), ^^^ ^" rimesso
in libertà che dopo la presa di Milano.
(2) SicijEL, op, e loc cit., e Bertolini, ree, cit., dal titolo : // conquisto di
Milano, ecc., p. 40 sgg,
(?) B. Buser, Die Bexiehun. der M^diceer, ecc., Leipzig, 1879.
(4) Teod. Hoo^B^i^ Francesco Sforma e Fene^ia ia Arcb. Veneto, IX, 1875.
302 ALESSANDRO COLOMBO
TArchivio di Stato di Milano, serviranno a metterla in mag-
gior luce.
Non v' ha dubbio che l'alleanza tra Milano e Venezia, se fosse
stata sincera, avrebbe potuto distruggere tutte le speranze del no-
stro pretendente ; e difatti fu un momento, in cui egli si sentì quasi
solo, e comprese tutto l'orrore di una prossima rovina: tanto è
vero che, per guadagnar tempo, finse di riprendere le trattative
con quella repubblica, cui, dal trattato di Rivoltella in poi, si era
sempre studiato di ingannare. Ma l'abilità e la fortuna (i) non gli
mancarono anche in questa occasione. Senza contare l'appoggio
morale di Cosimo de' Medici, e per esso de' fiorentini, il conte era
riuscito a trarre a sé il Gonzaga (2), generalissimo de' milanesi,
e non pochi altri personaggi, già influenti in Milano stessa, quali
Pietro Pusterla (3) e Innocenzo Cotta (4). Dalla sua erano pure,
e lo mostrarono più tardi co' fatti, Pietro Cotta, Cristoforo Pagnano,
Gaspare da Vimercate e Guarnerio da Castiglione (5). Con promesse
poi di donativi, di impieghi e di onori cercava di tenersi avvinte
quelle persone, che altrimenti sarebbero sfuggite. Così fece per i
fratelli Toscani di Milano, con sua lettera in data Calco, 27 gennaio
1450 (6), relativamente al possesso di alcuni territori del nova-
(i) Cfr. I. Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia^ traduzione
italiana del Valbusa, Firenze, 1899, voi. I, p. 25 sg,, pp. 43-44.
(2) Dopo la sommossa del settembre 1449, per cui il governo di Milano,
dalle mani de' nobili e ghibellini, passò in quello de' guelfi e plebei, il Gonzaga,
non sentendosi più sicuro in quella città in causa della anarchia che ne sussegui,
col pretesto di portare un rinforzo a Crema era passato con molti soldati a lui
devoti allo Sforza, ottenendo in premio 18.000 ducati e Tortona e Casalmag-
giore. Cfr. Crist. a Soldo, Istoria bresciana, in Muratori, R. I. SS., XXI, 860.
(3) Era fuggito al campo sforzesco in seguito alla sommossa del settembre,
che lo avea deposto dal supremo magistrato della repubblica, al quale era stato
chiamato nel luglio precedente insieme col Castiglione e Galeotto Toscano.
(4) Ved. la nostra nota 2 a p. 300.
(5) Il Gabotto, U attività politica di P. C. Decembrio, in Giorn. Ligustico^
1893, pone fra i fautori dello Sforza anche il Decembri.
(6) Arch. di Stato di Milano, Registri ducali, Frammenti, 14^-14^2 : « Fran-
« ciscus Sforila uicecomes Marchio papié etc. Attendando la justa et honesta ri-
« chesta di nostri seruitori Azzo et fratelli deli toschani citadini de Milano, Siamo
* contenti et motu proprio et ex certa scientia li prometemo, per la presente
« nostra littera, di confirmarli et liberamente darli in sua mano et possanza li
« luochi et terre de calpignano, sitiano et casalino, del territorio nouarese, nel
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 303
rese, già goduti dal padre loro Galeotto (i); ma prima vuole
avere « lo dominio de Miliario, uel saltem.... el nostro stato in
« pace » : clausola prudentissima e necessaria in que' tempi di ge-
nerale malafede; e la conferma non avvenne difatti, come vedremo,
che nel maggio. Quando infine vide ogni possibilità di accordo
con Venezia svanita, per non essere preso tra due fuochi, cercò di
assicurarsi dalla parte di Savoia; e ne trovò il duca ben disposto
a trattare. I preliminari vennero aperti sulla fine d'ottobre del 1449,
con la tregua d'un mese (2) ; ma la pace non fu conchiusa che il
27 dicembre successivo: per essa lo Sforza cedeva a Ludovico
alcuni distretti del territorio milanese (3). Dietro il duca di Savoia,
altri stati a lui vicini ed aderenti sottoscrissero -a quel trattato.
Infatti il primo articolo di esso stabiliva che, « entro un mese
« pross. fut., caduno de dicti Signori deba nominare suoi adhe-
« renti, colligati et recommandati, quelli sono et intendesseno in-
« elusi in questa pace, et la nominatione de quelli fare a l'altra
« modo, forma et ragione li hebbe el spectabile Galeoto quondam patre de dicti
« Azzo et fratelli dala recolenda memoria delo 111. S/^ quondam duca de mi-
c( lano.... ». La lettera, che porta la firma del conte, è controsegnata « Johan-
« ninus ».
(i) Ucciso nella predetta sommossa del settembre 1449.
(2) Il Gabotto, Lo Stato Sabaudo da Amedeo FUI ad Emanuele Filiberto,
Torino, 1892, voi. I, p. 11, nota 3, dice che il documento, con la data del
24 ottobre '449, si trova nell'Arch. di Stato di Torino, Trattati e protoc. ducali ;
il Bertolini (op. cit.) accenna a una lettera di Ludovico di Savoia allo Sforza
d. in Montecalerio il 2 novembre, con la quale quel duca ratifica la tregua, che
il Conte avea già ratificata in Melegnano il 26 ottobre : lettera esistente nell'Ar-
chivio di Stato di Milano (allora di S. Fedele), Corrispond. ducale, 1449. Cfr. Sickel,
op. cit, p. 212, nota 6.
(3) S. GaiCHENON, Histoire généal. de la R. Maison de Savoye, Lione, 1660,
to. II, p. 87 ; SiCKEL, op. cit., p. 248 e doc. XX. Esiste in copia cart., donde fu
cavata dal Sickel, nell'Arch. di Stato di Milano, Trattati, 1449, e porta, erronea-
mente in apparenza (cfr. la giusta osservazione di E. Rubieri, Francesco I Sfor:(a,
Firenze, 1879, voi. II, p. 196 e nota i), la data del 27 dicembre 1450. Copia
di questo documento il Gabotto (op. cit.) dice esistere nell'Arch. di Stato di
Torino, Tratt. e protoc. due, dove dice anche essere una « convenzione tra Mi-
c( lano e il duca di Savoia contro... lo Sforza... ». Questo documento, citato alla
nota 3 della p, 1 1, deve ascriversi al 6 marzo 1449 (^ quello cioè edito da A. Ca-
sati, Milano e i principi di Savoia, Torino, 1853, pp. 52-59); l'altro, ascritto al
27 dicembre 1450, è veramente del 27 id. 1449, detto 1450, perchè l'anno in-
comincia a nativitate.
304 • ALESSANDRO COLOMBO
M parte « ; aggiungendo che, « entro due mesi p. f., quelli adhe-
M renti, colligati et recommandati debano hauer ratifficato la dieta
n pace », con l'obbligo alle due parti contraenti di « certifficarse
u 1 uno 1 altro » nel predetto termine. E però, mentre con sua lettera
datata da Torino, 22 gennaio 1450 (i), il duca di Savoia citava, fra
i suoi aderenti e raccomandati, il re di Francia, il Delfino, il mar-
chese di Monferrato, il conte di Lavagna Ludovico del Fiesco, il
visconte di Reillane Ludovico Bolleri, Antonio di Romagnano e
Francesco di Novello, le comunità di Berna e del Vallese ; due
altri nuovi documenti dell' Archivio di Stato di Milano , finora
inediti, ci provano che, nel febbraio 1450, Antonio marchese di
Romagnano e Giovanni marchese di Monferrato entravano suc-
cessivamente nella lega tra il Savoia e lo Sforza, il primo il giorno
5 febbraio (2), il secondo il 21 dello stesso mese (3): e ciò, come
è detto in uno de' documenti, « prò ademplimento et executione
a contentorum in pace nuper, uidelicet die uigesimoseptimo mensis
« decembris proxime preteriti, in ciuitate Taurini celebrata per et
« inter prefatum Illust. et ex."»" dominum Ducem Sabaudie, seu
« agentes prò eo parte una, et Illustrem et Ex.*" dominum Fran-
« ciscum sfortiam uicecomitem marchionem etc. ac Papié comitem
« Cremone dominum etc, seu agentes prò eo parte alia.... » (4).
Che lo stesso abbia fatto il conte Francesco Sforza, risulta da mi-
nute di documenti da noi viste nel precitato Archivio, senza data,
e che furono sempre malamente ascritte a dopo il 26 febbraio 1450;
esse, infatti, non sono se non le bozze dell'elenco de' collegati, ecc.
che, giusta il concordato del 27 dicembre 1449, lo Sforza, uno dei
contraenti, doveva consegnare, nel termine d'un mese, all'altro,
vale a dire al duca di Savoia (5). In una minuta cartacea del-
(i) SicKEL, op. cit., doc. XXI.
(2) Arch. di Stato di Milano, Docum. diplom., Repub. Ambrosiana, 14^0.
Orig., perg., mill. 344 x 163.
(3) Ibid., Orig., perg., mill. 385 X 271.
(4) Richiamiamo l'attenzione del lettore su questo passo del documento in
data 21 febbraio 1450 (il che è ripetuto, sebbene non così esplicitamente, nel-
l'altro in data 5 id. id.), come prova irrefragabile che il famoso trattato ascritto
ai 27 dicembre 1450 è effettivamente del 1449. Detto passo è riportato anche dal
Sickel (op. cit., p. 212, nota 7) a conferma del doc. XX.
(5) Sono cinque minute cartacee, che si riferiscono sempre a uno stesso ar-
gomento. Colui, che le compulsò prima di noi e alla bell'e meglio le clasatìcò,
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 305
rArchivio stesso troviamo ancora quattro ratifiche, u facte prò
« I>aGe facta et firmata per 111.'""'" d.num d.num cum Duce Sa-
fl baudie « ; ma evidentemente solo le prime due sono da con-
siderarsi come conseguenza della predetta pace : quella con Ni-
colò, Sveva, Giano e Battista d' Oria, figli di Leonello, condo-
mini di Valle d' Oneglia, • e l'altra con Benedetto d' Oria fu Paolo,
di Finale od Albenga, entrambe del 20 febbraio 1450 (1). Oramai
lo Sforza, sicuro dalla parte del Ticino e della Liguria, poteva
spiegare tutte le sue forze contro il nemico principale, i veneziani;
e difatti impartì, come vedremo, gli ordini opportuni a' suoi ge-
vi scrisse sopra, in matita, « 1450, dopo il 26 febbraio ». Ricordiamo alcuni dei
principali aderenti del conte Francesco : la comunità di Genova, il duca di Mo-
dena e Reggio, il marchese di Mantova, le comunità di Bologna, Ancona e Lucca,
la confederazione degli Svizzeri, i Fieschi, i Campofregoso, i D'Oria, i Del Car-
retto, gli Spinola, i Guttuarii di Pavia, i marchesi di Ceva, i conti di Venti-
miglia e di Tenda, i nobili di Cocconato, i Borromei di Palestre, i nobili Grotti
di Robbio, i Rusca, ecc.
(i) Le altre due ratifiche sono rispettivamente del 7 marzo 1450, co' fra-
telli Luigi, Lancellotto e Galeazzo de' Grotti fu Galeazzo, di Milano, e del suc-
cessivo 18 marzo, col milite Biagio Assereto- Visconti fu Costantino, podestà di
Milano. — Riportiamo la parte del documento che a noi interessa (Arch. cit.,
Trattati, 1428-14$^, min. cart.) :
« M^CCCCLM
« Infrascripte sunt ratificationes facte prò pace facta et firmata per IlLmiiin
« d.num d.num cum Duce Sabaudie.
« Primo. Ratificatio Nicolay, Scene, Janis, et Baptiste de Auria filij, et procura-
« toris Sp.lis d.ni Leonelli de auria condomini Vallis vnelie, facta sub anno
« 1450 indictione XIIJ. die XXa februarij, presentibus Jeronimo noario, leo-
« nardo, petro et Georgio beuiardo districtualibus diete vallis, testibus etc.
« Subscripta per Girardum verceUinum notarum ' publicum imperiali aucto-
« ritate, qui scripsit et subscripsit se etc.
a Secundo. Ratificatio Sp.lis et generosi d.ni Benedicti de auria quondam d.ni
« pauli, facta sub die XXa februarij anni 14 50. Et subscripta, rogata, et
ce scripta per vincentium de campis de fenario (Finale) imperiali auctoritate
« notarium. presentibus Sp.'ì d.no Christoforo dentuto potestate Fenarij, egre-
« gio legum doctore d.no Johanne de ricijs vicario Fenarij, egregio legum
« doctore d.no Antonio de Judicibus de fenario. Franchino ricio Ciue alben-
« gane, et Nicolosio de valle de fenario, testibus etc. ».
Lo stesso Benedetto d' Oria, come vedremo, il 31 marzo 1450 firmò de' patti
e capitoli in Milano col conte Francesco, divenuto duca ; in essi egli è chiamato
" citadino zenouexe „
3o6 ALESSANDRO COLOMBO
nerali (i). Ma non contento degli ultimi « successi diplomatici »
ottenuti, cercò anche di aprire una breccia nel campo nemico ;
della qual cosa non si deve movergli rimprovero. Tradire o favo-
rire il tradimento, pur essendo convinti di essere a lor volta tra-
diti, era costume de' capitani di ventura d'allora, come di tutti i
tempi; immaginarsi poi quando le proposte venivano da quegli stessi,
cui premeva di attirare nel proprio partito ! Cosicché è a credere
che lo Sforza abbia accolto con vero piacere le proposizioni di
pace, che il conte Jacopo Piccinino gli veniva facendo a mezzo
del comune amico Luchino Palmieri, quantunque avesse molti mo-
tivi a non fidarsi troppo della lealtà del suo più acerrimo nemico.
A lui non parca vero di poter staccare un capo tanto valente dalle
file de' veneziani e di servirsi di lui stesso per combatterli : e però
rispose di sì a quasi tutte le domande del braccesco, sebbene alcune
fossero un po' gravose, affrettandosi anzi a fargli pervenire l'accetta-
zione per mezzo dello stesso Palmieri, redatta in altrettanti capitoli,
da lui scritti e firmati il 22 febbraio a Vimercate (2). Le pratiche non
ebbero seguito, perchè il Piccinino, pentitosi all'ultimo momento, e
forse anche temendo della sincerità delle concessioni troppo larghe
dello Sforza, preferì di restare ancora co' veneziani (3) ; ma il
(i) Tuttavia anche da quella parte egli aveva già in qualciie modo prov-
veduto, come fa fede una lettera in data Lodi 12 gennaio 1450, firmata Cichus
de Calabria e diretta al referendario e agli officiali a bullettarum » della sua
città di Cremona, nella quale, d'ordine del Conte, venivano dallo stesso Cicco
deputati « per bona guardia de questa citade... alle tre porte di essa citade » i
seguenti sei cittadini : Marco de' Cagnoli e Antonio de' Riccardi per il ponte e
la porta d'Adda, Pietro da Lodi e Daniele de' Cucardi per la porta Regale, Ga-
briele de' Gavazio e Luigi Nucardi per la porta Cremonese (Arch. cit., Registri
ducali. Frammenti, 14^0-14^2^ fol. 219).
(2) Doc. L Due copie cartacee, che chiameremo A q B. In quest'ultima si
trovano le risposte date direttamente dallo Sforza alle domande del Piccinino;
ed esse vennero ricopiate in A, per essere poi redatte tali e quali in istrumento,
una volta accettate dal Piccinino, mutando naturalmente i pronomi dalla prima
alla terza persona. Rioroduciamo ^ ; e le varianti di B sono messe in nota alla
nostra edizione.
(3) Il CoRio, che narra (op. cit., voi. Ili, pp. 171-72) la tentata defezione
del Piccinino copiando il Simonetta, la pone un po' prima del 20 febbraio, e ag-
giunge che egli " ingiustamente... ritenne Luchino „ e, dopo aver svelato tutto
al Malatesta e a' commissari veneziani, svisando il vero, " acciò non si potesse
" sapere il trattato, lo fece impiccare a un merlo del luogo di Bosisio „, dove
l'ingresso di FRANCESSO sforza in MILANO, ECC. 307
fatto di essere state iniziate è una prova di quanto asserivamo
più sopra, cioè che il conte Francesco, pur di riuscire nel suo
scopo, nulla lasciava d'intentato, sortisse poi buono o cattivo ef-
fetto (i).
Se noi ci facciamo ora a considerare il lato puramente militare
della sua linea di condotta, vedremo che lo Sforza stratega non
è inferiore allo Sforza diplomatico. Il Verri ha espresso in propo-
sito un giudizio abbastanza felice. Dopo aver fatto osservare che,
allora, era avvenuto un grande mutamento nell'arte della guerra (2),
così scrive : « .... il conte.... in ogni parte si presentò abilissimo
« generale nel postare il suo campo, nel prevenire il nemico, nelle
u marcie giudiziosamente condotte, nel cogliere il momento per at-
« taccare, nel dirigere la battaglia, nel provvedere di tutto l'armata
« propria e impedire la sussistenza al nemico, nel conservare la
u militare disciplina, risparmiare quanto era possibile la miseria
« de' popoli, e nel tempo stesso conservarsi l'amore de' soldati che
« giungeva sino all'entusiasmo w (3). E trova modo di fare un con-
si trovava accampato dopo la sua unione col Colleoni. Lo Sforza fu preso da
tanta ira, che giurò di vendicarsi acerbamente ; il che spiega e giustifica, fino a
un certo punto, la parte presa qualche anno dopo dallo Sfoiza alla cattura e
morte del Piccinino. Nel frattempo il Venti miglia, che si trovava a Cantù, cer-
cava di tradire il suo signore co' veneziani; ma avutone avviso il Conte, lo ar-
restò lui stesso e lo fece tradurre sotto buona guardia a Lodi, e poscia a Pavia,
a far compagnia a Guglielmo di Monferrato.
(i) Anche con Alfonso di Napoli cercò di accordarsi, approfittando della
comune inimicizia con Venezia ; e infatti gli inviò Niccolò Arcimboldo e Angelo
Simonetta, suoi oratori, quest'ultimo di ritorno dalla fallita ambascieria di Ve-
nezia. Si dice comunemente che i predetti oratori, prima che giungessero a de-
stinazione, furono richiamati indietro, avendo nel frattempo Io Sforza occupato
Milano. Ma una lettera scritta da Roma il 9 marzo 1450 dall'agente sforzesco
Vincenzo Amidano, e che noi vedremo a suo luogo (Arch. cit., Potenie estere,
Roma, i^^T-1^^4), ci fa conoscere che il Simonetta (solo) era giunto già a Na-
poli ; quindi le trattative devono essere state almeno iniziate, quantunque subito
interrotte per il pronto richiamo del Simonetta stesso. E per aprire eziandio trat-
tative col pontefice, non soltanto per informarsi di quanto avveniva a Roma, il
conte Francesco avea in pari tempo quivi inviato il predetto Amidano, che vi
giunse, come risulta dalle prime parole della lettera citata, il 4 marzo.
(2) Per questo cfr. E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura [in Italia,
Torino, 1844, voi. Ili, p. 155 sgg.
(3) Verri, op. cit., voi. Il, pp. 26-27.
308 ALESSANDRO COLOMBO
fronto tra lui e il re Enrico IV, venendo alla seguente conclusione:
« A Francesco* Sforza mancò un più grande teatro sul quale mo-
» strarsi, e spettatori più illuminati. Enrico ebbe per campo il
« regno di Francia, e per testimonio un secolo più colto » (i).
Tuttavia il Ricotti ritiene, ch'egli sia stato « forse il maggior ca-
u pitano che abbia avuto l' Italia dalla rovina dell' impero romano
« al XVI secolo.... » (2) ; e il Burckhardt, dopo aver accennato
alla sua grande popolarità e al credito personale che godeva presso
gli stessi nemici, osserva: « In nessun altro, quanto in lui, si parve
u la vittoria del genio e della forza individuale, e chi non voleva
« credere alla superiorità de' suoi talenti, dovea almeno riconoscere
« in lui il prediletto della fortuna » (3). Perdute infatti, in seguito
ad alcuni rovesci, le vantaggiose posizioni della Valsassina e l'im-
portante passo di Brivio sull'Adda, un altro al suo posto si sarebbe
dichiarato vinto o, quanto meno, avrebbe deposto ogni speranza;
il conte no. Ben comprendendo come l'essenziale era di far cono-
scere a' suoi che non fuggiva, ma che si ritirava semplicemente,
con alcune mosse ben combinate e approfittando dell'imperdona-
bile incertezza de' nemici, egli seppe in poco tempo riunire tutte
le sue truppe sur una nuova linea, la quale, se non era migliore
della precedente, avea però il vantaggio di stringere più da presso
la città di Milano. Cosicché, il mattino del i.° febbraio, egli oc-
cupava le seguenti località : a Calco (4), il quartier generale, e
quivi pure, o non molto lontani, i Sanseverino, il Torello, il Sa-
lernitano, Sacramoro da Parma, Paolo da Roma (succeduto a Luigi
dal Verme) ; a Carate, il Gonzaga ; sulle mosse per Canturio (oggi
Cantù), il Ventimiglia. Il grosso de' veneti, al comando di Sigi-
smondo Malatesta, era ancora al di là dell'Adda; ma un corpo di
avanguardia avea occupato Monte Barro, tendendo per tal modo
la mano al Colleoni, che si trovava non lungi da Bellagio, e al
Piccinino, accampato presso Como, ancora fedele a' milanesi. I due
eserciti belligeranti sono adunque quasi a contatto; ma entrambi
(i) Verri, op. e loc. cit.
(2) Ricotti, op, cit. e loe. cit.
(3) Burckhardt, op. cit., voi. I, pp. 43-44 citate.
(4) Il CoRio, op. cit., voi. III, p. 167, lo vorrebbe già a Vimercate, co-
piando naturalmente il Simonetta, op. cit., p. 587 ; ma noi, per ragioni che (fi-
remo in seguito, crediamo che non vi sia andato prima del 5 febbraio.
309
hanno poca voglia di venire alle mani: si combattono di astuzia
e, temporeggiando, cercano ciascuno di stancare l'avversario e in-
durlo a prendere per primo l'offensiva.
Abbiamo detto che il conte, dopo l'impresa di Monza, si tro-
vava ancora a Calco; ne diamo subito le prove. Nella cartella i?^-
gistri ducali, Frammenti, anni 1430-1452, n. 19, fra le non molte
lettere dello Sforza riferentesi a questo tempo, e pervenuteci nelle
loro minute cancelleresche, una ne trovammo davvero interessante:
è del 1.» febbraio 1450, ed è datata da Calco (i). Eccone il con-
tenuto. 11 comune e gli uomini di Abbiategrasso, affine di poter
far fronte al pagamento della « taxa bladorum gentibus armigeris,
« quas prefata D. V. iam mensibus duobus et pluribus ad ipsam
« [terram] logiandas transmisit », costretti come sono a prendere
a mutuo e con forte interesse la richiesta quantità di biade, « cum...
« anno preterito pauca vel quasi nulla biada colligere potuerunt,
« quoniam in herba per exercitum V. D. destructa fuerunt », e
d'altra parte non potendo ricorrere a nuove tasse, data la miseria
della popolazione, supplicano umilmente lo Sforza, acciocché dia
loro facoltà di alienare beni immobili comunali « usque ad quan-
<« titatem florenorum trium mille, ualoris sol. XXXIJ imper. prò
« floreno », non ostanti statuti e decreti in contrario; il che ac-
corda lo Sforza con detta sua lettera-patente, controfirmata « Jo-
« hannes ». Dello stesso giorno e medesima località, e pure con-
trofirmata « Johannes », è un salvacondotto a Sandrino de' Barili
di recarsi da Bergamo a Milano con otto compagni, e di ripartirne
con la cognata Caterina de' Calepio con cinque figli, due letti,
panni, vesti, ecc., della validità di giorni quindici (2). Ma anche il
2 e 3 febbraio pare che il conte non siasi mosso da Calco; perchè,
sotto tali date, troviamo due salvacondotti, di cui l'uno a Giov. Pao-
lino Brippio per recarsi nel Monferrato con dodici persone, e l'altro
a' nobili Ercole de' Modegnano e Cristoforo Porro, mercanti, per
condurre « ex partibus inferioribus extra territorium Comitis ad
« ciuitatem Laude, tam per terram quam per aquam, prò usu
a exercitu, sine aliqua solutione etc, modios 100 frumenti, modios
(i) Del registro originario, a noi giunto (come tanti altri della medesima
cartella) in modo frammentario, occupa i foli. 221 V.-222.
(2) Ibid., fol. 222.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VI. 20
31 0 . ALESSANDRO COLOMBO
« 40 ordey et salmas 25 leguminum », entrambi valevoli per mesi
due ; sono controfirmati « Persanetes n (i). Non abbiamo documenti
per provare che lo Sforza abbia lasciato questa località il 4 o il
5 febbraio ; però è certo che egli, il 6, si trovava già a Vimer-
cate, come dimostra chiaramente un suo notevole decreto, a noi
pervenuto nella solita minuta cancelleresca, conservataci ne' Re-
gistri Ducali, Frammenti, 14^0-^2. E prezzo dell'opera soflfer-
marci su questo documento; perchè, oltre a fornirci una data certa
sur una delle più importanti disposizioni d'ordine interno emanate
dal conte, durante il blocco ch'egli fece di Milano, ci porge modo
di coordinarla ad altre analoghe disposizioni antecedenti, e di cor-
reggere certe inesattezze e notizie esposte in modo alquanto vago
dagli storici contemporanei.
Informato adunque il conte come molti de' suoi sudditi, con-
trariamente agli ordini dati, aveano portato e portavano di nascosto
temerariamente vettovaglie a Milano, « quod nobis molestissimum
« fuit et est, ac causa principalis qua ipsi mediolanenses obedientie
« nostre in hodiernum usque diem non peruenerunt », per impedire
che un tal fatto avesse a rinnovarsi, nominò Mafino de' Stanga
suo « commissario », con l'incarico speciale di investigare e tradurre
in arresto chiunque si fosse attentato di condurre o far condurre,
o in qualsivoglia altro modo favorire che si conducessero vettovaglie
a Milano; i beni mobili ed immobili de' contravventori saranno
confiscati a favore della camera comitale; il commissario Stanga
avrà in proposito pieni poteri ; e tutti gli ufficiali, rettori, sudditi
e militari saranno in obbligo di aiutarlo e favorirlo (2). Gli scrit-
(i) Ibid., fol. 220.
(2) Ecco il documento, nella sua integrità :
a In uicomercato, sexto fehruarij 14^0.
« Franciscusfortia uicecomes etc. Piene informati de uictualibus Mediolanum con-
« ductis, tempori uetito et contra ordines nostros, per quamplures ex sub-
« ditis nostris ex eorum audacia et teraeritate, quod nobis molestissimum
« fuit et est, ac causa principalis qua ipsi mediolanenses obedientie nostre in
« hodiernum usque diem non peruenerunt. Et quorum uigore ipsi ueniunt
« merito condempnandi et puniendi, eosdem tales inuestigari uolumus et
« haberi debere. Et quos haberi poterit personaliter, in habere ac persona
a puniri. Et quos non haberi, saltim in habere, ut ceteris transeat in exem-
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 31I
tori milanesi ricordano benissimo quest'ordine perentorio dello
Sforza, ed anzi il Corio allude chiaramente allo Stanga, senza
però nominarlo, là dove dice che fu mandato un commissario
a far dovunque incetta di grano per l'esercito sforzesco (i); ma
nessuno, da quanto ci consta, ha saputo precisarne la data e le
circostanze. E siccome dalla narrazione di quelli (2), se non dai
documenti, che al riguardo fanno difetto, appare essere avvenuto
anche uno spostamento nelle singole posizioni de' belligeranti; noi
possiamo ragionevolmente dedurre che intorno al 6 febbraio, e cioè
quando avveniva la nomina dello Stanga, lo Sforza avea già im-
partito tutti gli ordini per fortificare la linea Melzo-Vimercate-Se-
regno-Carate-Cantù, e i veneziani aveano finalmente operato la loro
congiunzione co' milanesi, occupando la linea che da Como, lungo
i monti della Brianza, andava sino a Olginate, spingendosi anche
al di là dell'Adda. I quartieri generali erano rispettivamente, quello
del conte a Vimercate, quello del Malatesta a Galbiate; e avamposti
del primo, costituiti dalla cavalleria e fanteria scelta di Roberto da
Sanseverino e del Salernitano, mantenevano di continuo il contatto
col nemico, per impedirgli di scendere al piano e portar così soc-
corso agli affamati milanesi.
« plum et omnibus sit animo nostris stare mandatis. Confidentes igitur de
« prudentia, fide ac solicitudine dilecti nostri Mafini de Stanghis, tenore pre-
« sentium, elligimus, creamus et deputamus eundem Mafinum in officium
« nostrum specialem ad predicta et infrascripta exequenda. Dantes et conce-
« dentes eidem Mafino potestatem, auctoritatem et baliam in toto territorio
« nostro possendi et debendi omnes, et sint qui uelint, qui conduxerunt
« seu conduci fecerunt, uel conducentibus concesserunt auxilium siue dede-
« runt, seu dare fecerunt modo aliquo aliqua uictualia Mediolanum, ut dictum
« est, contra ordines et sine licentia nostra seu officialium nostrorum, inue-
ii stigare, arrestare, capere et detinere personaliter. Et ipsorum omnium bona
« queque, tam mobilia quam immobilia, describere et camere nostre appli-
« care, ac uendere, alienare, deponere et transportare, seu describi, applicar!,
c( uendi, alienari, deponi ac transportari facere, prout sibi uisum fuerit et
a uidebitur expediens, ac peccunias eorum omnium recipere, ac confessiones
« facere opportunas. Et queque alia facere prò predictis exequendis, que
« nostre camere cedere nouerit utilitati etc. Persanetes i..
(i) CoRio, op. cit., voi. Ili, p. 171.
(2) Cfr. Simonetta, -op. cit,, p. 593; Gagnola, Cron, milan.,, in Archivio
stor. ita]., serie I, voi. Ili, p. 120 ; Corio, loc. cit.
312 ALESSANDRO COLOMBO
Abbiamo detto più sopra che la nomina dello Stanga a com-
missario per l'incetta de' viveri, e proibizione di condurne a Milano,
ci richiama alla mente altre analoghe disposizioni anteriori dello
Sforza; il sunto di queste, o per lo meno i provvedimenti presi
dagli agenti del conte in una determinata regione contro i loro
contravventori, ci fu conservato in un registro frammentario (i):
e noi ci affrettiamo a riassumerlo, potendo da esso ricavare par-
ticolari notevoli su questo periodo fortunoso di storia lombarda.
Sono cinque verbali di interrogatori, tenuti da una specie di corte
marziale, stabilita nel castello di Lodi e presieduta dal famoso Cicco
Simonetta (2); vanno dal 17 gennaio 1450 al 3 febbraio succes-
sivo. Non fu conservato il testo del decreto di Francesco Sforza
contro quelli, che si attentavano di far pervenire vettovaglie a Mi-
lano; è lecito però supporre che esso non differenziasse gran che
da quello emanato il 6 febbraio a favore dello Stanga : ma i punti
o capitoli, sui quali dovevano essere interrogati i rei o sospetti,
per conoscere la loro colpabilità e giudicare in merito, ci sono
noti, incominciando con essi il frammento di registro. E sono:
i.o Quale e quanta vettovaglia fu condotta in Milano; 2.° Quante
volte; 3.^ In che tempo; 4,° Donde fu tolta e per qual via introdotta
in Milano, da chi fu comperata e a chi venduta; 5.° Se all'imputato
è noto che altri abbiano fatto la stessa cosa, e quali sono coloro
che lo accompagnarono o favorirono; 6.° Se vi siano altre circo-
stanze degne di nota. Sei individui vennero esaminati (« rasonnati »
leggesi nel documento) ne' giorni 17 e 18 gennaio 1450. 11 primo
fu certo Dionigi di Stefano da Castello, abitante a Bescapè e di
professione oste. Egli riferisce, previo giuramento, che, in una notte
del passato dicembre, Giovanni Moco di Sant'Angelo con due suoi
compagni, di cui ignora i nomi, e centonovanta persone, con un
carico a spalla di duecento porci circa e formaggi, venendo di là
da Po si avviarono a Milano, dopo aver mangiato e bevuto alla sua
(i) Arch. di Stato di Milano, Militare, Guerre, 142^-60. Cart., di foli, io,
di cui cinque scritti, mìll. 300 X no.
(2) Così appare da una lettera del Conte in data Calco, 23 gennaio '450,
trascritta nel Registro. Gli altri membri erano : frate Bassano di Lodi, dell'or-
dine di S. Francesco ; frate Giovanni di Lodi, dell'ordine di S. Agostino ; mes-
sere Michele de' Mariani di Milano; Venturino de' Brambilla, castellano di
Lodi.
L* INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 313
osteria. Parimente intorno a quel tempo, narra sempre il nostro
oste, certo Panica da Landriano e un suo figlio portarono a spalla
due sacchi di pane a Milano; un tal Facio da Bescapè gli vendette
dieci libbre di sale, cui egli rivendette ad alcuni milanesi, venuti
con que' tali de' porci; e altri infine, tra cui il Guercio e un mor-
tarese, con tre carichi (« cavallate ») di sale, dopo aver cenato al-
l'osteria, si diressero alla volta di Milano. Non meno interessante
è la deposizione di certo Bartolomeo di Leone Chioppo da Lodi,
fatta dopo quella di Dionigi da Castello. Prestato il dovuto giura-
mento, egli narra come, lo scorso dicembre (il giorno non dice), si
trovò insieme con Taddeo Busello e Giacomo Lanzani da S. Co-
lombano, Antonino Poltrono da Chignolo, maestro Giacomo pure
da Chignolo e Giorgio Maizo da Lodi nella terra di S. Colombano,
e, richiesto dal sopracitato Antonino, anche a nome degli altri
compagni, se voleva unirsi loro per condurre a Milano sessantatre
porci menati di là da Po, accettò ben volontieri l'offerta; ma, mes-
sosi con quelli in cammino, a un miglio circa dal ponte^del Lambro,
nel territorio di S. Angelo, si scontrò con un reparto di fanteria
milanese e fu derubato de' porci. Recatosi allora a Milano con un
certo Pollo, riferì il furto a Domenico da Pesaro, capitano di giu-
stizia, quello stesso che noi ritroveremo più tardi il giorno della
sommossa in piazza della Scala, e, per mezzo suo, potè ottenere
la restituzione de' famosi porci. Riferisce ancora il nostro Barto-
lomeo che, nel dicembre 1449, in quel di S. Colombano, Giovanni
da Monza e Francesco da Lodi aveano pure de' porci da condurre
in Milano; che, sempre in quell'anno e nel mese di novembre, egli
si era recato, insieme con altri dodici, da Lodi a Caorso (nel Pia-
centino) per acqua e di qui a Chiavenna-Landi (i) per terra, com-
perandovi 91 porci, i quali, per la via di Monticelli-S. Colombano-
S. Angelo, furono condotti a Milano e ivi venduti; che infine,
trovandosi egli in questa città la notte di Natale p. p., vide come
Antonio Fornaro da Melegnano, Tommaso da Robba (Robbio?),
Taddeo Bosello, Antonino Poltrono da Chignolo, Bassiano Chioppo
(i) Nel Registro è scritto solo « Chiauenna » e a Chiuenna », ed è un
torrente tributario di destra del Chero, affluente a sua volta di destra del Po.
Sulle sue rive, noti lungi da Corte-Maggiore, evvi un borgo o meglio cascinale,
chiamato Chiavenna-Landi ; un Chiavenna-Torretta esiste pure presso Lugagnano :
ma il primo è nel piacentino^ il secondo nel parmigiano.
314 ALESSANDRO COLOMBO
da Lodi e Domenico de' Fayni vi condussero e vendettero otto
porci, due carichi (« cavallate ») di pane e uno di strutto (« sonza »).
Più breve è la deposizione di Cristoforo di Bassano Chioppo da
Lodi, certo un cugino del precedente, esaminato per terzo. An-
ch'egli, fatto il dovuto giuramento, narra che nel dicembre 1449 si
recò, con altri dodici compagni (i), a Chiavenna-L. per comperarvi
90 porci, i quali, per la via di S. Angelo, furono tutti condotti e
venduti a Milano a diverse persone; e noi abbiamo ricordato questa
testimonianza, perchè essa conferma in parte l'altra del cugino
Bartolomeo, ove si tolgano la differenza del mese e qualche va-
riante nei nomi de' compagni (2). Viene quarto Domenico de' Fayni
da Lodi, accusato concordemente da' due cugini Chioppo come uno
di quelli, che presero parte alla nota spedizione de' novanta porci;
ma egli, non ostante la prova palese e la tortura subita per ben
tre volte, stette sempre sulla negativa: per cui quella specie di
corte marziale si vide costretta a chiedere consiglio al conte Fran-
cesco sulla pena da applicarsi a quell'ostinato, e la risposta venne
cinque giorni dopo, e fu per l'impiccagione, come già si era fatto
per i due Chioppo, accusatori e in pari tempo rei confessi (3). Gli
ultimi due interrogati il giorno 18 gennaio sono Antonio da Piscina
da Bescapè e Antonio de' Petrino da Broni : il primo riferisce che
il proprio fratello Zannetto, unitamente ad altri due, condusse lo
scorso anno d'Oltrepò, per il passo della Napola, un carico di sale
a Milano; il secondo che il passato dicembre tali Bartolomeo detto
Cariò del Mostone, Carlo dell'Aguzzafame, Antonio de' Gualtero e
Zannino de' Scalfì da Zibido comperarono a Stradella quattro ca-
richi di sale ed olio, e li vendettero a Zibido stesso a un certo
Pietro da Landriano: anch^essi è da credere che abbiano seguito
la sorte de' due Chioppo e del Faini.
(i) Eccone i nomi: Antonio Fornaro, Giovanni da Monza, Tommaso da
Robba, Bartolomeo Chioppo, Domenico Fayni, Lanzino da Lodi, Scaramuzino da
Lodi, Bassano Chioppo e il fratello Rainaldo, Giovanni de' Baldo di Milano,
Francesco da Lodi e Pollo da Gallomozo.
(2) Antonio Fornaro è detto di Melegnano; Lanziano da Lodi, anziché
Lanzino; Scaramuza invece di Scaramuzino.
(3) Chi scrisse la lettera al Conte fu Cicco ; e la risposta (della quale è ri-
portata testualmente la parte che interessa) ha la data di Calco, 25 gennaio '450,
ore 8 di notte, controfirmata Persanete. Forse con quella delazione i Chioppo
speravano di aver salva la vita.
i
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 3X5
Non meno interessanti, per la storia del blocco di Milano, sono
le interrogazioni fatte il ai, 23 e 27 gennaio, e il 3 febbraio 1450.
Due furono chiamati a rispondere nel primo giorno: Antonino
de' Faini da Landriano, e Tommaso de' Mozano. Richiesto da Luigi
Prina e Giovannino Restocco, la notte del i.° gennaio, se voleva
unirsi a loro per condurre a Milano del pane, fatto venire co' ca-
valli da Pavia a Lodi, il Faini accettò, ed anzi pattuì il prezzo di
soldi 17; ma egli non vi andò personalmente, incaricando di por-
tare due formaggi il proprio fratello; il pane, il formaggio ed altri
viveri furono poscia condotti a Milano ed ivi venduti da circa 140
persone, di alcune delle quali sono ricordati i nomi. Il Faini narra
ancora, che messer Francesco da Landriano inviò più volte, e in
diverse epoche, del pane e altre vettovaglie a Giovanni Pietro da
Landriano, abitante in quella città; e che altrettanto faceva Gabriele
di Giovanolo da Landriano, spedendo a Milano il pane, cotto in
casa sua, per mezzo di un proprio massaro, per nome Ambrogio
Moraga. La deposizione del Faini viene confermata in alcuni par-
ticolari da Tommaso de' Mozano; questi poi aggiunge di aver ri-
cevuto, sempre nel mese di gennaio, da Giovan Bello da Landriano
18 pani di miglio, che vendette in Milano al prezzo di soldi 50,
tenendo per sé soldi 16. Uno solo fu sottoposto ad interrogatorio
il 23 gennaio: Leone de' Lagriago da Landriano. Questi racconta,
previo giuramento, come addì i.» gennaio comperò da Beltramo
Pachia, pure da Landriano, due formaggi, del peso di circa lib-
bre 22, al prezzo di soldi 5 V2 ^^ libbra, e li portò a spalla entro
un sacco a Milano, vendendoli a Cristoforo del Magro postiere per
soldi 7 la libbra: pagato nel suo ritorno il Pachia, che gli avea
venduto i formaggi sulla parola, prese per sé il guadagno netto
(soldi 33); furono con lui compagni, portando ciascuno viveri di-
versi, da vendere per proprio conto, Tommaso da Sala, Cristoforo
da Milano, Stefanino da Lina, Giacomo Prina, Antonio Dotto, Gia-
como del Bezozo, Giovanni de' Griffini e altri (circa 40), de' quali
però ignora i nomi, essendo o di Milano o di Bescapè o addirittura
forestieri. Chiestogli se fu altre volte a Milano, rispose che sì, ma
sempre con salvacondotto. Addì 27 gennaio Antonino dal Pro, fu
Guglielmo, da Borgonovo, il solo esaminato in quel giorno, depose
che in questo stesso mese, trovandosi a Ticozzo con la sua ca-
valla, ebbe l'invito da certo Antonio Poltroni di unirsi a lui e ad
altri soci, per condurre fino a Po sette « cavallate » di sale e una
3l6 ALESSANBRO COLOMBO
a asinata » di burro: il compenso sarebbe stato di un fiorino. Ma^
giunti alla riva del fiume, mentre il Poltroni e compagni (il dal Pr o
pare li avesse lasciati) stavano per passarlo al luogo detto « in
« bocca d'ambro », con l'intenzione di condurre il burro e il sale
con un « borchiello » a S. Colombano, e di qui a Milano, furono
sorpresi dalla retroguardia del conte e dagli uomini di Pavia e di
Arena, e spogliati del lor carico. Finalmente il 3 febbraio tal Gio-
vanni Vigono, fu Bartolomeo, da Vigone, riferì che nel dicembre
e gennaio scorsi Paviglono, « compagno del nostro IH. S. et suo
u habitatore et guardiano de la terra de pischera, contado de Milano »,
inviò a diverse riprese, per mezzo di un suo famiglio, il Rossetto,
e di un fante di Domenico Buzano, pane, farina ed altre vettova-
glie a Milano, facendole recapitare, per rivenderle, in casa di Cal-
dino da Robecco, abitante a porta Tosa; il fatto fu riconfermato
da Giorgio, detto il « Rinegadio », da Patarini, contado milanese,
narrandolo a un tal Caldino da Milano, fu Giovanni. Così finisce
l'elenco degli esaminati; né è da credere che quella specie di
corte marziale, stabilita nel castello di Lodi, abbia continuato an-
cora molto nel proprio ufficio: tre giorni dopo, avveniva la no-
mina dello Stanga; e con questa, virtualmente, essa decadeva dal
suo mandato.
Molte considerazioni possiamo dedurre dall'ultimo documento,
sul quale, non senza motivo, ci siamo così a lungo soffermati. An-
zitutto, che la carestia in Milano s'era incominciata a far sentire
fin dal novembre 1449, e che, non ostanti gli ordini dello Sforza
e l'attenta sorveglianza esercitata dalle sue truppe e da' suoi amici,
le vettovaglie continuavano a giungere in quella città, pagate na-
turalmente a carissimo prezzo, date le difficoltà dell' incettamento
e del trasporto; che i paesi, ne' quali le dette vettovaglie venivano
specialmente raccolte, erano quelli posti al di là del Po; che il
maggior contingente degli arditi contrabbandieri era dato dal lodi-
giano; e che la via da essi più battuta, perchè meno guardata dagli
sforzeschi, era quella di S. Colombano e di S. Angelo. Gli storici
milanesi, poi, concordemente affermano che da Monza e da Como
venivano in gran parte viveri a Milano; ed era naturale: quelle
città erano ancora fedeli alla repubblica. Non è quindi a stupirsi
se questa potè tanto resistere, non ostante fosse politicamente e
finanziariamente sfasciata. A ciò s'aggiungano le mosse de' veneti,
del Piccinino e del Colleoni, non sempre decise; la necessità, per
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 317
il conte, di tener sempre divise le proprie forze, a fine di aver
l'occhio a tutto, che gli impediva di operare con quella energia e
celerità che avrebbe desiderato; la difficoltà, sempre grave per un
esercito, dell'approvvigionamento. Noi abbiamo visto come lo Sforza,
con la nomina dello Stanga, potè ovviare in parte a questo incon-
veniente; inducendo quindi con l'astuzia il Mal atesta a passare
l'Adda e a riunirsi co' generali milanesi, ottenne il doppio scopo
di inchiodarlo, per così dire, sulle montagne della Brianza e di
concentrare i proprii soldati in un punto solo. In tali condizioni
di cose, la caduta di Milano non era più che questione di tempo.
Tuttavia i documenti, che ci rimangono, non portano gran luce
sugli avvenimenti, che caratterizzano gli ultimi venti giorni della
libertà milanese. Giacché i cronisti sincroni, senza lor colpa, si sono
più tosto compiaciuti di narrare le vicende interne della città, che
di mettere queste in relazione co' fatti esteriori; e come non ci sono
note tutte le mosse dello Sforza dal 6 al 26 febbraio, allorché an-
dava stringendo le fila della sua politica, così rimane in parte nel-
l'oscurità quanto fecero i veneti, in sul tramontare della ormai de-
crepita repubblica ambrosiana. Se ne deve ad essi la completa
rovina, oppure essi hanno fatto tutto il possibile per impedirla? I
pochi fatti, che verremo ancora esponendo, prima di passare a
quello che forma oggetto del nostro studio, ci proveranno quale
sia l'opinione da preferirsi.
Da Vimercate, dove aveva trasportato definitivamente il proprio
quartier generale, è certo che lo Sforza non si mosse più per tutto
il mese di febbraio, e nemmeno per la prima decade del marzo
successivo, ove si faccia eccezione di quando venne a Milano, a
prendere per la prima volta possesso del nuovo dominio: lo pro-
vano, oltre il documento primo, che contiene l'abbozzo de' capitoli
per la condotta del Piccinino, alcuni salvacondotti concessi appunto
a Vimercate, il 20 febbraio, a gente che diceva di recarsi a Milano
per suoi affari (i), non che diverse lettere le quali, per essere di
data posteriore al 26, saranno da noi studiate più avanti. E a Vi-
mercate egli naturalmente cercò di riunire il maggior nerbo delle
(i) Arch. cit., Reg. due, Framm., 1430-^. Sono tre salvacondotti: l'uno
ad Antonello de' Merate di Lodi ; l'altro a Giovanni de' Spazini ; il terzo ad
undici persone, che chiedono di recarsi a Milano per parlare col ministro del-
l'Ospitale di S. Lazzaro, a proposito della coltivazione di certe terre.
3l8 ALESSANDRO COLOMBO
sue truppe: su questo vanno d'accordo anche i cronisti. Ma che
cosa fece in questo frattempo? Tre cose precise noi conosciamo
soltanto, dalle narrazioni sincrone: la fortificazione del campo a
Vimercate con argini e fosse e lo sbarramento di tutte le vie con-
ducenti a Milano; l'ordine simile impartito a' connestabili e capi-
squadre dislocati altrove, a Carate, a Seregno, a Cantù, a Melzo;
il tentato tradimento del Ventimiglia. I documenti poi ci hanno
confermato, in modo indiretto, che lo Sforza, in questi ultimi tempi,
aumentò d'assai la sorveglianza sulle vettovaglie, che si cercavano
di far penetrare nella bloccata città, facendole, dove poteva, re-
quisire per proprio conto; e, direttamente, che furono aperte sul
serio delle trattative fra il conte Francesco e il conte Jacopo Pic-
cinino. 11 Verri (i) infine ci fa sapere che, con biglietto de' Capi-
tani e difensori della libertà in data 20 febbraio, Gaspare da Vi-
mercate, quello stesso che inutilmente avea offerto Crema allo
Sforza e che, per esser stato a lungo sotto le sue bandiere, ne era
sincero e caldo fautore, avea ottenuto di poter uscire « tute, libere
u et impune » da Milano, con otto servi e tutte le sue robe, pur-
ché non si recasse « ad partes hostiles », ma dritto dritto « ad
u illustrem dominum Sigismundum Pandulphum de Malatestis Ari-
u minensem ac illustrissimi dominii Venetorum etc. Capitaneum
a Generalem ». Il Verri osserva che, anziché abboccarsi col Ma-
1 atesta, il Vimercate concertò probabilmente col conte la dedizione
di Milano; e la cosa potrebbe essere verosimilissima, ove tal viaggio
fosse realmente avvenuto. Ma, fino a prova contraria, rimane sempre
l'attestazione del Simonetta, non essersi cioè il Vimercate mai
mosso dalla città, prima che questa si rendesse allo Sforza (2). E
però troviamo ragionevole l'osservazione del Bertolini (3): « nel
« passaporto..., sovra cui il Verri poggia la sua narrazione, non
a altro si attesta, fuorché Gaspare avea avuto l'intenzione di fare
« il viaggio ». Il precipitarsi degli avvenimenti, e forse anche qualche
avviso pervenutogli a tempo (poiché non è a credere che fossero
(i) Verri, op. cit., voi. II, p. 29, nota i. Il documento [è dell'Archivio Civico
di Milano, Gridarium, Reg. C, fol. 13$ v.
(2) Il RuBiERi, op. cit., voi. II, pp. 203-204, non sappiamo con qual fon-
damento, dopo aver ammesso che il V. si recò dallo Sforza il 20 febbraio, ag-
giunge che il 25 era già di ritorno a Milano!
(3) Bertolini, op. cit., p. 45. Cfr. Sickel, op. cit., p. 214 e nota i.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 319
tutte sincere quelle persone, che chiedevano e così facilmente ot-
tenevano dallo Sforza de' passaporti, il giorno 20 febbraio, a Vi-
mercate), avranno indotto il futuro conte di Valenza a non moversi
più dalla città.
Ma neanche Venezia se ne stava inoperosa. Appena conchiusa
la pace con Milano, essa si era affrettata a dar ordine a' suoi ca-
pitani, che militavano sotto lo Sforza, di abbandonarlo, di ripassare
l'Adda e di desistere tosto dalle ostilità contro quella repubblica,
non più nemica ma alleata; e, quantunque conoscesse a fondo il
pensiero del conte, gli avea inviato al campo il solito Malipiero,
perchè gli annunciasse ufficialmente il nuovo orientamento politico
e le ferme intenzioni del proprio governo. Quale ambasciatore ve-
niva quindi spedito a Milano, con regolare passaporto, il Venier,
vittima più tardi del tumulto del 25 febbraio; e mentre effettiva-
mente era una bravata della Serenissima il sostenere come già av-
venuta la pace generale di tutti gli stati della penisola (i), noi
abbiamo forti motivi per credere che, almeno nell'intenzione di
liberare Milano dall'assedio e dalla fame, la repubbUca veneta fu
sincera. Che poi il Malatesta non sia stato pari al suo ufficio e che
le molte vettovaglie, radunate nel bergamasco, non abbiano potuto
giungere fino a Milano, è un'altra questione. Se i documenti ri-
guardanti Venezia in questo tempo non facessero difetto, noi po-
tremmo meglio corroborare la nostra asserzione; tuttavia, per il
nostro scopo, basterà l'esame di una lettera, che va sotto l'anno 1449,
e che un agente dello Sforza scriveva al suo signore il 23 no-
vembre da un paese oltre l'Adda, che potrebbe anche essere non
molto lontano da Brescia (2). In essa si avvisa anzitutto il conte
che Sigismondo Malatesta (« el S. Gismundo »), generalissimo dei
veneti, ha dato ordine a' suoi di concentrarsi, « come sentono il
« signale delle bombarde che traranno », a Pontoglio, e ivi di at-
tendere sue ulteriori e più precise disposizioni: certo, passando per
(i) Non era nemmeno certa la sua alleanza con Napoli, come si rileva
dalla lettera in data Roma, 9 marzo 1450, già ricordata addietro: «... Se altro
« sentirò più chiaro de decto acordo del Re cum Venetia, lo quale non credo,
a perchè né N. S. né lo amb.re vca.°, secondo sento, affermano non ne sapere
« niente... ».
(2) Arch. di Stato di Milano, Militare, Guerre, 142^-60. Min. cart., senza
indirizzo né indicazione di luogo e di anno.
320 ALESSANDRO COLOMBO
Trezzo o per Brivio, egli mirava ad unirsi con Jacopo Piccinino^
successo al padre suo Francesco nel comando delle milizie ambro-
siane. Che r alleanza tra Milano e Venezia fosse dunque un fatto
quasi compiuto, non v'era più luogo a dubitare; l'agente sforzesco
raccomanda pertanto al suo signore di provveder presto « al facto
« nostro ». Ma v'ha di più: e forse, a questo riguardo, il dettò
agente riferivasi più tosto a voci che correvano, che non a notizie
attinte, come la prima, da fonte sicura. 11 vescovo di Rimini, Jacopo
da Cortona, informa il Malatesta d'un accordo tra il papa e Ve-
nezia, ormai condotto a buon punto; e certo Luca fa sapere da
Venezia che un Giovanni da Ricordati è stato inviato segretamente
« ad tractare l'accordio tra lo S. Gismundo et lo Re de Ragona » (i).
E pure informato, continua il nostro agente, dell'ambascieria di
Angelo Simonetta al Senato veneto; ma egli non crede all'offerta
di Parma, per parte del suo signore, a Venezia, in compenso di
un problematico aiuto nella impresa di Milano: poiché, cedendo
Parma, si può benissimo cedere anche Piacenza, e « demum el
« resto ». Tuttavia i milanesi, avvertiti di queste mene segrete
dallo stesso Malatesta e dal Panigarola, loro ambasciatore a Ve-
nezia, ne muovono aperto lamento, e pregano il Malatesta di ac-
correre sollecitamente in loro aiuto, affinchè non abbiano a cadere
nelle mani del conte Francesco. Sigismondo comunica tosto al Se-
nato le richieste de' milanesi; ma dice che egh non potrà muoversi,,
fintantoché non gli siano giunti in Brescia i tremila ducati richiesti
e promessi. È una pura finzione l'ordine dato da' rettori bresciani
di adattare" la strada da Brescia a Pontevico: forse con ciò essi
sperano che il conte abbia a rivolgere tutti i suoi sforzi da quella
parte, cioè verso Parma, lasciando scoperti Trezzo e Brivio, a' quali
mira il Malatesta, come lo dimostra il concentrarsi di tutte le sue
truppe a Pontoglio. Tuttavia sarà opportuno guardare da ogni
parte: l'agente nostro confida assai nell'abilità e saviezza del suo
signore; ma sopratutto vuole che egli conduca le cose in modo,
« che qua non se acorga ve ne sia facto aduiso de qua ». In un
poscritto poi l'avverte, che la signoria di Venezia fa di tutto per
'indurre il marchese di Ferrara ad addossarsi l'impresa di Parma.
(i) Quale importanza si debba dare a questa alleanza, e all'altra col pon-
tefice, vedremo esaminando la più volte ricordata lettera del 9 marzo 1450.
321
Che le informazioni dell'agente a noi ignoto fossero in gran
parte esatte, dimostrarono in seguito gli avvenimenti: non molto
dopo infatti, e quando probabilmente il Malatesta ebbe da' veneziani
tutto ciò che desiderava, si aprivano palesemente le ostilità tra
costui e il conte. Il Malipiero aveva ormai abbandonato il campo
sforzesco.
CAPO SECONDO.
Quanto avvenne prima e dopo la resa di Milano allo Sforza
è troppo noto, almeno nelle sue linee generali, perchè noi dobbiamo
semplicemente ripeterlo: sarebbe davvero come portare vasi a Samo
e nottole ad Atene. Altro è lo scopo che ci siamo prefissi nel det-
tare questa memoria; e sebbene non pretendiamo di dire cose del
tutto nuove, o solamente tali, tuttavia desideriamo che quelle, già
narrate da altri, messe al vaglio della critica e alla stregua de' do-
cumenti, siano finalmente « un po' meglio conosciute ». Giacché è
proprio qui il caso di osservare, che molti sono stati tentati dalla
grandiosità dell'avvenimento, ma nessuno è riuscito a sciogliere
ogni dubbio. Lo stesso Sickel, che al riguardo lasciò scritto il più
notevole lavoro che io conosca (i), mentre avrebbe potuto, con
l'acutezza dell'ingegno che lo distingue, chiarire molte circostanze,
si è pur troppo fermato al punto, in cui comincia il nostro lavoro ;
cosicché l'ultimo documento da lui edito, che va sotto la data del
26 febbraio (2), lasciato a sé ha potuto condurre qualcuno (3) a
deduzioni, della cui attendibilità ci é lecito dubitare. Qualche cosa
di nuovo ha fatto il Formentini, nel suo interessante lavoro sul
« ducato di Milano » (4); ma se noi ci dovessimo unicamente fon-
dare su di lui, ci troveremmo davvero più imbrogliati di prima.
(i) Sickel, Beitràge, ecc., citata.
(2) È il doc. XXII della raccolta. Egli ricorda, è vero, e descrive (p. 214,
nota 3) tre altri documenti da lui veduti all'Archivio notarile di Milano, riguar-
danti sempre i capitoli del 26 febbraio ; ma, fuori del primo (pubblicato imper-
fettamente, e con errore di data, dal Formentini ; cfr. nota 4), essi non furono
mai editi.
(3) Bertolini, // conquisto di Milano, ecc., pp. 45-46.
(4) M. Formentini, Il ducato di Milano, studi storici documentati, Milano,
Brigola, 1877.
322 ALESSANDRO COLOMBO
D'altra parte il Verri (i), non ostante le bizze partigiane e il ce-
sarismo troppo spiccato, che informano il suo lavoro, non è sempre
da disprezzare: i pochi documenti che egli cita, ove fossero stati
meglio conosciuti, avrebbero infatti potuto arrecare qualche luce
sull'argomento, o almeno spingere lo studioso a proseguire e com-
pletare, fin dove fosse possibile, le ricerche d'archivio-. Il che pre-
cisamente noi abbiamo fatto. La fortuna, questa volta, ci secondò ;
e quali ne sian stati i risultati, giudicherà da sé stesso il lettore.
Il primo dubbio, che ci si presentava alla mente, era quello
del giorno preciso in cui scoppiò la rivolta in Milano. Rispetto alle
cause, che la determinarono, non avevamo la benché minima preoc-
cupazione, essendo convinti che esse furono varie e molteplici, e
non dovute soltanto all'imperizia e al fanatismo di quelli, che allora
reggevano la sciagurata repubblica. Tuttavia converrà che il lettore
si ricordi di quanto già abbiamo esposto nel precedente capo; e
perché il suo giudizio sia pieno e completo, aggiungiamo che, oltre
alla famosa grida del lunedì 23 febbraio (2), con la quale si com-
minavano pene severissime ai bestemmiatori e ai libertini, un'altra
più notevole fu pubblicata il 26 successivo (3), da cui appare che
il ducato d'oro era sceso al valore di tre lire e quattro soldi im-
periali. Abbiamo detto: più notevole. Infatti, se la prima ci dimo-
stra chiaramente la sfacciata corruzione de' milanesi in que' tempi,
e potè sembrare a qualcuno la goccia che fece traboccare il vaso
già pieno (4); la seconda rimane sempre un documento irrefragabile
(i) Verri, op. cit., voi. II, cap. XVI. — Affatto destituito d'ogni fonda-
mento critico è il citato lavoro del Rubieri, Francesco I Sforma, ecc. ; e nulla
di nuovo, per questo momento storico, aggiunge il Perret, Histoire des relations
de la France avec Venise^ Parigi, 1896, voi. I, p, 218.
(2) Verri, op. cii,, voi. II, p. 3 1, in nota. Fu edita nuovamente dal Cantù,
nelle annotazioni al Corio, Storia di Milano, voi. Ili, pp. 190-95.
(3) Argellati, De monetis Italiae, etc, Milano, 1750, voi. II, p. 27. — Il
GiULiNi, che lo ricorda {Memorie, tcc.^ Milano, 1857, voi. VI, pp. 465-66), e
dietro a lui il Cantù (in Corio, op. cit., voi. Ili, p. 192) traggono la conse-
guenza, " che la proporzione fra le monete di que' tempi e quelle delle nostre
« era come dall'uno al cinque ; e cosi una lira, un soldo e un denaro corrispon-
« deva a cinque lire, cinque soldi e cinque denari d'oggidì, secondo la grida „.
(4) A. BiANCHi-GioviNi, La repubblica di Milano dopo la morte di Filippo
Maria Visconti, Milano, Silvestri, 1848, p. 155: " Il libertinaggio in Milano era
« grandissimo.... Non è quindi inverosimile che in un momento di crisi, e quando
« bollivano tante altre passioni, una legge così poco opportuna abbia contribuito
« 4id accrescere il numero de' malcontenti e a sollecitare la catastrofe.... ».
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 323
di quella grave crisi economica e finanziaria (i), che fu la cagione
precipua della rivolta del febbraio (2).
Ed ora eccoci a stabilirne la data. A questo riguardo osser-
viamo subito che soli il Sanuto (3) e il Bonincontro (4), fra gli
scrittori contemporanei, ce ne hanno lasciata una esplicita : il 25
febbraio. Gli altri, pur ammettendo il 26, quale giorno della resa allo
Sforza, si limitarono, per quello della rivolta, a un semplice cenno:
così il Decembri (5) e il da Soldo (6). Altri ancora, come il Brac-
(i) A maggior conferma di ciò, ricordiamo che allora il prezzo della farina
era salito a denari 34 la libbra, per cui addi 22 febbraio 1450 la Fabbriceria
del Duomo si trovò nella dura necessità di " differire a tempi migliori la cele-
(c brazione dell'anniversario ordinato dalla fu Maria de' Codevacca, specialmente
« perchè bisogna distribuire la farina di frumento... » {Annali della Fabbrica del
Duomo di Milano, ecc., Milano, Brigola, 1877, voi. II, p. 135).
(2) Con questo non neghiamo assolutamente la complicità dello Sforza e de'
suoi favoreggiatori in Milano, a capo de' quali appare essersi subito messo Ga-
spare da Vimercate ; ma considerando obbiettivamente il fenomeno e il disordine
nel quale incominciò, dobbiamo credere che, almeno in principio, gli sforzeschi
non vi abbiano avuto gran parte txl lo abbiano direttamente provocato.
(3) Sanqto, Vite de' duchi di Fene^ia, in Muratori, R. I. SS., XXII, e. 11 37.
(4) BoNiNcoNTRi, Annales, in Muratoci, R. I. SS., XXI, e. 155.
(5) Decembri, op. cit, p. 1043,
(6) Cristoforo a Soldo, Istoria bresciana, in Muratori, R. I. SS., XXI,
p. 863. Lo stesso dicono il Cagnola, op. cit., pp. 125-26; il Corto, op. cit.,
voi. Ili, p. 175 sgg. ; il Ripamonti, op. cit.; il Verri, op. e loc. cit. Ne' Gior-
nali Napoletani (Muratori, R. I. SS., XXI, e. 1030) troviamo queste sole parole •
« L'Anno 1450 del Mese di Febraro il Conte Francesco Sforza si i&zt Duca di
« Milano » ; e il Ghilini, Annali d'Alessandria, all'a. 1450, ediz. Bossoli dell'an.
1903, voi. I, p. 479, pone addirittura il 27 febbraio come data del solenne in-
gresso, senza ricordare affatto un'altra entrata. Piìi preciso è il Giulim, op. cit.,
voi. VI, p. 466; il quale, ammettendo il 25 (stampato erroneamente il 15) quale
giorno in cui scoppiò la sedizione, dice che essa « sul principio non era formata
« che di 500 persone » ; il primo ingresso dello Sforza avvenne il 26 (ibid., p. 469).
Anche il Rosmini, op, cit., voi. II, pp. 446-48, fa cominciare il tumulto il 25,
nel qual dì la Reggenza milanese avea convocato il Consiglio generale in Santa
Maria della Scala per deliberare; una nuova adunanza fu tenuta il 26 (ibid., p. 449),
dove lo Sforza venne acclamato duca (ibid., p. 450) ; ed egli fece, in quel giorno
medesimo, la sua prima comparsa in Milano (ibid., p. 4$i). Seguono il racconto
del Rosmini : il Cubani, op. cit., voi. I, pp. 207-09, e il Ricotti, op. cit., voi. Ili,
pp. 148-50. Il RoMANiN, Storia documentata di Venezia, Venezia, 1855, voi. IV,
p. 222, mentre fa scoppiare il tumulto la sera del 25, aggiungendo che per esso
fu cacciata la Signoria milanese, non accenna punto all'entrata dello Sforza av-
venuta il 26" (quantunque ricordi che in tale giorno egli fu gridato duca), ma
324 ALESSANDRO COLOMBO
ciolini (i), il Platina (2) e l'autore degli Annali di Piacenza (3),
vorrebbero, non sappiamo con qual fondamento, anticipare addi-
rittura di un anno. Rimane sempre il Simonetta (4); ma egli, se-
condo il suo costume, non si cura quasi mai della cronologia. Per
cui noi ci troveremmo davvero in grave imbarazzo, pur avendo
dinanzi una narrazione particolareggiata e, per molti punti, atten-
dibilissima, se da altra parte non ci venissero forniti quegli ele-
menti, i quali a ragione furono detti gli « occhi della storia ».
Fermo adunque rimanendo che il 26 febbraio lo Sforza fece il suo
primo ingresso in Milano (tutti i documenti, del resto, ce lo atte-
stano (5), anzi ci dicono qualche cosa di più, e cioè che fu « nel
n pomeriggio ») (6), possiamo con più fiducia esaminare il racconto
solo a quella solenne del 25 marzo. Infine il Beltfami, // Castello di Milano, ecc.,
Milano, Hoepli, 1894, P- 5^» citando un passo della Cronica di Zorzi Dolfin
esistente nella Marciana, ammette come giorno del tumulto e uccisione del Ve-
niero il 25 febbraio.
(i) P. Bracciolini, Hist. pop. fior., in Muratori, R, L SS., XX, e. 426.
(2) Platina, Historiae manhianae, in Muratori, R. I. SS., XX, e. 848.
(5) Annales Piacentini, in Muratori, R. I. SS., XX, e. 901.
(4) Simonetta, op, cit., pp. 597-602.
(5) Ricordiamo qui per il momento il decreto ducale da Monza 16 marzo
1450, con cui lo Sforza obbliga tutti i salariati del suo territorio a offrire alla
Fabbriceria del Duomo " pars decima salarii sui unius mensis », in memoria del
suo ingresso in Milano, avvenuto « vigesima sexta die mensis februarij anni
« praesentis, intercessionis gloriosae Virginis Mariae... » (Ann. Fahh. del DuomOj
voi. II, pp. 156-37)-
(6) Che lo Sforza sia entrato in Milano alle ore 20 conferma, oltre
l'autore degli Ann. Plac. (loc. cit.) e il Bracciolini stesso (loc. cit.), sebbene con
errore di anno, la famosa iscrizione edita dal Verri (op. cit., nota in fine al
cap. XVI), dal Giulini (op. cit., voi. VI, p. 469), dal Cantù (in Corio, op. cit.,
voi. Ili, p. 193, note) e dal Bel trami (op. cit., p. 61) : una lapide di marmo
già adoperata, come davanzale di finestra, in una casa attigua alla chiesa di San
Donnino alla Mazza. Coloro che hanno pubblicato detta iscrizione (e in modo
speciale il Beltrami, che ne fa la storia fino a questi ultimi giorni) ci dicono
che essa fu rinvenuta nel 1774 mentre si fabbricava la casa Delfinoni, vicino
agli archi di porta Nuova ; che, murata nello scalone della casa già Balabio al
n. 45 di via Monte Napoleone, venne dall'attuale proprietario signor Abrami
gentilmente donata, nel 1887, al Museo archeologico di Milano. Essa suona preci-
samente così : tRANCISCVS . SFORTIA . VICECOMES . DVX || Illl . ET . ANIMO '. INVICTO .
ET . CORPORE 1 1 ANNO . MCCCCL . AD .IIII . KAL. MARTI AS \\ HORA . XX. DOMINIO . VRBIS.
MEDiOLANi 11 POTiTVS . EST Come SÌ vede, è incorppleta; e il Beltrami fa os-
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 325
simonettiano; e vedremo precisamente che in esso si parla di tre
giorni distinti. La rivolta pertanto sarebbe scoppiata il 24; era al-
lora di martedì. Ma lasciamo la parola al biografo del futuro duca.
Volendo far credere al popolo affamato e ormai tumultuante
che si faceva in prò suo qualche cosa, i Capitani e difensori della
libertà avevano per l'ultima volta radunato a consiglio, nella chiesa
di Santa Maria alla Scala (i), i principali rappresentanti delle varie
porte: non si sa però quali deliberazioni ivi siano state prese, o
se almeno si sia tentato di prenderne. Il Rubieri (2) suppone che
il consiglio fu raccolto per decidere intorno al modo di cedere la
città a Venezia. E veramente, se noi badiamo al fatto che due fra
i più autorevoli cittadini e benemeriti della repubblica, Pietro
Cotta (3) e Cristoforo Pagnano (4) , uomini , come dice il Si-
monetta, « animo non desides et tyrannicae conjurationi minime
« grati », si rifiutarono di prender parte all'adunanza, e più tardi
tutta l'ira del popolino si riversò sul Venier, il noto ambasciatore
veneto, facendo miserando strazio del suo corpo, la congettura può
avere qualche fondamento. Ma, esaminata poi con più attenzione,
servare, che « le lettere dell'ultima linea mancano nella metà inferiore, essendo
« stata in questo lato della lastra di marmo incavata la battuta per il davanzale
« di finestra > (op. cit., p, 61, nota i). Noi vogliamo aggiungere qualche cosa
di più, e cioè che essa fu anche taghata, o meglio segata sotto quella linea ;
dimodoché non sarebbe che la prima metà (superiore) della lapide posta sulla
porta della Rocchetta : lapide citata pure dal Beltrami, e della quale ci ha la-
sciato il testo completo il Giulini (op. cit., voi. VI, p. 481). L'altra metà (infe-
riore) ricordava appunto la data della ricostruzione del Castello ; e noi avremo
modo di parlarne, più avanti. Intanto, quello che è^ certo si è che, nell'ultima
linea della soprascritta iscrizione, seguivano le parole : idem . ill . princeps ; e
poi, in altre tre righe, il resto della lapide riportata dal Giulini.
(i) Da una lettera in data Monza 18 marzo 1450, che vedremo, appare che
era allora prevosto di detta chiesa Marco de' Benzoni.
(2) Rubieri, op. cit., voi. II, p. 204.
(3) Di nobile famiglia e abitante a porta Nuova. Fu tra i primi Capitani
e difensori della libertà (allora in numero di 24). Cfr. il mio lavoro intitolato :
Vigevano e la Repubblica ambrosiana nella lotta contro Francesco Sforma, in Bollet-
tino della Società Pavese di storia patria, a. 1903, fase. III-IV, doc. I.
(4) Pur esso di nobile famiglia e abitante a porta Nuova [parrocchia di
S. Domenico (Donnino ?) alla Mazza]. Fu de' primi 24 sindaci o procuratori della
libertà. Cfr. Vigevano, ecc., doc. I. Fu anche Capitano e difensore della libertà
con l'Appiani e l'Ossona (prima volta ?).
Arch. Star. Lomb., Anno XXXII, Fase. VI. ai
326 ALESSANDRO COLOMBO
anche senza tener calcolo della mancanza assoluta di prove, essa
ci pare improbabile, o per lo meno poco opportuna. Perchè o le
mire de' veneti su Milano non erano più un segreto per alcuno, e
allora non c'era bisogno di fingere questa assemblea; o si prepa-
rava segretamente la dedizione alla Serenissima, e allora non era
consigliabile farla sapere e, quel che è peggio, ratificare da tanta
gente. Comunque sia i due dissidenti, rimasti fuori, sulla piazza
attigua, non si presero scrupolo di nascondere il loro vivo ram-
marico per le tristi condizioni attuali ; li udirono altri, che per caso
o deliberatamente ivi si trovavano; e in breve l'assembramento
divenne folla, la folla confusione. Si sa bene: basta spesso una
fiammella per destare un incendio; e così avvenne in quel dopo
pranzo in Milano. Intanto altri tumulti erano scoppiati in diversi
punti della città: il male ha sempre in se del corftagioso; e porta
Nuova fu la prima a prendere le armi.
Ma dove la sommossa avea ormai raggiunto il grado di aperta
rivolta era in piazza della Scala. Quivi i malcontenti, fatta certa-
mente causa comune con quelli, che si trovavano adunati in chiesa
e che indarno attendevano l'arrivo de' Capitani e difensori della
libertà, avevano già messo in fuga Lampugnano Birago, uno dei
membri del governo, mandatovi appunto da' suoi colleghi, perchè
cercasse di portare la calma con le buone parole e con le promesse ;
essi però si erano ben guardati, alla prima notizia de' disordini, di
abbandonare l'Arengo, loro sede abituale. Né miglior fortuna era
toccata, poco dopo, al capitano di giustizia Domenico da Pesaro,
che noi già conosciamo. Quantunque accompagnato da buon numero
di sgherri e dal boia, egli dovette ritirarsi dinnanzi all'attitudine
minacciosa de' ribelli: anzi quella comparsa provocante fu come il
segnale della battaglia. Si dà mano alle campane; d'ogni parte ac-
corrono nuovi cittadini; e il movimento finalmente si coordina me-
glio, mercè la risoluta direzione di Gaspare da Vimercate, eletto
liberamente da' rivoltosi e coadiuvato, oltre che da' predetti Cotta
e Pagnano, da' cinque fratelli Stampa (i). Il grido « all'Arengo! »
scuote tutta quella moltitudine, come un sol uomo: la distanza è
breve; e come un sol uomo, tumultuando, essa corre all'assalto del
(i) II Simonetta nomina soltanto il primo, Giovanni. Sulla famiglia Stampa
cfr. quanto dice il Cantù, nelle sue note al Corio, op. cit., voi. Ili, p. 192.
327
palazzo. Ma è respinta da' soldati che vi sono a guardia: alcuni ne
escono malconci; i più, presi da panico, si danno a fuggire disor-
dinatamente verso porta Orientale. Un giovinetto animoso, Fran-
cesco da Triulzio, riesce a trattenerli con un semplice rimbrotto:
« Quo fugimus (egli grida), cum nos insequatur nemo? » Parole
semplici; ma, appunto perchè tali, di grande effetto. Molte volte i
fanciulli hanno delle esclamazioni, che fanno maravigliare i grandi;
e la storia, antica e moderna, ne dà frequentemente gli esempi.
Ecco perchè noi qui non osiamo porre in dubbio la veridicità del Si-
monetta, e credere che egli abbia voluto soltanto infiorare il suo rac-
conto di una leggenda inutile. Il Pagnano, che si trovava vicino al
Triulzio, e indarno avea forse cercato di raccogliere più volte i
fuggiaschi, approfitta del momento opportuno per rincorarli e in-
durli a tornare indietro; si unisce a lui il Vimercate, rimasto con
pochi alla retroguardia ; e mentre quest'ultimo rivolge alia moltitu-
dine, di nuovo riordinata, alcune parole di occasione, giunge ina-
spettato il rinforzo di Melchiorre Marliano (i) « cum non mediocri
« armatorum manu ». Solo il Cotta non vi è più presente: egli,
staccatosi senza dubbio dal grosso de' compagni nella confusione
successa dopo il primo e vano assalto all'Arengo, si era dato alla
fuga con pochi seguaci verso porta Comacina; ma, inseguito dai
suoi nemici, vi fu con facilità preso e subito rinchiuso in carcere (2).
Una tale notizia, giunta ben tosto agli orecchi di coloro, che si
provavano poco lungi da porta Orientale, non mancò di eccitare
maggiormente gli animi già scaldati; però, in massima, si era in-
decisi sul partito da prendere. Chi voleva si corresse subito a
porta Nuova, dubitando, e a ragione, di Ambrogio Triulzi, che vi
era stato posto a guardia da' capi della repubblica; chi invece si
desse nuovamente l'assalto all'Arengo, per troncare d'un colpo la
testa all'odiato governo. Prevalse alla fine quest'ultimo parere,
tanto più che un certo Giovanni Andrea Toscano (3), il quale avea
(i) Con lettera da Vimercate i.o marzo 1450, che vedremo, lo Sforza con-
cede ad Antonino de' Marliano e a' suoi nipoti detti « Vedanini », cittadini milanesi
e abitanti in Varese, esenzione da' pesi sui beni che hanno in quel territorio.
{2) Fu messo in libertà il giorno dopo e poscia ricompensato dallo Sforza,
in premio de' suoi servizi, con donazioni; cfr. lettera da Milano 14 maggio 1450
(Reg. due, Framm., i4p-^2, n. 19).
(3) Probabilmente fratello di Azzo, già beneficato dallo Sforza; cfr. lettera
da Calco, 27 gennaio 1450, già citata.
328 ALESSANDRO COLOMBO
sempre libero Taccesso all'appartamento della duchessa vedova,
situato appunto nella parte posteriore di quel palazzo, meno cu-
stodita e quindi più facile a prendersi, si era di proposito offerto
ad essere guida.
Intanto « era giunta la notte » ; e le tenebre favoriscono molto
bene quelle imprese, nelle quali entra in parte o in tutto il tradi-
mento. Cristoforo da Soldo (i) narra, che dal primo al secondo
assalto de' milanesi all'Arengo corsero « forse tre ore », e che en-
trambe le volte il Vimercate avea con sé « qualche cinquecento
« persone ». Tenendo calcolo che nel mese di febbraio si fa notte
molto presto, noi abbiamo un dato sicuro per stabilire che la ri-
volta incominciò « intorno alle due pomeridiane », vale a dire « dalle
« ore venti alle ventuna », secondo il computo italiano. Non sap-
piamo quanta fede meriti 1' asserzione 'dello stesso da Soldo (2),
essersi il Venier in persona opposto ai rivoltosi la prima volta, che
cercarono di irrompere nell' Arengo; certo lo fece temerariamente
la seconda volta, ma vi trovò pur troppo la morte (3).
Condotti dal Toscano, il Vimercate, uno de' fratelli Stampa,
Giovanni, e m.olti altri cittadini, armati, erano riusciti a penetrare
nel palazzo del governo; non v'ha dubbio che per questo si fos-
sero già presi precedenti accordi tra il Toscano stesso e coloro,
che erano posti a guardia della entrata segreta. Saliti in fretta le
scale, gli invasori, tumultuando, giunsero ben presto, per il corri-
doio superiore, alla porta che metteva nella sala, ove erano soliti
risiedere i Capitani e difensori della libertà; ma essi, avvisati dal
rumore, erano già fuggiti: solo il Venier, che non senza motivo
dovea trovarsi colà, volle opporre resistenza e fu barbaramente
trucidato (4). In breve tutto il palazzo si riempì di grande confu-
(i) Soldo, op. cit., p. 863.
(2) Ibid.
(3) La uccisione del legato veneto è confermata da tutti gli storici e cro-
nisti contemporanei, non che da documenti. Il Sanuto, veneziano, dice che fu ta-
gliato a pezzi e la sua famiglia fatta prigioniera (loc. cit.}. Gli Annales Piacentini
(loc. cit.) aggiungono, che fu trucidato anche « Galoso Thoscano, prò liberiate
« domino » ; gli altri riuscirono a mala pena a fuggire, scampando così la vita,
non il carcere.
(4) Il Simonetta afferma che il primo a vibrargli il colpo fu Giovanni
Stampa ; la Cronaca del Dolfin (cit. dal Beltrami) che fu ucciso « per lo mezo
« de uno cittadino de Crivellis » ; il da Soldo che fu a tagliato a pezzi » sulla
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 329
sione: quelli, che erano rimasti fuori e non aveano potuto seguire
il Vimercate, fatti arditi dalla facilità dell' impresa, lo aveano invaso
dalla parte anteriore; cosicché, in pochi istanti, i rivoluzionarii si
trovarono padroni del campo. Fu naturalmente dichiarato decaduto
l'antico governo; e nella notte, passata fra il terrore e il sangue,
furono conquistate anche tutte le porte della città, compresa quella
ove si trovava il fiero Triulzi (i).
Solo alla mattina si ebbe un po' di quiete (25 febbraio); e al-
lora da quelli, che aveano diretto il movimento e che dovevano
aver tosto costituito una specie di governo provvisorio, si pensò
al modo di dare consistenza e stabilità al nuovo ordine di cose. E
nella stessa chiesa di Santa Maria della Scala, donde si può dire
fosse partito « tam praeclaH facinoris.... initium », come osserva
il Simonetta, fu in questo giorno medesimo tenuta un'assemblea
di primarii cittadini. La seduta riuscì naturalmente tempestosa,
lunghe furono le discussioni, e i pareri infiniti: chi voleva conti-
nuare il reggimento repubblicano, mettendovi però alla testa uo-
mini saggi e onesti; era questa forse la piccola fazione triulziana;
chi invece desiderava il protettorato, se non addirittura la signoria
di un principe. Il re di Francia ed Alfonso, il duca di Savoia e il
pontefice si videro proposti e ben presto scartati; solo de' veneziani
nessuno osò fiatare. Prése la parola il Vimercate, e con abile di-
scorso seppe indurre i milanesi a non fidarsi che dello Sforza, il
marito di una propria concittadina, colui solo che avrebbe potuto,
« uno die, et bello et rei frumentariae inopia oppressam civitatem
u liberare ». Incredibile, ma vero: gli animi di tutti si rivolsero,
come per incanto, al Conte, già tanto detestato fino allora; ed ac-
cettata la proposta per acclamazione, si pensò tosto di fargliela
pervenire. Il Simonetta afferma che ne fu dato l'incarico allo stesso
proponente; ma non pare che egli si sia mosso dalla città; giacché
subito dopo quello storico aggiunge, che lo Sforza fu avvertito di
scala. Sui funerali dell'infelice Venier, « celebrati onorevolmente e lodevol-
« mente » con denari della Fabbriceria del Duomo, cfr. Ann. della Fabh. del
Duomo, voi. II, p. 136.
(i) Egli si arrese, dicono gli storici tutti, seguendo il Simonetta, dietro le
esortazioni del suo congiunto Melchiorre Marliano. Pare però che si sia riservata
per sé e i suoi seguaci piena libertà d'azione, come vedremo.
330 ALESSANDRO COLOMBO
quanto avveniva in Milano da Leonardo Gariboldo (i) e da un
certo Luigi Trombetta, anzi, per tutto quel giorno, fu un incessante
andirivieni di messi da Vimercate e da Milano, quasi per avere o
dare nuove e più sicure informazioni. Lo stesso storico fa poi
comprendere la gioia immensa provata dal suo signore al lieto
annunzio; ma in pari tempo dice che egli non perdette la precisa
visione del momento, e che aumentò la vigilanza sul nemico, dando
ordini precisi in particolar modo al Salernitano e a Roberto San-
se verino, i quali, com'è noto, si trovavano quasi a contatto co' ve-
neti. Il giorno appresso, giovedì 26, radunò un consiglio di guerra:
ciò avvenne senza dubbio al mattino; ivi furono ventilati e discussi
due progetti, se cioè si dovesse assalire il nemico o marciar tosto
su Milano; prevalse alla fine il secondo, sostenuto dal Conte, che
ben sapeva come i fatti compiuti valgano molto di più de' diritti
più o meno pretesi: e poco prima del mezzodì egli in persona,
accompagnato dal Gonzaga « con forse cinquecento cavalieri w (2),
mosse dal campo di Vimercate. alla volta dell'arresa città. 11 viaggio
fu veramente trionfale. Lungo la strada, gli vennero incontro molti
illustri milanesi, fra i quali Gaspare da Vimercate, non che una
folla di popolo esultante (3); quando arrivò a porta Nuova erano
circa le ore venti (i pomeridiane). E qui lo lascieremo per un mo-
mento, parendoci- opportuno fare alcune osservazioni sopra il rac-
conto, qualche volta incompleto, del Simonetta.
Questi ad esempio, nel descrivere l'assemblea del 25 febbraio,
tenuta nella chiesa di Santa Maria alla Scala, si limita a far sapere
che ivi si discusse della forma del nuovo governo e della scelta
del nuovo signore, lasciando comprendere come dopo l'orazione
del Vimercate fu sciolta affatto. Ma i documenti da noi veduti, e
citati in parte anche dal Sickel (4), ci dimostrano che in quella
(1) Faceva parte del collegio de' dottori (giureconsulti), ed abitava proba-
bilmente a porta Comacina ; cfr. più avanti.
(2) Soldo, loc. cit. ; il Gagnola, op, cit., p. 126, dice solo : " con ca-
" valli e fanti „. E lo Sforza stesso, nelle sue « istruzioni » all'Arcimboldo, che
vedremo (in data Piacenza, 24 ottobre 1481), afferma che erano 50, per di più
« disarmati ».
(3) Uno de' primi popolani ad acclamarlo fu, come diremo più avanti, un
certo Jacopo del Palazzo, detto il « Casamatta », il quale venne, per questo ed
altri suoi servigi, ricompensato in seguito dalla duchessa e dal duca ; cfr. cap. III.
(4) Sickel, op. cit, p. 214, nota 5.
331
seduta stessa, o in un'altra tenuta nel pomeriggio, furono trattati
altri argomenti non meno importanti e vitali per la città. Lo storico
sforzesco, senza dirlo in modo assoluto, fa capire che in Milano
c'era tuttavia una frazione, benché piccola, la quale voleva salva-
guardare i diritti della abolita repubblica, pur riconoscendo in mas-
sima le benemerenze del conte Francesco. Questa frazione, come
abbiam detto, era capitanata dal Triulzi. Se così non fosse, non
si potrebbe spiegare il fatto che egli si appostò, [insieme coi suoi
seguaci, a porta Nuova e lì impose allo Sforza, che stava per ol-
trepassarla, l'accettazione di alcuni « capitoli ». Bene è vero che
il Simonetta aggiunge, essere poi lo Sforza riuscito ad entrare in
città, « omissis civium postulatis » (i); ma ciò non nega che essi
furono effettivamente compilati e discussi. Lo dimostra, se non ci
fosse altro, il documento edito la prima volta dal Sickel (2); e
sebbene esso porti la data del 26 febbraio, un altro documento,
che verremo tosto ad esaminare (3), ci proverà in modo non dubbio
che la famosa « capitolazione di Milano » era stata preparata, in
tutti i suoi minuti particolari, fin dal giorno precedente.
Fu sempre asserito che Io Sforza ebbe il dominio del ducato
milanese per « libera elezione di cittadini » ; questo è vero, e
si trova confermato in forma solenne anche in un atto dello stesso
duca, cui più innanzi avremo occasione di studiare (4). Ma dal dir
ciò, e noi sappiamo già in quale senso, al sostenere, come fa il
(i) Simonetta, op. cit., p. 601.
(2) È il doc. XXII, già ricordato. A questo proposito ci piace di far no-
tare che il Bianchi-Gicvini, mentre riassume largamente tale documento (op. cit.,
pp. 163-66), osserva in appendice {Nota sulla capitoìaiione di Milano^ pp. 195-96)
che ne ha sott'occhio due copie, Tuna ricavata dal Reg. G, esistito altre volte
nell'Aich. civico del Broletto (è quella studiata dal S., ora nell'Arch. civico sto-
rico di Milano, Dicasteri, n. 4), l'altra posseduta dall'Ambrosiana nel voi. I delle
Miscellanee Marelliane, perfettamente conformi, a rogito del notaio Jacopo de' Pe-
rego. La deduzione però, che ne fa l'A. (p. 197), è inesalta.
(3) Arch. di Stato di Milano, Potenze sovrane, c?,rt. II, fase. II. Porta la
data dell' II marzo 1450, e in parte fu pubblicato dal Formentini (op. cit., pp. 182-
192), dimostrando tuttavia di averlo poco compreso. È, come vedremo, il rias-
sunto di tutti gli atti relativi alla capitolazione della città e investitura del nuovo
duca. Altre copie di tale documento si trovano e presso l'Arch. civico storico e
presso la Trivulziana ; cfr. doc. IV.
(4) Le « istuizfoni all'Arcimboldo » già citate.
332 ALESSANDRO COLOMBO
Bertolini (i), che « la resa fu di natura affatto incondizionata »,
corre un po' di differenza. Se egli infatti si fosse fermato a consi-
derare con più attenzione i tre documenti citati dal Sickel, a com-
plemento di quello del 26 febbraio, e avesse avuto modo di vederli
nella loro forma integrale, non che di studiarne qualche altro, forse
la sua conclusione (che in fondo è quella del S. stesso) sarebbe
stata alquanto diversa, o per lo meno avrebbe compreso che
r « affare della resa » ebbe una importanza maggiore di quella che
si possa imaginare, e che, trascinato avanti per parecchio tempo,
fu in ultima analisi la vera cagione della lunga proroga data al
solenne ingresso dello Sforza in Milano, e alla conseguente formale
investitura del ducato milanese (2). Ma non precorriamo gli avve-
nimenti.
Da quanto si legge nel principio dell' istrumento 11 marzo 1450,
a rogito de' notai milanesi Jacopo de' Perego e Damiano de' Mar-
liano, appare che, dopo essere stato riconosciuto lo Sforza, fra" i
varii pretendenti al trono duchesco, l'unico degno di salirvi, « unicus
« sapientissimus princeps Franciscus Sfortia visus est omnibus
« dignus, ad quem tota regendi summa deferreretur », esponendo-
sene in breve i motivi (3); ecco così confermata la veridicità del-
l'assemblea descritta dal Simonetta; tutti i « primari cittadini » e
i u popolari » si riunirono nelle loro singole porte e parocchie per
discutere, « sponte, libere, omni impressione cessante », degli affari
e avvenimenti della giornata. Ciò avvenne senza dubbio nel po-
meriggio del 25 (4), giusta il concerto preso avanti si sciogliesse
l'adunanza del mattino; e mano mano che ogni consiglio particolare
(i) Bertolini, op. cit., pp. 4S-46.
(2) Non si devono però trascurare le ragioni di alta politica e la neces-
sità, per parte dello Sforza, di premunirsi da qualsiasi improvviso attacco de' ve-
neziani.
(5) Eccoli : la donazione del defunto duca (cfr. a proposito quanto scri-
vemmo nel nostro lavoro Vigevano, ecc., cap I); la fama guerresca del conte
Francesco ; la reverenza verso la di lui moglie Bianca Maria, già solennemente
legittimata dal padre Filippo Maria.
(4) Così risulta anche dalle prime parole della proposta prima (o interro-
gazione) rivolta al popolo, adunato in generale comizio il detto giorno 11 marzo,
dal presidente Guarnerio da Castiglione: « Primo, videlicet attento quod pridie
« mensis preteriti vigesimo sexto... » ; dove il Formentini (op. cit , p. 184), non
sappiamo perchè, legge per die anziché pridie.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC.
333
o di porta era riuscito a mettersi d'accordo ne' punti principali,
sempre secondo l'intesa, si trasportò in massa, per l'assemblea ge-
nerale, alla solita chiesa di Santa Maria alla Scala. Il nostro do-
cumento dice che anche questa riuscì numerosissima: « conuene-
u runt in magno numero »; e subito procedette alla nomina di 24
fra i più cospicui cittadini, quattro cioè per ogni porta, deputan-
doli espressamente « ad prouidendum Statui et Ciuitati et ad ca-
u pitulandum cum.... Ill.'no domino Francisco Sfortia », munendoli
de' necessari poteri, e per di più dando loro, ove lo avessero cre-
duto necessario, facoltà di farsi per ciò sostituire da sei cittadini
scelti nel proprio seno, uno per porta. I 24 eletti furono appunto
i seguenti:
Pietro Cotta
Bartolomeo Morone
Franceschino di Castel S. Pietro
Cristoforo Pugnano
Guarnerio da Castiglione
Jacopo d*Angera
Giovanni Corio
Francesco Meravigli
Ambrogio de Clivio
Tommaso Amicono
Bartolomeo Gallar ano
Simone di Abbiate
Antonio de Pozzi
Antonio de Tr inizio
Bartolomeo Visconti
Giovanni de Pietrasanta
Giorgio Piatti
Lanzalotto Grotti
Gaspare del Conte
Giovanni Stampa
Dott. Jacopo de' Dugnano
Dott. Stefano dt Bossi
Dott. Ambrogio de Pagani
Dott. Leonardo Gariboldo
per porta Nuova
per porta Vercellina
per porta Orientale
per porta Romana
per porta Ticinese
per porta Cumana
Costoro seduta stante, dietro invito anche del popolo e de' cittadini
(nobili), deputarono « ad omnia predicta peragenda n quattro dei
334 ALESSANDRO COLOMBO
propri, il Castiglione, il Pagnano, il Pietrasanta e il Cretti, e due
altri scelti fuori, Melchiorre de' Marliano e Giovanni Antonio da Vi-
mercate.
Ed eccoci oramai al nocciolo della questione. Che cosa fecero
la « giunta de' 24 » e la « deputazione de' 6 » ? Quanto dice al
riguardo il Sickel (i), e per conseguenza ripete il Bertolini (2),
non ci sembra troppo esatto. Noi qui ci troviamo di fronte a una
serie di documenti importantissimi, parte editi e parte non, della
cui autenticità non è lecito dubitare. L'istrumento dell'i i marzo
poi, che li dovrebbe riassumere e spiegare, lascia apparentemente
qualche lacuna, ne cita qualche altro che non fu possibile- rinve-
nire, e non fa parola di alcuna opposizione sorta dentro o fuori
del Generale Consiglio. Non sarebbe adunque vero il fatto di Am-
brogio Triulzi a porta Nuova? E allora come si spiega che egli fu
relegato « in perpetuum » dallo Sforza in una sua villa? (3). A
tutte queste domande e possibili contraddizioni vediamo di rispon-
dere con ordine.
Anzitutto è certo che i 24 della « giunta » sopracitata, e in
modo particolare i 6 « deputati », ebbero dal Consiglio Generale,
che li nominò il 25 febbraio, ordini precisi, se non addirittura pe-
rentorii. Lo dice il nostro istrumento: « .... eligerunt (i 24 cittadini)
« et deputauerunt cum potestate et mandato et commissione sub-
« stituendi.... sex ex ipsis uiginti quatuor ciuibus, et omnem su-
u biectionem et recognitionem et fidelitatem faciendi, et cum pieno
u arbitrio concludendi cum malori uel minori capitulorum parte,
a uel etiani sine capitulis, remittentes omnia ad arbitrium et de-
« liberationem prefati d. Ducis » (4). Ed essi si misero subito
al lavoro. Furono concordati in massima i capitoli della resa (in
numero di 29); ed avuto ampio mandato di procura con atto
steso dal notaio di Milano Ambrogio de' Gera addì 26 febbraio
(i) Sickel, op. cit., pp. 215-16.
(2) Bertolini, op. cit, pp. 46-47.
(3; Simonetta, op. cit., p. 604; Couio, op. cit., voi. Ili, p. 181.
(4) Il Sickel e il Bertolini vorrebbero, che tale facoltà fosse stata loro con-
cessa la seconda volta che si recarono a Vimercate ; ma a noi pare che non sia
cosi, almeno dall'attenta lettura fatta dell' istrumento 1 1 marzo, e in modo par-
ticolare del primo quesito già citato e proposto dal Castiglione, dove appunto si
trovano tali parole.
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 335
1450 (i), i sei deputati si recarono, in questo stesso giorno e di buon
mattino, al campo dello Sforza a Vimercate, per esporgli e fargli ac-
cettare le condizioni, dietro le quali la città era disposta ad arr^r).
dersi. Notiamo per incidenza che, fra i 24 della giunta, era il nipote
di Ambrogio Triulzi, Antonio, e che l'altro suo parente, il Marliano,
faceva parte de' sei. Ci viene pertanto il dubbio, che quel fiero re-
pubblicano abbia potuto aver da loro copia o per lo meno notizia
de' capitoli che si preparavano, e che, dubitando dell'accettazione
de' medesimi da parte del Conte, si sia riservato di far egli, per
così dire, un colpo di mano. In modo diverso non si può spiegare
il racconto del Simonetta; il quale, del resto, tace affatto della
conferenza avvenuta, la mattina del 26, tra il proprio signore e i
sei delegati milanesi. Giunti adunque costoro a Vimercate e ammessi
alla presenza del conte, gli lessero i famosi capitoli; ed egli, in-
deciso sul da fare, né volendo d'altra parte opporre un formale
rifiuto, scelse una via di mezzo: dichiarò, cioè, di accettarli in mas-
sima, ma volle ad ognuno di essi, particolarmente, dare la propria
risposta. Non ne risultò pertanto un atto definitivo, ed è a ritenersi
che le risposte stesse siano state scritte sul foglio medesimo portato
da' delegati di Milano (2); tuttavia questi se ne mostrarono sod-
disfatti, e valendosi forse de' pieni poteri loro accordati da' proprii
concittadini, nel partirsene, assicurarono lo Sforza che i capitoli,
così com'erano stati « promessi, jurati, conclusi » (ma non ancora
« firmati »), sarebbero riusciti di pieno aggradimento ai milanesi,
e lo invitarono senz'altro a prender possesso del nuovo dominio (3).
Licenziati i delegati, lo Sforza adunò subito il consiglio dei
generali; e, come già sappiamo, dopo aver esposto in breve la si-
tuazione e udito, secondo era il suo costume, il loro parere, noti-
ficò che nella giornata stessa sarebbe partito alla volta di Milano,
(i) Non ci fu possibile rinvenire tale documento, cosi solennemente ricor-
dato dal Castiglione. Un altro identico, sotto la data però del 28 febbraio e
dello stesso notaio, lo vedremo più avanti (cfr. doc. II).
(2) Questo dovea essere stato steso e autenticato dal notaio milanese Ja-
copo de' Perego, come appare del resto chiaramente dal doc. XXII del Sickel ;
e che non fosse definitivo, lo prova la mancanza in fine delle firme de' rispet-
tivi contraenti e testimoni.
(3) Arguiamo che così abbiano fatto, perchè tale fu pure l' istruzione con-
tenuta nella procura già citata del 28 febbraio, e che vedremo più avanti.
33^ ALESSANDRO COLOMBO
per inaugurarvi il nuovo governo. Ed invitò ad accompagnarlo lo
stesso Gonzaga.
Intanto i nostri delegati erano di ritorno alla città, attesi na-
turalmente con ansia; non possiamo dire con sicurezza come sia
stato accolto l'esito della loro ambasceria: certo alla frazione re-
pubblicana dispiacque il fatto, che i capitoli non fossero stati accolti
e firmati nella loro integrità (i); ecco la ragione del colpo di testa
di Ambrogio Triulzio. Ad ogni modo nell'adunanza plenaria, che
si tenne tosto nella solita chiesa di Santa Maria alla Scala, i de-
legati stessi, dopo aver riferito della loro missione, ordinarono
u portas ciuitatis aperirì, et prefato Ill."^o Domino Francisco Sfortie
« patentes fieri ». La proposta fu naturalmente approvata all'una-
nimità, dentro e fuori del consiglio; anzi il nostro istrumento del-
l'i i marzo fa capire, che la cittadinanza tutta, per questo lieto fatto^
si abbandonò ad immense dimostrazioni di gioia: lo spauracchio
terribile della carestia era ormai scongiurato. Così lo Sforza fu
proclamato e riconosciuto « duca di Milano » ; e perchè il prossimo
ricevimento di lui avesse a riuscire più solenne, « bona habita inter
« nobiles et ciues ac uniuersum populum ac matura deliberatione »,
si stabilì di andargli incontro in massa e di far sonare al suo ar-
rivo tutte le campane della città. Il noto documento continua nar-
rando che, dopo le accoglienze entusiastiche della folla, che accom-
pagnò il novello duca, « cum maxima illaritate et incredibili letitia »,
da porta Nuova sino alla chiesa Maggiore (Duomo), egli fu investito
della sovrana dignità « cum reseruatione et sine preiuditio cuius-
« libet juris » (2), Queste 'parole hanno per noi una grande im-
portanza; tanto più che subito dopo si aggiunge, essersi il Consi-
glio Generale nuovamente adunato per decidere sulla definitiva
traslazione della podestà ducale, e aver lo Sforza, « statim », ab-
bandonata la città, « ut liberalioribus animis hec magna res per-
u ficeretur, et omnium ciuium pienissimo consensu concludere-
u tur », lasciando in pari tempo ordine di fargli sapere a Vimer-
cate, u quid ciues mediolanenses et populares iterum statuerent, et
(i) I contrari al Conte dovevano essere tuttavia pochi, se è vero quanto si
legge nelle istruzioni sue all'Arcimboldo, del 24 ottobre 145 1: « Et che questo
« fia uero, che le uoluntà de tucti (milanesi), excepti alcuni pochissimi, corressino
« in Noy... ».
(2) SiCKEL, op. cit., p. 216.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 337
« concorditer matura discussione deliberarent ». Che cosa era av-
venuto? E perchè s'insiste tanto sopra questo « completo ac-
li cordo » della cittadinanza? Ecco come presumibilmente si pos-
sono spiegare i fatti.
Che alla frazione repubblicana, rappresentata ormai dal Triul-
zio, dall'Appiano e dall'Ossona (questi due ultimi ex-capitani e di-
fensori della libertà), non fosse piaciuto il modo con cui erano stati
concordati i capitoli della resa, lo abbiamo già detto; che essa poi
abbia cercato di far sorgere in proposito qualche tumulto nella
città, è facile dedurlo dal racconto del Simonetta (i), il quale ap-
punto dice che il Vimercate, intuendo il pericolo che il popolo
« volubile w avesse a cambiar d'opinione, si affrettò ad andare in-
contro allo Sforza, per consigliarlo a non indugiare. Né il timore
del Vimercate era senza fondamento. Giunto infatti a porta Nuova,
che pareva la più sicura, il conte Francesco la trovò, con sua ma-
raviglia, chiusa e ostruita da macerie e col ponte alzato; ma ciò
che fece ben tosto mutare in ira la sua maraviglia, si fu di vedersi
innanzi il Tr.iulzio, il quale, sostenuto da' suoi seguaci, pretendeva
firmasse integralmente i capitoli, non ostante quanto era stato sta-
bilito co' delegati milanesi il mattino stesso. Era questo un buon
motivo per mandar a monte ogni trattativa; e senza dubbio, ubbi-
dendo al primo impulso, lo avrebbe fatto lo Sforza, ove non fossero
subito intervenute l'opera pacificatrice del Vimercate e la piena di-
sapprovazione da parte de' cittadini, affollati dentro e fuori della
porta, all'atto inconsulto del Triulzio. Tuttavia lo spiacevole inci-
dente lasciò nell'animo del superbo condottiere della freddezza,
cui non valse a far scomparire del tutto la calorosa e spontanea
accoglienza che ebbe poi, entrato in città (2); e come non la per-
(i) Simonetta, op. cit., p. 601. Il Corio, op. cit., Ili, p. 179, scrive pre-
cisamente così : et ... non essendovi chi comandasse, v'era pericolo per l'audacia
« di alcuni ai quali era molesta quella mutazione ».
(2) Non sappiamo quanta fede meriti l'asserzione del Simonetta (ripetuta
testualmente dal Corio e dagli altri storici), non aver cioè lo Sforza potuto
smontar da cavallo per la grande ressa che avea intorno, e, portato quasi a braccia
dalla moltitudine, lui e il suo cavallo, per un buon tratto di strada, essere in tal
modo entrato in Duomo. Certo che la dimostrazione ricevuta allora da' milanesi
fu assai grandiosa e commovente ; lo conferma non solo il nostro istrumento, ma
anco le già citate istruzioni del 24 ottobre 145 1 : « ... quando Noi la prima
« uolta intrassimo in milano per porta noua, gli intrassimo senza arme : et non
33^ ALESSANDRO COLOMBO
donò a quelli, che ne erano stati gli autori (i), così volle si rifa-
cessero i capitoli della resa, si lasciasse a lui pieno potere di ac-
cettarli u in totum et prò parte >» e, venendo per trasferirgli il
dominio, i deputati stessi prestassero atto di sottomissione e giu-
« haueuamo oltra ad L.ta persone de nostre cum Noy disarmate, et se miserno
« in mezo de persone circa L."i et in effecto de tucto lo popolo, tra li quali
« infiniti erano armati, quali ne compagnorono fino ala Ecclesia mazore, cridando
« quodammodo : osanna in excelsis, per tale modo che niuno de nostri ne era
« presso ad L braza: et de certo ne toccarono la mano de li homini X.m et più,
« et non solamente li homeni, ma infinite notabile donne... ».
(i) Arch. di Stato di Milano, Re^. due, Framm., 1420-^2 :
Modoetie, die XXo Marti] 14^0.
Scriptum fuit Bolognino prò infrascriptis etc.
D. Gabriel de Brena
Johanne[s] de Suyco
Stefanus Rabbia ) in Castro papié
Ambrosius machassola
Antonitis de cornile
Johannes de assona )
Michael de Jncino > in Castro Modoetie.
Johannes de Appiano )
Da questa semplice nota, diretta a Bolognino de Attendoli, castellano di Pavia,
si apprende che otto de' dodici componenti l'ultimo magistrato della libertà
furono imprigionati il 20 marzo 1450, i primi cinque in Pavia, gli altri tre
in Monza. Quanto a Pier Candido Decembrio, che il Sassi [Historia typ^
lift, tnediol., a. 1488, in Argellati, Biblioteca script, mediol, I, cccv) ci fa sa-
pere essere fuggito a Roma, « paternis omnibus bonis exutus », e là poi beni-
gnamente accolto da papa Niccolò V, il Gabotto {^attività, Qcc.y loc. cit.) ri-
tiene « assolutamente infondato il giudizio » che egli abbia lasciato la città
« per isfuggire alla disgrazia e forse alla vendetta ». Già abbiamo visto come
Ambrogio Triulzi venne relegato in una sua villa; egli non era però dei
difensori e capitani della libertà. Piuttosto pare vi appartenessero quegli altri
quattro, che il Magenta, I Visconti e gli Sforma nel castello di Pavia, voi. I,
p. 446, ricorda tra i 43 confinati dal duca e rinchiusi in quel castello: Agostino
di Cisate, Pietro Regna, Giovanni da Birago e Onofrio RulTaldo. Giovanni da
Sorico (il nostro documento dice a de Suyco ») morì in carcere (Magenta, ibid.),
e Antonio da Vergo (cosi scrive il Magenta) è certamente il nostro Antonio del
Conte. Quanto all'Ossona e all'x\ppiano, che il Giulini, op. cit., voi, VI, p. 470,
dice « chiusi in carcere, dalla quale poi non so quando vennero liberati », il
Ghikzoni, Giov. Ossona e Giov. Appiani nella racchetta di Mon:(a, in quest'or-
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 339
ramento di fedeltà (i). Un'ora dopo circa (2), e cioè alle 21 (3), la-
sciava Milano e si recava nuovamente al campo.
Quello che abbia fatto il nuovo duca, in codesta sua prima e
breve permanenza nella nostra città, non è possibile dire con cer-
tezza (4), Il Simonetta (5) racconta che, dopo essere entrato nel
massimo tempio a ringraziare Dio e la Vergine Madre, si recò
u ad Viridarium » (Verziere), sostando alquanto, ma senza scender
di cavallo, dinanzi alla casa de' Marliani (6); che quivi si rifocillò
in fretta; e, nominato « governatore interinale » di Milano (« ad
« suum usque reditum ») Carlo Gonzaga, e impartiti a lui gli ordini
principali e più pressanti, uscì di porta Orientale per far ritorno
al campo. Ma quali siano questi ordini non dicono i documenti ;
certamente essi furono dati a viva voce e, oltre alla famosa re-
visione de' capitoli della resa, dovevano riguardare la nomina del
podestà, del vicario e de' XII di Provvisione, la riorganizzazione
dell'amministrazione del comune, la sicurezza e l'igiene pubblica,
la punizione de' colpevoli, la libera importazione di vettovaglie e
distribuzione di soccorsi ai più bisognosi (7). Quanto alla famiglia
chivio, V, 1878, pp. 205-27, dimostra, contrariamente a quanto affermò il Peluso,
essere cioè stati liberati dopo pochi giorni, che il primo venne ucciso in prigione
e il secondo non ne fu liberato che alla fine della guerra con Venezia. Per la
storia ricordiamo, che dopo il 20 marzo lo Sforza fece ancora rinchiudere in
Pavia Giacomino da Villano va, Cigolino da Bescapè, e 1' 11 dicembre 1450 la
moglie e tre figlie di Innocenzo Cotta, a principalisssimo suo nemico » (Ma-
genta, loc. cit. e voi. II, pp. 224-25, doc. n. CCLI). Erano pure allora sotto
custodia del Bolognino il marchese Guglielmo di Monferrato e Antonio Centi-
glia, marchese di Cotrone e conte di Veutimiglia, de' quali già abbiamo discorso,
nel cap. I.
(i) Cosi appare anche dall'atto o mandato di procura del 28 febbraio, che
vedremo.
(2) Soldo, loc. cit. : « E questo fu a dì XXVI di febbraio 1450, e stette
« dentro forsi un ora... ».
(3) Lo Sforza entrò in Milano, come abbiam detto, alle ore venti.
(4) In memoria di questo primo ingresso pare siasi fatta, addi i.** marzo,
una solenne processione per le vie della città, parate a festa ne' luoghi più im-
portanti, col trasporto delle sacre rehquie dalla cattedrale. Vedine le spese rela-
tive ne' più volte citati Ann. della Fabh. del Duomo, voi. VIII, p. 72 (docc. sotto
le date 3, 7, 12 del detto mese di marzo).
(5) Simonetta, op. cit., p. 602.
(6) Cfr. CoRio, op. cit., voi. III, p. 193, note.
(7) CoRio, op. cit., voi. Ili, p. 180.
34^ • ALESSANDRO COLOMBO
dell'assassinato Venier, il Sanuto (i) scrive che lo Sforza, appena
entrato in Milano, « liberò tutti que' Veneziani e que' della famiglia
u deirOrator nostro, perchè desiderava d'esser benevolo colla Si-
it gnoria nostra, conoscendo la nostra gran possanza... ».
Noi conosciamo indirettamente, e cioè per mezzo del noto
istrumento dell' ii marzo, che il cavaliere Biagio de Assareto fu
eletto a podestà di Milano, e a suo vicario il dottore Gabriele da-
Vimercate; non sono però ricordati i nomi de' XII di Provvisione,
mentre si menzionano quelli degli Anziani delle porte; rimasero
ancora in carica, come era del resto naturale, i 24 della « giunta »,
Conosciamo pure i nomi di sei « trombetti «t del comune (2). Un
documento poi del 28 febbraio 1450, edito dal Morbio (3), in cui
si ordina « che ciascaduno de li olim capitanei et defensori de la
(i) Sanuto, op. e loc. cit. Un Giovanni Basilasco, venuto a Milano al
seguito del Venier, vi appare però ancora prigioniero nel giugno 1450; cfr. lettera
23 giugno 1450 allo Sforza degli oratori fiorentini a Venezia, come si dirà più
innanzi.
(2) Con lettera da Monza, 19 marzo 1450 (Arch. civico storico di Milano,
Registro lettere ducali^ fol. 5), dietro richiesta del vicario e de' XII di provisione,
lo Sforza conferma in carica i sei tubatori del comune, già esistenti : Giovanni
de Omate, Giorgio de' Rolandi, Beltramo del Borgo, Ambrogio de' Lattarella,
Giacomino da Reggio e Antonio de Omate. Ecco la lettera, nella sua integrità:
« Franciscus Sforti a Vicecomes Dux Mediolani etc. Magnifici dilecti nostri.
« Accepimus litteras vestras, intelligimusque quid per ipsas ad nos scribitis de
« suffìtientia illorum sex tubetarum, quos dictis litteris vestris inclusa cedula de-
« scriptis habuimus, quorum hec sunt nomina ; primo, Johannes de homate,
<( Georgius de rolandis, Beltramus de Burgo, Ambrosius de lactarella, Jacobinus
« de Regio et Autonius de homate. Attendenteque quam stricte prò eorum con-
« firmatione ad nos scribitis, et nobis persuadentes ipsos sex, prout scripsistis
« dicto tubarie communi huius nostri offitij, idoneos esse et suffitientes, con-
« tentamur suprascriptos sex ad dictum tubarie offitium ab hodierna die in antea
« confirmatos esse. Et si opus est de nouo ipsos elligimus et in dicto offitio
<( confirraamus, prout hactenus dicto prefuerunt offitio.
« Dat. in castro terre nostre Modoetie, die XVIIJJ." Marti] MCCCCL.o
« ClCHUS ».
A tergo: « Magnificis Dillectis nostris Vicario et XIJ promixionis Commu-
« nitatis inclite urbis nostre Mediolani ».
(3) C. Mori IO, Codice Visconteo- Sfor^^esco (voi. VI della Storia de' muni-
cipi italiani), Milano, Manini, 1846, pp. 335-37, doc. n. CXL.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 34I
« libertade » si abbia a presentare, per le ore 20, al Gonzaga nella
sua sede alFArengo, « che questo è per importantissima casone »,
concedendo perciò speciale salvacondotto e dichiarando ribelli co-
loro, che avessero osato rifiutarsi, o altrimenti impedito a' detti Ca-
pitani e difensori di ottemperare al comando, ci prova come il
nuovo governatore di Milano pensò subito a liberare la città degli
elementi di possibile futuro disordine. E in qual modo infine lo
Sforza abbia provveduto a far cessare la carestia, che è in altri
termini il substrato di ogni rivolta, vedremo da sue lettere auten-
tiche, in gran parte ancora inedite.
Intanto sarà bene conoscere l'ultima fase della importante que-
stione de' capitoli della resa e del trasferimento del ducale dominio.
Non è provato che i sei deputati, de' quali conosciamo i nomi, ab-
biano seguito il novello duca a Vimercate, quantunque una frase
del nostro istrumento lo possa far credere (i); è certo però che
essi , accresciuti di numero e muniti di pieni poteri (2), si reca-
rono al campo sforzesco il 28 febbraio, portando seco una copia
de' famosi capitoli del 26. Questi furono, in quello stesso giorno, .
definitivamente concretati e giurati (3); ma l'atto formale e solenne
di traslazione del dominio milanese non fu steso che tre giorni
dopo (3 marzo), nella casa del conte Giovanni Corio (4) a Vimer-
(i) «... omnes ciues et populares Mediolanenses, et uiginti qùatuor de-
ce putati magna sollicitudine institerunt, decreuerunt et iusserunt, quod illi sex
« elccti... prefatum 111 um Dominum Franciscum Sfortiam sequerentur... w. Di
questo parere pare sia il Bertolini (op. e loc. cit.), informandosi naturalmente al
Sickel.
(2) Doc. II. Copia autentica in cod. 1292 {Miscellanea storica, Repubblica
Ambrosiana^ doc. I) della biblioteca Trivulziana. Il nuovo aggiunto è Graziano
de' Trincheri ; ma egli non compare nell'atto del 3 marzo.
(3) Sono editi dal Formentini, op. cit., doc. n. XXV, pp. 178-82, però
con la data erronea del 27 febbraio, sabbato. Li citò il Sickel, ed esattamente
sotto il giorno di sabbato 28 febbraio, alla nota 3 della p. 214. Quest'ultimo
osserva che anche questi capitoli si trovano in originali all'Arch. civico di Mi-
lano ; noi però non ve li abbiamo più trovati. L'edizione del Formentini è in
tutto conforme al doc. XXII del Sickel, naturalmente senza le risposte del duca,
e ccn qualche variante nella lezione. Una copia di tali capitoli esiste tuttavia,
inserta nell' istrumento del 3 marzo ; ma da essa appare che il numero di essi
da 29 venne ridotto a 28.
(4) Uno de' ventiquattio ddla giunta, eletto per porta Vercellina.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXIT, Fase. VI. 22
34^ ALESSANDRO COLOMBO
cate, per mano del notaio Domenico de' Marliani (i). È prezzo
dell'opera considerarne brevemente il contenuto.
Ammessi alla presenza dello Sforza, i delegati di Milano, dopo
le solite formalità, gli presentarono i capitoli modificati del 28 feb-
braio (2), lasciandogli ancora « pieno arbitrio » di riformarli, di-
minuirli o cassarli « in totum vel prò parte w, secondo le istruzioni
espressamente ricevute dalla « giunta » e dal Consiglio Generale (3) ;
giurarono quindi nelle sue mani e sulle sacre scritture eterna fe-
deltà e sudditanza a lui e a' suoi eredi e discendenti; gli promisero
infine che, « in alia solemni congregatione ciuium et populi »,
avrebbero fatto proclamare sul suo nome « translationem domini i
« et ducatus et pertinentiarum in ampliori forma j uri dica ». Ciò
avvenne, come vedremo, sette giorni più tardi (4); intanto, per
conto proprio e de' 24 che rappresentavano, lo proclamarono e ri-
conobbero legittimo M nuovo signore e duca w (5).
(i) Doc. III. Copia cartacea autentica, estratta dagli originali dal dottor
Antonio Verga, notaio collegiato di Milano, il giorno 17 luglio 1759; Archivio
civico storico di Milano, Dicasteri, cartella n. 4. — Ne ha dato notizia, non che
un estratto, il Verri, op. cit., voi. II, p. 36 ; lo ricorda pure il Rosmini, op. cit.,
voi. II, p. 452; e nella solita nota 3 a p. 214 il Sickel. Lo citano pure il Ru-
BiERi, loc. cit, e il Cipolla, Signorie, Milano, 188 r, p. 439; è indirettamente
impugnato dal Bertolini, loc. cit. Altra copia autentica di questo istrumento
ved. nel codice 1292, doc. II della Miscellanea qcc. cit., esistente nella Trivul-
ziana.
(2) Il capitolo ommesso è 1' ultimo (XXIX), riguardante precisamente la
successione al ducato, reso ormai inutile, perchè implicitamente contenuto nel
giuramento fatto da' sei deputati. Le risposte (« tenor responsionum ») del conte
Francesco sono messe tutte dopo il « tenor capitulorum ».
(3) Le precise parole sono anche citate dal Sickel, op. cit., p. 214 ; non
comprendiamo quindi perchè il Bertolini, op. cit., pp. 46-47, dica che i sei
deputati a valicarono i termini della potestà loro assegnata » (ved. nostra
nota 4 a p. 334).
(4) Cfr. doc. IV. Affatto insussistente ci sembra l' affermazione del re-
censore dell'opera del Formentini (in La vita nova, a. II, 1877, voi. II, p. 159,
in nota, alla rubrica Libri milanesi, e firmato A. S.), non aver fatto « questo
ce plebiscito.... che sanzionare la violenza de' fatti compiuti, perchè fu indetto il
« giorno II marzo, mentre lo Sforza, procedendo a la italiana *e no hiuendo
« più conscientia, che l'altri pari soy' (come gli consigliava Cosimo de' Medici),
a avea già occupata la città il 27 febbraio (sic) ».
fS) È nella « Minutta seu Tessera », aggiunta all' istrumento del 3 marzo,
e sotto la data medesima.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 343*
Compiuta per tal modo la delicata missione, i sei fecero ritorno
a Milano e riferirono ogni cosa a' colleghi della Giunta. Ma per-
chè l'opera loro avesse a sortire pieno effetto, mancava ancora la
solenne approvazione del popolo, riunito in generale assemblea;
questa si ebbe appunto, come abbiam detto, Tu marzo (i). Quanto
avvenne in codesta memorabile seduta è già noto, avendolo altri
prima di noi sommariamente esposto (2); converrà pertanto che
noi ci limitiamo a ricordarne i punti principali.
Con « grida » pubblicata il mattino deirii, e fatta proclamare
da' soliti banditori (3) in tutte le piazze e carrobii d'uso, il podestà,
il vicario, i XII di Provvisione e i XXIV della Giunta invitarono,
« per l'ora decimanona » di quello stesso giorno, tutti i capi-famiglia
a riunirsi « honestamente et senza alcuno strepito in la corte grande
il anteriore sita su la Piazza del Arengo », per trattare e discutere
H modestamente » di cose pertinenti alla città, e in modo partico-
lare « circa la translatione del ducato et del dominio de Milano » (4).
L'assemblea fu difatti tenuta all'ora stabilita e riuscì, com'era facile
(i) Doc. IV. Si trova parzialmente e malamente pubblicato dal Formen-
TiNi, op. cit., doc. XXVI, pp. 182-92 ; questi anzi lo confonde con V istru-
mento del successivo 22 marzo, facendone un tutto solo : il che non è punto
vero. Lo ricorda il Sickel, op. e loc. cit, nota 3, e ne dà l'inizio: « Imbre-
c( matura Damiano de Marliano etc. d. d. ir Martij 1450 » ; fu da luì veduto
nell'Arch. notarile, ne' rogiti del notaio camerale Jacopo de' Perego. Una copia
in pergamena, redatta nel 1758 e collazionata con l'originale, si trova nell'Ar-
chivio di Stato di Milano, Potenie estere ; contiene anche l'atto del 22 marzo.
Altra copia autentica esiste nel cod. 1292, doc. Ili della Trivulziana ; e una terza
nell'Arch. civico storico, sede cit. Dicasteri, in seguito all' istrumento del 5 marzo,
estratta e collazionata ecc. nel 1759 dallo stesso notaio Antonio Verga. Un
estratto dell' istrumento 11 marzo si trova pure nella sede Potenie sovrane del ci-
tato Arch. di Stato (copia cartacea non autentica). Noi riproduciamo la copia
autentica del 1758, e naturalmente solo quella parte non pubblicata dal Formen-
tini. Avvertasi ancora, che il Simonetta non accenna punto né a questo né agli
altri documenti del 26 e 28 febbraio e 3 marzo ; ma si limita solo a osservare
(p. 604), che le cose di Milano non si accordarono tosto facilmente, per cui lo
Sforza dovette rimandare l'ingresso solenne « a più tardi ». Il Cipolla, op. cit.,
pp. 430-51, chiama questa dell'i i marzo 1450 « un'altra solenne finzione! ».
(2) FORMENTINI, op. cit., pp. JO-J2: RUBIERI, Op. cit., VOl. II. pp. 2I7-I9.
(3) I fratelli Antonio e Matteo de Arezio; essi non sono citati nella lettera
ducale del 19 marzo 1450.
(4) Detta grida è pure riportata a parte dal Formentini, op. cit., pp. 69-70 ;
trovasi inserta nel documento dell' 11 marzo 1450.
344 ALESSANDRO COLOMBO - L* INGRESSO, ECC.
a prevedersi, numerosissima. Ad unanimità fu chiamato a presie-
derla il Castiglione; ed egli, spiegati brevemente lo scopo e la
importanza del comizio, mise in votazione sette quesiti da lui stesso
composti, che riassumevano in parte le deliberazioni già prese, in
parte ne presentavano delle nuove (i). Chiese pure un credito di
mille e cinquecento ducati, per far fronte alle spese della incoro-
nazione e per l'acquisto, degli oggetti necessari: carro trionfale
con baldacchino, manto, vessillo, chiavi, ecc. Tutto fu approvato.
E, seduta stante, furono eletti i sette cittadini che dovevano, con-
segnare le ducali insegne (2), i dodici (due per porta) che dovevano
presentare le chiavi (3), e gli altri dodici che dovevano prestar
giuramento (4), stabilendone eziandio la formula. Le ultime dispo-
sizioni per il solenne ingresso furono rimandate ad altra adunanza,
dovendosi nel frattempo udire le ulteriori volontà del duca. E in-
tanto di quello, che era stato deciso e solennemente concesso, fu
subito redatto formale istrumento per mano de' notai Jacopo de' Pe-
rego e Damiano de' Marliani, alla presenza de' pronotarii e testi-
monii voluti e richiesti.
(Continua) Alessandro Colombo.
(i) Detti quesiti sono riassunti dal Formentini, op. e loc. cit., e dal Rubieri,
op. cit, voi. II, pp. 220-21 ; però quest'ultimo sbaglia quando afferma, che il po-
polo milanese stabilì (quesito IV) dover la successione al ducato spettare unica-
mente a' figli maschi e legittimi. Giacché basta leggere con attenzione il nostro
documento (parte edita dal Formentini), non che la formula del giuramento, per
persuadersi come in linea di diritto non fossero escluse anco le femmine,
(2) Sono i seguenti; Oldrado de' Lampugnano, conte Filippo Borromeo,
Pietro Visconti, .Gaspare da Vimercate, Antonio de' Triulzio, Melchiorre de' Mar-
liano, Pietro Pusterla. Le ducali insegne erano : la clamide, il bavero, il berretto,
lo scettro, lo stendardo o vessillo, il sigillo e la spada.
(3) Sono: Francescano di Castel S. Pietro e Cristoforo Pagnano (per porta
Nuova), Guglielmo de' Marliano e Ambrogio Cotta (Orientale), Antonio Porro e
Francesco Surigono (Romana), Biasolo de' Cusano e Leone Beacqua (Vercellina),
Ambrogio Gagnola e Varisino da Landriano (Cumana), Giovanni Stampa e Ar-
rigolo da Arconate (Ticinese).
(4) Eccone i nomi: il dott. Scipione de' Casate e il causidico Antonio de'
Grassi (Nuova), Tommaso Amicono e Giovanni de' Raude (Orientale), Luigi Mo-
neta e Luigi de' Pietrasanta (Romana), Gaspare del Conte e Ambrogio de' Grassi
(Ticinese), Niccolò de' Meravigli e il milite Francesco de' Fossato (Vercellina),
Bartolomeo da Vimercate e Giovanni Stefano de' Casate (Cumana^.
VARIETÀ
Due documenti inediti
riguardanti beni allodiali di laici milanesi
Ei secoli scorsi, quando ancora le preziose pergamene
erano conservate negli archivi dei monasteri, là dove le
tradizioni locali facilmente potevano commentarle, gli eru-
diti prendevano volontieri la strada dei chiostri. Vi tro-
vavano maggior ordine ed abbondanza nelle carte, un'accoglienza
abitualmente più benigna e, non di rado, la collaborazione dei mo-
naci stessi, conoscitori esperti dei ricchi depositi loro affidati. A
partire dalla fine del sec. XVIII, ai frati furono tolti i loro archivi,
quasi senza eccezione, e, poiché parliamo di Milano, si vennero accu-
mulando, come ognun sa, nel nostro Archivio di Stato, costituen-
dovi r imponente doviziosissima raccolta del fondo di religione.
Mancato ormai il prezioso e simpatico nesso fra la sede ed i docu-
menti, permane il vantaggio inestimabile di una certa selezione, in
base a criteri topografici ed anche cronologici. Si è aggiunta la
agevolezza che viene allo studioso dal soccorso illuminato e cor-
tese degli egregi cittadini preposti alla direzione dell'Archivio,
primo fra questi il dotto e lacrimato conte Ippolito Malaguzzi- Valeri,
teste scomparso così crudelmente.
Nasce da tutto ciò la conseguenza che quasi ogni ricercatore
delle nostre più antiche memorie, dal conte Giulini al consigliere
Discaro, abbia ristretto la sua documentazione nel campo un poco
chiuso, sebbene vastissimo, delle carte riguardanti corpi ecclesiastici,
anzi più precisamente, corpi regolari. Sta bene che ai monasteri siano
346 VARIETÀ
pervenuti non pochi documenti di origine laica ; gli effetti dell'ac-
cennato carattere, delle fonti d'archivio più spesso e volentieri com-
pulsate, non è per questo meno visibile. Per citare un solo auto-
revole esempio, ricorderò che il Lattes, studiando il nostro diritto
con metodo così rigoroso e fecondo (i), ebbe spesso ad accorgersi
dei limiti impostigli dalla natura ecclesiastica dei documenti, quando
voleva raffrontare alle raccolte di leggi e consuetudini, saggi della
loro applicazione quotidiana.
Gli archivi delle famiglie più antiche e cospicue, se si possono
con certezza ritenere molto meno ricchi di quelli degli ordini reli-
giosi, sono tuttora lasciati in un canto. Ed è sorprendente come
questa regola, dal Giulini in poi, sia stata scrupolosamente osser-
vata. È sola bella eccezione il compianto don Felice Calvi, che però
ebbe scopi specialmente genealogici e preferì rievocare le epoche
seguenti alla rinascenza.
Ho creduto opportuno di scostarmi in questo punto dall'esem-
pio di maestri venerati, traendo impulso dalla liberalità intelligente
di non pochi proprietari di carte antiche interessanti per la storia
lombarda. La dispersione dolorosa di molti archivi, le loro imprevedi-
bili e strane fortune e peregrinazioni, il continuo sospetto di falsi-
ficazioni del seicento, alle quali la vanità offriva troppo facile esca,
infine il carattere prevalentemente patrimoniale delle classificazioni,
là dove esse esistano, ostacolano ad ogni passo il cammino in simile
impresa. Quale saggio del contributo che si può sperare per la sto-
ria, sovrattutto degli istituti e dei rapporti economici, da uno spo-
glio paziente degli archivi privati, ardisco ora offrire ai lettori di
quest'Archivio il testo di due carte inedite, l'una del sec. XII, l'altra
del XIII, appartenenti entrambe alla famiglia Arese.
Il Giulini nel lib. LIX delle Memorie^ riferendosi all'anno 1301,
lumeggia coll'aiuto di una carta proveniente dall'archivio di Santa
Margherita, la figura di Ricardo da Aresio, giudice della nuova cre-
denza di Sant'Ambrogio, assunto col capitano del popolo e pochi
altri ad una sorta di dittatura per volere e nell'interesse di Matteo
Visconti. Non ostante il carattere popolare della carica di cui ve-
diamo investito questo suo illustre rappresentante, la famiglia Arese
va annoverata fra le feudali. Più volte nelle antiche carte vediamo
anzi scritto de' Capitani da Arese, secondo lo stile delle maggiori
schiatte del contado.
(i) Ved. A. Lattes, Il diritto consuetudinario delle città lombarde, Milano,
?, cap. IX, § 41.
VARIETÀ 347
5arebbe ozioso il voler qui ricordare le glorie e le ricchezze
do?la famiglia che ebbe il massimo lustro dal celebre Presidente del
Senato. È pure noto come gran parte dei beni cospicui degli Arese
sia passata col nome in casa Borromeo, e per il tramite di un ramo
ora estinto dei Visconti, in casa Litta. È verosimile che una sezione
dell' archivio abbia accompagnato così vistosi gruzzoli nelle loro
migrazioni. Ciò si potrà probabilmente un giorno controllare; per
altro non mi è stato fin qui possibile farlo.
Il ramo superstite di casa Arese, che assunse nel sec. XVIII in
seguito ad eredità anche il nome della famiglia Lucini, conservò in
ogni modo ricchi depositi di documenti. Questi furono, credo poco
dopo la rivoluzione francese, ripartiti in numerose divisioni e suddivi-
si oni fra le quali non è difficile orientarsi, grazie alle rubriche di
un indice minuzioso. Tutto l'Archivio è diviso in quattro regioni
ed in più di un centinaio di caselli che sono effettivamente riparti
chiusi da corrispondenti porticine di grandi armadi. La numerazione
dei caselli è proseguita, senza interruzione dall'una e dall'altra re-
gione; quella per cartelle invece è interna ad ogni singolo casello.
Le posizioni contenute nelle cartelle furono pure controdistinte ed
elencate, ma non credo opportuno descrivere i criteri di quest'ul-
tima classificazione, tanto più che riscontrai continue trasposizioni
nella serie dei gruppi di documenti contenuti in ciascuna car-
tella.
Il Sitoni di Scozia esaminò a suo tempo l'Archivio Arese, e
varie annotazioni della sua caratteristica scrittura, che arieggia lo
stampatello, si ritrovano in margine alle carte. Gli fu, fra l'altro,
sottoposto un elenco di documenti fra i più insigni dell'Archivio,
sui quali credo si volesse basare qualche domanda d'ascrizione al
Collegio dei nobili giureconsulti. L'esperto denunciatore delle fal-
sificazioni, insinuatesi perfino fra le carte delle più antiche famiglie
patrizie, additò come sospetti due documenti, l'uno del 1323, l'altro
del 1335. L'aver superato la prova dell'accurata inquisizione sito-
niana è già per sé una garanzia dell' autenticità degli altri docu-
menti fra i quali sono quelli che mi accingo a pubblicare. Un mi-
nuto esame mi convinse in ogni modo che le due carte potevano
essere senza timore considerate genuine; ed a tale conclusione mi
arrestai soprattutto dopo che il compianto conte Malaguzzi Valeri
le ebbe osservate dichiarandole immuni da ogni sospetto di falso.
Sgombrato il terreno da questi timori, resi naturali da dolorose
constatazioni fatte in altri casi e dal trovar traccia di riserve del
Sitoni per carte del medesimo Archivio, possiamo ormai passare
allo studio dei singoli documenti.
348 VARIETÀ
L'otto dicembre 1185 indizione quarta, Monferrado ed Ugo de Aliate^
agenti anche per conto di Pietro de Aliate, tutti quanti cittadini milanesi
e residenti in Milano, danno in afiStto per massaritium a Pietro de Bel-
luno la loro tenuta nel territorio di Casorate.
L'atto fu steso in Milano dal notaio Anselmo Samaruga.
Questa piccola pergamena, piuttosto ben conservata, si trova
neirArchivio Arese, regione III, casello 88, cartella B. La regione
terza abbraccia carte sin qui conservate in Milano nel palazzo degli
Arese in Porta Orientale, ma che saranno presto riunite al resto
dell'Archivio in Osnago di Brianza.
(S. T.) Anno dominice incarnationis millesimo centesimo octuagesimo
quinto, octavo die decembris indictione quarta. Investiverunt per massa-
ritium ad benefatiendum, monferradus et ugo qui dicuntur de aliate, ad
eorum partes, et ad partem petri de aliate, omnes civis mediolani, pe-
trum qui dicitur de bellano, nominative de tota terra eorum de loco seu
de territorio de Casorate, ad fictum omni anno reddendum ad domum
habitationis eorum de mediolano tractum, et consignatum ad mensuram
mediolani, stera viginti biave mediem sicalis et mediem milj, sicalem de-
beant trahere, et consignare in omni sanato petro et milium in omni
sanato michaello, et debeat esse bona biava et bella in estimo honorum
hominum, si discordia inde esset, et prò iamscripto fleto dando ut supra
legitur, iamscriptis petrus guadiam dedit, et omnia bona sua pignori obli-
gavit, iamscriptis monferrado et ugoni, ad eorum partes, et ad partem
iamscripti petri, et restituendi omnes expensas quas fecerint, prò iam-
scripto fleto exigendo uno quoque termine transacto; quia sic intereos
conventum aetum in iamscripta civitate.
(S. M.) Signum manum iamscriptorum monferradi, ugonis atque petri
qui hanc cartam fieri rogaverunt; ut supra.
(S. M.) Signum manum gairardi de arexio, atque amizonis prebel-
lonj testium.
(S. T.) Ego anselmus qui dicor Samaruga notarius tradidi et scripsi.
Mi pare non vi possa esser dubbio nella identificazione della
terra di Casorate noto capo-pieve sui confini del milanese e del pa-
vese. Per i tempi più antichi è costante l'aggiudicazione al territorio
milanese. Il Giulini nella « dichiarazione della carta corografica »
pone Casorate e la sua pieve nel contado della Burgaria, riferen-
dosi, secondo è noto, al sec. XII, al quale appartiene il nostro do-
VARIETÀ 349
cumento. Invece il Riboldi, nel suo recente studio intorno ai contadi
rurali del milanese (i), ritiene non provato il fatto che Casorate abbia
fatto parte della Burgaria.
Più tardi e definitivamente prevalse l'attribuzione al territorio
di Pavia, sì che il Benalio nel suo elenco dei feudi scrive senza
esitazione di Casorate: « in principatu papiae » (2). Il medesimo
Benalio registra T infeudazione « Casorati in campanea suprana »
al vescovo di Pavia per antichissima concessione dell'imperatore
Ottone rimontante al 977. L'esistenza di questi diritti feudali del-
l'episcopato pavese conferma il carattere allodiale dei possessi dai
de Aliate dati in affitto coU'atto a cui si s-riferisce la nostra carta.
I beni dei de Aliate in quel territorio dovevano essere numerosi
ed in loro proprietà da lunga data. I manoscritti Puricelliani del-
l'Ambrosiana hanno conservato il testo d'una specie di donazione
onerosa (cioè connessa con launeghild) il cui originale perì nel-
l'incendio del monastero di Morimondo, secondo narra il Giulini
nel lib. XXXV delle Memorie. Tale contratto riguarda beni posti
in Coronago, luogo della medesima pieve di Casorate, che fu-
rono donati da Bernardo de Aliate, con atto compiuto in Milano
al principio del 1136, a Prevede da Ozeno. Quest'ultimo ridonò
senz' altro le terre ai monaci cistercensi, che lo ricompensarono
questa volta con così vistoso launeghild in moneta sonante da far
subodorare in quella serie di atti nient' altro che una vendita lar-
vata. Ho voluto richiamare questo precedente anche perchè dalla
esistenza di antiche tenute dei de Aliate nei pressi di Casorate in
il campanea suprana », ora Casorate Primo, viene definitivamente
escluso ogni pericolo, già evitato dalla notorietà assolutamente pre-
valente della terra capo-pieve, che il documento del 1185 si rife-
risca a quell'altro Casorate, immemorabile possesso feudale dei Vi-
sconti con tutta la pieve di Somma.
Nella ripartizione delle maggiori famiglie milanesi, secondo i
celebri quattro gruppi che coesistettero quasi altrettante città nella
nostra Milano del XII e XIII secolo, il Fiamma [Cronicon majus)
segnala per i primi i de Aliate, quando viene ad enumerare le fa-
miglie della Motta. L'appartenenza a questa classe cospicua, vero
germe del patriziato cittadino, bene si armonizza colla dimora sta-
bile in Milano che risulta dal nostro documento ed anche da quello
(i) Cfr. quest'Archivio, XXXI, 1904, i, p. 277..
(2) Elmchus familiarum in Mediolani dominio feudis, jurisdìctionihus titulisque
insignium, Colligente I. C. don Josepho Benalio, Mediolani, MDCCXIV, typis
M. A. P. Malatestae.
350 VARIETÀ
di cinquant' anni più antico tramandatoci dal Puricelli. Si osservi
che, come in altri documenti lombardi, il locatore è obbligato a ter-
mine del contratto del 1185 a recare l'importo dell'affitto annuale
del loro fondo ai de Aliate « ad domum habitationis eorum de Me-
u diolano ». Questo potrebbe riferirsi sia alla mancanza di una casa
padronale nella tenuta di Casorate sia anche a negozi in cereali
ai quali sappiamo non esser stati punto estranei altri cittadini della
Motta. Quanto alla collocazione di queste case dei de Aliate, una
semplice induzione si può trarre dal fatto che nel 1266 dodici mem-
bri di questa famiglia prestarono il giuramento di obbedienza alla
Santa Sede come membi» della parrocchia di Santa Maria Beltrade
in Porta Romana. Essi furono: « Domnus Albertus », « Ser Burba »,
Guido, Venturino, Benzius, Antonio, Gallino, Manfredo, Juanus,
Roberto, Pietro e Nicoloso, tutti de Aliate (i). Gli ottantanni che
passarono dal 1185 al 1266 non sono sufficienti per togliere valore
a tale avvicinamento, ove si osservi che, cento e più anni dopo, e
precisamente nel 1388, Stefano de Aliate era eletto nel consiglio
dei novecento come uno dei rappresentanti della medesima parroc-
chia di Santa Maria Beltrade ed un altro de Aliate per quella vi-
cina di San Nazaro in Brolio (2), il che prova la persistenza della
dimora della famiglia in Porta Romana. Nell'anno 1224 Monferrado
de Aliate era uno dei consoli di Milano, molto verosimilmente lo
stesso che interviene nell'atto da noi illustrato; ma nessun cittadino
di tal cognome fu da me mai visto ricordato che recasse il pre-
nome di Ugo. Pietro de Aliate, nel cui nome agiscono gli altri
due suoi parenti, fu verosimilmente quel medesimo ricordato dal
Fiamma come console dei mercanti di Milano nel 11 72. E, poiché le
consuetudini del nostro comune espressamente dichiaravano che i
consoli dei mercanti « nec impediantur, quin possint consulatum
« comunis, vel iustitiae, vel aliud officium civitatis Mediolani ha-
« bere », nulla esclude che al nostro Pietro si riferisca il passo dei
Corio là dove parla del 1196 e scrive: « Consuli de iusticia furono
u Baldizone Stampa: Codeghino Mainerio: Laurentio Corbo: Petro
« de Aliate et Ugo de Casteniago » (3). Ma non saprei se sia pru-
(i) Ved. l'elenco pubblicato dal dott. A. Ratti, A Milano nel 1266, in Memorie
del R, Istituto Lombardo di Scien:^e e lettere, voi. XXI, XII della serie III, 1902, p. 221.
(2) Secondo risulta dal registro delle Provvisioni del nostro Archivio civico,
ora trasportato in Castello.
(3) Bernardini Corii viri dar issimi mediolanensis patria historia, Mediolani,
apud A. Minutianum MDIII.
VARIETÀ 351
dente l'identificazione con Pietro, uno dei quattro fratelli de Aliate
gran fautori di Ottone IV, da lui creati conti palatini ed insigniti
di molti privilegi. E già ragione a dubitarne il vedere accanto al
nome di Pietro differenti nomi di agnati nelle due diverse congiun-
ture, della locazione del 1185 e delle concessioni imperiali del 1209,
che pure presentano entrambe membri della stessa famiglia .rag-
gruppati da comunanza d'interessi. Il Pietro de Aliate poi, che ebbe
una sorta di podesteria nel 1225, è citato dal Corio e dal Giulini
col nome di Pietro Cano e deve quindi ritenersi senz' altro una
persona diversa da quel cittadino nel cui nome stipulavano nel 1185
i di lui agnati Monferrado ed Ugo.
Se la famiglia de Aliate ci appare chiara per possessi ed uffici
affidati a' suoi membri, una vera incognita è, per lo meno per chi
scrive, u il Petrus qui dicitur de Sellano » a cui si dà in affitto da
quei cittadini milanesi, « tota terra eorum de loco seu de territorio
« de Casorate ».
Uno dei due testimoni che compaiono nell'atto è Gairardo de
Arexio. La famiglia milanese che conservò questa carta può valer-
sene a dare notizie sicure de* suoi maggiori per un tempo assai
più antico di quello nel quale si poneva sin qui dagli storici l'ap-
parire di quei capitani nella storia della nostra città. Non sarà inu-
tile il ricordare qui che il primo da Arese citato in quelle Memorie
del Giulini, che sono la consueta miniera onde si estraggono le no-
tizie sulle antiche famiglie milanesi, è Riccardo, già da me ricor-
dato come giudice della Credenza di Sant'Ambrogio all'aprirsi del
quattordicesimo secolo. Il nome dell'altro testimonio si leggerebbe,
nel testo dell'Archivio Arese, Amizone Prebellone. Ma, data la no-
vità di un tale cognome, mi si permetta la congettura che debba
correggersi in quello dei Prealloni, noti dal secolo dodicesimo e
pure membri della Motta,
Anselmo Samaruga fu infine il notaio che stese l'atto di loca-
zione da noi commentato. Non ho mai visto citato il nome di que-
sta famiglia in atti del sec. XII, bensì nel secolo seguente. Da un
istromento,* veduto dal Giulini nell'Archivio della basilica di San
Giovanni in Monza (i), è ricordato un « dominus Tomasus Sama-
« ruga », console di giustizia del comune di Milano nell'anno 1283.
Nell'elenco dei milanesi che giurarono parecchi anni prima (1266)
M stare mandatis summi pontificis et romanae ecclesiae » (2), trovo
(i) Ved. Giulini, Memorie^ aggiunte al lib. LVII.
(2) Ved. la pubblicazione già citata del dott. A. Ratti, p. 213.
i
352 VARIETÀ
due Samaruga abitanti, come i loro clienti de Aliate, in Porta Ro-
mana. Jacopo è anzi egli pure parrocchiano di Santa Maria Bel-
trade, mentre Cristofano lo è di San Calimero.
Se per un lato è interessante ed utile il prender le mosse dal
nostro documento per tentare di ricostruire, nell'oscurità ancor
molto inesplorata del sec. XII, qualche abbozzo biografico, mag-
gior importanza ha poi lo studio degli istituti giuridici e sociali
sui quali s' impernia l'atto rogato da Anselmo Samaruga. Per ob-
bligo di brevità mi contenterò di alcune osservazioni successive.
« Massaritium » secondo il du Gange (i) sarebbe il fondo del Mas-
saro. Anche il Seregni (2) conclude che « massaritium " è identico a
u mansus ». Per altro la frase: « Investiverunt per massaritium » sem-
bra piuttosto alludere al contratto massaritico. Si noti pure l'espres-
sione dell'investitura « ad benefatiendum », che, secondo una norma
costante nelle consuetudini milanesi, ribadisce l'obbhgo per il colono
di curare e migliorare il fondo.
A differenza di molti altri casi i tre consorti de Aliate non
danno in affitto un podere di area determinata, ma bensì « tutta la
u loro terra nel luogo e nel territorio di Casorate ». Infatti man-
cano le consuete indicazioni delle coerenze.
L'affitto in natura deve essere calcolato secondo la misura mi-
lanese. Anche qui il cittadino impone le sue misure ai rustici, ed
invero non è una disposizione superflua. Piccole terre avevano ap-
punto in quello scorcio di secolo loro misure particolari, come Aro-
sio, il cui staio equivaleva ad otto undicesimi di quello di Milano (3).
Casorate era poi sui confini del pavese e del milanese, feudo del
vescovo di Pavia e parte invece dell'archidiocesi di Milano, sì che
taluno la giudicava una terra immune dalla giurisdizione dei due
capoluoghi al pari di Morimondo (4).
Il locatario deve dunque consegnare venti stala all'anno in ce-
reali, giacché la « biava » è qualsiasi specie di grano, e dovevano es-
sere nel caso indicato una metà (« mediem » sta forse per « medieta-
« tem »») in segale ed un'altra metà in miglio. Sarebbe inùtile che m'in-
(i) Caroli du Fresne domini du Gange, Glossarium ad scripiores mediac
et infimae latinitatis, Francoforte a. M., Zunner, 1710, s. y.
(2) G. Seregni, La popola^iom agricola della Lombardia nell'età barbarica^
Milano, Rivara, 1895.
(3) G. Seregni, Del luogo di Arosio e de* suoi statuti nei secoli XII e XIII,
Torino, Paravia, 1902, § 4, p. 17.
(4) Grande illustrazione del Lombardo- Veneto. Milano, 1857, voi. I, Pavia e
sua provincia per L. Gualtieri conte di Brenna.
VARIETÀ • 355
dugiassi a rammentare la grande diffusione di queste culture, surro-
gatrici del vero e proprio grano, nel medio evo (i). Piuttosto devono
osservarsi le date prescritte per la consegna che anticipano alquanto
sulle consuete ; la segale dev'essere consegnata al domicilio del loca-
tore in Milano per San Pietro (29 giugno) invece che per San Lo-
renzo (io agosto) ed il miglio per San Michele (29 settembre) e non
nel solito San Martino (11 novembre) (2).
Il patto • di locazione stabilisce che, in caso di disparere, riguar-
dante la qualità dei grani consegnati, si ricorra ai « boni homines w.
Non credo però che con tal nome si vogliano indicare quelle spe-
ciali magistrature chiamate dei « boni homines »» o dei probiviri, nelle
quali il Rosa (3) addita uno degli istituti primitivi del comune. Piut-
tosto penso ad un ricorso a giudizio di arbitri, affine a queir« ar-
« bitrium boni viri », di cui parlano le consuetudini bergamasche.
Il conduttore delle terre di Casorate « guadiam dedit », secondo
la formola consacrata, ai de Aliate locatori. È tanto più certo che
nel caso pratico, come del resto ormai quasi sempre in Lombardia
nel sec. XII, la guadia era ridotta ad una pura e semplice presta-
zione simbohca, in quanto che, secondo vedremo, si tratta più. in-
nanzi di una obbligazione pignoratizia. Alla guadia, come è noto,
non erano tenuti i nobili. Il vedere che Pietro de Bellano la pre-
sta e che non presenta invece fideiussori conferma l'ipotesi che il
conduttore dei fondi dei de Aliate fosse un semplice rustico, indi-
cante col cognome la provenienza e non una proprietà né tanto
meno un diritto feudale. Il de Bellano doveva però essere agiato
e solvibile, se poteva porre in pegno tutti i suoi beni vincolandosi
al risarcimento delle spese che potessero incombere ai de Aliate
per esigere l'affitto. Il testo parla solo del risarcimento in caso di
mora e non di decadenza del conduttore moroso dalla locazione,
mentre di solito, giusta la consuetudine milanese, questo tratta-
mento spettava ai livellari meglio che ai locatari (4). Però basta a
(i) Il Darmstadter, Das Reichsgut in der Lomhardei und Piemonte Strassburg,
Trùbner, 1896, p. 309, giunge dallo studio di 52 corti a stabilire per un tempo poco
discosto da quello di cui parliamo la seguente propozione nelle colture : la segale
rappresentava il 40 per cento ; il frumento il 22 per cento ; il miglio il 14 ^'/g.
(2) Si confronti con G. Seregni, La popola:(tone agricola della Lombardia
nell'età barbarica già citata. S. Michele era già nel 1103 per i Casoratesi data
del pagamento del canone al vescovo di Pavia (cfr. Robolini, Notizie apparte-
nenti alla storia della sua patria^ voi. Ili, § 14).
(3) G. Rosa, Feudi e Comuni, Brescia, 1876, p. 215. , ( v
(4) A. Lattes, op. cit., cap. IX, § 41.
354 VARIETÀ
termine del contratto del 1185 il lasciar passare un solo termine
per trovarsi in mora, laddove tale conseguenza non si avvera gene-
ralmente a danno del locatario se non dopo un tempo più lungo.
L*atto si chiude colle sottoscrizioni dei tre de Aliate, anche del
Pietro non comparso nella conclusione del patto, ciò che prova an-
cor una volta come non si richiedesse che il « signum manus » fosse
autografo. Del resto tali « signa » sono costituiti, nella carta dell'Ar-
chivio Arese come in tante altre, da quelle croci aggraticciate che
tradiscono senz'altro la mano del redattore. L'assenza della sotto-
scrizione di Pietro de Bellano, dal quale non partì la rogazione,
è perfettamente conforme alla norma posta in sodo dal Paoli (i)
per questo tempo e per le carte lombarde.
IL
Il 3 settembre 1261 nell'indizione quinta, in giorno di sabato, Rog-
gero Streparave, " Servitor comunitatis Mediolani „, per mandato conso-
lare, investì del possesso di beni in Castano Alberto Cane.
L'atto fu rogato in Castano da un notaio locale.
Fonte: Pergam. dell' Arch. Arese, regione III, casello LXXXVIII,
cartella B. La carta è in più punti deteriorata e di difficile lettura,
(S. T.) anno dominice Incarnationis millesimo ducentesimo sexa-
gesimo primo, indictione quinta, die sabati tertio, die septembris Ruge-
rius streparave servitor comunitatis mediollani ^stcj ex mandato domini
gaidardi de airexio (?), consulis mediolani, ut prescriptum ostendebat
dedit corporallem {sic) possessionem et tenutam alberto cani de loco
noxate omnium honorum martini falcis filli quondam anselmi, falcis de
loco castano. Et spetialiter de sedimine uno iacente in loco castani cum
omnibus eius hedifitiis, cui est a mane guiilelmi ferarii, a meridie he-
redum quondam Jacobi gate a meridie (?) infrascriptorum heredum et
in parte heredum, quondam anselmi zare a sero heredum illius quon-
dam anselmi a monte via, secundum quod continetur in carta..., posses-
sionis sibi cesse per ipsum consulem, et firmatam per petrum mala-
strenam et albertum mironum sindicos et consules, et traditam per
mapheum pichetum notarium, et scriptam per oliverium de figania,
notarium. Ita quod ulterius dictus albertus possessor sit et omnium
honorum infrascripti martini, et spetialiter infrascripti sedimìni de ... .
actum in ipso sedimine.
(i) C. Paoli, Programma scolastico di paleografia latina e di diplomatica^
Firenze, 1898, voi. III, disp. I, p. 130.
VARIETÀ 355
Interfuerunt testes zanebellus filius quondam ottobonis parate, et
mutius filius quondam obizonis de anrixio et martinus filius quondam
alberti pici, omnes de loco castano. Ego guidotus filius quondam otto-
belli de Jan .... (?) notarius de loco castano, tradidi et scripsi.
I beni che da Martino Falcio del fu Anselmo passarono ad
Alberto Cane e dei quali il console concesse il possesso al detto
Alberto, a tenore della carta ora presa in esame, erano situati nel
paese di Castano. Il Giulini (i) ed il Bombognini (2) ci additano
Castano infeudato nel XII secolo al conte di Biandrate ed al prin-
cipio del XIV air arcivescovo di Milano. Ma non trovo ricordato
chi fosse il signore feudale della terra nel 1261, anno in cui fu
redatto il nostro documento. In ogni modo non vi è traccia in
quest' ultimo di riferimento a diritti di tale natura.
Poiché i fatti dei quali la nostra carta è l'eco si svolgono so-
pratutto a Castano e di quella terra sono molte delle persone citate,
non mi è stato purtroppo possibile di rintracciare veruna notizia
riguardante parecchi di quei castanesi. Non pochi cittadini di Mi-
lano compajono però nel documento, a cominciare da quel console
Gaidardo il cui cognome mi pare si possa leggere de Airexio, te-
nuto anche conto della sede della pergamena, senza permettere
nondimeno un'assoluta certezza nella lettura. Alberto Cane, l'inve-
stito del possesso dal decreto consolare, è detto di Nosate, Jterra
della Pieve di Dairago, non lungi da Castano.
Ma la famiglia dei Cani era, a quei tempi, fra le più chiare
di Milano. Il Giulini, sulle traccie delle carte Sormani, parla di un
Adamo Cane diacono della nostra Metropolitana morto nel 1080(3).
Dei Cani era prima del 1133 il feudo di Arosio venduto in tale
anno da Pietro Cane al Monastero Maggiore di Milano (4). La casa
dei Cane in Milano stava in Porta Comasina ed ebbe una melan-
conica celebrità quando nel 1160 vi si appiccò un terribile incendio
che devastò gran parte della città (5).
Nel 1266 Guifredotus Canis abitava in Parrocchia di San Ste-
fano ad nuxiam in Porta Nuova (6). Un documento del 1280 è
(i) Memorie spettanti^ ecc., libri XLIV e LX.
(2) A Francesco Maria Bombognini rimonta, secondo Dozio, Noti:(ie di Vi-
mercate e sua pieve, p.' 130^ la paternità del libro Antiquario della diocesi di Mi-
lano (Veladini, 1790).
(3) Giulini, op. cit., lìb. XXVI.
(4) G. Seregni, Del luogo di Arosio^ tcc.^ §1.
(5) GiuLTNi, op. cit., lib. XLI.
(6) A. Ratti, op. cit, p. 220.
35^ VARIETÀ
rogato per cura di due notai, membri entrambi della cospicua fa-
miglia, alla quale apparteneva l'Alberto che aveva dei beni in Ca-
stano ed in Nosate. L' uno di questi notai è detto regio ed è
Guidotus, r altro, sottoscritto come secondo nel documento, Reso-
natus (i). 11 nome dei Cani figura infine nella celebre matricola degli
ordinari.
Quanto a quel Ruggero Streparava che è detto nella nostra
carta funzionario comunale, « servitor comunitatis », il suo cognome
è probabilmente lo stesso di quello del « Marchixius Screparave
« filius quondam Alberti Portae Ticinensis »,che è testimonio alla
conclusione di una lega fra il comune di Milano e quello di Vige-
vano nel 1277, secondo narra il Colombo (2). Questi servitori del
comune, giusta V antica consuetudine, erano sovente membri d' il-
lustri famiglie, come ben rileva il Giulini nel lib. XXXVI delle
Memorie.
Uno dei vicini di Alberto Cane nel suo nuovo possesso di
Castano era Guglielmo Ferrano. Questi potrebbe essere benissimo,
come il Cane, proprietario in Castano e milanese. Senza parlare
dei parecchi chiari cittadini di tal nome che in quei tempi sono
ricordati in atti monzesi e che sembrano aver piuttosto appartenuto
a quella cittadinanza che alla nostra (3), troviamo un Petrus Fe-
rarius che nel 1262 il primo di maggio, neppur un anno dalla data
-del nostro documento, aderiva allo statuto della Braida di Monte
Volpe neir antico nostro suburbio (4). E nell'elenco più volte ci-
tato, pubblicato dal Ratti, vedo sottoscritti otto cittadini di tal
cognome abitanti tutti in Porta Romana, Boninus, Mutius e Pe-
trazollus Ferrarius della Parrocchia di S. Maria Beltrade, Johannes
e Guiscardus di San Calimero, Fatius di San Giovanni in Conca,
Gasparinus e Petrus di San Vittore in Porta Romana.
11 titolo del possesso al quale accenna il documento rogato in
Castano sembra essere stato costituito da un atto di consoli mila-
nesi. Si fanno i nomi, accanto al sopra citato Gaidardo, di Pietro
Malastrena e di Alberto Mirone, « sindici et consules ". Or sono
(i) L. Osio, Documenti diplomatici, voi. I, n. XXIV, Milano, Bernardoni,
1864.
(2) A. Colombo, Di una alleanza tra Milano e Vigevano nel 12^]^, in questo
Archivio, XXVIII, 1901, 11, p. 380.
(3) V. A. F. Frisi, Memorie storiche di Mon^a e sua corte, to. II, numeri
LXXXI-CLVI-CLXXVIII del cod. diplomatico monzese.
(4) V. G. Discaro, La compagnia della Braida, ecc., in quest' Archivio,
XXIX, 1902, T, p. 26 sgg.
VA^^ET^ 357
queste due note famiglie milanesi. Faxollus Mironus fu ambascia-
tore di Milano a Como nel 1259 (i). I Malastrena poi furono una
vetusta famiglia di valvassori, secondo V esplicita affermazione di
un documento deU' archivio della Cattedrale di Bergamo che ri-
guarda il 1130. Un Malastrena era in tale anno console di Milano,
ma già nel 11 17 lo era stato Ariprando Malastrena (2). Ed il nome
di quei valvassori ricorre molto spesso nelle antiche carte, sovra-
tutto in quelle della prima metà del sec. XII, si che questo docu-
mento del XIII secolo è un'interessante testimonianza del fiorire
della nobile famiglia in un'epoca alquanto più tarda.
L'atto rogato in Castano da Guidotto notaio riguarda la giuri-
sdizione dei consoli della repubblica. Non è ben noto quali fossero
nella seconda metà del sec. XIII i limiti della competenza rispet-
tiva del podestà, dei consoli della repubblica e di quelli di giu-
stizia. Dal documento preso in esame risulterebbe che procedimenti
esecutivi, quali sembrano l'immissione in possesso per ministero
<ii una sorta di usciere (il servitore del comune) in base a pre-
scriptum consolare ed il titolo del possesso, « carta cessa per ipsum
« consulem w, spettavano tuttora per le cause civili al console
della repubblica. Invero una serie di provvedimenti successivi presi
tutti dall' autorità consolare, a richiesta dell'Alberto Cane, appare
l'antecedente giuridico dell'eifettivo passaggio dei beni del Martino
Falcio, verosimilmente convenuto in una causa civile, nelle mani
dell'attore. E sono nel nostro caso: la « carta possessionis •>•) data da
consoli con intervento di notai; il « prescriptum » del console ed in-
fine r immissione nel possesso materiale operata dal « servitor co-
u munitatis mediolani n per mandato del console. Si vede bene che
anche nel territorio di Castano il potere giudiziario dei consol
milanesi si svolgeva liberamente sino alle ultime sue conseguenze
Nel nostro atto, sebbene datato da Castano e non ostante il domi
cilio laggiù radicato del convenuto, i magistrati locali non com
paiono. Forse ricorre il caso di quei consoli rurali che potevano
giudicare fino alla somma di venti soldi (3); giacché con ogni ve-
rosimiglianza il valore dei beni trasmessi ad Alberto Cane doveva
essere rilevante. L' atto accenna in modo speciale ad una parte
della tenuta, a quell'area « sedimen » di cui sono indicate le coerenze
€ ricordati gli hedifitii. Forse era il nucleo principale dei beni già
(i) I. Ghiron, La creden^^a dì S. Ambrogio, in quesVArchivio, IV, p. ili.
(2) GiuLiNi, op. cit., lìb. XXXI.
(3) Ibid., op. cit., lib. XLIX.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase VI, 23
358 VARIETÀ
di Martino Falcio; forse era l'oggetto di una contestazione parti-
colare.
È questo un punto che rimane non definito con certezza, come
pure parecchi uomini di Castano intervenuti nella definizione della
contesa sono, almeno per me, degli ignoti. Nondimeno il docu-
mento rogato dal notaio Guidotto, appunto uno di codesti scono-
sciuti, getta luce sulle forme e sui limiti della giurisdizione con-
solare.
Giuseppe Gallavresi.
VARIETÀ 359
Le ville del Petrarca nel Milanese.
•
'occasione di queste note mi fu data dal lavoro del si-
gnor Ambrogio Annoni // Petrarca in villa, comparso
nella raccolta F. Petrarca e la Lombardia, edita per cura
della benemerita nostra Società Storica. In quel prege-
vole studio l'Annoni, confortando con indizi nuovi i vecchi argo-
menti del Bellani, rivendica pienamente a Garegnano Milanese
(presso la celebre Certosa) l'onore che ingiustamente gli vorrebbe
rapire la cascina Interno (fuori di porta Magenta) d'avere ospitato
nei mesi estivi il Petrarca, quand'era a Milano. Tuttavia mi sembra
che alcune conclusioni dell'egregio autore debbano essere rettificate
e alcune altre osservazioni aggiunte, se vogliamo formarci un più
adequato e giusto concetto della villeggiatura petrarchesca nel Mi-
lanese: rettificazioni e osservazioni che spero incontreranno il fa-
vore degli studiosi di tale interessante argomento.
I.
Un pregiudizio assai diffuso e che molto facilmente, quasi
senza che lo si avverta, finisce per annidarsi nella mente di chi
studia il Petrarca in villa nel Milanese, è che il Petrarca vi pos-
sedesse una fissa e sua propria villeggiatura; quindi è che finora
vediamo gli studiosi limitarsi nelle ricerche loro ad una sola e
determinata località: per gli uni il Petrarca in villa è alla cascina
Interno, per gli altri il Petrarca in villa è a Garegnano. Ma niente
di più pernicioso d'un t^le pregiudizio; onde sarebbe stato oppor-
tuno assai che l'Annoni avesse premesso al suo studio l'avvertenza
che il Petrarca non possedette mai né una casa in Milano né una
villa nel Milanese, bensì soltanto come temporaneo ospite abitò.
Se infatti sua deve dirsi la casa di Valchiusa e di Parma, suoi i
beni di Padova e di Arquà, delle quali proprietà appunto fa men-
zione il Poeta e liberamente dispone nel suo testamento del 1370 (i);
nulla di tutto ciò abbiamo durante il quasi decennale suo soggiorno
a Milano. Qui non investiture di benefici canonicali o prebende;
(i) Testamentum, in Epist. d$ reb. familiar., ediz. Fracassetti, to. Ili, p. 5 37 sg^.
360 VARIETÀ
qui non donazioni di signori; non compere personali di case o
poderi. A Milano il Petrarca non fu che l'ospite dei Visconti e,
non che pensare a procacciarvisi stabile dimora, egli sempre vi si
considerò come di passaggio e giudicò provvisorio il suo abitare
fra noi (i); quindi è che nel 1353 Giovanni Visconti, al suo rifiuto
di alloggiare in corte, gli procura ospitalità presso i monaci di
Sant'Ambrogio in una casetta adiacente al convento (2); e nel 1359,
divenutagli incomoda quell'abitazione, il Petrarca prende ospita-
lità nel convento dei benedettini di San Simpliciano fuor dalle
mura, donde per breve tempo sul finire del 1360 ritorna a San-
t'Ambrogio, per quindi ridursi, negli ultimi mesi di suo soggiorno
in Milano, in un' ignota casetta più vicina al centro della città. Né
più che ospite altrui soggiornò in quel tempo il Petrarca nella
campagna milanese. Nel 1353 egli passò parte dell'ottobre nel ca-
stello visconteo di San Colombano: nel novembre di quello stesso
anno lo troviamo in quello di Monza (3). In seguito però, per al-
quanti autunni, le sempre crescenti brighe che provenivangli dalla
corte, lo tennero occupato (così almeno ci è dato di rilevare dalle
sue lettere) (4) o in città, o fuori aJGfatto del Milanese in viaggi
d'ambasceria; finche nell'agosto del 1357, infiacchitagli da ostinate
febbri la cagionevole salute (5), desideroso di ridarsi alla quiete
dei suoi studi nella campestre solitudine, si ritirò presso i monaci
della certosa di Garegnano, dove, non credendo conveniente di
soggiornare nel convento stesso, abitò un casino adiacente a quella
celebre badia. E qui passò dilettevolmente anche il settembre di
quell'anno 1357 (6).
Questa villa di Garegnano, certo non sua, non può neppure
dirsi la villa petrarchesca « per eccellenza »i. Non v'ha dubbio che
a crearle tanta rinomanza valse assai la particolareggiata e poetica
descrizione che il Petrarca ci ha lasciato, a preferenza di altri
luoghi da lui visitati ed abitati, dei quali neppure il nome ci volle
(i) Ciò risulta da numerosi passi dell'epistolario, p. es., Famil, XVI, 11;
XIX, 16; Varie, 25, 35 ; Senili, 1, 2, ecc.
(2) La prossimità della casetta alla basilica ; l' intervenir in coro per la re-
cita delle ore canoniche ; l'abitare talvolta camere dello stesso convento (cfr. Fa-
mil, XVI, 12 ; XIX, 6) ce ne persuadono.
(3) Famil, XVII, 5 e XVII, i.
(4) Cfr. Famil, XVII, 10 ; XIX, i ; 12 e 14 j Varie, 6 ; Senili, III, i e
XVII, 2.
(5) Varie, 22.
(6) Famil, XVI, 12 e XIX, 6.
VARIETÀ 361
ricordare nelle sue lettere; come anche non piccola parte vi ebbe
la tradizione umanistica del « Linterno » petrarchesco, tradizione
che oggi incontra fieri e valenti oppositori, tra cui lo stesso An-
noni. Ma, se noi consultiamo V abbondante suo epistolario (quasi
unica fonte per questo periodo di vita milanese del Petrarca), do-
vremo convenire che anche questa località di Garegnano non fu
per lui che di ben temporanea e provvisoria dimora, non avendosi
più altra testimonianza, che ci provi d'avervi egli soggiornato più
o meno a lungo oltre l'agosto e il settembre del 1357, se pur non
voghamo identificare con Garegnano quell' « in mediolanensi rure »,
dove dieci anni appresso, nel 1367, riceveva reduce di Francia
l'amico Stefano Colonna, prevosto di Saint-Omer (i). Invece le let-
tere del Petrarca accennano ad altri luoghi dove egli usò villeg-
giare dopo il 1357: così che, più che non la ricerca della imma-
ginaria « villa del Petrarca », interessa conoscere le villereccie
località, in cui egli recossi nelle estive ed autunnali stagioni da lui
trascorse sul Milanese.
Ed ecco appunto una di queste località non lungi dalle sponde
dell'Adda. Verso la fine del suo lavoro l'Annoni, avvertendo di
toccare una questione sfuggita alle indagini dei più, esamina il
passo d' una lettera a Neri Morando, che dice ; « ruri habito haud
« procul Abduae amnis ripa » (2); e comincia dal notare che questa
lettera petrarchesca « per ragioni di analogie e di raffronti si rife-
« risce all'autunno del 1358, stagione dal Petrarca passata, come è
« noto, nella sua villa presso Milano ». Ora osservo che è tutt'al-
tro che noto aver passato l' autunno del 1358 il Petrarca nella
campagna presso Milano. Da che lo desume l'Annoni? Non certa-
mente dalle lettere del Petrarca, delle quali poche sono quelle che
con sicurezza si possono assegnare all'anno 1358 e tutte poi recano
l'indicazione « Mediolani », e nessun indizio d'essere state scritte
in villa: né, ch'io mi sappia, altro documento sta a suff"ragare sif-
fatta ipotesi. Inesatto è anche il dire u nella sua villa », quasi che
una villa possedesse il Petrarca, 0 vi fosse una villa che per ec-
cellenza si potesse chiamare petrarchesca. Ma più grave inesattezza
è l'avere attribuito al 1358 (come erroneamente asserisce anche il
Fracassetti nella sua Cronologia comparata) la lettera al Morando.
Ragioni appunto di analogie e di raffronti ci obbligano invece ad
assegnare a questa lettera l'anno 1359.
(i) Senili, IX, 2.
(2) Famil, XXI, io.
362 VARIETÀ
Già la stessa sua collocazione nei codici tra un gruppo di
numerose lettere che evidentemente appartengono al 1359 doveva
rendere sospetta assai la data 1358. Così la lettera che imme-
diatamente la precede, affermando che « iam mihi septimus sin e
« te in hac regia urbe annus agitur », essendo il Petrarca ve-
nuto da Avignone a Milano nel 1353 , mostra di essere stata
scritta nel 1359 : tra quelle che seguono, la XIV reca il mede-
simo riferimento cronologico, « ubi mihi iam, septimus annus
« agebatur ». Ma più diretto argomento possiamo ricavare in pro-
posito dal contenuto stesso della lettera in questione. Infatti in
essa il Petrarca informa 1' amico Morando che un grosso volume
d' opere ciceroniane cadendogli ripetutamente addosso avevagli
gravemente offesa la gamba sinistra (i): ora questa medesima av-
ventura è da lui ricordata in altra lettera scritta al Boccaccio
nel 1360 (2), ed egli gliene parla come di cosa successagli l'anno
antecedente: « parum deerat anni circulo, » etc. Bisogna quindi
conchiudere che la lettera al Morando sia stata scritta nel 1359
e che perciò ai 15 di ottobre di quell'anno « idibus octobris nocte
« media », egli si trovava a villeggiare « haud procul Abduae
u amnis ripa ».
Ma qui TAnnoni, troppo preoccupato della località di Gare-
gnano, s'allontana ancora più dal vero. Confrontando egli infatti
questo passo, come ci è dato comunemente dalle stampe e quale
invece trovasi trascrìtto nei codici più autorevoli , ne deduce
essere affatto arbitraria ed infondata quella vulgata lezione di
« Abduae », sostituita a quella di « ardue » dei codici: ma siccome
letto così il passo diventa inintelligibile, così egli finisce per 'ri-
pudiare anche la lezione dei codici per tener buona la lezione che
unica ci porge l'edizione lionese del 1601, nella quale « ardue »,
diventato aggettivo, concorda non con « amnis » ma con « ripa » ;
e legge: « ruri habito haud procul ab ardua amnis ripa ». Quindi
alterando il naturale significato di « amnis » fino ad applicarlo^
non che all' Olona, ad uno qualunque dei numerosi canali o fos-
sati che nella campagna di Garegnano solcano in mille guisa e tra
(i) Da questa lettera appunto apprendiamo essere la gamba sinistra quella
che già altra volta (certamente nel 1344) gli era stata offesa.
(2) Varie, 25. Che questa lettera sia del 1360 è provato: i.° dall'accenno
alla visita del Boccaccio a Milano a anno altero », cioè del 1359; 2° dal dirsi
passati trent'anni dalla gita a Lombez con Giacomo Colonna, che fu del 1330
(cfr. Fami!., l, 5) ; 5.° dal riferimento alla morte del Colonna come avvenuta
19 anni prima, e fu nel 1341 (cfr. FatniL, IV, 12).
VARIETÀ 363
alte rive il terreno, spiega il « ruri » (dove il Petrarca scriveva
al Morando di abitare) per la villa di Garegnano. Certamente
se l'Annoni avesse avuto in tempo notizia della constatazione del
dott. Sabbadini (comparsa invece assai più tardi nel Giornale
storico della leti, ital.,.wo\. XLV, p. 168) dell'uso di Ardua invece di
Abdua in una delle postille autografe del celebre Virgilius Pe-
trarcae dell'Ambrosiana, egli avrebbe risparmiato tante fatiche nel-
r interpretazione di quel passo della lettera al Morando, e si sa-
rebbe persuaso essere più che legittima la vulgata lezione ripudiata
e perciò trattarsi veramente d'una località presso l'Adda; tanto più
che questa medesima locuzione « haud procul Abduae amnis ripa »
con leggiera variazione ricorre in altra lettera scritta di quei giorni
medesimi al Boccaccio e per la quale, con opportuni raffronti,
resta affatto esclusa la località di Garegnano. Scriveva infatti al Boc-
caccio (i): « Novissime.... circa kalendas octobris.... Abduae amnis
« ad ripam veni. His enim locis hoc tempore solitudo mea est ».
Ma determiniamo anzi tutto 1' anno di questa lettera. Il Boc-
caccio aveva visitato il Petrarca a Milano sul principio del 1359
e il Petrarca ricorda nella lettera la partenza di lui come affatto
recente: « statim te digresso (incomincia appunto la lettera) etsi
« abitu tuo angerer, » etc; e poiché egli narra che impedito dai
casi di guerra che affliggevano i dintorni di Milano, dovette sospen-
dere la sua villeggiatura dal luglio alla fine di settembre, e che
ora da otto giorni trovasi in villa ed è « Abduae amnis ad ripam » ;
così diremo scritta la lettera nel 1359 e perciò scritta di quei giorni
stessi in cui scriveva al Morando la lettera più sopra esaminata.
Ora si osservi come il Petrarca faccia notare all' amico Boccaccio
la « novità » del suo villereccio soggiorno: « his enim locis hoc
« tempore solitudo mea est » ; indicazione che non avrebbe alcuna
ragione di essere se ancora si trattasse della località di Garegnano,
sua pretesa ordinaria villeggiatura e della quale più che informato
già sarebbe stato il Boccaccio nei lunghi ed affettuosi colloqui avuti
col Petrarca durante la sua permanenza nella casa di lui a Milano.
Dalle rive dell'Adda dunque, dove da otto giorni trovavasi (« hic
« vero iam mihi dies octavus agitur »), scriveva ai primi di ottobre
di quel 1359 al Boccaccio; e ai 15 di quello stesso mese (« idibus
« octobris nocte media >») al Morando, al quale inviava ben tosto
una seconda lettera « scripta rurali calamo idibus octobris ante
« lucem » (ossia poche ore dopo quella prima lettera), sulla quale
(i) Famil, XXII, 2.
364 V-ÀlliÈfÀ
mi piace di fermare Tattenziotie del lettore. Quésta seconda lettera
al Morando non è che una continuazióne della precedente: « lam
« satis (incomincia infatti) rerum mearum minutias legisti: satis
u Ciceroniani vulneris processit historia » (i): ora in essa ap-
punto possiamo trovare i più iiidiscutibili argomenti della loca-
lità abitata dal Petrarca sulle rive dell'Adda nell'autunno del 1359.
Scrive il Petrarca che dalla sua villa ha continuamente sott'occhio
là veduta di Bergamo (« est hic semper in oculis Pergamum Italiae
a alpina urbs »), e narra uria gita fattavi agli 11 di ottobre per
accontentare uri suo entusiàstico ammiratore, Enrico Capra: e ri-
corda appunto la prossimità della sua villa, il breve e facile per-
corso (e sì eh' era recente dalla ferita alla gamba) sì da non ac-
corgersi quasi del cammino: « hoc éius desiderium non absque
« difficultate aliquot iam per annos tràxeram. Nunc tandem et vici-
u nitate loci. .. veni ergo Pergamum. .. planutn iter et breve non
« sentientes egimus.... Die proximo.... abii et sub noctem ipse rus
« redii ». Qualunque brutta sorpresa ancor ci possano apparec-
chiare le quasi sempre scorrette lezioni dei codici, questa di certo
oramai non ci potranno fare d' inchiudere nel panorama di Gare-
gnano Milanese (per quanto « àmoenissimum diversorium » e « in
M planitie elevatum » lo dica il Petrarca) anche la veduta della città
di Bergamo, né di tarito raccorciarne la strada che vi conduce.
Dalla fine dunque del settembre alla metà di ottobre del 1359
il Petrarca era in villeggiatura sulle rive dell'Adda.
Io non so se in qualche più riposto documento d'archivio,
sinora sfuggito alle nostre ricerche, conservi ancora Bergamo me-
moria della preziosa visita fattale dal Poeta e delle solenni acco-
glienze che il Petrarca non dimenticò di ricordare in quella sua
lettera. Questo soltanto io so che ogni ricerca da me fatta per
stabilire la precisa località abitata da lui in quell' autunno riuscì
vana: tutto sta a vedere di chi allora fu ospite il Petrarca. Se
dell'arcivescovo di Milano, vanterebbero allora diritto i luoghi del-
l' una e 1' altra riva dell'Adda da Brivió a Cavenago e la villa d i
Groppello, che èrano sotto l'immediata di lui giurisdizione. Se
ospite dei Visconti, potrebbe essere alcuno dei loro castelli, come
Trezzo, Cassano o Vaprio: se del moriaàtero di Sant'Ambrogio
del quale il Petrarca era ospite in città, sappiamo che Inzago ad
esso apparteneva: a Tré viglio aveva bérti e case quel ìrionastero
benedettino di San Siriipliciano fuor delle mura, riel quale appunto
un mese appresso trasferiva il Petrarca da Sant'Ambrogio il suo
(i) Pamil, XXI, II.
VARIETÀ 365
domicilio. Dimorare presso case di religiosi fu sempre preferenza
del Petrarca: presso i cisterciensi di Sant'Ambrogio, presso i be-
nedettini di San Simpliciano, presso i certosini di Garegnano, presso
i vallombrosiani di Arquà. Ma, come si vede, si è nel campo delle
congetture, dove, almeno per ora, è impossibile formulare con cer-
tezza un'opinione: il che però non toglie che oramai più non si
possa dubitare avere il Petrarca villeggiato in qualche località
presso le rive dell'Adda, durante il tempo di suo soggiorno nel
Milanese.
II.
Un altro passo interessante assai per la questione della vil-
leggiatura del Petrarca nel Milanese è quello che ci è dato da una
lettera di lui al Moggio, scritta da Pavia (i). Su di questo passo
ha insistito anche l'Annoni, ma solo per farsene argomento contro
la volgare tradizione del « Linterno » petrarchesco e senza tentare
alcuna locale identificazione, a meno che non si voglia credere
che egli identificasse ancora il luogo villereccio indicato dal Pe-
trarca col rivendicato Garegnano. Ecco le parole della lettera, quali
l'Annoni fece riscontrare direttamente sull'autografo della Lauren-
ziana : « Aliquot dies si dabitur tranquillos rure acturus cuius ety-
« mologiam tibi committo. ,Ego quidem.... fernum dicere solco,
u paratus tamen in hoc te ut in multis sequi. Utinam vero tibi
« possem ostendere Helicona alterum quem tibi et Musis Euganeo
" in colle congessi ». E questo il passo famoso, dove il Fracassetti
lesse la parola « Linternum », ma dove, secondo l'Annoni, altro
non può leggersi che un frammentario « fernum », che molto pro-
babilmente, compiendo le lettere corrose da una sciagurata piega-
tura del foglio, è a leggersi « Infernum », « denominazione più
u modesta ma vera e non meno suggestiva, poiché a noi sfugge
«la particolare ragione che indusse il Poeta a chiamarla così».
Qual'era la località a cui il Petrarca alludeva con quel « rure
« acturus » e dove invitava l'amico Moggio?
Vediamo però prima di stabilire l'anno, in cui fu scritta la lettera
al Moggio con la data « Papiae 20 junii ad vesperam -raptim : » e mi
sembra, col Fracassetti, di poter ritenere come tale l'anno 1360. In-
fatti quel u 20 giugno » non può essere del 1362 o di anno posteriore
(i) Varie, 46. Devo al signor Annoni se qui posso correggere una errata
interpretazione del a Linterno » da me fatta nel mio recente opuscolo: // sog-
giorno di F. P. in Milano, Monza, Artigianelli, 1904.
366 VARIETÀ
perchè tra il giugno e l'ottobre di quell'anno 1362 morì quell'Azze
signore di Correggio che nella lettera è nominato come vivo. Nep-
pure si può pensare al giugno del 1361, quando la peste altamente
infieriva nel Milanese e perciò era resa impossibile affatto ogni
speranza di lieta e tranquilla villeggiatura con l'amico: inoltre di
quei giorni il Petrarca aveva forse già abbandonata per sempre la
sua dimora di Milano. D'altra parte Azzo di Correggio inimicatosi
coi Visconti nel 1354 non si riconciliò con loro (per mezzo special-
mente del Petrarca) che dopo il 1358, e nella lettera si annuncia
una prossima di lui visita alla corte viscontea. Pavia poi, donde è
scritta la lettera, ribellatasi ai Visconti nel 1356, non ritornò in loro
soggezione che nel novembre del 1359. Non resta pertanto che da
assegnare a quel « 20 junii » l'anno 1360. Ora nell'autunno di questo
anno 1360 noi non possiamo sapere dove avesse villeggiato il
Poeta, se pure con tale anno non cominciarono le sue visite al
castello di Pavia, dove poi periodicamente fino al 1369 venne a
passare gran parte delle estive stagioni presso Galeazzo, anche
dopo che nel i-^ói lasciò per sempre Milano. Né le lettere che di
lui abbiamo, le quali con certezza si possono assegnare al 1360 (i),
gettano luce in proposito: da Milano scriveva il 25 giugno al car-
dinale Talleyrand (« Mediolani, VII kal. julii ») e il 9 agosto al
vescovo di Cavaillon (« Mediolani V idus augusti w); il 17 di agosto
pur da Milano (« Mediolani XVI kalendas septembris »), quantun-
que la lettera rechi nel corpo l' indicazione « in extremo civitatis
u olim nunc iuxta civitatem habito «, ossia al monastero di S. Sim-
pliciano « extra muros » ; il 18 di agosto al Boccaccio (« Medio-
« lani XV kal. septembris w). Più incerta è il' indicazione della
lettera ad -Omero del 9 ottobre « apud superos: medio amnium
« clarissimorum Padi, Ticini, Abduae aliorumque unde quidam Me-
« diolanum dici volunt VII idus octobris anno aetatis ultimae mil-
« lesimo trecentesimo sexagesimo ». Da Milano (« Mediolani VII
« kalendas novembris »») scriveva pure il 26 ottobre al medico
Albertino da Canobio, al quale esprimeva il dolore per il furto
fattogli dai servi che a mala pena rispettarongli la persona, e le
tristi condizioni del Milanese minacciato da ogni parte dalla peste.
Per tutto ciò, * siccome anche la progettata visita dell'amico Moggio
non ebbe poi luogo, non sarei lontano dal credere che il Petrarca
non si fosse in quell'anno allontanato da Milano se non per recarsi
sulla fine del dice mbre a Parigi, legazione dalla quale fu di ritorno
(1; Famil., XXII, 5, 6 e 12; :XXIV, 12; Varie, 25, 26.
VARIETÀ 367
nel febbraio del 1361. Checché però ne sia di ciò, resta pur sempre
a ricercare a quale campestre ritiro avesse nel giugno invitato il
Moggio e perchè lo si chiamasse « Infernum ».
Questo nome di « Infernum » può tanto significare in senso
materiale luogo più basso in confronto di altro superiore, quanto
in senso metaforico luogo per eccellenza di dolori e di tormenti.
Nel primo senso numerose sono le località dell'agro milanese che
hanno siffatta denominazione, tra cui quella stessa « cascina Interno »
fuor di porta Magenta, che nelle antiche mappe, riscontrate dal-
l'Annoni, è chiamata « Inferno »: ma in tale significato è affatto
da escludersi Garegnano « in planitie elevatum ». Ora si osservi
che il Petrarca non dice che « Infernum » si chiamasse la ville-
reccia località da lui accennata, ma che con tal nome egli soleva
denominarla, « ego quidem.... dicere solco »: cosa che fa sorgere
il dubbio se sarà buona via, per sciogliere la questione, il ricer-
care nella toponomastica antica o moderna dell'agro milanese una
località il cui nome sia più o meno assomigliante a « Inferno » ;
perchè assai facilmente, o tratterebbesi di fortuita coincidenza, o
di posteriore adattamento in omaggio alla tradizione petrarchesca.
Ma intanto sorge altresì il dubbio che la voce « Infernum » usata
dal Petrarca non sia a prendersi in quel primo significato materiale
di « luogo basso » : dubbio che diventa più forte, quando si rifletta
che in caso diverso si sarebbe burlato dell'amico sottoponendo al
suo acume di dotto grammatico un significato tanto ovvio e na-
turale: « cuius etymologiam tibi committo », quasi dicesse d'indo-
vinare perchè mai così egli solesse chiamare quella villeggiatura.
Dubbio che finisce per radicarsi totalmente, allora che leggiamo
essere egli pronto a mutare quel soprannome, quando così paresse
all'amico, « paratus tamen in hoc te ut in multis sequi » ; essendo
che ciò che naturalmente è in basso, piaccia o non piaccia, non
potrà mai dirsi diversamente collocato. Si avverta poi alla vicina
contrapposizione ad « Infernum » di Helicona (« utinam vero tibi
u possem ostendere Helicona alterum, » etc.) : e scrive « Helicona
« alterum », con la quale espressione lascia chiaramente intendere
che il luogo, da lui pur soprannominato (per sue particolari ra-
gioni che lascia all'amico da indovinare, « ego quidem.... dicere
« soleo.... cuius etymologiam tibi committo ») Inferno, è non meno
in realtà Elicona, di quello sui colli Euganei: espressione che pie-
namente si rischiara con l'altra da lui usata scrivendo pochi mesi
prima, nel 1359, all' amico Francesco Nelli d' aver nel Milanese a
sua disposizione non uno ma parecchi « eliconii ritiri », nella cui
rusticana libertà poteva rifarsi dai disagi della vita cortigiana e
368 VARIETÀ
cittadina, « dum procul ab hominum turbis sum in alterutro Heli-
« cone nostro » (i). Per tutte queste ragioni mi sembra doversi
ritenere che la denominazione « Infernum » si debba prendere in
senso metaforico e non topografico, e che ritragga la sua origine
da casi particolari ivi occorsi al Poeta, i quali gliene avessero
funestata la memoria: la venuta dell'ospite amico, da lui tanto
desiderata, avrebbe finito per riabilitare, dirò così, a' suoi occhi
quel luogo, imparadisandolo, siccome egli stesso scriveva di non
dubitarne. Se è così, il nostro pensiero non può a meno di ricor-
rere a queir ignota località sulle amene sponde dell'Adda, dove il
Petrarca aveva villeggiato nell' estremo autunno dell' antecedente
anno 1359. Ben si poteva da lui chiamare, più che « Elicona w^
« Inferno » quel luogo di cui ignoriamo il vero nome. Dapprima
i continui rivolgimenti guerreschi, che, come gli avevano fatto
differire la villeggiatura dal luglio alla fine del settembre, non
avranno mancato di sturbarne la tranquillità: poi le dirotte e con-
tinue pioggie che, annunciando un inverno anticipato, gli vennero
a guastare quel breve soggiorno: infine la ripetuta caduta del vo-
lume ciceroniano che avevagli prodotta quella incresciosa ferita
alla gamba, della quale ancora in quell'anno che scriveva al Moggio,
sentiva le dolorose e gravi conseguenze. Pareva proprio che il
fato (oggi forse diremmo la iettatura) avesse preso il barbaro
gusto di venirlo a perseguitare in quel luogo da lui scelto per sua
quiete e felicità; quel fato, nel quale confessa di essere quasi
costretto a credere (2).
Così mi parrebbe potersi spiegare quella misteriosa e sugge-
stiva denominazione di « Infernum » usata dal Petrarca per una
delle sue villeggiature nel Milanese e di avere, in base ai dati del
suo epistolario, indagato la particolare ragione che indusse il Poeta
a chiamarlo così. O forse meglio dirò d'aver così tentato una pro-
babile spiegazione d' un passo petrarchesco, in attesa che altri su
più espliciti documenti ne proponga una migliore.
Con tutto ciò son ben lontano dal voler presumere di limitare
ai luoghi qui citati (San Colombano, Monza, Garegnano e le rive
dell'Adda) le località abitate dal Poeta nei suoi estivi soggiorni
sul Milanese: questi sono i luoghi ai quali egli espressamente
accenna nel suo epistolario; persuaso che e più numerosi e più
svariati siano -stati gli ameni villerecci ritiri, ai quali il Poeta chiese,
it) Family XXI, 12.
,(2) I^id., XII, 2 e J^
2 e XXI,, 10.
VARIETÀ 369
ospite desiderato, più o meno a lungo, tranquillità e ristoro nel
suo soggiorno fra noi; se vere dobbiamo dire le parole da lui
scritte di quel tempo all'amato discepolo Agapito Colonna: « ego
u tamen adhuc Ambrosii hospes sum et in extremo civitatis angulo,
« saepe etiam rure abditus quid àgat urbs nescio » (i). Una cosa
particolarmente ci importava di far rilevare che cioè il « Petrarca
« in villa » non è soltanto a ricercarsi a Garegnano, bensì in altre
località che con non minor fondamento sono a dirsi « le ville del
^^ Petrarca nel Milanese ».
Emilio Galli.
(i) Fatnil, XX, 8.
370 VARIETÀ
Elisabetta Cristina di Wolfenbùttel a Brescia
(1708).
I.
OLGENDO ormai le sorti della guerra favorevoli alle armi
della lega, Carlo III re di Spagna, col qual titolo era
chiamato l'arciduca d'Austria che fu poi imperatore, fissò
le sue nozze con la principessa Elisabetta Cristina di
Wolfenbùttel, la quale partì quindi da Vienna per raggiungere a
Barcellona il regale consorte. E dovendo essa passare nel suo
viaggio pel territorio della repubblica veneta, il Senato, pur non
consentendo a considerarla come regina, diede ordine al Provve-
ditore generale Daniele Dolfino, perchè fosse ricevuta e trattata
con lo sfarzo conveniente all' alto suo grado ed al decoro della
Serenissima.
E le accoglienze furono davvero fastose, specialmente a Bre-
scia dove la regal donna si fermò due giorni. Delle feste che quivi
si fecero ci lasciarono un breve ricordo i due diaristi Bianchi e
Cazzago (i) e un racconto assai particolareggiato se ne trova in
un manoscritto inedito della Queriniana (2). L' autore è anonimo,
ma appartenne evidentemente alla nobiltà bresciana e fu testimonio
oculare delle feste che descrisse con lo stile enfatico e tronfio del
suo tempo, senza tuttavia alterare la sostanza dei fatti, come ap-
parisce confrontando con esso il racconto dei due diaristi.
Il passaggio di una sovrana non era per verità una cosa nuova
per Brescia, la quale poteva vantarsi di avere accolto entro le mura
(i) BfANCHi, Diario, in cod. Querin.-Ducos, 45 t., p. lOj e Cazzago, Cro-
naca .di Brescia, in cod. Querin., C. I, i, p. 61.
(2) Cod. Ducos, 94. Il titolo è il seguente : ijo8 \ Elisabetta Cristina \ Prin-
cipessa di Wolfenbùttel \ Destinata sposa a | Carlo ter^o \ Re delle Spagne \ Nel
suo viaggio da \ Vienna a Barcellona \ passa ed alloggia sopra lo stato veneto \ nel
Maggio l'joS. Il ms. cartaceo è una copia. Un altro esemplare con qualche va-
riante doveva trovarsi, come dichiara egli stesso, nelle Miscellanee dell'autore.
Inoltre una copia era stata preparata per il signor Antonio Nani, capitano in quel
tempo a Brescia, ma non gli fu consegnata.
I
VARIETÀ 371
parecchie volte donne di sangue regio, dalla regina Caterina Cor-
naro (i) air imperatrice Maria Teresa (2); ma la principessa Cri-
stina veniva in Brescia quando la città cominciava appena a riaversi
dai gravi danni della guerra di successione subiti più per opera
dei francesi che degli spagnuoli (3), quando, come si è già avver-
tito, pareva ormai assicurato il trono spagnuolo a Carlo III, onde
si comprende come popolo e nobiltà corressero tanto più volentieri
incontro alla giovane sposa, gareggiando col senato nello sfarzo e
nella pompa del ricevimento. E appunto nella descrizione della
fastosa accoglienza consiste l'importanza dello scritto del nostro
anonimo. La nobiltà delle piccole città trascinava difatti allora la
sua vita unicamente nello sfoggio delle avite ricchezze e nelle me-
schine gare di precedenza ; e poiché per la misera condizione del
popolo la vita della città stessa sembrava confondersi con quella
della nobiltà e compendiarsi in essa, così crediamo che la descri-
zione di queste parate giovi non solo alla storia del costume, ma
anche a quella della vita cittadina. Perciò non ci sembra inoppor-
tuno riassumere in larga parte e trascrivere nei suoi passi più
notevoli il racconto del nostro anonimo.
II.
La regina partì da Vienna il 24 aprile, affidata dall'impera-
tore al duca di Lorena, arcivescovo d'Osnabrugg e vescovo d'Ol-
miitz, figlio del duca Carlo V di Lorena, cognato dell' imperatore,
che « con titolo e dignità ed autorità di assistente ed aio doveva
« seguirla fino all'imbarco e poi fino a Barcellona ». La accompagna-
(i) La regina venne a Brescia nel 1497, ed ebbe accoglienze solenni che
furono descritte da Marin Sanudo, nei suoi Diarii. Cfr. anche (\\iQsl^ Archivio,
XV, 1888, p. 52.
(2) Altre principesse vennero a Brescia nel secolo XVII : Maria Anna,
quando nel 1649 andò sposa di Filippo IV, re di Spagna (ved. C. Cantù, la
pompa della solenne entrata fatta in Milano, in (\\itsx'' Archivio^ XIV, 1887, p. 346)
e fu in questa circostanza, che avendo i Bresciani offerto alla regina delle calze
di seta, l' industria della quale era allora fiorentissima, si sentirono rispondere
bruscamente dal duca di Maqueda, maggiordomo di Maria Anna, che le regine
di Spagna non hanno gambe. Nel 1666 prese alloggio in città la figlia di lei
Maria Teresa, quando da Madrid andò a Vienna sposa dell'imperatore Leopoldo I.
(3) Il Cazzago nella Cronaca citata scrive difitti che « gli Spagnuoli furono
« sempre onoratissimi nei loro accampamenti, pagavano tutti e nel verno si ri-
« tiravano nel Milanese ». Vedi anche Odo.^ici, Storie bresciane, voi. IX, p. 314.
372 VARIETÀ
vano pure il conte di Mollard, cavallerizzo maggiore di S. M., il
conte di Voltzia (i) cavaliere delle Camere e commissario alle prov-
visioni, il conte di Galles, cavaliere spagnuolo, la principessa di
Liechtenstein, la contessa di Otting, maggiordoma maggiore, la
contessa di Infeld, dama d'onore con un suo figliuolo, la principessa
Carlina, figlia di Liechtenstein, e la seguiva un numeroso corteo di
dame, di cavalieri, di servi, nel quale si notavano il confessore, il
medico, il chirurgo, lo speziale, il cuoco, il calzolaio, la lavandaia
e la nana di conversazione, addetti specialmente alla persona della
regina insieme con quelli per la corte, con uno sciame di camerieri,
di lacchè, di cocchieri, tanto da superare il centinaio. 11 24 di
maggio il corteo giungeva al confine veneto, dove trovavasi pronto
a ricevere l'augusta signora il Provveditore generale di terraferma
Daniele Dolfino, il quale aveva già preso tutte le disposizioni per-
chè il ricevimento fosse degno di lei e della Repubblica. Volendo
che nel suo corteo si trovassero notabili veneti e bresciani, aveva
mandato al suo confidente Antonio Preti tante lettere di invito
senza indirizzo con ordine di recapitarle a chi credesse meglio.
Ma il Preti nel mandare tali lettere soggiungeva a voce che « si
« ricercavano almeno due mute d' abiti, uno da campagna, 1' altro
« sontuoso da città; quattro servidori, cioè un cameriere, due lac-
« che ed uno stalliere; tre cavalli, uno per il cameriere, l'altro per
u il padrone (e questo riccamente guarnito), con uno a mano dello
n stalliere e questo pure a cavallo; tre livree da città, tre da cam-
ii pagna. Niuno accettò l'invito; chi si scusò per aff'ari, chi per
« esser figliuolo di famiglia...., alcuni dissero assolutamente di no e
« due soli risposero: se gli altri tutti invitati verranno, verranno an-
« ch'essi. Laonde vedendo il Preti la resistenza pregò quelU ai quali
« avea a consegnare le lettere a non rispondere al Dolfino, mentre
« egli avrebbe imposto per tutti.... » (2).
Riuscirono meglio al Dolfino i provvedimenti presi per ordinare
il suo equipaggio in modo che « risplendesse in esso e la grande2;za
(i) Così scrive l'A., ma forse volle scrivere Wollstein?
(2) L'A. adduce come spiegazione dell'assenza dei nobili bresciani dal corteo
il fatto seguente : « Divulgava il Preti come non ci sarebbe stata distinzione né
« superiorità né inferiorità tra nobili veneti e nobili dello stato, ma tutti trat-
<( tati con uniforme parità, e interpellato poi se si esibiva mallevadore, rispose di
« no. Laonde tutti ricusarono, addolorati da quanto era accaduto in Verona nel
« passaggio dell'imperatore regnante. Allora pure si diede tale intenzione, ma
« non fu adempiuta, sicché alcuni cavalieri di terraferma bel bello si ritirarono
« nell'atto del corteggio ».
VARIETÀ 373
« del principe ed il proprio decoro.... Scelti però otto cavalieri gio-
« vani di indole generosa e di costumi senza neo, d'aspetto dotati,
« con titolo di paggi ebbero i vestiti oltremodo ricchi e gai e di
« buon gusto, perchè se riguardiamo il soprabito, appena poteva
« scorgersi il veluto cremesino, tanto era coperto di belle liste d'oro e
« il sottabito rintuzzare la vista coi tanti raggi tramandati dal drappo
« all'ultima moda di ganzo [broccato] d'oro e tutto corrispondeva il
n rimanente. Poco dissimile era lo sfoggio da campagna, perchè
« sopra fino scarlatto strisciavano in copia merli d'oro e la sotto-
« velada di stoffa non invidiava la mostra di un vago giardino.
u Copriva i staffieri un panno pure cremisino a dupplicate larghe
« trine d'oro e li dodici alabardieri (marca questa speciosa e di-
u stintiva della generalizia dignità), indossavano sopratutto, dirolla,
« lucerna, colobio o volgarmente casacca senza maniche, lunga a
« mezza gamba e di larghe falde, in cui parte a destra, parte a
« sinistra, effigiato con ago e ricamo d'oro risaltava il blason Dol-
« fino. Portavano questi sopra la spalla dodici ben travagliate ala-
« barde da intagli ed oro lucenti. Qui non pongo a numero otto
« snelli lacchè, molti palafrenieri conducenti a mano addobbati ca-
« valli, né altra gente bisognosa al pronto ed immediato servizio »».
III.
Intanto giungeva a Brescia il Quartier Mastro per esaminare i
preparativi fatti nel palazzo che doveva ospitare la regina. Udiamo
il nostro anonimo:
Precorse Tarrivo della Corte... a stabilire le posate, a disegnare le
stanze, a prefiggere il numero d'uomini e d'animali acciò ogni condi-
zione ritrovasse pronto il conveniente trattamento. Nulla ebbe a mu-
tare in città nel quarto assegnato alla sua Sovrana, anzi ammironne la
struttura, gli addobbi, la ricchezza. Chi è pratico di Broletto (i) sa quanto
(i) Il VM.^'armi, Il palalo di Broletto in Brescia, in questMrcH-y/o, XXIII,
1896, II, p. 181, non ci dà nessuna descrizione dell'interno del palazzo in
questo tempo. Dice solo che per « avere un' idea della ricchezza in argenterie,
« in stoviglie ed in addobbi degli appartamenti del Podestà e del Capitano
« Grande.... basta leggere alcune descrizioni che il cronista Bianchi ci ha copiato
« nel suo Diario pel ricevimento di principi o di ambasciatori che venivano da
« Venezia »; e riporta in nota qualche passo del Diario, nel quale però non si
fa alcun cenno dell'ordinamento interno del palazzo; tanto più quindi parmi
utile trascrivere integralmente questa parte del racconto del nostro anonimo.
Arch. Star. Lomb., Anno XXXII, Fase. VI. 24
374 VARIETÀ
sia maestoso tale recìnto, soggiorno continuo dei rappresentanti la ve-
neta autorità. Ampio scalone dà V ingresso alle parti superiori, a sini-
stra abita con la Curia l'Ecc. Podestà (di presente il signor Gabriel Emo);
sale capaci, doppie fughe di stanze sempre da ricchi arredi vestite con
altre camare per il nobile e basso serviggio compongono questo fianco;
a destra l'appartamento. Egli è più sontuoso nella fabbrica, più allegro di
sito, più copioso di stanze ben ripartite e del soggiorno dell' Ecc. sig. An-
tonio Nani con la carica cospicua di Capitanio rendesi ora più illustre....
S'entra in questo, dopo asceso lo scalone, per due ampie sale dipinte
tutte a fresco, incontrasi a linea diritta tre stanze, indi una più piccola
e sovrasta all'altra due gradini, da cui si sbocca nel pensile giardino,
ove vaga fontana con sottoposta peschiera ed altre distribuite in quel-
l'ameno quadrato gettano l'acque fresche e cristalline e queste ben da
lungi vengono inchiuse per tubi sotterranei dal continuo artificioso moto
di macchina versatile. Dal giardino si scopre gran parte della città,
terminando a monte la vista nel prospetto del forte castello. A fianco
quattro altre stanze con mezzadri gabinetti servono ordinariamente per
il gineceo, senza numerarne parecchie tutte civili ripartite a ben intesa
proporzione. Dalla seconda volgendo a sinistra s'apre un' alta e vasta
loggia o galeria a balaustri di marmo e corrisponde nel pubblico cor-
tile; in questo zampilla una deliziosa fonte e a capo altre camere as-
segnate per lo più a forestieri di rango. Quasi a mezzo della loggia
s'entra nell'anticamera, da questa in quella d'audienza; indi una rin-
ghiera di ferro circonda il cortile interiore e dà l'ingresso nella capella
e in altri luoghi coperti e scoperti. Il bassopiano viene tramezzato e
distinto da quei tanti siti di cucine, dispense, cantine, stalle, rimesse di
cocchi o di altri bisognevoli ed opportuni....
S. E. il sig.' Capitanio nulla ebbe da aggiungere ad abbellimento
al suo quarto, in cui doveva alloggiare e pernottare la Principessa,
perchè nel suo primo ingresso alla carica.... spiccavano gli addobbi negli
argenti e dì quanto altro vanno adorne le stanze. A questo passo di
bona voglia tralascio l'intera minuta descrizione dellì veluti e fiori, delli
damaschi cremesi, degli arazzi, delli tappeti persiani, da cui vestite le
mura e coperte parimenti attraeano l'occhio ammiratore. Mi dispenso
dalla specificazione di lampade di cristallo pendenti da vòlti e soffitti,
dì lampadari d'argento attaccati alle muraglie, parte sostenenti una,
parte tre candele di cera per ognuno, di gran vasi d'argento, di specchi
superbi, di sedie e tavole alla cinese con nobile lavoro travagliate e
nei quali l'arte supera la materia. Né meno numero stipi intagliati ed
indorati, e.... porcellane fine, chiccare del Giappone e Cina, legate in oro,
vasi d'agata e mille altre galanterie di filagrana, e per terminare, nulla
mancava di grande e sontuoso.
La seconda delle camere, dopo passate le due sale, fu intradistinta
perchè destinata al ricevimento degli Ambasciatori e dei Principi nel
ricevere dalla Principessa le audienze ed ove Ella udì la messa, ove
mangiò. S' alzava in essa il baldacchino di velluto a un solo gradino e
VARIETÀ 375
sotto una ricchissima sedia di ganzo; né in questa né in altre stanze
di quella fuga si contavano sedie; obligato ognuno a starsene in piedi.
E la piccola contigua al giardino, nella cui volta spiccano insigni pitture
del nostro famoso Lattanzio Gambara, fu l'amena cella in cui al dolce
mormorio delle acque cadenti prese riposo la donzella reale....
Ebbe finalmente il Capitano l' incarico di provvedere al più ma-
gnifico trattamento, il che egli fece sia coU'assegnare diverse cu-
cine secondo il grado delle persone, sia con la ricerca dei viveri,
alquanto difficile, perchè la stagione non offriva che fragole e poche
cerase non ben mature, mentre v'era penuria di neve e di ghiaccio
per la grande mitezza dell'inverno precedente.
A rendere più importante il ricevimento che si preparava alla
regina, giungevano poi in Brescia anche il duca di Parma, Fran-
cesco I, ed il granduca di Toscana, Gian Gastone, i quali furono
pure onorevolmente accolti ed ospitati in case di patrizi bresciani,
sebbene il granduca dichiarasse di voler serbare l'assoluto incognito.
IV.
Intanto la regina, ricevuta solennemente dal Dolfino a Busso-
lengo, si dirigeva verso Brescia, sostando alquanto a Ponte S. Marco
in casa del conte Annibale Pro vaglio per sottrarsi al gran caldo
del meriggio (i). La breve sosta ritardava però l'arrivo del corteo
in città, la quale dimostrava già l'impazienza di vedere il grande
spettacolo. E appunto perchè l'effetto non venisse scemato dalle
tenebre, furono attaccate ai muri e piantate in terra delle spesse
lumiere e per cura dei cittadini vennero illuminate con torcie e
candele le porte e le finestre delle case, le quali erano pure state
convenientemente addobbate. Finalmente, dopo tanto lunga attesa
arrivò il corteo, ed ecco come ne descrive l' ingresso in città il
nostro anonimo :
Tutte le finestre e pergoli addobbati da fini tappeti e sete erano
per così dire carri di trionfo del Dio d'amore, in cui sedeva la beltà.
(i) A Fonte S. Marco la regina « ebbe un piacere innocente quando il « no-
« stro popolo al suono di due violini toccati da Giuseppe e Gio. Battista Padua,
« padre e figliuolo, nativi della terra di Calcinato, tessè belle danze alla sua foggia
« campestre », tanto che la regina ne ordinò la continuazione e donò dieci on-
gari ai suonatori (Racconto dell'A.).
376 VARIETÀ
la venustà, il brio di tante dame e forestiere e patrizie, impegnate in
quel giorno e nei seguenti alla più ricca e bizzarra comparsa. Cava-
lieri delle circonvicine città, particolarmente del Ducato di Milano e
nostro a tutta gala e sontuosamente abbigliati non capivano sopra le
porte....
Udissi finalmente il primo saluto a palla dal castello, quando dopo
dato il concertato segno con una fogata dalla torre della chiesa di
S. Francesco da Paola (i) fuori delle mura scoprì la regia carrozza
lontana mezzo miglio. Seguitò la fortezza con trenta tiri d^artiglieria e
da' terrapieni della città ove pure erano all'ordine i bronzi fu corrisposto
a vicenda e tanto si pratticò all'entrar nelle porte e nello smontare a
palazzo. Due interi reggimenti oltre al solito presidio furono giorni
avanti introdotti in città e questi a destra ed a sinistra dalla porta di
Torrelunga schierati, oltre nova milizia sopra la gran piazza del Domo
fecero echo coi loro moschetti alla gioia ed all'arrivo. In vicinanza della
città stavano disposti tre squadroni di cavalleria, il primo del colonnello
di dragoni conte Giov. fermo a sinistra della strada, il secondo di co-
razze del col. conte Girolamo Tadino, il terzo dei croati del col. conte
Alvise Butrovich. Tutti questi venerarono l'arrivo della principessa col
suono di tutti i loro militari istromenti, a quelli corrispondendo i con-
certi d'obice dei Reggimenti d' infanteria rendevano strepitosa ed as-
sieme grata armonia....
Dopo quattro cocchi apparve quello in cui risplendeva l'oggetto di
tutti gli sguardi. Sedea la bella Dea di Gnido in quel volto in cui la
maestà e la modestia avevano il suo trono.... La fronte della reale don-
zella era un cielo, ma non irato, dai cui occhi si vibravano lampi di pace
e questi soh (senza il serviggio di ventiquattro grossi doppieri portati
a canto del cocchio da soldati schiavoni vestiti a livrea con aironi d'ar-
gento sopra le berette, usciti un miglio fuor della città) avrebbero reso
la notte uno splendidissimo giorno. Ella tutto riso, tutta rose, or da una
parte or dall'altra affacciavasi dal cocchio, quasi corrispondendo a pro-
fondi inchini del popolo affollato. Sei staffieri a capo scoperto tenevano
sempre la mano pronta a trattenere anche una piccola scossa del carro.
La contessa d'Otting maggiordoma sedeale in faccia. Venticinque arcieri
a cavallo a sabla nuda seguivano di guardia, indi altre sei carrozze chiu-
sero il suo treno senza numerare paggi, parafrenieri. Con tal ordine
entrò dalle porte di Torrelunga in città, rivolto a mano sinistra su la
piazza di Sant'Eufemia, diritto verso S. Barnaba fino alla contrada del
Pie del Dosso e salito quel dolce promontorio s'avviò dal Vescovado
dietro al coro del novo Domo sopra la piazza del Domo.... Inchinata
dal conte Cahno ascese lo scalone maestoso appoggiata al braccio del
conte di Molart,... camminando avanti il Principe di Lorena e ritirossi
nel suo appartamento....
(i) Piccola frazione, distante circa un miglio da Brescia.
VARIETÀ 377
Intanto a Torrelunga seguiva la mostra del Provveditore ge-
nerale.
Al festivo suono di quattro trombe fu calato il sipario. Numerosa
l'antiguardia a cavallo di due compagnie, una di croati del colonnello
Butrovich; l'altra di corazze dal conte Girolamo Porto da Parma rosso
coperta, spada alla mano, coi suoi timballi battuti da un moro; molti
staffieri con otto paggi pure a cavallo ricchi negli abiti fecero il pro-
logo. Egli in cocchio dì tiro a sei, vestito a tutto cremisi, scarpe e cap-
pello, consuetudine e distinzione questa di generalitia veneta autorità,
servito da dodici altri schiavoni con torcie, otto lacchè e buon numero
di staffieri, compì il primo atto. Il secondo fu rappresentato da sette
carrozze a sei di sua livrea e da sette altre pure a sei, tutte colme di
cavalieri di suo corteggio. Terminò il terzo ed ultimo nella retroguardia
di due compagnie di cappelletti e due di corazze a cavallo con ferro
lucente in pugno. Tale folta e svelta comitiva non entrò in Broletto,
ma giunta su la piazza del Domo seguitò il capo al suo destinato al-
loggio, in cui dopo aver cenato a laute mense, la gente nobile e civile
si ridusse a riposi in varie vicine case preparate....
E per quel giorno finì così.
V.
La mattina successiva il popolo, riavutosi dallo sbigottimento
di una scossa di terremoto (i), affollossi in piazza per vedere la
regina che doveva andare alla messa, mentre la più scelta nobiltà
recavasi a palazzo per far ala al passaggio della regina e le dame,
alzatesi pure di buon mattino, prendevano frettolose posto nella
cattedrale. E fu qui che in mezzo a tanto sfarzo di abiti si distin-
sero molti patrizi milanesi, tra cui quattro grandi di Spagna, don
Annibale, visconte generale delle armi di S. M. Cesarea, e suo fra-
tello, gran cancelliere, venuti quali sudditi a rendere il dovuto vas-
sallaggio alla loro sovrana. Questa « uscì dalle stanze, alta nella
« statura, maestosa in fronte, ridente in bocca; vestiva alla moda
u un drappo color di rosa con poca tessitura a fiori d'oro appro-
« priato per la stagione cocente, grosse bianche perle cingevano il
« collo di neve e nei capelli sopra la fronte da industre mano biz-
(i) L'A. attribuisce la scossa di terremoto nientemeno che alla paura della
terra per la corsa vertiginosa del sole il quale era smanioso di ricomparire sul
nostro emisfero a contemplare la bellezza della nostra regina e la pompa solenne
di quelle feste!
378 VARIETÀ
« zarramente increspati serpeggiavano diamanti e rubini con vago
u innesto armonizzati.... Al primo spuntar nella gran sala tutta la
« nobiltà profondamente inchinossi e la milanese schierossi in su-
« perba gala e andóle avanti facendole corte. Questo fu uno de' rari
u spettacoli ; osservar duecento e più parrucche di cipria polve
« asperse con quanto di gaio seppe modellar il fasto, con quanto
« di puro sangue seppero tramandar gli antenati, con quanto di
« fine educazione procurarono instillare i genitori unito in suddita
<• leale colleganza pronto agli ossequii della sua regnante signora ».
La regina andò in Duomo, assistette alla messa stando sempre in
ginocchio durante la cerimonia, che l'A. descrive pur minutamente
quindi tutti andarono a pranzo.
Nel quartiere pretorio le stanze e le tavole erano state distri-
buite quali con più posate, quali con meno, secondo il grado dei
banchettanti.
Là una per i cavalieri delle chiavi d'oro, là una pei gentiluomini
di camera, qua quella dei cappellani, confessori, paggi, colà quella degli
aiutanti a quartier mastro, di là l'altra dei medici, chirurghi, speziali....
Imbandite erano le tavole con tutto il decoro e lautezza, e quanto o la
stagione contribuiva o le dispense più riservate votavano o il nostro o
l'altrui clima produceva, tutto qui era adunato nell' impegno pubblico
della dovuta magnificenza. Vini del paese e dei contorni e di quante
altre sorti con navi giungono a Venezia qui si versavano con tutto il
diletto ai signori tedeschi. Abbondarono a dovizia le dolci manipola-
zioni e li canditi e le confetture in quantità condotte dalle venete la-
gune.... Anche il copioso serviggio d'argento.... augmentava la splen-
didezza del Senato. Qui non esprimo numerose casse ripiene di zuccari,
di varia e candida cera, altre di fini cristalli per uso della mensa, altre
di più squisiti aromati. Chi bramava rosolini, chioccolatte, caffè, thè,
acque ghiacciate, sorbetti.... era pienamente soddisfatto. A contentare poi
il basso serviggio, arcieri, cocchieri, staffieri, soldati, ogni altro servente,
lunghe file di tavole erano disposte e nel cortile interiore prefettizio
ove fumavano i cibi e sotto logge.... colà si saziava la turba assistita
da più persone a questo solo effetto trascelte.
Nel pomeriggio dello stesso giorno la regina ricevette le prin-
cipali autorità e le rappresentanze che erano state mandate dalle
varie città. Ed il ricevimento diede occasione a nuovo sfarzo di
equipaggi, di livree e di sontuosi vestiarii :
La prima [udienza] com'era dovere, fu conceduta al Rappresentante
della Serenissima Veneta Repubblica. Sonate le ore ventuna mandò la
Principessa due sue carrozze e nella prima un cavaliere dal titolo di ca-
meriere dalle chiavi d'oro a levar dal suo palazzo il sig. Provveditor gè-
VARIETÀ 3
nerale, l'altra era vota... [Discesero entrambi dal palazzo, il sontuoso treno
generalizie sfilò direttamente da Via del Fiume per S. Antonio e Piazza
del Duomo fino al Broletto, cosi composto]: Due trombe a cavallo avvi-
savano la venuta. Ventiquattro corazze ben montate a cavallo di van-
guardia, trenta staffieri Dolfini a destra, trenta soldati a piedi di uni-
forme panno rosso vestiti con moschetti in ispalla a sinistra. La prima
carrozza era quella della regina in cui sedeva il Delfino solo, nella parte
superiore, con abito, cappello e scarpe rosse, con bottoniera e grossi dia-
manti alla velada e con cintiglio parimente folgoreggiante a gioie attorno
al cappello. In sua compagnia il cavaliere di corte pur solo nel sedile
inferiore. Era circondato il cocchio da otto cavalieri, paggi a piedi, da
otto lacchè e poi da quattro staffieri di corte tedeschi. La seconda car-
rozza era quella del Generale, tutta intagliata e messa a oro con cielo
dentro e fuori di veluto cremisino e nell'esterno con alto ricamo d'oro
spiccava lo stemma Delfino; questa era vota e la guardavano quattro
corazze a cavallo. Seguivano sette cocchi con livrea generalizia ed
altri sei con divise varie e questi tutti a tiro sei ; si aggiunsero quattro
cocchi bresciani a due e in qualsivoglia erano generali della Serenissima,
cavalieri sì nobili veneti sì dello Stato. Chiudeva la ricca, maestosa e
degna comparsa la seconda regia carrozza a sei, in cui ninno sedeva.
La quantità promiscua dei staffieri e lacchè.... ognuno se le idei.
Ricevuto ai piedi dello scalone ed accompagnato coi dovuti
onori entrò nella camera degli specchi dove, ritta in piedi sotto un
baldacchino, stava la regina, alla quale espose i voti del Senato. La
breve dimora di lui a palazzo diede agio al duca di Parma ed al
granduca di Toscana, Gastone, eli recarsi con speciale ricco corteo
a rendere omaggio alla regina, la quale trattenne però più a lungo
presso di sé il granduca. Essendo già tardi, fu rimandato al giorno
successivo il ricevimento della nobiltà. Ma prima che questa fosse
ammessa alla visita reale, il Provveditore faceva presentare alla
regina da 60 sue livree il regalo inviato dal Senato consistente in
cristalli, lavoro e merce peculiare di Venezia, u Su sessanta bacili
« o vimini capivano i cristalli dei quali formavasi un copioso ser-
« vizio di tavola ... Ogni pezzo .... era lavorato a filagrana e però
« della più singola e celebre estimazione. Tutto con ordine vago era
« distribuito a proporzione sopra bacili seminati di frutti e fiori pur
« di cristallo al naturale, non solo, ma di quantità di frutti e fiori
« intessuti con tutta imitazione della natura dalle delicate mani delle
« sacre vestali a Vicenza a Venezia furono mandate anche confet-
« ture o cere da essere riposte in ventiquattro ceste, dodici per parte,
u da servire per il regalo pubblico alla sposa, ma non le furono
u fatte vedere, onde parendole che il regalo fosse inferiore a quello
« presentato all' imperatrice regnante, sdegnosetta non volle ricevere
380 VARIETÀ
« nemmeno i cristalli, che rimasero così abbandonati. » Debolezze
femminili !
Intanto dalle varie parti della città dirigevansi al Broletto i
nobili milanesi coi rappresentanti delle città lombarde e del ducato.
Milano aveva mandato dodici dei suoi pila cospicui personaggi;
r insigne collegio dei giudici e cavalieri e conti di Milano pure se ne
scelse per la particolare sua copiosa adunanza. Da Pavia, quattro, da
Cremona, cinque, da Lodi, da Mortara, Alessandria, Como, Valenza,
Tortona, Vigevano, quattro pure per ognuna di queste città si spicca-
rono. Ogni ambasciatore s' aveva scelto un camerata almeno di pari
rango ed altri volontari si aggiunsero finché si accrebbe al doppio e
più la strepitosa comparsa. Chi nella sua patria aveva posto di sena-
tore, di questore, di giudice o ascritto a qualche magistrato vestiva la
toga, il rimanente con la spada. Secondo l'ordine stabilito per la pre-
cedenza ascesero lo scalone, si divisero per gruppi nella gran sala,
donde a parte a parte entrarono nella camera degli specchi a rendere
l'omaggio di loro sudditanza e lealtà alla propria Sovrana, sedente sotto
il baldacchino con breve umilissima esposizione corrisposta con aggra-
dimento compendiato con poche parole....
A più gradito divertimento s'apprestavano frattanto le dame e
cavalieri. Nel cortile del Broletto s'era improvvisato un giardino
adorno di vasi di acacie fiorenti, di statue di deità, con tutto at-
torno un' infinità di cera che dava risalto alla magnificenza. E qui
fu eseguita una serenata immaginata e diretta dal cavaliere Fau-
stino Avogadro ed eseguita da un coro di trenta musici e settanta
suonatori di vari strumenti parte di Brescia e parte fatti venire
dalle vicine contrade. I versi erano del poeta bresciano, Gio. Bat-
tista Bottalicio, e la musica di Luigi Manzo, da poco tempo ritornato
dall' Inghilterra e dalla Germania. La regina, a cui la serenata era
dedicata, annuì a rendere quasi vanaglorioso, dice l'anonimo, il di-
vertimento con la sua presenza. Servita dal principe di Lorena e da
sue damigelle e cavalieri comparve nel mezzo dell'alta loggia, se-
dendole accanto su una sedia più bassa e di paglia il Provve-
ditore.
Sfavillavano intanto i doppieri a dovizia distribuiti nelle stanze,
nelle sale, nella galleria, nel finto giardino del cortile e in ogni angolo
e al rimbombo sonoro e strepitoso di quattro trombe, di quattro obici
fu salutato Tarrivo della reggia donzella; indi il coro di trenta musici
e settanta suonatori di vari strumenti principiò alla prima di notte e
applauso festoso e per cinque intieri quarti d'ora o risuonò a ripieno (?)
l'armonia o le voci di eletti cantori a vicenda riscossero un'estatica am-
mirazione.
VARIETÀ 381
VI.
Il 29 maggio la regina lasciò Brescia con la stessa pompa con
cui v'era entrata, salutata dai tiri d'artiglieria dal castello « e dalle
« milizie spallierate sopra le mura della città coi moschetti a palle
« e alcuni falconetti ». S'era stabilito di fare una sola tappa da Bre-
scia a Palazzolo, ed il Quartier Mastro erasi già recato giorni avanti
colà a destinar gli alloggi e misurar le strade, ma la regina non volle
saperne di fare 18 miglia di strada fra tanta polvere, onde fu deciso
di preparare il pranzo ad Ospedaletto, facendosi però comprendere
alla augusta signora che colà non vi era cosa alcuna all'ordine. Tut-
tavia il conte Orazio Calini, avvertito di spedire tutto quanto si do-
veva consumare, eseguì l'ordine tra la notte e la mattina. Dal canto
suo il nobile Lelio Cavallo, che aveva la direzione del ricevimento
ad Ospitaletto, supplì con avvedutezza alla mancanza di grosse prov-
visioni, che dovevano essere mandate da Brescia, tantoché la regina
si mostrò molto soddisfatta e fece regalare il Cavallo di due can-
delabri d'argento lavorato a vite d'oncie sessanta. A Palazzolo pure
nulla mancò per opera del conte Orazio Calini, il quale « provvide
« del più prezioso pesce dei nostri laghi e fiumi, che con sommo
« diletto e sazietà gustarono gli esteri ». Da Palazzolo proseguì il
corteo fino ad Urgnano, castello del Bergamasco, dove la regina
sostò presso il conte Giovanni Albano e si divertì e quasi direi do-
mesticamente con alcune dame colà accorse e massimamente ebbe
piacere di parlar francese con la contessa N. Vertua, versata in
tal linguaggio. Giunti al Serio, e scandagliato il fondo, fu permesso
alle carrozze e cavalli il passaggio del fiume ; essendosi schierati
poi più di 50 carri coperti di tavole nelle acque a facilitare il tran-
sito ai fanti.
A Ceserano, ultima terra del veneto, e precisamente nel luogo
chiamato Fosso Bergamasco, al margine veneto, il Provveditore
generale, che aveva sempre seguito il corteo regale, si congedò so-
lennemente dalla regina. Presentato dal conte Mollart, egli si accostò
alla carrozza di Cristina, la quale nel vederlo « s'alzò quanto con-
« cedeva l'altezza del cocchio ed in maniera però anche più obbli-
« gante di quello usato nel primo incontro ». Fatti i complimenti,
essa uscì dal confine accolta da salve di moschetterie. Tragittò
l'Adda e il sovrapposto canale navigabile, poi, riposatasi a Vaprio, si
diresse a Milano, dove arrivò incognita, sotto un diluvio di pioggia,
serbando l'ingresso solenne ad altro giorno.
382 VARIETÀ
Come poi fosse ricevuta in Milano fu già ampiamente narrato
dal Calvi (i) e dal De Castro (2).
Agostino Zanelli.
(1) Calvi, // patriiiato milanese, Milano, Mosconi, 1875, p. 249 sgg.
(2) De Castro, Milano nel settecento, Milano, Dumolard, 1887, p, 57. Note-
vole pure è il racconto del soggiorno di Elisabetta nel convento dei Cistercensi in
Parabiago pubblicato dal Giulini in quest^ Archivio, XXVIII, 1901, i, pp. 353-362.
BIBLIOGRAFIA
Alberto Pisani-Dossi, Verdesiacum, Pavia, tip. succ. Fusi, 1905, in-8,
pp. 26, con 2 tav. (Estr. dal Bollettino della Società Pavese di storia
patria).
Appassionatissimo ricercatore di antichità, il dotto autore dei pre-
sente libretto, ha avuto una ventura assai preziosa e ben meritata,
quella di rintracciare le vestigia di una terricciuola dell' agro milanese,
scomparsa da secoli e completamente dimenticata. Verdezago (rom.
Verdesiacum) era un pago romano, esistente nel territorio d'Albai-
rate e precisamente nel punto intermedio fra questo villaggio e quello
di Cisliano. Dell'età più antica non esistono ricordi ; ma nell'alto medio
evo il casale era tuttavia popolato; e ne parlano più documenti notariH
dei secoli XI e XII, dove è fatta anzi memoria della cappella di S. Fau-
stino ivi edificata. Però sul finire del mille e cento il luogo era già de-
serto d'abitatori. Una pergamena del 1170, accennando ad una lite insorta
tra il prete della chiesa di Cisliano e l'abbate di S. Vittore di Milano
circa la chiesetta di S. Faustino, dice che questa sorgeva " ubi quondam
" dicebatur Verdezagum „.
Gli scavi tentati dal Pisani-Dossi gli hanno dato modo di richiamare
all'aperto molti notevoli avanzi dello scomparso casale. Egli ha rinve-
nuta nel 1903 la necropoli di Verdezago e vi ha raccolto vasi di terra,
di vetro, oggetti di ferro, monete, ecc. Inoltre ha potuto ritrovare le
tracce d* una chiesetta absidale, perfettamente orientata, che è certo la
cappella di S. Faustmo, di cui parlano i documenti. Ma se il villaggio
de' morti si è così rivelato, non ancora è stato ritrovato quello de' vivi.
All'intelligente sagacia del Pisani-Dossi però anche questo non rimarrà,
speriamo, troppo a lungo irreperibile.
Ringraziamo intanto il colto gentiluomo d'avere arricchito di dati
nuovi con questo pregevole contributo, la storia della campagna milanese.
Dott. Giuseppe Boni, Saw Bernardino da Siena a Pavia, Pavia, tip. succes-
sori Fusi, 1904, in-i6, pp. 24.
Questa breve narrazione della vita del Santo, composta con intento
religioso, non reca documenti nuovi. L'autore considera l'attività dimo-
384 BIBLIOGRAFIA
strata da S. Bernardino in Pavia nel diffondere la devozione al nome
di Gesù, diffusione di cui resterebbero tracce nel simbolo imposto ad
alcune case della città. Rammenta il particolare culto che questo santo
ebbe in Pavia, sicché in suo onore fu fatto eseguire nel 1462 dal pit-
tore Vincenzo Poppa, nella chiesa del Carmine, un dipinto, che poi scom-
parve sotto gì' intonachi posteriori.
Il B. ricorda anche le relique del santo conservate nella cappella
del castello di Pavia e trasportate il 2 settembre 1499 alla cattedrale.
V'erano la papahna e gli occhiali. Possiamo aggiungere che ai 30 maggio
ed al i.° giugno 1469 " la barecta et li ochiali de sancto Bernardino,
" el brazo de sancta Maria Magdalena et de san Jacomo „ venivano
portati dal cappellano ducale maestro Alberto Guidoboni ad Abbiate-
grasso per il parto di Bona di Savoja (i;. A migliaia, a migliaia accor-
revano gli spettatori a Brescia il 14 febbraio 1451 per vedere la berretta
di S. Bernardino, che Giovanni da Capistrano, iì taumaturgo, l'amico
e il successore del senese, usava nelle sue miracolose prediche (2).
Il dott. Boni a p. II del suo lavoro accenna alle relazioni di S. Ber-
nardino con il duca di Milano, F. M. Visconti, sul principio non troppo
cordiali, E qui notiamo, non per Pavia però, che già il Giulini [Memorie,
voi. VI, p. 403, 2.a ediz.) ha ricordato i processi nella causa di S. Ber-
nardino con Amedeo da Lodi, maestro d'abbaco in Milano, infetto di
eresia. Nell'Archivio trivulziano, è bene lo si sappia per la storia ap-
punto dell'eresia in Italia, giacciono i documenti interessanti al propo-
sito, con le difese giuridiche in memoria del Santo (1428-1446) (3).
Altri storici (ad es. il Rosmini) ricordarono il poco favore dimo-
strato dal Filelfo e già dal Biglia, il cronista milanese, pel modo di pre-
dicare del senese. A S, Bernardino in Milano accenna anche il Bandello
nelle sue Novelle, voi. Ili, novella 53.*^ (4). Non è qui il posto di elen-
(i) Cfr. lettere di quelle date di Giovanni Attendoli al duca dì Milano,
Arch. di Stato di Milano (Carteggio sforzesco). Ai 25 luglio, come da lettera del
castellano di Pavia, Gandolfo da Bologna, venivano ricollocate in cappella. Cfr.
anche c^o.sl'' Archivio, III, 1876, p. 558, e per le reliquie in Pavia, oltre il Gualla
e gli altri autori citati dal Boni nel suo opuscolo, cfr. Magenta, Castello di
Pavia, voi. I, p. 569; D'Adda, Ricerche, tee, pp. 109-10 e suppl. p. 25 ; Boll, sto-
rico della Svili. Ital, 1887, p. 215; Moiraghi, Torquato Tasso a Pavia, 'Pavia,
1895-96, p. 156 sgg.
(2) Za NELLI, Predicatori a Brescia nel quattrocento, in quest'Archivio, XV,
1901, I, p. 105.
(3) Ai 16 dicembre 1426 Amadeo da Landò aveva ottenuto la cittadinanza
milanese (Arch. di Stato di Milano, Reg. Panigarola, e. 82 t.).
(4) È la novella dal titolo : « Tomasone Grasso usurajo grandissimo fa pre-
ce dicare contro gli usurai per restar egli solo a prestar usura in Milano ». Il Grassi
si sarebbe convertito, restituendo il mal tolto e lasciando « tante elemosine e
« tante cose pie, che tutto il di in Milano si fanno ». Trattasi del fondatore
BIBLIOGRAFIA 385
care i recenti biografi del Santo : basti aggiungere che la fonte princi-
pale della sua vita, la biografia di Leonardo Benvoglienti, quella che
somministrò tutti i materiali per ricostruirne la storia nei suoi primi
anni, e che era finora rimasta inedita, venne pubblicata dal p. F. van
Ortroy negli Analecta BoUandiana.
E. M.
Carlo Battisti, La traduzione dialettale della ' Catinia ' di Sicco Po-
lenton. In Archivio Trentino, a. XIX, fase. II, 1904-1905.
Il Segarizzi pubblicò a Bergamo nel 1899 la sua opera premiata
La ' Catinia% le Orazioni e le Epistole di Sicco Polenton. Nell'introduzione
il Segarizzi trattò diffusamente non solo della Catinia latina, ma anche
della traduzione trentina, che è la prima opera letteraria che vanti la
stampa trentina (1482). Scopo della pubblicazione del Battisti non è ora
soltanto di presentare agli studiosi una ristampa dell'interessante " lu-
" sus „ del Polenton, ma anche di stabilire il dialetto della traduzione
e, possibilmente, di localizzarlo.
A titolo di curiosità notiamo che protagonista nella commedia " no-
" minada Catinia dali Catini „ figura " Catinio homo da Como, quale
" se domanda Catinio da li catini, li quali lui portava e vendeva; questo
" medemo se appella etiam da lui Comano et benché meglio, secondo
" la rectitudine de la latinitade e de la auctoritade talliana de li altri,
" dovea fir dito Comenseno, perchè eli era de la cita de Como „.
C. Foligno, Un poemetto in lode di Lodovico il Moro, Milano, tip. Ca-
priolo e Massimino, 1905, in-8, pp. 23. (Edizione di 50 esemplari
numerati per le nozze d'argento Pirelli-Sormani).
In quest'elegante libretto, stampato con cura su carta tinta, inqua-
drata in rosso, il nostro consocio dott. Cesare Foligno ha voluto mettere
alla luce un saggio delle ricerche che, come risulta da quanto viene
comunicato ai colleghi in questo medesimo fascicolo àtìV Archivio, ha
con tanta attività e non senza fortuna intraprese nel Museo Britannico.
Tra i codici Addizionali di quel ricco deposito, egli si è imbattuto in
un ms., indubbiamente appartenuto un tempo alla libreria Visconteo-
delle scuole Grassi, pure Tommaso di nome?... Forse piuttosto di un altro suo
omònimo, morto nell'estate del 145 1, e uomo danaroso, a detta dal duca Fran-
cesco Sforza, che con sua lettera del 2 agosto di quell'anno raccomandava al suo
fido conte Gaspare da Vimercate di trovar modo di aiutarsi co' denari lasciati
indietro dal defunto milanese (Arch. di Stato di Milano, Missive, n. 6, fol. 89).
386 BIBLIOGRAFIA
sforzesca di Pavia, che racchiude un'operetta poetica di Bernardino
de' Capitanei da Landriano nobile milanese. È dessa intitolata De la
felicitade de Ludovico Maria Sforcia, ed in sedici capitoli in terza rima,
preceduti e seguiti da alcuni componimenti lirici, esalta alle stelle il
potente principe milanese. Ignoto era sin qui il poeta ed ignota l'opera
sua, sicché gli studiosi di cose lombarde saranno grati al ricercatore
di avere riunito qualche notizia sull* uno e messi a stampa il proemio
e il primo capitolo dell* altra. Certo dal saggio niuno prenderà argo-
mento a ritenere che il Da Landriano fosse un vero poeta; ma tra i
moltissimi che negli ultimi anni del sec. XV intesserono adulazioni ri-
mate al Moro, egli pure può trovare posto, senza troppo arrossire.
Dott. Achille Bertarelli, Spiegazione e stato numerico delle [sue'] rac-
colte al i.o gennaio 190J, Milano, tip. U. Allegretti, 1905, in-8.
pp. 19.
— La via Monte Napoleone nella Milano vecchia, Inaugurandosi la nuova
sede del Touring Club Italiano, Milano, tip. U. Allegretti, 1905, in-8,
pp. 42.
Ecco due opuscoli che niuno vorrà certo accusarci di definire in
maniera esagerata, se li chiameremo veri gioielli tipografici. In entrambi
la valentia ben conosciuta del tipografo, diretta sagacemente e regolata
dal gusto e dalla dottrina dell'Autore, ha fatto di sé bellissima prova.
Il primo tra i due racchiude, come il titolo spiega, un catalogo sommario
di tutte le stampe che il Bertarelli é venuto mettendo insieme in mol-
t* anni d' assidua ed amorosa ricerca. Le cifre appaiono oramai quasi
fantastiche; le stampe storiche toccano il numero di 17408 e tra esse
ben 4748 illustrano la città nostra, specialmente in rapporto alla topo-
grafia ed alla storia del costume. Le stampe riguardanti altre città ita-
liane son 2721. Quelle relative a Napoleone I 1649. ^^ caricature, che
riflettono le vicende politiche dalla fine del sec. XVIII al 1870, assom-
mano a 400. A 200 salgono le stampe che concernono il risorgimento
nazionale; i fogli volanti di poesie, relazioni, ecc., raggiungono le 685.
Una seconda categoria comprende gli " usi e costumi „ e sono in tutto
7726 pezzi; una terza il " teatro „ ed i numeri ammontano a 5748. La
quarta categoria, destinata alla " letteratura ed iconografia popolare „
vanta 3267 numeri; la quinta (" mezzi di trasporto „) sale a 1366 nu-
meri. " Le arti ed i mestieri „ formano la VI classe, ricca di numeri 3580;
la VII è costituita da piccole stampe " di soggetto personale „; e
sono 7898. La VIII classe comprende " la ornamentazione del libro e
" le carte colorate „; (n. 7703); la IX i " documenti per la storia della
" litografia „ tra noi (n. 687). La X una collezione Bodoniana. Son in
tutto numeri 53801 ! E nella sua massima parte questo prezioso materiale
passerà in un avvenire, che ci auguriamo ancora molto ma molto lon-
I
BIBLIOGRAFIA 387
tano, alla biblioteca di Brera. Così ha deliberato il liberale raccoglitore,
che del suo fermo proposito dà nuova e pubblica attestazione nella de-
dica del suo Hbretto. Ma agli studiosi anche ora l'inesauribile cortesia
del Bertarelli riesce sempre larga d'aiuto.
Quali e quante siano le curiosità, ed insieme anche i veri cimeli
storico-artistici, accumulate dal nostro ottimo amico e collega, si può
facilmente rilevare dalle belle pubblicazioni che egli è venuto facendo
in questi ultimi anni; ma se ulteriori prove fossero opportune, sarebbe
facil cosa additarle nel secondo dei due opuscoli da noi registrati in
fronte a quest'articolo. Lo scritto dedicato ad illustrare le vicende della
via che, correndo Tanno 1804, assunse il nome di " Contrada del Monte
" Napoleone „ , nome toltole dall' intolleranza austriaca e restituitole
nel i86o, dimostra ad esuberanza quale magnifico corredo di documenti
grafici intorno al vecchio Milano possegga il dott. Bertarelli. Egli ha
saputo in poche pagine tratteggiar con sicura e vivace dottrina le varie
trasformazioni della parte della città, ove la via corre oggidì; forse la
via in tempi remotissimi precedette la costruzione della cinta romana ;
certo fu, nel medio evo, strada esterna, nella quale si entrava dalla
contrada di S. Vittore e Quaranta Martiri (ora P. Verri), per una Pu-
sterla detta di Porta Nuova, che aveva di fronte la chiesa di S. Andrea.
Dallo studio di questi ed altri dati topografici l'A. è portato a concludere
che già nel sec. XIII il Monte Napoleone era tracciato com'appare oggidì.
Noi non possiamo seguire a lungo il Bertarelli nella sua attraente
narrazione delle vicende della strada nei secoli successivi. Solo diremo
come in una Pianta di Milano, pubblicata a Venezia nel 1569 e fin qui
sconosciuta a tutti gli studiosi di cartografia milanese, l'A. abbia rin-
venuto indicato un particolare curioso : vale a dire che la via vi risulta
percorsa per tutta la sua lunghezza da un canale. È questo il Seveso,
il quale, per quanto sembra, rimase scoperto, certo con poco vantaggio
dell'igiene, fin alla metà del cinquecento; la pianta dunque deve esser
stata compilata sopra un' altra più antica sfuggita finora alle ricerche,
ma che si riuscirà una volta o l'altra a scovare (i).
(i) L'interessante scoperta del Bertarelli toglie irremissibilmente il vanto
di essere le più antiche carte topografiche di Milano alle due che prima d'ora
se lo disputavano, vale a dire a quella pubblicata a Colonia nel 1572 dal Ho-
[genberg e all'altra impressa a Roma nel 1575 da Antonio Lafreri. Siccome le due
itavole sono l'una riproduzione dell'altra, cosi era sorta la questione quale delle
^due dovesse ritenersi l'originale. Il Bertarelli per suo conto è d'avviso che non
sia il caso di parlare d'originalità né per V una né per l'altra ; ma che entrambe
jiano copie di un tipo preesistente, eseguito a Milano.
Non veggo perchè, allegando le rozze piante iconografiche di Milano del
[sec. XV, edite dal dott. Ratti, il B. passi sotto silenzio quella rozzissima ma
f^iù antica introdotta da Galvano Fiamma nel cod. ambrosiano delle sue Cro-
niche. È questa senza verun dubbio il più antico documento cartografico milanese
Ich'oggi esista.
388 BIBLIOGRAFIA
Il libro del Bertarelli, oltre ad essere adorno d'una nitida riprodu-
zione della Pianta di Milano or citata, reca altre belle illustrazioni tratte
da vecchie incisioni e ritratti. Esso è insomma un saggio veramente
riuscito di illustrazione topografica milanese, promettitore di un libro
che, quando fosse compiuto, riuscirebbe di utilità grandissima per gli
studiosi. Vorrà il dott. Bertarelli continuare nella bella impresa per la
quale possiede tutti i requisiti necessari? Noi ce T auguriamo di gran
cuore, e nell'augurio ci saranno certo compagni quanti amano nel pre-
sente rivolgimento di cose, di usanze, di vita, fermare i tratti fuggenti
del passato che perisce.
F. N.
La collezione Giorgio Mylius di battenti in ferro e bronzo; 20 tavole in
eliotipia con prefazione di Andrea Balletti, Milano, 1905, in folio.
(Ediz. di loo esemplari).
Attraversiamo veramente un tempo in cui è giunta a sommo grado
la passione di formare collezioni ; ma tra le altre questa spicca per un
carattere suo proprio. Nelle venti magnifiche tavole eliotipiche di cui
consta il volume ci si apre innanzi un campo a cui pochi forse avevano
prestato prima d'ora attenzione: i nostri maggiori con squisito senso
d'armonia sapevano trasformare in mirabili opere d'arte gli oggetti più
umili, pili semplici ; ed il genio spontaneo d'un oscuro artefice abbelliva
di forme nuove tutto ciò a cui ponesse mano. E mentre il falegname
istoriava di squisiti intagli le porte d'un palazzo, il fabbro s' affrettava
ad arricchirle di battenti in ferro o in bronzo.
L'evolversi del sentimento d'arte, le differenze profonde del gusto
nei tempi o nelle razze diverse, si possono appunto piacevolmente se-
guire, sfogliando le riproduzioni della ricca raccolta di battenti formata
da Federico Mylius e continuata dal suo egregio figliuolo.
I secoli più antichi preferirono quasi esclusivamente il ferro, fino al
tramonto del sec. XV; e dai più semplici si arriva con l'andar degli anni
ad esemplari in cui volontieri si riconoscerebbe la mano d'un Giambo-
logna, o d'un aUievo del Sansovino : più tardi il metallo sembra torcersi
o gonfiarsi, conservando a volte anche nelle strane curvature una certa
nobiltà di linee; il sec. XVIII dà anche ai battenti il suo carattere di fra-
gilità e di ricercatezza fredda.
Lo scopo del battente impose sempre una certa limitazione alla fan-
tasia degli artefici: il battente è grande a volte e a volte minuscolo;
ma vi predomina la foggia a martello, cui contendono il campo i draghi,
le iniziali, gli anelli, e più raramente gli stemmi. Tra i molti esemplari
della collezione in cui si riconosce la mano di artefici sottili, è assai
infrequente trovare una firma, si che pocki nomi ci si fanno innanzi;
un Salio, un Larducci, un Bertanelli, un Clementi di Reggio, uno Spani.
In complesso l'opera è davvero interessante e illumina un piccolo ma
curioso lato della vita artistica dei nostri padri.
BOLLETTINO DI BIBLIOGRAFIA STORICA LOMBARDA
(dicembre 1904 - giugno ipoj)
I libri segnati con asterisco pervennero alla Biblioteca Sociale.
ACCÀSCINA (C). II libro d'oro della duchessa Bona (Con ili.). — Secolo XX,
dicembre 1904.
ALLAIN (E.). Brevi notizie su 'Plinio il giovane (trad. dal francese di
E. Mannucci). Città di Castello, S. Lapi, 1904, in-8, pp. x-ii8.
— Pline le jeune et ses héritiers. Addenda, décembre 1904. Paris, Fon-
te moing éditeur.
*AMBROSOLI (S.). La zecca di Cantù e un codice della Trivulziana (fig.).
— Rivista italiana di numismatica, a. XVII, 1904, fase. IV.
* — Seconda aggiunta alle medaglie del Volta. — Rivista italiana di nu-
mismatica, fase. IV, 1904, pp. 602-603.
ANDRICH (G.). Intorno alle origini del comune in Italia. — Rivista ita-
liana di sociologia, dicembre 1904.
ANNONI (A.). Una villa della fine del seicento (La villa Litta Modignani
ad Affori presso Milano). — Il Buon Cuore, n. 52 (Numero di Na-
tale, 1904).
"" Annuario della R. Accademia scientifico-letteraria per l'anno scolastico 1904-
1905, in-8, Milano, 1905.
NovATi (F.). Parole dette il giorno dell' inaugurazione dell'anno scola-
stico (5 novembre 1904). — Oberziner (G.). Le origini del Cristianesimo
nella critica e nella ipercritica. Discorso inaugurale. — Pubblicazioni dei
professori durante il 1904. — Programmi e orari per Tanno scolastico.
"Archivio storico per la città e comuni del circondario di Lodi. Anno XXIII,
1904, fase. IV. Lodi, tip. Quirico & Camagni.
GoRLA (L.). Ospedali Lodigiani : Ospitale Fissiraga. — Agnelli (G.).
Il generale marchese Annibale Sommariva [dalla GaT^^etta di Lodi del 19 set-
Arch. Stor. Lomb.^ Anno XXXII, Fase. VI. 25
390 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
tembre 1829]. — Lo stesso. Scavi a Graffignana ; Cose d'arte e d'altro
[Affresco attribuito al Mantegna donato al Museo di Lodi. — Esemplare
delle Notti romane di A. Verri, con dedica del Gonfalonieri dal castello di
Gradisca al compagno di prigione Felice Foresti, nella Biblioteca di Lodi].
— La viabilità nel Lodigiano nel secolo XV [cont. ved. num. prec. Dal-
V Itinerario Vignatense alla Braidense]. — Indice decennale i89$-i^04.
ARIAS (G.). Il sistema della costituzione economica e sociale italiana nel-
l'età dei comuni. Torino-Roma, casa editrice nazionale, 1905, in-8,
pp. 560 (" Biblioteca di scienze sociali e politiche „, n. 48).
*Atti e Memorie della R. Accademia Virgiliana di Mantova. Biennio accademico
1903-904. Mantova, stab. Mondovi, 1904, in-8, pp. xxxviiij-281.
Lucchini (L.). Il Panteon dei principi Gonzaga in S. Martino dell'Ar-
gine. — Carreri (F.). Pietole, Formicada e il fossato di Virgilio. — Piz-
ziNi (A.). Niccolò Tommaseo. — Dall'Acqua (A. C.). L'arte del quattro-
cento a Venezia. — Intra (G. B.). Del codice Capilupiano contenente i Trionfi
di Francesco Petrarca. — Patuzzi (L ). Sul canto di Ugolino. — Richter (V.).
Vittorio Alfieri. — Rambaldi (P. L ). Il canto XX àéiVInferno.
AUVRAY (L.). Inventaire de la coUection Custodi (Autographes, pièces
imprimées et autres documents biographiques) conservée à la Bi-
bliothèque Nationale, s" article [Macchi-Reina]. — Bulletin Italien
(Annales de la Faculté des lettres de Bordeaux) to. V, n. i, 1905,
pp. 73-89.
AVANCINI (A.). Da Magenta a Solferino (Polvere ed ombra). Romanzo
storico. Appendici alla Gazzetta del Popolo di Torino, n. 92, 2 aprile
1905, prec. e sgg.
AVIGLIANO (E.). Il paesaggio in quattro poeti (Virgilio, Petrarca, Tasso,
Leopardi). Napoli, tip. Festa, 1904, in-8, pp. 60.
* BABUT (E.). La date du Concile de Turin et le développement de l'auto-
rité pontificale au V* siècle. Réponse à mons. Duchesne et à M. Pfister.
— Revue Historique, maggio-giugno, 1905.
11 vescovo di Milano presidente e convocatore del concilio (417).
* BALLETTI (A.). La collezione Giorgio Mylius di battenti in ferro ed in
bronzo : note illustrative. Milano, tip. U. Allegretti, 1905, fol., pp. 15,
con 20 tav.
Cfr. i cenni bibliografici in qvLtst' Archivio.
BARATTA (M.). Curiosità vinciane. Torino, fratelli Bocca edit. (tip. Vin-
cenzo Bona), 1905, in-8 fig., pp. 206.
I. Perchè Leonardo da Vinci scriveva a rovescio. — II. Leonardo da
Vinci enigmofilo. — III. Leonardo da Vinci nella invenzione dei palombari
e degli apparecchi di salvataggio marittimi. — Piccola biblioteca di scienze
moderne, n. 103.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 39I
BARBAVARA (G. C). Il convento di S. M. delle Grazie in Varallo. — //
Piemonte, a. II, n. 32, 1904.
BARBIERA (R.). Verso l' ideale : profili di letteratura e d'arte, con pagine
inedite di: Adelaide Ristori, Domenico Morelli^ Tranquillo Cremona^
Giuseppe Revere, Mosè Bianchi, Giovanni Prati, Emilio Praga^ Ar-
rigo Botto, Giovanni Verga, Ada Negri, Emilio Zola. Milano, libreria
editr. nazionale, 1905, in-i6, pp. 436.
'^BARBIERI (sac. C). L'Immacolata a Vigevano, — Rivista di scienze sto-
riche, marzo 1905.
BASERGA (sac. dott. G.). Note di storia Vallintelvese, — La Valle Intelvi
di Como, a. IMII, 1904-1905, nn. 59, 63, 65, 67, 69, 73, 75, 77, 80, 85,
87, 90.
XXIX. Feudi e contee in Valle : I Camuzii. — XXX. I Rusca. —
XXXI. Gli ultimi conri e feudatarj. I Marliani e i Riva Andreotti. —
XXXII. La Valle sotto i duchi Visconti. — XXXIII. Gli Sforza. —
XXXIV. Le condizioni della Valle sotto i duchi di Milano. — XXXV. Me-
morie sulla peste in Valle. — XXXVI. Ancora sulla peste; memorie e
leggende. — XXXVII. Guelfi e Ghibellini in Valle. — XXXVIII-XL. Ori-
gine delle parrocchie.
"^BAUDI DI VESIVIE(B.). L'origine romana del comitato langobardo e franco.
Comunicazione. — Atti Congresso storico internazionale, voi. IX,
pp. 231-327.
Una prima edizione della presente memoria trovasi in Boll. stor. subal-
pino^ VII, n. 5, 1903, ma con documentazione molto meno sviluppata.
BAZETTA (dott. N.). Storia della città di Domodossola dall'era romana
all'apertura del traforo del Sempione. Appendice della Libertà di
Domodossola, nn. 6, 7, febbraio 1905 e sgg.
BEKK (A.). Baiern, Gothen und Langobarden. Beitrag zur Lòsung der
Bajuvarenfrage. Salzburg, E. HoUrigl, 1904, in-8, pp. 35.
BELLODI (R.). La casa di Giovanni Boniforti a Mantova. — Arte italiana
decorativa, a. XIII, 1904, pp. 32 sg.
*BELTRAIVII (A.). Quale delle due lezioni Mella (Mela) o Melo (Mello) sia
da preferire in Catullo (e. LXVII, v. 33). — Atti Congresso storico
internazionale, voi. II (Roma, 1905).
Conchiude in favore di Melo, che secondo ogni verosimiglianza sarebbe
l'odierno Garza presso le mura di Brescia.
BELTRAMI (arch. L.). Die Certosa von Pavia. Mailand, U. Hoepli edit.,
(Druck von U. Allegretti), 1905, in-i6 fig., p. viij-175, con 12 tav.
392 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
BELTRAMi (arch. L.). Bramante e la sistemazione del Tevere. — Nuova
Antologia, fase. CXIV.
— Cose d'arte. — Gazzetta Ticinese di Lugano, n. del 21 novembre 1904.
Interessante lettera del B. al pittore Luigi Rossi (12 novembre 1904)
intorno all'antica artistica casettina di proprietà ing. Lucchini situata nel
nuovo corso Pestalozzi in Lugano.
I musei e la cleptomania artistica (Con ili.). — La Lettura, gen-
naio 1905.
I " rebus „ di Leonardo. — Corriere della Sera, 15 febbraio 1905.
— La basilica ambrosiana primitiva e la ricostruzione compiuta nel se-
colo X. 2.' edizione illustrata. Milano, tip. editr. L. F. Cogliati, 1905,
in-4 fig., pp. 57. [v. Ricci],
*BERTARELLI (dott. A.). La via Monte Napoleone nella Milano Vecchia,
inaugurandosi la nuova sede del Touring Club Italiano. Milano,
tip. U. Allegretti, 1904, in 8 fig., pp. 42, con tav.
* — Spiegazione e stato numerico delle raccolte del dott. Achille Ber-
tarelli al i.° gennaio 1905. Milano, tip. U. Allegretti, 1905, in-8, pp. 19.
BERTOGLiO PISANI (N.). Trovamenti e scavi nel circondario di Abbiate-
grasso. — Arte e Storia, nn. 3-4, 1905.
* BERTONI (G.). Un rimaneggiamento toscano del "Libro „ di UgU9on da
Laodho. — Studi Medievali, a. I, fase. II (1905).
BiAGINI (R.). Sull'interpretazione d'un luogo di Ovidio e di Virgilio —
Rendiconto delle tornate e dei lavori dell'Accademia di archeologia e
lettere di Napoli. Nuova serie, a. XVIII, 1904,
BODENHAUSEN (Baronin von). Eine Heldin des XV'^ Jahrhunderts : Cathe-
rina Sforza. — Nord und Siid, Bd. XCIX.
BODONI (G. B.). Lettere, prefazione per una sua edizione della " Geru-
salemme Liberata „ e lettere di Lodovico Savioli a G. B. Bodoni,
pubblicate da Zamorani e Albertazzi. Bologna, stab. tip. Zamorani
& Albertazzi, 1904, fol., pp. 28, con ritr.
BOERI (A.). A, Manzoni contro P. Giannone e l'Antologia critica del Mo-
randi. — Biblioteca delle scuole italiane, a. X, n. 16.
A giustificazione dello storico napoletano accusato di plagio.
* Bollettino di numismatica e di arte della medaglia. Anno III, 1905, in-8 gr.
Milano, tip. editr. L. F. Cogliati.
N. I. Monti (P.) & Laffranchi (L.). Non Tarraco, ma sempre Tici-
num e MedioJanum.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 39^
M 2. GiORCELLi (G.). Una nuova zecca piemontese medioevale scono-
sciuta [zecca di Dego]. — Ricci (S.). La nuova zecca di Dego (Ponzone).
— Medaglia della Banca Popolare di Milano. — Medaglia annuale verdiana.
N. j. Perini (Q). Il ripostiglio di Carribollo (presso Marostica) [grosso
di Brescia coi tre santi].
N. 4. Perini (Q,). Il ripostiglio di Carribollo [tirolino di Mantova
dei Bonacolsi].
* Bollettino della Società Pavese di storia patria. Anno IV, fase. IV, e anno V,
fase. I, in-8 gr. Pavia, tip. succ. Fusi, 1904-1905.
Fase. IV, 1904. CosTANzi (V.). La rivolta di Pavia e la catastrofe di
Stilicone. — Gorra (E.). Il nome di Pavia, — Vidari (G.J. Gerolamo
Cardano (Conferenza). — Boffi (A.). & Pezza (F.). Diplomi inediti di
Carlo V e degli Sforza isopra il dazio di Mortara. — Recensioni : Majocchi,
di Malaguzzi, Gio. Antonio Amadeo. — "Bollettino hihliograflco. — Recenti
pnbblica:(ioni.
Fase. /, 190/. Levi (E.). Una contesa di precedenza tra Cremona e
Pavia nei secoli XVI, XVII e XVIII [Continuazione]. — Rota (E.). Sopra
un tentativo d'industria serica in Pavia nel secolo XVI. — Bustico (G.). I
teatri musicali di Pavia. I. Il teatro Fraschini, 177 5-1900 [Coniinuaiione^
anni 1851-1900]. — Pisani-Dossi (A.). Verdesiacum (con ili.). — Ram-
POLDI (R.). Intorno al significato del vocabolo storico « Regisole ». — Re-
censioni. — Bollettino bibliografico. — Noti'^ie ed appunti [tombe romane di
età tarda in Pavia]. — Necrologio. — Atti della Società.
* Bollettino della Società per gli studj di storia patria nel Tortonese. In-8.
Tortona, tip. libr. Rossi, 1904-1905.
Fase. VI. Cereti (P. E.). L'assedio di Tortona nel 1745. Diario di
Carlo Fulchignone (con i pianta). — Sant'Ambrogio (D.). Una pala d'altare
tortonese in Pavia.
Fase. VII. — Gabotto (F.). Del reggimento e dei rivolgimenti interni
di Tortona dal 1156 al 1215. — Abba (G. C). Alberti Leardi (con ili.).
— Torelli (E.). Desaix nel Tortonese alla vigilia di Marengo. — Recensioni.
— Noti:^ie.
* Bollettino storico della Svizzera Italiana. Anno XXVI-XXVII, 1904-1905.
Bellinzona, tip. Colombi.
igo4y nn. ii'i2. Ancora artisti del lago di Lugano (A Pontremoli, Pe-
rugia, Torino, Posen, Como, Genova e Bellagio). — Un de Sacco podestà
di Como, le Umiliate di Locamo ed il vecchio ponte di Roveredo. — Per
la facciata di S. Lorenzo di Lugano [1517-1593]- — Catalogo dei documenti
per l'istoria della prefeitura di Mendrisio e pieve di Balerna dell'anno 1500
circa all'anno 1800 tratti dall'Archivio in Mendrisio [Cont. anni 1651-1781 e
1 507-1 566J. — Un bleniese principe abate di Disentis [l'abate Colombano
394 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Sozzi, eletto nel 1764, e in relazione col conte di Firmian in Milano, quale
rappresentante del partito austriaco nei Grigioni]. — Il Petrarca e la Sviz-
zera [A proposito delle pubblicazioni Novati e Rossi]. — Varietà : Violazione
di confine a Chiasso (1763); I Tondù di Centovalli (a Piacenza) — Cro-
naca. — Bollettino bibliografico.
190$, nn. 7-5. Balli (G.). Sulla storia del regime matrimoniale nel Ti-
cino. — PiLOT (A.). Due documenti vernacoli inediti in proposito della Lega
tra Venezia e i Grigioni nel 1603. — A Bellinzona nel 1477 (documenti
sforzeschi). — Fra i monti della Mesolcina [il p. gesuita Lana a Mesocco
nel 1729 ; il Beccaria ed il Trontano, protestanti in Mesolcina]. — Appunti
di storia ossolana (secoli XIV-XVII). — Varietà : La famiglia Molo origi-
naria del lago di Como; Motti e versetti. — Catalogo dei documenti per
la storia di Mendrisio. — Cronaca. — Bollettino bibliografico.
BONER (E. G.). La poesia del Natale. Immediatamente prima e dopo il
Manzoni. — Natura ed Arte, i.° gennaio 1905.
* BONI (dott. G.). S. Bernardino da Siena a Pavia. Pavia, tip. succ. Fusi,
1904, in-i6, pp. 24.
Cfr. i Cenni bibliografici in questo fascicolo dell'Archivio.
BONNAL (general H.). Le Haut Commandement frangais au début de
chacune des guerres de 1859 et de 1870. La manoeuvre de Magenta.
Le désastre de Metz. In-8 gr. Paris, édit. " Revue des idées „, 1905.
* Borromeo. — VAN ORTROY (F.). Recensioni di Cartono, Un gran rifor-
matore del secolo XVI e di Locatelli, Il 4 novembre 1603 e 1604. —
Analecta Bollandiana, to. XXIV, fase. III (1905), pp. 314-316.
Con parecchi appunti. — Ivi pure recensioni degli scritti di Felician-
geli, Sulla monacazione di Sveva Montefeltro Sforza, signora di Pesaro, di
Bruitone e Dell'Acqua, I Ghislieri e Di San Pio V papa.
BOSELLI (A.). Pellico e Manzoni. — Per l'Arte, a. XVI, n. 12.
BOSSCHA (J.). Correspondance de A. Volta et de M. van Marum. Leyde,
Sijthoff, 1904, in-8, pp. xx-202 et pi.
*BOTTEGHI (L. A.). Ezzelino e reiezione del vescovo in Padova nel se-
colo XIII. — Aiti e Memorie della R. Accademia delle scienze di Pa-
dova. Nuova serie, voi. XX (1904).
BOUCHOT (H.). Les primitifs frangais, 1292-1500, complément documen-
taire au Catalogne officiel de l'Exposition, in-i6. Paris, librairie de
l'art ancien, 1904.
Cfr. il capitolo sulVOuvraige de Lombardie.
— l primitivi francesi: " L'Ouvrage de Lombardie „, con 5 ili., e una
tav. - L'Arte, a. Vili, fase. I.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 395
* BOURGIN (G.). La surveillance des émigrés fran9ais dans les États pon-
tificaux en 1793. — Revue Historique^ 1904, to. LXXXV, pp. 285-287.
Pubblica una lettera di denuncia indirizzata dal conte A. Greppi al car-
dinale Zelada contro un prete francese.
BRAUSE-MANSFELD (A.). Feld-Noth und Belagerungsmiinzen von England
Frankreich, Holland, Italien, Spanien. II. Berlin, Stargardt, 1904, fol,
pp. VI11-81 e 38 tav.
BRESCIANO (G.). Ricerche bibliografiche : II. Altre edizioni napoletane di
ignoti tipografi del secolo XVI. — Revue des bibliothèques, XIV,
nn. 1-4, 1904.
La prima è un opuscolo dettato dal celebre filosofo, matematico e me-
dico Agostino Nifo da Sessa, Ai Apolelesmata Ptolemaei Eruditiones finora
l'unica produzione tipografica dello stampatore Pietro Maria De Richis da
Pavia (1513).
BROGNOLIGO (G.). Studi di storia letteraria. Roma-Milano, Albrighi Se-
gati & C., 1904, in-i6.
5. Ivanhoe e i Lombardi alla prima Crociata [studio che tende a dimo-
strare che tra il romanzo dello Scott e il poema del Grossi somiglianze
non se ne possono additare, cfr. Giornale Storico, fase. 134-155, p. 409].
Bucato. — Zanetto Bugatto. — Revue Archéologique^ novembre-dicembre
1904, pp. 421-22 [cfr. Seidlitz],
Pittore ritrattista alla corte sforzesca.
BURCHARD-BÉLAVARY (capitaine). Eistoire du 5.^ bataillon de chasseurs
(Algerie, Crimea, Italie, Metz). Récits dédiés aux chasseurs du ba-
taillon. Limoges-Paris, Charles-La vauzelle, 1904, in-i6, pp. 251.
* BUTTI (A.) Spigolature d'archivio intorno a Francesco Albergati (1728-
1804). — Giornale storico della letteratura italiana, fase. 133 (1905).
Relazioni tra l'Albergati revisore delle stampe e dei libri, e la repub-
blica italiana, secondo documenti dell'Archivio di stato milanese.
BUTTURINI (M.). Nell'anniversario della morte di Luigi Arrigoni, bibliofilo
milanese. Salò, P. Veludari, 1905.
BUZZETTI (P.). Regesto per documenti di Moltrasio. Como, tip. coope-
rativa co mense, 1904.
*Caccia-Dominioni. — Necrologia della contessa Maria-Teresa Caccia-
Dominioni nata Brambilla di Civesio. — Giornale araldico-genealogico,
n. I, 1905.
Con appunti per la genealogia dei Caccia-Dominioni, diramazione del-
l'antico casato novarese dei Caccia e dei Brambilla, originari della valle
Brambilla, nel Bergamasco.
396 BOLLETTIiNO BIBLIOGRAFICO
CACCIARI (L. B.). Compendio della vita di S. Alessandro Sauli. Napoli,
D'Auria, 1904, in-8, pp. 246.
CADOLINI (G.). Una fuga ai tempi del governo militare austriaco. —
Nuova Antologia^ 16 febbraio 1905.
CADORNA (ten. gen. L.). Il generale Raffaele Cadorna nelle memorie ine-
dite del generale Angioletti. Appunti. — Nuova Antologia, 16 aprile
1905.
CAGNOLA (G.). A proposito di un ritratto di Bernardino de' Conti (ili.).
Rassegna d'Arte^ aprile 1905.
— Intorno a Francesco Napoletano [allievo di Leonardo da Vinci]. —
Rassegna d'Arte, giugno 1905.
* CALDANA (G.). Le inedite Elegie erotiche di Cesare Rovidio. — L'Ateneo
Veneto^ gennaio-febbraio 1905.
Il poeta Rovidio, che è milanese, visse nella seconda metà del secolo XVI
e i suoi versi latini si leggono in un codice dell'Ambrosiana.
CALMETTE (J.). Contribution à la critique des mémoires de Commynes.
Les ambassades en Espagne et la mort de D. Juan de Castille en
1497. — Moyen-Age, mai-juin 1904.
CALZINI (E.). A proposito delle due statue : " Il Cupido di Michelangelo „
e la " Venere Antica „ passate dalla corte di Urbino a quella di
Mantova. — Rassegna bibliografica delVarte italiana, a. Vili, fasci-
coli III-IV, 1905.
CAMETTI (A.). Donizetti a Roma. Con lettere e documenti inediti. —
Rivista musicale italiana, fase. I, 1905 e prec.
CAMPANI (A.). Bianca Milesi-Mojon. Dalla " Notice Biographique „ d'Érjnle
Souvestre, tradotta e integrata con nuovi documenti. — Rassegna
Nazionale, 1° aprile, i.° maggio 1905 e sgg.'
CAMPORI (M.). Epistolario di L. A. Muratori. Voi. VIII (1734-1737). Mo-
dena, Società tipografica modenese, 1905, in-8, pp. 600.
Cane. — La fortuna di Facino Cane. — Rivista di fanteria, novembre-
dicembre 1904.
*CANTOR (M.). Hieronymus Cardanus. Ein wissenchaftliches Lebensbild
aus dem XVI Jahrhunderte. — Atti Congresso storico internazionale,
voi. XII, 1904.
Capitanio. — Scritti spirituali della venerabile Bartolomea Capitanio.
Voi. II. (Pratiche di pietà), in-8. Modena, tip. pont. dell'Immacolata
Concezione, 1904.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 397
*CARBONELLI (G.). La Cronaca chirurgica dell'assedio di Casale (1628-
1629) di Horatio Polino, chirurgo (Con ili.). — Bollettino storico-bi-
bliografico subalpino f a. IX, nn. 3-4 (1904).
Curiosa cronaca chirurgica, più unica che rara, importante per la storia
della chirurgia per il fatto, oltre gli altri, che è uno dei primi tentativi di
fare la storia clinica del ferito più colla rappresentazione figurata, che non
colla descrizione grafica.
CARDUCCI (G.). Opere. Voi. XV (Su Lodovico Ariosto e Torquato Tasso :
studi). Bologna, tip. N. Zanichelli, 1905, in-i6.
— Prose, MDCCCLIX-MCMin. In-8. Bologna, tip. N. Zanichelli, 1905.
13. Il secondo centenario di L. A. Muratori (1872). 14. A proposito di
alcuni giudizi su Alessandro Manzoni (1873). 29. Il Petrarca alpinista (1882),
35. Per la inaugurazione di un monumento a Virgilio in Pietole (1884).
44. Il discorso di Lecco (1891). 57. Dello svolgimento dell'ode in Italia (1902).
CAROTTI (G.). Il candelabro di bronzo detto 1' " Albero „ nel Duomo di
Milano (Con dettagli e figure). — Arte italiana decorativa^ a. XIII,
1904, n. 9.
— Corriere di Lombardia. — L'Arte, a. VIII, 1905, fase. I.
Ricca decorazione plastica della vòlta d'una sala del palazzo Marino in
Milano. — Una nuova raccolta d'opere d'arte [raccolta Grandi]. — Un af-
fresco del XV secolo riapparso nel palazzo vescovile di Como. — Asta di
quadri antichi [Genolini].
*CARRERI (prof. F. C). Studj Virgiliani: Il paese del Poeta [Pietole]. —
Erudizione e Belle Arti, a. II. Nuova serie, fase. III-IV (1905).
* — La famiglia Ripari, patrizia cremonese. — Giornale araldica-genea-
logico, a. XXVllI. Numero supplementare (1904).
* — Di alcune Torri di Mantova e di certi aggruppamenti feudali e al-
lodiali nelle città e campagne lombarde. Nota storico-giuridica. Man-
tova, Mondovi, 1905, in-8 gr., pp. 22.
* — Alcuni diplomi della casa Castaldi. — Giornale araldica-genealogico-
diplomitico, febbraio-marzo 1905.
Diplomi imperiali degli anni 1528-15 71 a favore di G. B. Castaldo,
noto guerriero al soldo spagnolo nelle guerre di Lombardia, e de' suoi suc-
cessori marchesi di Cassano e conti di Piadena, Calvatone e Spineda.
CARTWRIGHT JULIA (Mrs. Henry Ady). Beatrice d'Este, duchess of Milan,
1475-1497. A Study of the Renaissance, in-8 ili. London, Dent, 1905.
Catalogo delle opere araldiche, genealogiche, biografiche e storiche, ma-
noscritte e stampate, componenti l'Archivio araldico Vallardi fon-
398 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
dato dalla nobile famiglia Bonacina ed ampliato dalle riunite biblio-
teche araldiche Bianchi, Vallardi, Tenenti, Tettoni e Litta. Milano,
tip. A. Vallardi edit., 1905, in-8, p. 35.
Catalogo illustrato della sezione Arte Sacra nella Rotonda o Duomo
Vecchio (Esposizione bresciana 1904). Brescia, tip.-lit. editr. F. Apol-
lonio, 1904, in-8 fig., pp. 126.
Catalogo dei duplicati da alienare (Biblioteca Comunale di Crema).
Crema, tip. V. Moretti, 1905, in-8, pp. 40.
CAVAGNA SANGIULIANI (A.). H chiostro di Piona e l'urgenza di restau-
rarlo. — Provincia di Como^ io ottobre 1904.
— V. Rivista Archeologica.
*CERiOLI (A.). Su di un monumento inedito alla B. Guarisca Arrigoni
nella Valle Malaspina di Canneto Pavese con cenni storici su Val
Taleggio (Descrizione, esame, documenti). — Rivista di Storia di Ales-
sandria, ottobre-dicembre 1904, con tav.
— L'arca di S. Contardo d' Este, protettore di Broni e comprotettore di
Modena : notizie e documenti. Broni, tip. E. Corbellini, 1904, in-8,
p. 20, con tav.
CHATELAIN (E.). Les palimpsestes latins. — Annuaire de rÈcole des hautes
études^ 1904.
Tra le principali biblioteche d'Europa che conservano dei palimsesti
latini è annoverata l'Ambrosiana che vanta un trattato teologico ariano (in
parte) e le Recognitiones di papa Clemente (secolo VII).
CHIATTONE (D.). Gli studenti " costipati „ del 1821 [con due lettere del
De Cardenas al Confai onieri]. — Il primo costituto del Saluzzese.
Ingenuità tragiche di cospiratori : Foresti, Maroncelli e Gonfalonieri
alla luce dei nuovi documenti. — // Piemonte, a. II, n. 23, nn. 5-6,
nn. 49-51 (1904).
CHILESOTTI (O.). Francesco da Milano. Leipzig, 1903.
GIACCIO (L.). Gian Martino Spanzotti da Casale, pittore fiorito fra il
1481 ed il 1524. — L'Arte^ to. VII, 1904, pp. 441-57.
Lo Spanzotti è il maestro del Soddoma, e milanese d'origine.
GIAN (V.). Un nuovo trionfo d'amore di Gianfrancesco Puteolano. Pisa,
tip. succ. Nistri, 1904, in-8, pp. 29 (Nozze D^Ancona-Cardoso).
Due capitoli ternari del Puteolano, parmigiano e poeta alla corte sfor-
zesca, tratti da un codice della Marciana e derivanti dai Trionfi petrarcheschi.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 399
CICCHITELLI (VJ. Sulle opere poetiche di Marco Girolamo Vida. Napoli
Pierro, 1904.
CINQUINI (A.). Spigolature da codici manoscritti del secolo XV : I poeti
latini alla corte di Francesco Sforza [Pier Candido Decembrio, Giorgio
Valagussa, Gio. Antonio Vimercati ed Angelo Crivelli], — Classici
e neo-lafini (foglio bimestrale, diretto dal prof. Silvio Pellini), di
Aosta, a. I, n. i, 1905.
— Spigolature fra gli umanisti del secolo XV. Callimaco Siculo. Roma,
Miscellanea di storia e coltura ecclesiastica, 1905, in-8, pp. 14.
Panegirista del maresciallo Gian Giacomo Trivulzio.
* CIPOLLA (C). Il conte Loisio di S. Bonifacio podestà di Piacenza nel
1277. — Atti R. Istituto Veneto, to. LXIV, parte II.
Loisio da San Bonifacio, capo del partito guelfo in Verona, fu man-
dato definitivamente in esilio, poco dopo che su quella città si era stabilito
il dominio di Mastino della Scala. La serie dei bandi pronunciati contro di
lui, quale sta riferita nelle cronache, lascia luogo a dubbi, che il Cipolla
cerca di chiarire. Cacciato da Verona, Loisio vagò di città in città. Nel 1277
fu podestà di Piacenza e in tale qualità giudicò di una causa fra quella città
ed il monastero di S. Giulia di Brescia. Morì podestà di Reggio nel 1285.
— Notizie e documenti sulla storia artistica della Basilica di S. Colom-
bano di Bobbio nell'età della rinascenza. Roma-Milano, Danesi-Hoepli
edit., 1904.
CLEMENTI (G.). Il B. Venturino da Bergamo dell'Ordine de' Predicatori
(i 304-1346). Roma, Pustet, 1904, in-8, pp. xxxii-479-149.
Codice diplomatico dell'Università di Pavia, raccolto ed ordinato dal
sac. prof. Rodoljo Majocchi. Voi. 1 : 1361-1400 (Società Pavese di
storia patria). Pavia, tip. succ. Fusi, 1905, in-4, p. 473.
COLASANTI (A.). Gli artisti nella poesia del Rinascimento. Fonti poetiche
per la storia dell'arte italiana. Saggio di bibliografia delle fonti poe-
tiche per la storia dell'arte italiana. — Repertorium fiìr Kunstwis-
senschaft, Bd. XXVII, 1904, pp. 193 sgg.
*COLiNI (prof. G. A.). Relazione sul tema: Determinare in quali regioni
italiane si abbiano prove certe di una civiltà della pura età del
bronzo, e se per ognuna di esse debba ammettersi che tale civiltà
avesse una sola origine e si svolgesse nel medesimo tempo. — Aiti
Congresso internazionale di scienze storiche, voi. V (Roma, 1904).
Completo quadro delle popolazioni che abitavano il nostro paese all'epoca
del bronzo, la cui civiltà è rappresentata dai resti raccolti nelle palafitte
lacustri delle Prealpi, nelle terremare della valle del Po, e nelle grotte e
400 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
nelle stazioni di capannicoli di diverse regioni d'Italia. Da questo esame
si desume trattarsi di una civiltà che ebbe indubbiamente una origine unica,
svoltasi contemporaneamente alla così detta civiltà micenea.
La provenienza della civiltà della pura età del bronzo è orientale, ben-
ché sia giunta per vie diverse nell' Italia del Nord e nella Sicilia ; cioè per
vie terrestri nell' Italia settentrionale e per vie marittime in Sicilia.
* COLOMBO (A.). Ludovico il Moro e la Francia secondo un frammento di
cronaca contemporanea, — Bolletiino storico bibliografico subalpino^
a. IX, nn. 5-6 (1905).
COLOMBO (dott. F.). Appunti sulla vita di Temistocle Arpesani, con pre-
. fazione e note del dott. Lodovico Corto. Milano, tip. A. Restelli,.
1904, in-8, pp. 21.
COMANDINI (A.). L'Italia nei Cento Anni del secolo XIX giorno per
giorno illustrata. Dispense 44.*^ e 45.*, in-i6 ili. Milano, A. Vallardi
edit, 1905.
Cronaca storico-aneddotica dal 21 gennaio al i.° ottobre 1847, cioè
dall'ascensione di Francesco V al ducato di Modena all' ingresso in Milano
dell'arcivescovo Romilli. Tra le illustrazioni in pagina intera notiamo : pi-
roscafo rimorchiatore Pio IX per la navigazione sul Po, piazza Fontana in
Milano. Tra le illustrazioni intercalate nel testo: moneta da 5 cent, pel
Regno Lombardo-Veneto, il porto di Como dipinto da Inganni, porta Mi-
lano a Pavia, archi dedicati a S. Ambrogio, a S. Caldino e a S. Carlo in
Milano per l' ingresso dell'arcivescovo Romilli, piazza Fontana illuminata a
gas e stemma dell'arcivescovo Romilli. Tra i ritratti: Acerbi Giuseppe, Ca-
stiglioni Paola, Confalonieri Federico, Gaysruck Gaetano, Lena Perpenti
Candida e Ferrarlo Giulio.
* Commentari dell'Ateneo di scienze, lettere ed arti in Brescia per l'anno T904,
in-8. Brescia, tip, Apollonio, 1904. «
Penargli (G.). Discorso inaugurale del nuovo anno accademico, Giu-
seppe Zanardelli e l'Ateneo. — Cacciamali (G. B.). Studio geologico della
regione Botticino-Serle-Gavardo. — Corniani (ing. G.). La navigazione in-
terna ed il porto di Brescia. — Glissenti (avv. F.). Teodoro Mommsen a
Brescia. — Da Como (U.). Alcuni autografi di Pietro Giordani. — Cac-
ciAMALi (prof. G. B.) Le sorgenti dei dintorni di Brescia.
Congrega (La veneranda) della carità apostolica di Brescia : [cenni sto-
rici dalla fondazione al 1903J in occasione dell' Esposizione di Bre-
scia, 1904. Brescia, tip. pio istituto Pavoni, 1904, in-4 fìg., pp. vij-79,
con ritr. e io tav.
CONTESSA (C). Una breve relazione -sulla corte di Francia nel 1682 e
alcune sulla polizia estera degli Inquisitori di Venezia. Torino
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 4OI
tip. degli Artigianelli, 1904, in-8, pp. 32 (Nozze Dalla Santa- Val-
secchi).
La Relazione è del marchese Michele Sagraraoso di Verona, inviato a
Parigi dal duca di Mantova coli* incarico di complimentare il re di Francia
per la nascita del duca di Borgogna (cfr. i cenni in Nuovo Archivio Veneto^
to. Vili, fase. II, 1905, p. 596).
*CONWAY (R. Seymour). I due strati nella popolazione indo-europea del-
l' Italia antica. — Atti Congresso storico internazionale, voi. II, 1905.
Il C. tenta distinguere le primitive razze indo-europee dell' Italia per
mezzo dei differenti suffissi da esse usati nella formazione dei nomi etnici,
emettendo l'ipotesi che i popoli in - CO appartengono all'età del bronzo e
quelli in - NO rappresentino l'età del ferro.
* CORTI (G.). La famiglia Della Croce di Milano. — Giornale araldico-ge-
nealogico-diplomatico, febbraio-marzo 1905
* COSTA (E.). Gerolamo Cardano allo studio di Bologna. — Archivio sto-
rico italiano, fase. II, 1905.
Da nuovi documenti tratti dall'Archivio di Stato di Bologna.
COZZA LUZI (G.) I grandi lavori del cardinale Angelo Mai. — Bessarione^
gennaio-febbraio 1905 e prec,
CRAVENNA BRIGOLA (M). Cesare Cantù quale educatore. — 1/ Azione Mu-
liebre di Milano, febbraio-aprile 1905.
CRISPOLTI (F.). Le rivelazioni dei " Brani inediti „ sul Manzoni storio-
grafo. — // Momento di Torino, 26 e 30 novembre 1904.
Cfr. gli Appunti in Gior. star, della leti, ital,, fase. 134-35. P* 4^0-
*CRISTOFOLINI (C). Sub Julio. - Atti L R. Accademia degli Agiati di
Rovereto, luglio-dicembre 1904.
Nota esegetica a proposito dell'anacronismo in cui Dante sarebbe ca-
duto ponendo dopo il 60 i natali di Virgilio, che aveva undici anni, quando
Cesare fu assunto al consolato, ed era entrato nel quinto lustro al tempo
della dittatura.
*CRIVELLUCCI (A.). Les évèches d'Italie et l'invasion Lombarde. — Studi
Storici, voi. XIII, fase. III (1905).
* Crollalanza. — Necrologio del cav. Goffredo di Crollalanza. — Gior-
nale araldica-genealogico, n. i, 1905.
Con notizie per la genealogia dei Crollalanza, famiglia originaria di
Chiavenna.
402 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
CUCCURULLO (L.). Di una probabile fonte dei " Sepolcri „ foscoliani. —
Biblioteca delle scuole italiane, a. XI, n. i.
Parrebbe lo scritto del conte Luigi Lambertenghi " Sull'origine e sul
luogo delle sepolture „ edito nel periodico II Caj'é (vedi rettificazione di
V. Ciati nel n. 5 della Biblioteca).
CUGNAC (C* de). La campagne de Marengo. Paris, Chapelot, 1904, in-8,
pp. 252 et fìg.
DALBONO (E.). Eleuterio Pagliano : commemorazione. — Rendiconti delle
tornate e dei lavori dell' Accademia di archeologia e belle arti di Na-
poli. Nuova serie, a. XVIII, 1904.
* DALLA SANTA (G.). Un episodio della vita universitaria di Giasone del
Majmo. Venezia, Visentin!, 1904, in-8, pp. 16 (Estr. dal Nuovo Ar-
chivio Veneto. Nuova serie, to. Vili, parte II).
Documenti del 1488 e del 1496 relativi ai rapporti di Giasone del
Maino con la repubblica di Venezia riguardo al suo insegnamento in Padova,
quando lasciò quell'Università nel 1488 e vi tornò nel 1496.
D'ANCONA (A.). Esilio e carcerazione di Pietro Giordani. (Nuovi documenti
da archivi e biblioteche). — Nuova Antologia, 16 marzo e i.° aprile
1905.
— Petrarca, Galilei, Leonardo, Mazzini e la Crusca nelle Edizioni Na-
zionali. — Giornale d'Italia, 17 agosto 1904.
DAROWSKI (C). Bona Sforza. Rzym [Roma], tip. Forzani & C, 1904, in-i6,
pp. 230, con 4 ritr. e tav.
* DAVARi (S.). Descrizione dello storico palazzo del Te di Mantova. Illu-
strata da 22 fotoincisioni. Mantova, Eredi Segna, 1905, in-8, pp. 65.
DE CHIARA (S.). I " brani inediti „ dei Promessi Sposi. — L'Italia Mo-
derna, fase. IX, 1904.
DELARUELLE (L.). Un professeur italien : étude sur le séjour à Milan d'Aulo
Giano Parrasio. — Mélanges de philologie in onore di F. Brunot.
È la memoria edita nel nostro Archivio (fase, di gennaio-marzo 1905).
DEL BALZO (C). L'Italia nella letteratura francese dalla caduta dell'im-
pero romano alla morte di Enrico IV. Torino-Roma, casa editrice
nazionale, 1905, in-8, pp. 416.
* de' MARCHI (A.j. Di un sarcofago scoperto a Lambrate (con una tav.).
— Rendiconti Istituto Lombardo^ serie II, voi. XXXVIII, fase. VIII-IX
(1905)-
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO • 403
DE MARTINO (F.). Ordine del Redentore. — Rivista del Collegio Araldico^
a. Ili, n. 2, 1905.
Fondato dal duca Vincenzo I Gonzaga di Mantova nel 1607.
DE NARDI (P.). Studi antropologici su Rosmini, Gioberti e Manzoni. Forlì,
tip. Sociale, 1904, in-8, pp. no.
DETLEFSEN (D.). Die geographischen Biicher (II, 242-vi Schluss) der Na-
turalis Historia des C. Plinius Secundus mit vollstàndingem kriti-
schen Apparat herausgegeben. Berlin, Weidmann, 1905, in-8, pp. xxii-
282 [" Quellen und Forschungen zur alten Geschichte und Geogra-
. phie „ di W. Sieglin].
*DE TONI (G. B.) & SOLMI (E.). Intorno all'andata di Leonardo da Vinci
in Francia. — Atii R. Istituto Veneto di scienze e lettere, to. LXIV,
disp. 3.* (1905).
DITO (dott. O.). Massoneria, Carboneria ed altre Società segrete nella
Storia del Risorgimento italiano. Torino-Roma, casa editrice nazio-
nale, 1905, in-8, pp. 450 (" Biblioteca Storica „, n. 119).
DOIZÉ (J.). Le ròle politique et social de Saint Grégoire le Grand pen-
dant les guerres lombardes. — Etudes publiées par des frères de la
Compagnie de Jesus, 20 aprile 1904.
* DONATI (T.). I Francesi a Parma dal 1796 al 181 4 e la satira d'un prete
parmigiano. — Rivista di scienze storiche, dicembre 1904.
DoNizETTi. — Gaetano Donizetti e il " Don Pasquale „. — Musica e Mu-
sicisti, n. I, 1905 [v. Cametti\.
*DRIAULT (E.). Napoléon l""" et l'Italie. lèrepartie: Bonaparte et la répu-
blique cisalpine. I. Marengo. — Revue Historique, maggio-giugno 1905
[continua],
DUBAI L-ROY. La défense du chàteau de Milan en 1799 par le chef de
bataillon Béchaud. — Bulletin de la Société belfortaine d'émulation,
1904 (Belfort).
Il D. pubblica integralmente le risposte del capo battaglione Béchaud
(più tardi generale) per giustificarsi d'aver reso il castello di Milano la di
cui difesa gli era stata affidata senza materiale sufficiente.
DUBOIS (A.). Saint Alexandre Sauli, barnabite. In-8. Paris, libr. Saint-
Paul, 1905. •
DUHEM (P.). Albert de Saxe et Léonard de Vinci. — Bulletin Italien^
to. V, n. T, gennaio-marzo 1905.
Gli scritti scolastici di Alberto di Sassonia furono fonti intellettuali per
Leonardo.
404 ♦ BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Duomo di Milano. — La riforma della facciata del Duomo di Milano. —
// Politecnico, ottobre 1904.
— Ornamenti nelle erme dei Dottori della chiesa reggenti il pulpito me-
ridionale del Duomo di Milano. — Pulpito meridionale nel Duomo
di Milano opera di Francesco Brambilla, anno 1599. — Arte ita-
liana decorativa, a. XIV, n. 2, 1905.
— V. Sant'Ambrogio.
ECIDI (E.). Briciole castiglionesche. Viterbo, tip. sociale Agnesotti & C,
1904, in-8, pp. 18.
ELIA (A.). Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. Roma, lit. del
Genio civile, 1904, in- 16, pp. ix-306 e 476.
* ERRERÀ (C). Lago di Mezzola e lago di Como. — Bollettino della So-
cietà geografica italiana, febbraio 1905.
EVELYN. Leonardo da Vinci. — Rivista per le Signorine, gennaio 1905.
— Il Sodoma nell'arte senese. - Cronache della civiltà elleno-latina (Roma)
a. Ili, n. 6, T904.
F. Una nuova opera su Leonardo da Vinci. — Rassegna Nazionale,
16 dicembre 1904.
FABRICZY (C. von). Die Bliite der Sticherei und Teppichvv^eberei in
Mailand. — Die Baugeschichte von S. Sebastiano in Mantua. — Ein
neues Basrelief von Gio. Antonio Omodeo. — Ein Brief Antonio
Averulinos. — Ein neues Werk lombardischer Holzskulptur. — Re-
pertorium fiir Kunstwissenschaft, Bd. XXVII, pp. 84, 188, 378.
— Italian medals. London, Duckworth, 1904, in-4, pp. 232 e 41 tav.
FABRY (G.). Histoire de la campagne de 1796 en Italie, publiée sous la
direction de la section historique de l'état-major de l'armée. Docu-
ments annexes. Supplément. Paris, Chapelot, 1905, 2 volumi in-8,
pp. 805-120.
FASOLI (sac. A.). Domaso. Monografia. Como, tip. casa Divina Provvi-
denza, 1904.
* FA VARO (A.). Bonaventura Cavalieri e la quadratura della spirale. —
Rendiconti Istituto Lombardo, serie II, voi. XXXVIII, fase. V-VI (1905).
Agg. pel Cavalièri l'altra interessante memoria del Favaro : Cesare Mar-
sili e la successione di Gio. Antonio Magini nella lettura di matematica
dello studio di Bologna in Atti e Memorie della R. Deputa:(ione di storia
patria di Bologna, luglio-dicembre 1904.
FECCHiO (L.), Notizie storico-religiose di Gravedona. — Como, ^S^d'
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 4O5
FERRARI (G.). Visioni italiche, con illustrazioni da dipinti e disegni ori-
ginali dell'autore, in-4 fig. Milano, U. Hoepli, 1904.
7. Dove fu composta la bandiera d' Italia. 8. Intorno a Milano.
* FERRETTO (A.). Contributo alle relazioni tra Genova e i Visconti nel
secolo XIV. — Giornale storico e letterario della Liguria, a. V,
fase. IX-XII, 1904.
Il contratto nuziale d'Isabella Fieschi con Luchino Visconti.
*FESTI (conte C). D'una pergamena trentina del 134 1 esistente nella
Biblioteca comunale di Pavia. — Tridentum, a. VII, fase. V (1904).
FILALETE. Il presunto sarcofago di Flavio Stilicone in Milano. — Ras-
segna Nazionale^ iP marzo 1905.
FILIPPINI-LERA (A.). Il concetto della folla nei " Promessi Sposi „. —
Rassegna Pugliese, a. XXI, nn, 7-B.
* FOLIGNO (C). Un poemetto in lode di Lodovico il Moro. Milano, tip. Ca-
priolo & Massimino, 1905, in-8, pp. 23 (Per nozze d'argento Pirelli-
Sormani, 5 maggio 1880-1905).
Cfr. i Cenni bibliografici in quQsi' Archivio,
FORNARI (P.). Il cristianesimo per l'arte : parole inaugurandosi la collo-
cazione in Gattico d'una terracotta (copia) di Luca Della Robbia.
Milano, tip. editr. L. F. Cogliati, 1904, in-8 fig., pp. 19.
FORTI (D.). Il carattere del Parini desunto dalle sue Odi. Venezia, stab.
tip.-lit. G. Draghi, 1904, in-8, pp. 8.
*FOURNIER (A.). Zur Textkritik der Korrespondenz Napoleons I. — Ar-
chiv fur oesterreichische Gesc Ine lite, voi. 93.°, parte I (1905).
Delle 91 lettere di Napoleone esaminate dal Fournier, già edite ed
anche contenute nella raccolta viennese dell'Archivio di Stato di Vienna,
rilevansi e confrontansi i testi di quelle in data Milano, 23 maggio 1805,
6 giugno 1805 (con tavola in eliotipia), e Mantova 14 giugno e 19 giugno
1805.
* FRANCHI (ing. S.). I giacimenti alpini ed appenninici di roccie giadei-
tiche ed i manufatti di alcune stazioni neolitiche italiane. — Atti
Congresso storico internazionale, voi. V (Archeologia), 1904.
FRANGI (M.). La casa degli eroi a Groppello : [versi]. Pavia, stab. tip.-
lit. succ. Marelli, 1904, in- 16, pp. 19.
*FRANGIOIA (L.). L'educazione mentale in Plinio il Giovine. Parte II. Plinio
e gli studiosi del tempo suo. Parte III. Che cosa studiava Plinio
il Giovine. — Rivista di scienze storiche, dicembre 1904 e febbraio-
marzo 1905.
Arch. Sior. Lomb., Anno XXXII, Fase VI. 26
406 BOLLETTINO BIBL'OGRAFICO
* FRATI (L.). I Bentivoglio nella poesia contemporanea. — Giornale sto-
rico della letteratura italiana, fase. 133 (1905).
Epitaffi latini di Mario Filelfo per la morte di Sante Bentivoglio, marito
di Ginevra Sforza [1465). Sonetto di Andrea Magnani nel 1493 a Giovanni II
Bentivoglio quando fu eletto capitano generale delle genti d'arme che Lo-
dovico il Moro teneva al di qua dal Po. Componimenti in morte di Ginevra
Sforza (1507).
* FROVA (A.). Santa Maria della Pace. — La Perseveranza, 22 dicembre
1904.
Agg. Gli articoli di F. Malagui:^i- Valeri nel Marzocco, n. i, 1905 e di
P. Ruggero Radice neìVOsservaton Cattolico, 21 gennaio 1905.
FRY (G.). The Warnishes of the Italian Violin Makers of the ló.th, i-y.th
and i8.th Centuries, and their Jnfluence on Tone, in-8. London, Ste-
vens and Sons.
6. P. V. Santorre di Santarosa nella storia piemontese. — Rassegna Na-
zionale, i.o gennaio 1905 sgg.
GABOTTO (F.). Un pronostico di Antonio d' Inghilterra pel 1464. - Bi-
blioteca delle scuole italiane, a. X, n. 20.
Cfr. i Cenni bibliografici in Bollettino storico pavese, fase. I, 1905, p. 119.
• — Del reggimento e dei rivolgimenti interni di Tortona dal 1156 al
1213. — Bollettino della Società per gli studi di storia nel Tortonese,
fase. VII, 1905.
* — Intorno alle vere origini comunali. — Archivio storico italiano, disp. i.*,
1905.
Non possiamo sottoscrivere a quanto del comune di Milano e di quello
di Como vien affermato a pp. 72, 75-76.
GABRIELLI (A.). " Leonardo da Vinci „ di Edoardo Schuré. — Fan f ulta
della domenica, n. 14, 1905.
GALANTE (A.). Il diritto di patronato ed i documenti longobardi. — Studi
di diritto romano pubblicati in onore di Vittorio Scialoja (Milano,
U. Hoepli, 1905).
*GALLAVRESI (G.). Le prince de Talleyrand et le cardinal Consalvi.
Une page peu connue de Fhistoire du Congrès de Vienne. — Revue
des questions historiques, i.° gennaio 1905.
— Il principe di Talleyrand e gli aftari d' Italia al Congresso di Vienna.
— Rassegna Nazionale, i.° aprile 1905.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 4O7
GARNETT (R.). Italian villas and their gardens. With ili. London.
Oggetto di particolare studio sono, tra altre, la villa Serbelloni, la villa
d'Este e i giardini Borromeo dell'Isola Bella.
*GHENO (A.). Lo stemma di Ezzelino III da Romano (quesito araldico).
— Rivista del Collegio Araldico di Roma, a. II, n. 8, agosto 1904.
GIANI (M. A.). Di Gian Carlo Passeroni e di alcuni riscontri fra il * Ci-
cerone „ e il " Giorno „. Tortona, tip. S. Rossi, 1904, in-4, pp. 61.
GIORDANO (C). Un melodramma sconosciuto di Giovanni Prati. Napoli,
tip. Melfi & Joele, 1904, in-8, pp. 40.
Giuditta di Kent che, stampato a Milano dal Ricordi senza data e mu-
sicato da Angelo Villanis, venne rappresentato per la prima volta al Teatro
Regio di Torino nel 1856.
GIOVANETTI (A.). Renzo e Lucia, romanzo; seguito ai " Promessi Sposi „
di A. Manzoni. Milano, P. Carrara, 1905 (a dispense).
Giovanni (Il beato) da Vercelli, sesto maestro generale dell'Ordine dei
Predicatori: ricordo delle feste celebrate nella basilica di S. Dome-
nico di Bologna nei giorni 4-6 novembre 1904. Bologna, tip. Arci-
vescovile, 1904, in-8, pp. 48, con tav.
GIOVANNINI (prof. A.). Carlo Cattaneo, economista. Bologna, tip. N. Zani-
chelli, 1905, in-8, pp 290.
GNECCHI (E.). Mesocco e Roveredo. — Rassegna Numismatica di Orbe-
tello, n. 4, luglio 1904.
GNECCHI (F.). Filippo triplo di Antonio Gaetano Trivulzio (Con fotoinci-
sione). In Nu nis:natic Circular (Spink & son's monthly), voi. XII,
nn. 134-144, 1904.
GORI (A.). 11 Risorgimento italiano, 1849-1870 {fmé). — Storia politica
d'Italia, scritta da una società di professori, fase. 118-119 (Milano,
Vallardi edit., 1905).
GOSCHE (A.). Mailand. Leipzig, Seemann, 1904, in-8 ili., pp. 222 [" Be-
riihmte Kunststàtten „, 27].
GOVONE. — General Govone. Mémoires (1848- 1870) mis en ordre et publiés
par son fils le chevalier U. Govone. Trad. de l'italien par le com-
mandant M. H. Weil, in-8. Paris, Fontemoing, 1905.
GRAND-CARTERET (J.). La Montagne à travers les àges. Róle joué par
elle. Fagon dont elle a été vue. Tome II. Moutiers, Francois Du-
cloz, 1904, in-4, PP- vi-495, ili»
In questo 2," volume studia la montagna nel pensiero letterario ed ar-
tistico del sec. XIX rappresentati dai principali scrittori ed artisti francesi
ed esteri.
408 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
ORAZIANI (Ernesto) [NIZIAGAR (Nestore)]. Brescia nella storia delle armi.
Brescia, tip. della Provincia^ 1904, in-8 fig., pp. 56.
GRENAT (chanoine P. A.). Histoire moderne du Valais de 1536 à 1815*
Publiée par les soins de Joseph de Lavalloy, avocat à Sion. Genève,
Victor Pasche (1904), in-8 gr, pp. xii-647 ^^ ili-
* GRILLO (G.). Varianti indedite all'opera " Monete di Milano „ del fra-
telli Gnecchi appartenenti alla collezione Guglielmo Grillo di Milano
{cont. e fine). — Bollettino di Numismatica, a. II, n. 12, 1904.
Monete milanesi da Filippo V a Maria Teresa.
GUALTIERI (L.). L' Innominato ; racconto del secolo XVI per commento
ai " Promessi Sposi „ di Alessandro Manzoni. Decima ristampa il-
lustrata, riveduta dall'autore. Milano, P. Carrara edit., 1905, in-i6 fig.,
2 voli., pp. 566.
* GUASTALLA (dott. C, W.). La navigazione interna nella valle padana.
Appunti. — Bollettino della Società geografica italiana^ maggio 1905.
GUERRINI (D.). Buoni vecchi maestri italiani di milizia e di guerra, sunti
e note. I. La guerra d'assedio di Gabriele Busca [milanese], 1580.
Ravenna, La Rivista di fanteria editrice, 1903, in-8, pp. 80.
Cfr. il cenno in Arch. stor. ita!., fase. IV, 1904, p. 510-11.
''^ GUERRINI (sac. P.). 11 primo tipografo bresciano [Tommaso Ferrando,
1472], — Rivista di scienze storiche, febbraio 1905.
GUIDINI (arch. A.). 11 tempio di Santa Croce in Riva San Vitale: studio
delle ragioni dell'arte e del diritto con progetto di restauro allegato.
Milano, stab. tip. fratelli Treyes, 1905, in-4 fig., pp. 77, con 3 tav.
Del .tempio di S. Croce fatto innalzare dalla famiglia del vescovo Ber-
nardino della Croce è autore il Pellegrini, e contiene affreschi dei Procac-
cini e del Morazzone.
GUiLLOT (G.). L'arbre de la Vierge, chandelier pascal à la cathédrale
de Milan. — Vie de la Paroisse, aprile 1905.
GUSSALLI (E.). L'opera del Battaggio nella chiesa di Santa Maria di
Crema (con 8 ine). — Rassegna d'Arte, febbraio 1905.
* GUTERBOCK (F.). Eine zeitgenòssische Biographie Friedrichs II, das ver-
lorene Geschichtswerk Mainardinos. — Neues Archiv, voi. XXX,
fase. I.
Una biografia contemporanea di Federico II, opera perduta di Mainar-
dino d'Imola. Ne ritrova le traccie nel Compendio della historia del regno
di Napoli di Pandolfo Collenuccio e nella Historia di Milano di Tristano
Calco.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 409
HALXIN (L.). Annibal dans les Alpes. — Bnlletin bibliographique et pé-
dagogique, a. IX, n. i.
Si occupa della questione sul passaggio di Annibale attraverso le Alpi,
e propriamente dei lavori dell' Azan e del Montanari. Conclude molto scet-
ticamente, che in tali questioni, e nello stato attuale, « est le plus sage re-
« noncer à vouloir coùte que coùte trouver le mot de l'enigme » (cfr. Ki-
vista di storta antica, a. IX, n. 3, p. 500).
HANOTAUX (G.). Histoire du cardinal de Richelieu. Tome II, partie II :
Richelieu rebelle ; la crise européenne de 1621 ; Richelieu cardinal
et premier ministre, 1617-1624. Paris, Firmin-Didot & C, 1904.
HARTIVIA^N (L. M.). Zur Wirtschaftsgeschichte Italiens im fnihen Mitte-
talter. Analekten, in-8. Gotha, Perthes, 1904.
2. Per la storia delle corporazioni d*arti e mestieri nel primo medio
evo. 5. L'amministrazione del convento di Bobbio nel IX secolo. 4. Co-
macchio ed il commercio del Po.
HAUSER (H.). De quelques sources de l'histoire des guerres d'Italie. —
Revue d'histoire moderne et contemporaine, tome VI, febbraio 1905.
Il Vtrgier d'honneur, le plaquettes originali del regno di Carlo VIII e
i Diari di Marin Sanuto.
^HELLMANN (S.). Die Bremenser Handschrift von des Paulus Diaconus
Liber de episcopis Mettensibus. — Neues Archiv, voi. XXX, fase. II
(1905).
HOBART CUST (R. H.). Il primo maestro del Sodoma. — Arte antica se-
nese. Siena. 1904, pp. 123-139.
Notizie di Martino Spanzotti e della sua famiglia.
*HOLDER-EGGER (O.). Italienische Prophetien des 13. Jahrhunderts. —
Neues Archiv, a. XXX, n. 2, 1905.
L'H.-E. pubblica e commenta il vaticinio in versi attribuito a Michele
Scoto riflettente la seconda Lega Lombarda [« Futura presagia Lombardie,
a Tuscie, Romagnole et aliarum partium per magistrum Michaelem Scotum
« declarata » 1259]. — Communica altri versi profetici che toccano a Bre-
scia ed alla caduta di Ezzelino da Romano alla battaglia di Cassano 1259.
HUFFER (H.). Der Krieg des Jahres 1799 und die zweite Koalition. II.
Gotha, Perthes, 1905, in-8, pp. xii-384 & ili.
L'autore è morto il 15 marzo scorso a Bonn, in età di 74 anni.
IMESCH (D.). Zur Geschichte des Simplonpasses. (Hrgegb. bei Anlass
der Jahresversammlung des Schweizer. Forstvereins in Brieg, Sep-
tember 1904). Brig, Tscherig, u. Tròndle, 1904, in-8, pp. 11- 16.
Per la storia del passo del Sempione.
I
410 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
INTRA (G. B.). La biografia di una Santa mantovana (Osanna Andreasi).
— Arie e Storia, nn. 222 3, 1904
Italien-Gallerìe. Kunstwanderungen durch ganz Italien. 2000 Bilder in Pho-
to typ. u. Heliogravure der beriihmtesten Werke der Malerei, Skulptur
u. Architektur, italien. Landschafts- Bilder und Volks-Typen. T. l.
Oberitalien. Berlin, Preuss' Institut Graphik, 1904, in-4, pp. iv-192.
Escursioni d'arte attraverso tutta l'Italia. 2000 quadri in foto e eliotipia
delle migliori opere di pittura, architettura e paesaggio italiani. Voi. 1.
L'Alta Italia.
JOURDAIN (M.). The lace collection of Mr. Arthur Blackborne. Part I\^:
Milanese Laces. — The Burlington Magazine, febbraio 1905.
KÀLIN (J.). Franz Guillimann, ein Freiburger Historiker von der Wende
des XVl Jahrhunderts. — Freiburger Geschichtsblàtter di Friborgo
(Svizzera), a. XI, 1904.
Cfr. il cap. III : Il Guillimann in servigio delVarnhasciata di Spagna a
Lucerna, quale segretario del conte Alfonso Casati. Sue relazioni con il car-
dinale Federico Borromeo e coi tipografi milanesi per la stampa dei suoi
panegirici di casa d'Austria.
KIHN (H.). Patrologie. I Band: Von den Zeiten der Apostel bis zum To-
leranzedikt von Mailand (313). Padeborn, F. Schòningh, 1904, in-8,
pp. X-413.
KONT (J.). Gyulaì. — Revtie d'Europe et des Colonies, aprile 1905.
*L A. Fragments d'un manuscrit du " Canzoniere „ de Pétrarque. —
Biblioihèque de l' Ecole des chartes, LXV, 4.
Da notizia di due foglietti membranacei di rime petrarchesche inseriti
tra le carte del barone Custodi nella Nazionale parigina.
LACEEN (àbbé J). Usuriers et Lombards dans le Brabant, au XV*' siede.
Biilleiin de VAcadémie Royale d'archeologie de Belgique, 1904.
LADA (I.). Leonardo da Vinci. — Bibliothka JVarszawska, febbraio 1905.
* LASCHI (avv. R.). Pene e carceri nella storia di Verona. — Atti Istituto
Veneto, to. LXIV, disp. i.*
Cfr. il cap. VI Visconti e Carraresi.
*LATTES (A.). Gli statuti del bacino luganese nella storia del diritto ita-
liano. — Rendiconti Istituto Lombardo, serie II, voi. XXXVIII, fasci
coli V-VI (1905).
• LATTES (E ). Di una iscrizione anteromana trovata a Carcegna sul lago
d'Orta. — Aiti R. Accademia delle scienze di Torino, voi. XXXIX,
disp. 7.*
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 4II
LAURENCIE (E. de la). Claudio Monteverdi. — Occidente marzo 1905.
LEICHT (P. S). Studi e frammenti. Udine, tip. del Bianco, 1904.
I. Ricerche sulI'Arimannia. 2. La chiesa d' Aquile ja e l'impero. 5. Due
• documenti eceliniani inediti.
Leonardo da Vinci. — V. Baratta, Belirami, Gagnola, U Ancona, De Toni,
Duhem, Evelyn, F., Gabrielli, Lada, Melarti, Monneret, Pi, San f Am-
brogio, Schuréf Solmi.
Lettere (Dieci) inedite d'uomini illustri a Giuseppe Saleri, giureconsulto
e filantropo bresciano, pubblicate a cura di Gaetano Fornasini. Bre-
scia, stamp. A. Canossi & C, 1904, in-4, pp. xxx, con ritr.
LEVI (P.). Mosè Bianchi inedito. — La Lettura, febbraio 1905.
USIO (G.). Rarità ariostesche ed autografi ariosteschi. — Nozze Scherillo-
Negri (Milano, U. Hoepli, 1904).
Gli autografi sono due foglietti serbati nell'Ambrosiana, che vengono
qui fac-similati, e secondo il Lisio sarebbero stati sottratti alle carte ferraresi,
di cui diede di recente la riproduzione Giuseppe Agnelli.
LOGAN (M.). A picture by Butinone in the Louvre (Avec i pi.). — Revue
Archéologique, mai-juin 1905.
Lombardi (I) alla prima crociata: dramma lirico in quattro atti, già ri-
dotto e compendiato ad uso del Collegio S. Francesco in Lodi pel
carnevale dell'anno 1900. Musica di G. Verdi. Milano, scuola tip. Ar-
tigianelli, 1905, in- 16, pp. 31.
Lombardia. — Sull'ordinamento militare dei comuni italiani nel tempo
delle leghe lombarde. — Un fatto d'armi alle porte d'Alessandria.
Rivista di fanteria, novembre-dicembre 1904.
LOMBARDO (dott. G. M.). Bianca Milesi, con documenti inediti. Firenze,
B. Seeber, 1905, in-8, pp. 79. [" Piccola collana del Risorgimento
italiano „, n. i] (i).
LUCCHINI (can. L.). La seconda Lega Lombarda rinnovata in Mosio Man-
tovano. Mantova, Mondovi, 1905, in-8, pp. 12.
— Commentario ai " Promessi Sposi „. 2.* edizione. Lecco, tip. Arcive-
scovile, 1905, in-8, pp. 134.
(i) A proposito di questa pubblicazione riceviamo dalla signora prof Maria
Luisa Alessi il n. 92, 2 aprile 1905, della Gaietta del Popolo di Torino, in cui è
contenuta una di lei lettera alla redazione di quel giornale per far rilevare l'enor-
mità del plagio del dott. Giacomo Maria Lombardo che avrebbe pubblicato col
suo nome la memoria della signora Alessi sulla Milesi.
412 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
LUMBROSO (A.). Il processo deirammiraglio Di Persano, con una prefa-
zione ed un' appendice di documenti inediti sulla campagna navale
di Lissa (1866). Con ritr. e ili., in-4. Roma, Bocca, 1905.
LUZIO (A.). Costanza Arconati. — Il palazzo del Te a Mantova [a pro-
posito del lavoro del Davari]. — La Commissione d'Este (1850-1856).
— Le memorie del giudice istruttore nei processi d'Este. — Cor-
riere della Sera, 15 gennaio, 5, 12 febbraio e 20 marzo 1905.
— Epistolario Verdiano. — Persano e Tegetthofif. — La Lettura, marzo
e maggio 4905.
MAGISTRETTI (M.). Il dogma dell'Immacolata nella liturgia ambrosiana.
— Scuola Cattolica, dicembre 1904 [v. Manuale].
— Le vesti ecclesiastiche in Milano. 2.* edizione illustrata con tavole
in eliotipia e fac-simile in cromotipia. Milano, tip. editr. L. F. Co-
gliati, 1905, in-4, pp. 83.
MAGISTRETTI (P.). Da Casargo .a Betlemme. — // Buon Cuore, n. 52 (Na-
tale) 1904.
Piacevole articolo infiorato da riflessioni antiquarie sulla Valsassina. Il
M., ricordando il p. de Orchi ed altri del suo stampo, esamina il discorso :
// Bambino Divino composto e predicato in Betlhemme di Terra Santa il
giorno di Natale, dal R. D. Giuseppe Mandolino da Casargo, predicatore dei
Minori Osservanti Reformati {Milano, Monza, 1659). Un'aggiunta alla
BibUotheca geographica Palaestinae del Ròhricht.
* MAGNI (dott. A.). I così detti " massi-avelli „ della provincia di Como.
— Atti Congresso internazionale di scienze storiche, voi. V (Roma,
1904), e ili.
"AIAJOCCHI (R.). Lo Scisma d'Occidente e Gian Galeazzo Visconti. — Ri-
vista di scienze storiche, marzo 1905.
*— Per l'Immacolata. — Rivista di scienze storiche, dicembre 1904, con ili.
L' Immacolata e Pavia. — L' Immacolata e i Carmelitani.
— V. Codice, Rivista.
MALAGUZZI-VALERI (F.). Gio. Antonio Amadeo, scultore e architetto lom-
bardo (1477-1522). Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche edit, 1904,
in-8 fig., pp. 351.
— Arte retrospettiva. La rinascenza artistica sul lago di Como. — Km-
porium, novembre 1904 (35 ili.).
— Il maestro della pala sforzesca (Con 6 ine). — Rassegna d'Arte,
.marzo 1905.
La nota pala coi ritratti di Lodovico e Beatrice Sforza, nella Pinacoteca
di Brera, e già a S. Ambrogio ad Kemus.
— Maestri minori lombardi. I. I seguaci del Bergognone (Con io ine).
— Rassegna d'Arte, giugno 1905.
BOLLETTINO BIIÌLIOGKAFICO 413
* MANGI AGALLI (prof. L.). Commemorazione di Edoardo Porro. — Rendi-
conti Istituto Lombardo, serie II, voi. XXXVIII, fase. I (1905).
MANGINI (A.). F. D. Guerrazzi. Cenni e ricordi di sei scritti pubblicati
in appendice, in-8. Livorno, Giusti, 1904.
La Lettura a Cesare Cantii, scritta sul finire del 1868, fu già pubblicata
nella Rivista d'Italia (15 gennaio 1900) dal Fiorini. Il Cantù si era rivolto
amichevolmente al Guerrazzi per domandargli la causa della noncuranza del
governo italiano verso di loro, ed il Livornese rispondeva liberamente :
« perchè voi siete rimasto troppo addietro, e me giudicano trascorso troppo
« avanti »; e soggiungeva che a lui aveva nociuto « l'orgoglio soverchio,
« la selvatica sincerità, la inclinazione al sarcasmo, la mania di fare il cen-
« sore acerbo ed aspro in tempi corrottissimi ».
L'ultimo scritto : Figlio unico di madre vedova, assai povero d' intreccio,
è tra le ultime cose del Guerrazzi. Vi ricorre lo stesso motivo patriottico :
un padre generoso si getta nell'Adda, perchè l'unico suo figlio, italiano,
chiamato alla leva dall'Austria, non sia fra i soldati dell'oppressore (cfr.
E. Michel, Nel primo centenario della nascita di F. D. Guerrani, in Ar-
chivio storico italiano, disp. 2.», 1905, p. 503).
MANTOVANI (D,). Uno scritto ignoto di Alessandro Manzoni. — La Stampa
di Torino, 16 febbraio 1905.
Pubblica i tratti più importanti di uno scritto del Manzoni vecchissimo,
nel quale egli si propone di trattare della indipendenza d'Italia mostrando
la parte che vi ebbe il Piemonte (cfr. Giornale Storico, fase. 134, p. 460).
Manuale ambrosianum ex-codice saec. XI olim in usum canonicae Vallis
Travaliae in duas partes distinctum edidit doct. Marcus Magistretti.
Mediolani, apud Ulricum Hoepli (ex typ. Humberti Allegretti), 1905.
in-8, 2 voli. (pp. 202-503). (Monumenta veteris liturgiae ambrosianae).
MANZONI (A.). Saggio di versioni latine di mons. Francesco Niola, dal-
l'uso moderno sui " Promessi Sposi „ del Manzoni. Gaeta, tip. editr,,
$alemme, 1904, in- 16, pp. 99.
— Tragedie e poesie. Milano, casa editr. P. Carrara, 1904 in- 16, pp. 263.
— V. Boeri, Boner, Boselli, Carducci, Crispolti, De Chiara, De Nardi,
Filippini, Giovanetti, Gualtieri, Lucchini, Mantovani, Micheli, Negri,
Picotti, Renier, Righighi, Rondani, Rosso, Spencer, Trischetta, Valgi-
migli.
MARCHESI (G. B.). Mode e costumanze femminili del quattrocento da un
serventese inedito. — Nozze Scherillo- Negri (Milano, U. Hoepli, 1904).
11, serventese, importante per la storia del costume, è tolto da un nis.
privato milanese.
MARCHETTI (L.). Pel centenario del secondo Regno d'Italia (1805-1905).
— Strenna dell* Alto Adige, Trento, 1905.
414 BJLLETTINO BIBLIOGRAFICO
MARKL (A.). Weder Mediolanum, noch Ticinum, sondern Tarraco. —
— Monaisblatt der niimismaiisclien Gesellschaft in Wien, 1904.
Né Milano, né Ticino, ma Tarraco (cfr. gli appunti di Francesco Gnecchi
in Rivista italiana di numismatica, fase. IV, 1904, p- 555J.
MARCHIORO (avv. G.). Teorie e riforme economiche ed amministrative
nella Lombardia del sec. XVIII. Città di Castello, S. Lapi, 1904,
in-8, pp. 141.
MASSARA (A.). L'iconografia di Maria Vergine nell'arte novarese. Novara,
Miglio, 1904, in-8 fig., pp. 79.
Quest'opuscolo è il a Catalogo delle opere artistiche della diocesi di
Novara rappresentate all'Esposizione intemazionale Mariana in Roma nel
Palazzo Lateranense (1904-1905) » preceduto da un interessante studio storico-
iconografico (con 227 numeri). Un altro simile studio ha pubblicato separa-
tamente il Massara col titolo : La Madonna nella tradizione e nell'arte nova-
rese (Bosa, tip. Vescovile, 1904, in-8, pp. 15).
— Il battistero e il Duomo antico di Novara. — Jl Piemonte^ a. II, nn. 8-9,
1904.
— Usi nuziali dell'agro novarese d'una volta e d'adesso. — Archivio
per lo siudio delle tradizioni popolari, voi. XXII, fase. Ili, 1905 {conti-
nuazione e fine).
MASSARANI (T.). Le ville Crespi. Milano, Menotti Bassani & C, 1905,
in-8, pp. 32 e 20 ili.
''MAZZI (A.). Il Beato Venturino da Bergamo. Bergamo, tip. Bolis, 1905,
in-8 gr, pp. 86.
MAZZINI (G.). Lettera inedita ad Anselmo Guerrieri-Gonzaga. — Giornale
d'Italia^ 1905, n. 16.
MAZZONI (G.). Glorie e memorie dell'arte e della civiltà d' Italia. Firenze.
Alfani & Venturi, 1905.
8. Giuseppe Parini. 9. La poesia patriottica e G. Berchet. io. L'Italia
dolente e-éperante. 11. Il teatro fra il 1849 e il 1861.
MELANI (A.). Camini artistici d' Italia. — Secolo XX, gennaio 1904.
Camino Pedoni a Cremona.
— In proposito del coro di S. Ambrogio a Milano. — Arte e Storia,
nn. 9-10, 1905.
Indica la somiglianza di questo coro con un simile monumento in San
Giovanni ad Asti, del pavese Baldino di Surso.
— Sul Cenacolo di Leonardo. — // Campo di Torino, 29 gennaio 1905.
BOLLETTINO lilBLIOGRAFICO 4I5
Memorie storiche del santuario della B. V. della .Misericordia di Castel-
leone (diocesi di Cremona). Milano, tip. S. Lega Eucaristica, 1904,
in-24, pp. 94.
*MENESTRINA (F.). Bernardo Clesio e i restauri del palazzo di Cavalese.
— Tridentum, a. VII, fase. Ili (1904).
Restauri eseguiti negli anni 15 57-1 5 39 da Andrea Crivelli tiì Alessandro
Longhi : il primo, malgrado sia dotto cittadino trentino, probabilmente mi-
lanese ; figlio di padre comasco il secondo (cfr. anche Archivio Trentino,
a. XIX, fase. II, p. 259).
MICHELI (DE) (sac. R.). Memorie biografiche del sac. Tito Rampone, della
Congregazione degli Oblati dei SS. Ambrogio e Carlo, coadiutore
della parrocchia del Duomo in Monza. 2,* edizione. Milano, scuola
tip. Salesiana, 1905, in- 16, pp. xv, con ritr. e 7 tav.
MICHELI (P.). F. D. Guerrazzi. Conferenza, in-8. Milano, società tip. edi-
trice popolare, 1904 (Estr. dalla Fi/« Internazionale).
Il M. mette a confronto alcuni concetti simili del Leopardi, del Man-
zoni e del Guerrazzi e dimostra come nei Promessi Sposi il pessimismo
prese forma di rassegnazione religiosa, nelle Operette morali del Leopardi
divenne rassegnazione stoica, e nel romanzo del Guerrazzi divampò in ri-
bellione feroce.
MICUCCHI (R.). Tommaso Morroni da Rieti. Rieti, Trinchi, 1904.
Noto umanista alla corte visconteo-sforzesca.
MIGEON (G.). La coUection Chabrière-Arlès. — Les Aris, marzo [905.
Con riproduzione di un Angelo, marmo di scuola lombarda, del sec. XVI,
Milano Scelta. Guida della società milanese, 1905. Milano, società edi-
trice della Milano Scelta, 1905, in-8, pp. 368 (204).
Milano. — La cappella della Sacra Famiglia nella chiesa di S. Maria
del Carmine in Milano. Architetto Egidio Mazzucchelli (Con ili. e tav.).
— Edilizia Moderna, gennaio 1905.
*MINI (G.). Le famiglie GiuHanini e Ronconi-Albonetti. — Giornale Aral-
dico. Nuova serie, a. IX, supplemento 1904.
Provenienti i Giulianini da Milano, venuti in Romagna nel 1400, ne
segue brevemente le vicende fino al sec. XIX.
MITTELSTAEDT (A.). Der Krieg von 1859, Bismarck und die òfifentliche
Meinung in Deutschland. Stuttgart, Cotta. 1904, in-8, pp. x-184.
La guerra del 1859, Bismarck e l'opinione pubblica in Germania.
4l6 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
*MODESTOV (B.). In che stadio si trovi oggi la questione etrusca. — Atti
Congresso storico internazionale y voi. II, 1905.
La conclusione alla quale egli arriva, dopo aver fatta la storia della
questione stessa, si è che gli Etruschi sono un popolo dell'Asia Minore.
Nessuna provenienza alpina degli Etruschi,
MOUNIER (A.). Les sources de l'histoire de France. P^ partie: Des ori-
gines à 1494. Fase. V. Les Valois, 1461-1494, in-8. Paris, Picard, 1905.
5. De la mort du Téméraire à celle de Louis XI (1477-1483). —
Charles VIIL Chroniques et documents fran(;ais. — Charles Vili. Textes
documents étrangers. — Charles Vili. Détails de l'histoire. (È in prepara-
zione la 2.* parte ; L& XVI siede, 14^4-1610 _par Henri Hauser).
MOLTEDO (F. T. B.). Vita di S. Alessandro Sauli della Congregazione dei
Barnabiti, vescovo di Aleria, poi di Pavia. Napoli, D'Auria, 1904,
in-8, pp. 536.
Cfr. la recensione del prof. Valle in Rivista di sciente storiche di Pavia,
fase. IV, 1905,
MOMMSEN (T.). Gesammelte Schriften. I Ahtheììung: /uristische Schriften.
I Band. Berlin, Weidmanasche Buchhandlung, 1905, in-8.
In questo volume è contenuto un commentario stampato la prima volta
nei Jàhrhùcher des gemeinen Rechts il (1858) sulla legge relativa ali ordina-
mento della Gallia Cisalpina.
* MONETA (E. T.). Le guerre, le insurrezioni e la pace nel secolo deci-
monono : compendio storico e considerazioni. Voi. II. Milano, presso
la Vita Internazionale, 1905, in-8, pp. 350.
Compendio storico del fortunoso decennio 1 849-1 859.
MONNERET DE VILLARD (U.). Per Leonardo da Vinci. — Arte e Storia,
nn. 24-25, 1905.
Dimostra che sarebbe utile creare. nelle sale presso il Cenacolo un Museo
Vinciano.
*MONTI (S). Il comune di Como nel medio evo. Seguito alle dissertazioni
Como Romana. — Como nell' invasione dei Barbari. — La chiesa
comasca. Como, tip. editr. Ostinelli, 1905, in- 16, pp. 87.
* Monti. — Necrologia del barone Silvio Monti, patrizio bresciano. —
Giornale araldico-genealogico, febbraio-marzo 1905, p. 58.
Con notizie intorno alla famiglia Monti, una delle più antiche del pa-
triziato bresciano e della quale fu vera illustrazione il colonnello Alessandro
Monti, capo della legione italiana in Ungheria nel 1849.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 4I7
MORANDO (G.). Esame critico delle XL proposizioni rosminiane condan-
nate dalla S. R. U. Inquisizione : studi filosofico-teologici di un laico
nel 50.0 anniversario dalla morte di Antonio Rosmini. 1855- 1905.
Milano, tip. editr. L. F. Cogliati, 1905, in-8, pp. cxxxvij-993.
^MORELLINI (D.). Un " faceto accidente „ che fa riscontro al tragico
duello di Lodovico. — Giornale storico della letteratura italiana, fa-
scicolo 134-135 (1905), PP- 455-56.
È il Bandello il quale, colla consueta spigliatezza delle sue delicatorie,
narra un comico incontro avvenuto nella città di Mantova fra il 1521 ed
il 1525.
•MORI (A.). Studi, trattative e proposte per la costruzione di una carta
geografica della Toscana nella seconda metà del secolo XVIIl. —
Archivio storico italiano, disp. 2.», 1905.
Anche il p. Boscovich aveva esposto un proprio piano per la costruzione
della Carta della Toscana (cfr. p. 401).
MORICI (M.). Sulla visita di R. Boscovich & C. Maire a Monterubbiano
(^752). — Bollettino storico monterubbianese, a. II, n. 13, 1904.
MOTTA (E.). Personaggi celebri attraverso il Sempione. — La Libertà
di Domodossola, n. 6, 1905.
Riproduzione di parte di un articolo già edito nel Boll. stor. della Svi:^-
\era Italiana, a. 1900.
* MULLER (C). Spigolature di storia intrese : Tumulti contro le sbianche
nel 1758. Intra, tip. Intrese, 1905, in-8 gr., pp. 20 (Estr. dal giornale
La Vedetta, aprile 1905).
MUNOZ (A.). Mobilio artistico del Rinascimento italiano. — Natura ed
Arte, 15 febbraio 1905.
Con esempi di cassoni e sedie del sec. XVI nel Museo civico di Milano.
Museo Artistico Poldi-Pezzoli, via Morone, io, Milano. Catalogo MCMV.
Milano, tip. C. Crespi, in-8, pp. viii-120.
N. (F.). Napoli descritta da Bernardo Tasso. — Napoli Nobilissima^
XIII, II.
Napoleone 1 a Milano (I primi giorni. Tra feste o ricevimenti. " Re
d'Italia „). — Corriere della Sera, 18, 21 e 26 maggio 1905.
NATALI (prof. G.). A Bastone Pedagogo. Noterella pariniana. Messina,
tip. A, Trimarchi, 1904.
4l8 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Necrologie di Alfonso Garovaglio, prof. Leopoldo Maggi di Pavia e
sac. Luigi Ruzzenenti di Asola. — Bulleftino di Paletnologia italiana,
1905» PP- 82-84.
Coll'elenco delle loro pubblicazioni di paletnologia lombarda.
NEGRI prof. (G.). Commenti critici estetici e biblici sui " Promessi Sposi „
di Alessandro Manzoni : premessovi uno studio su l'opinione del
Manzoni e quella del Fogazzaro intorno all'amore. Milano, scuola
tip. Salesiana, 1905, 3 voi. in-8, pp. 700 complessivamente.
*NER1 (F.). La tragedia italiana del cinquecento, in-4. Firenze, tip. Gal
letti & Cocci, 1904 (" Pubblicazioni R. Istituto di studi superiori „).
Introduzione. Le tragedie in rima {La Sofonisha di Galeotto del Car-
retto]. — Giovan Giorgio Trissino e i Fiorentini grecheggianti {La Ro'
smunda del Rucellai]. — Diffusione della tragedia \VAstianaUe e V Altea di
Bongianni Grattarolo di Salò; Rosimonda regina di Antonio Cavalierino mo-
denese; Libero arbitrio del bassanese Francesco Negri, edita a Foschia vo
nel 1546]. — Le tendenze vincitrici [Calestri di Carlo Turco, d'Asola sul
Bresciano; // Torrismondo di T. Tasso]; — «Il Teatro». La rappresenta-
zione delle tragedie. [Alla corte di Mantova].
NOGARA (B.). Per la cessione di Vercelli al duca Amedeo Vili di Sa-
voja. — Classici e Neo-Latini di Aosta, a. I, n. i, 1905.
Con atto stipulato in Torino ai 2 dicembre 1427 Filippo Maria Visconti
otteneva la mano di Maria,, figlia di Amedeo Vili di Savoja e cedeva in
cambio alla casa di Savoja il domìnio di Vercelli. Questo avvenimento,
che consacrò per sempre l' unione di Vercelli al Piemonte, forma 1' argo-
mento di una composizione poetica anonima in venticinque rozzi esametri
latini, inediti, che il Nogara qui pubblica, togliendoli dal codice Vaticano
latino 1649.
Notizie biografiche sul dottor Francesco Tadini, Novara, tip. Gaddi,
1905, in-8, pp. 12.
Il Tadini fu carbonaro e per aver cospirato si ebbe nel 1821 una con-
danna a morte, a cui si sottrasse con la fuga.
NOVARA (A.). Giovanni Torti. - Rivista Ligure, XXVI, 5.
* NOVATI (F.). Attraverso il medio evo : studi e ricerche. Bari, G. Laterza
edit., 1905, in-8, pp. 410.
I. Un poema francescano del dugento. — II. Il lombardo e la lumaca.
— III. Il passato di Mefistofele. — VI. Il frammento Pappafava . — V. I
detti d'amore di una contessa pisana. — VI. I codici francesi dei Gonzaga.
— VII. Le poesie sulla natura delle frutta e i canterini di Firenze. —
Vili. Una vecchia canzone a ballo (Madonna PoUajola).
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 4X9
OMONT (H.). Voyage littéraire de Paris à Rome en 1698. — Revue des
bibliothèques, gennaio-aprile 1904.
Note di don Paolo Brios, compagno del Montfaucon. Per il loro sog-
giorno a Pavia ed a Milano, cfr. pp. 17-19.
ORIOLI (dott. P.). Il lateral sangue in correlazione alla storia di Mantova
Palermo, tip. Pontificia, 1904, ini6, pp. 53.
OUROUSSOW (princesse M.). Gaudenzio Ferrari à Varallo et Saronno.
Esquisse d'art. Paris, Fischbacher, 1905, in-8, pp. 49 et 7 ili. [vedi
Rov.igli].
P. (A.). Dell'incisore Pietro Anderloni. — // Piemonte, a. II, n. 7, 1904.
A proposito del volume del consocio E. Anderloni sull'artista milanese
nato nel 1785.
* PALMIERI (A.). Dell'ufficio della Saltaria specialmente nel periodo pre-
comunale, — Atti e Memorie R. Deputazione di storia patria per la
Romagna, luglio-dicembre 1904.
PAPALARDO (S. M.). San Carlo Borromeo, studio psicologico. Palermo,
A. Reber, 1905, in-8, pp. 230.
PARI BENI (R.). Fibula di bronzo placcata in oro della palafitta di Pe-
schiera. — Bullettino di paletnologia italiana, 1904, p. 29.
PARINI (G.). La caduta : ode annotata da Domenico Scipioni. Roma, tip.
Forzani & C. 1904, in-8, pp. 19.
— Oeuvres choisies traduites pour la première Ibis en langue frangaise
par le prof. Th. Feriaud. Voi. Ili (Prose). Paris, Boyveau et Che-
villet édit (Savone, impr. Peluff'o et Ferro), 1904, in-i6, pp. 131.
— V. Forti, Mazzoni, Natali, Pasini.
* PASCAL (C). Un carme di Venanzio e uno di Prudenzio [cod. Ambro-
siano, F. 60, sup.i, sec. X]- — Bollettino di filologia classica, gen-
naio 1905.
PASINI (F.). Nova Montiana, con un poemetto e undici lettere inedite.
(2.*^ edizione riveduta ed ampliata). Capodistria, tip. Cobol & Priora,
1905, in-8, pp. 45.
— Il Parini e Gian Rinaldo Carli. — Rivista d'Italia, febbraio 1905.
PASSERONI (Giancarlo). Lettere a Flaminio Scarselli, dagli autografi che
si conservano nella Biblioteca dell' Università di Bologna, pubblicate
per cura di Rinaldo Sperati. Bologna, tip. Zamorani & Albertazzi,
1904, in-8, pp. 19.
420 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
PATRICOLO (A.). Il palazzo ducale di Mantova. — Arie italiana decorativa^
a. XIII, 1904, p. 93 sg.
PEDRAGLIO (C. L.). Silvio Pellico: cenni biografici, con un'appendice di
documenti inediti. Como, V. Omarini edit., 1904, in-8, pp, 222.
Cfr. Giorn. stor. della lett. ital, fase. 154-135, p. 429.
PELiSSIER (L. G.). Documenta sur les relations de Tempereur Maxi-
milien et de Ludovic Sforza en l'année 1499. — Revue des langues
romaines, marzo-aprile 1905 e prec.
PELLANDINI (V.). Usi e costumi di Bedano [nel Luganese]. — Archives
Stiisses des traditions popidaires, a. Vili, fase. IV, 1904.
*PELLATI (ing. N.). Contribuzioni alla storia della cartografia geologica
in Italia. — Aiti Congresso Internazionale di scienze storiche^ voi. X,
1904.
A p. 138 sgg. Elenco cronologico delle carte geologiche e minerarie ri-
guardanti l'Italia o parti di essa eseguite a tutto il 1^02 [a pp. 145-49 Lom-
bardia e Veneto 1822-1902].
PELLICO (S.). Le mie prigioni. Nuova edizione illustrata con uno studio
biografico e note storiche al testo del dott. Federico Ravello. To-
rino, libr. S. Giovanni Evangelista, 1905.
— V. Boselli, Chiaitone, Pedraglio, Rinieri, Walsh.
V. Bollettino storico bibliografico subalpino, a. IX, fase. III-IV (1904),
pp. 288-290 per altre numerose pubblicazioni sul Pellico.
PFISTER (A.). Beziehungen der Familie von Salis im Ausland. — Rhàtia,
a. I, n. 3, 1904.
Relazioni della famiglia Salis all'estero.
* PICCIONI (L,). A proposito del Monti abate e cittadino, spigolature d'ar-
chivio. — La Romagna, a. I, n. 3, 1904.
PICOTTI (G. B.). A proposito dei Brani inediti dei " Promessi Sposi „.
— Fanfulla della domenica^ n. 16, 1905.
PIGORINI (L.). Caverne del Bresciano, antichità primitive di Brescia. —
Bulletiino di paletnologia italiana, 1904, pp. 80-81.
— Tombe della prima età del ferro in Vergosà; Museo Ponti nell'Isola
Virginia; Tombe preromane in Bellinzona. [Dalla Rivista Archeolo-
gica di Como]. — Bulletiino di paletnologia italiana, 1905, pp. 75-76.
* PISANI DOSSI (A.). Verdesiacum {Esiv. àa\. Bollettino della Società Pavese
di storia patria). Pavia, tip. succ. Fusi, 1905, in-8 gr. ili., pp. 26.
Cfr. i Cenni bibliografici in quosx^ Archivio»
j
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 421
PIVANO (S.). I contratti agrari in Italia nell'alto medio evo. Torino,
Unione tipografico-editrice, 1904, in-8, pp. xv-338.
PI Y MARGALL (F.). Leonardo da Vinci. — Cronache della civiltà elleno-
latina (Roma), II, 19-23, 1904.
Tradotto dall'opera spagnuola sulla storia della pittura.
PLINIUS des Jiingeren Briefe. Hrsgegb. und erklàrt von R, C. Kuktda,
Wien, Gràser & C.°, 1904, in-8, pp. x-95 & xii-ii8 [" Meisterwerke
der Griechen und Ròmer in kommentierten Ausgaben „ IX].
— V. Allain, Detlefsen, Frangioja.
*POSTINGER (C. T.). L'amicizia di dementino Vannetti col fiorentino Gio-
vanni Fabbroni. — Aiti I. R. Accademia degli Agiati di Rovereto,
luglio-dicembre 1904.
Cfr. gli Appunti in c^ost^ Archivio.
PRATESI (M.). Figure e paesi d'Italia. Torino-Roma, casa editrice na-
zionale, 1905, in-8.
La villa di Massimo d'Azeglio.
PRATI (G.). Per il varamento di uno dei primi piroscafi sul lago di Garda.
Riproduzione di una poesia del 1844. In strenna deìVEco del Baldo
(Riva, tip. Miori, 1905).
PREMOLI (p. O,). Vita illustrata di S. Alessandro Sauli barnabita vescovo
prima di Aleria poi di Pavia. Milano, tip. Bertarelli, 1904» in-i6,
pp. 78 con fig. [v. Rivista].
* — Domenico Sauli. (Estr. dalla Rivista di scienze storiche, a. 1905).
Pavia, tip. Rossetti, 1905, in-8, pp. 23.
RAND (E. K.). On the Composition of Boethius Consolatio philosophiae.
— Harvard Studies in classical Philology, voi. XV (Harvard Univer-
sity, Cambridge, Massachussetts).
* RASI (P.)- Di alcune particolarità nel metro eroico e lirico di S. Ennodio.
— Rendiconti Istituto Lombardo, serie II, voi. XXXVII, fase. XVIII
(1905)-
RAVAGLI (F.). Per gli aff'reschi di Gaudenzio Ferrari nel santuario di Sa-
ronno. — Erudizione e belle arti. Nuova serie, serie I, 94 (Carpi, 1904
[v. Oursovi)].
* RENDA (U.). Il Torrismondo di T. Tasso e l'arte tragica nel cinquecento.
— Rivista Abruzzese, XX, 2.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VI. 27
422 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
RENIER (R.). Il Tasso in Germania. — Fanfulla della domenica, XXV\ n. 45.
A proposito del libro della signora Edwige Wagner Tasso daheim und
in Deutschland (Berlino^ Rosenbaum, 1905).
— I Promessi Sposi in formazione. — Fanfulla della domenica, XXVII,
nn. 3-5 (1905).
Tratta della Monaca di Monza, dell' Innominato e di vari episodi mi-
nori, seguendo i procedimenti artistici manzoniani rivelati dai Brani inediti
del romanzo fatti conoscere dallo Sforza.
RESPINI (G.) & TARTINI (R.). Storia politica del Cantone Ticino. Parte I.
Origine ed indole dei partiti 1798-1841, in-8. Locamo, tip. Artistica,
1904.
*REZZONICO (dott. A.). Una pagina di storia. Milano, scuola tip. Figli
della Provvidenza, 1904, in-8, pp. 26 e ritr.
Ricordo del conte Federico Gonfalonieri.
RICCI (C.). Gli affreschi del Bramante nella R. Pinacoteca di Brera e
un'appendice di Luca Beltrami su la sala dei maestri d'arme. Mi-
lano, tip. editr. L. F. Cogliati, 1905, in-8 fig., pp. 86.
Ricordo di Bobbio. Bobbio, società tip., 1904, in-i6 obi., pp. 8, con 22 tav.
RIGHIGHI (D.). I protagonisti dei " Promessi Sposi „, con un'appendice
bibliografica. Messina, 1904, in- 16, pp. 150.
RINiERI (L). Gli Archivi imperiali di Vienna. Una visita allo Spielberg.
— Civiltà Cattolica, 4 febbraio 1905.
RIVALTA (E.). Notizia letteraria. " Studi su Lodovico Ariosto e Torquato
Tasso •„ di Giosuè Carducci. — Nuova Antologia, i.° aprile 1905.
* Rivista archeologica lombarda. Periodico trimestrale illustrato di archeo-
logia e d'arte. Anno I, fase. MI, in-8 gr. Milano, tip. editr. L. F. Co-
gliati, 1905.
Fas^. I, La Direzione. Prefazione. — Ricci (S.), Il programma della Dire-
zione. — Lo STtsso. Gli scavi alla Gallizia presso Turbigo (con ili.). — La ne-
cropoli di Ferdesiacum. — L'attività della Società archeologica comense. —
Agnelli (G.). Scavi a Graffignana (Lodi). — La Direzione. La chiesa di Santa
Maria della Pace in Milano (con ili.). — Sant'Ambrogio (D.). Il Priorato di
S. Nicolò in Piona sul lago di Como. — Legislazione antiquaria. — Noti-
liario archeologico dell'Alta Itatia (Collezione Giulietti a Casteggio; Anti-
chità di Castelletto-Stura; Il teatro di Verona). — Noti:(iario archeologico
generale. Notizie varie (Dono di S. M. il Re alla Gipsoteca d'arte in Milano ;
Per una Raccolta Vinciana; Abside frescata nel palazzo episcopale di Como).
I
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 423
Bibliografia (Il chiostro di Piona, di A. Cavagna-Sangiuliani). — Necrologio.
— Periodici lombardi di archeologia, d'arte e di discipline storiche affini. —
Orario d'entrata ai monumenti, musei, ecc., di Milano e dintorni.
Fase. IL Ricci (S.). Il sarcofago di Lambrate (con 8 ili.). — Notizie
varie di archeologia e d'arte. — Bibliografia [Frova dott. A. Recensione di
Ricci-Gentile, Archeologia e storia dell'arte greca]. — Doni alla Gipsoteca
d'arte.
* Rivista archeologica delia provincia ed antica diocesi di Como. Fase 50.'',
in-8 gr. ili. Milano, tip. editr., F. L. Cogliati, 1905.
Cavagna-Sangiuliani (A). Le chiese e il chiostro di Piona (con ili.
e tav.). — GiussANi (A.). Un' iscrizione poco nota del territorio comasco
[che si conserva a Lurate-Abate, e documento della lotta combattuta sul
declinare del sec. XIII ira Torriani e Visconti]. — Sant'Ambrogio (D.).
Scoperta di un affresco nel vescovado di Como [del periodo del vescovo
Gerardo da Landriano, 1438-1445]. — Magni (dott. A.). Notizie archeolo-
giche: Legislazione e risvegUo scientifico; Società consorella nella Svizzera
ed i monumenti del Ticino ; Le palafitte ed il Museo dell'Isola Virginia sul
lago di Varese; Ancora tombe dell' età del ferro a S. Fermo; Tombe di
epoca incerta nel Canton Ticino ; Scoperta di tombe antiche in Bellinzona ;
Iscrizione romana di recente scoperta (a Venegono Inferiore); Frammenti
di iscrizioni romane in Como; Tombe cristiane a Vezio (Luganese); Teso-
retto di monete d'oro a Cantù; Un affresco del 1473 in Cermenate; Un
socio comasco in Egitto; Doni pervenuti ai Museo di Como. — Necrolo-
gio: Il conte Emilio Barbiano di Belgioioso; Il dott. cav. Alfonso Garova-
glio. — Atti della Società archeologica Comense. — Gita sociale sul Lario,
5 ottobre 1904. — Elenco dei Soci. — Riviste in cambio (spogli). — Bol-
lettino bibliografico. — Rivista archeologica lombarda (annuncio).
* Rivista di scienze storiche. Pubblicazione mensile diretta dal sac. dottor
Rodolfo Maf occhi. A. II, fase. IV, in-8 gr. ili. Pavia, tip. C. Rossetti,
30 aprile 1905.
Fascicolo intieramente consacrato a S. Alessandro Sauli, la di cui ca-
nonizzazione Pavia solennemente festeggiava nel maggio p. p. Cor tiene:
Ciceri (F.). S. Alessandro Sauli. — Majogchi (R.). Sunto di sei discorsi
sull' Eucaristia di S. Alessandro Sauli. — Lo stesso. Documenti inediti ri-
guardanti S. Alessandro Sauli. — Premoli (p. O.), Domenico Sauli. — Recen-
sioni, di Moltedo, Vita di S. Alessandro Sauli (sac. prof L, Valle).
* RIZZOLI (L.). Monete inedite della Raccolta de Lazara di Padova. —
Rivista iialiana di numismatica, fase, I, 1905.
Castiglione delle Stiviere (Ferdinando I Gonzaga, 1616-1780). — Bo:^-
:(o/o (Scipione Gonzaga, 1609-1871). — Solferino (Carlo Gonzaga, 1637-1680).
Roba di storia e d'arte uscita da uno studio di Roma. Dispensa 3.*
(15 marzo 1905), in-8. Pistoia, tip. Fiori, 1905).
3. Di alcuni meno recenti scrittori di casa Borgia (Caccia, Bianchi-
Giovini, Muratori, tee).
424 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
ROBERTI (M.). Dei beni appartenenti alle città dell'Italia settentrionale
dalle invasioni barbariche al sorgere dei comuni : appunti e ricerche.
— Archivio Giuridico, XI, i (1903).
RODRIGUEZ VILLA (A.). Ambrosio Spinola, primer Marqués de los Bal-
bases, ensayo biografico. Madrid, Est. tip. de Fortanet, 1905, in-4,
pp. 770 e ritr.
Lo Spinola fu governatore di Milano 1629-1630.
* — El emperador Carlos V y su corte (1522-1539). — Boletin de la Real
Academia de la Historia, marzo 1905 {coni,}.
RODOCANACHI (F.). Les Nonnes en ItaHe du XIV« au XVIIP siede. —
Bulletin Italien, to. V, n. i, 1905.
Con esempi per la Lombardia.
ROLLONE (L.). La provincia di Milano. Torino, Paravia, 1905, in-i6 fig.,
pp. 48 e 6 carte.
RONDANI (A.). La logica di don Abbondio. — lialia Moderna, marzo 1904.
Studio psicologico ragguardevole, secondo il Giornale Storico (fase. 133.°,
p. 182).
RÒSCH (A.). Das Kirchenrecht im Zeitalter der Aufklàrung. II Der Jose-
phinismus. — Archiv fiir katholisches Rechi, 1904, voi. LXXXIV.
ROSSO (F.). Una visita alla casa di Alessandro Manzoni. — // Piemonte,
a. II, n. 6, 1904.
RUSSEL SELMES. Moretto. The Raphael of Brescia. — Catholic World,
gennaio 1905.
SABBADINI (R.). Ugolino Pisani. — Nozze Se herillo- Negri. (Milano, Hoepli,
1904).
Notizie di questo bizzarro poeta, giurista e commediografo del quat-
trocento, dedotte da certe sue note del n:s. F. 141 sup. dell'Ambrosiana.
* — Dal " Virgilius Petrarcae „ dell'Ambrosiana. — Giornale storico della
letteratura italiana, fase. 133 (1905).
Con la consueta diligenza il Sabbadini è ritornato a spigolare in quel
campo pur così mietuto che è il Virgilius ambrosiano del Petrarca. Dalle
conclusioni rileviamo quella, che da una più attenta lettura di uno scolio
a f. 28 V. risulta provato come il Petrarca chiamasse Ardua il fiume Adda.
{Bollettino di filologia classica, a. XI, n. io, 1905, p. 256).
* — Frammento di grammatica latino-bergamasca. — Studi Medievali,
a. I, n. 2 (1905)-
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 425
Saggio di miniature del secolo XV illustranti il canzoniere petrarchesco
per il prof. P. M. : un qualche contributo artistico della Queriniana
di Brescia nel VI centenario della nascita di Francesco Petrarca.
Brescia, tip. A. Canossi & C, 1904, in-8 fig., pp. 44.
SALVIONI (prof. C). Poesie in dialetto di Cavergno (Valmaggia). — Ar-
chivio glottologico italiano, voi. XVI, p. 549 sgg.
*8ANT'AMBR0GI0 (D.). Il chiostro di Piona sul lago di Como. — Sul sar-
cofago scoperto in Lambrate nel marzo 1905. — Lega Lombarda,
I.' gennaio, 2 e 8 aprile 1905.
* -- La Madonna della rosa nel Duomo di Milano . — Sulla facciata del
Duomo di Milano. — Di due altri bassorilievi dell' Amodeo a Torre
de* Picenardi. — L'oratorio di S. Stefano a Lentate sul Seveso. —
Lega Lombarda, 8 settembre e 14 ottobre ; 24 settembre ; 4 dicembre
1904.
* — La Madonna dell'abito a spighe e l'effigie di Catterina Visconti. —
Lega Lombarda, n. 231, 1904.
— I resti di una villa suburbana sforzesca. — Lega Lombarda, 12 feb-
braio 1905.
Ritiene fosse quella del poeta Gaspare Visconti.
— Nel Museo di Porta Giovia. La croce gemmata dei Barbarigo a Mi-
lano. — La scacchiera di uno spadaccino del XVII secolo. — Arte
e Storia, nn. 3-4 e 7-8, 1905.
— Sull'interpretazione di un passo del codice Atlantico riferentesi alla
Valsassina. — Arte e Storia, 20 novembre 1904.
— Una statua dello scultore casalese Ambrogio Volpi del 1563 raffron-
tata con altra del Busti. — Frammento scultorio di un presepio del
Rinascimento lombardo in Belgiojoso. — Il coro presbiterale della
Basilica Ambrosiana. — // Politecnico, dicembre 1904 e gennaio-
marzo 1905..
— L* ipogeo e il sarcofago romano di Lambrate, del IV secolo. -— Il Po-
litecnico, aprile 1905.
Cfr. anche Rivista di sciente storiche^ aprile 1905.
*^ Sull'iconografìa della Vergine nella Certosa di Pavia (cont.). — Ri-
vista di scienze storiche, dicembre 1904.
* — Sopra una singolare sentenza latina di Leonardo da Vinci. — Ri-
vista di scienze storiche, gennaio 1905.
È quella: Decipimur votis, tempori fallimur; mos deridet curas ; auxia
vita nihil che leggesi a p. 298 della nota opera del Richter.
— La chiesa a due absidi contrapposte di S. Pietro al Monte presso Gi-
vate. — Sulla facciata del Duomo di Milano. — Monitore Tecnico,
30 agosto e 30 novembre 1904.
420 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
* SANT'AMBROGIO (D.). Un camino collo stemma dei Brebbia già in Milano
nel convento di S. Maria della Pace (con ine). — Rassegna d'Arte^
febbraio 1905.
— Un quesito leonardesco, — Natura ed Arte, i." ottobre 1904.
SARTORI TREVES (P.). Una umanista bresciana del secolo XV [Laura De
Cereto], Brescia, tip. editr. F. Apollonio, 1904, in-8, pp. 67.
Sacchi. — La solennelle canonisation des bienheureux Alexandre Sauli
et Gerard Majella, — Rome, 8 gennaio 1905.
Sauli S. Alessandro. — V. Cacciari, Moltedo, Premoli, Rivista, Tran-
quillino.
* SAVIO (F.) La " Datiana Historia „ o Vite dei primi vescovi di Milano
ed altre opere presunte di Landolfo seniore {Coni, e fine). — Rivista
di scienze storiche, dicembre 1904.
Autorità storica di Landolfo specialmente nella Datiana Historia. —
Metodo seguito da Landolfo nelle sue opere.
SAV0R6NAN (F.). Carlo Cattaneo e la sociologia. — Rivista italiana di
sociologia, dicembre 1904.
SCARANO (N.). Saggi danteschi, in- 16. Livorno, R. Giusti edit., 1905.
3. Perchè Dante non salva Virgilio. 11. Il lombardo di Virgilio.
*SCHIESS (T.). BuUingers Korrespondenz mit den Graubundern. 1 Theil,
Januar 1533 - Aprii 1557. Basel, Basler Buch & Antiquariatshand-
lung, 1904, in-8 gr., pp. xci-482. [" Quellen zur Schweizer Geschichte „,
XXIII Bd].
Più che corrispondenza del Bullinger coi Grigionesi, si doveva scrivere
corrispondenza coi riformatori italiani rifugiati nei Grigioni. Difatti abbiamo
le lettere di Vincenzo Maggi, di Brescia, Pietro Parisòtto, di Bergamo,
Francesco Negri, di Bassano, Agostino Mainardi, di Saluzzo, Camillo Renato,
siciliano, Bartolomeo Maturo, di Cremona, Pier Paolo Vergerlo, di Capodi-
stria, Celso Martinengo, di Brescia, Paolo Gadio, di Cremona, Bartolomeo
Paravicini, di Caspano, Giovanni Pontisella, di Vicosoprano, Giulio da Mi-
lano, Giovanni Beccaria (il noto riformatore in Locamo).
SCHUBRING (P.). Mailand und die Certosa di Pavia. Stuttgart, Union,
1904, in-8, pp. x-382 e 248 fig.
SCHULTEN (A.). Italische Namen und Stàmme III. — Beitrdge zur alien
Geschichte Bd. Ili (Leipzig, Dieterich).
SCHUPFER (F.). Manuale di storia del diritto italiano ; le fonti, leggi e
scienze. 3.* edizione. Città di Castello, S. Lapi, 1904, in.8, pp. vm-772.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 4^7
SCHURE (E.). Léonard de Vinci, drame en cinq actes. Paris, Perrin, 1905,
in- 16, pp. 260.
*SCHWALM (J.). Nachlese zu fraheren Reiseberichten, 1904. — Neues Ar-
chiv, voi. XXX, fase. II (1905).
III. Cremona. Le sentenze 1311-1312 di Enrico VII, contro Brescia e
contro Lucca, trasuntate nel 1339 e nel 1347. 2. I privilegi di Lodovico
il Bavaro del 21 giugno 1329.
ScROSATi. — Un decoratore di sessant*anni addietro. Con ili. — Arte de-
corativa italiana f a. XIII, 1904, p. 25 sg.
Luigi Scrosati (1 814-1869) che lasciò molte opere in Milano e in Lom-
bardia.
*SEGARIZZI (A.). Jacopo Languschi, rimatore veneziano del secolo XV.
— Atti Accademia degli Agiati di Rovereto, luglio-dicembre 1904.
Il 4 ottobre 1409 si trova la prima volta a Venezia come notaio « Ja-
« copo de Languschi da Venezia del fu Giovanni da Pavia ». E di lui,
certo appartenente al celebre casato dei Langosco, ragiona il Segarizzi come
notaio, oratore al papa e poeta; a giudicare il suo valore poetico riporta
due sonetd, naturalmente d' imitazione petrarcliesca.
* — Breve descrittione della navigatione proposta et inventata da Ga-
briele Bertazzolo da Venetia per sino a Riva di Trento (1623), pub-
blicata da A. Segarizzi. — L'Ateneo Veneto, marzo-aprile 1905.
Ingegno multiforme, il mantovano Gabriele Bertazzolo compose un
dramma, Gon:^aga, e con miglior fortuna dedicò la propria attività alla car-
tografìa ed all' idraulica, riuscendo in questa eccellente, come fa prova il
suo maggior lavoro, il Sostegno di Governalo,
* — Un poeta feltrino del secolo XV (Giovanni Lorenzo Regini). — Atti
dell'Accademia scientifica venetO-trentino-istriana. Nuova serie, a. I,
fase. I (1904-1905).
Alcuni carmi furono scritti a Milano, dove il Regini dev'esser stato
qualche tempo come segretario. Da Milano egli accompagna con una lettera
a Carlo Gonzaga due carmi in onore della moglie di codesto principe, Mad-
dalena, e par verosimile che di quel soggiorno siano frutto le poesie latine
ed italiane ch'ei dedicò ai segretari del Visconti Domenico Feruffino e Mar-
colino Barbavara, a vari membri della famiglia milanese Olgiati, all'oratore
e poeta Ambrogio Crivelli, a Luchino Balbo pavese, a Eliseo Manna cre-
monese, nonché i sonetti e le canzoni in lode della virtù e delle bellezze
di varie donne di Milano e di Pavia da lui amate, e di Elena da Pavia per
la quale folleggiava Giacomo Contrari da Ferrara.
Sono invece del tempo in cui il Regini era cancelliere a Ragusa le poesie
scambiate coi cremonesi Bartolomeo e Giovanni Sfondrati, Egidio da Cre-
I
428 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
mona, cancellieri a Ragusa, dove forte amicizia li unì al nostro poeta ; con
Stefano Fieschi, soncinese, quando andò maestro a Ragusa nel 1444.
In un tempo, che non si può determinare, fu il Regini a Milano: il
Segarizzi crede prima di andare come cancelliere a Ragusa dove era già
nel 143$, certo nel 1444.
Si conosce un altro poeta della famiglia Regini, Andrea di nome ed
il S. riporta i versi da lui dettati per Francesco Sforza, allora che era ca-
pitano dei Veneziani (1440).
* SEGRE (A.). I prodromi della ritirata di Carlo Vili, re di Francia, da
Napoli. Saggio sulle relazioni tra Venezia, Milano e Roma durante
la primavera del 1495 {Cont. e fine). — Archivio storico italiano,
fase. IV, 1904.
— Sul richiamo di D, Ferrante Gonzaga dal governo di Milano e sue con-
seguenze. — Memorie R. Accademia delle scienze di Torino, voi. LIV,
anno 1 903-1904.
SEIDLITZ (W. von). Encore Zanetto Bugatto. — Chronique des arts, n. 4,
1905.
Sfondrati. — Kardinal Còlestin Sfondrati, Furstabt des Benediktiners-
tiftes S.* Gallen. t 1696. Seine Marienverehrung und Beziehung zur
marianischen Kongregatiom — Canisius Stimmen, fase. IV- V (1903).
SICCA (O.). Sul " Marco Visconti „ di T. Grossi : brevi osservazioni.
Napoli, stab. tip. F. Lubrano, 1904, in-8, pp. 16.
*SIGHINOLFI (L.). Sulla lega dell'argento e gli statuti degli orefici di Bo-
logna durante la signoria di Giovanni da Oleggio. — A/ti e Memorie
R. Deputazione di storia patria per le Provincie di Romagna, luglio-
dicembre 1904.
— La signoria di Giovanni da Oleggio in Bologna (1355- 1360). Bologna,
tip. N. Zanichelli, 1905, in-8, pp. iv-423 (" Biblioteca storica bolo-
gnese „, n. IO).
SiMIONi (dott. A.). Un castello della Marca Trivigiana e un passo dan-
tesco. Perugia, Unione tip. cooperativa, 1904, in-8, pp. 30.
Il passo cui lo studio si riferisce è il verso 54 del IX canto del Para-
diso : dove Cunizza da Romano fa il nome di una prigione chiamata Malta.
(Cfr. Nuovo Archivio Veneto, to. VIII, parte II, p. 397).
SOLERTI (A.). Un balletto musicato da Claudio Monteverde sconosciuto
a* suoi biografi. — Rivista musicale italiana, 1904, pp 24 sgg.
SOLMI (A.). Sulla storia economica d'Italia nell'alto medio evo. — Ri-
vista italiana di sociologia, gennaio-febbraio 1905.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 429
SOLIMI (E.). Nuovi studi sulla filosofia naturale di Leonardo da Vinci. Il
metodo sperimentale, l'astronomia, la teoria della visione. Modena,
G. T. Vincenzi, 1905, in-8, pp. 230 [v. De Toni],
*SOMIGL|ANA (prof. C). Notizie sulla letteratura voltiana. — Atti Con-
gresso storico internazionale f voi. XII, 1904.
* SPADOLINI (E.). Nerone ad Ancona secondo Mario Filelfo. — Le Marcite,
IV, 6.
SPENCER KENNARD (G.). Romanzi e romanzieri italiani. 2 voi. in-8 gr.
Firenze, Barbèra, 1904.
Si occupa del Manzoni, del Grossi e del Nievo. (Cfr. Giornale Storico,
fase. 134-135, PP- 435-36).
STETTNER (T.). Eine Fahrt mit dem Lindauer Boten nach Mailand, 1627.
— Das Bayerland di Monaco (R. Oldenbourg), nn. 12 & 13, a. XVI,
1905.
Un viaggio col corriere di Lindau a Milano, nel 1627.
STIAVELLI (G.). Ricordi d'altri uomini e d'altri tempi [Giovanni Visconti
Venosta]. Frascati, stab. tip. italiano, 1905, in-i6, p. 13, con ritr.
Stimulus Amoris, Fr. Jacobi Mediolaniensis. Canticum pauperis, Fr. Joan-
nis Peckam, sec. codices mss. edita a PP. Collegii S. Bonaventurae.
Quaracchi, impr, du collège S. Bonaventure, 1905, in-i6, pp. xx-205
(" Bibliothecae franciscana ascetica medi aevii „ to. IV).
STORK (W.). Italien und die italienische Schweiz, von Luzern bis Neapel,
von Nizza bis Venedig. Dessau, Huber, 1904, in-8, pp. 247 e fig.
SUIDA (W.). Bemerkungen iiber einige Meisterwerke I. Andrea Mantegna.
Zeitschrift fiir bildende Kunst, aprile 1905.
Sunto storico della brigata Pinerolo, dal 1672 al 1903, pubblicato inau-
gurando il monumento ai caduti del 13.° e 14.° reggimento fanteria
alla battaglia di S. Martino. Padova, stab. tip. L. Crescini & C.^
1904, in-8, pp. 63.
SUSTA (J.). Die Ròmische Curie und das Concil von Trient unter Pius IV.
Actenstiicke zur Geschichte des Concils von Trient. Im Auftrage der
Histor. Commission der Kaiserl. Akademie der Wissenschaften bear-
beitet. I Bd. Wien, Alfred Hòlder, 1904, in-8, pp. xcii-370.
La curia romana ed il concilio di Trento sotto papa Pio IV. Documenti
per la storia del concilio tridentino.
* TACCHI VENTURI (P. S. J.). Per la storia della Chiesa Nuova e delle re-
lazioni tra San Filippo Neri ed Anna Borromeo nei Colonna. — Ar-
chivio della R. Società Romana di storia patria, voi. XXVII, fase. Ili- IV
(1904).
430 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
TAMASSIA (N.). La defensio nei documenti medievali italiani. — Archivk
Giuridico, serie Ili, a. I, n. 3, 1904.
TARGIONI-TOZZETTI (G.). Sordello e l'invettiva all'Italia nel canto VI del
" Purgatorio „. — Annali dei RR. Istituti tecnico e nautico di Livorno,
serie IV, voi. MII (1900-1904).
TENCAJOLI (O.). Une visite à Vezia. — Bulletin Polonais, n. 191, juin
1904. Paris.
È riportata l'iscrizione dettata dal Boito, e posta sul loculo, già occu-
pato dall' urna contenente il cuore di Kosciuszko nella cappella Morosini a
Vezia, presso Lugano. Il cuore dell' eroe polacco venne trasportato a Rap-
perswyl nel 1895.
— Correspondance de Milan. — Bulletin Polonais, n. 196, novembre 1904.
Il T. pubblica una lettera inedita in italiano del re di Polonia La-
dislao IV, in data 3 maggio 1640, diretta a mons. Onorato Visconti di
Saliceto in cui lo ringrazia del quadro V Europa ài Guido Reni, statogli in-
viato da esso monsignore. Il Visconti era stato nunzio in Polonia dal 1650
al 1636.
TER HAAR (F.). Ven. Innocenti! PP. XI de probabilismo, decreti, historia
et vindiciae etc. Bari, Laterza, 1905, in-8, pp. viii 166.
TESSELS (F.). Le Ròle de S. Charles Borromée dans la réforme catho-
lique opérée par le concile de Trente. — Annuaire de l'Université
de Louvain, prò 1904.
TONNI-BAZZA (V.). Un matematico del XV secolo. — Rivista d'Italia,
VII, 6, 1904.
Nicolò Tartaglia (1500-15 57).
* — Frammenti di nuove ricerche intomo a Nicolò Tartaglia. — Atti
Congresso storico internazionale, voi. XII, 1904.
* TONONI (G.). Relazioni di Tedaldo Visconti (Gregorio X) coli' Inghilterra
1259- 1271. — Archivio storico per le Provincie parmensi. Nuova serie,
voi. II (1905).
TRAHEY (I. I.). De sermone Ennodiano. Dissertazione inaugurale, in-12,
pp. 200 (Nostrae Dominae Indiana, typ. Uni versi tatis).
TRANOUILLINO (F. M.). Vita di S. Alessandro Sauli della Congregazione
dei Barnabiti, vescovo di Aleria, poi di Pavia. Napoli, D'Auria, 1904,
in-8, pp. 356.
BOLLETTINO BIBLIOGRAEIO 43I
TRISCHITTA (G.). Studi di varia letteratura. Voi. I, in-i6. Messina, V. Mu-
glia edit., 1905.
4. Una pagina difettosa nei Promessi Sposi.
*V. (L.). Di un antico libro pavese che si credeva perduto. — Rivista di
scienze storiche, febbraio 1905.
Il Legendarium Sanctorum diversorum, precipue ilìorum quorum cor por a
in ecclesia monasterii S. Felicis {Papié) requtescant.
VALGIMIGLI (M.). Di alcuni criteri d'arte onde il Manzoni rifece i " Pro-
messi Sposi „. — Natura ed Arte, 15 maggio 1905.
VANSON (general). Crimée, Italie, Mexique. Lettres de campagnes, 1834-
1867, in 8. Paris, Berger-Levrault, 1905.
*VATASSO (M.). Contributo alla storia della poesia ritmica latina me-
dievale. — Studi Medievali, a. I, fase. I.
Il V. pubblica, tolte dal cod. vaticano 3251 cinque poesie di genere
goliardico del XII secolo e vorrebbe provare che l'Alta Italia, in ispecie
la regione tra Lodi e Novara, che egli prova patria del manoscritto, abbia
preso parte a quest' indirizzo intellettuale.
VELTZÉ. Aus den Tagen von Pordenone und Sacile, Die òsterreichische
Offensive in Italien 1809. — Mitteilungen des k. und k. Kriegsarchivs,
serie III, voi. III (1904).
VENTURI (G. A.). Una lettera di Alberto Cavalletto. — Nozze Scherillo-
Negri (Milano, U. Hoepli, 1904).
Scritta dal carcere mantovano, il 25 febbraio 1853, sotto l'imminente
pericolo del patibolo.
Verdi. — GARIBALDI (F. T.). Giuseppe Verdi nella vita e nell'arte. Fi-
renze, R. Bemporad, 1905.
Agg. l'articolo di G. Senigaglia. Una curiosa polemica tra Guerrazzi e
Verdi nel volumetto In memoria di Francesco Domenico Giuseppe. (Prato,
Passerini, 1904). [V. anche Lu:(io'].
VIGONI (P.). Alfonso Garovaglio, necrologia. — Società italiana di esplo-
razioni geografiche e commerciali, n. 6, 1905.
VILLADA (P.). El decreto de Innocente XI sobre el probabilismo. —
Razon y Fé, febbraio, 1905.
VILLARI (P.) Le invasioni barbariche in Italia. 2.» edizione. Milano,
U. Hoepli, 1905, in-i6, pp. xv-490, con 3 tav.
I. Dalla decadenza dell'impero romano fino ad Odoacre. 2. Goti e Bi-
zantini. 3. I Longobardi. 4. I Franchi e la caduta del regno longobardo.
Il
432 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
VINCENT (A.). A propos du Virgile de Jean Reinhart Griininger, Stra-
sbourg 1502. — Revtie des bibliothèques et archives de Belgigue, to. 11^
1904, pp. 1 17-123.
Virgilio. — V. Atti^ Avigliano, Biagini, Carducci, Carreri, Cristofolini^
Sabbadini, Scarano, Vincent.
VITTADINI (G. B.). Scritti d'arte, pubblicati da G, Sessa in memoria di
G. B. Vittadini, 31 marzo 1905. Milano, stab. tip. Menotti Bassani & C,
in-4, pp. 90 (6), con ritr. e tav.
VOLPE (G.). Questioni fondamentali sulPorigine e svolgimento dei Co-
muni Italiani (secoli X-XIV). Pisa, Nistri, 1904, in-8, pp. 41.
È la prefazione di un lavoro che l'A. spera di pubblicare, fra non molto,
suU' a Origine e svolgimento dei canoni medievali nell' Italia Longobarda
(sec. X-XIV) », lavoro che riuscirà senza dubbio di somma importanza per
la storia della vita pubblica italiana, in quel lungo periodo di tre secoli, nei
quali collimano insieme e si fondono tanti e diversi elementi.
* — Lambardi e Romani nelle campagne e nelle città. Per la storia delle
classi sociali della Nazione e del Rinascimento italiano (secoli XI-XV).
(Cont.). — Studi Storici, voi. Vili, fase. II-III (1904-1905).
VOLPICELLA (L.). Una chiave di cifra del secolo XV nell'Archivio di Na-
poli. — Rivista delle biblioteche e degli archivi, novembre-dicembre 1904.
Interessante cifrario servito ai Rossi di Parma e che offre molti nomi
di personaggi politici del ducato sforzesco dell'ultimo trentennio del quat-
trocento. Vi rileviamo ad esempio :
Dux Mediolani ; Instabilis. — messer ludovico (il Moro) : nihil. — Madona (Bona
di Milano): malhora. — Il Trivultio : Tre forche. — Jo. Bournaée (Borromeo) : El pele^
grino. — petro Pusterla : Fabulator. — Petro Landriano : Pavo. — Monsg. Ascanio
(Sforza): Calabrese. — messer Philippe Sforza: testa mata. — Bartolomé Calcho : in-
grato. — El castellano de Milano: cadaver. — D. Ambroxina (Borromeo de' Rossi):
stabile. — Signore Roberto (Sanseverino) : tu scis. — Fracasso (Sanseverino) : Yris. —
Johanne francesco fratello (Sanseverino): Invidia. —Antonio Maria (Sanseverino) : T)i-
lecius. — Galeaz (Sanseverino oppure da Correggio) : passio. — Milano : phano. —
Lode: magna. — Pavia: numquam pia. — Marchio Mantue : Delphino. — Picighitono :
pane. — Trezo : tri. — Signore Gonstanzo (Sforza): 5/ //a (Scilla). —Pesaro: Caribdi.
VOLTA. Letteratura voltiana. — L'Elettricista di Roma, nn. 1-2, 1904.
— V. Ambrosoli, Bosscha.
VOLTELINI (H. von). Die àltesten Pfandleihbanken und Lombardenprivi-
legien Tirols. Innsbruck, Wagner. 1904, in-8, pp. 70 (Extr. Beitrdge
zur Rechtsgeschichte Tirols).
I più antichi banchi di pegno e privilegi dei Lombardi nel Tirolo.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 433
WAGNER (H.). Tasso daheim und in Deutschland. Einwirkungen Italiens
auf die deutsche Literatur. Berlin, Rosenbaum u. Hart, 1905, in-8,
pp. vii-404 [v. Remer].
WALSH (I. I.). Silvio Pellico. — Catholic World, febbraio, 1905.
WESTBERG (F.). Wanderungen der Langobarden. — Mémoires de l'Aca-
démie imperiale des sciences de S.t Pétersbourg, sèrie Vili, voi. VI,
nn. 5-6 (1904).
WYZEVA (T. de). La fille du poète Vincenzo Monti. — Revues des deux
mondes, XXIII, 4.
ZANAROELLi (G.). Notizie naturali^ industriali ed artistiche della provincia
di Brescia : lettere pubblicate nel 1857 sul giornale // Crepuscolo, —
Prefazione dell'on. aw. Massimo Bonardi, — Discorso di S. E. il
ministro Luigi Rava (A proposito dell' Esposizione bresciana). Bre-
scia, Unione, tip.-lit. bresciana, 1904, in-8, pp. 461.
ZANELLI (A.). I pubblici orologi a Brescia nel secolo XV. Brescia, Ca-
nossi, 1904, in-8, pp. 4.
*ZUCCANTE (G.). Commemorazione di Gaetano Negri. — Rendiconti Isti-
tuto Lombardo, serie II, voi. XXXVIII, fase. I (1905).
— Fra il pensiero antico e il moderno, in-i6. Milano, U. Hoepli, 1905.
14. Gli Ultimi Saggi di Gaetano Negri.
APPUNTI E NOTIZIE
j^% Intorno al sarcofago di Lambrate. — Di questo sarcofago s'è
già tanto parlato, ch'esso ha ormai la propria bibliografia, ma anche
V Archivio non vuol disinteressarsene e porta quindi ad essa il suo piccolo
contributo. Io non ripeterò quanto altri ha già detto, ma solo ritornerò su
alcune delle varie ipotesi emesse e specialmente toccherò dei confronti
fatti con altri sarcofagi, adducendone uno nuovo, che mi sembra il più
evidente.
Anzitutto, sebbene io non abbia potuto vedere il luogo del rinve-
nimento, poiché ero assente quando questo avvenne e, recatomi colà
al mio ritorno, vi trovai già sorta una casa e perduta ogni traccia,
tuttavia dalle informazioni assunte, dalle relazioni e dai disegni pubbli-
cati, mi sono formato il concetto che il sarcofago si trovasse in posto,
e che il lato grezzo aderisse ancora alla stessa parete cui era stato ap-
poggiato in origine. Non mi riesce invece chiara V ipotesi che si trat-
tasse d' un ipogeo di tipo italico o etrusco, perchè qui siamo in un
campo ben diverso e in un'epoca ben lontana; malgrado la persistenza
degli usi e delle tradizioni funebri, non si può confondere un tardo ipogeo
romano, come alcuno tra quelli della via Appia o della via Latina,
con un'antica tomba italica o etrusca. In quanto all'esser stato il sar-
cofago lavorato in posto, non escludo tale possibilità e in ogni modo
non ammetto come prova decisiva il non essersi trovate tracce di la-
vorazione. Riguardo alla persona o alle persone sepolte, io credo che
il sarcofago racchiudesse una sola persona, malgrado le grandiose di-
mensioni, le quali sono comuni a molti altri sarcofagi. E ciò credo,
prima perchè lo scheletro unico trovato nel sarcofago sembra con tutta
probabilità essere l'originario per diversi dati, tra cui importante quello
d'essersi trovato il sarcofago ermeticamente chiuso con cemento antico ;
poi, perchè delle due figure scolpite negli archivolti della facciata una
soltanto può essere con certezza il ritratto del defunto, mentre nell'altra
io vedrei piuttosto un orante indeterminato, un simbolo accanto agli
altri dello stesso sarcofago, anziché una defunta rappresentata come
orante; e in ciò mi conferma anche la mancanza d'un ritratto nell'acro-
terio sovrastante all'orante, che faccia riscontro all'altro, come si vede
in altri sarcofagf!.
APPUNTI E NOTIZIE
435
Ma se le figure della facciata, prescindendo dalla questione dei de-
funti, non lasciano dubbio sulla loro interpretazione, quelle dei lati mi-
nori hanno dato luogo a varie interpretazioni, che io però qui non
discuterò; osservo solamente che i due oggetti ai fianchi del Buon Pa-
store non sono punto chiari e che il decidere se siano piuttosto cornu-
copie che alberi, dipende in parte dal ritenere se questi oggetti con
tutto lo sfondo siano stati scalpellati o non finiti; io li credo non finiti,
perchè l' identica scabrosità presentano anche i capitelli delle colonnine,
i quali non avrebbero avuto alcuna ragione d'essere scalpellati in un
presunto rimaneggiamento del sarcofago. Più probabile mi sembra
quindi che il Buon Pastore, che ad ogni costo si vuol considerare quale
discendente diretto dell' " Ermes criophoros „, sia fiancheggiato da due
alberi, sebbene riconosca esser questi raffigurati in una forma aff'atto
insolita.
Più interessante è la rappresentanza dell' altro lato e anche qui
non mancano le discordanze. La prima impressione che si riceve è
quella d'una semplice scena di mestiere; ma considerando l'importanza
del sarcofago ed esaminando bene la figura seduta, la quale con ogni
probabilità sta scrivendo, si pensa ad un ricco negoziante che registra
i propri conti o fors'anche fa testamento. L'oggetto appeso in alto
non sarebbe, secondo me, né una sedia curule, né una cesta o altro
recipiente coperto da un panno, ma piuttosto una tunica o una pelle,
insegna che si potrebbe conciliare col concetto del negoziante arricchi-
tosi nello sgrassar panni e pellami.
Rimarrebbe l' iscrizione, ma questa è così poco visibile, eh' io la
chiamerei quasi ipotetica, perché sfugge ad ogni serio tentativo di let-
tura, mentre i nuovi lapicidi di matita vi si sbizzarriscono in vario modo,
finché il sarcofago sia lasciato esposto in loro balia.
È perciò desiderabile che venga presto collocato nel Museo, o in
altro luogo riservato, e così quale fu trovato nella tomba, cioè colla
sua costruzione di mattoni, colla parte grezza addossata alla parete e
col coperchio sovrapposto. Ed è pure desiderabile che anche nel Museo
si sorveglino meglio gli sgorbiatori e si premuniscano in qualche modo
gli oggetti che più si prestano ad essere scarabocchiati, perché nem-
meno qui essi sono immuni dai grafomani.
Ma veniamo ai confronti. Sono stati citati come più simili al nostro
sarcofago quello di Valerio Petroniano nel Museo, della cappella di
S. Aquilino in S. Lorenzo, quelli di Modena e di Spalato e vagamente
quelli di Ravenna.
Ora, tra i sarcofagi di Ravenna uno solo s'accosta in parte al no-
stro, cioè quello di S. Apollinare in Classe (i), per 1' architettura della
facciata, simile a quella del nostro, ma con capitelli corinzi invece che
dcripi e 1' archivolto invece dell' architrave nella porta. 11 più simile al
(i'' C. Ricci, Ravenna, 5.* ediz., fig. no.
I
436 APPUNTI E NOTIZIE
nostro, tra i sarcofagi citati, è quello di Modena (i), non solo per Tar-
chitettura della facciata, ma anche perchè ha negli archivolti due figure
come il nostro; manca però del coperchio come quello di Valerio Pe-
troniano, che è inoltre di stile corinzio. Il sarcofago di S. Lorenzo as-
somiglierebbe nell*architettura, se non fosse di stile corinzio, e nel co-
perchio, se non avesse gli acroteri vuoti; assai poco assomiglia quello
di Spalato (2).
Un sarcofago che nessuno ancora ha citato e che invece mi ha
colpito per la sua identità col nostro, è quello romano nel cortile del-
l' Università di Ferrara (3). Questo è nella facciata con tutti i suoi par-
ticolari identico a quello di Modena, ma ha anche il coperchio a due
pioventi, squamato e cogli acroteri identici a quelli del monumento mi-
lanese, colla sola differenza che sono entrambi occupati dai ritratti dei
due defunti, maschile e femminile, raffigurati per intero nei due archi-
volti sottostanti.
Il campo della porta centrale è occupato dall' iscrizione, non leggi-
bile nella riproduzione che ho sott'occhio. Questa lascia però scorgere
in parte anche un lato minore del sarcofago, il quale, prescindendo da
una figura che non si può distinguere e da una testa nel timpano del
coperchio, che parrebbe di Medusa, presenta pure un' edicoletta nello
stile della facciata.
Il sarcofago di Ferrara si presenta con linee semplici, punto ricer-
cate e artisticamente superiore al nostro nella parte scultoria e quindi
più antico ; il nostro è certamente rozzo, ma interessante archeologica-
mente per le rappresentazioni e per la provenienza.
Arturo Frova.
/^ Il comune di Treviglio e il monastero di S. Simpliciano. — Il
dott. Giuseppe Barelli, neir illustrare alcuni documenti dell'Archivio
comunale di Treviglio riflettenti la storia di quella città (4), accennò
che le ricerche praticate, a sua richiesta, nell'Archivio di Stato di Mi-
lano ed in particolare nel fondo del monastero di S. Simpliciano, cui
un tempo Treviglio fu soggetto, non gU avevano fornito alcun mate-
riale. La ragione della mancanza, in quel fondo, dei titoli e delle carte
relative al possesso di Treviglio, dovrebbe essere la stessa per la
quale nell'archivio del comune pervennero i più importanti tra i titoli
medesimi (5), che furono trascritti nei due codici della Trivulziana (6)
(i) A. Venturi, Storia dell'arte italiana, voi. I, fig. 217.
(2) Ibid., voi. I, fig. 178.
(3) Agnelli, Ferrara e Pomposa, fig. 6.
(4) Arch. stor. ital, serie V, to. XXX, 1902, pp. 3-70.
(5) Ibid., doc. I. Diploma di Enrico IV, al monastero di San Simpliciano
(1081, aprile, 14); doc. II. Diploma di Lotario imperatore al suddetto monastero
(Il 37, aprile, 5); doc. V. Diploma di Federico Barbarossa che conferma i due
precedenti (11 5 2 ottobre 31).
(6) Il codice porta ora la segnatura n. 1507.
I
APPUNTI E NOIIZIE 437
e dell'Archivio medesimo, e dal Barelli pubblicati; la cessione che ad un
certo momento il monastero di S. Simpliciano fece dei propri diritti su
Treviglio al comune e agli abitanti di quel luogo, cessione della quale
havvi traccia sicura in due documenti editi dal Barelli. L* uno è il
diploma 31 marzo 131 1 di Enrico VII che, prendendo sotto la prote-
zione dell'impero il comune e gli uomini di Treviglio, approvò e rati-
ficò il contratto di compra-vendita stipulato da quel comune coli' ab-
bate di S. Simpliciano, " omnemque liberationem et absolutionem per
" ipsum monasterium et per alios quorum intererat, comuni et terre
•^' Trevilij prout rite et provide sunt factas „ (1), e concesse allo stesso
comune il distretto e le giurisdizioni col mero e misto impero. Il secondo
•è un diploma di Lodovico il Bavaro, in data 29 luglio 1327, conforme al
precedente (2). Si poteva credere che l'affrancazione di Trevigho dai
vincoli di soggezione verso l'abbate di S. Simpliciano non risalisse ad
età molto distante dalla data del primo diploma. Ma fra i documenti
testé pubblicati ne troviamo uno che precede di oltre un trentennio il
diploma di Enrico VII, ed il suo contenuto è tale da escludere che in
quel tempo l'abbate fosse ancora investito del distretto su Treviglio. L'atto
reca la suppHca presentata dal comune e dagli uomini del luogo, rap-
presentati da un console e da un procuratore, al comune di Milano, di
elevare il luogo medesimo alla dignità di borgo coi relativi privilegi e
benefici e con un mercato settimanale, e la concessione in data 25 ot-
tobre 1279 per parte del comune di Milano, della grazia richiesta (3).
Nel contesto di quest'atto, dell'abbate del monastero non si fa alcuna
menzione. A noi fu dato testé di rintracciare la data approssimativa del-
l'affrancazione di Treviglio dalla soggezione verso il monastero mila-
nese, in una serie di ben undici documenti notarili del fondo di S, Sim-
pliciano, all'Archivio di Stato (4). Il carattere di questi documenti, ove
l'atto di affrancazione è richiamato in via incidentale ed in fine di cia-
scuno di essi, spiega come abbiano potuto passare inosservati a chi
ebbe a praticare in quel fondo le ricerche desiderate dal Barelli. GH
atti abbracciano il periodo di quattro anni e mezzo; dal 3 agosto 1224 al
13 gennaio 1229. Contengono altrettanti pagamenti eseguiti dall'abbate
di S. Simpliciano per l'importo complessivo di lire 1579 e soldi 11, dei
terzoli, a vari creditori di Lanfranco Cagalancia di Milano, quale parte
del prezzo di una possessione nel territorio di Muzano dal Cagalancia
venduta al monastero, con denari che l'abbate veniva di mano in mano
-esigendo dal podestà di Treviglio " ex pretio illarum rerum et eorum
" iurium de quorum facta est datio et liberatio et iurisremissio et finis
'" et refutatio et venditio a predicto d. abbate in Petrum Zaburrum et
(i) Barelli, op. e, loc. cit., doc. XXII.
(2) Ibid., doc. XXVIII.
(3) Ibid., doc. XII.
(4) Arch. dipi., perg. fondo S. Simpliciano^ fascio n. 165.
Ardi. Star, Lomb., Anno XXXII, Fase VI. 28
438 APPUNTI E NOTIZIE
'* Zaburrum Duronum tunc consules loci de Trivillio et in Crottonem
" Marchesii, Petrum Tavanum, Ambrosium Dolionuin, Ambrosium Pici-
" nonum, Albertum Zaburum, Martinum advocatum, Anricum de Anricis^
" Johannem Gavazum, et Albertum de Pagazano, vicinos illius loci de
" Trivillio aecipientes ad suam partem et ad partem comunis illius loci
" de Trivillio et ad partem universorum hominum etsingularum persona-
" rum habitantium in isto loco et castro de Trevillio et in eius territorio
" seu finita tam illorum qui nunc sunt quam illorum qui prò temporibus
" erunt et nomine Ecclesie illius loci de Trivillio prò decima „.Per quanto
non si specifichi, eccetto che per la decima, il preciso oggetto della ces-
sione, si può ritenere, in base anche al raffronto coi due diplomi di En-^
fico VII e di Lodovico il Bavaro, che il monastero si sia spogliato del
distretto o signoratico sugli abitanti, sulla villa, sul castello e sul terri-
torio, colle relative giurisdizioni e coi diritti di destinare il podestà del
luogo, di confermare i consoli, i canevari e gli altri ufficiali nominati
dai vicini, d'infliggere e percepire i banni, di appaltare i servizi dei-
pesi e delle misure e del forno, colla regalia sulle acque, acquedotti e
molini, ecc. La distinzione fra rcs e jura lascia comprendere che, oltre
ai diritti costituenti l'esplicazione del distretto signorile, il monastero
aveva ceduto le terre che vi possedeva, i censi e i fìtti; compresi quelli
sulle case del luogo e del castello, che, secondo il costume delle curie
signorili milanesi, si costruivano sopra area del " domino „, il quale ne
concedeva in affitto perpetuo i sedimi ai singoli vicini o capi famiglia.
La ripartizione del pagamento nel periodo di tre o quattro anni corri-
sponde a quanto si soleva stipulare nelle contrattazioni per le quali si
rendeva necessario l'esborso di forti somme di denaro. Prendendo per
norma i pagamenti fatti nel 1225 (circa lire mille), il prezzo totale della
cessione, se si effettuò in tre anni ed in rate eguali, sarebbe stata
di lire 3000; se si ripartì in quattro anni di lire 4000. La frase " et
" per alios quorum intererat „ dei due diplomi, indicherebbe che al-
l'atto della. cessione intervennero insieme all'abbate alcuni vassalli o
livellari del monastero, per la rinuncia dei diritti ad essi spettanti nella
curia di Treviglio, dei quali erano stati investiti dal monastero. Me-
ritano infine menzione i nomi dei podestà che ressero il luogo di Tre-
viglio nei quattro anni cui si riferiscono i documenti, perchè si tratta
di personaggi appartenenti a due cospicue famiglie cittadine di Milano :
1. Danisio de Superaqua (Soriga?) — 1224, agosto 6 — novembre
2. Jacobo de Superaqua — 1225, marzo 25 — agosto 3
3. Acerbo Marcellino — 1226, lugl. 9 — 1227 mag. 27
4. Jacobo de Superacqua — 1229, gennaio 13.
G. BlSCARO.
« •
Di un libro di cucina bergamasco del sec. xv. — Dobbiamo
alla amabile premura dell'onor. nostro consocio Enrico Cochin, deputato
del Nord, alcune notizie interessanti sopra un manoscritto di provenienza
APPUNTI E NOTIZIE 43^
lombarda conservato nella biblioteca della città di Chalons-sur-Marne,
che stimiamo prezzo dell* opera comunicare ai lettori deW Archivio (i).
Si tratta d'un libro di cucina, ricopiato a Bergamo nel 1481, da un tra.
scrittore tedesco di su un esemplare certamente assai più antico. Or com'è
noto, siffatti trattati gastronomici e culinari, relativamente assai nume-
rosi dopo l'invenzione della stampa e soprattutto hel Cinquecento (2)»
scarseggiano non poco per i secoli antecedenti (3).
(i) Il ms. di cui ora veniamo a discorrere non è il solo di provenienza
lombarda che quella biblioteca racchiuda. Anche il cod. n.° 258, ms. cartaceo di
fogli 137, che mis. mm. 288 x 202, ed ha una rilegatura moderna, è stato
scritto in Pavia correndo l'anno 1438 Cosi dichiarano le due note finali: « Explicit
« libar terrencii. Scriptus per me Hermannuni de Saxonia sub anno domini MCCCC
« XXX Vili ». « Hunc therencium scribi feci ego pelegrinus de goth in studia
« Papiensi M CCCC XXX octavo. Et valet florenos renenses tres et unam
« quartam ». Cfr. E. Molinier, Catalogne des tnss. de la hihl. de Chalonssur-Marne
in Catalogne gènér. des tnss. des hihl. puhl. de France, etc, to. Ili, p. 56.
(2) Ved. per il Cinquecento un articolo di A. Solerti, Tavola e cucina nel
sec. XVI, in Ga^^. lettor, di Torino, XIV, 1890, nn. i, 2, 3, 4. Ad un genere
alquanto ibrido, dove le ricette di culinaria vere e proprie si mescolano a dis-
sertazioni storico -filosofiche, appartiene il libro di Bartolomeo Platina De honesict
volnptate et valetudine, tante volte stampato dal 1475 in poi (cfr. V. Rossi,,
N. L. Cosmico, in Giorn. stor. della leti, ital, XIII, 1889, 102 sgg.; Della Torre^
P. Marsi da Pescina, Rocca S. Casciano, 1903, p. 104 sgg. Qualcosa di simile
disegnava fare, trattando De esculentis et poculentis quae veniunt in mensam ro-
mani pontificis, anche P. Giovio; ma, deluso nella speranza di ricavarne guadagno-
vistoso, abbandonò l' impresa (cfr. Giorn. stor. della letter. ital, XVII, 1893,
p. 283).
(3) Riunisco qui alquanti dati sull'argomento, non senza confessare essermi
rimasto per ora inaccessibile il saggio di « bibliografia culinaria », apparso nel
Giorn. degli eruditi e dei curiosi, a. Ili, voi. IV, p. 200 e 340; voi. V, p. iii.
Invoco inoltre il gentile aiuto dei compagni di studio per conseguire nuovi lumi
sopra un soggetto del quale debbo più largamente occuparmi altrove. Di testi
latini, oltreché il trattatello arabo, voltato in latino da un cremonese dugentista,^
di cui diedi già conto in quQsVArch. (XXVII, 1900, 11, p. 146), ed il Tacuinum
sanitatis, arabo anch' esso d' origine, illustrato dal Von Schlosser e dal Delisle,
non conosco che il libretto De modo preparandi et condiendi omnia cibaria et
pottis, che occupa lece. 94-98 del ms. lat. 7 131 della Nazionale di Parigi, spet-
tante, se non al 1306, come affermò poco cautamente il Douèt d'Arcq nell'ar-
ticolo sotto allegato, certo alla prima metà del sec. XIV. Un' operetta scritta
originariamente in volgare è il trattatello francese, che segue nel cod. parigino
or citato al latino, di cui si ha una esatta riproduzione in Bihlioth. de l'Ecole
des Chartes, XXI année, to. I, V sèrie, 1860, p. 212 sgg. Il Douét d'Arcq, autore
della pubblicazione, ricorda altri due importanti libri congeneri del Trecento, il
Viandier del cuoco Taillevent e Le menagier de Paris d'autore anonimo, del i393>.
44© APPUNTI E NOTIZIE
li ms. n. 319 della biblioteca di Ciialons-sur-Marne è un codice car-
taceo di 80 fogli: che mis. mm. 154x108, scritto calligraficamente con
iniziali colorate. È legato in pelle di scrofa e proviene dalla biblioteca
del fu signor Garinet, dove recava il numero 4741. Il nome del copista
e la data si leggono a e. 80 v.: " Ad laudem eximii et omnipotentis dei
" Amen. Die vero 18 mensis decembris 1481 per me Reimboldum Fi-
" linger de argentina in Castro Bergomensi „.
Il trattatello comincia a e. i, preceduto da questa intitolazione: " In
" nomine Domini amen. Anno Domini 143..-. {sic) die primo miii (i).
edito dal barone Ger. Pichon e utilizzato largamente da P. Lackoix, Moeurs,
usages et costumes au moy. dge, etc, Paris, 1872, Nourriture et Cuisine, p. 1 1 1 sgg.;
A. Franklin, La vie privée d'autrefois, La Cuisine, Paris, Plon, 1888. Un
trattato catalano di culinaria, che sembra spettare ai primi del Trecento (e
precisamente al 1324) esiste in un codice della biblioteca di Valenza, e fu illu-
strato da D. José Enrique Serrano nella Revista de Valencia, to. II, 1882, p. 171 sgg.
Esso « es appelat de sent Soui et feu lo eli dieta un ben home e fort bon
« coch, lo qual coch stuve ab lo rey d'Anglaterra : e lo coch lo ffeu ab consell
« d'un Pere Felip, scuder del dit senyor rey ». Un secondo ms. di questo libro
conservavasi un tempo a Barcellona: cfr. A. Morel-Fatio, Rapp. sur une miss,
phiìolog. à Vaìence, in Bihl. de VEc. des Chart., XLV, 1884, p. 627. Infine un
trattatello in tedesco De arte coquinaria, messo insieme nel sec. XV, sta a e. 83
a-95 b del ms. della Imperiale di Vienna, n. $486. Cfr. Tabulae codd. wss....,
in Bibl. Pai. Vindoh. asservat., Vindobonae, 1870, voi. IV, p. 133.
Per quanto spetta all' Italia, i testi volgari, già usciti alle stampe, sono in
numero di quattro, dei quali due soli interi. Apre la schiera // libro della cucina
del sec. XIV, « testo di lingua non mai fin qui stampato », che Fr. Zambrini
pubblicò nella Scelta di curiosità letterarie, disp. 40.*, Bologna, 1863. Il cod.
dell' Universitaria di Bologna, di cui lo Zambrini si valse per la sua poco
felice edizione, racchiudeva un altro trattatello di uguale natura, però frammen-
tario, che rinvenne parecchi anni dopo un editore in O. Guerrini {Framm.
di un libro di cucina del sec. XIV, Bologna, Zanichelli, 1887, Nozze Carducci -
Gnaccarini). A sua volta S. Morpurgo rinvenne nel cod. Riccard. 107 1 e die
fuori per Nozze Franchetti-Enriques, cinquantasette Ricette d' un libro di cucina
del buon secolo della lingua, Bologna, 1890. Finalmente nel 1899 il dott. Ludo-
vico Frati stampò nella Raccolta di rarità storiche e letterarie, diretta da G. L.
Passerini (disp. 2.^, Livorno, Giusti) un Libro di cucina del sec. XIV, d'origine
settentrionale (cfr. Giorn. star, della leti, ital, XXXVI, 240), rinvenuto nel cod. 225
della Casanatense. Che fra questi libri volgari intercedano relazioni molto strette
ha già accennato il Frati; ed a noi sembra probabile che derivino tutti quanti
da un solo originale, forse scritto in latino, col quale il testo conservatoci nel
cod, di Chalons, ebbe per avventura intimi rapporti. Ma di ciò a miglior tempo.
(i) Evidentemente il copista ha riprodotto qui la rubrica del suo esemplare,
che risaliva ad una cinquantina d'anni prima. Il testo però può senza difficoltà
stimarsi più antico.
APPUNTI E NOTIZIE 44I
" Hic est liber coquinarum bonarum prò conservatione corporis in bona
" sanitate et in bono appetitu et gustu secundum tempus de omn bus vi-
" vandis prò corpore tantum. Sed prò anima requirantur religiosi, boni
" fideles, theolici (sic), confessores, lieremite et alii boni viri vitam do-
" mini nostri Jliesu cristi et beati francisci et benedicti, augustini, do-
" minici, ambrosii, et gregorii pape sequentes. compositus et scriptus
" per me N. medicum de Assisio „ (i).
A questo curioso preamboletto, dove si mescono così amenamente
le cose sacre e le profane, segue il primo paragrafo dell'opera ; " Et
" primo de herbis bonis odoriferis actis (sic) ad coquinandum „. A que-
st'elenco ne succede un secondo " De fructibus „, seguito (e. 2 v.) dal-
renumerazione delle spezie (" De speciebus „). Poscia tiene dietro un
indice generale delle ricette culinarie, date nell'opera, con i debiti rinvìi
alle pagine corrispondenti del ms. Quest' indice molto copioso comprende
tre carte (2 r. • 5 t.).
Sarebbe naturalmente fuori di luogo riferir qui per esteso l'indice
del libro; staremo dunque paghi a trascrivere un certo numero di pa-
ragrafi, per porgere ai lettori un concetto della cucina grata ai robusti
stomachi dei nostri avi.
1. De modo faciendi brodium granatum (2).
Recipe pullos bene preparatos et bene pilatos, etc.
2. De modo faciendi brodium appetitivum.
Recipe pullos preparatos ut supra et incisos per quartum et suf-
frige cum lardone etc.
3. De modo faciendi alium brodium similem,
4. De modo faciendi brodium teuthonicum,
5. De brodio saporito prò carnibus.
Recipe capones grassos vel gallinas vel paparos vel anseres....
6. De brodio saporito prò piscibus.
Recipe pisces preparatos ut decet et bene lotos et frige in oleo
abundanter....
7. De suppa saporita prò paparo.
8. De suppa saporita prò avibus.
9. De gelatina prò carnibus.
Recipe carnes bene lotas et preparatas et decoque in aqua et aceto....
10. De modo faciendi gelatinam prò piscibus.
Recipe vinum bonum....
11. De modo faciendi gelatinam prò carnibus aliis.
12. De gelatina piscium alio modp.
t 13. De modo preparandi far de albese.
Recipe far bene lotum et bene preparatum et fac parum bulire in
aquam....
i) Cfr. Catal. génér. cit., to. Ili, p. 64.
2) Cfr. Zambrini, op. cit., p. 27.
442 APrUxX'II E NOTI/ilK
14. De modo faciendi far de spelta vel de ordeo (1).
15. De modo faciendi gramitiam.
Recipe lac ovile et distemperatum ovis debactendo fortiter et pone
lardonem....
16. De modo faciendi granaios (?)
Recipe cicera alba mollificata in aqua....
17. De modo faciendi gramitiam.
Recipe farinam et incorporatum ovis,...
18. De modo faciendi guandos (2).
Recipe nepitam bene pistatam cum sale et incorporatum farin;!....
19. De modo faciendi Stimach (3).
Recipe Suniach libram I et pista fortiter....
20. De modo faciendi lemoniam (4).
Recipe carnes puliorum preparatas suffrictus [sic)....
21. De modo faciendi Vomaniam (5).
22. De modo faciendi lasangnas.
Recipe brodium carnium....
23. De modo preparandi capriolis {sic) vitis (6).
Alla fine si legge: " et simile potest fieri de porcellanis „.
24. De modo preparandi cucurbitas.
25. De modo faciendi salsam prò carnibus castratinis vel porcinis.
Seguono tre pagine contenenti diverse ricette di salse, le quali co-
minciano tutte colle parole: " Item alia salsa bona „. Indi ripigliano
altre ricette per vivande:
26. De cofypo puliorum (7).
27. De gallina piena.
Recipe gallinam dipilatam preparatam et conciam bene.
28. De gallina fermentata.
Recipe furmentum bene albatum.. .
29. De pullis grafinatis.
30. De modo preparandi paparnm arrostitum.
Le istruzioni procedono così sino alla fine, indicando piatti assai
semplici e insieme con essi vivande di cucinatura più complicata. No-
tevoli soprattutto i ragguagli intorno al modo di preparare i pasticci
{pastelli) di carne, con formaggio, senza formaggio, ecc. Particolari rac-
(i) Zambrini, op. cit., p. 71.
(2) Ibid., op. cit., p. 37: a De' guanti cioè ravioli ».
(3) Ibid., op. cit., p. 44; Frati, op. cit., p. 28.
(4) Ibid., op. cit., p. 44; Frati, op. cit., p. 63. .
(5) Ibid., op. cit., p. 45.
(6) Cfr. Frati, op. cit., p. 13 : « Cime de vite ».
{7) Cfr. Zambrin'i, op. cit., p. 63.
APPUNTI E NOTIZIE 443
-comandazioni sono poi fatte per quel che concerne i grandi pasticci
destinati ai banchetti solenni, prò ludo et festo. A chiuder questi brevi
cenni riferiremo in parte la ricetta per i pasticci ripieni d'uccelli vivi
{De modo faciendi pastellos de avibus viyis) (i). L'Autore spiega come si
debba praticare un foro nella crosta del pasticcio: " Per illud foramen
" mitte aves vivos cum alis aliquantulum tonsis, ne possint subito nimis
" volare et hoc prò habendo maiorem festum tempore discoperture
^' pastelli et aves volent et saltent huc illuc per mensas et salam „. Un
pas iccio così condizionato doveva esser apportato con gran pompa
dinanzi ai convitati: " Ut portetur in sala pompose cum iochis et instru-
^' mentis coram dominis et dominabus circa salam et mensas et in loco
-" nobiliori disponatur „.
F. N.
/^ Un trattatello medico per Sforzino Sforza. — L'egregio no-
stro consigliere di Presidenza avv. Emilio Seletti possiede oltre alle sue
ben note e ricche collezioni archeologiche, di ritratti e di autografi, anche
una raccoltina, non copiosa, ma pur sempre pregevole di manoscritti.
Nell'attesa che il cortese suo possessore ne voglia comunicare l'elenco
ai lettori deW Archivio, segnaliamo noi oggi l'acquisto da lui recentemente
fatto a Roma (asta Luzietti) di un interessante codicetto sforzesco.
Trattasi di un Consilium ordinatutn prò salute generosi adolescentis
Sforzini Sforzie RevJ^i in Christo patris et Domini Domini Ascanij Sfor-
zie Vicecomitis Cardinalis nepotis. Il trattatello, dettato per liberare
Sforzino dal flusso catarrale da cui sembra fosse affetto, è opera di un
ben noto medico veronese, \naestro Gabriele de' Zerbi, che lo scrisse,
come consta dalla soscrizione finale, agli idi di marzo dell' anno i486,
in Roma e per incarico del\card. Ascanio Sforza, zio di Sforzino. II
codicetto membranaceo, di carte 12, mm. 130 x 195, con titolo, rubriche
ed explicit in rosso ed iniziali a colori, e la prima miniata, disgraziata-
mente è assai guasto dall' umidità patita, sicché in alcuni luoghi il testo
è cancellato o pressoché illeggibile. Non entreremo nell* esame del suo
contenuto: basti a farsene un'idea, riprodurre i titoli dei diversi paragrafi
e cioè " de aere „, " de exercitio „, " de quiete „, " de balneo „, " de
" vigilia „, " de passionibus anime „, " de coytu „, " de repletione „,
" de inanitione „, " de cibo „, " de pane „, " de carnibus „, " de lacte
'' et lacticinijs „, " de ovis „, " de herbis „, " de radicibus et acrumi-
" nibus „, " de aspar^gis „, " de leguminibus „, " de ferculis „, " de
" piscibus „, " de testudine „, " de oleo „, " de conditis „, " de aro-
" matibus „, " de confectionibus „, " de fructibus „ e " de potu „; una
miscellanea cavata da Galeno e da altri autori classici.
Chi fosse il medico Zerbi ce lo dicono gli storici della medicina e
di Verona, e meglio d'ogni altro il Giuliari che nella sua Letteratura
veronese al cadere del sec, XV (Bologna, 1876, pp. 112, 152 e 356-59)
^i) Cfr. Zambrini, op. cit., p. 58.
444 APPUNTI E NOTIZIE
ne ha descritto le diverse opere mediche e filosofiche a stampa (fra
le quali non figura il nostro Consìliunì) e narrata la vita crudamente
chiusasi nel 1505. Pubblicò per primo le Quaestiones metaphysicae uscite
in Bologna nel 1482, e la Vaticana ne ; possiede uno splendido esem-
plare in pergamena, con miniatura che rappresenta 1' autore offerente
il suo libro al pontefice Sisto IV: nell'Angelica altro esemplare con
postille mss. Seguono la Gerontocomia (Roma 1489 1 intitolata a papa
Innocenzo Vili, le Cautelae medicorum (1495 e ristampate più volte) e
il Liber anatomiae corporis humani (Venezia 1502; con numerose suc-
cessive ristampe). Per quest* ultimo lavoro, il più importante, il Zerbi
vien proclamato dallo Sprengel e dal Cervetto nelle loro opere di storia
medica " il più antico anatomico del suo secolo „, ed " uno dei rige-
" neratori della scienza..., da porsi allato al Mondino „. Fu professore
nello studio di Padova (1472); dopo due corsi triennali se ne andò a
Bologna, rimanendovi sino al 1453, e di là si condusse a Roma, dove
soggiornò parecchi anni, esercitando l'arte, per la quale ebbe ad entrare
anche nelle grazie del cardinal Ascanio Sforza, che gli affidava la sa-
lute del proprio nipote. Richiamato dopo il 1492 dal veneto senato alla cat-
tedra di medicina teorica ordinaria in Padova, vi ritornò professandovi
sino al 1505, quando s'ebbe da Andrea Gritti, console allora a Costanti-
nopoli, e poi doge, quella malaugurata chiamata che gli costò la vita, nel
barbaro modo narrato da Pier Valeriano nel noto suo libro Della infe-
licità dei letterati. Un ricco turco, caduto gravemente ammalato, avrebbe
richiesto a calde istanze per interposizione di Andrea Gritti il sapiente
soccorso di un medico italiano: esitando parecchi nell'accettare l'invito,
il nostro Zerbi moveasi all'ardua impresa, felicemente riuscendo nella
cura; sanato l'infermo, colmo di ricchi doni, era sul ritorno alla patria,,
già presso al confine veneto pervenuto, quando nel frattempo quel turco,
in causa di nuove sregolatezze, ebbe a ricadere e in pochi giorni a
morire: ed ecco i figliuoli, sotto pretesto di vendicare il padre, quasi
avvelenato dal medico italiano, o piuttosto per cupidigia di riprendersi
i doni a lui fatti, spedire pronti emissari dietro lui, i quali, raggiuntola
e preso, lo segarono vivo fra due tavole.
Sforzino Sforza pel quale il Zerbi dettava il suo Consiliutn nel i486
è ricordato dal. Litta nelle Famiglie celebri Italiane (Famiglia Sforza,.
tav. I) e più recentemente dallo Sforza nella sua Storia di Pontremoli
(voi. II, pp. 107 sgg.). Figlio naturale di Francesco di Bosio Sforza,
venne legittimato da papa Alessandro VI nel 1493. Cinque anni appresso
il card. Ascanio Sforza gli cedette il principato di Carbonara, di cui era
stato investito dagli Aragonesi (i). Imprigionato che fu Lodovico il
(i) Si sa che i primi sospetti dell' uccisione del duca di Gandia nel 1497
caddero sugli Orsini e sul cardinale Ascanio Sforza, né si tacque il nome di
Sforzino, che a stare all' interessante lettera 16 settembre 1497 ^^Uo Scalona al
marchese di Mantova, pubblicata da Luzio e Renier vl^V Archivio di storia pa-
tria di Roma (XI, 1888, p. 302) « questa quadragesima passata [ha] facto ama-
« zare uno signore spagnolo in casa de una femina cortesana ».
APPUNTI E NOTIZIE 445
Moro, riparò in Germania, e militò sotto le insegne imperiali. Ricuperati
gli stati milanesi dagli Sforzeschi, fu alla corte del duca Francesco II
che lo spedì a prendere possesso di Pontremoli, quando i Francesi fu-
rono sconfitti, e quindi lo creò governatore della Lunigiana sforzesca.
Era amantissimo della poesia ed alcuni de* suoi componimenti furono
pubblicati dall'Affò {Scrittori parmigiani, III, 178). Morì a Lodi il 9 ot-
tobre 1526 e fu sepolto a Parma nella chiesa della Steccata: del suo te-
stamento, con cui istituì erede universale il duca di Milano, e del suo
sepolcro discorre il Ronchini nelle sue memorie sulla Steccata di Parma
negli Atti e Memorie della R. Deput. di storia patria per le Provincie mo-
denesi e parmensi, I, p. 186 sgg. E. M.
^*^ Recenti restauri in S. Abbondio a Cremona. — La chiesa di
S. Abbondio, già annessa ad un monastero antichissimo, che dai Bene-
dettini passò agli Umiliati, da questi ai Teatini ed ai Frati minimi di
S. Francesco di Paola, finché nel 1798 fu soppresso ed in parte distrutto,
è uno dei templi più ragguardevoli per artistiche memorie che possegga
Cremona, la quale pur ne vanta, com'è noto, moltissimi. Venuta nelle
mani dei Teatini, essa fu negli ultimi anni del Cinquecento rifatta cosi-
che la vecchia costruzione venne quasi ravvolta dalla nuova: nella cu-
pola poi e sulla volta si deliberò di raffigurare le glorie della Vergine,,
e l'incarico fu dato a Giulio Campi. Ma, morto costui prima d'aver
messo mano al lavoro, l'ufficio di frescare il tempio restò a G. B. Trotti,
detto il Malossì, suo scolaro, ed a Orazio Sammacchino, bolognese.
Entrambi questi artisti compierono con amore l'opera loro affidata,
ed i freschi di S. Abbondio suscitarono per secoli l'ammirazione dei cono-
scitori. Però da qualche tempo essi erano ridotti in pessime condizioni
vuoi per la cattiva condizione della volta, vuoi per la polvere ed il fumo.
Preoccupate di ciò, le autorità ecclesiastiche col consenso e l'appoggio
della Commissione conservatrice dei monumenti, deliberarono di far
eseguire que' restauri che apparivano indispensabili. Ed oggi difatti i bei-
freschi cinquecentisti hanno ripreso novella vita grazie ad una intelli-
gente e cauta ripulitura, e dalla cupola gli audaci scorci del Malossi
appaiono più che mai degni d'ammirazione.
Del lieto avvenimento si è voluto serbare ricordo in un numero
unico dedicato a S. E. Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, " per
" memoria del prossimo suo giubileo sacerdotale „. Il numero assai bene
stampato dallo Stab. tipo-litografico A. Manfredi, oltreché del ritratto-
dell'eminente prelato, va adorno di alcune riproduzioni di opere d'arte
di cui S. Abbondio è ricco. Notiamo così la bella pala d'altare, eseguita
originariamente da Giulio Campi, nel 1527, per la chiesa di S. Nazaro
e Celso, dove é rappresentata la Vergine in trono col divin figlio in
grembo, fiancheggiata da due santi titolari.
^""^ La " Relazione di Milano „ del Leoni ed altri documenti lom-
bardi donati alla Società Storica Lombarda. — L'egregio consocio-
446 APPUNTI E NOTIZIE
dott. Achille Bertarelii, già benemerito per precedenti doni, ha voluto
arricchire la biblioteca sociale con un nuovo contributo di antiche
stampe e gride milanesi, aggiungendo il dono di un manoscritto, che
sotto molti aspetti è importante per la storia lombarda. Trattasi della
Relazione di Milano ij^o et suo stalo, del signor Gio. Battista Leoni, Il
Ranke {Die Osmanen, Berlin, 1857, p. 343 sgg.), si valse largamente di
questa Relazione, ch'egli dice stesa nel 1589, ed i diversi brani da lui
riportati ad illustrazione del capitolo consacrato al dominio spagnolo in
Milano, concordano col testo offerto dal dott. Bertarelli: che però essa
sia alle stampe per intiero non ci consta e forse varrebbe la pena di
pubblicarla tutta quanta.
Giova peraltro avvertire che un altro testo si ritrova in Trivulziana,
ma non reca il nome dell'autore ed alla chiusa è altresì mancante (i).
È il testo che l'Alberi inseri nella sua nota collezione delle Relazioni degli
ambasciatori veneti al senato (serie II, voi. II, Firenze 1841, p. 465 sgg.);
ma a sua volta egh omise la prima parte, " una digressione storica
" poco importante, colla quale incomincia questa relazione „. Ma s'egli
almeno attentamente l'avesse esaminata, avrebbe riscontrato che è in-
dirizzata a " Sua Altezza „ ossia al duca di Savoja ; sicché dunque va
esclusa (come egli ammette per altro ragionamento) dalla serie delle
relazioni venete.
Senza il nome del Leoni (2), e come esistente fra i mss. Foscarini
a Vienna, questa medesima Relazione è ricordata dal Predari {Biblio-
grafia milanese, p. 565), che aggiunge avere essa qualche analogia con
un'altra Relazione di Milano del cav. Guerrini, pure fra i codd. fosca-
riniani.
Il codice Bertarelli, in-folio, cartaceo, del sec. XVII, che a carte 2-40,
contiene la Relazione del Leoni, reca ancora una Relatione del re di
Francia, un Discorso sopra il re di Navarra ed una Supplica de* Ghi-
sardi.DaUsi calligrafia e dall'inchiostro a base corrodente, questo volume
tosto appare del gruppo delle numerose Relazioni che si ritrovano nelle
diverse biblioteche di Europa. Né noi entreremo oggi a trattarne con
altri particolari, bastandoci d'aver segnalato agli studiosi questo codice,
prezioso davvero per Milano; e rinnovando il voto che, stante le lacune,
le varianti nel codice trivulziano ed anche l'omissione già riscontrata
nell'edizione Alberi, se ne procuri una lezione esatta.
Tanto più che le Relazioni di Milano del Cinquecento non sono
molte. Notiamo quelle degli ambasci^atori veneti Caroldo (1520), Basa-
(i) Mancanvi le carte 37-40 del codice Bertarelli, importanti pel giudizio
sul duca di Terranova e sulla « dispositione de' popoli verso il loro principe ».
(2) Del Leoni, sul quale, salvo errore, mancano dati biografici, sono a
-stampa le Considerationi sopra Vhistoria d'Italia d&l Guicciardini^ in-8, Venezia,
■Ciotti, 1600; ed anche in aggiunta all'edizione della storia medesima, del 1645,
-s. luogo (ma Ginevra).
APPUNTI K NOTIZIE 447
-donna (1533), Novelli (1553), Mazza (1565) e Anselmi (1587), edile ap-
punto dall'Alberi (i), e quella del Guarini, oratore del duca Alfonso di
Ferrara, pubblicata dal Tabarrini (2). Di anonimo è la Relatione et in-
struttione per lo stato di Milano contenuta nel Tesoro politico, Colo-
nia 1598 (3), e che dal suo contesto sembra diretta al nuovo governatore
nel 1555 D. Gomez Suarez de Figueroa, da personaggio che dal 1549
fino al 1554 fu addetto alla cancelleria del suo predecessore Ferrante
Gonzaga.
Altri soci che accrebbero in questi ultimi mesi la biblioteca con
opuscoli e libri sono i signori rag. E. Ghisi e dott. cav. G, Vergani. A
quest'ultimo dobbiam Tomaggio di una miscellanea di carte manoscritte
e a stampa, riferentisi a famiglie, località e chiese dell'antico ducato mila-
nese, per i secoli XVLXVIIII.
Vi sono documenti per i marchesi Corbella (inerenti al loro feudo
di Affori), per i Gagnola (con schema genealogico), per i Toscani (carte
diverse e alcune riferentisi all'erezione fatta da Lodovico Taverna il
29 novembre 1548 di una cappella sotto il titolo di S. Maria dell'As-
sunzione nella chiesa di S. Fedele di Milano all'altare detto dei Toscani
ed al suo trasferimento nella chiesa di S. Marco in seguito alla demo-
lizione di detta chiesa di S. Fedele per la costruzione della nuova per
parte dei Gesuiti), per i conti Simonetta, ed i marchesi Visconti d'Ara-
gona, signori di Oleggio, Invorio ed Ornavasso.
Ve ne sono altresì che riguardano le terre di Arona, Affori, Bruz-
zano, Castelletto Ticino, Oleggio Castello, Seregno, Settimo e Somma.
Altre carte riguardano le chiese milanesi di S. Giovanni sul Muro (elenco
dei documenti concernenti alla soppressa parrocchia), di S. Giorgio in
Palazzo (cappellania all'altare di S. Teodoro), S. Paolo in Compilo
(conti della Scuola del SS.*'""), della Metropolitana e Curia Arcivescovile
(beneficio in Duomo concesso a Carlo Gerolamo Lampugnani 1669, e
successione ereditaria del canonico ordinario Carlo Bozzolo 1691), e dei
monasteri di S. Marco (Agostiniani), S. Michele al Dosso, del Lentasio
e di Cantù, pieve di Galliano.
Notiamo ancora la copia del testamento del cardinale Pietro Otto-
boni (4 maggio 1731)^ con disposizione a favore del chierico Orazio
Marangoni, romano, dei beni ecclesiastici della prevostura di Carugate
e Chiaravalle. E. M.
(i) Relaiioni cit., serie II, to. II e V 1841 e 1858, duella del Caroldo già
editi, attribuendola erroneamente a Luigi Marini, dal Rosmini {Quattro Opuscoli
del sec. XVI, Milano, 1819). L'altra del Novelli sta anche in Cantù, Scorsa di
un Lombardo negli Archìvj di VeneT^ìa, Milano, 1856, p. 41 sgg.
(2) In Arch. stor. italiano^ s. Ili, to. V, p. II, 1867.
(3) Anche nell'edizione milanese del T/j^ioro />o///i cu (Milano, Bordone, 1600,
;parte .1, pp. 319-356). Un brano è riportato in ({Utsi' Archivio^ 1886, p. 603.
448 APPUNTI E NOTIZIE
^\ Lettere di cardinali lombardi de' secoli xvi e xvii. — Esiste
nel fondo italiano della Nazionale di Parigi una raccolta molto rag-
guardevole di lettere di cardinali messa insieme nel sec. XVII dal pre-
sidente Achilie III de Harlay: rimasta sin qui quasi sconosciuta, essa
vien oggi minuziosamente descritta da quel valente bibliografo che è
L. Auvray (i). La raccolta, intitolata: Lettres de cardinaux de toutes-
sortes de nations rangées par ordre alphabétique, racchiude circa tre-
cento documenti, emananti da più di centoventi cardinali del sec. XVI
o della prima metà del sec. XVI. Tra essi un numero considerevole è
d' italiani, e tra gli italiani non mancano i lombardi di origine o rivestiti
di uffici in Lombardia, dei quali crediamo utile indicar qui i nomi in
ordine alfabetico: Alciati Francesco, Arigoni Pompeo, Campora Pietro
(vescovo di Cremona, 1621-1643); Gallio Tolomeo (il cardinal di Como),,
Gambara Gian Fr., Gonzaga Giov. Vincenzo, Gonzaga Ferdinando,,
Gonzaga Ercole, Morone, Serbelloni Giov. Maria, Sforza Francesco,
Trivulzi Teodoro, Vidone Gerolamo.
^^^ Pubblicazioni del principe di Essling. — Grazie alla liberale
cortesia d'un nuovo ed illustre nostro consocio, il principe d'Essling (2)^
la biblioteca sociale si è arricchita di alcuni volumi veramente preziosi
vuoi per il loro interesse storico-bibliografico vuoi per l'eleganza e la
sontuosità deir impressione, cheli rendono veri monumenti artistici. Vo-
gliamo parlare delle due opere, già tanto e tanto favorevolmente note
agli studiosi, Les Missels imprimés à Venise de 1481 à 1600 (Paris,
Rothschild, 1896) ed il Pétrarque (Paris, Petit, 1902); fatiche entrambe
del nobilissimo bibliografo, che per la seconda ebbe, com' è risaputo,,
a collaboratore Eugenio Miintz. L'uno e l' altro di questi libri, arric-
chiti d'una serie, splendida veramente, di riproduzioni, sono troppo
apprezzate da quanti s' interessano agli studi sul Rinascimento italiano^
perchè occorra tenerne più lungo discorso: basti dunque averne qui
rammentato il felice acquisto, che arreca pregio nuovo alla collezione,.
già ragguardevole della Società Storica, di libri artistici ed illustrati.
* ^ Progetto di navigazione fluviale in Lombardia nel Seicento. —
Gabriele Bertazzolo, mantovano, ingegno proteiforme, che dedicò sugli
inizi del sec. XVII la sua attività alla cartografia ed all'idraulica, nella
qual'ultima riuscì eccellente (sua opera è il " sostegno „ famoso di Gover-
nolo) aveva offerto nel 1623 alla Signoria di Venezia un progetto di na-
vigazione fluviale, atto a congiungere i possedimenti della Serenissima
(i) L. Auvray, Inventaire d'une collection de lettres de cardinaux des XVI
et XVII siècUs, Paris, 1905, pp. 21 (Estr. dalla Revue d'histoire diplomatiqué).
(2) Il principe d' Essling ha pure fatto omaggio alla Società dell' ultima
suo importantissimo lavoro, Le premier livre xylographique italien imprimé à
Venise vers i4$o, Paris, 1903.
APPUNTI E NOTIZIE 449
con la Lombardia medianti l'Adige e il Mincio. L'impresa ardita sarebbe
forse stata effettuata, poiché erano in ballo interessi importantissimi
per la Dominante, se la morte immatura del " prefetto delle acque nello
" Stato di Mantova „ (tale era la carica del Bertazzolo), non fosse ve-
nuta a turbare le trattative già in corso tra Venezia ed il duca di
Mantova, le quali d'allora in poi si prolungarono per molt'anni ancora,
senza venire ad alcuna conclusione. Il dott. A. Segarizzi, avendo testé
rinvenuto nell'Archivio di Stato di Venezia la relazione originale pre-
sentata dal Bertazzolo alla Signoria veneta, ha stimato utile darla in-
tera alla luce (i); e difatti ora che fervono di bel nuovo gli studi per
rimetter tra noi in onore la navigazione fluviale, il curioso documento
potrà esser letto da molti con utilità e con piacere. Secondo il Bertazzolo,
" per fabricare la navigatione de Venetia nelle parti superiori di Lom
^' bardia „, conveniva scendere da Venezia per l'Adige sino a Legnago,
quindi uscire dal detto fiume, e mediante una fossa morta nonché il
•Cavo nuovo della Nichesola passare nel Tartaro; poi, staccandosi dalla
Fossetta Mantovana a Torre Rotta, spingersi al lago Derotto e di là,
approfittando del colatore Fissero, salire sino a Governolo sul Mincio.
Di qui potevasi da un lato per il " sostegno „ entrare nel Po e quindi
andare in tutta la Lombardia superiore; dall'altra giungere a Man-
tova.
^\ Il Fabbroni ed il Pananti a Milano. — All'amicizia di demen-
tino Vannetti con Giovanni Fabbroni ha consacrato un' interessante
memoria il Postinger (ofr. Atti della I. R. Accademia degli Agiati
di Rovereto, luglio-dicembre 1904). Il Fabbroni non aveva che 22 anni
quando si recò a Rovereto con Felice Fontana (il matematico valente,
più tardi professore a Pavia), al quale il granduca Leopoldo di To-
scana (2) lo aveva dato in aiuto e compagno per i viaggi scientifici in
Lombardia, nella Svizzera, nella Francia e nell'Inghilterra. Quasi tre
inesi stette il Fabbroni a Rovereto, cioè dall'agosto all'ottobre del 1775.
Nel novembre si trattenne a Milano e sono interessanti le sue let-
tere dei 4 e 29 novembre 1755 scritte dalla nostra città e quella del
27 dicembre 1775 da Ginevra, in cui il Fabbroni descrive la città di
Milano d'allora, né parla bene, tutt'altro, delle donne milanesi, mentre
loda quelle del Trentino e le ginevrine!
In altre sue, scritte da Parigi ricorda gì' incontri fattivi colla con-
tessa Grismondi, col padre Boscovich e con Giuseppe II.
(i) A. Segarizzi, Breve descrittìone della Navigatione proposta et inventata
■da Gabriele Bertanolo, ecc., Venezia, 1905.
(2) È ai più noto il Viaggio per l'Alta Italia del Ser. Principe di Toscana
poi Grandma Cosimo III descritto da Filippo Piiiichi (Firenze, Magheri, 1828),
Ai 23 giugno 1664 il principe ventenne era a Milano.
45^' APPUNTI E NOTIZIE
Alcune lettere di Filippo Pananti al cav. Luigi Angiolini, diplo-
matico toscano, che B. Romano pubblicò nel fascicolo di gennaio-
marzo 1905 del sempre interessante Giornale storico letterario della Li-
guria, oltre rivelarci lo spirito irrequieto dello scrittore toscano, ci
dicono la parte attiva ch'egli prese alla vita politica della Toscana
prima della reazione, la ragione del suo allontanamento da Firenze e
determinano le date della sua partenza da Firenze e da Parigi, di dove
si recò al Collegio di Sorèze. Il Pananti sullo scorcio dell' ottobre
del 1796, partì colla Luisa Dini, che si era separata dal marito (i), e
con molti altri per Milano, dove condusse una vita gaudente e spen-
sierata. " Madama e compagni „, scriveva il Dini da Firenze ai 17 di-
cembre 1796, " sono attualmente a Milano e si vedono frequentemente
" ai passeggi ed al teatro.... „ (2).
^% Nuovi periodici, — Ci piace segnalare all'attenzione benevola
degli studiosi della storia italiana tre nuove riviste testé sorte. La prima
è il Bullettino critico di cose francescane, che si pubblica a Firenze presso
il libraio Frane. Lumachi, in fascicoli trimestrali di oltre 48 pagine in-8.
Lo dirige il sig. Luigi Suttina, giovine valente ed attivo; tra i collabo-
ratori ritroviamo i nomi di studiosi reputati, quali M. Barbi, E. Cochin,
U. Cosmo, I. Della Giovanna, F. Flamini, F. Nevati, G. E. Parodi, F.
Sabatier, F. Tocco, ecc. Il primo fascicolo, da poco uscito alla luce, dà
liete promesse per l'avvenire. Oltre ad un programma in cui sono chia-
ramente esposti gli intenti del periodico, vi rinveniamo un articolo del
De Kerval, Les sources de Vhistoire de SJ Francois d'Assise, un altro del
Sabat er, A propos de la visite de Jacqueline de Settesoli à S.t Frangois,
delle conmnicazioni da mss. del Suuina, del Manzoni, del Little, più una
copiosa bibliografia francescana.
Abbiano il secondo luogo le Memorie storiche cividalesi, Bullettino
del R. Museo di Cividale, le quali hanno cominciato a comparire in Ci-
vidale, sotto la direzione dei signori G. Fogolari, P. S. Leicht e L. Sut-
tina. Queste Memorie, che usciranno in fascicoli di 32 pagine in-8 gr.,
ogni trimestre, si propongono di raccogliere ed ordinare tutto il mate-
riale storico ancora esistente in «quella vetusta città friulana, che vide
(i) Agostino Dini, democratico, che fu poi, ne) 1799, segretario della prima
municipalità di Firenze.
(2) Altri illustri Toscani capitarono a Milano. Basti pel Seicento ricordare il
Redi ed il Bracciolini. Del primo è noto il brindisi : « Milano viva e viva Napoli,
« Che produce certi grappoli » ; del soggiorno del secondo a Milano s' occupò,
anni sono, il Flamini, F. Bracciolini a Milano^ Pisa, 1894, nozze Gigliotti-
Michelagnoli.
APPU.NTI E NOTIZIE 45!'
i primi duchi langobardi assidera nell'Italia il loro dominio. Nel primo
fasdcolo, oltre ad interessanti ricerche del Leicht sopra un codice del
Museo Cividalese, onde vengono utili materiali per la storia alla glossa
al Decreto di Graziano, si hanno articoli del Fogolari e dello Zanutto;
il primo, ora direttore del R. Museo, ci parla degli scavi fatti in Civi-
dale per rintracciarvi antichità medievali, l'altro illustra con erudi-
zione un episodio delle guerre di cui fu teatro il Friuli negli ultimi lustri
del sec. XIV, toccando più particolarmente della parte che vi rappre-
sentarono i Savorgnan.
Non minor lode del tentativo fattosi a Cividale, merita quello che
il signor Pio Pecchiai ha intrapreso a Pisa, fondando una Miscellanea di
erudizione, della quale sono già impressi due fascicoli. 11 Pecchiai si
propone degli scopi forse alquanto vaghi, chi legga il programma, giac-
ché non è possibile oggi^ in tanto frazionarsi e suddividersi di ricerche,
farsi avanti con disegni altrettanto grandiosi quanto fantastici, come
son quelli contenuti in certi periodi carducciani, che il direttore della
nuova rivista riferisce per la millesima volta. Ma dopo aver pagato il
suo tributo ad una rettorica alquanto stantìa, il Pecchiai finisce col
conchiudere che sarà soprattutto Pisa che darà il maggior contributo-
alla sua pubblicazione; e difatti quel che di buono v'ha in questa (e ve
n'ha già parecchio) deriva dagli archivi pochissimo esplorati di quel-
l'insigne città. Perchè dunque non avere semplicemente e tranquilla-
mente intitolato il nuovo periodico Miscellanea di erudizione pisana?
Buoni (abbiamo detto) sono taluni articoli del primo numero della
Miscellanea, come quello di C. Fedeli su L'Archivio della cappella di
musica della primaziale pisana nel sec. XVI e XVil; e migliori quelli
del secondo, ove oltre ad un elegante excursus storico-letterario di V. Gian, .
si ha un bel gruzzolo di documenti concernenti a Giovanni Pisano e ad
altri " magistri lapidum „ della città di Pisa, esumati dal Pecchiai e
dal Barsotti.
^% È annunciata la imminente pubblicazione a cura di Giulio Fraikin.
della Nonciature de France, de la baiatile de Pavie à la mori de Clé-
meni VII, primo lavoro di una serie che comprenderà tutte le nunzia-
ture di Francia nei sec. XVI e che sarà edita per cura della Sociéte
des archives religieuses de la France. L'opera del Fraikin comprenderà
due volumi. Il periodo studiato abbraccia le nunziature di Roberto Ac-
ciajoli, del cardinale Giovanni Salviati e di Cesare Trivulzio.
^^ Museo della Scala. — Milano si appresta nel venturo anno a
salutare il traforo del Sempione con una grande Esposizione interna-
zionale, atta a richiamare buon numero di forastieri fra le sue mura.
La Delegazione del corpo dei palchettisti del Teatro della Scala
intende di organizzare per quell' epoca il Museo della Scala/ offrendo
così a tutti coloro che visiteranno i monumenti della città, e fra questi
anche il nostro massimo teatro, l'occasione di poter vedere riuniti e
45^ APPUNTI E NOTIZIK
coordinati i ricordi e gli oggetti intesi a ricostruire la storia di questo
tempio dell'arte; per modo che oltre le memorie degli artisti passati e
presenti, anche tutte le innovazioni, tutti i perfezionamenti del mate-
riale scenico abbiano a trovare la loro esplicazione.
Con apposita circolare del maggio la Delegazione invoca l'aiuto di
<iuanti nutrono amore all'arte ed alle sue gloriose tradizioni e alla storia
del suo maggior teatro, onde poter raccogliere piià abbondante materia,
a complemento del patrimonio d'arte che l'archivio della Scala già for-
nisce. Non dubitiamo che il progetto verrà accolto con favore, sì che
il Museo stesso possa assurgere a vera importanza storica ed educativa.
^\ Bolle pontificie. — L' Omont pubblica nella Bibliothéque de
i' Ecole des chartes (settembre-dicembre 1904) il catalogo delle Bulles pon-
-iificales sur papyrus^ IX-XI siecles, le bolle pontificie più antiche, i
cui originali sono ancora conservati: esse non rimontano oltre il prin-
cipio del sec. IX, mentre di quelle dell'ottavo secolo non si hanno che
copie antiche, non originali. Tutte queste bolle ci sono pervenute tra-
scritte su grandi fogli di papiro, misuranti uno o più metri di lunghezza,
all'imitazione senza dubbio dei diplomi imperiali, seguendo un uso tolto
a prestito dalla corte di Bisanzio e che sembra siasi perpetuato nella can-
celleria pontificia fino ai primi anni dell' XI secolo. Per dare un'idea
della loro rarità, basti dire che non se ne conservano attualmente, tra
intiere o quasi intiere, che 23 (i) : io in Spagna, 3 in Italia e 2 in Germania.
In ordine cronologico, la prnna è di Pasquale I dell'a. 819 e conservata
in Ravenna; la diciannovesima, di Giovanni XVIII dell'a, 1004, è a
Bergamo.
Della bolla di Giovanni XVIII per la chiesa d'Isernia, ottobre 1004,
Regesta n. 3942 {Hist. Jahrbuchy n. 15), conservata nella biblioteca ci-
vica di Bergamo (m. 1,52X0527) vi sono facsimili in Marini, Papiri,
n. XL, tav. I e Pflug-Harttung, Specimina, tav. 9. Edita è in Lupi, Cod.
dipi. Bergotn. I, 762, Marini, n. XL, pp. 63 e 237 e Migne, CXXXIX, 1480.
*^ Opere di Francesco Petrarca e di Leonardo da Vinci. — In
conformità di quanto stabilisce l'art. 3 della legge 11 luglio 1904 il mi-
nistro della P. I. ha chiamato con decreto reale in data 8 dicembre 1904
a far parte della commissione reale per l'edizione critica delle opere di
F. Petrarca i professori G. Mazzoni, F. Nevati, P. Rajna, R. Sabbadini,
B. Zumbini, eleggendo a loro segretario il prof. E. Sicardi.
La commissione si è già riunita a Roma nell'inverno di quest'anno
ed ha iniziato i propri lavori deliberando di portar innanzi tutto la sua
attenzione sopra due gruppi delle opere latine del Petrarca: le poetiche
(i) Si conserva nell'Archivio della Basilica di Monza un piccolo frammento
di io linee di una lettera di papa Gregorio I alla regina Teodolinda (Marini,
Papiri, p. 89, n. LUI e p, 242).
APPUNTI E NOTIZIE 453
« Tepistolario. Delle opere poetiche si occupano di preferenza i com-
missari residenti a Firenze, quelli milanesi hanno più specialmente ri-
volto le proprie cure alla vagheggiata ristampa del grande epistolario
petrarchesco, associandosi il prof. V. Rossi della R. Università di Pavia.
Con altro decreto reale del 5 marzo scorso è stata nominata la com-
missione speciale allo scopo di regolare e sorvegliare i lavori per prepa-
rare ed eseguire la pubblicazione degli scritti di Leonardo da Vinci, come
^ià si fece per le opere di Galileo. Per questa edizione di grande interesse
nazionale, è stato inscritto nel bilancio del ministero della P. I. un ap-
posito fondo. A far parte della commissione sono stati chiamati i pro-
fessori Blaserna comm. Pietro, Beltrami arch. sen. Luca e Piumati Gio-
vanni,
/^ Pubblicazioni storiche premiate. — L'Accademia delle Scienze
"di Torino, nella sua adunanza del 22 gennaio scorso, procedette al con-
ferimento del premio Gautieri per la migliore opera di Storia politica
e civile in senso lato pubblicata in italiano da autore italiano negli
anni 1901-1903. Valendosi della facoltà concessale dal regolamento, essa
ha diviso il premio in due parti uguali fra i professori Giacinto Romano
per l'opera " Niccolò Spinelli, da Giovinazzo, diplomatico del sec. XIV,
Ts^apoli, 1902, e Angelo Colini per l'opera 11 Sepolcreto di Remedello nel
bresciano e il periodo enolitico in Italia stampata nel Bullettino di palet-
nologia italiana.
^% Come complemento alla nuova edizione degli Scriptores del Mu-
ratori, la casa editrice Lapi, o meglio, i professori Fiorini e Serafini hanno
iniziata la pubblicazione di un Bullettino analogo al Neues Archiv di
Hannover; eglino si propongono di farvi conoscere, man mano, i risul-
tati degli studi preparatori per le varie edizioni e di informare delle que-
stioni, anche minime, concernenti i testi pubblicati o da pubblicarsi. Di
questo Bullettino y per il quale si è risuscitato il titolo di Archivio Mu-
ratoriano, sono uscite le due prime dispense.
/^ Ruggero Battistella continua nel Nuovo Archivio Veneto (to. Vili,
parte I, p. 111), i suoi interessanti studi sul comune di Treviso e la ca-
valleria. Trattando della Loggia militare, dove i cavalieri convenivano
a giuochi e a feste in privato ritrovo ; loggia, della quale recenti studi
€ recenti polemiche rivelarono le ricchezze d'arte, ricorda che le cro-
nache locali ne fanno risalire l'erezione al 1195, sotto il podestà Gigio
Burro, milanese.
/^ L'editore U. Hoepli ha cominciato la pubblicazione a fac-simile
dei mss. che si conservano a Roma nella Vaticana ed a Milano nel-
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VI. 29
454 APPUNTI E NOTIZIE
l*Ambrosiana. Tra i volumi in preparazione citiamo: Il rotolo di Giosuè
(cod. Vaticano Palatino, gr. 431, 6 volumi); Le miniature della topografia
cristiana di Oosma Indicopleuste (cod. Vatic, gr. 699, 7 voi.) Il mede-
simo editore pubblicherà Gli affreschi della sala delle nozze Aldobran-
dini nella biblioteca Vaticana (2 voi.) e / mosaici antichi del palazzo
Vaticano e Lateranense, ambedue con introduzioni del nostro egregio
consocio dott. B. Nogara.
*^ L'editore Beck, di Monaco, annuncia la pubblicazione, diretta
dal Traube, intitolata Quellen und Untersuchungen zur lateinischen Phi-
Mogie des Mittelalters, Tra gli studi preannunciati pel i.° volume notiamo
quelli di E. Rand, Giovanni Scoto e Remigio di Auxerre, quali esposi-
tori di Boezio e di K. Neff, edizione critica e commentata delle poesie
di Paolo Diacono.
/^ Errata-corrige. — Avvertesi, per norma degli studiosi, che
nella Meridiana del XII secolo, di cui a p. 213 del I fascicolo del cor-
rente anno, in luogo della sigla riferentesi alla linea equinoziale, leg-
gonsi, come dal calco stato testé fatto, le lettere alfa ed omega, meglio
accordantisi coir intermedio monogramma del Cristo.
ELENCO DEI SOCI"
DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
(giugno 1905)
Patrono
S. M. IL RE.
Presidenza
NovATi dott. prof. Francesco .
Greppi nob. avv. Emanuele
Visconti march, cav. Carlo Ermes
Ambrosoli dott. cav. Solone .
S ELETTI avv. cav. Emilio .
Ratti sac. dott. Achille .
Calligaris prof. Giuseppe
Motta ing, Emilio .
BoGNETTi dott. Giovanni .
Sanvisenti dott. Bernardo
Presidente
Vice-Presiden te
Consigliere
Segretario
Vice-SegretariO'
Bibliotecario
S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE III
S. M. LA REGINA ELENA
S. M. LA REGINA MADRE MARGHERITA.
(*) I segnati con un asterisco sono soci fondatori.
{*"') I segnati con due asterischi sono soci perpetui.
Il numero in fianco al nome del socio indica l'anno d'iscrizione alla Società.
50 ELENCO DEI SOCI
Adamoli mg. Giulio, senatore de
l
Regno
. 1888
Besozzo (Varese)
Lodi, Biblioteca Comunale
Agnelli prof. Giovanni . . .
1895
Albertoni nob. Muzio Luigi .
1900
Milano, via s. Damiano^ 22
Albuzzi sac. Luigi ....
1898
1888
„ Can. di s. M. Segreta
„ via MonfebellOy 14
Ambrosoli dott. cav. Solone
Ancona dott. Annibale . . .
1901
Precotto (Milano)
Anderloni Emilio .
1903
1901
. 1882
Milano, via Nifoue 21
Annoni Ambrogio ....
Affori
Bagatti-Valsecchi bar. Fausto
Milano, via Gesti, /
Bagatii-Valsecchi bar. Giuseppe
. 1882
„ Gesù, j
Barbò nob. ing. Lodovico . .
. 1884
„ Burini, 17
Barofììo dall'Aglio bar. Giuseppe
' 1905
„ corso Magenta, 44
Bazzero avv. cav. Carlo . .
1882
„ via Corani, 4
Belinzaghi Bianca
1905
„ „ Cernaia, j
Bellini avv. cav. Giuseppe
1886
„ Torino, 68
Benaglia avv. comm. Demetrio
1885
„ s. Spirito, 24
Benzoni march. Baldassare .
• 1894
Mantova
Berenzi prof. mons. Angelo .
. 1898
Cremona, Liceo Vescovile
Bertarelli dott. Achille . . .
1900
Milano, via s. Barnaba, 18
Besozzi conte cav. dott. Paolo
consigliere di Prefettura
■ 1874
Como, via A. Volta, ij
Besozzi-Visconti nob. cav. Fran
Cesco, R. Sotto Prefetto .
. 1902
Tortona
Bianchi dott. sac. Alessandro
. 1900
Milano, via Moneta, i
Bianchi ing. Guido ....
. 1900
) 1893
„ Foro Bonaparte, 63
„ via Pesce, 18
Bignami Sormani ing. cav. Emilie
Biraghi ing. Pietro ....
1901
1904
„ „ A. Manzoni, 43
„ corso Garibaldi, 123
Biscaro dott. cav. Gerolamo .
Bognetti dott. prof. Giovanni.
1900
„ via Monte NapoL, 21
Boito arch, comm. Camillo .
. 1888
„ „ Princ. Amedeo, i
Bolter rag. cav. Gaetano . .
1897
„ Monte NapoL, 18
Bonelli dott. Giuseppe . . .
. 1901
„ s. Gregorio, 6
Bonfiglioli dott. Giorgio. . .
1903
Chiavari, Liceo pareggiato
Bonomelli mons. Geremia , ve
scovo di Cremona . . .
. 1905
Cremona
Borghi ing. comm. Fedele. . .
1901
Milano, via Paleocapa, 4
Borromeo conte Febo . . .
1900
„ „ A. Manzoni, 41
Borromeo conte Guido . . .
1902
„ piazza Borromeo, io
Borromeo Arese contessa Elisa
1874
„ „ Borromeo, io
Borsani dott. Gaetano . . .
190 1
„ via 3. M. alla Porta, p
Bottini prof. Pietro
1897
1903
1897
1897
„ Giulini, 7
Parigi, rue Mozart, 123
Milano, via Carlo Cattaneo, i
„ piazza Castello, 22
Bouvier prof. Felice ....
Bozzi rag. Marcello ....
Bozzoni cav. Francesco ....
Brambilla prof. dott. Giovanni, ar
ciprete
1900
Gingia de' Botti (Cremona)
ELENCO DEI SOCI
457
Brambilla dott. Giuseppe . .
Brambilla Carminati avv. cav
Giosuè
Buttat'ava-Valentini nob. Giusep
pina
Butti prof. Attilio
Butturini prof. cav. Mattia
Buzzati prof. cav. Giulio Cesare
Gagnola nob. avv. Costanzo .
Gagnola nob. Guido . .
Cagnoni Gian Franco
Cairati ing. cav. Michele
Calligaris prof, Giuseppe
Calvi nob. dott. Gerolamo
Cambiasi comm. Pompeo
Camozzi Verteva conte Giambat
tista, senatore del Regno .
Campi avv. Emilio^ deputato al
Parlamento ....
Capasso prof. Gaetano, preside
del R. Liceo Manzoni
Caporali dott. Vincenzo.
Cappelli dott. Adriano, direttore
del R. Archivio di Stato .
Cardani rag. cav. Paolo . .
Carena conte Gian Giuseppe.
Camelli comm. Ambrogio .
Carotti dott. cav. Giulio , .
Carozzi ing. Luigi
Casanova Giuseppe ....
Casati conte Gabrio ....
Casnati dott. Giovanni . . .
Castelbarco Albani principessa
Maria
Castelli dott. Franco ....
Cavagna Sangiuliani conte comm
Antonio
Cesa-Bianchi ing, arch. Paolo
Chiattone prof. Domenico . .
Gian dott. prof. Vittorio . .
Cicogna conte Giampietro . .
Cicogna conte Mario . . .
Cipolla conte prof. Carlo .
Circolo Filologico Milanese
Clerici ing. Carlo ....
Cochin Enrico, deputato alla Ca
mera ,
1905 Milano, via Torino^ ji
1902 Monza, via Carlo Alberto
1904
Milano,
via Rugabella, io
1894
w
R. Liceo Beccaria
1883
Salò
1900
Milano,
via s. Marco, 12
I90I
»>
corso P. Vittoria^ 12.
1896
w
via Cusani, j
190 1
n
„ Cusani, 16
1885
»
„ Spiga, 21
1897
n
„ Moscova, ji
1894
»
„ Bass. Porrone, 2
1885
1}
„ s. Damiano, 44
1878
Bergamo
1902 Milano, via V. Monti, 2j
1902
„ F.lli Ruffini, II
1889
„ Torino, 29
1892
Parma
t888
Milano, via Boccaccio, 23
1899
„ „ Cappuccio, 21
1901
„ Cernaia, j
1883
„ „ Solferino, 22
1902
„ „ Monte NapoL, 21
1886
„ vicolo Pusterla, i
1881
„ corso Venezia, 24
1901
„ via Princ. Amedeo, 11
1904
„ „ Princ. Amedeo, 6
1902
„ „ Meravigli, 12
1893
Pavia, via S. Capsoni, io
1879
Milano, via Arcivescovado, r
1904
Saluzzo
1900
Pisa, R. Università
1874
Milano, via Monforte, 2/
1902
„ Monforte, 23
1900
Torino, via Sacchi, 4
1904
Milano, via Silvio Pellico, 12
1904
Milano, via Monforte, 48
1904 Parigi, Avenue Montaigne, j
458
ELENCO DEI SOCI
Colombo prof. Alessandro . . . 1903 Vigevano
Colombo prof. Elia 1893 Milano, corso Garibaldi, ij
Colombo Guido , archivista di
Stato 1886 „ via s. Maurilio, 20
Colombo sac. dott. Mansueto . 1903 Gorla Minore
Comi ing. cav. Antonio .... 1904 M.vla.'so^ Bastioni P. Vittoria, j
Conti dott. Emilio 1878 „ via Monforte^ 26
Conti ing. Ettore ...... 1903 „ „ Cappuccio, 14
Conti Maggi Luisa 1898 „ „ Gesù, 3
Corbella can. cav. Pompeo . . 1901 „ piazza s. Ambrogio, 16
Corbetta rag. cav. Enea . . . 1902 Monza, piazza Mercato
Cornaggia-Medici march. Carlo
Ottavio, deputato al Parla-
mento 1899 Milano, via Cappuccio^ 21
Cremona (Municipio della città di) Cremona
Crespi comm. Cristoforo . . . 1888 Milano, via Borgonuovo, 18
Crespi Mario. ....... 1904 „ „ Pietro Verri, 12
D'Ancona prof. Alessandro, sena-
tore del Regno 1901 Pisa, Palazzo Nissim
Da Ponte nob. cav. Pietro . . 1874 Brescia
De Angeli comm. Ernesto, sena-
tore del Regno. . . . . 1898 Milano, corso Vercelli, iji
Decio dott. Carlo 1900 „ via Passarella, io
De Francisci P. E 1903 „ „ s. Maria Valle, 7
De Herra nob. avv. Cesare . . 1892 „ „ Gesti, 7
De Leva nob. avv. cav. Massi-
miliano 1892 „ corso s. Celso, 2
Del Mayno nob. Cesare. . . . 1895 » Foro Bonaparte, 21
De Marchi dott. Marco .... 1903 „ via Borgonuovo, 2j
De Si moni ing. Giovanni . . . 1888 „ „ s. Gerolamo, J2
Dossi sac. Rodolfo, preposto di
S. Francesco da Paola . . . 1904 „ Can. di s. Frane, da P.
Doniselli dott. Alfredo .... 1895 „ via Monte Napol., 22
Pacchi Nino 1901 „ „ Monforte, 34
Fé d'Ostiani conte mons. Fran-
cesco Luigi 1877 Brescia
Ferrari dott. prof. Vittorio . . 1900 Milano, via Borgonuovo, 2}
Fogolari dott. Gino 1900 Cividale, Museo Archeologico
Foligno dott. Cesare 1900 Milano, piazza P. Ferrari, io
Fontana avv. comm. Leone, se-
natore del Regno (Eredi) . . 1877 -Torino, piazza Vitt. Em., 12
Fossati prof. Felice 1903 Vigevano
Foucault di Daugnon conte Fran-
cesco 1879 Crema, piazza Fran. Grassi
Franchetti nob. Costantino . . 1901 Milano, via s. Paolo, 22
Frisiani nob. dott. Carlo . . 1890 „ piazza s. Ambrogio, 2
ELENCO DEI SOCI
459
Frizzi dott. cav. Lazzaro . . .
Frova dott. Arturo
Fumagalli Carlo ......
Fumagalli prof. cav. Giuseppe,
bibliotec.-capo della Braidense
Gabba avv. comm. Bassano . .
Gaffuri ing. cav. Paolo . . .
Gallarati Giuseppe, archivista di
Stato
Gallarati Scotti nob. dott. Tom
maso
Gallavresi dott. Giuseppe .
Galli sac. prof. Emilio . . .
Galli dott. prof. Ettore . . ,
^ Gatti dott. cav. Francesco . .
Gavazzi cav. Giuseppe . . .
Gazzola sac. Pietro, preposto di
S. Alessandro
Gerosa maestro Romeo. .
Ghiotti-Casnedi Luisa . . ,
Ghisalberti Annibale ... .
Ghisi rag. Enrico
Giachi arch. cav. Giovanni
Giacosa comm. Giuseppe . .
Giardini sac. dott. Ottavio. .
Giovanelli cav. Enrico, segretario
capo del R. Economato dei Be
nefici vacanti in Lombardia
Giulini nob. Alessandro . .
Gnecchi cav. uff. Ercole. . .
Gnecchi comm. Francesco . .
Gonzaga principe Ferrante .
Gori conte Pietro
Grassi avv. Virgilio ....
* Greppi nob. Alessandro . .
Greppi nob. Antonio ....
Greppi nob. avv. Emanuele .
* Greppi conte comm. Giuseppe
senatore del Regno . . .
Greppi nob. Lorenzo ....
Greppi nob. Marco ....
Guerrieri Gonzaga march. Carlo
senatore del Regno . . .
Guidi Agostino
Guidoni cav. Giacomo . . .
Hoepli comm. dott. Ulrico, .
1874 Milano, via Monte di Pietà, 18
1902 „ piazza Borromeo, 7
1892 Monza, Casa Fumagalli
1897 Milano, via Anmmciata, 4
1882 „ „ 5. Andrea, 2
1900 Bergamo, via s. Lazzaro, i
1886 Milano, via Cerva, 38
1904
w
„ A, Manzoni, jo
1900
w
„ Manin, ij
I90I
GoRLA Minore, Coli. Rotondi
1900
Cremona^ via Palestro, 24
1889
Milano,
piazza P. Ferrari, io
1889
»
via Cusani, 14
1903
»
Can. di s. Alessandro
1902
Monza,
via Frisi, 4
1888
Milano,
via Pantano, 9
1900
n
piazza Mentana, 3
1897
)t
via Ausonio, 8
1879
V
„ s. Raffaele, 3
190 1
V
piazza Castello, 16
1903
lì
via s. Andrea, 3
1902
ìj
corso P. Vittoria, 49
1893
»
„ Magenta, 42
1878
»
via Gesti, 8
1878
V
» Filodrammat., io
1878
Mantova
1885
Milano,
via Spiga, I
1902
1}
„ Clerici, 7
1873
w
„ 5. Antonio, 12
1892
V
„ s. Maurilio, ip
1882
V
„ s. Antonio, 12
1873
V
„ s. Antonio, 12
1874
V
„ s. Antonio, 12
190 1
M
„ Monte di Pietà, 11
1874
Roma, via Veneto, ktf. D
1874
Rho, via Moroni, 4
1902
Monza,
corso Milano,
1900
Milano,
via XX settembre, 2
460
ELENCO DEI SOCI
** Hortis Attilio
Intra prof. cav. Giambattista .
Isambert dott. Gastone . . .
Isimbardi march. Luigi . . .
Jacobovits comms Rodolfo Rémy
Jacini nob. Stefano ....
Johnson comm. Federico . .
* Labus avv. comm. Stefano .
Landriani Martini contessa Anto
nietta
Lanzani dott. prof. Francesco
Lanzoni Giuseppe
Lattes dott. prof. Alessandro
'* Lattes prof. comm. Elia (socio
benemerito)
'* Leone not. cav. uff. Camillo .
Linati ing. arch. cav. Eugenio
Lisio prof. Giuseppe ....
' Litta-Modignani nob. Alessandro
Lumbroso bar. Alberto . . .
' Lurani Cernuschi conte Francesco
Luzio dott. Alessandro, direttore
del R. Archivio di Stato .
Magistretti can. dott. Marco .
Magistretti prof. Piero . . .
Magni dott. cav. Antonio . .
Magnocavallo dott. cav. Arturo
Majnoni d'Intignano march, arch
Achille
Maj occhi prof. sac. Rodolfo, con
servatore del Museo Civico
Malaguzzi Valeri conte Francesco
Mangiagalli prof. Luigi, senatore
del Regno
Mannati Vigoni nob. Teresa .
Mapelli nob. Gerolamo . . .
Maraini ing. commen. Clemente
(Eredi) .
, Marietti dott. Antonio , . .
Marietti dott. Giuseppe . . .
* Massarani dott. comm. Tulio, se
natore del Regno ....
Massena principe d' Essling .
Mazzatinti dott. prof. Giuseppe
Mazzi prof. cav. Angelo . .
Melzi nob. Lodovico ....
1874 Trieste, Biblioteca Comunale
1874 Mantova
1904 Parigi, me de Naples, 4
1901 Milano, via MonforU, ^/
19^2 „ „ Leopardi, 2
1904 „ „ Lauro, j
1905 „ corso P. Nuova, ij
1873 j, via s. Andrea, 8
1904 Sovico-Lambro (Milano)
1878 Como
1894 Mantova
1900 ToRiNO) via Viti. Amedeo II, 16
1897 Milano, via Princ. Umberto, 28
1877 Vercelli, via della Torre, 12
1879 Camerlata (Como)
1903 Milano, via Leopardi^ 28
1901 „ „ Burini, i;
1901 Frascati (Roma)
1884 Milano, via Lanzone, 2
1900 Mantova
1896 Milano, via Arcivescovado, i&
1882 „ corso s. CelsOy i^
1900 „ via Borgonuovo, 20
19QI Roma, Ministero P. /., Divis.j.^
1902 Milano, Palazzo Reale
1896 Pavia
1900 Milano, Palazzo di Brera
1902
1905
i8q8
via Asole, 4
„ Fatebene/rat.f 21
„ Borromei, 2
1901 Roma, via Balbo, 11
1895 Milano, via Borgospesso, 21
1892 „ piazza s. Sepolcro, j
1873 „ via Nerino, 4
1904 Parigi, rue Jean Goujon, 8
1883 Forlì, R. Liceo
1901 Bergamo, Biblioteca Comunale
1874 lyliLANO, corso P. Romana, 80
ELENCO DEI SOCI
46IL
di
Meroni can. Venanzio
Mina ing. Enrico ....
Moretti prof. arch. Gaetano
Motta ing. Emilio ....
Mùller Carlo ......
Mylius cav. uff. Giorgio
Nava ing. arch. cav. Cesare
Nava sac. Edoardo, preposto
S. Fedele . . . * . .
Nazzari Andrea
Nervegna cav, Giuseppe, console
di Germania
Nizzoli dott. Alessandro
Nogara dott. Bartolomeo ,.
Nogara mons. Bernardino .
Noseda cav. Aldo ► . . .
Novati dott. prof. Francesco
Oberziner prof. Giovanni .
Odazio conte ing. Ernesto .
Oldrini dott. Ambrogio . .
Orano prof. avv. Domenico
Orsenigo sac. Cesare. . .
Ostinelli Giuseppe ....
Paleari avv. Giovanni . .
Pélissier prof. Leone G. .
Pellegrini dott. sac. Carlo .
Pennati avv. Oreste . . .
Pensa avv. Giovanni . . .
Pestalozza nob. dott. Uberto
Petraglione prof. Giuseppe
Pietrasanta prof. Pagano .
Pio di Savoia principe Giovanni
Pirelli comm. ing. G. B. . . .
Pisani Dossi nob. comm. Alberto
Ponti comm. Ettore, senatore del
Regno . .
Premoli padre Orazio . . . .
Prinetti comm. Carlo, senatore
del Regno
Pullé conte comm. Leopoldo, se-
natore del Regno
Quirici ing. Carlo
Racca prof. Matteo
Ramazzini dott. Amilcare . . .
Rambaldi prol. Pier Liberale .
Ratti dott. sac. Achille ....
1901 Milano, via s. Fedele^ 4
1902 Monza, via A. Manzoni^ 16
1892 Milano, Palazzo di Brera
1879 „ via P. Vittoria^ jj
1902 Intra
1905 Milano, via Montebello^ J2
1900 „ „ s. Eufemia^ ig
1904
11
Can. dt s. redele
1874
Brescia
1875
Brindisi
1878
Pegognaga (Mantova)
1896
Roma, salita di s. Onofrio, jy
1904
Milano,
via A. Manzoni, io
1900
„
corso P. Romana, 9
1879
11
via Borgonuovo, 18
1903
11
R. Accad. scient» letter.
1896
11
corso P. Nuova, g
1903
„
„ Genova, j/
I90I
Roma, via Banco s. Spiri to^ jo
1904
Milano,
via s. Fedele, 4
1904
11
„ Brera, ig
1903
»
„ s. M. alla Porta, i
1900
Montpellier, Università
1893
Milano,
Can. di s. Calimero
1902
Monza,
via Italia
1904
Milano,
via Vittoria, 4y
1904
»
piazza s. Sepolcro, i
1905
it
via s. Calocero, ji
1890
»
„ Boccaccio, 2j
1884
n
„ Borgonuovo, 11
1903
li
„ Ponte Seveso, 79
1896
»
„ Brera, 11
1873
»
„ Bigli, 21
1905
»
., Commenda, j
1873 „ „ Amedei, 8
1873 „ „ Brera, 19
1902 Monza, Borgo Lecco
1902 Milano, via C. Correnti, ij
1879 Modena, contrada Ganaceto, 4j:
1901 Firenze, R. Istituto Tecnico
1895 Milano, via Moneta, i
402
ELENCO DEI SOCI
Redaelli dott. Carlo . ... . 1898
Regazzoni cav. Cesare .... 1874
Renier prof. comm. uff. Rodolfo 1890
Riboldi dott. Ezio 1901
Ricci dott. cav. Corrado . . . 1902
Ricci prof. dott. Serafino . . 1898
Richard arch. Giulio F. ... 1905
Riva prof. dott. Giuseppe . . . 1898
Rocca prof. sac. Luigi .... 1900
Rocca-Saporiti march. Marcello . 1882
Rognoni aw. Camillo-^ .... 1879
Rollone prof. Luigi 1897
Romano dott. j)rof. Giacinto . 1889
Ronchetti rag. Agostino ... 1893
Ronchetti mons. dott. C. M. . , [901
Rossi sac. prof. Davide . . .' , 1901
Rossi dott. prof. Vittorio . ; .• 1894
Rott dott. Edoardo . . . ... 1904
Rotta can. cav. Paolo .... 1881
Ruberti cav. Ugo . . . . . . 1899
Rusconi avv. cav. Rinaldo. . . 1889
Rusconi sac. dott. Pietro . . . 1904
Sala Lamberto . . . . . . . 1904
Salvadego nob. Giuseppe . . . 1874
Salvioni prof. Carlo . . . . . 1900
Sant'Ambrogio dott. cav. Diego. 1895
Sanvisenti dott. Bernardo . . . 1900
Sassi de' Lavizzari nob. ing. Fran-
cesco ... . . . . . . 1905
Savio sac. prof. Fedele . . . . 1901
Scherillo dott. prof. Michele . . 1900
^Scotti bar. dott. Cristoforo . . 1901
-Secco Suardo conte avv. Gerolamo 1899
Segafredo prof. Giacomo . . . 1897
Segre prof. Arturo 1902
von Seidlitz d.'^ Waldemaro, cons.
intimo 1903
Seletti avv. cav. Emilio .... 1874
Sepulcri dott. Alessandro . . . 1902
Seregni prof. Giovanni .... 1898
Sessa Rodolfo 1902
Signori ing. cav. Ettore. ... 1901
Silvestri comm. Giovanni . . 1900
Silvestri cav. Emilio 1900
Silvestri Volpi Bianca Maria. . 1904
Simeoni prof. Luigi . . . 190 1
Milano, via Cusani, 18
Cassano d'Adda
ToRi.^o, corso Viti. Em., 90
ViMERCATE (Milano)
Firenze, R, Gali, degli Uffìzi
Milano, via Statuto, 2y
„ corso Venezia, S2
Monza, via Italia, io
Milano, corso Magenta, j
„ „ Venezia, j;6
„ via Pantano, tj
„ „ s. Gerolamo, 6
Pavia, R. Università
Milano, via s. Agnese, 4
„ Ore, IO
GoRLA Minore, Coli. Rotondi
Pavia, R. Università
Parigi, avenue du Trocadero,so
Milano, piazza s. Ambrogio, 12
QuisTELLO (Mantova)
Novara
Milano, via Burini, 28
Bergamo, via XX Settembre
Cavarzere (Venezia)
Milano, via Solferino, 7
„ Foro Bonaparle, 26
„ via Annunciata, 8
„ „ Mon/orte, jj
Torino, via Arcivescovado, g
Milano, via Leopardi, 14
Bergamo
Milano, via Fieno, 3
Lodi, R. Liceo
Torino, via Assietta, 6j
Dresda, Cosel-Palais
Milano, via s. Marta, ig
„ „ Borgonuovo, 2j
„ „ s. Spirito, 18
„ „ s. Spirito, 7
Cremona, via Tribunali, 2
Milano, corso Venezia, 16
„ „ Venezia, 16
Milano, corso Venezia, 16
Verona, R. Ginnasio
ELENCO DEI SOCI
463
* Sola conte comm. Andrea, de-
putato al Parlamento .
Sola Spech contessa Amalia . .
Sommi Picenardi nob. dott. Gian
Francesco
Sommi Picenardi march, comm.
Guido : .
,... Soragna Melzi march. Luigia .
Sormani Andreani conte Lorenzo
Steffens dott. prof. Francesco .
Talamoni sac. dott. prof. Luigi .
* Taverna conte comm. Rinaldo,
generale, senatore del Regno
Thaon di Revel conte Genova,
generale, senatore del Regno
Terruggia ing. Amabile. . . .
Treves Tedeschi Virginia . . .
^ Trivulzio principe Luigi Alberico
^ Trotti Bentivoglio march. Lodo-
vico, senatore del Regno . .
Venini Antonio .
Verga dott. prof. Ettore . .
^ Vergani dott. cav. Giovanni . .
.(^Vigoni nob. Giulio, senatore del
Regno
Vigoni nob. comm. ing. Giuseppe,
senatore del Regno ....
Villa sac. dott. Cherubino . . .
^* Villa Pernice donna Rachele
* Visconti march. Carlo Ermes
^ Visconti di Modrone conte Giu-
seppe
Visconti di Modrone conte Guido
Carlo
^ Visconti di Saliceto conte Alfonso'
Visconti Venosta march. Emilio,
senatore del Regno . .
* Visconti Venosta nob. dott. comm
Giovanni
Vitali sac. comm. Luigi. .
Vittani dott. Giovanni . .
Volta nob. aw. cav. Zanino
Weil comandante M. H. .
Zanelli- dott. prof. Agostino
Zanzi dott. cav. Luigi . .
1873
Milano, corso Venezia, 22
1875
„ via Spiga, 2S
I90I
„ Cerva, 42
1874
Venezia, Priorato dell* Ordine
di Malta
1896
Milano, via A. Manzoni, 40
1874
„ corso P. Vittoria, 2
1902
Friborgo (Svizzera), me Saint
Pierre, 20
I90I
Monza, Seminario Arcivescov.
1873
Milano, via Monte Napol., 14
1890
„ Cusani, s
1900
„ XX Settembre, 24
1905
„ „ Conservatorio, g
1900
„ piaz za s, Alessandro, 4
1873
-.„ via Bossi, I
1897
„ „ s. Maurilio, 21
1895
„ „ s. Antonio, 21
1889
,, „ s. M. alla Porta, i
1874 M M Fatebenefrat., 21
1882 „ „ Fatebenefrat.^ 21
1903 GoRLA Minore, Coli. Rotondi
1895 Milano, via Cusani, i^
1873 „ „ Borgomwvo, j
1902 „ „ Cerva, 44
1904 „ „ Cerva, 28
1904 Cernusco sul Naviglio
1874 Roma, via Lucidi 0, 6 --_■
1873
Milano, via Morone, i
1886
„ Vivaio, 7
1902
„ „ Vittoria, II
1878
Pavia
1905
Parigi, rue Rabelais, )
1900
Roma, via Cavour, ijo
1890
Varese.
O I» E? I« J©
pervenute alla Biblioteca Sociale nel II trimestre del 1905
Annuario della R. Accademia scientificO'letteraria per l'anno scolastico
ipo4-ipoj, Milano, 1905 (d. d. R. Accademia).
Archivio di Stato in Lucca. Regesti. Voi. II. Carteggio degli Anziani^
Lucca, tip. A. Marchi, 1903 (d. d. Arch. di Stato in Lucca).
Atti del Congresso internazionale di scienze storiche, Roma, aprile 190J.
Voi. II (Storia antica e filologia classica) ; voi. V (Archeologia) ;
voi. IX (Storia del diritto); voi. XI (Storia delle religioni e della
filosofia); voL XII (Storia delle scienze fisiche, matematiche, natu-
rali e mediche) (d. d. Comitato del Congresso Storico).
Bacci a., Lapide commemorativa della fondazione del Castellum a S. Lo-
renzo fuori le mura (Estr. dal Nuovo Bollettino di archeologia cristiana,
a. IX, nn. 1-2) (d. d. s. Vergani).
Atti del comune di Milano, Annata 1903-1904, 2 voi., Milano, E. Reggiani,
1905 (d. d. Municipio di Milano).
Bollettino del Museo Civico di Bassano, a. I (1904), a. II (1905) nn. i e 2,.
Bassano, Pozzato, 1904-1905 (d. d. s. Motta).
Boni dott. G., S. Bernardino da Siena a Pavia, Pavia, Fusi, 1904 (d. d. A.).
Brioschi arch. D,, Intorno al restauro di Santa Maria della Pace in Mi-
lano {Salone Perosi), Milano, tip. degli Ingegneri, 1902 (d. d. Società
liquidatrice del Salone Perosi).
Canetta P., Cura della pellagra nell'Ospedale Maggiore di Milano, Mi-
lano, Civelli, 1888 (d. d. s. Vergani).
Capasso B., Napoli greco-romana, Napoli, 1905 (d. d. Società Napoletana-
di storia patria),
Carreri, Di alcune torri di Mantova e di certi aggruppamenti feudali e
allodiali nelle città e campagne lombarde, Mantova, G. Mondovi, 1905
(d. d. A.).
Castelfranco P., Bronzi eccezionali d'una tomba nella necropoli di Go-
lasecca, Reggio Emilia, tip. degli Artigianelli, 1879 (d. d. s. Vergani).
OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE 465
'Catalogo di una scelta raccolta di medaglie di varie epoche in vendita al-
l'amichevole coti i prezzi fissati a ciascun numero, Milano, tip. Manini-
Wiget, 1904 (d. d. G. Sambon).
Catalogo di quadri, acquarelli, disegni, mobili antichi, oggetti diversi del
comm, S. De Albertis, Milano, G. Pirola, 1899 (d. d. s. Vergarli).
Collezione fiorentina di fac-simili paleografici greci e latini illustrati da
G. Vitelli e C. Paoli, fase. I, Firenze, succ. Le Monnier, 1884 iS^
cambio di (\\iQSi' Archivio).
Defendi G., // Duomo di Milano per l'incoronazione di S. M, I. R. A.
Ferdinando I, Milano, Visaj, 1838 (d. d. s. Bertarelli).
EssLiNG (Prince d') et Muntz E., Petrarque. Ses études d'art, son influence
sur les artistes, ses portraits et ceux de Laure. L'illustration de ses
e'crits, Paris, Gazeite des beaux arts, 1902,
— Le premier livre xylographique italien imprimé à Venise vers 14SO,
Gazette des beaux arts, 1903 (d. d. s. A.).
FoLTGNO e, Un poemetto in lode di Lodovico il Moro (Per nozze d'argento
Pirelli-Sormanni), Milano, Capriolo «& Massimino, 1905 (d. d. s. A.).
Grandi E., L'Ospedale Maggiore e il Pio Istituto di S. Corona e l'Ospedale
Ciceri negli anni 1889-1891, iSgó-igoo, Milano, 1894, 1903 (d. d. socio
Vergani).
Guida alle sale della Pbiacoteca nell'I. R. palazzo delle scienze e belle arti,
Milano, Bianchi, 1823 (d. d. s. Bertarelli).
/;; morte del sac. don Luciano Marzorati, Milano, Lombardi, 1894 (dono
d. s. Vergani).
IsAMBERT G., Les idécs socialistes en France de 181S à 1848, Paris, Felix
Alcan, 1905 (d. d. s. A.).
Lattuada S., Descrizione di Milano, Milano, nella Regio-Ducal Corte,
1737-1738, 4 voi. (d. d. s. Bertarelli).
Maffei a.. L'inaugurazione del busto a Vincenzo Monti, Milano, Pirola,
1829 (d. d. s. Bertarelli).
Maggiora- Vergano, Sopra due nuove zecche inedite al comm. F. Marignoli,
Asti, Aluffi, 1873 (d. d. s. Vergani).
Milano Scelta. Guida della Società Milanese 1905, Milano, Reggiani, 1905
(d. d. Soc. editr. della Milano Scelia).
Molina F., / Conti d'Agliate, commedia patria in tre atti, in prosa, Mi-
lano, dai torchj di Giacomo Pirola, 1805 (d. d. s. Ghisi).
Monti S., // comune di Como nel Medio Evo, Como, Ostinelli, 1905 Cd. d. A.).
Mozzoni G., Note e riflessioni sulla vita di Umberto I, Milano, tip. Figli
della Provvidenza 1903 (d. d. s. Vergani).
466 OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE
MuLLER C, Spigolature di storia intrese. Tumulti contro le sbianche net
I7S8, Intra, tip, Intrese, 1905 (d. d. s. A.).
Nel VI centenario dalla nascita di Francesco Petrarca la Rappresentanza
provinciale di Padova^ Padova, tip. del Seminario Vescovile, 1904
(d. d. Bibl. del Sem. Vesc. di Padova).
NovATi F., Attraverso il Medio Evo, Bari, Laterza, 1905 (d. d. s. A.).
Pernice A., U imperatore Eraclio» Saggio di storia bizantina, Firenze,.
Galletti & Cocci, 1905 (d. d. R. Ist. Sup. di Firenze).
PiCOTTi G. B., / Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 128 j al 1312^
Livorno, Giusti, 1905 (d. d. s. Novati).
PiLOT A., La Sorgonghina la Sorgongà, Arezzo, tip. Sinatti, 1905 (dono
d. s. Motta).
Premoli O., Domenico Sauli, Pavia, Rossetti, 1905 (d. d. s. A.).
Rustico Indovino. Almanacco, a. 1866-1839 e 1891-1894. Milano, Tambu-
rini (d. d. s. Ghisi).
ScHERR G., La Germania, 2000 anni di vita tedesca, Milano, tip. editrice
lombarda, 1879 (d. d. s. Ghisi).
Segarizzi a., Sei lettere di Giovanni Sobotan, Mantova, G. Mondovì, 1905,
(d. d. s. Motta).
Nuove Riviste in cambio :
Archivio storico Messinese, Messina.
Archivio storico per la Sicilia Orientale, Catania.
Bibliografia Danfesci. Rassegna bibliografica degli studi intorno a Dante,
Firenze.
Bullettino critico di cose francescane, Firenze.
Bollettino del R. Museo di Cividale, CividaU del Friuli.
Revue d'histoire ecclésiastique, Louvain.
Rivista archeologica lombarda, Milano.
2j giugno igoj.
Il Bibliotecario
B. Sanvisentt
XJVJDIO JB?
MEMORIE.
M. Roberti e L. Tovini. La parte inedita del più antico codice
statutario bresciano Pcig' 5
Gerolamo Discaro. Note e documenti sahtambrosiani. Seconda
serie » 47
Emanuele Greppl Un'opera inedita di Alessandro Verri sulla
Storia d' Italia ....,....„ 95
Ezio RiBOLDi. Le sentenze dei consoli di Milano nel secolo XII „ 229
Henry Cochin. Jean Galéaz Visconti et le Comté de Vertus
(avec deux planches) ,,281
Alessandro Colombo. L'ingresso di Francesco Sforza in Mi-
lano e r inizio di un nuovo principato . . . . „ 297
VARIETÀ.
Francesco Malaguzzi- Valeri. Per la storia artistica della chiesa
di S. Satiro in Milano (Spigolature d'archivio) . . , Pag. 140
Louis Delaruelle. Le séjour à Milan d'Aulo Giano Parrasio „ 152
Giuseppe Petraglione. Un'edizione ufficiale di storici milanesi „ 172^
Giuseppe Gallavresi. Due documenti inediti riguardanti beni
allodiali di laici milanesi . „ 345
Emilio Galli. Le ville del Petrarca nel Milanese . . . „ 359
Agostino Zanelli. Elisabetta Cristina di Wolfenbuttel a Bre-
scia (1708) . . . „ 370
BIBLIOGRAFIA.
Arturo Frova. — Johann Graus. S. Maria im Àhrenkleid
und die Madonna cum cohazono vom Mailànder Dom . Pag, 186
Giuseppe Gallavresi. — Enrico Casanova, Dizionario feudale
delle Provincie componenti l'antico stato di Milano al-
l'epoca della cessazione del sistema feudale . . . „ 188
Giuseppe Lisio. — Giovanni Visconti Venosta. Ricordi di gio-
ventù, cose vedute o sapute (1847-1860) . . . . „ 196
Alberto Pisani-Dossi. Verdesiacum „ 383 .
.468 INDICE
E. M. — Doli. Giuseppe Boni. San Bernardino da Siena a
Pavia Pag. 383
Carlo Batiisii. La traduzione dialettale della 'Catinia' di Sicco
Polenton „ 385
C Foligno Un poemetto in lode di Lodovico il Moro . . „ ivi
F. N. — Doit. Achille Bertarelli. Spiegazione e stato numerico
delle [sue] raccolte al i.° gennaio 1905 . . . . „ 386
— — Lo stesso. La via Monte Napoleone nella Milano vec-
chia „ ivi
La collezione Giorgio Myliiis di battenti in ferro e bronzo . „ 388
Bollettino di Bibliografia storica lombarda (dicembre 1904 -
giugno 1905) ,,389
APPUNTI E NOTIZIE.
Appunti: Eriprando notaio milanese del sec. XI. — Come sono
nati i Lombardi secondo un epigramma francese del se-
colo XI (F. N.). — Una meridiana del XII secolo (Diego
Sant'Ambrogio). — La badia di San Giovanni Battista di
Vertemate (D. S.). — Bandiere dell'armata d'Italia (1797)
(Enrico Ghisi). — Notizie : Onoranze centenarie al poeta
Giovanni Fantoni. — Collezioni di statuti italiani nella
Biblioteca del Senato. — Publicazioni recenti . . . Pag. 211
Appunti : Intorno al sarcofago di Lambrate (Arturo Frova). —
Il comune di Treviglio e il monastero di S. Simpliciano
(G. Biscaro). — Di un libro di cucina bergamasco del se-
colo XV (F. N.). — Un trattatello di medicina per Sforzino
Sforza (E. M.). — La " Relazione di Milano „ del Leoni ed
altri documenti lombardi donati alla Società Storica Lom-
barda (E. M.). — Lettere di cardinali lombardi de"* secoli
XVI e XVII. — Progetto di navigazione fluviale in Lom-
bardia nel Seicento. — li Fabbroni ed il Pananti a Mi-
lano. — Bolle pontificie. — Notizie : Recenti restauri in
S. Abbondio a Cremona. — Pubblicazioni del principe di
Essling. — Nuovi periodici storici. — Museo della Scala.
— Opere di F. Petrarca e L. da Vinci. — Pubblicazioni
storiche premiate. — Archivio muratoriano. — Pubblica-
zioni varie. — Errata-Corrige „ 434
Elenco dei Soci della Società Storica Lombarda (giugno 1905) „ 455
Opere pervenute in dono alla Biblioteca Sociale nel I e II
trimestre del 1905 „ 227-464
Achille Martelli, gerenterresponsabile .
Milano - Tip. L. F. Cogliati - Corso P. Romana, 17.
ARCHIVIO STORICO LOMBARDO
ARCHIVIO STORICO
LOMBARDO
GIORNALE
DELLA
SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
SERIE QUARTA
VOLUME IV — ANNO XXXIl
MILANO
LIBRERIA
SEDE I
DELLA SOCIETÀ | FRATELLI BOCCA
;, Castello Sforzesco j Corso Vitt. Em., 21
1905.
La proprietà letteraria è riservata agli Autori dei singoli scritti
Milano - Tip. L. F. Cogliati - Corso P. Romana, 17.
Sul significato del nome « Italia »
presso LIutprando, vescovo di Cremona
L significato del nome Italia nel medio evo ha dato
luogo ad una serie di ricerche storiche. Il Marinelli
spiegò le discordanze che s' incontrano nel valore at-
tribuito a tale nome nel medio evo, ammettendo l'esi-
stenza di un doppio significato di esso in quel tempo, cioè di un
significato geografico e nazionale, più vasto, e di un significato
politico, più ristretto, indicante talvolta la penisola in contrapposi-
zione alle isole, od un tratto della penisola stessa in contrapposto
ad altri (i).
Quasi contemporaneamente il Cipolla giunse ad un' identica
conclusione, che cioè nel nome Italia nel medio evo bisogna di-
stinguere il significato storico-letterario, conservato dalla tradizione,
dal significato politico, cioè pratico, ch'esso assume quando si parla
degli avvenimenti politici. Nel primo caso il nome Italia conservò
la larghezza datagli dalla costituzione amministrativa di Augusto;
nel secondo caso invece si trovò da prima rinchiuso nei limiti del
« regnum Italiae », e poi andò sempre più restringendosi verso
r Italia settentrionale, dove anzi in un certo momento corse per-
fino il pericolo di perdersi, per essere sostituito dal nome Lom-
bardia (2).
(i) G. Marinelli, Il nome d' u Italia » attraverso i secoli^ in Atti del R. Isti-
tuto Veneto di Scieny^e, ecc., 1891-92, pp. 807 sgg.
(2) C. Cipolla, // trattato « De Monarchia » di Dante Alighieri e Vopuscoh
« De potestate regia et papali » di Giovanni da Parigi, in Memorie della R. Ac-
cademia delle Sciente di Torino, serie II, to. XLII, pp. 325-419, Torino, 1892.
O CARLO SALSOTTO
Poco più tardi trattò la questione lo Schipa, sostenendo che
r uso ristretto del nome Italia in quei secoli è solo apparente.
Per lui questo nome ebbe sempre il significato largo di Italia in-
tiera (i).
Lo Schipa infatti ritiene che il nome Italia non si sia mai « vera-
« mente eclissato ». Il trovare nei documenti varie Italie dà, se-
condo lui, apparenza, ma non sostanza air esistere di concetti re-
strittivi del nome; e del fatto, a suo giudizio, si può avere una
spiegazione grammaticale. Esso mostra solo che in quei secoli il
nome Italia si udì da per tutto nella penisola, ma in ninna parte
posò; se questa o quella regione parve, di quando in quando,
chiamata Italia, la ragione sta in questo, che tutte erano Italia o
che per tutto era Italia. Trova quindi assurda la coesistenza del
significato antico e « dei significati nuovi della stessa parola, come
u della grande Italia contenente e di quelle piccole Italie conte-
« nute ».
Lo Schipa fonda la sua asserzione sopra l'esame di numerosi
documenti delle epoche longobarda e carolingia, occupandosi poi
anche di uno storico di poco posteriore, Liutprando.
Egli comincia col notare che fino agli ultimi tempi dell' unità
politica del paese, sotto il dominio greco, quando si nomina l'Italia,
nelle opere degli scrittori, nelle corrispondenze ufficiali, nei titoli
dei dignitari, s' intende l' Italia antica, intiera. La parte che divenne
poi paese dei Longobardi finì coli' avere, come era naturale, il
nome di Longobardia. Ma accanto al regno longobardo rimasero i
domini bizantini, dove il nome Italia sopravvisse. Si ha infatti la
provincia Itàliae, retta dall' s^ap/oc 'iTaAia;: il governo civile era
affidato al « praefectus per Italiani » o « praepositus Italiae », la
difesa all' « exercitus Italiae » o « militia italica >». Questo nome
però fu usato anche per indicare l' Italia intiera, come prova il
linguaggio ufficiale di esarchi e di pontefici. « Quando, ottenuto
i< nel 584 dall' imperatore Maurizio l' aiuto di Childeberto (Paol.
<< DiAC, III, 17), l'esarca Smaragdo scrisse di quel fatto al re franco,
« ei lo lodò d'aver prontamente inviato " florentissimum Francorum
« exercitum ad liberationem Italiae ", e osservò che, se i duci di
(i) M. Schifa, Le « Italie » del medio evo (Per la storia del nome d'Italia),
in Archìvio Storico per le Provincie napoletane, anno XX, 1895, pp. 395 sgg.
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA », ECC. 7
^i quell'esercito fossero stati meglio solleciti dell'impresa, « hodie
« Italia a gente Longobardorum infandissima libera habuit reperiri »
« (Bouquet, IV, 87) »» (i). Parimenti nell' epistolario di Gregorio
Magno s' incontra spesso il nome Italia, « senz'ombra di restrizione
« del suo classico significato »» (2). La medesima cosa egli riscontra
negli scritti del tempo; e cita 1' Anonimo Ravennate ed il Ltber
pontificalis. Di quello riporta il passo: « patria nobilissima et om-
" nino fertilis quae dicitur Italia », cui circondano « eccelsi monti,
« da alcuni detti Titani, separandola dalla Settimania, dalla Bor-
ii gogna, ecc., e il mare dagli altri lati » ; di questo^ cita, dalla vita
-di papa Adriano (ed. Duchesne, p. 488), l'espressione: « Desiderius....
« cupiens... Romanam urbem atque cunctam Italiam sub sui regni
■u Langobardorum potestate subiugare «. E così conclude intorno
a quest'epoca: « I Bizantini e gl'Italiani sudditi loro certamente
« salvarono quel nome contro la bufera longobarda; sicché potet-
« tero trasmetterlo, nell' integrità della forma e del valore, all' età
M che successe al regno dei Longobardi » (3).
Ma anche nel regno longobardo stesso lo Schipa trova che il
nome ItaUa non venne mai meno; e cita a tale uopo, oltre ad
espressioni di storici, e specialmente di Paolo Diacono, esempì di
atti notarili e di contratti privati, dove incontra spesso la formula:
u V anno tale di regno di Ariberto, di Liutprando, di Desiderio....
« in Italia ». Quanto al linguaggio ufficiale soggiunge: « Lo stesso
« re, che non s' intitola se non re della sua nazione, sa e dice, in
« fronte alle sue leggi, che quel suo regno è ' in Italia ' ». Rotari
così comincia il prologo del proprio editto: « Ego.... Rothari.... rex
« gentis Langobardorum anno post adventum in provincia Italiae
u Langobardorum.... septuagesimo sexto »; e, parlando de' suoi
antecessori, dice di Alboino: « exercitum in Italia adduxit ». Pa-
rimenti Adelchi in fronte alle leggi scrive che Dio avea sottomesso
« Italiae regnum genti nostrae Langobardorum » (4).
Venendo all'epoca susseguente, lo Schipa nota che i Carolingi
preferirono il nome di « regnum italicum » od « Italiae », od anche
semplicemente Italia; e cita il passo di Eginardo, il biografo di
(i) Op. cit., p. 406.
(2) Op. e loc. cit.
(3) Op. cit., p. 408.
(4) Op. cit., pp, 409-10.
8 CARLO SALSOTTO
Carlo Magno, il quale dice che « l'Italia da Aosta fino alla Cala-
« bria inferiore, dove consta essere i confini fra' Greci e i Bene-
u ventani, si estende perula lunghezza di più che mille miglia».
« (EiNHARDi, Vita Caroli, e. 15) » (i). E soggiunge che i Carolingi
si chiamarono bensì « reges Francorum et Langobardorum, reges
u Francorum et Romanorum atque Langobardorum », ma dichia-
rarono sempre che il loro regno longobardo era « in Italia ».
Lo Schipa stesso però dovette rilevare che in alcuni diplorai
degli ultimi Carolingi il nome Italia assume un doppio significato,
ora più largo, ora ristretto ad una sola parte della penisola. Egli
riconosce in questo fenomeno una contraddizione. Ma lo stesso*
accade nelle opere di Liutprando, che è uno dei principali scrit-
tori del sec. X. E anche qui nota lo Schipa che, usando tale nome
con differenti significati, lo storico si mostra in contraddizione con
se stesso. Egli infatti non sa spiegare altrimenti come Liutprando
parli talvolta di « un' Italia messa fuori del ducato spoletino, del
« ducato di Roma e della Tuscia {Historia Ottonis, 9); come d'un
« popolo d' Itali diverso dai Tusci, Volsci, Camerini, Spoletini
« {Antapodosij II, 7) » (2); mentre in molti altri luoghi dà al nome
Italia il suo significato intero, ed anzi in un punto (Legatio, 7),.
sostiene « in base alla razza, alla lingua, alla storia, 1' unità del
« mezzogiorno col resto d' Italia » (3).
Come abbiamo veduto, lo Schipa non ammette assolutamente
r esistenza dei due significati diversi del nome Italia, neppure
quando essa è evidente non solo in documenti del tempo, ma an-
che nelle opere di qualche scrittore; e in questi casi trova più
ragionevole ammettere la contraddizione.
Ma a questi ragionamenti dello Schipa si può muovere qualche
obiezione. È vero che al tempo del dominio bizantino per Italia
si intendeva tutta quanta la penisola; ma non poteva essere altri-
menti, perchè non ne era avvenuta ancora la divisione. Così an-
che neir epoca longobarda i Bizantini continuarono a chiamare
domini d' ItaUa quelh che essi possedevano nella nostra penisola,
perchè non avrebbero potuto mutar loro il nome. E parimenti
(i) Op. cit. p. 412.
(2) Ibid., p. 414-
(3) Ibid., 415.
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA », ECC. 9
continuarono a considerare sempre nella sua integrità l' Italia^
sebbene una parte di essa fosse caduta sotto la dominazione dei
Longobardi invasori.
Per provare poi che neanche sotto il dominio di costoro il
nome Italia si dileguò, lo Schipa si fa forte della formula con la
quale i loro re denominavano il proprio regno. E come avrebbero-
potuto, di grazia, dire altrimenti, se non che erano venuti in Italia
ed in Italia regnavano? Solo coi Longobardi infatti cominciarona
le divisioni della penisola. D'altra parte perchè avvenga un muta-
mento nella toponomastica d'una regione occorre un certo periodo-
di tempo; ecco perchè solo più tardi, sotto gli ultimi Carolingi, si
hanno le prime prove dell'esistenza di un concetto restrittivo del
nome Italia.
Si può inoltre osservare che in nessuno dei luoghi riportati
dallo Schipa si parla di avvenimenti politici. Trattasi invece sempre
di scritti d' indole storica o letteraria, nei quali il nome Italia do-
veva necessariamente assumere il largo significato storico, tradi-
zionale. Ma quando si tratti di avvenimenti politici, quando da
argomenti generali si scenda alla pratica dei fatti, allora troviamo-
pure il nome Italia usato in senso ristretto per indicare non più
tutta la penisola, ma bensì qualche parte di essa in contrapposizione
alle altre. Ed ecco spiegata così la pretesa contraddizione rilevata
dallo Schipa in alcuni diplomi degli ultimi Carolingi e negli scritti
di Liutprando.
Nel dar notizia di questo studio dello Schipa, il Marinelli,,
riferendosi al proprio lavoro antecedente, torna a sostenere la va-
lidità della conclusione a cui era giunto (i).
Parimenti confutò, e più ampiamente, l'asserzione dello Schipa.
il Crivellucci in una recensione del lavoro suddetto, sostenendo-
che nel medio evo, pur continuandosi sempre ad adoperare il
nome Italia nel suo significato generale e geografico, compren-
dente tutta la penisola, esso fu anche talora adoperato in un si-
gnificato politico ristretto ad una sola parte della penisola stessa (2).
Frattanto aveva accennato di nuovo a questo argomento il Ci-
polla in un discorso tenuto a Venezia il 3 novembre 1895, col dire
(i) Rivista geografica italiana, voi. Ili, 1896, pp. 153-54.
(2) Studi Storici, voi. V, 1896, pp. 272-74.
JO CARLO SALSOTTO
che l'esistenza di un uso ristretto del nome Italia non può far
credere che si fosse eclissato il concetto largo dell'unità italiana.
Egli ripeteva che, in senso letterario, anche in quei secoli per
Italia s'intese tutta la penisola, tanto che col progredire della col-
tura questo significato letterario si rafforzò, e già in Ottone di Fri-
singa, lo storiografo di Federico Barbarossa, troviamo delineata la
geografia d'Italia appunto in questo senso (i).
Replicò ancora lo Schipa, Insistendo sull'assurdità del doppio
significato del nome Italia, e negando sempre l'esistenza del nome
ristretto ad una sola parte della penisola (2). In particolare egli
si ferma sopra l'espressione: « ducatus Italiae, Spoleti et Tusciae »,
che s' incontra in diplomi di Carlo il Grosso e di Lodovico di
Provenza, e ch'egli spiega come: « ducatus Italiae, scilicet Spoleti
et Tusciae ». E, come nell'altro suo lavoro citato tacciava dì con-
traddizione tanto questi diplomi quanto Liutprando, così in questo
nuovo studio taccia di distrazione il Muratori, perchè unicamente
di qui desunse l'esistenza di un' Italia ducato fuori del « regnum
« Romanorum et Longobardorum » (Romania o dominio pontificio
e Regno propriamente detto). A tale proposito il nostro critico
nota che non si hanno notizie di tale ducato ne della famiglia che
lo resse, mentre d' altra parte Carlo il Grosso un anno prima di
-emanare il diploma che contiene la suddetta espressione mostrava
di non vedere soggette a se in Italia più di quattro regioni, dal
momento che, emanando un decreto nell' 881, ordinava che esso
fosse osservato <' tam in Longobardia quam in Romania, seu in
« Tuscia e.t in Ducatu Spoletano ».
In questa replica dello Schipa il Crivellucci credette scorgere
che il critico napoletano desse alla questione un caràttere un po'
personale; per ciò egli ritenne di non dover rispondere ai suoi
argomenti (3).
Mi si permetta qualche osservazione.
È bensì vero che il Muratori mostra di credere all' esistenza
(i) Cipolla, Verona e la guerra contro Federico Barbarossa, in Nuovo Ar-
-chivio Veneto, to. X, par, II, 1895.
(2) Schifa, Pei nomi Calabria, Sicilia e Italia nel medio evo, in Atti della
Accademia Pontaniana, voi. XXVI, 1896.
(3) St7(di Storici, cit., voi. V, pp. 595-96.
i
SUL SIGNIFI'.ATO DKL NOME « ITALIA w, ECC. TE
di un u ducato d'Italia " fuori degli altri noti (i); ma questo non
dicono ne il Marinelli ne il Crivellucci. Essi infatti rilevano esclu-
sivamente la coesistenza dei due significati del nome Italia, senza
dire affatto che vi fosse un ducato di tal nome. E ciò è detto da
entrambi in termini chiarissimi, che non ammettono dubbio alcuno.
Non si può dunque attribuir loro la supposizione dell'esistenza di
un ducato d'Italia: essi ritengono solo, come altri, « accettabile
« l'idea di un doppio significato che tal nome (Italia) potè allora
« avere, cioè geografico e nazionale o più vasto, e politico o più
ti ristretto » (2).
D'altra parte confrontiamo fra loro le tre espressioni che lo
Schipa riporta dai diplomi di Carlo il Grosso e di Ludovico di
Provenza. Vi- è evidentemente relazione fra : « regnum Romanorum
^< et Longobardorum », e: « tam in Longobardia quam in Roma-
<• nia, seu in Tuscia et in Ducatu Spoletano ». Ma relazione molto
più stretta vi è fra quest' ultima espressione e 1' altra : « ducatus
ii Italiae, Spoleti et Tusciae ». Tralasciando infatti la Romania,
troviamo nominate, come appunto indica lo Schipa, nel primo caso
tre regioni, la Longobardia, la Tuscia ed il Ducato di Spoleto,
ripetute nell'altra espressione, con la sola variante del norne Italia
invece di Longobardia. Si potrebbe quindi dedurne che questi due
nomi in questo punto sono usati scambievolmente; in tal modo
converremo col Cipolla, il quale appunto, come abbiamo riferito,
asserì che il nome Italia in un certo momento corse il pericolo di
perdersi per essere sostituito dal nome Lombardia (3),
(i) Ciò è provato da vari luoghi delle sue opere. Basterà citare i seguenti.
Riportando il diploma di Ludovico II dell' anno 900 (Antiqui tates Italicae medii
aevi, Dissertano tertia, to. I, ce. 87-88), al quale appunto si riferisce lo Schipa,
egli vi fa seguire, come sempre, un breve commento, dove si legge: « Admi-
« rationem certe moveat, immo falsi suspicionem, intueri, Ludovicum nondum
« Imperatorem et Regem dumtaxat Italiae, seu Regni Langobardorum, auctori-
« tatem suam proferre et in Regnum Romanorum. — Nam, quod tres tantum
« Ducatus enumeret, fortassis id factum, eo quod Forojulensis heic omissus Be-
« rengario adhuc obtemperabat. Ego rem eruditis perpenJendam relinquo... » ;
e per conto suo sostiene solo l'autenticità del diploma.
Nella Dissertazione V poi si legge: « Ipsi Italiae Reges, quum leges pro-
le mulgabant ant privilegia largiebantur, Tusciae quidem, Spoleti, Fori Julii sive
«f Austriae, Italiae, etc, mentionem facere consueverunt ».
(2) Marinelli, op. cit., p. 154.
(3) Cfr. p. 5 del presente lavoro.
A
12 CARLO SALSOTTO
In uno studio dell'anno seguente il Cipolla riaffermava la sua
opinione riguardo al significato del nome Italia nel medio evo, ed
esprimeva il dubbio che il sentimento della nazionalità italiana, che
è manifesto in un dato punto del sec. XII, non comprendesse in
sé tutta la nazione dalle Alpi al Lilibeo (i).
Agli argomenti del Cipolla si oppose il Novati nelle note della
ristampa di un discorso tenuto il giorno i6 novembre 1896 per l'aper-
tura dell' anno scolastico nella R. Accademia scientifico-letteraria
di Milano (2). Sostiene il Novati che il sentimento della naziona-
lità italiana non si perdette mai, perchè « il concetto tradizionale
M dell'unità conservava nella geografia, nella lingua, nella storia un.
« triplice inconcusso fondamento ». « L'essere la penisola politica-
« mente divisa », egli soggiunge, riferendosi specialmente all'ultima
studio citato del Cipolla, « gravata da gioghi vari e pesanti, doveva
u sì assopire in parte la coscienza nazionale, favorendo lo sviluppo
'< del municipalismo ; ma non soffocarla a segno da vietare agli
« Italiani di riconoscersi come provenienti tutti da un ceppo mede-
« Simo » (3).
Ma questo punto della contesa fra i due illustri professori^
oltre che riguarda un' epoca posteriore a quella di cui è nostro-
intendimento occuparci, ancora per un altro rispetto esce dai li-
miti che ci siamo proposti, volendo noi trattare solo dell'esten-
sione che ebbe il nome Italia. E quanto all'esistenza del doppio
significato di questo nome, senza cercare se esso implichi o no un
affievolimento nel concetto della nazionalità italiana, vedremo nelle
pagine seguenti che è necessario ammetterlo, specialmente nel se-
colo X.
Del resto i due dottissimi critici, per il fatto che entrambi re-
cano nella controversia validi argomenti a sostegno delle loro tesi,,
conservano ciascuno immutata la propria opinione. Lo dimostrò
chiaramente in un nuovo studio il Cipolla, il quale, toccando in
un punto la nostra questione, rimanda il lettore al suo precedente
(1) Cipolla, Per la storia della Lega Lombarda contro Federico I, in Ren-
diconti della R. Accademia dei Lincei, Classe di scienze morali, storiche e filolo-
giche, voi. VI, 1897.
(2) Novati, L'influsso del pensiero latino sopra la civiltà italiana del medio
evo, 2.* ediz., Milano, Hoepli, 1899.
(3) Op. cit., p. 210.
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA »», ECC. I3
lavoro, senza nulla mutare di quanto aveva colà affermato (i). Nel
sostenere la sua tesi, che tende a negare che sia avvenuta la fu-
sione fra gli Italiani ed i barbari invasori nei primi secoli del medio
evo, egli cita pure le opere di Liutprando, e ne deduce che, trat-
tandosi di libri di carattere politico, il nome Italia in essi non in-
dica tutta la penisola, ma solo la parte superiore di essa.
Questo adunque è lo stato attuale della questione. Dall' una
parte vari illustri storici riconoscono il doppio significato che ebbe
il nome Italia in alcuni secoli del medio evo, secondo che era
usato in un senso storico e letterario, oppure in senso politico,
cioè pratico; dall'altra parte lo Schipa nega assolutamente ogni
concetto restrittivo del nome Italia, riconoscendo una contraddizione
nei singoli casi da lui notati, in cui questo nome indica evidente-
mente solo una parte della nostra penisola ; ed a questa opinione
si accosta in tesi generale il Novati.
Dalle osservazioni dello Schipa e dalle obiezioni mossegli dal
Marinelli e dal Crivellucci, nonché da quanto si trova nelle opere
del Cipolla e del Novati a questo riguardo, è nata V idea delle
ricerche le quali verranno esposte nelle pagine seguenti.
L'essere Liutprando il principale, anzi quasi 1' unico scrittore
del sec. X, che fu di scarsissima produzione letteraria, fa sì che
a lui come fonte ricorrano i critici della storia per le questioni
che riguardano tale epoca. In quella infatti del significato del
nome Italia nel medio evo, e in particolare nel sec. X, abbiamo
visto citate le opere di lui dal Cipolla e dallo Schipa, i quali però
ne trassero conclusioni differenti. Ma l' importanza degli scritti di
Liutprando (2) nel chiarire tale quistione apparirà ancora più grande
quando si pensi ch'egli nelle sue opere parla quasi esclusivamente
(i) Cipolla, Della supposta fusione degli Italiani coi Germani nei primi
secoli del medio evo, in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Classe di scienze
morali, storiche e filologiche, serie V, voi. IX, 1900, V-X.
(2) LiUDPRANDi, Opera omnia, ediz, Dùmmler, Hannoverae, 1877.
14 CARLO SALSOTTO
delFetà in cui visse. NeìVAntapodost infatti, la più lunga delle opere
di lui, egli comincia il racconto degli avvenimenti dall' anno 888
circa, e lo interrompe verso il 950. Una parte quindi dei fatti nar-
rati sono contemporanei allo storico; T altra parte, che forma la
materia dei primi tre libri, egli apprese direttamente da testimoni
viventi (i). La Historia Ottonis poi e la Legatio riguardano avve-
nimenti, di cui Liutprando fu non solo testimonio egli stesso, ma
anche attore. Ne segue che i suoi scritti hanno per noi una gran-
dissima importanza, perchè riferiscono fedelmente il concetto che
del nome d' Italia si aveva ai tempi dello storico (2).
Ne\VAntapo(/ost s' incontrano spessissime volte i nomi Italia,
Italtenses, Itali, Italici. In tre luoghi questi nomi vengono assolu-
tamente contrapposti ad altri indicanti altre regioni e popolazioni
della nostra penisola, che pure facevano parte del « regnum Ita-
u liae ». Questi passi furono dal Cipolla riportati nel suo lavoro
citato, per mostrare come Liutprando nella pratica dia al nome
Italia il significato d' Italia superiore (3).
Quando nell'anno 899 gli Ungheri, dopo aver devastato già
varie regioni dell' oriente, si affacciarono ai confini settentrionali
d' Italia, Berengario I si accinse ad affrontarli. « Italorum igitur,
« Tuscorum, Volscorum, Camerinorum, Spoletinorum quosdam literis,
u alios nuntiis directis, omnes tamen in unum venire precepit »
(Ant., II, 9). Così alla seconda discesa di Lodovico di Provenza
contro Berengario I per istigazione di Adelberto di Toscana, il re
u videns.... quod Hulodoicus tam ab Italiensium quam a Tuscorum
" susciperetur principibus, Veronam profectus est » (op. cit., II, 37).
Ma anche di là viene scacciato da Lodovico; dopo di che a que-
(i) Antapodosìy IV, i.
(2) Per lo stesso motivo, che narra avvenimenti del suo tempo e di cui
pure fu attore in non pìccola parte, non occorre intorno a Liutprando lo studio
delle fonti, giacché egli non ebbe a ricorrere a fonti scritte, ed è egli stesso
fonte storica. La cosa potrebbe far eccezione per VAntapodosi, che abbraccia un
periodo di tempo abbastanza lungo ; ma, come abbiamo visto or ora, 1' autore
ci avverte di aver appreso da testimoni viventi quei fatti di cui non fu testi-
monio né attore egli stesso.
(3) Rendiconti delia R. Accad. dei Lincei, cit, p. 525.
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA », ECC. I5.
st' ultimo parve opportuno, « ut sicut circumcirca videret Italiani,
« videret et Tusciam » (op. cit., II, 38).
Da questi passi si scorge chiaramente che per Liutprando-
Italta e Tuscia, quando parla di avvenimenti politici, erano due
regioni affatto distinte, di cui la prima era limitata alla valle
del Po.
Questa divisione delle terre del « regnum Italiae » ci richiama
alla mente le varie divisioni territoriali, che della nostra penisola
si fecero e durante l'impero e nei primi secoli del medio evo.
Fin verso il 290 pare che l'Italia sia rimasta sotto la giuri-
sdizione di un solo corrector. Diocleziano, dividendo l' impero in
quattro parti sotto due augusti e due cesari, diede anche alla pe-
nisola una divisione amministrativa ben definita (i). Quando poi
Costantino riunì di nuovo V impero sotto il suo scettro, le quattro
divisioni sussistettero, prendendo il nome di « prefetture » (pre-
fettura delle GalUe, d' Italia, d'IUiria, d'Oriente). La prefettura
d'Italia comprendeva tre « diocesi »: l'Italia, l'Africa e l' Illirico-
occidentale. L'Italia poi alla sua volta fu divisa in due « vicariati >»,
divisione che non è certo se risalga o no a Diocleziano. L' uno-
dei vicariati aveva sede in Roma (« vicarius Urbis »), 1' altro in
Milano (« vicarius Italiae »), che era pure sede del prefetto d'Italia.
Questo secondo vicariato è quello che ci interessa. Da esso dipen-
devano r Italia settentrionale, con la Rezia e le Alpi Cozie, e la
media, ad eccezione del Lazio e della Toscana (2). Dunque già in
questa prima divisione la Tuscia era nettamente distinta dall'Italia,
col qual nome si indicava appunto il vicariato d'Italia.
Una certa relazione troviamo fra questa divisione più antica
e quella lo'ngobarda. I Longobardi divisero il loro regno in tre
grandi parti: Austria ad oriente, dalle Alpi Giulie fino all'Adda;
Neustria ad occidente, dall'Adda alle Alpi marittime; Tuscia a
mezzodì. Anche in questa divisione troviamo la Tuscia distinta
(i) Cipolla, Della gmrisdi:^ione metropolitica della Sede Milanese nella re-
gione X, Venetia et Histria, in Ambrosiana, scritti vari pubblicati nel XV centenario-
dalla morte di S. Ambrogio, con introduzione di Andrea C. cardinale Ferrari„
arcivescovo di Milano, Milano, Cogliati, 1897, p. 24.
(2) Ibìb., op. e loc. cit.
t6 CARLO SALSOTTO
•dalle regioni che sono comprese nella valle del Po. E, se teniamo
-conto del fatto che le due prime regioni corrispondono appunto
ad una parte del territorio che costituiva il vicariato d' Italia, non
-ci parrà strano che uno storico del sec. X chiami Italia quel ter-
ritorio e lo distingua dalla Tuscia, giacche egli non trovava altri
nomi per indicare separatamente le due regioni dal punto di vista
geografico.
Nella Historia Ottonis troviamo un altro accenno ad una dif-
ferente divisione della nostra penisola.
Recatosi Ottone il grande a Roma nel settembre del 963 per
frenare la scandalosa condotta del papa Giovanni XII, ed essendo
-questi frattanto fuggito dalla città, l'imperatore radunò in San Pietro
un grande concilio, al quale presero parte vari arcivescovi e molti
vescovi « a Saxonia, a Francia, ab Italia, a Tuscia, a Romanis »
{cap. 9). Tralasciando i nomi Saxonia e Francia, qui troviamo
ancora la Tuscia distinta ddXV Italia, oltre alla nuova indicazione
a Romanis. Ma notiamo ancora che, poco dopo le parole citate, è
inserta, sempre a proposito delle pratiche fatte in Roma da Ottone
■contro papa Giovanni XII, la lettera mandata dal concilio al pon-
tefice, la quale comincia così: « Sùmmo pontifici et universali papae
« domno Joanni, Otto divinae respectu clementiae imperator augu-
•« stus, cum archiepiscopis, episcopis Liguriae, Tusciae, Saxoniae,
« Franciae in domino » (cap. 12). E parimenti, narrando la nuova
adunanza tenutasi dopo giunta la risposta del papa, lo storico no-
mina nuovi prelati aggiuntisi agli altri « a Lotharingia.... ab Emilia
M et Liguria »» (cap. 14).
In questi due ultimi passi non troviamo più il nome generico
Italia per indicare l'Italia settentrionale, ma nomi speciali, cioè
due volte il nome Liguria ed una volta sola quello di Emilia,
nomi che non s' incontrano in alcun altro luogo delle opere di
Liutprando. Essi però non infirmano punto la nostra idea, perchè
Liguria ed Emilia sono due provincie dell* Italia (i). Qui lo sto-
(i) Cfr. Paolo Diacono, De rehus gestis Langohardorum. — Liguria è la
seconda provincia d' Italia ; comprende Milano e Pavia e sì stende sino ai confini
■dei Galli (II, 15). Emilia è la decima provincia. Cominciando dalla Liguria si
stende fra le Alpi Apennine ed il Po verso Ravenna. Sue città doviziose sono:
Piacenza, Parma, Reggio, Bologna, Foro Cornelio, il cui castellb si chiama Imola
<II, 18).
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA », ECC. I7
?rico non fa che determinare con maggior precisione i luoghi, no-
minando le singole parti invece del tutto.
Liutprando ci porge dunque due elenchi di prelati i quali si
trovano in Roma con Ottone I; ed è notevole il fatto che di cia-
scun prelato, se non dà sempre il nome, indica però sempre la
residenza. Per ciò dal primo di essi si scorge quali città apparte-
nessero alV Italia, quali alla Tuscia, e quali siano da lui comprese
sotto la denominazione a Romanis; e dal secondo si ricavano pochi
nomi di città dell' Emilia e della Liguria, le quali due regioni
Liutprando nomina separatamente:
Primo Elenco.
ab Italia : Aquileia, Milano, Ravenna, Parma, Cremona, Reggio.
a Tuscia: Lucca, Arezzo, Pisa, Siena, Firenze, Pistoia, Came-
rino, Spoleto.
a Romanis: Albano, Ostia, Porto, Gabio (ora Castiglione), Pre-
neste (ora Palestrina), Silva Candida (i), Velletri,
Bleda, Caere (ora Cervetri), Nepi, Tivoli, Forum
Clodii (2), Ferentino, Norma (anticamente Norba),
(i) Il Duchesne crede che questa sede, che appare per la prima volta nel
concilio dell'anno 501, sia la continuazione della sede di Loriuni. I due luoghi
si trovano a sei km. di distanza l'uno dall'altro. Lor'mm era una villa imperiale,
celebre residenza dell'imperatore Antonino, la prima stazione sulla via Aurelia:
ora su quel luogo sorge Castel di Guido. Silva Candida era il punto della via
Cornelia dove sorse il santuario delle sante Ruffìna e Seconda. (Duchesne, Le
sedi' episcopali nell'antico ducato di Roma, in Archivio della R. Società romana di
storia patria, voi. XV, 1892, fase. III-IV).
(2) L' indicazione di Liutprando è : Johannes Forocludensis. Il Dùmmler vi
appone questa nota: « Forum Claudii prope Calinum olim situm ». Il Grego-
rovius, che nel testo della sua storia riconosce questa sede in Forum Claudii,
aggiungendo fra parentesi : « presso Oriolum », in una nota trova meraviglioso
il perdurare del nome antico ; ma in un' aggiunta del Borsari a questa nota si
legge non doversi intendere Forum Claudii, ma bensì Forum Clodii, antico mu-
nicipio a nordovest di Bracciano, dove sorge ora San Liberato {Storia della città
di Roma nel medio evo, Roma, 1900, voi. II, p. 55, nota 16). E sotto il nome
di Forum Chdii è indicato dal Duchesne (1. e.) un territorio, che si stendeva
presso Bracciano, e che fu sede vescovile. Egli soggiunge però che di questa
5ede si ha menzione solo dall'anno 313 fino al 501, e opina che, per 1' abban-
Arch. Star. Lomb., Anno XXXII, Fase. VII. 2
l8 CARLO SALSOTTO
Veroli, Sutri, Narni, Sabina, Gallese, Faleria (ora
Civita Castellana), Alatri, Orte, Anagni, Trevi^
Terracìna (cap. 9).
Secondo Elenco.
ab Emilia et Liguria: Modena, Tortona, Piacenza (eap. 14).
Comesi vede, anche qui Liutprando distingue nella pratica la
parte centrale della nostra penisola da quella settentrionale, dando-
a quest'ultima il nome d'Italia.
Ma una differenza dalle divisioni suaccennate, che potrebbe
far nascere qualche dubbio, è il fatto che sotto l'indicazione ab
Italia trovasi compresa Ravenna, la quale, può dirsi, non fece mai
parte del regnum, e sotto l' indicazione a Tuscia trovansi Spoleto
e Camerino. Ravenna infatti, che al tempo della dominazione dei
Bizantini era stata la loro capitale, continuò nell'epoca longobarda
ad appartenere ai Bizantini stessi (tolta la breve dominazione del
re Liutprando (728) nell' esarcato) fino alla conquista dell' esarcata
e della pentapoli, fatta da Astolfo (751), il quale però da Pipino
il Breve, sceso per la seconda volta in Italia, fu nel 756 costretto-
a cedere queste terre, che vennero date al papa. Così Spoleto non
può considerarsi come parte della marca di Tuscia. D' altronde
Spoleto e Camerino sono altrove da Liutprando stesso considerate
come luoghi distinti dalla Tuscia e dall' Italia (i). Parmi quindi di
dover riconoscere che in questo passo lo storico non fa conside-
razioni politiche, ma solo geografiche. Nel primo caso egli distingue,,
come in ai-tri luoghi, l'Italia settentrionale dalla centrale, e giusta-
mente comprende in quella anche Ravenna; e nel secondo dà al
nome Tuscia non già il significato di « marca di Tuscia », ma un
senso assai più largo, che abbraccia una buona parte dell'Italia
centrale. Questo fatto, oltre che nel passo citato di Liutprando, si
nota pure nelle sottoscrizioni dei vescovi che presero parte al
dono della località, essa continuasse nella sède di Manturianum (ora Monterano),.
della quale si ha menzione dall'anno 649 fin verso la metà del sec. X. •
Accettando l'opinione del Borsari, che fece le aggiùnte alle note del Gre-
gorovius, opinione confermata dalle ricerche del Duchesne, resta però sempre as.
spiegarsi il perdurare del nome antico appunto nel sec. X.
(i) Cfr. Antapodosi, II, 9; e a p. 14 del presente lavoro.
SUL SIGNIFICATO DEF, NOME « ITALIA », ECC. I9
concilio di Sardica (anno 347). Anche colà trovl(iio sotto 1' indi-
cazione u ab Italia » segnati i vescovi di Verona, Aquileia, Ra-
venna, Brescia e Milano (i). Il Cipolla nota a questo riguardo che
il nome Italia allude necessariamente al « vicariato d' Italia ».
D'altra parte si potrebbe notare che questi elenchi, datici dal
nostro storico, hanno molta somiglianza con quelli delle sottoscri-
zioni dei concili medievali. In questi il nome del prelato e della
sua sede è per lo più accompagnato dal nome della regione. Ma
le Provincie ecclesiastiche, come nota il Cipolla, non sempre cor-
risposero alle regioni civili (o almeno è cosa non provata) (2) ; e
già fin sotto r impero, secondo il Duchesne, occorre varie volte
d'incontrare la classificazione delle sedi episcopali fatta nel sud
d' Italia « per provincie » e nel nord invece avendo riguardo alla
« diocesi » (3). Orbene, essendo la Chiesa conservatrice per eccel-
lenza, non deve recar meraviglia il fatto che anche nel sec. X
Liutprando, nell' indicare i prelati che presero parte ad un concilio,
segua per l'indicazione delle regioni la norma tenuta nelle sotto-
scrizioni dei concili, senza riguardo a divisioni politiche.
In Liutprando il nome Italia il più delle volte non è contrap-
posto a quello di Tuscia, ma è sinonimo di « regnum italicum »,
e comprende quindi in se anche la Tuscia medesima e il ducato
di Spoleto.
Nell'introduzione dtWAntapodosi, dove sono enumerati i più
importanti principi di quel!' epoca, leggiamo che « Berengarius et
il Wido imperatores ob regnum Italicum conflictabantur » (I, 5); e
poco dopo, dove incomincia il racconto degli avvenimenti dalla
morte di Carlo il Calvo, lo storico torna a nominare i due principi
suddetti : « Cui [Carlo il Calvo] dum viveret, nobiles duo ex Italia
" prepotentes principes serviebant, quorum Wido alter, alter dictus
(i) Cipolla, Dilla giurisdizione metropolitica, qcc. cit,, p. 53.
(2) Ibid., p. 7.
(3) Duchesne, Les documents ecclésiastìques sur les divisions de V empire n-
main au quatrième siede, in Mélanges Graux, Paris, 188^^.
m
30 CARLO SALSOTTO
« est Berengaiipp » (I, 14), dove vediamo compreso nell' Italia
anche il ducato di Spoleto, che appunto faceva parte del regno
italico.
I due principi si erano accordati per dividersi le terre di Carlo
alla sua morte, « scilicet ut Wido quam Romanam dicunt Franciam,
« Berengarius obtineret Italiam » (I, 14). Alla morte del re infatti
Berengario « Italici regni suscepit imperium » (I, 15); ma Guido,
deluso per l'elezione di Oddone in Francia, e ardente di sdegno
« tam ex Italico regno... quam ex Francorum » (I, 17), calpesta
raccordo pattuito con Berengario, « Italiamque concite ingressus,
« Camerinos atque Spoletinos fiducialiter ut propinquos adit » (id. id.);
e di essi forma un esercito, che più sotto viene chiamato « agmen
u Italorum » (I, 21), in contrapposto all'esercito tedesco, inviato da
Arnolfo di Carinzia sotto il comando del proprio figlio Centebaldo,
in aiuto a Berengario, che ne lo avea pregato. A nuove sollecita-
zioni di quest'ultimo, che gli promette « se totamque Italiam » (I, 22),
Arnolfo in persona « Italiam adit » (id. id.) e prende ad incalzare
Guido senza tregua. Questi allora pensa di accecare Berengario,
« sicque securus Italiam obtineret » (I, 34); ma non riesce nel suo
divisamento, anzi con la propria morte lascia poco dopo libero il
campo a Berengario, mentre Arnolfo, cui « omnes Italienses » ave-
vano abbandonato (I, 35), avea rivarcato le Alpi. Berengario dun-
que si recò tosto a Pavia, « regnumque potenter accepit » (I, 37).
Ma i fautori del morto Guido, temendo la vendetta di lui, « et quia
« semper Italienses geminis uti dominis volunt » (id. id.), gli op-
pongono il figUo di Guido stesso Lamberto, il quale, per domare
il ribelle Manfredo di Milano, lo manda a morte; « quae res ter-
u rorem cunctis Italiensibus non minimum adtulit » (1, 38). A questa
ribellione segue tosto quella di Adelberto e di Ildebrando, il primo
■dei quali, « illustris Tuscorum marchio », era tanto potente, « ut
« Inter omnes Italiae principes solus ipse cognomento diceretur
M Dives » (I, 39). Ucciso poi Lamberto dal figlio di Manfredo, che
vendicò la morte del padre, Berengario, rimasto senza competitori,
nuovamente domina il regnum (I, 42).
Nel racconto dell'impresa di Berengario I contro gli Ungheri (i),
(i) Questi in tale narrazione sono detti anche « pagani » e « idolatres »,
•e altrove « Turci »; e i soldati di Berengario sono chiamati « christiani » e
<« christicolae ».
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA »>, ECC. 2t
fra i patti proposti da questi vi è: « se numquam amplius Italiani
« ingressuros »» (II, 13); ma, per la sconsideratezza degli avversari^
gli Ungheri riescono poi vittoriosi, accrescendo così la propria
potenza, poiché « eorum pars quedam Bagoariam, Sueviam, Fran-
« ciam, Saxoniam, quedam vero depopularetur Italiam » (II, 15)»
Più tardi gli Italiensrs chiamano Ludovico di Provenza perchè
tolga a Berengario il regnum (II, 32); e questi, per consiglio di
Adelberto d' Ivrea « aliorumque nonnullorum Italiensium.... in Ita-
« liam venit » (II, 35). Ma Berengario, facendosi amico Adelberto
di Toscana, ottiene ch'egli se ne torni tosto in Provenza. Poco
dopo però Ludovico cala una seconda volta in Italia, chiamatovi,
tra gli altri, dallo stesso Adelberto di Toscana, staccatosi da Be-
rengario per istigazione della moglie Berta : « Unde factum est, ut
« consulto eodem Adelberto marchione, ceteri Italienses principes
« propter eundem Hulodoicum , ut adveniret , transmitterent »»
(II, 36).
Abbiamo visto fin qui un buon numero di passi, dove il nome
Italia ha precisamente l'estensione di « regnum Italicum », sicché
per principi « italiani » si intendono sempre i principi di tutto il
regnum, compresi anche quelli di Spoleto e di Toscana.
Ma, subito dopo il passo riportato, troviamo quei due luoghi,
già da noi citati, che mostrano V Italia nettamente distinta dalla
Tuscia: « Videns itaque Berengarius quod Hulodoicus tam ab Ita-
ti liensium quam a Tuscorum susciperetur principibus, Veronam
u profectus est » (II, 37); e: « His ita gestis, bonum Hulodoico
« est visum, ut sicut circumcirca videret Italiani videret et Tu-
<• sciam •» (id., 38).
Quanto al secondo di questi due passi si può osservare che
la Tuscia era divenuta una marca così potente, per opera sopra
tutto di Adelberto, che poteva ormai considerarsi come uno stato
a parte; ed è nota la preponderanza che nelle vicende di quei
tempi ebbe sempre lo stesso Adelberto. D'altra parte questa re-
gione aveva il suo nome particolare, mentre invece l'Italia setten-
trionale non aveva un nome unico che la comprendesse tutta quanta.
Lo storico quindi, volendo indicare distintamente le due regioni,
chiama senz'altro Italia quest'ultima, e dà all'altra il nome già
consacrato dall'uso.
22 CARLO SALSOTTO
Quanto al primo passo credo che innanzi tutto si debba in-
tender bene il valore del vocabolo « principibus ». Essendo questo
usato al plurale può intendersi come riferito ai principi dell'Italia
ed a quello di Tuscia. Ma, se si tien conto del fatto che « prin-
«< ceps n non indica semplicemente un <« marchio », un « comes »,
ma spesso anche un vescovo, a cagione della grande importanza
politica dei vescovi in quei tempi, si potrà intendere questa espres-
sione come plurale sia in quanto si riferisce all'Italia, sia in quanto
si riferisce alla Tuscia separatamente. Ciò premesso, sappiamo che,
secondo Liutprando, Ludovico scese due volte in Italia, la prima
volta per istigazione di Adelberto d'Ivrea e di altri, la seconda
chiamatovi da Adelberto di Toscana, che nella prima discesa di
lui si era mostrato partigiano di Berengario. E in questo muta-
mento forse egli era stato seguito dai vescovi della sua marca. Be-
rengario dunque, come già si era visto ostacolato dagli altri « prin-
« cipes », così si vide allora abbandonato anche da quelli della
Tuscia, per cui lo storico non nomina collettivamente tutti i u prin-
« cipes » italiani, ma distingue fra loro quelli di Tuscia, che si
aggiunsero più tardi agli altri. E a ciò egli fu indotto, oltre che
da questo motivo, anche dalle ragioni per cui nel medesimo tempo
distingueva la Tuscia dal resto del regno.
Ma la distinzione che fa qui lo storico tra Italia e Tuscia io
credo non sia che un'eccezione, tanto più che, all' infuori di questi
due passi strettamente legati fra loro, essa non s'incontra che in
un altro luogo, dove sono nominate le milizie di varie parti del
regno e chiamate « itahane » quelle dell'Italia settentrionale (i).
Del resto poche righe dopo i due passi citati incontriamo di
nuovo un'espressione, che abbraccia sotto il nome di « italiani » i
principi del regno, compreso Adelberto di Toscana. Ludovico, ri-
cevuto con gran pompa a Lucca da Adelberto, stupisce della po-
tenza e dello splendore di lui, sicché il principe stesso se ne ac-
corge. « Quod Berta, ut erat mulier non incallida, audiens, non
u solum virum suum ab eius fidelitate amovit, veruni etiam caeteros
u Italiae principes ei infideles effecit » (lì, 39).
Dall'esame di questi passi si può dunque riconoscere che Liut-
(i) Cfr. p. 14 del presente lavoro.
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA m, ECC. 23
prando adopera il nome Italia nei due sensi particolari indicati
più sopra.
Altri luoghi per noi degni di nota si trovano in seguito nel-
VAntapodosi stessa.
Dopo la morte di Adelberto di Toscana vari « principes Italiae »>
si ribellano nuovamente a Berengario (II, 57), rivolgendosi a Ro-
dolfo di Borgogna. Questi si fa chiamare due volte prima di scen-
dere n^W Italia; e poscia, accolto da tutti, « nil Berengario ex omni
■a regno preter Veronam dimisit ; tenuitque totum per triennium
« viriliter regnum »> (II, 64) ; e in fine, volendo tornarsene nelle
sue terre, propone ai principi di affidar loro il « regnum Italicum »,
e gli <« Italienses » acconsentono (II, 67). Tornato poco dopo « in
« Italiani », ed essendo frattanto stato assassinato in Verona Beren-
gario, Rodolfo « regnum potenter obtinuit » (III, 8j. Ma tosto gU
« Italienses » si dividono nuovamente, sicché una parte si rivolge
ad Ugo di Provenza, « ut in Italiam veniat regnumque Rodulfo
« auferat sibique potenter obtineat » ; ed Ugo accetta tosto l'invito,
come quello che già da tempo andava maturando questo disegno,
« si forte regnum posset obtinere Italicum » (III, 12). Quando egli
sbarca a Pisa per venir ad occupare il regnum, oltre all'amba-
sciatore del papa, « adfuerunt etiam poene omnium Italiensium
« nuntii, qui hunc, ut super ipsos regnaret, modis omnibus invita-
« bant » (III, 17) ; dove l'ultima parte del periodo mostra eviden-
temente che per « Italienses » s'intendono i « principes » del regno
italico. Nell'anno 946, essendo Berengario II tornato dalla Svevia,
-dove si era rifugiato per sfuggire alle minaccie del re Ugo, il ve-
scovo Manasse di Milano « Italos omnes eius in auxilium invitavit »
(V, 26); e ancora: « Is enim [Berengario II] Italicis omnibus prin-
« cipabatur virtute, rex vero Lotharius solo nomine » (VI, 2). Non
v' ha dubbio che anche in questi ultimi passi s' intenda parlare
degli abitanti del « regnum Italicum ».
Vi è poi un passo à.t\VAntapodosi, che merita di essere stu-
diato attentamente.
Descrivendo le tristi condizioni della nostra penisola al tempo
di Berengario I, quando gli Ungheri scorrazzavano « totam per
u Italiam », ed i Saraceni di Frassineto dilaniavano, « quasdam
24 CARLO SALSOTTO
« summas Italiae partes sibi vicinas »», spingendosi tino ad Acqui
(Antap., II, 43) (i), lo storico parla della venuta dei Saraceni di
Africa : « Eodem tempore Saraceni ab Africa ratibus exeuntes, Ca-
u labriam, Appuliam, Beneventum, Romanorum etiam poene omnes
« civitates ita occupaverunt, ut unamquamque civitatem mediani
« Romani obtinerent, mediani Africani » (loc. cit., 44) (2). È evi-
dente che in entrambi i luoghi dove è nominata l' Italia s' intende
parlare del regno italico.
Ma in seguito, accennato brevemente alle vessazioni esercitate
dai Saraceni d'Africa, lo storico esce in queste parole: « Quamvis
« enim misera Italia multis Hungariorum et ex Fraxeneto Sara-
« cenorum cladibus premeretur, nullis tamen furiis aut pestibus-
u sicut ab Africanis agitabatur » (ibid.). Qui parmi che il nome
Italia non abbia più il solito senso ristretto di regnum. Innanzi
tutto infatti l'appellativo « misera » non potrebbe riferirsi solo
air Italia settentrionale, dal momento che le miserie maggiori, come
dice lo storico stesso, toccarono alla parte meridionale. Inoltre
sembra naturale che Liutprando, dopo aver parlato innanzi dei mali
dell' Italia settentrionale e poi di quelli del mezzogiorno della pe-
nisola, esclamasse, quasi a modo di conclusione: « misera Italia ",.
abbracciandola col pensiero tutta quanta. Qui non parla più lo sto-
rico, che analizza e determina le singole parti: qui è l'italiano,.
che si commuove allo spettacolo doloroso delle tristi condizioni
della sua terra.
E il medesimo concetto ampio del nome Italia perdura nel-
l'espressione che si legge subito dopo : « Fertur autem hac occa-
« sione ab Africa exivisse, atque Italiam adventasse » (op. cit., 45),.
dopo di cui lo storico spiega a modo suo l'invasione dei Saraceni
d'Africa.
(i) Anche nell'indice dei capitoli, che pure è opera dello storico, si legge:
« De Saracenis de Fraxeneto, qui parteni Italiae vastabant et usque Aquas per-
« venerant » fp. 26).
(2) Con l'espressione « Romanorum civitates » probabilmente lo storica
vuol indicare i possedimenti che V impero bizantino aveva nel sud dell'Italia, iiì
contrapposizione alle terre occupate dai J^ongobardi.
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA », ECC.
2S
Nella Historia Ottonis, all' infuori del passo ricordato più sopra^
e che non accenna a divisione politica (i), il nome Italia non si
incontra che cinque volte.
Narra lo storico che, mentre tiranneggiavano « in Italia » Beren-
gario li e Adelberto, contro di loro ricorse ad Ottone di Sassonia
il papa, inviandogli due ambasciatori. Contemporaneamente ricor-
sero a lui il vescovo di Milano e vari altri ottimati « ex Italia »
(cap. i). Cedendo alle preghiere di costoro. Ottone « coUectis co-
« piis Itaham percitus venit », e con grande celerità « Berengarium
« atque Adelpertum. .. regno expulit » (cap. 2), avviandosi poi tosta
verso Roma, dove cinse la corona imperiale.
E chiaro che qui il nome Italia ha il senso ristretto che già
conosciamo ; come pure più sotto, dove lo storico nominando sé
stesso, mandato da Ottone come ambasciatore a Roma, dice:
« Liudprandum ab Italia Cremonensem » (cap. 7).
Ma subito dopo si legge che, appena partito T imperatore da
Roma, il papa Giovanni XII, calpestando il giuramento fatto, si
voltò ad Adelberto promettendogli aiuti contro Ottone e chiaman-
dolo in Roma, mentre egli alla discesa del re Sassone si era ri>
fugiato presso i Saraceni di Frassineto, « omnem Italiam dese-
« rens » (cap. 4).
Quest'ultima espressione potrebbe far nascere il dubbio che
l'aggettivo « omnis » unito al nome « Italia » dia a quest'ultimo
un significato più largo. In altri luoghi infatti, dove s' incontrano
espressioni di tal genere, nessun aggettivo accompagna il nome
Italia, neppur quando lo storico narra, come in questo punto, la
fuga di qualche principe dall' Italia per recarsi in paesi oltr'Alpi.
Così nel racconto della fuga di Berengario II minacciato dal re Ugo
nell'anno 941, leggiamo che egli « Italiam quam mox deseruit »,
riparando in Isvevia {Antap., V, io) ; e così pure, quando Beren-
gario tornò in patria, « rex Hugo... Italiam deserere.... cogita vit »
per tornarsene coi tesori in Provenza (id , id., 28) ; e parimenti
ancora: « Tempore quo Berengario ab Italia fugiit » (id., id , 18);
(i) Cfr. pp. 16-19 del presente lavoro.
-26 CARLO SALSOTTO
•« Quod Rodulfus ut audivit, Italiani dereliquit » (id., Ili, i6); e:
-« Arnaldus ... Italia.... derelicta » (id., id., 50). Io credo però che
non vi siano ragioni sufficienti per riconoscere una differenza di
estensione fra la prima e le altre espressioni. Molto probabilmente
lo storico non ha voluto indicare con essa altro che il regno ita-
lico, considerandolo nelle sue singole parti (i).
Per ciò si può concludere che anche nella Historia Otionis Liut-
prando dà al nome Italia il significato di regno italico.
E veniamo alla Legatio.
Il nostro storico, come è noto, va, ambasciatore di Ottone 1,
a Costantinopoli, dove è ricevuto assai freddamente. Nel primo
colloquio che avviene tra lui e l'imperatore Niceforo Foca, questi
(i) Non altrimenti debbono intendersi vari altri passi in cui il nome Italia
è accompagnato dall'aggettivo « tota ». Ripetuta più volte si trova l'espressione
« totam per Italiam » riguardo alle scorrerie degli Ungheri {Antap., II, 42 ;
III, 2 e 6 ; e altrove) ; cosi in due luoghi, parlando di Berengario II, l'acre
storico esce in queste parole : « cuius inmensitate tyrannidis tota nunc luget
« Italia » (Aniap., II, 33), e: ce cuius tyrannide tota nunc luget Italia » (id., IV, 8);
espressioni che hanno pieno riscontro in quella : « nunc luget Francia tota, Cor-
« sica, Sardinia, Grecia et Italia », che si legge nell'epitafio di Berta (vv. 23-24)
{cfr. anche « totius Italiae principatum obtinebat » (Antap., Ili, 7), riferendosi
ad Ermengarda d' Ivrea, dopo la morte del marito Adelberto). In questi casi è
evidente che lo storico non vuol dir altro che tutto il regno italico, il regno
intiero, nessuna parte esclusa.
Ma la medesima espressione troviamo in un altro luogo, riferita a Beren-
gario I. Questi, sconfìtto da Guido di Spoleto, per farsi amico e protettore Ar-
nolfo di Germania, gli offre « se totamque Italiani » (op. cit.; I, 22). Nei passi
antecedenti non vi è alcun dubbio, perchè gli Ungheri devastarono bensì il regno,
ma senza spingersi nel resto della penisola ; e quanto a Berengario II si parla di
un re che è sovrano di fatto e fa piangere tutti i suoi sudditi, mentre la ca-
gione di questo pianto non oltrepassa i confini del regno. Nell'ultima espressione
invece si hanno parole di Berengario I, che non era più re: egli promette ad
Arnolfo tutta l'Italia per averla in feudo da lui. Mi pare quindi che si debba
■qui, come nella frase « Italici omnes », che troveremo in seguito nella Legatio,
riconoscere un' iperbole. Questa è tanto più ammissibile, in quanto che qui si
parla non in modo definito, in modo ristretto, ma piuttosto in modo vago, in-
determinato.
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA », ECC. 2^
-accusa Ottone di aver con la violenza occupato Roma, commettendo
crudeltà contro molti Romani, di aver strappato la corona a Be-
rengario ed al figlio suo Adelberto, e di aver tentato di conquistare
-città dell'impero, alludendo all'impresa di Ottone contro Bari:
M .... tam inimica invasione Romani sibi vindicavit, Berengario et
« Adelberto contra ius fasque regnum abstulit, Romanorum alios
« gladio, alios suspendio interemit, oculis alios privavit, exilio alios
« relegavit, et imperii nostri insuper civitates homicidio aut incendio
« sibi subdere temptavit » (cap. 4). All'accusa riguardo all'occupa-
zione di Roma risponde l'ambasciatore occidentale aver Ottone
liberata la città dalla tirannide ripristinando il rispetto dovuto alla
Chiesa, e prima conculcato. Quanto alla corona italica afferma :
u Palam est, quod Berengarius et Adelbertus sui milites effecti,
a regnum Italicum sceptro aureo ex eius [Ottone IJ manu su-
u sceperant » ; e soggiunge che essi vennero meno in seguito alla
fedeltà giurata, per cui Ottone « iuste illos, quasi desertores sibique
« rebelles, regno privavit » (cap. 5). E ripetendo Niceforo l'accusa
di aver portato le armi contro città dell'impero, spezzando le re-
lazioni amichevoli con la sua corte, Liutprando afferma che Bari
appartiene al regno italico: « Terram,... quam imperii tui esse nar-
« ras, gens incola et lingua Italici regni esse declarat » ; e lo di-
mostra col fatto che Bari era stata da Ludovico II tolta ai Saraceni,
e in seguito occupata da Landolfo duca di Capua e di Benevento,
dalle cui mani era passata in quelle dei Bizantini al tempo del re
Ugo; e soggiunge che in questa occasione l'imperatore Romano I
aveva comprato 1' amicizia del re, e questi aveva mandato a Co-
stantinopoli una propria figlia illegittima, come sposa di Costantino
nipote di Romano (cap. 7).
L' ultima espressione riferita dello storico e ambasciatore va
intesa in questo senso, che Bari era una terra dipendente per ra-
gioni storiche dal regno italico, e non già che ne facesse parte
territorialmente. L'oratore occidentale voleva opporre ragioni di
fatto alle obbiezioni di Niceforo, e quindi accampa i diritti che
Ottone poteva avere su quella terra. Essendo appartenuta ai Lon-
gobardi, essa doveva essere ritenuta come terra del regno italico,
benché Liutprando mostri sempre di considerare come tale solo il
regno dell'epoca franca, cioè quella parte dello stato longobardo
•che avea riconosciuto come re Carlo Magno, e da cui s'era staccato
20 CARLO SALSOTTO
il ducato di Benevento, il cui duca avea preso di fronte a Carlo
Magno il titolo di principe dei Longobardi (i).
Ma l'aver addotto anche l'argomento della lingua per provare
che la terra di Bari apparteneva al regno italico, potrebbe indurre
a credere che qui lo storico allarghi il concetto delVItalia fino a
comprendervi tutte le popolazioni che parlavano la lingua latina.
Qui forse non abbiamo invece che una contrapposizione delia lingua
latina alla greca, parlata nell' impero d'oriente. L'ambasciatore oc-
cidentale dimostra che la terra di Bari per ragioni storiche appar-
teneva al regno italico, e che d'altra parte per ragioni linguistiche
non poteva appartenere all' impero bizantino.
E che Liutprando non intendesse affatto di considerare questa
terra come parte del regno italico, egli che usa scambievolmente
per lo più questo nome e quello d' Italia, appare dalle parole che
subito soggiunge nel seguito della risposta fatta a Niceforo Foca :
« Et, ut considero, domino meo non gratiam sed impotentiani
« ascribis, quod post Italiae seu Romae acquisitionem tot annis
u eam tibi dimiserit » (id.). Qui si vede che l' Italia, come appunto
è intesa da Liutprando nel senso di regno italico, era già tutta
nelle mani di Ottone, per cui la terra di Bari ne va considerata
come esclusa da lui.
In seguito leggiamo che quel giorno medesimo l'ambasciatore
occidentale dovette intervenire ad un banchetto dato dall' impera-
tore; e quivi sentì vilipendere l'esercito e la flotta del suo signore,,
perchè Niceforo prese a deridere Ottone e i suoi ancora per la
fallita impresa di Bari. Ecco le parole da lui poste in bocca a Ni-
ceforo: « Filius non abfuit, uxor non defuit; Saxones, Sue vi, Ba-
u goarii. Italici omnes cum eo adfuerunt, et cum civitatulam unam
u sibi resistentem capere nescirent, immo nequirent, quomodo mihi
« resistent venienti? » (cap. ii).
L'espressione « Italici omnes », che si trova fra queste parole
dell' imperatore, parmi che possa avvicinarsi assai bene a quella
(i) A questo riguardo parmi troppa l'importanza che il Comani mostra di
dare a tale passo della Legatìo, perchè, appoggiandosi su questo solo luogo, che
dovrebbe essere un' eccezione per la larghezza che esso dà al nome di regno-
italico, afferma- che questo per Liutprando non è altro che il regno dei Longo-
bardi (Cfr. Studi Storici cit., voi. X, p. 231).
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA », ECC. 29
« omnem Italiam », trovata nel cap. 4 della Historia Otlonis {ì).
Anzi la nuova espressione potrà confermare l'opinióne da noi ma-
nifestata in quel luogo. Qui infatti pare evidente che, anche accom-
pagnato dair aggettivo « omnes », il nome Italici non indichi se
non gli abitanti del regno. Niceforo Foca enumera i sudditi di
Ottone, fra i quali gli Italiani; e certo è ben lontano dal designare
tutti gli abitanti della penisola, egli che nella penisola appunto ha
■dei possedimenti, ai quali mostra di annettere molta importanza.
Né potrebbe ammettersi che, esagerando, l' imperatore bizantino
allarghi il senso del nome Italia. Esagerazione vi è nelle sue pa-
role, e sta appunto in quelT" omnes», ma solo in quanto che egli vuol
canzonare l'ambasciatore occidentale ricordandogli che il suo si-
gnore non potè far capitolare una piccola città, neppure opponen-
dole tutte quante le forze di cui poteva disporre.
Del resto in nessuno dei luoghi in cui gli aggettivi « omnes »
•e « cuncti » accompagnano il nome Itali, questo prende un signi-
ficato più largo geograficamente: in ciascun caso non vi è che una
maggiore intensità di significato (2).
Poco dopo troviamo un passo che risponde esattamente a quello
citato ora. In un colloquio con Leone, fratello dell'imperatore, alla
condizione che si vuol imporre ad Ottone di lasciar libera Roma,
Liutprando risponde Roma esser anzi stata liberata dal suo signore.
E, riferendosi alla pretesa donazione di Costantino, « non in Italia
u solum, sed in omnibus pene occidentalibus regnis » (cap. 17),
soggiunge che Ottone avea restituito alla Chiesa tutto ciò che nel
suo impero le apparteneva: « Sane quicquid in Italia, sed et in
•M Saxonia, Bagoaria, omnibus domini mei regnis est, quod ad apo-
(i) Cfr. p. 25 del presente lavoro.
(2) Cfr. : « duae res terrorem cunctis Italiensibus non minimum adtulit »
{Antap., I, 38) ; a Italicnses poene omnes Hulodoicum.... invitant.... » (id., II, 32);
•« Italienses omnes ceperunt inter se dissidere » (id., Ili, 8) ; « Si Italienses om-
« nes uno uti tantummodo calcari.... » (parole di Brucardo a Rodolfo) (id., id , 14);
« Adfuerunt etiam poene omnium Italiensium nuntii,... » (id., id., 17); « . . . . re.K
« Hugo imperio se duro Italicis cunctis effecerit » (id , V, 18) ; a omnes
« Italos eius in auxilium invitavit » (id., id., 26) ; « Is enim Italicis omnibus
« principabatur virtute,.... » (id., VI, 2).
E parimenti: « .... inter omnes Italiae principes... » (id., I, 39): « Cepe-
« runt interea omnes Italiae primates.... » (id., V, 27).
39 CARLO SALSOTTO
n stolorum beatorum ecclesiam respicit, sanctissimorum apostolorun>
" vicario contulit » (id.).
È naturale che qui lo storico per Italia intende quella parte
della penisola che apparteneva ad Ottone. Per altro riguardo poi è
evidente che egli vuol qui contrapporsi a ciò che già gli avea
detto l'imperatore bizantino; e, per sfatarne gli argomenti, usa il
medesimo linguaggio, contrapponendo espressione ad espressione.
Ciò parmi confermare l'opinione che neanche nel passo precedente
Liutprando non abbia dell' Italia un concetto più vasto di quello
corrispondente al regnuin.
In altri due luoghi, in cui pure sono riferiti discorsi dei Bi-
zantini, che suonano offesa per gli occidentali, ritroviamo i nomi
Italia ed Itali.
Nel primo essi fanno una pomposa minaccia di annientare la
potenza di Ottone: « Si ceperit, inquiunt, non dicimus Italiam —
« sed nec ipsa capiet eum, in qua ortus est, pauper et gunnata,
« id est pellicea, Saxonia — pecunia qua pollemus omnes nationes
" super ipsum invitabimus, et quasi keramicum, id est vas fictile,
u quod confractum reformari nequit, confringemus » (cap. 53). Nel-
l'altro passo i Bizantini dichiarano che gli occidentali sono in-
degni di indossare vesti orientali, e così trovano pretesto per car-
pire allo sventurato ambasciatore quelle da lui acquistate, nonché
cinque preziosissime porpore, giudicando « indignos vos [gli Ot-
« toni] omnesque Italos, Saxones, Francos, Bagoarios, Suevos, immo
a cunctas nationes, huiusmodi veste ornatos incedere » (cap. 54).
Nel prirrio di questi passi le parole messe in bocca ai Bizan-
tini sono un'espressione esagerata, direi grottesca. In esse il nome
Italia è pronunziato in una condizione anormale; si vede che lo
spirito di chi lo pronunzia non è rivolto a questo nome con pie-
nezza di soggettività : e questo ne scema il valore. Nel secondo
invece è evidente che col nome « Italos » si accenna solo agli abi-
tanti del regno italico. Qui infatti non abbiamo che una enumera-
zione di terre carolingie, situate fuori del dominio romano o bi-
zantino, e contrapposte appunto a questo dominio.
Finalmente troviamo il nome Italia nella preghiera che lo sto-
rico fa perchè sia lasciato « in Italiam cito advolare » (cap. 32),
SUL SIGNIFICATO DEL NOME « ITALIA »>, ECC. ^T
mentre era tenuto quasi prigioniero a Costantinopoli; e neirespres-
sione: « fluviorum Italiae rex », a proposito del fiume Po (capi-
tolo 33).
In quella è evidente l'accenno al regno italico; in questa può'
dirsi lo stesso, in quanto che il Po è appunto il maggior fiume
dell' Italia, quale era intesa dal nostro storico. Ma quest'ultima
espressione ha per noi un valore assai limitato, non essendo altro
che una delle molte reminiscenze vergiliane, che si trovano sparse-
negli scritti di Liutprando (i).
Dall'esame di tutti i passi della Legatio che contengono il nome
Italia od Itali risulterebbe dunque che anche in questo scritto lo
storico dà al nome Italia il senso di « regno italico >». E se, come
abbiamo veduto, non si può qualche volta determinare bene il va-
lore ch'egli attribuisce a tale nome, questo deriva dal fatto che la
Legatio è uno scritto d' indole diversa dagli altri del medesimo
autore. Qui infatti non abbiamo più uno scritto di storia nel vero
senso della parola, ma una relazione che lo storico fa della pro-
pria ambasceria per giustificare davanti agli Ottoni ed ai posteri
la propria condotta durante il suo soggiorno a Costantinopoli. E
siccome lo scrittore usa qui uno stile vivacissimo, per porre in
evidenza le proprie qualità di ambasciatore fedele e di oratore che
è preparato sempre a ribattere le obbiezioni altrui, così l'operetta
ha sopra tutto l' indole di uno scritto letterario.
Dalle nostre ricerche si potrà dunque giungere a questa con-
clusione.
Liutprando parla quasi sempre di avvenimenti politici. In questo
senso il significato più frequente ch'egli dà al nome Itaha è quello
di « regno italico », quale era nell'epoca carolingia. E, solo quando
(i) Cfr. Vergili©, Georgiche, I, 482 : a Fluviorum rex Eridanus » ; ed
Eneide, VIII, 77: « Corniger Hesperidum fluvius regnator aquarum ».
Questi luoghi sono da Liutprando stesso altrove riportati {Antap., III, 9)..
32 CARLO SALSOTTO - SUL SIGNIFICATO, ECC.
la storia degli avvenimenti politici lo costringa a distinguere dal
resto del regno la parte più settentrionale di esso, allora dà esclu-
sivamente a quest'ultima il nome d'Italia, che viene così a riguar-
dare press'a poco la valle del Po.
Quando invece usa questo nome in senso puramente letterario,
il nostro storico segue la tradizione che risale alla costituzione
amministrativa di Augusto, e secondo la quale per Italia s' inten-
•deva tutta quanta la nostra penisola.
Carlo Salsotto.
L'ingresso di Francesco Sforza in Milano
e l'inizio di un nuovo principato
(Cont. e fine; v. quest'Archivio, a. XXXII, i, pp. 297-344).
CAPO TERZO.
RAMAI è tempo di far ritorno allo Sforza e di vedere
come egli abbia saputo, con senno e con fermezza, pre-
disporre ogni cosa per il felice compimento di quel
grande fatto storico che, se non inaspettatamente, certo
d' improvviso veniva a turbare le relazioni diplomatiche fra i vari
stati d'allora. E qui sarà bene studiare l'opera del duca Francesco I
sotto i suoi tre aspetti principali, politico cioè, militare ed economico-
amministrativo. Quanto al primo, abbiamo già detto qualche cosa
a proposito delle lunghe trattative corse per la capitolazione di
Milano; ma non è tutto. Perchè il nuovo acquisto fosse, se non
valevole, indisturbato, occorreva anche il riconoscimento da parte
•degli altri governi; e se ciò era facile ottenere da quelli, coi quali
lo Sforza era legato da amicizia o da trattati, non così da quelli
•che, apertamente o di nascosto, lo avevano sempre combattuto.
Inoltre egli dovea sempre guardarsi da' veneziani, ora più che mai
irritati, perchè si vedevano sfuggir di mano la preda tanto agognata.
Né lo lasciavano riposar tranquillo il pensiero di ridurre ad unità
organica il suo vasto dominio, la necessità di reintegrarlo e ren-
derlo, come prima, potente e temuto, il bisogno imperioso di ri-
•condurlo a quello stato di pace, che da tanto tempo più non godeva
•e che è solo fattore di floridezza pubblica e privata. Laonde egli
fece bene a non lasciarsi lusingare dall'apparente facile vittoria; e
-comprendendo come il suo posto, per il momento, non fosse in Milano
ma al campo, vi si recò subito, lasciando provvisoriamente in quella
•città un uomo di sua fiducia, per il disbrigo degli affari urgenti.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase VII 3
34 ALESSANDRO COLOMBO
II Simonetta scrive che, appena giunto a Vimercate (saranno^
state le ore 23 circa), lo Sforza emanò « per universam ditionem
u suam n l'ordine di lasciar entrare liberamente in Milano, senza
pagamento di dazio, vettovaglie d'ogni genere (t^; invece Cristoforo-
a Soldo (2) afferma, che egli « subito fece gran provvigioni di
« mandar vittuaglie ». Qui ci troviamo di fronte a due categorie
diverse di provvedimenti, benché in fondo diretti a un medesimo
scopo : quello di far cessare la carestia. E se con la prima veniva
abrogata la nomina dello Stanga, della quale già parlammo; con
la seconda si sollecitavano le città sorelle ad inviare a Milano soc-
corsi in danaro, derrate o vesti da distribuirsi a' poveri. Ciò è
provato da una lettera in data Milano 5 marzo 1450 (3), con la quale
appunto il vicario de' XII di Provvisione e i sindaci di detta città,
ringraziano il comune di Pavia di quanto esso avea spedito, a
mezzo de' propri delegati Gerolamo Mangiaria e Baldassare Ra-
sini, per sollievo dell' infelice e affamato loro popolo. Il Simonetta
infatti fa capire come, in questa circostanza, Cremona e Pavia si
distinsero specialmente per pietà e filantropismo, quantunque forse
un po' interessati, e aggiunge che, nello spazio di tre giorni, si
rivide 1' abbondanza e la gioia dove prima non era che miseria e
desolazione (4). Ma 1' opera riparatrice dello Sforza non si ferm6
a' primi momenti, né si limitò a' più pressanti bisogni. E mentre
con decreto d. d. Vimercate, 27 febbraio '450 (5), approvava la
compra del sale, che a suo nome avevano fatto in Genova appositi
delegati e mandatari (6), e senza dubbio non per uso esclusivo
dell'esercito, addì 8 marzo concedeva lettera di passo a due lodi-
giani per condurre, « sine solutione », due mila moggi di biada a
(i) Simonetta, op. cit., p. 602.
(2) Soldo, loc. cit.
(3) È pubblicata nella His torta di Antonio Maria Spelta, cittadino pavese,,
de' fatti notabili occorsi nell'universo, ecc., pp. 417-18 (vita del 69.0 vescovo di
Pavia, Giacomo Borromeo I), Pavia, Pietro Bartoli, 1603. La cita il Cantù nelle
sue annotazioni al Corio, op. cit., voi. Ili, p. 193.
(4) Simonetta, loc. cit.
(5) Arch. di Stato di Milano, Miscellanea i4)0p ', la lettera è controfirmata
« Johannes ».
(6) Sono : Giovanni Feruffino, dottore in diritto, ed Antonio Guidobono, del
quale già parlammo nel nostro lavoro Vigevano e la Rep, Atnbr., ecc., cap. IV;
l'istrumento di compera fu steso dal notaio genovese Girardo Belvedere.
I
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 35
Milano dal bolognese e dal ferrarese (i), e, due giorni dopo, rila-
sciava altra analoga licenza a uno di Cremona per portare, a Lodi
non che a Milano, 500 moggi di frumento e altrettanti di biada (2).
Il 17 marzo infine, quasi rinnovando l'ordine emanato al suo primo
ritorno da Milano al campo di Vimercate, secondo quanto narra il
Simonetta, permetteva a certo maestro Petrino da Lodi di traspor-
tare u libere sine solutione aliqua » quella quantità di viveri, che
seco avea condotto « ex terris nobis non suppositis » (3). Avver-
(i) Arch. cit., Reg. due, Framm., 14^0- p:
« Vicotnercati die VIIJ Marti} 14^0.
« Concessa fuit litera passus Filipo de Sachis et Opizino de Cademustis de
« laude conducendi modios duos mille biadi ex bonoaiensi et ferrariensi ad ci-
ft vitatem Mediolani sine solutione etc. Valiter sex mensibus ».
« ClCHUS ».
Di più ha questa postilla :
« Refecta est suprascripta licentia sub die suprascripto, et loco Filipi supra-
« scripti, qui mortuus est, positus fuit petrus de basilicapetri ».
Ma ivi la scrittura appare di altra mano.
(2) Arch. cit., Reg. due, ecc. :
a Die X Mar ci j 14 )0.
« Concessa fuit licentia Francisco Manello de Cremona ex agro Mantuano et
« bononiensi conducendi laude, et Mediolanum Modios frumenti 500. et 500.
« alterius biadi sine solutione etc.
« Dai. uicimercati.
« Facinus ».
(3) Arch. cit., Reg. due, tee. :
« Modoetie, die ly Mar li j i4)0.
« Franciscusfortia Dux Mediolani etc. Cum per alias nostras litteras indultum
« et statutum sit, quod omnes conducentes, et conducere uolentes uictualia de
« Terris et locis Nobis non suppositis ad inclitam nostrani mediolani vrbem, que
« guerrarum oppressionibus et Longa obsidione uictualibus fere omnibus dimidata
« est, prò abundantia reducenda fas omnibus esset libere et sine jmpedi-
« mento ad dictam mediolani urbem conducere posse. Quapropter cum magister
« petrinus de laude conduci facere jntendat nonnullam uictualium quantitatem ad
« dictam nostram mediolani urbem ex terris nobis non. suppositis, propterea
'( mandamus omnibus et singulis officialibus ad quos spectat, vt dictum magi-
« strum perinum, seu eius nuncium harum delatarum, cum omnibus hiis quan-
f( titatibus uictualiis, quas conduxerit, libere, sine solutione aliqua transire per-
'( mictant, incontrarium non obstantìbus quibuscumque.
f( Jo. DE Vlesis ».
3j6 ALESSANDRO COLOMBO
tasi che si avvicinava l'epoca del secondo e solenne ingresso, e che
perciò molta gente dovea essere fin d' allora affluita a Milano.
L'aver pertanto provvisto a che le defrate, che venivano dal di
fuori, fossero tuttavia immuni da dogane, dazi o pedaggi, era un
vantaggio non lieve, specie in que' momenti di crisi, per i commer-
cianti e i compratori; e di questo naturalmente gli fu serbata ri-
conoscenza.
Sempre allo scopo di acquistarsi popolarità, ed anche per
compensare, in qualche guisa, quanti lo avevano favorito nel-
l'acquisto del ducato, Francesco Sforza non lesinò nella concessione
e distribuzione di titoli e di benefici. Così con la lettera-patente
del i.° marzo, d. d. Vimercate, nominava ufficiale del peso del sale,
in luogo di certo Zanono de' Tignosi, il cittadino milanese Protasio
de' Valassina, « de cuius deuotione, reuerentia, fide et aff'ectione in
u nos statumque nostrum plenam habemus informationem » (i). Già
accennammo alla esenzione da certi pesi e carichi concessa, con
altra lettera-patente del i.° marzo, ad Antonino de' Marliano e ai
suoi nipoti detti « Vedanini », tutti di Milano ma abitanti in Va-
rese, per i beni da loro posseduti in questo territorio e vicariato (2) ;
€ noi sappiamo infatti quanto i Marliano si siano adoperati in fa-
vore del duca. Addì 5 marzo, sempre con lettera d. d. Vimercate,
eleggeva giudice de' dazi di Milano Filippo de Armenulfi (3); il
6 chiamava all' ufficio delle vettovaglie, col grado pure di giudice,
Giovanni de' Carugo (4); il 7 nominava il noto Jacopo de'Perego,
•causidico e notaio milanese, « scriba della camera ducale » (5); l'S
infine faceva Pietro da Como razionatore dell' ufficio comunale
•della carta, in luogo di Ambrogio de' Vicemali (6). Tutte queste
lettere furono, come la prima, spedite da Vimercate. E pure in-
torno a questo tempo dev'essere stato eletto a collaterale del po-
destà quel Mabilio de' Filago (7), di cui esiste una supplica senza
(i) Arch. cit., Docum. diplom., Dominio Sforzesco, 14^. Per il funziona-
anento della direzione delle gabelle, cfr. Formeniini, op. cit., p. 75.
(2) Ibid., Reg. due, ecc., fascio n. 19, fol. 251.
(3) Arch. civ. stor. di Milano, Registri, Lettere ducali ^ 14^0-^^, fol. 2.
(4) Ibid., fol. 2 V.
(5) Ibid., fol. 3.
(6) Ibid., fol. 3 v.
(7) Come risulta dalla rubrica del cit. Reg. Lett. due, ecc., a questo Mabilio
.de' Filago, quale ufficiale delle vettovaglie in Milano, furono dirette due lettere
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 37
data, e diretta alla vedova di Galeazzo Maria, neirArchivio di Stato
di Milano, dove egli dice che a detta carica « foi deputato per lo
« llLn^o et Ex.""» olim domino domino duca Francisco socero hon.»"»»
« de V. S. Et questo foi perchè foi quello che lo adiuto intrare
u dentro de le porte de Milano.... » (i). A proposito del primo
ingresso vogliamo ancora ricordare, che uno de' primi ad acclamare
il conte Francesco in tale circostanza, non che a disporre di tutte
le sue facoltà e aderenze per la di lui causa, fu un certo Jacopo
del Palazzo, detto il « Casamatta » ; il quale perciò ebbe dalla du-
chessa Bianca prima, e poscia dal duca in riconferma, il privilegio
di fabbricar pane di mistura e venderlo in tre luoghi o « poste » : al
ponte Vetere (« vedrum »), in piazza dell'Arengo e a porta Orien-
tale, u in loco sancti Babilis » (2). Con lettera del io marzo, il duca
da Vimercate, in data 9610 marzo ; esiste però soltanto la fine della seconda
(foi. 5 ; il foi. 4 fu strappato), da cui appare che egli fu nominato a quel posto
per sei mesi e più, a beneplacito del duca ; la lettera è controfirmata « Cichus ».
(i) Arch. di Stato di Milano, Potenze sovrane, cart. I, fascio i.
(2) Arch. civ. stor. di Milano, Reg. Lett. dtic.^ ecc., foi. 6 :
(( Franciscus sfortia Vicecomes dux Mediolani etc. Papié Anglerieque comes
vt ac Cremone dominus. Quia constat nobis et re ipsa experti sumus Jacobum de
« palati© nuncupatum casamatam, ciueni nostrum Mediolani, qua die eius urbis
« dominium ad manus nostras deuenit, vnum ex primis et principalioribus fuisse,
« qui nomen nostrum inuocaret, et nedura facultates omnes suas, verum etiam
« personam propriam et affinium quorumcumque suorum euidentibus periculis ac
« discriminibus obiceret, quo voti et desiderii nostri compotes rederemur, rem
« sane minus conuenientem facere videremur, nisi eidem prò talibus obsequiis
« certe memoratu dignus aliqua ex parte rependeremus. Eidem itaque Jacobo
« concedendum duximus, et presentium serie concedimus et impartimur plenam
« licentiam, arbitrium et facultatem omnimodam conficiendi, seu confici fatiendi
« in gloriosa urbe nostra mediolani panem misture venalem, a stario insti tamen
« ponderis et bene condicionatum, iuxta formam et ordines offitij prouixionum
« eiusdem nostre Ciuitatis, et secondum valorem et pretium farine, quam sub
(( palatio Brolcti ibidem vendi contingit. Necminus tenendi et per quemuis alium
« teneri fatiendi tres postas prò pane ipso vendendo, videlicet vnam super platea
« Arenghi, vnam super ponte veteri porte Cumane, et alteram apud ecclesiam
'( Sancti Babile porte horientalis eiusdem nostre ciuitatis libere et impune, ac
(( prò sue libito voluntatis. Mandantes magistri» intratarum nostrarum, Vicario
c< et duodecim prouisionum Comunis, ac Sindicis ceterisque officialibus et sub-
« ditis ibi nostris, quatenus has nostras licentie ac dispensationis literas, ab ho-
« dierna die in antea ad nostrum usque beneplacitum valituras, firmiter obseruent
« et fatiant inuiolabiliter obseruari, et contra éas nuUatenus jntentare presumant.
38 ALESSANDRO COLOMBO
Stesso confermava al monastero di Castellazzo di Vigentino tutte
le donazioni a questo fatte da' Visconti (i). Sotto la data poi del 12,
troviamo la nomina di un consigliere ducale segreto (2). Per guasti
intervenuti alla pergamena, contenente la detta nomina, non abbiamo
potuto leggere il nome intero del neo-consigliere ; ma il fatto che
ivi si dice chiamarsi « Antonio » e appartenere ad antica e nobile
stirpe, ci fa dubitare che si accenni senz' altro al noto Antonio
de' Triulzio (3). D' altra parte il documento è notevole, perchè ci
dimostra che intorno a questo tempo il ducale consiglio segreto
era già completamente costituito (4), con la speciale attribuzione di
« Jn quorum testimonium presentes fieri et registrari Jussimus, nostrique Sigilli
« munimine roboiari.
« Dai. Modoetie die vigesimo Martij MCCCCL.
(( Jo. DE VlESIS )).
Tale lettera è preceduta da un'altra, presso a poco identica, di Bianca Maria
Sforza- Visconti, d. d. Pavia 12 marzo '450, che noi perciò ci dispensiamo dal
riportare.
(i) Arch. cit., Castellano di Vigentino e Reg. Lett. due, i462-'j2, col. 277.
(2) Doc. V. Copia pergam., mancante del sigillo e della firma del can-
•celliere.
(3) Lo ricorda appunto come tale il Rosmini, op. cit., voi. IV, doc. II, di-
cendo che entrò in carica Tu marzo '450.
(4) Il Rosmini, nel luogo or citato, pubblica un elenco, tratto dall'Archivio
pubblico e che ora in copia si conserva nella Trivulziana (« Copia di Ruolo
« estratto dal Registro de' Duchi di Milano intestata Uffici, n. 90, 1450 al 1468,
« fol. 4 y,), da cui risulta che i seguenti consiglieri ebbero « litteras Consilia-
<( riatus datas in Vicomercato die XXII. Martij 1550, valìturas ad beneplacitum »;
■e cioè: D. Bartolomeo Visconti vescovo di Novara, Oldrado de' Lampugnano,
Pietro Visconti, Guarnerio da Castiglione (f maggio 1461), Franchino da Ca-
stiglione, Angelo Simonetta. Questi però non sono i primi nominati; giacche il
Rosmini ricorda subito dopo, sempre riferendosi all'elenco di cui sopra, che en-
trarono nel consiglio segreto l'ii marzo '450: Giovanni Feruffino (da noi già
ricordato, t 18 ottobre 1452), Niccolò Arcimboldi (t 30 aprile 1449)? Lancel-
lotto Grotti, Pietro Cotta (uno degli autori della sommossa del 26 febbraio,
t gennaio 1466), Antonio de' Triulzio (il nostro). Furono eletti consiglieri dopo
il 22 marzo: Boccaccino de Alemanni fiorentino (14 maggo '50), Sceva da Corte
<8 dicembre '51), Alberico Malette (e8 ottobre '55), Arasino de' Triulzio (i.° gen-
naio '56) ; e « prò honore tantum et dignitate » : Giovanni da Tolentino
{24 agosto '50), Carlo de Arezio (28 ottobre '50), Ludovico Petrono (28 lu-
glio '50), Antonio de Attendoli (nel '52), Ludovico de Bolcus (^nel '57), Pietro
de Noseto (nel '58) ed altri. — Del ducale consiglio segreto parlano pure i
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 39
portare il proprio parere (« opinionem, sententiam vocemque »)
«negli affari più ardui e importanti dello stato, e con la rimunera-
zione mensile « quam et prout alii Consiliarii Illustrissimi [quondam
^i bone memojrie domini Ducìs patris p[atrie] percipere communiter
« et habere consueuerant ".
Accenniamo di volo ad altre nomine e concessioni o conferme
di privilegi; più tardi avremo campo di discorrere del famoso
-elenco de' « militi » e " cavalieri » creati dallo Sforza, quasi a solenne
memoria della propria fortunata conquista e a preparazione della
novella sua corte (i). Con lettera-patente del 15 marzo, d. d. Monza,
istituendo una nuova cappellania nella chiesa di S. Francesco in
Vimercate, sotto il titolo di S. Giovanni, ne nominava titolare frate
Giorgio de Amagno, dell' ordine de' Minori, con l' obbligo della
messa quotidiana (2). E pure con lettera-patente del 15 marzo,
emanata dalla stessa città, dietro supplica di Giorgio Resta per
parte de' nobili deputati della venerabile chiesa maggiore di Mi-
lano (Duomo), confermava a questa tutti i privilegi, grazie e con-
cessióni di cui godeva precedentemente (3). Già fu ricordata la
elezione a preposto della chiesa ducale di S. Maria alla Scala del
nobile Giovanni de' Tradate, canonico della medesima e causidico
della curia arcivescovile di Milano (4); nello stesso giorno, cioè il
18 marzo, e sempre con lettera da Monza, il duca dava ordine agli
Formentini (op. cit., p. 74) e il Rubieri (op. cit., voi II, p. 239), il quale ultimo,
forse perchè non considerò a fondo tutto il documento edito dal Rosmini, opina
-erroneamente che esso fu costituito solo intorno al 22 marzo '450; il Cipolla
(op. cit., voi. I, p. 441) dice che « doveva la sua origine, almeno in parte, alla isti-
« tuzione della Repubblica ambrosiana ». Notisi infine che i membri di detto
consiglio prendevano il titolo di senatori.
(i) Veramente il Rosmini (op. cit, voi. II, pp. 452-53) scrive che, dopo il
3 marzo '450, « il Principe elesse alcuni personaggi di provata fede, cosi Mila-
« nesi che d'altri luoghi, il cui numero fu in processo di tempo anche accre-
« sciuto, e medesimamente gli ufficiali che dovevano formare la sua e la Corte
« della Duchessa sua moglie, e del suo primogenito Galeazzo Maria ». E in nota
rimanda al documento che già conosciamo.
(2) Arch. di Stato di Milano, Reg. due, ecc. ; è controfirmata « Johannes
« de Vlesis ».
(3) Cfr. Ann. della Fabh. del Duomo, voi. II, p. 135.
(4) Arch. cit., Reg. cit.; porta la da(ta di Monza, 18 marzo '450, ed è con-
trofirmata dal solito « Johannes ». In calce si leggono le seguenti' parole : « Man-
4. dante domino || Gaspare de Vicomercato — instante Antonio de guidobonis ».
40 ALESSANDRO COLOMBO
officiali di giustizia di coadiuvare certo Baldassare de' Pessina nella
ricerca de' molti suoi debitori, costringendoli, ove fosse possibile^
al pronto pagamento (i): e in luogo di Paulello de Esculo, che
veniva revocato, eleggeva a podestà di Maleto il lodigiano Giorgio
de' Bonsignori, per mesi sei a cominciare dal prossimo maggio, e
con l'obbligo di prestare prima giuramento di fedeltà nelle mani del
Referendario di Lodi (2). Addì 19 marzo, con decreto firmato an-
Cora a Monza, concedeva in perpetuo esenzioni su tutti i beni, in
premio delle loro benemerenze, a' nobili fratelli Caccia (3) ; e il
21 successivo, ma questa volta da Vimercate, eguali prerogative
rilasciava, per la stessa causa, al cremonese Giovanni Filippo
de' Migli e a' suoi figliuoli (4). Né qui cessarono le munificenze
ducali; ma siccome esse appaiono in parte posteriori al già citato
elenco de' militi e cavalieri ed emanate a Milano o ne' suoi din*
torni, così crediamo opportuno parlarne dopo.
Ed eccoci alla parte più scabrosa, sebbene apparentemente più
nota (giacché quivi non farebbero difetto le memorie e gli scritti
de' contemporanei), dell'operato di Francesco Sforza : intendiamo
alludere alla sua azione militare e a quella politico-diplomatica.
Ma prima di tutto sarà bene conoscere una volta per sempre
il suo u itinerario », che va dagli ultimi di febbraio a quando stabilì,,
in via definitiva, la propria corte in Milano (5). Per questo sono
a noi di grande giovamento le non poche lettere del duca, che
trovammo ne' più volte citati Frammenti di « Registri Ducali >^
(1430-52), non che nel volume « Registri di lettere ducali w (1450-55)
esistente all'Archivio civico storico di Milano, e che risalgono ap-
punto a tale epoca: alcune di esse furono già studiate, altre ve-
dremo in seguito, altre ancora (e sono le più numerose) conten-
(1) Arch. cit., Reg. cit. ; è controfirmata « Cichus ».
(2) Ibid , Reg. cit., fasci 1445-30, fol. 246.
(3) Ibid., Reg. cit. e fasci citati, foli. 241-42. Ne sono ricordati i nomi:
Azone (primogenito), Jacopo, Antonio, Galvaneo, Matteo, Lancellotto, Tommaso
e Pallavicino ; erano figli del fu nobile Giovanni, castellano del Castello Grande
dì Pavia.
(4) Ibid., Reg. e fasci citati, fol. 222 v.
(5) Di questa corte o « famiglia ducale » (ora si direbbe « casa civile e
militare ») avremo occasione di discorrere in seguito; cfr. per intanto, sebbene
le notizie siano di data alquanto posteriore, ciò che dice in proposito il For-
MENTINI, Op. cit., p. 90 Sgg.
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 4I
gono semplici passaporti o salvacondotti. Devono essere state tutte
quante stese nella così detta « cancelleria di corte », la quale se-
guiva sempre il principe (i); mancano del sigillo perchè, anziché
neiroriginale, ci sono pervenute nella minuta, ossia in quella specie
di registro, che oggi più propriamente si suddivide in « protocollo »
e « copia lettere »» (minutario); le controfirmano ora Cicco Simo-
netta, ora Giovanni de Ulesci ed ora Persanete, cioè i tre cancel-
lieri addetti al servizio particolare del duca. Dal loro complesso
adunque risulta, in modo non dubbio, che lo Sforza fu a Vimer-
cate dal 26 febbraio al 12 marzo inclusivo; che di qui si recò a
Monza, dove rimase dal 13 a tutto il 20 marzo; che dal 21 al 23
fu di nuovo a Vimercate ; e che finalmente, col giorno 24, si fissò
a Milano, donde non si mosse più (2). Tutti questi cambiamenti
(i) Sotto i Visconti c'era anche la « cancelleria di stato » o « curia »;
questa risiedeva sempre a Milano (cfr. F. E. Comani, Usi cancellereschi viscontei^
in quQst^ Archivio, XXVII, 1900, i, pp. 391-92). E che essa abbia subito fun-
zionato, sotto la interinale dipendenza del Gonzaga, è provato, fra l'altro, da un
documento dell'8 marzo '450, cui vedremo, autenticato da Antonio de' Pessina,
« Cancellarie secrete ducalis Cancellarius », « iussu prefati domini Caroli » [Gon-
zaga], in Arch. di Stato di Milano, Doctim. diplom., Dom. Sfor^.^ 14^0.
(2) Ecco gli ordini, non ancora visti, emanati dallo Sforza o scritti in nome
suo dal campo di Vimercate: i.**) 2 marzo. — Lettera di passo « in ampia forma »,
valevole a beneplacito, a Giusto Robugo di Lodi e a tre suoi compagni. Firmato:
« Giovanni de Ulesi » (Reg. due, tee, fol. 235 v.); 2.°) 5 marzo. — Salvacon-
dotto a Giovanni della Noce, « militi et armorum ductori », di partire dilla
valle di Lugano con non più di 25 persone, a piedi o a cavallo, e « ad ex.tiam
« Ducis ubicumque fuerit accedendi », per ritornare poi alla detta valle ; valide^
per otto giorni. Firmato : « Giovanni de Ulesi » (ibid., fol. 221) ; 3.°) 9 marzo.
— Salvacondotto a Spagnuolo armigero di recarsi ovunque voglia, e al servizio
di qualsiasi capitano o condottiere, con io famigli. Firmato: « Giovanni de
Ulesi » (ibid., fol. 221 v.) ; 4.°) io marzo. — Salvacondotto al marchese Rolando-
Pallavicino, a' suoi figli e famigliari di andare liberamente, ecc. da qualunque
parte « ad omnes ciuitates, terras, uillas, oppida et loca nostra » ; ine. : a Fran-
« ciscusforcia Viceconies Dux Mediolani etc. ». Firmato: « Cichus » (ibid., fol. 225);
5.°) 12 marzo. — Salvacondotto a Francesco Squarzafico d'Alessandria di venire
dallo Sforza, e quivi dimorare e partire a suo beneplacito ; e ciò dietro istanza
di Andrea Birago. Firmato : « Cichus » (ibid., fol. 223). — Da Monza: i.°) 13 marzo.
— Lettera di passo, valevole a beneplacito, ai seguenti cittadini di Tortona : Pal-
merio de Palenzona, Nicolao id., Ottaviano id., Amedeo id. Firmato : a Cichus »
(ibid., fol. 225 V.); 2.°) 14 marzo. — Lettera di passo e salvacondotto, della du-
rata di 15 giorni, ad Evangelista de' Sabelli, « nuper ad seruitia domini con-
ce ducto w. Firmato: « Giovanni de Ulesi » (ibid., fol, 222 v.); 3.**) 15 marzo^
42 ALESSANDRO COLOMBO
<ii sede del quartier generale non implicano tuttavia una generale
dislocazione dell'esercito sforzesco, almeno ne' primi tempi. Esso
si può dire che sia rimasto quasi sempre ne' luoghi occupati prima
del 26 febbraio; e solo quando il duca fu sicuro che gli ultimi
reparti veneziani aveano definitivamente abbandonato il territorio
lombardo e la linea dell'Adda (i), anche per far riposare le proprie
— Lettera di passo a Beffino e Alberto de' Silicornia. Firmato: « Giovanni »
(ibid., fol. 223 V.); 4.*') 16 marzo. — Salvacondotto ad Arcita de' Tuderto, ar-
migero del conte Carlo da Montone, di andare da dovunque a Milano, insieme
con Donato di Lodi e Jacopo di Legnano, a prò aliquibus suis negotiis pera-
« gendis » ; valido un mese. Firmato : « Giovanni » (ibid., fol. 223 v,); 5."^) id. —
Lettera di passo al dottor Franchino da Castiglione per ritornare da Ferrara a
Milano, senza pagamento di dazi, con la sua famiglia e 25 servi. Firmato :
« Giovanni » (ibid,, fol., 223 v.); 6.°) 17 marzo. — Lettera di passo a' fratelli
Giovanni, Giuliano e Gaspare de' Santo, di Trezzo. Firmato: « Giovanni »
(ibid., fol. 223); 7.°) Id. — Licenza ad Enrico Sentiglies, germano del marchese
di Cotrone (il Centiglia), a stand i et commorandi in terris et locis domini ».
Firmato: « Cichus » (ibid., fol. 223 v.) ; 8.0) 19 marzo. — Lettera di passo a
Giovanni e Jacopo de Asti di Reggio. Firmato: a Cichus » (ibid., fol. 223);
9.°) 20 marzo (?) — Salvacondotto a Pietro Angelo Provvisionato di venire da
qualunque luogo a Milano, e di ripartirne con due compagni ; valevole 10 giorni.
Firmato: a Giovanni » (ibid., fol. 225 v.). — Di nuovo da Vimercate: i.°) 23 marzo.
— Salvacondotto e licenza a Gregorio Graziolo di Imola e a Dionigi di Capriano,
vetturale, di partire insieme o non da Bologna per recarsi a Ginevra {Gebenna) con
le loro merci e bestie, e di ritornare id. a Bologna : valido per un anno. Firmato :
« Persanete » (ibid., fol. 221). Altri ordini vedremo per disteso in seguito; cosi
anco quelli d. d. Milano, che cominciano appunto col giorno 24.
(i) Il Simonetta riferisce che, non appena lo Sforza giunse a Vimercate, di
ritorno da Milano, un messo di Roberto Sanseverino lo avvertì che il Malatesta
e gli altri generali veneti, fatti consapevoli « ex crebra ignium significatione »
della resa di Milano, avevano piìi che in fretta ripassato l'Adda, distruggendo
perfino il ponte, costrutto da loro stessi ad Olginate (op. cit., p. 602). Più tardi,
quasi abbandonando definitivamente l'impresa di Lombardia, lasciate a alle stanze »
nel bresciano, nel bergamasco e nel veronese le truppe del Piccinino (passato al
servizio della Serenissima con uno stipendio di 10.000 ducati al mese; Soldo,
p. 863) e degli altri contestabili, il Malatesta ritornò nell'Emilia e nel Piceno
(Simonetta, op. cit., p. 603); il Corio, (voi. III, p. 181) dice a in Romagna e
« nella Marca ». Dal racconto simonettiano appare che questa dislocazione del-
l'esercito veneto, alla quale corrispose un'altra dell'esercito sforzesco sulla riva
destra dell'Adda, avvenne poco prima che il duca di Milano si portasse a Monza,
cioè avanti il 1 3 marzo. Cristoforo a Soldo invece, che di questi movimenti dei
generali veneziani, agli ordini del Malatesta, ci ha lasciato una particolareggiata
-descrizione, dice che « le genti della Signoria », passato l'Adda il 26 febbraio, si
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 43
truppe, stanche delle fatiche della lunga guerra, permise loro di
prendere i così detti « quartieri d'inverno », dando però ordini
severi affinchè fossero rispettate le proprietà de' privati e non si
facesse troppo sentire, a' singoli comuni, il gravame degli alloggi
militari (i). Più tardi, e cioè quando si avvicinò il momento del
fermarono nel bergamasco a perfino che il Conte ebbe mandati i suoi alle stanze »,
« che solo allora, cioè nella settimana santa, « che fu a dì III d'aprile 1450 »,
vennero a più comodi quartieri nel bresciano, nel veronese e nel vicentino,
rimanendo poche forze nel bergamasco e a Ghiaradadda (op. cit., pp. 863-64).
Dove fosse il Malatesta, egli non dice precisamente ; dal suo racconto, però, ri-
sulta che non si era ancor mosso dal grosso dell'esercito, risiedente nel bresciano
€ costituito appunto da' soldati del Colleoni, del Piccinino, di Gentile da Leo-
nessa, di Cesare Martinengo, di Guido Rangone, di Matteo da Capua, di An-
tonio Nardo e Corrado del Viano. Invece erano stati mandati nel veronese e nel
vicentino Cristoforo da Tolentino, Bertoldo Marchese, Colla di Sant'Agata, Ro-
berto da Montalbotto, Giovanni Conte e Jacopo Catalano : tutti conestabili di
cavalleria. Nel bergamasco eransi fermati Ludovico Malvezzo, Tiberto Brandolino,
Giovanni Villano e Guido Benzone, oltre a circa 5000 fanti. Prima di chiudere
questa nota, ci piace di ricordare due salvacondotti, concessi dallo Sforza, l'uno
d. d. Vimercate 9 marzo a Pandolfo da Fano, famigliare di Sigismondo Malatesta,
per recarsi con due « soci » da Martinengo a Vimercate per il ponte di Cassano,
« quindi a Milano, ma senza i « soci », e ripartirne « cum tribus elmectis et
« nonnullis petijs armorum » per far ritorno dal Malatesta ( valido per 6 giorni ;
firmato : « Persanete », in Re^. cit., fol. 221 v.) ; e l'altro d. d. Monza 19 marzo
a Giovanni Piccinino da Bergamo, « sociah M.ci Bartholomei de Culionibus »,
per venire da qualsiasi parte a San Colombano con un servo, armi e robe (valido
per un mese ; firmato : « Giovanni », in Reg. ecc., fol. 223). Un cenno poi
p sulle mosse de' veneti al di là dell'Adda trovasi nella seguente lettera da Lodi,
18 marzo, di certo Foschino a certo Donato (Arch. cit., Docum, diplom., Dominio
Sfor^,, I4S0) :
« Memoria sia uoi Donato, de dire alo nostro lU.mo S. comò hozi è uenuto
« Messer Jacomo Antonio mircelo al luocho de Cereto, et ha lasato in esso
« luocho ZuHano de fanno [Fano] cum fanti circha sixanta, e mostra de uolere
« far fare forte, e metegli gente assay.
« Item ha diete uno famiglo de petro Sacho asay inteligente, quale mandò
"« dicto petro de là, per cerchare uno canaio da zostrare per la festa ».
Della occupazione e fortificazione di Ceretto, come di altri luoghi del mi-
lanese, per parte de' veneziani, avremo modo di parlare nel cap. IV, a proposito
delle trattative corse nel giugno '450 tra la Serenissima e il duca di Milano.
(i) Il Simonetta (op. cit., p. 603) fa sapere che lo Sforza aveva divisato di
■dividere il proprio esercito « in omnes ciuitatum fines » ; la frase non è troppo
<:hiara, giacché potrebbe intendersi anco per le città di confine. Quanto all'ordine
di non mutare alloggiamenti né di recar danno o peso con questi alle popola-
zioni, si possono consultare con profitto le seguenti due lettere, l'una del 1 5 marzo.
44 ALESSANDRO COLOMBO
solenne ingresso, pare che abbia accresciuto le forze, che teneva
sotto il suo diretto comando: così almeno si rileva dalle nuove e
pressanti richieste di viveri e di foraggi (i).
scritta da Lodi e diretta al podestà e agli uomini di Glarole (?), l'altra del 19.
successivo, inviata da Jacomaccio da Salerno al suo signore, in risposta a recenti
istruzioni da lui ricevute. Notisi, che la lettera del 13 è firmata « Cichus » ; lo
che può far credere che il duca, partendo da Vimercate, fu per qualche giorna
a Lodi. Dalla lettera poi di Jacomaccio, il quale si trovava in Val Ganna, risulta
in modo chiaro che si attendeva da un momento all'altro l'ordine di un par-
ziale concentramento. Ecco, nel loro testo completo, i due notevoli documenti :
i.") Arch. cit., Reg. eh., ecc.
a Potestati et hominibus glarolarum
« Dux Mediolani etc.
« Dilecti nostri. Respondendo ad quanto ne ha dicto misser Sceua nostro-
<i per vostra parte, uè dicimo nostra intentione è che li non uenga ad allogiare
c( altri soldati, corno quili de fiorauante da perosa nostro conductero, quali haueti
« al presente, et a quilli dati segondo l'ordini usati, né ad altri respondeti de
« alloggiamento, né de taxa, dechiarandoui etiamdio volimo a tal carigo siano
« obligati et astricti ciascaduno solito per lo passato contribuerli a simel cose,
« et così omnino obseruati, auissandoue questa biaua et frumento, qual al pre-
ce sente date ad queste genie, intendimo non la dati alloro per taxa, ma ad Noy
« che integramente per iusto precio ui la pagarimo.
« Dat. laude XIIJ Marctj 14^0. « Cichus ».
2.°) Arch. cit., Docum. diplom., Dom. Sforai. :
« Illustrissime Princeps et Ex.'"*^ D.ne Domine mi singularissime. Questa-
« mattina ho uisto lectera della V. Ex.tia directiua ad Sagramoro da panna,
(( Conte Johanni angusarola, Anguelello et mi, dati al dì de heri, per la quale ner
« scrivete che ciaschuno ritorni ai suoi allozamenti, et così in executione di quella
f( io in questo punto monto ad cauallo con tutte queste gente son qui, uideli-
« cet quelli del s. Corado, christofano da Cremona, Luca schiauo et Schara-
(( muza da Loreto et Janei, et admouendo per ritornare ai decti nostri lozamentì,.
« siche ne auiso la V. S., alla quale deuote me racomando.
« Dat, In ualle gatte, die XVIIIJ" Martij 14^0.
« E. V. J. d. a Seruus Fidelissimus Jacomacius de
« Salerno ».
A tergo : « Illustrissimo principi et excelentissimo | domino domino meo-
« uictorissirao Domino Duci | Mediolani etc. Papié anglerieque corniti ac Cre-
« mone domino. | Per ufitialem buUettarum Mediolani. cito. cito, cito ».
Può anche interessare la lettera d. d. Milano 27 marzo 1450, firmata a Jo-
« hannes » (Arch. cit., Reg,, ecc., fol, 226 v.), in cui si ordina alle truppe stan-
ziate a Incino, « in partibus plebis incini », di non recar danni o molestie alla
casa, massari, fittabili e coloni del convento di S. Antonio, né ai beni da' frati
stessi posseduti « in loco herbe » (ad Erba).
(i) Si veda per intanto la seguente lettera di passo, d. d. Milano 24 marzo^
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 45
Esaminati così tutti que' fatti, che potevano in certo qual modo
turbare in noi la visione precisa dell'opera di Francesco I Sforza,
cediamo ora quello che, con vocabolo forse non del tutto proprio,
abbiamo chiamato « azione politico-diplomatica », e che formò pre-
■cisamente la sua linea direttiva di condotta. Giacché, se a lui pre-
meva assicurarsi l'affetto de' nuovi sudditi con una saggia e forte
amministrazione — per questo appunto egli, pur lasciando ampi po-
teri al Gonzaga (i), amò qualche volta intervenire di persona negli
affari di Milano (2) — , non si illuse mai di poter con le sole sue forze
e firmata « Cichus », valida per tre mesi, e rimessa al mantovano Giovanni
^ella Strata (Arch. cit., Reg., ecc.):
« Die XXIIIP Marcii 14^0.
« Facte, et concese sunt litere Johanni de la strata, ciui mantuano, et suis
« conducendi a partibus inferioribus et terris non suppositis ili '"" d. d. nostro ad
« has partes modios mile bladorum, videlizet frumenti, sicalis et milii, ad mensu-
« ram mantuanam uel cremonensem, prò fulcimento exercitus et usu curie et
« municione fortiliciorum, sine solucione etc. Valit. mensibus tribus.
« Dat. Medioìani.
« ClCHUS ».
Non che l'altra lettera d. d. Milano 28 marzo, firmata dal duca e diretta ai
Maestri delle Entrate, nella quale, oltre al pieno soddisfacimento del suo credito
al castellano « de uno di Castelli de Berinzona » (Bellinzona), vuole a che ad
« ant." de la chiesa fazati dare et exbursare vinti ducati d'oro per pretio de certo
« feno dato per luy ad Monza, per uso della corte nostra.... ». Detta lettera,
controfirmata « Cichus », esiste in copia autentica nell'Arch. cit., sede Missive
Ducali, Registri, cart. i, fascio 2, fol. 2 v.
(i) Abbiamo già citato la grida del 28 febbraio, relativa agli ultimi capitani
■e difensori della libertà (edita dal Morbio) ; con istrumento 8 marzo, rogito
Antonio Pessina, il Gonzaga stesso assumeva al suo servizio l'armigero Demetrio
Albanese, fratello di Andrea (Arch. cit., Docum. diplom., Dom. Sfor^., 14^0).
(2) Già riportammo la lettera di conferma de' 6 tubatori del comune, d. d.
Monza 19 marzo. — Dietro istanza di Andrea Birago, lo Sforza facea scrivere,
addi 12 marzo da Vimercate, al luogotenente e capitano generale in Milano, Carlo
Gonzaga, avvertendolo come « prò presenti complacuit Guilelmino de Mareliano
« (Marliani), quod Gabriel tauerna morari et habitari possit libere et secure,
« prout facerat antequam prelibatus d. d. n. obtinuisset dominium inclite sue
« ciuitatis Medioìani ». Firmato: « Cichus » (Arch. cit., Reg.^ ecc., fol. 223).
Per ordine poi del proprio signore e duca il Gonzaga, addì 16 marzo, disponeva
che tutti i libri e scritture, « a li dì passati asportate fora de la corte del Arengo,
« li quali solo aspectano a la camera de la excell. sua », venissero consonati ai
^magistrati delle entrate ; e così facessero, nel termine di tre giorni, sotto pena
46 ALESSANDRO COLOMBO
difendere il dominio, che avea acquistato a prezzo di tanti sagrifici,.
mentre perdurava Tostilità patente de' veneti e dell'imperatore, e
poco sicuro si sentiva da parte del pontefice e de' re di Francia
e di Napoli. Quindi è che, appena giunto a Vimercate il 26 feb-
braio, dopo aver preso quei provvedimenti d' urgenza che cono-
sciamo, si affrettò nella notte (così narra il Simonetta) (i) a co-
municare con lettere ai potentati italiani, non che a molti di fuori^
il lieto evento « de parto Mediolanensi imperio », sicuro in cuor
suo che essi (cioè i nemici) non avrebbero potuto fare a meno di
riconoscere il fatto compiuto. Ci è stato conservato l'elenco delle
« andate deno fare li trombecti delo 111. S. Conte per portare la
« nouella... delo 111. supradicto Conte facto diica de Milano »; da
esso appare che la prima ad essere avvertita fu naturalmente la
la moglie sua Bianca, a Pavia (2). In pari tempo brigava per otte-
nere, fin dove gli fosse possibile, il favore delle città e signorie
più vicine, e quindi più pericolose, la dedizione o 1' alleanza di
quelle, che ancora non si erano date o unite a lui; e trascurando
in apparenza coloro, i quali per la lontananza o per altri motivi
non gli potevano subito nuocere, ne spiava però di nascosto, per
mezzo de' fidi che teneva sparsi dovunque, ogni atto, ogni pensiero.
Così è che quasi nel medesimo giorno, e non appena le truppe
venete ebbero evacuata la Brianza, le città di Monza, Como (3) e
di tre tratti di corda ed altre pene da stabilirsi, que' privati die per caso ne
tenessero « presso di sé ». Pure in quel giorno, e sempre dietro ordine del suo
principe, egli vietava a qualunque persona di menar via legna tagliata da' bosciii
di Cusago, « senza licentia et consentimento de li merchadanti milanesi, a li
« quali spectano diete legne per vigore de lo incanto suo », sotto pena di 12
ducati d'oro e perdita di bestie, carri, ecc. Entrambe le gride, pubblicate il mat-
tino appresso dal tubatore Bertolino di Forlì, sono edite dal Morbio (op. cit.,
pp. 536-37; docc. CXLI e CXLII).
(i) Simonetta, op. cit., p. 602: « post ubi Vicomercato ad multam noctem
c( appulit... ».
(2) De:. VI.
(3) Il 2 marzo si rendeva la rocca o fortezza, tenuta già da Matrognano
Corio, dietro il compenso di mille ducati, da pagarglisi sui primi redditi de' dazi
di Como stessa ; cfr. lettera dello Sforza a' maestri delle entrate, sotto quella data,
in Arch. cit., Miss, due, Reg., ecc. Da una lettera poi dì data incerta, ma ascritta al
1453, contenente la supplica dell'armigero Barberio di Como, « cassato » (come
si diceva) dalle squadre di Alessandro Visconte, risulta che detto Barberio fu
( quello che era cum lo Conte dulce et che se adoperoe tanto in li seruitij
ECC. 47
Bellinzona (i), ultimi avanzi della aurea repubblica ambrosiana, si
arresero allo Sforza: il loro esempio fu ben tosto seguito da altre
terre; e cioè da Borgo Torno (2) della diocesi comense, da' co-
muni di Corenno e limitrofi del lago di Lecco (3), da Abbiasca (4),
diocesi milanese, sui confini della valle Levantina. Anche coi si^
gnori di questa, e delle valli vicine di Locamo, di Lugano, ecc.,
il duca nostro cercò di venire a patti o di migliorare i rapporti;
molto interessanti appunto sono le istruzioni, che egli diede in
proposito al suo commissario « in partibus » di Lugano, Ettore del
Po (5). Ma di tali negoziati, condotti alquanto per le lunghe, avrema
« de la S. Vostra, a la quale feci dare cum la sua industria lo laco da Como^
« ponendosi ad grandi periculi » (Arch. cit., sede Militau, Guerre, 142^-60, mi-
nuta, cart.). Sulla resa di Como e sui capitoli firmati il 4 marzo tra i delegati
di detta città e lo Sforza, cfr. Cantù, Storia della città e diocesi di Como, Fi-
renze, 1856, voi. I, p. 311.
(i) Cfr. E. Motta, Bellinzona e Francesco 1 Sforma, nel cit. Boll. stor. della-
Svili. Ital, a. Ili, 188 1, pp. 12-17. 1 capitoli editi dal Motta, firmati a Monza-
(25 in tutto) fra il duca di Milano e gli ambasciatori di Bellinzona Giorgio Rusca
e Giovanni de Cuxa, portano la data del 16 marzo '450, ed esistono in copia cart.
(minuta) nell'Arch. cit , sede Comuni, Canton Ticino, Bellinzona. Addi 28 marzo poi,,
con sua lettera a' maestri delle entrate, già ricordata, lo Sforza dava ordine che
(( Francischo Criuello, Castellano de vno di Castelli de Berinzona », fosse sod-
disfatto di quanto diceva « douere hauere » (oltre a 400 ducati) « per lo suo-
(( seruitio del tempo passato », e intanto ricevesse in acconto 100 ducati, « me-
« dianti li quali se possa leuare da la dieta Rocha comò hauemo ordinato »
(Miss, due, Reg., tcc~). Come pare, il Crivelli dovea essersi oberato di debiti, e
i suoi creditori, ove non fossero stati in parte soddisfatti, gli impedivano di par-
tire. Ecco il perchè dell'ordine dello Sforza.
(2) Il giuramento dì fedeltà fu prestato da' sindaci e procuratori dì quel,
comune il giorno 20 marzo, in Monza. Arch. cit., Reg. qcc, Framm., 14^0-^2.
(3) I capitoli furono presentati allo Sforza, e concordati e giurati il 24 marzo,,
in Milano. Arch. cit., Tritati, 1428-53.
(4) Cfr. E. Motta, op. e loc. cit., pp. 41-44. 1 capitoli, in numero di 9, con le
risposte del duca, portano la data del 25 marzo; ne esistono due copie cartacee
all' Arch. cit., sede Comuni, Canton Ticino, Abbiasca.
(5) Portano la data del 27 marzo '450, x\rch. cit., Reg. due, Framm., qcc.i
« Die XXVI J. Marcii 14^0.
a Scriptum fuit Hectori de pado, Commissario in partibus vallis lugani, in
« effectu quod non astringat infrascripta loca ad prestandum et ad iurandum sibi
« fidelìtatem, nomine III. d. d. nostri, quam admodum astringere et artari uisus
« est, ut per querimoniam notificauit M. Comes Franchinus Ruscha prelibato i. d.,
« exponens dieta locha esse sua et quamdiu ipsa possessisse : Sed potius intelligat
48 ALESSANDRO COLOMBO
modo di parlare in seguito, trattando dell' alleanza fra il duca di
Milano e gli Svizzeri; allora si vedranno pure altre paci e con-
venzioni non meno notevoli.
Una lettera scritta da Roma il 9 marzo '450, e diretta dal-
l'agente sforzesco Vincenzo Amidano al suo signore, ci informa,
con la solita e minuta esattezza degli inviati di allora, della im-
pressione che colà destò la notizia improvvisa della resa di Milano.
E mentre fa conoscere che il pontefice, in certo qual modo, non
■era alieno di venire ad accordi col nuovo duca, ci fornisce altre
non meno interessanti notizie sugli avvenimenti generali d* Italia,
cui in parte già abbiamo accennato nel primo capitolo. Comincia
adunque il nostro oratore col dire che, giunto il giorno 4 in questa
città, secondo gli ordini ricevuti, egli si era affrettato a chiedere
udienza dal papa, ottenendone però risposta evasiva. Evidente-
mente qui si allude alle pratiche per un'intesa tra la Santa Sede
e lo Sforza, in previsione del prossimo acquisto dell'ex-ducato vi-
sconteo: per questo motivo appunto l'Amidano era stato da poco
spedito a Roma. Ma pervenuta nel frattempo, per la via indiretta
-di Firenze e di Ferrara, « la nouella felicissima de la reductione
« de Milano ad la obedientia de la V. S. », mentre ufficialmente
non la si conosce ancora, « del che et N. S. papa et s." cardinali
« et ciascuno molto si merauiglia » (i), egli si è recato di nuovo
da Sua Santità, per assicurarla ora più che mai della illimitata de-
vozione del suo principe ; e aggiunge che gli avrebbe parlato « con
« più audacia », se avesse già ricevuto sue lettere al riguardo.
Tuttavia, da quanto si può comprendere, « a la S.^* soa è grato
« ogni bene e stato de la S. V. », quantunque, secondo il suo co-
stume, non lo dia ancora a conoscere in modo palese. Dando poi
notizie dell' Arcimboldo e del Simonetta, che noi sappiamo essere
stati mandati a Napoli per istringere con quel re un'alleanza contro
Venezia, dice che solo il secondo era fino allora « giunto » in quella
città. Quanto all'accordo così strombazzato tra Alfonso e la Sere-
nissima, quantunque ne siano giunte le voci anco a Roma, egli non
<i dictus hector, si sic est prout expositum est; et deinde de ipsius rei ueritate
« prelod. d. nostrum suis literis reddat auisatum ».
(i) Noi sappiamo però, dalla « nota de' messi » spediti il 26 febbraio, che
^ra pure stato staccato quello che dovea recarsi al « Beatissimo nostro Papa »
-ed a diversi cardinali.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 49
crede affatto che sia stato conchiuso, perchè il papa e lo stesso
ambasciatore veneto, « secondo sento, affermano non ne sapere
« niente »; tuttavia non mancherà di informare in proposito il
proprio signore, appena saprà qualche cosa di più certo. E intanto,
a fine di non indisporre l'animo del pontefice, gli raccomanda di
non osteggiare al fratello di lui cardinale la presa di possesso del
priorato di Campomorto, avuto testé in commenda (i).
Parecchie importanti considerazioni si possono dedurre dalla
lettera dell'Amidano. Anzitutto la pretesa alleanza tra Venezia e
Napoli, benché desiderata dalla prima, era ben lungi dall' essere
li divenuta un fatto compiuto. Del resto se ne curava tanto poco lo
Sforza, che egli si affrettò, come narra Giovanni Simonetta (2), a
richiamare i propri ambasciatori, date anche le eccessive pretese
di re Alfonso. Però non volle lasciar interrotte le pratiche già così
bene iniziate con la Santa Sede; e quale fu il loro risultato, ve-
dremo nel capo seguente. Allora pure si parlerà de' passi da lui
fatti col re de' Romani Federico III, col re di Francia Carlo VII
e, mediante il concorso del fedele suo alleato Cosimo de' Medici,
con gli stessi veneziani e il re di Napoli.
Che il duca Francesco I avesse intendimento di fare, il più
presto che fosse possibile, il suo ingresso in Milano è provato,
oltre che dalla lettera del io marzo a' pavesi, edita dal Magenta (3),
con la quale appunto annunciava loro da Vimercate la sua pros-
sima incoronazione e ne invitava alle feste i rappresentanti (4), da
(i) Arch. cit., Potenze estere, Roma, 1591-1^5^.
(2) SiMOMETTA, op. cit., p. 603, Il re di Napoli pretendeva, fra l'altro, la
•cessione di Panna e della fortezza di Pisleone. Più tardi però, come vedremo,
non si rifiutò il duca di Milano di intavolare nuove trattative con lui a Ferrara.
(3) Magenta, op. cit., voi. II, p. 223, doc, CCL. La lettera, scritta da Vi-
mercate e controfirmata « Andreas Fulgineus », è diretta « Egregiis dilectis no-
« stris Presidentibus negotiis Communitatis Ciuitatis nostre Papié » ; esiste in
originale nel Museo civico di storia patria in Pavia, palazzo Malaspina (già Ar-
chivio civico). Notevoli, fra le altre, le seguenti frasi : « . . . Qui quidem prin-
« cìpatus [di Milano] nobis juie hereditario in successionem obveniebat »; e:
«... visum est conuenire nostre erga vos beneuolentie, ut veniatis nostri eius
r; <( gaudii participes de ipsa re vos certiores efficere pariter et adhortari placeat ad
« ipsam urbem ad vigesimumsecundum diem presentis, quo tante iocunditatis
^<c actum celebrari decretum est. ».
(4) È naturale che ne abbiano avuto l' invito, con una lettera pressoché sl-
amile, anche le altre città del ducato : questo dice chiaramente il da Soldo (loc. cit.).
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VII. 4
50 ALESSANDRO COLOMBO
altri ordini emanati in proposito a Milano. L'annotatore al Corio (i)
fa osservare, che ne' registri della Fabbrica del Duomo si trova
una ordinazione del 15 marzo, affinchè in quella metropolitana si
inalzasse un trono per Francesco Sforza e la sua moglie Bianca
Maria, nella imminenza della solennità ad essi dedicata (2). Allora
il duca si trovava da qualche giorno a Monza, dove si era recato
con la sua corte per essere, come dice il Simonetta (3), « oppidum....
Per quanto riguarda il comune di Vigevano, noi sappiamo che vi furono man-
dati il nobile Abramo Ardici! e il nipote suo Cristoforo ; cfr. il mio lavoro :
Un dono de* vigevanesi a Francesco Sforma - inarco 14^0, in quest'Archivio, XXXI^
1904, I, p. 98 sgg.
(i) CoRio, op. cit., voi. Ili, p. 194. Ma prima del Cantù lo aveva detto il
GiULiNi, op. cit., voi. VI, p. 470.
(2) Negli Ann. della Fabb. del Duomo, ecc., pubblicazione affidata appunto
alle cure di Cesare Cantù, trovasi precisamente a p. 135 del voi. II, in data
« domenica 1 5 marzo », la seguente notizia, che riportiamo :
« Preparativi affinchè i principi possano assistere
« alla loro solennità nel tempio,
« Deliberarono doversi costruire un rialzo (tribunale o trono) onorevole^
« idoneo e ben ornato nella chiesa, sul quale possano ascendere degnamente il
« principe e la duchessa a celebrarvi la solennità del loro solenne ingresso in
« Milano, stabilita pel 25 marzo (?), con la spesa di fiorini 100 e anche mag-
« giore ».
E a p. 72 del voi. Vili (voi. II delle Appendici, 1885), in data 27 marzo
[1450] :
« Magistro Donato de Sirtori inzignerio fabricae et certis laboribus (?) 1. 8
« mercede ipsorum, qui laboraverunt in construendo tribunali ad portam eccle-
« siae maioris Mediolani, et ad deponendum palios positos circumcirca altare
« dictae ecclesiae prò solemnitate illustrissimi et excellentissimi domini dom. no-
« stri, nec non illustrissimae et excellentissimae dominae dom. nostrae, et hoc
« quia laborauerunt in nocte et in festo, 1. 2, s. 14 ».
C è una evidente contraddizione tra il primo e il secondo documento ;
giacché, mentre in quello si parla di un trono da costruirsi nella chiesa, in questo
si dice che il trono stesso fu inalzato a ad portam ecclesiae », cioè al di fuori.
I documenti, che vedremo in seguito, ci proveranno che è da seguirsi la se-
conda versione.
(3) Simonetta, op. cit., p. 604. L'A. aggiunge che, durante la permanenza
del Conte in Monza, questi ricevette giornalmente gran numero di milanesi,
non che di letterati e poeti, i quali gli recitavano poesie ed orazioni laudatorie.
II GiuLiNi, op. cit., voi. VI, p. 470, e dietro a lui l'annotatore al Corio, loc. cit.,
ricordano che I'Argellati nella sua Bibliotheca, ecc., fa menzione di alcune di
esse e de' rispettivi autori.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 5I
i< et satis amoenum et Mediolano propinquum »»; quivi pure era
giunta da Pavia la duchessa col figlio, come dimostra una lettera
del Baganza al referendario di Piacenza, del 17 marzo (i), e più tardi
vi veniva anche il fratello Alessandro, signore di Parma (2). Nello
stesso giorno 17 marzo, per ordine dello Sforza, si pubblicava in
Milano la grida contenente « li capitoli.... in la materia de la giostra
« se debe fare a dì 23 del presente »; uno di questi capitoli
venne poscia modificato con altra grida del 19 (3), e di nuovo
messo in vigore, come prima, con una terza del 23, pubblicata il
mattino (4): riguardava esso la forma e la lunghezza della lancia
da adoperarsi dal giostratore; anzi con l'ultima grida, sempre ema-
nata per parte del duca, si fissava il termine definitivo per la va-
lidità delle iscrizioni (ore 19, mezzogiorno circa). Come si vede
adunque, se è vero quanto dicono il Simonetta e gli altri storici,
che da lui s' informarono, essere cioè stati indetti i festeggiamenti,
come tornei e pranzi, solo dopo la solenne entrata in Milano degli
Sforza e la loro consacrazione ufficiale nel massimo Tempio della
città, l'una e l'altra non poterono avvenire che prima del 23 marzo.
E difatti il duca, fin dal giorno 18, sollecitava l' invio delle nuove
vesti, che avea appositamente ordinate a Bologna, mandandovi un
proprio messo e facendo in pari tempo scrivere al bolognese Ga-
spare Malvezzo (5). Ma per fortuna ci è rimasto il documento au-
(i) [Arch. eh., Docum. diplom., Dom. Sforai., 14^0: « Questi di pasati,
« quando fuy dal Signore, gè proferse duy venzonj Je Vino de br. V l'uno,
l'uno per la Signoria Sua, l'altro per la 111.™^ madona Biancha.... ».
(2) Ibid., Alessandro Sforza al fratello Francesco. Certo, fra le « cose
« pertinente a la mia specialità », che il Maletta era incaricato di riferire al
duca, a nome del fratello Alessandro, era anche quella di avvertirlo del prossimo
di lui arrivo.
(3) Edita dal Morbio, op. cit., p. 538, doc CXLIII ; quivi appunto si fa
raccenno della grida del 17.
(4) Edita pure dal Morbio, op. e loc. cit., doc. CXLIV. Le lancie adunque
per la giostra sarebbero state consegnate dalla corte, in nome del duca, a ciascun
combattente nel momento di entrare in campo, mentre prima era stato permesso,
il porto di qualsiasi lancia, purché di identica lunghezza e munita del bollo de
maestro Ambrogio d'Appiano, « lanzero, su la piaza dell' Arengo, quale è deputato
« supra ciò » (grida del 19 marzo). Anche le selle dovevano essere bollate, e
precisamente dal maestro Caldino da Trezzo, « sellaro... chi sta presso il Duomo »
(grida del 23 id.).
(5) Arch. cit., Reg. due, Framm., qcc. :
52 ALESSANDRO COLOMBO
tentico, che fissa la famosa entrata, con tutte le funzioni inerenti
alla medesima, « il giorno di domenica 22 marzo » (i); questa è
pure la data ammessa « esplicitamente » da Cristoforo da Soldo (2);
ed altri documenti, che confermano il primo, abbiamo ancora rin-
venuti nell'archivio milanese. Né vale l'obiettare che il Simonetta
propende per il giorno della Santissima Annunciazione, che ricorre
appunto il 25 del mese sopradetto; giacché, come vedremo, egli
stesso si contraddice, volendo enunciare la medesima data secondo
il calendario romano (3). Quanto infine al particolare della giostra
rinviatasi, con una quarta grida del 23 marzo, ore 14 (cioè alle 8
circa del mattino, mentre la precedente era stata pubblicata solo
due ore prima), « per più ornamento et integrità » ai giorni 24
e 25 (4), basti pensare che lo Sforza, appena compiuta la cerimonia
« Modoetie die XVII J<i Marti] 14^0.
« Facte fuerunt littere passus Johanni de Melzio, ciui Mediolani, ituro ad
« partes inferiores causa exigendi et conduci faciendi nonnullas uestes, res et bona
« 111. mi domini ducis ex Bononia. Valitur duobus mensibus proxime futuris.
« Item scriptum fuit SpJi Gaspari maluecio, ciui Bononie, quod ad predicta
« equequenda (sic) prefato Johanni assista (sic) fauoribus, auxiliis et juuaminibus
« oportunis.
« « ClCHUS ».
(i) Si trova, nella copia esistente all'Arch. di Stato di Milano, in unione
con l'istrumento dell'i i marzo; per questo forse il Formentini (op. cit., p. 72)
lo ritenne una continuazione p meglio ratifica di quella, e ne pubblicò solo le
prime righe (p. 192): nulla di più inesatto. Una copia identica, estratta nel 1759
dal notaio Anton Francesco Verga, trovasi nell'Arch. civ. stor. {Dicasteri, cart. IV) ;
€ una terza, però detta sotto la data del 21 marzo, nel già citato cod. 1292 della
Trivulziana (doc. IV). Il Sickel dimostra di non conoscerlo affatto; e non lo
cita per conseguenza neanche il Bertolini. Lo ricorda invece il Giulini, voi. VI,
p. 472. Data la sua importanza, lo pubblicheremo integralmente ; cfr. doc. VII.
(2) Soldo, op. cit , p, 864 : « . . ordinò [lo Sforza] co' Milanesi di far l'en-
« trata a di XXII. di Marzo.... Quando fu il giorno di far l'entrata, cioè adì
« XXII, detto 1450, il detto Conte... ». Cfr. anche la lettera d'invito a' rap-
presentanti di Pavia del io marzo '450, edita, come sappiamo, dal Magenta.
(3) Difatti il Simonetta, op. cit., p. 604, dopo aver detto che lo Sforza
stimò opportuno rimandare il solenne ingresso « ad sextum Kalendas Apriles »
(= 27 marzo), come per spiegarne il motivo aggiunge che accettò questa data
« ob salutarem Beatae Virginis Annunciationem annua festivitate Celebris ».
(4) Vedila in Morbio, op. cit., p. 339, doc. CXLV. Con essa, il termine
utile della iscrizione è prorogato fino alle ore 15 del 24; il giostratore, pur uni-
formandosi a tutte le prescrizioni della grida precedente (lancia, sella bollata, ecc.),
deve consegnarsi « in su la giostra a decinoue hore del dì chel uorrà giostrare ».
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 53
della sua proclamazione a « duca di Milano », ritornò a Vimercate,
donde era partito il mattino del 22, per rimanervi fino a tutto il
giorno successivo, cioè fino a quando forse fossero preparati i
suoi appartamenti nel palazzo, che già dovette abitare lo suocero
defunto e che in parte sempre tenne, durante il tempo della re-
pubblica, la duchessa vedova (r).
CAPO QUARTO.
Come non si può ammettere la data del 25 marzo, general-
mente accolta dagli storici {2), e tanto meno quella del 27 (3),
quantunque anche a noi sia apparsa per un momento la più esatta (4);
così non sembra del tutto attendibile il racconto, che del solenne
ingresso di Francesco Sforza in Milano ci ha lasciato il Simonetta (5)
(i) Il duca Filippo Maria abitava di solito nel castello di porta Giovia, e
quivi anzi morì. Però avea il suo palazzo in Milano, l' Arengo ; ma esso era « in
a buona parte caduto » a' suoi tempi (Giulini, op. cit., voi. VI, p. 482). Fu
ristorato dallo Sforza, con il concorso della Fabbriceria del Duomo, e vi abitò
sempre, a detta del Giulini (op. cit., voi. VI, pp. 482-85). E che egli vi sia an-
dato subito, aggiungiamo noi, è provato dall' istrumento del 31 marzo 1450
(riguardante i patti e capitoli tra lo Sforza e il Doria), steso « ne la corte de
« l'arengho, caxa et habitaculo del prefato S. », come diremo a suo luogo. Sul-
l'« Arengo » cfr. pure Felice Calvi, // castello Vtsconteo-Sfor:(esco nella storta
di Milano, Milano, 1894, pp, 5-6 e nota 2 a p. 5.
(2) Gagnola, op. cit., p.' 127 ; Corio, op. cit., voi. Ili, p. 181 ; Giulini,
op. cit., voi. VI, p. 471 ; Rosmini, op. cit., voi. II, p. 453; Verri, op. cit., voi. II,
p. 56; RoMANiN, op. cit, voi. IV, p. 222; Ricotti, op. cit., voi. Ili, p. 150;
SicKEL, op. cit., p. 216 (e con lui il Bertolini); Cipolla, op. cit., voi. I, p. 439 ;
CUSANI, op. cit., voi. I, pp. 209-10; RUBIERI, Op. cit., VOl. II, p. 222; MaGENTA,
op. cit., voi. I, p. 445 (egli ammette la creazione de' cavalieri o militi tre giorni
innanzi) ; Beltrami, op. cit., p. 59. Abbiamo già ricordato che il . Ghilini, An-
nali d'Alessandria, all'a. 1450 parla di un solo ingresso, che avvenne secondo lui
il 27 febbraio (?!); e l'autore dell'ultima sua edizione (1904, voi. I, p. 479),
il Bossola, propende per il solito 25 marzo.
(3) FORMENTINI, op. cit., p. 69.
(4) Cfr. il mio lavoro : Un dono de* vigevanesi a Francesco I Sforma, ecc.,
già cit. ; preghiamo perciò il lettore a voler correggere colà il 27 in un 22, e ad
anticipare di alcuni giorni l'andata al campo dello Sforza da parte dell' Ardicii e
del Colli, per la consegna del dono del bacile d'argento.
(5) Simonetta, op. cit., pp. 605-08.
54 ALESSANDRO COLOMBO
Converrà pertanto riassumere ciò che in proposito dice il nostro
istrumento, e in pari tempo vederne le somiglianze o dij0ferenze
con la redazione simonettiana.
Anzitutto, il biografo dello Sforza lascia capire che, non ap-
pena giunse il giorno stabilito, il novello duca si recò, partendo
da Monza (i), sulla strada che da Milano conduce a Pavia, e di
buon mattino si fermò poco lungi dal sobborgo di porta Ticinese;
quivi già lo attendevano la moglie Bianca col figlio Galeazzo, il
fratello Alessandro, uno stuolo di oratori e di matrone, tutti i con-
dottieri e alcuni capi squadra alla testa di scelte milizie, i più co-
spicui cittadini incaricati espressamente di riceverlo, il carro trionfale
col baldacchino di seta bianca trapunta d'oro, e un' immensa folla
ansiosa e festante. Un po' diversa è la versione lasciataci dal-
l' istrumento del 22 marzo. Va da sé che, se si dovesse ammettere
come buona la data del 25, lo Sforza non avrebbe mai potuto par-
tire da Monza o da Vimercate, per il fatto semplicissimo che, fin
dal giorno prima, egli con tutta la sua corte si trovava a Milano,
e vi firmava decreti ed emanava ordini. Né é ammissibile che la
moglie sua e il figlio e il fratello e i condottieri con parte delle
truppe lo abbiano preceduto in Milano stessa, mentre egli vi sa-
rebbe giunto più tardi da solo, seguito naturalmente da' suoi fidi
cavalieri. E mentre é vero che si fermò a porta Ticinese, e di lì
poscia fece il suo ingresso solenne (2), un documento di data in-
certa, ma non posteriore al 1452, ci prova che, anziché l'aspettato,
fu lui ad aspettare « un pezo.. . la determinata bora del suo felice
il introito in questa sua inclita Citade m, smontando alla casa del
guardiano della cittadella di detta porta, Antonio de' Buschi sopran-
nominato « Giochino » (3). Il motivo di tale attesa è spiegato be-
(i) Anche il Cipolla, op. cit., voi. I, p. 440, è di questa opinione.
(2) Cfr. quanto scrive al riguardo il Verri, op. cit., voi. II, p. 36, nota 2.
(3) Arch. cit., Potenze sovrane, Milano, 14^0. È una supplica, che il Buschi
dirige allo Sforza, affinchè gli conservi e confermi quell' ufficio, che da lui stesso
avea ricevuto in memoria del felice ingresso ; giacché egli appunto « habita ne
(( la Citadella de porta Ticinese, et è quello in cui casa essa vostra s. per sua
a humanitade dismontò, e stete un pezo aspectando la determinata hora del suo
« felice introito... ». Tale ufficio consiste nel « dare il contrasigno et tenire vna
a de la giaue de la Gabella del Sale de Milano », e lo ha avuto per due anni,
cioè fino all'agosto 1452; per esso ha sborsato la somma di 60 fiorini alla ca-
mera ducale (una specie di cauzione) e riceve lo stipendio mensile di 4 fiorini,
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 55
nissimo dal nostro istrumento. Quivi infatti si dice che, in esecu-
zione de' deliberati dell'ii marzo 1450 (i), i cittadini tutti di Milano,
nobili e plebei, si riunirono secondo il solito cerimoniale in assem-
blea la domenica 22 marzo, per fissare le ultime modalità del
ricevimento; in precedenza si erano in modo solenne addobbate
le vie e gli edifici più notevoli della città. L' adunanza si tenne
senza dubbio nella nota chiesa di Santa Maria alla Scala; e là,
« mentre il duca e la duchessa e il figlio Galeazzo erano fuori della
« Porta Ticinese ad aspettare », fu stabilito in fretta l'ordine di pre-
cedenza del corteo, che dovea muovere loro incontro. Di una im-
portanza grandissima, come si vede, è V accenno che il duca col
suo seguito si trovava alle porte di Milano nel momento stesso,
in cui riunivasi il comizio di Santa Maria della Scala; se è esatta
l'affermazione del Simonetta, esservi egU giunto di buon mattino,
noi abbiamo una prova per sostenere che il detto comizio si rac-
colse precisamente la mattina del 22, giorno festivo e quindi più
adatto per simili solennità. E che con lo Sforza, in quell'occasione,
oltre la sua corte fosse anche una parte rilevante del suo esercito
€ tutti i suoi generali, è dimostrato e dalla lettera dell'Jacomaccio
in data 19 marzo e dal salvacondotto allo Strada del 24 dello stesso
mese. Vediamo ora in breve l'ordine del corteo, così come venne
deciso in quella memorabile giornata. Precedeva il clero in pompa
magna (2); seguivano i conti (nobiltà); quindi i membri de' due
consigli (3), il podestà colla sua corte, il vicario e i XII della
Provvisione co' loro officiali, il rettore della città, i varii ordini di
che, benché misero, pure è a lui necessario per vivere « cum cinque suoi fio-
(( leti ». E i maestri delle entrate, con motivi ingiusti, glielo vogliono togliere,
non restituendogli nemmeno la intera cauzione !
(1) Cfr. doc. IV.
(2) Era allora arcivescovo di Milano il cardinale Enrico Rampini (1443-50),
uno di quelli che venne maggiormente in soccorso del popolo milanese affamato,
durante il blocco stretto dal conte Francesco ; inviso a costui, aveva però dovuto
rifugiarsi a Roma, ove morì pochi mesi dopo il solenne ingresso del nuovo
duca. Al Rampini successe sulla cattedra di S. Ambrogio Giovanni III Visconti
(1450-53). Sul Rampini, cfr. la vita scrittane dal Sassi, in Archiepiscoporum Me-
diolan. Series Htstorico-Chronologica, cum ejus Vita et scriptis per B. Oltrocchi.
(3) Abbiamo già accennato al ducale consiglio segreto ; l'altro era quello
•detto di giustizia (Domini de Ducali Consilio Justitiae), composto di tre membri ;
cfr. FORMENTINI, op. cit., p. 74-
56 ALESSANDRO COLOMBO
magistrati (i), i singoli collegi de' Giureconsulti, de' Medici, de' Cau-
sidici e de' Notai, le società o paratici (mercanti, artisti, ecc.); e
infine tutto il popolo festante. Secondo questa disposizione, al suono
delle campane e degli altri istrumenti musicali, il corteo mosse da
piazza della Scala per recarsi in primo luogo in Duomo, e poi
nel cortile dell'Arengo; quivi furono levati il carro trionfale, le
vestimenta e le altre insegne duchesche: ciò fatto, andò incontro
al duca, alla duchessa e al figlio, che col seguito erano fuori porta
Ticinese, e, condotto loro dinnanzi « honorificentissime » il carro,
li introdusse solennemente e trionfalmente in città. Il Simonetta si
compiace di far sapere che il duca, per modestia, ricusò il carro
e il baldacchino, dicendo 1' uno e l'altro una superstizione di re (2);
Cristoforo da Soldo, ammettendo anch'esso che « non volle montar
« sul carro », aggiunge: « entrò a cavallo egli, e Madama Bianca
« sua donna,... e tutti e due vestiti di bianco, mandandosi innanzi
u mille schioppettieri, e poi dietro circa mille cavalli con le lance
« in mano » (3). Il nostro documento non rileva punto tale circo-
stanza. Ma la medaglia commemorativa, fusa per l'occasione e pub-
blicata la prima volta in fac-simile dal Muratori (4), ci proverebbe
che egli rifiutò bensì il carro, ma non il baldacchino. In essa infatti,
sul rovescio, il duca è rappresentato a fianco di detto baldacchino,
a cavallo, in atto di entrare in Milano in mezzo al popolo festante e
baciantegli le mani; intorno è la leggenda: « Clementia et armis
« parta ». Sul diritto poi si vede la testa del duca medesimo, con
in giro la epigrafe: « Franciscus Sfortia Vicecomes Dux Mediol. IIII »,
Neppure conforme alla relazione^ che noi possiamo senz'altro
chiamare ufficiale, è quella che del seguito e fine della cerimonia
ci dà lo storico dello Sforza. Secondo lui questi, in mezzo a una
grande ala di gente, si sarebbe recato « recto itinere » al Duomo
e, indossata la bianca veste di seta scendente fino ai piedi dinnanzi
(i) Cioè : i « magistri ititratarum » (5 membri), il tesoriere generale, i tre
ordini di ragionieri (« Rationatores ad papiri, ad expensae conficiens, ad cartam »),
il direttore del banco, la direzione delle gabelle, ecc. ; cfr. Formentini, op. cit.,
pp. 75-76.
(2) Simonetta, op. cit., p. 606.
(3) Soldo, op. cit., p. 864.
(4) Muratori, Antiq. ItaL M. £., II, p. 610 (in Additamenta ad nummos
Mediolanensium, n. XIV). La ricorda anche il Giulini, op. cit., voi. VI, p. 471.
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 57
alle porte di esso (i), vi sarebbe tosto entrato colla moglie, pren-
dendo posto con lei sul trono appositamente allestito : quivi sarebbe
avvenuta la solenne sua proclamazione a « duca di Milano », e
successiva consacrazione, e, dopo il bel discorso del Castiglione,
la prestazione del giuramento di fedeltà da parte de' sindaci delle
Porte, la consegna dello scettro, della spada, dello stendardo, delle
chiavi e del sigillo, la nomina a « conte » del suo primogenito
Galeazzo e del Vimercate, la creazione di cento e cinquanta « mi-
« lites u (2), scelti fra i più illustri e benemeriti cittadini e fore-
stieri. Vediamo ora quello che dice il nostro documento. Giunta
adunque la coppia ducale nella piazza dell'Arengo, prese posto
insieme al piccolo (3) Galeazzo sopra il palco, che per l'occasione
era stato eretto « ante faciem.... Ecclesie Maioris » (4); quivi subito
salì il Castiglione e, secondo il cerimoniale prestabilito, lesse per
primo il discorso di presentazione de' novelli duchi (5). Seguirono
successivamente: Oldrado de' Lampugnano, che indossò al duca il
clamide di damasco bianco intessuto di ermellino; il conte di Arona
Filippo Borromeo, che gli mise in collo il bavero o cappuccio fatto
della stessa stoffa; Pietro Visconti, che gli pose in capo il ber-
retto id.; Gaspare da Vimercate, che gli diede in mano lo scettro;
Antonio de' Triulzio, che gli consegnò nell' altra lo stendardo in-
quartato (aquila e drago); Melchiorre de' Marliano col sigillo; Pietro
de' Pusterla con la spada: tutti, nell'atto di presentare al proprio
signore l' oggetto loro affidato, si inginocchiavano dinnanzi a lui
« cum omni debita reuerentia ». Vennero dopo i dodici eletti delle
(i) Il Da Soldo, op. e loc. cit., come si è visto, pone la vestizione del duca
e della duchessa avanti l'entrata loro in città Gli altri storici e cronisti, già più
volte citati, seguono più o meno fedelmente il testo sìmonettiano.
(2) Il CoRio, op. cit., voi. Ili, p. 185, scrive che ne furono creati solo 50;
Cristoforo a Soldo (loc. cit.) che ne « fece ben cento... di tutte le sue terre »;
e « quamplurimos » dicono gli Annales Piacentini (loc. cit.), ricordandone otto^
tutti di Piacenza, naturalmente.
(3) Avea allora sei anni, essendo nato nel 1444 (24 gennaio), a Fermo.
(4) Veda il lettore, come questa frase del nostro documento concordi cod
quella contenuta nella bolletta di pagamento all' ing. Donato de' Sirtori, in data
27 marzo '450, cui più addietro abbiamo avuto occasione di riportare per intero.
(5) Due furono veramente i discorsi pronunziati dal Castiglione, in questa
memorabile giornata ; ma quello che riporta il Ripamonti, op. cit., dee. III^
lib. VI, pp. 409-17, fu senza dubbio letto dopo la proclamazione de' « militi ».
58 ALESSANDRO COLOMBO
Porte per consegnargli le chiavi della città; e da ultimo i sindaci
e procuratori per prestargli, a nome dell' intero popolo milanese,
giuramento di fedeltà e devozione, e formalmente investirlo del
suo nuovo dominio, stabilendone in pari tempo le prerogative e
regolandone la successione, conforme quanto erasi già concordato
nella generale assemblea dello scorso 11 marzo. Ciò fatto, i sindaci
e procuratori stessi, non che tutti i cittadini presenti, ad altissima
voce chiesero che il duca, « in signum, memoriam et perpetuam
u famam tante celebritatis, festiuitatis et glorie », si compiacesse
di far creare milite il proprio figlio primogenito e futuro erede del
trono; ciò che di buon grado egli accordò, dandone ordine a' militi
Biagio de Assareto, podestà di Milano, Morello degli Scolari di
Parma e Francesco de' Fossati, i quali tosto proclamarono loro
collega Galeazzo, previe le formole d' uso, cingendogli al fianco la
dorata spada e calzandolo degli speroni d'oro. Dietro nuova istanza
de' cittadini, e per coonestare maggiormente tanta festa, il duca
Francesco volle ancora che suo figlio e i predetti militi ne creas-
sero altri allo stesso modo; i nomi di questi, e quelli di coloro
ehe furono in predicato per i giorni a venire, sono stati conservati
nel nostro istrumento, dove pure li vide il De-Sitoni (i), e corri-
spondono quasi in tutto e per tutto al famoso elenco, che il Cantù,
nelle sue annotazioni al Corio (2), diceva di non aver potuto rin-
venire, e che in copia cartacea si trova nell'Archivio di Stato di
Milano (3). Data l' importanza di questo documento, il lettore ci
permetterà che noi ci soffermiamo alquanto a considerarlo. Anzi-
tutto esso è una conferma lampante della interpretazione data al-
l'atto del 22 marzo. Va dal 22 al 26 di questo mese; e ivi si dice
appunto che in que' giorni, « de mandato Illustrissimi principis, et
u Excellent."ii Domini Domini Franciscisfortie Vicecomitis, ducis
^< Mediolani, etc, in sollennitate apprehensionis ducatus sui », fu-
(i) JoH. De Sitonis de Scotta, Vicecomitum Burgi Ratti Marchiomim, Ca
stri Spìnae, Brignani et Pagatiani Feudatariorum Genealogica Monumenta, Milano,
1714, p. 30 sgg.
(2) CoRio, op. cit., voi. Ili, p. 194. Di uno solo il Cantù sa dar contezza,
■cioè di Giorgio Aicardi, detto Scaramuccia Visconte. Dell'elenco riportato dal
Sitoni diede pure notizia il Giulini, op. cit., voi. VI, p, 472.
(3) Araldica, Provvid. Gener., 14^0-1649. Il documento fu pubblicato integral-
mente da F. Calvi^ // patriziato milanese, Milano, 1876, pp. 461-64.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 59
rono creati per mano del magnifico principe Galeazzo Maria, pri-
mogenito del duca, del marchese Carlo de' Gonzaga e degli spet-
tabili cavalieri Biagio Assareto-Visconti, Polidoro de' Baglioni di
Perugia, Pietro di Nursia (Norcia) e Francesco de' Fossati di Milano,
novantuno « comites et milites ». Addì 22 marzo, domenica, se
ne nominarono 42: il nostro istrumento, lasciando fuori natural-
mente Galeazzo Sforza, ne ricorda solo 39; il giorno dopo ne fu-
rono eletti 23, il 25 tredici, il 26 ancora tredici: in tutto 49, mentre
il solito istrumento ne elenca 50 come creati « in diuersis aliis
u diebus » (i). Qualche altra variante o aggiunta ritrovammo nei
Registri ducali, già tante volte citati (2). Anzi da questi risulte-
rebbe, che il 4 maggio 1450 in Milano ottennero gli speroni d'oro
il dottor fisico Martino di Parma e il signor Bartolomeo de'Cor[naz-
zano] (3) pure di Parma; che «il successivo 7 maggio in Lodi fu
insignito della dignità medesima il signor Antonio de' Beccaria; che
ancora in Milano (il giorno preciso non è detto) fu creato milite
Pietro Antonio de Attendoli figlio di Michele; che sempre in Mi-
lano il 17 maggio venne la volta de' conti Giorgio de Arcelli di
Borgonovo da Piacenza e Cristoforo de'Valera; e che infine addì
(i) Lasciando al lettore di trovare in quali nomi differenzino i due testi
a noi preme fargli subito conoscere la proporzione che corre fra Milano e le
altre terre del ducato nella nomina de' « militi aurati », cioè di esporre una
specie di statistica. Ottennero adunque la dignità di militi : 45 milanesi, 7 pia-
centini (uno, l' Arcelli di Borgonovo, fu fatto dopo il 26 marzo), 7 pavesi (più i,
dopo il 26 id.), 5 novaresi, 4 cremonesi, 5 comaschi, 3 lodigiani, 2 parmigiani
(più 2 dopo il 26 id.), 2 somagliesi ; uno solo ne ebbero le città e paesi di : Ales-
sandria (Giovanni Feruffino), Bologna (l'AnguelelIi), Castellazzo (Ambrogio Trotto),
Corneto (Antonello Piccinino), Ferrara (N'iccolò Pendaglia), Landriano (Francesco
da L.), Rossano (Roglerio da R.), Sale (Gaspare de' Trovamaìi), Salerno (Jaco-
maccio da S.), Sannazzaro (Moretto da S.), Tolentino (Giovanni da T.), Varena
•(conte Balbiano da V.), Verona (Gerolamo da V.).
(2) Ricordiamone alcune: « D. Arasmus de Triulcio » è scritto: a d. Ara-
« sinus de triuulcio «, « D. Karolus de corretto de panna comes » diventa
«. d. Carolus de corrigia de parma », « D. Johannes nardellus ponzonus de
« Cremona » si semplifica in « d. Zanardellus de ponzonibus de Cremona » (cfr.
mio articolo in La Domenica del Corriere, VI, 1904, n. IX, p. io: « L'origine
<i del nome Zanardelli »). Vi sono anche parecchie omissioni : Ugolotto Crivelli
di Antonio, Agostino Beccaria pavese, Luigi Caccia di Novara.
(3) Si leggono solo le lettere: Cor; ma è facile compire la parola.
6o ALESSANDRO COLOMBO
13 gennaio 1452 in Lodi si acquistò il titolo di milite Gaspare del
fu Antonio de' Trovamali di Sale (i).
Dopo la proclamazione de' primi 39 (o 42) cavalieri, il Casti-
glione tenne un altro discorso « de laudibus prefatorum illustris-
« simorum dominorum Ducis et Ducisse, eorumque uirtutibus ac
« mentis infinitis »; quindi costoro scesero dal palco, e insieme
col proprio figliuolo, seguiti dal codazzo de' militi e degli altri di-
gnitari, entrarono in Duomo per render grazie a Dio e alla Bea-
tissima Vergine. La cerimonia si chiuse con una preghiera gene-
rale (Tedeum)y affinchè i novelli duchi e Galeazzo e i discendenti
fossero sempre conservati all'amore e per la felicità del loro po-
polo. Di ogni cosa fu steso regolare atto il giorno medesimo 22
marzo, per mano de' notai Jacopo de' Perego e Damiano de' Mar-
liani, sotto dettatura del giureconsulto Guarnerio da Castiglione,
prima sopra il palco eretto dinnanzi al Duomo, e poscia all' aitar
maggiore della chiesa stessa, presenti i pronotari Marco de' Perego
e Giovanni de' Serturi, entrambi di Milano, e i testimoni voluti e
richiesti (2).
Finita la cerimonia civile e religiosa, lo Sforza con la sua
corte e con lo stesso accompagnamento, col quale era venuto la
mattina a Milano, ritornò a Vimercate, dopo aver dato ordine di
rimandare le feste, stabilite per il giorno 23 e seguenti, al 24 e
successivi (3). Colà probabilmente ricevette le prime congratulazioni
(i) Arch. cit., Reg. due, ecc. ;
« MCGCCLIJ die XIIJ Januarij die Jouis in Laude in camera jnferiori
« solite residentie ducalis.
« Creatus fuit miles Gaspar quondam Antonii de Trouamalis de Salis in
« coaspectu i, domini ducis et comitis Galeaz marie, comitis Ludouici de Lugo»
({ D. Antonello de placentia et D. Antonello piccinino militibus, etc. ».
(2) La copia da noi vista all' Arch. di Stato di Milano fu estratta il 7 no-
vembre 1758 dal notaio Pietro Ortensio dell'Orto, del fu nob. Carlo Giuseppe,
dall'originale esistente ne' rogiti del notaio camerale Giacomo de' Perego ; e cosi
pure l'altro istrumento, ad esso unito, dell' 11 marzo. Doc. VII.
(3) Ciò si arguisce dall'ultima grida sulla giostra: poiché è naturale che
questa formasse la parte principale e più interessante del programma. Dice il
Simonetta (pp, 607-08) che i festeggiamenti durarono per cinque giorni ; e li de-
scrive minutamente. Lo stesso affermano il Gagnola (p. 128) e gli altri storici
e cronisti, che si uniformarono a quello; il da Soldo (loc. cit.) li allunga di
altri sette: « Le feste furono grandi, ben dodici giorni, di giostre, bagordi, dan-
ce zare, ballare... ».
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 6l
officiali (i). A Milano non si fissò in modo definitivo che il 24,
giorno di martedì; e questo è provato, oltre che dal passaporto
concesso allo . Strada per condurre biade per l'esercito, cui già ac-
cennammo, e dall' accettazione de' capitoli presentati da Corenno
(Lecco) e comuni limitrofi (2), dalla lettera ducale di riconferma
de' beni e della possessione detta di S. Vittore di Monza a' fratelli
nobili Teodoro e Luigi de' Bossi (3). Tale donativo appunto era
stato loro fatto fin dall'anno prima, mentre l'esercito del conte era
contro Monza, con altra sua lettera, munita del sigillo pendente,
in data Moirago 3 marzo 1449. Ora a scanso di opposizioni, e
perchè il donativo stesso era avvenuto « antequam nos possessionis
(i) Il Simonetta, op. cit., p. 607, ricorda che la prima ambasceria recatasi
a rendergli omaggio fu quella dell'amica repubblica fiorentina; seguirono quindi
le altre inviate dalle repubbliche di Siena, di Lucca e di Genova, da' minori'
principi d' Italia e dal papa Nicolò V. Ma non furono evidentemente ricevute a
Vimercate ; giacché quella di Firenze non potè arrivare a destinazione che verso
i primi di maggio. Sappiamo infatti che, partita da Firenze prima della resa di
Milano, allo scopo di stringere un accordo col conte Francesco, essa si era fer-
mata a Reggio, appena saputo che la città era caduta in suo potere, per atten-
dervi nuove istruzioni (cfr. Machiavelli, Istorie Fiorentine, lib. VI, capp. XXIV-
XXV) ; la componevano il figlio stesso di Cosimo, Piero de' Medici, Neri di
Gino Capponi, Luca Pitti e Diotisalvi di Nerone di Nigi. Alcuni documenti poi
dell' Arch. di Stato fiorentino ci provano, che non potè lasciar Reggio prima del
26 aprile. Sono tre missive esistenti nel carteggio de' Signori, Legazioni e Com-
missarie, n. 12, e. 137 v., 150 v. e 153 ; riguardano appunto tale ambasceria.
La prima contiene un' istruzione in seguito alla deliberazione presa il 26 aprile,
ed è indirizzata agli ambasciatori sopradetti, ordinando loro di mostrare tutta la
amicizia, ecc. che Firenze ha per il nuovo duca, di presentare una pezza di broc-
cato alla duchessa, di raccomandare • e proteggere i fiorentini che si trovano nel
ducato. Nella seconda la Signoria si mostra contentissima delle accoglienze rice-
vute dagli ambasciatori, e comanda a Neri e a Piero di fermarsi ancora presso
il duca per concludere « concordia » tra Venezia e Milano, mentre ordina re-
cisamente agli altri di rimpatriare « coi pifferi e trombetti » e con Angiolo Ac-
ciaioli ; è in data del 21 maggio 1450. La terza infine è diretta al solo Neri, e
in essa si ripete di mettere in concordia le due fiere rivali. Avremo occasione
di parlare più innanzi di tali trattative tra Milano e Venezia col tramite di Fi-
renze ; qui intanto sento il dovere di ringraziare pubblicamente la gentile pro-
fessoressa Ida Masetti-Bencini, della R. Scuola Normale di Pisa, la quale si in-
teressò di comunicarmi le notizie di cui sopra.
(2) In data appunto di Milano 24 marzo 1450, e dove sono a notarsi, in
fine ad ogni capitolo, le risposte del duca, presente.
(3) Arch. cit., Reg. due, Framm., ecc.
62 ALESSANDRO COLOMBO
« uel . . . domimi huius nostre ciuitatis et Modoetie adepti fuis-
« semus »>, il duca, non più conte soltanto, fa la sopradetta ricon-
ferma, dove, oltre, all' incipit (« Franciscusfortia Vicecomes Dux
« Mediolani, etc. ») e alla datazione (« Dat. Mediolani die XXIIIJ
« Martij 1450 »), è notevole la firma tutta di pugno dello Sforza
(« Franciscusfortia Vice, manu propria »). La lettera è controse-
gnata « Cichus ». Il giorno dopo venivano discussi ed accolti, come
sappiamo, i capitoli concernenti il comune di Abbiasca, il quale,,
pur conservandosi fedele a Milano, voleva fosse riconosciuta la
sua totale indipendenza da Bellinzona; e con lettera del 25 id. si
rilasciava pure regolare passaporto di un mese a Pietro ed Enrico
da Corte, già castellano della rocca di Novi, per poter condurre o
far condurre « massaricias, capsas et res suas quas ibi habebant »
a Rosate senza pagamento di dazi (i). Il 26 id. si confermava al
nobile Baldassare de' Barzi la donazione a lui fatta antecedente-
mente dal duca Filippo Maria Visconti della tenuta di Grogni-
torto (2); e nuove lettere di passo o salvacondotti si concedevano
in questo e nel successivo giorno (3). Ma noi, anziché soffermarci
sulla parte interna o amministrativa che dir si voglia del governo
sforzesco (4), veniamo a quella che più direttamente interessa il
nostro lavoro; la preparazione politica e militare del duca di Mi-
lano alla lotta, per lui inevitabile, con la repubblica di Venezia.
Francesco I Sforza, raggiunta la mèta cotanto desiderata, per
la quale aveva speso gli anni migliori di sua vita (5), non si trovò
subito a riposare, come si suol dire, sugli allori. L'anno, che segna
il primo del suo principato, e il seguente furono per lui pieni di
grande attività: la questione del ducato milanese, benché già risolta
col diritto delle armi e del possesso acquisito, rimaneva sempre
diplomaticamente aperta (6); e di questa strana condizione di cose
(i) Arch. cit., Reg. due, ecc., fol, 226.
(2) Ibid., fol. 229.
(3) Un salvacondotto il 26 ad otto cavallari, e quattro id. il 27; in Re-
gistri citati, foli. 225, 226 e 227.
(4) Per ciò si può utilmente consultare il Formhntini, op. cit., pp. 74-89.
(5) Si trovava allora nel 46.° anno di età, essendo nato, com' è noto, in
S. Miniato il 23 luglio 1404.
(6) Non aveano ancor deposte le loro pretese il re di Napoli, Carlo VII di
Francia e Federico III re de' Romani ; quest'ultimo difatti, alla lettera con cui
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 63
non poteva non trarre profitto grandissimo V astuta e irreconcilia-
bile sua nemica, Venezia (i). Per tale motivo egli cercò di premu-
nirsi da ogni possibile eventuale sorpresa; e mentre nell' interno
dava opera sollecita a rinforzare il proprio dominio, con la riedi-
ficazione del castello di porta Giovia (2) e con una completa riforma
lo Sforza gli dava la notizia dell'acquisto di Milano, rispondeva il 12 aprile im-
ponendogli di restituire il ducato all'impero (cfr. Buser, op. cit , pp. 48 e 369);
gli altri due si contentarono di protestare col silenzio.
(i) Essa non rifuggi, pur di sopprimere ad ogni modo il proprio rivale,
di ricorrere anche al tradimento. Il Buser, op. cit., pp. 46 e 369, ricorda infatti
che, ancora il 23 marzo (una prima volta fu il 26 novembre '449 ; ibid., p, 43X
il Consiglio de' Dieci discuteva la proposta di quel tale, che assicurava di aver
in mano il mezzo per far morire lo Sforza. Noi crediamo di poter identificare
questo tale in un Pietro Giovanni da Camerino, uomo d'arme dello stesso Sforza,
come risulta dalla lettera che, addi 25 luglio '450, Pietro da Foglia scriveva da
Cremona al suo signore (Arch. cit., Potenie sovrane, cart. II, fascio 2) :
« Illustrissimo Signore mio. In questa bora, che è una bora de nocte, è
a stato da me un mio amico, el quale me dice hauere hauuto da un altro suo
a caro amico, come un pierozohanne da camerino, homodarme de la S. V., è
« stato qui cercando una soa femena, el quale ha hauuto a dire eh' el à gran
« suspetto che la S. V. l'abia, et che non finerà may de sauere s'è vero, et che
« trouandone niente che per la fede soa farà mille tradimenti per amazarve. Io
« inteso questo dixi aquesto tale mio amico, che de questo non ne dicesse niente
« ad homo del mondo, et che questo medesimo dicesse ancora a quell'altro suo
« amico, et cossi me ha promesso de fare. Io de questo parendome cosa de non
« tacerla, ne ho uoluto dare aduiso ad la S. V. La quale prego me perdoni se
« gli ho dicto cosa li renscrescha, aduisando la S. V. che de questo io non ne
« ho uoluto dire niente né ad Locotenente, né ad persona ninna, recomandorae
« sempre ala S. V.
« Dat. creinone die XXV Julij 14^0.
« Per lo Vostro^ Seruitore Pedro de
« Foglia ».
A tergo : « Illustrissimo prencipi et Domino meo siagularissimo [domì]no>
« Franciscosfortia [uicjecomite Duci Mediolani etc. ».
(2) Esso era stato quasi completamente distrutto dopo la morte dell'ultimo
Visconti. Lo Sforza pensò subito a riedificarlo ; e i lavori infatti vennero iniziati
il 13 giugno 1450, continuando fino a tutto il 145 1. Contemporaneamente, egli
provvide anche alle fortificazioni delle porte della città. Cfr. Simonetta, op. cit.,
p. 608 sgg. ; CoRio, op. cit., voi. IH, p. 183 sgg. ; Giulini, op. cit., voi. VI,
pp. 480-82 ; Calvi, // Castello, ecc., p. 3 5 e nota 2 ; Beltrami, op. cit., p. 60
sgg. La data dell' inizio ai lavori del castello è contenuta nella famosa iscrizione,.
64 ALESSANDRO COLOMBO
dell'esercito e dell'armata (i), all'esterno allargava, il più che fosse
possibile, la sfera delle alleanze e delle amicizie.
Così è che noi vediamo, addì 31 marzo 1450, stringersi in Mi-
lano una importante convenzione fra lo Sforza e il cittadino geno-
vese Benedetto d'Oria. Per essa infatti questi prometteva a quello
di aiutarlo « ad ognia sua possa et cum ognia suo inzegno »
neir acquisto della città di Genova e pertinenze, protestandogli
d'ora innanzi fedeltà ed obbedienza, e riconoscendolo perciò « in
M suo vero, unico et legitimo signore »; in cambio lo Sforza gli
avrebbe concesso, una volta ottenuta Genova, a titolo di feudo
nobile e gentile il vicariato della valle d'Arroscia con Pieve (di
Teco) e Ranzo, più il capitaneato della Riviera di Ponente da Noli
escluso fino a Ventimiglia, il godimento in perpetuo di Castelfranco
del Finale (che ora già possiede), una buona terra in Lombardia
di reddito equivalente ad Ovada, tutte le prerogative e cariche già
godute in Genova, un comando di navi o galee, e diversi ufficii a
scelta per alcuni suoi fidi e parenti (2). Tale convenzione era il
necessario complemento della pace ratificata il 20 febbraio, cui già
accennammo nel capo primo. Un po' più tardi troviamo analoghe
convenzioni tra lo Sforza e gli Adorni e lo Sforza e i Fregosi;
trattando egli così a un tempo con tutte le frazioni di Genova,
nemiche fra loro (3). Nondimeno con la repubblica genovese, che
segretamente si apparecchiava a dominare, conservava ufficialmente
buoni rapporti, riuscendo a farla entrare nell' alleanza contro Ve-
nezia (4).
che il Giulini riportò per intero, dicendo che essa si trovava sur una lapide
posta sulla porta della Rocchetta ; noi l'abbiamo già per incidenza ricordata ; la
riportò pure il Beltrami ; e il lettore può ancora vederla in quest'Archivio, nel
Suppl. I alla serie III (1894- 190 3), p. 42.
(i) Cfr. FoRMENTiNi, op. cit., al cap. « Milizie » ; e l'opera vecchia, ma pur
sempre buona e già più volte citata, del Ricotti, voi. Ili, p. 157 sgg.
(2) Orig., cart., con sigillo aderente, in Arch. cit., Trattati, 1428-^).
(3) I documenti relativi si trovano all' Arch. cit., Potenti estere, Genova,
mazzo l. Nulla conosce de' negoziati corsi tra lo Sforza e Genova nel 1450 e
successivi il SoRBELLT, Francesco Sforma a Genova, Bologna, 1902.
(4) Ben diverso dal veneziano, il dogato genovese era una specie di « si-
« gnoria » ; e parecchie famiglie ambiziose cercavano di assicurarselo, anche con
l'appoggio straniero, per spadroneggiare nella città. All' epoca di cui parliamo
Genova, tornata a' dogi popolari, era contestata tra i Fregosi e gli Adorni ; i
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 65
Di esito più felice, se non di immediata utilità, fu l'altra con-
venzione stretta in Lodi, il 17 aprile 1450, fra il duca Francesco I
e gli oratori de' confederati della Lega degli Svizzeri. A questo
proposito sarà bene ricordare che fin dal 1440, lunedì 21 marzo,
Filippo Maria Visconti avea stretto una tregua con gli inviati della
comunità di Uri, Turgovia, Lucerna, Schwyz e Unterwalden, va-
levole fino al primo venturo ottobre, per la quale, smesse le reci-
proche ostilità e rappresaglie, specie per affari commerciali, le parti
contraenti e i rispettivi sudditi e collegati potevano, con sicurezza
e impunità, senza impedimento reale e personale, e con esenzione
del dazio di pedaggio, « venire, stare, morari et mercari, abindeque
u discedere et redire iterum, semel, pluries,quandocunque et quotie-
u scunque voluerint » ; l'accordo definitivo si rimanda, di comune con-
senso, a non più tardi dell'ottava « pascalis pentecostes prox. fut. »> (i).
E difatti l'anno seguente, martedì 4 aprile, in Lucerna, nella solita
sala del Consiglio, venivano conchiusi e firmati i capitoli di buona
e duratura pace fra gli ambasciatori del Visconti, Agapito de' Lan-
f ranchi vicario generale e Cristoforo Gallina famigliare e commis-
sario del duca, e quelli della comunità di Uri, unitamente agli altri
rappresentanti della Lega degli Svizzeri (2). Ma sembra che i patti
del 1441 non siano stati sempre osservati alla lettera, e che anzi
nuove e più gravi controversie siansi verificate durante il fortunoso
D'Oria appartenevano al partito de' « nobili ». Nel 1450 era doge Ludovico da
Campofregoso ; gli successe nel 145 1 Pietro (cfr. Giustiniani, Annali di Genoa,
cart. CCV, Genova, 1537; Canaie, Istoria della Rep. di Genova, Firenze, 1858-64,
voi. IV) ; e con lui appunto, il 4 novembre di quell'anno, Milano e Firenze
strinsero lega, promettendogli uno stipendio mensile fisso (ved. il documento in
Du MoNT, Corps universel diplom., to. Ili, par. I, p. 188, n. 136). Solo nel 1464,
com' è noto, lo Sforza riuscì ad aver Genova,
(i) Arch. cit., Trattati, 1428-$^. Notisi che gli inconvenienti principali av-
venivano nelle valli Levantina e di Belignì, e nel territorio di Bellinzoaa.
(2) Arch. e sede citata. Ecco il sunto de' singoli capitoli : a) si concedono
3000 ducati a quelli della Lega Svizzera sotto pignorazione della valle Levantina
sino al fiume Biaschina, co' suoi diritti e pertinenze; b) gli svizzeri sono esenti
da dazi e gabelle per le mercanzie da condursi da e a Milano ; e) quanto alle
liti e controversie vertenti tra le varie parti della Lega i particolari di ogni parte,
si eleggono due a boni viri » dal duca e altri due da quelli della Lega, in Lu-
cerna, e se ne stabiliscono tosto le funzioni e i poteri ; d) vi sono compresi anco
gli uomini della valle del Reno e di Cruaglia.
Arch. Star. Lomb., Anno XXXII, Fase. VII. 5
66 ALESSANDRO COLOMBO
periodo della repubblica ambrosiana; fatto sta che i rappresentanti
della Lega predetta, appena seppero dell'acquisto del ducato mi-
lanese per parte di Francesco Sforza, e delle buone disposizioni
sue a loro riguardo, si affrettarono a inviargli propri oratori per
congratularsi seco lui del recente successo (i) e per riannodare,
come air epoca dell' ultimo Visconti, i buoni rapporti di vicinanza
e di commercio. Il duca di Milano, il quale non desiderava di me-
glio che di avere ora più che mai favorevole quella confinante
confederazione, accettò di buon grado le proposte de' delegati
svizzeri, pretendendo però che fosse estesa anche alle terre di
Bellinzona e di Varese la facoltà di condurre, senza pagamento
di dazio, mercanzie dal territorio della Lega a Milano e viceversa,
e facendo delle restrizioni a proposito della richiesta fatta da quelli
di Uri di avere la valle Levantina (2).
Noi già sappiamo quando e per quale motivo lo Sforza avea
fatto rinchiudere nel castello di Pavia Guglielmo di Monferrato,
uno de' suoi luogotenenti, di cui avea ottenuta la fede col dono
(i) Non è dunque vero, come afferma il Bertolini, op. cit., p. 46, che
Carlo VII re di Francia fu « fra gli stranieri il primo a riconoscere il nuovo
« duca ».
(2) I capitoli, colle risposte del duca, si trovano in minuta cart. nell'Arch.
cit., Trattati, ecc. Una nuova convenzione, e questa volta a proposito della valle
Levantina, dovette seguire nel 1458 fra il duca e gli svizzeri. Com'è noto, Fi-
lippo Maria avea promesso^ fra i patti del 1441, di sborsare a quelli della Lega
3000 ducati, di cui 1000 subito e gli altri 2000 nel termine di anni sei (estensibile
fino a 15, e" non oltre, a beneplacito della Lega stessa), offrendo quale pegno e
garanzia, fino a totale estinzione del debito, la propria valle Levantina sino alla Bia-
schina, con l'obbligo però per la Lega di conservarla e reggerla bene e di re-
stituirla in buono stato. Orbene Francesco I Sforza, volendo mandare ad esecu-
zione quest'ultimo patto, rimasto in sospeso nel 1450 (segno evidente ch'egli
allora non avea avuto i mezzi per pagare i 2000 ducati, e che questi d'altra parte
non si erano mai sborsati) nomina suo agente e procuratore speciale il dottor in
leggi Antonio de' Besana, col mandato di offrire i 2000 ducati, in ragione di
lire 3 e soldi 4 imper. ciascuno, a quelli della Lega o ai loro agenti, e di farsi
da essi, secondo i capitoli del 1441, restituire a libere et expedite » la valle Le-
vantina co' suoi diritti e pertinenze. L' istrumento di procura fu steso in Milano,
addì 31 luglio 1458, dal notaio ducale Giacomo de' Perego, nella camera di re-
sidenza del duca, situata nella curia dell' Arengo e prospiciente la chiesa di S. Maria
Maggiore (Arch. cit., Trattati, ecc.). Manca il testo della convenzione, strettasi senza
dubbio a Lucerna, e quindi non possiamo dire quale ne sia stato l'esito definitivo.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 67
specioso di Alessandria (i). Parendogli ormai giunta l' occasione
propizia di riparare a quel fallo, iniziò con lui, ancora prigioniero,
delle trattative, le quali ebbero esito soddisfacente 1*8 maggio, in
Lodi (2). Guglielmo infatti prometteva al duca di lasciargli il pos-
sesso di quella città e altre sue terre (Frugarolo, Castellazzo, Sa-
cedo. Cassine, Solerò, Felizzano, Annono, Refrancore, ecc.), di
indurre il proprio fratello Giovanni a restituirgli tutti i paesi che
già possedeva Filippo Maria nell'alessandrino (Quargnento, Bosco,
Pavone, ecc.), di non partirsi da' territorii del Monferrato o del
milanese per il termine di mesi sei dall'epoca della sua liberazione,
e per un anno di non perpetrare cosa alcuna a di lui svantaggio.
In compenso lo Sforza concedeva a Guglielmo la libertà, alle con-
dizioni di cui sopra e non appena avesse ricevuto in suo nome
« la possessione et corporale tenuta di Alessandria cum le forteze
(i) Cfr. Ghilini, op. cit., voi. I, p. 478 (ediz. Rossola, 1903). Insieme con
la città, lo Sforza avea a lui donato le terre ad essa contigue, di cui vedi il
parziale elenco nel citato Ghilini.
(2) Benvenuto di San Giorgio, che pubblica integralmente tali capitoli (Hist.
Montisf., in R. I. SS., to. XXIII, pp. 727-29; ed a parte, sotto il titolo di Oo-
nica, Torino, 1870, pp. 339-41), pone la data del 9 maggio, aggiungendo che dessi
furono ratificati ed approvati per pubblico istrumento, ricevuto per Battista de*
Bianchi di Bergamo e Tommaso Bracco, notai di Lodi, il successivo 26 maggio.
Nell'Arch. cit., Trattati, 1428-^^, trovammo, in redazione alquanto diversa da
quella del San Giorgio, la minuta di tali capitoli, guasta per di più dall' umido e
piena di correzioni ed aggiunte, sotto la data dell'8 maggio ; e noi accettiamo
questa, quantunque alla stessa sede trovisi un estratto del 7.° capitolo (nella no-
stra minuta detto 9.°) con la data 9 maggio. Tale convenzione è pure ricordata
dal Corio ; ma egli non dà la data (op. cit., voi. III, p. 200). Il San Giorgia
continua dicendo che, dopo che parve al duca di Milano di aver assicurate le
cose dell'alessandrino con tali capitoli e successiva ratificazione, mandò il fratello
Corrado Sforza con 300 cavalli e 500 fanti in Alessandria e, ridottola in suo
potere, fece rimettere in libertà Guglielmo. Il Ghilini (voi. I, p. 480) narra invece
che quelli di Alessandria, per l'odio che portavano ai , marchesi di Monferrato,.
« subito e di buona voglia si diedero al duca Francesco Sforza ». Il Bossola os-
serva però in nota che ciò non è punto vero, e riporta una lettera del gover-
natore Costanzo di S. Damiano e degli anziani della città al commissario del
duca Giorgio de Annono, in data 17 maggio 1450 (Arch. cit , Docum. diplom.y
Dom. Sfor^., 14S0), con la quale gli si richiede di rinforzare le rocche e le porte
della città « per schiuare scandali et moto de arme ». Le condizioni per la ces-
sione di Alessandria allo Sforza furono stipulate in Milano il 13 settembre '4 50-
(vedile in appendice agli Statuti di Alessandria).
68 ALESSANDRO COLOMBO
« sue •', un annuo assegno di 2000 ducati d' oro, il permesso di
tenere 100 lance in tempo di pace e 200 in tempo di guerra da
usare in suo servigio, la propria protezione e difesa contro chiunque
avesse tentato offenderlo o fargli ingiuria, ed un eguale trattamento
per i cittadini di Alessandria e delle altre terre da lui presente-
mente tenute.
Questa volta, però, i calcoli del signore di Milano andarono in
parte falliti e, anziché acquistarsi un amico sincero, ne perdette
con lui parecchi altri. La evidente prepotenza del duca avea infatti
non solo disgustato chi in modo così crudele ne era rimasto col-
pito, ma anche chi per parentela o per interessi si sentiva a lui
congiunto. Né d'altra parte Venezia, la secolare nemica del Visconti,
e quindi del suo erede, avea mancato di soffiar nel fuoco. Laonde,
spinto da essa, Guglielmo si affrettò, appena libero, a protestare
contro la manifesta violenza a suo danno, dichiarando che non
avrebbe mai rinunciato ad Alessandria (i); e tanto disse e fece,
che riuscì a staccare da Milano il proprio fratello Giovanni e il
duca di Savoia (2).
Intanto Venezia e Napoli, auspice il marchese Leonello di
Ferrara, desioso di ricondurre la pace in Italia, erano riuscite ad
accordarsi (2 luglio 1450) (3); e tale alleanza era stata preceduta
di qualche giorno (21 giugno id.), da quella tra re Alfonso e la
Repubblica di Firenze (4). Qualora in una di esse si fosse potuto
far entrare anche lo Sforza, lo scopo encomiabile dell'Estense sa-
(i) La solenne protesta di Guglielmo, ridotta in pubblico istrumento il 7 giugno
1450 in Trino, per mano di Eusebio Guiscardi, segretario del marchese Giovanni,
è pure integralmente edita dal San Giorgio, op. cit., in R. I. SS., to. XXIII,
pp. 729-30; ed a parte, Torino, 1780, pp. 341-42.
(2) Secondo il Ghilini, op. cit., voi. I, p. 482, la lega tra Venezia, da una
parte, e Ludovico di Savoia e Giovanni IV di Monferrato, dall'altra, fu stretta
nel dicembre '450 ; fu eletto generale di essa Guglielmo, al quale i veneziani
« in ricompensa de' suoi stipendi promisero la città di Alessandria ». 11 San
Giorgio (loc. cit.) narra alquanto diversamente le cose, e ricorda l' istrumento di
condotta del marchese Guglielmo, in data 9 aprile 1450 (rogito Clemente Te-
baldini).
(3) Du MoNT, op. e loc. cit., p. 178, doc. n. 127. I capitoli di detta pace
furono pubblicati in Belfiore e portati dall' Estense, arbitro fra le due parti, al
re di Napoli. Le pratiche erano incominciate fin dal 18 aprile ; cfr, Romanin,
op. cit., voi. IV, p. 223.
(4) Du MoNT, op, e loc. cit., p. 175, doc. n. 125.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 69
rebbe stato perfettamente raggiunto. Ma ben diversi erano i fini,
a cui miravano Milano e Venezia (i) ; onde ogni tentativo di ac-
cordo tra le due rivali riuscì affatto inutile. Ciò però non toglie
che tra di loro, e per il tramite di Cosimo de' Medici, siano corse
vere e proprie trattative nel maggio e giugno 1450. Lo dice lo
stesso Romanin (2) e, prima di lui, lo hanno affermato altri storici
attendibilissimi (3); per parte nostra, abbiamo trovato in proposito
qualche documento interessante. Parlando della ambasceria fioren-
tina allo Sforza, in una nota addietro, ricordammo tre missive del
carteggio de' Signori, Legazioni e Commissarie, n.° 12, esistenti
nell'Archivio di Stato di Firenze; e in quella, che porta la data
del 21 maggio, abbiamo visto l' ordine dato al Neri e a Piero
de' Medici di fermarsi ancora a Milano, per concludere « concordia »
tra questa città e Venezia, mentre gli altri ambasciatori, il Pitti e
Diotisalvi, insieme con l'Acciaioli, furono invitati senz'altro a rim-
patriare. Nella terza missiva, diretta al solo Neri, si insiste nuova-
mente su tale « concordia »; poi più nulla. Però noi possiamo
seguire queste pratiche per altri documenti rinvenuti nell'Archivio
di Stato di Milano. Il primo è una lettera allo Sforza scritta da
Venezia, il 23 giugno, dagli oratori fiorentini Nerio di Gino Cap-
poni, Giannozzo de' Manetti e Piero di Cosimo de' Medici. In essa
si raccomanda al duca di far uso d'ora innanzi d' un cifrario, di
cui gli inviano copia, per maggior segretezza e sicurtà. Gli danno
(i) La repubblica veneta non voleva, fra l'altro, restituire allo Sforza il ca-
stello di Brivio, posto sulla riva destra dell'Adda, né distruggere il ponte da
essa costrutto a Rivolta : questione di vita o di morte pel duca di Milano ; cfr.
anche la lettera dello Sforza ad Antonio da Trezzo, in data 25 giugno 1450,
di cui parliamo più innanzi.
(2) Scrive il Romanin, op. e loc. cit., che, mentre si combinava tra Ve-
nezia e Napoli di dividere la Lombardia e di restituire Milano alla antica li-
bertà, « in pari tempo trattavasi anche con lo Sforza, che mostrava inclinare alla
« pace ».
(3^ Sanuto, Diariij e. 11 38: « In questi giorni si trattò pace col Conte
« Francesco Sforza Duca di Milano al presente chiamato. E fu mandato per questo
(( a Crema orator nostro Pasquale Malipiero ; dove vennero gli oratori del detto
« Duca, ma nulla fecero ». E C. a Soldo, loc. cit. : « Da poi il... conte, ov-
« vero duca di Milano cercò la pace con grand' istanza con la Signoria di Ve-
« nezia... ». Cfr. pure: Simonetta, op. cit., p. 610; Corio, op. cit, voL III,
p. 200; Andrea Navagero, Storia Feneiiana, in R. I. SS., to. XXIII, p. 11 14;
S. Ammirato, Istorie Fiorentine^ lib. XXII, Firenze, 1848, to. V, p. 11 1 sg.
70 ALESSANDRO COLOMBO
poi ampio ragguaglio dell' ultime conferenze avute coi rappresen-
tanti della Serenissima, sul tema della pace generale d'Italia: come,
cioè, abbiano fatto loro chiaramente comprendere, che non si può
conchiudere un'alleanza seria con Firenze, senza che in essa non
venga compreso anche il nuovo signore di Milano, data la lunga
e provata amicizia tra lui e la propria città; come il giorno 20
abbiano ricevuto una prima risposta, che li lasciò poco soddisfatti,
pretendendo quelli che, per l'efficacia di tale pace e lega, Firenze
sola avesse a dare sicurtà; come molto si sia discusso su questa
parola; e come infine, avendo i veneziani preso tempo sino a ieri
per deliberare, nulla ancora abbiano deciso, non ostante si fosse te-
nuto consiglio dalla sera stessa di ieri « insino a bore due di nocte " :
però hanno soggiunto che dentro « oggi il riaranno » (1). Come si vede
Venezia, seguendo la sua tradizionale politica, cercava di tergiver-
sare. E che gli ambasciatori fiorentini fossero da poco giunti in
questa città, è provato da una lettera a loro diretta da Lodi, il
medesimo giorno 25 di giugno, dallo Sforza; la quale tuttavia non
è una risposta alla precedente, essendo questa pervenuta in Lodi,
ove si trovava il duca, solo il 27 successivo (2). In essa infatti egli
si compiace col Neri e col Medici del modo prudente, con cui sep-
pero condurre ogni pratica dalla loro andata « lì in Vinetia, fino
« ad quello dì XVIIJ, che fo facta la uostra litera '»; e mentre li
esorta a tenerlo sempre informato di quanto verranno a sapere in
seguito, affinchè possano meglio regolarsi fa loro conoscere a qual
punto si trovano le sue pratiche di pace con re Alfonso, inviando
copia dell' ultima lettera, ricevuta il giorno prima dal proprio ora-
tore in Ferrara Antonio da Trezzo, e della risposta a lui spedita
in questo stesso momento, dove fra 1' altro gli ordina di tenersi
sempre in comunicazione con « le Magnificentie Vostre » (3). Impe-
rocché il nostro principe non solo avea accettato di trattare diretta-
mente col Malipiero e col Marcello, provveditori veneziani in Crema,
valendosi in pari tempo della mediazione di Firenze; ma andava
conducendo delle pratiche con Fra Puccio, inviato del re di Napoli
(i) Arch. cit., Potenze estere, Venezia, 1421-^$.
(2) In fine alla lettera sopra citata si leggono infatti le seguenti parole,
scritte d'altra mano, ma dell'epoca : « R [registrata] laude, die 27 Junij 1450 ».
(3) Arch, e sede citata ; minuta cartacea, scritta di seguito alla lettera dello
Sforza ad Antonio da Trezzo.
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 7I
a Ferrara. La lettera, citata più sopra, di risposta al suo oratore
Antonio da Trezzo, del 25 giugno, lo prova in modo lampante,
•come prova pure quali fossero le di lui intenzioni nella pace con
Venezia. Riassumiamola brevemente. Preso atto di quanto gli vien
riferito intorno alla lega che si agita tra re Alfonso e i veneziani,
lo Sforza si dichiara ben contento di intendersi con quel re, es-
sendo stato sempre l'animo suo « inclinato a la pace », e di nul-
l'altro desideroso che di « essere buon figliolo de la prefata MM»;
ma non può accettare la condizione, « che la M.t» soa possa fare
« pace cum venetiani, et Nui non, senza soa licentia m in quanto
■che, oltre a essere menomato ne' suoi diritti, non saprebbe come
regolar poi la propria questione con Venezia, la quale si tiene
tuttavia le terre milanesi di Rivolta, Ceretto, Brevio e Baiedo nella
Valsassina, « tolte da puoy che loro feceno la pace cum Milanesi w,
e al cui possesso egli non può in alcun modo rinunciare. Difatti
aggiunge: due sole sono le vie possibili per « rehauere queste
*( cose nostre..., o per pace o per guerra »; indichino gli oratori
napoletani il mezzo migliore per uscirne; per parte sua, è sempre
dispostissimo a trattar di pace, purché non nel modo di cui sopra
e qualora, come(. già prima, « li signori fiorentini siano in lo acordio
•« nostro. » Nella parte segreta della lettera, che si trova in fine
€ che perciò nell' originale è scritta in cifra, lo Sforza spiega al
suo oratore il perchè di questa apparente sua remissività verso il
re di Napoli : date le difficoltà già esistenti per un accordo sincero
tra questi e la repubblica veneta, Fra Puccio, sentendosi appog-
giato da Milano e da Firenze, non mancherà di accrescere le sue
pretese e di farsi « più gagliardo »; le trattative quindi andranno
per le lunghe; e nel frattempo chi non sa che, « vedendo Venetiani
« questo..., veneranno ad conclusione cum li ambaxatori fiorentini? »
Chiude la lettera raccomandandogli di tenersi in relazione con co-
storo e di avvisarli di ogni novità « in la pratica fra el Re et
« Venetiani w; e gli fa capire che non può nemmeno un istante
abbandonare il suo posto, essendo ivi la sua presenza sommamente
necessaria (i).
Questo, e non altro, trovammo nell'archivio milanese riguardo
alla entrata di Francesco I Sforza nella pace generale d' Italia; non
(i) Arch. e sede citata; minuta cartacea, scritta nel fol. di cui alla nota pre-
cedente.
72
ALESSANDRO COLOMBO
se ne fece nulla, come già abbiamo detto : ma ancora il 30 giugno
egli, in una sua lettera in cifra a Cosimo, esistente nell'archivio fio-
rentino (i), gli esponeva le sue vedute e le sue modeste aspirazioni.
Allora pensò di rivolgersi ad altra parte. E mentre, con l'assoldare
il conte Federico di Urbino (2), compensava in certo qual modo
la perdita del marchese Guglielmo di Monferrato, apriva, d'accordo
naturalmente con Firenze, delle trattative col signore di Mantova,
Ludovico Gonzaga. Tale alleanza gli portò, è vero, per contracolpo
la defezione del fratello di lui Carlo (3), già suo luogotenente e
capitano generale; ma quah vantaggi ebbe di poi! Il riacquisto di
Tortona, il passaggio a' suoi stipendi del Colleoni (4) e, quel che
(i) È citata dal Rubieri, op. cit., voi. II, p. 231.
(2) Du MoNT, op. e loc. cit., p. 179, doc. n. 128. I capitoli di confedera-
zione e condotta di Federico di Montefeltro e di Durante, conte e poscia duca
di Urbino, furono conchiusi in Lodi il 31 agosto 1450. Cfr., sulle pratiche per
la condotta, qcc,^ di Federico agli stipendi dello Sforza, il recente studio di Luigi
Rossi, Federico da Montefeltro condotto da Francesco Sfor:(a, in Le Marche, V-1905,
pp. 142-55. Sopra detto conte, oltre le biografie del Muzio, Historia de' fatti di
Federico^ ecc., Venezia, 1605, e del Baldi, Vita e fatti di Federico, ecc., Roma,^
1824, vedine la vita scritta dal Filelfo, edita dal prof. Giovanni Zannoni, secondo
il testo finora inedito nel cod. Vaticano-Urbinate 1022, in Atti e Mem. della
R. Deput. di star, pai. per le prov. delle Marche, voi. V, Ancona 1901, pp. 265-420.
(5) Egli infatti, appena avuto sentore dell'accordo, siccome odiava il fratello,
cui diceva « usurpatore », pensò di staccarsi dal duca; ma questi, insospettitosene,
lo avea fatto rinchiudere in Rinasco (15 novembre '450), per liberarlo più tardi,
a patto gli cedesse Tortona ; cfr. B. di San Giorgio, p. 726 ; Soldo, op. cit.,
pp. 865-70; Ricotti, op. cit., voi. Ili, p. 159. Il Du Mont, op. e loc. cit.,.
p, 184, doc. n. 152, pubblica la « promissio per Carolum de Gonzaga marchionem
« Mantuae, Francisco Sfortiae Vicecomiti Duci Mediolani facta, de servandis fi-
« nibus ei constitutis, sub pena 80. milium Ducatorum », in data 17 marzo 1451 ;
l'atto è steso in Milano, nella casa del milite Francesco da Lauduano (cosi scrive
il Du Mont ; leggi meglio : Landriano), ove dimora presentemente il Gonzaga,,
dal notaio Jacopo da Perego : con esso il Gonzaga accetta a promissiones, obli-
« gationes et juramentum » presentatigli in iscritto da' procuratori del duca di
Milano Giovanni de Amelia e Cicco Simonetta, secondo l' istrumento di mandato
del 16 marzo id,, a rogito del notaio Perego stesso.
(4) Egli, fuggendo da' veneziani, che avevano assoldato Gentile da Leonessa,
si rifugiò in Mantova, e di qui dallo Sforza ; il quale gli promise, arridendo le
sorti della guerra, una signoria di Bergamo o di Brescia. La moglie e le figlie
del Colleoni furono però catturate da' veneziani. Cfr. G, Rosa, Bartolomeo Col-
leoni da Bergamo, in Arch. stor. ital.. Ili serie, IV, 1866, p. 165. Nonché: Si-
monetta, op. cit., p. 611 ; Soldo, op. cit., p. 868; Sanuto, op. cit., e. 1140;
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 73
più monta, un aiuto non disprezzabile alle porte stesse di Ve-
nezia.
Incaricato di stringere e firmare i patti col marchese Gonzaga,^
a nome del duca di Milano, furono il conte Galeazzo d'Arco e
Antonio Guidobono. Essi partirono per Mantova dopo Tu ottobre ;^
e notevole è la seguente dichiarazione, che si trova in principio
del trattato: « .... ad celebratione de quali capituli et intelligentia se
« peruene per lo p.^o I. S. Duca cum lo p.^o S. Messer lo Marchese
u per manutentione del stato suo, per non remanere improuiso ali
« casi poriano occorrere, quantunche la intentione et volontà del
« prefato I. S. Duca sia et è de vivere in pace et quietamente cum
« cadauno signore, potentia et signoria, et presertim cum la IH."'*
« s."^ de Venezia.... ». Secondo il costume ormai invalso nella
diplomazia, queste parole si devono intendere appunto nel loro
senso contrario; se vuoi vivere in pace, dicevano gli antichi romani^
preparati alla guerra. E la guerra covava difatti, e minacciava di
diventar terribile per tutti, e generale per l'Italia; se non che la
reciproca paura (i), le speciali condizioni di ogni stato (2) e il de-
siderio di non essere il primo a provocarla la ritardarono ancora
di qualche anno. De' sedici capitoli conchiusi tra Milano e Mantova,
notevoli sono i seguenti: l'alleanza politica sarà consolidata col
matrimonio, da celebrarsi a suo tempo, del figlio di Francesco
Sforza, Galeazzo, con una delle figlie di Ludovico Gonzaga, Su-
sanna (3); il Gonzaga stesso passerà agli stipendi del duca, col
Spino, Vita del Colleoni, voi. V, p. 154; RicoiTi, op. cit., voi. HI, pp. 159-60.
Nuovi documenti sul Colleoni reca C. Canetta, La pace di Lodi (^ aprile i4S4)r
in Riv. stor. itah, a. Il, 1885, p. 562. Ricordiamo ancora che il Colleoni appare,
quale teste, nella stipulazione del trattato di alleanza tra Milano e Firenze, di
cui parleremo più avanti.
(i) Lo Sforza temeva specialmente dalla Francia, per i pretesi diritti che
quel re poteva vantare sul Milanese ; onde egli non dichiarò guerra a Venezia^
fino a tanto che non si vide sicuro anche da quella parte.
(2) In Milano e nel ducato era scoppiata, sulla fine del 1450, la peste; essa
infierì poi nell'estate del '51, menando ovunque grande strage: solo in quella
città infatti erano morte 30.000 persone (cfr. Simonetta, op. cit., p. 610; Corio,
op. cit., voi. III, p. 200), e secondo altri (SANaro, Diarii, e. 1138; Bossi, Cro-
naca, all'anno 1450) circa 60.000 !
(3) Tale contratto di matrimonio, o meglio fidanzamento, venne qualche
anno dopo modificato, essendo sopravvenuta una deformità nella promessa sposa^
e si sostituì a Susanna la seconda figlia del marchese, Dorotea (1454). E anche
1
74 ALESSANDRO COLOMBO
titolo di « luogotenente generale » e l'annua provvisione di 30 mila
■ducati, a cominciare dal i aprile 1451; però egli e il fratello suo
Alessandro saranno costretti a prestargli man forte, con proprii
fanti e cavalli, in caso di guerra con i veneziani, ricevendo allora
una nuova provvisione supplementare; non potrà il marchese co-
minciare o finire la guerra a suo beneplacito ; terminata questa con
l'acquisto delle città di Verona e di Vicenza, esse passeranno sotto
il suo dominio, rinunciando alla predetta ultima provvisione. Negli
stessi capitoli è pur contemplato il caso, che l' altro fpatello del
marchese, Carlo, prenda le parti de' veneziani : egli allora, perdendo
in guerra le proprie terre del cremonese e del mantovano, le potrà
riavere soltanto, a pace conchiusa, dalle mani di Ludovico. Infine
il duca promette al suo nuovo alleato che « farà ogni opera ad
« luy possibile », affinchè egli venga da' fiorentini soddisfatto di
quanto ancora essi gli devono « per lo seruitio suo »; e lo lascia
libero di intimar guerra a Venezia come vuole, quindici giorni
avanti la dichiarazione delle ostilità. L' atto definitivo dev' essere
stato conchiuso in Mantova, non sappiamo però in qual giorno (1).
Un mese dopo, e sempre per far vedere che egli in apparenza
seguiva una linea pacifica di condotta, Francesco Sforza inviava a
questo, verso la fine del 1465, fu annullato, perchè, accampando informazioni
avute, lo Sforza, che vagheggiava per suo figlio un matrimonio con la casa reale
"di Francia, pretendeva una visita medica, che non venne concessa. Cfr. A. Dina,
Qualche no tt:(ta su Dorotea Coniala, in quesV Archivio, XIV, 1887, pp. 562-7; e
L. Beltrami,- U annullamento del contratto di matrimonio fra Galea^io Maria
Sforma e Dorotea Gonzaga (146^), in quest'Archivio, XVI, 1889, pp. 126-32.
(i) Nell'Arch. di Stato di Milano, Trattati, ecc., esiste solo la minuta car-
tacea, o meglio 1' a abbozzo » di questo trattato ; ed è appunto quello che noi
abbiamo riassunto. Nulla trovasi al riguardo all'Arch. di Stato di Mantova; laonde
pare che il trattato, se fu veramente concluso (sul che non dovrebbe essere dubbio,
dal momento che lo ricorda anche il Conio, op. cit , voi. Ili, p. 200), dovette
rimanere per lo meno « segreto ». Che poi Galeazzo d'Arco e Antonio Guido-
bono siansi recati a Mantova, e quindi subito siano ritornati a Milano con le
risposte del marchese, risulta da una lettera de' sopracitati oratori al predetto
marchese, in data Milano io novembre 1450, nella quale essi gli partecipano
avere riscontrato nello Sforza, loro signore, buone disposizioni verso di lui, avendo
accettato « cordialmente h quanto gli significarono a suo nome; l'assicurano in-
fine che il matrimonio si effettuerà con reciproca soddisfazione (Arch. di Stato di
Mantova, Milano, 14^0, notizia comunicatami gentilmente dal direttore del pre-
detto Archivio).
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 75
Federico III il proprio oratore Sceva da Corte « ad petendam
u inuestituram ducatus » (i): un accordo infatti, quantunque non
del tutto sincero, si riusciva a firmare tra loro il io aprile 1451 (2).
Nel luglio di questo anno poi si stringeva ufficialmente la lega
difensiva ed offensiva tra Milano e Firenze (3); e ad essa, come
abbiam visto, aderì più tardi Genova (4). Ma di maggiore impor-
tanza fu la entrata in codesta confederazione (o lega di guerra)
del re di Francia Carlo VII, dopo non brevi trattative (5), e in se-
guito agli sforzi dell' abile Acciaioli e all' intervento di Renato
d'Angiò, pretendente al trono di Napoli e Sicilia (6). Una prima con-
venzione fu infatti firmata il 21 febbraio 1452 a Montils-les-Tours (7) ;
(i) Il SiCKEL, op. cit., p. 217, nota i, ricorda un « Mandatum Ducis Fran-
« cisci primi in Scevam de Curte ad petendam investituram ducatus a Ser.mo
« Imperatore Federico, d. d. 5 decembris 1450 »; copia autentica, nell'Arch. ci-
vico di Milano (ora Arch, civ. stor., Dicasteri, 4), entro quella de' capitoli del
26 febbraio.
(2) BasER^ op. cit., pp. 49 e 369-70. I contraenti furono lo stesso da Corte
e, per parte dell' imperatore, Enea Silvio Piccolomini. Per le trattative seguenti,
cfr, anche Giampietro, La pretesa dona-^ione di Filippo Maria Visconti a Fran-
cesco Sforma, in (\\iqsI^ Archivio, III, 1876, p. 649. Qualche notizia nuova trovasi
in Perrens, Histoire de Florence, etc, Paris 1888, to. I, p. 146 sgg.
(3) Copia autent., perg., in Arch. cit., Trattati, ecc. ; quivi pure si trova la
minuta cart., non che altre due minute con solo alcuni capitoli. La lega fu stretta
in Cremona il 30 luglio. Xe parlano: Simonetta, op. cit., pp. 6io-ii,- Decembri,
Vita Frane. Sfori., R. L SS., to. XX, p. 1045 i Sanuto, Diarii, e. 11 39; Ammi-
rato, op. e Ice. cit. ; Machiavelli, op. cit., voi. VI, p. 26 ; Rosmini, op. cit.,
voi. II, p. 466. Dà un breve sunto del trattato stesso il Canetta, op. cit.,
p. 519; lo ricorda pure il PerreT, Histoire des relations de la Franca avec Ve-
nise, già cit,, voi. I, p. 221, citando in nota: a Bibl. Nation. [de Paris], ms.
ital. 1585, fol. 211 », e rimandando, oltre al Canetta, che già conosciamo, al
Beaucourt, Histoire de Charles VH, voi. V, p. 155, nota 4.
(4) Nell'Arch. di Stato di Milano, sede Trattati, tee, trovasi, in data Lodi,
13 dicembre 1452, la nomina fatta dal duca Francesco I Sforza de' suoi aderenti
e raccomandati in seguito alla lega e confederazione contratta, il 4 novembre '451,
fra esso e il signor Pietro Campofregosi doge, la comunità di Genova e quella
di Firenze.
(5) Cfr. BusER, op. cit., pp. $2-55, 56-60, 372-74; Desjardins, Né^ociations di-
plomatiques de la France avec la Toscane, voi. I, pp. 82-83 5 PeRREns, op. e loc. cit..
(6) Cfr. E. Colombo, Re Renato alleato del duca Francesco Sforma contro i
Veneziani, in (\vìq^\.'' Archivio, XXI, 1894, i-ii,.pp. 79-136 e 361-398.
(7) Colombo, op. cit., p. 82. Il documento (il cui originale trovasi a Parigi,
mentre in Milano, x\rch. di Stato, Trattati, qcc, non esiste che una copia con-
76 ALESSANDRO COLOMBO
e per essa i fiorentini e lo Sforza da una parte promettevano dì
appoggiare i legittimi diritti di Renato, dall'altra il re si impegnava
di aiutarli fino alla festa di S. Giovanni del 1453 contro tutti, ec-
cetto il papa e l' imperatore, e di inviare in loro aiuto un principe
del sangue o un altro capitano: non si escludeva però la speranza
che, durante questo tempo, ogni contesa si sarebbe potuta appia-
nare. La stessa convenzione venne poi prorogata e raffermata da
altre ambascerie (i).
Ormai i due campi sono nettamente distinti: parteggiano per
Milano, oltre Firenze, gli Svizzeri Mantova Genova Angiò e Francia ;^
per Venezia, oltre Alfonso di Napoli, il Monferrato Savoia Correggio
e Siena (2); restano neutrali il papa, l'imperatore e Bologna (3).
temporanea in un frammento di registro) è ricordato dal Sickel, op. cit., p. 217,
nota 2, e per conseguenza dal Bertolini, op cit., pp. 46-47; ma con errore di
data: 145 1. Giacché i due chiarissimi autori non hanno posto mente che, se-
condo lo stile francese (sec. XV), l'anno incominciava in Francia dalla Pasqua ;
e quindi il 21 febbraio 145 1 del nostro documento è per l'Italia 2L febbraio 1452.
(i) Colombo, op. cit., pp. 106-08, doc. II. 1 capitoli della lega furono stretti
nel castello di porta Giovia in Milano, il 3 aprile 1452. Inutilmente re Alfonso
cercò di attraversare tale lega, inducendo il re di Francia ad allearsi con lui :
di ciò anzi fu avvertito lo Sforza dal cardinale d' Angiò, con sua lettera d. d.
Borges 16 giugno '452 (Colombo, op. cit., pp. 10809, doc. III). Cfr. anche De-
CEMBRi, op. e loc. cit.
(2) La lega tra Alfonso di Napoli e la repubblica di Venezia era stata con-
chiusa fin dalla primavera del 145 1 (il Rosmini, op. cit, voi. II, p. 466, dice
nel marzo) ; Siena vi aderì il 26 marzo id. ; e il 16 aprile id. Luigi di Savoia e
Giovanni di Monferrato (cfr. Sanuto, Diarii, e. 1140; Romanin, op. cit., voi. IV,
p. 223 ; Gabotto, Lo stato sabaudo, ecc., voi. I, p. 19, e note i e 2).
(3) In un registro frammentario (foli, numerati : 120-22) dell' Arch. di Stato
di Milano, sede Trattati, ecc., si trovano quattro documenti relativi alla tentata
lega tra Venezia, Napoli e Bologna. Riservandoci di parlarne piìi dififusamente
altrove, ci contentiamo per ora di darne un sunto. Il primo documento, in data
20 dicembre 145 1, contiene la domanda di Fra Puccio, oratore del re di Napoli,
e di Pasquale Malipiero, oratore di Venezia, alla comunità di Bologna di voler
entrare nella loro lega.. Il secondo documento contiene copia delle lettere de' Dieci
della Balia di Firenze, in data 19 dicembre '451, alla comunità stessa di Bologna,
avendo essi subodorato che si cercava di farla partecipe di quella lega. Il terzo
documento, senza data, è la risposta di Bologna agli oratori napoletano e vene-
ziano, dalla quale appare che detta città, in caso di guerra tra Venezia e Firenze,
vuole assolutamente mantenersi neutrale. E tale dichiarazione è in modo solenne
riconfermata nell' istrumento, rogato addi 28 dicembre 145 1 (veramente si legge
1452, ma « a nativitate Domini »), in Bologna, dal notaio e cancelliere de' se-
dici riformatori della comunità, Alberto de' Parisii fu Pietro (doc. IV).
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 77
Un ultimo tentativo di risolvere ogni vertenza, senza spargi-
mento di sangue e turbamento della pace italiana, era stato l'offerta
di arbitrato fatta dallo Sforza al pontefice, nell'ottobre 145 1 (i);
riuscito vano anch' esso, non rimase che ricorrere alla decisione
delle armi. E le prime operazioni di guerra incominciarono nel
giugno 1452 (2).
Alessandro Colombo.
DOCUMENTI (*)
I.
Capitoli per la condotta del conte Jacopo Piccinino
a' SOLDI DELLO SfORZA.
Vimercate, 22 febbraio 14S0.
[Arch. di Stato di Milano, Docum. diplom., Repub. Ambr,, 14^0].
1 Questi sonno capitoli, pacti et conuentioni facti, conclusi et sigel-
lati fra lo III. S. conte Francescosforza Vesconte etc. et lo magnifico
conte Jacomo Picinino, come appare qui de sotto, videlicet :
Imprimis el prefato 111. S. Conte acepta esso conte Jacomo per suo
genero et figliolo, remettendogli ogni ingiuria et cose fusseno seguite
(i) Sono le famose « Istruzioni a Niccolò Arcimboldo », in data Piacenza
24 ottobre 145 1, le quali abbiamo avuto occasione di ricordare più volte; ne
parleremo più diffusamente in un lavoro a parte.
(2) RoMANiN, op. e loc. cit. : « La guerra fu dichiarata il 16 maggio 1452
« dalla repubblica e l'ii giugno dal re... ». Il Cipolla, op. cit., voi. I, p. 442,
nota 9, ricorda le lettere di sfida dello Sforza a' condottieri veneti e di questi a
quello, in data del 31 ottobre e i.° novembre '452, in Archivio Veneto, to. XIII,
p. 218 sgg. Ma già nella lettera dello Sforza ad Antonio da Trezzo, del 6 giugno
'452 (in regesto in quest'Archivio, XXIV, 1897, 11, p. 368), si fa a costui par-
tecipazione della sfida contro Venezia.
(*) Sento il dovere di ringraziare qui pubblicamente i signori dott. Gio-
vanni Vittani e Achille Giussani, dell'Archivio di Stato, dott. Ettore Verga, del-
l'Archivio civico storico, ing, Emilio Motta, della biblioteca Trivulziana, i quali
tutti mi furono larghi e cortesi nella ricerca e comunicazione de' documenti ne-
cessari alla presente Memoria.
I. Riproduciamo la copia A, dando qui le varianti di B, la quale cosi ap-
punto incomincia : Resposte ale domande del Magnifico conte Jacomo picinino.
Item ala parte....
78 ALESSANDRO COLOMBO
per lo passato, et non volerne may per alcuno tempo recognoscere
cosa alcuna, ma el tenera et hauerà per caro suo genero, come de
sopra e dicto.
Item alla parte che 1 domanda esso conte Jacomo la figliola d'esso
I. S. Conte 2 et per dota Como cum lo comasche, responde el prefato
Conte' che è^ contento de dargli la dieta soa ^ figliola et Como, come
el domanda.
Item alla parte de Parma col parmesano, dice esso che non pò ^
credere chel prefato conte Jacomo, uolendolo ^ per patre, come ^ è certo
chel vole, chel debia volere chel se priui ^ della porta de Lombardia,
come è Parma, et considerato ancora che 1" dalla M.ta del Re de Ra-
gona, dalla Segnoria de Venexia et da tucti doy li Marchesi li è stata
domandata, ali quali ^^ luy non ha may per ninno modo uoluto con-
sentire.
Item ala parte de Piasenza col piasentino, dice ^^ esso Conte es-
sere contento de dargli la cita de Piasenza col piasentino, zo è quello
che di presenti responde et è subgietto ala cita, et ancora quello che
tene el Conte predicto 1'. Ma de Riualta et Borgonouo dice che col tempo
congruo gli darà fauor ad aquistarlo.
Item ala parte de quello se aquistarà 1* li debia dare el terzo,
exceptuato Ghiaradadda et Crema, dice esso Conte ^^ essere contento,
exceptuandone ancora Bressa col Bressano^ quale per Milanesi li fo i^
promesso per capitoli ''', intendendose però della parte che toccarà ad
esso conte per respecto alle conuentioni et capitoli, ch'elio ha con la
M.ta del Re de Ragona.
Item a la parte chel dice, che col tempo el satisfaza d'ogni denaro,
che restasse ad hauere da Milanesi, dice esso conte chel è contento.
Item a la parte chel dice, che ogni cosa chel promettesse a quelli ^^
suoy amici ^^ de Milano che 1' habia rato et fermo, dice esso conte chel è
contento ^^, sperando chel debia promettere cose honeste et raxoneuole.
Item a la parte che ^^ tucte le possessione et case, che li fusseno do-
nate in Milano, siano sue, saluo quelle deli Bossi 22^ dandogli el contra-
cambio, dice esso Conte chel è contento, exceptuato quello fusse deli
Bossi 23.
I. B : dice et. 2. B : omette dalla parola d' esso. 3. B : la prefata Ex. 4. B v
son. 5. B: mia. 6. B: dico che non posso. 7. B: tiolendome.S. B aggiunge: credo
chel uoglia. 9. B: chio me priui dela p. io. B ha invece: da molti Segno i me e
domandata, ali quali... 11. B: per niuno m. non ho uoluto e. 12, B: dico essere e.
13. B: che tengo mi; omettendo quanto segue. 14. B: aquista. 15. B: dico essere
e; e cosi sempre nella prima persona in tutti que' luoghi, nei quali A porta la
lerT^a, e che per brevità e come facilmente riconoscibili si ometteranno in seguito.
16. B: me tra. I7. B: omette quanto segue. 18. B: ad quelli. 19. B aggiunge:
citadini. 20. B ha in seguito: dummodo eh' elle siano cose iuste et raxoneuole. 21.' B
aggiunge: dice che. 22. B: de Theodoro Bosso. 23. B; in sopra linea; prima era stata
scritto: de Luxsino et dela casa Bossi.
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 79
Item a la parte della conducta de le looo lanze et ducati 40 per lanza
et deli mille fanti et ducati 4 per paga, dice esso Conte essere con-
tento.
Item a la parte chel dice, che Hi daghi al presente ducati 15000, dice
esso Conte essere contento de darli ducati 1000 \
Item a la parte chel dice, che tucto quello che luy prometterà a Messer
Johanne de Lanuce Thabia rato et fermo, dice el predicto Conte essere
contento, sperando chel debia promettere cose honeste et raxoneuole.
Item a la parte chel sia locotenente delle terre et gente d'arme d'esso
Conte, dice chel è contento, reseruato el S. Messer Charlo, el quale è
suo capitano, eh' agli promesso non harà altro superiore chel Conte \
Item de quante paghe de' hauere Tanno el conte Jacomo, el Conte
prefato lo remete a quello dirà Luchino Palmiro.
Et uiceuersa el prefato conte Jacomo promete et se obliga de re-
cognoscere tucte le citade et terre et castelle, che esso ^ Conte li darà
in feudo *, et farane la debita fidelità.
Item ch'ella ferma del prefato conte Jacomo sc * intenda et duri uno
anno fermo ^, et uno a beneplacito, incomenzando dal di chel detto conte
Jacomo se discouererà.
Item esso conte Jacomo promette et se obliga, per li presenti ca-
pituli al'' prefato Conte, de descourerirse ^ dui di da poy ^ sigellati che
seranno li presenti capituli, et obedire, fare et exeguire integramente
quanto et come per esso Conte 1° o suo mandato li sera rechiesto, or-
dinato et comandato, senza alcuna exceptione né contradictione, e ser-
uire al prefato Conte 11 fidelmente et lialmente con tucta la sua compa-
gnia da cauallo et da pie, come de' fare zascuno ^ fidele homo et sol-
dato.
Li quali tucti capituli forono facti et sigellati a Vimercato ^^^ adi
XXIJ de febraro 1450, et per piij fermeza delli dicti capituli et cose
supradicte esso I. S. Conte li ha scripti tucti 1* de soa propria mano,
et subscripti pur de soa mano ^, et sigellati del suo ^^ sigeilo.
Frane iscusfortia vicecomes inanu propria scripsi et subscripsi i^.
1. B: X.™; forse è piìi esatto. 2. B ha invece: Messer Charlo^ al quale io ho-
promesso che sia mio capitano generale et de non hauere altro superiore che tiij.
Segue quifidi, nel verso, quanto in ^ è posto all'ultimo capitolo. 3. B aggiunge:
/. 5. 4. B : omette quanto segue. 5. B ha un altro : se. 6. B ha quindi : Inco-
menzando dal di dela data de li presenti capituli, et vnaltro a beneplacito desso
I. S. Conte. 7. B: a la ExM^ del pr e fato III. S conti Francescosforia Vesconte etc.
de descourirse... 8. B aggiunge: fra. 9. B: che seranno s. lO. B: p. la s. sua.
II. B ha invece: a la prefata s. sua cum tucta la sua compagnia d. e. et d. p.
fidelmente et rectamente, corno de fare... 12. B: ciascuno, 13. B aggiunge: done esso^
Conte allogia. 14. B: manca. 15. B omette: et supscripti... mano. 16. B aggiunge:
consueto. 17. B: manca l'attestazione della firma del Conte.
-8o ALESSANDRO COLOMBO
II.
La giunta de' xxiv, eletta dal consiglio generale di Mi-
lano, SCEGLIE nel proprio SENO UNA COMMISSIONE DI VII,
CON l'incarico di concretare presso il conte Fran-
cesco Sforza i capitoli della resa e l'accettazione
DEL NUOVO DOMINIO (rogtto uotaio Ambrogio de Gero),
Milano, 28 febbraio 14S0.
[Bibl. Trivulziana, cod. 1292, doc. I].
In nomine Domini, anno a natiuitate eiusdem millesimo quadringen-
tesimo quinquagesimo, Indictione terda decima, die sabbati ultimo mensis
Febru^rii.
Conuocato et congregato in domibus Ecclesie Domine S.* Marie de
la Scala P. N. Mediolani, premissis sono campane et aliis solemnitatibus
tam de iure quam de consuetudine debitis et necessariis, generali Con-
silio infrascriptorum spectab. egregiorum virorum huius ili. et ex. ciu."
Mediolani electorum per spectab. viros singularum portarum d.« ciuitatis,
totam communitatem pref.^ ciuitatis Mediolani representantium, et haben-
tium plenissimam potestatem ad infrascripta omnia et singula gerenda
faciendaque, nomine et vice pref.^ communitatis Mediolani, cum ili. et
ex.""" D. D. Francisco Sfortia Vicecomite, duce Mediolani ac Papié An-
glerieque cernite. Quorum nomina sunt hec : prò P. N. d. d. Barthol.^
Moronus legum doctor, Johannes de Dugnano, Paulo (sic) de Castilliono
et Christoforus Pagnanus; prò P. O. dd. Albertus de Marliano, Jaco-
binus de Olgiate, Simon de Albiate et Antonius de Curte ; prò P. R.
dd. Ambrosius de Trivulzio, Johannes de Petrasancta, Jacobus Rauitia
et Philippus Malabarba ; prò P. T. dd. Lanzalottus de Crottis, Gratianus
de Tringheriis legum doctor, Gaspar de Comite et Aloysius de la Turre;
prò P. V. dd. Guarnerius de Castilliono utriusque juris doctor, Petrus
de Vicecomitibus, Jacobus de Angleria legum doctor et Franciscus de
B'ossato miles; et prò P. C. dd. Jacobus de Dugnano legum doctor,
Laurentius de Busto legum doctor, Jacobus de Placentia et Jo. Anto-
nius de Vicomercato. In quo quidem Consilio generali aderant pref.*
omnes superius ciues nominati, exceptis prefatis dominis Jacobino de
Olgiate, Gratiano de Trincheriis et Jacobo de Placentia, qui omnes
ciues superius nominati sunt tres partes ex quatuor partibus dictorum
ciuium electorum ut s.*, et qui pref.i domini omnes ibidem congregati
et existentes ut s.% scilicet suis nominibus proprijs et nomine et uice
prefatorum dominorum Jacobini de Olgiate, Gratiani Tranquerii et Ja-
cobi de Placentia deficientium ut s.*, et prefate totius communitatis
Mediolani, et qui omnes pref.ti domini ibidem congregati et existentes
ut supra suis et dictis nominibus unanimes et concordes et nemine eorum
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 8l
discrepante, voluntarie, sponte et ex certa scientia, et non per aliquem
errorem iuris, nec facti et alias omnibus modo, jure, uia et forma, quibus
melius potuerunt et possunt, fecerunt constituerunt ordinauerunt et de-
putauerunt, et faciuiit constituunt ordinant et deputa tit spectab. viros
et prefatos dominos Guarnerium de Castilliono, Marchionum de Marliano,
Lanzalottum de Crottis, Gratianum Tranquerium, Christoforum de Pa-
gnanis, Jo. Ant.um de Vicomercato et Johannem de Petra Sancta, et
quemlibet eorum presentes et acceptantes, exceptis d.° d. Gratiano et
Marchione de Marliano ut s.', suos certos missos, nuncios, sindicos, man-
datarios et procuratores, et quidquid 'melius dici et esse possunt, specia-
liter ad procuratorio nomine totius prefate communitatis Mediolani et
prò prefata communitate eundum ad presentiam prelibati ill.mi et ex.>ni
d.ni d.ni Francisci Sfortie Vicecomitis, presentis nostri ducis Mediolani
dignissimi, et cum eo nomine quo s.* capitulandum, et capitula faciendum
et celebrandum quocumque modo, jure et forma, quibus videbitur et pla-
cuerit pref.° ill.mo d.no nostro et dictis procuratoribus et oratoribus.
Item ad transferendum et offerendum dominium prefate ciuitatis
Mediolani cum adnexo eo totu ducatu, et cum omnibus juribus, pertinen-
tiis, honorantiis, prerogatiuis, commoditatibus, utilitatibus, prerogatiuis,
juribus aquarum omnibus, regalibus et ceteris onmibus et singulis aliis
pertinentibus dictis communitati aut ducatui etc, si talia forent, de quibus
oporteret fieri specialis mentio, et cum omni mero et mixto imperio, et
omnimoda ampia et amplissima potestate, facultate et balilla, in preli-
batum d.num d.num Mediolani ducem dignissimum utsA Item ad pre-
sentandum, dandum et consignandum prelibato d.no d.no nostro duci
cartam albam ad finem et effectum, quod prelibatus d. d. dux noster
possit et ualeat, prout sibi uidebitur et placuerit, confirmare capitula an-
tedicta, et ea et in eis contenta, et eorum substantiam et eftectum mu-
tare et reformare, minuere et accrescere, prout dominationi sue melius
uidebitur et placuerit, in totum et prò parte, et alia de nono facere;
in quem prelibatum d.num ili. et ex.^um dd. totam et omnem spem, fi-
duciam gerunt et habent; et cui prelibato d.no d.no et eius Domina-
tioni, in predictis omnibus et singulis et quibuscumque aliis, se etc. no-
mine quo s.* et dictam communitatem et ducatum recomendant. Et de
et prò predictis omnibus et singulis ipsam communitatem Mediolani
obligandum et faciendum et celebrandum, et fieri et celebrari faciendum
quoscumque contractum et contractus benevallatum et benevallatos, cum
quibuscumque promissionibus, obligationibus, protestationibus, clausulis
et solemnitatibus in talibus et similibus debitis et necessariis, et apponi
solitis et consuetis, tam de iure de facto quam de consuetudine. Et ge-
neraliter omnia et singula alia et singula faciendum et celebrandum, in
pred.is et circa pred.* necessaria et expedientia et opportuna aut neces-
saria etiam, si talia forent que mandatum exigerent speciale magisque
speciale, et que facere possent prefati domini de dicto Consilio generali,
ibi congregati et existentes uts.* nomine quo s.*, et dieta tota commu-
nitas si presentes essent, promittentes prefati dd. de pref.° Consilio ge-
Arch. Sior. Lomb., Anno XXXII, Fase. VII. 6
82 ALESSANDRO COLOMBO
nerali, ibidem congregati et existentes ut s.*, suis et dictis nominibus^
obligando sese suis et dictis nominibus, et prefatam communitatem Me-
diolani, et omnia eorum suis et dictis nominibus, et prefate communitatis
Mediolani bona mobilia et immobilia presentia et futura, pignori mihi
not." infrascripto, persone publice stipulanti et recipienti nomine et vice^
et ad partem et utilitatem prelibati ili. mi et ex.mi dd. nostri ducis Me-
diolani etc. et eius camere, se se semper et omni tempore ratum, gratum
et firmum habituros quidquid per prefatos mandatarios, procuratores
et syndicos suos et quemlibet eorum actum, dictum, gestum, conuentum,
capituiatum et factum extiterit in premissis et circa premissa, et quod-
libet premissorum concedentes et attribuentes per presentes pref.is pro-
curatoribus, syndicis et mandatariis suis, et cuilibet eorum plenam, li-
beram, largam, generalem et amplam ac amplissimam potestatem, bay-
liam et facultatem ac mandatum plenum, largum et generale pred.a omnia
et singula faciendi et exequendi, sub nomine nostri altissimi dei, eiusque
matris beatissime virginis Marie, et patroni nostri doctoris irreprehen-
sibilis divi Ambrosii, qui precibus et meritis bonorum ciuium huius tante
ciuitatis Mediolani nobis dederunt in d.num et ducem nostrum dignis-
simum prelibatum d. d. Franciscum Sfortiam, et ciuitatem hanc libera-^
uerunt a manibus pravis (?).
Respondendo pref.i d. constituentes, et quilibet eorum suis et dictis
nominibus uts.a exceptioni non facti huiusmodi instrumenti syndicatus
et mandati taliter uts.*, et predictorum et infrascriptorum omnium et
singulorum non ita et taliter actorum et factorum, omnique probationi
et defensioni in contrarium.
Et de predictis rogatum fuit per me not.um infrascriptum, ut pu-
blicum conficerem instrumentum unum et plura tenoris eiusdem.
Actum in dictis domibus pref.e ecclesie d.ne S.e Marie de la Scala^
site in dieta porta Nona Mediolani, coram Johanne de Gallarato f.o d.
Gabrielis P. N. P. S. Petri ad Cornaredum Mediolani, Bartholomeo de
Surrigonibus f.* q."» d. Arasrai P. V. P. S. Mathei in Moneta Mediolani,.
not. e pronot.
Interfuerunt ibi testes : Petrus de Gallarate f.u» d. Johannis P. V. P.
monasterii noni, d. Antonius de Porris f.^s q.«> d. Galeaz P. N. P. S^
Andree ad murum ruptum, et Johannes de Gapanis f.^ q.™ d. Stephani
P. N. P. S. Bartholomei intus, omnes ciuitatis Mediolani, noti, idonei,,
uocati et rogati etc (i).
(i) Segue l'autentica del notaio milanese Verga dell'a. 1761.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC 83
III.
La commissione eletta dalla giunta de' xxiv presenta al
CONTE Francesco Sforza i capitoli definitivi della
RESA DI Milano, e giura nelle sue mani fedeltà e
sudditanza {rogito notaio Damiano de Marliani).
Vimercaie^ j marzo 14S0.
[Arch. civ. stor. di Milano, Dicasteri, cart. 4].
Effectus et substantia instrumenti rogati in Vicomercato.
In nomine Domini, anno a natiuitate ejusdem millesimo quadringen-
tesimo quinquagesimo, indictione tertia decima, die martis tertio mensis
martii.
Spectabiles et notabilissimi uiri dominus Guarnerius de Castigliono
iuris utriusque doctor, Lancelotus de Crottis, Melchior de Marliano, Cri-
stjphorus Pagnanus, Johannes Antonius de Vicomercato et Johannes
de Petrasancta, omnes ciues et habitatores inclite ciuitatis Mediolani,
coque procuratores, sindaci, nuncii, mandatarii et oratores per specta-
biles dominos Viginti quattuor deputatos ad Sanctam Mariam de la
Scala etc. creati electi et substituti solemniter, cum libero et pienissimo
mandato^ specialiter ad infrascripta omnia et singula et alia peragenda,
ut constai publico instrumento procuratorii seu mandati tradito et ro-
gato per (i), notarium Mediolani etc, nomine suo proprio et
dictorum viginti quattuor, humiliter, reuerenter et deuote comparuerunt,
et sese personaliter presenlauerunt corani illustrissimo et excellentis-
simo principe domino Francisco Sfortia Vicecomite, Mediolani duce no-
uello, sponte, libere, sine metu ac letis animis die vigesimo sexto prete-
riti proxime mensis electo, clamato, in ciuitatem prò vero duce et do-
mino Mediolani etc. introducto, et in possessionem inducto per omnes
ciues et totum populum unanimiter, nemine eorum discrepante etc, et
omnibus modo, jure, via et forma, quibus melius potuerant et possunt,
non per errorem aut improuide, sed animo piene et mature deliberato,
pienissime et efficaciter transtuleruat et transferunt etc liberum ple-
numque dominium, et ducatum annexum coherentem ciuitati et terri-
torio, in prefatum i. principem dominum Fran.cum Fortiam {sic) Viceco-
mitem etc suosque filios, heredes et successores in perpetuum, et in
quoscumque descendentes ab eo, et in filiorum suorum descendentes,
et quoscumque successores et heredes ab ipso dominos instituendos, se-
cundum ipsius domini Francisci ordinationem etc, libere et irreuocabi-
liter etc^ cum mero et mixto imperio et omnimoda superioritate et iu-
risdictione, cum omnibus intratis ordinariis et extraordinariis, et cum
regaliis, venationibus, honoribus et quibuscumque ad plenum ducatum
(i) Lacuna del testo ; intendi : Amhrosium de Gera.
84 ALESSANDRO COLOMBO
et dominium pertìnentibus et spectantibus, et cum potestate imponendi
quelibet onera ordinaria et extraordinaria, et edificandi et construendi
quelibet fortilicia vetera vel noua, tam in ciuitate quam in extra, mulc-
tandi, cohercendi, puniendi, donandi, alienandi, confirmandi, reuocandi
et quoscumque alios actus conficiendi, ordines, statata et decreta insti-
tuendi, et officiales creandi et deputandi, senatus, Consilia tenendi et
habendi, classes, exercitus, commeatus et huiusmodi similia preparandi,
ordinandi, manutenendi et conseruandi, etiam sumptibus et expensis
subditorum, ciuitatem patriamque nostrani deifendendi, regendi, quos-
cumque inobedientes aut rebelles expellendi vel coliercendi. Et genera-
liter omnia et singula, que ad principem integerrimum et verum ac ju-
stuni ducem pertinent, adimplendi et exequendi, etiam si talia forent
que spetialem expressioneni exigerent etc, que iiic prò expressis et
nominatis haberi debeant, cum totali et libera balya, ac pienissima iu-
risdictione et integro dominio, in omnibus et singulis predictis et con-
uexis et dependentibus ab eis etc.
Promittentes omnia et singula, gesta et gerenda per ipsum dominum
Franciscum illustrissimum, semper et omni tempore habere rata, grata,
firma et inconcussa, et nullo unquam tempore contrauenire sub aliquo
pretenso, colore, nec ex aliqna causa, que dici vel excogitari possit de
iure vel de facto cogitata vel inexcogitata, etiamsi tales essent, que in
generali sermone non venirent etc.
Renuntiantes omnibus juribus, auxiliis, ordinibus, decretis et quibus-
cumque exceptionibus ac contradictionibus, vel consuetudinibus et qui-
buscumque allegationibus et deffensionibus, quibus quouis modo, de jure
vel de facto, in contrarium se tueri possent, etc.
Et nomine dictorum viginti quattuor deputatorum ad Sanctam Ma-
riam dela Scala ut supra produxerunt certa capitula tenoris infrascripti,
in modum et formam carte albe remittentes, et eorum efifectum arbitrio
et volontati ipsius illustrissimi domini, ita quod possit et cassare et mi-
nuere, refformare, auellere et in totum vel prò parte annullare dieta
omnia et Singula capitula, secundum beneplacitum et voluntatem ex.i"i
prefati domini nostri etc.
MCCCCL die sabati XXVIII februarii, infrascripti sono li capituli. . . . (i).
Quibus prefatus illus.mu» dominus noster dux nouellus infrascriptas
effecit responsiones.
Infrascripte sunt responsiones facte per illus.mum dominum ducem
Mediolani etc. capitulis porrectis per Mediolanenses etc.
Ad primum intendimus cuilibet predictorum (2).
(1) Seguono i 28 capitoli, in gran parte conformi a quelli editi, dal For-
mentini sotto la data erronea del 27 febbraio '450.
(2) Seguono, successivamente, le risposte ai 28 capitoli ; le quali il lettore
può vedere, in gran parte conformi alla nostra copia, nel Sigkel, op. cit., doc. XXII.
Qui soltanto ci piace avvertire che la risposta al 28.° capitolo, anziché la sem-
plice parola « placet » che si legge nel Sickel, è : « [Ad ultimum] placet et ac-
« ceptamus animo letissimo ».
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 85
Et ad majorem diete translationis finnitatem, predicti oratores, pro-
curatores et sindici, nomine quo supra, tactis corporaliter sacro sanctis
scripturis, jurauerunt ad sancta Dei euangelia in manibus prefati illus.m*
d.ni ducis nostri, quod semper et omni tempore erunt excell.® sue et
descendentibus suis fideles et obbedientes subditi, in omnem temporis
et fortune euentum et in quemcumque casum, nec ullo unquam tempore
se retrahent a seruitiis, fidelitate et obedientia prefati domini nostri,
sed in ipsius subiectione et deuoctione perseuerabunt, etiam in qua-
cumque conditionis varietate et quidquid imposterum emergat, ipsique
domino duci et descendentibus prestabunt fidelia Consilia et auxilia re-
quirenda, sine dolo aut machinatione, secundum datam ab eterno deo
facultatem et potestatem, nec contra personam aut statum prefati do-
mini aut descententium quicquam tractabunt aut tèntabunt, nec tractan-
tibus aut tentantibus consentient, sed potius contradicent et obuiabunt,
et si quid in contrarium senserint, statim per se aut per nuncium aut
litteras propalabu.nt et prefato domino nuntiabunt, ordinationes, litteras
et mandata sua prò toto posse exequentur et adimplebunt, tam certa
regimenta status, quam certa alia beneplacita prefati i. d. ducis noni, et
certa successionis in ipso ducatu et dominio.
(I)-
Promittentes etiam, quod in alia solemni congregatione ciuium et
populi, per citationes et cridas fienda in forma juridica, translationem
dominii et ducatus et pertinentiarum in ampliori forma juridica fieri et
statui procurabunt, et operam dabunt cum effectu, modis et formis pre-
fato d.no nostro gratis et acceptis, tam in translatione quam in succes-
sione, ut suis indubitantissimis juribus et titulis nihil deesse possit.
MCCCCL. indictione XIII. die martis tertio martii.
Actum in Vicomercato ducatus Mediolani, in domo magnifici [Comitis
Johannis de Corio], cui ceheret ab una parte strata, ab alia canonicorum
Sancte Marie, et ab aliis Martinoli de Inuitiatis ciuis Mediolani.
Magnifici dominus comes Johannes fil. q.™ magnifici comitis Jacobi
de Corio habit. Moduetie, spectabilis miles dominus Polidorus de Ba-
lionibus q.™ domini Pellini de Perusio, ad presens locum tenens No-
uarie, spectabilis milles et doctor dominus Petrus fil. quondam Johannis
de Tabaldiseis de Misera ad presens capit. Sepri, spectabilis milles et
juris utriusque doctor dominus Johannes domini Ardizini de la porta
de Nouaria.
Notarii dominus Petrus Georgius de Castigliono fil. quondam do-
mini Marci ciuis Mediolani P. C. P. S. Thome in terra amara, et Hen-
ricus de Munte fil. quondam domini Princiualli P. V. P. S. Johannis
supra murum Mediolani (2).
(r) Seguono tre linee punteggiate, e in margine si legge : « Hic extenditur
« tenor fidelitatis in Latiore forma ».
(2) Segue la « Minutta » o « Tessera », in data j marzo 1450 e redatta nella so-
lita casa del conte Giov. Corio, nella quale i sei sopradetti deputati fanno la so-
86 ALESSANDRO COLOMBO
IV.
I CITTADINI E IL POPOLO DI MlLANO, RIUNITI IN ASSEMBLEA
GENERALE, APPROVANDO l'oPERATO DELLA COMMISSIONE
de' vii, proclamano SOLENNEMENTE A LORO DUCA E SI-
GNORE IL CONTE Francesco Sforza e stabiliscono le
prime modalità del solenne ingresso [rogito notai Ja-
copo de Perego e Damiano de' Marliani).
Milano, II marzo 14SO.
f Arch. di Stato di Milano, Potenze sovrane, Francesco I Sforza].
In nomine sancte et indiuidue trinitatis patris et filii et spiritus
sancti, amen, anno a natiuitate dominica millesimo quadringentesimo
quinquagesimo, indictione tertia decima, die mercurii undecimo mensis
martii, secundum morem et cursum alme ciuitatis Mediolani. magnopere
Deus eternus totum mundum suis omnibus perfectum partibus inefabili
prouidentia creauit. Inestimabilis fuit illa dei bonitas, qua hominem pla-
smauit ad eius imaginem et omnibus abundantem rebus in paradiso de-
litiarum collocauit. Sed postea quam, propter infelicem inobedientiam
primi parentis, totum genus humanum ex amenitate in huius mundi spi-
nas eiecit et damnauit ad inferni penas, infinita et supra modum tran-
suiscerata fuit illa caritas, qua deus pater deum filium redemptorem
emisit, quem mediante Maria Virgine incarnari uoluit, pati tormenta,
predicare salutis unitatem, subire mortem acerbissimam, resurgere a
mortuis et ascendere tandem in celum ad spem nobis uite reparandam,
ad gloriam sui immortalis regni, si illam nostris mentis insequemur, ca-
pescendam. Hoc igitur exemplari similitudinarioque loco, regnante ili.™'*
Philippo Maria duce felicissimo, ita legam claramque uitam agebant
omnes ciues mediolanenses, ita rerum omnium copiis abundabant, ut
omnes etiam extere naciones hanc patriam et mediolanenses honora-
rent et colerent, atque appellarent prope esse beatos. At ubi clarissimum
illud patrie nostre lumen extinctum est, pax omnis sublata fuit, justitia
sopita^ copie rerum ammisse sunt. Memoria tenent omnes quanta fuerit
postea sceleratorum hominum immoderata superbia, cogitationesque fu-
turorum errorum inique aut crudeles. Fuit preterea multitudo malorum
leane traslazione del dominio e ducato di Milano a Francesco Sforza, approvando
ogni diritto e privilegio di lui, e prestando giuramento nelle sue mani ; sono
presenti i pronotarì Pietro Giorgio da Castiglione fu Mario ed Enrico del Monte
fu Princivalle, e quali testi il conte Giov. Corio fu Giacomo, Polidoro de' Ba-
glioni di Perugia, Pietro de' Tebjldeschi e Giovanni della Porta. Da ultimo,
l'autentica del notaio Anton Francesco Verga, in data 17 luglio 1759.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 87
»
?ìoiiiinum, quibus tanta seuiendi potestas et licentia data erat, ut omnes
boni potius de fuga quam de salute cogitarent, cum nefandissimos ho-
inines rapiendi cupiditas inflamaret, et sanguinis effundendi immoderata
uoiuptas excitaret, iamque tota patria eo perducta fuerat, propter ciuium
diuersa studia et priuatas usque ad ciuilia bella discordias, ut nisi me-
diante matrimonio ili.™* Blance Marie, exemplo Marie Virginis, hic sa-
pientissimus princeps unicus e celo missus ad nos uenisset, de nostris
omnibus rebus priuatis et publicis actum erat. Gloriabantur hostes et
emuli nostri, quod hic Mediolani principatus, cum tam late potentiam
suam extendisset, tam subito nullis externis uiribus, sed ciuium superbia
intestino malo ad interitum usque ueniret, timentes antea fortissima
bella, que prius Mediolanensium principibus et ducibus fuerant maxima
airtate confecta, ut non tantum homines, sed et deos et ipsa numina
prò Victoria pugnasse credidissent. Cum ergo ciues nostri illorum prin-
cipam et ducum tanta uirtute et felicitate gesta cum illis malis, que
inortuo duci nostro exardescere ceperunt, inter eos omnes compara-
reiit, non minora culpa quam dolore confundebantur, quod miserie pro-
prie et calamitates publice rei fuerint. Verebantur enim non solum ad
sanguinem et ad cedem excitari, sed instantibus vicinis ad ciuitatis
ruiaam extendi, nisi summa noni principis uirtute hec patria conseruata
fuisset, qui ciuitatem hanc eripuit uelut ex aliquo flagrantissimo in-
cendio, nec passus est omnem ciuitatis huius gloriam interire. Misit ergo
Deus in mentem omnibus bonis et grauibus ciuibus huic tante rei finem
imponere et statuere modum odiis; que res cum in consultationem op-
tiinorum ciuium deuenisset, unicus sapientissimus princeps Franciscus
Sfortia uisus est omnibus dignus, ad quem tota regendi summa defferre-
retur. Mouerunt certe prudentissimos Mediolani ciues et uniuersum po-
pulum illa clarissima iura donationis defuncti ducis, que ad hanc elec-
tioaem afferrebantur ; impellebantur etiam splendore et fama inuictissimi
et fortissimi bellorum ducis Sfortie patris ; alliciebantur etiam contempla-
tione et reuerentia ili.™* domine Blance Marie, filie unigenite solemniter
legiptimate prefati quondam ili. mi domini domini Philippi Marie, olim
ducis Mediolani, memorati ili. mi domini Francisci Sfortie consortis optime.
Sed cum omnes se se ad huius principis naturam diuinas uirtutes pul-
cerimosque mores refferebant, incredibile est quanto ardore et affectu
ducalis dignitatis ad hunc principem deferrende animi omnium tene-
rentur, cum nemo bonus ciues esset, qui non hunc et ducem et dominum
et principem et patronum et patrie patrem optaret. Cum enim ante
oculos ponerent quanta uirtute, quibus moribus etatem suam instituerit,
quanta felicitate innumerabiles uictorias adeptus sit, quanta integritate et
iustitia rempublicam regat, quanta cantate et clementia subditorum com-
iDoda procuret, nulla atnplius bella ciuilia, nullam seditionem, nullum
doinesticum, nullum externum bellum uerebantur, quando quidem hunc
in principem et ducem haberent, sed illam ingentem bonarum rerum
gloriam, qua diu hec ciuitas floruit, omnemque dignitatem et auctori-
tatem huius principis dominia uirtute et summa sapientia reasumere non
88 ALESSANDRO COLOMBO
dubitabant. Animaduertentes itaque hoc regnum non pati plures inter
eosque semper nutriri zelum et discordiam permortalem, cum iustior
et proprior principatus esse non possit, quam in hoc uno Francisco
Sfortia virtutum omnium concursu integerime duce, a quo patria feHcis.
sime liberata fuit die jouis vigesimo sexto februarii proxime preteriti,
in singulis portis et parochiis congregati ciues et populares, sponte, li-
bere, omni impressione cessante, rebus et casibus discussis, conuenerunt
in magno numero ad Sanctam Mariam de la Scala, et viginti quatuor
primarios et principaliores ciues eligerunt et deputauerunt, uidelicet prò
porta Nona spectabiles dominos Petrum Cotam, Bartolomeum Moronum,
Francischinum de Castro Sancti Petri et Christophorum Pagnanum, prò
porta VerceUina Magnificum Dominum Guarnerium de Castilliono, do-
minum Jacobum de Angleria, dominum Johannem Coyrum et dominum
Franciscum Mirabilium, prò porta Orientali spectabiles dominos Am-
brosium de Cliuio, Tomaxium Amiconum, Bartolomeum Gallaranum et
Simonem de Albiate, prò porta Romana spectabiles viros dominos An-
tonium de Porris, Antonium de Triulzio, Bartolomeum Vicecomitem et
Johannem de Petra Sancta, prò porta Ticinensi spectabiles dominos
Georgium Plattum, Lanzalottum Crotum, Gasparem de Comite et Joan-
nem Stampam, prò porta Cumana spectabiles doctores dominos Jacobum
de Dugnano, Stephanum de Bossiis, Ambrosium de Paganis et Leo-
nardum Gariboldum, ad prouidendum statui et ciuitati, et ad capitu-
landum cum prefato ili.™" domino Francisco Sfortia, cum piena potestate
et balia transferendi dominium et ducatum in eum, et introducendi et
suscipiendi in ciuitatem Mediolani, tanquam uerum dominum et ducem
optimum, ac etiam cum potestate substituendi et deputandi sex ex ipsis
uiginti quatuor, uidelicet unum prò porta^ ad transferendum dominium
in prefatum Dominum Franciscum Sfortiam, et ad prestandum subiec-
tionem et omnimodam fidelitatem et iuramentum nere subiectionis et
fidelitatis. Qui omnes uiginti quatuor, deputati cum consensu aclamantis
et instantis' populi et omnium ciuium, substituerunt et deputauerunt ad
omnia predicta peragenda unum prò porta, videlicet magnificum dominum
Guarnerium de Castelliono prò porta VerceUina, Melchionem de Mar-
liano prò porta Orientali, Christophorum Pagnanum prò porta Nona,
Joannem de Petra Sancta prò porta Romana, dominum Lancellottum
Crotum prò porta Ticinensi et Joannem Antonium de Vicomercato
prò porta Cumana, quibus electis et deputatis prcdicti uiginti quatuor»
inter quos conumerabantur illi sex, instantibus et sollicitantibus populo
et uniuersis ciuibus, portas ciuitatis aperiri et prefato ili.™" domino Fran-
cisco Sfortie patentes fieri iusserunt et statuerunt, quem omnes ciues
una hora, una noce, diuersis locis miraculose clamauerunt, petierunt,
elegerunt, prefecerunt et statuerunt ciuitati et ducatui uerum et optimum
principem ducem et dominum, exclamantes, laudantes et extollentes altis
uocibus memoratum ill.mum principem et excell.mum dominum Franciscum
Sfortiam Vicecomitem, Papié comitem ac Cremone, Parme, Placentie,
Laude, Alessandrie Nouarieque dominum, coniugemque legiptimum pre-
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 89
fate ili."** domine domine Bianche Marie, in ipsius ciuitatis et ducatus
dominum et ducem, bonaque habita inter nobiles et ciues ac uniuersum
populum ac matura deliberatione, etiam cum interuallo temporis cater-
uatim et per uniuersum populum, cuiuscumque gradus et dignitatis, cuius-
cumque sexus et etatis, cuiuscumque status et conditionis, unanimiter
et nemine discrepante fuit prefatus ill.mus comes Franciscus Sfortia^
mitis, inhermis, totus placidus, humanus, gratus, pacificus in medio et
in uiribus totius populi constitutus per portam Nouam, pulsantibus prò
gaudio campanis totius ciuitatis, cum maxima illaritate et incredibili le-
titia, ad ecclesiam usque maiorem potius et uirius delatusque comitatus
in eumque tunc presentem et acceptantem, cum reseruatione et sine
preiuditio cuiuslibet iuris, in dominio et ducatu Mediolani, prelibatis do-
minis Francisco Sfortiae et domine Bianche Marie competentis, perti-
nentis et spectantis, quocumque modo, titulo, causa et iure et eorum
possessione seu quasi, antedictum dominium cum annexo ducatu tran-
sferentes, ac expresse transtulerunt decreueruntque, et statuerunt no-
bilissimi ciues populares et plebei, legiptime congregati, lata lege regia
siue ducali in prefatum ill.mum Franciscum Sfortiam, eiusque descen-
dentes et posteros inperpetuum, omnem transferre potestatem, dominium
et ducatum annexum, pure, irreuocabiliter et libere, totaliter et sine di-
minutione. Sed ut liberalioribus animis hec magna res perficeretur, et
omnium ciuium pienissimo consensu concluderetur, egressus est statim
ciuitatem Mediolani prefatus ill.mus dominus Franciscus Sfortia sine ul-
lius morida, et ad Burgum Vicomercati se contulit, ut eo loci expectaret
quid ciues Mediolanenses et populares iterum statuerent, et concorditer
matura discussione deliberarent : qui omnes ciues et populares Medio-
lanenses et uiginti quatuor deputati magna sollicitudine institerunt, de-
creuerunt et iusserunt, quod illi sex electi, videlicet magnificus dominus
Garnerius de Castelliono, dominus Lancellottus Crotus, Mélchion de
Marliano, Christophorus Pagnanus, Joannes Antonius de Vicomercato
et Joannes de Petrasancta, prefatum ill.mum dominum Franciscum Sfor-
tiam sequerentur et ad locum Vicomercati se conferrent, cum pienis-
simo et solemni mandato transferendi dominium et ducatum, et cum li-
bera potestate faciendi ueram et plenam subiectionem, et prestandi
fidelitatis juramentum, et capitulandi et remittendi capitula in totum et
prò parte, ad arbitrium prefati domini Francisci Sfortie, et faciendi pre-
dieta omnia prò se et descendentibus suis in infinitum, secundum or-
dinem successionis in ducatu. Qui sex electi et constituti ut supra ad
locum Vicomercati se transtulerunt, et die martis tertio mensis martij
presentis corani prefato ili.™" domino Francisco Sfortia se se persona-
liter presentarunt, et flexis genibus, premissis solemnibus exordiis, et
uice totius communitatis et populi Mediolani, prefatum ill.mum dominum
Franciscum Sfortiam in uerum dominum, principem et ducem recogno-
uerunt et acceptauerunt, et eidem reuerenter et pienissime subiectionis
et fidelitatis iuramentum prestiterunt, transferendo dominium, dalia,
intratas ordinarias et extraordinarias, merum et mixtum ìmperium, om-
-90 ALESSANDRO COLOMBO
nimodam iurisdictionem et quecumque regalia in prefatum ill.mum do.
minum Franciscum Sfortiam et descendentes suos, ita ut primogenitus
admittatur et eius filii et successiue reliqui descendentes, sicuti patet
instruniento publico per me damianum de Mariano notarium rogato in
loco, die et anno suprascriptis. Quibus omnibus peractis, confectis, ex li-
beralitate principis quecumque omnia ad eius arbitrium remissa fuissent,
reuersi post hec predicti sex oratores et legati ad ciuitatem Mediolani,
ciuibus et uiginti quatuor ciuibus deputatis omnia gesta retulerunt. Qui
ciues et deputati, una cum magistratibus et offitiis ciuitatis, ad abun-
dantem cautelam et ad maiorem cordium ostentationem, prò fortiori
robore premisse translationis, quamquam prius facta sufficerent et in-
dubitatissimo iure ualerent, iterum tamen et de nono experiri et discu-
tere uoluerunt omnium ciuium et popularium nota et iuditia, antequam
hic princeps et dux noster insignia ducatus assumerei, et antequam ci-
Tiitatem ipsam secunda uice intraret, ut totus mundus uberiorem ciuium
omnium uoluntatem intelligeret. Quo circa maxime de mandato et im-
positione infrascriptorum spectabilium dominorum potestatis, vicarii et
duodecim prouisionis, ac uiginti quatuor deputatorum ut infra, ut talis
electio ac dominii cum annexo ducatu translatio cum solemnitate debita
x:unctis fiat manifesta, hodie in nomine Altissimi Dei nostri, ac glorio-
sissime virginis Marie beatissimique doctoris Ambrosii, huius alme ci-
uitatis patroni, congregati vniversis ciuibus ciuitatis Mediolani, uidelicet
unus principalium ex qualibet domo, in curia siue platea magna curie
arenghi anteriori, qui ut omnes affirmant et attestantur solemniter citati
et uocati fuerunt tribus modis et formis, simul et coniunctim prò uali-
<iiori solemnitate et fìrmiori robore, seruatis tribus citationibus, videlicet
primo ad sonum campane Broleti communis Mediolani, seruato more
qui seruari solet quando populas et universitas communitaiis et populi
Mediolani congregatur, secundo per proclamationes et cridas in singulis
portarum carobiis (i) ac plateis et locis consuetis publice et alta uoce
factas, Et tertio per citationem commissam per antianos parochiarum
in singulis ciuium domibus fàctam, in forma subsequenti et conformi pro-
clamationi et cride predictis, et de quibus citationibus et cridis facte suni
relationes ut infra, videlicet. MCCCCL. die mercurii vndecimo mensis
martii (2).
Retulerunt et dixerunt Antonius et Matheus fratres de Arezio, ambo
tubate communitatis Mediolan', se die hodie summo mane fecisse cridam
(i) Ci piace di far notare al lettore, che la frase « singulis Portarum Ca-
<c robijs » conferma quanto il Manzoni scriveva, a proposito de' Carrobi in Mi-
lano, al cap. XXXU de' suoi Promessi Sposi : «... ognuno di que' crocicchi, o
« piazzette, dove le strade principali sboccan ne' borghi, e che allora serbavano
a l'antico nome di carrobi, ora rimasto a uno solo... ».
(2) Comincia il primo passo riportato dal Formentini : grida del podestà di
Milano per la convocazione dell'assemblea generale nella corte dell' Arengo.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 9I
^t proclamationem tenoris suprascripti ad scalas palatii Broleti noui com-
munis Mediolani et ad alia loca, ubi cride et proclamationes solent et
debent fieri, seruatis in predictis ea que seruari debent, et quorum anzea-
norum relatio sequiturin hac forma, videlicet. MCCCCL. indictione XIII.*
die mercurii vndecimo mensis martii in tertiis. Coram predictis offitia-
libus et uiginti quatuor deputatis et me suprascripto et infrascripto Ja-
cobo de Perego, notarlo et stipulante ut supra. Retulerunt et dixerunt
et guarantauerunt infrascripti anziani, videlicet Christophorus de Gra-
tianis dictus Belotus, Christophorus de Grassis prò porta Nona, Toma-
sius de Paganis, Johannes dictus Locate de Locate prò porta Romana,
Franciscolus de Cagnolis, Bexana de Bexana, Johannes de Mantegatiis
prò porta Ticinensi, Tomasius de Paganis et Johannes Anzianus prò
porta Orientali, Joannes de Canturio, Morieiolus de Morigiis prò porta
Vercellina, Daniel Anzianus et Belinus Anzianus prò Porta Cumana, et
quilibet eorum digne refferendo, se die hodie parte et precepto utsupra
iuisse de domo in domum omnium ciuium ciuitatis Mediolani, digne rei-
ferendo, uidelicet quilibet eorum in sua porta et dictis domibus citasse,
monuisse et requisiuisse principalem cuiuslibet domus ad dictas eorum
domos, quos citatos prò malori parte personaliter inuenerunt, et si non
reperietur personaliter r eperient de eorum familia, et ipsis repertis au-
dientibus et intelligentibus iussisse et precepisse in omnibus et per omnia,
et de nerbo ad uerbum, prò ut in suprascriptis cridis fit mentio. Postea
uero suprascriptis anno, indictione et die, coram prefatis dominis pote-
state, vicario et uiginti quatuor deputatis et me Jacobo de Perego no-
tano utsupra, stipulante ut supra, retulit et dixit Johannes de Carate,
Custos Campanilis Broleti mediolani (i).
(i) Cfr. continuazione e fine in Formentini, op. cit., doc. 26. Avvertasi
però che l'A., mentre porta qua e là delle varianti, dovute in parte a cattiva
interpretazione del testo, non pubblica di seguito il documento integralmente,
ma solo quelle parti, che parevano interessare al suo scopo. Così, mentre va a
capo dopj le parole : « ut piena fides et attestatio de rebus gestis haberetur »,
e, come già osservammo in una nota al nostro testo, legge a per die (?) » an-
ziché « pridie mensis preteriti vigesirao sexto », omette, dopo le parole a rata
a et grata omni tempore habere et tenere » (fine del secondo passo riportato
dal F.), un brano, reladvamente non molto lungo, nel quale si dice che, per
nessun motivo e in nessun tempo, si contravverrà a quanto sopra, « attenta suc-
« cessione prefate ili.'"" d ne d. Bianche Marie... et diuinis uirtutibus et mentis
« prefati ili. mi d.ni Francisci Sfortie etc. ». Nel terzo passo edito dal F. si no-
tano le seguenti principali varianti : « seu dici possint deesse » invece di cr pos-
« sent etc. » ; « ducatum pertinent piene, libere etc. » anziché a pertinentìhus
<( pure etc »; « Iure et titulo qui dici possint » anziché « posset »; « utsupra
« factam uelint etc. » anziché a facere etc. » ; « per traditionem sceptri cassis (?)
a et clauium insignium tradite etc. » anziché « sceptri, ensis et clauium in si-
« gnum etc. » ; « clausulas et formam iuramenti sicut decenserit et opportunum
92 ALESSANDRO COLOMBO
V.
Il nobile Antonio de' Triulzio viene chiamato a far parte
del ducale consiglio segreto.
Vimercate, 12 marzo 14S0.
[Arch. cit., Diplomi, sec. XV, Milano'].
Franciscus Sfortia Vicecomes, dux Mediolaiii etc, Papié Angle-
rieque comes ^ Dòmini in eligendis assumendisque apud se
« quantum etc. » anziché « sicut decens | erit..., quanto etc. » ; oc Bianche Marie
c< filiorum quondam et heredum etc. » anziché ce filionimque etc. ». Il F. omette
quindi il brano contenente la promessa di non contravvenire a quanto sopra, e
di aver fatto ogni cosa (introduzione del novello duca di Milano, accompagna-
mento al Duomo tee.) di pieno accordo e liberamente. Riportiamo integralmente,
perché l'accenno del F. é troppo breve, la risposta al secondo quesito del Ca-
stiglione : « Ad secundum responderunt quod declarant illa omnia nera et ualida
« esse debere, et ex nero ciuitatis et populi consensu gesta fuisse, supplente»
(f omnes defectus solemnitatis ommisse, attentis prefati domini Francisci Sfortie
« uirtutibus et meritis, et attenta maxime successione prefate ili."** domine Bianche
« Marie filie unigenite et solemniter legitimate prefati ill.mì domini quondam ducis
« Philippi Marie, et dieta eius uera et solemni legitimatione ac etiam predicta
« donatione, et predictis omnibus et ut supra, de quibus onmibus prefati ciues^
(f et populus ad dictam interrogationem, stippulationem et requisitionem ut supra
« protestantur habuisse et habere plenam et ueram scientiam et notitiam ». E
nemmeno complete sono, nel F., le risposte al quarto e quinto quesito. Omet-
tiamo, per brevità, le parti mancanti ; ricordiamo solo ch'egli legge : « quo ad »
invece di « quod » (risposta al quarto quesito), e che la risposta al quinto que-
sito è messa dopo quella del sesto. Incompleta è pure quella al settimo ed ul-
timo quesito. Converrà che si riporti per intero il passo relativo al dono, mala-
mente edito dal F., e che segue immediatamente alla risposta predetta: « Ad
« partem nero muneris et largitionis prò honoreficentia ciuitatis facienda li-
ce bentissime contentantur et consentiunt, quod dieta expensa liberaliter fìat, et
« in ipsum ill.inum dominum nostrum conuertatur in hoc actu solemnissimo, ti-
« tulo donationis, usque ad quantitatem ducatorum mille quingentorum ut supra
a in capitulo, et ab ipsis ciuibus retrahatur predicta expensa ducatorum mille
« quingentorum super illa assignatione ducatorum quinque prò centenario et aliter
« quocumque modo ». Manca infine nel F. la chiusa dell' istrumento : promessa,
obbligo, rinuncia de' contraenti ; richiesta de' notai e loro attestazione ; indica-
zione del luogo (corte dell' Arengo), de' pronotari (Gabriele de' Bolgaroni fu
Martino, abitante a Porta Cumana parrocchia di S. Marcellino, e Marco de' Pe-
rego di Jacopo) e de' testimoni.
I. Indichiamo co' puntini le lacune del testo; tra parentesi quadre le parole
o le lettere, che facilmente si possono interpretare. Facile intanto è compire qui
la parte mancante: ac Cnmone dnus etc.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 93
personis, quarum ope et opera gerenda negocia melius dirigantur ci-
tiusque perficiantur, longe mag [sjecretis, et importantes
status sui re[s] credant et committant. Cum enim a rectitudine et in-
tegritate consili uniuersorum statuum summa depe [qui prò]-
mouendi sunt viri sint non modo fideles, sed omni modestia, continentia,
equanimitate, uenusta[te], grauitate, autoritate et multarum magnarum-
que ticie, qui principes deo et liominibus gratos reddit, veri
cultores. Non ignorantes ergo primum veteris stirpis nobilitatem, pre-
-clare domin rectitudinem, equitatem, integritatem et hu-
manarum rerum, tam publicarum quam priuatarum, docilem experien-
tiam spectabilis Antonii ^ unus (?) attendentes qua semper
^rga nos obseruantia, fidei femore, constantiaque mentis et animi ex-
titerit ad nostram amplitudinem fouendam, quibus - studio
suis nobis fauet, et redintegratioTiem soliditatemque status nostri querit,
et totis exoptat uiribus, nihil prò se magis ferens, nihil carius
[sjudorem. Pro quo etiam, ut informati sumus, plurimas graues atque
difficiles inimicitias subiit, intestina odia et domesticas simulta ,
que priori propositu deiici a nostra deuotione et perseueranti in nos af-
fectione sua. Quin quod semel animo concepisset suo hoc ipsum q .^,
meritum iudicauimus quem nostri consiliariatus dignitate et honore de-
coremus. Persuadentes nobis, immo non dubitantes, quod sicut *
[fjeruenter fidem et deuotionis exuberanciam demonstrauit, ita eciam vel
eo magis in tranquillis et sedatis rebus nostris, et iactis dominii 5
{sem]per et promptius ac uirilius, prò nostri amplitudine et gloria, in-
genii vires et personam exercendo, ut priorem illam deuotionem in nos
non ^. Quare tenore presentium eundem Antonium, de quo
illam plenam et amplam fiduciam capimus que de viro nobis affectis-
simo et deditissimo 7 [p]roprio in consiliarium nostrum eli-
gimus^ assumimur, constituimus et deputamus, cum auctoritate, arbitrio
et balia ingrediendi consilium nostrum p ^ ... [sjandis, uen-
tilandis, discutiendis et concludendis rebus nostris, quamtumujs arduis
et importantibus, interessendi et opinionem, sententiam vocemque suam
in medi ^ in curia faciendi, agendi, procurandi, exequendi ac
executioni mandari faciendi que amplissime huius dignitatis natura exigit
et requirit, que ve faciunt et fa ...."... i'' futurum alii de Consilio nostro
secreto. Intendentes eciam e^Volentes, quod a camera nostra percipiat
illam mensualem prouisionem, quam et prout alii consiliari! illustris-
sim[i] 11 [memojrie domini ducis, patris patrie, percipere
I. Seguiva probabilmente: de Triuìtio... 2. Forse, tra le parole che seguivano,
si deve mettere un opera od opere. 3. Principio certo di un quod. 4. Dovea seguire,
tra l'altro, un in antea. 5. Seguiva certo un nostri. 6. Forse un imminuat? 7. Forse :
nomine nostro. 8. Certo inizio della parola : prò, a cui seguiva forse un compuìs
[andis]. 9. Compisci: [in medì]um dicendi, et [in cuna], io. Compisci: [fa\cient...
in [ftiturum], 11. È facile co.npire il mancante: quondam bone.
94 ALESSANDRO COLOMBO
communiter et habere consueuerant, cum vtilitatibus etiam, honorantijs^
prerogatiuis, commoditatibus et emolumentis huiusmodi C i
[di]gnitati spectantibus et pertinentibus, et per alios utsupra licite per-
ceptis et habitis. Denique vero mandantes illustri locumtenenti nostro,
ceterisque de prefato nostro Consilio et vniuers[itate] ^ ^jjg
aliis, ad quos spectat et spectabit, quatenus prenominatum Antonium ad
huiusmodi consularis dignitatis possessionem ponant, recipiant, admittant
et inducant, positu[mque ma]nuteneaiit, tueantur et defendant, et ipsi
de Consilio in collegam suum eum habeant, tractent et reputent, magistri
vero intratarum nostrarum et ceteri, ad quos spectat ' de
dictis prouisione, commoditatibus et honoranciis cum integritate respon-
deant, et faciant debitis temporibus responderi. In quorum testimonium
presentes fieri ac registrari iussimus, nostrique sigilli munimine roborari.
Dai. Vicomercati^ die duodecimo marcij. MCCCO quinquegesimo.
VI.
Quattro trombetti sforzeschi sono spediti dal campo di
VlMERCATE, PER PORTARE NELLE CITTÀ E CORTI d'ItALIA
ED ESTERE LA NUOVA DELL' ACQUISTO DI MlLANO.
Senza data ; ma certo nella notte dal 26 al 27 febbraio 14S0.
[Arch. cit., Miscellanea, 1449-so, fol. 39].
Al nome de dio. Infrascripte sono le andate deno fare li trombecti
delo ili. s. Conte, per portare la nouella ali jnfrascripti delo IH. supra-
dicto Conte facto duca de Milano.
Andate de Filippo trombecta:
Madonna Biancha — La comunità de parma — El marchese de
Monferrato — El duca doriens — El marchese de Saluza — El duca
de Sauoya — El signore dalphino — El duca de Borgonia — El re
Raynero — El duca de borbono — El re de franza — El re de In-
ghelterra — El duxe de genoua.
Andate de Christoforo trombecta :
Bartholomeo Culione — El s. misero Sigismondo — El conte Carlo
de Montone — El s. misero Michele — Ruberto da Montealbodo —
Gentile — Misero Tiberio — El capitani© et Potestà de Brixia et la
I. Inizio della parola : Consiliì. 2. Compisci : de iure et sing[ulis'\. 3. Com-
pisci : et spectabit.
L INGRESSO DI FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 95
comunità — Li s." Varchi — El vescouo de Trento — El duxe de Stor-
liche — Lo imperatore — La comunitade da Lode.
Andate de Fermo trombecta:
La comunità de Cremona — El marchese de Mantua — La s.ria de
Venexia — Li s." dala Milandola — El s. da Carpe — Gh' s." de Cor-
rezo — Pietromaria rosso — Orlando pelauisino — El s. misero Ale-
xandre sforza — Giohanni Conte — Misero Bertoldo — Misero Jacomo
Calciano — Christoforo da Tolentino — El conte Jacomo piccinino —
Jacomazo da Salerno.
Andate de Jacomino da Carmignola trombecta:
Ferrara — Bologna — El re de Ragona — El conte dauersa —
El conte da troya — El principe de taranto — El s. Josia — El s. An-
tonio caldoro — El conte de Loreto — El s. Raynaldo vrsino — Si-
monecto — La comunità de fiorenza — Cosmo de Medici — Misero
Anglero Maioli — El s. misero fiderico — Misero Thadeo da fauenza
— Giohanni malauolta — El comuno de Sena — El beatissimo no-
stro papa — El cardinale de Columna — Monsignor vicecancellero —
Monsignor Morinense — Monsignor Andaganense — Monsignor Fer-
mano — Monsignor Vrsino — Monsignor de Sancta maria nona —
Monsignor de Sancto Apostolo grecho — Monsignor de Taranto summo
penetenzero — El fratello del suprascripto beatissimo papa — La co-
munità de pontremulo — La comunità de Lucha — Brazo da perosa
— La comunità de laquila.
VIL
Il conte Francesco Sforza, insieme con la moglie e il
figlio, entra solennemente in milano, e riceve dai
rappresentanti della nobiltà e del POPOLO LE INSEGNE
DUCALI E IL GIURAMENTO DI FEDELTÀ {rOgttO flOtat JaCOpa
de Perego e Damiano de' Marliani).
Milano, 22 marzo 14S0.
[Arch. cit., Potenze sovrane, Francesco I Sforza"].
1 . . . . suprascriptis anno, indictione, mense, ac die dominico vige-
Simo secundo presentis mensis martii, de mandato et impositione ut-
I. 1450, marzo. Tanto nella copia esistente all'Arch. di Stato, come in quella
della Trivulziana (pur essa in data 22 marzo, e non 21, come porta l'estensore
del Catalogo de' documenti trivuìiiani), il presente documento è messo di seguito
a quello dell'i i marzo, e ad esso unito con le parole: Postea nero [5Uprascriptis..,y
96 ALESSANDRO COLOMBO
supra, ac in executione preditorum, predicti ciues nobiles, populares,
plebei ac uniuersi incole Mediolanenses i, in predictis ellectione, crea-
tione, translatione, iuramentis, subiectione ac fidelitate per eos seu ma-
iorem partem eorum, nomine totius vniuersitatis, communitatis et ciui-
tatis Mediolani reiteratis uicibus factis, firniatis, deliberatis et inuiolabi-
liter conclusis utsupra, perseuerantes, deliberantes hanc ac eorum et
totius communitatis et vniuersitatis et populi bonam mentem et uolun-
tatem, ac firmam deliberationem, et predicta omnia et singula per eos
eorumque nominibus gesta utsupra, palam et ostentuosissime ac iiono-
rificentissime demostrare, ita quod tam estrinsecus quam intrinsecus, et
tam per uniuersam orbem quam in hac alma ciuitate Mediolani et re-
gionibus istis, predicta et infrascripta, per eos volontarie sponte ac li-
beraliter prò eorum salute facta, nota et diuulgata oum honore et ma-
gnificentia ac gloria ueniant, statuerunt in hac presenti die ^, iubilantibus
vniuersis ciuibus et populo, cum amenis campanarum tuba diuerso-
rumque instrumentorum sonitibus ac cantis, bene prius et solemniter
apparatis illustratisque ciuitatis huius Mediolani omnibus locis illustribus,
datis et conclusis ordinibus et modis honorificentissimis seruandis prò
decentia, honore et gloria preseritis ciuitatis in recoligendo, assotiando,
introducendo et erigendo prefatos ill.mos et excell."ios dominos Franci-
scum Sfortiam Vicecomitem, ducem Mediolani et utsupra, et Blancham
Mariam Vicecomitissam, eius domini ducis consortem, eorumque pre-
clarum et illustrem primogenitum Galeaz Vicecomitem ', dispositisque
et ordinatis ipsis omnibus ciuibus, populo, plebeis et incolis, modeste,
pacifice, per ordinem secundum uniuscuiusque dignitatem et gradum,
dum essent ipsi ili. mi domini dux et ducissa et Galeaz filius extra pre-
dicte Mediolani ciuitatis portam Ticinensem, preponentes uniuersum Mo-
diolani clerum cum illustri et exoelso apparatu, comites deinde et alios
illustres et magnanimos viros, subinde ipsius ili. ini domini ducis utrumque
conscilium, deinde spectabilem potestatem Mediolani cum eius curia, ac
spectabilem vicarium et duodecim prouisionum communis Mediolani cum
eorum offitialibus et sotiis, de inde rectorem ciuitatis ipsius, postea per
ordinem magistratus omnes, dehinc spectabiles preclarosque d.res collegii
luris peritorum Mediolani, post hoc medicorum collegium, post eos or-
natissimorum et fidissimorum causidicorum et notariorum collegium, su-
binde mercatorum nominatissimorum, de hinc aliorum ciuium, postea
artistarum paraticha seu societates, et in fine populum vniuersum, et
cum infinitis letitiis et gaudiis, ut etiam ordinata per eos et nomine
totius vniuersitatis, populi et communitatis sepedicte Mediolani ciuitatis
die mercurii vndecimo presentis mensis exequerentur, se prius ad ma-
iorem Mediolani ecclesiam ac arenghi curiam congregarunt, et ibidem
I. Formentini; mette qui un punto, e salta alle parole: Statuerunt n hoc
presenti die. 2. Ibid. : omette fino a: recoligenio, assotiando etc. 3. Qui termina
il doc. 26, dal Formentini incompletamente edito.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 97
leuatis caro trionfali, uestibus et insigniis ducalibus, aliisque ad uerum
et indubitatum ducem opportunis, obuiam prefatis iH.i^is dominis duci ac
ducisse et filio accesserunt, et ipso caro prefatis ill.mis domino ac do-
mine et filio presentato extra dictani portam Ticinensem ejusdem ci-
uitatis, ipsoque caro honorificentissime ante eos ducto, immediate ipsos
ill.mos dominum Franciscum Sfortiam et dominam Blancham Mariam et
Galeaz filium, iterato, voluntarie, sponte et ex certa scientia et cum in-
finitis gaudiis eos in eorum et totius ciuitatis, et communitatis, ac vni-
uersitatis ciuium et populi Mediolani ueros ducem et ducissam, et ita
comitatos ad apparatum et munificentissime exornatum Tribunal, con-
stitutum ante faciem predicte ecclesie maioris, super platea arenghi con-
sotiarunt, ibique consederunt ipsi ill.mi domini dux, ducissa, et fìlius Ga-
leaz, dux futurus, releuati et eminentes cunctis fere ciuibus, plebeis et
populo concernentibus, ibique predictus magnificus dominus Guarnerius,
primo prò solemni ordine, gerendorum sermonem et orationem habuit,
et omnia perfitienda distinxit et excitauit, et successine infrascripti spec-
tabiles et magnifici ciues mediolanenses, eorum nominibus et ut sindici
€t procuratores et mandatarii prefate totius vniuersitatis, ciuium et po-
puli et communitatis Mediolani, ad hec solemniter constituti et deputati
utsupra, in instrumento dicto die vndecimo presentis mensis confecto
per nos notarios infrascriptos, uolentes exequi, perficere et executioni
mandare ordinata, disposila et conclusa ut supra fecerunt, dixerunt,
presentauerunt et iurauerunt ac promiserunt ut infra. Et primo magni-
ficus dominus Oldradus de Lampugnano, habens in eius manibus cla-
midem unam damaschini albissimi, armelinorum sufultam, que ducalem
habitum demonstrabat et demonstrat, eam clamidem flexis genibus cum
omni debita reuerentia prefato domino duci presentauit, et eum prefatum
dominum ducem induit ; subsequenter magnificus Philippus Bonromeus,
Arone comes etc, habens in eius manibus bauerum seu ducale capu-
zium, similiter ex albissimo damaschino armelinorum sufulto, contestim
flexis genibus, cum omni debita reuerentia prefato domino duci presen-
tauit, et eum in caput eius induit; postea magnificus dominus Petrus
Vicecomes, habens in eius manibus ducalem biretum, similiter dama-
schino albissimo armelinorum sufulto, contestim flexis genibus, cum
omni debita reuerentia prefato domino duci presentauit, et in caput eius
posuit; de hinc magnificus Gaspar de Vicomercato, septrum ducale in
manibus habens, flexis genibus, cum omni debita reuerentia prefato do-
mino duci presentauit, et in eius domini ducis manibus tradidit: de inde
spectabilis Antonius de Triuulzio, habens in eius manibus ducale stan-
dardum seu vexillum cum aquilis et viperibus, flexis genibus, cum de-
bita reuerentia prefato domino duci presentauit, et dedit in eius ma-
nibus ; postea spectabilis Melchion de Marliano, in eius manibus habens
sigillum unum, in quo erant arma ducalia insculpta argenteum supra
aureatum, flexis genibus, et cum omni debita reuerentia presentauit et
dedit; de inde spectabilis Petrus de Pusterla, in eius manibus habens
ensem seu ducalem spatam, flexis genibus, et cum omni debita reue-
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VII. 7
98 ALESSANDRO COLOMBO
rentia prefato domino duci presentauit et dedit, Postea predicti et in-
frascripti alii spectabiles ciues, duo prò porta, uidelicet prò porta Noua
Francischinus de Castro sancti Petri et Christophorus de Pagnanis, prò
porta Orientali Gulielmus de Marliano et Ambrosius Gota, prò porta
Romana Antonius Porrus et Franciscus Surrigonus, prò porta Vercel-
lina Biaxolus de Cuxano et Leo de Beaquis, prò porta Cumana Am-
brosius Gagnola et Acorsinus de Landriano, prò porta Ticinensi Joannes
de Stampis et Arigolus de Arconate, habentes digne refferendo in eorum
manibus claues portarum diete ciuitatis Mediolani, flexis genibus, cum
omni debita reuerentia, in signum suppositionis et subiectionis ut supra,
prefato domino domino duci presentauerunt et dederunt in eius manibus,
et fortia, et dimiserunt de inde predicti et infrascripti alii spectabiles
ciues mediolanenses, eorum nominibus propriis item tamquam sindici et
procuratores et mandatarii ut supra, et uts.' constituti, flexis genibus,
coram prefato ill.mo domino duce Mediolani ac il). ma domina et (ìlio, se-
dentibus ut s.% iurauerunt et iurant et sacramentarunt in eorum suis et
dictis modis et nominibus quibus supra et omnium ciuium et totius pò-
puli, ad sancta Dei Euangelia manibus corporaliter sacrosanctis Euan-
gelijs tactis super quodam libro missalli, quem prefatus dominus dux
in eius tenebat manibus, in hunc modum, videlicet : Ghe essi sindici et
procuratori, a suo et dicto nome utsupra, et anche tutti li altri cittadini
et populari, da mo inante, semper et continuato tempore, serano fideli
a li prefati signori duca et madona ducissa, et a loro fioli et descendenti
utsupra, come deno essere li boni et neri subditi a li sui signori, et che
per directo nec per indirecto tractaranno ne consentiranno ad alcuna
cosa, che sia ne esser possa in preiuditio, danno, ne detrimento de li
prefati signori duca et madona ducissa et fioli, et ut supra, ne stato
suo ; et se alcuna cosa li sera dita onero comissa, ad ninno la manife-
staranno in detrimento, danno ne uergonia d' essi signori duca et ma-
dona ducissa o fioH; et che mai non serano in conscilio, auxilio, fauore
nel in facto, che essi sig.n perdano la ulta ouer membro alcuno, o re-
ceuano in la propria persona alcuna lexione, iniuria o contumelia, o
che perdano alcuno honore, che da presente abbiano, o da qui inante
aurano ; et che se auerano alcuna notitia nera de alcuna cosa, che sia
ne esser possa in preiuditio, danno o uergonia, onero detrimento de la
propria persona, onero stato de li prefati signori duca et madona ducissa
o fioli, li obuiarano a tutta sua possanza, et statim la notificaranno, et
non saranno ad niuno suo detrimento, et sic successine, a li suoi fioli,
legiptimi nati et che nasceranno d' essi, semper intendendo li loro pri-
migeniti masculi, e mancando quili le femine etc, et secondo se contene
in la stricta et solemnissima forma de fidelitate, de nerbo ad uerbum»
Insuper predicti sindici et procuratores, superius nominati ut s.* eorum
nominibus, et totum populum et totum vniuersitatem utsupra represen-
tantes, et una cum eis infinitus quasi numerus ciuium et populi ibi exi-
stentium eorum nominibus et utsupra, voluntarie et ut supra, declara-
uerunt, concluxerunt et ordinauerunt et fecerunt, et faciunt et concludunt,
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. 99
determinant et ordinant, ad cautelam ex abundanti, et non recedendo
propterea a translatione alias facta ut supra, transferre et presentium
tenore potestatem, liberum et plenum dominium, et ducatum Mediolani
annexum, coherentem ciuitati et ducatui Mediolani, in prefatum ill.mum
donriinum Franciscum Sfortiam, ducem Mediolani ect., presentem et ac-
ceptantem, cum reseruatione et sine preiuditio cuiuslibet iuris, in do-
minio et ducatu Mediolani, prelibatis dominis Francisco Sfortie et domine
Bianche Marie competentis, pertinentis et spectantis, quocumque modo,
titulo, causa et iure et eorum possessione seu quasi, et hoc cum mero
et mixto imperio, et omnimoda iurisdictione et gladii potestate et re-
galiis, cum omnibus intratis ordinariis et extraordinariis, uenationibus,
honorantiis et quibuscumque ad dominium et ducatum pertinentibus,
pure, libere, piene et realiter et sine exceptione, et omnibus iure, via et
forma, quibus melius et eflScatius predicti ciues et populus et sindici
et ut supra potuerunt et possunt, irreuocabiliter et sine diminutione,
prò omni facultate competenti, tam ex pace constantie quam ex inue-
terata consuetudine, et ex prescriptione completa, ac ex priuilegiis do-
minorum imperatorum et regum romanorum, et alio quocumque iure,
quibus melius et efficatius ualere et tenere potest. Et hec omnia et sin-
gula uoluerunt et decreuerunt, et uolunt et decernunt habere debere
uim legis seu priuilegii. Declarantes quod predicta translatio dominii et
ducatus ut supra, post mortem prelibati ili.mi domini domini ducis Fran-
cisci Sfortie Vicecomitis, transeat et facta sit et esse intelligatur etiam
in filios masculos legiptimos, et quoscumque descendentes ex ipsis filiis
prefati ili. mi domini ducis, et masculis defficientibus etiam in feminis ex
prelibato ill.mo domino Francisco Sfortia et prefata ili. ma domina Blancha
Maria extantes, aut nascituros et nascituras, ita ut in ducatu primoge-
nitus succedat, et eo defficiente descendentes ex eo, quibus defficientibus
secundogenitus, et successine reliqui admittantur, ita ut totale dominium
in prefatum ill.mum dominum Franciscum Sfortiam et descendentes irre-
uocabiliter translatum intelligatur, ex hac populi translatione et ut supra.
Quibus omnibus et singulis ita peractis, prefati sindici et procura-
tores ac mandatarii eorum nominibus et uts.% ac dictus quasi infinitus
numerus populi, ibidem cum maxima animorum iocunditate et iubilatione
instanter et instantius clarissimis et altissimis vocibus petierunt, requi-
siuerunt, institerunt et supplicauerunt, uicibus repetitis, a prefato ill.mo
domino domino duci nostro, quatenus in &ignum, memoriam et perpe-
tuam famam tante celebritatis, festiuitatis et glorie uelit excellentieque
sue placeat prefatum preclarum et illustrem Galeaz Vicecomitem, eorum
dominorum ducis et ducisse primogenitum, futurumque Mediolani ducem^
militem et in militem creari, erigi et sublimari facere, etiam prò eorum
ciuium et populi animorum beneplacito et solamine. Qui dictus dominus
dux, ex sua innata gratitudine, bonìtate et clementia, uolens ciuibus et
eius populo moreni gerere, hortatus est et iussit ipsum Galeaz primo-
genitum eius debere per magnificos milites dominos Blaxium de Axa-
reto, Mediolani potestatem, Morellum de Scolaribus de Parma et Fran-
I
lOO ALESSANDRO COLOMBO
ciscum de Fossato, militem et in militem creari et erigi: qui milites
sensere in presentia prefatorum dominorum ducis et ducisse, et cum
eorum et utriusque eoram licentia et parabola, delato ipsi ili." Galeaz,
debito solito iuramento et solemniter per eum prestito in manibus eorum
dominorum militum ut supra, et de uerbo ad uerbum prò ut de jure et
ex consuetudine fieri debet et consueuit, que nerba hic prò sufficienter
expressis habeantur, eum militem et in militem creauerunt, erexerunt
et sublimauerunt, singendo eum deauratum ensem seu spatam, et cal-
ziando eum deaurata calcharia, cum pienissima potestate aurum def-
ferendo, aliaque faciendi, gaudendi et potiendi, prò ut gaudent et fa-
ciunt alii neri solemnes et recti milites. Quibus ita peractis, iterum ad
instantiam predictam, etiam ad euidentium signum et memoriam om-
nium predictorum, et prò decentia magnanimitate et gloriam talis, tante
et inaudite festiuitatis, etiam ad omnium ciuitatum et terrarum eius to-
tiusque dominii honorem, decentiam, ornatum et gloriam, prefatus ill.mus
dominus noster dux Mediolani iussit et iubet prefato prelaro eius primo-
genito, ceterisque aliis predictis militibus, quatenus etiam uelint infra-
scriptos magnificos viros in milites creare et solemniter erigere. Qui pre-
fatus illustris dominus Galeaz Vicecomes, primogenitus ut supra miles,
predictique alii milites ut supra, seruatis seruandis, et delatis eis in-
frascriptis debitis juramentis, et per eos solemniter prestitis prò ut supra,
et prò ut de jure et ex consuetudine fieri et iurari ac seruari debet, et
que nerba hic habeantur prò sufficienter expressis, eos omnes infra-
scriptos et singulos eorum fecerunt, creauerunt et erexerunt milites et
in milites eos et quemlibet eorum, assurgendo cum gladie deaurata et
calziando calcharia supra aureata, cum baylia, potestate et facultate aurum
defFerendi, et alia exercendi, faciendi et disponendi ac gaudendi, prò ut
gaudent, faciunt et disponunt alii recti neri et indubitati milites. Quorum
militum nomina sunt hec, videlicet (i).
Item infrascripti in diuersis aliis diebus sequuntur (2).
Quibus omnibus et singulis ita piene et diligenter et mature ac de-
liberate et nemine discrepante confectis, habita prius per prefatum ma-
gnificum militem et preclarissimum doctorem, ducalem consciliarium, do-
minum Guarnerium de Castilliono, ornatissima oratione de Laudibus
prefatorum illustrissimorum dominorum ducis et ducisse, eorumque uir-
tutibus ac mentis infinitis, prefati ili. mi domini dux et* ducissa ac pre-
fatus illustris dominus Galeaz, primogenitus dux Mediolani futurus ut
supra, de dicto Tribunali descenderunt, et comitati cum maximis letitiis,
gaudiis, amenitatibus et solemnitatibus per prefatos dominos milites ce-
(i) Segue l'elenco de' militi (in numero di 39, omesso Galeazzo Sforza),
creati il gi^no 22 marzo, durante la solenne funzione. L'ordine e la disposizione
di essi puoi vedere in De Sitoni, op. cit., p. 30 sgg.
(2) Sono in numero di 50, cominciando da Giovanni da Tolentino e ter-
minando con Nicolò Pendaglia di Ferrara; cfr. De Sitoni, op. e loc. cit.
l'ingresso di FRANCESCO SFORZA IN MILANO, ECC. lOI
terosque excell.e sue magnificos et ill.es viros, ac per predictos ciues
uniuersumque populum, ad altare maius intemerate et beatissime domine
virginis Marie prefate ecclesie maioris mediolanensis ut supra, ibidem
deuotissime ipsi ill.mì domini dux et ducissa, cum dicto eorum primoge-
nito domino Galeaz ac predictis magnificis dominis militibus, ciuibus et
vniuerso populo, ac uniuersa quasi multitudine, deo optimo maximoque
ac predicte beatissime virgini totique curie celesti orauerunt, egeruntque
infinitas gratias et immortales ac supplices sunt precati, ut ipsos ilJ.mos
principes dominos ducem et ducissam et prefatum dominum Galeaz,
cum natis natorum et qui nascentur ab eis, seruent, custodiant, tueantur
et deffendant per infinita secula seculorum, amen. Et de predictis om-
nibus et singulis predicti sindici procuratores et mandatari), suis et dictis
nominibus, quibus supra, et populus et ciues et uniuersitas ut supra, et
prefati milites ut supra rogauerunt et rogant per nos Jacobum de Pe-
rego et Damianuni de Marliano, notarios suprascriptos et infrascriptos,
et utrumque nostrum publicum confici debere instrumentum unum et
plura unius eiusdem tenoris. Et hec omnia ad dictamen, ornatum, exten-
tionem prefati magnifici et preclarissimi i. u. doctoris domini Guarnerii
de Castilliono.
Actum super dicto Tribunali, sito de antea dictam portam ecclesie
domine sancte Marie utsupra, et successine ad dictum altare maius pre-
fate ecclesie, presentibus pronotariis Marco de Perego, filio mei Jacobi
de Perego notarli infrascripti, P. N. P. s.ti Stephani ad Nuxigiam, et
Joanne de Serturi, filio domini Leonardi, P. N. P. s.*' Bartholomei intus,
ambobus ciuitatis Mediolani notariis et pronotariis.
Interfuerunt ibi testes : spectabilis doctor d. Franciscus Vicecomes,
filius domini Baptiste, P. C. P. s.ti Thome in terra mara, notus ; spec-
tabilis miles dominus Franciscus de Vsmaldis, filius quondam domini
Petri, habitator ciuitatis Janue ; spectabilis vir dominus Raphael de Vi-
comercato, filius spectabilis legura doctoris dominni Tadioli, P. N. P.
s.ti Laurenzoli in Torigio, notus ; spectabilis doctor dominus Joannes
Thomax Moronus, filius magnifici doctoris d. Bartolomei, P. N. P. s.*^
Martini ad Nuxigiam ; nobilis vir dominus Gabriolus de la Cruce, filius
quondam d. Ambrosii, P. N. P. s.*^ Martini ad Nuxigiam, notus; et spec-
tabilis miles et i. u. doctor dominus Galleotus Ratus, filius d. Joannis
ciuis Terdonensis, omnes testes idonei, uocati et rogati (i).
(i) Segue l'autentica del notaio Pietro Ortensio dall'Orto, addì 7 novembre
1758. La copia estratta dal notaio Verga, esistente nell'Arch. civ. stor., porta la
data del 17 luglio 1759; e cosi quella che trovasi alla Trivulziana.
La fondazione del « Giornale Italiano
e i suoi primi redattori (1804-1806)
lÀ dal 1796 al 1799 la grande rivoluzione, sì con l'azione
e sì con la riazione destate dalla tentata « democratiz-
« zazione universale » (i), aveva promosso di qua dal-
l'Alpi spiriti nuovi e segnate le ore antelucane del nostro
Risorgimento. 11 7 gennaio 1797 il Congresso Cispadano, in Reggio
a città animatrice d' Italia », aveva per la prima volta affermato, e
per voto di rappresentanti eletti dal popolo, espresso con la parola
del già abate, allora cittadino Gius. Compagnoni, il concetto uni-
tario, assumendo per emblema il tricolore destinato a accompa-
gnarci al compimento dei destini nazionali (2). Nel concorso pub-
blicato il IO marzo dello stesso anno per la proposta del miglior
governo da darsi allo stato eretto in Lombardia, Gius. Fantuzzi,
d) Ved. il Saggio storico sulla rivoltij^ione di Napoli del ijg(^ di V. Cuoco,
di cui si discorre più oltre, cap. II. L'espressione ricorre pure significativa in
L'Italia durante Vinvasione francese nella fine del secolo scorso, secondo un car-
teggio inedito del Thiebault, in Riv. stor. del Risorg , voi. I, 9-10 dicembre 1896,
p. 857. E corrisponde difatti alla politica bandita dal decreto 19 novembre 1792
della repubblica francese, promettente aiuto a tutti i popoli che volessero ricu-
perare la libertà.
(2) Ved. V. Fiorini, Chi inventò il tricolore italiano, in Resfo del Carlino,
Bologna, 1891, nn. 147, 15Ó, 159, 160; Le origini del tricolore italiano, in Nuova
Antologia, a. XXXII, 1897, fase. II, pp. 239267; Gli atti del Congresso Cispadano,
nella « Collezione storica del Risorgimento » della casa editrice Dante Alighieri, di-
retta dal Fiorini stesso e da T. Casini; G. Carducci, Perii tricolore, studi, saggi
e discorsi, Opere, voi. X, Bologna, 1898.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I03
C. Botta e Melchiorre Gioia avevan risposto in modo che già lascia
scorgere il crepuscolo mattutino della rinnovata coscienza italiana.
Era asserita la repubblica una e indivisibile, e il Gioia (1767-1829),
pur insistendo di preferenza su '1 concetto della libertà, aveva ri-
volto agi' italiani parole che lo fecero degno d' esser riconosciuto
da G. Mazzini per suo antecessore nel concetto unitario (i). Sorgeva
il teatro patriottico, e si aprivano i circoli costituzionali a radunanze
di popolo che udirono i deliri di cattivi demagoghi e ben anco la
eloquenza di U. Foscolo, Giov. Fantoni, Giov. Pindemonte. Ed eran
pullulati in questa Milano e nelle province, intorno all'albero della
libertà, i giornali che parlavano un infiammato linguaggio tribunizio.
Insigne fra tutti questi il Monitore Italiano, nome e aggettivo si-
gnificativi, del Foscolo, del Gioia, di P. Custodi e del veneto Bre-
ganze, che apostrofava cittadini e direttorio e, mentre propugnava
un indirizzo fieramente democratico, affrontava italianamente la pre-
potenza francese e le peggiori scimmie del giacobinismo oltre-
montano, onde era soppresso al 115.° numero. Gli faceva riscontro,
a Genova, il giornale di Gaspare Sauli pure informato a senti-
menti di schietta italianità (2j.
(i) Ved. G. Mazzoni, Ottocento^ ediz. Vallardi, pp. iiyiy, G. Mazzini,
Scritti editi ed inediti, voi. I^ polit. I, Roma, j88i, p. 82; F. Momigliano, Un
pubblicista, economista e filosofo del periodo napoleonico, in Riv. di fi.lol. e scienie
affini, Padova, 1903-1904, voli. I (n. 2)-II (n. 2), specialmente il cap. VI, p. 141 sgg.
(2) Ved. G. Fumagalli, Bibliografia del giornalismo italiano, in Riv. delle
bibliot., voi. L-LIII, passim. Poco o nulla vale la Guida della stampa periodica
4i N. Bernardini, Lecce, 1890. Per questo periodo, ved. Momigliano, op. cit.,
^ap. Vili, p. 323 ; Mazzoni, op. e loc. cit. ; G. Roberti, // cittadino A. Ran:^a,
in Misceli, di stor. ital, to. XXIX, Torino, 1892, pp. 60, 63, 139, 141, 144,
169, 176-77 ; G. Melzi, F. Mel^i, Memorie-documenti, Milano, 1865, Introduzione,
pp. 169-70; 174-76; L. CoRio, I giornali della repubblica Cisalpina, in verità solo
intorno alia Galletta Enciclopedica ; Cusani, Storia di Milano, voi. V ; G. Cal-
LiGARis, A Milano nel iy^8, in c{\xqs\^ Archivio, XXV, 1897, 11, pp. 130-31;
L, ViccHi, V. Monti, Le lettere e la politica in Italia dal ij^o al 18^0, quarto
estratto, Fusignano, 1887, pp. 214, 219, 456, 4^8, 463, 477; ibid., triennio
1791-1793, Faenza, 1879, p. 85 (trascurato da G. Fumagalli, op. cit.); A. Neri,
Un giornalista della rivoluzione genovese (1797 - Gaspare Sauli), in Illustra^^ione
Italiana, 1887, specialmente a p. 176. Per i circoli, oltre alle trattazioni generali,
ved. G. Mazzoni, Milano cento anni fa, in Nuova Antologia, 1898, n. 636. Pietro
Custodi, cittadino due volte imprigionato nella prima Cisalpina, membro della
municipalità di Milano, sez. I, nel 1797, poi ufficiale dello stato e barone nell'era
più propriamente napoleonica nel 1798, scrisse anche V Amico della libertà ita-
I04 ATTILIO BUTTI
Invero non si era tardato a sentir le gravezze della repubblica
madre e straniera, a soffrire di comportamenti burbanzosi, vessa-
tori, ladreschi. Onde le nostre moltitudini, da secoli addormentate
nel servaggio, non ebbero tempo a mutar la diffidenza e V indiffe-
renza in favore per i nuovi ordinamenti; che prima lasciarono i pochi
illusi o infinti a far sogni e orge di libertà, e poi, anzi presto, si
sentirono offese nel lor quieto vivere, nelle loro cose, negli oggetti
della loro venerazione, covarono il rancore e indi a poco prorup-
pero in feroci insorgenze. Venne dall' una parte l'ostilità delle turbe
e di quanti eran ligi a' governi scacciati, dall'altra lo sdegno fer-
mentò a ribellione in ispiriti schiettamente repubblicani e soprat-
tutto italiani, come il Gioia, il Foscolo, il Custodi, il Breganze.
Narra il Botta che Bologna era stata designata qual centro d'una
vasta cospirazione che di là doveva stendere i raggi nelle varie
parti d' Italia, onde s' intitolò de' « Raggi » (i) : l'avrebber capeg-
giata D. Pino e G. Lahoz soldati della stessa rivoluzione. V'erano,
nel seno della Cisalpina, dispotismo straniero e giacobinismo pazzo
o servile, illusioni oneste di « magnanimi pochi w e fremito d'im-
pazienza per amore o istinto d' indipendenza nazionale (2).
Ma, lasciando la feccia e gli uomini dalle bas'se cupidige, tra
gli altri si delinearono in breve due parti ch'ebbero mescolanza di
errori e di felici nobili intuizioni. Le due parti sembrano come
impersonate nel Pino e nel Lahoz, prodi tutt' e due, quando si
trovano 1' un contro l'altro sotto le mura d'Ancona nel '99 (io ot-
tobre). Il primo vacillò nell'idea della cospirazione, davanti alla
prima coalizione monarchica e alle minacce dell'invasione austro-
croata e del ritorno d' un passato ormai condannato, e tenne fede,
almeno fino al '14, a' principi della rivoluzione e alla bandiera a
liana, stamperia a S. Mattia alla Moneta, di cui serbò alcuni numeri il Marcili
nel suo giornale ms. della repubblica Cisalpina, to. IX. V Amico, ecc. è altra cosa
dagli Amici della libertà ed eguaglianza a cui si riferisce il Vicchi, quarto estratto,,
pp. 455-56.
(i) A. Zanolini invece, in A. Aldini ed i suoi tempi, voi. I, cap. XII, Firenze,
1864, riferisce la cospirazione de' Raggi al 1801. Non cosi pare al più recente
biografo del Lahoz ; ved. infra. Cfr. del resto Botta, Storia d* Italia, voi. XVHI,,
pp. 632-36.
(2) Ved. A. Franchetti, Storia d'Italia dal i^Sg al J'j^^, Milano, 1880,
pp. 198 sgg., 374 sgg. ; G. De Castro, Milano e la repubblica Cisalpina, Mi-
lano, 1879, p. 112; C. Cantù, Storia degl'italiani, voi. VI.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I05
cui s' era addetto. L' altro piegava verso l'Austria e i sanfedisti ;
capo d' « insorgenze w, faceva, checché si dica in contrario per spi-
rito di parte (i), un tradimento al generale che gli aveva affidate
le forze militari, per l' illusione che si potesse ottener V indipen-
denza nazionale dall'Austria e dal papato.
Venezia era stata patteggiata a Campoformio, non riuscendo
a mutarne il destino la commozione che il Bonaparte confessò
d'aver sentito per le parole di Vincenzo Dandolo (2); Genova era
repubblica democratica, cioè infranciosata; a Napoli era sorta la
Partenopea; a Roma Pio VI aveva dovuto far davvero il « ballo »»
che la rappresentazione scenica di F. Salfi fingeva nel teatro già*
cobino di Milano (3); il « tirannello del Piemonte ", denunziato dal
Monitore Cisalpino (4), per i maneggi del Ginguenè prima e di
L. Cicognara poi (5), era stato scacciato da' propri stati di terra
ferma. Ma tutto ciò aveva provocato là coalizione monarchica e
fatto scendere il terribile Souvaroff" a emulare il Bonaparte lontano,,
a disperdere i Francesi dall' Italia, a schiantar gli alberi della li-
bertà e le piccole mal ferme repubbliche, inferocendo a' suoi fianchi
la riazione, imperversando i volghi fanatici che la repubblica aveva
disturbati e punto persuasi. Nuovi peggiori guai, nuovi furti, questa
volta in nome de' re, del papa e della Teligione, come prima in nome
di libertà, fratellanza, eguaglianza; nuova insopportabile oppressione.
Il « nordico nembo » de' tredici mesi , per il confronto tra i
Francesi e i Tedeschi e Russi in Lombardia, eh' ebbe poi rilievo
disadorno ma efficace dalla penna di M. Gioia (6), rese più vivo
(r) Si allude allo scritto // generale Laho:^ propugnatore dell* indipeftdenia
italiana^ in Civiltà Cattolica, Firenze, 1904, quad. 1291, voi. II, specialmente a
pp. 59, 299-300, 537; a cui rimando per la bibliografia anteriore.
(2) Zanolini, op. cit., lib. II, cap. Ili, p. 60 sg.; Melzi, op. cit., voi. V^
p. 147 ; De Castro, op. cit, p. 147.
(3) E, Masi, Il teatro giacobino in Italia^ in Studi sulla storia del teatro ita-
liano nel sec, XVIII, Firenze, 1891, p. 355 sgg.
(4) Artic. di G. Compagnoni, ivi, 1798, n. 23.
(5) La più compiuta esposizione di questa faccenda' è in V. Malamani^
Memorie del conte L. Cicognara, Venezia, 1888, par. I, cap. Vili, pp. 1 10-16.
(6) Si allude al noto discorso storico popolare del Gioia che appunto s' intitola
/ francesi, i tedeschi, i russi in Lombardia, Milano, 1805, 'lodato poi anche, senza
che fosse nominato l'autore, dal Giornale Italiano, 1805, n. 112, 18 settembre,
supplemento. Cito fonti d' interesse particolare per il mio tema ; gli altri, solo in
generale, ove presentino novità di concetto o mi paia di dover loro contraddire.
I06 ATTILIO BUTTI
ne' patriotti esuli, ne' deportati al Cattaro, tra i quali P. Moscati e
F. Reina, illustri 1' uno nella scienza, 1' altro nelle lettere, tutt' e
-due nella probità e nel patriottismo, in quanti tremavano per sé
o per i loro, in quanti come i torinesi furono anche offesi per il
torto reso al loro re dai finti amici, un più vivo amore a quella
poca di libertà che avevan per breve ora gustata in mezzo alle
prepotenze galliche e alle volgarità giacobine.
La fine del primo periodo rivoluzionario era stato altresì ri-
schiarato da fiamme di eroismo italiano a Napoli e a Genova. La
caduta della Partenopea appare, a un secolo di distanza, materia
degna di epica. Non diremo con altri, che in quella fiammata me-
ramente di spiriti repubblicani fosse la prima affermazione dell'unità
italiana (i), la quale in certo grado s' era già affacciata prima, e
■come idea dominatrice, fede inconcussa, programma supremo e
improrogabile, attendeva ancora 1' apostolo in G. Mazzini. Ma lo
spettacolo di quell'epopea in azione sublimò gli spiriti de' patrioti
italiani nella restante Italia e valse a cibarli di alta idealità e di
fiducia nel destino della nostra gente capace di tanto. Tale efficacia
dovevan sentire segnatamente quanti patrioti eran chiusi in Genova
assediata, tenuta dal Massena, sotto il quale militava Ugo Foscolo,
poeta, giornalista, tribuno e soldato della repubblica, in Genova ul-
timo propugnacolo della rivoluzione in Italia. E a sua volta quel
memorabile assedio infiammava quant'altri erano o fuggiti in Francia
o celati in presenza delle vendette e soperchierie de' sanfedisti e
degli austrocroati. Allora, nel momento supremo della sventura,
ribalenò per un istante più vivida l' idea unitaria nella petizione
famosa degli esuli nostri al direttorio francese che portava soscritti
i nomi di Carlo Botta piemontese, di Cesare Paribelli lombardo
a' servigi della libertà partenopea, e di tant'altro fiore di quel pa-
triottismo.
(i) È specialmente affermazione di B. Croce, Reìa^joni dei patriotti napole-
tani col direttorio e col consolato e V idea dell'unità italiana {iy^^-i8oi\ Napoli,
1902, voi. IV, pp. 65-80. Vi inclinava pure A. Franchetti, Dell'unità italiana
nel '99, aprile e dicembre 1890. Notevole che il Momigliano, op. cit., p. 144,
legge « Gioja » invece di « Ciaia » napoletano, nella lettera del Botta al Fantoni
a proposito di quelli che nel '99 si adopravano in Francia per l'indipendenza
d' Italia, a differenza di B. Croce, op. cit., p. 77. Su '1 giudizio del C. ved, an-
cora infra, in note.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. IO7
Ed era appena caduta Genova quando le armi francesi ritor-
navano in Italia sotto il Bonaparte che sapeva la vittoria. Marengo
assicurava un'era nuova, Lunéville assicurava la vita a una seconda
Cisalpina di più ampi confini che aveva ancora Milano per capitale
e irradiatrice di vita politica. E i comizi di Lione, rispondendo al
voto concorde degl' italiani là convenuti e già interpretato in versi
<ia G. Pindemonte (i), la canonizzavano tra gli applausi con il nome
fatidico di Italiana (2).
II.
Si eran fatte a breve andare due diverse e grandi esperienze;
c'era ben ragione perchè oramai con dirittura di mente si rifug-
gisse dalle due maniere di eccessi.
La nuova repubblica si mostrava presto diversa dalla prima.
Il Bonaparte fin dal suo primo riapparire aveva dato intonazione
a un tutto nuovo corso di cose (3). La repubblica italiana nasceva
per avviarsi, nella mente del fondatore, a regno d' Italia, e assu-
meva ufficio d' instaurazione conforme al mutamento che le cose
-avevan ricevuto di là dall'Alpi, dove tra l'antico regime e la rivo-
luzione si era giunti alla resultante media del consolato, preludio
dell' impero, e si era messo da parte il disegno della democratiz-
zazione universale. Si voleva riuscire al consolidamento delle più
preziose conquiste della rivoluzione senza distruggere dai fonda-
menti tutto il passato, trattandolo anzi con spirito conciliativo: il
genio di Napoleone e de' suoi collaboratori, arbitro fra i due secoli
« r un contro l' altro armato », doveva comporre la gran lite e
(i) Ved. Mazzoni, op. cit., p, io.
(2) Ved. Memorie di L. Cicognara, già cit., par. I, cap. XIV ; Boulay de
LA Meurthe, Documents sur la négociation du concordai^ to. V, Paris, 1897, con
l'attestazione del vescovo di Cervia. Ved. pure T. Casini, Antonio Codronchi alla
€onsulta di Lione, dove occorre la mia stessa espressione in un documento del
tempo. Ved. pure Zanolini, op. cit., lib. I, cap. XIII, e T. Casini, Estratto di
un carteggio famigliare e privato di Luigi Valdrighl, Modena, 1872. Ved. pure
Marelli^ par, III, to. XXIV, p. 2[ e la circolare, inserita ibid., p. 54, del commis
^ario del governo presso i tribunali e giudici del dipartimento d'Olona, ch'era il
tioto demagogo Pelegatta.
(5) G. De Castro, Storia d'Italia dal ly^^ al 1814, Milano, voi. Vf, p. 89 sg.
Io8 ATTILIO BUTTI
insieme dare un gran progresso e restituire uno stabile assetto
sociale. Il concordato colla chiesa è il maggior segno di tale con-
ciliazione e il codice napoleonico sancisce in modo memorabile il
rassodarsi delle conquiste civili.
In Italia gli ordinamenti allora instaurati ostentavano pure ita-
lianità che sollevava gli spiriti. Figlio di un fedele a un re spodestata
dalle armi francesi, l'autore dell' ancor pregiato Sommario della
storta d'Italia (i) riconosceva italianità allo stato risorto tra noi
all'aurora del sec. XIX con fasti splendidi e alte promesse; e gli
studi posteriori hanno confermato il giudizio con maggiori rilievi
e luce di documenti (2).
Riassunta la bandiera tricolore decretata a Reggio (3), sorgeva
pure un esercito italiano che apprendeva alla nostra gioventù a
affrontar animosa le prove sanguinose, come ben presto si vide (4),
e contribuiva talmente a formare il sentimento nazionale che l'averlo
voluto nel '14 disfare valse potentissimamente a diffondere e scaldar
l'odio contro l'Austria ritornata e peggiorata (5). E da principio i
bei nomi che dettero autorità al governo qui istituito, inspiravano
affidamento che questo sarebbe stato scuola e palestra a uomini
di stato nostri.
Si annunziava e iniziava un governo « riparatore », dacché
anche 1' amministrazione della seconda Cisalpina era stata breve,
ma non però men tacciata di disonestà. Assistevano il nuovo reg-
gimento amor di libertà, carità patria, probità e moderazione. Perciò
il triumvirato che per breve tempo era prevalso in mezzo alla
(i) C. Balbo, op. cit., lib. VII, p. 34.
(2) Zanolini, op. cit., lib. I, capp. XIII-XIV ; Malamanf, op. cit., par. I,
cap. VII, par. II, cap. XIV; Momigliano, op. cit., voi. XIV, pp. 100-02. Altre
opere si citeranno infra.
(3) Ved. la Raccolta delle leggi, proclami, ordini ed avvisi pubblicati in Mi-
lano dal giorno 15 pratile anno Vili (2 giugno 1800), Milano, Veladini, to. I,.
p. 117.
(4) Com' è noto, prima fu detta « legione italiana » ; noto è pure il primo
disegno di coscrizione nostra, dovuto a G. TeuUiè. Ved. Zanolini, op. cit., cap. I^
specialmente p. 8. Su '1 TeuUiè, milanese come il Pino, prima avvocato e poi
generale (t 13 giugno 1807) ved. C. Cantù, in qutsV Archivio, XIII, 1886, p. 151.
(5) Ved. A. Manzoni, Epistol, ediz. Sforza, voi. Il, p. 401. Sono tuttavia
da rammentare anche le gravi difficoltà opposte alla coscrizione militare allora
importata.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I09
commissione di governo istituita dal Bonaparte al suo primo ritomo,
era stato messo da parte.
Emersero allora principalmente tre uomini; il patrizio milanese
Francesco Melzi d' Eril (i 753-1816) del cui nome son piene le me-
morie di que' giorni, e i bolognesi Ferdinando Marescalchi (i 764-1816)
e Antonio Aldini (1755-1826). Ma quest' ultimo, insigne giurecon-
sulto, dopo la Cispadana e dopo breve partecipazione dell'opera
legislativa delle due Cisalpine e della repubblica italiana, restava
in disparte fino alla trasformazione della repubblica in regno, quando,
richiamato al governo da Napoleone, ministro segretario di stato
residente a Parigi, presso l'imperatore e re, avrebbe avuto su le
braccia gli affari del regno e avrebbe d'autorità pareggiato l'emulo
suo milanese fatto cancelliere del regno stesso e duca di Lodi (giu-
gno 1815) (i). Dal 1802 a mezzo il 1805 l'autorità era nel Mare-
scalchi ministro degli affari esteri della repubblica residente a
Parigi, e sopra tutti nel vice-presidente Melzi: sotto di questo si
fermaron le basi e si delineò l' indirizzo del nuovo stato (2).
Questo era l'uomo necessario in quel momento, giovando a Na-
poleone in Italia e all'Italia in cospetto di Napoleone. Patrizio mila-
nese, ciambellano di Maria Teresa, grande di Spagna, decurione mu-
nicipale, era stato un personaggio ragguardevole sotto l'Austria ;
dopo gli odi dei demagoghi era stato pur tale, quanto volle, nella
(i) Per l'Aldini mi riferisco all'op. cit. di A. Zanolini che pure dice, passim,
dell'altro bolognese Ferdinando Marescalchi, che fu dopo il 1814, aggiungo, com-
missario per gli stati di Maria Luisa.
(2) Oltre alle storie generali, al libro del Zanolini ; alle Memorie del Cico-
gnara, par. I, capp. XIV-XV; a Momigliano, op. cit., voi. XIV, pp. 100 01 ; alle
Memorie di G. Bossi, in ({uqsi' Archivio, per I. Ghiron, V, p. 276 sg., passim ;
L. ViCGHi, op. cit., quarto estratto, pp. 454, 659-60; ved. su l'uomo illustre il
monumento innalzatogli dal pronipote con l'ediz. delle Memorie-documenti e let-
tere inedite di Napoleone I e Beaiiharnais, Milano, 1865, 2 volumi, preceduta da
un'ampia introduzione del raccoglitore. La quale dava occasione a' due scritti,
di cui notevole specialmente il secondo per il ritratto morale del M., il carattere
del nuovo stato e la storia dell' idea unitaria, A. Macchi, Scritti biografici, Fi-
renze, 1878, voi. I, pp. 327-407; G. Falorsi, L'epistolario di F. Mel^i d* Eril,'m
Arch. stor. ital , serie 50.», to. VI, 1880, Firenze, pp. 422-456. Ved. la grande
ammirazione della Staèl per il M. e la sua opera nel governo presso Ilda Mo-
RosiNi, Lettns inèdites de M. de St: a V. Monti, in Giorn. stor. dilla lett. ital.,
voi. XLVI, 1905, pp. 17, 57-59. Ved. pure A. Verri, Rep. frane, Rep. Cisulp., ecc.,
op. post., Milano, 1862, lib. IX, p. 548.
no ATTILIO BUTTI
Cisalpina; aveva difeso l'interesse economico della Lombardia au-
striaca (i); si era impensierito di questo e del buon governo, quando
nella Cisalpina non aveva mano in pasta; era stato riconosciuto
degno di presentar le chiavi di Milano al Bonaparte; era stato
subito pregiato da quel grande e rapido conoscitore d'uomini. Aveva
un bel nome patrizio e vi aggiungeva valor di mente e carattere
morale. Ed egli ben rappresentava quello spirito di temperata
libertà che aleggiava nel cielo d'Italia, su l'aurora dell'ottocento,
e con la sua assennatezza, con la dignità e l'amor patrio sembrava
dar gli auspici al secolo. Se l'opera del Murat in Milano e di al-
cuni procaccianti non gli avessero troppe volte fatto impaccio, se
la disgraziata rivalità non avesse tolto a lui e all'Aldini di coope-
rare subito e costantemente insieme, nessuno può dire quale solidità
e incremento il Melzi avrebbe saputo dare al nuovo stato. Ne vale
una parola infelice da lui scritta contro i muratiani durante la ca-
tastrofe napoleonica per detrarre al merito del suo patriottismo (2).
Erano in lui patriottismo e lealtà che si dovevan pure riconoscere
dagli ufficiali dell'Austria e da chi illustrò la vita del suo emulo Al-
dini (3). Egli era ritornato da Lione vice-presidente della repubblica
italiana con plauso e speranze universali, con plauso d'uomini come
V. Alfieri e U. Foscolo, V. Monti e A. Verri, B. Oriani e A. Volta.
Certo nemmeno ora si tardò a sentir il peso della repubblica
madre spadroneggiante e indi a poco quello del despotismo napo-
leonico. Il bonapartismo avrebbe conculcate le nazionalità in misura
non meno insolente di quello che già aveva fatto la democratizza-
zione universale. L' Italia sentì che la sua indipendenza era troppo
nominale e prorogata su '1 filo d'una promessa di eredità dinastica.
Ma intanto quanti avviamenti civili, quanti semi di nuova vita
gittati a germogliare indefettibilmente lungo il secolo, talché invano
vi sarebbe passato sopra e indugiato a lungo e ferocemente il nuovo
« nordico nembo » disceso nel '14! Armi, strade ^ canali, leggi ^
finanze, tribunali, scuole.... E quali splendori di coltura e di vita
(i) Ved. A. Setti, Una lettera inedita di F. M., in qatst' Archivio, IX, 1882,
fase. III.
(2) Falorsi, op. cit., p. 433.
(3) Ved. C. CanTù, F. M., ecc., in qa^si^ Archivio, III, 1876, p. 323, che
riferisce il rapporto del Sambrunico incaricato dal governo austriaco d'esaminare
le carte lasciate dal M., alla sua morte; e i giudizi del Zanolimi, op. cit., passim.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. Ili
sociale segnalavano quell'alba di secolo e accompagnavano i fulgori
delle vittorie marziali e il consolidamento dell' assetto sociale le-
galmente egualitario!
Il nuovo stato si conciliava molto maggior numero di devoti
e di fautori, e guadagnava i begl' ingegni ; nel che, come nel pro-
muovere la coltura e il fiorir delle arti e ricuperarne i monumenti,,
ebbe il Melzi molto maggior merito che volgarmente non sia noto^
per esser tutti i vanti assorbiti nella dominante figura di Napo-
leone (i). Confluirono alla repubblica italiana, segnatamente a Mi-
lano capitale morale ed effettiva del nuovo stato che preludiò al
nostro odierno regno, uomini di valore da ogni parte d' Italia,,
intelletti baliosi, e pur moltissimi mediocri stimolati dall'ora pro-
pizia alla gara del produrre opere onorevoli a sé, alla patria e al-
l' uomo che appariva datore del nuovo ordine di cose.
Eran qui poeti come il Monti, il Foscolo, il Lamberti, il Cer-
retti; insegnavano nelle scuole di Brera il Lamberti stesso e il
Valeriani, dell'Emilia, e il Salfi calabrese; sopravviveva, pensio-
nato dal Melzi, il Passeroni ; erano nel teatro patriottico il Bia-
monti e il Petracchi; erano nelle armi il Pino, il Teulliè, il Mai-
noni; era segretario del consiglio legislativo il lughese Compa-
gnoni; erano nella consulta il Cicognara e il Testi emiliani; era
direttor generale dell' istruzione P. Moscati e segretario generale^
un tempo ispettore, L. Rossi reggiano; passava per parecchie se-
greterie finanziarie il barone Pietro Custodi, continuatore di Pietro
Verri nella storia e editore degli Economisti; nell'economia lavo-
rava il Gioia piacentino; ci lavoravano e insegnavano artisti come
il Raffaeli romano e l'Appiani e il Bossi lombardi. E Pavia, sede
di rifioriti studi, scambiava ogni gioi:no con la capitale coltura di-
versa e ingegni di diverse regioni, dallo Zola e dal Tamburini al
Cerretti e al Lomonaco, oltre ai professori di scienza.
Milano era un richiamo a ogni angolo d'Italia; ci venivano
gl'ingegni attivi o vi contribuivano con scritti o ne dipendevano
per uffici. E questo accostarsi e mescolarsi dentro i confini della
(i) Ved. CusANi, Storia di Milano, Milano, voi. VI.; Memorie-documenti,
introduzione, pp. 299-300 ; G. Bossi, Notizia delle opere di disegno pubblicamente
esposte, ecc., Milano, 1806, su cui Giornale Italiano, 1806, nn. 154, 156, 157, 162;
ved. pure il mio lavoretto: Un episodio nella storia delle arti, ecc., in Bollettino
della Società pavese di storia patria, voi. V, 1904, p. 438 sg.
112 ATTILIO BUTTI
repubblica e dentro le mura della capitale, in questa Milano, mi-
luogo della vita nazionale a que' giorni sì belli in confronto del
servaggio anteriore secolare, conferiva efficacemente a rinforzar lo
spirito nazionale italiano che doveva divampare inestinguibile a
mezzo l'ottocento.
Vero è tuttavia che chiara e propria coscienza nazionale era
anche allora solo in una parte non grande del nostro popolo, il
sentimento unitario affatto in magnanimi pochi, fede unitaria tale
da essere impostergabile non ci fu in nessuno, fuori della tradizione
letteraria venuta a V. Alfieri (i), prima di G. Mazzini che la tradusse
immediatamente giusto dalla tradizione letteraria e congiungendo
al pensiero l'azione, seppe imbeverne profondamente la nazione
tutta. Per allora l'idea dell'indipendenza era perseguita come pro-
messa ulteriore, e l'idea unitaria apparve solo a baleni vividi sì,
ma oscurati dopo il guizzo, o era implicita nell'involucro del gene-
rico avanzamento della nazione (2).
Perciò quando la seconda repubblica si trovò davanti al pro-
blema del proprio assetto, diversi erano su le prime gì' intendimenti
e si agitavano i partiti, non mancando nemmeno tra essi gli uni-
tari, e r italianità si manifestò con la ripetuta inutile designazione
del Melzi a presiedente, con il plauso dato al battesimo d' italiana
ricevuto dalla repubblica e alla nomina del Melzi stesso a vice-
presidente. Ma a un tempo i responsi dell'oracolo, del primo Con-
sole che portò lui a Lione, in calesse, bell'e fatta la costituzione,
e volle esser lui presidente, dissipavan le illusioni troppo rosee e
imponevano rassegnazione e contento al men peggio. 11 Melzi stesso
nel discorso per la costituzione (1797), aveva già l'animo conciliato
a questo indirizzo politico che importava godimento del beneficio
(i) G. Mazzoni, op. cit., p. io.
(2) Ved. Falorsi, loc. cit., p. 430; Momigliano, op. cit., pp. 135-142, 153.
Non si riferiscono al mio tema né E. Valli, La genesi dell'unità italiana, in
Riv. del Risorg., voi. II, fase. XII, pp. 5-29 ; né I. del Lungo, ibid., in La vita
ital. nel Risorg., Firenze, 1898. Vi ha solo relazione indiretta e, dopo quanto
scrisse il D'Ancona in notissime pagine, non reca novità, O. Bulle, in Die ita-
lienische Einheitsidee von Parini bis Man^^oni, Berlin, 1893. Anche il Croce in
fine di op. cit., riconosce il rapido tramonto che ebbe l'astro unitario in quel
tempo. Dopo il '14 tutti si acconciarono al ripreso ordine di cose, tolto il Melzi
indi a poco venuto a morte (18 16) e, dopo l'errore d'un istante, il Foscolo, un
poeta.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. II3
presente per conservar quante conquiste civili e egualitarie era
possibile, far cessar le agitazioni, far la chiesa concorde e docile
allo stato, rendere il popolo' grato, devoto e confidente, destar le
energie nazionali e salvare quanto d' italianità era possibile in uno
stato grande e forte (i).
I tempi portavano in grembo promesse e difficoltà. Conveniva
tracheggiare alla meglio. Il Marescalchi a Parigi, come poi l'Aldini,
doveva solo studiarsi d'andar a versi al Bonaparte e tradurne le in-
tenzioni nelle relazioni diplomatiche. Ma il Melzi in Italia, dove tutto
€ra da fare, aveva su le spalle la responsabilità di capo dello stato
visibile ogni giorno e in ogni atto; a lui faceva capo il partito
« nazionale » nel quale eran pure degli spiriti infiammabili, ed egli
sapeva in fine qual volontà vegliava esigente a Parigi, e quali in-
sidie Austria e sanfedisti, danaro inglese e plebi abiette potevan
preparare. Fu un segno di tali difficoltà, nel 1802, l'episodio della
generosa imprudenza del poeta soldato G. Ceroni coinvolgente il
consultore Cicognara, il colonnello Teulliè e il prefetto Magenta,
autore il primo, ascoltatori benevoli gli altri di versi italianamente
ribelli. Eppure il Melzi, se non otteneva subito ampie soddisfazioni,
ne procurava tuttavia a breve andare il rialzamento ne' pristini
onori (2). E ben più gli doleva de' torbidi reazionari di Bologna
(i) Il discorso è nel voi. I di Memorie-documenti. Ved. su la moderazione
della repubblica italiana ZA.NOLiNf, op. cit,, voi. I, cap. XIII, p. 200 ; e su gl'ideali
del Melzi, oltre al Falorsi, il Macchi, op. cit., p. 282, e l' introduzione alle Me-
morie-documenti, p. 241, secondo una lettera del Melzi stesso. Liberale moderato
e assennato lo dipingeva il Monti nel 1798 (Leti, edit. ed ined,, per A. Bertoldi
e G. Mazzatinti), Torino, 1893, voi. I, p. 323.
(2) Su questo notissimo episodio, del quale restano ancora alcuni documenti
nell'Arch. di stato di Milano, ved. Cantù, Storia degV italiani, loc. cit. ; A. Bar-
TOLi, Memorie inedite di L. C, in Arch. Veneto^ to. I, par. I, Venezia, 1871,
pp. 227-246, specialmente p. 240; Falorsi, op. cit., specialmente per il «partito
« nazionale », pp. 434-39, e per le pagine su '1 Murat, 442 sgg. : Malamani, Me-
morie^ ecc., voi. II, capp. XIV-XVI; Marelli, Gior. stor. della repub. ital., ms.
in Ambrosiana, par. Ili, to. XXV, ce. 60-64, 91-93, 125, 288; y[.E\Ji\, Memorie-
documenti^ voi. Il, pp. 128.51; 142, 153, 162, 191, 210-11, 555-56; CusANi,
op. cit., voi. VI, cap. XXII, pp. 106-07, 109-10 ; Mazzoni, op. cit., cap. I, p. 7,
cap. II, pp. 24-26, e per il Ceroni, ved. pure dello stesso Un commilitone di Ugo
Foscolo, in Atti R. Istituto Veneto, serie VII, to. IV, 1893, Venezia. Ved. inoltre
Zanolini, op. cit., voi. I, cap. XIV, che nega, a torto, le ampie soddisfazioni
date al Melzi secondo l'asserto del Giordani.
Arch Slor. Lomb.. Anno XXXII, Fase. VII. 8
Il4 ATTILIO BUTTI
nel 1803, delle mene di altri italiani a Parigi, e delle discòrdie tra
il general Triulzi e il general Pino quando il secondo fu sostituito
per ministro della guerra al primo a cui era stato poco prima su-
balterno insolente, e mentre esso il Melzi faceva dell' ingegno di
questo un gran conto, ma diffidava della sua disposizione all' or-
dine amministrativo (i).
Al Melzi toccava andar cauto, aver prudenza per sé e per tutti,.
e finché non fu stancato dalle invidie e dalla condizione troppo
incerta di una politica pendente da voleri lontani, con zelo e drit-
tura secondo il sistema moderato sapeva essere di fronte a Napo-
leone r uomo della nazione e di fronte a questa 1' uomo di quello.
Mostrava alto, adeguato concetto del momento storico già nel suo
« Proclama » del 15 febbraio 1802, che, esaltato con gratitudine il Bo-
naparte, indicava a' concittadini quale meta da raggiungere il diven-
tare un popolo, stringendo l'unità cittadina, iniziando una generale or-
ganizzazione, inspirandosi all'antica gloria, all'antico nostro primato.
Doveva esser lui o il suo segretario consigliere di stato L. Vaccari
l'ispiratore dell'opuscolo uscito ne' primi del 1803 in Milano su la
« Genealogia della repubblica italiana » a conciliar con i disegni
del Bonaparte gì' interessi e le tendenze nostre. N'era autore Bar-
tolomeo Benincasa modenese, che già nel regime antico, nella re-
pubblica di Venezia, aveva reso servizio di confidente degl'inqui-
sitori di stato, e che nel 1798, come rappresentante della società
del Monitore Cisalpino, praticava gli uffici del direttorio. Neil' 801
questo giornale era stato riannunziato dal Compagnoni, eletto poi
dal Melzi segretario del consiglio legislativo, e nel 1803 poteva il
costui compagno servire il governo con quell' opuscolo. Testimo-
• nianza notevole del momento, tale opuscolo combatteva da una
parte gli anglofili, persuadeva dall' altra agli unitari che la loro
idea era generosa ma intempestiva (2).
(i) Su le congiure ved. Zanolini, op. cit., voi. I, capp. XIII e XIV, che
attenua ad arte. A Parigi si agitava il principe di Moliterno. In lib. II, p. 16^
il Z. illustra le discordie tra il Breme ed il Guicciardi. Ved, pure Melzi, Me-
morie-documenti^ voi, II, p. 198, per i partiti, p. 220 per le gare tra A. Tri-
vulzi e D. Pino. Su la « disorganizzazione » del ministero della guerra avanti il
Pino e l'opinione pubblica prevenuta contro il Pino, ved. Marelli, op. cit.^
par. Ili, to. XXVIII, p. 253.
(2) Altri opuscoli uscirono nel 1802 a conforto del nascente stato ; notevole
la Lettera di un italiano (il Pelegatta) inviata il 20 febbraio 1S02, al cittadina
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. II5
Ma le temute imprudenze, le prepotenze muratiane, la rottura
della pace d'Amiens da parte dell' Inghilterra, non avrebber sof-
focata la repubblica italiana se non fosse sopravvenuta l'ambizione
regale di Napoleone. 11 governo del Melzi vi iniziò a ogni modo
egregiamente, quasi in ogni campo, l'opera di ricostituzione, nella
quale entra pure la fondazione del Giornale Italiano, trascurata da
chi ha raccolte del Melzi le onorevoli memorie.
III.
Fin dai primordi della seconda Cisalpina apparivano documenti
e manifesti pubblici stampati dallo stampatore Veladini in contrada
S. Radegonda in Milano che die poi in luce in tre tomi la Raccolta
delle leggi, proclami, ordini ed avvisi pubblicati in Milano dal giorno
I) pratile anno Vili (2 giugno 1800) « epoca del ritorno dell'armata
« francese in questa città » fino all' installazione del governo costi-
tuzionale che seguì il 25 piovoso dell'anno I della repubblica ita-
liana (1802). E poco più tardi seguì, a mezzo dello stesso Veladini
la pubblicazione d' un Foglio officiale della repubblica italiana
contenente i decreti, avvisi, proclami, riguardanti V amministrazione
stabilita con decreto 25 luglio 1802 inserito, in forma d'avviso del
ministro delle finanze Prina, a p. 84 del Foglio stesso; il quale a
p. 157 conteneva pure la concessione della privativa di stampatore
del governo a favore di L. Veladini. Indi, con decreto del 27 di-
cembre 1802, pubblicato a pp. 307-08, n. 165, del Foglio, in forma
d'avviso del ministro dell' interno Villa, firmato pure dal segretario
generale Vismara, la pubblicazione ufficiale veniva suddivisa in un
Bollettino contenente le leggi e i decreti relativi a esse leggi e un
Foglio accogliente gli altri decreti, proclami e avvisi dell' ammini-
strazione.
F. M. presidente della repubblica italiana, inserita dal Marelli, in par. Ili, to. XXIV^
pp. 37-52, che rileva i nomi illustranti il governo cominciando dal Melzi. Nel
1803, pare in risposta a' versi del Ceroni, usciva dalla stamperia del Genio tipo-
grafico il Ragionamento sui destini della repubblica italiana^ forse per opera de-
Paradisi e incarico del governo. Altri opuscoli dichiaravano semplicemente al
pubblico l'organismo costituzionale, come Alcune osservaiioni di un S. C. F. e il
Discorso di R. Marliani.
Il6 ATTILIO BUTTI
Di direttori e redattori lì non si fa menzione. Ma è notevole
che il Foglio consacrava un po' di spazio anche alle notizie poli-
tiche, semplici e aride notizie comunicate dal governo al pubblico,
e che con la fine del 1802 veniva espressamente tolta la qualifica-
zione di ufficiale a un altro giornale che fin allora aveva interpretate
le intenzioni del governo, con quel carattere che noi oggi diremmo
ufficioso, e che aveva sede nel negozio di Federico Agnelli in con-
trada S. Margherita, n. 1113, in Milano. Era questo il Redattore
Italiano: usciva in piccolo formato, presentava in prima pagina
decreti e leggi, poi brevi e succinte notizie politiche in forma di
corrispondenza e, dietro a tutto ciò, qualche volta offriva pure
qualche breve recensione, di libri allora pubblicati o qualche no-
tizia teatrale o di avvenimenti cittadini in forma di articoletti.
Né il Redattore Italiano, quando gli fu pubblicamente denegato
il carattere ufficioso, cessò senz'altro; che anzi continuò come edi-
zione dell'Agnelli, indipendente dal governo, fino a tutto il 1803 (i).
Senonchè una pubblicazione che veramente si proponesse di diri-
gere la pubblica opinione secondo la mente del governo, secondo
un alto e ampio disegno d' uomini di stato, con estesa trattazione
di alti argomenti di pubblico vantaggio e con autorità, non e' era
ancora, e solo compariva il 2 gennaio 1804 con il titolo di G. 1.,
edito da Federico Agnelli che quale editore lo off"riva in succes-
sione al Redattore cessato allora. I foglietti pubblici della prima
Cisalpina, anche quando non er^no ricettacolo di denunzie indegne
e di bizze piccine, avevan pur sempre il linguaggio fremente, le
frasi saettate da menti in subbuglio, non le esposizioni e divulga-
zioni pacate, meditate e serie d' un vero politico.
A dar vita a tale organo della politica instaurativa iniziata
sotto il Melzi, a educare, i cittadini della repubblica italiana alla
(i) Per trascuratezza mi sfuggì in nota a Una lettera ài V. Cuoco al viceré
Eugenio^ in miscellanea Da Dante al Leopardi, nozze Scherillo-Negri, Milano,
1904, p. 533, la data 1802 anzi che 1803. Noto che l'editore Agnelli era fedele
all'opera sua in servizio delle nuove idee; perciò nel 1799 era dovuto fuggire
<ia Milano e la sua tipografia fu saccheggiata da' reazionari il 25 maggio ; ved.
Marelli, Giornale ms. della Cisalpina, voi. Vili, p. 5. Allora fu anche fucilato
il gazzettiere di Lugano, ex-parroco Vanelli. Ved. su la Galletta di Lugano,
E. Motta, in Boll. stor. della Svi^. ital., voi. XX, pp. 46. L'Agnelli era pure
inscritto nella massoneria; ved. infra.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. II7
considerazione elevata, serena e quasi scientifica, non appassionata
in altro che nell'amor patrio, de' più alti problemi politici, volse il
pensiero e l'opera Vincenzo Cuoco; il quale, dopo avere scambiato
idee e criteri su'l proposito con il vice-presidente, in conformità
di tali idee e criteri gli presentava ufficialmente un piano del di-
visato giornale, ne otteneva l'approvazione e si assumeva per coo-
peratori Bartolomeo Benincasa e Giovanni D'Aniello (i).
IV.
Vincenzo Cuoco era giunto nella seconda Cisalpina con la di-
scesa del Bonaparte che aveva sorpresa e scacciata l'Austria ria-
dagiata in Lombardia assecondando i voti indirizzatigli dalla Spagna
dal Melzi appena che lo aveva saputo di ritorno dall'Egitto, pronto
a iniziare avvenimenti ancor più grandi di quelli che s'eran compiuti
nel secolo antecedente. Le pubblicazioni che son venute bellamente
crescendo in questi ultimi anni intorno a lui, permettono di rac*
cogliere con sicurezza le notizie della vita anteriore di Vincenzo
Cuoco, che qui giova esporre succintamente, nelle linee più rile-
vanti al presente argomento (2).
(i) Ved, in appendice, docc. I, II, IX. Rilevo qui una volta per sempre
l'errore in cui è caduto L. Corio, Milano durante il primo regno d'Italia,
Milano, 1904, che attribuisce al Gioia, che non ci ebbe mai nulla che vedere,
l'opera del Cuoco nel Giornale Italiano, in cap. V, p. 87, cap. VII, pp, 126-27,
cap. XII, p. 204, inducendone giudizi ingiusti su tutt' e due gli scrittori.
(2) Mi riferisco a N. Ruggieri, V. C, studio storico critico, Rocca S. Ca-
sciano, 1905; M. Romano, Ricerche su V. C, Isernia, 1904; i quali mi esonerano,
in generale, dalle citazioni della bibliografia anteriore. Indico per altro le recen-
sioni al primo, di G. Roberti, in Giorn. stor. della lett. ital. voi. XLII, p. 190;
di S. Rocco, in Rass. crii, della lett. ital, voi. IX, pp. 1-4, 34-44, pretensiosa,
e di F. ToRRACA, in Rass. hihl. della lett. ital., voi. XII, pp. 4-5-6, 132-35,
assai acre. Su l'altro ved. la notevole recensione di G. Gentile, nella Critica,
Napoli, voi. III, 1905, p. 39. Nel riassumere le notizie biografiche del Rug-
gieri e del Romano mi dispenso dal richiamarmivi se non in alcuni casi di di-
sparere che rilevi chiarire. Mi richiamo pure alla lettera autobiografica del C. al
viceré Eugenio pubblicata da me e già citata. Osservo una volta per sempre che
scrivo Cuoco, come ristabihrono con retta ortografia il Ruggieri e il Romano;
cosi vuole la fonetica de' dialetti meridionali e cosi danno anche a me i docu-
menti. Il ToRRACA, loc. cit., attribuisce al D'ayala la trasformazione del nome ;
fe
IJ8 ATTILIO BUTTI
Nato il i.° Ottobre 1770 a Civitacampomarano nel Molise, egli
trascorse là la sua giovinezza e, se è un' esagerazione quella di
G. Pepe che chiamava Civita T « Atene cisbifernina » e di chi volle
amplificare la magnifica perifrasi con prove insufficienti, par bene
che il Cuoco vi ricevesse ne' primi studi una buona preparazione.
Gli scritti suoi posteriori mostrano come egli avesse meditato su
le pagine del Machiavelli e del Vico. Se del secondo non intese l'in-
tera e vera grandezza (i), ne apprese tuttavia il concetto dello sto-
rico mutarsi delle condizioni dello spirito umano, che è concezione
fondamentale per ischermirsi da' sistemi politici assoluti e astratti;
e del Machiavelli fece succo di pensiero suo, per forma che, chi
legge attentamente le pagine del Cuoco, vi sente insinuarsi il Ma-
chiavelli genuino o trasformato, quasi in ogni punto, in remini-
scenze e indirizzi logici e osservazioni molteplici, anche dove par-
rebbe derivare da altri fonti. Ciò suol essere frutto di studi fatti
in solitudine, non frastornati da attraenze e occupazioni svariate,
e nemmeno da congerie di libri, ma condotti più tosto secondo
l'antica impresa: non multa sed multum. Il che doveva ben avve-
nire a Civita, avanti che il Cuoco si trovasse nel vasto centro di
Napoli.
Nella qual città andò a diciasette anni, e trovò certo nella vita
intellettuale apportatavi dal fiore della coltura di tutto il regno sti-
molo e pascolo all' ingegno forte e avido di sapere, aggiungendo
allora alla coltura che rimase sostanziale nel suo spirito, copiosa
io penso invece che sia un toscaneggiamento in cui si trovò impegnata V Anto-
logia di Firenze, dopo che G. Gazzeri, nella par. Ili, voi. XIII, fase. XXXIX,
pp. 186-87, 1^24, n' ebbe dato il primo cenno necrolqgico, sicché poi si man-
tenne il mutamento nella necrologia posteriore e più nota di G. Pepe il quale è
credibile abbia scritto Cuoco e non Coco. L'avv. L. De Conciliis ha ora dati
alla biblioteca Nazionale di Napoli i mss. superstiti di V. C, di cui egli era
erede, nei quali non si trova peraltro alcuna opera inedita completa (ved. Sup-
plem. alla Riv. delle bibliot. ed arch., a. II, Milano, 1905, p. 3), e l'Accademia
Pontaniana di Napoli ha ora indetto un concorso su V. C. scrittore politico in-
dicando espressamente che si sfruttino all'uopo i mss. donati dal De Conciliis.
(i) Le esagerazioni circa r« Atene cisbifernina » sono del Pepe e del Romano;
di quest'ultimo pure quelle riguardanti le relazioni ideali tra jl Vico e il C, su '1
che ved. G. Gentile, loc. cit. Ritorna dottamente su queste relazioni, in un
opuscolo uscito mentre correggo le bozze del presente lavoro, G. Ottone, La
tesi vichiana di un antico primato italiano nel a Platone » di V. C, Possano, Ros-
setti, 1905.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. II9
erudizione. Gli giovò specialmente ramicizia e la consuetudine di
V. Russo e di M. Pagano.
Vi si dava per istituto agli studi di legge e vi stava poi a far
l'avvocato, coltivando a un tempo stesso l'economia, la filosofia e
la giurisprudenza nell'ambiente ripieno del pensiero del Vico, del
Filangieri, e, ancor più, del Genovesi, del Galiani e del Giannone.
Fu anche affermato che l'avvocatura esercitasse con notevole for-
tuna; ma G. Pepe suo parente, che poteva conoscerlo meglio di
chiunque altro, lo disse non dotato di grande facondia. L' attesta-
zione del Manzoni, d' una grande efficacia esercitata dal Cuoco con
la parola, riguardando evidentemente la conversazione privata, non
contrasta, checché altri sostenga (i), a quella del Pepe. Il Manzoni,
inoltre, esprimeva l' impressione ricevuta nell'animo in un periodo
di entusiasmo, essendo egli, per giunta, più giovine del Cuoco di
ben quindici anni.
Quando sopravvenne la rivoluzione, e partiti i reali di Bor-
bone per la Sicilia, Napoli fu abbandonata materia di prova agl'il-
lusi filosofi per formarne quella repubblica che sorse come un
anacronismo fra i lazzari e le consuetudini secolari, rendendo più
che altrove mai visibile l'abisso separante i pochi dalla moltitudine,
e quando vi imperversarono le « insorgenze » dall' una parte e le
prepotenze militari francesi dall'altra, il Cuoco non vi si gettò con
ardore, nonostante l'amicizia sua col Russo e col Pagano primeg-
gianti nel lavorio de' filosofi repubblicani al governo. Il suo nome
non appare nella Società patriottica e ne* clubs de' giacobini; né
gli sono mai assegnati nell'amministrazione uffici di primo ordine,
non ottenendo egli nemmeno il posto richiesto di commissario di
polizia. È tuttavia famosa la parte che ebbe nello svelare la con-
giura borbonica tramata da' Baccher contro la repubblica parte-
nopea. Il desiderio di rimuovere dalla città torbidi, e pericoli, più
che patriottismo quale allora s' intendeva, indusse per avventura il
Cuoco, amante del vivere ordinato e quieto, a dar consiglio a Luisa
Sanfelice di denunziare la congiura per lei nota. Così il nome del
Civitese e quello della Sanfelice furono insieme riuniti nella lode
di Eleonora De Fonseca nel Monitore Napoletano, onde anche su-
bito insieme furon segnati alla vendetta del Borbone.
(i) Alludo a M. Romano, op. cit., p. 14.
I20 ATTILIO BUTTI
E ora anche dimostrato com'egli s'adoprasse quale segretario
di Ignazio Falconieri nell'organizzazione del dipartimento del Vol-
turno. E sono dal Cuoco stesso presentati come di quel tempo, e
a quel tempo riferiti pure da recenti studiosi (i), i suoi Frammenti
di lettere a V. Russo da lui pubblicati primieramente in appendice
al Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, La quale assegnazione
cronologica non ha veramente alcuna prova diplomatica, e le ar-
gomentazioni soggettive non hanno gran valore. Ma checché sia
di ciò, i Frammenti rivelano, o prima o poi, una critica de' principi
e metodi legislativi teoretici e astratti seguiti nella costituzione
della Partenopea, e mostrano acume di mente, non ardore di pas-
sione. Chi era in siffatte condizioni di spirito non poteva essere
uomo d'azione, massime in tempi come quelli. Se in lui non era
la capacità di profondo e nuovo filosofo, non e' erano tuttavia le
qualità positive dell'eroe, dell' uomo d' azione ; e' era bensì na-
tura e abito critico, e stoffa essenzialmente di scrittore politico.
Tutto ciò doveva metterlo a disagio nell' ora che volgeva, e ciò
dovevan pur sentire i partenopei che lo lasciavan da parte. Il suo
nome dimenticava anche C. Paribelli quando dall'Abrial fu richiesto
d' una hsta d' uomini sicuri, leali ed esperti da mettere a capo della
repubblica travagliata (2).
Ma il rosso del cielo ne' tramonti estivi del 1799 gareggiava
con il rosso sanguigno onde si tingeva la fine eroica della breve
repubbhca su '1 Sebeto; e V. Cuoco, arrestato tra il lugho e l'agosto,
chiuso in Castelnuovo e poi in Castel dell' Uovo, dopo circa nove
mesi di ansie spaventose, a mala pena scampava al patibolo e alla
galera, ottenendo con mezzi non ben chiari, certo non eroici, l'in-
dulgenza che tuttavia gli lasciò inflitta la proscrizione per vent'anni
e la confisca de' beni. S'imbarcava per la Francia e giungeva a
Marsiglia il 5 maggio 1800 (3). Allora avrà provato pur lui le ama-
(i) Romano, op. cit., p. 62 sg. e, ancora prima, Torraca, loc. cit.
(2) Ved. Croce, op. cit., p. 54 sg., e nota che questo silenzio non fu os-
servato dai due biografi. Le deficienze del C, come filosofo sono pure rilevate
da G. Gentile, loc. cit. Ved. peraltro il rilievo datogli dallo stesso G. in rela-
zione con i problemi della istruzione nel recente studio : // figlio di G. B. Vico e gli
ini^i dell'insegnamento di letteratura italiana nella R. Università di Napoli, Na-
poli, 1905, pp. 107, 135-147-
(3) Ved. Croce, op. cit., pp. 80-98.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO »>, ECC. 121
rezze del campar la vita a frusto a frusto che provarono i rifugiati
italiani in Francia, e avrà fors' anco ricevuto i quindici soldi al
giorno che a questi dava il paese ospitale. Secondo l'attestazione
d' una sua lettera, su le prime sarebbe andato anche lui randagio
per le campagne della Provenza come toccò al Monti, che si sfa-,
mava, lungo la strada, di frutti cascherecci (i). Ma a Parigi il
Cuoco sarebbe poi vissuto un po' di tempo fuor di disagio e con
qualche giocondità.
La prodigiosa ridiscesa del Bonaparte di qua dall'Alpi avviò
finalmente anche il Civitese, con il corso degli altri fuggiaschi, a
riveder la cara Italia e le amate sponde, ma non senza guai nel
viaggio. Una sua lettera lascia intendere che ci si trovò alle prese
con i barbetti (2), con i valdesi valligiani del Pellice e del Clusone
fedeli alla casa sabauda, nonostante le battiture sofferte ne' tempi
della riazione cattolica e delle guerre religiose, sicché fu poi gran
cura del governo francese di propiziarseli con 1' eguaglianza giu-
ridica del culto sancita dalla legge. In fine giunse anche il Cuoco
a Milano dove traevano tutti gli esuli e che s'apprestava a esser
crogiuolo di ben auspicata fusione di elementi italiani d'ogni parte.
Già nella prima Cisalpina vi avevan fatto rumore parecchi napo-
letani tra i quaU, notissimi nel giornalismo, ne' circoli costituzionali
e nel corpo legislativo, il Galdi e il Salfi. Ora ci venivano i due
che avrebbero illustrata con memorie storiche la catastrofe napo-
letana a cui erano sfuggiti, F. Lomonaco e V. Cuoco.
Ma nessuna opera segnalava il Cuoco al suo primo ingresso,,
sicché forse si sarà dovuto da principio acconciare a ricevere i
sussidi che un comitato distribuiva a' rifugiati, divisi in romani,,
napoletani e ex-veneti. Vi era giunto 1' 11 dicembre 1800, e non
dovè esser costretto a lasciar Milano per fissar stanza a Pavia o
entrar nella milizia, come toccava agli altri rifugiati che non erana
(i) Per il Monti, ved. Vicchi, op. cit, quarto estratto, p. 715. Per gli altri
esuli e la loro riunione a Grenoble, sciolta da' francesi e biasimata dal Serbel-
loni, ved. Melzi, Memorie-documenti^ voi. I, p. 232. Il Vicchi, loc. cit., dice pure
dell'associazione degli esuli preludente all'unità, ma non menziona il Cuoco
(p. 710).
(2) Presso Romano, op. cit., p. 25, che pone dopo il nome « barbetti » uno
strano interrogativo tra parentesi. Il Lannes ebbe gravi difficoltà nell'assalire i
barbetti insorti e armati ne' dintorni di Genova ; ved. Vicchi, op. e loc. cit., p. II2»
122 ATTILIO BUTTI
impiegati (i), poiché egli un ufficio pur che fosse, anche se umile
di grado e di retribuzione, l'aveva ormai trovato; quello di aggiunto
al guardamagazzino della municipalità nell' allora battezzato Foro
Bonaparte. Perciò non era nemmeno costretto a ritornar nel regno
<ii Napoli come, provvedendo loro il viatico, gì' invitava il comi-
tato de' sussidi, con ripetuti avvisi, dopo la pace di Lunéville i cui
risultati, si diceva nella lingua infranciosata del tempo « vanno a
n sviluppare gli attuali [loro] destini ». « Quanto ai napoletani », si
-diceva in particolare, « se il corso delle vicende politiche non ha
« ridonato alla loro patria quella forma di governo cui eglino ane-
•« lavano e per cui hanno sofferto, oggi non dipende che (ja loro
u di approfittare di un trattato solenne che ve li richiama » (2). Né
il Cuoco obbedì al richiamo ch'era venuto a fare il duca di Civi-
tella, a' napoletani, minacciando una penale a' renitenti (3).
Aveva fatto lui allor allora un terribile processo a quella mo-
narchia e al suo protettore Nelson. Nell'anno IX repubblicano, 1801,
usciva anonimo dalla tipografia milanese di Strada Nuova il Saggio
storico sulla rivoluzione di Napoli del ij^g, con l'epigrafe cicero-
niana: « Caedo cur vestram rempublicam perdidistis tam cito? »,
e con lettera dedicatoria a N. Q. Vero è che il libro appariva det-
tato anche da così acuta, esatta e imparziale comprensione del
vero, de' fatti e delle loro cause, che ne veniVan simultaneamente
esaltati gl'intendimenti rwDbili e l'onesta condotta e svelati i gravi er-
rori de' più eletti spiriti operanti in que' fatti e infatuati di teoriche
astratte per cui non tennero conto della realtà e costruirono su la
rena e peggio, e colpiva tanto le iniquità del regno e de' suoi
protettori inglesi, quanto le prepotenze, le vessazioni e le ladrerie
ordinate o permesse dal direttorio di Francia.
A stringere in poco il molto che di quest' opera si potrebbe
dire, essa va segnalata per detta indipendenza di giudizio a cui
nulla ostò l'aver dovuto giudicare severamente uomini che l'autore
ammirava e amava, elevatezza di concezione che persegue ne' fatti
spiccioli, meglio che vicende d' individui, il maturar de' tempi , li-
bertà da apriorismi d' ogni maniera e pur da quelli del secolo
(i) Ved. la citata Raccolta di leggi, tee, pp. 52, 134, 140, 143, 200. Per
l' impiego del C, ved. Romano, op. cit., pp. 27. 287.
(2) Raccolta di leggi, ecc., loc. cit.
(3) Marelli, Giorn. della repuh. ital.y voi. XXV, p. 94.
LA FONDAZIONE DEL u GIORNALE ITALIANO », ECC. I23
■« filosofo " onde non può aver taccia di semplicismo nell'interpreta-
zione de' fenomeni storici e degl' indirizzi politici e merita invece
lode di buon metodo storico, quale non aveva il secolo ideologo
nel concepir lo svolgimento diverso de' fatti umani benché a pos-
seder della storia le vere basi avessero allora insegnato tra noi i
<:olossi dell' antiquaria. A ogni tratto sorge l'osservazione dell' in-
telletto politico pasciuta della lettura machiavellica, senza peraltro
alterare nemmeno per questa la rappresentazione de' fatti. La quale
riesce, per la visione commossa che lo scrittore ne ha, pur essendo
passata attraverso alla temperie critica della sua mente, un' opera
d'arte vera efficace, a cui non fanno gravissimo pregiudizio gl'ibri-
dismi di lingua, i napoletanismi onde più propriamente che de' tac-
ciati barbarismi vi si trova un buon dato (i).
Ne balza fuori la figura d' un amator sincero, ma assennato,
oggi direbbesi equilibrato, della patria, della libertà e delle inno-
vazioni, che avrebbe acconsentito ad affrettar il passo alle riforme
dacché la rivoluzione aveva impresso a tutto un moto più celere ;
ma tuttavia le avrebbe volute non precipitose e ben radicate nel-
l'anima del popolo, innestate a tale scopo su '1 meglio del passato,
con adattamento alle nostre condizioni, all' indole, a' costumi e af-
fetti paesani, secondo insomma la realtà delle cose la cui conside-
razione é fondamento d' un pensiero veramente politico. Per le
medesime ragioni appare aborrente dal farsi servile discepolo degli
stranieri, e dalle furfanterie amministrative si mostra fieramente
•offeso. Così lo spirito del Saggio era in pieno accordo con l' in-
dirizzo delle cose italiane dopo i comizi di Lione e, per ciò che
spettava al regime e all' uso moderato della libertà e delle nova-
zioni, anche con quello delle cose francesi sotto il consolato che
■del pari rinnegava e condannava i procedimenti de' Verri inviatici
•dal direttorio. Anche il Cuoco, come il Melzi e gli altri nostri
uomini eminenti, guardava al Bonaparte come all'uomo provvi-
•denziale per noi, con speranza che dovesse riunire a miglior sorte
gV italiani o almeno, se il più vasto sistema politico da lui va-
gheggiato non permetteva tanto per ora, conceder ad essi una
somma di beni che li sollevasse a una nuova dignità e prosperità,
(i) Ved. mia recensione a G. Ottone, V, C. e il risveglio della coscienza
nazionale, Vigevano, 1903, in Giorn. stor. della lett. Hai, voi. XLIV, 1905, p 240.
124 ATTILIO BUTTI
caparra di un lontano ancor più grande avvenire. Sono ben questi
i pensieri messi in fronte al Saggio nella dedicatoria a N. Q. È
ben il Saggio che condanna il sistema della democratizzazione uni-
versale che il Bonaparte annunziava finito (i); il medesimo libro
esalta i « talenti » del Bonaparte (2) e, colorendo il suo giudizio
alla machiavellica, ribadisce la condanna di Venezia oligarchica e
imbelle, a Campoformio, come meritata (3), e rileva quale testimonio
di gran progresso nelle opinioni, l'indifferenza degl'italiani davanti
alla cessazione del potere papale in Roma (4). Il Saggio deplora
l'avvilimento, la mancanza di fiducia in sé stessa, della nostra na-
zione. E ben il Saggio che, notati gli estremi a cui eran giunte le
cose in Francia sotto il Robespierre, afferma che le cose dovevan
retrocedere (5), come difatti avvenne, auspice il Bonaparte, e sog-
giunge con parole significative in brutto costrutto napoletano :
« il sistema de' moderati rimaneva le cose al loro stato naturale »,
come a suo parere, che è quello a puntino del Machiavelli, facevano
in Roma antica le parti politiche contendenti saviamente. Confron-
tato, secondo una concezione storica esattamente mutuata dal Ma-
chiavelli, il popolo romano al fiorentino ne' rivolgimenti politici,
addita il giusto mezzo fra gli estremi come il punto d' equilibrio
in cui riposa la felicità della nazione (6). Pure rendendo giustizia
alla loro integrità, svela 1' errore de' « patriotti » in quanto avevan
confuso la legittima azione contro le ricchezze usurpate dal clero,
con la guerra alla religione della quale fa con concetti apparente"
mente, ma non in realtà antimachiavellici, un'apologia (7). Mettono
pure d'accordo il Cuoco con le idee del Bonaparte la critica della
fraternizzazione e delle sale patriottiche, e la lode, per opposto,.
(i) Saggio, cap. II.
(2) Ibid., cap. IH.
(3) Ibid.
(4) Ibid.
(5) Ibid., cap. XVIII.
(6) Ibid., e cap. XV.
(7) Capp. XXI-XXIV e L. Concordano anche nel concetto unitario dello
stato, ossia unione dei poteri (chiesa e stato) quale 1' intende G. Ferrari, siste-
maticamente interpretando la tradizione del pensiero politico da E. Colonna e
Dante a G, Boterò e suoi seguaci, in Corso sugli scrittori politici italiani, Mi-
lano, 1862, lezioni I-XVII, specialmente lez. IX, p. 204, e^ez. XI, pp. 212^
224-255.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I25
de' circoli d' istruzione per la gioventù per formar soldati e citta-
dini, come s'usava nell'antica repubblica di Berna (i). Interpretava
egli il pensiero presiedente al nuovo ordine di cose, quando nel-
l'esporre i disastri della Partenopea, proclamava la necessità delle
armi, e dimostrava che l'organizzazione delle forze napoletane
avrebbe assicurata la vittoria al partito repubblicano e la fortuna
alla Francia in Italia di fronte agli austrorussi (2). E meravigliosa-
mente interpretava il sentimento della repubblica italiana quando
seguiva dimostrando che era supremo interesse della Francia liberar
tutta r Italia, formarne un sol governo e acquistar così una poten-
tissima alleata; che l' Italia è più utile alla Francia amica che serva.
Parole coteste che, a distanza di oltre a settant'anni, N. Tommaseo
si compiaceva di trascrivere a onor del Cuoco, attestando la cara
memoria che di lui serbava l'editore del suo Saggio ancor nel 1825-27,
quando lo scrittore dalmata visse pure a Milano (3).
Non è qui il luogo di dire della fortuna del Saggio. Basti ram-
mentare che superò quella del Rapporto al cittadino Carnot del-
l'altro napoletano e compagno d'esilio F. Lomonaco (1770-1810),
uscito in luce poco prima, e che tutt'e due le opere, che s'integrano
e lumeggiano a vicenda, furono subito tradotte in francese dal noto
Barrère, già membro del comitato di salute pubblica, poi nemico
del Robespierre e sviscerato bonapartista. Anche il fatto di questa
traduzione mostra come il Saggio, nonostante, anzi in grazia della
critica acerba che faceva di certi atti e uomini francesi, non andava
contro gli umori predominanti in quel punto nell' alta politica in
Francia e a Milano.
V.
Le idee rilevate nel Saggio s'accordavano poi principalmente
con quelle di F. Melzi. Neppur questo poteva, per la sua educa-
zione e terapra, approvare i procedimenti della rivoluzione fran-
(1) Saggio^ cap. XL. Tale lode a Berna dà pure in Giorn. Ita/., 1804, n. 35,
21 marzo.
(2) Ibid., cap. XXVI, LUI.
(3) In Arch. stor. ital, serie, III, to. XVIII, pp. 183-84, lettera a P. Albino,
intorno alle costui Vite di benemeriti della provincia di Molise.
120 ATTILIO BUTTI
cese e i suoi furori irreligiosi (i), e nella consuetudine de' Beccaria
e de' Verri aveva pur amato la filosofia e desiderato grandi miglio-
ramenti sociali. Nemmeno lui era proclive alle sette, lui che scriveva
al viceré Eugenio le amare parole del 22 gennaio 1814 contro la
massoneria, tra i capi della quale d' altra parte non compare, a
Milano, neppur il Cuoco (2). Come questo insiste su la profonda
differenza tra la rivoluzione francese che dice opera più propria-
mente del popolo che della filosofia, sorta spontaneamente, attiva,
e la nostra che fu importata, passiva, e mostra che dalla rivolu-
zione francese doveva venir necessariamente la guerra; così già il
Melzi ne aveva a un dipresso giudicato nel discorso per la costi-
tuzione del 1797. Nel quale era detto : « In Francia la rivoluzione
« è stata un bisogno della nazione; ivi fece nascer la guerra; la
« guerra sola ha portato fra noi la rivoluzione : essa ci è venuta
u per impulso straniero ». Nel medesimo discorso il Melzi ci teneva
a rilevar la differenza corrente tra noi e la Francia per rispetto
alle divisioni e ai rapporti delle classi sociali, biasimava i proce-
dimenti demagogici, « la guerra ai ricchi e alla proprietà ». Egli pure
insisteva esser legge di tutte le nazioni, indispensabile, il sostener
colle armi la propria indipendenza, e faceva invito a tutti- i cit-
tadini di qualsiasi opinione e abitudine, a partecipar del governo,
lungi da quell'esclusioni che il Cuoco aveva lamentate come gravi
errori della Partenopea. Pure il Melzi pregiava r89 e sentiva or-
rore del '92; faceva gran conto dell'esperienza e dispettava i me-
tafisicanti della politica; scriveva al parroco Magenta (3) mostrando
come si dovessero accordar sempre morale e dovere cittadino; potè
anche più tardi vantarsi, dirigendosi a Napoleone, del proprio si-
stema di moderazione (4). Pensava egli che nel tempo della Cisal-
(i) Ved. Falorsi, op. cit., p. 424.
(2) In verità non trovo i loro nomi neW Estratto per i travagli della gran
^^ff *^ generale, ecc., dove appaiono invece i Calepio, Felici, Costabili, Alessandri,
Lechi, Jourdan. Massena, Luosi, Fenaroli, D. Pignatelli di Monteleone, C. Testi,
e fin il Caprara e Fed. Agnelli. II raro opuscolo è in misceli, della Braidense,
Gah. 689. Per l'Aldini massone, ved. Zanolini, op. cit., lib. II, pp. 213, 219, 223 ;
per Monti massone, ved. Vicchi, op. cit., primo saggio, p. 96.
(3) Ved. Melzi, Memorie-documenti^ voi. I, p. 147.
(4) Ibid., voi. I, p. 507. Per i luoghi non annotati mi riferisco al Discorso
della costitu:^ione o a' riassunti del Falorsi e del Mauri. Ved. avanti, in § II, il
suo Proclama, 15 febbraio 1802, a' concittadini.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I27
pina s' erano maturate e abbarbicate tutte le opinioni politiche
italiane, ma tuttavia avrebbe, per le nostre condizioni, preferito
uno stato monarchico nazionale al mostro della Cisalpina. Al primo
ricomporsi dello stato, ne' vari disegni intorno ad esso, ripensava
con dolore alle nostre invidie e gare municipali, e si sentiva av-
verso a un grande spezzamento d'Italia. Egli per il primo, all'arrivo
del Bonaparte dall' Egitto, gì' indirizzava la bella lettera francese
nella lingua e italianissima nella sostanza che lo invocava nostro
liberatore e lo ammoniva essere scopo degno di lui fondere le
nostre popolazioni tutte in una nazione perchè l' Italia non dovesse
essere campo predestinato, dannato, a futura perenne guerra tra
Austria e Francia (i). E se non osò formular netto e fermo l'ideale
dell'unità e indipendenza politica, ben formò quello d'un forte
nucleo politico che sollevasse almeno tutti gli animi da gretti spi^
riti regionali e fosse avviamento a cose maggiori.
VI.
Il Cuoco ebbe intanto una nuova occasione d' acquistar bene-
merenza presso il governo italiano. Eseguì per esso un lavoro
utile e fortunato, cioè le Osservaziani sul dipartimento dell^ Agogna,
edite a Milano nel 1802 da Nobile e Tosi e riedite indi a pochi
giorni. L'opuscolo serviva come relazione del commissario straor-
dinario mandato dal governo a quel dipartimento e però usciva
con il nome di questo, ch'era Lodovico Lizzoli (i 776-1820 circa).
Il conte carrarese Lizzoli, fatti in gioventù studi letterari e
giuridici, era stato promotore (1787) dell'Accademia Arnutica di
Carrara, e aveva dato saggi poetici incensando, tra l'altro, la du-
chessa Maria Teresa Cybo d'Este; ma nel 1796 era passato a.' pa-
trioti, era andato deputato al Congresso Cispadano nel 1797, ed
era entrato nell'amministrazione. Nominato nel '97 dal Bonaparte
neir amministrazione dipartimentale delle Alpi Apuane, era pur
eletto nel corpo legislativo cisalpino tra li juniori (i 797-1798). Nel
dipartimento dell'Agogna fu mandato dopo 1' 800, e vi stette fino
a tutto il marzo 1802. Si acquistò lì la stima del Prina che entrava
(5) Memorie-documenti, pp, 216-21.
128 ATTILIO BUTTI
pur allora nel governo della repubblica ed era di quel dipartimento,
■e ottenne anche lodi e favore dal Melzi (i).
Le Osservazioni pubblicate con il nome del Lizzoli, furono
pure oggetto di consulti di L. di Bréme che era pure di quei paesi,
e che pubblicamente le considerò del pari come cosa del Lizzoli (2).
Ma i biografi, e esso medesimo il Cuoco, in documenti già messi
in luce, ristabiliscono il vero contro erronee indicazioni bibliogra-
fiche. Si aggiunge anzi che il Cuoco ha il merito di aver così pre-
<:eduto il Gioia, maestro poi tra noi degli studi di statistica, che,
solo un anno dopo e più, faceva un simile lavoro su '1 dipartimento
d'Olona (3).
E forse per altra via ancora il Cuoco s'era accostato agli uo-
mini del governo: collaborando nel menzionato Redattore Italiano.
Difatto questo, nel n. IX, 25 ventoso, dell' anno IX repubblicano
(16 marzo 1801), recava un articoletto intitolato Varietà a proposito
del tomo III, uscito allora in luce, de' Saggi Politici di M. Pagano
con elogio dell'autore scritto dal cittadino Flaminio Massa, e vi si
leggono queste parole: « Platone avea appena traveduta Atlantide;
« Vico al pari di Colombo fu il primo a navigarvi, ma dopo Vico
« niun altro se non che Pagano ha avuto il coraggio di seguirlo ».
Se queste parole si confrontano con quelle del Saggio, nel capitolo
■« Taluni patrioti », « Nella carriera sublime della storia del genere
« umano voi non rinvenite che le orme di Pagano che vi possano
u servir di' guida per raggiungere i voli di Vico », si sente in
tutt'e due i luoghi, o m' inganno, il futuro autore del Platone in
Italia che, giusto in questo libro, nel cap. LXXI, fa interpretare
dal filosofo ateniese la favola egizia intorno alla « vastissima isola,
^< alla quale le antiche memorie danno il nome di Atlantide », ecc.
Ma checché sia di ciò, fu soprattutto il Saggio che contribuì
(i) Ved. T. Casini, / deputati al Congresso Cispadano, in Riv. stor. del
Risorg., voi. II, 1797, p. 184. Le notizie gli sono date da G. Sforza. Ma il
tempo esatto che il L. lasciò il dipartimento dell'Agogna, lo determino se-
condo un piccolo carteggio dell' Arch. di stato di Milano, Corrispondenza Mel^i^
AZ, 54, lettera 7 aprile 1802, ringraziamento al Melzi. Le lodi sono in let-
tera del Melzi, 22 marzo 1802, e del Prina, 5 aprile 1802. G. Melzi, in Me-
morie-documenti^ pubblicò una lettera del L., togliendole l'esordio.
(2) Ved. Di:(ionario biografico universale, Firenze, 1840, sotto Brente.
(3) Su questo ci fu un po' di polemica tra il Cuoco e il Gioia ; ved. Gior-
nale Italiano, nn. 3, 8, 1804.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO w, ECC. I29
a farlo accogliere quale degno interprete del governo italiano,
siccome scrisse G. Pepe (i), errando tuttavia nel lasciar quasi in-
tendere che il G. I. si chiamasse Giornale Ufficiale o fosse la
medesima cosa che il Foglio o Bollettino ufficiali su mentovati.
Ond'è esatta la rettificazione di M. D'Ayala che i recenti biografi
ebbero il torto di volere alla lor volta correggere.
Nell'Archivio di stato di Milano esiste il disegno o, com' egli
dice, « piano » del giornale, presentato dal Cuoco al vice-presidente e
da questo approvato, che produco in appendice a queste note (2).
Secondo un tal piano il giornale del Cuoco doveva formar la mente
della nazione, formare lo spirito pubblico, il che importava soprat-
tutto inspirare alla nazione stessa una giusta estimazion di se e
avviare un accordo di giudizi su le cose di maggior momento. La
prima vuol esser ridestata e regolata secondo una giusta vision
del vero, con la norma: né vani orgogli, né vile scoramento. In
Italia poi, più che conservarlo, conveniva creare lo spirito pub-
lieo, ossia la coscienza nazionale, dopo più secoli che la vita na-
zionale tra noi era estinta, e il Cuoco ciò vede e afferma. Onde
vuol giungere a questo fine richiamando gì' italiani alla memoria
del loro passato, mostrando loro le loro stesse capacità, spingen-
doli a emulare, non a scimieggiare gli stranieri. Conveniva in par-
ticolar modo far viva l'attenzione su tutte le cose nazionali, su le
cose di tutta Italia e d'ogni ordine, sforzandosi di far del giornale
un vincolo d' unione per la nazione intera, un vincolo d' unità ideale.
Era il programma di un' opera educativa lenta e vasta che aveva
mire lontane, nobiU, patriottiche, e voleva far di Milano la « sede
« della mente universale della nazione ».
VII.
Approvato il piano, che a ragione il Cuoco diceva contener
idee dello stesso Melzi, l' iniziatore del Giornale si sceglieva pure
un collaboratore, Giovanni D' Aniello, che già scriveva nel Redat-
tore Italiano ed era pur lui un esule napoletano.
(i) In Antologia, voi. XIV, 1824, par. IV, n. XL, p. loi.
(2) Doc. II.
Arch. Star. Lomb., Anno XXXII, Fase. VII.
130 ATTILIO BUTTI
Questo die l' opera sua al nuovo giornale fino al principio
del 1806. Per isbrigarmi subito di lui, del quale non è possibile
aver maggiori notizie né, per il suo scarso valore, mette conto
cercarne, dirò che i suoi articoli nel G. I. sono sottoscritti con un
D, sono di argomento teatrale e costituiscono poco più che note
di cronaca. Egli ben si rivela nell'articoletto del n. 49, 23 aprile 1804,
sotto la rubrica spettacoli a proposito della Nùm pazza per amore
del Paisiello, che vibra di care ricordanze della prima rappresen-
tazione di quel lavoro nel teatro eretto nei boschetti di S. Leucio
durante V idillio tra il Borbone e la filosofia. Inoltre, come il Cuoco
lo dice versato nel francese e nelF inglese, e un po' anche nel te-
desco, è probabile che il D'Aniello avesse anche parte nelle ver-
sioni da' giornali stranieri eh' eran date nelle prime colonne del
foglio, in forma di corrispondenza da Londra, da Amburgo e da
altre città. In verità alcuni napoletanismi, sparsi qua e là, le ap-
palesano per fattura del Cuoco o del D'Aniello. Del resto gli ar-
ticoli che si possono attribuire a quest' ultimo, sono assai rari, e
dopo il 1805 pare non ci scrivesse più: la sua sigla scompare.
Per la sua vita avventurosa e per la varia attività, benché di
secondo o terzo ordine, assai più importa l' altro collaboratore,
indicato al Cuoco, che prima non lo conosceva e poi ne fu con-
tento, dal vice-presidente e dal consigliere segretario di stato L. Vac-
cari; tanto più che le notizie intorno a lui si trovano con dif-
ficoltà e richiedono, per quel che si può, rettificazioni e compimento.
Egli era, come s'è detto, il conte modenese Bartolomeo Benincasa (i).
Nato il 1746 da una nobile famiglia oriunda da Montegibbio e ascritta
(i) Intorno al B. abbiamo le note del Dipon, biogr. univers., Firenze, 1840,
voi. I ; della Nouvelle hiographie generale, ecc., Paris, Dldot, to. V, pp. 3 39-60 ;
della Biografia universale antica e moderna, Venezia, 1836, Supplemen. al to. II,
PP- 499-501» che si copiano tra loro, le prime derivando da quest'ultima fonte.
Più a lungo e più direttamente ne discorre AuG. Bazzoni, in Arch. stor. itaì ,.
to. XVII, p. 281 e serie III, to. XVIII, 1873, p. 34, Un confidente degl'inqui-
sitori di stato di Venezia, memorie e documenti. Indico poi il Giorn. di erudi:(ione,.
voi. IV, 1893, p. 295, che indica a sua volta le a Note bibliografiche che pos-
a sono far seguito alla Biblioteca tiraboschiana » del Grasulphus, Modena, tip. So-
ciale, 1876. Io ho coordinate, comparate e, fin dov'era possibile, riscontrate e
rettificate queste fonti ; accennando le notizie, specialmente bibliografiche. Per la
data della nascita e della morte mi valgo della dichiarazione di decesso ch'è nel
registro dei morti di porta Orientale, parrocchia di S. Babila.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I3T
al patriziato di Modena, e appunto dal conte don Luigi e da donna
Lucrezia Baggi, egli ebbe molti fratelli, uno ministro ducale a Mi-
lano, uno arcivescovo a Camerino, un altro vescovo a Carpi: egli
era cadetto. Destinato al sacerdozio era entrato a quattordici anni
novizio nella Compagnia di Gesù, ma non piacendogli la carriera
religiosa, non tardò a cambiar strada. Nel 1765 era uno degl' in-
gegneri militari del duca di Modena col grado di capitano. Seguì
poi il marchese di Montecuccoli, ministro ducale alla corte di Vienna,
nella qual corte conobbe il conte di Nemptsch. Mutabile di partiti,
s' indusse a seguir questo conte in Moravia come educatore dei
suoi tre figli destinati alla milizia e al sacerdozio, ma l' indole sua
sollazzevole lo richiamò ben presto a Vienna fra i divertimenti e
le avventure. Se non è una storiella del confidente ab. Pedrini (1),
una volta vi si sarebbe fin trovato oggetto di rapimento per ordine
di una dama. Ma a sua volta s' invaghì della nobile francese Giu-
seppina Cleves di Tillemont, la sposò e la portò a Modena per
darsi a una vita di spassi che piaceva anche, e troppo, alla mo-
glie, donna di carattere volubile e capriccioso, «diabolica» la diceva
il Pedrini. Non tardò lo sposo a trovar in casa sua una sgradita
sorpresa: indispettito dello scandalo che ne venne, abbandonò per
sempre la città natale.
Lo adescò Venezia, sede del viver giocondo e degli sfaccendati,
adatta all'oblio eh' e' cercava. Là strinse amicizia, certo già nel 1784,
con il general Giovanni Durazzo, ministro dell'Austria presso la
Serenissima. E vi conobbe pure una dama che brillava per coltura
vivacità intelligenza, scrittrice e, secondo la moda, ostentatrice
d'amore all'erudizione di qual si fosse genere, Giustina Winne,
figlia di un gentiluomo inglese, nata e educata cattolica, vedova
del conte di Rosenberg-Orsini eh' era stato predecessore del Du-
razzo a Venezia (2). Il confidente Pedrini la dice povera, e lascia
intendere che per bisogno di denaro poteva servire agi' intrigucci
politici, alle ricerche degl' inquisitori di stato; ma d'altra parte at-
testa che menava vita splendida e che per coonestare la convivenza
sua col Benincasa lo faceva amministrator de' suoi beni. Il certo è
(i) xA-ltro confidente degl'inquisitori di Venezia, dal quale in parte derivano
le notizie date dal Bazzoni, op. cit., su '1 Benincasa.
(2) Su questa dama ved. pure il cenno fuggevole di P. Molmenti, in Nuova.
Antologia, a. XXXIX, 1904, p. 266.
132 ATTILIO BUTTI
che il conte modenese ebbe con questa dama galante relazioni in-
time. Il Pedrini asserisce invero che dopo alcuni anni il conte sazio
degli amori ne sarebbe fuggito in Inghilterra dietro a un facoltoso
inglese, ma altri dice che vi andò con la stessa Rosenberg che
egli avrebbe poi lasciata là tornandosene per conto suo a Venezia.
Più probabilmente vi andarono e ne tornarono insieme. In quei
giorni essa pubblicava a Londra in inglese e in francese, edizione
duplice, quel libretto tra V autobiografico e il didascalico galante
che con il titolo plurale di Opuscoli morali e sentimentali fu voltato
in italiano nel 1820 dal prof. Giovanni Barili (i). In queste pagine,
accennando a' giovani nati con bella qualità d' ingegno, si compiace
di citar come esempio un B. che dice valentissimo nel sonare il
clavicembalo senza preparazione di studi. I due amanti vissero
uniti da tempo anteriore al 1787 fino al giugno 1791 quando Giu-
stina morì.
Egli intanto s'era assunto un ufficio poco decoroso, quello di
confidente degl' inquisitori di stato di Venezia, già un po' prima
del 9 aprile 1791, continuando a prestar questo servizio fino al
31 ottobre 1792. Avrebbe sì desiderato d' aver una commissione
puramente letteraria, ma intanto si abbassava a questa di carattere
poliziesco, il che rende incredibile la storiella d' una lauta pensione
lasciatagli dall' amante. Ma nello scorcio del 1792 sarebbe andato
in Inghilterra come educatore d' un figlio della margravia di Bran-
deburgo Auspach, il che, a tanta distanza di tempo, non può essere
attribuito, come altri vuole, al desiderio di togliersi da un luogo
di ormai dolorosa memoria come Venezia dov' era morta la Ro-
senberg. E allora avrebbe dato di quando in quando quelle capa-
tine in Francia e in Germania, frequentando i salotti parigini, che
altri attesta.
Ma le vittorie francesi in Italia lo indussero a correr la ven-
tura neir onde agitate di Milano, che attrassero tant' altri nel me-
desimo modo improvvisati demagoghi e patrioti: periodo questo,
ignorato da' biografi del Benincasa. 11 quale poteva sperare non di
trovarvi pascolo alla frivolezza, ma più tosto di collocar 1' opera
sua. Il confidente degl' inquisitori di Venezia poteva prestar qualche
servizio ai patrioti! Vero è che nelle sue lettere agi' inquisitori si
(i) La versione italiana usci a Sondrio, dalla tip. Della Cagnoletta.
1
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I33
notano non solo pregi di forma, di pensieri e di coltura superiori
allo stile di que' carteggi , ma anche ottimo fiuto nel conoscere
l' influenza della carta stampata agitante certe questioni, fosse pure
per combattere le opinioni rivoluzionarie. Inoltre egli vi innalzava
la sua relazione dal servizio di bassa polizia all' indagine delle
correnti e induzioni politiche tra i numerosi illustri esuli, andati
ospiti incomodi a Venezia. Ed era stato l'amico intimo di tale dama
che ne' citati opuscoli vuol presentarsi per spirito forte, giudica
benefiche le convulsioni de' popoli e fa una novella di sentimento
democratico egualitario. L' ex confidente ed ex conte poteva ora
come cittadino aver parte in un giornale persecutore de' tiranni.
Era questo il Monitore Cisalpino, annunziato al pubblico con
un foglietto a stampa come successore del Monitore Italiano, cioè
del soppresso giornale di U. Foscolo, M. Gioia, F. Breganze, il che
pur voleva indicare l'epigrafe significativa dell'avviso; uno avulso
non deficit alter. Il foglietto è firmato da Compagnoni Benincasa
Massa. Il primo è il già menzionato abate lughese (i 754-1833), col-
laboratore letterario di F. Albergati, giornalista apolitico a Venezia,
poi cittadino, deputato cispadano, peroratore per la coccarda trico-
lore, poi ancora legislatore e giornalista cisalpino, avviato a divenir
segretario del consiglio legislativo nella repubblica italiana e a
goder del grado di professore a Ferrara standosene a Milano. Prima
di morire, vivacchiando ancora nella repubblica.... letteraria, avrebbe
riassunto il titolo di abate (i). Degli altri due, uno è Flaminio
Massa, meridionale, curatore dell'edizione di M. Pagano, e l'altro,
è il nostro modenese.
La pubblicazione del Monitore Cisalpino incominciò il 15 fio-
rile dell'anno VI repubblicano, 1798. Voleva informarsi a' principi
(i) Su '1 Compagaoai vi è la nota biografìa presso il Tipaldo, vi son quelle
de' dizionari biografici cit.^per il Benincasa. Aggiungo l'op. cit. del Fiorini, su '1
Congresso di Reggio, le Memorie del Cicognara, par. I, voi. XIV, pp. 228-29.
Trascurata è generalmente la parte che riguarda l'opera sua nel Monitore Cisal-
pino ; vi accenna T. Casini, / deputati al Congresso, ecc., già cit., p. 158. Per
il C. tornato abate, ved. il Poligrafo, 1811, XL, 29 dicembre, pp. 622-23. Cfr.
pure Mazzoni, Ottocento, cap. Ili, pp. 152-35. In un'anacreontica del cittadino
Toselli, inserita in Marelli, Giorn. ms., della Cisalpina^ to. IX, 1800, è ma-
gnificato come « emulator di Tullio », e in nota chiamato « celebre in ogni sorte
« di letteratura ».
134 ATTILIO DUTTI
di libertà costituzionale secondo il « piano » del Monitore Italiano,
ambiva a ottener il credito del Monitore Francese in Francia e si
proponeva la diffusione de' lumi, la concordia degli spiriti e.... il
rispetto verso il governo: « non capricci di moda, non furore di
« setta, non invettive, non asprezze, non odiose personalità v. Il
giornale portava il motto tacitiano: « Sine ira et studio quorum
« causas procul habeo ». E in verità d' esser sereno e giusto di
fronte alle brutte questioni personali, mostrò il Compagnoni quando
nel Monitore difese l'opera del commissario Oliva, in cui era parte
principale il Monti, dalle persecuzioni calunniose del ferrarese Guic-
cioli e del famigerato poeta improvvisatore Gianni (i).
Il Monitore Cisalpino, di piccol formato, era pieno il più spesso
delle minuziose relazioni delle dìspute accese nel corpo legislativo,
fatica specialmente del Massa e del Benincasa. Il Compagnoni n'era
la colonna. Egli vi scrisse parecchi articoletti notevoli, una volta
delineando il tipo ideale d' un membro di Direttorio, un'altra volta
lanciando un « colpo d'occhio » su '1 mondo politico ed esaltando
la pace di Campoformio che aveva fondata la Cisalpina, un'altra
volta eccitando i repubblicani romani a rammentarsi di Bruto,
un'altra volta esaltando i circoli costituzionali, in un altro numero
ancora denunziando il così detto tirannello di Torino. Un artico-
letto anonimo pungeva il Gianni che, ammalato di febbre.... aristo-
cratica, non era comparso il dì festivo anniversario dell' entrata
delle armi francesi, a dir versi, come l'emulo suo V. Monti, nel Cir-
,colo costituzionale (2).
Il Benincasa ci scriveva brevi note di varietà. Di rado entrò
nella politica come fece per la « morte del celebre Wilckes intre-
ti pido ed infelice sostenitore della moriente o morta libertà inglese »,
€ nella manifestazion di giubilo per 1' assunzione al direttorio di
quell'Adelasio che poi, ne' tredici mesi, s' infamò di tradimento. Ma
eran motti questi, non articoli; come quando pubblicò un giuoco
di parole su '1 nome di quel Trouvè che avrebbe in breve purgata e
imbavagliata la Cisalpina. Di preferenza egli scriveva di cose geo-
grafiche e di curiosità, su l'Irlanda, su gli orologi di Basilea, su
(i) Ved. ViccHi, op. cit., triennio 1794-99, p. 593 sg.
(2) È strano come questo articoletto (n. 7, 27 fiorile, anno VI) sia sfuggito
al minuzioso biografo di V. Monti, L. Vicchi.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I35
rorigine de' fogli pubblici ^/ stmtlia (ì). Meglio serviva quale inter-
mediario tra governo e giornale. Il 23 messidoro anno VI, il se-
gretario generale Rasori, ch'era stato anco lui giornalista, ordinava
per il ministro degl' interni, un piccolo pagamento al « cittadino
4( Benincasa membro ed agente per la compagnia del Monitor Ci-
ti salpino », per il i.** trimestre d'associazione a quattro copie del
giornale. Ma il 25 termidoro dello stesso anno il Benincasa propo-
neva al ministro Guicciardi, amico del Melzi e pur lui moderato,
r associazione a sessanta copie per lire millecinquecento che fu
finalmente conclusa tra lui e il Rasori. Né dovevano mancargli
noie, come quando il governo di Napoli fece lagnanze al direttorio
cisalpino per un articoletto inserito nel n. 141 ch'era stato comu-
nicato da G. B. Velo e ricavato dal Redattore Ligure. Una carta
d'archivio attesta che il Benincasa tentò anche di associare il go-
verno a cento copie senza riuscirci (2). In fine 1' ultimo direttorio
della prima Cisalpina e il diluvio croato spensero il giornale, ed
è da credere che anche il Benincasa sia stato costretto allora a
riparar in Francia.
Di là tornò anche lui, con le nuove vittorie francesi dell' 800,
a Milano, dove fu subito riannunziato il Monitore Cisalpino in nome
di « una società di persone cognite al pubblico da lungo tempo
« e pel loro zelo, e pei loro lumi in letteratura e in scienze ».
Nella Società era il Compagnoni che doveva riassumerne la dire-
zione generale, e non par temerario il supporre che ci fosse pure
il Benincasa. Ma al finir della Cisalpina nella repubblica itahana
il Compagnoni trovò conveniente lasciar finire anco il giornale e
entrar negli uffici sotto il Melzi, e il Benincasa si faceva interprete
del nuovo ordine di cose con 1' opuscolo mentovato su la stessa
repubblica italiana (3). Il che costituì certo un buon titolo presso
il governo del Melzi per esser designato a collaborar con V. Cuoco
nel G. I.
In questo appaiono articoli suoi dal gennaio 1804 al marzo i8o6,
•e vogliono esser poi considerati a parte, nell' illustrare l'opera del
(i) Mi valgo della collezione, pur troppo imperfetta, dell'Ambrosiana e dei
fogli d'annunzio che sono in una Miscellanea della Braidense.
(2) Si raccolgono questi dati da carte unite senza indicazioni singole e con-
tinuità in cartelle dell' Arch. di stato di Milano.
(3) Ho citato l'opuscolo del B piìi avanti, § II.
136 ATTILIO BUTTI
Giornale in quel periodo di tempo. Ma ne' primi del 1806 egli pub-
blicava pure V Orazio redivivo adulando Napoleone, e di lì a poco
abbandonava il Giornale e Milano per seguir Vincenzo Dandolo in
Dalmazia.
È noto che l' insigne conte veneziano, che aveva parlato alto
e commovente al Bonaparte nel '97, aveva acquistato grande au-
torità agli occhi del superbo eroe. È risaputo del pari che parte-
cipò della prima Cisalpina con accensione democratica e fu del
direttorio, ma ebbe nome illibato e mostrò poi patriottismo insieme
e moderazione, degno amico del Me] zi. Ora era membro del Col-
legio dei dotti e dell'Istituto Nazionale, benemerito per l'opera e
gli studi a incremento dell'agricoltura e dell'ovicultura, per cui è
tante volte lodato il G. I. e forse pure nel cap. VII, pp. 50-51, to. I
del Platone in Italia (i). E con decreto 26 aprile 1806 veniva in-
viato quale provveditore straordinario nella Dalmazia conquistata
dalle recenti vittorie su la seconda coalizione. Il Benincasa che
forse lo conosceva già a Venezia e nella prima Cisalpina e doveva
essergli caro come biografo di Enrico Dandolo, lo seguiva. Giun-
geva « S. E. V. Dandolo a Venezia con numeroso seguito il 21
« giugno », e poco dopo entrava in Dalmazia. Dalla quale ritor-
nava a' suoi famosi ovili di Varese nel 1809, quando la Dalmazia
fu riunita alle province illiriche. Invece il Benincasa, che nel 1807
vi aveva anche fondato // Regio Dalmata (2), vi restò ancora come
censore degli studi delle province illiriche fino oltre il 18 11 (3).
Secondo alcune biografie, il Benincasa dopo questo tempo
avrebbe avuto parte nella direzione del R. Teatro, a Milano. Se-
condo altri, allora si sarebbe fermato a Brescia attendendo a la-
vori letterari e avrebbe avuto parte nella commissione per i libri
di testo de' ginnasi e licei. Fu scritto anche, senza prove, che ap-
partenne alla massoneria. Con ogni probabilità si può riconoscer
lui nel B....a che, sotto il titolo Teatro, firmava un articoletto agro-
dolce su '1 ballo Prometeo del Vigano, nel n. XXVI, 27 giugno
1813, del Poligrafo che lo chiamava suo « collaboratore ».
(i) Ved. pure la biografìa del D., dettata dal Sonzogno, 1820. L'annunzio
dell'arrivo a Venezia è in Giorn. Ital., 1806, n. 176. Su l'accensione democratica
del D., nel 1798, ved. Lettere di V. Monti, per Bertoldi e Mazzatinti, Torino,
1893, voi I, p. 323.
(2) Alcune biografie accennano a questo giornale con titolo efrato.
(3) Ved. Poligrajo, 181 1, n. XV, infra.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I37
Dopo il '16, perduto ogni ufficio, con il cader della potenza
napoleonica, visse i tardi anni lavorando in traduzioni e dedican-
done una anche al nuovo governator di Milano rifatta austriaca»
In quello stesso anno imprendeva a tradurre, per Fortunato Stella,
il periodico Le Spectateur ou Variétés historiques, littéraires, critt-
qms, politiqms et morales, pubblicato a Parigi (1814-1818) dall'esule
danese e famoso geografo Malte-Conrad Brun (i 775-1826) che ora
vi manifestava spiriti diversi da quelli per cui, rivoluzionario, era
andato esule dalla patria sua. E il Benincasa vi faceva pure lievi
giunte.
Ma dopo il '15 non posso trovare altra notizia certa del Be-
nincasa fuorché della sua morte, in età di settant' anni, avvenuta,
per pleurite, in Milano il 18 febbraio 1816. I biografi che lo dicono
morto il 1825 furono tratti in errore da Franco Splitz, che nella
« Rivista generale de' libri usciti in luce nel regno lombardo du-
« rante l' anno 1825 » (i), accenna per incidente a lui dicendolo
« ora estinto ». Fu il Benincasa un ingegno di coltura varia, ver^
satile, acuto, ma non profondo. Scriveva con lo stile consueto alla
prosa degli abati galanti e eruditi dell' ultimo settecento, general-
mente corretto, dinoccolato, reso con il tempo più sostanzioso e
conciso dalla pratica giornalistica, ma ancora spesso sentimentale.
Nella sentimentalità settecentesca innestò anzi il patetico che met-
teva capo al romanticismo incipiente; ai che parimenti contribui-
vano il contatto ch'egli ebbe con i circoli e la letteratura straniera,
e la conoscenza del tedesco e dell' inglese oltre che del francese.
Non lasciò alcuna opera di grande estensione, e fu principalmente
un traduttore. Fu amico del Monti e, dopo la sua recensione in
G. /., 1805, n. 32, a' Manuscrils de Ms Necker publié par sa fille
Genève, 1804, accetto alla Staél che lo rammentava nelle sue let-
tere al Monti (2).
Lasciando da parte l'attività da lui data al Monitore Cisalpino^
al G. I.j al Regio Dalmata, allo Spettatore, e quella certo del tutto
secondaria prestata al Poligrafo lambertiano e montiano, si possono
annoverare come sue le pubblicazioni seguenti.
(i) Milano, Manini, 1826. Io stesso caddi in errore, annotando Una lettera
di V. C. al viceré Eugenio, qcc, già cit., prima d'aver consultato il registro dei
morti di porta Orientale, parrocchia di S. Babila.
(2) Ved. I. MoRosiNi^ op. e loc. cit., pp. 11, 44, 46.
138 ATTILIO BUTTI
Vien prima la « Descrizione della raccolta di stampe di S. E.
u il sig. conte Jacopo Durazzo patrizio genovese, ecc., ecc., esposta
<< in una dissertazione sull'arte dell' intaglio a stampa. Parma, dalla
*i R. Stamperia, MDCCLXXXIV », in-4, pp. 54, alle quali prece-
dono sei carte non numerate. Dopo l'epigrafe dedicatoria al Du-
razzo, indirizza al medesimo una lettera in cui ricorda l'amichevole
loro consuetudine, chiamandolo Mecenate a un tempo e Varrone.
Lodate le arti in generale, la pittura e l' intaglio in particolare,
racconta come il principe Alberto di Sassonia nel 1774 avesse
incorato al Durazzo di raccoglier le stampe italiane antiche e questo
in due anni ne avesse fatta una splendida raccolta, ceduta poi a
quel principe, e una seconda si fosse poi accinto a farne che te-
neva per conto proprio. Questa appunto celebra qui il Benincasa,
con linee larghe ma vaghe, e povere d' indicazioni, benché dica
di voler con tal mezzo offrire una storia universale della pittura
€ de' pittori.
Seguono due lavoretti in francese, presentati al pubblico come
•condotti a quattro mani da lui e dall'amica sua contessa di Rosen-
berg, anzi più tosto opera di questa, riserbando il Benincasa a se
le parti di editore e annotatore. Alludo primieramente alla tradu-
zione in francese del Viaggio in Dalmazia di Alberto, propriamente
G. B. Fortis (i 744-1803), abate galante e letterato, confidente di
dame (i) e pregiato dai dotti, accostatosi pure al movimento rivo-
luzionario e esperto delle miserie dell' esilio in Francia durante i
tredici mesi, glorificato tra i morti recenti nella festa nazionale di
Milano nel 1804. A. Bazzoni riferisce alla traduzione le lodi del
Cesarotti parlandone come di opera originale. Questa fu tradotta
anche in tedesco e suscitò contradittori. La versione della Rosen-
berg, edita dal Benincasa con note, a Venezia, il 1788, prendeva il
titolo dal popolo delle cui curiosità vi si parla, Les Morlacques.
L'altra, pubblicazione dei due amanti, lavoro originale, è: « Altic-
M chiero par madame J. W. C. D. R. (Yustina Winne comtesse de
n Rosenberg), à Padune, 1787 w. Reca la dedica del Benincasa a
M Mylord William Petty, marquis de Lansdown, comte de Wy-
M comb, ecc., membre du conseil prive de S. M. le Roi de la Grande
(i) Fu tale per la prima moglie del Cicognara ; ved. Memorie cit., par. I,
•cap. VI, pp. 74-80.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I39
<< Bretagna, general dans ses Armées, etc, », con data da Venezia
5 agosto 1787 (i). Il Benincasa vi si presenta editore e annotatore
-d' una descrizione della villa Alticchiero, su la Brenta, luogo di
•delizie e adorno d'arte, del senator veneto Angelo Quirini, che la
Rosenberg avrebbe condotta per compiacere il signor Huber (Mi-
chele?) di Ginevra che ne aveva fatto richiesta al Quirini. Il Huber
ne aveva procurata una prima edizione di pochissimi esemplari, e
il Modenese a soddisfar le richieste di lord Petty ne dava quest'altra.
È difficile distinguere quanta parte in questi lavori avesse vera-
mente ciascuno dei due amanti, e se era un po' il caso inverso di
-quello di L. F. Huber, figlio di Michele, e dell' amica, poi moglie
sua. Teresa Heine Forster nota, come si vedrà, al Benincasa.
Rammentata la biografia di Enrico Dandolo che, composta dal
Modenese, fu pubblicata dal Pomba e dal Bottàri, si può saltare al
« Saggio sulla genealogia ed interessi politici e sociali della re-
« pubblica italiana di Bartolomeo Benincasa modenese, Milano,
« Pirotta e Maspero, 1803 ». Nella prefazione l'autore biasima l'in-
contentabilità degli uomini, evidentemente perchè c'erano de' più
-caldi patrioti non troppo contenti della repubblica italiana. La tratta-
zione dedica un primo capitolo a rilevar la necessità delle rivoluzioni;
un secondo tocca dell'indole e carattere particolari della storia d'Italia;
il terzo ne tira le conseguenze, e anche il Benincasa vi addita natu-
ralmente il Bonaparte come l'uomo provvidenziale per noi. 11 cap. IV
discorre delle cause rimote e vicine della rivoluzione francese ; il V
e il VI narrano le conseguenze di questa in Italia e il veni vidi vici
del Bonaparte. Il VII tratta del miglior governo e combatte le me-
tafisicherie che ingombravano il nostro cammino da secoli; denunzia
il X i mali della provvisorietà nel governo; magnifica il XV il
Bonaparte che è un Numa, uno Scipione, un Cesare, tutt' insieme;
il cap. XVIII affronta i partiti e condanna prima di tutti quello
<:he vagheggiava un collegamento con l' Inghilterra. A cui segue
il XIX contro l'intempestività del partito unitario: « Una setta
« politica d'Italiani, di cui non sono rei per sé stessi, ma inop-
^< portuni e intempestivi, perciò dannosi, i principi, è quella, a cui
(i) Correggo un'altra papera sfuggitami nelle note a Una lettera di V. C. al
viceré Eugenio, ecc., cit , dove lasciai passare AlHchiero invece di Alticchiero. Su
i Morlacchi c'è pure una noticina in Quérard, France Littéraire. La Descriiione
della Raccolta, ecc. è registrata dal Graesse tra i libri rari.
140 ATTILIO BUTTI
« può darsi il nome degli Unitari.... Deve più volte esser nata la
u grande idea nei cuori di patrioti ambiziosi rigonfi e punti; ma
u perchè tale idea divenga saggiamente praticabile, è da replicarsi,
u che vuoisi gran favore di circostanze e lenta progressione d'av-
« venimenti ». Questa era per i Foscolo, Ceroni, Gioia, Cico-
gnara.... (i).
Si deve registrare poi tra le cose del Benincasa il « Q. Orazio
u Fiacco Redivivo a Napoleone il Grande Imperator de' Francesi
u e Re d' Italia » in-4 gr., in una delle belle edizioni bodoniane^
Parma, MDCCCVI. Nella prefazione in francese il Benincasa dice
a Napoleone : « Sire, en feuilletant mon Horace, je tombai par hazard
« sur l'ode II du livre IV et précisément sur ces vers: Tum meae....
« Vocis accedet bona pars.... ». Di lì l'idea dell'opuscolo: Orazio
fu profeta, e Napoleone non cede d' un punto ad Augusto. Non
potendo rievocar 1' ombra d' Orazio, il Benincasa vuol appropriar-
sene le idee e le espressioni fatidiche riguardo a Napoleone. E
questo insomma un centone di frasi oraziane a onore e gloria di
Napoleone Bonaparte che oggidì a noi paiono spesso freddure,
calembours. Ben adattati riescono i seguenti luoghi : III, i, III, 25,
HI, 4, II, 9, I, 6, III e 25 bisj IV, 2, IV, 14, II, 17 e 7, I, 2, IV, 14 biSy
III, 3, 4, 6, IV, 15, 3, 8, 9, 5, 2, III, 27, 3, IV, 3, III, 4, IV, 5, I, 2.
L'autore li aveva raccozzati in Milano il 14 maggio 1805, sotto l'im-
pressione delle feste reali e imperiali e nemmeno li annunziò, nel
G, I. che dovè fare una scelta fra l' immensa congerie delle prose
e de' versi diluviati in quell'occasione.
Nel Giornale, n. 105, 2 settembre 1805, invece facendo recen-
sione della Historical Memoir a. crii. Essay on the Reviev. f. the
Drama in Italy, che l'inglese Gius. Cooper-Walcker, emulo del
Roscoe nel culto della nostra letteratura, aveva pubblicata con il
nome arcadico di Eubante Tirinzio assunto in Roma, ne dava un
estratto e, lodandolo, preannunziava che se n' era « intrapresa la
u traduzione immediatamente dall' originale che corredata di note
li sarebbe uscita tra non molto alla luce ». In verità uscì poi solo^
in un voi. in-4.° gr., nel 1810, quando doveva scusarsi che non
poteva, per ragioni di tempo e di luogo (era in Dalmazia), far nulla
(i) Oltre a' cenni già dati su gli Unitari, ved. per le voci che facevano del
Cicognara uno de' capi, le costui Memorie, par. I, cap. VII.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I4I
più che tradurre. S' intitola : « Memoria storica sulla tragedia ita-
u liana di G. Cooper-Walcker inglese, versione italiana. Brescia,
li N. Bettoni, 1810 ». V incluse un giudizio assai favorevole su le
tragedie del Monti, e in ricambio il lambertiano e montiano Poli-
grafo, n. XV, 14 luglio 181 1, p. 233, gli lodava il lavoro pre-
« gevole » e le « poche ma utili postille dettate secondo me-
« moria e buon gusto ». Il giudizio su le due prime tragedie del
Monti è invero notevole per l'accostamento che già v' istituisce tra
esse e il dramma sechspiriano. Ma la Memoria non aveva gran
fortuna, onde faceva richiamo ad essa il Gherardini nello stesso
G. L, n. 198, 6 luglio 1812, tolta occasione da una cattiva rappre-
sentazione à.^\V Aristodemo data la sera antecedente nel R. Teatro
della Scala. Anche il Gherardini chiama il Benincasa « benemerito
« interprete » dell'autore inglese, fa sua Tosservazione che il Monti
aveva saputo neW Aristodemo commuovere rappresentando il do-
lore del protagonista senza ricorrere al terrore della pena, ma la-
menta che la versione, uscita già da un po', era letta fin allora
da pochi.
Ed eccoci alle due pubblicazioni che danno al Benincasa certa
importanza storica in quanto preludiano al romanticismo. Voglio
accennare anzitutto alle « Lettere di Yorick ad Elisa e di Elisa a
ti Yorick, dall' inglese recate in volgare italiano, con note », Mi-
lano, Baret, 1815, in-12, che incontrarono qualche cenno critico
dallo Spettatore Italiano, scritto da D. Bertolotti, in to. IV, p. 97 e
pp. 101-103, che spiacque al Benincasa e lo mosse a una Risposta
€dita in un insipido opuscoletto di dodici paginette dallo stesso
Baret, Milano, 1815. L'altro lavoro è « Il Romanziere inglese ossia
u scelta di componimenti patetici tratti da quella lingua, del conte
« Bartolomeo Benincasa (Milano, Baret, 1815) », dedicato a S. E.
il maresciallo conte di Bellegarde; ed è notevole per aver data
la stura a tanti altri racconti patetici che in breve ci diluvia-
rono (i).
Ma di proposito s'è lasciato da dire per ultimo dell'operosità
del Benincasa nel tradurre per il teatro. Tiepido verso il Fede-
(i) Al Romanziere Inglese accenna anche il Mazzoni, Ottocento, cap. VII,
p. 656.
(2) Ved. Giorn. Ital, 1804, n. 14, i.° febbraio.
142 ATTILIO BUTTI
rici (i), sollecito del patrio onor teatrale (2), ammiratore dell'Al-
fieri, del Monti, del Goldoni e di Gh. de Rossi (4), invocatore della
buona commedia naturale e morale, egli traduceva, con scelta, dal
francese e dal tedesco. Le sue versioni sono inserite nelVAnno
teatrale che l'editore Antonio Rosa pubblicava a Venezia a comin-
ciar dal 1804, succedendo al Teatro moderno applaudito eh' era
giunto a sessanta volumi. Il tomo Vili dell' anno 1804 contiene,^
tradotta dal Benincasa, la notissima Scuola delle madri di Nivelle
La Chaussée, con note su '1 proprio modo di tradurre. Il nostro
interprete voleva rendere il pensiero e l'espressione straniera in
veste e gusto veramente italiani, con quella libertà ch'egli usa
anche nelle versioni di altre materie: che si può esser fedelissimi
a un tempo e liberissimi e si deve portar tra noi il lavoro d' arte
straniero, facendolo italiano, non andar all'estero a sostituir parole
nostre alle forestiere. Il tomo X del medesimo anno conteneva,
tra l'altro. Il tesoro, commedia del francese Andrieux, dall'intreccio
leggiero ma succoso, dalla favola lieta ma onesta. Il tomo IX del-
l'anno 1805 presenta la commedia del francese Imbert // geloso senza
amore, voltata dal Benincasa in italiano secondo la sua maniera; e
il XII dava tradotto dallo stesso il dramma d'intreccio La moglie
di due mariti di R. C. Guilbert-Pixerecourt. Il tomo XII medesimo
corredava poi invece di note del Benincasa lo Spartaco del fran-
cese Saurin tradotta da Filippo Merlo torinese. Il che accadeva
pure per la Sofonisba, tragedia dell'abate Giuseppe Luigi Biamonti,
contenuta nel to. I del 1805, la più recente delle molte Sofonisbe
italiane e francesi comparse fin allora, e il conte modenese istituiva
tra queste un confronto non privo d'acume e d' informazione. Ma
il medesimo tomo I pubblicava la commedia tedesca // viaggio alla
città dell' annoverese Augusto Guglielmo Iffland (i 759-1814) noto
commediografo e direttore del teatro di Berlino; e il secondo pure
del 1805 offriva Tempi antichi e tempi moderni, quadro in azione,
de' costumi domestici di tempi e stati diversi, dello stesso autore ;
tradotte tutt'e due dal Benincasa. Dal quale si legge poi tradotta
nel tomo IV Guli o Gl'indiani in Inghilterra, fortunata commedia
dell'autore tedesco a que' giorni più fortunato, il weimarese Au-
(i) Ved. Giorn. Ital.,, n. 27, 3 marzo.
(2) Ibid., 1805, n. 26, 2 marzo.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I43
gusto Kotzebue (1761-1819) ch'ebbe biasimi e frizzi dal G. I., quando
a sua volta fu giornalista antifrancese e antiitaliano.
11 Kotzebue, dopo l'avvento della commedia lagrimosa, trovava
tra noi traduttori di singoli lavori, come, oltre il Benincasa, Gius.
Bernardoni, l'ab. I. Pederzoli, il cav. De Lellis, S. Fabbrichesi, lo
Schabler, Pietro Andolfati. Pubblicò poi un « Teatro di Kotzebue
« completamente tradotto e accomodato al gusto delle scene ita-
M liane », per la penna di A. Gravisi, la Società tipografica di
Verona nel 1825. E un Teatro di Kotzebue ci dava ancora dal 1826
al 1833 l'editore Gattei di Venezia, in più volumi. Nella quale ultima
edizione era preferita a quella del Benincasa la traduzione dell' An-
dolfati. E la Biblioteca Italiana, nel 1826, rendendo conto delle
due edizioni complete e non partecipando dell'entusiasmo per l'au-
tore tedesco che diceva più noto e fatto più grande in Italia che
in Germania, dichiarava bensì le sue preferenze per la versione
del Gravisi, ma non rammentava più nemmeno il nome del Benin-
casa. Mi è parso perciò utile rifarne menzione qui, dando fine alle
notizie racimolate e rivedute intorno al principal collaboratore di
V. Cuoco nella redazione del G. I. (i).
Vili.
Il primo numero del G. I. venne in luce il 2 gennaio 1804.
La pubblicazione era da principio trisettimanale e recava l'epigrafe
significativa : « Recte facta refert : orientia tempora notis Instruit
« exemplis... », da Orazio, Ep., II, i, 130-31. Il 4 giugno 1804 comin-
ciava a dare un supplemento straordinario al n. 67 del i.° giugno^
offrendo la descrizione della festa nazionale celebrata in Milano
la domenica, 3 giugno 1804, anno III repubblicano. Ma il n. 36
(i) Si pubblicò pure tra noi un Teatro di Augusto Guglielmo Ipand, Tre-
viso, Andreola, 1825, in 25 tomi, dove appaiono traduttori Fil. Casari, M. Ar-
contini, M. Cuccetti, Fel. Fort. Chiozzotto e, il più fecondo, Guglielmo Martens
veneziano. Accenna alla sfuggita al Kotzebue e all' Iffland in Italia A. Galletti,
L'opera di V. Hugo nella letteratura italiana^ Supplem. VII al Giorn. stor. della
lett. ital., Torino, 1904, pp. 27, 88, dicendo, un po' troppo alla spiccia, che le
versioni italiane paiono raffazzonate da versioni francesi. Ciò è per alcune, ad
esempio per quelle derivate dalla versione francese del Depui e del Saurin, ma
il medesimo non pare per quelle di Filippo Casari e del Benincasa.
144 ATTILIO BUTTI
del 1805 esprimeva « la soddisfazione d'annunziare che l'eroe del
■u secolo aveva fissato i destini nostri col dare al nostro paese la
« forma monarchica ereditaria, secondando in ciò i voti della na-
« zione ». 11 31 marzo era dal governo « solennemente annunziata
4t la nostra gloria, la nostra felicità w, e il G. I. pubblicava nel
medesimo giorno un altro supplemento straordinario con cui ces-
sava l'epigrafe oraziana. Consona al nuovo indirizzo politico, sempre
più personale, dello stato, l'epigrafe del n. 39, i.° aprile 1805, era
presa àdW Eneide di Virgilio, Vili, 148 sg.: « Quin omnem He-
« speriam penitus sua sub iuga mittat. Et mare quod supra, teneat,
« quodque alluit infra. Accipe, daque fidem: sunt nobis fortia bello
u Pectora..., sunt animi; et rebus spectata Juventus ». L' epigrafe
diventava più breve e vie più concorde con 1' indirizzo personale
napoleonico dello stato nei numeri 43-56, dal io aprile all'i i mag-
gio 1805: « Res italas armis tuteris, moribus ornes; Legibus
« emendes.... », Hor., Ep., 11, i, 1-2. Parevan crescere gli avvenimenti
-con il montar su dell'astro napoleonico, e crescer gli affari, onde pur
il Giornale dal n. 55, 5 maggio 1805, non manca più di supple-
menti, con molto maggior fatica de' compilatori; uno per ciascun nu-
mero. Usciva così sei volte alla settimana. Ma erano i giorni in
cui i funzionari dello stato giuravan fedeltà al regno, e Napoleone
era in viaggio per l'Italia, e finalmente entrava in Milano (8 maggio),
come annunziava la parola magnificante del G. /., nel supplemento
al n. 55. Fiorivano spontanee e pompose le esaltazioni e adula-
zioni sotto i fulgori imperiali e reali splendenti in Milano capitale,
e dal n. 57, 13 maggio, al 68, 8 giugno 1805, l'epigrafe del G. L,
di nuovo mutata, alludeva alla presenza del gran sole, dell' uomo
del secolo, con parole che sanno dell'opuscolo adulatorio del Be-
nincasa, poiché orazianamente diceva: « Instar veris enim vultus
« ubi tuus Affulsit populo, gratior it dies Et soles melius nitent »,
Od, IV, v, 6-8. Intanto vi si pubblicava il decreto del 7 giugno che con-
feriva la dignità vicereale a Eugenio di Beauharnais, e quello del
9 maggio onde il vice-presidente della repubblica diventava can-
celliere generale del regno. E veniva impresso al Giornale carat-
tere più apertamente ufficiale. Il n. 70, eseguendo la proposta del
Cuoco d' unificar il Giornale, il Foglio e il Bollettino, avvertiva :
« Tutti gli atti di amministrazione posti in questo foglio sono uf-
« fidali ». E la veste, fatta più succinta, si liberava dal fregio del-
l'epigrafe dal n. 69 innanzi. Finalmente il giornale diveniva rego-
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I45
larmente quotidiano, come preannunziava il n. iii, i6 settembre 1805,
in italiano e in francese, e si metteva in atto il 1° ottobre 1805.
Così, con il medesimo formato, ch'era peraltro il maggiore che
avessero i nostri giornali politici d' allora, esso era giunto al suo
pieno sviluppo tecnico, materiale, benché il suo organismo fosse
ancora a un buon pezzo inferiore alla complessità de' giornali
odierni.
Esso presentava, durante la prima redazione, questa distribu-
zion di materia. Venivan prima le « Novelle politiche »>, più tardi
dette « Nuove politiche w, le notizie cioè della Francia e de' paesi
stranieri all'impero, desunte da giornali, specialmente di Francia
e d'Amburgo, tradotte dal Cuoco o dal D'Aniello, non firmate e
in forma di lettere. Le notizie del regno seguivano in serie, nella
medesima forma, con la data di Milano, e delle altre città se ri-
guardavan solennità civili delle province. Venivan poi articoli che
noi diremmo di fondo. Questi erano spesso sotto il titolo « Politica »
o sotto il nome dello speciale argomento trattato, aggirandosi su
le relazioni internazionali o i maggiori problemi dello stato, molto
in su dalle cose di partito o dai particolari amministrativi, trattando
per esempio del concordato, dello stato politico dell' Europa, del
senatoconsulto francese che il 15 termidoro dell'anno X, io mag-
gio 1804, fondava l' impero. Altre volte eran trattazioni miranti a
formare la pubblica coscienza traendo occasione dalla recensione
di qualche libro, o erano scorrerie storiche, con il medesimo scopo,
massime a proposito di fatti, istituti o costumi nostri, ad esempio
su '1 regno d' Italia. Queste eran tutte cose del Cuoco, che le sot-
toscriveva con r iniziale C. Seguivano le note di letteratura, di-
varietà, di belle arti e di spettacoli. Le prime alle volte erano
articoli originali, tal'altra recensioni o semplici annunzi tipografici.
Anche lì appare la mano del Cuoco, ma più spesso quella del
Benincasa che si segnava B. B. e regnava poi quasi solo nelle
varietà, eh' erano il più frequentemente notizie di viaggi, di paesi
e costumi stranieri. Sotto la rubrica spettacoli comparivano note di
cronaca teatrale firmate più volte da D., cioè da Giovanni D'Aniello.
Li cronaca spicciola della strada e de' chiassetti non vi trovava
luogo, se non in caso eccezionale che avesse una relazione con
l'economia dello stato o si prestasse a qualche considerazione mo-
rale. Vi si pubblicavan però le condanne inflitte per diserzione
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII. Fase. VII. io
146 ATTILIO BUTTI
dalla coscrizione militare, oggetto di grandi pensieri per il governo^
La collaborazione estranea a' redattori fu assai scarsa, benché pur
meriti un cenno, e era seguita dalla dichiarazione tra parentesi :
« articolo comunicato ». Anzi nel n. 60, 19 maggio del 1804, c'era
questo suggello per sgannarci: « NB. Gli estensori del G. I. non
M sono sempre autori d'ogni articolo di quello. Quando son tali,^
« ognun d'essi appone appiè del suo le proprie iniziali ». Onde,.
senza prove palmari in contrario, non è lecito attribuir loro gli
scritti anonimi.
Il peso della compilazione era partecipato dai tre redattori;
tutt'e tre eran chiamati tali, ma in verità, secondo che lo conside-
rava lo stesso governo, il direttore era il Cuoco. Del quale si può,^
da talune note dell'Archivio di stato, calcolar lo stipendio, ch'era
di tremila secento lire all'anno; ma non è dato conoscere quello
de' suoi compagni. Tutt'e tre sino alla fine del 1805 furono in con-
dizione d'impiegati dello stato, dipendenti dai ruoli del ministero
dell' interno, secondo abitudini comuni anche a' giornalisti della
prima Cisalpina, quaU il Poggi, il Lattanzi, la Società del Monitor
Cisalpino (1) e il famigerato Ranza quand' era a Marsiglia. Morto
il ministro Villa nel marzo 1804, gli era successo il Felici che il
Melzi (2) poi diceva uom debole per salute cagionevole. Colla fine
del 1805 era assunto al ministero dell'interno Lodovico di Bréme
Arborio Gattinara (i 754-1828), patrizio e diplomatico piemontese,,
scrittore di materia statistica e amministrativa, passato nel 1801 al
bonapartismo, amico del Melzi che lo difendeva da taccie per un
errore giovanile commesso nella Spagna, discorde dal Guicciardi
capo della polizia, infine noto per la fina satira onde lo colpì
nel 1808 il Gioia a cui prima era stato amico e fautore, e caduto
poi a sua volta nel 1809, quando il ministero dell' interno passò a
L. Vaccari (3). Il Cuoco e i compagni furono adunque sotto il Fe-
(i) Anche questo ricavo dalle note suddette dell'Ardi, di stato di Milano^
dove c'è pure una nota di pagamento a favore di G. A. Agnelli, padre di Fe-
derico, che stampò il Redattore Cisalpino, divenuto come la repubblica, Italiana
nel 1802. Per il Ranza, ved. G. Roberti^ op. cit., p. 63 ; donde traggo (p. 60),^
di passata che il primo a chiamare un giornale suo Monitore Italiano sarebbe
stato quel famoso giornalista e demagogo vercellese.
(2) Memorie-documenti, voi. II, p. 140.
(3) Ved. Momigliano, op. j:it., capp. XIX-XXI, pp. 89, no, riguardo al-
l'ultimo episodio.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO w, ECC. I47
liei e per breve ora in relazione col Bréme, quanto al ministero;
e con L. Vaccari quale consigliere segretario di stato sotto la re-
pubblica e sotto il viceré.
Lo sviluppo materiale del giornale, cominciando dal tempo
dell'incoronazione, aveva spinto i redattori, che soli non avevan
fruito delle larghezze di queir ora, a chiedere una remunerazione
del lavoro accresciuto. Non è dato conoscere come sia stata ac-
colta l'istanza (i), ma intanto il governo vicereale preparava loro
una sgradita sorpresa. Si voleva seguir più da presso l'uso di
Francia, e il mentore dato da Napoleone al figliastro viceré, il
lionese Stefano Mejan (i 766-1846), prima giornalista lui pure, anzi
redattore del Moniteur, doveva preferir quell' uso. Si volle così
scaricare il peso dell'amministrazione del giornale su l'editore scio-
gliendo le relazioni tra redattori e governo (2). L'editore diventava
un impresario, un « appaltatore » ; i giornalisti sarebbero stati alla
costui mercé, benché il governo vi s' ingerisse ancora, almeno per
qualche veto come toccò per un momento al Gherardini nel 1806 (3).
La triade giornalistica di fronte al semilicenziamento ricevuto in
fine del 1805 per il tramite del ministro dell' interno Felici, mosse
istanze al segretario consigliere di stato L. Vaccari, e al Moscati
ritenuto per uomo culto e valente, e il Cuoco ebbe anche ricorso
al viceré con una lettera eloquente (4) eh' é un notevole brano
d' autobiografia, per ovviare al danno minacciato o averne com-
penso: tutto inutilmente.
E la compagnia si disperse. Dopo il primo trimestre scompare
la sigla B. B., prima ancora manca la firma D. Del D'Aniello si
perde ogni traccia ulteriore, il Benincasa va in Dalmazia a cercar
altra fortuna. Resiste più a lungo il Cuoco, il cui ultimo scritto nel
G. 1. appare nel n. 214, 2 agosto 1806 e riguarda il quadro La
sepoltura di Temistocle di G. Bossi, al quale, come consta da' suoi
carteggi, il Cuoco era, e rimase anche da Napoli, legato in grande
amicizia. Questo sperava e chiedeva un compenso adeguato ai
molteplici servizi resi da lui in quegli anni allo stato. Dopo il suo
(i) Ved. in append., doc. IX.
(2) Ibid., X.
(3) Nelle cit. carte d'Arch , Componimenti scientifici^ Giorn. Ital., e. n. 4518^
10 settembre 1806, firmato : « Repazzini ».
(4) È la lettera da me pubblicata nella Misceli, nuziale già cit.
148 ATTILIO BUTTI
lavoro SU l'Agogna, gli era stato pure commesso dal vice- presidente,
su sua profferta, di fare una statistica generale della repubblica
italiana e gliene aveva presentato un piano. Ma il lavoro era stato
intermesso; il mutamento politico e la guerra che condusse a Pre-
sburgo, doveva aver rese incerte le commissioni e preoccupati
altamente gli animi. Alla statistica volgeva pure il pensiero il vi-
ceré che si faceva venir informazioni di quanto se ne faceva in
Francia, dall'Aldini consigliere segretario di stato residente presso
l'imperatore e re, uno de' migliori interpreti di questo e de' meglio
indirizzatori delle cose italiane in quel tempo. Il Cuoco suggeriva
che si fondasse un ufficio apposta per la statistica come 1' aveva
la Francia; ma forse gli uomini del governo pensavano che si ma-
turavano avvenimenti per Napoli acconci a un buono e utile col-
locamento del Cuoco nella propria regione. Il Bréme pensava a
istituir queir ufficio, ma lo conferiva poi , con lauto stipendio, al
Gioia che in breve, guastatosi con il ministro, ne fu spogliato.
Dell' ufficio di statistica godè il barone Pietro Custodi, « patriota »
intemerato nella prima Cisalpina, che come scrittore del Monitore
Italiano e deìVAmico della libertà italiana provò le prigioni del
direttorio e pur diffondeva dal Tribuno del Popolo dottrine tem-
perate, e fu poi insigne editore della classica raccolta degli Eco-
nomisti Italiani, segretario generale del ministero delle finanze
nel 181 1, commissario straordinario per le requisizioni dipartimen-
tali nel momento pericoloso del regno, nel 1814 (i).
Il Cuoco non otteneva quel posto ambito, ma il governo lo
tratteneva nell'aspettazione pregiando l'opera sua nel G. I. Ed egli
intanto conduceva a termine e pubblicava il 3.° e ultimo tomo del-
l'altro suo lavoro per cui ha nome nella storia letteraria e che uscì
in luce, come il Saggio, a Milano, voglio dire del Platone in Italia,
i cui due primi tomi erano editi fin dal 1804 da Agnello Nobile e
il 3.° usciva nel 1806 dai torchi di Gio. Pietro Giegler.
Il libro non aveva incontrato fortuna commerciale nella prima
parziale edizione sicché l'autore si trovò nelle strettezze, « in di-
« sborso », egli dice, di quasi tremila lire, e dovè farsi prestar
dal governo una somma equivalente a due mesi del suo stipendio,
di che poi non potè risarcir 1' erario se non per metà, detrattagli
(i) Ved. per il Cuoco, in append., docc. XI, XII, XIII ; per il Custodi,
ved. sopra.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO w, ECC. I49
dalle mesate, essendogli condonata l'altra per ordine del ministro
Bréme (i). Il libro è intitolato Platone in Italia « traduzione dal
« greco », ma è, come si sa, un romanzo storico secondo il modo
dell' Anacarsi del Barthélemy, per la qual cosa rientra nella serie
de' romanzi filosofici fioriti, o imbozzacchiti, nel sec. XVIII anche
tra noi (2). Preludio alla scelta di tale forma letteraria da parte
del Cuoco è lo scritto che, sotto il titolo « Varietà », e' pubblicava
nei numeri 9, io, 11, gennaio-febbraio 1804 del G. I., dove il di-
segno parrebbe vagheggiato per una finta scorreria storica attra-
verso il nostro cinquecento: « Un mio amico conserva il manoscritto
« di uno de' suoi antenati che visse nel secolo di Leon X, con-
« versò con il maggior numero de' grandi uomini che fiorivano in
« quel tempo, ed ebbe parte in molti gravissimi avvenimenti. Se
« quest'opera si pubblicasse, si potrebbe intitolare Viaggio in Italia
u nel secolo di Leon X, e sarebbe egualmente interessante del Viag-
gi gio del giovine Anacarsi in Grecia ». Finge d' ignorare se l'amico
pubblicherà cotesto scritto , ma altri potrebbe fare « un' opera
« di questo genere, che non sarebbe certamente la meno utile e
« per la nostra istruzione e per la nostra gloria ». Finge ancora
di volerne riferir lui un « ragionamento » tenuto a Firenze « con il
« gran Macchiavelli (sic) che gli pare il miglior commentario che
« si possa desiderare alle opere di questo grande pensatore ». Nel
medesimo anno cominciava invece la pubblicazione del Platone
in Italia, attuando lui il disegno suggerito agli altri ; ma, memore
della sua erudizione classica, parendogli forse di poter meglio ma-
neggiar le illusioni fingendo un'età storica men comunemente nota
e di potervi meglio innestare anche un po' di Vico, sostituì all'ItaUa
del Cinquecento la favoleggiata Italia pitagorica. Dalla prossimità
di tempo tra l'articoletto del giornale e la pubblicazione del tomo I
del romanzo, si può indurre che a questo ci lavorasse subito e
desse alla stampa di mano in mano che ne stendeva una parte.
La concezione del lavoro, l' intendimento e l'indole di esso, si ac-
cordano a un tempo con questa procedura, e con la mancanza di
disegno organico che presenta alla fine. Il lavoro non ha altra unità
(i) Ved. nota precedente, doc. XIV.
(2) Oltre a' citati studiosi del Cuoco, ved. G. Marchesi, Romaniieri e ro^
manii italiani del settecento, Bergamo, 1903, pp. 270-73.
150 ATTILIO BUTTI
organica che quella delle idee morali e politiche dell' autore, cosa
diversa dall' intelaiatura d' un romanzo.
Il Cuoco finge che la materia del suo libro sia tradotta da un
manoscritto greco ritrovato da un suo avo; piccolo e logoro espe-
diente che (ho da aggiungerla a tante altre non meno strane indi-
cazioni di fonti?) sospetto non sia stato senza efficacia su l'analoga
finzione di A. Manzoni per i Promessi Sposi (i). Ma anche scri-
vendo al viceré Eugenio conferma d' aver voluto imitare il fortu-
nato Anacarsi; eppare le ragioni dell'arte ci hanno una parte del
tutto secondaria, solo in quanto l'autore sperava con essa di poter
far correre il libro più facilmente. Il Platone non ha valor d'arte,
e anche 1' erudizione di storia e filologia antica vi sta quasi solo
come pretesto e riempitivo (2). Pur tuttavia solo alla stregua del-
l'arte e dell'erudizione lo esamina nello stesso G. I., presente an-
cora il Cuoco a Milano, G. Gherardini (3). Il quale lo loda anche
« per eleganza e purità di lingua w (e dire che si suol citare la
prosa del Cuoco come impura I), e solo accenna di passata che gli
« anacronismi " ci dovevano essere « ad arte ». Ma già A. Levati
nel suo bel « Saggio sulla storia della lett. ital. dei primi venti-
« cinque anni del sec. XIX » vedeva bene che il Platone era tutto
un tessuto di allusioni a fatti e uomini contemporanei all' autore
il cui significato è stinto per i posteri lontani, ma doveva essere
sufficientemente chiaro e non privo d' interesse quando il libro fu
pubblicato (4). Questo giudizio è confermato dalle parole del Cuoco
stesso che adduceva come servizio reso allo stato la composizione
d' un tal libro « diretto a formar la morale pubblica degl' Italiani
« ed ispirar loro spirito d' unione, amor di patria e amor della mi-
« lizia ». Tali intendimenti e significato ebbero in fine illustrazione
dal recente studio di M. Romano.
Sennonché il Romano sembra esagerare a sua volta l'influenza
che il Platone sentì dal Vico. Il vichianismo non vi è parte men
(i) Senza questo rilievo, già accosta il Platona a' Promessi Sposi anche il
Levati, di cui infra. Cfr. per fonti del Manzoni in quest' invenzione le ben di-
verse ipotesi di A. Giannini, in Roma Letteraria, voi. VII, p. 17.
(2) Così, preceduto in parte dal Levati, ben lo giudica il Romano, op. cit.,
p. 188 sa:.
(5) Ved. nn. 171, 173 ; 20 e 22 giugno 1806.
(4) Milano, Stella, 183 1, cap. IV, pp. 501.
LA FONDAZIOiNE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I5I
secondaria che V arte e V erudizione, in confronto della filosofia
pratica e della politica che sono 1' anima del romanzo. Lo potrai
sentire in qualche concezione di etnografia e in generale nelle que-
stioni di erudizione filosofica e archeologica che valgono di pre-
testo al libro, come intorno alle relazioni d'origine tra le tradizioni
greche e le italiche (passim), nelle pagine su la dubitata storicità
di Pitagora, in to. I, p. 150 sgg., intorno alla lingua degli antichi
Italici, in to. I, p. 162 sgg., su Omero in Italia, in to. I, p. 262 sg.,
nel discorso di Clinia su l'eloquenza, in to. I, p. 86 sg., su gli
antichi nomi locali italici, in to. II, p. 7, su le tre età del teatro, in
to. II, p 21, su la storicità di Zeleuco, in to. II, p. 135, nei capp. LXXV
•e LXXVI del to. Ili, sugli antichi abitatori dell' Italia, e in piccola
parte del LXXVII su gli Etruschi. Ma la parte sostanziale delle dot-
trine che sono scopo dell'opera, fanno capo al Machiavelli, e non
solo nei capp. LXIV-LXIX dedicati ai Romani, dove sono illustrati,
fatti espliciti e condensati i giudizi del politico fiorentino su le con-
tese politiche che producono « la morale di tutta la favola romana »
nel resultato della secessione plebea, e su la religione, nel qual
campo i Romani eran giunti a formarsi una « religione civile », cioè
inspiratrice e sorella inseparabile del patriottismo, ma anche lungo
tutto il libro. Egli è che nessuno mai forse penetrò e si assimilò
di più lo spirito del Machiavelli, pure sviluppandone le dottrine in
conformità delle proprie condizioni reali, e intorno a quel « grande
« infelice incompreso », come lo chiamò G. Mazzini, si può legger
un articolo del Cuoco nel G. I. che mostra acuta ed equa com-
prensione, lontana sì dai detrattori del preteso maestro di tirannide
sconcia e sì dagli esaltatori d'un preteso delatore dell'iniquità prin-
cipesca al tribunale de' popoli Informato a tali elementi, il Platone
è in gran parte il supplemento della morale politica animatrice del
Saggio e del G. L
Con il romanzo il Cuoco aveva reso adunque un altro buon
servizio, e tuttavia non otteneva quel premio immediato che cer-
cava qui, dal governo del regno d' Italia. Per accontentarlo tem-
poraneamente avrebbero voluto procurargli de' profitti nel contratto
con l'editore del giornale, obbligando per rincalzo i collegi d'istru-
zione ali 'associazione. Avrebbero fors' anco pensato a dargli un
posticino in un futuro riordinamento della pubblica istruzione, di
cui era direttor generale P. Moscati e segretario generale L. Rossi ;
il primo, giornalista e direttore nella Cisalpina, deportato al Cat-
152 ATTILIO BUTTI
taro, ritornato col Reina dopo Lunéville come in trionfo, illustre
nella medicina e nella metereologia, presidente della Società del
teatro patriottico; l'altro, prima avversario noioso, poi ammira-
tore di P. Giordani, sollecito d'aiuti all'Albergati vecchio e poeta
pur lui, ahimè! poco felice, per occasione (i). Il Cuoco intanto
faceva altre pratiche e, poiché aveva amicizia con G. B. Giusti,
da lui lodato nel Giornale, che nelle comuni relazioni con Bologna
godeva a sua volta dell'amicizia di A. Aldini risalito in alto, cioè
al grado di segretario dell' imperatore e re, dalla condizion privata
a cui era sceso dopo la rivalità sua con il Melzi, anche il Cuoco,
come allora tutti i postulanti, si rivolse, per mezzo del Giusti, al-
l'Aldini per aver qualche ufficio in alcuno de' paesi caduti sotto
l'influenza di Napoleone. Pensò tra l'altro a una cattedra nell'Uni-
versità di Cracovia Ma ecco sorgevano altre speranze di lavoro,
di premi, d'uffici onorevoli, con l'ordinamento dato dall'imperatore
a Napoli, ond' egli, dacché qui non poteva attendersi a nulla di
meglio, si accinse a lasciar Milano e ritornar su '1 Sebeto, all'aurora
del regno di Giuseppe Bonaparte.
Nel giugno 1806 faceva omaggio al viceré de' volumi del Pla-
tone, per mezzo del ministro Di Bréme, e otteneva da quest'ultimo
una commendatizia (2) stesa in nome del viceré al ministro degli
affari interni del regno di Napoli. Per mezzo del direttor generale
dell' istruzione Moscati cercava pure d' impedire un danno minac-
ciato in quel punto alla sua proprietà letteraria; poiché, mentr'egli
si proponeva di fare una seconda edizione del Saggio, altri a Na-
poli voleva ristampar la prima per proprio conto, somiglianza di
caso veramente notevole, anche per la identità delle sedi, con ciò
che toccò poi nel 1840 al suo amico Manzoni per i Promessi Sposi.
Ma il governo napoleonico sapeva imporre il rispetto del diritto
privato anche dove c'era lacuna di legge. 11 Moscati pregava calo-
(i) Ved. mie Spigolature d'archivio su F. Albergati, estr. dal Giorn. stor. della
leti, ital., 1903. Il Rossi era stato anche, con Sisto Canzoli, ispettore dell'istru-
zione; ved. Giorn. Ital., varietà, 1804, n. 23 ; e da uno stampato inserito dal
Marelli, in Giorn. della Cisalpina, to. I, p. 29, appare anche firmato in un in-
vito al popolo di Mantova a festeggiare il rialzamento dello stendardo della li-
bertà (6 pratile, anno V). La sua ingerenza nel Giorn. Ital. appare ben anco^
dalle Lettere di V, Monti, già cit., voi. I, p. 386.
(2) Ved, append., doc. XVI.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I53
resamente, allegando l' interesse generale delle lettere, il consigliere
di stato C. Testi, ferrarese, amico di A. Aldini e di L. Cicognara^
incaricato del portafoglio degli affari esteri, d' interporsi presso il
governo napoletano affinchè la ristampa del Saggio fosse impedita
o almeno sospesa finché il Cuoco fosse giunto lui stesso a Napoli
a far valere i suoi diritti o intendersela con lo stampatore. E il
Testi pensava di non aver di meglio a fare che trasmettere la
stessa lettera del Moscati (i).
Ne' primi d'agosto 1806 il Cuoco abbandonava definitivamente
Milano e il G. I. a cui aveva dato tanta parte da potersene giu-
stamente considerare il fondatore. 11 giornale continuava ancora a
vivere. Nel 1806 vi appar frequente la mano di G. Gherardini, poi
per più anni quella del lionese ab. Guillon, che già s'era occupato
di cose nostre scrivendo a Parigi, sotto gli auspici dell'Aldini, il
Corriere d'Italia pregiato da Napoleone (2). Ma questi non sapevan
sfiorare che argomenti letterari o di varietà, e per i primi in qual
modo disgraziato! Non più ampie visioni politiche, non più la ge-
losa italianità che nel primo periodo del G. I. soleva animare
almeno le trattazioni che non toccasser direttamente il sistema
politico supremo e internazionale indirizzato da Napoleone. Il let-
tore sfoglia le pagine successive e ci sente l'aridità o alle volte,,
sotto la penna del Guillon, la sfacciataggine letteraria, poi malin-
conicamente assiste al rapido mutamento politico del marzo 1814
che ha su quelle pagine un riflesso muto e freddo. MegUo ritornar
a leggerne le pagine del momento cuochiano e fare una scorsa
attraverso a quegli articoli per vederne lo svolgimento morale che
ebbe nel G. I. il piano del suo fondatore e riscontrarvi V opera
dello scrittore politico e il contributo letterario.
Giova rinfrescar la memoria di questa operosità dell' insigne
Molisano nella Milano della repubblica italiana e del secondo regno
d' Italia, però che vi fu poi a lungo dimenticato o quasi. Dopo che
G. Gazzeri nelV Antologia del Vieusseux, a. 1824, par. Ili, voi. XIII,.
(i) Ved. append. docc. XVII, XVIII. Il Testi era stato pure ministro degli
esteri nella prima Cisalpina, sotto il primo direttorio, ved. Marelli, Giorn. ms.
della Cisalpina, to. I, 14 giugno.
(2) Ved. Zanolini, op. cit,, lib. II, p. 135; Cantù, F. Monti e V età che fu
sua, Milano, 1877, pp. 87, 159; importante pure su lui la lettera di Angelo
Agnelli a V. Monti, in Vicchi, op. cit.. Saggio, ecc. pp. 96 98.
154 ATTILIO BUTTI
fase. XXXIX, pp. 186-87, ^t)be dato l'annunzio della sua morte
(13 dicembre 1823) associandola a quella di P. Moscati (i), chia-
mandolo forse per il primo Coco (altrimenti da quello ch'egli soleva
firmarsi e che la fonetica de' dialetti meridionali richiede), seguiva
nel voi. XIV, par. IV, n. XL, p. 99, la famosa necrologia scritta
da G. Pepe. Allora la Biblioteca Italiana del 1826, to. XLI, p. 86,
in uno sguardo generale alla produzione letteraria italiana, iniziando
l'anno, lo rammemorava pure con due righe, dicendolo generica-
mente u versatissimo in ogni genere di umano sapere ». Gli storici
lombardi poi che narrarono di quegli anni, tacquero dell'opera del
Cuoco nel G, I. e di questo stesso giornale. 11 Cantù in V. Monti
e l'età che fu sua, p. 159, cap. Vili, così ne dice con generica con-
fusione: '< .... la Gazzetta Ufficiale dal 1802 al 1806 fu redatta da
<u Vincenzo Cuoco, poi da Gio. Gherardini fino al 1815. Guillon
*<■ facea la parte letteraria ».
Ma il medesimo Cantù nelle Reminiscenze su A. Manzoni ri-
peteva l'attestazione del Tommaseo quasi alla lettera inserita nel-
V Archivio storico italiano, che nel gran lombardo fosse rimasta
cara memoria di V. Cuoco. E ciò sarebbe avvenuto, nonostante
che un altro rifugiato, pure napoletano, lo avvisasse di star guar-
dingo da lui come quello che abilmente, con assedio di parole,
sapeva tender le reti.... Chi avrebbe fatta una così brutta parte,
non è dato indovinare; certo non F. Lomonaco al quale il Man-
zoni, amico e ammiratore, indirizzò un ben noto sonetto e che il
Cuoco lodava nel giornale. Ma, checché sia di ciò, il futuro autore
de' Promessi Sposi potè trovarsi con V. Cuoco entro il tempo corrente
dal 1800 al 1805, nel qual anno don Alessandro si trasferì a Parigi. E
allora questo visse gli anni di sua età dal quindicesimo al ventesimo,
mentre il Molisano arrivò su l'Olona a trent' anni compiuti. Tut-
tavia il giovinetto che, pur senza dar nulla alle stampe, già aveva
composto de' bei versi, tra i quali il Trionfo della libertà e i « ser-
4i mon pedestri », era pregiato, non che dal Foscolo, di sette anni
più anziano, anche dal Monti vicino alla cinquantina e già il-
lustre. S' intende così, che potesse avere già tant' autorità nel-
l'amicizia e stima del Cuoco da valere a trattenerlo da un'azione
men degna, cioè dallo scagliare una terribile frecciata a V. Monti
nel tomo II del Platone in Italia.
(i) Morto nel 1824.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO w, ECC. I55
La cosa non avrebbe fatto onore al Cuoco, ai nostri occhi;
anzi tutto perchè sarebbe parsa intinta d' invidia; poi perchè noi
ora vediamo come quasi tutti di quella generazione si siano accon-
ciati al mutar degli eventi dopo il '14, non molto altrimenti da
quello che il Monti aveva fatto altre volte, senza essere un Monti ;
inoltre perchè nemmeno il Cuoco, pur non essendo il vile che altri
volle rappresentarlo (i), dimostrò stoffa d'eroe; e in fine perchè
non stava bene colpire alle spalle un uomo lodato più volte pub-
blicamente, che è come dire di fronte. Queste lodi il Cuoco aveva
à inserite, scritte da lui o da altri, nel bel primo numero del
G. L, 2 gennaio 1904, a proposito della versione montiana di Persio;
altre magnifiche del Benincasa per il Caio Gracco lasciava inserire
nel n. 35, 21 marzo 1804. Egli stesso poi lo lodava per // cavallo
alato di Arsinoe, nel n. 141 del medesimo anno, senza contare la
celebrazione d'ogni cosa che il Monti scrivesse negli anni seguenti,
fino ad accogliere un sonetto del Bettinelli che esalta nel Fusigna-
nese il poeta che migliora Dante. Vero è, ad onore del Cuoco, che
al contrario il suo giornale non dette mai più che degli annunzi
tipografici, per le pubbljcazioni che ancor facevano i due più spre-
gevoli avversari del Monti, il Gianni e il Lattanzi.
Sorvoliamo su queste cose, paghi al ricordo dell'amicizia dal
Manzoni professata al Cuoco come indice dell'efficacia che questo
sapeva esercitar su gli animi. Ciò egli otteneva con l'acuto e vi-
vido ingegno, che, se non era il meglio disposto all'arte e a con-
cepimenti originali di filosofia, aveva invece singolari attitudini alla
speculazione politica più ampia e elevata. E questo aggiunto alla
gravità del momento storico conferisce la maggior importanza al
G, /., di cui il Cuoco fu il principal fondatore e il primo indiriz-
zatore.
Attilio Butti.
(i) Ved. mie note a Una lettera^ ecc., già cit., a proposito delle accuse di
U. Tria e dell'apologia di M Romano.
156 ATTILIO BUTTI
APPENDICE
Documenti ricavati dall'Archivio di stato di Milano (0-
I.
Dalla Collezione degli Autografi^ n. 6794.
Cittadino Vicepresidente,
Ho Tonore di presentarvi alcune idee su quel foglio di cui vi com-
piaceste incaricarmi. Esse sono, per la maggior parte, vostre; ed io non
ho fatto altro che riunirle a quelle poche che avea avuta occasione di
concepire, e delle quali son contento poiché non discordano dalle vostre.
Ve le presento riunite, onde possiate giudicare se mai io abbia ben
compresi i vostri pensieri, ed in caso diverso emendarle.
Se queste idee meriteranno il vostro compatimento, dietro le vostre
istruzioni io distenderò un programma, e farò fare dall'Agnelli un bi-^
lancio per ciò che riguarda l'amministrazione economica del foglio. Ma
prima è necessario ricevere li vostri ordini sul numero di fogli che
vorrete far dar fuori in ogni settimana, e che io, attesa l'ampiezza del
soggetto, non credo poter essere minore di tre; sulla qualità della
carta, dei caratteri, ecc., ecc. Tanto io quanto Agnelli non attendiamo^
che gli ordini vostri.
Dovrei esprimervi la mia riconoscenza; ma la riconoscenza che si
esprime è sempre minore di quella che si sente.
Salute e rispetto.
Milano, ) agosto i8oj.
Vincenzio {sic) Cuoco.
II.
Piano del Giornale Italiano allegato al documento I.
Un giornale, destinato a formar lo spirito pubblico di una nazione,,
non deve contenere il solo racconto di quelle novità delle quali si pasce
la curiosità spesso puerile, di coloro che non si occupano degli altri, se
non perchè poco possono occuparsi di loro stessi. Per formar la mente
(i) Ringrazio gli egregi ufficiali dell'Archivio per l'aiuto sollecito e valido
prestatomi in queste ricerche.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I57
de* lettori è necessario che l'opera istessa abbia una mente, cioè un fine
unico, e parti tutte corrispondenti al fine.
Lo spirito pubblico di una nazione consta di due parti principali,
alle quali tutte le altre si possono ridurre: la prima è la stima di noi
stessi e delle cose nostre; la seconda è l'accordo de' giudizi di tutti su
quegli oggetti che possono essere utili o dannosi.
Alla stima di loro stessi e delle proprie cose debbono le grandi
nazioni e quella energia per cui han fatte le grandi operazioni; e quella
pazienza per cui han sopportati grandi mali e sacrifizi gravissimi; e
quell'affezione al proprio governo, che si raffredda ed estingue dall'idea
che esso non operi bene, o che un altro operi meglio; e finalmente
quella costanza ne' pensieri , ne' disegni e nelle operazioni, la quale,
fondata sul rispetto che abbiamo per i nostri maggiori, può sola farci
ottenere i grandissimi effetti. Quando si analizzano le nazioni, si trova
che i beni ed i mali, la verità e gli errori sono misti egualmente da
per tutto, e che la differenza tra 1' una e l'altra non dipende da altro
che dalla loro diversa maniera di pensare e di sentire.
Ma questa stima di noi stessi deve ottenersi con metodi diversi
secondo le diverse circostanze nelle quali una nazione si ritrova. Un
giornalista di Londra o di Parigi può mille volte al giorno ripetere ai
suoi compatrioti: noi siamo grandi. Egli sarà sempre creduto. Un gior-
nalista italiano, se pronunzierà questa stessa proposizione, desterà il riso;
ed una proposizione di cui si è riso una volta, dice Shastersbury (sic) (i),
non può produrre mai più verun buon effetto.
Questa è stata, a creder mio, la ragione per cui inefficaci sono
riuscite tutte quelle opere, delle quali ne abbiamo avuta dovizia negli
anni passati, dirette a risveghar le menti degl'italiani. Troppo altamente
si predicava in esse la nostra nuova grandezza, ed intanto si trascura-
vano tutte le idee individuali, le quali avrebbero dovuto sostener questa
idea unica ed astratta, che il popolo non può mai comprendere, ma
deve solamente sentire. A traverso della pompa delle parole si trave-
deva il declamatore; si scovriva l' impegno di convincere, che nelle
menti de' più si confonde sempre coli' impegno d'ingannare, e così le
idee esaltate di grandezza destarono il riso; le idee esaltate di libertà
produssero il disordine. È nella natura della nostra mente di non am-
mettere un' idea, se non sia preparata dalle sue necessarie e quasi fa-
tali antecedenti ; è nella natura del nostro cuore di ostinarci contro
coloro i quali ci voghon persuadere verità a cui non siamo preparati:
(i) Anthony Ashley Cooper, Third Earl of Shaftesbury (1671-1713J, filo-
sofo londinese. Il C. ne scrive il nome più correttamente nel citarne in nota
al to. II, cap. LVIII, del Platone, le Ricerche sulle virtù (Inquiry concerning
Virtue or Merit). Probabilmente ne conosceva le versioni francesi del La Combe.
Qui allude al Sensus communis, an Essay on the Freedom of Witt and Humour
(1709).
158 ATTILIO BUTTI
queste due leggi, trascurate pur troppo nell* ultimo decennio, han pro-
dotti tutti i mali che V Europa ha sofferti.
Fra noi non si tratta di conservar lo spirito pubblico, ma di crearlo.
Conviene avezar (sic) le menti degl' italiani a pensar nobilmente, con-
durle, quasi senza che se ne avvedano, alle idee che la loro nuova
sorte richiede e far divenire cittadini di uno stato coloro i quali sona
nati abitanti di una provincia, o di paesi anche più umili di una pro-
vincia. Il dir loro voi siete grandi sarebbe inutile; senza dirlo, convien
mostrare quelle cose dalle quali essi stessi possono incominciare a
pensarlo. A questo fine conducenti li seguenti mezzi:
i.** Presentare al pubblico quanto più spesso si possa la memoria
degh altri tempi; non, come talora si è fatto, sfigurate e dirette a turbar
gli ordini che si avevano, ma quali realmente sono, e per confermar
colla stima di noi stessi gli ordini che abbiamo. Chi oggi non è grande,,
quasi diffida di poterlo divenire: disinganniamolo, e ricordiamogli che
lo è stato una volta. Che leggiamo noi itahani da un secolo in qua ?
Un dizionario di uomini illustri, composto in Francia, in cui il nome di
Alessandro Farnese occupa appena una mezza pagina, e quasi dodici
ne occupa quello di Alessandro Biron, che tanto al Farnese cedeva.
2.° Incominciare a misurarci, almen col pensiero, colle altre nazioni.
Esse sono oggi più grandi di noi: non importa: appariranno sempre
tanto meno grandi quanto più qi saranno vicine, e perderanno quella
riverenza che suole aversi per le cose lontane.
Mille mali nel decennio scorso si sarebbero evitati, se i governi
talune cose che si ammiravano lontane, invece di coprirle col velo della
proibizione che ne accresceva il desiderio, avessero permesso di con-
templarle vicine; ed a me lo stato presente di Europa par tale che se
le nazioni s' incominciano a conoscere a vicenda, ciascuna avrà più mo-
tivi di consolazione che di emulazione.
Credo questi oggetti utili non solo a destar Tattività, specialmente
commerciale, spesso indecisa e inattiva per mancanza di cognizione di
fatti, ma anche utilissima a render gli animi più docili agli ordini del
governo. I popoli sono tanto difficili a maneggiarsi quanto più sono
ignoranti: quanto minore è il numero delle idee che essi hanno, tanto
più strani lor sembrano gli ordini nuovi. Così, per esempio, se si vo-
lesse stabilire un sistema di debito pubblico in una nazione che ancora
non ne abbia, io crederei opportunissimo preparar gli animi con di-'
scussioni sopra questo soggetto, con esempì di altre nazioni che sen-
z'alcun incomodo hanno un credito estesissimo, ecc. Così si incomincia
a discorrere, e coloro che discorrono, o presto o tardi son d'accordo;
mentre al contrario quei che taccion sempre, se avvien che una volta
sian discordi, non si accorderanno giammai.
Osservazioni fatte di tempo in tempo sulle finanze, sul credito, sulla
popolazione, sull'intera economia civile delle altre nazioni, accresce-
ranno la stima di noi stessi, e prepareranno gli animi alle operazioni
del governo; perchè è impossibile che un governo il quale voglia far
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I59
grandi cose, non sia costretto o presto o tardi ad imitare le operazioni
di quegli altri che già le han fatte; e queste riusciranno allora non più.
nuove e non più strane, perchè troveranno Io spirito pubblico di già
preparato.
3.° Una delle cose che, a creder mio, più d'ogni altra contribuisce
a farci acquistare stima di noi stessi è quella di ragionar frequente-
mente sulle operazioni nostre. All'uomo, che non ragiona, manca sempre
l'attestato della propria coscienza di aver operato bene. Quindi vili ri^
mangon sempre coloro i quali, anche operando bene, ne ignorano la
ragione, e noi italiani ci siamo avviliti dacché abbiam tratte le ragioni
delle cose nostre dai detti degli stranieri. Delle cose nostre o non ne
abbiamo parlato, o ne abbiam parlato con insensato disprezzo e con
più insensata lode; cose le quali, sebbene opposte, pure per la natura
dello spirito umano, che oscilla sempre tra gli estremi, non [sono] incon-
ciliabili tra loro. I greci, per esempio, divennero più vani a misura che
divennero più vili; ed i scrittori dell'epoca di Plutarco sono assai più.
millantatori di quelli coetanei a Platone. Se incomincieremo a riflettere ;
se incomincieremo a parlar della nostra agricoltura, della nostra pasto-
rizia, delle nostre belle arti con ragione e dignità, forse troveremo mille
volte motivi di renderci migliori, e non mai di crederci pessimi, ed
otterremo due cose alla società utilissime, la fiducia di esser buoni ed
il desiderio di divenir ottimi.
Se oggi in un foglio italiano si parla di un artista, non se ne parla
se non con elogi smodati. Si conosce alle prime linee che lo scrittore
è stato pagato per lodare. Nel Corriere Milanese (i) si è consumata una
pagina per lodare un'opera in musica che al teatro era stata, non in-
giustamente, fischiata; e quel numero, in cui il giovine autore si egua-
gliava a Cimmarosa {sic) ed a Paisiello, fu pubblicato lo stesso giorno
in cui l'opera, per la noia che avea prodotta, fu tolta dalle scene.
Ég Forsi {sic) sarò troppo severo, ma reputo questi modi corrompitori
^^ dello spirito nazionale, ed avvilitori del vero merito, a cui che altra
rimane quando si è prostituita la lode? E qual mezzo rimane al po-
polo per migliorarsi, quando il giudizio di coloro che dovrebbero istruirla
r inganna?
Io credo che delle cose nostre convenga parlarne, ma con più di-
gnitosa severità, rendendo ragione e della lode e del biasimo, e tenen-
(i) Era scritto dall'abate Vincenzo Butti, di Valmadrera, dipartimento del Serio,,
non senza emulazione poi con il Giorn. Hai. Vino. Butti era stato uno de' patrioti
cisalpini deportati dall'Austria ; v. estr. del Redattore Cisalpino inserito nel Gior-
nale ms. della Rep. Cisalp. del Marelli, to. IX. A lui è indirizzata una lettera,
del Monti che si lagna d'esser stato vituperato dal Corriere Milanese ; ved. Lett. ed,
e ined. di V. M., a cura di A. Bertoldi e G. Mazzatinii, Torino, 1898, voi. I,
p. 387, dov'è scritto Buti anzi che Butti per errore derivato dalle Lettere ined^
di illustri italy Verona, Franchini, 1877.
l6o ATTILIO BUTTI.
dosi egualmente lontani e dall'adulazione e dall'insulto. Lo dirò io? Lo
spirito di partito, che talora deturpa i pregiudizi de' giornalisti francesi,
inglesi e tedeschi, sebben condannabile, pure sembrami meno dannoso
di un' insulsa e non ragionata lode, perchè quello invita il merito reale
ad una certa lotta che può esser utile, e questa lo addormenta e lo
scoraggisce. Quella lode solamente è utile agi' individui ed alle nazioni,
la quale, data con sobrietà, non tende a far rimaner gli uomini quali
sono, ma bensì a farli diventar migliori.
4.' Tralascio molte altre piccole osservazioni, ma mi scuserete, se
non posso trascurare di farne una che credo interessantissima.
Ogni stato ha un periodo da correre. Tutte le nazioni piccole son de-
stinate ad ingrandirsi o a perire. Quelle non periscono, le quali dispon-
gon per tempo le loro menti all'ampiezza de' destini futuri, onde quando
il corso degli avvenimenti loro presenti le occasioni opportune, esse,
per mancanza di preparazione, non si ritrovano impotenti. Questa è
stata la cagione della debolezza della Repubblica de' veneziani, che Mac-
chiavelli (sic) chiama mancanza di virtù, e che, usando la sua energica
espressione, tagliò loro le gambe del salire al cielo.
A quest' oggetto io credo utile presentare alle menti degli abitanti
della repubblica italiana tutto ciò che appartiene all'Italia intera. Se
parlasi di uomini illustri avezziamoli (sic) a considerar come comune la
gloria di tutti gli angoli d'Italia; se parlasi di atti utili, facciamo che
questo foglio sia il centro ed il deposito comune dell'Italia intera. Fin ora
l'Italia non ha avuto mai un foglio simile: tra le tante Iodi che voi me-
ritate non sarà l' ultima certamente quella di averle dato un punto di
riunione per tutte le idee che posson nascere nelle menti de' suoi figli.
Poco vi è da dire sulla seconda parte dello spirito pubblico, cioè
sull'accordo degli uomini nelle idee utili. Basta presentarle, presentarle
con calore e sincerità, presentarle spesso, perchè tutti saran d'accordo.
È necessario che tutti gli uomini convengano in tre cose: in rispettar
i governi; in rispettar la religione, ed in praticar la morale; e se tra
queste cose si potesse stabilire una progressione, io non avrei veruna
difficoltà di dire, che la corruzione della morale porta seco il disprezzo
prima della religione, e poscia del governo. È natura dell' uomo trascurar
prima i doveri, indi conculcar le leggi che sanciscono i doveri, e final-
mente disprezzar coloro dai quali ci vengono le leggi.
Or la morale pubblica non è altro che l' amor dell' utile lavoro, e
questo non si può ispirare più efficacemente che mostrando i beni che
da esso si possono sperare, ed indicando tutti i mezzi i quali posson
renderlo più utile, più nobile, più facile, ed in conseguenza meno gravoso.
Tutto ciò che riguarda le arti, sian utili, sian belle, forma la parte
principale dell'istruzione popolare. Possono i popoli esser felici e vir-
tuosi ignorando le scienze sublimi ; ma un' utile invenzione in agricol-
tura, ma qualunque scoverta tenda a render più agiata e sicura la
sussistenza di un maggior numero d'individui, non si può ignorare
senza danno e della felicità e della morale, ed ha già assicurata gran
JLA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO »», ECC. l6i
parte della pubblica virtù colui che ha resa la condizion del cittadino
industrioso più desiderabile e più agiata.
Or raccogliendo tutte le idee esposte fin ora, credo che un foglio
periodico, destinato a conseguire il fine proposto, possa esser diviso in
quattro parti.
La prima comprenderà le nuove politiche, È necessario dare un
pascolo alla curiosità. Questa parte, sebbene forsi {sic) sia la meno in-
teressante, è però quella che deve accreditar le altre.
La seconda potrebbe esser intitolata Statistica. Si parlerà in essa
dell'economia politica delle altre nazioni; si daranno notizie delle loro
popolazioni, commercio, agricoltura, arti, milizia, finanza, ecc.; e tali
notizie non si daranno come si soglion dare nelle gazzette ordinarie,
ma avranno uno sviluppo maggiore, una maggior esattezza, in modo
che possan servire ad una solida istruzione.
Si parlerà anche dell' economia della nazione nostra. Il governo
indicherà quando lo crederà necessario, quegU oggetti che debbono,
secondo le varie circostanze de' tempi, esser proposti alla pubblica
attenzione.
La terza si occuperà di arti, o che esse abbiano per oggetto l'utile
o il bello. Si daranno tutte le osservazioni più importanti, tutte le sco-
verte che alla giornata si vanno facendo sull'agricoltura, pastorizia, ecc.;
e si daranno gli estratti delle opere più utili su tali soggetti.
Delle scienze meramente teoretiche, non si parlerà se non come
soggetto di nuove politiche, per indicare qualche scoverta interessante,
la morte di qualche illustre letterato, gli onori resi al medesimo; i premi
accordati alle lettere, gli stabilimenti destinati a promuoverli; le que-
stioni proposte dalle società scientifiche, ecc. Le scienze meramente
teoretiche non possono essere mai soggetto d' istruzione popolare. Fri-
volissimi per r ordinario sono tutti gli articoli di questa natura conte-
nuti in quasi tutte le gazzette politiche di Europa; né possono esser
diversamente, perchè se si voglion fare profondi, riescono, al maggior
numero de' lettori, astrusi ed in conseguenza noiosi. Un giornale della
natura di quello di cui si tratta, si deve contentare d'ispirare l'amore
ed il rispetto per le scienze: se si vorrà fare un giornale letterario,
converrà farlo con principi ed economia diversa.
La quarta parte porterebbe il titolo di miscellanea o di varietà; e
conterrebbe talora de' discorsi tendenti ad ispirare la morale, V amor
della patria ed il rispetto alle leggi sul modello di quello dello Spetta-
tore inglese; talora de' tratti interessanti e nobili della storia d'Italia;
talora la vita de' grandi uomini italiani, ecc.
Tale è l'interna economia del foglio. A far che esso sia utile, con-
vien renderlo quanto più si possa comune; ed a renderlo comune è
necessario evitar talune cose e farne talune altre.
È necessario evitar qualunque cosa possa offender la religione, i
governi, i costumi. L' immoralità non può esser mai per lungo tempo
accetta al maggior numero degli uomini : i governi e le religioni vanno
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXIF, Fase. VII. n
102 ATTILIO BUTTI
rispettate, perchè né mai con massime incendiarie si ottenne la felicità
de' popoli, né questa si conservò mai senza una religione.
È necessario dare a quella parte che contiene le nuove politiche
un' estensione ed una celerità maggiore di quella che hanno gli altri
fogli. Se questo foglio non contenesse che la sola parte istruttiva, po-
chissimi vorrebbero leggerlo; e questi sarebbero quelli appunto che ne
avrebbero meno bisogno. A far sì che lo leggano i moltissimi, conviene
allettarli con quelle cose delle quali maggiormente si occupano. Un'as-
sociazione di fogli esteri numerosa; e, se si potesse, una corrispondenza
coir officio delle relazioni estere, da cui si comunicassero due giorni
prima quelle nuove, che possono senza danno pubblicarsi, e che si sa-
prebbero per mezzo degli altri fogli due giorni dopo, servirebbero ad
indurre anche gli oziosi de' caffé a leggere il foglio che si propone.
Siccome per le parti che riguardano statistica, arti e varietà, vi sarà
bisogno di taluni giornah letterari, e di taluni libri; così, ad oggetto di
diminuire una spesa superflua, le associazioni di questi tali giornali si
potrebbero fare dalla BibHoteca di Brera, a cui sarebbero utili e neces-
sari, e da cui si presterebbero per qualche giorno per l' uso de' giorna-
listi. Nello stesso modo la Biblioteca presterebbe anche per uso della
compilazione quei libri dei quali si potesse aver bisogno, non altrimenti
che si pratica coi professori delle Università.
Si potrebbero invitare tutti gli uomini di lettere non solo della
repubblica, ma anche del rimanente dell' ItaHa, a comunicar qualche
articolo di economia, di arte o di morale. Questo invito riuscirebbe cara
ai letterati, i quali spesso si trovano aver de' piccoli pezzi non sufficienti
a formare un giusto volume e che perciò si perdono nella polvere di
un gabinetto; utile al foglio, perchè lo accrediterebbe presso più gran
numero di persone, e continuerebbero ad accreditarlo gli stessi lette-
rati; di gloria al governo, che formerebbe in tal modo un deposito co-
mune di tutte le cognizioni degl'italiani; e Milano diventerebbe la sede
della mente universale della nazione. Forse gli abitanti della Repubbfi
amplierebbero la circonferenza, e gli esteri troverebbero un centro delle
loro idee.
A questi letterati si potrebbe promettere qualche mercede, e più
della mercede qualche ricognizione onorifica proporzionata ai lavori che
farebbero. Così si otterrebbe maggiore estensione, maggior varietà nelle
produzioni, e maggior perfezione di quella che si potrebbe sperare dai
collaboratori stabili, i quali esigerebbero una spesa più che decupla. Ri-
marrebbe così allora il bisogno di soli tre collaboratori stabili, de' quali
due sarebbero incaricati di una parte quasi meccanica, e di un correttore
di stampe. Accreditato una volta il foglio gh uomini di lettere corre-
rebbero da loro stessi, e non vi sarebbe più bisogno di spesa veruna.
Allo stesso modo sarebbe utile, che il governo invitasse anche qual-
che funzionario pubblico a somministrar degli articoli, i quali riuscireb-
bero sempre utilissimi e per la cognizione pratica che essi hanno degli
affari, e per la dignità che dar potrebbero al foglio. Tanto gli uomini
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. 163
di lettere però, quanto i funzionari pubblici non sarebbero obbligati a
verun lavoro determinato : e si accettarebbe {sic) da essi tutto ciò che
vorrebbero quando e come lo vorrebbero somministrare.
Finalmente è necessaria una decente libertà. Se si vuole che il foglio
produca effetto, è necessario farlo apparir quanto più si possa libero,
onde i suoi giudizi ottengano al bisogno fede maggiore. Io dico decente
libertà, e non intendo dire licenza, né sfrenatezza, né villania. Si po-
trebbe prendere per misura di questa libertà quella di cui godono i fogli
francesi. Ma spesso nella revisione non si concede né anche la decima
parte. Così, per esempio, una volta sul Monitore venne un quadro delle
finanze inglesi, vi si riconosceva sensibilmente un errore di calcolo^
effetto della negligenza del compilatore: si volle emendare, ma non fu
permesso. Che ne avvenne? Nell'ordinario seguente il Monitore stesso
emendò l'errore, e diede un altro quadro tutto diverso dal primo.
È stato talvolta proibito di parlar di musica, e finanche d' inserire
un articolo della decade filosofica, in cui facevasi un paragone tra la
musica francese e V italiana.
In tempo della pace coli* Inghilterra era proibito di dire 1' enorme
debito inglese, e d'inserire un tratto dell'opera d' Herreschwand, opera
stampata e ristampata ogni giorno ed in Londra ed in Parigi.
Ciò che era scritto in un foglio di Francia non si permetteva di
ripeterlo, se non si trovava inserito anche nel Monitore, ad onta che
tutti i fogli di Francia fossero egualmente sotto l'ispezione del governo.
Io entro con pena nel racconto di queste minuzie, e le avrei trala-
sciate ben volentieri, se esse non fussero {sic) quelle dalle quaU dipende
in gran parte il carattere d' un foglio periodico, e che possono poten-
tissimamente influire a renderlo più o meno comune, più o meno
utile (i).
III.
Cittadino ministro,
Incaricato di proporre al governo un collaboratore per il Giornale
Italiano, ho l'onore di proporre la persona di Giovanni D'Aniello na-
poletano, che da tre anni si trova in Milano. L'onestà de* suoi costumi^
e le disgrazie che ha sofferte lo rendono degno della bontà del governo.
Si aggiunge a ciò che ha molta abilità, travaglia da molti mesi alla
compilazione del Redattore Italiano, talché si trova istruito di quel mec-
canismo necessario in lavori di tale natura; e sa il francese e l'inglese
(i) Pare inutile produrre le brevissime note ufficiali del Melzi, Monza,
17 agosto, e del consigliere segretario di stato Vaccari, 20 agosto 1803, sega,
n. 6794, approvanti il « piano ».
I
164 ATTILIO BUTTI
benissimo, e conosce anche un poco il tedesco, cognizioni necessarie
alla compilazione di un foglio. Queste ragioni han mosso me a pro-
porlo; spero che queste istesse ragioni basteranno a fargli meritare
l'approvazione vostra e del governo.
Salute e rispetto.
Milano, 30 settembre i8oj, anno li.
Vincenzo Cuoco.
IV.
Eccellenza,
V. E. sa che mi trovo impegnato nell'edizione di Platone in Italia.
L'edizione del terzo volume è stata ritardata un poco per ragioni di
economia privata. Imperciocché, sebbene il signor Melzi fu generoso
protettore dell'opera medesima, pure la spesa dell'edizione è stata tanta,
ed il numero degli associati finora è stato sì piciolo {sic), che io mi
trovo in disborso di poco men che di tre mila lire. In tali circostanze
a sollecitarne l'edizione, avrei bisogno della summa (sic) di circa sei in
settecento hre; ed ardisco pregar V. E. perchè si compiaccia farmeli
antecipare dal tesoro sul mio soldo. L'anticipazione che io chiedo è di
due mesate. Mi obbligo di farne la restituzione dal mese di ottobre in
poi alla ragione di lire cento al mese; non esclusa la condizione che
se avrò prima somma maggiore a mia disposizione estinguerò il debito
anche prima del tempo designato. Spero che V. E. vorrà compiacersi
di esaudire questa mia preghiera.
Salute e rispetto.
Milano, 22 aprile i8oj.
Vincenzo Cuoco.
V.
(Div.« IV. Ministro dell'interno. — Prot. 30 giugno 1805, n. 7966).
Eccellenza, ^
Con vostra veneratissima lettera de' 23 del corrente, si è ordinato
che il Giornale Italiano, attesa 1' abbondanza delle materie che offrono
le circostanze presenti, si pubblichi tutti i giorni. L'ordine si è inco-
minciato ad eseguire, e si continuerà con quell'esattezza che per me e
per i miei compagni si potrà maggiore. Il giornale si pubblicherà tutti
i giorni, e da oggi in avanti alle sette della mattina, in esecuzione di
altri ordini comunicatimi dal signor consigliere di stato.
Intanto credo opportuno farvi presenti alcune osservazioni , delle
quaH voi colla vostra intelligenza farete quell' uso che crederete mi-
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALLVNO », ECC. 165
gliore, non pregandovi io d'altro che di riputarle, qualunque sia l'uso
che vi piaccia farne, come pruova dello zelo che ho per l'adempimento
de' miei doveri.
Lo stampatore Agnelli desidera sapere se questo metodo di pub-
blicare un numero al giorno sia provvisorio o perpetuo ; e crede ne-
cessario saperlo onde possa prendere quelle misure che saran neces-
sarie ad accrescere i caratteri, i torchi ed i lavoratori, perchè il servizio
vada con sollecitudine maggiore. Ma siccome per tutto ciò che riguarda
l'economia della stampa lo stesso Agnelli ha presentata a voi una lunga
rimostranza, così non avrei altro a fare su di ciò che rimettermi alla
medesima. Io farò presente a V. E. alcuna altra osservazione.
Pubblicandosi il Giornale Ufficiale in tutti i giorni la spesa della
stampa si accresce nella proporzione di 156 a 365, il che importa un
aumento molto maggiore del doppio. Se continuasse il sistema di tre
numeri interi e tre supplementi per ogni settimana (suppongo la do-
menica vota) 1' accrescimento della spesa sarebbe nella ragione di 156
a 234. Un accrescimento di spesa è necessario e nella prima e nella
seconda ipotesi; ma nella prima è molto maggiore.
Per supplire a questo accrescimento di spesa sarebbe necessario
un proporzionale aumento nel prezzo del giornale medesimo. Ma questo
aumento nel prezzo farebbe naturalmente diminuire il numero degli
associati, e non si otterrebbe l' intento. Pare che il prezzo del Giornale
Italiano o non si debba accrescere, o si debba accrescere sol di poco,
e non in queste circostanze, ma quando sarà maggiormente diffuso.
Io ricordo a V. E. l'esempio del Monitore di Francia (i), al quale
un aumento di prezzo nel bollo della carta ha fatto diminuire di piìi
di due terzi il numero degli associati che avea.
Pure siccome è bene che il Giornale Italiano, se non ne' primi tempi,
il che sarebbe impossibile, almeno nel tratto successivo, non sia di peso
al governo, così credo che ad ottener ciò si possono praticare le se-
guenti cose :
i.o Invece di pubblicare un foglio intero ogni giorno, appena sa-
ran cangiate quelle circostanze le quali ne renderebbero necessari anche
due, si potrebbe ritornare al sistema di pubblicare in ogni settimana
tre fogli interi ed altri tre supplementi di mezzo foglio l' uno. E tre
fogli con tre supplementi sarebbero più che sufficienti, nel corso ordi-
nario delle cose, ad adempire i fini del governo, ed a soddisfare la
pubblica curiosità. In circostanze straordinarie chi vieta di accrescere
(i) È il noto Moniteur Universel, 5 mai 1789, an. XII (1804), journal
quotidien, Paris, 30 voi. in fol. Ma in verità cominciò solo dal 24 nov. 1789.
Nell'anno IV poi si fece Vlntroduction (1788-89) e vi si aggiunsero ottantacinque
numeri antidatati, dal 5 maggio al 23 novembre 1789. Ved. la Bibliografia delle
fonti premessa a La hgislation de la revolution frangaise (1789-1804), essai d'hi-
stoire sociale, di Ph. Sagnac, Paris, Hachette, 1898.
l66 ATTILIO BUTTI
il numero de' supplementi, di farli di un foglio, ecc. ecc.? Ma pubblicato
un foglio intero in ciascun giorno verrà spesso il caso di non aver che
dire; il foglio diventerà interamente letterario, quale è spesso spesso il
Monitore; cangerà interamente natura, e diventerà inutile al fine che
si ha di operare sullo spirito pubblico. Io ripeto ciò che altre volte ho
avuto l'onore di rassegnarvi: il popolo d'Italia è diverso che quello di
Francia; legge meno, si occupa meno di alcune cose; ed un foglio scritto
come lo sono spesso quei di Francia non interesserebbe che pochissimi,
quei pochissimi appunto che non son popolo. Il numero degli associati
diminuirebbe: il governo crescerebbe le spese e non otterrebbe il fine.
Ma di questa osservazione voi, signore, ne farete uso quando lo cre-
derete opportuno, perchè, lo ripeto, nelle circostanze attuali ogni uomo
ragionevole vede che non solamente un foglio al giorno, ma neanche
due sarebbero superflui.
2.'^ Ammesso l' inevitabile aumento della spesa, la difficoltà di
accrescere il prezzo del giornale, sarebbe utile unire al medesimo, oggi
dichiarato solennemente officiale, anche il Bollettino delle Leggi, il quale
sì potrebbe pubblicare due o tre volte o anche quattro al mese. Coloro
i quali sono associati al Giornale lo avrebbero per un prezzo di un
quarto o di un quinto minore del prezzo che oggi è stabilito e the
continuerebbe ad essere il prezzo comune; e questa diminuzione di
prezzo sarebbe un incentivo a moltissimi per associarsi al Giornale. Né
la diminuzione potrebbe esser tassata, di ingiusta parzialità, perchè,
dichiarato una volta il Giornale Italiano giornale officiale, e dovendo
contenere tutti gli atti del governo, o almeno la maggior parte de' me-
desimi, una persona la quale si trovi associata al medesimo ha minor
bisogno del Bollettino delle Leggi, ed ha diritto a pagarlo meno. E sic-
come oggi è cessato il contratto che dava a Veladini la privativa della
stampa del Bollettino, così non vi è ostacolo che si opponga all' esecu-
zione di questo progetto, il quale, quando da V. E. si trovi opportuno,
potrà estendersi e perfezionarsi in modo che moltissimo risparmio possa
prodursi in tutte le stampe nazionali. Ma su di ciò io attendo gli ordini
ulteriori dell' E. V.
3.° Ardisco finalmente. Signore, raccomandare alla giustizia ed
alla generosità vostra e del governo e me ed i miei compagni, i quali
abbiamo quasi triplicata la fatica. Se voi credete che ciò sia un titolo
a poter meritare qualche riconoscenza, specialmente in occasione tanto
lieta, quanto è quella che ha data occasione al raddoppiamento de' no-
stri lavori, potete, Signore, esser sicuro che ciò non farà che accrescere
quello zelo che fin ora {sic) abbiamo dimostrato pel pubblico servizio.
Sono col più profondo rispetto
umilissimo devotissimo servitore
Vincenzo Cuoco.
Milano, 29 giugno iSoj.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. 167
VI.
<Div.* II. Ministro dell* interno. — Protocollo 13 agosto 1805, n. 9991).
A S. E, il signor ministro dell'interno.
Eccellenza,
I redattori del Giornale officiale italiano si presentano a V. E. e
rispettosamente espongono quanto segue.
Alla fausta occasione della venuta, dimora e incoronazione di
S. M. r Imperatore in Re nostro, i suddetti ebbero ordine su i primi di
maggio di aggiugnere ai soliti tre fogli ebdomadari del giornale un
mezzo foglio di supplemento negli altri giorni. Dopo tre settimane, verso
la fine del suddetto mese, un nuovo ordine ingiunse loro di portare il
supplemento di mezzo foglio a foglio intero; e sin d'allora in ognuno
dei giorni della settimana, compresa pur anche la domenica, uscì intero
un giornale. Venne così più che raddoppiata la loro fatica, e reso quo-
tidiano il loro servizio, che seguon tuttora a indefessamente prestare.
Né solamente crebbe il lavoro della compilazione, ma crebbe anche
r incomodo a segno, che talora si ebbe ordine di restare la notte in
requisizione d* improvviso servigio.
La pubblica munificenza ha ricompensato con gratificazioni i servigi
straordinariamente resi a queir occasione. I soli redattori suddetti nes-
suna ne han ricevuto, né per l'intero corso del precedente ultimo anno,
coni' erasi lor fatto sperare, né per lo straordinario servizio di sopra
esposto.
Osano essi lusingarsi di non meritare dimenticanza, sia per la mi-
sura, sia per il modo, con cui procurano di soddisfare al dover loro.
Milano, 12 agosto iSoj.
Vincenzo Cuoco.
Bartolomeo Benincasa.
Giovanni Daniello.
VII.
Copia di lettera di V. Cuoco al segretario di stato, autografa (i).
Dal signor ministro dell'interno ricevo lettera in data de' 30 dello
scorso, colla quale mi si dice che tanto io quanto i miei compagni nella
(i) È un allegato alla Lettera al viceré da me pubblicata in Miscellanea
Scherillo-Negri, p. 529. Tralascio 1' altro allegato citato nelle prime parole se-
guenti del C, cioè la lettera (Milano, 30 dicembre 1805) con cui il ministro
Felici, secondo ordini vicereali, annunzia al C. che egli e i suoi collaboratori
« cessano di appartenere ai ruoli del ministero ».
l68 ATTILIO BUTTI
compilazione del Giornale Italiano cessiamo di esser dipendenti da quel
ministero; e che ove occorressero schiarimenti per le occorrenze ulte-
riori mi dirigessi a V. E.
Questi schiarimenti sono indispensabili, perchè tanto io quanto i
miei compagni non sappiamo cosa fare. Il ministro dell'interno ci lascia:
dalla vostra segreteria non ci è stato detto nulla: Agnelli non ci ha
parlato e solo ci ha mandati i fogli (i). Ma questi fogli indicano un la-
voro che si richiede, e non già le condizioni, i diritti e le obbligazioni
del lavoro medesimo. Ho V onore di prevenirvi che ad onta di questa
incertezza, la quale non solo ci esenterebbe, ma impedirebbe ogni la-
voro, tant' io quanto i miei compagni, acciò il servizio pubblico non
rimanga attrassato, abbiamo prestato per oggi tutto il materiale occor-
rente per la composizione del foglio.
Non possiamo credere che sia stata vostra intenzione quella di vo-
lerci, dopo due anni di servizio, lasciar di adoperarci senza neanche
prevenircene. Molto meno possiamo credere che sia vostra intenzione
metterci all'arbitrio di un privato, e ridurci alla condizione di mercenari;
mentre il Giornale Italiano può dirsi interamente opera nostra, perchè
da noi incominciata, da noi proseguita, da noi, qualunque essa sia, ac-
creditata. La proprietà è certamente del governo ; ma osiamo lusingarci
che in un governo giusto ed umano, qual è quello sotto cui viviamo,
l'opera nostra merita qualche considerazione; ed anche nel caso che il
giornale si voglia dare a cottimo, crediamo potere sperare di essere
intesi, e perchè abbiamo un diritto di prelazione per l'opera prestata, e
perchè potremmo forse offrire condizioni piìi vantaggiose.
Ma r ipotesi del cottimo, qualunque essa sia, non porta seco l' ar-
bitrio del cangiamento de' compilatori. Non lo porta di sua natura, perchè
sono due cose diverse la parte letteraria e 1' economia di un giornale»
Non lo porta l'esempio dell' amministrazione passata, la quale era in
sostanza anch'essa una specie di cottimo, ed intanto le due parti erano
interamente separate. Né può esser diversamente, se il governo esige,
com'è giusto, la responsabilità de' compilatori. Imperciocché se si vuole
che questi compilatori siano essi responsabili degli articoli, debbono essi
esser liberi nella scelta de' medesimi. Or liberi non possono essere,
dipendendo da un altro che dispone degli articoli e degli autori degli
articoli: e non essendo liberi come si può pretendere che siano respon-
sabili? Lungi dunque che il cottimo porti seco la necessità dell'arbitrio
al cottimista di disporre de' compilatori, molte ragioni ne muovono a
credere il contrario, tra le quali ve ne sono due che io credo fortissime,,
e che ho l'onore di umiliare a V. E.
La nomina de' compilatori di un giornale è parte integrante della
proprietà del medesimo. Difatti in tutti i giornali d'Europa, i compila-
tori della Gazzetta di corte si nominano dai rispettivi governi. Se ciò-
(i) I giornali esteri a cui il governo aveva associata la redazione.
I
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. 169
non avviene in Francia, la ragione è perchè il Monitore esisteva prima
che il governo lo dichiarasse officiale: esisteva dunque un padrone di
quel giornale (e di fatti Agasse non s* intitola Editeur ma bensì pro-
prietario) ed il governo con giustizia ha rispettata una proprietà ante-
riore. Ma il Giornale Italiano è stato creato dal governo; il governo
n'è il solo ed il vero padrone ; al governo spetta il diritto di nominare
i compilatori, sia che W nomini egli stesso, sia che indichi al conduttore
quelli dell'opera de' quali vuole far uso; ed il cedere questo diritto al
conduttore è lo stesso che dargli una parte della proprietà del governo.
E questi posti di compilatori sono sempre un fondo del governo, dei
quah può far uso per incoraggiare o premiare qualche uomo di lettere,
come si pratica in molti luoghi di Europa, come si praticava in Francia
neir antico regime col Mercurio e colla Gazzetta di Francia^ e come
sopra qualche foglio pubblico si è accennato di volersi praticare di
nuovo.
Ho l'onore di umiliarvi queste considerazioni perchè voi ne facciate
quell'uso che nella vostra saviezza crederete migliori. Io ed i miei col-
leghi speriamo che la giustizia del governo e la vostra non ci vorranno,
dopo due anni di servizio, né trascurare interamente, né lasciarci in
balìa d' un privato del quale per altro noi non abbiamo di che dolerci^
e del quale continuiamo ad esser amici; è la natura della cosa che ci
move a parlare. È sempre un peggiorare il passare da una condizione
certa ad un' altra precaria, ancorché questa seconda possa essere pili
durevole della prima. Offende ragionevolmente il decoro di un uomo
onesto quel sentirsi dire, dopo due anni di servizio, io non vi conosco,
un altro deciderà del vostro merito.
In ogni caso io vi prego di qualche risposta non tanto per me
personalm.ente, quanto pel servizio pubblico, affinchè in ogni caso tan-
t'io che i miei compagni sappiamo qual sia il dover nostro.
(Seguono un biglietto del C. all'Agnelli, 3 gennaio, con cui promette 1' opera sua finché ci
sia una nuova redazione e chiede termini di tempo, e, con la medesima data, la risposta
negativa del consigliere segretario di stato Vaccari al C).
Vili.
Al sig. consultore Moscati, dirett. generale della pubblica istruzione,
S. A. I. il principe viceré mi ha fatto l'alto onore di farmi comu-
nicare per mezzo di lei e del sig. Consigliere Segretario di stato che
avrebbe avuto piacere eh' io mi fossi trattenuto in Milano. In seguito
ho presentato a Lei il piano di un officio di statistica, organizzato nel
modo che io ho creduto più utile allo stato e più glorioso al governo.
Ora, io la prego, sig. consultore, di compiacersi di ottenermi da S. A. L
una decisione al più presto che sia possibile. Per natura sarei lontano
da ogni importunità, ma le circostanze nelle quali mi trovo sono tali
170
ATTILIO BUTTI
che io non posso far di meno di adoprarla, e Le ne chiedo perdono
come di cosa involontaria ed indispensabile. Ella più che ogni altra
persona sa che quando mi fu comunicato V ordine di S. A. S. io era
sul punto di partire per la mia patria, e che avea date tutte le dispo-
sizioni e prese tutte le misure analoghe alla partenza. L'ordine ricevuto
mi ha costretto a cangiarle, a sospenderle, ed ora mi trovo in un' in-
<:ertezza incomodissima non sapendo se debba andare o restare; e
questa incertezza è massima e specialmente per ciò che riguarda la
casa nella quale attualmente mi ritrovo, e che non vorrei ritenere par-
tendo, e non vorrei perdere restando. 11 padrone mi sollecita per una
risposta, ed io non posso dargliene di alcuna sorte se prima non è
■deciso il mio destino. Se il piano per la statistica non è approvato non
mancherà a S. A. S. modo di farmi provare la sua beneficenza. In ogni
caso, qualunque sia per essere la risoluzione, La prego, sig. Consultore,
perchè sia quanto piìi si possa sollecita. Nel tempo stesso La prego a
voler scusare la mia importunità, e credermi quale mi dichiaro col più
profondo rispetto di V. E.,
Milano, 21 maggio 1806.
devot. obbligai, serv.
Vincenzo Cuoco.
IX.
Statistica.
STUDJ DI STATISTICA.
24 maggio 1806.
1362.
CUOCO VINCENZO.
■Chiede che sia sollecitata da S.
A. I. la decisione pelio stabili-
mento di un ufficio di Statistica
conforme al primo presentato
OBJET.
5ur une petition de M. Cuoco
pour avoir sa destination.
li 24 de maj.
A. S.
ÌAJ Cuoco qui étoit redacteur du journal officiel m'a presentée une
petition pour avoir une determination definitive sur sa destination. V.
A. L, dit-il, l'honora de manifester une disposition favorable pour qu'il
resta a Milan dans le tems ou il étoit dans l'intention de retourner
chez lui et parla au Secretaire d'état pour en concilier les moiens. On
ajoute mème que V. A. L ni'avoit fait l'honneur de dire qu'elle m'en
auroit parie. M."" Cuoco est reste ici et desire savoir sa destination, soit
pour s'avvantager pour le logement, qu'il étoit prét à abbandoner, soit
pour les affaires domestiques qu'il a à Naples.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I7I
Les dispositions favorables que V. A. I. a daigné manifester pour
M/ Cuoco sont très conformes aux vues bienfaisantes qu'elle a con-
stamment pour le bien de notre pais, parceque M/ Cuoco est un homme
de merite sous touts les rapports de science et de moralitè, et s*il
m'est permis d'avancer quelque projet sur le moien de le piacer au
moins provisoiremènt, je oserai proposer qu'en le laissant à la redaction
du journal dont les trais de compilation sont a present appuiés a
M/ Agnelli, on pourroit-lui assigner une somme sur les profits du
journal méme qui sont actuellement, et deviendront de plus en plus
sùrs et considérables et qui apartiennent au gouvernement. Je croirois
que de mille et cinquecents livres il seroit content. On pouroit après,
•dans la sistemation de Tinstruction publique, voir s'il y auroit lieu de le
piacer autrement.
Mais cette somme mèm.e quoique modique ne devroit etre ni don-
née gratuitement ni tout-a-fait a la charge des profits actuels du journal.
Pour tirer parti des connoiscences étendues que M.^ Cuoco a sur
la statistique, on pouvroit le charger de cette commission assez impor-
tante: il en a presente un pian assez bien entendu dont on pourroit adopter
pour à present la partie qui ne demande pas des depenses considéra-
bles; et pour ce qui regarde l*augmentation des profits du journal je
crois qu'on en ferait une assez considerable en ordonnant que touts le
colleges d'education du Roiaume tenant au dela de 15 ou 20 eleves fus-
sent obbligés de en prendre un exemplaire et ceux qui en auront au
de là de soixante, deux txemplaires.
Un tei ordre produiroit l'effet salutaire d'accoutoumer les éleves
des colleges a s*informer des loix et decrets de leur gouvernement et
à connoitre les evenements qui se passent en Europe et leur inspire-
roit le gout de la lecture qui est tres limite au moins dans Tancienne
Lombardie.
Si V. A. I. honore de son approbation cette idée je ferais ensuite
une circulaire raisonnée pour touts les colleges d'education sur cet objet.
J'ai l'honneur d'etre avec le plus profond respect.
X.
Ministero dell'interno. — Protocollo 22 giugno 1806, n. 6751.
A S. E. il sig, ministro dell'interno del regno d'Italia,
Debbo esporre a V. E. che per poter proseguire la stampa del
Platone in Italia ricorsi a cotesto ministero per un'anticipazione di due
mesate, le quali importavano seicento sessantasei lire di Milano, a con-
dizione di scontarle alla ragione di cento lire il mese che la tesoreria
si sarebbe ritenute sul mio soldo. Lo sconto incominciò ad ottobre e
proseguì fino a tutto dicembre. Col mese di gennaio prossimo cessai
172 ATTILIO BUTTI
di appartenere ai ruoli di cotesto ministero, cessò il mio soldo, cessò
lo sconto, ed io mi trovo ancora debitore di circa trecento lire. Dovendo
partire per ritornare nella mia patria non posso sul momento soddisfare
questo debito, come sarebbe mio dovere. Se mai 1' E. V. mi potesse
ottener dal governo V assoluzione di questo debito, sarebbe questo un
nuovo obbligo di riconoscenza che a me s'imporrebbe verso TE. V. e
verso un governo dal quale tanti segni di bontà ho ricevuti finora (i).
Piaccia intanto a V. E. gradire il mio più profondo rispetto.
Vincenzo Cuoco.
XI.
In carte segn. Siudi di componimento, n. d^'j^Sl- — Min. dell'interno,
Prot. 22 giugno 1806.
Eccellenza,
Ecco i volumi da presentarsi a S. A. I., e la lettera di accompa-
gnamento de' medesimi. Io non vengo di persona ad ossequiarla, perchè
temo, da una parte, toglierle un tempo che è prezioso, e son sicuro
dall'altra, che V. E. non ha bisogno di nuove mie preghiere per farmi
del bene se potrà. Son sicuro che V. E. appoggierà con tutta la sua
valevolissima intercessione le mie preghiere. Piacciavi anche, Signore,
far presente a S. A. che riceverà il terzo volume subito che sarà rile-
gato ; ho date a tale oggetto tutte le disposizioni necessarie. Questi due
trovavansi già rilegati da molto tempo: pe '1 terzo non vi è stato finora
il tempo necessario. Finalmente prego l'È. V. di scusare la mia impor-
tunità ed esser certa della mia gratitudine: la stessa di lei bontà che
le dà un diritto eterno alla seconda le impone l'obbligo di perdonarmi
la prima: è questa l'obbligazione che hanno tutti i grandi uomini verso
i piccioli. Sono intanto col più profondo rispetto di V. E.,
devot. obbligai, serv.
Vincenzo Cuoco.
XII.
Al sig. Vincenzo Cuoco.
Ho la soddisfazione, sig. Cuoco, di assicurarlo che S, A. S, il prin-
cipe vice-re si è degnata di accogliere PofFerta de' suoi libri con senti-
(i) Difatti, con data 25 giugno 1806, il ministro Di Breme ordina all'am-
ministratore Allemagna di pagare al tesoro, « sui fondi del ministero », L. 366,134
dovute dal C.
LA FONDAZIONE DEL « GIORNALE ITALIANO », ECC. I73
menti di particolare aggradimento. Io vengo incaricato dalla prelodata
A. I. a manifestargli il suo impegno a di Lei riguardo, avendomi ingiunto
di accompagnarla a Napoli con commendatizia presso quel sig. Ministro
degli affari interni....
(Abbozzo della commendatizia").
Milano, 21 giugno 1806.
A S. E. il sig. min. degli affari interni del regno di Napoli.
Sua Altezza il principe Eugenio Napoleone vice-re d'Italia mi dà
r onore di accompagnare a V. E., sig. ministro dell* interno, il latore
della presente sig. Vincenzo Cuoco napoletano, che le sue particolari
circostanze richiamano a ripatriare.
In nome della stessa prelodata A. S. I. debbo rendere la più ampia
testimonianza a questo degno soggetto e per la savia e regolare con-
dotta che ha sempre tenuto in tutto il tempo che ha qui soggiornato,
e pe' suoi rari talenti coi quali si è distinto in servizio di questo governo.
Colgo con vivo piacere questa circostanza per ricordare a V. E.,
sig. Ministro dell' interno, la prima conoscenza che ho avuto l'onore di
fare della di Lei Persona in Torino, e per pregarla ad aggradire le at-
testazioni della mia più alta stima e considerazione.
XIII.
N. 1531, Prot. II giugno [Direzione generale dell'istruzione].
Al sig. Tosti consigliere di stato incaricato del portaf. degli affari esteri.
Il sig. Vincenzo Cuoco autore di più opere filosofiche e politiche
accolte dai dotti con generale applauso, essendo avvertito, che in Napoli
sua patria stiasi ristampando un Saggio da lui pubblicato in Milano sulla
Rivoluzione di quel Regno nel 1799 rappresenta a questa direzione
generale il notabile danno che da ciò gliene deriverebbe, nella circostanza
massimamente che egli medesimo è per riprodurre lo stesso libro con
varie aggiunte e cangiamenti.
Scorgerà, signor Consigliere, dalla memoria che Le accompagno in
originale, com' egli ragionando la cosa, si faccia a dimostrare, che se
bene non possa a suo vantaggio allegarsi per Napoli la lettera della
legge che sanziona la proprietà degli autori di produzioni d' ingegno,
la ragione però e l'equità reclamano a suo favore, né permettono, che
l'intrapresa ristampa sia altrimenti riguardata, che come un pregiudizio
portato a* suoi diritti d'autore.
174 ATTILIO BUTTI - LA FONDAZIONE, ECC.
Considerato l'esposto, ed il merito del ricorrente ho dovuto sentire
tutta la premura per il buon esito della sua domanda, né ho potuto a
meno di non {sic) riguardare il torto, che vorrebbe farsi a questo scrit-
tore come un'offesa, che indirettamente anderebbe a colpire V interesse
generale delle scienze e delle lettere, e de' buoni coltivatori di esse.
Affidato adunque a quel favore che ella non ha mai negato sì a quelle
che a questi, ho creduto conveniente annuire alla rappresentanza me-
desima, pregandola che si compiaccia interporre gli opportuni uffici,
presso il governo napoletano, affinchè o vengano contemplate le addotte
ragioni, o sia almeno sospesa la pubblicazione dell'opera fino al pros-
simo arrivo dell' autore in Napoli, ove egU potrà far valere megfio i
suoi diritti, o concertarsi almeno collo stampatore.
Aggradisca, o sig. Consigliere di Stato, le proteste della distinta mia
stima e considerazione.
MOSCATI.
Tosti (i), segretario.
(R^ce^ uto in ministero " Estero „, n. 1369, Prot. 13 giugno 1806).
(1) Per il Moscati v. trattazione. Il Tosti è il noto scrittore appartenente
al nostro primo Romanticismo. Potrebbe seguire una minuta, giacente in Archi-
vio, della nota del min. per gli aflari esteri del regno d'Italia al min. dell'in-
terno del regno di Napoli, 14 giugno 1806, che gli rimette la memoria del
sig. Cuoco, letterato che fa onore a cotesta sua patria a non meno che al paese
« che lo ha finora accolto », cioè l'istanza trasmessa dal Moscati col. doc. XIL
VARIETÀ
I documenti intorno alla chiesa di S. Sigismondo
di Rivolta d'Adda.
A chiesa parrocchiale di Rivolta d'Adda, quale riapparve
or sono tre anni, spogliata del goffo rivestimento che la
deturpava, offre nella disposizione delle tre navi in campi
quadrati, nel sistema costruttivo delle volte a crociera,,
dei piloni a fasci e dei contrafforti, e nell'elemento decorativo del
capitelli, così stretta affinità colla basilica di S. Ambrogio da far
pensare che una stessa mente abbia presieduto alla costruzione
delle due chiese, o quanto meno che siano state erette contempo-
raneamente per opera di maestri muratori appartenenti alla mede-
sima corporazione. A ragione l'arch. Cesare Nava, cui si deve la
scoperta dèli' insigne monumento, alla domanda quale ne sia l'età,,
rispondeva: « ditemi Tetà del nostro Sant'Ambrogio ed io vi dirò
u quella della chiesa di Rivolta » (i).
In uno studio condotto sopra i documenti santambrosiani ci
siamo proposti di dimostrare che la basilica milanese venne rico-
struita nel periodo di tempo che decorse dall'ultima decade del
sec. XI alla metà del successivo (2). Ma poiché non e' illudiamo di
avere detta V ultima parola sulla grave questione che da tanta
tempo tiene divisi i cultori degli studi archeologici, i termini del
quesito si possono utilmente invertire. Di qui l' importanza che
assume nelle ricerche sulla storia della basilica ambrosiana e, più
(i) Un monumento sconosciuto delV architettura lombarda, lettura fatta al Col-
legio degli ingegneri ed architetti di Milano il 4 maggio 1905 {Atti del suddetto
Collegio, anno XXXVI, fase. II).
(2) Ved. (^tst^ Archivio, XXXI, 1904, 11, pp. 302-359, e 1905, XXXII, i^
pp. 47-94.
176 VARIETÀ .
in generale, sulle origini dell'architettura romanica in Lombardia,
l'esame del materiale storico della chiesa di Rivolta, dal Nava ap-
pena sfiorato con riguardo al diploma di Lucio II del 13 aprile 1144;
esame che noi ci proponiamo qui di approfondire.
Il diploma di Lucio II si conosce da due semplici copie con-
servate nell'Archivio della parrocchia di Rivolta; la più antica delle
quali, a giudizio del Vignati che ne pubblicò il testo (i), non do-
vrebbe essere anteriore al sec. XVI. È diretto ad Alberto pre-
posto (2) e ai suoi confratelli canonici, che avevano abbracciata la
vita regolare nella chiesa dedicata alla Vergine e a S. Sigismondo
« apud oppidum Ripalte ». Il papa conferma i privilegi concessi dai
suoi predecessori Urbano lì (1088-1099), Pasquale II (1099-1118), Ca-
listo II (1119-1124), Innocenzo II (1130-1143) e Celestino II (1143-^144)
alla chiesa che « propriis sumptibus a vestris civibus aedificata »
era stata offerta con tutti i suoi beni ad Urbano II, il quale l'aveva
ritenuta « in Beati Petri allodium proprietatemque ". I privilegi
si estendevano a tutte le possessioni della chiesa; comprese le
terre che « eiusdem ecclesiae fundatores w avevano ad essa as-
segnato, e comprese le chiese di S. Maria di Corniano, di Santa
Margherita di Pandino e di S. Michele e S. Stefano di Sahceto,
poste sotto la soggezione della canonica. Il diploma rammenta che
la canonica doveva ricorrere al vescovo di Cremona per il crisma,
gli oli santi, le ordinazioni dei chierici, ecc., ed era tenuta ad un
annuo censo di dodici denari di moneta milanese al palazzo late-
ranense (3).
Il Vignati si mostrò persuaso dell'autenticità del diploma, « per-
« che concorda coi documenti e colle memorie dei fatti, dei privi-
« legi e dei possessi della chiesa di Rivolta ». Autentico lo ritennero
pure Jaffè'(4) e il prof. Kehr (5); tale in realtà è da considerarsi,
nulla riscontrandosi nel suo contenuto che permetta di sospettare
trattarsi di un atto, non che apocrifo, neppure alterato e manipolato
per servire a qualche rivendicazione.
(i) Documenti storici su S. Alberto Quadrelli, vescovo di Lodi, Lodi 1856.
(2) Anonymi Laudensis cont. Ann. Laud., in Pertz, M. G. H., XVIII, p. 657.
(3) Nel liher censuum Rem. Eccl. compilato nel 11 92 (ediz. di P. Fabre,
p. 107) Vecclesia sancii Sigismundi de Ripa alta figura registrata come debitrice
dell'annuo censo di 12 denari, prima fra le chiese in episcopatu Bergomensi, indi
fra quelle in episcopatu Laudensi. Lo stesso errore, si ripete per il monasterium
de Dovaria e per la ecclesia sancti Fabiani cellula ipsius.
(4) Reg. Pont., II, n. 8570.
(5) Da una sua comunicazione all'arch, G. Nava, loc. cit., p. 22.
VARIETÀ 177
11 Nava argomenta da questa bolla che, avendo Urbano II
regnato sino al 1088, almeno a quell'epoca la chiesa nella sua veste
attuale doveva essere già compiuta, se essa fu donata con tutti i
suoi beni a quel pontefice; né si può escludere che fosse stata
costrutta molto tempo prima. Anzitutto rettifichiamo le date. Urbano
non regnò fino al ic88; cominciò il suo pontificato in quell'anno
(12 marzo), e morì il 29 luglio 1099. E assai probabile che Lucio II,
quando spedì al preposto e ai canonici di Rivolta la bolla che è
giunta sino a noi, avesse sotto gli occhi i diplomi dei suoi prede-
cessori fino ad Urbano II, o, se non tutti, almeno i più recenti, di
Celestino II e di Innocenzo IL II primo in ordine di data era quello
di Urbano, sul quale dovevano essere stati calcati gli altri; com-
presi gli ultimi due che avranno servito di modello al diploma
di Lucio. In questo, l'accenno alla costruzione della chiesa, a cura e
spese degli abitanti di Rivolta, appare strettamente collegato col
ricordo della offerta della chiesa e dei suoi beni a papa Urbano;
il primo fatto viene addotto per dare ragione in qualche modo del
secondo, ed induce il concetto della loro contemporaneità, o quanto
meno di una relativa prossimità di tempo tra la fondazione della
chiesa e la sua dedica alla santa sede. Certamente tale correlazione
doveva fare capo al diploma di Urbano II. Or bene; non vi sarebbe
stata ragione di rammentare in questo primo atto e nei successivi, in-
sieme all'offerta della chiesa al pontefice, a spese di chi era stata
costruita, se l'edificio avesse avuto, siccome il Nava opina, circa
tre secoli; « magnum aevi spatium », specialmente per un' epoca
durante la quale una fitta nebbia di ignoranza si era diffusa nelle
nostre contrade, facendo cessare quasi ogni contatto col passato,
ed arrestando lo sviluppo della rinascente coltura che i primi ca-
rolingi avevano tentato di destare dalle rovine della dominazione
longobarda.
Non solo il ravvicinamento, nel diploma, dei due fatti, la co-
struzione e la dedica della chiesa, fa pensare ad una correlazione
dei fatti medesimi, e alla loro contemporaneità; ma ci sembra
meno esatta la deduzione ricavatane dal Nava, che la chiesa nella
sua veste attuale fosse già costruita quando fu con tutti i suoi beni
donata ad Urbano IL Nel 1144 Lucio II non poteva che parlare
di chiesa « edificata », se la donazione risaliva ai tempi di Ur-
bano. Il mezzo secolo trascorso dalla data del primo diploma sa-
rebbe stato più che sufficiente per portare a compimento la fabbrica.
D'altronde nulla osta all' ipotesi che nel diploma di Urbano fosse
scritto « ecclesia que edificatur ", o « que incepta est propriis sem-
« ptibus, etc. ».
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VII. I2
178 VARIETÀ
È risaputo che Urbano II fu in Lombardia negli anni 1095
e 1096. Da Firenze ove era giunto nel 1.° febbraio 1095 (i); lo
troviamo a Cremona nel 18 dello stesso mese (2). Da Cremona si
recò a Piacenza, ove nel mese successivo tenne un concilio per
sistemare gli interessi della chiesa, nella provincia milanese, gra-
vemente turbati (3). In aprile era di ritorno a Cremona per incon-
trarvi re Corrado (4). Dal 6 al 12 maggio è accertata la sua pre-
senza a Milano (5); d'onde nel frattempo fece un'escursione a
Como (6). In giugno si trovava presso Asti (7), diretto alla volta
della Provenza e della Francia. Nel settembre del 1096 il pontefice,
di ritorno dalla Provenza, passò ancora per Asti (8), indi per Mor-
tara (9) e Milano, dove predicò dal pulpito di S. Tecla ed emanò
« viva voce » un decreto in una questione fra il monastero e la
canonica di Sant'Ambrogio, che spedì in iscritto da Cremona il
giorno 9 ottobre (io). In novembre era vicino a Lucca (11), e nel
dicembre aveva già fatto ritorno a Roma (12). È assai probabile
che in una delle tre andate a Cremona o dei due percorsi da quella
città a Piacenza e a Milano, Urbano sia passato per Rivolta. Nulla
di più verosimile che in quell'occasione egli o abbia posta la prima
pietra della nuova chiesa, o ne abbia celebrata la consacrazione,
mentre ne erano in corso i lavori; avendo nell'uno o nell'altro
caso, qualche giorno dopo, com'era costume della cancelleria pon-
tificia, spedito un diploma alla canonica regolare, costituitasi per
il servizio della chiesa, onde confermare l'accettazione della offerta
del tempio e dei suoi beni che i fondatori avevano fatto alla santa
sede il giorno della solenne cerimonia, e concedere al tempio e
alla canonica i diritti e i privilegi inerenti alla loro immediata per-
tinenza alla chiesa romana.
Le peregrinazioni del pontefice in quei due anni ci si rappre-
(i) Jaffé, n. 5559.
(2) Ibid., n. 5540.
(3) Ibid., nn. 5542-5558.
(4) Ibid., ad a. 1095, aprile 15.
(5) Ibld., ad. a. 1095, maggio 6 e nn. 5564-5568.
(6) Ibid., n. 5566.
(y) Ibid., a. 5569.
(8) Ibid., ad. a 1096, settembre 9.
(9) Ibid., ad. a. 1096, settembre 4.
(io) Ibid., n. 5671.
(11) Ibid., ad. a. 1096 novembre.
(12) Ibid. ad. a. 1096, dicembre 25.
VARIETÀ 179
sentano come una continua missione apostolica per riaccendere la
fede che le lunghe lotte della chiesa coli' impero avevano intiepi-
dito, per comporre i dissidi provocati nelle singole diocesi dallo
scisma, ed eccitare i cristiani a prendere la croce e le armi per la
liberazione del santo sepolcro. È accertato che nel 1095 egli con-
sacrò la cattedrale di Asti (i); pare certo che 1' anno dopo abbia
pure consacrato la nuova chiesa della Santa Croce di Mortara,
presso la quale si era allora costituita una canonica regolare, che
divenne in progresso di tempo la matrice di una fra le più im-
portanti congregazioni di canonici regolari (2). Il Sigonio afferma
che Urbano II nel 1095 consacrò la chiesa di S. Abbondio di
Como (3). La notizia è verosimile, perchè da Milano nel 16 mag-
gio 1095 il pontefice spedì un diploma all' abate di quel mona-
stero (4), e pochi giorni dopo fu a Como, d'onde rilasciò un diploma
all' abate di Leno (5). Se scarse e in parte non molto autorevoli
sono le fonti storiche intorno al soggiorno di Urbano in Lombardia
e ai singoli atti del suo ministero qui da esso compiuti, abbondanti
sono invece le memorie del suo soggiorno nella Provenza e nella
Francia. Scorrendo i regesti del Jaffè, vi abbiamo trovato notizia
di ben quindici consacrazioni di chiese, monasteri ed altari (6), ce-
lebrate personalmente dal pontefice, e della successiva spedizione
a parecchie fra le chiese da lui consacrate, di amplissimi diplomi,
in cui è fatta particolare menzione della solenne cerimonia, e del-
l'offerta della chiesa alla sede apostolica.
Fu recentemente osservato che è pericoloso formulare conclu-
sioni precise intorno all' epoca della costruzione di una chiesa in
base alla data della sua consacrazione. La fabbrica di una catte-
drale poteva durare più secoli ed essere interrotta da lunghe so-
spensioni. In certi casi vi fu un notevole' intervallo fra il compimento
dell'edificio e la consacrazione. Più spesso si consacravano chiese
non ancora compiute. « Si faceva così sopratutto, quando si pre-
« sentava l'occasione di congiungere a questa cerimonia il ricordo
« di un uomo illustre. Questo succedeva quando si metteva a pro-
(i) Ughelli, Hai. sacra, voi. IV, e. 359.
(2) PennotTi, Storia dei Can, Reg., voi. IT, cap. 46.
(3) Libro IX, ediz. del 1575, p. 383.
(4) Jaffé, n. 5564.
(5) Ibid., n. 5566.
(6) Ibid., sub. a. 1095, agosto 5, 18; nn. 5575, 5576; ottobre 25; n. 5604;
dicembre 29, 31; pub. a. 1096, gennaio io, 27; febbraio io; n. 5618; feb-
braio 26; marzo io, 11; maggio i, 7, 24; n. 5649; giugno 11; luglio 6; n. 5660.
i8o
VARIETÀ
« fitto il viaggio di un papa per celebrare la consacrazione di una
« chiesa molto tempo prima ch'essa fosse terminata » (i).
Ma per trovare esempi della contemporaneità della fondazione
o della consacrazione di una chiesa, colla sua offerta alla santa
sede, non c'è bisogno di valicare le Alpi. Un esempio ce lo for-
nisce la storia dello stesso borgo di Rivolta. Alla distanza di ap-
pena un decennio dal passaggio in Lombardia, e presumibilmente
anche per Rivolta, di Urbano II, Erminza ed altre pie donne ave-
vano acquistato presso il « castrum » di Rivolta un pezzo di terra,
ove intrapresero la costruzione di una chiesa e di un monastero
sotto l'invocazione dei Santi Ambrogio, Naborre e Felice. Con atto
del dicembre tio6, Erminza e le sue compagne si affrettarono ad
offrire « ecclesiam que incepta est » alla basilica romana dei Santi
Pietro e Paolo, obbligandosi di pagare alla sede apostolica l'annuo
censo di 12 denari di moneta milanese (2). Il parallelo colla vicina
chiesa di S. Sigismondo non potrebbe essere più evidente, anche
per ciò che riguarda l'ammontare del censo (3).
Giova inoltre avvertire che, se si può ammettere, ed è anzi
verosimile, la contemporaneità della costituzione della canonica
regolare colla erezione della chiesa di S. Sigismondo intorno al 1096,
tale contemporaneità sarebbe inammissibile qualora si volesse far
risalire la fondazione del tempio non che al sec. Vili, come si pre-
tende, ai successivi IX e X; essendo solo nell'undecimo, che la vita
canonica, introdotta dapprima per il clero delle chiese cattedrali,
cominciò ad estendersi al clero di altre basiliche cittadine, e delle
chiese delle pievi, dei borghi e di altri centri minori, assumendo,
particolarmente là dove la canonica si costituiva al servizio di una
nuova chiesa, una regola o disciphna speciale per i chierici che
ne facevano parte, distinta dalle regole monastiche propriamente
dette (4). È notevole che il più delle volte le canoniche regolari
(i) I. A. BruTatls, Archeologi ed architetti, in Napoli nobilis., XIV, 1905, p. 39.
(2) Vignati, Cod. dipi, laud., voi. I, doc. n. 56.
(3) Col titolo di Ecclesia Sancii Ambrosii de Ripa aita XII dettar, la chiesa
è registrata nel Liber censuum (ed. cit., p. 117) fra le chiese in episcopalu Ber-
gomensi, subito dopo la chiesa di S. Sigismondo.
(4) Verso il II 40 fu istituita la canonica regolare di S. Maria di Crescen-
zago (GiULi.M, ilf(?wom, ecc., 2.* ediz., voi. Ili, p. 312). Un'altra canonica rego-
lare venne fondata nel 1143 nel luogo detto Domenegasco presso Rosate, ad
iniziativa di Pietro a Celanensis episcopus », il quale aveva ottenuto licenza
dall'arcivescovo Robaldo « ecclesiam construendi atque regularem canonicani or-
dinandi in loco, etc. » ^ibid., voi. Ili, p. 313).
VARIETÀ l8l
e le loro chiese non avevano ne avogari, né patroni, ma erano
autonome; salva la dipendenza, nei rapporti spirituali, dall'ordinario
diocesano. Questa autonomia, se presentava il vantaggio di sot-
trarre la canonica alle angherie e alle prepotenze dei sedicenti
protettori, non era scevra di pericoli, per la mancanza di qualcuno
che fosse tenuto in caso di bisogno, a fare scudo alla chiesa e
ai suoi interessi patrimoniali contro gli attacchi dei terzi. Da ciò
le frequenti offerte che le canoniche regolari facevano di sé stessè
e delle proprie chiese alla sede apostolica, per ottenerne la speciale
protezione e lucrare i vantaggi spirituali e le immunità spettanti
alla basilica romana. Escluso che si possa far risalire la istituzione
della canonica regolare di Rivolta molto più in là della fine del
sec. XI, sorge spontanea la domanda se sia verosimile che Rivolta,
piccolo luogo della pieve di Arsago, del quale ne' tempi anteriori
ci é perfino ignoto il nome, avesse prima della fondazione della ca-
nonica una chiesa quale é giunta fino a noi (i). La risposta nega-
tiva ilon può essere dubbia, se si considera che nel territorio delle
diocesi lombarde solo le chiese monastiche e quelle pievane ave-
vano importanza. Le altre erano piccole cappelle suddite delle pievi,
senza fonti battesimali e senza cimiteri.
Un ulteriore argomento per attribuire la costruzione della chiesa
di Rivolta alla fine del sec. XI, ed escludere che si possa farla
risalire all'ottavo, al nono o al decimo, ci è offerto dalle condizioni
politiche del territorio della Chiara d'Adda, di cui Rivolta fa parte,
nei sec. IX, X ed XI. Il Nava, segnalando le affinità, nella parte
decorativa, della basilica milanese e della chiesa di Rivolta, pone
in particolare rilievo gli enormi contrasti di gusto, di modellazione,
e di fattura che si riscontrano tra un capitello e l' altro, fra una
cornice e l' altra della seconda chiesa, e che si trovano pure, in
proporzioni forse alquanto minori, nel S. Ambrogio; ed avverte la
profonda diversità di valore artistico fra le decorazioni di Rivolta
e quelle di S. Pietro in ciel d'oro e di S. Michele di Pavia « Iti
ti queste chiese le profilature delle basi di un certo sapore clas-
« sico, col toro inferiore più sporgente del superiore, colla gola
« intermedia assai pronunciata, l'uniformità delle altezze dei ca-
« pitelli e delle loro tavole, la relativa correttezza del disegno
ti nelle rappresentazioni degli animali e della figura umana e i forti
(i) Il suo nome non figura in un atto del 1019 che contiene l'enumera-
zione delle ville comprese nelle pievi di Forno vo, Arsago e Misano (AsTÌGiA>tó,
Cod, dipi, creinoti., voi. I, n. 29).
l82 VARIETÀ
« rilievi ornamentali, dimostrano un'arte già progredita, un'arte in
« fiore ; e fanno presentire le finezze decorative del XIII e XIV sec.
« A Rivolta e nel nostro S. Ambrogio invece nulla di tutto ciò ».
Altrove, ponendo a raffronto la pianta della basilica milanese e della
chiesa di Rivolta con quella delle chiese pavesi (S. Pietro in ciel
d'oro e S. Teodoro), osserva che nelle due prime le volte della
nave centrale e delle navi minori sono stabilite su dei campi qua-
drati, mentre in quelle pavesi le volte così della nave maggiore
come delle minori insistono su piante rettangolari. E più innanzi,
venendo a parlare della struttura dei muri e delle volte, rileva che,
a Rivolta le murature sono fatte col sistema tradizionale lombardo,
con questa importante caratteristica che la quasi totalità del para-
mento sia all' esterno che all' interno è fatto a spina di pesce,
r « opus spicatum » dei romani. Nel S. Ambrogio 1' « opus spicatum »
si trova in proporzioni assai minori, ma solo nell'abside mag-
giore, che si riconosce universalmente essere della fine dell'ot-
tavo secolo ; e lo si riscontra pure nel S. Eustorgio, in S. Babila,
nel S. Celso, nel S. Calimero, in S. Vincenzo in Prato e via via.
« Nelle chiese pavesi dell' undecimo e del duodecimo secolo 1' « opus
« spicatum " non appare più ».
Il Nava si domanda se, quanto all' « opus spicatum w della
chiesa di Rivolta, si può pensare ad un uso locale, sapendo co-
m'erano allora organizzate le corporazioni degli operai costruttori;
oppure se si deve riscontrare in quella disposizione un segno del
tempo in cui fu c^ostrutta la chiesa. Senza dare al quesito una ri-
sposta precisa^ egli crede tuttavia di potere, anche pel confronto
dei monumenti della regione, affermare, che quella struttura è una
delle meno recenti, fra quelle usate; ciò dovrebbe aggiungere va-
lore alla sua tesi sulla maggiore antichità del monumento.
Le vicende politiche della Lombardia dal sec. IX al XII, non
ci permettono di considerare possibile storicamente un raggruppa-
mento delle chiese esistenti in ciascuna città e nei rispettivi terri-
tori della regione, quale è stato tentato dal Nava, se non rispetto
ai sec. XI e XII. È solo nel sec. XI che, ridotta la sovranità degli
imperatori in Italia ad una larva, si vengono formando all' ombra
degli episcopi e delle chiese matrici, fra le varie classi del laicato
cittadino, i comuni. È per mezzo del comune che 1' elemento cor-
porativo si svolge rapidamente e riesce in breve ad esercitare una
decisiva influenza nello sviluppo e nel progresso delle arti, comin-
ciando dall'architettura chiesastica, per il bisogno quasi primordiale
sentito dalle nuove comunità, di provvedere alle esigenze e al de-
coro del culto e alla venerazione dei santi tutelari.
VARIETÀ 183
La tendenza che si riflette nell'attività politica e legislativa del
comune, d' imprimere la propria individualità sopra ogni manife-
stazione della vita pubblica e privata del cittadino e del distrettuale,
di considerare la città e il distretto come un campo chiuso ad ogni
azione od influenza estrinseca, e di dirigere ed intensificare le
energie collettive ed individuali a vantaggio esclusivo della comu-
nità e dei singoli suoi membri, che permette di distinguere dopo
la seconda generazione i contratti di vendita, di matrimonio, le
investiture livellarle e feudali, le permute, ecc., stipulate nella città
e nel territorio di Milano da quelle che si stipulavano nella città
e nel territorio di Pavia, che spiega come a partire dalla seconda
metà del sec. XI cessino quasi del tutto i matrimoni fra persone
delle due città e dei rispettivi territori, prima di allora abbastanza
frequenti, dà ragione altresì delle affinità che si riscontrano negli
edifici e in particolare nelle chiese costruite intorno alla stessa
età nella medesima città e annesso territorio, per opera di ar-
chitetti e di maestri muratori locali appartenenti a corporazioni
saldamente organizzate; la cui azione non poteva non determinare
una certa uniformità nei sistemi di costruzione e di lavorazione e
nella scelta del materiale, e, in minori proporzioni, anche nella
parte decorativa, a scapito della iniziativa individuale.
11 diploma di Lucio li prova che Rivolta nella metà del sec. XII
apparteneva, come appartiene oggidì, alla diocesi di Cremona. Non
par dubbio, che fino alla terza o quarta decade dell' undecimo la
Chiara d'Adda, se non proprio tutta, almeno quella parte di essa
che è tuttora soggetta alla giurisdizione spirituale del vescovo di
Cremona, facesse parte di quel comitato. Da un diploma del 1047
di Enrico IV, ad Ubaldo, vescovo di Cremona, si apprende che
verso il 1030, Galardo, nipote dell'arcivescovo di Milano Ariberto
d' Intimiano, colla complicità di questo, aveva invasa e conquistata
la corte e pieve di Arsago, e più tardi aveva pure invasa e con-
quistata quella limitrofa di Misano (i). Alla conquista a profitto dei
parenti dell' arcivescovo, seguì il comune di Milano, che estese il
proprio distretto sulla Chiara d'Adda, divenuta così il pomo della
discordia fra Milano e Cremona.
Gli sforzi dei cremonesi per portare nuovamente il confine del
proprio territorio all'Adda, riuscirono sempre infruttuosi. Perfino
quando Milano giacque distrutta, Arsago colla sua pieve e cogli
altri paesi sulla sinistra dell'Adda non ritornò e Cremona, ma fu
(i) GiULiNi, voi. II, p. 331 e Muratori, Ani. med. nevi, voi. VI, p. 217.
184 VARIETÀ
assegnata a Lodi (i), che si affrettò a retrocedere il tutto a Milano,
non appena questa risorse più gagliarda che mai dalle rovine.
Sebbene ci manchino in proposito sicure attestazioni, si può
ritenere che Rivolta nel sec. XI facesse parte della pieve di Ar-
sago, della quale avrà seguito le vicende. La sua soggezione a Mi-
lano nel 1106 è indirettamente accertata dalla fondazione di quel mo-
nastero dedicato ai santi tutelari di Milano, Ambrogio, Naborre e
Felice, del quale si è discorso superiormente. Da parecchi docu-
menti della metà del sec XII è dato argomentare che Rivolta, a
differenza di Arsago e Dovera (2), fosse un « castrum » soggetto
direttamente al distretto sovrano del comune di Milano, senza avere
propri signori, investiti delle giurisdizioni e degli altri diritti co-
nosciuti sotto i nomi di « honor, districtus, castellantia, advoca-
" tia, etc. » sul territorio, sugli abitanti, sul castello e sulle chiese
del luogo. L'offerta della chiesa di S. Sigismondo, costruita « intus
a castrum », alla santa sede prova che essa non aveva né patroni,
ne avvocati. Pare inoltre che gran parte delle terre fossero pos-
sedute da cittadini di Milano. Già nel 1132 Azone e figlio, « qui
u dicuntur Grasselli de civitate Mediolani », avevano venduto al
nuovo monastero di S. Ambrogio le terre da essi possedute nel
territorio di Rivolta (3). Nel 1150 un altro Grassello di Milano,
essendo in procinto di partire in pellegrinaggio per la Terra santa,
offerse allo stesso monastero tutto il suo patrimonio (4). Lo stesso
anno « in Ripalta ante ecclesiam S. Sigismundi » ì consorti capi-
tani d' Arsago addivenivano ad un atto di transazione in una lite
che era pendente avanti i consoli di Milano; fra i t-estimoni del-
(i) Lo argomentiamo i." da un atto del 3 maggio 1163 portante l'investi-
tura livellaria di alcune terre in Pandino concessa dal monastero di S. Ambrogio
di Rivolta, « actum in civitate Laude » (Arch. di stato di Milano, Pergam. Mon.
Magg.)\ 2° da altro atto del 2 luglio 11 74 stipulato « in urbe Laudis », con cui
due consorti « qui dicuntur de Arsago de loco Dovaria » confermarono la ces-
sione al suddetto monastero di una possessione in Pandino (ibid); 3." da una sen-
tenza dei consoli di Milano, del 7 giugno 11 77 in una lite fra la badessa del
monastero di S. Damiano di Dovera e i capitani d' Arsago intorno al condominio
del castello e territorio di Dovera ; in cui si cita una sentenza pronunciata nella
stes'a questione dai consoli di Lodi (Arch. cit., Pergam. miscellanee non ordinate).
(2) Alcuni documenti provano che i capitani d' Arsago, oltre il possesso del
capo-pieve (Arsago), avevano il condominio, col monastero di S. Damiano, della
corte di Dovera, e, col monastero di S. Ambrogio di Rivolta, della corte di
Pandino.
(3) Vignati, op. cit., voi. I, doc. n. 95.
(4) Ibid., n. 139.
VARIETÀ 185
l'atto trovasi un « Lanfrancus de Curte de Mediolano »> (i). In fine,
sotto la data del 1153 havvi una sentenza resa da due abitanti di
Rivolta, quali arbitri in una causa fra il monastero di S. Ambrogio
ed un altro vicino del luogo (2).
Probabilmente il « castrum » di Rivolta era stato costruito
dai milanesi perchè servisse da baluardo e da sentinella avanzata,
per difendere la Ghiara d'Adda dalle incursioni dei cremonesi,
spesso alleati ai bergamaschi e ai lodigiani (3). Di qui la fonda-
zione verso il 1096 di una chiesa e di una canonica regolare nel-
r interno della fortezza, onde propiziare la divinità alla sua difesa
e conservazione; dovuta all' iniziativa e alle offerte, oltre che degli
abitanti del luogo, dei cittadini milanesi, che vi possedevano la
maggior parte delle terre e che avranno colà destinati alcuni
maestri da muro e lapicidi appartenenti alle stesse corporazioni
delle quali facevano parte i muratori e i lapicidi adibiti ai lavori
della basilica di S. Ambrogio e di altri templi della città.
Gerolamo Biscaro.
DOCUMENTO
Lucio li conferma i diritti e i privilegi spettanti alla
CHIESA E ALLA CANONICA REGOLARE DI RlVOLTA d'AdDA.
II 44, aprile jj.
Lucius episcopus servus servorum Dei. Dilectis filiis Alberto Prae-
posito et eius fratribus in Ecclesia Dei Sanctae Genitricis Mariae et
Sancti Sigismundi apud Oppidurn Ripaltae regularem vitani professis
tam praesentibus quani futuris in perpetuum, Piae postulatio voluntatis
(i) Cod. dipi, iella Re^ia, doc. n. 107, in Pertod. Soc. Stor. Coni., voi. IV.
(2) Vignati, op. cit., voi. I, doc. n. 150.
(5) Nell'ottobre 11 59 il castello di Rivolta servì di punto di appoggio ai
milanesi che erano a guardia del ponte sulI'Adda a Pontirolo, in una fazione
contro i lodigiani. Costoro avevano posto il campo dinanzi a Rivolta ove i
milanesi avevano fatto capo; ma dovettero ritirarsi « quia castrum Ripalte erat
a eis ad tutelani » (O. Morena, Chroti., in Pertz, M. G. K, XVIII, p. 629).
l86 VARIETÀ
debet effectu prosequente compleri, ut devotionis sinceritas laudabiliter
enitescat, et utilitas postulata vires indubitanter assumat. Proinde, di-
lecti in Domino filii, vestris rationabilibus postulationibus clementer
annuimus et praedecessorum nostrorum felìcis memoriae Urbani, Pa-
schalis, Calisti, Innocentii, Coelestini romanorum pontificum vestigiis
inhaerentes ecclesiam Beatae Genitricis Dei Mariae et Sanati Sigi-
smundi, in quo divino vacatis servitio, ad Beati Petri tutelam, et domi-
nium pertinere Apostolicae sedis privilegio communivimus, quae nimirum
prout eorundem praedecessorum nostrorum privilegiis continetur pro-
priis sumptibus a vestris est civibus aedificata et sanctae recordationis
Urbano papae cum universis possessionibus suis oblata, et ab eodeni
in perpetuum in Beati Petri allodium , proprietatemque susceptam.
Eamdem igitur Ecclesiam praesentis privilegii pagina munientes statui-
mus vitae canonicae Clericos omni tempore illic permanere, et universa
bona, sive possessiones, quae de iure suo eiusdem Ecclesiae fundatores,
sive alii quilibet tradiderunt, seu in futuris concessione pontificum, libe-
ralitate principum, oblatione fidelium, aut aliis iustis modis tradita, vel
acquisita fuerint, firma et illibata vobis vestrisque successoribus perma-
nere, in quibus, hae propriis visa sunt exprimenda vocabulis, Ecclesiam
videlicet Santae Mariae de Corniano, Ecclesiam Sanctae Margaritae de
Pandino, Ecclesiam Sancii Michaelis, et Sancii Stephani de Saliceto, cum
omnibus ad eas pertinentibus. Obeunte te ejusdem loci Praeposito, vel tuo-
rum quorumque successorum nullus ibi qualibet subreptionis aslutia seu
violentia praeponatur, nisi quem fratres communi consensu vel fratrum
pars consilii sanioris secundum Dei timorem providerint regulariter eli-
gendum, Chrisma, oleum sanctum, consacrationes altarium sive basi-
licarum, ordinaiiones clericorum, qui ad sacros ordines sunt promo-
vendi, a Cremonensi accipietis episcopo, si quidem catholicus fuerit, et
gratiam Apostolicae sedis habuerit et si ea gratis et sine pravitate
voluerit exhibere. Alioquin liceat vobis catholicum quem malueritis adire
antistitem et ab eo consecrationum sacramenta suscipere. Alioquin ipsi
liceat eamdem Ecclesiam praegravare, aut exactionem vel consuetudinem
aliquam, quae libertati et quieti regularis vitae noceat (?) fratribus illic
viventibus irrogare. Decernimus igitur ut nulli omnino hominum liceat
eamdem Ecclesiam temere perturbare, aut eius possessiones auferre,
vel oblatas retinere, minuere, vel temerariis exactionibus fatigare, sed
omnia integre conserventur, eorum prò quorum substentatione et gu-
fa rnatione concessa sunt, usibus proftilura, salva in omnibus Aposto-
licae sedis auctoritate; sane laborum vestrorum decimas, quas propriis
manibus aut sumptibus excoletis, nullus a vobis exigere praesumat. Ad
inditium autem perceptae huius Romanae Ecclesiae libertatis duodecim
Mediolanensis monetae nummos per annos singulos Lateranensi Palatio
persolvetis. Si quae igitur in futurum ecclesiastica, secularisve persona
hanc nostram constitulionis paginam sciens, centra eam venire tenta-
verit temere, secundo, terliove commonita, si non satisfactione congrua
emendaverit, potestatis, honorisque sui dignitate careat, reamque se
VARIETÀ 187
divino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sanctis-
simo corpore et sanguine Dei et Domini Redemptoris nostri Jesu Christi
aliena fiat, atque in extremo disamine (sic) districtae ultioni subjaceat,
Cunctis autem eidem loco justa servantibus sit pax Domini nostri Jesu
Christi, quatenus et hic fructum bonae actionis percipiant, et apud dis-
trictum judicem praemia aeternae pacis inveniant. Amen. Amen. Amen.
Ego Lucius Catholicae Ecclesiae Episcopus.
Datum Laterani per manum Baronis Capellani et Scriptoris. Idibus
Aprilis Indictione Vili. Incarnationis Dominicae anno 1144. Pontificatus
vero Domini Lucii II Papae anno primo.
l88 VARIETÀ
Per la storia degli schiavi orientali
in Milano.
L commercio degli schiavi in Italia nel basso medio evo
non è noto da molto tempo: quando il Cibrario, il Par-
dessus, il Cantù, ed altri moderni, con qualche vago ac-
cenno, lo segnalarono, parve cosa inaudita : ancora nel
1851 si stampava in Mantova un istrumento di vendita d'una schiav^^,
del sec. XV, come rarissimo e forse unico esempio di tali con-
tratti. Più tardi il Bonaini ne additò qualche altro del sec. XIV (i),
ma fu solo in seguito al riordinamento dell'Archivio notarile di
Venezia che V. Lazzari, scoperto un gran numero di documenti
di quel genere, potè considerare sotto i suoi principali aspetti il
traffico degli schiavi e la loro condizione nella vita privata dei
secc. XII-XVl (2j. Due anni dopo lo Zamboni nel suo libro Gli Ez-
zelini. Dante e gli schiavi (Vienna, 1864) raccolse faticosamente i
fatti in altri libri dispersi, non senza aggiungerne d' ignorati; il
Cecchetti gli .tenne dietro poco portando di nuovo alla conoscenza
dell'argomento ma ben facendone rilevare l' importanza (3) e, meglio
di lui, il Bongi allargò le indagini sulle fonti lucchesi e tracciò le
linee generali d' una storia della schiavitù in Italia (4). Da ultimo
lo Zanelli fece tesoro dei copiosi documenti fiorentini (5), l'Avolis
dei siciliani (6), il Luzio e il Renier studiarono i mantovani (7),
ed oramai si può dire che i materiali abbondino per chi volesse
tentare un lavoro di sintesi.
(i) Ricordi di cose famigliari di Meliadus BaUiccione de' Casaìberti pisano,
in ,Arch. star, ital, serie I, voi. Vili, pp. 50, 60, 61, 63.
(2) Del traffico e della condizione degli schiavi in Vene:^ia nei tempi di me:(^o,
in Mise, di stor. ital, Torino, 1862, voi. I, pp. 463-502.
• (3) Della necessità della conservaiione degli archivi notarili d^ Italia, in Atti
del R. Istituto veneto di scienie, lett. ed arti, 1867, pp. 2, 21 dell'estratto.
(4) Le schiave orientali in Italia, in Nuova Antologia, giugno 1866.
(5) Le schiave orientali a Firenx^e nei secc, XIV, XV, Roma, 1886.
(6) Per la schiavitù privata in Sicilia, Firenze, 1888.
(7) Nuova Antologia, settembre, i89r.
VARIETÀ 189
I risultati principali di tutti questi studi possono ridursi ai
seguenti:
II commercio degli schiavi in Italia, nei secc. XIV, XV, XVI è
costituito esclusivamente di schiavi orientali importati come un'altra
mercanzia qualunque nei nostri scali marittimi, e specialmente in
Venezia. Non ha quindi nulla a fare colla schiavitù paesana del
r alto medio evo, quasi dovunque scomparsa fra gli ultimi anni
del XIII e i primi del XIV secolo (i). •
Questa nuova forma di schiavitù fu non solo tollerata, ma ri-
conosciuta e disciplinata dalla legge nelle città dove più si diffuse,
Venezia, Genova, Lucca, Firenze, Napoli: in base al concetto, non
rigettato né pur dalla chiesa, che il paganesimo degli schiavi ne
giustificasse il traffico, perchè il peccato originale avesse annullato
la libertà naturale dell' uomo e la servitù fosse giusta condanna
degli infedeli. Il che per altro non impediva s' importassero, seb-
bene in minor copia, schiave anche da paesi cristiani, da Costan-
tinopoli per esempio: e in questo caso il pretesto che si cambiasse
in meglio la loro posizione valeva a giustificar l'abuso.
Tra gli schiavi importati le donne erano in grande preponde-
ranza: adoperate nella vita domestica come serve, o balie, o con-
cubine. Il loro trattamento, salve poche eccezioni, era assai mite:
frequentissime le emancipazioni, specialmente alla morte dei pro-
prietari, che con quell'atto intendevano rendersi benemeriti verso Dio.
La tratta degli schiavi raggiunse il suo maggior sviluppo dalla
metà del sec. XIV alla metà del XV : poi cominciò a declinare se-
guendo la sorte degli altri traffici in Oriente, quantunque s'incon-
trino schiavi alla fine del sec. XVI e perfino sui primi del XVII.
Venezia può considerarsi il mercato principale che provvedeva
di siffatta mercanzia le altre città italiane.
Se per il Veneto, per la Toscana, per la Liguria e per l'Italia
meridionale oramai le notizie abbondano, poco o nulla si potè
rintracciare per la Lombardia. I nostri statuti milanesi non hanno
pur r ombra di disposizioni legislative o regolamentari per questa
nuova popolazione esotica (2), e questo è un buon argomento, se
(i) È curioso come, dopo tante indagini, studiosi, anche valenti, non pensino
a fare questa distinzione essenziale. Cfr. quest* Archivio j XXX, 1903, 11, p. 491.
(2) Negli statuti del 1498- 1502 sono alcuni capitoli con regolamenti disci-
plinari pei « famuli » e i « domicelli », ma si tratta di domestici salariati. II
I
190 VARIETÀ
non per escluderlo, almeno, per ritenere che qui essa non fosse
punto numerosa, perchè dove lo era la legge sentì ben presto il
bisogno e il dovere d'intervenire. A questa ipotesi, ci indurranno
taluni indizi, che qui raggrupperemo, e meglio, il documento che
diamo alla luce.
In una città lombarda assai vicina a Milano, a Pavia, il traffico
degli schiavi è in certo modo attestato dalla vendita di una schiava
fatta da un lucchese a un "pavese nel 1398 (i). In una pergamena
dell'Archivio Arconati Visconti si parla d' una schiava tartara di
diciannove anni venduta nel 1434 dal nobile Giacomino, figlio di
Luchino de Billiis, di Milano, al nobile Giovanni da Castelletto,
pur di Milano, per cinquantotto ducati d'oro (2). Nel testamento di
Pietro Ugleimer, libraio tedesco in Milano (16 die. 1487), troviamo
ch'egli affranca due schiavi da lui comprati in tempi passati, a
patto che servano la moglie di lui, dopo la morte della quale ri-
ceveranno duecento ducati di regalo per uno. L' Ugleimer era ve-
nuto a stabilirsi a Milano da Venezia col socio Nicola Jenson ed
è probabile quindi che colà li abbia comperati (3). Un anno dopo
Isabella d'Aragona, venendo a Milano sposa a Gian Galeazzo
Sforza, menò con sé tre schiave bianche, sette negre e tre schiavi
neri: anche questi furono acquistati probabilmente nel regno (4). Più
importante è la notizia che ci dà un novelliere, che in talune cose
ha valor di storico, il Bandello. Parlando della severità da usarsi
verso i figliuoli e verso i servi, dice: « con i mori poi, o schiavi
ti comprati, si faccia il medesimo, perciò che sono di pessima na-
« tura. Il che esser vero ci dimostrò a questi dì passati il moro
« di monsignor Di Negri, abate di S. Simpliciano, il quale, avendo
Carparli, nelle sue glosse, al capo 90 del libro I, dove è prescritto che il ven-
ditore non possa, ad istanza del compratore, far testimonio in causa delia roba
venduta, si diffonde a determinare le persone che non possono far testimonio
e ci mette anche il « servus », ma come sfoggio di sua erudizione, citando altri
autori, mentre il « servus » non ha niente a che fare col testo dello statuto (Edi-
zione bidelliana di Milano, 1616).
(i) ViDARi, Frammenti cronistorici dell'agro ticinese^ Pavia, 1891. Cfr. que-
sx' Archivio, XVII 1, p. 726.
(2) Membrana novissima Mediolani inventa in veteri insìgnique Archivio III.
T)ni Marchionis Jos. Arconati Ficecomitis, quae, declarante Jo. Zucchetti, evtilga-
tur ad probandum captivitatem in Italia perdurasse saltem ad annum MCCCCXXXIF,
Mediolani, Boniardi Pogliani, 1869. (Lo Zucchetti cascava dalle nuvole dopo i
lavori del Lazzari e del Bongi !)
(3) Motta, in Boll. stor. della Svi:^^. itah, 1886, p. 171.
(4) Ibid., loc. cit.
VARIETÀ 191
« ricevuto un bufFettone da esso abate, la seguente notte gli segò
« le vene della gola e l'ancise, et era stato seco più di trent'anni.
« E quando il perfido moro fu su il Broletto vecchio di Milano
u menato per farne pubblica giustizia, egli ridendo barbaramente
« diceva: " squartatimi e fatemi peggio che sapete, che se io ho
« avuto uno schiaffo, io me ne sono altamente vendicato „ (i) ».
E di qualche rilievo pel nostro argomento è pur la dedica di questa
novella ventunesima, la quale tratta appunto i casi d'uno schiavo,
fatta ad un signore napoletano con queste parole: « sapendo che
« voi signori napoletani massimamente vi dilettate di tenere schiavi »;
parole che sembran quasi sottintendere non essere in Milano tal
diletto come laggiù sentito ; mentre, per contrario, il Muralto, cro-
nista contemporaneo, afferma che di quel tempo numerosi erano i
servi di razza nera, almeno presso i cortigiani, in omaggio al so-
pranome del duca : « eo tempore in ducatu hi mauri, seu gens
« nigritarum, ita creverant, ut nullus esset aulicus qui unum eidem
« servientem non haberet; eo quod Ludovicus Sfortia, Mediolani
« Dux, se cognominari fecerat Maurum. Melius enim fuisset si
u christianus nuncupatus fuisset »» (2). Il Morbio, nella sua Francia
e Italia, ci parla d'uno schiavo d'un principe Luigi, abbruciato vivo
per delitto contro natura, nel 1572 e d'un altro schiavo turco del
conte Gerolamo Simonetta; notizie assai notevoli per l'età recente
alla quale si riferiscono (3).
A questi sparsi accenni altri son venuti ultimamente ad ag-
giungersi coi contratti del ricco mercante milanese Marcolo Carelli,
segnalati, or fa un anno, dall'avvocato Carlo Romussi (4). Nell'Ar-
chivio della Fabbrica del Duomo, testé completamente riordinato,
una cartella è dedicata al magnifico benefattore della cattedrale,
morto in Venezia nel 1394. Essa cartella contiene, oltre il testa-
mento, rogato il 4 novembre 1393 dal notaio Pietrinolo da Ven-
zago, e r inventario delle suppellettili ritrovate nella casa Carelli
in Milano, in porta Orientale, parrocchia di S. Babila intus (5), i
(i) Par. Ili, novella 21 (Londra, 1791).
(2) Annalia, Mediolani, 1861, p. 59, Cfr. (\\xqs\} Archivio^ XXXI, 1904, i, p. 461.
(3) Milano, 1873, p 268.
(4) Nel Secolo Illustrato , gennaio-febbraio 1903.
(5) Interessante per la storia del costume. Dirò qui, per incidenza, che per
siffatto argomento l'Archivio del Duomo è una miniera. Frequentissimi sono gli
inventari dal sec. XIV al XVI, ma fonti di gran lunga più ricche sono i nu-
merosi registri « oblationum et patariae » cogli elenchi particolareggiati di tutti
gli oggetti di vestiario, di biancheria e d'oreficeria offerti dalla cittadinanza alla
192 VARIETÀ
*Suoi contratti mercantili, toccanti generi svari atissimi (i) e tra gli
altri cinque acquisti di schiavi fatti in Venezia, dov'egli pur soleva
dimorare e aveva casa nel confine dì S. Sofia (1367), in quello di
S. Felice (1369) e in quello di S. Eustachio (1371). E sono pre-
cisamente:
1° 1367, i.° dicembre. Acquisto da Donato Encio di una
schiava tartara di circa ventiquattro anni, chiamata Tollomellich,
ma da chiamarsi al battesimo Cristina, per ducati d'oro 23 112(2).
Rogato Donato Andrea de Zandeguiliis, notaio di Venezia.
2.** 1373, 25 maggio. Acquisto da Dino Filatorio di una schiava
greca di circa ventidue anni chiamata al battesimo Maria, per 29
ducati d'oro. Medesimo notaio.
3 ° ^377> 4 niaggio Acquisto da Marco Savojno di una schiava
tartara d'anni ventotto chiamata al battesimo Bona, per 26 ducati.
Rogato Antonio de Bursariis, notaio di Venezia.
4-*' 1377, 22 maggio. Acquisto da Paolo de Laurentiis di una
schiava tartara di anni diciotto, battezzata col nome di Caterina,
per 32 ducati. Rogato Marco de Raschanellis.
Fabbrica a partire dal 1386, e rivenduti nella bottega « a pataria », che la Fab-
brica teneva a quest' uopo. Quello che ne fu pubblicato nell'appendice agli Annali
non è che piccolissimo saggio. Dedico questa noticina al chiar.mo Marzi che
lavora ad una bibliografia generale del costume italiano.
(i) Arch. del Duomo, VII, 3. La classe VII, Eredità, comprende le carte
private dei cittadini che hanno lasciato le loro sostanze alla Fabbrica: è un de-
posito di prim'ordine per chi si occupi di storia del commercio, dell'agricoltura,
delle istituzioni civili. Vi sono contratti d' ogni genere, patti e libri d' ammini-
strazione di società commerciali, sentenze dei consoli dei mercanti e dei vari
giudici aggregati alla curia del podestà : sentenze arbitrali su questioni svariatis-
sime. S' integra questa con l'altra classe delle Case in Milano, una serie che dal
sec. XIII viene continua fino ai nostri giorni e contiene migliaia d'istrumenti origi-
nali, preziosi pei suaccennati argomenti, oltreché per la topografia storica di Milano.
{2) Gli schiavi tartari erano i più. La parola è presa però in senso latissimo
e molto indeterminato. (Lazzari, op. cit., p. 469). Chi vendeva urio schiavo
pagano spesso imponeva al compratore il nome cristiano che avrebbe dovuto
portare dopo il battesimo (op. cit., p. 474). Il prezzo per uno schiavo di ven-
tiquattr'anni appare assai mite : ordinariamente dice il Lazzari si aggirava intorno
ai 50 ducad, salvo il caso che la schiava avesse qualche particolare abilità, onde
il valore venisse accresciuto. È però da notare che 1' aver figliato valeva a de-
prezzare di molto la schiava, e ciò a Venezia ed altrove per disposizione di
legge. Anche per le altre schiave il Carelli non ha speso più di 32 ducati, e
forse i prezzi andarono aumentando nel corso del secolo XV, quando quella
mercanzia cominciò a scarseggiare, tanto che il governo di Venezia ne lamentava
la deficienza (Lazzari, op. cit., p. ^81).
VARIETÀ 193
5.0 1378, 17 febbraio. Acquisto da Bartolomeo de Justisd*una
schiava e d' uno schiavo, nomato Radich, madre e figlio, la prima
d'anni trenta, il secondo di circa otto, per 40 ducati d'oro. Rogato
Antonio de Bursariis.
Queste schiave furon tutte comperate in Venezia e noi non
possiamo dire se il Carelli le tenesse per serve, com'era costume,
ripartendole nelle sue case di Venezia e di Milano, oppure se e
dove ne facesse traffico, ò ancora se sian da identificare con quelle
fanciulle che, sembra, mantenesse presso di se per maritarle con
dote da lui fornita (i).
In conclusione quel poco che fin' ora s' è riusciti a racimolare
su questo argomento (2) prova che non mancarono, fino al cader
del sec. XVI, schiavi in Milano, ma non che qui se ne esercitasse
il commercio. Epperò sotto quest' ultimo riguardo è interessante il
documento che pubblichiamo dove si parla d' uno schiavo venduto
proprio in Milano ad un milanese, quantunque da un mercante
suddito della repubblica di Venezia.
E innanzi tutto ci interessa per la persona del compratore. Si
tratta del magnifico e generoso cavaliere Gaspare Ambrogio Vi-
sconti, figlio del quondam magnifico cavaliere Gaspare, nel quale
ravvisiamo il poeta, amico e consigliere di Lodovico il Moro, l'autore
del poema Di Paulo e Daria amanti, con tanta dottrina illustrato,
su questo medesimo Archivio, dal prof. R. Renier. Il nostro con-
tratto si trova nell'Archivio del Duomo, insieme a parecchi altri
documenti che forniscono qualche dato rilevante per la vita di lui.
V'è il testamento del padre Gaspare, consigliere ducale, figlio di
Pietro altro consigliere, il quale morì nel 1462, lasciando il nostro
ancor bambino sotto la tutela della madre Margherita Alzati, o
quando questa non volesse o non potesse accettare, sotto quella
del proprio fratello Giampietro; quest' ultimo assunse infatti l'am-
ministrazione della sostanza. V'è un curioso istrumento originale,
in pergamena, fregiato in margine d'un elegante biscione visconteo,
rogato dal notaio G. Antonio de Girardis, consiglier ducale, nella
casa di Cicco Simonetta, porta Cumana, parrocchia S. Tommaso
in terra mara « in sala superiori sibillarum »; istrumento (1472,
(i) Boiro, // Duomo di Milano, p. 127. Cfr. Annali 'della Fabbrica del
Duomo, voi. I, p. 91.
(2) Ne è da sperare che molto dì più sia per venire alla luce. Il Motta ha,
con la sua diligenza e pazienza, dedicato anni di studio al carteggio sforzesco,
che, si può dire, non ha più segreti per lui ; e non v' ha trovato menzione di
schiavi ; e pur quella sarebbe stata la sede più opportuna per notizie di, questo genere.
Ardi. Star. Lomb., Anno XXXI F, Fase. VII. 13
194 VARIETÀ
IO aprile), col quale il primo segretario del duca e la moglie Elisa-
betta Visconti, per stringere vie più i legami d'antica amicizia con
Gian Pietro Visconti, promettono di dare in isposa al nipote di
lui, Ambrogio, il nostro (i), la loro figliuola Cecilia, non appena i
due fanciulli abbian raggiunta l'età legittima, e Giampietro dal canto
suo solennemente s'impegna alla effettuazione di questo matrimo-
nio in tempo opportuno. I patti furono in tutto osservati. Vi sono
lunghi atti di causa (1487-1489) davanti ad un arbitro, Battista Vi-
sconti, tra Gaspare Ambrogio e i cugini Giovanni e Filippo, figli
d' un fratello del defunto Gaspare, i quali pretendevano 1' eredità
lasciata dallo zio C-iiampietro, morto nel i486 o poco prima. In
questi atti troviamo la conferma di quanto, da fonti indirette, aveva
in parte ricavato il Renier. Giampietro aveva amministrato male
il patrimonio del pupillo, senza renderne mai conto e senza neppur
tener libri: cosicché Gaspare Ambrogio gli aveva intentata una
causa la quale stava per finire con un compromesso amichevole,
quando lo zio venne a morte (2). Entrato in pieno possesso del
(i) In questo documento, come pure nel testamento paterno, è chiamato
solo Ambrogio: negli altri coi due nomi. La spiegazione ce la dà il Morigia, il
quale {Nobiltà di Milano, Milano, 16 19), dice che il primo suo nome fu Am-
brogio e fu, per ordine del duca, chiamato Gaspare Ambrogio. Forse ciò volle
il duca per ricordo di Gaspare antico amico e consigliere di casa Sforza.
(2) I dati che mi forniscono i succitati atti di causa mi fanno dubitare del-
l'esattezza, su questo punto, dell*alberetto dato dal Litta, e riportato dal Renier :
Pietro
I
I I I I I I
Gaspare Gian Francesco Paolo Gian Agostino Lucia Gian Pietro
' I
Gaspare Ambrogio Gaspare
Qjai si farebbe Giampietro padre d'un Gaspare, mentre negli atti si dice espli-
citamente ch'egli morì senza figli legittimi, solo « relictis quibusdam filiabus »,
il che appunto die luogo alla causa, pretendendone i cugini l'eredità, in vigore
di certe disposizioni del testamento dell'avo. Quegli atti dicono pure che il vec-
chio Pietro, morendo, lasciò solo due figH, e i figliuoli di Gian Agostino, altro
figlio premortogli. Ma gli altri dati dal Litta potranno essere anch'essi premorti.
L'alberello andrebbe così ricostrutto:
Pietro
morto nel 1461
I I I
Gaspare Giampietro Gian Agostino
morto nel 1462 morto circa il i486 premorto
Gaspare Ambrogio 1 j ^
morto 1499 Ottino Giovanni Filippo
f avanti 1487.
VARIETÀ 195
proprio avere e di quello dello zio, che V anno dopo gli venne
conteso e dimezzato dai cugini, il nostro volle, si direbbe, inaugu-
rare il lieto avvenimento colla compera di uno schiavo.
Ma allo schiavo appunto ritorniamo. L'etiope Dionisio, prove-
niente dal mercato di Tunisi e venduto al Visconti, è in età di
quattro anni e rappresenta, si può dire, un caso raro se non unico :
il Lazzari che ha spogliato gran numero di siffatti istrumenti ha
incontrato pochissimi fanciulli e nessuno d'età inferiore ai cinque
anni. La proprietà di uno schiavo era sottoposta alle norme e alle
vicende di qualunque altra proprietà e per questo la vendita si
faceva con atti pubblici stesi con tutte le formole solite ad adope-
rarsi nelle altre obbligazioni civili; il nostro però sembra avere
una maggiore solennità e maggior numero e ampiezza di formole
che non si riscontri nei contratti molto semplici di Marco Carelli e in
quelli esaminati dal Lazzari e dagli altri citati autori: la condizione
servile del fanciullo è attestata con giuramento del venditore, sul
Vangelo, e quasi saremmo tentati di supporre che, per non essere
tali contratti comuni in Milano come in quelle città, il compratore
abbia voluto con un istrumento solennissimo e in tutto perfetto,
guarentirsi contro ogni pericolo d' illegalità, tanto più che, come
abbiam detto, il « ius servile » non è contemplato nella giurisdi-
zione milanese. E per questo è notevole la clausola: « eo acto et
« pacto specialiter posito et solempni stipulatione interveniente
« vallato et firmato videlicet: quod si occasione presentis vendi-
a tionis ullo tempore agi vel causari contigerit, possit dictus ven-
'i ditor semper die loco et ubique et sub quibuslibet dominis
« jusdicentibus vicario et auditore, nedum dominii venetorum sed
.' etiam dominii ducis mediolani et alibi personaliter conveniri capi
.* et detineri licet ibi non esset eius proprium domicilium » : con
che, direi, si voleva mettere il contratto anche sotto la tutela del
diritto comune milanese: e in ciò avremmo la prova che, se per
gli schiavi non erano in Milano leggi speciali, si riconoscevano e
si rispettavano in tal materia quelle degli altri paesi, e legittimo se
ne riteneva il commercio.
Ettore Verga.
(i) La sentenza arbitrale decise che della sostanza di Giampietro una metà
spettasse a Gaspare Ambrogio, l' altra ai due cugini. Continuarono sembra le
molestie, ma intervenne nientemeno che un breve d'Innocenzo Vili (1492)
contro gli occupatori illegittimi dei beni del Nostro (Archivio del Duomo,
oc. cit.).
L
196 VARIETÀ
DOCUMENTO
Archivio della Fabbrica del Duomo, VII, 18, fase. 49, n. 2.
In nomine Domini, anno a nativitate eiusdem millesimo quadrin-
gentesimo octuagesimo sexto, indictione quinta, die lune secundo mensis
octobris. Dominus Johannes de Drivalis, filius domini Steffani, negotiator
et exercens merchantiam per se et separatim a dicto eius patre, prout
ad petitionem instantiam et requisitionem mei notarii infrascripti per-
sone publice presentis stipularìtis et recipientis nomine et vice et ad
partem et utilitatem cuiuslibet persone cuy interest vel interesse po-
test vel poterit quomodolibet in futurum, dixit et protestatus fuit et
dicit et protestatur, habitans in civitate Brissie dominii venetorum, fecit
et facit venditionem et datum ad proprium liberam francham et abso.
lutam ab omni onere condictione vel servitale alicui debendis prestandi?
seu etiam sustinendis, magnifico et generoso militi Domino Gaspari Am-
brosio Vicecomiti filio qnondam magnifici militis Domini Gasparis, porte
Verceline, parochie sancti Johannis supra murum Mediolani, ibi presenti
stipulanti et recipienti et ementi, nominative de infante uno ethyope
etatis annorum quatuor vel circha, nuncupato Dionisio, servo, per ipsum
venditorem alias empto in partibus Barbarie, videlicet in civitate Tunesi,
prout etiam dictus venditor eius proprio juramento jurando ad sancta
dei evangelia, manu corporaliter tactis scripturis, in manibus mei notarii
infrascripti persone publice stipulantis et ut supra ac predicturn jura-
mentum defferentis, juravit ipsum Dionisium ethyopem infantem esse
servum et per eum venditorem alias emptum ut supra et prout supra.
Item de omnibus et singulis juribus utilitatibus commoditatibus et ven-
dicationibus quocumque modo et jure ipsi venditori conipetentibus per-
tinentibus et spectantibus super persona dicti infantis servi et eius causa
et occaxione: eo tenore quod de cetero prefatus magnificus dominus
emptor, cum suis heredibus et sucessoribus et cui vel quibus dederit,
habeat teneat gaudeat et possideat vel quasi dictum servum ut supra
venditum et de eo faciat disponat et facere et disponere possit et va
leat quidquid voluerit et sibi placuerit absque dicti venditoris vel cuiusli-
bet alterius persone contradictione. Cedendo, dando atque mandando,
et cedit dat atque mandat, predictus venditor prefato magnifico domino
emptori presenti et stipulanti omnia sua jura omnesque actiones et
rationes exceptiones replicationes retentiones vendicationes usus et
deffensiones utilles et directas, reales et personales, mixtas atque ypo-
techarias, et quecumque jura ipsi venditori in et super persona dicti
servi et eius causa et occaxione quomodocumque et qualitercumque
competentes pertinentes et spectantes et competìtura vel competituras
VARIETÀ 197
quavis causa vel occaxione. Et hoc centra et adversus datores suos et
datores datorum suorum et eorum et cuiuslibet eorum datores et fideius-
sores et quemlibet eorum in solidum, et centra eorum et cuiuslibet et
alterius eorum heredes res bona et jura ac bonorum rerum et jurium
eorum detentores vel possessores: et contra quascumque alias personas
et res prò predictis obligatas et eorum causa et occaxione. Et etiam
contra quamcumque personam que jus aliquod, tam libertatis quam ser-
vitutis, haberet vel habere pretenderet in aut super persona dicti servi
venditi ut supra et eius causa vel occaxione. Ita ut, vigore presentis
contractus, prefatus dominus emptor ubique et omni tempore eum ser-
vum venditum ut supra a quibuscumque personis, jus in aut super eo
quovis modo habere pretendentibus, vendicare possit et repetere. Et
volens dictus Johannes venditor transferre dare et relinquere plenum
dominium et plenam possessionem vel quasi predicti servi venditi ut
supra in prefatum magnificum dominum emptorem presentem et stipu-
lantem, constituit se tenere et possidere vel quasi dictum infantem ser-
vum venditum ut supra nomine prefati magnifici domini emptoris et
prò eo donec possessionem et eius tenutam acceperit, volens dictus
venditor suo ministerio facere et constituere prefatum dominum empto-
rem, presentem et stipulantem, verum possessorem et dominum predicti
servi venditi ut supra, cui dominio et possessioni vel quasi dictus ven-
ditor renunciavit et renunciat et in ipsum dominum emptorem, presentem
et stipulantem, transtulit deseruit et dereliquit, ipsumque dominum
emptorem, per omnia et modis omnibus, in eius locum jus et statum
posuit et ponit eum dominum emptorem faciens et constituens missum
et procuratorem in rem suam ita ut per omnia et modis omnibus in
eius venditoris locum jus et statum sit et sucedat respectu dicti servi
venditi ut supra et prout supra. Dans tradens et dimiitens ex nunc dictus
venditor predictum servum venditum ut supra in domo habitationis
prefati magnifici domini emptoris et eidem Magnifico domino emptori
presenti et acceptanti ad hoc ut corporalem possessionem et tenutam
ipsius servi venditi ut supra, habeat et habere possit sua auctoritate
propria et etiam absque alia judiciaria auctoritate. Quare dictus D/ Johan-
nes venditor promisit obligando proinde se et omnia sua bona presentia
et futura pigneri prefato mag.co domino emptori presenti et stipulanti
quod semper et omni tempore deffendet auctorizabit guarentabit disbri-
gabit eumque servum venditum ut supra ipsi magnifico domino emptori
presenti et stipulanti et prò eius domini emptori servo tradet et manu-
tenebit et hoc ab omnibus et singulis persona personis comuni collegio
capitulo et universitate et a qualibet singulari persona et a qualibet
obligatione dominii et ipotece. In forma comuni et juris et secundum
jus et prout de jure quilibet verus venditor vero tenetur emptori. Et
item quod exonerabit et indempnem prestabit et conservabit prefatum
magnificum emptorem presentem et stipulantem et dictum servum ven-
ditum ut supra ab omnibus et singulis oneribus et impositionibus et a
qualibet vendicatione et etiam a qualibet revocatione in libertatem que
198 VARIETÀ
vellet vel posset aliqualiter fieri de dicto servo vendite ut s. per quem-
cumque personam et ut s. Et quod ponet et inducet positumque et in-
ductum manutenebit et deffendet prefatum Mag um Dm emptorem pre-
sentem et stipulantem ad corporalem possessionem et tenutam seu quasi
predicti servi venditi ut s. et prout s. eum servum dans ex nunc tra-
densque prefato magnifico domino emptori in eius domo habitationis ut s.
dimittens.
Et quod faciet attendet observabit adimplebit et executioni mandabit
versus ipsum prefatum dominum emptorem omnia singula ea que debet
et ad que tenetur de jure et ex natura iiuiusmodi contractus, et hec
omnia suis venditoris propriis expensis dampnis et interesse et sine
expensis dampnis vel interesse prefati D.n» emptoris quas et que ei
D.no emptori presenti et stipulanti in omnem casum et eventum resti-
tuere promisit et promittit obligando proinde se ut s. et prout s. Quam
quidem venditionem et datum et predicta omnia et singula fecit et facit
dictus D.s Johannes venditor prefato M.co D.no emptori presenti et sti-
pulanti prò precio et merchato ducatorum quatuordecem auri et in auro
valoris ad computum librarum quatuor et solidorum undecem imperia-
lium prò quolibet ducato monete mediolani. Quos quidem ducatos qua»
tuordecem suprascripti valoris dictus venditor fuit contentus et confessus
habuisse et recepisse ac ibiJem presentialiter realiter et vere habuit et
recepit a prefato M.co D.no emptore presente et stipulante ac dante et
solvente prò piena et completa solucione et integra satisfacione precii
et valoris suprascripti Dionisii infantis servi venditi ut s. et omnium
et singulorum predictorum.
Reservando exceptionem dictus venditor non exceptorum et non
habitorum predictorum denarioram prò pieno et completa solutione ut
s. et spei future receptionis et habitionis et non facti et non celebrati
huiusmodi instrumenti sic et taliter ut s. et predictorum et infrascripto-
rum omnium et singulorum non ita actorum et factorum omnique pro-
batione et deifensione in contrarium. Et quod non possit dicere opponere
nec allegare se deceptum aut lesum fore in dimidia vel ultra dimidiam
Justi et veri valoris et pretii predicti servi. Et eum servum fore fuisse
aut esse majoris precii vel valoris precio suprascripto. Quod si forte
reperiretur tunc et eo casu et ex nunc prout ex tunc ex tunc prout ex
nunc idem venditor fecit et facit eidem M.co D.no emptori presenti et
stipulanti confessionem liberationem quietantiam absolutionem remis-
sionem et pactum perpetuum de non petendo et ulterius non agendo
ac donationem et per viam transactionis de toto ilio pluri et superfluo
precii et valoris suprascripti servi venditi remittens ex nunc idem ven-
ditor eidem d.no emptori presenti et stipulanti illud superfluum et plus
precium precio suprascripto etiam si foret in magna et in maxima
quantitate certificatus ut dixit de vero valore et precio predicti sèrvi
superius venditi. Que omnia et singula facta fuerunt sunt et fiunt eo
acto et pacto specialiter apposito et solempni stipulatione vallato et
firmato videlicet: quod si occaxione presentis venditionis vel conten-
VARIETÀ 199
torum in eo uUo tempore agi vel causari contigerit possit dictus ven-
ditor semper et omni tempore die loco et ubique et sub quibuslibet
dominis jusdicentibus vicario et auditore nedum dominii venetorum
sed etiam dominii ducis mediolani et etiam alibi realiter et personaliter
conveniri capi et detineri, licet ibi non esset eius proprium domicilium
non obstantibus aliquibus feriis nec dilationibus causarum nec aliquo
interdicto eorum. Reservando ex certa scientia sui fori privillegio et
omnibus statutis decretis provixionibus ordinibus et legibus dominationis
venetorum et omni jure quo seu quibus se thueri vel juvare aut exceptio-
nem declinatoriam fori et cuiuslibet alterius generis opponere posset.
Pro quibus omnibus et singulis per eum venditorem firmiter attendendis
observandis admittendis et executioni mandandis idem venditor con-
stituit se tenere et possidere vel quasi omnia sua bona presentia et
futura nomine prefati M.co D.no emptoris et prò eo. Ita quod casu pe-
tendi seu agendi adveniente liceat et licitum sit prefato m.co d.no emptori
per se vel alium vel alios eius nomine et prò eo. Et possit eius propria
auctoritate et etiam absque judiciaria auctoritate et sine servit[ore?]
banno vel nuntio aliquo et cum eis ubicumque invenerit de bonis et
rebus predicti venditoris ea bona et eas res robare contestare saxire
sequestrare occupare capere detinere possessionem intrare vendere et
alienare sibi estimari facere in solutum accipere et retinere usque ad
plenam et completam solutionem et integram satisfactionem omnium
predictorum et totius eius prò quo agi vel causari contigerit et expen-
sarum dampnorum et interesse littis et extra. Reservando omni accu-
sationi et denunciationi quam proinde dare vel facere posset,
Actum in domo habitationis prefati Mag.ci D.ni Gasparis Ambrosii
emptoris sita ut s. presentibus prò notariis Zanino de Turre filio D.ni
Antonii Porte Verceline parocchie S. Petri intus vineam et Baptista de
Capitaneis filio D.ni Antonii Porte Verceline parochie S. Petri supra
dossum, ambobus Mediolani notariis. Interfuerunt ibi testes D.s Ambro-
sius de Mantegatiis filius quondam D.ni Donati Porte Cumane parochie
S. Simpliziani Mediolani notarius, Johannes dictus passaretus de Ma-
zuchelis fihus quondam D.ni Donati habitans in terra Cassani Magnaghi
plebis Gallarate ducatus Mediolani et Blasius de Bernis filius quondam
Paulini porte Cumane parochie S.cti Simpliciani Mediolani omnes idonei
vocati et rogati.
Ego Johannes Antonius de Blanchis filius D.ni Johannis porte Ro-
mane parochie S. Andree ad murum ruptum Mediolani publicus im-
periali auctoritate notarius presens instrumentum rogatus tradidi et
subscripsi.
BIBLIOGRAFIA
Ignaz Philipp Dengel, Die politische und kirchliche Tàtigkeit des mon-
signor Josef Garampi in Deutschland [lyói-ijój], Geheime Sendtmg
zum geplanter Friedenscongress in Augsburg und Visitation des
Reichsstiftes Salem, Rom, Verlag von Loescher & C. (Bretschneider
& Regenberg) 1905, Druckerei des Kg]. Senats (Forzani & C), pa-
gine X-196.
Il dott. I. F. Dengel è, per chi non lo sapesse, altro dei membri
deir Istituto storico austriaco in Roma e con gratitudine che lo onora
si riconosce discepolo di quegli insigni uomini che rispondono ai nomi
di T. von Sickel e L. Pastor, benemeriti quanto illustri direttori di que-
r Istituto. Il libro fa onore alla ditta, diciamo così, scientifica, e rende
lusinghiera testimonianza alle egregie doti ed al buon metodo dell'au-
tore, che ha del resto già dato qualche saggio di sé, notantemente
nelle Comunicazioni {Mittheilungen) del sullodato Istituto, per incarico
del quale egli da anni lavora nel vasto campo delle nunziature di Ger-
mania. Dice egli stesso (p. vi) che il presente lavoro non è che un ri-
taglio nel materiale raccolto in parecchi anni di ricerche.
Si direbbe che la figura del Garampi riaffacciandoghsi dai tanti do-
cumenti compulsati ha esercitato suU'A. quei sentimenti di simpatia e
di ammirazione ch'ebbe già ad esercitare sui contemporanei. È infatti
una figura del più alto e svariato interesse. Gentiluomo, sacerdote, bi-
bliotecario della patria Gambalunghiana di Rimini, in relazione coi più
rinomati dotti del suo tempo, dotto egli stesso, massime nelle storiche
discipline, ammirato conferenziere in Roma, prefetto degli Archivi va-
ticani e loro infaticabile e in eterno benemerito ordinatore e scheda-
tore, autore di dotte memorie e ideatore operoso di una delle più co-
lossali opere storiche, V Or bis christianus, agente diplomatico e nunzio
pontificio, arcivescovo e cardinale, il Garampi potrebbe ben essere il
degno soggetto di una grande e bella monografia; e nessuno sarebbe
preparato a darcela meglio dell'A. che già del Garampi e di certe sue
eccellenti idee sulla Vaticana si occupava nelle accennate Mittheilungen
(XXV, pp. 297-322), ed ora (p. 8) promette come vicino a comparire un
altro lavoro dal titolo Garampi ed il suo Or bis christianus. Intanto
nella presente pubblicazione l'A. coglie e studia il Garampi in quello che
BIBLIOGRAFIA 20I
può ben dirsi essere stato per lui lo stadio di transizione dalla carriera
scientifica alla carriera diplomatica.
Nell'anno 1761, cessata finalmente la guerra dei sette anni, si li-
brava nel cielo diplomatico d'Europa il progetto di un congresso ge-
nerale per la pace da tenersi, dicevasi, in Augsburg. Era giusto e na-
turale che la santa sede pensasse a non rimanere estranea all' impor-
tante convegno, edotta da troppo lunga e dolorosa esperienza dei già
tanti congressi precedenti come i sovrani congressisti avessero ormai
presa l'abitudine di toccare e manomettere, coi diritti e gli interessi dei
principi minori, i diritti e gli interessi della Chiesa. Ma dopo il congresso
di Nimega (1676 1679) alla santa sede non era più riuscito di farsi rap-
presentare a' congressi succedutisi a Utrecht (1713), a Rastatt e Baden
(1714) ecc. da un vero e proprio nunzio, con carattere diplomatico uf-
ficialmente riconosciuto, ed aveva dovuto accontentarsi di agenti se-
greti, o come dicevasi, " ministri senza carattere „, che sorvegliassero
da vicino le sovrane adunanze e occorrendo sporgessero senza dilazione
le opportune rimostranze e proteste. Anche nel 1761, tornate vane le
pratiche per avere ad Augsburg un nunzio, si dovette pensare ad un
" ministro senza carattere „, e la scelta cadde sul Garampi. Gli ante-
fatti e i precedenti storici di questa scelta, sia riguardanti i meriti per-
sonali del Garampi che l'andamento generale degli avvenimenti, sono
dall'A. raccolti ed esposti con brevità e chiarezza del pari commen-
devoli. E com'egli, pur tenendo conto delle cose pubblicate, lavora di
prima mano e miete nel vivo dei documenti da lui stesso veduti e stu-
diati (le ricche note e l'appendice lo attestano) così gli avviene e di accre-
scere nuovo interesse alle cose già note, e di aggiungerne di nuove affatto,,
segnatamente intorno allo sviluppo delle nunziature e missioni diploma-
tiche della santa sede. Notevole, tra le altre cose, l' istruzione segreta di
Clemente XIII ai nunzi di Parigi e di Vienna (pp. 17-23); istruzione che
doveva formare il fondo di quella colla quale partiva per la sua mis-
sione il Garampi e della quale a lui stesso veniva affidata la redazione
(p. 32). Coir incarico principale relativo al congresso altri secondari ve-
nivano affidati al Garampi riguardanti interessi diversi e diversi luoghi.^
Questa circostanza con l'altra che le pratiche pel progettato congresso si
protrassero per ben due anni, fecero della missione del Garampi una co-
tale nunziatura volante, che gli diede occasione e modo di moltiplicare
con la sua attività le sue relazioni e la sua esperienza intorno alle cose
ed alle persone d'oltralpe. Il congresso andò in fumo, come si sa, e
gli altri incarichi vennero dal Garampi sbrigati con varia fortuna, come
VA. espone; ma grande, fu il vantaggio che da quella missione trasse
la santa sede, grazie alle simpatie dovunque destate dalle eminenti
qualità del suo agente, alle benefiche influenze da lui esercitate ed alle
preziose informazioni da lui trasmesse.
Ma bisognava pure che l'agente tenesse la sua abituale dimora, se
non nel luogo stesso del congresso, almeno nelle vicinanze, e bisognava
anche un manifesto motivo che la giustificasse in faccia al pubblico.
202 BIBLIOGRAFIA
Venne in acconcio un grosso affare disciplinare e giurisdizionale che
appunto in quel tempo svolgevasi in una delle più illustri e potenti ab-
bazie cisterciesi dell' impero, V imperiale, esente, consistoriale abbazia
di Salem o Salmansweiler immediatamente soggetta alla sede aposto-
lica e sita nella diocesi di Costanza con molte dipendenze al di fuori. Il
Garampi vi fu inviato visitatore apostolico ; questa missione doveva ser-
vire di velo all'altra, e lo svolgimento di essa forma il soggetto della se-
conda parte del libro (pp. 87-184). L'interesse ne è necessariamente più limi-
tato ; ma pur notevole, e perchè cosa quasi affatto nuova e per le copiose
e minute notizie che fornisce sulla vita interna di una grande casa reli-
giosa nel sec. XVIII, sulle relazioni tra casa e casa e col mondo esterno. E
qui l'opera del Garampi riusciva pienamente all' intento di pacificazione
e di riordinamento, così da meritare che nell'obituario di Salem il cenno
introdottovi a commemorazione del visitatore apostolico si chiudesse
con le parole : " aeterna Salemitanorum memoria dignissimus „.
Quello che dell'una e dell'altra missione del Garampi risulta meglio
che ogni altra cosa e che si impone come conclusione altrettanto in sé
luminosa che per lui onorifica, è il complesso profondamente simpatico
delle qualità affatto superiori di mente e di cuore che lo adornavano a
dovizia. Ingegno pronto e versatile, aperto ad ogni luce di vero da qua-
lunque parte venisse, sempre avido di viemeglio istruirsi e che in mezzo
alle brighe degli affari non mai dimentica la ricerca dei libri e dei ma-
noscritti ; ai quali tutti i momenti di tregua sono diligentemente dedi-
cati, per vedere i quali l'agente-visitatore intraprende rapide escursioni,
dei quali fa larghi acquisti, per arricchirne la privata biblioteca che la-
scerà ricchissima ; proclamando a voce ed in iscritto, nelle confidenziali
corrispondenze e nelle stesse relazioni d' ufficio, l' urgente bisogno di
promuovere ed accrescere l'istruzione e la cultura del clero italiano,
quale mezzo indispensabile per metterlo alla portata delle mutate cir-
costanze de' tempi. E quanto splendide le doti della mente altrettanto
amabili e preziose quelle della volontà. Coscienza e zelo del dovere a
tutta prova, un altissimo sentimento di responsabilità verso l'autorità
ed i grandi interessi rappresentati, una vita sacerdotale in tutto esem-
plare, una perfetta integrità di carattere, e con questo una prudenza
consumata, un tatto finissimo, uno spirito di pazienza, di longanimità
e di conciliazione veramente ammirabile, un insieme insomma da far
sembrare per nulla esagerato, benché sulla penna di un amico, l'elogio
che il Garampi giunto al vertice della sua carriera proclamava " il mo-
" dello perfetto di quegli antichi legati apostolici che hanno fatto tanto
" onore e tanto bene alla santa sede „.
Manca, se ben vedo, alcun- poco il libro di unità organica e di omo-
geneità. Sarebbe anche stato meglio, a mio avviso, riunire in una sola
sede ed ip un solo contesto le notizie sulla vita del Garampi prima e
dopo la duplice missione che é oggetto del libro, invece di dividerle come
fa l'A. L'ombra del buon Moroni, che si lusingava di avere col suo fa-
moso Dizionario supplito al mancato Oròis christianus del Garampi, mi
BIBLIOGRAFIA 203
sarà propizia se aggiungo, che il suo articolo sul Garampi stesso meri-
tava almeno un fuggitivo cenno. Aggiungerò anche che il nunzio Stop-
pani è sempre stampato per errore Stoppiani ; ma poi concluderò col
dire, come è giusto e doveroso, che il libro è bello e buono, due pa-
role che quant* a sostanza dicono tutto : e appunto per questo " parole
^' non ci appulcro „.
A. Ratti.
CoMTE DE HuBNER, Neuf ans de souvenirs ifiin ambassadeur d^Aulriche
à Paris sous le second Empire (iSji-iSsgi) publiés par son fils le
comte Alexandre de Hiibner, Paris, Plon, 1904, pp. iv-474.
Alcuni milanesi ancora viventi hanno conosciuto personalmente il
celebre ambasciatore austriaco. Questi ebbe qui nelle cinque giornate
una poco piacevole avventura e con molto brio e non minore maHzia,
narrò la prigionia che gli facemmo allora soffrire, nella prima parte
del suo interessante volume: "Un anno della mia vita „. Il frammento
autobiografico, che lumeggia con tanto calore la resistenza e la rivin-
cita del vecchio mondo austriaco burocratico-militare, si chiude con un
colloquio del giovine diplomatico col principe Felice di Schwarzenberg.
L'insigne uomo di stato, compiuto ormai il mirabile sforzo di trarre in
salvo intatta la monarchia dai flutti che sembrava dovessero sommer-
gerla, considerava con occhio vigile lo stato dell'Europa. Ben compren-
deva lo Schwarzenberg che né il vigore contenuto delle sue risoluzioni
nel ridare un assetto allo stato, né la spada inflessibile e cruenta di
Radetzky e di Windischgràtz e neppure la poesia di quell'alba d'im-
pero che sorgeva così tempestosa per un capo così giovanile, avrebbero
concesso di opporre durevolmente l'Austria all' Europa intera, L' affi-
darsi solo al potente alleato moscovita, che fiaccava appunto allora gli
eroici conati degli ungheresi, avrebbe condotto allo stabilimento d'una
dittatura russa a Vienna, della quale si scorgevano già fin troppo i
prodromi. Come la politica del principe Clemente tuttora esule e per
sempre spodestato, quella dei reggitori dell'Austria rinascente ritornava
a mirare ad una alleanza colle potenze occidentali. La rivoluzione
francese colle sue propaggini tenaci e svariate, diffuse nei Paesi Bassi,
in Ispagna, sul Reno, in Italia, era l' idra che terrorizzava da mezzo
secolo la cancelleria viennese. Per impedire a così terribile nemico il
predominio costante sulle genti latine e minarne 1' alleanza minacciata
qua e là col liberalesimo britannico, occorreva annodare i gabinetti oc-
cidentali in una trama tessuta a Vienna. Il patto suggerito dalle con-
dizioni dell'Europa, era stato stretto già nel 14, auspice il principe di
Talleyrand. E testé ancora, alla vigilia del 24 febbraio, Guizot, il mini-
stro del re illegittimo, ed il principe di Metternich, campione dell' as-
solutismo più austero, non camminavano di conserva?... L'intelligente
barone di Hiibner era fra i giovani diplomatici uno fra i più fidi e
204 BIBLIOGRAFIA
perspicaci discepoli del principe di Schwarzenberg; mandandolo quindi
a Parigi, il primo ministro poteva a buon diritto lusingarsi di vedervi
fedelmente seguito l' indirizzo che reputava vantaggioso per la monar-
chia austriaca. L'armonia era perfetta allora tra il ministro ed il suo
inviato. Durante tutto il 1851 Htibner assistette quindi fermo e calmo
allo svolgersi della lotta in Francia fra l'assemblea ed il principe pre-
sidente.
/ Ricordi ci offrono anzi un racconto assolutamente sincrono e
molto animato del colpo di stato del 2 dicembre. Guidata da così esperto
pilota, la cancelleria austriaca che ritornava ad avere il vento in poppa,
poteva guardare senza timore anche alla costituzione del nuovo impero
napoleonico ed alla sua ripercussione sui rapporti internazionali. Ma
il 5 aprile Felice di Schwarzenberg soccombeva ad un attacco apople-
tico, e nel suo successore al ministero degli affari esteri, il conte Buol^
l'Hubner s'accorse subito di avere un corrispondente meno benevolo
e sovratutto meno all' unisono con lui nel propugnare 1' alleanza con
Napoleone III. Il confronto fra i due ministri austriaci di diverso valore
viene continuamente alle labbra del povero Hubner, al quale Buoi, so-
spinto a sua volta dai gruppi russofili e militaristi di Vienna, rende la
vita amara. Anche agli osservatori imparziali che considerano da lon-
tano quegU eventi, sembra come all' ambasciatore austriaco a Parigi
una strana follia il porre in gioco la pace continentale per delle sotti-
gliezze nelle formule di riconoscimento dell'assunzione di Napoleone III
al trono. Uscita, bene o male, da quelle strette, la cancelleria austriaca
si trovò alle prese colla questione d'Oriente ogni giorno più minacciosa.
Resistendo alla pressione degli amici della Russia che aveva in casa,
l'Austria appoggiò le potenze occidentali nella loro azione energica
contro il dilagare del dominio moscovita. Ma, con un difficile e perico-
loso giuoco da equilibrista e traendo partito delle oscillazioni dei gabi-
netti di Parigi e di Londra, seppe destreggiarsi in modo da evitare di
scendere in .campo contro l'antica alleata del 1849. Anzi, a Vienna si
posero poi le basi della pacificazione. Però quell' eccessiva abilità, che
velava male esitazioni e timori, nocque all'Austria, secondo le previ-
sioni dello stesso Hiibner. Mentre questi non ebbe dapprima difficoltà
ad ottenere. garanzie per i possessi degli Absburgo in Italia, il mini-
stero piemontese guidato dal conte di Cavour con mano audace e sicura
riesci a soverchiare la prepotente nemica ed a prendere il suo posto
nella coaHzione anti-russa. Il Drouyn de Lhuys, partigiano dell'Austria,
dovette cedere il portafoglio degli esteri al conte Walewski. La nar-
razione dello svolgimento del congresso di Parigi, nel corso del quale
il conte di Cavour fece fare alla causa nazionale italiana passi più de-
cisivi di quello che l' Hiibner voglia ammettere, riempie le ultime pagine
del volume.
Ora ciò che mi preme di porre in luce è il contributo che quest?.
pubblicazione reca alla conoscenza della preparazione diplomatica della
guerra del 1859, ossia del riscatto delle provincie lombarde. Sono tocchi,
BIBLIOGRAFIA 2O5
vieppiù evidenti nel gran quadro della politica europea, che ho tentato
di fermare riferendomi alla trattazione dell' Hilbner ed al suo punto
di vista. Nel marzo 1851 si era sempre ai disegni di riorganizzazione
completa della monarchia austriaca inspirata a principi di rigido asso-
lutismo: le velleità minacciose di Napoleone III e la guerra d'Oriente
non erano ancora venuti a turbare i sogni che arridevano ai campior.i
di quel regime, che noi lombardi non possiamo considerare senza ri-
pugnanza per i suoi ricordi sanguinosi. AU'Hubner invece esso appa-
riva all'indomani del 1848 come un salutare rimedio alle agitazioni dei
popoli. Alla metà del marzo dunque egli fece una corsa a Bruxelles,
ove trovavasi il principe di Metternich. Fu dibattuta nelle conversazioni
dei due diplomatici l'idea sorta a Vienna ed ivi '• accarezzata „, dice
l'Hiibner, di far entrare l'intera monarchia austriaca nella confedera-
zione germanica. Tutte le terre governate dagli Absburgo, pertanto
anche la nostra regione, sarebbero state rappresentate, non è detto con
quali organi, alla Dieta germanica. Metternich fu reciso nell'opporsi al
disegno, dal quale temeva derivasse alla patria sua la perdita della
situazione di grande potenza europea. E trovò un'imagine espressiva
per formulare i motivi della sua opposizione. Paragonava l'Austria ad
una grande casa bancaria interessata ad una speculazione con una data
somma; così domina i piccoli capitalisti che vi hanno impiegato l'intero
loro patrimonio, giacché, ove l'impresa pericoli, essa può sperare di
salvare i fondi che vi ha collocato valendosi di quelli rimasti liberi.
Felice di Schwarzenberg sembrava invece caldeggiare il negoziato che
5i svolgeva a tale scopo tra Vienna e Berlino. Il governo francese
era impensierito delle trattative che invero avrebbero potuto giungere
alla costituzione di un " blocco „ solidale dal mare del Nord all'Adria-
tico. Hubner riteneva per altro che quel piano grandioso non avesse
alcuna probabilità di essere applicato e gli avvenimenti gli diedero ra-
gione.
L'ambasciatore austriaco, nella sua doppia qualità di funzionario e
di uomo di stato personalmente convinto dei danni delle libertà parla-
mentari e del principio delle nazionalità, attendeva con tatto e con vi-
gore a propugnare in Parigi stesso la causa alla quale era devoto.
Fermo qua e là alcuni tratti significativi : monsignor Sibour, arcivescovo
di Parigi, aveva scritto pubblicamente al de Tocqueville in favore degli
eroici difensori di Venezia, ma lo slancio generoso del prelato si era
intiepidito vedendo minare tutto quel moto. Da repubblicano si era
fatto imperialista. L'Hiibner, conoscendo queste disposizioni d'animo,
se ne giovò per condurre abilmente a Canossa il povero vescovo. Un
altro monsignore era a Parigi nell'estate del 1852, mescolato poco sim-
paticamente alla storia italiana di quei giorni, il Franzoni, arcivescovo
di Torino. L' Hubner lo conobbe nella grande casa franco italiana dei
Brignole, che per buona parte del secolo XIX occupò nella società di
tutta Europa un posto singolarissimo. Vi erano ancora, a quei tempi,
alcuni lombardi al servizio del sovrano loro imposto dai trattati di
206 BIBLIOGRAFIA
Vienna; fra gli altri quell'Alberto Crivelli, che alla fine del 1852 fìi
inviato alPHtìbner dal conte Buoi ed informò Tambasciatore, forse com-
piacendosene, della reazione che si disegnava a Vienna contro l'opera
dello Schwarzenberg ed i suoi più fidi cooperatori. La tragica giornata
del 6 febbraio fu nota a Parigi la sera dopo. Hubner ne fu avvertito
da Persigny che glielo sussurrò all'orecchio ad un ballo nel palazzo del
Lussemburgo. L'ambasciatore austriaco presso la corte napoleonica
considerò quella parvenza d'insurrezione così male organizzata come
un fatto in sé utilissimo alla causa dei nostri dominatori. Invero chi
vagheggiò quel moto e gli diede un principio d'attuazione mostrò una
singolare e dolorosa ignoranza dello stato dell'Europa a quel tempo.
Hubner scrisse tosto a Buoi che la notizia aveva suscitato nei colleghi
del corpo diplomatico parigino un senso di terrore favorevolissimo alle
mire austriache. La persistenza di un focolare rivoluzionario legittimava
la compressione. Ma il fine diplomatico aveva altri motivi di rallegrarsi..
Il 6 febbraio gli sembrava atto a porre Napoleone III al bivio tra l'ade-
sione al sistema opposto alle rivendicazioni nazionali e le simpatie ri-
voluzionarie. Egli sospettava, credo proprio a torto, che il nuovo mo-
narca francese avesse avuto parte nell'ordire la trama ed alludeva
maliziosamente, nella sua corrispondenza col Buoi, alle agevolezze che
avevano permesso al Mazzini di traversare la Francia per giungere nel
Canton Ticino. L'inviato austriaco non perdeva il suo tempo, e, profit-
tando della ripercussione immediata della giornata sanguinosa, incalzava
il governo francese, chiedeva a quel ministero un'attitudine esplicita,
per esempio un articolo in tal senso nel Moniteur, giornale ufficiale.
D'altra parte l'Htibner non sapeva capire come a Vienna si volessero
lesinare innocue cortesie all'imperatore Napoleone che vi era sensibi-
lissimo. Raccomandava di agevolare la situazione personale di un no-
stro concittadino intrinseco del monarca francese. A questi, un Visconti
(credo il marchese Giacomo Visconti Almi), Napoleone III aveva conferito
la croce della legion d'onore, ma al decorato occorreva l'autorizzazione
del governo Vigente allora in Lombardia per poterla portare. L'Hilbner
gli aveva suggerito di rivolgersi al governatore di Milano, ma non era
punto tranquillo sull'esito della domanda," ed insisteva nella sua corri-
spondenza con Buoi, perchè fosse evitata l'inutile scortesia all'impera-
tore. Il regime austriaco che dominava in quei giorni in Lombardia si
era fatto durissimo. Un cordone militare impediva le comunicazioni col
Canton Ticino; giacché da Vienna si tuonava contro la Svizzera, riparo
dei cospiratori, e si cercava di eccitare contro di essa il governo fran-
cese. Il conte Buoi tentò anzi dei passi presso il gabinetto inglese per
giungere ad un'intimidazione collettiva contro la Svizzera. Questa già
allora aveva caro quel comodo sistema di completo disinteressamento,
che continua ancor oggi a beneficio d'esuli di ben altra lega. Ma nel
1853 aveva diritto a tutta la simpatia, dando asilo ai nostri profughi
sfuggiti alle forche imperiali. Lord Palmerston e lord Aberdeen con
discorsi nel Parlamento declinarono le domande austriache.
BIBLIOGRAFIA 207
La reazione scatenata in Lombardia dai peggiori elementi del go-
verno austriaco creava ormai seri imbarazzi all'Htibner, che a questo
punto sembra quasi vergognarsene. Certo egli va a cercare nella rivolta
dell'opinione pubblica francese contro le esecuzioni di quell'anno terr -
bile gli strascichi di rivalità delle due politiche in Oriente. Il sequestro
sui beni dei patrioti lombardi, che fu una grande stoltezza del governo
austriaco, pare all'Htibner tardivo; e non credo fargli troppo onore
interpretando le sue riserve a Buoi come l'espressione attenuata di una
repugnanza intima. Accanto ai giustiziati altri patrioti si erano visti, per
graziosa commutazione di pena, condannati a lunghi anni di prigionia.
Vediamo il commento stesso dell'ambasciatore: " Dans un pays comma
" la France, où le crime de haute trahison est devenu impossible, parce
" que tout le monde a, plus ou moins, trempé, pendant soixante ans,
" dans des conspirations ou intrigues tendant à renverser le gouver-
" nement établi, on a de la peine à comprendre comment le gouver-
" nement autrichien envoie aux cachots pour vingt, seize, douze ans de
" réclusion, des individus dont il exalte les vertus privées, la conduite
" exemplaire, le caractère honorable etc, dans l'acte méme qui les
" condamne „. La stampa devota al secondo impero era all'unissono
cogli spiriti più indipendenti nel biasimare metodi di governo che si
indovinavano da simili commutazioni di pena. Il Journal des Débats,
che l'Htlbner riconosce inaccessibile alle influenze del governo, contri-
buiva efficacemente a sollevare l'opinione pubblica.
Alla fine di maggio il duca di Genova visitò la corte francese.
L'Hùbner nota nel suo giornale le feste a cui quella visita diede occa-
siene, ma soggiunge ch'egli ebbe accoglienza calorosa solo dalla Corte.
Il complicarsi della questione d'Oriente alla fine del 1853 mise di
nuovo alle prese le potenze occidentali coll'Austria riguardo alla politica
di quest'ultima in ItaHa. Napoleone III, conversando coU'ambasciatore
inglese a Parigi, lord Cowley, disse, sia pure con qualche riserva, che
se l'Austria fosse a sua volta venuta ad una guerra aperta colla Russia,
la Francia, avendo alleato l'imperatore Francesco Giuseppe, ne avrebbe
tutelato i domini itaHani. Ah! come poco seppe giovarsi la cancelleria
viennese di quelle disposizioni superstiti in Francia anche dopo le atro-
cità delle repressioni in Lombardia 1 Gettando uno sguardo al corso del-
l'annata nel chiudere questa parte del suo giornale, l'Hùbner ritorna a
considerare il 6 febbraio e la poHtica imperiale che vi tenne dietro. A
mente più calma e libero dalla spiacevole polemica provocata da quegli
atti nei paesi più civili dell'occidente, l'ambasciatore, fine anch'egli e
perspicace, è più severo contro il governo militare di Milano. Ne fa
risalire la responsabilità, piuttosto che al vecchio maresciallo Radetzk}^.
ai " generali che governano per lui „. Accusa i fratelli Strassoldo di ne-
gligenza, e non si perita a biasimare, con franchezza rara in un fun-
zionario austriaco di quei tempi, " des mesures de rigueur qui, en
" grande partie, frappaient des innocents „. Secondo l'Hùbner fu solo
in quell'occasione che Francesco Giuseppe conobbe i difetti della gè-
208 BIBLIOGRAFIA
stione delle provincie d'Italia affidata al Radetzky, e vi pose qualche
riparo.
L'HUbner era instancabile nella sua lotta contro i principi rivolu-
zionari che temeva riacquistassero potere sull' animo di Napoleone III.
Ad un grande ballo alle Tuileries l'imperatore palesava il suo contento
per l'approvazione che gh veniva da vecchi campioni della politica
^conservatrice, quali Metternich e Wellington. E subito il vigile diplo-
tnatico approfitta del quarto d'ora per sospingere il suo augusto inter-
locutore ad atti che intimidiscano i riformatori italiani. Ottiene infatti
presto un comunicato del Moniteur: " Se le-bandiere dell'Austria e della
■" Francia ondeggiano a fianco in Oriente, si cercherebbe invano di se-
^* pararle sulle Alpi „. Napoleone III prediligeva le conversazioni serie
annodate ne' ritrovi mondani. Al ballo che seguì per caso la comparsa
di quell'articolo anti-italiano, l'imperatore corse incontro ad Hubner
chiedendogli se fosse soddisfatto. Lo era il sottile gentiluomo austriaco,
ma volle insinuare nelle sue espressioni di compiacenza accenni che
potessero avere il valore di monito e di riserva. " Un anno fa, sire,
^' gH rispose, foste riconosciuto in apparenza, ora lo siete in sostanza,
" poiché avete compiuto la vostra rottura colla rivoluzione „. Decisa-
mente il gabinetto francese si stringeva a quello di Vienna, sperando
averlo compagno in Oriente. Il 2 marzo 1854 V Hubner poteva no-
tare nel suo giornale d'aver avviate trattative per una convenzione
speciale che avvinceva la politica francese all'austriaca in Italia. L'Au-
stria poteva cantare vittoria e lo stesso Hubner , nel viaggio che
fece in patria nel maggio, fu colpito, quasi spaventato, dal vedervi
il partito militare ed intransigente pavoneggiarsi in trionfo. Windisch-
gràtz, Jellacic, Schlick ed i giovani animosi che facevano corona a
Radetzky, recarono, senza volerlo, un gran danno alla monarchia col
loro parteggiare per la Russia. Intanto, non senza molte oscillazioni,
generate a Vienna e riflesse a Parigi, alla fine di novembre fu accettata
da Napoleone la convenzione che garantiva lo statu quo in Italia per
ia durata della guerra. Però l'indomani della firma della convenzione,
Drouyn de Lhuys annunciò all'Htibner l'ingresso della Sardegna nella
alleanza anglo-francese e l'entrata in campagna di un contingente pie-
montese. Ormai il conte di Cavour aveva sorpassato il rivale che sem-
brava tener in pugno la vittoria. L'ampiezza del fecondo programma
cavouriano di politica estera è lumeggiata invero da queste memorie
di un grande avversario, sì da rinnovare nel lettore italiano un senso
di convinta gratitudine. Mentre ventimila italiani, guidati dal tricolore
sardo, attaccavano con gloria il colosso moscovita, gli ufficiali austriaci,
accampati nelle nostre terre lombarde, acclamavano alla vittoria russa.
Quei giannizzeri di Radetzky erano la disperazione del povero Hiibner.
Non contenti di applaudirne i nemici, quei mihtari imprudenti insulta-
rono Napoleone III nei fogli ufficiali del paese. Era forse l'istinto che
li spingeva fatalmente a porsi in opposizione con tutti i sentimenti delle
popolazioni lombarde? Vi erano bene alcuni sudditi italiani dell'impero
BIBLIOGRAFIA 209
disposti ad accogliere un modus vivendi col governo oppressore, se
questo avesse mutato metodo. Ma la buona fortuna d'Italia volle che
gli austriaci pensassero a mettersi per quella via troppo tardi, quando
ormai i patrioti intransigenti erano sicuri del consenso di pressoché
tutti i cittadini. L'Hiibner, che già nel suo libro sul 1848 si palesò
fautore della politica del conte di Hartig conciliante verso gl'italiani,
fece del suo megUo per adunare qualche persona autorevole e temperata
intorno al vacillante trono lombardo-veneto. Vedeva a Parigi il duca
Lodovico Melzi; lo presentò a Napoleone III alla fine del 1855. Nel
gennaio seguente col duca di Galliera si posero le basi dell'impresa
per le ferrovie lombarde, che furono forse il miglior risultato della
fuggevole meteora di governo illuminato che traversò quel durissimo
decennio di dominio austriaco (i).
Al congresso di Parigi del 1856 e, sopratutto nelle memorabili se-
dute dell'aprile, il conte di Cavour d'accordo col conte Walewski e ,
con lord Clarendon affrontò, come è noto, la questione italiana, estra-
nea, per dire il vero, alla questione d'Oriente. Per ottenere più largo
consenso fra i colleghi adunati in congresso e dinanzi all'opinione
pubblica europea, Cavour parlò dello stato pontificio e di Napoli, ove
gli abusi erano piia gravi ed evidenti, piuttosto che della Lombardia
retta dall'Austria con crudeltà non scompagnata da un'amministrazione
regolare. Htlbner, severo, direi ingiusto per Cavour, lo accusa di avere
lavorato indirettamente ai danni dell'Austria, non prendendola di fronte
che nella seduta dell' 8 aprile. Prima che si chiudesse l'anno, Francesco
Giuseppe concesse un'amnistia e tolse il sequestro dai beni dei profughi
lombardi. Napoleone ne parve contento ed Hiibner aveva ragione di
credere ancora al 31 dicembre 1856 che una politica di riforme e di
concessioni in Lombardia vi avrebbe reso il dominio degli Absburgo
tollerabile agli occhi dell' imperatore francese.
Tutte queste complicate vicende diplomatiche sono esposte dal-
l' Hiibner con uno stile chiaro ed animato. Il libro conserva il carattere
originale di diario, e molte osservazioni argute, caustiche talvolta, cre-
scono varietà al racconto. Non solo i prodromi della lotta decisa nel 1859
ed i fasti del dominio austriaco fra noi vi sono ritratti con singolare
compiutezza, in quanto si ripercossero sulla vita dell'ambasciatore di
Francesco Giuseppe a Parigi. Parecchi lombardi vi figurano come sem-
plici personaggi mondani; al quadro della vita italiana di quel tempo
non mancano i tocchi riguardanti la musica ed i nostri artisti, dei quali
r Hiibner era vecchio ammiratore.
Giuseppe Gallavresi.
(i) Vedi le notizie esatte, attinte a fonti dirette quali l'Archivio di casa
Melzi, che don Giovanni Visconti Venosta dà intorno a quell'impresa ne' suoi
Ricordi di gioventù, Milano, 1904, L. F. Cogliati.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. VII. 14
2IO BIBLIOGRAFIA
BaronìNe du Montet, Souvenirs, Paris, Plon, 1904, pp. viii-509.
Il sistema di governo, accolto ed attuato nell'impero austriaco ai
suo apogeo e cioè ad un dipresso dal 1814 al 1860, è ormai lungi dai
nostri sguardi, e non credo possa eccitare rimpianti. Il rigore col quale
quel regime si sforzò di vivere si ritorse poi contro di lui per l'asprezza
degli attacchi che gli vennero da ogni parte. In Lombardia sovrabbon-
davano gli elementi per un terribile atto d'accusa contro quella politica
opprimente e feroce, ed appena saprei indicare il libro recente del Tor-
resani, ormai quasi straniero alla nostra terra, come saggio di una
tendenza alla rivendicazione. Ma quel governo non recò danni solo a
noi ed anche altrove fu vigorosamente chiamato al tribunale della pub-
Jblica opinione. Gli accusati si difesero : per non parlare degli scritti
emanati dai circoli militari e segnalati via via al pubblico italiano da
Alessandro Luzio, abbiamo le monumentah memorie del principe di
Metternich. Il figlio del cancelliere con tatto ed acume impresse a quella
pubblicazione un carattere di grande sincerità, presentando senza riserbo
il celebre statista quale appare nelle sue più dirette manifestazioni, let-
tere, diari, riflessioni intime. L'opera del principe Clemente non poteva es-
sere più abilmente difesa. Nondimeno, sia in questi nove grossi volumi,
sia nel piacevole ed urbano diario dell'Htìbner, già da vivo prudente ed
efficace interprete parigino della politica aulica, noi ci troviamo di fronte
ai primi attori che, quasi involontariamente, si pongono nella luce più
favorevole al loro partito. Preziosa è pertanto una fonte come questa
offerta dai ricordi di madame du Montet, gran signora che non fece
mai personalmente della politica ed anzi ne ebbe sempre orrore. Essa
visse nel mondo legittimista più puro ed autentico, appartenendo, grazie
a suo marito, a quell'aristocrazia lorenese che servì così fedelmente la
casa regnante trapiantata a Vienna. L'ardente desiderio di contribuire
a domare la- rivoluzione gettò dalla prima giovinezza in una condizione
difficile e precaria il barone Giuseppe de Fisson du Montet che, come
molti suoi commilitoni, cominciò col fare le campagne dell'emigrazione
e fini per essere legato ad un esercito straniero in guerra contro la
Francia, ormai pacificata. Napoleone era implacabile per coloro che con
tale condotta eransi esposti a' suoi occhi alla taccia di traditori. Il du
Montet arrischiò la sua testa per mantener fede ai principii legittimisti,
ai monarchi di Francia e d'Austria ai quali era devotissimo, identifi-
cando la causa di entrambi nell' indefessa opposizione al nuovo governo.
Dalla Francia, che rimaneva per quasi tutti quegli emigrati l'oggetto di
un culto nostalgico e della quale andavan fieri di mantenere le civili
tradizioni, venne al proscritto una graziosa sposa. Alessandrina Prévost
de la Boutetière de Saint Mars. Questa, di chiara stirpe di Vandea,
aveva pure passato la prima gioventù nell'emigrazione ed era stata edu-
cata a Vienna. Dal 1810, data del suo matrimonio, essa visse ancora
BIBLIOGRAFIA 211
per una quindicina d'anni in Austria, molto in favore a corte e nell'alta
società. Anche quando seguì il marito, al quale era affezionatissima, nel
rimpatrio, rimase a Parigi ed a Nancy in continui rapporti col vecchio
mondo viennese, della generazione che aveva applaudito ai trattati
del 1815.
Morì in Lorena, più che ottantenne, l'anno 1866, conservandoci, nelle
sue memorie, che hanno sovente la sconnessione e pressoché sempre la
spontaneità del diario, una testimonianza fedele ed indipendente di quel-
l'aristocrazia austriaca che fu spesso strumento del dominio imperiale
sul nostro paese. Le notizie riguardanti cose italiane, e particolarmente
lombarde, abbondano nel volume che, sopratutto, ci presenta, da un
punto di vista per noi nuovo, quei detestati padroni d'un tempo.
Nel convento della Visitazione la piccola de la Boutetière, nipote
del futuro cardinale de la Fare, allora rappresentante di Luigi XVIII a
Vienna, fu educata insieme ad alcune arciduchesse. Molte di quelle gio-
vani di casa Absburgo andarono spose a principi italiani, servendo an-
ch'esse, talora inconscie, ad ambiziosi disegni. I ricordi della piccola
francese si riportano, soprattutto, verso l'arciduchessa Clementina che
reputò sacrificata alla politica ; andata sposa al duca di Calabria (poi
Francesco I re delle Due Sicilie) essa morì giovanissima lasciando
un'unica figlia, la duchessa di Berry. Maria Teresa, nata principessa
napoletana, seconda moglie dell'imperatore Francesco, di carattere biz-
zarro e non avvezza a conservar il dominio di sé stessa, aveva resa
alquanto dura la vita dell'arciduchessa Clementina. Così pure osò, pres-
soché sola in quel tempo di universale e legittima compassione per la
disgraziata principessa, trattare senza riguardo la figlia superstite di
Luigi XVI, quando arrivò a Vienna. Madame du Montet lamentava
nella sovrana un fondo di gelosia per le persone che piii di lei eccitas-
sero le generali simpatie; la giudicava capricciosa, dedita a futili oc-
cupazioni ed a divertimenti volgari.
Antichi vincoli univano alla Lombardia il gruppo di famiglie pa-
trizie stabilite in Lorena dal XVI secolo, avendovi seguito il duca
Antonio dopo la battaglia di Marignano. Tali erano le schiatte dei Lu-
nati-Visconti, dei Ferraris e dei Landriani. La suocera di madame du
Montet era appunto una Landriani ed in seguito ad un intreccio di pa-
rentele il chiaro nome dei de Fisson du Montet, antica nobiltà di toga, é
ora portato da quel ramo del vetusto ceppo lombardo di capitani (i). Il
conte Giuseppe Ferraris (1726-1814), salito nell'esercito austriaco al grado
di feld-marescialio, contemporaneo di Federico il grande e venerabile
rudere delle antiche glorie militari dell'Austria, era pure uno, dei più
vecchi amici della simpatica narratrice. Il marito di questa, barone du
Montet, aveva raccolto meritato plauso pel suo valore sui campi di
(i) Vedi per la genealogia della linea lorenese di casa Landriani F. Calvi,
Famiglie notabili milanesi.
212 BIBLIOGRAFIA
battaglia del Belgio e d' Italia. Alla vigilia del suo matrimonio aveva
secondato attivamente l'arciduca Giovanni, quando nel 1809 prese ardi-
tamente TofFensiva contro il viceré Eugenio.
Un intermezzo singolare nel racconto, che sempre s'aggira intorno
ai catnpioni del partito conservatore legittimista, è costituito dalla breve
alleanza di Napoleone I coll'Austria, suggellata dal matrimonio di Maria
Luisa. I tratti riguardanti questa sovrana abbondano nelle pagine dei
ricordi di madame du Montet. Tutto il mondo napoleonico ingombra
per un momento la scena, specialmente quando l' imperatrice dei Fran-
cesi soggiorna a Praga C1812). Vediamo con qualche stupore i piìi noti
personaggi del mondo ufficiale austriaco, come il conte .Ferdinando di
Bubna, affaccendarsi nel corteggiare il potentissimo imperatore. Ma non
è che una parentesi; la Restaurazione è vicina, col congresso di Vienna
che la consacra. Mentre il congresso si apre, muore la regina Carolina
di Napoli invecchiata da tempo e posta in un canto. La baronessa du
Montet si sforza di giustificarla delle " orribili esecuzioni „ del 1799,
che asserisce volute esclusivamente dall'Acton e dal Nelson. Come si
vede, i rigidi principi di difesa sociale non impedivano alla dama lo-
renese di udire la voce dell' umanità e della mitezza. Nelle feste del
congresso tutti sì additavano Eugenio Beauharnais, non ancor privo di
speranza di avere quella corona che pur si sarebbe meritata, colla
sua leale condotta nel 1814, Nel novembre di quell' anno madame du
Montet lo vide ad un veglione brulicante di principi reali. Eugenio
era sempre circondato da maschere eleganti e, poiché ne vide una
consegnargli un garofano rosso tosto occultato da lui, la baronessa
volle trovarvi l' indizio di un intrigo politico. Poi ella stessa si divertì,
sempre in maschera, a confondere il principe giovandosi di quanto sa-
peva dalle sue amiche Schaffgotsch, come è noto imparentate coli' ari-
stocrazia milanese. Madame du Montet, escendo da quella schermaglia,
giudicò il viceré uomo amabile e di fine educazione.
Dopo le feste i funerali : 1* imperatore aveva condotto l'imperatrice,
sua terza iilogHe, a visitare i nuovi domini d' Italia e la poveretta vi morì
il 7 aprile 1816. Era un'arciduchessa del ramo d'Austria-Este stabilito a
Milano nella seconda metà del settecento. Sua madre era quella princi-
pessa Beatrice, ultima degli Estensi, sposa dell'arciduca Ferdinando, che
aveva avuto la sua corte in Lombardia conservandone a Vienna qualche
elemento superstite, per esempio il Bondi (i). Madame du Montet am-
mirò molto quella vecchia principessa così signorile negli atti, vero tipo
della gran dama italiana d'altri tempi. Offriva una conversazione colta
ed interessante. Ma intanto, passato appena un anno, l'imperatore
(i) Ancor giovinetta Alessandrina du Montet strinse amicizia col poeta lom-
bardo, allora molto considerato, e stabilito a Vienna come bibliotecario dell'ar-
ciduchessa Beatrice. L'abate Bondi s'allietava della gaiezza della sua giovine amica
e conservò sempre dimestichezza coi du Montet
BIBLIOGRAFIA ' 213
Francesco si sposava una quarta ed ultima volta con Carolina Augusta
di Baviera.
La dama legittimista, della quale vado esaminando i ricordi, gli
occhi fìssi alla nostra regione, era sinceramente devota alla casa im-
periale d'Austria e ne ammirava le virtù familiari. Non aveva d'altra
parte ritegno nello stigmatizzare i costumi licenziosi della maggior
parte dei gran signori austriaci e di molti alti funzionari : fatto vero e
che ebbe pure la sua eJSìcacia nel condurre quel vieto mondo ad una
giusta rovina. La nostra narratrice non ebbe scrupoli nel ritrarre
senza misericordia gli stessi idoli dei legittimisti fra i quali teneva ad
essere ascritta. Pone in ridicolo il re Carlo Felice e sovratutto Ferdi-
nando I re delle Due Sicilie da lei spesso veduto a Vienna nel 1822.
Dapprima le era parso venerabile colla sua statura ed i suoi capelli
bianchi, ma presto lo trovò volgare ed -^ostinato; una storiella buffa che
canzona il vecchio sovrano come cacciatore per burla, ci fa ancora ri-
dere alle sue spalle. Madame du Montet si trovava dunque molto bene
a Vienna, pur giudicandola colla sua solita franchezza. Ci dà un quadro
sintetico della condizione di quella capitale verso il 1825, " Corte an-
" tica, nobiltà autentica, orgoglio ed albagia aristocratica, pregiudizi te-
" naci, lusso e magnificenza effettivi ; borghesia ricca, vistosa, ghiotta,
" metodica, criticona; popolo serio nella sua gaiezza e fino nelle sue
" danze, tranquillamente curioso, devoto non senza sensualità, fredda-
" mente maligno „. Spingendo uno sguardo nel futuro, la dama perspi-
cace prevede a ragione dei pericoli, sia nella smania di imitare gli
altri popoli, sia nell'eccessiva separazione delie classi. La morte di
Francesco II nell'inverno del 1835 aumentò il senso di disagio, abba-
stanza naturale vedendo finire un regno di quarantatre anni. Bisogna
tener conto di questo sentimento, che faceva quasi identificare l'esi-
stenza del vecchio sovrano colla fortuna della monarchia, per giudicare
serenamente l'emozione che traspare da queste memorie e dalle lettere
inseritevi di dame austriache alla morte d'un imperatore che a noi
appare sempre colpevole delle efferate repressioni dello Spielberg. Sor-
prende poi il trovare, anche in queste lettere, per esempio della con-
tessa Giuseppina d'LJgarte, un senso di viva inquietudine per l'agita-
zione degU animi in Austria, già a quel tempo. Si comprende così lo
scoppio violento del 1848.
Madame du Montet delinea pure, nel corso de' suoi racconti, ritratti
piacevoli e non sempre benevoli di personaggi che furono continuamente
sulla scena politica durante la dominazione austriaca in Lombardia nel
periodo anteriore al 1848. Uno di questi bozzetti è dedicato ai de Bom-
belles. Luigi, il primogenito, percorse una bella carriera nella diplomazia
austriaca ; nonostante la sua rilevante posizione ufficiale, madame du
Montet lo giudica " un uomo di spirito, un uomo di conversazione piut-
" tosto che un uomo d'affari „. Le vicende matrimoniali del secondo-
genito, Carlo di Bombelles, chiamato dalla sua buona o cattiva stella a
succedere al conte di Neipperg come gran maestro e marito morgana-
214 * BIBLIOGRAFIA
tico dell'ex imperatrice Maria Luisa, sono universalmente note. Ma la
baronessa ci informa di molte altre svariate e più antiche avventure
dell'ambizioso conte. Essa compiange Bombelles come un tempo quel
povero Neipperg. " Il generale Neipperg „ scrive " che aveva avuto
" la triste fortuna di sposare a sua volta Maria Luisa, ne è morto di
" noja „. Contrariamente alla leggenda bonapartista, madame du Montet
considera il prode soldato, " comandato „ per sedurre la fragile arci-
duchessa, come assolutamente sacrificato dal principe di Metternich alla
ragione di stato. Il suo carattere nobile, insiste la baronessa, era assai
superiore alla brutta parte che gli affidarono. Non sarei lontano dal
prestar orecchio a questa riabilitazione del Neipperg, ripensando alle
generose premure presso il suo imperiale quasi suocero in favore di
Federico Gonfalonieri.
L'imperatore Ferdinando, ben voluto dai Lombardi per gli atti di
clemenza che segnalarono l'inizio del suo regno, era per altro, secondo
rileva madame du Montet, alquanto scarso d' intelligenza, in conseguenza
delie sue cattive condizioni di salute; soffriva infatti d'epilessia. L'im-
peratrice Marianna, figlia di Vittorio Emanuele I, offriva invece un no-
bile esempio dell'alleanza delle più austere virtù con uno spirito colto
ed assennato. Del resto, come' è noto, la direzione degli affari generali
dell'impero rimase ancora per oltre un decennio affidata al principe di
Metternich. Quando Ferdinando ascese al trono, la baronessa du Montet
era ormai giunta al termine del suo soggiorno stabile in Austria, per
trasportarsi col marito malaticcio in Lorena.
Durante questo periodo della sua esistenza, i diari furono scritti a
preferenza nella stagione estiva, a Baden o ad Ems, allora ritrovo della
migliore società europea. Questa infatti ci sfila dinanzi, ritratta con una
analisi penetrante dalla simpatica scrittrice, che vieppiù s' indugia vo-
lontieri in considerazioni generali, inspirate dal gran mondo, non ri-
sparmiato certo troppo da quello spirito critico. Era però intimamente
persuasa della dignità e direi quasi del valore intrinseco dell'educazione
raffinata trasmessa in buona parte alle classi elevate dall'antico regime,
sì che deplorava la decadenza di quelle preziose tradizioni di gentilezza.
Ai bagni di Baden essa vide a lungo la vecchia marchesa di Laage,
già dama della disgraziata principessa di Lamballe. Le note che fer-
mano le conversazioni colla marchesa sono tutte un'attraente rievoca-
zione della corte di Luigi XVI.
Non mancano nemmeno in questa parte delle memorie, che pure si
riferiscono al tempo passato ormai lungi dalla corte di Vienna, accenni
interessanti a cose lombarde. A Baden nell'estate del 1839, è raccolta la
strana diceria che il principe Eugenio fosse Luigi XVII sottratto alla
prigionia ed allevato da Giuseppina. L'inverosimile voce era diffusa fin
nei salotti parigini.
Il generale barone de Vincent, già ambasciatore d'Austria alla corte
di Francia, ritirato nella sua terra di Bioncourt, rimaneva uno dei più
illustri ed amabiH amici dei du Montet, reduci anch'essi in Lorena. L'an-
BIBLIOGRAFIA ^15
tico diplomatico lasciò dei diari, dai quali madame du Montet, che ne
aveva avuto notizia dalla figlia di lui, estrae ricordi interessanti in-
torno ai negoziati di Campoformio, che, come è noto furono molto bur-
rascosi (i). L* intervento del celebre statista napoletano di Gallo ne sa-
rebbe diminuito, per la preferenza del generale Buonaparte in favore
dei negoziatori militari, più pronti ad operare, quale era allora il co-
lonnello de Vincent.
L'opposizione dei nostri sentimenti con quelli di codeste vecchie
dame legittimiste, pur così amabili e spiritose, non appare forse mai
tanto stridente come nell'ammirazione colla quale la contessa Teresa
di Chotek descrive all'amica di Nancy le onoranze funebri rese al ma-
resciallo Radetzky.
Accanto a questi riferimenti più diretti alla storia della nostra re-
gione, si potrebbero rilevare non pochi altri accenni a persone che ab-
biano rapporto colle nostre vicende. Parecchi lombardi attraversano
queste memorie, tipo quasi perfetto di quegli scritti, non rari nella let-
teratura francese, nei quali la grazia femminile imprime il suo fascino
agli stessi ricordi politici e la narrazione scorre facile, un poco slegata,
ma varia e piacevole alla lettura. Ricorderò solo il cardinale Vidoni, la
cui inesperienza della lingua francese dava occasione a buffi equivoci
contrastanti colla dignità e coi meriti del porporato ; e quel ricco rac-
coglitore Sommariva, la cui opulenza forse rimontava, poco simpatica-
mente, ai fasti del Direttorio Cisalpino. Appena si potrebbero lamentare
talune inesattezze, riflesso evidentemente inconsapevole di esagerazioni
partigiane, e qua e là un tono che ha dell'enfatico e guasta un poco
le assennate, fini osservazioni di cui la baronessa du Montet suol ador-
nare, soprattutto invecchiando, i suoi racconti.
Giuseppe Gallavresi.
(i) Ved. Napoléon I, Oeuvres de 5.^<? HéUne e Duca di Gallo, Memorie.
Veramente i fatti narrati potrebbero riferirsi anche a Leoben.
APPUNTI E NOTIZIE
/^ Un cimelio lombardo ricuperato. — Tra le tavole eliotipiche
illustrate nel to. I del testo di quella monumentale pubblicazione che è la
Paléographie Musicale dei Benedettini già di Solesmes ora di Appuldur-
combe (Wroxall) nell'isola di Wight {Bai. Mus., to. I, p. 119 sg,, Solesmes,
1889) ve n' è una, la XX, che porta questo titolo : Missale plenarium
ad usum monasterii SS. Petri et Caloceri O. S. B. dioecesis medio lanensis,
E il testo citato si compiace di illustrare il saggio " de ce beau Missel
" plenier „ come uno degli esempi, per altro numerosi in Italia, della
persistenza deiraccentazione musicale " in campo aperto „, come dicono
i tecnici, anche dopo che venne adottato il sistema delle linee. Ma una
noticina in calce dice : " Ce manuscrit appartient à M. Rosenthal de
" Munich „ ; figurò infatti fino a ieri negli splendidi e pepati cataloghi
del troppo noto libraio di Monaco. Di che si tratti è già detto, pur che
s'aggiunga trattarsi del monastero benedettino di Givate di un Messale
non ambrosiano, che sarebbe certamente per noi più pregevole, ma ro-
mano, con qualche variante però dal comune attuale, come dovrà anche
in fine di questa noticina essere ricordato.
Come mai il due volte venerando manoscritto dal monastero bene-
nedettino diS. Pietro sopra Civate andasse a finire non in America,
come fu detto, ma nelle mani del signor Rosenthal, non giova qui ri-
cercare : " habent sua fata libelli „. Quello che importa e che merita
di essere segnalato, si è che il pregevole cimelio è tornato fra noi, e
propriamente a Milano, e se non alla sua sede primitiva, a quella che
esso occupava alla fine del sec. XVIII, cioè nella insigne biblioteca
Trivulziana. Ne vanno rese lodi e grazie al generoso ed intelligente
coraggio di Sua Eccellenza il principe Luigi Trivulzio, il quale ha già
mostrato (e non con questo solo tratto) di stimare come si merita
quella parte preziosissima dell'avita e paterna eredità, come gli aviti e
paterni esempi viene emulando, con largheggiare di ogni agevolezza ai
dotti e studiosi di tutto il mondo, i quali sanno che, trattandosi di ri-
cerche a fondo, in non pochi argomenti non è prudente trascurare la
Trivulziana.
Del contenuto già da parecchi fu parlato, come può vedersi in questo
Archivio (XXIII, 1896, 11, p. 329, sgg.; XXV, 1898, i, p. 83); ne parla-
APPUNTI E NOTIZIE 21 7
rono pure e il nostro Fumagalli {Delle antich. longob, mil., voi. Ili,
pp. 120, 123) ed altri da lui citati ; e senza dubbio di nuovo se ne par-
lerà, secondo si merita la importanza e storica e liturgica del cimelio,
ora ch'esso è ritonato fra noi.
Qui pertanto non daremo che una sommaria descrizione del codice. È
un ms. membranaceo di 0.258X0.170, con carte scritte 322 numerate di
fresco nel retto de* fogli. I fogli 1-8 e 316-322 sono cartacei e, salvo alcuni
bianchi, scritti da don Carlo Trivulzio, ben noto lui e la sua mano ai
frequentatori della Trivulziana, poiché quasi in ogni codice ricompare
con note attestanti la sua studiosità ed anche la sua cultura. Un'altra
numerazione (dei secc. XVI-XVII) va dal moderno fogl. 17 al fogl. 311
(i 292); un'altra ancora più antica (secc, XIII-XIV) va dall'attuale fol. 26 v.
al 226 v., segnata in numeri romani nel margine esterno del verso di
ciascun foglio (I-CCI).
La legatura è del sec. XVI, in assicelle ricoperte di cuoio rossa-
stro con lievi e semplici impressioni a secco.
Il fogl. I non ha che il titolo, in maiuscoletto abbastanza elegante
del sec. XVIII : " Missale | saeculo XI exaratum | ad usum | Mona-
" sterii I SS. Petri et Caloceri de Clavate | Ordinis S. Benedictis | Dio-
" cesis Mediolanensis „.
I fogli 9-16 (un giusto quaderno) sono occupati dal Calendario, dove
la stessa mano che numerava i fogli nei secc. XVI-XVII esponeva in
margine la piià parte dei nomi de' santi e delle feste coi rispettivi nu-
meri dei fogli da essi occupati nel volume.
I fogli 17-23 (che costituiscono un quaderno imperfetto 3-4) contengono
orazioni (l'ultima mutila) e benedizioni dell' istessa mano predominante
nel Calendario, il quale, come di solito, ha .evidenti tracce di parecchie
mani. Né la mano del Calendario è quella stessa del Messale, ma un
poco più recente, e nel Messale stesso parecchie mani intervengono,
sebben contemporanee.
II fogl. 23 (già 7) nella formola della professione monastica ha fra
l'altro: " Ego frater ille promitto stabilitatem meam in hoc mona-
" sterio quod dicitur clavate, quodque est constructum in honore beati
" Petri Apostoli et sancti Caloceri mart „.
I fogli 24-27 (formanti un duernio a sé) hanno il Canone della Messa
ma mutilo da principio, cominciando al fogl. 24 colle parole : " per Je-
" sum Christum filium tuum dominum nostrum supplices rogamus et
" petimus.... „. Finisce al fogl. 26 v. linea 4.* colle parole: " Agnus dei
" qui tollis peccata mundi miserere nobis „ ; dopo di che segue senza
intervallo la rubrica : " Incipiunt orationes mensis X. Dm. prima de
" Adventu „.
I fogli 28 e 29 non sono uniti fisicamente fra loro, ma neppure pre-
sentano lacune nel testo, ed in calce al fogl. 29 v. si vede la segnatura I
del quaderno destinato già ad essere il primo : seguono poi allo stesso
modo in fine a ciascun quaderno le segnature II-XXXVI, con i quaderni
pieni e regolari, tranne il XXXVI dal quale furono già prima del se-
2l8 APPUNTI E NOTIZIE
colo XVII tagliati fuori due fogli tra gli attuali 290-291 producendo la
corrispondente lacuna nel testo.
Seguono quattro fogli uniti artificialmente pei margini, e con questi
finisce il Messale.
Gli ultimi 4 fogli pur membranacei (312-315) furono aggiunti da don
Carlo Trivulzio, segnati A, B, C, D e con la nota: " non appartengono
*' al medemo. Io li ho qui uniti a riflesso che il Libraro che mi ven-
^* dette il Messale mi diede anche questi fogli da lui presi in Como da
" quella stessa persona da cui acquistò il Messale. Tali fogli sono an-
" ch'essi d'un Messale. L'opposta parte del f. segnato B è stata abrasa
" sino dal principio del sec. XIII per sostituirvi l'orazione: A cunctis
" nos quaesumus Domine, preghiera composta da Innocenzo terzo che
^' resse la Chiesa dall'anno 1198 al 1216 „; e nota don Carlo che nella ora-
zione stessa fu introdotto il nome di S. Eufemia, donde risulta che il
Messale fosse in uso nella diocesi di Como in chiesa dedicata alla santa.
Nei seguenti fogli cartacei sta il Canone della Messa romana in
minuta istampa del sec. XVIII con larghi margini riempiti di note da
don Carlo Trivulzio con prefisso questo titolo che dice abbastanza:
" Canone della Messa Romana con i numeri indicanti i luoghi dove
" si riscontrano le varietà del Canone del presente Messale di Civate
" qui in appresso notate nel margine „. Credo la stampa fatta apposi-
mente preparare da don Carlo.
Ricca e bellissima in tutto il Messale la notazione neumatica. Sono
pur copiose le rubriche e le iniziali rosse in bei caratteri grandi di
varia scrittura. Distinte ed eleganti iniziali occorrono nei fogli 26 v., 37,
169; 174, 220, 228, 230 V., 252 V. ; furon tagliate fuori da mano vandalica
quelle dei fogli 180 e 196. Questo e le accennate lacune del testo e le ir-
regolarità de' quaderni dimostrano meno esatto quanto dice il Catalogo
del signor Rosenthal, che, accennata la mancante iniziale del fogl. 180,
chiude l'annuncio del nostro Messale con le parole: " C'est la seule
^' imperfection de ce code „.
Accompagna il volume descritto un altro delle stesse dimensioni e
d'un centinaio (tra scritte e lasciate in bianco) di pagine cartacee in
gran parte di mano di don Carlo Trivulzio, in parte ancora di una bella
mano contemporanea, col titolo : " Osservazioni sopra d'un Messale
" benedettino Mss.*° appartenente al Monastero di Civate posto nella
" Diocesi di Milano coll'aggiunta di ciò che concerne l'antichità del su-
" detto Monastero. MDCCLXIII „. E basti il titolo; che descrivere mi-
nutamente il contenuto del libro non sarebbe abbastanza breve per
questo appunto già lungo, e potrà forse fornire materia per un appunto
futuro.
A. R.
^% Due matematici cremonesi del sec. xv: fra Leonardo de An-
TONii e maestro Leonardo Mainardi. — Nell'anno 1902 il prof. Massi-
miliano Curtze di Thorn, valentissimo cultore degii studi matematici,
APPUNTI E NOTIZIE 219
dava alla luce, giovandosi d'un codice da lui rinvenuto nella biblioteca
di Gottinga, la versione italiana, eseguita sullo scorcio del sec. XV (anzi
precisamente Tanno 1488), d'un trattato di agrimensura, intitolato Artis
metrice practice compilation eh* egli, fondandosi sopra Tautorità di Fran-
cesco Arisi, ben noto autore della Cremona litterata^ non esitava a de-
signare quale fattura d'un celebre medico matematico cremonese del'
l'ultimo quattrocento, Leonardo Mainardi (1), La pubblicazione accurata
del Curtze, che portava per la prima volta a conoscenza degli studiosi
l'opera dimenticata di uno scienziato lombardo, parve a noi meritevole
di venir segnalata in q^q:^'^ Archivio ; il che facemmo tanto più volontieri
in quanto ci si presentava il destro di dare notizia dell'esistenza d'un
terzo codice dell'operetta originale di Leonardo, conservato nell'Am-
brosiana, del quale il Curtze non aveva avuto sentore. La noterella, da
noi qui posta alla luce (a. XXIX, i, p. 492 sg.), fu qualche tempo dopo
integralmente riprodotta nel Bollettino di bibliografia e storia delle scienze
matematiche, con tanto amore diretto dal valoroso nostro collega ed
amico, prof. Gino Loria (a. VII, gennaio-marzo 1904, p. 26 sgg.).
Mentre dal canto nostro si cercava così, molto modestamente, di
rinverdire la fama del matematico cremonese, esso rinveniva un patrono
ben pila valido e chiaro nella persona dell' illustre prof. Antonio Favaro
dell' Università di Padova, il quale addì 31 gennaio 1904 presentava al-
l'Istituto Veneto una comunicazione intitolata: " Intorno al presunto
" autore della Artis metrice practice compilatio edita da M. Curtze „ (2).
In questo suo diligente scritto il Favaro, dopo aver inviato un pensiero
affettuoso alla memoria del Curtze, spentosi immaturamente pochi mesi
prima (3 gennaio 1903), tornava a passare in rassegna tutto il mate-
riale, di cui il matematico tedesco s''era giovato per il suo lavoro sulla
Compilatio ; dava minute descrizioni del codice di Gottinga che con-
tiene la versione della Compilatio stessa, edita dal Curtze, dei due co-
dici già Boncompagni, ora in possesso d'una libreria antiquaria di Mo-
naco, che racchiudono il testo latino originale dell'operetta di Leonardo;
accennava all'esistenza del codice dell'Ambrosiana ; riproduceva infine
di nuovo il paragrafo della Cremona litterata dedicato al Mainardi ed
anche il contenuto (insignificante, a dir vero) d'alcune schede del Lan-
cetti relative al Mainardi, conservate presso la biblioteca di Cremona.
Finita la rivista, egli veniva a conchiudere come tutto concorresse a
(i) Die « Artìs meir'tct practice compilatio » des Leonardo Mainardi aus
Cremona in Ahhandlung. ^ur Gesch. der mathem Wissenschaft. ^cc, XIII Heft,
Leipzig, 1902, II Theil, pp, 3-39 sgg. Mi sia concesso confessar qui eh' io non
ho mai potuto capire perchè il Curtze, avendo avuto a propria disposizione i
codici contenenti il testo originale latino della Compilatio, abbia preferito darne
invece alla luce una versione, che non ha in sé pregio veruno!
(2) Ved. Atti R. Istituto Veneto, to. LXIII, par. II, p. 377 sgg. Nelle cita-
zioni io mi valgo dell'estratto.
220 APPUNTI E NOTIZIE
rendere oltremodo probabile che la Compilatio fosse opera d' un mae-
stro cremonese per nome Leonardo ; ma nulla giustificasse l'asserto
dell'Arisi, che questo Leonardo fosse da identificare con quel Mainardi,
ch'egli diceva fiorito nel 1488. Lo scetticismo del Favaro traeva origine
da talune osservazioni del prof. Enestròm, una delle quali non ha va-
lore, perchè prodotta da equivoco di persona ; ma l'altra si : e questa
consiste nel rilievo che uno de' codici della Compilatio, già posseduti
dal Boncompagni, vedesi assegnato nel Catalogo del Narducci al sec. XIV.
Or si può anche ammettere che il ms. non sia proprio del sec. XIV,
ma non pare credibile che il Narducci errasse a tal segno nel giudicare
dell'età di un codice (egli che ne aveva veduti e descritti tanti !) da at-
tribuire al trecento un ms. che spettasse invece alla fine del quattro-
cento ! Il dubbio che l'Arisi avesse quindi confuso col Mainardi un altro
matematico cremonese d'egual nome, ma vissuto assai prima, appariva
legittimo. Ed a tramutarlo in certezza giunse poi il rinveniiflento in un
codice della Laurenziana di Firenze, di due scritti di materia astrono-
mica e geometrica, che portano entrambi in fronte il nome di un " Frater
" Leonardus de Antoniis de Cremona, ordinis minorum bacalarius „, il
quale li avrebbe dettati in Bologna negli anni 1404-1405 (i).
Ecco dunque un altro Leonardo da Cremona, versato nelle scienze
matematiche ed astronomiche, il quale ha fiorito sugli inizi del sec. XV.
O non sarà costui l'autor vero del libro che l'Arisi volle assegnare al
più tardo Mainardi ?
Una risposta piena e soddisfacente a codest'interrogazione ci è stata
pur testé off'erta dalla solerzia del prof. Favaro in una nota impressa
nella Bibliotheca Mathematica di Lipsia ed intitolata : " Nuove ricerche
" sul matematico Leonardo Cremonese „ (2). Intento precipuo del no-
vello scritto è discorrere di una collezione d'opuscoli matematici, messa
insieme nel primo decennio del cinquecento da un Bernardino Alieri
da Cremona, notaio, ragioniere del comune, ed anche poeta, non ignoto
ai nostri studiosi (3). Ora nella raccolta dell'Alieri occupa.no luogo ad-
(i) Il cod. Laurenziano è il 212 dei mss. provenienti da S. Marco, membran.
del sec. XV. Il primo scritto dell' Antonii vi si legge a e. 133 a ed è preceduto
da questa rubrica : « Frater Leonardus de Antoniis de Cremona ordinis minorum
« bacalarius bon. compegit 1405 ». Di qui risulta che il frate nel 1405 studiava
a Bologna.
(2) Biblioth. Mathem., Zeitschr. fùr Gesch. der mathem. Wissenschaft., Ili
Folge, 5 Band, 1905, p. 326 sgg.
(3) La miscellanea, compilata dall' Alieri, e formante oggi il ms. Fonds
Latin 7192 della Nazionale di Parigi, comprende oltre agli scritti di Leonardo,
una interessante corrispondenza di carattere scientifico tra il cremonese Giorgio
Fondulo, ed il pavese Paolo da Frezo, dove si parla molto delle opere di Leo-
nardo e si tessono somme lodi della sua dottrina.
Di Bernardino Alieri è un brevissimo cenno presso l' Arisi, Crem. litter..
APPUNTI K NOTIZIE 221
dirittura precipuo gli scritti dettati da fra Leonardo Antonii da Cre-
mona, e tra essi figurano non solo le due dissertazioncelle di geome-
tria, che vedetnmo già assegnate a lui dal codice Laurenziano, ma com-
pare altresì VArtis metrice practice compilation che nei tre codici, già
noti, non reca, come si ricorda, altro nome che quel di " Leonardo da
" Cremona „ non sia. Non si può dunque dubitare più a lungo che la
attribuzione della Compilatio, detta nel codice Sitoniano di " Leonardo
" da Cremona „ (i), ad un Leonardo Mainardi, non sia una'alzata d' in-
gegno dell'Arisi, la quale ebbe per effetto di provocare equivoci ed
errori, che oggi soltanto s' incominciano a dissipare.
Il Favaro si meraviglia, ed a ragione, che d'uomo insigne tanto nel
campo della scienza matematica, quale fu l'Antonii, che godette certo,
come ne fanno anch'oggi fede parecchie testimonianze, di larga cele-
brità ai suoi giorni in Italia, gli scrittori di cose cremonesi non abbiano
serbato ricordo veruno. Ma ancora piia strano del silenzio dei concitta-
dini di fra Leonardo, pare a noi possa dirsi quello, di cui si son resi
a suo danno colpevoli i suoi stessi confratelli. Gli annalisti francescani
difatti, tanto solleciti sempre di esaltare tutti coloro che in un modo o
nell'altro avessero dato lustro all'ordine, l' hanno completamente di-
menticato. Il Wadding lo ignora (2); ne tace lo Sbaraglia (3), e tra i
molti Leonardi, obbliatissimi tutti, che fra Sigismondo da Venezia ci
mostra entrati ad ingrossare le file della francescana famiglia, egli non
compare (4). Non vi sono che due eruditi del settecento i quali gli ab-
bian dedicato un ricordo: G. Tiraboschi ed il padre Zaccaria; grazie
to. II, p. 55, che lo chiama « poeta clarissimus et multe lectionis vir », e ne
enumera, credo sulla fede del Bressiani, parecchi poemi latini e volgari di con-
tenuto sacro e profano, andati perduti. Più importante per noi dee dirsi il ri-
cordo fatto dell'Alieri da Domenico Bordigallo nella sua inedita Cronica. Lo
riportiam qui integralmente dal cod. Pallavicino-Resta, e. 501 b : a Die domi-
« nico quinto mensis maii [MDXXI] de hac vita mortali ad eternam pertran-
:( sivit dominus Bernardinus Alierus, patrie racionator sive dictator, notarius de
« collegio notariorum prefate civitatis, necnon poeta oratorque. En epitaphium :
Bernardinus amans dominum de stirpe Aliera
conditur hoc tumulo, vir bonus et sapiens.
Dictator patrie, consul fuit atq.ue poeta
(i) Cfr. la nota 2 a p. 224.
(2) Anuales minorum, Roma, 1726.
(3) SuppUìueiit. et castig. ad script. t*-iiim orditi S. Francisci, Romae, 1806.
(4) Fra Sigismondo da Venezia, Biografia serafica degli nomini illustri che
io r irono nel francese, istitu/o ecc., Venezia, MDCCCXLVI.
222 APPUNTI E NOTIZIK
ad essi soltanto si può affermare clie l'Antonii non è rimasto proprio
un ignoto nella storia della cultura italiana (i).
Riguardo al tempo in cui si manifestò l'attività scientifica dell'An-
tonii, il Favaro è d'avviso che si possa comprendere tra gli anni 1405
e 1440 circa. Se difatti nel primo lustro del sec. XV Leonardo era an-
cora semplice baccelliere in teologia, ciò significa che non doveva
avere ancora sorpassato di molto la trentina. Io inclinerei quindi a col-
locare la sua nascita verso il 1375 (2). In quanto alla sua morte, essa
dovrebbe esser seguita verso il 1440, giacché nei suoi scritti il Favaro
ha potuto rinvenire allusioni a fatti storici seguiti nel 1437 (3).
Per quanto concerne a L. Mainardi, il Favaro è inclinato ad acco-
gliere l'asserzione dell'Arisi ch'esso abbia vissuto negli ultimi lustri
del sec. XV; ma a questo punto io non posso accordarmi con lui, per
le ragioni ch'ora vengo ad esporre.
Occorre innanzi tutto notare come tra i tre scrittori cremonesi i
quali soli ci parlano del Mainardi, regni un disaccordo considerevole
rispetto al tempo in cui esso fiorì. M. G. Vida nella seconda delle sue
Orazioni pe' Cremonesi, scrive : " Fuit ante Plasium Leonardus Ma-
" niardus (sic), qui suo tempore non tantum inter nostros, sed etiam
" inter omnes in hiis studiis tenuit principatum „ (4). Che nel " Plasius „,
citato dal vescovo d'Alba, dovesse riconoscersi Giovambattista Plasio
cremonese, medico ed astronomo valentissimo ; " consumatae astrono-
" miae omnisque doctrinae et scientiae lumen „, come lo dice l' iscri-
zione posta sulla sua tomba in Sant'Agostino, morto indubbiamente ne^
1492 (5), ha ben veduto il Favaro. Ma egli s'è invece, a nostro giudizio»
discostato un poco dal vero, quando ha asserito che il Plasio, " se
" anche morì qualche anno dopo il Mainardi, può dirsi piuttosto suo
" contemporaneo che ad esso posteriore „ (6). Cotesta sentenza pare a
(i) TiRABOSGHi, Storia della letter. ital., to. V, par. I, p. 352; Fr. Ant*
Zachariae, Iter literar. per Ital., Venezia, 1762, p. 69. Il primo ricorda il co-
dice già di S. Salvatore, ora 2780 dell'Università di Bologna, che contiene il
modo di ritrovare radice quadrata o cubica, a secondo lo philosopho Maistro
« Leonardo da Cremona » ; il secondo descrive il cod. Laur., che appartenne a
S. Marco, e che contiene le scritture dell' Antonii su Euclide.
(2) Il Favaro, Nuove ricerche ecc., p. 540, pone la nascita di Leonardo
« verso il 1380 ».
.(3) Op. cit., p. 339.
(4) Cremonensiuni Orationes III adv. Papienses etc, Cremonae, MDL, e. 50 b.
(5) Le date del 1497 e del 1501, indicate dal Gavitelli e dal Baldi come
quelle della morte del Plasio (cfr. Favaro, Int. al pres. aut., p. 389), son sem-
plici spropositi di scrittori negligenti. La data 1492 è incisa sulla pietra tombale,
che ognuno può ancor oggi vedere: cfr. Vairani, Inscript. Cremonens. universae,
Cremonae, MDCCXCVI, n. 489, e. LXXIX.
(6) Int. al pres. aut., p. 389.
APPUNTI E NOTIZIK 223
me in aperto contrasto colla testimonianza del Vida, il quale, scrivendo
del Mainardi : " fuit ante Plasium „, s'è proposto, o m'inganno, di
segnare una netta distinzione cronologica tra i due illustri cremonesi,
e di mettere bene in sodo che il Mainardi fu, e non di poco, più vec-
chio del Plasio. Costui difatti (si badi!) non è considerato dal Vida
come un suo contemporaneo, bensì quale il rappresentante d' una ge-
nerazione alla propria anteriore (i). Scrive egli difatti in quel luogo
della medesima Orazione, dove fa per la prima volta menzione del
Plasio : " Habuit enim nostra civitas, praeter hos duos praeclaros me-
" dicos (2), patris mei memoria nobilissimum ac praestantissimum
" lohannem Baptistam Plasium, qui etiam in mathemathiois disciplinis^
" ut postea dicam, cunctos suae posteriorisque aetatis superavit „ (3).
Ora se il Plasio fioriva ai tempi in cui era giovine Gelelmo Vida, padre
del Nostro, e se il Mainardi visse prima del Plasio, noi non possiamo
certo non riconoscere che tra il Plasio ed il Mainardi debba esser corsa
una distanza di 30 o 40 anni almeno.
Di fronte alle esplicite dichiarazioni del Vida stanno le asserzioni
del Gavitelli e dell'Arisi, che assegnano come anno di fioritura del
Mainardi, l'uno il 1496, l'altro il 1488, Che valore hanno queste date ?
Per me, debbo confessarlo, nessuna. Chiunque conosca un po' davvicino
la storiografia cremonese (v'è ancora qualcheduno che la conosca?) non
ignora come gli Annales del Cavitelli siano una tarda compilazione
cinquecentistica, fatta da un dilettante, che si è servito di materiali an-
teriori, accozzati insieme senz'ombra di discernimento. Molto probabil-
mente solo per una delle infinite sviste che ricorrono nel suo libro, il
dabbene Lodovico ha scritto che il Mainardi " fuit in magno {sic) ex-
" timatione ob eius doctrinam „, proprio nel 1496. In quanto all'Arisi,
egli non è in fondo molto piìi autorevole del Cavitelli, da cui racimolò
non poche delle notizie inserite nella Cremona Htterata. Sebbene amico
di L. A. Muratori, il nostro letterato non ebbe mai familiarità col me-
todo critico e colle ricerche severe ; fu un semplice compilatore, un
abborracciatore verboso e nulla più. La data del 1488, messa in fronte
al paragrafo del Mainardi, è (nessuno l'ha osservato finora), quella del-
l'anno in cui fu scritta la versione volgare della Compilatio messa in
luce dal Curtze : e probabilmente è un ricordo vago, confuso, di questo
fatto letterario, che ha. suggerito all'Arisi d' indicare il 1488 come l'anno
in cui Leonardo fioriva e scriveva.
Ma a che perderci oltre in parole ? V è un documento, il quale
taglia, come si suole dire, la testa al toro, e mostra quanto avesse ra-
(i) Si tenga presente anche che, secondo una tradizione corrente in Cre-
mona, il Plasio, quando mori, toccava quasi i novant'aiini. Era dunque nato sui
primi del sec, XV: cfr. Arisi, Crtm. litter., to. I, p. 333.
(2) Gerardo da Sabbioneta ed Apollinare Offredi.
(3) Orai, cit., e. 47 B.
224 APPUNTI E NOTIZIE
gione il Vida di rimandare a mezzo il sec. XV Tattività scientifica del
Mainardi. In quel libro che Bartolomeo Corte, " filosofo e medico mi-
" lanese „, diede nel 1718 alle stampe intorno ai medici scrittori suoi
concittadini (i), Giovanni Sitoni di Scozia, il notissimo investigatore della
storia e della genealogia delle famiglie milanesi, pone alla luce, corre-
dandolo di proprie note, il " Rotùlus prò doctoribus et aliis legere deben-
" tibus in felici studio mediolanensi in presenti anno MCCCCXLVIII „ (2).
Orbene, tra i professori chiamati dall'effimera repubblica Ambrosiana a
costituire la nuova Università milanese, noi rinveniamo eletto con sti-
pendio di settanta fiorini: " Ad lecturam Mathematicarum „, " Magister
" Frater Leonardus de Mainardis de Cremona „ (3).
Questa notizia, intorno alla cui autenticità non sembra possibile
sollevare eccezioni (4), viene a porre sempre meglio in chiaro le ca-
gioni che contribuirono a far confondere l'uno coll'altro i due matematici
cremonesi, l'Antonii ed il Mainardi, Non solo difatti ebbero entrambi
il medesimo nome, ma per giunta furono frati ambedue ! Si capisce che,
morto l'Antonii, siansi facilmente attribuite al suo compatriotta le opere
ch'egli aveva lasciate.
{ i) Noti:(te istoriche int. a' medici scrittori milanesi e a' princip. ritrovam.
fatti in medicina dagli Italiani, Milano, MDCCXVIII.
(2) Op. cit., p. 284. Siccome al Favaro sfuggì, non sappiam come, il fatto
che la stampa del Rotiilus e le note illustrative appartengono al Sitoni, cosi
egli ha creduto che la nota apposta a p. 284 al nome del Mainardi : a Huius
c( opera gothico charactere exarata et per clarissimum virum Franciscum Ari-
« sium eruditorum Cremonae principem relata in toni. I Cremon. literat pag. 347,
« sub an. 1488, apud me autographa servantur, prout etiam ibidem in nube
« Arisius ipse testatur » ; fosse stata scritta dal Corte, e parla quindi sempre
del Corte {Int. al pres. aut., pp. io, 12) come di colui che possedette il codice
della Compilatio fatto conoscere dal Cotta all'Arisi. In realtà il Corte qui non ha
proprio nulla a che vedere ; il codice di cui il Cotta diede notizia all'Arisi, era
di proprietà del Sitoni e deve identificarsi col ms., già Boncompagni 254 o 303
che non solo reca anche oggi la firma autografa del Sitoni, ma fu da lui fre-
giato d'una postilla ms., che corrisponde in gran parte a quella impressa nel libro
del Corte. Di qui risulta altresì manifesto che solo responsabile della data a 1488 »
indicata come quella in cui fiorì il Mainardi, è l'Arisi j e non già altri, come il
Favaro aveva pensato (op. cit., p. 12).
(3) Op. cit., p. 284.
(4) È mio dovere però di avvertire che il testo del Rotulus, quale si rin-
viene presso il Fagnani, Famiglie milanesi, to. Vili, lett. R-S, e. 6 a (bibl. Am-
brosiana) e presso il Giulini, Memorie ecc., Milano, 1857, voi. VI, p. 37, reca,
non già « Frater Leonardus de Mainardis de Cremona », bensì .« Frater Leo-
« nardus de Cremona ». Che il cognome sia stato aggiunto dal Sitoni? Ma in
ogni modo, come si potrebbe ammettere che si trattasse qui dell' Antonii ? S'egli
era ancor vivo nel 1448, doveva toccar l'ottantina, età poco favorevole per sa-
lire sopra una cattedra.
APPUNTI E NOTIZIK 325
Allo Stato presente delle cose noi possiam dunque ritenere come
probabile che abbiano fiorito nella prima metà del quattrocento due
cremonesi, che si distinsero per la loro dottrina matematica ed astro-
nemica. Il primo, fra Leonardo degli Antonii, nato verso il 1375, do-
vette mgrire circa il 1440, lasciando molti e pregevoli scritti. Il secondo,
nato verso il 1410, dovette giungere colla vita fino al 1470-1480. Delle
opere sue, se ne dettò, ninna per ora ci è conosciuta.
F. N.
^% Scacchiera della seconda metà del xvi secolo appartenuta
AD UN Bernabò Visconti di Como. ■ — Non ultimo degli oggetti di sin-
golare pregio del Museo Poldi Pezzoli, benché fin qui da pochi osser-
vato coll'attenzione che merita, è nella sala verde a primo piano una
scacchiera doppia in legno di noce intarsiato a vari colori, collocata
sotto vetrina presso la seconda finestra di detta sala.
È delle dimensioni di cm. 51 d'altezza per una larghezza, colle due
sezioni aperte, di cm. 82, e stante lo spessore suo agli orli di cm. 4,
offre nel mezzo largo agio a contenervi le dame o pedine, in numero
di trenta fra bianche e nere, essendo i due spazi rettangolari interni
usufruiti per trictrac o giuoco di dame e dadi anziché pel vero e pro-
prio certame degli scacchi o pel più recente giuoco della dama, notan-
dosi la scacchiera di sessantaquattro caselle, fra bianche e nere, solo
nella secondaria delle facciate esterne.
La facciata esterna principale aprentesi, quando il giuoco è chiuso,
da sinistra a destra, va infatti decorata, con una zona tutt'all' intorno
di fiorami a tarsia con due gigli bianchi e neri ed altri due bianchi con-
trapposti ai quattro angoli estremi, e da un grandioso stemma, a tarsia
esso pure, che è quello antico degli Aimi avente nel mezzo lo scudetto
colla biscia viscontea.
Offrono infatti in vista i quarti di detta insegna araldica, fatta pro-
pria dai Visconti di Brignano, le fiamme a lingue tortuose nel primo e
nel quarto e le ancore, raffigurate con legno tinto in verde, nel secondo
e nel terzo, e lo stemma medesimo vedesi riprodotto nelle due valve
interne sopra una fascia mediana, figurando però ivi in scudo a parte
la biscia viscontea, e venendovi contrapposto a sinistra l'emblema della
colomba contenuta nel nodo d'amore detto dal Decembrio Capitergium
cum gassa, cimata dalla corona ducale e avente ai lati l' impresa dei
tizzoni ardenti co' secchielli appesivi.
Contro quella fascia mediana, pomposamente adorna delle insegne
gentilizie, vanno a finire le estremità a sei punte delle sei pirami-
dette per parte costituenti il tracciato grafico per le sfide^di trictrac.
Vuoisi derivato quel giuoco dalla Persia, come dall' India proverreb-
bero invece gli scacchi, quantunque v' ha chi asserisca già conoscessero
qualcosa di consimile i greci col giuoco dei Diagramismos e i romani
colle Duodena scripta dette altresì Ludus latrunculorum. Oltreché col
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXN, Fase. VII. 15
226 APPUNTI E NOTIZIE
numero fisso di trenta pedine, si giuocava il trictrac valendosi di bos-
soli per gettare i dadi e anticamente usavansi, in luogo di dame, pic-
coli piuoli da infiggere nella tavola in appositi fori, oppure sassolini
tessere di materie diverse, detti calcoli, per lo più bicolori, come fu-
rono poi sempre anche le pedine, 15 bianche e 15 nere.
Nel tavoliere di cui ci occupiamo, completo è il numero delle pe-
dine, ma vi mancano i bossoli pel getto dei dadi, che, come esso, ri-
teniamo dovessero portare un giorno lo stemma Visconti Aimi, e quanto
ai dadi ed ai gettoni, nel numero di tre per cadaun giuocatore con due
liste cadauno per segnare i punti, non ci vennero conservati ma dove-
vano essere di lavorazione comune.
Conosciamo però fortunatamente, da precise indicazioni scolpite
sull'orlo dello scacchiere in questione, il nome del suo possessore e la
data sua come segue : Bernabos Vicecomes Comi — J^S74- Era questi
personaggio di qualche vaglia, appartenente al ceppo dei Visconti, fi-
glio di un Ottone Visconti e di Giovanna di Bartolomeo della illustre fa-
miglia dei De Negro, di Genova. Nel 1570, e cioè quattro anni prima
della data segnata sullo scacchiere di sua pertinenza, era ammesso nel
Collegio dei nobih giureconsulti di Milano e divenne poi altro dei vicari
generali dello stato, passando di vita nel 1590 (i). Dei due suoi fratelli,
uno, Giovan Battista, era inscritto nell'ordine degli Eremitani di S. Ago-
stino e fu assai stimato per meriti e dottrina dal pontefice Paolo V e l'altro
col nome paterno di Ottone, si distinse come colonnello al servizio del-
l'imperatore di Germania e poscia nelle Fiandre come addetto all'ar-
ciduca d'Austria Alberto.
Colla posizione oltremodo onorifica ed agiata di Bernabò Visconti
circondato qual era da cospicue parentele, può spiegarsi facilmente
come si facesse egli apprestare, coi distintivi araldici della sua stirpe,
il bel tavoliere di trictrac a tarsia piìi sopra descritto, e i caratteri del
lavoro nella parte ornamentale dei fregi e nella riproduzione degli scudi
gentilizi danno agio a ritenere che l' intero scacchiere fu eseguito in
Milano, ove non mancavano nella seconda metà del XVI secolo valenti
artisti intagliatori, fra i quali annoveriamo dei principali soltanto Giovan
Tansini e il gesuita Ferrari, che operarono a San Fedele nel 1577, e
Anselmo e Virgilio del Conte, padre e figlio, resisi celebri per le opere
loro d'intaglio alla Certosa di Pavia e nel coro di San Simpliciano.
Una tecnica diversa ed una maggiore perfezione di lavoro presen-
tano invece le trenta pedine circolari, del diametro tutte di mm. 42, con-
tenute nello scacchiere e fino a noi integralmente pervenute. Si tratta
di vere medaglie, finemente scolpite da entrambe le parti, quindici in
(i) Un altro Bernabò Visconti, figlio di Galeazzo, morto in Brignano nel
1648, fu eletto nel 1650 governatore e castellano di Como, e il figlio omonimo
avuto da una Talenti di Firenze, moriva nel 1686 a Navarino, colonnello di un
reggimento di dragoni al servizio del re di Spagna.
APPUNTI E NOTIZIE 227
legno bianco, e quindici in ebano, portanti impressi non già soli ritratti
generici d'uomini e donne, come è asserito nel Catalogo del Museo, ma
sibbene le immagini dei principali imperatori romani colle mogli loro,
oppure coi rispettivi ascendenti diretti, compresivi altresì Carlo Magno
colla moglie Ildegonda, e i due imperatori tedeschi Ottone II (955-983)
ed Enrico II (973-1024), creato nel 1014 imperatore del sacro romano
impero da papa Benedetto VIII, e canonizzato come santo da Eugenio III.
Ogni pedina porta presso Torlo la scritta indicante nell'idioma la-
tino il personaggio raffigurato, con poche scorrezioni qua e là facilmente
avvertibili. Ottimi i tipi epigrafici per nitidezza e disposizione ma so-
pratutto pregevoli, sotto il rispetto artistico, per garbo ed esecuzione,
le testine a tutto rilievo col collo e la parte superiore del busto, sì degli
uomini che delle donne.
Molti ritratti dei primi sono tolti manifestamente dalle monete im-
periali, e rivelano nell'autore del lavoro somma coscienziosità; v' è in-
vece maggior fantasia nella riproduzione dei tipi femminili con una va-
rietà stragrande nelle acconciature del capo, alcune delle quali tradi-
scono i ricordi del Risorgimento come nelle figure di Lerida, moglie
di Galba, di Domizia Calvilla, madre di Antonino, di Elena moglie di
Costantino e così via. Bizzarre invece le trecce a foggia di corna d'Am-
mone di Lomitia Longina consorte dell' imperatore Domiziano e di Ve-
spesia, madre di Vespasiano, o il copricapo a guisa di elmetto di Se-
stiHa madre dell'imperatore Vitellio.
Ora, esaminando partitamente queste pedine che hanno la perfe-
zione di* vere medaglie numismatiche, vien tosto all'occhio, come si disse,
la differenza di lavoro col tavoliere anzidetto, e la supposizione che ci
si presenta dapprima che non siano state eseguite da chi foggiò lo scac-
chiere, ma abbiano presumibilmente origine tedesca, vien confermata da
una di quelle pedine che porta da un lato un albero di pino, circondato
dalla elegante corona riprodotta in tutte e trenta le pedine intorno ai
vari ritratti, e dall'altro una pialla cui sottostanno due grosse viti di-
sposte a croce di Sant'Andrea.
La leggenda che gira intorno al pino (detto Tanne in tedesco), ri-
vela infatti il nome dell'artista esecutore che volle essere ricordato
agalmonicamente da quell' emblema come un Leinhart Daner zu Nu-
renberg, e si firma egH modestamente dal lato opposto come semplice
stipettaio e tornitore o fabbricatore di viti : Schreiner und Schrauben-
macher.
Manca la data e poteva dubitarsi a tutta prima di venir in chiaro
sulle generalità dell'artefice di sì fine e pregevole opera d'intagho in
legno, ma non sfuggi il nome suo ai preziosi volumi del Monogrammista
di Nagler e Andersen del 1871, e a p. 334 del IV di essi, si danno brevi
cenni di Leonardo Daner che viene indicato come nato nel 1497 e
morto nel 1585.
Non si conoscevano di questo artista che due bassorilievi esistenti
nel Museo di Berlino col soggetto del figliuol prodigo e la sigla L. D.,
228 APPUNTI E NOTIZIE
tantoché accennandosi da altri ad un Hans Daner di Norimberga, sem-
plice meccanico, a costui più che non a Léonard Daner si attribuiva
l'emblema del pino inciso in rame.
Oggidì per altro, coU'aver sott'occhi un lavoro di tanto pregio e di
singolare accuratezza quale è quello costituito dalle trenta pedine in
discorso, una delle quali porta anzi il nome e l'emblema suo, ogni
dubbio è tolto che possa egli andar confuso con quel semplice mecca-
nico, e siamo di fronte, con questa impensata rivelazione dell'opera sua
di oltre tre secoli or sono, ad un vero e proprio artista meritevole di
studio e considerazione, e di cui altri lavori potranno rintracciarsi forse
col tempo, che meglio lo identifichino e lo facciano apprezzare dai co-
noscitori.
Rimane intanto escluso il dubbio che si ebbe dapprima, stante la di-
versità del lavoro, che le trenta pedine fossero per tempo d'alquanto po-
steriori all'appprestamento delle tavole a 'tarsia pel trictrac e quanto
all'averne Bernabò Visconti ordinata la provvista ad artefice tedesco,
va tenuto conto che poteva essersi intromesso al riguardo il di lui
fratello residente in Germania al servizio dell'imperatore, se pure l'or-
dinazione non venne data espressamente al Daner per effetto della ri-
conosciuta valentia sua nei lavori d'intaglio e della fama che già godeva
anche fuori del paese proprio.
Si tratta in ogni modo sempre d'opera d'arte che fu ordinata e
posseduta in Milano da cospicuo personaggio della schiatta dei Visconti,
ed è una vera fortuna che nell'esodo dall' Italia non solo dei veri ca-
polavori, ma anche e forse più dei minuti oggetti d'arte che costftuivano
un giorno geloso patrimonio delle famiglie patrizie milanesi, sia stato
fino a noi serbato in un Museo cittadino questo scacchiere di Bernabò
Visconti che può offrire ancor oggi qualche curiosità pur sotto il ri-
spetto storico e numismatico.
Diego Sant'Ambrogio.
J"^ Belle novità alla biblioteca Ambrosiana. — A (\\i^^i* Archivio
non possono tornare indifferenti alcune novità che toccano da vicino, anzi
nell'intimo suo, uno dei nostri più importanti istituti di scienza ed arte,
vogliamo dire l'Ambrosiana con ^annessa pinacoteca.
I troppo eloquenti moniti dati dalle fiamme che minacciarono la
Vaticana e devastarono la Universitaria torinese, fecero sembrare pru-
dente, se non necessario, aggiungere nuove difese a quelle che già pro-
teggevano le raccolte dell'Ambrosiana contro il fuoco. Infatti la solidis-
sima e sapiente struttura e disposizione originaria, e la buona ubicazione
e rigorosa sorveglianza delle sorgenti di calore pel riscaldamento ri-
dotte al minimo indispensabile, e il regolamento severamente osservato
che esclude ogni luce artificiale, già mettevano l'Ambrosiana in una con-
dizione di grande sicurezza, contro i pericoli del fuoco.
La sicurezza è ora anche molto più grande, e quasi completa
mercè le dirette misure di prevenzione e di estinzione largamente ap-
APPUNTI E NOTIZIE 229
plicate dietro le competenti indicazioni, sotto la sorveglianza e col suc-
cessivo esperimento e collaudo del Comando stesso dei civici pompieri.
Un bisogno di tutt'altro genere si faceva da tempo sentire nella
pinacoteca, quello di un riordinamento organico, che permettesse di
meglio vedere, gustare, studiare le molte e squisite bellezze d'arte che
essa accoglie. Un tale riordinamento appunto fu da parecchi mesi co-
raggiosamente intrapreso ed è oramai non lontano dal suo compimento.
Tutte le sale son state messe a nuovo con uniforme opportuna tinta di
ottimo effetto, oltre che meglio illuminate grazie alle riforme applicate
alle finestre. Venne di molto aumentato lo spazio trasformando nel
modo più simpatico ed utile la scala e lo scalone di accesso, dove po-
tranno trovare opportuna sede i molti e grandi cartoni che divoravano
le pareti delle sale. L' introduzione di pareti mobili e di portaquadri,
l'eliminazione della suppellettile ingombrante, il richiamo delle stampe e
dei disegni in sede propria e appositamente preparata, favoriranno
vieppiù una disposizione di cose che, pur rispondendo nei limiti del pos-
sibile ai criteri storici dell'arte, soddisfaccia' alle esigenze dell'estetica, ed
a quelle anche più imperiose dell'osservazione.
Di particolari cure, com' è giusto, saranno oggetto l' incomparabile
cartone della Scuola d'Atene di Raffaello e i disegni di Leonardo e della
scuola lombarda.
Basterà aggiungere che il titolare della pinacoteca Ambrosiana è
il cav. prof. Luigi Cavenaghi e che il sen. arch. Luca Beltrami e il signor
Antonio Grandi cooperano al riordinamento, per tranquillare ogni più
meticolosa coscienza di competenti e di dilettanti come per giustificare
le migliori aspettative.
*^ Gara di precedenza tra Cremona e Pavia. — La miserevole gara
che fervette ne' secoli XVI e XVII tra queste due nobili città lombarde a
cagione della " precedenza „ ch'esse si disputavano, ha dato argomento
al signor Ezio Levi di scrivere una garbata monografia che è or ora
uscita alla luce (Pavia, B*usi, 1904) in volume dopo esser stata pubblicata
in vari fascicoli d'una rivista pavese. Trattandosi d'argomento curioso
e sul quale possediamo qualche documento finora non utilizzato, ritor-
neremo presto a discorrerne.
/^ Una nuova Società Archeologica Italiana. — Riceviamo e
pubblichiamo con piacere la circolare seguente :
Roma, i.o settembre 190^.
Illustrissimo Signore,
È vivamente sentito in Italia dai cultori delle scienze archeologiche e sto-
rico-artistiche il bisogno di raccogliere le energìe di quanti si interessano in qua-
lunque modo di esse, a fine di contribuire più efficacemente al loro progresso, e
230 APPUNTI E NOTIZIE
di secondare l'opera esplicata dai pubblici poteri nel rinvenimento, nella conser-
vazione e nell' illustrazione dei monumenti che riguardano l'arte e la storia del
nostro paese.
La sproporzione tra la colossale ricchezza archeologica e artistica d'Italia e
i mezzi limitati di cui il bilancio delle antichità e belle arti può disporre, la
concorrenza sempre più viva, che alle nostre poche forze fanno i paesi stranieri,
in ispecie negli acquisti, rendono necessariamente insufficiente l'opera dello stato.
È pertanto nostro desiderio, che, similmente a quanto si è fatto in quasi tutti
i paesi europei, si costituisca in Roma una Società archeologica nazionale, in
conformità dei propositi manifestati già fin dal 1886 da Ruggero Bonghi, con
nobilissimo appello al paese, e secondo i voti espressi nel Congresso Universi-
tario di Milano nel 1888.
La Società Archeologica Italiana dovrà abbracciare, senza restrizioni né esclu-
sioni, non i soli cultori delle nostre discipline, ma quanti amano ed hanno in
onore le belle e gloriose memorie della vita millenaria di nostra gente. Nella
riunione delle forze sia di quelli che a questo genere di studi hanno dato la
intelligente attività di tutta la loro vita, sia di quelli che porteranno il contributo
non meno prezioso ed efficace del loro amore, confidiamo che la Società troverà
modo di raggiungere il proprio intento, di promuovere, dovunque sia opportuno,
studi e ricerche, di essere autorevole consigliera e cooperatrice del governo, di
illuminare e guidare l'opinione pubblica, sforzandosi di suscitare sempre mag-
giore in tutto il popolo italiano il culto per i sacri documenti della storia na-
zionale.
Necessaria espressione dell'opera della Società sarà una Rivista Archeologica
Italiana, che raccoglierà studi e illustrazioni di monumenti, e darà un ampio
notiziario di quanto può interessare l'archeologia e la storia dell'arte, il loro in-
segnamento e l'amministrazione antiquaria e artistica nostra e degli altri paesi.
Per render possibili la vita e l'opera della Società, riteniamo necessario, che
ciascuno degli aderenti si obblighi a contribuire una quota annua di lire venti.
Quando il numero delle adesioni darà affidamento della buona riuscita del no-
stro tentativo, ci riserveremo di presentare uno schema di statuto, che verrà di-
scusso ed approvato in assemblea plenaria, e inviteremo gli aderenti al versa-
mento delle quote.
Intanto fiduciosi, che la S. V. voglia cooperare in questa impresa. La pre-
ghiamo di mandare c6n cortese sollecitudine l'ambita sua adesione, e di render
noto tra le persone di sua conoscenza questo nostro invito.
Ambrosoli Solone, direttore del Gabinetto Numismatico di Brera — Milano.
Beloch Giulio, professore di storia antica nella R. Università — Roma.
Brizio Edoardo, professore di archeologia nella R. Università e direttore del
Museo di Antichità — Bologna.
Cantalamessa Giulio, direttore delle Regie Gallerie — Veneiia.
Colini Giuseppe Angelo, libero docente di paletnologia nella R. Università
— Roma.
Comparettì Domenico, senatore del Regno, professore emerito dell' Istituto
di Studi Superiori — Firenze.
I
APPUNTI E NOTIZIE 23I
De Marchi Attilio, professore di antichità classiche nell'Accademia Scien-
tifico-Letteraria — Milano.
De Ruggiero Ettore, professore di antichità greche e romane nella R. Uni-
versità — Roma. f
De Sanctis Gaetano, professore di storia antica nella R. Università — Torino.
Gamurrini Gian Francesco, direttore del Museo e della Biblioteca — Are:^\o.
Ghirardini Gherardo, professore di archeologia nella R. Università — Padova.
Halbherr Federico, professore di epigrafia greca nella R. Università — Roma.
Hermanin Federico, direttore della Galleria Nazionale d'Arte Antica — Roma.
Lanciani Rodolfo, professore di topografia romana nella R. Università — Roma.
Loewy Emanuele, professore di archeologia nella R. Università — Roma.
Mariani Lucio, professore di archeologia nella R. Università — Pisa.
Marucchi Orazio, direttore del Museo Egizio Vaticano — Roma.
Nogara Bartolomeo, direttore del Museo Etrusco Gregoriano — Roma.
Orsi Paolo, direttore del Museo Nazionale — Siracusa.
Patroni Giovanni, professore di archeologia nella R. Università — Pavia.
Pellegrini Giuseppe, libero docente di archeologia nella R. Università —
Bologna.
Pigorini Luigi, professore di paletnologia nella R. Università e direttore del
Museo Preistorico — Roma.
<}uagliati Quintino, direttore del Museo Nazionale — Taranto,
Ricci Corrado, direttore delle Regie Gallerie — Firenze.
Rizzo Giulio Emanuele, libero docente di archeologia nella R. Università
— Roma.
Savignoni Luigi, professore di archeologia nella R. Università — Messina.
Schiaparelli Ernesto, direttore dei Museo di Antichità — Torino.
Scrinzi Angelo, direttore del Museo Civico — Venezia.
Supino Igino Benvenuto, direttore del Museo Nazionale — Firenie.
Taramelli Antonio, direttore del Museo Nazionale — Cagliari.
Vaglieri Dante, professore di epigrafia latina nella R. Università e direttore
del Museo Nazionale — Roma.
Venturi Adolfo^ professore di storia dell'arte medievale e moderna nella
R. Università — Roma.
Si prega di inviare le adesioni al segretario del Comitato provvisorio: dottor
Roberto P<aribeni - Via dei Calderai, 22 - Roma.
In mezzo allo sfacelo dell'autorità dello stato, all'anarchia imperver-
sante alla Minerva, dove un mostro tricipite regge o dovrebbe reggere
le sorti delle discipline artistiche ed archeologiche, la costituzione di un
saldo ed autorevole sodalizio scientifico indipendente ed animoso po-
trebbe essere fuor di dubbio d' utilità non scarsa. I norQi segnati in
calce alla circolare che si è letta rappresentano il più bel fiore delle
discipline archeologiche in Italia ; se agli sforzi de' promotori risponde-
ranno favorevolmente gli studiosi, sarà tanto di guadagnato per la
scienza e per il decoro nazionale.
232 APPUNTI E NOTIZIE
J"^ Giubileo Bibliotecario. — Il giorno 28 del p. p. mese di agosto
mons. Antonio M. Ceriani, prefetto della biblioteca Ambrosiana, cele-
brava il suo cinquantesimo di biblioteca, come parecchi giornali quo-
tidiani di quel giorno e de' seguenti annunciarono. Il lieto avveniniento
venne salutato da una cordiale ovazione di rallegramenti e voti da parte
dei numerosissimi ammiratori ed amici che il venerando e dott> pre-
lato conta non pure tra noi, ma anche all'estero, sapendosi troppo bene
dai dotti e studiosi dì tutti i paesi come mons. Ceriani continui óU'An:-
brosiana le gloriose tradizioni di Muratori e di Mai. Mons. Ceriani ne
ebbe una prova ed un saggio il giorno 20 del detto mese, mentre da
un'eletta schiera di persone gli veniva presentato un esemplare della
riproduzione eliotipica dei celebri frammenti ambrosiani dell' I/iade il-
lustrata della fine del III secolo, riproduzione che mons. Ceriani stesso
ornava di una dotta prefazione datata appunto dal 28 agosto di questo
anno. Le tavole eliotipiche erano racchiuse in un'elegante capsula di
ebano con fregi d'avorio, appositamente disegnata dall'arch. Luca Bel-
trami, senatore del regno. Il coperchio recava un'epigrafe dedicatoria
della quale possiamo dare il testo : " Antonio M. Ceriani — Quando L
" annorum statione — in BibUotheca Ambrosiana — Simul praeclarissime
" functus — Simul celeberrima Iliadis pictae fragmenta — heliotypicis
" tabulis — docte praefatus edebat — Bibliothecae Curatores^ — Con-
« legae amici admiratores — MDCCCLV — V. Kal. Sept. — MDCCCCV „.
E un altro testo possiamo dare: quello della onorevolissima dedica au-
tografa colla quale il sommo pontefice Pio X accompagnava un suo ri-
tratto eh' Egli stesso per la fausta circostanza donava al nostro illu-
stre concittadino : " Dilecto filio Antonio Ceriani Protonotario Aposto-
" lieo Bibliothecae Ambrosianae Praefecto annos quinquaginta summo
" cum Ecclesiae decere studiorumque sacrorum profectu in eadem Bi-
" bliotheca feliciter exactos gratulati Apostolicam Benedictionem pera-
" manter in Domino impertimus. Plus PP. X „. Così anche il libro
contribuirà,, com' è ufficio suo, a diffondere e conservare imperitura la
memoria di tanti meriti quanti mons. Ceriani è venuto accumulando
nella sua lunga carriera.
Il nostro Archivio è ben lieto di compiere quest'ufficio, mentre ri-
pete all'illustre Uomo il suo cordiale " ad multos annos „.
/^ L'Omero ambrosiano. — Come la precedente notizia accenna,
mons. Ceriani, prefetto della biblioteca Ambrosiana, ha voluto celebrare
da pari suo il proprio giubileo o cinquantesimo anno di bibhoteca, pub-
bhcando con la collaborazione del dott. A. Ratti riprodotti in tavole
eliotipiche i preziosi frammenti dell'Iliade illustrata che si conservano
nell'Ambrosiana, e corredandoU di una dotta prefazione. La pubblica-
zione ha per titolo : Homeri Iliadis pictae fragmenta ambrosiana photo-
typice edita cura doctorum Ant. M. Ceriani et Ach. Ratti. Praefatus est
Ant. M. Ceriani, Mediolani. Apud Ulricum Hoepli. MDCCCCV. Le tavole
fototipiche furono preparate dalla ditta Fumagalli, Calzolari Se Ferrarlo,
APPUNTI E NOTIZIE 233
le fotografie dal signor Carlo Fumagalli (già ditta Montabone). Il cimelio
omerico-ambrosiano essendo una vera preziosità, specialmente dal punto
di vista paleografico ed artistico, la pubblicazione era desideratissima e
viene a prendere uno dei primi posti nella serie delle riproduzioni dei
manoscritti piià importanti già da tempo promosse e delle quali il do-
loroso accidente toccato alla Universitaria di Torino ha mostrato an-
cora una volta la necessità ed accresciuto di molto il desiderio.
/^ Nuove pubblicazioni storiche. — Segnaliamo con compiacenza
la pubblicazione di due monografie storiche dovute a giovani e pro-
mettenti studiosi che concernono le vicende politiche della penisola
nelle ultime decadi del sec. XIII o nei primi lustri del XIV; / Caminesi
e la loro signoria in Treviso dal 128J al 1J12 (Livorno, Giusti, 1905) del
prof. G. B. Picotti ; Le guerre tra Venezia e la santa sede per il dominio
di Ferrara^ ijoS-ijij^ di Giovanni Soranzo (Città di Castello, stab. Lapi,
1905); ed in pari tempo la comparsa del libro già atteso di Lino Sighinolfi,
La signoria di Giovanni da Oleggio in Bologna {i^jj 1360), inserito nel-
l'utile Biblioteca Storica Bolognese (n. io) della casa Zanichelli. Di queste
opere che fanno testimonianza nuova dell'attività che ferve tra noi nel
campo delle ricerche storiche, daremo conto assai prossimamente per la
parte concernente alla Lombardia.
t II giorno 7 di giugno spegnevasi in Firenze il prof. Adolfo Mus-
safia dell' Università di Vienna, senatore dell' impero Austro-Ungarico.
Abbandonato l'insegnamento da lui così gloriosamente tenuto, l'illustre
filologo aveva or son pochi mesi cercato riposo nella ridente città to-
scana e sperava trascorrervi in pace il resto d'una vita atrocemente
travagliata da fisiche infermità; ma la malattia che da lunghi anni lo
tormentava, non gli concesse di appagare i suoi voti. A noi giova qui
ricordarne la veneranda figura, giacché ei fu de' primi che allo studio
scientifico de' dialetti lombardi rivolgesse le cure sapienti e la critica
rivelatrice. La memoria comparsa ne' Sitzungsberichte della I. R. Ac-
cademia delle Scienze di Vienna nell'aprile 1868 (voi. LIX, p. 5 sgg.)
intitolata : Darstellung der altmailàndischen Mundart nach Bonvesin's
Schriften, è da considerare come la solida base di quante indagini si
venner poscia facendo intorno al dialetto della città nostra da valenti
studiosi.
Insigne per bontà d'animo come per altezza d' ingegno, il Mussafia
conseguì sempre largo tributo di affetto e di stima in mezzo ai ro-
manisti ; per moltissimi de' quali con lui non scomparve soltanto un
grande maestro, ma un amico affettuoso. Sia pace al suo cenere glo-
rioso !
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
Adunanza generale del giorno 7 maggio i^oj.
Presidenza del Presidente prof. F. Novati.
La seduta si apre alle ore 14, presenti 40 soci. Si sono fatti rap-
presentare per delegazione i soci nob. A. Giulini, generale T. Genova
di Revel, dott. A. Magni, sac. dott. C. Pellegrini e nob. G. Sommi-Pice-
nardi.
Approvato il verbale della precedente adunanza, il Presidente rende
conto dei lavori in corso della Società e commemora i numerosi soci
mancati negli ultimi tempi, pronunciando il seguente discorso :
" Ora che abbiamo coU'approvazione del Bilancio Consuntivo del
1905 dato assetto ai nostri obblighi di amministratori, ci sia concesso
passare a discorrere brevemente secondo il consueto, dei lavori a cui la
Società attende. Ed innanzi tutto constatiamo con una soddisfazione che
Voi certo comprendete e dividete, il successo che sempre più si delinea
favorevole alla nostra " Miscellanea petrarchesca „. Il pubbHco studioso
le ha fatto accoglienze oUremodo lusinghiere e le recensioni che ne
compaiono su per le riviste più autorevoli recano di ciò amplissima te-
stimonianza.. Così, per non citare se non l'esempio più recente, V Ar-
chivio storico italiano, in una larga ed elaborata rassegna di quante
pubblicazioni hanno veduto la luce in occasione del VI centenario della
nascita del poeta, non esita a collocare la nostra tra le tre o quattro
pubblicazioni, " veramente degne d'ogni encomio „, che " ogni studioso
" del Petrarca dovrà avere nella sua biblioteca „. Era questo appunto
r intento che ambivamo di conseguire (i).
" E la compiacenza legittima che ne risentiamo tutti quanti abbiamo
concorso al lavoro, ci animerà a non lasciar passare occasione veruna
che ci permetta anche in avvenire di provare come la Società nostra
non vada seconda a nessuna nell'arringo che è destinata a percorrere.
(1) Cfr. Arch. star, (tal., disp. i.*^ del 1905 ; ved. anche Rass. hihl. della
un. itah, XII, 1904; Rass. crii, della leti, ital, X, 1905, p. 90; Riv. stor. ital,
III serie IV, 1905, p. 321 sgg., ecc.
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 235
" Per quanto concerne alle altre nostre imprese già avviate, esse
pure procedono assai felicemente. L' Indice della serie 3.* deìVArchivWf
affidato alle sollecite cure de' consoci dottori Bonelli e Vittani, sta sotto
i torchi; anzi tutta la prima parte, l'Indice degli Autori, è già com-
posta e corretta : sicché ci lusinghiamo di potere, dentro il giro di pochi
mesi, inviare in dono ai soci, secondo le solite norme, questo volume
atteso con vera impazienza dagh studiosi.
" Anche al riordinamento del materiale per il Repertorio Visconteo
si è ormai da qualche mese posto mano, ristabilendo Tordine cronologico
nei documenti, raggruppati sinora tenendo calcolo della provenienza
loro. Quando quel lavoro primo di ordinamento sia compiuto (or è
giunto fino airanno 1386 circa) si effettuerà la scelta dei mezzi per af-
frettare la stampa, per la quale già ci siamo assicurati la efficace coo-
perazione d'una Casa editrice, che varrà a rendere molto men gravoso
per il Bilancio sociale il peso di quest'ardua pubblicazione.
" Anche i lavori preparatori per altre imprese assumono contorni
sempre più precisi. Le trattative tra noi e la Società che si è dedicata
alla ristampa del Muratori (la qual ristampa abbiamo anche potuto con-
seguire a prezzi veramente vantaggiosi per ornarne la nostra Biblio-
teca) sono ormai terminate ; e degli studi che si vanno già iniziando
per raccogliere i materiali occorrenti ad una nuova edizione degli an-
tichi Cronisti milanesi, ci darà oggi stesso saggio il dott. Foligno nel
suo rapporto suH' esplorazione da lui tentata nel Museo Britannico in
servigio del Repertorio Diplomatico Visconteo.
" Quest'attività della Società nostra è veduta con occhio benevolo
dalle persone colte e desiderose che lo sviluppo economico dèi paese
non si disgiunga da un ritorno sempre più intenso ad ideali di cultura
e di scienza. Una discussione che ebbe luogo poco fa in seno al nostro
consiglio comunale, nel corso della quale si è fatto e con favore il
nome della Società Storica, ne è visibile prova. Il pensiero di valersi
del nostro sodalizio per promuovere e favorire il movimento intellet-
tuale cittadino nella sua forma più elevata è tale che non può se non
rallegrarci ed onorarci ; e noi, ringraziando coloro che fecero della So-
cietà sì lusinghiera menzione, torniamo a dirci pronti a prendere sulle
spalle quel fardello che ci si vorrà affidare. In realtà stringere i vincoli
che ci riuniscono alle istituzioni cittadine è sempre stato nostro vivo
desiderio, ed appunto perchè tale fu sempre il voto dei benemeriti
che ci precedettero nella direzione del nostro sodalizio, e lo statuto
sociale dichiara erede d'ogni nostra scientifica suppellettile il comune
di Milano : al quale dunque niuno vorrà certo rimproverare, se non
quando malevolenza partigiana e sistematica gli oscuri la \àsta, gli in-
coraggiamenti che ci potesse prestare.
" Anche dal ragguardevole numero dei nuovi aderenti, che vengono
spontanei ad ingrossare le nostre file noi desumiamo motivo di legittima
compiacenza : e poiché tra i nuovi colleghi trova luogo un venerando
prelato, di cui tutti concordi ammiriamo le virtù, il senno, l'alto senti-
236 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
mento filantropico e patriottico, io sono sicuro d' interpretare il pensiero
della nostra assemblea inviandogli un rispettoso saluto.
" Pur troppo però quante perdite abbiamo sofferto nei pochi mesi
trascorsi, dacché ci siamo l'ultima volta riuniti ! Perdite dolorose, ir-
reparabili. Nel gennaio si è spento, insieme al dott. Alessandro Bel-
locchio, quell'egregio cultore di studi letterari ed artistici che fu Giulio
Pisa, sotto l'assessorato del quale la nostra Società è riuscita a dare
alla propria sede quella decorosa stabilità, di cui al presente fruisce. Il
Pisa, uomo d' ingegno, fu in quell'occasione oltremodo benevolo per noi,
che gliene serberemo sempre grata memoria. E quasi negli stessi giorni
scompariva anche il marchese Alberto Capilupi (30 gennaio 1905) della
storica famiglia mantovana, il quale, non degenere dagli avi, che ave-
vangli transfuso nel sangue l'amore per gli studi, die' segno con saggi
cartografici illustranti il territorio mantovano (i), di dottrina non co-
mune. Il febbraio ci rapì contemporaneamente l'avv. Leone Fontana
(9 febbraio 1905), piemontese, da lunghi anni membro della R. Deputa-
zione di storia patria, uomo d'antica probità, che aveva in Torino rette
altissime cariche pubbliche ed era stato meritamente ascritto al Senato
del regno. Chi ha conosciuto il Fontana, non ne dimenticherà mai la
cortesia signorile, la semplicità affettuosa e bonaria : il suo culto sin-
cero per la stòria della penisola (di cui egli proseguiva con somma cura
il diritto statutario) (2) ed in special modo della regione nativa, si esten-
deva anche alle manifestazioni delle arti belle, talché la sua collezione
di quadri spettanti alle antiche scuole piemontesi, insigne per opere di
Macrino d'Alba, di Defendente Sacchi ed altri famosi maestri del XV
e XVI secolo, costituiva un museo di prim'ordine, al quale cresceva at-
trattiva un' eletta raccolta di tele moderne, tra cui spiccavan opere
dell' impareggiabile Fontanesi e di quel geniale artista che si chiama
Marco Calderina Anche quel valentissimo medico e benemerito filan-
tropo che fu il dott. Antonio Rezzonico, ci abbandonò 1' 8 di febbraio :
fedele amico, del nostro Sodalizio, egli aveva acconsentito ultimamente
a prendere posto tra i Revisori del Bilancio ; ma neppure potè apporre
la propria firma alla prima relazione. Ed a pochi giorni di distanza lo
seguiva nel sepolcro un altro degnissimo galantuomo, il cav. dott. Al-
fonso Garovaglio di Como (28 febbraio 1905), che in età ornai piìi che
tarda aveva saputo mantenere intatto un vero e gagliardo amore per
la scienza. Quella simpatica figura, che pareva rianimarsi tutta, quando
toccava di ricerche e di studi, che dai suoi viaggi aveva tratto materia ad
indagini geniali e saputo riunire nella sua Como una varia e preziosa col-
lezione archeologica, non si cancellerà facilmente dalla memoria di chi
(i) Ved. di lui Le carte topografiche del ducato di Mantova, Mantova^ 1893.
(2) L'opera sugli statuti italiani, a cui il Fontana attendeva da lunghi anni,
verrà, secondochè siamo informati, proseguita e pubblicata dal suo figliuolo, degno
erede delle belle tradizioni domestiche.
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 337
l'ha conosciuta ed amata. Ed ecco ancora, funebre rassegna, nel marzo e
nell'aprile altri due morti : l'uno il comm. Clemente Maraini, la cui splen-
dida attività tanto si era esercitata nella vita economica del paese no-
stro, l'altro il conte Alfonso Casati, colto gentiluomo, vero rappresen-
tante di quell'eletta aristocrazia milanese, che ha sempre formato una
bella schiera di nostri fautori.
" Ma la sventura, che più d'ogni altra ci ha duramente ed inopinata-
mente colpiti, è stata la perdita del nostro benamato collega di presi-
denza, il conte Ippolito Malaguzzi- Valeri, direttore del R. Archivio di
Stato. A quest'amico impareggiabile, a questo studioso altrettanto dotto
quanto modesto, che
Ingiusto fece sé contro sé giusto,
forzatovi dalla cieca violenza di un morbo crudele, il quale gli logo-
rava senza speranza di salvezza il suo più prezioso retaggio^ la mente,
voi mi concederete certo, Signori, di consacrare qui un ricordo, che dica
largamente il nostro profondo dolore ed il nostro infinito rimpianto „ (t).
Ultimato il discorso, ascoltato con viva attenzione dall'assemblea,
il rag. E. Ghisi presenta il rapporto dei revisori del consuntivo sociale
1904 che viene approvato a pieni voti (vedi Allegato A).
Il dott. C. Foligno passa quindi a svolgere l'argomento dell'annun-
ziata sua lettura sui Documenti di storia viscontea rinvenuti in alcune bi-
blioteche inglesi. E la lettura del giovane ed erudito studioso riscuote il
plauso dei numerosi convenuti (vedi Allegato B).
Si passa in seguito all'elezione d'un consigliere di presidenza in
surrogazione del defunto consigliere conte Ippolito Malaguzzi-Valeri e
riesce eletto il prof. Giuseppe Calligaris, già vice-segretario della Società.
Da ultimo si eleggono a nuovi soci i signori : Baroffio Dall'Aglio
barone Giuseppe, Belinzaghi Bianca in Milano, Bonomelli mons. Gè
rèmia, vescovo di Cremona, in Cremona, Brambilla dott. Giuseppe
Johnson comm. Federico, Mannati Vigoni nob. Teresa, Mylius cav. uff.
Giorgio, Petraglione prof. Giuseppe, Premoli Orazio M., padre barnabita
Richard arch. Giulio F., Sassi de' Lavizzari nob. Francesco, Treves Te
deschi Virginia, tutti in Milano, e Weil comandante M. H. in Parigi.
Dopo di che l'adunanza è sciolta, alle ore i6.
// Presidente
F. N OVATI.
// Segretario
E. Motta.
(i) La commemorazione del conte Malaguzzi-Valeri, staccata dal discorso
del Presidente, è pubblicata in fine al presente fascicolo sotto il titolo : Necrologia.
238 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
Allegato A.
Onorevoli Colleghi,
Ossequenti all' incarico che voleste affidarci, eccoci a riferirvi bre-
vemente circa il Bilancio Consuntivo dell'esercizio 1904 che la solerte
nostra Presidenza ha sottoposto all'approvazione vostra.
Come era nostro dovere compulsammo i registri, controllammo tutte
le appostazioni coll'appoggio delle relative pezze giustificative e ci piace
subito annunciarvi che le trovammo tutte rispondenti a verità.
Anche quest'anno il contributo dei soci per tassa annuale ha dato
un consolante aumento di ben L. 680 sulle 5380 lire originariamente
preventivate.
Le entrate ordinarie invece delle previste L. 8545 , salirono a
L. io.i20,95 e le uscite da L. 7990 a L. 9746,15. Quest' eccedenza di
spese va trovata nei capitoli: stampa deW Archivio e suoi estratti, illu-
strazioni, compilazione della Bibliografia e dello schedario e spese di
cancelleria ; queste due ultime voci preventivate complessivamente per
L. 950, salirono a ben L. 1531,49 e così pure le spese postali invece
di L. 100, risultarono di L. 172,87. Ma queste eccedenze sono piena-
mente giustificate dall'entità dei lavori compiuti e dalle risultanze otte-
nute, mentre si economizzò negli altri capitoli specialmente nelle spese
di scritturazione; del che è doveroso tributare speciale elogio all'egregio
consocio il prof. Bognetti.
Kransi preventivate L. 350 per acquisto e rilegatura di libri e nulla
si è speso. Non vogliamo muovere eccezione che suoni biasimo ad al-
cuno a questo riguardo, ma crediamo che negli esercizi venturi non
si debba più fare questa economia, avvegnaché non è ammissibile che
la nostra biblioteca vada sempre avanti a furia di donativi. La buona
conservazione dei libri e specialmente di quelli di minor mole esige
spese di rilegatura in ben assortite miscellanee e ad incoraggiare
r operosità degli studiosi, specialmente se giovani, è necessario che 5i
acquistino quelle opere che le pubbliche biblioteche della nostra città
o non posseggono o non possono procacciarsi coi mezzi di cui di-
spongono.
Come vedete, V attività netta al 31 dicembre 1904 è risultata di
L. 12.593,46 con un aumento quindi di L. 146,82 su quella risultata dal-
l'esercizio precedente, aumento che sarebbe scomparso se avesse avuto
luogo l'erogazione della cifra preventivata per la rilegatura e l'acquisto
dei libri, ma ciò non avrebbe punto infirmata la solidità del nostro ente
patrimoniale che, come già si disse l'anno scorso dai revisori, non c'è
ragione di sistematicamente aumentare.
Anche quest'anno vi si presenta separato rendiconto della gestione
del fondo Lattes che da un'attività salita a L. 5117,93 viene a ridursi
colle spese fatte a sole L. 4238,98 ; cifra pur sempre confortante per la
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 239
prosecuzione dell'importante lavoro cui essa è specialmente consa-
crata.
Dopodiché il collegio dei Revisori, deplorando di esser rimasto privo
della preziosa collaborazione dell'egregio consocio dott. A. Rezzonico,
mancato ai vivi, viene a proporvi un voto di encomio alla nostra Pre-
sidenza, al Consiglio direttivo ed ai suoi intelligenti collaboratori per
i risultati della gestione 1904 e vi invita a votare con tutta tranquillità
il Bilancio Consuntivo, quale vi è stato presentato.
Li 2S aprile 190J.
Enrico Ghisi,
g. c. buzzati.
Allegato B.
Di alcuni documenti viscontei in biblioteche inglesi.
Il materiale storico italiano, raccolto nelle biblioteche inglesi, e spe-
cialmente nel Museo Britannico, è assai grande, ma, è bene ch'io sino da
principio ne avverta gli uditori, le ricerche da me compiute di codici ri-
sguardanti storia lombarda riuscirono presso che infruttuose. Dovetti for-
zatamente limitarle ai tempi piìi antichi, sì che non tenni in considerazione
cronache e documenti che arrivassero oltre la caduta della signoria
viscontea in Milano. Nella biblioteca Phillipps di Cheltenham fui costretto
da ristrettezza di tempo ed esiguità di mezzi ad accontentarmi di pochi
" scandagli „, se mi si concede la parola; perchè veramente quella è un
gran mare di cui nessuno ha disegnato sinora la carta; la guida degli
inventari d'acquisto, da Sir Th. Phillipps a mano a mano compilata, è
per ogni verso insufficiente, zeppa di errori e d' inesattezze. A me ri-
mane neir animo persistente il dubbio che l'esplorazione metodica dì
quella raccolta, quando se ne ottenesse il permesso, recherebbe alla
luce codici che si suppongono perduti; ma le condizioni imposte a chi
voglia lavorare in quella biblioteca non sono tra le più facili, ed è da
altro canto doloroso il pensare che essa si va sciogliendo a poco a poco
per vendite successive, sì che fra non molto il rintracciare i codici ad
essa appartenenti riuscirà opera presso che impossibile.
Ma poiché, prima che io partissi, l'illustre nostro Presidente, che
mi fu, come sempre, cortese e largo d' aiuti d'ogni maniera, mi diede
l'incarico di tener conto delle lettere viscontee che per avventura io
avessi rinvenuto in Inghilterra e, ritornato, volle che ai Soci io ne dessi
relazione, sciolgo ora il voto con titubanza grande, però che non rechi
che un piccolo manipolo di lettere.
Mi sia concesso tuttavia, prima che di quelle io venga a dire in breve^
di ricordare come al Museo Britannico, oltre al noto codice delle Gesta
240 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
Fridericilin Lombardia (Harley 3678) nella rifusione del Codagnelli, come
dimostrò il Holder-Kgger (1), non potei scovare di cronache milanesi
che un " excerptum „ del Manipulus Florum (Harl. 5132), non diverso da
altri ben noti, ed un esemplare tardo della cronaca Bossiana (Harl. 3670).
Di un poemetto in lode di Lodovico il Moro non faccio parola, per averne
già pubblicate alcune notizie (2).
Le lettere viscontee più antiche, ch'io rinvenni, si riferiscono a Ga-
leazzo ir, né davvero fa meraviglia trovare costui in corrispondenza
stretta con Edoardo III, a chi rammenti il matrimonio conchiuso nel
1368 tra Violante e Lionello di Clarence, figlio appunto del re inglese.
Galeazzo, se pur non si dedicava all'esercizio della caccia con quella
passione sfrenata, di cui ci sono testimonio troppi decreti del fratello Ber-
nabò, davasi gran cura della sua muta, se così posso dire, di falconi,
e ne fanno fede parecchie lettere, conservateci, che indirizzava ai Gon-
zaga (3) per ottenerne appunto falchi o animali rari che servissero a
popolare il giardino attiguo al castello di Pavia.
Nulla di nuovo ci rivela dunque la sua lettera con la quale dice di
aver inteso " quod falchio vocata Cipriana quam Serenitati Vestre mi-
" simus, mortua est „ ; e che, avendone altri anche migliori, li invierebbe,
ove le difficoltà del viaggio non lo impedissero (Pavia, 19 agosto; cod.
Cott. Titus B. VII, e. 9).
Ancora un'altra lettera ci attesta i rapporti tra la corte del Visconti
e quella di Londra (ibidem e. 7); con essa Galeazzo presenta, quali suoi
ambasciatori Pietro da Mandello e Sperone da Concorezzo (Pavia, 18 gen-
naio); ma entriamo in campo ben più interessante con le due lettere suc-
cessive nel solito codice cottoniano. Con l'una, datata del 1371 ai 23 di
agosto, mentre le altre fin qui ricordate mancano dell'anno, da Pavia,
Galeazzo dà prova d'essersi mostrato degno delle lodi che il Petrarca
ne fece, quale protettore degli studi; egli difatti scrive: (ibid. e. 8):
" Serenissime princeps et domine, cum venerabiles fratres Jacobus
" Gemeus quondam marchionis Salutiorum ordmis minorum consangui-
" neus noste'r dilectus et Filippus de Barges socius suus, quos per alias (?)
" literas Serenitati vestre recomandavimus ad portos Anglie nunc acce-
" dere istudio sacre pagine vocatim et ad apicem magisterii Dei et Ve-
" stre Magestatis gracia mediante attingere peroptent, Serenitatem ean-
'* dem suppliciter deprecamus quatenus ipsos fratres dignemini nostrorum
" rog[aminum?] interventu suscipere recomissos et dum ad magisterium
" ipsum exercendum provecti fuerint, dignet[ur] (?) ipsos aut magis suffi-
" cient[em inter] ipsos ad magisterium ipsum facere promovere „.
(i) ì^eues Archiv, XVI, p. 279 sgg.
(2) Un poemetto in lode di Lodovico il Moro, Milano, 1905, per nozze d'ar-
gento Pirelli-Sormani.
(5) C. Magenta, / Visconti e gli Sfor^^a nel castello di Pavia, Pavia, 1883,
voi. II (corrisp. di Galeazzo II).
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 24I
Perchè poi questi due fraticelli preferissero di avviarsi ad Oxford
piuttosto che allo Studio più famoso di Parigi, noi non staremo a vedere
ora. Ma ci darà più presto ansa a qualche considerazione un'altra let-
tera, per disavventura in più luoghi guasta da quel malaugurato incen-
dio, che a mezzo il secolo XVIII distrusse e sciupò la maggior parte
dei codici cottoniani.
Galeazzo scrive dopo una breve introduzione assai complimentosa,
mostrando desiderio di più frequenti lettere, che " inter cetera nostra
'* desideria maius et precipuum esset videre bonam et tranquillam pa-
" cem [atqjue amorem inter serenissimum principem dominum nostrum
'* Franchorum regem et magestatem vestram „, e; dopo aver insistito su
questo concetto, continua: " et certe, serenissime domine, si in hoc quic-
" quid facere possemus id cum omni affectione et prontitudine f f ina et
" devotio et affinitas qùas ad sacras magestates utrorumque vestrum do-
^' minorum regum habemus ad hoc reddunt nos f [ojbligatos et nisi infir-
^' mitas nostra pedum teneret nos tantum occupatos sicut tenet et pos-
" semus comode equitare f f do aliqualem laborem sumeremus eciam si
" deberemus ad partes illas personaliter nos transferre quia speramus
" in Domino f f niinisterium forte plus quam alicuius (?) ob nostram afFec-
^' tionem inmensam divina gratia laboraret. Sed novit Deus imbecilit f
'' 7 f s hoc nobis prohibet. Serenissime domine noster, postquam loqui-
" mur de infirmitate nostra pedum cum omni reverentia notifficamus f
^' quod quidam nobilissimus phisicus quondam (i), magister Guillelmus
*' de Luzia qui noverat artem maycam, nobis dixit f f f is montem,
'* quod hec nostra infirmitas non processerat ex guta, sed ex quibusdam
^' maleficiis ex arte malefica nobis f f aberemus unum bonum negroman-
'* tem in arte negromancie bene peritum vel unum sacratum librum diete
" artis t i t [-naljefice artis discoperientur et exinde possemus valde
^' bene optatam nobis assumere sanitatem. hoc non dicimus f f f [a]dhi-
'* beamus plus quam deceat, sed quia libentissime faceremus et expe-
^* rieremur omnia prò sanitate recipienda f f f nobis illustris princeps
" magestatis vestre gener et filius dominus Conciaci et Bedefordie no-
" ster nepos tanquam f f f quod in regno vestro in Amonsore est
" quidam valde peritissimus in ipsa arte negromancie qui conversatur (?)
" in f f f ideo a magna devotione quam ad sacram magestatem ve-
" stram gerimus et habemus audaciam sunentes (2) f f [omjnia (?) expe-
" rita prò liberatione ut profertur audeamus eidem magestati cum omni
^' humiiitate et reverenda supplicare f f ia et dono que a magestate
" vestra requirere possumus ut dignemini mandare ipsum magistrum
" perquiri et facere sic f f veniat et secum ferat huiusmodi librum
" sacratum si ipsum habet vel modo aliquo recuperare potest et si ipsum
^* non habet -}- y posset dignemini mandare si aliquo modo est possibile
(i) Veramente è scritto qtiodam, manca la tilde.
(2) Leggi : sumentes.
Avch. Stor. Lomb., Anno XXXIL Fase. VIL 16
242 ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
" unum (?) ex dictis libris sacratis in vestro regno et alibi f f f s po-
" test recuperari et nobi (sic/) mitti. Nam bene faciemus sic quod et
" ipse magister et lator dicti libri erunt valere bene v f f s venisse.,. „
Seguono alcuni periodi in cui si professa la gratitudine maggiore e in
cui si nomina, non ben si comprende a quale proposito, Filippo di Bar-
ges; della firma e data non si legge che " dat. Papié die XXII f y f
" Comes Mediolani et f generalis f „ (i).
Delle sofferenze di Galeazzo e della sua impazienza di guarire,
paragonabile soltanto alla sua serena tolleranza del dolore, avevamo
già notizia, se non altro dal Petrarca: questi ne scriveva a Tommaso
del Garbo, ricordandogli d' essere stato chiamato a curare il signore
della Liguria e descrivendo le sofferenze atroci di costui, che preso dalla
podagra non pure " ne' piedi, ma nelle mani, ne' giunti nelle spalle, in
tutto il corpo „, aveva per guisa intorpidite, anzi rattratte e fatte im-
mobili le " estremità inferiori che non solamente il mutare anche un
" passo, ma pur lo stare ritto gli era reso impossibile „ {Seti. Vili, 3).
Ed ancora il Petrarca, in una di quelle sue famose invettive contro i
medici ci riferisce un aneddoto, che mi pare veramente da porsi a con-
fronto con la lettera di Galeazzo. Messer Francesco, per dimostrare al
Certaldese che i medici sono per lo più impostori, narra che un tale, abi-
tante del Vallese, era venuto in gran fama di medico, ma non s'era mai
piegato alle chiamate di Galeazzo. Costrettovi dal bisogno s'acconciò a
tentarne la cura con lautissimo stipendio, promettendo della podagra
pronta guarigione; venne accolto con grandi feste, e sfacciatamente im-
prese a somministrare medicine prima di visitar l'ammalato; poco stante
cominciò la " cosa a mettersi male per lui ed il signore a star peggio di
" prima, ond'è che indi a poco venutogli meno o la speranza di curarlo o
" la impudenza di prometterlo, dichiarò non potersi dall'arte ottenere quel
" ch'egli aveva creduto, ma doversi ricorrere a certi libri di magia, che
" ei dice " sacri „ dai quali soltanto può sperarsi di apprendere a tanto
" male il rimedio, ond'è che ha prescritto di farne ricerca, ma in qual
" parte del mondo né io so, né sallo egli stesso, e solo di questo ora
" s'occupa, essendo ogni altra speranza di lui e dell' infermo andata a
" vuoto „ (2).
Saremmo per avventura troppo arditi se in quel Guglielmo di Luzia,
citato nella lettera viscontea, riconoscessimo il medico impostore, preso
di mira dal Petrarca? Veramente le somiglianze tra i due personaggi
non son poche e l'identificazione é seducente, da che i consigli attribuiti
dal cantore di Laura al medico vallese rispondono alla lettera a quelli
che Galeazzo fa risalire a maestro Guglielmo. In ogni modo se l'epi-
stola del Petrarca non può essere più tarda del 1365, quella del Visconti,
se badiamo che egli si offre di far da paciere, dato che é posteriore
(i) Un cenno di questa lettera fu già dato dal Nevati nel volume Petrarca
e la Lombardia, p. 41, nota i.
(2) Fracassetti, Epist. Senili, I, p. 265.
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 243
certamente alla pace di Bretigny {1360), deve porsi dopo il 1369, anno
in cui novamente si aprirono le ostilità tra Francia e Inghilterra; l'ac-
cenno a Filippo di Barges ci porterebbe a ravvicinare questa alla let-
tera antecedente, cioè al 1371.
Gian Galeazzo incontriamo invece in una lettera di carattere pura-
mente diplomatico (ibid., e. 5). Gii stati italiani medievali e del rinasci-
mento erano assai solleciti protettori degli interessi dei loro sudditi in
conflitto con potenze estere; certe corrispondenze di residenti veneti,
per controversie d'indole privata, si potrebbero, forse con vantaggio,
citare ad esempio anche ai nostri consoli d'oggi; e il Visc:nti in una
lettera del 3 maggio 1390, si propone di dimostrare l'innocenza di un
piacentino, Tomaso de Copellato, che era accusato d'aver avuta parte
nel depredamento d' una nave « La Trinile de Chepestouwe „ di pro-
prietà di sudditi inglesi; insieme al Copellato erano accusati altri Pia-
centini. Questi sono del tutto estranei al fatto; quello, uomo di servile
condizione, si trovava casualmente su di una nave del re di Castiglia
nemico di Riccardo li, la quale effettuò la ruberia.
Dopo la lettera del primo duca di Milano, quella d'uno de' suoi cu-
gini, di quei figli di Bernabò cioè, che per anni e in diversi modi con
non mai stanca ostilità gli suscitarono nemici e a vicenda furono di
questi nemici istrumento. Carlo fuggito da Cremona con Mastino ai suoi
parenti di Baviera, riapparve in Italia nel 1388, giunse improvviso a Fi-
renze, dove la Signoria, siccome asserì in una lettera a Gian Galeazzo (i),
con cui era in lega, con poco buon viso lo accolse, anzi lo pregò di
muovere al più presto di là. " Era costui poco savio uomo e vile „, ci
dice il Minerbetti (2); e si recò a Perugia dal papa. La Signoria che era
in sospetto de' suoi maneggi con il pontefice e Antonio della Scala, il
quale doveva pure recarsi a Perugia, ma infermò per via, manda a que-
st'ultimo Donato degli Acciajuoli (3), per distoglierlo dal venire a Firenze
e per ricordargli quanto fosse stretta l'amicizia del comune con il conte
di Virtù, nello stesso tempo per tenersi al corrente dei maneggi tra lo
Scaligero e Carlo Visconti. Il fatto è che mentre in quest' anno 1388,
nella state, Gian Galeazzo ringrazia i Fiorentini per aver preso e tor-
mentato un ambasciatore di Carlo, che pare dovesse seminar zizzania
tra gli alleati (4), e i Fiorentini stessi fanno le loro rimostranze a Uguc-
(i) 4 maggio 1388, Lettera dei Dieci di Balia al conte di Virtù, Dieci di
Balia Lega:^. e Commiss. ^ Reg. I, p. 81; cfr. Doc. di star, ital., ptibhl. della R. De-
puta::^, di storia patria per le prov. di Tose, Umbria e delle Marche, VI, p. 539.
(2) P. Minerbetti, Cronica in Rer. ital. script , Suppi. Tartini, II, col. 157.
(3J Reg. cit,, p. 81, ed. in Documenti citati, p. 541.
(4) La lettera è ricordata da G. Romano, Gian Galea^^^o Visconti e gli
eredi di Bernabò, in quest'' Archivio, XVIII, 1891, p. 21, nota i, ma l'indicazione
non è esatta del tutto; si trova nell'Archivio di stato di Firenze, Signori, car-
teggi, missive, registri I Cancelleria, n. 21, e. 36.
244 ^TTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA
clone Casali, signore di Cortona, per aver accolti i fuorusciti viscontei;
noi troviamo poco stante che Carlo entra con pochi uomini nella com-
pagnia di suo cognato Giovanni Acuto (5), al soldo di Firenze, e che ai
IO di agosto 1389 scrive a Donato degli Acciajuo]i(6); e questa è l'occa-
sione e la causa della nostra digressione; presentando Baldassarre dei
Grassi suo cancelliere, con parole assai amichevoli: è costui incaricato di
trattare, come sembra, con il comune fiorentino; Carlo promette che se
a lui sortissero prosperi gli eventi, saprebbe poi bene manifestare la pro-
pria gratitudine. Forse aveva Carlo conosciuto l'Acciajuoli, quando questi
era incaricato di sorvegliare le trattative tra Antonio della Scala, il papa
e i Visconti? È noto poi che accordatisi i Fiorentini coi figli di Bernabò
contro Gian Galeazzo, si trovarono delusi nelle speranze poste sull'aiuto
morale di Carlo e lo tennero poi sempre in poco conto.
Ma queste sono le sole e magre notizie che ci sia concesso d'ag-
giungere a quelle note intorno al lungo e operoso principato di Gian Ga-
leazzo. Di Giovanni Maria abbiamo ritrovato in data del 15 febbraio 1405
una credenziale a Tommasino della Croce, suo scudiero, per il sovrano
inglese (Harley 431, e. io). Veniamo a Filippo Maria. Per non tener
conto di due lettere in cattiva copia comprese in una miscellanea uma-
nistica (Ar. 138, e. 6' e e. 8), di cui la prima gratulatoria a Nicolò V per la
sua elevazione alla tiara (a. 1447) ^ l'altra un salvacondotto per " Giovanni
" Fridman de Nuzu e servi suoi „ in data 11 novembre 1424, accennerò ad
una richiesta originale di Filippo Maria a Enrico V, in data 26 luglio 1418,
indirizzata a ottenere un salvacondotto per Banino o Zanino " Mirabi-
" lia „, Pietro suo cugino e Simone figlio e loro agenti " quo liberius pos-
" sint et simul et separatim ad illas vestras partes accedere et traffigare „ ;
come già fin dal tempo di Enrico IV avevano fatto (Cott. Titus B. VII,
e. 289). E finalmente nel 1445 Filippo Maria manda ai magnifici priori
delle arti di Perugia Andrea degli Occhi suo segretario e lo munisce
di sue credenziali (9 agosto; Add. 16163, e. 9 t.). Ma non mi sembrerebbe
d'aver assolto il mio dovere, ove non dessi notizie anche d'un ultimo
documento, non originale questo, ma degno di nota, perchè sfuggito sin
qui alle ricerche. Lucia, figlia di Bernabò, che era stata nel suo primo
matrimonio sfortunata, e sarà a vero dire anche con il secondo, andava
appunto a nozze con Edmondo Holland conte di Kent nel 1406; il pro-
fessor Romano, che di questo matrimonio scrisse (3), lo dice avvolto
in un profondo mistero. Ora nel cod. Add. 30662, proveniente dalla col-
lezione, che G. B. Colbert fece fare dei documenti di Antonio di Loménie
conte di Brienne, è trascritto a e. 17 1. il contratto di nozze di Lucia Vi-
sconti con Edmondo conte di Kent.
(i) G. Temple-Leader e G. Margotti, Giovanni Acuto, p. 188, e Miner-
BETTI, op. cit., col. 168.
(2) Museo Britannico, cod. Add. 24213, e. 7.
(3) G. Romano, Un matrimonio alla corte dei Visconti^ in quQsV Archivio,
XVIII, 189 1, p. 607 sgg.
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA 245
Le nozze si faranno per procura verso le calende di dicembre, la
zia sarà mallevadrice della sposa e la dote di 70,000 fiorini è garantita
dal duca e avallata dal comune; saranno pagati 12,000 fiorini subito
e 8285 fiorini annualmente fino a totale estinzione del debito.
A spese del duca la sposa verrà accompagnata in un porto della
Manica; Tatto è segnato con il sigillo del comune; rogito di Giovanni
Morone in casa di Lucia a S. Giovanni in Conca.
Presente il podestà Guido de Galeazzi, Gabriele q. Gian Galeazzo
Visconti, Antonio q. Gaspare Visconti, Balzoccion q. Francesco de Pu-
sterla, Giovanni q. Guidone de Fusterla, Ottone q. Pietro da Mandello.
Di questo contratto aveva forse avuta notizia il Corio, ma era poi
andato smarrito.
Tale il piccolo contributo di documenti viscontei che mi è stato con-
cesso di recare all'impresa assunta dal nostro sodalizio.
Cesare Foligno.
NECROLOGIA ^
IPPOLITO MALAGUZZI-VALERI.
Ippolito Malaguzzi- Valeri nacque il 3 novembre 1857 a Venezia,
tredicesimo figlio del conte Alessandro e della contessa Emmanuela
Linati di Parma. Eletti i genitori, discesi entrambi da cospicua schiatta,
in cui per tradizione costante la nobiltà dell' ingegno s'era disposata
alla gentilezza del sangue. Il nonno paterno del Nostro, che ne rinno-
vava il nome, il conte Ippolito, era stato per circa otto lustri governa-
tore e prefetto di polizia di Reggio e di Modena, e dalla seconda carica
fu dopo sì lunghi ed onorati servigi rimosso, com.e poco appresso an-
che dalla prima, poiché al governo estense sembrò che nei processi
del 1831 facesse prova di soverchia indulgenza verso gli imputati, dei
quali in effetto molti lasciò fuggire, altri, meno compromessi, mandò
addirittura assoluti. Il figlio suo, il conte Alessandro, ebbe ancor egli
doti non comuni d'intelletto. Allevato alla corte di Vienna, onorato di
particolare intimità dall'arciduca Massimiliano, egli trascorse gran parte
della sua vita in mezzo all'altissima società tedesca. La sua devozione
affettuosa per la casa d'Asburgo, che lasciava (caso non comune) ger-
mogliare pur sempre vigoroso in lui il sentimento dell' italianità, fece
sì che ad un dato momento egli paresse l'uomo piìi acconcio a tentare
accordi tra il nuovo regno italico e la potenza che ne aveva maggior-
mente osteggiata la fondazione. Di qui la missione segretissima che
nel '65 Vittorio Emanuele volle affidargli presso Francesco Giuseppe,
all' intento d' ottenere, senza ricorrere alle armi, la cessione all' Italia
della Venezia. I pochi cenni che sopra questo ignorato e curioso epi-
sodio diplomatico ha dati A. Lamarmora nel suo famoso libro: Un po'
più di luce, ecc., trovansi integrati dagli appunti e dai documenti con-
servati dal conte Alessandro, che la famiglia Malaguzzi ancora possiede.
(i) Cfr. Atti sociali^ P- 257 del presente fascicolo.
NECROLOGIA 247
che io stesso ho veduti, e che altri forse darà tra breve alla luce con
opportune illustrazioni (i).
Mentre il padre suo viaggiava e faceva della diplomazia, Ippolito
cresceva in Venezia tra le cure aifettuose della madre, donna d'alti
sensi e di singolare cultura. Furono quelli gli anni più sereni per lui,
sebbene la salute sua assai malcerta rendesse giustamente inquieti
coloro che l'amavano. Stimossi opportuna ad infondergli quel vigor fisico
di cui pareva difettasse, un' energica cura ; ed il giovinetto sedicenne
fu arruolato nella leva di mare come volontario per marina mercantile.
Ei rivelò, in questo duro noviziato della vita, singolare fortezza d'animo
e maturità di senno ben superiore all'età. Agli intimi suoi, più tardi,
accennava egli talvolta i disagi lietamente e volontariamente sopportati
col fermo proposito di cancellare ogni apparente distanza tra sé e gli
umili compagni che la sorte gli aveva dato. Fatto caro al capitano per
i solidi pregi dell'animo e dell'ingegno, dopo tre mesi di viaggio, tenne
seco il libro di bordo e si mostrò capace di calcoli difficilissimi. A Callao
ebbe vantaggiose offerte d'impiego, ch'egli rifiutò; troppo gli premeva
riavvicinarsi a sua madre.
Due anni dopo egli tornava difatti presso di lei in Reggio ; l'ag-
graziato e delicato adolescente s'era trasformato in un giovine forte e
vigoroso, risoluto ad affrontare le tempeste dell'esistenza colla calma,
con cui aveva sfidato quelle de' mari. Ed invero l'avvenire non mostra-
vasi lieto di promesse per il povero Ippolito ! Gravi disgrazie avevano
colpito i suoi: la vecchia casa era deserta, dispersi i fratelli, la povertà
lo incalzava minacciosa. Per sfuggirvi accettò un modestissimo impiego
prima nel comune, poi nella civica biblioteca ed in un' Opera pia. Ri-
tornato così agli studi che aveva abbandonati, sentì sorgere prepotente
in cuore la vocazione sopita. Incoraggiato dal conte G. B. Venturi, suo
zio, valente cultore di patrie memorie, dall'altro zio Girolamo Malaguzzi-
Valeri, canonico reggiano e prevosto di S. Prospero, e soprattutto da
quel valentissimo paleografo ed archivista che fu A. Ronchini, da lui
venerato sempre come maestro, Ippolito rivolse tutta la sua attività a
scrutare il passato. Reggio possedeva ancora una preziosa suppellettile
storica e diplomatica; ma essa giaceva abbandonata, negletta, esposta
al pericolo di essere dispersa o distrutta. Il Malaguzzi si prefisse di
ovviare al temuto disastro. Grazie alle sue cure i documenti dell'antico
Archivio del Comune, delle Opere pie, di altri corpi morali, di parecchie
famiglie patrizie, furono riuniti insieme alla biblioteca municipale, in
una medesima sede. Così formossi il nucleo primo dell'Archivio di Stato,
di cui Reggio va oggi, ed a buon diritto, orgogliosa. Certo a fondarlo,
a dargli acconcia sede, quale è quella in cui dal 1892 si trova (2), coo-
(i) Ved. per ora l'articolo di F. Fabbri, I. Malagui^i-Vaìerì ^ Ricordi di una
famiglia e di una missione nel giornale La Patria, a. VI, n. 35, Roma, 4 feb-
braio 1905.
(2) Nell'ex-palazzo de' Gesuiti.
248 NF OROLOGI A
perarono parecchi altri benemeriti cittadini (i); ma non si scemano
certo i meriti altrui affermando che dell'Archivio reggiano Ippolit^ Mala-
guzzi fu il creatore vero, l'organizzatore sapiente ed infaticabile. Senza
di lui l'Archivio non sarebbe esistito. Ed alla creatura sua l'egregio
amico nostro conservò sempre particolare affetto : anche lontano non
cessò di beneficarla; a Reggio ei fé' dono di tre ricchissimi archivi pri-
vati (il Malaguzzi, il Valeri, l'Alliati-SpineUi), di sedici antichissime per-
gamene, di pregevoli registri spettanti alla amministrazione feudale .di
Simone da Correggio, signore di Castelnuovo parm.ense, Poviglio, ecc.,
d'una bella raccolta di monete, medaglie e sigilli.
Quegli anni che il Malaguzzi visse in patria, dove le dolcezze di
una ben assortita unione vennero ad incorarlo alle piìi ardue fatiche
ed a compensarlo de' maggiori sagrifici, furono certo i più fecondi per
lui. Egli trovavasi allora nel pieno rigoglio delle forze fisiche ed intel-
lettuali, e raccoglieva senza tregua preziosi materiali in servigio di fu-
turi lavori, che veniva ideando ed in parte anche abbozzando. Nell'in-
vestigare i molti e vetustissimi documenti che, mercè sua, erano stati
sottratti a certa rovina, egli aveva sentito nascere in sé il desiderio di
ricostruire la storia di talune tra le grandi famiglie che nell'alto medio
evo avevano signoreggiato la penisola, dapprima quali rappresentanti
della monarchia carolingia, e quindi, nello sfacelo di questa, spezzato
ogni vincolo di soggezione, eransi fatte padrone dei territori che go-
vernavano. Coteste schiatte franche e saliche, fiorite ne' secoli TX e X,
gli parevano, ed erano in realtà, materia nuova ed importantissima di
studio per lo storico. I Supponidi, i Wiberti, gli Attoni divennero così
soggetto di ricerche incessanti per il Nostro, che dei suoi studi diede
saggio assai lodato con una monografia impressa nel 1894, dove si di-
segnano alcune linee della storia de' Supponidi, i discendenti di quel
Suppone I, che fu conte di Brescia, poi duca di Spoleto (814-827) (2).
Ma le monografie, già condotte bene innanzi sui Wibérti e sugli Attoni,
che tanta luce avrebbero sparso sopra la storia del comitato di Reggio
dal secolo X al XII, prive dell'ultima mano, rimasero disgraziatamente
inedite nel suo scrittoio (3).
(i) Sopra di ciò può essere consultata la « Relazione delle pratiche fatte per
« ottenere la conversione dell'Archivio provinciale in Archivio di Stato », che
fu impressa come allegato al verbale della seduta 8 agosto 1892 negli Atti del
Consiglio Provinciale di Reggio nelV Emilia per gli anni 18^2-^^.
(2) Cfr. Bibliografia, n 17.
(3) Parecchie scritture eruditissime diede a stampa il M. concernenti alla
storia reggiana (cfr. Bibliografia, nn. i, 2, 4, 5, 6, 7, 8), ma molt' altre non
meno importanti sono rimaste incompiute tra le sue carte : citerò uno studio
sui confini del comitato di Reggio verso la fine del sec. XVIII, un contributo alla
storia dello Studio reggiano ; delle memorie sugli archivi di Reggio, sulla Ca-
mera degli Atti del comune, sullo stemma della città.
NECROLOGIA 249
A distogliere il Malaguzzi così da coleste indagini intorno alla storia
deirelemento signorile italiano, come da quelle relative alla storiografia
reggiana, anzi emiliana medievale, esse pure avanzatissime, che aver
dovevano come coronamento la novella edizione di fra Salimbene (i),
giunse nel 1888 la sua nomina a direttore dell' Archivio di Modena.
Certo fu questa una meritata ricompensa delle sue anteriori fatiche;
ma l'impresa gravissima che dovette assumere, di riordinare cioè to-
talmente l'istituto affidatogli, assorbì d'allora in poi la maggior parte
del suo tempo e lo distrasse dai lavori scientifici che aveva tanto bene
incominciati (2). A Modena l'azione sua fu sotto ogni rapporto degna
di lode incondizionata. Dei doveri del proprio ufficio, il compianto no-
stro collega aveva difatti un concetto assai diverso da quello che —
allora, non oggi ! — sembrava esser comune a parecchi tra i direttori
d'archivi del " bello italo regno „. Stimavano que' valentuomini che gli
archivi fossero fatti per loro, non essi per gli archivi, e dei desideri,
delle necessità del pubblico ben poco si preoccupavano. Non- manca-
vano casi in cui intere serie di documenti venissero per lungo tempo
sottratte alla visione degli studiosi per il semplice motivo che qualche
ufficiale d'archivio ne faceva oggetto d'esame per proprio conto e bra-
mava tenere lontani i concorrenti. Cose, ripeto, d'altri tempi, ma auten-
ticissime ! Il Malaguzzi si prefisse invece di agevolare in tutti i modi
le investigazioni degli studiosi, li colmò di cortesie e di favori, crean-
dosi fra loro una vera e m.eritata popolarità. Tutti quanti hanno per
le loro ricerche dovuto ricorrere a quella ricchissima miniera degh ar-
chivi estensi, il Renier, il Venturi, il Luzio, il Solerti, cent'altri ancora,
confermeranno l'asserto di chi fu pure oggetto delle maggiori liberalità.
Durante il periodo di tempo nel quale resse l'Archivio modenese,
dal 1888 al 1898, anche per altre vie il Malaguzzi seppe rendersi bene-
merito degU studi. Nel 1888 attese a raccogliere e riordinare, per inca-
rico avutone dal ministero della pubblica istruzione, i documenti riguar-
danti la Basilica Lauretana, lavoro lungo e paziente che condusse a
fine, riscotendo vive lodi. Anche a Mantova ricercò in quell'anno me-
desimo, e sempre per incarico ministeriale, tutto quanto concerneva le
(i) Approfittando della sua grande pratica degli archivi patrii, ricco mate-
teriale aveva il M. riunito sopra le cronache reggiane di Pietro Muti della Caz-
zata e di Sagacio della Cazzata; com'egli soleva assicurare, soltanto coli' aiuto
dei documenti scoverti da lui sarebbe tornato possibile risolvere in maniera de-
finitiva il problema che sorge intorno ai fonti di Salimbene. Del quale egli aveva
fatto studio amoroso e lungo, cosicché se le forze gli fossero bastate, sarebbe
riuscita certo la edizione da lui promessa della Cronaca per i Fonti della storia
d' Italia un monumento degno del bizzarro ed originale francescano.
(2) Certo della sua attività scientifica die' segno anche in questi anni (cfr.
Bibliografia, n. 1 1 sgg.) ; ma erano lavori di minor rilievo quelli che licenziava
alle stampe, ed in gran parte già anteriormente apprestati.
250 NECROLOGIA
vicende di quello storico Castello. Nel 1898, assistito dall'autorità giu-
diziaria, si portò a Camaldoli per porre le mani sui documenti che
esistevano ancora nello sperperato archivio del celebre cenobio, ed
iniziare ad un tempo le pratiche necessarie alla ricerca ed al ricupero
di quanti erano stati trasportati altrove. Missione delicata, ch'egli compì
felicemente, ridonando al paese un materiale prezioso e tanto ricco
da essere a mala pena contenuto in venticinque grandi casse. Fu
certo il tatto e l'abilità di cui diede prova nello sbrigare siffatti inca-
richi, che suggerirono al ministero dell'interno il pensiero di mandarlo
nella primavera del 1897 quale r. commissario ad Oneglia, lacerata da
divisioni che parevano insanabili. Meravigliarono gli amici che il Mala-
guzzi accettasse un ufficio tanto disforme dai consueti; ma nella nuova
situazione ei fé' prova di prudenza, abilità e sagacità; le elezioni, da
lui dirette, riuscirono in tutto conformi ai voti dei benpensanti ; la
città, grata, lo volle ascrivere tra i suoi.
Nel 1899, dopo aver superati felicemente non pochi né lievi ostacoli
che si opponevano alle sue legittime aspirazioni, il Malaguzzi lasciava
Modena per Milano. Egli aveva desiderato molto questo mutamento di
sede, che, quantunque fosse per riuscirgh tutt' altro che vantaggioso
sotto il rispetto economico, gli consentiva di far prova sopra scena più
larga delle sue eccellenti qualità di archivista e di studioso. E qui non
poteva davvero mancare il modo di metterle in mostra. Senz' essere
in quelle condizioni di disordine e di sfacelo nelle quali si è tante volte
detto e scritto che fosse caduto, il grand'Archivio milanese non trova-
vasi certo, quando il Nostro ne assunse la direzione, in floridissimo
stato; vi si dormicchiava da un pezzo, e l'esempio veniva dall'alto. Il
Malaguzzi sperava di poterlo trasformare invece in un centro operoso
di fecondo lavoro; egli, paleografo insigne davvero, vagheggiava di
crearsi d'attorno una schiera eletta d'alunni, coll'aiuto de' quali metter
mano all'esplorazione sistematica e compiuta del copiosissimo fondo
diplomatico che vi si è formato coU'accumularsi di tanti archivi mona-
stici ed ecclesiastici di tutta Lombardia, ivi trasportati nell' età napo-
leonica.
Pur troppo i bei sogni non si realizzarono, se non in piccola parte;
il Malaguzzi ringiovanì bensì il personale e diede impulso più attivo,
regolarità maggiore ai congegni amministrativi, ma si trovò pure alle
prese con infinite burocratiche faccende che gli involarono il meglio
del tempo. Ansioso di non rinunziare per questo alle sue predilette ri-
cerche di storia e genealogia medievale, egli rubava le ore al sonno,
e le veglie eccessive, la privazione d'ogni svago, il lavoro quasi feb-
brile finirono per risvegliare chi sa quali germi letaH nel suo organismo,
capace apparentemente di così gagliarda resistenza. Cert' è eh' ei co-
minciò a declinare, ed avvedendosi di ciò, invece di sostare, raddoppiò
gli sforzi. L'impresa ponderosissima ch'egli assunse nel 1903 di provare
come in massima parte i documenti della raccolta Muoni, posti in ven-
dita, derivassero dagli incartamenti dell'Archivio di Stato e dovessero
NECROLOGIA 25I
farvi ritorno, die' l'ultimo crollo alla sua malferma salute.... Dinanzi alla
incapacità in cui si scorse di qualsiasi occupazione intellettuale, in mezzo
ad inaudite sofferenze fisiche, tollerate sin allora con somma energia,
la sua mente s'offuscò, intravvide un futuro spaventosamente buio e
gli mancò la forza d'affrontarlo. Inchiniamoci pensierosi e mesti davanti
alla dolorosa tragedia; non indaghiamo più oltre e soprattutto non giu-
dichiamo
Alunno d'Amadio Ronchini, del quale aveva ereditato insieme alla
dottrina la modestia rara e la squisita bontà, il Malaguzzi è stato cer-
tamente uno de' più dotti tra gli studiosi di storia patria vissuti nell'ul-
timo trentennio. Versatissimo nelle discipline paleografiche, di cui egli
aveva penetrati gli arcani, affaticando senza posa gli occhi e la mente
sui documenti, diplomatista sagace, valentissimo conoscitore di sfragi-
stica, competentissimo in materie araldiche, egli possedeva tutto quanto
era necessario per imprimere un'orma profonda nel campo con tanto
indefesso zelo coltivato. Purtroppo non fu così; egli è scomparso sen-
z'avere dato alla scienza quel ch'essa era in diritto d'attendersi da lui.
Prosperano invece gli scarabocchiatori ed i paleografi la cui sapienza si
fonda sull'obbiettivo di una macchina fotografica. Ma la vita è fatta così.
F. NOVATI.
Scritti a stampa del conte Ippolito Malaguzzi-Valeri (i)
1. Guido da Castello e Dante Alighieri, studi, Reggio Emilia, 1878, tip. Cal-
derini, in-8, pp. 38.
2. Alcune cose estratte dalli Diarii di niesser Alfonso Visdomini, Reggio Emilia,
1881, tip. Stefano Calderini, in-8, pp. 50.
Questa pubblicazione, offerta da Italo Calderini per le nozze Fornaciari-Valen-
tini, fu curata dal M., che al Diario reggiano di Alfonso Visdomini dal 1538 al 1574
(pp. 9-42) aggiunse una « Appendice di alcune memorie d'autori incogniti e posteriori
« al Diario Visdomini » dal 157831 1673 (pp. 43-50), l'uno e l'altra traendo da un ms.
di sua proprietà.
(i) Questa bibliografia è stata compilata sopra l'elenco degli scritti del com-
pianto nostro Collega comparso negli Atti e Memorie della R. Deputaiione di
storia patria per le Provincie Modenesi, serie IV, voi. X, par. II, Modena, 1901,
pp. 293-95. Ad integrarla si tenne pure presente l'elenco dei a lavori dei soci
« pubblicati per intiero negli Atti e Memorie •>•>, che si legge a p. 5 5 dello stesso
volume e dell'altro indice dei « lavori dei soci dei quali gli Atti non danno
<( che un sunto », che sta ivi a p. 74 sgg.
252 NECROLOGIA
5. Relazione dei lavori e delle deliher anioni del III Congresso storico italiano,
presentata alla sottosezione reggiana della R. Deputazione sovra gli studi
di storia patria dai soci delegati allo stesso Congresso, signori vicepresi-
dente cav. dott. Venturi, cav. prof. Campanini e conte Malaguzzi, relatore,
in Atti, 20 novembre 1885, III serie, V, pp. xliii-li.
4. Un episodio storico guastallese inedito in La Rivista Emiliana, a.. II, n. 7
(13 febbraio 1887), pp. 185-187 e n. 8 (20 febbraio 1887), PP- 196-198.
5. Accorso da Reggio in La Rivista cit., a. II, n. 8, pp. 199-200.
6. Un atto di giuramento del Consiglio del comune di Reggio agli ambasciatori
del comune dì Bologna (16 febbraio 121^) in La Rivista cit., a. II, n. 9
(27 febbraio 1887), pp. 201-203 ; ri. 19 (8 maggio), pp. 281-285 ; n. 25
(19 giugno), pp. 329-331; n. 26 (26 giugno), pp. 337-339-
II lavoro rimase qui incompiuto ; trovasi poi intiero nel volume dei Frammenti
storici.
7. / canali di Secchia e d'Enea, riassunto storico e giuridico (à proposito di due
pubblicazioni di Carlo Ferrari) in La Rivista cit., a. II, n. 28 (io lu-
glio 1887), pp. 353-354; n. 29 (17 luglio), pp. 362-364; n. 31 (31 lu-
glio) pp. 379-381; n. 34 (21 agosto), pp. 405-405 ; n. 56 (4 settembre),
pp. 422-424; n. 37 (11 settembre), pp, 430-432; n. 38 (18 settembre),
pp. 437-438.
8. Frammenti storici, voi. I, Reggio Emilia, 1887, stab. tip.-lit. degli Artigia-
nelli, in-i6, pp. 240, oltre io in principio n. n.
Eccone i soggetti: « Un episodio storico guastallese inedito », (pp. 1-39) ; « Ac-
« corso da Reggio », pp. 41-49; « Un atto di giuramento del Consiglio del comune
di Reggio agli ambasciatori del comune di Bologna, 16 febbraio 1219 », pp. 51-219;
« Un nuovo documento su Guido da Castello », pp. 221-240. Questo voi. I è il solo
pubblicato,
9. Sulle tre Cronache Modenesi di Bonifa:(io da Morano, di Giovanni da Ba'^-
:(ano e di Alessandro Tassoni testé pubblicate in Atti, 1889, III serie, VI,
p. XXII.
10. Relazione su quanto fu operato nel IV Congresso storico italiano tenuto in
Firenze nel settembre 1889 in Atti, IV serie, I, p. xi.
11. Monumenti di storia patria delle Provincie Modenesi. Serie delle Cronache,
voi. XV. Cronache Modenesi di Alessandro Tassoni, di Giovanni da Baz-
zane e di Bonifazio da Morano [Modena, 1888], recensione in Rassegna
Emiliana, a. I, fase. XI, marzo 1889, pp, 692-702.
12. L^ Archivio di Stato in Modena durante il triennio 1888-8^-^0 in Atti, IV serie,
I, pp. 19-101.
13. Za battaglia di San Quintino e le relazioni fra la reale casa di Savoia e il
Piemonte e casa d'Este secondo i documenti del R. Archivio di Stato in Mo-
NECROLOGIA 25 3
detta, Modena, 1890, coi tipi della Società tipografica, antica tipografia
Soliani, in-4, pp. xxii-iio.
Offerto alla Maestà del re Umberto I dai proprietari della Società tipografica
Adeodato Mucchi, Giovanni Ferragiiti, Pietro Vandelli e Tommaso Cappelli, il
24 giugno i8t)o.
14. U Archivio di Stato in Modena ndVannata 18^1 in Atti, IV serie, IV, pp. 65-137.
ly Le no\7^e del duca Emanuele Filiberto di Savoia con Margherita di Francia,
da dispacci degli ambasciatori estensi conservati nel R. Archivio di Stato
in Modena, Modena, 1893, coi tipi della Società tipografica, antica tipo-
grafia Soliani, in-4, PP- xviii-25.
Opuscolo offerto da Adeodato Mucchi e Giovanni Ferraguti della Società tipo-
grafica modenese alle Maestà di Umberto e Margherita per le loro nozze d'argento.
16. Lorenzo Marcello e la battaglia dei Dardanelli (26 giugno 16^6), Modena,
1894, Società tipografica modenese, in 8, pp. 32 [Per le nozze Marcello-
Grimani].
17. / Supponidi, note di storia signorile italiana de' secoli IX e X, Modena, 1894,
coi tipi della Società tipografica, antica tipografia Soliani, in 8, pp. 40.
18. Lettera del medico Francesco Castelli al duca Ercole I di Ferrara [Di Sala,
16 agosto 1503], Modena, 1894, Società tipografica modenese, in-8, pp. 14
[Per le nozze Bruni-Fox].
19. La costituzione e gli statuti dell'Appennino Modenese, in L'Appennino Mode-
nese, Rocca S. Casciano, 1895, L. Cappelli editore, pp. 498-579.
20. La guerra turco-montenegrina del lyS^ e la strage di Pastrovecchio, due let-
tere da Cattaro dei 30 giugno e 14 luglio 1785 di Luca Valeri e Marino
Zorzi, tratte dai carteggi estensi dell'Archivio di Stato in Modena, Mo-
dena, 1896, coi tipi della Società tipografica, antica tipografia Soliani, in-8,
pp. 34 [Per nozze Savoia-Petrovié Njegus, 24 ottobre 1896].
Offerto alla Maestà del re Umberto I da Adeodato Mucchi e Giovanni Ferraguti.
21. Sigilli inediti dei comuni dell'Appennino Modenese [con 19 fig.] in Sant'Anna
del Pelago, Bologna-Modena, febbraio 1897, pubblicazione del Resto del
Carlino, a beneficio dei danneggiati dalla frana, Bologna, 1897, stab. tip.
Zamorani & Albertazzi, in fol., pp. 3-4.
Ne fu fatta una tiratura a parte in-8, pp. 15.
A quest'elenco de' lavori stampati dal Malaguzzi facciamo seguire
quello delle " Letture „ da lui fatte tra il 1879 ed il 1893 nelle tornate
della R. Deputazione di storia patria per le provincie Modenesi, delle
quali negli Atii della Deputazione stessa non si hanno che cenni som-
mari o brevi transunti.
I. Considerazioni sullo stato attuale e sull'ordinamento da darsi all'Archivio delle
Opere pie di Reggio in Atti, 1879, nuova serie, V, par. I, pp. li-lii.
254 NECROLOGIA
2. Ricerche e studi siigli Archivi di Reggio d'Emilia in Atti^ 1881, nuova serie,
VII, par. I, p. XLV ; III serie, I, par. I, p. xxii.
3. SnW autenticità controversa de' quattro più, antichi diplomi carolingi a favore
de' vescovi di Reggio, in Atti, 1881, III serie, I, par. I, p. xx.
4. Studi critici intorno alla patria ed alla famiglia dell'antipapa Wiherto (Cle-
mente ni)^m Atti, 1883, III serie, H, par. I, p. xx.
5. / Signori da Correggio de'' secoli XI e XII in Atti, 1883, III serie, par. III,^
pp. xxx-xxxi.
6. Della Marca e dei Comitati investiti alla schiatta margraviale degli Attoni in
Atti, 1885, III serie, IV, pp. xx-xxir.
7. Della guerra guastallese ricordata in due pergamene della cattedrale di Parma
degli anni 116^ e 1164 in Atti, 1887, III serie, V, p. lii (cfr. Bihliogr., n. 8).
8. Sul celebre giurista reggiano Accorso in Atti, 1887, III serie, V, p. un (cfr.
Bihliogr., n. 8).
9. Giuramento prestato il 16 febbraio 121^ dal Consiglio del comun^^ di Reggio^
agli ambasciatori dei comune di Bologna in Atti, 1887, III serie, V, p. liv
(cfr. Bibliogr,, n. 8).
IO. Dei diritti baronali di un vescovo emiliano (Adelardo vescovo di Reggio) dai
sec. VII! al XII in Atti, 1893, IV serie, IV, p. xxii.
O r» JB5 K! E?
pervenute alla Biblioteca Sociale nel III trimestre del 1905
Aliotta A-, La misura in psicologia sperimentale^ Firenze, Galletti & Coccia
1905 (d. d. R. Istituto di studi superiori in Firenze).
Al suo Santo Patrono. Omaggio del Circolo S. Alessandro Sauli. Numero
Unico, Genova, P. Risso, 1905 (d. d. s. Gallavresi).
Ambrosoli A., Atlantino di monete papali moderne a sussidio del Ciuagli^
Milano, U. Hoepli, 1905 (d. d. s. A.).
Bernardy a., Cesare Borgia e la repubblica di S. Marino {isoo-ij;o4)y
Firenze, Fr. Lumachi, 1905 (d. d. A. e d. Ed.).
BusTico G., La legge Casati e l'obbligo scolastico, Riva, T. Miori, 1905
(d. d. A.).
BuTTURiNi M., Caccia al vischio degli uccelli acquatici usata sul lago di
Garda nel sec. XVII , Brescia, Unione tipografica bresciana, 1905
(d. d. s. A.).
Cessi R., Prigionieri illustri durante la guerra fra Scaligeri e Carraresi
(ijSó), Torino, C. Clausen, 1905 (d. d. A.).
CiAN V., Un genealogista patriotta. Lettere inedite del conte Pompeo
Litta-Biumi, Pisa, F. Mariotti, 1905 (d. d. s. A.).
CoGGiOLA G., / Farnesi e il ducato di Parma e Piacenza durante il pon-
fc; tificato di Paolo IV, voi. 1 (Estr. di2^ Archivio storico per le Provincie
" parmensi^ Nuova serie, voi. HI, a. 1903) (d. d. A.).
Egidi P., GiovANNiNi G., Herivianin F., Federici V., / monasteri di Su-
biaco. Voi. I : Notizie storiche. — L^architettura. — Gli affreschi. —
Voi. II : La Biblioteca e l'Archivio, Roma, Unione cooperativa edi-
trice, 1904-1905 (d. d. Ministero della Pubblica Istruzione).
Ga.ia.{^vkesi G.y II diritto elettorale politico secondo la costituzione della
repubblica Cisalpina, Milano, L. F. Cogliati, 1905 (d. d. s. A.).
GiuLiNi A., Parole pronunciate sulla tomba del conte Emilio Barbiano di
Belgioioso (Estr. dal Bollettino della consulta araldica, n. 28, voi. VI)
(d. d. s. A.).
— Di un ramo ignorato del casato de^ Maggi (Estr. dal Giornale Araldico^
a. 1905, n. 2) (d. d. s. A.).
256 OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE
Montanelli P., // movimento storico della popolazione di Trieste, Trieste,
G. Balestra, 1905 (d. d. A.).
Raccolta di studi pubblicati in occasione delle nozze Petraglione- Serrano,
Messina, T. Nicastro, 1903 (d. d. s. Petraglione).
Raccolta Vinciana presso l'Archivio storico del comune di Milano, Castello
Sforzesco, fase. I, Milano, 1905 (d. d. s. Beltrami).
RiBOLDi E., Le sentenze dei consoli di Milano nel sec. XII (Estr. da questo
Archivio, a. XXXII, 1905, fase. VI) (d. d. s. A.).
Sommi Picenardi Guido, Ricordi di Cagliostro a S. Leo (1791-1795) (Estr.
dalla Rivista di scienze storiche, a. 1905).
Varisco a.. L'epigrafe del ventaglio monzese detto della regina Teodolinda
(Estr. dagli Studi Medievali, a. 1905, fase. Ili) (d. d. s. A.).
ViRiGLio A., Torino napoleonica. Gaudi ed allegrezze ufficiali, Torino,
Lattes, 1905 (d. d. Ed.j.
2/ settembre igoj.
Il Bibliotecario
B. Sanvisenti
Achille Martelli, gerente-re sponsabt le.
LA NASCITA E IL BATTESIMO
DEL PRIMOGENITO DI GIAN GALEAZZO VISCONTI
e la politica viscontea nella primavera del 1366
La questione cronologica.
A prole di Gian Galeazzo Visconti conte di Virtù e di
Isabella di Valois ebbe infelice destino : nessuno dei
tre figli nati da quell'unione potè giungere all'adole-
scenza per assidersi poi sul trono reso ambito e temuto
dal forte lor padre, e solo la figlia Valentina visse e fece risaltare
dolcemente la sua figura sul cupo quadro della storia di Francia
della fine del sec. XIV.
Per tali ragioni assai poco ci hanno tramandato sui figli di
quel Visconti i cronisti del tempo o di poco posteriori. La notizia
più antica è quella del Chronicon placentinum, che, detta morta
Isabella, pel parto del figlio Carlo, il 3 settembre 1372, continua :
« Ex qua domina Isabella dictus dominus Galeaz genuit tres filios
« et unam filiam, scilicet dominum Johannem Galeaz, dictum Az-
« zonem et dominam Valentinam, et dictum Carolum ultimum » (i),
narrando poi della morte dei tre maschi, già cresciuti in età, entro
il termine di sette od otto anni ; l'anno seguente, Carlo, in seguito
Gian Galeazzo, ultimo Azzone dopo la morte del nonno. Così pure
fanno gli Annales Medioìanenses (2).
Ci) Muratori, R. I. S., voi. XVI, ce. 512-13.
(2) Ibid., ce. 747-48.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. Vili.
258 DINO MURATORE
#
Indicazioni cronologiche sulle nascite mancano; e queste furono
date più tardi, ma solo per Valentina, l'unica che potesse per le sue
vicende eccitar interesse. Il Corio, dopo aver trattato sotto il 1366 del
convegno di Avignone tra Urbano V e Carlo IV per l'abbattimento
dei Visconti (che fu invece in maggio-giugno 1365 e con altri intenti),,
coir intervento di Androadio (sic) marchese di Ferrara, Malatesta
Unghero e altri signori, dice: « Il Marchese di Ferrara e Mala-
« testa Ungaro vennerono a Pavia, et similmente il Conte di Sa-
« voia, dove furono compatri de una figliola che nacque a Giovanne
li Galeazo Conte di Virtute, nominata Valenzina; che puoi fu ma-
« ritata al Duca di Turonia. Per questo baptesmo fu facto tanta
« solenne festa et gaudio quanto mai per alcuno preterrito tempo
« fusse celebrata tra Lombardi. Quivi ancora gli intervenne Ber-
rt nabo, e tutti li nobili de Lombardia. Doppo che fu tanta solen-
u nitate finita, Bernabò; il dicto Marchese e Malatesta con summo
« honore recevette a Milano; et inde partendosi andarono al Par-
« lamento de Avignone dove si tractava de la depositione de' Wt-
u sconti » (i).
Così sarebbe fissato, se non della nascita, il tempo del battesimo
di Valentina al 1366 e precisamente « prima del marzo »; ora,,
questa notizia del cronista lombardo durò, si può dire sino ai giorni
nostri, incontestata. Così G. B. Pigna, dopo aver parlato di una
visita del marchese Nicolò II d'Este ad Avignone nel 1366, asse-
riva lo stesso pur variando i moventi del passaggio a Pavia, come
vedremo (2); ed al Pigna si appoggiava a sua volta il Guichenon,
accennando al passaggio a Pavia di Amedeo VI di Savoia nel
recarsi a Venezia per la spedizione d'Oriente (3) ; così pure il
Volpi (4).
Il Muratori faceva un passo avanti; e basandosi sul Chronicon
estense da lui pubblicato, per primo fissava la data del battesimo
al maggio del 1366, ingannandosi però nel dire Valentina figlia di
Galeazzo (5); così pure negli Annali d'Italia, ad annum. E sulle orme
del Corio e del Muratori (pur correggendo l'errore di quest'ultimo)
(1) Corio, Historia di Milano, Milano, 1503, ad annum.
(2) Historia d^ principi d'Este, Ferrara, 1570, voi. I, p. 315.
(3) Histoire généalogique de la maison de Savoye, Lyon, 1660, to. I, p. 417.
(4) Dell'Historia di' Visconti, Napoli, 1737- 1748, voi. I, p. 433.
(5) Muratori, Antichità Estensi, Modena, 1740, voi. II, p. 141.
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 259
si mettevano gli storici lombardi posteriori : così il Giulini (i), il
De Rosmini (2), il pavese Robolini (3), il Litta (4), ultimo finalmente
il Magenta (5). Né diversamente narrava il ferrarese Frizzi (6),
mentre uno storico sabaudo, il Datta (7), faceva lo stesso, fis-
sando al 27 maggio la presenza del conte di Savoia in Pavia.
Ma contro la tradizione generale basata sul Corio venivano,
in questi ultimi tempi, ad elevarsi dubbi tanto da negarle ogni
fede, non al di qua ma al di là delle Alpi, cioè fra gli storici
francesi; e se non con appoggio di documenti, con ragioni di op-
portunità storica. Primo, che io mi sappia, uno studioso regionale,
George Lecocq, in una « Étude historique sur Valentine de Milan »
(Saint-Quentin, 1875), senza citare alcuna fonte, scriveva (p. 7):
u Valentine de Milan.... nacquit vers l'an 1370 ». Qualche anno
dopo, M. Faucon, in una monografia che iniziò gli studi scientifici
in materia, asseriva aver Valentina toccati nel 1389 diciott' anni,
facendola così nata nel 1371 (8); e a sua volta il Jarry, il più valente
storico per tale periodo, nel volume: La vie polittque de Louis due
d* Orléans (9), si limitava a dire che Valentina nel 1386 aveva
quindici anni.
Ne la novità passava inosservata fra noi. G. Romano, la cui
competenza nella storia viscontea è da tutti riconosciuta, in un suo
articolo : Uetà e la patria di Gian Galeazzo Visconti [in quest'^r-
chivio, XVI, 1889], accettava (p. 930) la data 1371, sostenendola
col negare l'autorità del Corio « assai discutibile in materia di cro-
« nologia viscontea ", e col notare che Isabella ebbe il suo primoge-
(i) Memorie spettanti alla storia ecc. della città e campagna di Milano
2.a ediz., Milano, 1854-56, voi. V, p. 503.
(2) DelV Istoria di Milano, Milano, 1820, voi. II, p. 116.
(3) NotÌT^ie appartenenti alla storia della sna patria, Pavia, 183 2-1 83 8, voi. V,
par. I, pp. 35-56.
(4) Famiglie celebri italiane, Visconti, tav. VI.
(5) I Visconti e gli Sforila nel castello di Pavia, Milano, 1883, voi. I,
pp. 129-30.
(6) Memorie per la storia di Ferrara, Ferrara, 1850, voi. III, pp. 340-41'
(7) La spedizione in Oriente di Amedeo VI Conte di Savoia, Torino, 1826
pp. 70-78.
(8) Le mariage de Louis d'Orléans et de Valentine Visconti in Archives des
Missions scientifique et littéraires, sèrie III, to. Vili, Paris, 1882, p. 8, note 3.
(9) Paris, 1889, p. 28.
26o DINO MURATORE
nito solo nel marzo 1369 (sic) ; e tra il 1366 e il 1370 la diceva nata
in altro articolo di quest'Archivio, XX, 1893, p. 604; incerto tra il
1370 e il 137 1 si teneva il Camus, un distinto studioso francese
di cose nostre, nel suo lavoro: La venue en France de Valentine
Visconti, duchesse d'Orléans (in Miscellanea di storia italiana, se-
rie III, voi. V, Torino, 1898), per primo notando l' importanza della
notizia del Chronicon placentinum (pp. 3-5); ultimo, in una critica
del lavoro precedente, il Romano (in quest'Archivio, XXV, 1898, II),
incidentalmente (pp. 8-10), tornava a ribattere sulla questione, con-
servando il 137 1, per la quasi impossibilità che Isabella partorisse
a quindici anni (sic), in secondo luogo osservando che, se Valentina
fosse del 1366, avrebbe avuto ventitre anni nel 1389, e i cronisti fran-
cesi, tanto velenosi con lei, non si sarebbero lasciata sfuggire sì bella
ragione per ingiuriarla. E siccome, in successivi articoli riguardanti
Valentina, ne il Camus (in Bollettino storico bibliografico subalpino,
voi. IV, 1899), né il Romano in un breve opuscolo polemico (Mes-
sina, 1899) ; e. in un successivo articolo (in quest'Archivio, XXIX,
1902, i); né il Comani (in quest'Archivio, XXVIIl, 1901, 1), né il
Jarry (in Bibliothèque de V Ecole des Charles, fase. LXII, 1901), né
il Seregni (in Rivista di scienze storiche, anno I, fase. IX, 1904),
portarono nuova luce sull'argomento dell'età sua, l'opinione comune
ormai é che Valentina nascesse nel 1371.
Quanto ai figli di Gian Galeazzo, ai giorni nostri ne sappiamo
poco più dei cronisti citati. Il Corio parla di Azzone, solo al 1378;
il Giulini (i) seguiva i cronisti stessi; il Litta invece (loc. cit.) scon-
volgeva la genealogia, mettendo primogenito Azzone, seconda Va-
lentina, terzo Gian Galeazzo, quarto Carlo, ma senza naturalmente
fissare le date delle nascite; il Magenta poi fissava la nascita del
primogenito Azzone al 4 marzo 1369, appoggiandosi a lettere (ve-
ramente sine anno) di partecipazione ai Gonzaga (2): opinione se-
guita dal Camus e dal Romano, e messa in dubbio solamente pochi
mesi or sono, e con molta cautela, dai signori Riboldi e Seregni,
in una « Relazione » pubblicata in quest'Archivio (3).
Concludendo : mancano assolutamente documenti inoppugnabili
per guidarci in tanta oscurità; si è sconvolta, senza buone ragioni,
(1) Op. cit., voi. V, p. 622.
(2) Magenta, op. cit., voi. I, p. 151 e voi. II, pp. 30-32.
(3) XXXI, 1904, n, p. 204 sgg.
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCOiNlI, ECC. 26 1
la genealogia data dai cronisti; si è dimenticato uno dei figli; si
è posticipata infine di qualche anno (e bene, come vedremo) la
nascita di Valentina, ma sempre senza documenti, e senza badare
che in tal modo rimaneva impossibile la spiegazione di una sì
precisa descrizione del battesimo della principessa da parte del
Corio. Sarà nostra cura dimostrare quanto il racconto suo sia vero
in tutto, salvo che per la persona del nato di Gian Galeazzo ; e
cioè, servendoci di fonti sabaude inedite, e ben usando documenti
già noti, ci proveremo a dimostrare che il conte di Virtù ebbe ve-
ramente il suo primogenito, ei pure chiamato Gian Galeazzo, il
4 marzo 1366, e che questi fu battezzato il 24 maggio successivo.
In linea subordinata poi verremo a mettere in chiaro che egli
ebbe il secondogenito, Azzone, nel settembre 1368; Valentina quindi,
quasi certamente, nell'estate 1370; e Carlo, ultimo nato, nel set-
tembre 1372.
II.
La NASCITA DEL PRIMOGENITO DI GlAN GALEAZZO. — I VI-
SCONTI E Amedeo VI di Savoia nel principio del 1366.
Un prezioso documento, e per nulla ancora utilizzato, si trova^
agli Archivi camerali di Torino (Sez. Ili dell'Archivio di Stato) :
un Giornaliero per le « Despenses de 1' hotel de la Comtesse de
« Savoie », dall'8 febbraio 1366 al 31 luglio 1367 (i), in cui il mag-
giordomo Antonio Maillet giorno per giorno segnava le spese della
corte della contessa, sia per vitto, sia per doni, messi, affari diversi :
è un grosso volume cartaceo, in folio, di vera importanza storica,
perchè denso di notizie su quella corte durante l'assenza di Ame-
deo VI in Oriente, essendo la contessa Bona di Borbone stata da
lui investita di pieni poteri.
Ora, il 23 marzo 1366, il Maillet nota la seguente spesa:
a Libravit de mandato domine... qui dati fuerunt cuidam scutiffero
(i) Inventario 59.° Comptes de l'hotel de la comtesse de Savoie, appendice.
Approfitto dell'occasione per ringraziare il dotto quanto gentile direttore della
Sezione, dott. cav. E. Casanova, e gli archivisti signor Combetti ed avvocato
Rossano.
202 DINO MURATORE
« domine Comitisse de Virtus nuncianti domine nostre Comitisse
« nativitatem filii diete domine Comitisse de Virtus. inclusis qua-
« draginta septem florenis b. p. prò emptione unius ciphi argenti
« ad pedem dati eidem scutiffero, 11^ florenos boni ponderis. et
« XLVII fl. b. p. « (i).
Da tale dato chiaramente risulta che, alcuni giorni avanti, una
prima nascita era venuta ad allietare l'unione di Gian Galeazzo
Visconti, detto il conte di Virtù, figlio di Galeazzo II, con Isabella
di Valois, sorella di Carlo V re di Francia, ambidue giovanissimi
ancora; e la notizia, secondo l'uso delle corti, era stata mandata
alla contessa di Savoia, zia e cugina della novella madre. La na-
scita era avvenuta a Pavia: nel grandioso castello, non ancora del
tutto terminato, si erano ridotti a dimorare, sul finire del 1365,
Galeazzo e Bianca di Savoia (2), e naturalmente li aveva seguiti la
giovane coppia, dovendo esser desiderio di tutti che l'atteso parto
avesse luogo là dove la quiete era pari al fasto.
Che il nato fosse veramente il primogenito, lo dimostra chiaro
il fatto della nascita di un secondo figlio nel 1368 (vedi sotto, p. 283) ;
e che il giorno della nascita del primogenito stesso sia stato il 4
marzo, ci consta, in conseguenza, da due lettere « Papié, die quarta
« marcij » che la contessa di Virtù faceva pervenire ai signori di
Mantova: una, « Mag. D. Guidoni de Gonzaga d."o Mantue » (3),
l'altra « Magnificis viris dominis Ludovico et Francischino de Gon-
u zsLgSL » (4j, avvisandoli di aver avuto in quel giorno il suo « pri-
« mogenito ». Manca in esse l'anno; e il Magenta, credendo Fran-
ceschino Gonzaga successore di Francesco morto nel 1368, e già
al 1366 avendo messo la nascita di Valentina, assegnò loro l'anno
1369, facendo così nascere il 4 marzo 1369 il primogenito Azzone (5).
Ma siccome, secondo la fonte sabauda, non possiamo oltrepassare
il 1366, e solo al termine del 1365 i Visconti passarono a Pavia,
è evidente che questo « primogenito w e il « filius », di cui parla la
nostra fonte, sono una stessa persona.
(i) Fol. XXII V. Questa spesa è riprodotta, ma senza data, in Conti de hotel
de la cotntesse de Savoie, Rot. 22, fol. V.
(2) Magenta, op. cit., voi. I, pp. 93-95.
(3) Ibid., p. 154.
(4) Ibid., voi. II, p. 30, doc. XXXVI.
(5) Ibid, voi. I, p. 134.
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 263
Ma tali lettere d'altronde, che sono veramente del 1366, non
devono esser esaminate da sole. Il Magenta ne pubblica altre pa-
recchie di Galeazzo ai Gonzaga stessi, per invitarli alle giostre per
il battesimo del figlio della contessa di Virtù, attribuendole allo
stesso anno 1369: la prima è del 23 marzo, la seconda del 14
■ aprile e la terza del 21 stesso, dirette tutte « Ludovicho et Fran-
4( cischo fratribus de Gonzaga » (i); evidentemente, nella lettera
suaccennata, Franceschino non era che un vezzeggiativo dato a
Francesco fratello di Ludovico, figli ambidue di Guido (2): ora,
tale invito non poteva essere del 1368 (nascita del secondogenito),
anno di guerra tra le due famiglie (3). Ma vi sono altre ragioni
per ritener tali lettere dell'anno 1366; anzitutto, come vedremo, in
una di esse, si parla della data definitiva fissata per le giostre
alla Pentecoste, in un'altra, al 24 maggio; ora, appunto nel 1366
la Pentecoste cadde il 24 maggio. In secondo luogo, ciò che per
noi è più interessante, vi sono in esse tali accenni riguardanti il
conte di Savoia, che non possono riferirsi se non al 1366.
Così siamo portati a volgerci ad un argomento del tutto nuovo:
le relazioni tra il conte ed i Visconti nei primi mesi del 1366.
Strette da vincoli di parentela le due famiglie per il matrimonio
di Bianca, sorella d'Amedeo, con Galeazzo II nel 1350, se per il
decennio successivo le rivalità per le terre piemontesi e le contin-
genze politiche le avevano talvolta messe a fronte, il trattato di
alleanza del 26 dicembre 1361 aveva dato il suggello al completo
loro accordo nei rapporti complicati degli affari del Piemonte, spe-
cialmente nella guerra del conte contro Giovanni II di Monferrato
e le compagnie di ventura nel 1362, e in quella contro Federico II
di Saluzzo e il Monferrino ancora nel 1363, non bastando a gua-
stare l'opera ben iniziata il vano omaggio prestato un'altra volta
dal Saluzzese a Barnabò Visconti il 26 febbraio 1365, e confermato
(ad onta di altro diploma in favore di Amedeo con la data del
(i) Magenta, voi. Il, pp. 30-32, dece. XXXVIII-XL.
(2) Ved. la « Tavola genealogica » in C. D'Arco, Studi intorno ai muni-
cipio di Mantova, ecc. Mantova, 1872, voi. IV. Solo su tali ragioni si sono appoggiati
i signori Riboldi e Seregni (loc. cit) per mutare la data 1369 in 1366: sono
lieto che i documenti vengano a dar ragione all'ipotesi dei due egregi studiosi.
(3) Volta, Compendio cronologico-critico della storia di Mantova, Mantova,
1827, voi. II, pp. 38-41.
264 DINO MURATORE
12 maggio seguente) con diploma imperiale del 29 dicembre suc-
cessivo (i).
Al principio del 1366 Amedeo VI era alla vigilia della sua' me-
morabile impresa d'Oriente. Egli aveva, nel gennaio 1364, giurata
ad Avignone, nelle mani del pontefice Urbano V, la Crociata ge-
nerale contro i Turchi, bandita sotto gli ordini di Giovanni li di
Francia e Pietro I di Cipro nella quaresima del 1363; ma morto
il primo, e miserrimo successo avendo avuto il re di Cipro nelle
sue peregrinazioni per tutta l'Europa, non aveva voluto seguirlo nella
spedizione contro Alessandria nell' estate-autunno 1365, e si era
finalmente, dopo la visita dell' imperatore Carlo IV dello stesso
anno, indotto a partire per l'Oriente, non più in aiuto di Terra
Santa, ma contro i Turchi Ottomani, devastanti gli ultimi resti eu-
ropei dell'Impero Bizantino, sul cui trono sedeva un suo cugino,
Giovanni V Paleologo, che poco prima aveva promesso al papa
il ritorno alla fede della Chiesa greca (2).
(i) CiBRARio, Storia della monarchia di Savoia, Torino, 1840-44, voi. Ili,
pp, 1 14-192 ; Magenta, op. cit., voi. I, pp. i sgg. e Gabotto, L'età del Conte
Verde in Piemonte, in Misceli, stor. ital., serie III, voi. II, Torino, 1894, pp. 79-149,
passim. Vedi pure Mugnier, Lettres des Visconti et des diverses autres personnages
aux comtes de Savoie Amédée VI, Amédée VII et Amédée Vili (i 360-141 5), Paris,
1896. Perii periodo 1561-65 ancora gli studi del Gabotto, Contributi alla storia
del Conte Verde negli anni 1^61-62 in Atti R. Accademia delle sciente di Torino,
to. XXXIV, 1899; Nuovi contributi alla storia del Conte Verde {13^9-63) in Bollett.
stor.'bibliogr, subalp., voi. IV, 1899, e La guerra del Conte Verde contro i mar-
chesi di Salui:ì^o e di Monferrato nel 1363 in Piccolo Archivio stor. dell'antico mar-
chesato di Salu:(7io, voi. I, 1901. Ma ricca messe di materiale inedito si trova ancora
negli Archivi di Torino, che confido poter raccogliere a poco a poco e pubblicare.
(2) Non seguo naturalmente il vecchio lavoro del Datta, già citato, pieno
di lacune ed errori, dei quali è stranissimo non siansi accorti gli storici posteriori :
ultimi il Dela VILLE Le Roulx, La France en Orient au XI V^ siede, Paris, 1886;
il Jorga, Philippe de Mé:(ières et la C^oisade au XIV^ siede in Bibliothèque de
VÈcole des hautes études, fase, i io, Paris, 1896, e il Bollati di S. Pierre, Illu-
strao^ioni della spedizione in Oriente di Amedeo VI in Bibl. stor. ital., voi. VI,
Torino, 1900: basti il dire che egli fa giurare Amedeo nel marzo 1363, e subito
per soccorrere i Bizantini ; e (per dir cosa più vicina al nostro tema) che fa rimanere
il conte in Savoia sino alla metà di maggio, mentre vedremo che fu tutt'altro l
Uno studio definitivo sul vasto argomento spero pubblicar presto, sopra
documenti degli archivi di Torino, Venezia, Firenze, Roma, Genova e Parigi,^
e sugli ultimi studi di storia del papato, di Bisanzio, dei Turchi, dell'Ungheria
e dei Bulgari.
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 265
Ora, diversi motivi inducevano il Conte Verde a lasciare Bourget,
sua preferita residenza, per passare le Alpi 1*8 febbraio 1366 (i):
sistemare gli affari del Piemonte, aver aiuti dai Visconti alla di-
spendiosa sua impresa, portarsi più vicino a Venezia e a Genova
per le galere necessarie al viaggio : ma l'affare più urgente, per
ubbidire alla preghiera fattagli da Urbano V nella ultima visita ad
Avignone (fine di gennaio), era l'indurre Barnabò, in lotta con
Genova da alcuni mesi per sostenere il marchese del Carretto, e
il cui figlio naturale Ambrogio Visconti, alla testa della Compagnia
di S. Giorgio, devastando era giunto poco prima alle porte della
città in cui si sollevava in nome degli antichi Signori la parte
popolare ; a voler conchiudere la pace (2).
Il IO febbraio il conte era con la sua comitiva ad Aiguebelle,
e passato il Moncenisio, il 13 giungeva a Susa, il 15 a Rivoli,
sede del governatore sabaudo delle terre del Piemonte (3). Nessun
fatto nuovo era avvenuto in quella regione dopo il nuovo anno;
solo Barnabò aveva procurato la proroga di fatto della tregua
tra Saluzzo e Acaja ; e subito il 16 stesso veniva stipulato un
contratto di alleanza tra Galeazzo Visconti e Giacomo d'Acaja (4)^
dovuto naturalmente ai buoni uffici del conte, dati gli ottimi suoi
rapporti sia coi Visconti, sia col principe, ognor più sotto il suo
influsso dell'epoca del suo matrimonio con Margherita di Beaujeu.
(i) Giornaliero cit., fol. I : « Recessit dominus eundo ultra mare.
« Die domenica Vili mensis februarii. anno millesimo CCC LXVI qua die
(( recessit dominus noster Comes ultra mare, fuit domina tota die apud burgetum ».
(2) L'incarico ad Amedeo risulta da lettere di esortazione alla pace del papa
al doge di Genova, a Barnabò, a Gabriele Aleramo e al marchese del Carretto,
25 gennaio 1366, in Arch. Vatic, Epist. secret. Urbani F, Reg. 248, fol. 36 V.-37.
La visita di Amedeo al papa non era nota sinora ad alcuno, e sarebbe troppo
lungo documentarla qui. Sulle trattative tra il conte e Barnabò prima dell'S feb-
braio, vedi in gennaio dono di un cavallo « parte d."' domini barnabouis do-
« mino nostro » {Giornaliero cit., fol. I) ; « Libravit domino eymerico de mon-
c( tefalcone prò suis expensis misso apud mediolanum, IV fi. b. p. » in Rotolo 27.
Tesoreria generale di Savola, 16 11. 1365 — 15. 11. 13 66 (come tutti gli altri,
agli Arch. Cam. di Torino), fol. XIII, mandato 5 febbraio 1366; « Libravit do-
« mino de fromentes misso apud mediolanum et januam.... L fl. b. p. »; a Li-
fi bravit quos dominus donari fecit cuidam domicello qui apportavit domino li-
fi bratam domini barnabouis, XX fl, b. p. » {Rot. cit., fol. XV, mandato cit.).
(3) Conti de l'hotel du comte, Rot. 6^, 25. 12. 1365 — 11. 6. 1366, fol. L
(4) Gabotto, VEtà del Conte Verde cit., p. 150.
266 DINO MURATORE
Del resto, breve fu il soggiorno del conte in Rivoli; e avute grosse
somme di denaro dal principe e dal signore di Villars suoi debi-
tori (i), attraversato rapidamente il Piemonte settentrionale, era già
il 26 di febbraio a Milano (2), dove si trattenne presso Barnabò
alcuni giorni, cercando di compiere la missione affidatagli, ma
senza alcun pratico risultato (3).
Ma Pavia attirava il conte, ove da Galeazzo sperava trovare
aiuto di armi e di danaro, dal cognato, cioè, ei pure in qualche
modo interessato alla spedizione in aiuto di uno sfortunato con-
giunto; e dovette affrettare la sua partenza da Milano l'annunzio
della nascita del primogenito di suo nipote Gian Galeazzo, avve-
nuta appunto il 4 marzo: certo è, che egli si trovava già a Pavia
il 9, in tal giorno ricevendovi la visita del castellano di Rivoli (4).
Non potevano naturalmente a lui mancare liete accoglienze, sia da
parte di Galeazzo sia dalla sorella Bianca (5), sia infine dai nipoti
Gian Galeazzo e Isabella nel cui matrimonio, entrambi essendo
suoi congiunti, egli aveva avuto gran parte nel 1360 (6) e con cui
(i) Rot. 27 cit., fol. XI.
(2) Rot. 6$ cit., fol. I ; cfr. una lettera del conte di tal data in fol. IV.
{3) a Recepit a domino de fromentes.... in exoneracionem sexaginta tnum
« fior. b. p. sibi traditorum apud mediolanum.... prò expensis sui ipsius, domini
« rolandi de vayssye et thome de balma faciendis eundo de mediolano apud
« sanctum serravallem (sic) et de sancto serravalle apud pisam, prò quibusdam
« negociis domini, et tamen non fuerunt nisi apud sanctum serravallem,... »
{Rot. 6s cit., fol. II). Evidentemente, si tratta di passi fatti vevso la Compagnia
di Ambrogio Visconti, sulla riviera ligure.
(4) Conti Castellania di Rivoli, Rot. i. 9. 1562 — i. 4. 1367, foli. XXI-X XII.
« Libravit in expensis suis cum tribus equis et familia quando ivit papiam por-
« tando domino certam quantitatem florenorum, et ivit secum Johannes de alle-
« vis, et ad quod yacaverunt per octo dies inceptos sexta die marcii] anno d,'^''
« MCCCLXVI. X fl. b. p. ». Naturalmente, gli « otto giorni » sono per l'an-
data e il ritorno.
(5) Curiosi sono i doni in natura che in quel torno di tempo, come del
resto spessissimo prima e dopo, i Signori di Pavia spedirono in Savoia alla con-
tessa : cioè « tres bestias oneratas varnachia, marveysia et citronibus » (Giorna-
liero cit., 28 febbraio) e 200 grosse anguille (ibid., 18 marzo, cfr. 29 stesso). Al
conte a Milano, Bona aveva scritto il 28 febbraio (ibid.).
(6) Oltre gli accenni nei cronisti e negli storici lombardi, della parte avuta
dal conte nelle nozze ha trattato il Gabotto, Nuovi documenti sul matrimonio di
Isabella di Francia con Gian Galea^o Visconti in Rend. R. Accad. dei Lincei di
Roma, Classe di scienze morali storiche e filosof., serie V, voi. VIII, 1889.
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 267
erasi sempre mantenuto ne' più affettuosi rapporti; tanto più che il
grande castello doveva essere tutto in festa per il lieto evento, ad
annunziare il quale veniva inviato alla contessa a Bourget uno scu-
diero di Isabella, magnificamente regalato, come abbiamo visto, di
denaro e d'un prezioso oggetto d'arte.
Il conte, veramente, era venuto a Pavia tutt'altro che per feste;
pure, con massimo piacere dovette acconsentire alle preghiere del
cognato e del nipote di far da padrino al neonato; si fissò quindi
la seconda domenica dopo Pasqua (che cadde in quell' anno il 5
aprile), cioè il 19 aprile, terminato il puerperio di Isabella, per la
solenne cerimonia del battesimo rallegrata da grandiose feste e da
una di quelle splendide giostre, in cui tanto spesso rifulgeva il
valore del conte.
Infatti, appunto il 9 marzo, Galeazzo avvisava di tutto questo
Guido Gonzaga, invitandolo a inviar cavalli per la giostra, a Pa-
squa, con una lettera che incominciava : « In rellevata illustris
« nurus et filie nostre, erunt Papié illustris frater et filius noster
« dominus Comes Sabaudie, et multi alii domini, et faciemus fieri
« maxima et solempnia festa et maximas zostras.... » (i).
Anche a questa lettera il Magenta assegna la data 1369; ma
siccome Guido morì nell'autunno di quell'anno, né può trattarsi
del 1368 in cui v'era guerra fra lui e i Visconti, e d'altronde solo
nel 136Ó Amedeo si trovò a Pavia in quel periodo dell'anno, è
evidente che essa pure, come le altre, spetta al 1366.
Concludendo: dalle fonti sabaude confrontate con le viscontee
e con la narrazione del Corio, risulta fuori d' ogni dubbio che il
primogenito di Gian Galeazzo nacque a Pavia il 4 marzo 1366.
È questo un esempio di paternità precoce assai, data la gio-
vanissima età dei genitori. L'Azario (2) e gli Annales Mediolamn-
ses (3) dicono che Gian Galeazzo e Isabella erano fanciulli all'atto
del loro matrimonio, nel 1360; M. Villani invece è più preciso, ed
assegna alla sposa l'età dello sposo, undici anni (4). Questo dato non
è esatto che in parte: difatti, dopo tante divergenze di cronisti e
di storici, recentemente Zanino Volta riusciva, su 1' atto di eman-
(i) Magenta, op. cit., voi. II, p. 30, doc. XXXVII.
(2) Chronicon in Muratori, R- I. S., voi. XVI, col. 405.
(3) Muratori, R. I. 5., voi. XVI, col. 730.
(4) Cronache^ lib. IX, cap. 103.
268 DINO MURATORE
cipazione di Gian Galeazzo, a fissar la data della sua nascita versa
la fine del 1351 (i); e con altre prove il Romano la precisava
meglio al 15 ottobre 1351 (2): dunque, nel 1360, egli non aveva
ancora nove anni. Nel vero è invece M. Villani parlando di Isabella:
essa aveva allora appunto undici anni, essendo nata precisamente,
come fissò il De Sade, il i." ottobre 1348 (3).
Matrimoni di fanciulli erano tutt'altro che rari nei tempi addietro;
certamente, la loro consumazione avveniva solo più tardi. Nel no-
stro caso, r unione effettiva dei due principi ebbe principio col
1364: appunto il 21 febbraio di tal anno il vicario dell'arcivescovo
di Milano concedeva ad un tal Galiot, frate minore, V incarico di
ricevere le confessioni di Isabella e dello sposo : questi erano
dunque già conviventi (4).
Nato addì 4 marzo 1366, il primogenito di Gian Galeazzo fu
concepito quindi nel giugno 1365: il padre aveva allora quasi quat-
tordici anni, la madre non ancora diciassette. Certo, la paternità
del conte di Virtù è precoce assai, ma non impossibile in un gio-
vane sì robusto e forte quale ei fu, secondo tutti i cronisti, e in
tempi in cui lo sviluppo fisico era curato ben più dell'intellettuale;
al contrario normale .è il fatto in riguardo ad Isabella, per quanto
gracile e delicata di salute (5)
Un quesito ci rimane ora a risolvere; ma la cosa non è facile.
(i) Z Volta, Vetà, l'emancipazione e la patria di Gian Galea-^^o Visconti
in ({wtsi'' Archivio, XVI, 1889, p. 581 sgg.
(2) Romano, Uetà e la patria di Gian Galeano Visconti cit.
(3) Abbé DE Sade, Mémoires pour servir à Vhistoire de Pétrarqiie, Amster-
dam, 1767, voi. Ili, p. 539. Il Romano, che nel suo studio del 1889 aveva ac-
cettata la data di nascita fissata dal De Sade, in quella del 1898, seguendo troppo
M. Villani, la dice nata l'anno del marito, 13 51. In tal modo vediamo cadere
l'argomento principale da lui addotto contro il 1366 come nascita di Valentina,
che cioè Isabella avrebbe avuto solo quindici anni a quel tempo.
(4) Documento pubblicato da E. Motta in Miscellanea francescana di storia,
di lettere, di arti, Foligno, 1889, voi. IV, p. 63. Il primo accenno alle relazioni
della corte sabauda con la principessa in questo nuovo periodo, è il seguente:
« Item prò precio unius roncini quem dominus donavit huthoni boticoillerio do-
« mineysa belle de francia de mediolano die XXVI februarij... » in Conti de Vhótel
du comte de Savoie, Rot. 6j (19. 3. 1561 — 6. 2. 1365), fol. XL, mandato del
conte 9 marzo 1364.
(5) Vedi su quest'ultimo argomento, G. Zoia, Sii la salma di Isabella di
Valois in Rend. del R. Istit. Lomh. di sciente e lettere, serie II, voi. XXXI, p. io.
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 269
Quale fu il primogenito del conte di Virtù, Gian Galeazzo ovvero
Azzone ?
10 credo sia stato Gian Galeazzo, e per più ragioni. Anzitutto,
l'unica fonte originale, il Chronicon placentinum già citato, ce lo
dà primo nella serie dei figli, né v' ha ragione alcuna di credere
ad una inversione; in secondo luogo, il Litta ed il Magenta, sino
ai citati Riboldi e Seregni, hanno fatto primogenito Azzone, ma,
credo, per il solo fatto che questi visse più a lungo, ed ebbe qual-
che parte negli affari politici del tempo suo, perchè nessun docu-
mento dà a lui tale titolo ; in terzo luogo il conte di Virtù doveva
desiderare per il suo primogenito un nome che ricordasse insieme
il padre della sposa e il proprio, unendo i due nomi che egli stesso
portò; tanto più che il nome Giovanni, portato pur già dal potente
suo prozio l'arcivescovo, ebbe ad essergli caro assai se, accanto
al nome di Maria, lo assegnò al primogenito avuto dalla seconda
sua consorte, al suo successore (Giovanni Maria); in ultimo, data
l'età del padre e la gracilità della madre, era naturale che i primi
nati non potessero sopravvivere a lungo : così, il primogenito Gian
Galeazzo sarebbe morto dopo Carlo e prima del nonno, verso
il 1376-1377, a dieci anni circa; mentre il secondogenito Azzone,
più robusto perchè nato due anni dopo, visse sino al 1381, toc-
cando cioè i tredici anni ; e Valentina invece, nata (come vedremo)
nell'estate 1370, unica sopravvisse a lungo, perchè nata quando il
padre aveva diciannove anni e la madre ventuno : ragione questa di
ordine fisiologico che merita una qualche considerazione.
Stabilita dunque, mercè i documenti, la nascita del primogenito
<lel Conte di Virtù, molto probabilmente Gian Galeazzo, al 4 marzo
1366, passiamo ora, a maggior sostegno del già narrato e a com-
plemento del nostro tema, a parlare del battesimo del neonato, av-
venimento che si riattacca ad importanti questioni politiche.
III.
Il BATTESIMO DEL PRIMOGENITO DI GlAN GALEAZZO. SA-
VOIA, EsTE E Visconti nella primavera del 1366.
11 conte Amedeo VI, giunto a Pavia subito dopo il parto di
Isabella, prolungò non poco la sua permanenza in quella città. Sua
270 DINO MURATORE
massima preoccupazione era naturalmente ottenere le galere ne-
cessarie alla imminente sua spedizione in Oriente; ma non è qui
il luogo di narrare le sue trattative col pontefice, con Venezia e
con Genova a tale scopo. Basti per ora accennare alle difficoltà
opposte da Venezia, nel cui porto il conte voleva imbarcarsi, a
fornire quelle da lui richieste; e solo dopo maturo consiglio, e
alle suppliche di lui, ma più ancora del papa e dei Visconti, la
cui influenza in suo favore fu allora veramente potente, il doge
Cornaro, sul finir di marzo, concedevagli appena due galere ar-
mate (i); per cui il 6 aprile, l'indomani di Pasqua, i suoi amba-
sciatori venuti a Pavia si facevano rilasciare dal conte stesso una
formale promessa scritta che non avrebbe molestato né permesso
a' suoi di molestare alcuno, nelle acque di Siria, senza il consenso
di Venezia (2). Il conte allora, vedute frustrate in buona parte le
sue speranze, dovette rivolgersi definitivamente a privati armatori
per averne galere, sia a Venezia che a Genova, come già aveva
fatto per Marsiglia; e Galeazzo in quello stesso 6 aprile e V8 suc-
cessivo gli veniva in aiuto per la compera di quattro di esse, par-
tecipandovi gratiose con ben 19,200 fiorini d'oro e facendogli poi
dono, il 14 aprile, di altri 10,000 (3).
Ma altre trattative, e di tutt'altro genere, procedevano, in quel
principio di aprile, tra il conte e il cognato. 11 trattato di alleanza
tra Giacomo d'Acaja e Galeazzo, mediatore il conte stesso, doveva
ben presto dare i suoi frutti ; e le condizioni ognor più tristi dei
•
(i) Caroi-do, Historie Venete (ms. alla biblioteca Nazionale di Firenze, Col-
lezione Capponi, CXL), lib. Vili, p. 392 : « à preghi del sommo pontefice,
« et delia Santa Madre Chiesa, et per piacer alli signori Visconti, et etiandio
« per compiacere al conte di Savoglia, furono contenti di armar a spese loro
« due galere.... ».
(2) Atto inedito in Lihri Commemoriaìi (Arch. di Stato di Venezia), voi. VII,
fol. 85 : dato in regesto dal Predelli, / Lihri Commemoriaìi tee, voi. III, n. 258.
(3) Rot. 6^ cit., fol. II: « Recepit a domino galeaz vicecomite mediolani
« manu johannis de meda thesaurarii eiusdem, prò medietate quatuor galearum
« quos idem dominus galeathius domino gratiose concessi! prò suo viagio tran-
« smarino apud papiam die sexta aprilis anno predicto (1366), IXM VIC fior.
« b. p. ». « Recepit a domino Galeaz manu predicta die VIII mensis aprilis
« predito prò eodem, IXM VIC fior. b. p. ». « Recepit a domino galeaz manu
« danielis provane cui dictus thesaurarius expediverat die XIIII dicti mensis
« aprilis anno predicto ex dono per dictum dominum galeaz facto domino,
« XM flor. b. p. ».
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 27 1
domini angioini del Piemonte meridionale, abbandonati a sé stessi
dalla regina Giovanna, dovevano naturalmente suggerire ai due
principi un facile piano di campagna, per cui la preda ambita sa-
rebbe passata nelle mani del Visconti, in tal modo stabilendosi in
Piemonte un equilibrio di potenze favorevole al conte, e a lui ben
accetto nell'atto di partire per una lunga e pericolosa impresa lontana.
Naturalmente, di fronte a tali interessi politici, passava per il mo-
mento in seconda linea la festa del battesimo del neonato viscon-
teo, fissata, come abbiamo visto, per il 19 aprile; infatti, mentre
già una prima volta, durante le trattative con Venezia, Galeazzo
aveva scritto ai fratelli Gonzaga, il 24 marzo, fissandola per il 2
maggio (i), il 14 aprile una nuova sua lettera, allegando una ma-
lattia del conte, la rimandava al 23 maggio (2). Di tal malattia di
Amedeo, nulla ci dicono le nostre fonti; e se può darsi che effet-
tivamente un leggiero morbo abbia trattenuto a Pavia il conte nella
prima metà dell'aprile, non mi par d'altra parte troppo ardito, data
l'attività grande di lui in tutto l'aprile e il maggio seguente, il pen-
sare che sia stata quella una scusa addotta da Galeazzo (tanto più
in vista delle trattative di Bernabò coi collegati della Chiesa, come
vedremo), per nascondere le vere ragioni del rimando : perchè evi-
dentemente alla metà di aprile il conte prese la decisione di re-
carsi per l'ultima volta ne' propri stati per radunarvi i signori
suoi compagni nella spedizione, e più ancora per esser presente
all' iniziarsi delle ostilità contro i domini angioini. Comunque sia la
cosa, la sua partenza da Pavia non tardò di molto (3): certo fu dopo
(i) Magenta, op. cit., voi. Il, p. 31, doc. XXXVIII (con la data 1369).
(2) Ibid., doc. XXXIX (con la stessa data) : « Propter infestum nobis casum
« hic super occursum infìrmitatis illustris fratris nostri carissimi domini Comitis
(c Sabaudie.... ».
(3) Per le relazioni tra Bourget e Pavia in quel tempo, vedi Giornaliero cit.
al 4 aprile : c< Libr. dicto urtemais (?) misso ad dominum apud papiam cum
« litteris domine.... »; Al 5 stesso : « Libr. in empcione centum muthonum pin-
c< guium emptorum manu nycoleti macellari] apud caveriam, et missorum apud
« papiam per dominam domino galeaz vicecomiti mediolani dono, inclusis ex-
« pensis.... » IXXX XIII fl. et i,'g. b. p. ». Al 6 : « Libr. johannono lusco misso
« cum litteris domine post illos qui muttones parte domine apud papiam du-
f( cunt domine blanchie ut easdem litteras portent.... ». « Libr. henrico mene-
« strerio et cuidam eius socio euntibus ad dominum..,. ». Ali'8 stesso : « Libr. in
« emptione unius robonis et garnisionis quarumdam mangiarum prò uno corseto
272 DINO MURATORE
il 21 aprile, in cui una nuova lettera di Galeazzo ai Gonzaga li
avvisava che la festa del battesimo sarebbe stata la Pentecoste suc-
cessiva [24 maggio) (i), poiché egli era già a Rivoli il 28 stesso (2).
Quantunque il conte fosse naturalmente latore di lettere di Ga-
leazzo per Giacomo d'Acaja, pure, dato anche che i viscontei si
sian mossi per loro conto, non vi fu subito movimento almeno da
parte del principe : e Amedeo approfittava di quei giorni di tregua
per far l'ultima visita alla consorte : il martedì 5 maggio, a sera,
era a S. Jean-de-Maurienne, ove rimaneva con lei sino al pome-
riggio dell' 8 (3); e tornato a Rivoli per rimanervi sino al 19 (4),
ritrovava ormai dichiarata la guerra da parte d'Acaja: infatti Gia-
como, a nuove sollecitazioni di Galeazzo, 1' 8 stesso da Pinerolo
ordinava la congrega dell'esercito con viveri per venti giorni per
muovere in suo soccorso (5). Di fatti concreti di guerra, nulla sap-
piamo : ma è certo che Fulcone d'Agoult, senescalco di Provenza e
luogotenente della regina, impotente a resistere alle forze nemiche,
si affrettò, spinto dalle città angioine, a richiedere il riverito e te-
muto arbitrato del conte, ben interessato, da parte sua, a metter pace
in Piemonte : così l'opera di Amedeo dovette esplicarsi in lunghi
e difficili preliminari di pace fra le due parti, inviando prima messi
a Pavia (6) e, avutane risposta, conchiudendo una tregua, e a nome
■di Galeazzo pagando una grossa somma di denaro al senescalco
a panni auri facto in burgeto prò domina blanchia de sabaudia domina me-
« diolani, et portato domine blanchie apud papiam, XLVI fior, et Vg- ^- P* *•
Al 12 stesso : « Libr. quatuor menestreriis domini e untibus ultra montes ad
« dominum....' ». Al 17 aprile: a Libra vit rosseto messaggerie misso ad dominum
a in lombardiam cum litteris domine.... ». Il viaggio durava al minimo quattro
giorni.
(i) Magenta, op. cit, voi. IT, p. 32, doc. XL (con la data 1369).
(2) Due investiture da lui concesse ivi : vedi Arch. di Stato di Torino, Sez. 1,
Protocolli ducali, Serie camer., Reg. 44, foli. 2 e 2 v. Cfr. un atto^di concordia ivi,
in Rot. 6$ cit., fol. II.
(3) Giornaliero cit, dal 5 all'8 maggio.
(4) Roi. 6$ cit., fol. II; Rot, cit. Castellania di Rivoli, fol. II.
(5) Gabotto, op. cit., pp. 150-51; cfr. il suo Inventario e regesto Archivio
4i Moncalieri in Misceli, stor. ital, voi. XXXVI, 1900, nn. 1603-04.
(6) Conto della spedizione d'Oriente (pubblicata dal Bollati, op. cit.), n. 39 :
« Libravit.... de mandato domini, domino guillermo de grandissono manu domini
« johannis eius capelani prò pluribus expensis factis per ipsum veniendo de rip-
« polis apud papiam et redeundo rippolas, et deinde veniendo apud venecias.... »
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 273
in pegno di terre date provvisoriamente in mano sua (i). Finalmente,
sia per presiedere al battesimo del neonato di Gian Galeazzo al
24 maggio, sia per fermare la pace definitiva, e portarsi poi a Ve-
nezia, il conte, dopo aver indotto il principe al testamento sì favo-
revole a lui, in data i6 maggio (2), con splendido corteo di signori
partiva da Rivoli il 19 maggio, al mattino, giungendo naturalmente
a Pavia al più tardi la sera del 23 stesso (3), festosamente accolto
da tutta la famiglia Visconti, e prendendo alloggio nell'apparta-
inento della torre del grande castello verso la porta di S. Maria
in Pertica (4).
Una sola è la fonte per le feste del battesimo: la narrazione ci-
tata del Corio, la quale astraendo dall'errore del cronista che le disse
fatte per Valentina, a ciò indotto dall' importanza di lei, può essere
da noi documentata in ogni sua parte. Dice dunque il Corio che
alle feste intervennero il conte di Savoia, il marchese di Ferrara,
Malatesta Unghero, Ludovico Gonzaga, e gli inviati di varie città :
vediamo dunque, come già per il conte, di provare la permanenza
di quei signori a Pavia in tal tempo, insieme procurando di rischia-
rare un punto oscuro della politica viscontea d'allora.
Anzitutto, riguardo al marchese di Ferrara, Niccolò II d'Este,
i dati della partenza sua da Ferrara il ig maggio, e della sua
presenza in Chambéry il 2 giugno, come vedremo, rnettono la
cosa fuori dubbio. Sulla partenza del marchese da Ferrara dice
esplicitamente il Chronicon estense, al 1366 : « Die XIX mensis
« Madii praefatus Dominus Nicolaus Marchio ivit Civitatem avi-
(i) Nella lista delle spese del conte, 9 maggio-ii giugno 1366 in Rot. cit.,
fol. Ili, è scritto : a inclusis.... novem millibus florenorum traditorum senescalco
a Provincie, de mandato domini prò domino galeaz ». Cfr. più sotto, p. 279.
Di questa tregua si fa pur parola nel trattato del 28 maggio, di cui oltre.
(2) Infondati sono i dubbi del Gabotto, op. cit., p. rji, sulla presenza di
Giacomo a Rivoli, e sulla autenticità del testamento, come altrove dimostrerò.
(3) Giornaliero cit., al 20 maggio: « Libr.... magistro johanni barberii valletto
« johannis barberii domini eunti papiam ad dominum nostrum comitem.... ».
(4) Vedi l'accenno più sotto, nella nota i, dì p. 279. Per il suo seguito
cfr. Conto spediitone cit., n. 24. « Libr.... dicto jaspio prò pluribus expensis factis
a per ipsum apud papiam ubi processerat de rippolis prò ad venta domini in
« mense maij nuper lapso. videlicet prò charreagio plurium lectorum qui mutuati
« fuerunt ibidem prò gentibus domini.... ».
Arch. Star. Lomb., Anno X XXII, Fase. VIII. 18
274 "^^^^ MURATORE
« nionis ad visitandum Dominum Papam w (i). Né la cosa può-,
esser messa in dubbio.
Quale intento muoveva il marchese a lasciare Ferrara?
Gli storici posteriori seguono tutti una medesima linea diret-
tiva di giudizio: quella del Corio, tanto parziale pei Visconti, il
quale assegnando al 1366 il convegno di Avignone del 1365, scrive:
n Ancora a questa Dieta personalmente gli intervenne Androadio
u marchese di Ferrara; Malatesta Ungaro di Malatesti; gli am-
« basciatori di Francesco da Carrara; Ludovico Gonzaga con gli
« oratori di Reggio e Imola, tutti nemici capitali dei Visconti » ;
e non manca di far notare il torto procedere del marchese e dei
compagni nell'andarsene alla dieta dopo godute tutte le feste vi-
scontee I Corretto lo scusabile errore cronologico del Corio, il suo
pensiero informa infatti il giudizio del Pigna, che però dice Niccolò^
invitato a Pavia dallo stesso Galeazzo per il battesimo, avendo quello
tenuta segreta ogni cosa ; del Muratori e del Frizzi, quest'ultima
anzi dicendo esplicitamente che il marchese per meglio coprire il
suo intento « andò direttamente a Milano col pretesto di una visita
it a Bernabò, ma realmente per scoprire le sue intenzioni.., e avuti
u con esso vari ragionamenti, prese congedo e andò ad Avignone
« a stringere una Lega, in apparenza contro le Compagnie di
« Ventura, in realtà per tenere in freno i Visconti »; come pure
del Giulini, che fa passare il marchese a Pavia per caso, recandosi
ad Avignone invitato ad un convegno dal papa ; e del Verci (2),
sino al De Rosmini che mette al 1366 la lega che fu nel 1367; e
al Magenta che crede in un invito di Galeazzo alle feste del bat-
tesimo di Valentina (3).
Un giudizio spassionato, e basato su documenti, non può se-
sere così reciso; e per sincerarcene basterà dare uno sguardo alle
ultime relazioni fra i Visconti e il pontefice unito ai collegati suoi.
La pace generale di Bologna, 3 marzo 1364, che pose fine
alla lotta tra Barnabò e i suoi avversari (4), non aveva bastato a
(i) Muratori, R. L S., voi. XV, col. 487.
(2) Storta della Marca Trivigiana, Venezia, 1789, voi. XIV, p. 95.
(3) I passi di tutti questi scrittori furoa già allegati da noi sul principio di
questo scritto.
(4) Ampie trattazioni in Werunsky, Geschichte Kaiser Karìs IV und seiner
Zeit, Innsbruck, 1880-92, voi. III, pp. 289-98; Jorga, op. cit., pp. 213-28; Ro-
I
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 275
metterli completamente d'accordo: Barnabò, nell'estate susseguente,
non voleva ancora restituire alcuni castelli della diocesi di Reggio,
tolti nella guerra a signori aderenti ai collegati, e accingendosi
questi a soccorrerli, non osava il cardinal legato Androuin de la
Roche emettere quel lodo, per cui aveva avuto pieni poteri in vista
di possibili contestazioni, per timore di eccitare novella guerra (i);
e Urbano V, nelle cui mani la delicata questione veniva posta, nel
maggio 1365, durante il memorando convegno con Carlo IV im-
peratore in Avignone, che ebbe per scopo principale la difesa
contro le compagnie di ventura, e che gli storici milanesi (alcuni
anche moderni) credettero fatto per una lega contro i Visconti,
mentre invece il pontefice consigliò l'imperatore a restituire a Bar-
nabò il vicariato imperiale (2), induceva il signore lombardo e i
collegati ad accettare il prolungamento dei poteri del legato sino
al i.^ ottobre; ma questo termine trascorreva senza che alcuna
decisione venisse presa, in compenso elevandosi numerosi lamenti
dei collegati stessi contro Barnabò: da Feltrino Gonzaga, per ca-
stelli presigli da aderenti viscontei e non ancora restituiti, e per
r inesecuzione del trattato fatto coi conti di Panico ; da Francesco
da Carrara di Padova, per le persecuzioni contro gli abitanti dei
comuni del Bresciano già aderenti alla chiesa, ad onta dell'amnistia
generale, e per 1' assalto di genti di Barnabò unite a quelle del
duca Rodolfo d'Austria; da Niccolò II d'Este, signore di Ferrara,
il più potente sostegno della chiesa, adirato per le offese che i
figli di Galeazzo de' Pii, signore di Carpi e protetto di Barnabò,
da tempo facevano in terre dal Modenese; lamenti a cui rispon-
devano quelli di Barnabò per non veder adempiuti dagli antichi
avversari gli atti di pace, specialmente la restituzione dei beni
confiscati ai partigiani suoi (3). Il pagamento di centomila fiorini,
indennità di guerra, fatto al pontefice nel settembre 1365, ed il
MANO, Matteo Spinelli da Giovena^^Oj diplomatico del secolo XIV in Giornale sto-
rico per le Provincie Napoletane, 1899, p. 398 e 1900, pp. 157-68.
(i) Werunsky, op. cit., p. 358, che si appoggia a documenti dell'Archivio
vaticano.
(2) Ibid., pp. 311-28; JoRGA, op. cit., pp. 267-72. Del convegno tratterò
presto io pure in una monografia sul passaggio dell'imperatore per la Savoia,
tessuta su documenti inediti.
(3) Ibid., pp. 359-60.
276 ' DINO MURATORE
desiderio suo di poter riuscire a qualcosa nella lotta con le com-
pagnie, faceva pendere la bilancia in favore di Barnabò; e se in
ottobre una lega difensiva era stretta fra il legato, il carrarese e
il marchese (i), in novembre il pontefice si affrettava a render-
nelo avvertito, e in dicembre ordinava al carrarese di non muover
guerra (2). Ma la guerra di Barnabò con Genova e il cattivo ri-
sultato dei buoni offici di Amedeo, mentre Urbano avrebbe vo-
luto ognor più la lega contro le compagnie che fulminava terribil-
mente con scomuniche il 13 aprile, faceva naturalmente peggiorare
le relazioni tra i Visconti e la santa sede (3), senza però che si
pensasse affatto, da parte di questa, ad una lega contro di quelli.
Un po' diverso era il pensiero dei collegati nei primi mesi del 1366:
certo il ricordo delle recenti offese del signore lombardo, la paura
che incuteva a tutti i confinanti, fors'anco qualche leggera mossa
ostile contro di essi, dovette scuoterli in guisa da procedere a
nuove trattative per cercare di metter fine in qualche modo al
difficile stato di cose, causa di perturbazioni e dispendi gravosi; a
capo di tal movimento mettendosi naturalmente il marchese d'Este,
le cui relazioni col papa erano sempre ottime, e la cui potenza
aveva eventualmente più d'ogni altra da temere di Barnabò; però
non si trattava ancora (come dicono i posteriori cronisti) di una
lega. Ciò probabilmente sul finire di marzo: ma l'oculato Barnabò,
avutone sentore, correva ben presto al riparo. Facendo buon viso
a cattivo giuoco, scriveva al pontefice, invitandolo, egli stesso, a
stringere una forte lega contro le compagnie, naturalmente prote-
stando di non aver colpa alcuna per il procedere del figliastro
Ambrogio, che in aprile appunto si univa con le sue masnade a
quelle dell' Hawkwood e di Giovanni conte d'Asburgo, in quel di
Siena; ed Urbano gli rispondeva lodandolo ed esprimendogli la
necessità che dell' alleanza facessero parte Galeazzo e i collegati
della chiesa (4).
(i) Cronica di Bologna in Muratori, R. I. 5., voi. XVIII, col. 469.
(2) WtRUNSKY, op. cit., p. 360.
(3) Ibid., p. 350; cfr. Romano, op. cit., 1901, pp. 279-80.
(4) Ciò risulta da una lettera di Urbano all'imperatore, 3 giugno 1366
(Arch. vat., Ep. secr. Urbani V, Reg. 248, fol. 98) citata dal Werunsky, op. cit,,
voi. Ili, pp. 340 e 350. Cfr. Raynaldi, AnnaJes ecclesiastici, ediz. Mansi, voi. VII,
p. 145.
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 277
Così, nei primi giorni di maggio, Barnabò di buon grado se-
guiva il consiglio pontificio, invitando i collegati, sempre fermi nel
volere, con l'aiuto del papa, riordinare le cose dell' Italia superiore,
ad un convegno in Pavia, sulla strada di Avignone, per la penul-
tima domenica del mese, mentre colà si sarebbe pure trovato il
conte di Savoia, la cui presenza, date le strette sue relazioni con
Urbano, avrebbe potuto esser coefficiente di accordo, e grandiose
accoglienze avrebbero dimostrate, vere o finte, le buoni disposi-
zioni dei Visconti (i). E difatti, come abbiamo visto, il 19 maggio
(giorno stesso della partenza di Amedeo da Rivoli) il marchese
Niccolò II lasciava Ferrara, giungendo ei pure, naturalmente, il 23
stesso a Pavia, insieme col conte.
Tra i signori che 1' accompagnavano, sappiamo di certo che
eravi Pandolfo Malatesta di Rimini (2); ma è probabilissimo non
mancassero neppure gli inviati di Reggio, Imola e altre città. Quanto
ai Gonzaga, possiamo ritenere che Ludovico abbia accolto l'invito
reiterato di Galeazzo, fattogli pure a nome di Barnabò.
In tal modo abbiamo ogni ragione per ritener vera la sostanza
del racconto del Corio.
Il 24 maggio 1366, solenne festa di Pentecoste, venne adunque
celebrata la cerimonia del battesimo del primogenito del conte di
Virtù, che ebbe a padrini il conte di Savoia e il marchese di Fer-
rara, ricevendo i due nomi di Giovanni e di Galeazzo; e possiamo
immaginarci quanto grandiose dovettero essere le feste nel son-
tuoso castello finalmente terminato, con intervento di tutta la no-
biltà lombarda, dame e signori (3): e questi ebbero campo di far
mostra della loro bravura in splendide giostre, primo fra essi il
Conte Verde (4).
(1) Del 12 maggio è un'ultima lettera, con cui Galeazzo confermava a Lu-
dovico Gonzaga la data definitiva della festa, 24 maggio. Magenta, op. cit.,
voi. II, p. 32, doc. XLI (colla data 1369).
(2) Ved. gli accenni a lui, più sotto, p. 279, nota i, e p. 282.
(3) CoRio, op. e loc. cit. Vedi per curiosità la pomposa descrizione del
Magenta, loc. cit., e quella delle feste per la pretesa nascita di Azzone (cioè in
sostanza di queste), voi. I, pp. 134-135.
(4) Conto spediiione cit., n. 103 : « Libr.... dicto verneta, quos domino apud^
« papiam mutua verat prò ipsis dandis cuidam valleto custodi enti equum super
« quo astiludiaverat dominus ibidem, Il fl. ». Una lettera del conte, « papié....
278 DINO MURATORE
Le feste durarono, secondo il solito, tre giorni. Infatti, il mer-
coledì 27 maggio Amedeo si dava tutto agli ultimi preparativi
della spedizione sua; in tal giorno prendeva al suo servizio, fra
altri signori che si proponevano seguirlo nel suo viaggio, i fratelli
Ugo e Luigi di Chàlons, e il nobile bordolese Floremond de
l'Esparre (i), e l'indomani, 28, Giovanni di Montfaucon e Ottone
e Ugoneto di Grandson (2); così, secondo le promesse avute da
tempo, otteneva aiuto di armati da Galeazzo: venticinque « uomini
« d'arme » (cento persone), quasi tutti tedeschi, e un seicento « bri-
« ganti » italiani, agli. ordini di 16 connestabili (3); e ancora un grosso
mutuo di ventimila fiorini, oltre quattromila in dono dalla sorella
Bianca (4).
Un'importante questione si avviava intanto a soluzione: la
pace del Piemonte. In Pavia, secondo le intese della tregua, erano
convenuti gli inviati delle città di Cherasco, Cuneo e Mondovì,
ricche terre angioine, ben disposte ormai a passare sotto il dominio
visconteo; ed Amedeo, in conseguenza dei pieni poteri conferitigli
dalle due parti, il 28 maggio, nella propria camera nella torre verso
la porta di S. Maria in Pertica, pronunciava la sua sentenza arbi-
trale, per cui quei luoghi passavano effettivamente a Galeazzo,
a die XXVI mensis maij anno d.'" millesimo CCC LXVF » è citata nei Conti
Casteììania Morat, Rot. i. ii. 1364 — i. 3. 1367,^0!. IV.
(i) Docum. in Arch. di Stato di Torino, Viaggio di Levante : il primo pub-
blicato dal Datta, op. cit., p. 263 ; il secondo dal Bollati, op. cit., p. 536, ma
commutando « Pavie » in Paine ! in Savoia 1
(2) Atto ivi, Protoc. due, Serie camer., Reg. 44 cit., fol. 15.
(3) Ciò risulta dal Conto della spedizione cit., di cui è impossibile qui citare
i dati. La inedita Chronique de Savoie di Cabaret [ms. al Museo dell'Archivio di
Stato di Torino], fol. VIIIXX X, dice: « Galiace. .. luy bailla pour le servir en son
« voyaige missire harnequin de Vienne capitaine de cent hommes d arraes d elite » ;
ma nei Geste:^ et Chroniques de Savoie di Jean Servion, che ne è quasi copia
\Mon. hist. patriae. Script., voi. I, p. 301], il capitano diventa « Lucquin de Vermes ».
Sulla progettata e non avvenuta partecipazione del celebre capitano all' impresa
(quantunque si sia recato ei pure a Venezia), avrò agio, su documenti inediti, di
ritornare presto, accennando pure alle ultime sue relazioni col Petrarca.
(4) a Recepit a domino galeaz manu petri gerbaysii ex dono per ipsum
« dominum galeaz facto domino gratiose, XXM fior. b. p. » [Rot. ój cit., fol. Ili];
ma l'economo aveva mal inteso, e l'errore fu poi rettificato al ritorno {Conto
della spedizione cit., n. XCVIII). « Recepit a domina blanchia sorore domini die
« XXVII maij.... UHM flor. b. p. » [Rot. 6$ cit., fol. cit.].
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 279
sotto certi patti e convenzioni (i); e per parte sua egli riaveva la
somma data in pegno al senescalco di Provenza pendenti le trat-
tative suaccennate (2). Compiuto questo importante atto, Amedeo VI
(i) L'originale dell'atto, inedito, esiste in Cherasco, Arch. civico, mazzo IV,
n. 22. Oltre Gioffredo della Chiesa, Cronaca di Saluto in Hist. patr. mon.
Script^ voi. Ili, pp. 1011-12, ne parlò largamente il Voeksio, Historia compendiosa
di Cherasco, Mondovi, 1618, che diede pure i nomi degli inviati (pp. 494-95), e
lo seguì il Partenio, Secoli della città di Cuneo, Mondovi, 17 io, ma con lo
strano errore, che gli inviati giunsero a Pavia, e trovato ivi per caso il conte,
lo scelsero a mediatore (pp. 75-76); ne diede un breve transunto 1' Adriani, In-
dice cronologico di documenti su Cherasco...., Torino, i?57, p. 6j ', ne parlò an-
cora il Gabotto, op. cit., p. 151 e Storia di Cuneo, Cuneo, 1898, p, 75 ; ma
l'esame più ampio è stato fatto sinora dal Bertano, Storia di Cuneo, Cuneo, 1898,
voi. I, pp. 446-48. In attesa di pubblicarlo, con altri documenti, nella sua in-
tegrità, eccone il principio, favoritomi dall'egregio amico dott. G. A. Piovano :
« In nomine domini Amen. Anno eiusdem millesimo trecentesimo sexagesimo
« sexto die vigesimo octavo mensis maii quarta Indictione... Noverint universi pre-
ce sens instrumentum publicum inspecturi, quod illustris princeps et dominus, do-
« minus Amedeus Comes Sabaudie in hac parte mediator arbitrator et amicabilis
« compositor inter magnifìcum et excelsum dominum dominum galeaz viceco-
« mitem mediolani, papié etc. et imperialem vicarium generalem suum hono-
« randum fratrem carissimum ex una parte, et comunia et homines terrarum
« cunei montisvicl et clarischi eorumque pertinentium ex altera, suprascriptis
« anno indictione et die, residens in glorioso castro civitatis papié prefati ma-
« gnifici et excelsi domini galeaz videlicet in quadam camera turris de qua in-
« spicitur versus portam sancte marie in pertica tunc cubiculari eiusdem d.''* Co-
« mitis.... in presentia magnificorum et egregiorum militum dominorum pandulfi
« de malatestis quondam d."' malatesti, et johannis de sessulis quondam d."'
« tadei, nec non nobilium et egregiorum dominorum protasii de caxinis militis
a quondam d.'^K.., gerardi de strésio militis et legum doctori§ quondam d."'
a petri cancellarli prefati illustris d.'^^ comitis sabaudie, petri de mandello mi-
« litis quondam d.°' maximi, et henrici de gorzano militis quondam d.''' con-
« radi, ac nobilium virorum petri gerbasii quondam d.°' johannis, bonifacii ma-
te labayle quondam d."^ andreoni, martini cagne quondam d.''' guidonis, johannoli
« de medda quondam d.''^ alberti, stefanoli porri quondam d."'' beltrarai, et am-
« brosoli crivelli quondam d.*"' conradi — omnium testium prò majorì parte no-
« torum.... ». Notaio dell'atto, il cancelliere visconteo Cavallino de Cavallis.
(2) Rot. 65 cit., fol. Ili : a Recepit a domino galeaz manu petri gerbaisii in quibus
« dictus dominus galeaz domino tenebatur, quia ipsos soluerat dominus senescalco
« Provincie prò ipso d."° galeaz, quando terra regia fuit eidem expedita per mare-
« scalcum supradictum, IXM fl. b. p. ». Cfr. p. 272-75. Per gli avvenimenti po-
steriori, vedi Gabotto, op. cit., pp. 151-52; e una lettera con cui Urbano V il
3 giugno pregava l' imperatore di proteggere la regina Giovanna contro Galeazzo:
Kaynaldi, Annales ecclesiastici, voi. VII, p. 145.
28o DINO MURATORE
s'accinse a partire: spedita a Venezia una nave coi bagagli, e avuto>
il permesso del doge, il lunedì i.*' giugno si congedava dal co-
gnato e dalla sorella; e accompagnato dal nipote Gian Galeazzo
(che voleva in tal modo dimostrargli la riconoscenza sua\ col se-
guito passava lo stesso giorno a Piacenza (i), e per le terre lom-
barde e venete giungeva finalmente a Venezia la sera del 7 giugno (2).
Seguiamo ora il marchese di Ferrara per risolvere la questione
delle relazioni politiche tra i Visconti e i collegati della chiesa.
Secondo le intese (come abbiamo visto), trattative e colloqui
dovettero avvenire a Pavia tra Barnabò, Galeazzo, il marchese e
Amedeo; e il 28, senza alcun dubbio, Niccolò passava con Barnabò a
Milano, tra le feste più splendide (3), trattenendosi con lui in tratta-
tive, su cui per ora possiamo solo dire che il signore di Milano scelse
come suo ambasciatore alla Curia Uberto Pallavicini (4). Il 29 mattino,
la comitiva dei collegati, composta di circa duecento cavalieri, ne
ripartiva dirigendosi verso la Savoia per il Piemonte superiore e
la valle di Susa, perchè già il martedì 2 giugno, avvertitane prima
dal conte e ultimamente dal castellano di Avigliana (5), la contessa
Bona di Savoia accoglieva con gli onori dovuti all'alto loro grado
il marchese e i suoi compagni nel castello di Chambéry, dove per
l'occasione erano convenuti molti nobili savoiardi; mentre la ser-
vitù coi numerosi cavalli era alloggiata, secondo 1' uso, in casa di
privati o di osti della città (6). "^
(i) Atti ivi in Protoc. due, Serie camer., Reg. 44 cit., foli. 17 v-21. Man*
dato del conte in Rot. 27 cit,, fol. XXIII.
(2) Conto spediiione cit., nn. II e 191, mentre il Datta erroneamente dice
l'ii giugno. Il viaggio del conte di Virtù a Venezia è attestato dal Caroldo,
Ice. cit., e da parecchi altri documenti inediti. ^
(3) CoRio, op. e loc. cit.
(4) GiuLiNi, op. cit., voi. V, p. 503.
(5) Conto Castellania Avigliana, Rot. 12. 4. 1365 — 7. 8. 1366, fol. XIX;
« Libravit petro de gebennis habitatori ypporigie nuncio misso ad partes sa-
« baudie ad dominam nostrani sabaudie Comitissam eidemque apportanti litteras
« adventum domini marchionis ferrane significantes.... ». Cfr. Giornaliero cit., al
i.° giugno : « .... rosseto messaggerio misso oviam marchioni ferrare.... ».
{6) Giornaliero cit., fol. 54: « Fuit à.^^^ marchio de ferrara ».
« Die martis secunda junii fuit domina tota die ibidem. Cum toto eius^
« hospicio et familia ordinaria. Presentibus domino Marchione de Ferrara, et
« cum ipso circa ducentis personis presentibus etiam dominis camere, aymone
« de chalant, rodulpho de serravalle, petro de amayssino, francisco bonczani, cum
LA NASCITA E IL BATT. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 28r
L' indomani mattina, 3 giugno, il marchese ripartiva da Cham-
béry verso Avignone (i), accompagnato, per ordine del consiglia
di reggenza, da un signore savoiardo, Pietro di Ameysin, che do-
veva naturalmente prender parte ai colloqui col papa (2); e dato
il tempo comunemente impiegato nel viaggio, giungeva colà verso
il IO stesso.
Come procedettero le trattative col pontefice?
Già il 16 giugno Urbano scriveva alle città di Firenze (che si
era decisa a radunare inviati per una lega), Pisa, Siena, Arezzo e
Perugia, che i suoi nunzi avevano pieni poteri di stringere la lega
contro le compagnie in nome della chiesa, a cui avrebbero potuto
aderire i Visconti, che assicurava ben disposti; e appunto per fa-
cilitare tale passo, poco dopo, il 22, scriveva al doge di Genova^
ai fratelli Visconti e al marchese del Carretto di inviare a lui^
entro 20 giorni, ambasciatori per trattare la pace (3). Queste lettere
ci illuminano sulle buone disposizioni del pontefice verso i Vi-
sconti, che non mutarono neppure per il cattivo esito delle sue
esortazioni.
Così, al principio di luglio, veniva trattata la lega dai tre nunzi
e dagli inviati delle città della Toscana e dell'Umbria, della regina
Giovanna, e dei due cardinali legati; ma le trattative in principio
di settembre non erano ancora a buon punto, per la ritrosia ad en-
trarvi del doge di Pisa Giovanni dell'Agnello sostenuto dai Visconti^
e poco disposto ad inimicarsi la compagnia dell' Hawkwood, di cui
poteva servirsi contro gli avversari (4). Ma se il passaggio di Am-
brogio Visconti unito all' Hawkwood stesso, in maggio, nel terri-
torio di Gubbio, in luglio in quel d'Orvieto, e di là nella campagna
« pluribus dominabus, burgensibus et domicellis de chamberiaco et pluribus aliis
« nobilibus et personis extraneis ». Seguono le spese di cucina, carni, dolci^
spezie, selvaggina, ecc. assai curiose. « Item expensis et hostellagio novies viginti
c( et decem octo equorum d.''* Marchionis de Ferrara libratorum in albergarlo,
a inclusis expensis extraordinarijs valletoium ipsius ut infra ». Seguono i nomi
degli osti e dei privati che 11 alloggiarono.
(i) In tal giorno, "il Giornaliero dì. non lo dà più per presente. Cfr. 11 dona
a' suoi ufficiali: « Libr.... menestrerlls d.'^' marchionis de feraria, XX fl. b. p. ».
(2) Giornaliero eh., 4 giugno; a Libr.... qui dati fuerunt d.""" petro de ameyslna
« euntl cum marquione de feraria apud avinionem associando eum, XV fl. b. p. ».
(3) \yERUKSKY, Op. Cit., VOl. Ili, pp. 345 e 360.
(4) Ibld., pp. 345-46.
282 DINO MURATORE
romana irritava l'animo del papa, sì da ordinare il i6 settembre al
cardinale Albornoz di rinnovare l'antica lega contro i signori lom-
bardi, era questo un passo molto timido e senza conseguenze,
perchè, mentre nella dieta di Francoforte l'imperatore, a vive pre-
ghiere di lui, prometteva l'invio di un esercito contro le compagnie
e decime per sostenerlo, già il 19 settembre si stringeva a Firenze
la lega contro esse per cinque anni, escluse però quelle di Am-
brogio Visconti, dell' Hawkwood, di Anichino Bongarden e del
conte Giovanni d'Absburgo, che erano invece le più forti, deva-
stando allora appunto le due prime le ricche terre dell'Umbria (i);
e se il IO ottobre Urbano scriveva ai nunzi e ai vescovi di Firenze
e Città di Castello di estendere la lega anche contro di esse, con-
temporaneamente pregava Barnabò di richiamare dal comando della
compagnia, con l'autorità paterna, il figliastro, ottenendone almeno
la promessa che per un anno non sarebbero state devastate le
terre della Chiesa (2); e piena di dolcezza è la lettera che, pochi
giorni dopo, scriveva a lui per ringraziarlo degli ossequi fattigli
a mezzo di inviati e del richiamo del figlio, e per calmare il suo
timore che la prossima discesa di Carlo IV fosse per essere a' suoi
danni, il 29 ottobre scrivendo all' imperatore stesso di persuaderlo
delle buone sue intenzioni (3).
Ma in tal modo siamo giunti ben oltre il termine del soggiorno
di Nicolò II d'Este ad Avignone; il suo ritorno a Ferrara dovette
infatti essere entro il mese d'agosto, perchè già il 3 settembre vi
accoglieva con feste il figlio del defunto Luchino Visconti (4); e tale
ritorno avvenne per la riviera ligure e non più per la Savoia, per-
chè di lui più non si parla nel Gioi-naliero più volte citato; solo
al i.° agosto è segnato il ritorno da. Avignone del nobile Pietro
di Ameysin; e il 9 settembre il passaggio per Chambéry del Ma-
latesta col seguito, certo rimasto presso Urbano V per affari (5).
(i) Werunsky, voi. Ili, pp. 346-48 e 361.
(2) Ibid., pp. 5$i e 36061.
(3) Rinaldi, Annahs ecclesiastici, voi. VII, pp. 144-45-
(4) Chronicon estense^ loc. cit.
(5) Giornaliero cit, : al 9 settembre è detto presente al pranzo « dicto do-
<£ mino malatesta ». Sono poi notate le spese.... unius militis marchionis de
« ferrara et quinque equorum ibidem, ubi fuit ad dominam veniendo de avi-
« nione.... ».
LA NASCITA E IL BATI. DEL PRIMOG. DI G. G. VISCONTI, ECC. 283
Quindi, contro tutti i cronisti e storici lombardi, possiamo
affermare che, lungi dall'andare ad Avignone con l'espresso pen-
siero di ordire una lega contro i Visconti, Nicolò II d'Este ed i
suoi compagni vi si recarono passando prima, a invito dei Visconti,
nelle lor terre, coi loro stessi ambasciatori, per consigliarsi col
pontefice circa il miglior mezzo per ordinare le cose nell'Italia su-
periore, e sopratutto per indurlo, a tal fine, a un sollecito ritorno
a Roma, còme effettivamente poi fu. E ci vollero le nuove deva-
stazioni (contro i patti giurati) della compagnia di Ambrogio Vi-
sconti nelle terre di Urbino nella primavera del 1367, perchè la
misura si colmasse, ed Urbano V in persona stringesse a Viterbo
il 31 luglio coi plenipotenziari del marchese d'Este, di Francesco
da Carrara e dei Gonzaga una lega di cinque anni contro i Vi-
sconti e gli Scaligeri.
IV.
La NASCITA DEGLI ALTRI FIGLI DI GlAN GALEAZZO.
Provato così che la nascita del primogenito di Gian Galeazzo
avvenne il 4 marzo 1366, e il suo battesimo si effettuò il 24 maggio
successivo, cercheremo di stabilire, con la maggior precisione pos-
sibile, le date delle nascite degli altri figli.
Per il secondogenito, cioè Azzone secondo il citato Chronicon
placentinum, la cosa è facile: egli nacque nel settembre del 1368,
poco dopo le grandi feste del matrimonio di Violante Visconti con
Lionello di Chiarenza: infatti, nel Rotolo 2^ dei Conti dell'hotel della
contessa, 13 settembre 1368 - 14 luglio 1370, al principio della
lista dei doni, fol. XXVIII, sta scritto: « Libravit de mandato do-
u mine manu aymonis de chalant, qui dati fuerunt scutiffero domine
« comitisse de vertuz nuncianti nativitatem filii diete domine comi-
« tisse. XXV fior. b. p. ». È noto che alle feste prese ancor parte
Isabella stessa.
L'ultimogenito, Carlo, come abbiam visto, nacque nei primi
giorni di settembre 1372, cagionando la morte della madre.
Ma per Valentina, che maggiormente ci interessa, dobbiamo
accontentarci di fondate congetture: i documenti sabaudi tacciono
284 DINO MURATORE - LA NASCITA E IL BATTESIMO, ECC.
afifatto, ne di più dicono, scartata l'asserzione del Corio, le altre
fonti. Ora, quattro anni precisi intercedono tra le nascite del secondo-
genito e dell'ultimogenito : a me sembra naturale che quella di Va-
lentina sia avvenuta all' incirca a uguale distanza di tempo da
ognuna di esse, cioè sul finire dell' estate del 1370, in tal modo
venendo a verificarsi, tra le nascite degli ultimi figli, un intervallo
sempre uguale di due anni; né, fino a nuove notizie, è possibile
conseguire una data di precisione maggiore, per quanto sia già
questo un notevole progresso sulle gratuite asserzioni degli storici
moderni.
In conclusione: non in meno di quattro anni, come si è cre-
duto sinora, ma in quasi sette, ebbero Isabella e Gian Galeazzo i
loro figli: Gian Galeazzo il 4 marzo 1366, Azzone nel settembre
1368, Valentina sul finir dell'estate 1370, Carlo in principio di set-
tembre 1372.
Dino Muratore.
LA PLEBE VIGEVANESE
alla conquista dei poteri pubblici nel 1536
ON in quest'anno i plebei di Vigevano insorgon la prima
volta contro i nobili amministratori del comune, ne sem-
pre nel passato come nel 1536 preferiron le vie che or
direbbero legali : già taluno de' pochi libri ove si narra,
ih modo troppo incompiuto, di storia vigevanese, ricorda altri tur-
bamenti. E i motivi di simili agitazioni? Arduo è stabilirli, che
mentre non si può dar cieca fede alle parole di questo o di quello
solo dei partiti, ci mancano poi i documenti necessari per fermar
noi stessi un giudizio sicuro. La lotta, in somma, si svolge nelle
condizioni e sotto la luce delle lotte odierne: da una parte i capi
della plebe, che guidano il movimento, scagliando aspre censure
contro il vecchio consiglio generale, affermano di voler una mi-
gliore e più *equa amministrazione del comune; dall'altra i nobili,
che potremmo chiamare i conservatori di quel secolo, giustifican
dosi, naturalmente, contro le accuse degli avversari, dichiarano
ignorante la plebe, mestatori ambiziosi i suoi capi, ingiuste le sue
aspirazioni, le sue pretese, e difendono e sostengono i propri di-
ritti con alcuni giudizi, che avrem cura di ben notare, perchè illu-
minano d' un nuovo sprazzo di luce vivissima, opportuno forse, se
non necessario, certi sentimenti e certe idee dei cinquecentisti.
Il comune di Vigevano, ricco una volta, col procedere degli
anni, soprattutto lungo il sec. XV, avea dovuto alienare man mano
diversi beni (i) e di pari passo accrescere le imposte agli abitanti,
(1) Citiamo alcuni documenti, conservati, come tutti gli altri, nelFArchivio
civico di Vigevano (Casella 120, Cartella 66: Titoli, Beni comunali, Alienazioni,
Riscatti, Atti diversi). Una prima pergamena, sotto la data 6 dicembre 1375, at-
testa che « cum comune homines et universitas terre de Viglevano sint variis
286 FELICE FOSSATI
#
finché questi per le guerre, le spogliazioni, le devastazioni, la
peste nel primo quarto del sec. XVI finirono con l'agitarsi e
protestare in vari modi. Le nostre parole recheran forse meraviglia
a qualche curioso della storia cittadina, avvezza a considerare l'età
dei Visconti e degli Sforza, specialmente di Lodovico il Moro,
come la più illustre e la più felice di tutte, ma se è vero che
il comune nostro sotto i duchi milanesi allargò la cerchia delle
mura, s' ornò del grandioso castello con la torre di Bramante e
della bella piazza, s'arricchì di chiese, vide aumentare la popola-
« et diversis debitis agravati et maxime prò solvendo camere magnifici domini
« nostri Galeaz prò eius salario prò tempore preterito et etiam prò solvendo
« castellanis predicte terre Viglevani de man.to prefacti magnifici domini nostri
« et prò solvendo sallarium certorum bobulcorum qui iverunt ad laborandum ad
c( beldepotum de man.to prefacti magnifici domini nostri et non habeant pecu-
« niam neque bona mobilila ex quibus possint sanare dieta debita, et expediat
« de presenti dieta debita sanare », il consiglio generale, radunato dal giurispe-
rito Pietro de' Ottobelli, vicario, non potendo trovar denaro in altro modo, de-
libera di vendere tre pezze di terreno: i.° la « squadra superius pratorum »;
di circa 200 pertiche ce et plus et minus »; 2.° la « squadra inferius », di circa 80.
3.° una pezza di terreno parte da lavoro, il resto a prato, di circa 200, il tutto
per 900 fiorini « boni auri et iusti ponderis valloris librarum trium et sol?
« quatuor prò singulo floreno, qui procedere debent in sanando dieta debita dic-
« torum comunis hominum universitat. et singularum personarum diete terre et
« aliis predictis necessitatibus superius deseriptis seu de quibus supra fit mentio »•
Un'altra pergamena ci ricorda che il 29 aprile 145 1 il consiglio generale
convocato « prò certis negociis peragendis per dictum comune et maxime prò
« recuperando certam denariorum quantitatem prò satisfacien.'* ducali camere prò
« censu quo tenetur dieta comunitas prelibato domino domino nostro », ven-
dette alcune pezze di terreno, dell'estensione, complessivamente, di 90 pertiche
per 90 fiorini, del valore di L. 3, s, 4 terzioli.
Da una copia (8 ottobre 1572), non autenticata, dell'atto della seduta consi-
gliare 5 marzo 1 500 si apprende che, radunato da Galezzo de' Colli, ducale com-
missario, il consiglio generale vende a Cristoforo de' Rodolfi e a Matteo de' Pre-
vide Massara « petiam unam terre buschive appellate nemus terre grise iacen.
« super finibus Viglevani ultra Ticinum et prout continetur in incantu dicti ne-
« moris alias incantati per dominum Julianum Ardicium de Viglevano reservatìs
« glariis fratrum etc. » : il prezzo è di L. 4000 imperiali, che i compratori
« promiserunt et convenerunt dare solvere et esbursare nobilibus viris dominis
« Gabrieli et Nicolao de Tranqueriis civibus Mediolani creditoribus comunitatis
« Viglevani de dictis libris quatuor mille per ipsos de Trincheriis solutis nomine
« comunitatis Viglevani prò parte solutionis taxe imposite comunitati per 111.™
« D. D. nostrum Ducem Mediolani et prò scontro sacomani vitati amore p.^ III.'"
« Principis », Si conserva anche una copia dell' ìstrumento della successiva ces-
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 287
zione e fiorire industrie e commerci, e assorse infine da « oppidum >^
all'onore di città, non è men vero che dovette alienare beni, accrescere
le tasse a' cittadini, impegolarsi in sempre nuovi debiti, precipitando
in condizioni infelicissime. Ben utile e interessante certo sarebbe
ficcar lo sguardo entro ai documenti che di quell'età rimangono
e cercar di ricavare, se possibile, chiare e precise le condizioni
finanziarie de' Vigevanesi d'allora: forse si vedrebbe che la rovina
economica della città, se fu precipitosamente accelerata dagl' infausti
trent'anni che seguirono alla cacciata del Moro, non cominciò in essa.
sione fatto il 6 giugno 1500: è autentica, del notaio Francesco Scipione del
Pozzo, e con la data del 30 giugno 1569.
Il notaio Stefano Cavalli ci ha lasciato, con la data 26 febbraio 1597, copia
autentica dell' istrumento di vendita di altro terreno. Il 3 ottobre 15 13, « . . . . cum
(( ita sit quod comunitas Viglevani artetur ad solutionem librarum viginti quinque
« mille imper. prò subsidio III."' D. D. Ducis Mediolani diete comunitati impo-
c( sito solvendo in breve tempus aut depopulentur si non soluerint prout ex plu-
« ribus litteris ducallibus diete comunitati transmissis constat et aparet, et requi-
« sitis pluribus viis prò recuperatione dictarum pecuniarum solvend. utsupra, et
« non repertis nisi mediante vendict.e bonorum et proprietatum et iur. ipsius
« comunitatis Viglevani.... », il comune vende il prato Timoncino a Paolo de*
Ferrari Fantoni, che lo compra a nome di Zanotto de' Silva, per L. 1500 im-
periali.
Cosi il 24 dicembre 1513, « cum sit quod comunitas Viglevani et singu-
« lares persone de Viglevano arterentur ad solutionem libr. octo mille septem-
« centum quinquaginta imper. occaxione taxe sallis imposite diete comunitati
« prout Constant littere ducalles superinde emanate et ordinacione ducali supe-
« rinde facta in Consilio generali terre Viglevani super anno 15 14 solvendis
« de presenti et nisi solvereatur sequeretur max. expensa diete comunitati Vi-
ce glevani et perquisitis pluribus viis prò satìsfactione premissorum et prò evi-
'( tandis expensìs et non reperta alia comoda via nisi per viam vendicionis pro-
< prietatum comunitatis predicte et non reperto qui plus precio obtulerit infra-
( scripto quinimo noe tantum preeium et non existen. bonis mobilibus venalibus
'( in dieta comunitate.... », il comune vende a Bernardino de' Ferrari Rainini
« duas partes ex tribus unius petie terre buschive prò indivisso cum dieta co-
« munitate appellate nemus mondine » per L. 1500 imperiali. 11 terreno viene
poi dal compratore concesso in enfiteusi al comune stesso per L. 105 imperiali
l'anno. Ciò sappiamo da una copia non autentica dell'atto di vendita.
Il 6 maggio 1524, «.... cum sit quod comune Viglevanum indigeat pecuniis
f( prò recuperanda libertate et liberando se ab obsidione in qua constrictum est
« propter stipendiarios Cesareae Maestatis, presertim etiam prò provìdendo pesti in
f( ea vigenti non habens aliter modum providendum nisi per venditionem de qua
a infra factis debitis et diligentibus investigationibus.... », il comune vende al
convento di S. Pietro Martire la quarta squadra del bosco Pobbieto per 200 scudi
288 FELICE FOSSATI
Checché sia di ciò, sta il fatto che il 9 gennaio 1525 i consi-
glieri prendevano una gravissima deliberazione: « .... ordinaverunt
K et ordinant considerata ruina hedificiorum et sterillitate ac de-
^< vastatione domorum et poss.""'" territorii Viglevani passis hiis
« annis elapsis quod addatur qualibet testa extimi sol. i d. 6 ita
■u quod ascendat ad sol. 4°^ extimi prò qualibet testa. Et detrahatur
^( ab ex.f^o medietas domorum et possessionum ita quod ext."^"'*
M reducatur ad medietatem.... » Il celebre cancelliere Simone del
Pozzo, allora del consiglio, nota in margine: « hec ordinatio fuit
« fomentum depopulationis terre Vigl."» » (i). Lo stato deplorevole
-del volume, ove sono registrati gli atti consigliari di questi anni,
ci tien allo scuro di molte cose, ma quella deliberazione dovè senza
dubbio scuotere profondamente la plebe della città, se nel resoconto
« auri et in auro », del valore di L. 5, s. 4 imperiali, cioè per L. 1040. Questo
risulta da una copia non autentica dell'atto di vendita
Finalmente il 28 agosto 1536, come ci attesta una copia autentica del no-
taio Jeronimo de' Podessi, fatta il 6 aprile 1573, ^^ •••• ^^^^ ^it quod comunitas diete
■« civitatis indigeat pecuniis prò solvendis debitis diete comunitatis et etiam prò
« sustinenda lite quam habet cuni comitatu coram R."io senatu Mediolani ex
« causa distributionis onerum impositorum et imponendorum per cesaream ca-
« meram diete ci vi tati et comitatui simul et non habens modum.... », il comune
vende la seconda squadra del Pobbieto per L. 900 imperiali a Vincenzo de'
Bossi, che la cede poi in enfiteusi perpetua, per annue L. 81, al comune stesso,
<o\ patto che questo sottostia ad ogni eventuale gravezza.
Quanto alle condizioni dei cittadini, per il sec. XVI si vedano le note più
innanzi; per il XV, senza voler attribuire loro né singolarmente né complessi-
vamente un valore assoluto, ma pur ritenendo che possano da sé sole bastare a
dar almeno in grosso una prova della nostra asserzione, togliamo alcune cifre
approssimative dai Conti dei tesorieri.
Nell'anno 1410 si ha: estimo L. ^560, riscosse, di tassa, L. 2523; nel 1411:
-estimo L. 3560, tassa L. 1395 ; nel 1413 : estimo L. 3509; nel 1415 : estimo
L. 3 5 IO, tassa (in nove mesi : pare che nell' ultimo trimestre non se ne siano
riscosse) L. 1730, molte, perchè il duca volle 300 fiorini; nel 145 1 : estimo
L. 1429, poi, negli ultimi tre mesi « extimo novo », L. 1582, tassa L. 4780;
nel 1443: estimo L. 1575 ; nel 1457: estimo L. 1374, tassa L. 14434; nel 1472:
« extimo novo » L.. 438, tassa L. 12279. I bilanci poi segnano: anno 1410:
entrate L. 7656, spese L. 4322 (mancano quelle del terzo trimestre, le cui en-
trate sommarono a L. 2514) ; anno 1415 : entrate L. 5902, spese L. 5428; anno
1451: entrate L. 8746, spese L, 8865; anno 1457: entrate L. 23790, spese
L. 24434; anno 1472: entrate L. 23204, spese L. 22786. Le cifre, ripetiamo,
:Sono approssimative, non assolutamente precise.
(i) Convocati Consiglio Generale^ anni 1523 '28, fol. 90, consiglio 9 gen-
naio 1525.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 289
<iella seduta 27 giugno 1526 leggiamo: « In quo quidem Consilio
« sic utsupra congregato auditis requisitionibus et suplicationibus
u prefatorum octo ellectorum per plebem in prox.o precedenti con-
u silio simul et requisitis per d. Simonem de Collis nomine nobi-
« lium et plebeiorum utsupra
« p.^i d. consiliarii ordinaverunt p.o prò satisfactione requisitionis
« predicte quod detrahantur teste in extimo et reducantur ad
« sol. duos et denarios sex prò qualibet testa videlicet prò one-
« ribus.... » (i). Senonchè pare fosse ormai tardi. Il 30 giugno
i ribelli assalirono il palazzo comunale e scompigliarono ogni cosa.
« Quicunque viderit hunc librum », dice Simone del Pozzo, « ita
« enormiter sordidatum sciat fuisse factum ab hominibus terre
« Vigl."' anno 1526 die 30 iunii quando terra ipsa ab hispanis
u fuit depopulata. Et hoc fecerunt, et ita multos alios libros ac
« necessarias scripturas et privillegia diete comunitatis in maximum
il eius damnum et interesse nonnulli spiritu diabolico inducti ut
« terra ipsa non a viris probis, sed ab ipsis regeretur. Et paulo
« ante ipsam depopulationem manu armata ausi fuerunt consilium
« in publico palacio convocatum agredi. Qui d. consiliarii coacti
ti fuerunt per tecta eorum salutem perquirere et multi in domum
« meam fugierunt. Qua propter dictarum scripturarum dilaceratio-
« nem nonnulli passi sunt damna, et quamvis multi ipsorum in
« annis proximis preteritis mortui sunt et miserabiliter qui liane
« dederunt causam p.^ Simon CoUus d. Leonardi qui huius sce-
u leris auctor et dux fuit post longam peligrinationem insanivit in
u quandam rabidam insaniam post longa impensam ad lucida in-
ii tervala inquisitus de quadam falcitate cuiusdem testamenti, diu,
u in carceribus Mediolani detentus miseratione Franc.i 2.^ Sfor.
u Ducis non absolutus sed liberatus fuit et post Mediolani suspectus
« morbi contagiosii miserabiliter mortuus est et ut canis sepultus
« est. Quidam de carbonibus farini mortuo brachio in corpore diu
« et in suma miseria egrotavit et mortuus est. Jo. Matheus de gra-
« valona alioli, hic omnibus peior imo peximus, incidit in quadam
« infirmitate habens fistullam in podice qua per annos et menses
« detentus et ex elimosinis nutritus post confesionem multorum
^i flagitiorum miserabiliter obiit, de quo interitu in publicis libris
(1) C. C. G., i52 3-'28, fol. 109. In seguito i fogli sono lacerati.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. Vili. 19
290 FELICE FOSSATI
u per me facta est mentio de die et bora et credo fuisse 1545
u sive 1546. Et sic de aliis dominis infeliciter fuit eorum finis » (i).
La violenza non recò, che si sappia, buoni frutti : avrà servito
a qualcosa di più o di meglio cbe a dar uno sfogo alle brame dei
turbolenti? Forse ad accrescere i disagi del comune, i quali negli
anni disgraziati che precorsero il 1530 dovettero opprimere di ben
gravi ed ansiose cure gli amministratori. Finalmente giunse il '30^
il congresso di Bologna, il ritorno di Francesco II sul trono di
Milano, e, per conseguenza, del comune nostro sotto l'amata fa-
(i) C. C. (j., i523-'28, fol. 168. Tale il fatto e le sue cause giusta i documenti
citati. Non voglionsi però tralasciare due osservazioni. Anzitutto, fra il primo ordine
del consiglio e la ribellione sembra un po' lungo l' intervallo ; ma qualche spie-
gazione vien pur facile alla mente d'ognuno, e poi la testimonianza del Pozzo è
precisa ed esplicita, e il Pozzo doveva ben sapere come andarono le cose. È vero
che non sempre la memoria lo serve con tutta fedeltà ; ma, trattandosi di un
fatto così memorabile nella storia vigevanese, mal ci persuadiamo eh' egli sia
caduto in errore. S'ha da rilevare in secondo luogo che il Biffignandi, Me-
morie storiche della città e contado di Vif^evano, Vigevano, 1870, p. 258 sgg.,.
conforme alla Cronaca del Nubilonio dà con la massima sicurezza una causa di-
versa. Ma egli va contro e al Pozzo e a quello almeno che ci resta del con-
siglio 27 giugno, anteriore di soli tre giorni alla ribellione.
Il bilancio di Vigevano in quel tempo si ricava dai conti de' tesorieri. Nel
1525 il tesoriere Gian Giacomo de' Cotti Ambrosi ha da versar al comune per
una « tallea ad computum 11. triginta duarum imper. prò qualibet libra ex. mi
«( quod ext.n™ est 11. quatuorcentum sexaginta octo, sol. decem, ter. duo cum di-
« midio ex mi ad computum sol. quatuor prò qualibet testa », L. 14992, s. 6, d. 8 ;
« prò aditione 11. io prò qualibet lib. », L. 4685, s, 2, d. i ; « prò testis ad-
« ditis de aqno 1525, que sunt 280 », a s. 4 ciascuna, pari a L. 56 d'estimo,
L. 2552. E il riassunto del bilancio dà L. 36760, s. 6 d'entrata, L. 37405 s. 7
di spesa. Nel 1526 il Pozzo deve dare per una tassa di L. 32 imperiali ogni
lira d'estimo, che è di L. 474, s. 7, terz. 4 1/2» ^ computando soldi 4 per testa,
L. 15178, s. 16; poi, per una sopratassa di L. io, L. 4743, s. 13, d. 9, e per
altre 327 teste aggiuntesi, cioè per L. 55, s. 8 d'estimo, L. 2746, s. 16: totale
L. 22670^ s. 5, d. 9. (Veramente la somma ci par inferiore d'una lira a questa
cifra). Il riassunto ci dà: entrata, L. 34206, d. 6; spesa, L. 26142, s. 14, d. 5.
Non molti anni prima era assai meno forte la tassa e maggiore l'estimo.
Per es., stando nel sec. XVI, il tesoriere del 15 16, Marchino de' Bellazzi, per
una tassa di L. 14 la lira d'estimo, essendo questo di L. 577, s. 7, terz. 4, e
per 40 teste aggiuntesi, pari a L. 5, s. 8 d'estimo, cioè in somma per L. 582,
s. 7, t. 4 d'estimo, deve sborsare L. 8153, s. 2, d. 8. Il riassunto del bilancio
segna L. 18692, s. 11, d. 7 d'entrata, e L. 19122, s. 1$, d. i di spesa (Conti
tesorieri, anni 1$ 16-^26. Abbiamo riferito le cifre segnate nei registri : avvertiama
però che i conti non sempre ci paiono esattissimi).
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 29I
miglia sforzesca. Chi legga i resoconti delle sedute consigliari e
le note, sparse qua e là, dal segretario del Pozzo, non può come
non sentire il profondo respiro dei Vigevanesi quando si seppero
restituiti ai loro antichi signori: con Francesco II essi dovettero
sperare di poter almeno godere un po' di pace, un po' di tregua
dalle continue vessazioni, di potersi ristorare alquanto. Ma non si
può certo dire che tali speranze, o più veramente tali bisogni, ve-
nissero soddisfatti. Benefizi Vigevano ne ebbe senza dubbio da
Francesco Sforza, primo fra tutti l'erezione in città, ma, economi-
camente, gli anni dal '30 al '35 son di dolorosa decadenza. E in
essi un'altra volta insorge la plebe protestando contro una tassa
straordinaria che il consiglio ritenne di dover imporre per libe-
rarsi una buona volta dai creditori onde si sentiva stretto minac-
ciosamente da più parti. « Item », ha il resoconto della seduta 17
agosto 1532, « p.ti domini [i consiglieri] ad obviandum et tolendum
« querimonias que in dies fiunt propter debita in praeteritum con-
« tracta (i) et ad cavendum ut dieta debita semel afiferantur decre-
« verunt et ordinaverunt facere unam equalantiam omnium debito-
« rum et honorum tam imobilium quam mobilium hominum diete
« civitatis »>, ed elessero per tal lavoro una commissione composta
da Vincenzo de' Bastici Borioli, Giov. Andrea de' Cocchi, Giacomo
de' Cotti Morandi, Bernardino de' Gusberti, Giov. Maria del Pozzo,
Cristoforo de' Rodolfi, Jeronimo da Parona, Vincenzo de' Bossi, dan-
dole due mesi di tempo (2). Alla medesima poi, il 29 ottobre 1532,
non avendo essa ancora potuto adempiere l'ufficio, per le « multe
u differentie » sorte, rinnovarono intera l'autorità (3) ; non solo, ma
il i.o gennaio 1533 diedero facoltà ai XII di provvisione di stabi-
lire il salario « ac etiam tolendi unum vel duos et alium vel alios
« submitere » (4). Senonchè appena poterono farsi un'idea di quale
(i) Cfr. C. C. G., 1532 '55, fol. ultimo, nota di Simone del Pozzo: « Die
a ii Aprilis [1552].... ignorans et ingratus populus, cui vix faraes vertebat terga,
« calcitrare, more aselli, cepit, et libellum Principi obtulit contra viros consulares,
« et qui rem p. administraverunt petens calcuUum rerum administrandarum ab
« anno 1524 citra, que causa a p.to principi comissa fuit Mag.cis Mag."s intratarum
« status Mediolani esse cognoscenda.... Causa ipsa postmodum fuit dellegata Mag.co
« D. Juliano Plato civi mediol. una cum Mag. domino Jacobo passaroto hon. op-
« testati civitatis predicte ». Ve n'è qualche cenno anche nel corso del volume.
(2) Ibid.. fol. 58.
. (3) Ibid., fol. 74. •
(4) Ibid., fol. 83.
292 FELICE FOSSATI
intollerabile tassa sarebbesi dovuto gravare i cittadini per pagare
tutti i debiti, sommanti a più di 180 o 190 mila lire imperiali, il
12 gennaio 1533, accettando la proposta dei consoli, stabilirono
di alienare per incanto tutti i beni possibili del comune col diritto
che i medesimi si potessero « redimi totiens et quotiens placuerit
« p.t^ Comunitati eodemmet precio quo fuerint vendita et alienata »,
e di provvedere, per la somma che ancor sarebbe rimasta da pa-
gare, con l'equalanzia, « reservatis pecuniis Mag.'^^'"- de lumelinis
u et d. Geometi brasilie Gallie narbonensis et aliorum paucorum
« virorum que in equalantia poni non possunt, saltem comode,
« quia ipsorum est quod volunt principale et non reditus ncque
il proventus » : per studiare e trattare gli affari nominarono un'al-
tra commissione composta di Jeronimo da Parona, Alessandro
de' Rodolfi, Giovanni Maria del Pozzo, Francesco del Pozzo, Fran-
cesco de' Natali, Zanino de' Bossi (i); poi, il 28 dello stesso mese,
deliberarono che si procedesse all'incanto dei beni, « iuxta formam
« iam inceptam » (2). La cosa procedeva con insolita alacrità. 11
3 febbraio il console Jeronimo da Parona avvertiva il consiglio che
la commissione aveva già messo « plura » al pubblico incanto, e
che restavano ancora i forni, per i quali era nata in essa « aliqua
« difficultas » che noi riferiamo in nota con le stesse parole del
resoconto, sembrandoci non priva d'una certa curiosità (3); e come
(ij a C. G., i532-'35, fol. 84.
(2) Ibid., fol. 85.
(3) Ibid., fol. 89 : «... . plura dederunt ad publicum incantum sed restat modo
■ce incantandi furnos et Inter ipsos electos erta est aliqua difficultas de dictis furnis
« et precipue circha novos ritus imponendos prò dicto pane quoquendo et ut maioris
« predi extimarentur, ac etiam postquam oppidum Vigl.ni erectum est in titulum
» civitatis ita aufferantur oppidaniorum mores et in civilium inducantur maxime
» in non mittendo ampli us mulieres ad dictos furnos quod indecens est et propter
» pericula et scandella evitanda. Ideo quid agendum sit ordinari petunt aliter etc.
« Unde p.ti domini premissis intellectis, et dilligenter discnssis per varios
« tramites, in hanc conclusionem devenere ordinando prout infra, videlicet quod
« dicti fumi incantentur in eo numero, quo nunc sunt, cum pacto et capitulo
« quod amplius mulieres [non] vadant ad furnos propter muliebrem honestatem
» conservandam, sed panis fieri debeat domi cum pena sol. viginti imper. prò
<( qualibet persona buie ordini contrafacienti p.to comuni aplicanda prò dimidia
« et altera dimidia accusatori. Et simili modo sol. XX. ti fornario aufferendi et
« aplicandi utsupra, dando fornariis prò eorum salario et mercede prò qualibet cocta
« panis stariorum sex ponendo ipsi fornarii omnia ligna opportuna et necessaria
« ad coquendum sol. sex imper. et sic ad ratam sol. i prò quolibet st.° ».
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 293
poi, scorso il tempo assegnato, la commissione per l'equalanzia
non aveva ancor finito i lavori, se ne eleggeva un'altra composta
di Giov. Andrea de' Cocchi, Giov. Maria del Pozzo, Cristoforo
de' Rodolfi, Vincenzo de' Bossi, Guglielmo de' Previde, Alessandro
de' Rodolfi, Luigi Bellazzi, Giov. Giacomo de' Morselli Carlevari,
col salario di due scudi del sole ciascuno, « opere perfecto », se
tutto si fosse terminato entro il 15 giugno {e). Infatti nell'adunanza
8 giugno 1533, si leggono al consiglio i capitoli stesi dalla com-
missione nominata « ad faciendum equalantiam omnium debitorum tt
del comune. Senonchè l'atto, non ispiegando bene la cosa, suscita
qualche dubbio. Intanto dice che quei capitoli furono stesi dagli
otto nominati il 17 agosto 1532, e poi continua ricordando l'ordine
de' consiglieri che gli « octo iam electi » facessero l'equalanzia
u de omne id et totum quod habere debent homines diete Civitatis
« tantum et non de creditis forensium » e la subastassero. E questa
la prima o la seconda commissione? E in altra incertezza lascia
ancora. Ritornando sulla già accennata deliberazione, « conside-
u rantes modo p.^» domini consiliarii quod aequum quoque est quod
u forenses satisfient prò eorum creditis a quibus in dies iminent
M pericula expensarum et civium vexationes, ordinaverunt quod no-
« viter imponatur et incantetur talea sive equalantia prò sanandis
u debitis antedictis forensium et precipue Mag.^or. de Lumelinis
« D. Geometi mercatoris Gallie Narbonensis D. Brasilie et illorum
« de losiis prò ea summa que dominis octo electis videbitur opor-
u tunum et necessarium... dispensando dictam equalantiam sive
« satisfationem dictorum forensium creditorum in quatuor vel in
« quinque annis et prout eis magis oportunum videbitur » (2). Si
tratta, come parrebbe, veramente di una nuova equalanzia, separata
dalla prima?
Il guaio è che tale rimedio non dovette riuscir molto gradito
alla plebe, del cui malcontento, fosse davvero grande e minaccioso,
o tale apparisse agli amministratori della città un po' anche per
il ricordo, un tantin pauroso, di violenze non remote, l'eco giunse
fin nel consiglio e non vanamente. Cominciando la seduta del 28
giugno, i consoli avvertono i consiglieri che li hanno radunati per-
chè « propter tal eam sive equalantiam positam nonnulla sunt mur-
(i) C C. G., 15 32-' 3 5 fol. 102, cons. 27 aprile '33.
(2) Ibid., fol. 114.
294 FELICE FOSSATI
u mura seditiones et conventicullae in populo civitatis predicte di-
« centes mala et precipitosa verba centra dominos de Consilio ob
« quam causam p.^^s dominus Gubernator eligere fecit tres prò
« qùalibet parochia diete Civitatis qui electi adesse habeant in
a dicto Consilio ad intelligendum audiendum et inspiciendum libros
u dicti comunis ex quibus dignoscitur quomodo et qualiter debita
« sunt contracta et ob quam causam divenitur ad imponendum dic-
« tam taleam. Et p.» prò
« Perochia SM Ambrosii electi sunt infrascripti videlicet:
« Franc.s de Collis abel dictus batalionus
« D. Jo. Aug.us de Collis Lucii
« D. Morandus de Collis marchini .
« Perochia SJ' Dionisii :
u Bernardinus de robecho cagnini
« Tomasinus de policastro suchoni
« Stephanus de gravarona
« Perochia SM Christ.^^ :
u Frane. s de Collis pincolli
« Jacobinus de cocchis lombardi (i).
« Et ibidem presentibus suprascriptis omnibus expressa et dieta
u sunt bine inde multa ac dixerunt causas necessarias cur et quare
« deventum sit ad dictam taleam et equalantiam fiendam de om-
« nibus debitis preteritis et ad illam summam ad quam deventum
u sit de presenti ad exigendum.
« Quare p.^' domini consiliarii ac utsupra prò populo electi con-
« firmaveriint unanimiter ad omnia facta per p.^os dominos consi-
« liarios et statuerunt esse procedendum ad dictam equalantiam
« tanquam utilem et necessariam saluti diete civitatis una cum
« extimo domorum. Hoc tamen quodamodo in antea in extimo non
« poneatur nec censeatur esse extimus domorum iuxta formam
« novorum statutorum.
« Dederunt quoque p,^i domini consiliarii dominis octo electi
« ad dictam equalantiam perficiendam authoritatem ostendendi et
« demonstrandi omnia debita et eredita dicti comunis novem homi-
« nibus eligendis per homines trium perochiarum ut contentari
« possit de omnibus bine retro actis per agentes dicti comunis » (2).
(i) Il terzo nome manca.
(2) C. C. G., i5 32-'35, fol 119, cons. 28 giugno '33.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 295
Neppur codesto bastò alla plebe o a' suoi capi, i quali volevano
vedere ben addentro alle segrete cose, e infatti il 7 luglio 1533
Giuliano degli Ardizzi « et nonnulli alii de populo » (i) si presen-
(i) Nel voi. Tribunale XII provvisione, anni i532--'33, fol. 48, cons. 7 lu-
glio '33, son registrati anche i nomi degli altri, Francesco de' Colli PrincoUi e
Tommasino de' Policastro, e si dice che si presentaron ff nomine et vice populi ».
Non si pretenderanno certo notìzie, o poche o molte, su quanti nel presente
lavoro vengono nominati : né son personaggi storici di tanta importanza che me-
ritino qui ricerche lunghe e faticose, né sarebbe forse possibile raccoglier altro,
eccetto alcuni particolari della lor vita amministrativa. E nemmeno alla com-
piuta intelligenza delle lotte comunali qui esposte ci sembrerebbe necessaria la
illustrazione de' pensieri, dei sentimenti, della vita delle singole persone, quando
appaiono nell'ambito del loro partito, in grosso già noto; interessante e osiamo
dire proprio necessario crederemmo invece la perfetta, intima conoscenza almeno
dei due principali capi della plebe, Camillo de' Colli e Giuliano degli Ardizzi,
ognuno intende di leggieri perchè. Ma anche di loro pur troppo non siam riu-
sciti a spigolare che insufficienti notizie.
La famiglia de' Colli era fra le più ragguardevoli di Vigevano : « Optima
« stirps, nostrae quondam ditissima gentis, Quorum etiam fuerat nostrae pars
« maxima terrae », cantava Agostino Della Porta, Initia et origines nostri po-
puli Viglevanensis, l'anno 1490 ; « lignaggio dei più antichi, nobili e ricchi, e di
« persone e di facoltà di Vigevano », scrisse il Sacchetti, Vigevano illustrato ;
Simone del Pozzo la ricordò nell'elenco delle famiglie che avean diritto d' en-
trare in consiglio, distinguendola ne' rami Marchini, Ottini, Marchetti, Barbassi,
Tambussi, e nell'altro di quelle che possedevano cappelle in S. Ambrogio (Estimo,
ms., fol. 565 ; C. C. G., 1528-31, fol. 124: « prima enim omnium usque in presenti
« fuit parentella de Collis, quamvis nunc multum hominum et divitiis defuerit »).
Il nostro Camillo apparisce membro del consiglio generale nel 1526 (C. C. G.,
i52 3-'^8); é nominato^in una nota a fianco della deliberazione presa dal consi-
sigho il 12 gennaio '33 di vendere i beni comunali, per ricordare che quella de-
liberazione fu estratta e a lui data (C. C. G., i528-'3i, fol. 84); si trova rieletto
consigliere il 28 dicembre '54 e scelto a sindaco il 3 gennaio '35 con Giacomo
de' Madi, e a revisore il i.'' aprile '35 (C. C. G., i532-'35); é designato, in-
sieme con l'Ardizzi,. quale tesoriere dell' equalanzia, nel cons. 15 gennaio '36
(C. C. G., i536-'37, fol. 20); é citato nell'adunanza 21 agosto '36 dei XII di
provvisione, allorché questi deliberano di mandar alcuni rappresentanti a Milano
per il 23, essendoci la seconda udienza nel senato, circa il traffico, « ad causam
c( d. Camili de Collis et JuHani Ardicii » {Trih. XII provv., i536-'37, fol. 87).
Nello stesso mese d'agosto il consiglio generale prese contro di lui una grave
risoluzione. L'anno 1554 Giuliano degli Ardizzi aveva assunto l'appalto dell'equa-
lanzia e presentato fideiussore il Colli ; vna come poi non sborsò tutta intera la
somma dovuta, il consiglio deliberò (25 agosto '36) di vendere tanti beni del
Colli per L. 600 imperiali. A un certo momento il Nostro sembrò pentirsi della
vita d'agitatore continuata anche dopo la vittoria del 1536, e fece ammenda nel
296 FELICE FOSSATI
tarono nel consiglio dei XII di provvisione e « petierunt in dieta
w cons.o nomine dicti Populi sibi dare inventaria et catastra extimi
u illorum quorum ipsi die hodie dabunt in scriptis quia prò illa
« suma extimi intendunt persolvere omnia onera eis contingentia,
« sine aliquo salario thex.r'J fiendi per dictum comune. Quibus re-
« sponsum fuit ista esse magni ponderis et per consilium generale
« esse terminanda ». Così il console Alessandro de' Rodolfi Rose
narrò il giorno appresso ai membri del consiglio generale, doman-
consiglio generale, davanti al pretore Alessandro de' Birago, ai due consoli Gio-
vanni Maria de' Gravalona e Bernardino de' Gusberti e a trenta consiglieri :
« Item quia nihii magis convenit homini quam parcere docente Christo Deo no-
ce stro dum in ara crucis a Judeis torqueretur prò eis ad Deum patrem preces
« effudit et eos quod per ignorantiam faceret excusare voluit. Decet etlam unum-
v< quemque virum probum fratris sui in afflictione constituti misereri.
« Quapropter p.ti domini cons/i) tanquara veri patres remisserunt et remit-
« tunt quantum ad eos pertinet domino Camilo Collo omnem et quamcunque
« iniuriam per eum factam in obviando ordinibus et provisionibus dicti consilii
« ipso promitente et fideiubente de recte et honeste vivendo ut eius nntecessores
« fecerunt, et quod prius petierit veniam dicto generali Consilio in generali congre-
« gatione prout disponitur ex lectura litterarum cesarearum quod ita facere tenetur.
« Qui dictus d. Camilus Collus venit in dicto generali Consilio et omnibus
« audientibus veniam commissorum suorum petiit sibi indulger!.
c( Quibus sic utsupra factis p ti domini utsupra remisserunt et remittunt etc. »
(C. C. G., i556-'37, fol. 187, cons. 23 aprile '37).
Ma Simone del Pozzo, ricopiando nel volume TitoH e Memorie la sentenza
16 dicembre '36 d'Egidio Bosso, premise questa nota: a Infrascripta est quedam
c< sententia M.ci D. Egidii Bossi Ju. Doc. Cesarli Senatoris et Dellegati in causa
« plebeorum contra comunitatem agentium qui multum agitarunt ipsam civitatem
« cum multa et gravi impensa et qui dellegatus alias duas sententias, preter
(( hanc, protulit, que cum pervenerint ad manus meas in hoc volumine ascribam
c( ad perpetuam memoriam rerum, que tunc contigerunt ab instabili plebe que
« ab anno 1522 citra multociens querellas diversi dellegati ad sedandum eorum
<■( querella venere semper eorum conditiones deteriorando, fautores eorum fuere
c( varii; diutius tamen nemo perseveravit quam Camilus Collus ceteri vero ab
a anno 1552 retro perierunt variis egritudinibus prout in variis locis librorum
« publicorum anotavi sub diversis temporibus et cum admiratione prò eorum
« morte et prout videri potest in dictis publicis voluminibus Camilus vero Collo
c( etiam vivit non desistens ab eius inceptis et hoc est anno 1552 die 27 iunii a
(TU. e Mem.^ 15 10-1558, ms., fol. 28).
La famiglia di Giuliano, se non è il ramo Pozzo Ardizzi, che mai egli è
così chiamato, non entra negli elenchi di Simone ; invece nel Porta leggesi :
c< Ardiciique superba domus, cui desuper uni Exhibitum est, inter nostrorum
« nomina patrum, Stulta pati, sapiensque mori, et male vivere semper, Praeque
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 297
dando che cosa intendevano di fare. Quelli « intellectis et diu per-
« pensìs » le notizie, fecero chiamare i rappresentanti del popola
« in pub.'^a audientia et ipsos auscultari decreverunt ». Si presen-
tarono Giuliano degli Ardizzi, Francesco de' Colli Princolli, Marco
de' Previde Landolfi, Bernardino degli Araldi Maroncini, Bernar-
dino de' Robecchi Cagni, Tommasino da Policastro, Gian Giacoma
de' Montani Manzini, i quali lessero senz' altro una petizione che
crediamo opportuno di riferire per intero. « Mag.^i Domini Regentes
a aliis efferre suos », e nel Sacchetti ; a casato nobile, et antico in Vigevano ».
Giuliano, dal cons. 6 dicembre '28, appare eletto notaio (C. C. G., i528-'3i, fol. 2)
e poi sospeso « ab officio tabellionatus » in quello 2 gennaio '34. Esattore per
conto della plebe nel 1533, il 17 luglio fu chiamato dai XII di provvisione, in-
sieme coi colleghi Francesco de' Natali, Tommasino de' PoHcastro, Francesco de*
Colli Princolli e Giov. Giacomo de' Montani, perchè tutti quanti avevano di-
chiarato ai consoli che non darebbero denari se prima non ricevevano i loro
estimi, e che « totiens quotiens veniret aliqua expensa prò eorum portione non
(( intendunt in aliquo convenire ». Al consiglio, ì XII ordinarono « quod diete
« pecunie iam exacte recipiantur per dominos consules et quod hii qui solverunt
ce dictas pecunias cautellentur et liberentur ab omni expensa que contingere posset
« prò illa summa qua soluta sit et item oidinaverunt quod dentur diete pecunie
(c brevi manu d. Hieron.° de Parona qui eas portet MeJiolanum et eas dare
« creditoribus p.te comunitatis magis urgentibus et evitetur expensa.
« Qui domini exactores dixerunt exigisse et penes se esse 11. 525 imp. quas
'< dare offerunt, protestantes in futurum se non daturos amplius aliquas pecunias
(c nisi eis detur eorum catastra » {Trib. XII provv., i532-'33, fol. 153). Il 2 gen-
naio '34 vien eletto sindaco e, il 28 dicembre, consigliere (C. C. G., iS32-'35).
Il 3 gennaio '35 il consiglio generale con 32 voti contro 15 rifiuta i fideiussori
che egli presentò come incantatore « rugie adaquariiie », ma ordina poi che i
XII accettino gli altri a dandos » da lui stesso (C. C. G., i532-'35, fol. 236).
Nel 1536 egli è nominato anche nell'atto consigliare 18 febbraio dei XII, dove
si registra che Giuliano de' Mascaroni, inviato a Milano a ad obviandum peti-
« tionibus factis per dominum JuHanum de Ardiciis in causa equalantie », è
tornato con lettere del senato « quibus disponitur p.ta comunitas posse uti de
a iuribus suis et ipsum thex.m teneri ad solutionem omnium restantium »
(Trib. XII prov., i536-'37, fol. 26). Finalmente nel resoconto 21 maggio '37 leg-
gesi : « Item p.ti domini d. ordinant quod rugia comunis Vigl.nJ que multum
ce necessaria est ipsi civitati ne vadat in sinistrum propter incantatorem'non cu-
ce rantem utilitatem diete rugie prius facta declatione a M.co D. pretore contra
« ipsum incantatorem ipsa rugia reincantari debere et dari plus offerenti et fa-
ce denti meliorem conditionem p.to comuni qua declaratione facta ordinant etiam
ce agendum de quanto minori dieta rugia fuerit reineantata contra peiorem incan-
ce tatorem et fideiussores diete rugie ad hoc ne res ipsa exeat in sinistrum et sic
ce Ordinant modo p.ti domini ut in futurum res ista transeat in exemplum
298 FELICE FOSSATI
« prò comunitate Vigl."» semper hon. He astreto la povera uni-
u versila d'epsa città de vigl.o haver recorsso da le v. s. per la op-
u portuna provisione non sia gravata ultra il debito de justicia de
u li gravamini occurreno, et sono occorsi per li tempi passati alla
u satisfatione de li quali, volendoli poner fine cum il debito et dir-
ii recto modo sia possibile et expediente se fa la peticione molto
« iuridica secundo el merito di ragione.
« In p.a c.a la equalantia se contenta epsa università habia
*i fine et pagarlla in tanti de li beni de la comunità sopra lextimo
« vegio, ateso he carigho sopra epso ex."^^ fato intendendose se
« gli intervena al pagamento depsa equalantia li ficti, e trafigo
« comò he cosa insta ateso etiam la ordinatione facta per le v. s.
« et ne ita faciliter audeat quis accipere incantus p.ti comunis quodamodo in
« antea Julianus ardicius qui dictum incantum diete rugie acceperat de cetero non
« valeat nec possit aliquem incantum in dicto comuni accipere et si acceperit
« vel abocaverit ipsa abocatio et avantagia sint ipso jure et facto nulla et nullum
« sortiantur effectum ». Non solo, ma questo ancora : « Ordinant eiiam p.tì do-
te' mini cons.") litteras transcribere R.mo Cardinali Caraciolo Gubernatori Status
« Mediolani de qualitate persone d. Juliani de Ardiciis qui querit, ut ad aures
a ipsorum consiliar. deventum sit, qualiter querit officium sindici phiscalis diete
xi civitatis quod officium in dieta civitate poterit esse maxime noxium ut minime
« dictum officium habeat propter eius mala vitam » (C C. G., i536-'37, fol. 196 sg.).
A Milano infatti, nell'Arch. di Stato, e' è la seguente lettera :
« Reverendiss.o et Ill.mo Mons.or Sigor Ohser.mo^
a Havendo la comunità nostra de Vigevano habuto notitia qualmente Ju-
« liano ardicio, de questa città, ricerca dalla p.ta R.ma et lU.^a S.na V. de ha-
« vere lo officio del Sindico phiscale de questa medema città, et per esser dicto
<( Juliano si per utile et honore della cesarea camera, quanto per benefìcio d'essa
« città non comodo, et abile ad tale officio per esser persona (abenche ne in-
<i chresca dirlo) de mala conditione et fama, maxime suspesa et privata dell' oficio
« del tabelìonato, sive notariato, per soi demeriti. Per tanto a ciò quella non sa-
« pendo la conditione sua gliel concedesse, per pub.ca ordinatione del general
« Consilio d'essa città è stabilito dovere dar adviso de ciò a quella della cui exe-
« emione in parte de sua vita, cum quello melior modo è stato a noi possibile,
<( ad ciò in errore non se incurresse, havemo fato scrivere la presente, per aviso
« alla qualle humilmente se ricomen.o
« Da Vigevano alli XXI J de Magio 1557.
« De V. R.ma et Ill.ma S.na
« Li consuli della Città de Vigevano
« humilimi servitori ».
{Se:(ione Storica, Vicende di Comuni ^ Vigevano).
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 299
li le quale se sono contentati che epsi fleti et traffici habiano a
« pagare dieta equalantia la qualle se exhibisse intendendose etiam
u che dove se restasse debitore depsa equalantia di volere pagare
« ognuno, quale se troverà per la sua ratta portione debitore in
« tanti di li sui beni et liberarsse.
« Item che li dirrecti Domini d'epsi ficti, ciohè li patroni de li
« ficti habiano far restauro per tutto el tempo nel quale sono
« vexuti guerra tempesta pruina et inondatione de aqua et maxime
« per li doi anni 1528 et 1529 secundo la dispositione dil statuto
« vegio De restauris et più secundo l'ordine et forma dil ducal
« decreto per li dicti dui anni formati li quali se exibisse.
« Item non se intende mediante la ragione esser astretta al
« pagamento de li homini d'arme stante il ducal decreto sopra ciò
u formato et per che non se pagha li soldati in quello tempo pa-
tì rimento alozati per epsa università (i).
« Item che li contracti facti de vendite e ficti et d'ogni altra
*i forma illicita et gravat.» alla università a qualuncha persona di
« compensatione de soldati siano annullati et canzellati atteso è
^< cosa iniqua et maxime per esser in simile causa contra m. Vinc."
« Boriolo indicato per il R."^» Ducal Senato tal compensatione, et
« contracti esser nulli, la qual cossa è satis notoria.
« Item che quelli ch'ano per tali contracti receputo ficti gli re-
tt stituischano al beneficio d'epsa comunità aciò se possa reperare
u alli urgenti bizogni d'epsa comunità.
« Item che epsa università nominata ne li presenti quinterneti
u quali se exhibissino non intende se facia thex T'o salariato per
« che intende pagare el debito suo senza altra spesa.
ti Item che gli sia dato il suo ex.o seperato d'epsa università
« se conten in epsi quinterneti acciò sapiano quello hano da pagare.
« Item non se intende se facia talia de qualuncha sorte se
« non le talee debite, ciohè per li carighi occurrerano de anno in
« anno da la publicatione de li statuti novi in qua et cusi succes-
« sive per lo avenire, se faciano sopra l'extimo novo, et cusi la
« presente talea et che tutto el debito vegio vada in equalantia
« comò disopra.
(i) Una nota marginale a questo punto dice : « Super hoc capitulum de-
<( creverunt persistere in conventione facta super duas partes e tribus fore sol-
« vendas ad evitandum periculum solvendi totam sumam ».
300 FELICE FOSS\TI
« Et cusi si spera obtinere da la v. s. alle quale si rec."^ aliter
u protestantur centra p.^^"" Comunitatem de omnibus danis et inte-
« resse et de non solvendo aliquam expensam si contingerit venire
« si et quatenus eis non dentur dieta extima iuxta quinternetos
u hic exhibitos ».
Or qua] diritto avevano i plebei di presentarsi ne' consigli e
imporre così chiaramente e risolutamente i propri desideri? E come
mai i nobili reggitori tolleravano tanta franchezza, tanta baldanza
e si piegavano ai voleri della plebe, essi che nel non lontano 1536
respingeranno una sua petizione con le orgogliose parole « quia
« non decet servos legem imponere dominis sed ipsi debent pa-
« rere suis mandatis? » Eppure il resoconto ne accerta che i con-
siglieri ordinarono « quod destingentur debita comunitatis Vigl."»
« videlicet ea que vadunt super extimum vetus de presenti impo-
« nantur et similiter ea que poni debent super novum quoque im-
« ponantur videlicet ad computum 11. duarum impl. prò singulo-
« soldo ex."iJ »: solo Cristoforo de' Rodolfi e Jeronimo de' Previde
Maffini non v'acconsentirono. Vero è che deliberare non bastava:
occorreva anco poter eseguire le deliberazioni, e la faccenda a quel
punto diventava per i nostri consiglieri ben ardua: « sed quia
« super premissis et maxime quod propter inopiam pecuniarum
« nuper exigendarum prò sanandis debitis p.^ì comunis videlicet
« prò censu quod persolvitur locis piis et dominis de beulcis civi-
« tatis Mediolani ac etiam prò mensuali nec non prò quodam de-
u bito versus merchatores de losis ac illorum de lumelinis et multa
« alia quorum creditorum minantur velie mittere expensam in
il maximum damnum et preiudicium diete comunitatis non fuit de-
ii bite conclusum per suprascriptos dominos consiliarios ut debe-
« batur, p.t"s D^ Alex/ de rodulfis rose consul contra suprascriptos
u omnes protestatur et protestatus est per ipsum non stetisse nec
ti stare quin non provideatur sed per ipsos omnes de omnibus danis
« expensis et interesse quod contingerit pati p.^^ comunitas » (i).
A scuoter anche più il consiglio venne la seguente lettera da
Milano: « Preses et magistri ducalium intratarum ordinariarum
u status Mediolani, etc. Havendo la Ex.» del Sj Duca nostro in-
« teso che tra li regulatori de la mag.<^a Comunità de Vigl."^ et il
u populo vertesse differentia per causa de la equalantia che si ha
(i) C. C. G., i532-'35, fol. 120 sgg., cons. 8 luglio '35.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 30I
4i ad fare per li debiti occorsi de qua indreto ad quella comunità
« et per la nova reformatione de l'extimo et desiderando sua ecc.^'a
M che a ninno se li facia iniuria et che li populi et cittadini siano
u concordi insieme et non segue alcuno scandali o, ni ha ordinato
« che se mandi una persona ad essa città qualle intenda et olda
■ii le differentie et querelle vertesse tra li ditti regulatori et popu-
u lari. Et considerando noi qualle persona si dovesse ellegere ad
« tale impresa, ni è occorso il Sp.'^ m. Juliano Piscina ducal sin-
u dico fiscale de la cui fede et integrità et sufficientia ne siamo
■« ad pieno informati. Et perhò per tenore de le presente lo ele-
"« giamo -et diputamo in Comissario ad tal impresa, comittendoli
■u che se trasferischa ad ditta citta de Vigl.o et olda et- intenda
4i diligentemente le controversie vertischano tra le ditte parte, et
il intese studia et veda cum ogni via et modo possibile de concor-
« darlle insieme et dove gli sii differentia, che tolte le debite in-
« formatione, di tale difficultate li rififerischa acciò che se li possi
« fare le debite provisione. Et acciò eh' el p.^o m. Juliano possi più
« facilmente exequire tale sua comissione, per queste nostre exhor-
« timo il Mag.co Gubernatore de ditta Città et al Sp.'« Podestà et
« egregio Refiferendario et altri officiali comendiam^o che li diano
« tutti quelli adiuti brazo et favore gli sarano ricercati per il p.^o
^ m. Juliano, et ali regulatori consule comune et homini de ditta
u Città che li obedischano, et faciano quanto per epso sarà decla-
« rato, et in ciò alcuno non manchi quanto hano caro la gratia
41 del p.to Ill.mo s.r Duca nostro.
« Datum Mediolani die XV J Julii z/x? "•
Fu letta nella seduta del 18 luglio, presenti alcuni della plebe,
Francesco de' Colli Princolli, Bernardino de' Robecchi Cagnini,
Tommasino de' Policastro Zucconi e Gian Giacomo de' Montani
Manzini detto Boiono: i consiglieri si dichiararono « paratos in
« omnibus et per omnia illas observare », e intanto rinnovarono
agli otto già eletti l'autorità per l'equalanzia (1).
Da qui innanzi i i-agguagli diventano scarsi e confusi, sì che
malagevole assai torna il formarsi un' idea chiara e sicura di ciò
che avvenne. Richiesti dal Piscina, i consiglieri incaricarono Cri-
(i) C. C. G., i532-'35, fol. 123, cons. 18 luglio '53.
302 FELICE FOSSATI
stoforo de' Rodolfi, Bernardino de' Gusberti, G. Martino de' Trezzi,
Zanino de' Bastici Donoli, Marco Antonio de' Bergondi di trovarsi
col Piscina stesso per rivedere i conti de' tesorieri fino al 1524 e
per altri affari ; e nella stessa seduta elessero Luigi de' Bellazzi,
Pietro de' Garroni e Matteo de' Bossi per fare i conti riferentisi
alle case « dirrute »> nella città e nel territorio di Vigevano (i).
Senonchè mentr'essi venivan richiamati, distratti verso anni già
lontani, i creditori strepitavano con gravi minacele di guai tutt'af-
fatto presenti, sì che dovettero stabilire d'esigere in anticipazione
una quota dell'equalanzia non ancor preparata e che non si sapeva
ancora come e da dove riscuotere: « ordinaverunt talea imponi
« debere de 11. sexaginta impl. prò singula libra extimi et sic de
« singulis et hoc intelligatur prò parte equalantie fiende iuxta alias
« ordinationes factas super dictam equalantiam fiendam. Et hoc
" etiam intelligatur super illud extimum videlicet vetus vel novum
" una cum fictis libellariis iuxta formam iuris et statutorum ut
« iudicatum fuerit et decisum per sp.'^^ j^ Doc. Dominum Frane.™
« balduinum et Jani de la porta quibus presens differentia comit-
« titur utsupra » (2); e seguitando i creditori a chiedere e a mi-
nacciare, aumentarono la tassa di altre 20 lire imperiali ogni lira
d'estimo (3). Or quale ufficio dovevano compiere i giureconsulti
Baldovino e Della Porta, che qui appariscono la prima volta?
Aveva il Piscina incaricato lor due di accomodar la cosa ? Pare.
Ad ogni modo la bisogna andava per le lunghe, con poca soddi-
sfazione del duca, che rinnovò l'ordine di finirla, e probabilmente
anche di molti altri, secondo i quali doveasi rimetter la questione
al giudizio del vescovo e del Piscina : ciò che appunto fecero i
consiglieri, quando specialmente ebber udito il Della Porta « qui
(i) C. C. G., i532-'3 5, fol. 125, cons. 13 agosto '33. Il Piscina chiede a eligi de-
ce bere unum duos vel tres si ve quatuor qui nomine dicti comunis adisse habeant in
« calculis fiendis inter ipsam comunitatem et thex.nos annorum preteritorum et
« precipue ab anno 1524 citra quas thexjias sive actitata per thex.rios a dicto
(( anno citra revidere intendit ; petit etiam restaura facta fictabilibus dictorum an-
ce norum sibi dari et multa alia prout latius in eius scripturis et voce requì-
« situm est... Et qui eligendi fuerint non vult quod habeant ficta libellaria sive
« reditus in comuni ut careant omni suspitione aliter etc ».
(2) In margine: « pariter cum presentia Mag.c» D. Juliani picina comis-
c( sari » (C C. G„ i552-'3$, fol. 128, cons. 21 agosto '33.
(3) Ibid., fol. 143^ cons. 19 ottobre '33.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 303
« dixit in pieno Consilio se audivisse et in mandatis habuit et habet
« a proprio vivo oracullo prelibati principis [Francesco li] qualiter
u fieri debet dictum compromissum in premissos R.^ D. Presulem
h et D Julianum Piscinam » (i). 11 vescovo e il commissario diedero
la loro sentenza; ma già avevano emanata la propria i due giure-
consulti col Piscina stesso, e per giunta diversa, sì che quando i
Xll ebbero fatto e approvato i capitoli per l' incanto della tassa,
« inter ipsos presides magna fuit disseptatio unde dieta talea, et
« quomodo et qualiter incantari et exegi debeat dieta talea quia
« pars una ipsorum vult quod incantetur et exigatur secundum
u sententiam datam per dominos J. doctores et D. Julianum pi-
« scinam, pars altera vult secundum sententiam novissime latam per
« R.'" D. Episcopum et p.^^"^ D. Jullianum piscinam secundum
« extimum domorum et ita de incantando dictam taleam concordes
u esse non potuerunt " ; onde la maggioranza del consiglio gene-
rale, informato nella seduta 24 novembre, dal console Guglielmo
de* Previde, dovette essa stessa, insomma, decidere in modo defi-
nitivo, e accettò la sentenza del vescovo, nominando gli otto già
incaricati dell'equalanzia « ad faciendum computa cum electis prò
u plebe et casu quo non fuerint omnes modo quod quinque fuerint
« sufficiant prò omnibus » : converrà tuttavia osservare che non
fu una maggioranza assai forte, perchè di quaranta consiglieri
presenti, oltre il luogotenente e i due consoli, ben quindici non
consentirono in quella deliberazione. Anche i plebei fecero buon
viso alla sentenza del vescovo, perchè in quella stessa seduta Giu-
liano degli Ardizzi, Bernardino degli Araldi e Tommasino « dela
« Costa sive de Policastro » « tanquam sindici prò plebe », compar-
vero in consiglio e chiesero « emologari et confirmari " la sen-
tenza del vescovo e del Piscina; « et ex nunc », seguita Tatto, « prò-
« testantur per se non stetisse nec stare quin per eos equalantia
u fiet et ex nunc parati sunt suos presentare rationatores ut ad
« ulteriora procedatur iuxta forrnam sententie novissime datam et
« ex nunc etiam ipsi dicto nomine dictam sententiam aprobaverunt
« et aprobant et quatenus secus fiet protestantur et protestati sunt
« per se non stetisse nec stare et de omnibus damnis expensis et
« interesse quod evenire contingerit » (2). Finalmente i XII riu-
(i) C. C. G., i532-'35 fol. 145, cons. 8 novembre '33.
(2) Ibid., fol. 148, cons. 24 novembre '33.
304 FELICE FOSSATI
scirono, col mezzo dell' incanto, anche a trovare chi si assunse
l'ufficio di riscuotere la tassa, Gian Giacomo de' Tiboldei e alcuni
soci; ma allora sorsero nuove difficoltà: diversi contribuenti an-
davano vociferando che non volevano pagare « nisi prius adaptatus
u catestrus et additis addendis », e similmente non pagavano altri,
che dalla sentenza accettata si sentivano lesi, onde gli esattori non
potevano cavar danari in nessun modo. 11 consiglio dovette quindi
incaricare Alessandro de' Rodolfi Rose, Luigi de' Bellazzi, Cristo-
foro de' Rodolfi di far un nuovo catasto. S'aggiunga infine che gli
« exactores prò plebe diebus proximis preteritis remanserunt de-
« bitores de certa denariorum quantitate, aligantes illas pecunias
« expendidisse dicti de plebe in consulendo », sì che il consiglio
deliberò doversi cancellare tale debito per la somma spesa « ad
« consulendum et expensam in vinum », e il resto detrarsi sul sa-
lario degli stessi esattori (i).
Così finì, almeno per quel che sembra, e non possiam certo
dire molto chiaramente, la questione nel 1533, la quale ebbe nel-
l'anno successivo tra le altre conseguenze questa, che nella seduta
del 2 gennaio i consiglieri ordinarono « quo ad computa facienda
« per agentes p.^' comunis occaxione nove equalantie fiende quod
« dictis computis interesse possit duo vel tres prò parte plebis » (2).
Del resto, quale fosse precisamente la sentenza del vescovo e del
Piscina non sappiamo ; sappiamo bensì che, di questo, Simone del
Pozzo lasciò un giudizio non punto lusinghiero : « .... tantam duxit
« expensam quantum ipse valebat et nihil boni attulit, sed com-
u posuit quemdam librum in quo anotati erant plures quorum aliqua
« erat suspicio quia libri non erant recte ministrati. Qui liber post-
« modum incendit ignem medio Juliani Ardicii et postmodum visus
« est mons pari ridiculum murem » (3).
(i) C. C. G., i5 32-'35, fol. 150, cons. 9 dicembre '33. Il salario fu stabilito di
fiorini 25 ciascuno, quando però avessero finito il lavoro a ad festum carnis privi ».
(2) Ibid., fol. 165.
(3) Ibid., i528-'3i, fol. I. Chi desiderasse qualche notizia sulle finanze di
Vigevano in questi anni, potrebbe trovarle nei conti degli antichi tesorieri, donde
noi trarremo solo pochissime cifre. Nel 1529, l'anno prima che il comune tor-
nasse sotto gli Sforza, l'estimo era di L. 383, s. 6, t. 11 Vs» e la tassa di L. 96
imperiali per ciascuna lira d'estimo, onde venne un ricavo di L. 36801, s. 8. Si
aggiunsero in quell'anno teste 141, che a s. 2 1/2 ciascuna, formarono altre L. 17,
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 305
La questione, momentaneamente risolta dalla sentenza arbitrale
del vescovo e del Piscina, non tardò a risorgere, e questa volta
con effetti imprevedibili.
Vivente ancora Francesco Sforza, alcuni vigevanesi dichiara-
rono che non avrebbero più pagato « taleas et collectas.... quatenus
« novus extimus non fiat iuxta formam statutorum » (i), onde il
-consiglio elesse Giov. Andrea de' Cocchi « ad operam faciendi figu-
s. 12 1/2 d'estimo, quindi ancora L. 1692 di tassa. Inoltre il tesoriere ricevette
per certa speciale contribuzione L. 4579, s. 12, d. 2. In tutto, dunque, L. 43073,
d. 2. Coi redditi di vari beni, il bilancio segna L. 52590, s. 19, d. 6 d'en-
trata, contro L. 52201, s. 5, d. 3 di spesa. — Del 1530 non restano i conti
compiuti, perchè il volume conserva, invece del bilancio generale, solo l'importo
della tassa per vari quartieri della città, assegnati a diversi esattori. Tuttavia
crediamo opportuno riferire le poche cifre, dando esse un' idea di parecchi rioni.
La tassa fu di L. 72 per ogni lira d'estimo. Perciò Gian Giacomo Tiboldeo,
esattore degli estimi di Bergonzone e di Predalate, in tutto L. 99, s. 7, t. 8, versò
L. 7155, s. 12, alle quali son da unirne altre 405 per 45 nuove teste, che a
s. 2 1/2, fanno L. 5, s. 12 i/g d'estimo. Marcello da Vinzaglio per gli estimi di
Cesarino e di Griona, complessivamente L. 70, s. 6, t. 9 V2> sborsò L. 5064, s. 9,
più L. 279 per altre teste 31, cioè L. 3, s. 17 V^ d'estimo. Bernardino de' Gusberti,
per l'estimo di S. Martino, di L. 65, s. 7, t. 9, riscosse L. 4707, s. 8, alle
quali ne unì ancora 144 per 16 teste pari a L. 2 d'estimo. — Nel 15 31 l'estimo
era di L. 344, s. 8, t. 9 Vg, la tassa di L. 80, onde il tesoriere Alessandro de'
Rodolfi Rose versò L, 27555, s. 3, d. 4. Il bilancio riusci di L 38899, s. 4, d. 6
si d'entrata che d'uscita, — Per il 1532 i conti sono frammentari: alcune pa-
role farebbero credere che la tassa ascese a L. 60: a Hic incipit ratio tex.ne 1532.
« Presens ratio dat. fuit d. pet.o garono prò sol. viginti prò soldo ut in libro
« viridi et d. Jo. Jac.o tibuldeo sol. quadraginta prò soldo ut. in s.to libro ». —
Finalmente nel 1533 l'estimo fu di L. 225, s. 5, t. 3 i/g e la tassa di L. 60,
onde un ricavo di L 13 51 5, s. 12, d. 16, più L. 825 « prò teste que non sunt
« posite in libro facultatum n.o centum decem », uguali a L. 13, s. 15 d'estimo.
Bilancio generale: entrata, L 19597, s. 5, d. 3 ; uscita, L 16570, s. 13, d. 9. —
Da queste cifre si può forse anche ricavare la popolazione approssimativa di Vi-
gevano negli anni corrispondenti, o almeno il numero delle teste imponibili,
cioè, delle famiglie, nel senso di persone « simul stante ». E salvo, ora e sempre,
errore ed ommissione, si avrebbe appunto: nel 1529, teste 3207; nel 1530, per
Bergonzone e Predalate 840, per Cesarino e Griona 593, per S. Martino 539;
nel 1531, teste 2755 ; nel 1553 teste 1912.
(i) C. C. G., i532-'35, fol. 271, cons. 20 agosto '35.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. Vili. 20
306 FELICE FOSSATI
« ram totius territorii Civitatis Vigl.nì simul cum viis stratis et co-
« herentiis ipsius Civitatis ad hoc ut novus extimus perficiatur et
« hoc commodius et minori expensa ipsius comunitatis quia cogno-
« scunt [i consiglieri] per alias vias dictus extimus perfici non posse
« propter mortem hominum et esse impossibile discernere dominos
« proprietatum ipsarum »; e come nello stesso consiglio vi fu « lis
« et questio circa confectionem extimi trafici », perchè tale estimo
non s' era potuto fare « propter ipsas dominorum consiliariorum
u discordias », mentre gli statuti lo prescrivevano « propter onera
u extraordinaria occurrentia in dieta civitate », la maggioranza finì
con ordinare che lo si eseguisse e nominò, « prò parte mercatorum »,
Guglielmo de' Previde, Francesco del Pozzo, Vincenzo de' Bossi, Gian
Giac. de' Morselli Carlevari, e, « prò parte civium », Marco Antonio-
de' Bergondi, Francesco de' Natali Dionisii, Camillo de' Colli, Vin-
cenzo de' Bastici Borioli (i). E sembra fosse tempo, che le proteste
de' cittadini di non voler pagare altre tasse se non si rinnovava
convenientemente l'estimo, dovean succedersi non rare: nell'adu-
nanza 17 ottobre, per esempio, Giannino de' Bastici Donoli « pro-
u testatus fuit et protestatur quatenus non fìet novus extimus iuxta
u formam statutorum diete civitatis non intendit in anno fut. solvere
« taleas nisi secundum formam ipsorum statutorum » (2). Né basta,.
che mentre da un lato i cittadini dichiaravano di ribellarsi ad ogni
(i) C. C. G., i532-'35, fol. 274, cons. 30 agosto '35. Una sentenza emanata dal
senato milanese il 27 maggio 1551, giusto per le questioni dibattentisi fra il comune
e i mercanti, stabilisce che si devano considerare come « onera ordinaria » :
I. « Census civitatis Vigl.ni ». IT. Il salario del pretore. IH. Il salario del giu-
dice « stratarum ». IV. Le riparazioni dei ponti e delle vie. V. Il salario dei
sindaci della città. VI. « Conventio cerae prò usu sacrestie ». VII. Il salario
dei consoli. Vili. « Conventio decime cathedralis ecc.® ». IX. « Merces capellani
« s. Johanis Baptiste iuspatronatus diete civitatis ». X. Il salario del cancelliere
della città, XI. Il salario dei razionatoli. XII. Il salario dei tubatori. XIII. Il sa-
lario dei servitori. — Quali « onera extraordinaria » poi son fissati : I. II salario
del fisico. II. Il salario del chirurgo (« vult tamen quod salarium phisici et chi-
a rurgi non distribuatur super mercimonio »). III. II salario del maestro di gram-
matica. IV. Il salario « forerii ». V. Il salario del camparo. VI. Il salario del
pesatore delle farine. VII. Il mensuale. Vili. « Perticatus particularis si in fu-
« turum fuerit vel mensurari contigerit ». IX. Il salario del campanaro. X. « Item
« omnia alia onera extraordinaria que per principem imponentur et alia expensas.
a ab eis dipendentes » {Tit. e Mem. cit., fol. 30).
(2) Ibid., fol. 278, cons. 17 ottobre '35.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 307
nuova gravezza, dall'altro i molti creditori tempestavano il comune
di richieste e di minaccie, creditori abitanti in città e più anche
forestieri, specialmente Polo de' Carmelini « actor et gestor »»
de' fratelli Lomellini genovesi, che dovevano avere forse ben lo.ooo
lire, il Pallavicino, Bernardo Brassilia ed altri (i). E tanto i consi-
glieri erano imbarazzati e vedevan triste il futuro; che chiesero al
duca fino il permesso di congedare per due o tre anni i dottori in
legge « donec debita comunitatis fuerint aliqualiter aleviata » (2),
e, probabilmente non avendolo ottenuto, « considerantes p.^ì domini
« consiliarii infinita gravamina esse in ipsa civitate vigl."' diversis
« ex causis quod vix ipsi cives possunt respirare ab ipsis grava-
ci minibus », ridusser loro lo stipendio a L. 100 imperiali l'anno,
con la condizione che accettassero o si ritenessero senz'altro li-
cenziati (3). Finalmente il 25 novembre nominarono Cristoforo de'
Rodolfi, Giov. Andrea de' Cocchi, Alessandro de' Rodolfi Rose,
che dovessero « fieri facere cridas secundum formam statutorum
« diete Civitatis quod omnes portare habeant eorum bona in
« scriptis et prout latius requiritur ex forma dictorum statutorum
« ut extimus diete civitatis reformetur et trascribere dictos libros
« octo chatastrorum in tribus perochiis prout ipsa Civitas reducta
u est » (4), dando loro autorità « exequendi omnia et singula con-
ii tenta in ipsis statutis circha reformationem ipsorum chatastro-
a rum » (5); e pochi giorni appresso, il 6 dicembre, « cupientes
il sanare debita suorum creditorum in anno 1536 », stabilirono una
tassa di cento lire imperiali ogni lira d'estimo (6), che fu poi ri-
dotta, dopo opportuni studi sui crediti e sui debiti della città, a
lire quattro ogni soldo d'estimo, cioè a lire ottanta ; la proposta di
alcuni, che l'avrebbero voluta, « in omnem eventum », di novanta,
fu respinta con voti trentacinque contro nove (7).
In tali difficili condizioni trova dunque l'anno 1536 il comune
nostro. Da un lato, debiti gravissimi e creditori ormai impazienti
(i) C. C. G., i532-'35, fol. 280, cons. 24 ottobre *35.
(2) Ibid , fol. 282, cons. 26 ottobre '35.
(3) Ibid., fol. 286, cons. 25 novembre '35.
(4) S. Dionigi, S. Ambrogio, S. Cristoforo,
(5) C. C. G., i532-'35, fol. 285.
(6) Ibid., fol. 292.
(7) Ibid., fol. 300, cons. 19 dicembre *35.
3o8 FELICE FOSSATI
€ minacciosi non sempre a sole parole; dall'altro una popolazione
dissanguata, sospettosa, vogliosa di ribellarsi contro ogni peso, alla
quale nondimeno è necessario imporre un'altra tassa enorme, senza
che si sia ancora ben deciso il sistema d'esazione. Ed ecco subito
al 2 gennaio una brutta notizia. Il console Guglielmo de' Previde
annunzia al consiglio che il pretore non vuol sottoscrivere le gride
fatte dalla commissione dei tre su ricordati per la riforma dell'estimo,
perchè « de dirrecto » appaiono contrarie alle disposizioni degli
statuti: questi ordinano che si faccia l'estimo « de bonis civium
u demptis domibus », le gride invece comprendono anche le case,
per tre quinti, secondo la sentenza emanata dal vescovo e dal Pi-
scina; e che esso pretore ha stabilito « terminum quibuscumque
u pretendentibus interesse dictum extimum fieri iuxta formam diete
u sententie arbitramentalis dierum quindecim ad allegandum et de-
u ducendum totum quicquid voluerint quare dictum extimum non
tì debeat fieri iuxta formam statutorum predictorum diete civitatis
M aliter elapsso dicto termino decrevit ad perfectionem dicti novi
il extimi fieri iuxta formam dictorum statutorum et presertim statuti
ti positi sub rub. (sic) f.^ aliis supradictis allegatis in concionem
il non obstantibus » (i). Il giorno 9 altra disputa lunghissima per
•decidere se le case dovessero o no venir computate nell'esazione
della tassa, disputa non riuscita ad alcun soddisfac nte fine, « in
« maximum damnum et preiudicium diete comunitatis quatenus non
ii concludatur quia thex ^ inveniri non poterat et interim creditores
4i dicti coniunis maximas emanabunt expensas », è il console Vin-
cenzo di Bastici Borioli che ammonisce i consiglieri, « et maiores
« evenient quare provideri petit aliter protestatur, etc. » (2). Così
finisce l'atto. Probabilmente la seduta fu rimandata al giorno suc-
cessivo. Nel quale finalmente si venne a una decisione, non però
senza ancora molte dispute, che, dei consiglieri, parte volevano
si seguisse la sentenza del vescovo e del Piscina, conforme alla
quale, <« emologatam per consilium generale ex una et plebeos diete
ii civitatis ex altera », già anche dopo la pubblicazione de' nuovi
statuti s'erano riscosse tasse, altri per l'appunto gli statuti, ribat-
tendo « dictam sententiam non valere tanquam latam contra » di
(i) C. C. G., i5 36-'37, fol. 9, cons. 2 gennaio '56.
j(2) Ibid., fol. 12, cons. 9 gennaio '36.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 309
essi. Ma alla fine, instando la necessità « omnino extendendi et exi-
« gendi dictam taleam maxime prò sanandis debitis contractis cum
u mercatoribus ianuensibus et aliis forensibus propter quod debita
« non soluta passi sunt intolerabiles expensas, maiores passuri,.
« et continuis laboribus defatigandi nisi opportune provideatur,
« propterea volentes p.*' domini quantum possibile eis sit dictis
« laboribus et expensis occurrere, omnes unanimes viva voce ve-
« nerunt in hanc sententiam quod citra preiudicium allegati sta-
« tuti cui in aliquo non intendunt per presentem ordinationem der-
« rogare imo quatenus opus sit dispensationem impetrare ut perse-
u veretur in incantu talee imposite iuxta formam capitulorum su-
« perinde factorum per aliquod tempus de presenti et per presens
« consilium limittandum et quod dieta talea exigatur etiam super
« domibus videlicet prò tribus partibus ex quinque ».
Senonchè, non riuscendo poi a mettersi d' accordo circa il
tempo per cui doveva valere tale loro deliberazione, se uno o due
o tre o quattro anni o fino a tanto che si fossero pagati i debiti
contratti prima degli statuti, e protestando chi per una ragione
chi per un'altra, deliberarono di rimettersi al giudizio di Francesco
da Lodi, propretore e sindicatore, acciocché sbrigasse la questione
« prout sibi melius expedire videbitur p.^^ comunitati », con la
promessa che avrebbero accettato il suo giudizio. E quegli ordinò
« procedendum esse ad incantum et deliberationem diete talee im-
« posite iuxta formam capitulorum superinde factorum vel aliter
« exigendam esse dictam taleam prout melius expedire videbitur
« p.te comunitati, et quod talea ipsa exigatur iuxta librum extimi
« facultatum dandum per prefatam comunitatem exacturis diete
« talee, habita etiam extimatione dòmorum prò tribus partibus ex
« quinque iuxta extimationem super eis iam factam. Et hoc prò
« presenti talea et anno, tamen salvis iuribus in aliis tàleiis im-
« ponendis quorumcunque pretendentium ius et interesse tam re-
« spectu allegati statuti quam sententie.
u Ordinat insuper fiendas esse debitas proclamationes prò novo
« extimo fiendo ad formam dicti novi statuti superinde editi et
« suspensa tamen extimatione et delatione domorum et suspenso
« termino de quo in ordinatione per p.tum M.^um Sindicatorem factam
« sub die 2^ instantis mensis donec super ipsa extimatione noviter
« fienda, vel non fienda aliud ordinatum fuerit ordinans etiam
« impetrandam esse confirmationem presentis ordinationis et con-
31 0 FELICE FOSSATI
« tentorum in ea et inde, etc. »». 1 consiglieri lo ringraziano e
stabiliscono di mandare « ad M.tem Cesaream sive ad eius R.""
« senatum.... prò confirmatione » (i). Ma non bastava risolvere
d' imporre una tassa e come imporla: bisognava anche trovar modo
di riscuotere i denari, e il console Vincenzo de' Bastici Borioli il
29 gennaio informava il consiglio che nessuno voleva prendere in
appalto la tassa, nemmeno con un salario di L. 4000 (2).
Ora, come se tutto ciò non bastasse, Antonio de Leyva pen-
sava a dar qualche altra noia. Quando a Vigevano giungesse l'or-
dine d'assumersi l'esecuzione d' una parte del vallo di Pavia, non
sappiamo con certezza: sappiamo che proprio nella seduta del 22
gennaio, ove il consiglio acconsentì a dar « omnem cautionem »
per un prestito fatto dai XII di L. 600 imperiali al 20 per cento,
deliberò pure d'eleggere alcuni rappresentanti i quali si trovassero
col referendario per trattare di quel lavoro (3); e che poi nella
successiva del 29, in cui Vincenzo de' Bastici avvisava che non si
riusciva a trovar un appaltatore della tassa, il medesimo Vincenzo
de' Bastici, informando che s'era recato a Milano con Vincenzo
de' Bossi e Tommaso de' Ferrari « ad querellandum prò vaio quod
a civitati et comitatui impositum est fodere circa menia civitatis
*< papié et post longas querellas inritas et vanas, necesse fuit por-
« tionem atributam per capitaneum iusticie brachiorum 829 on. io
a ipsi civitati et comitatui accipere »>, chiese che si mettessero al-
l'incanto i lavori: « sed quia sine magno dispendio ista perfici non
*i possunt idcireo de oportunis pecuniis provideri petit aliter etc. » ;
onde il consiglio deliberò di prelevare 25 scudi per mandar a Pavia
qualcuno che incantasse i lavori, e di dilFerir a un'altra seduta la
deliberazione sul modo di provvedere i danari, incaricandone nel
frattempo Tommaso de' Ferrari Fantoni, con la promessa delle
consuete sicurezze (4). Un ultimo tentativo di sottrarsi a quel peso
fece il comune allorché seppe che la città di Novara « vigore unius
<« decreti tutata fuit » dallo scavar un tratto del vallo d' Abbiate-
(i) C. C, G.y- 1536*37, fol. 16, cons. IO gennaio '36.
(2) Ibid., fol. 25, cons. 29 gennaio '36.
(3) Ibid., fol. 23, cons. 22 gennaio '56.
(4) Ibid., fol. 25, cons. 29 getuiaio '36. Cfr. Trib. XII provv., i536-'37,
fol. II sgg., cons. 22 e 27 gennaio, 2 e 5 febbraio '56.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 3 II
grasso: l'amor proprio de' Vigevanesi, cittadini di fresco e con non
lievi sacrifizi, se ne risentì; « .... Et civitas Vigl."' fuit agravata ad
41 fodendum valium civitatis Papié nullo habito respectu quod sit
« civitas et quod ista sint onera personalia et proprie ruralia, cum
u sit etiam quod civitas ipsa passa sit plura onera sine contribu-
ii tione terrarum et villarum eius comitatus », onde i consiglieri de-
liberarono di provvedere e nominarono una commissione composta
di Jeronimo da Parona, Francesco del Pozzo, Vincenzo de' Bossi,
Giov. Andrea de' Cocchi, Cristoforo de' Rodolfi, Pietro de' Tocchi,
i quali insieme coi consoli dovevano « pertractare dictam causam
« per omnes vias.... dantes eisdem omnimodam authoritatem pote-
« statem bayliam et imperium circa dictam causam quam habet
« totum consilium etiam expendendi de aere dicti comunis in parva
« et magna quantitate et quod maior pars ipsorum dominorum
^< . ellectorum facere possint ac si omnes adessent » (i). L'accenno
alle spese sostenute muoverebbe a credere che la protesta derivasse
più che altro dal desiderio o dal bisogno di evitare nuovi sacrifizi;
ma le ultime parole, che abbiam voluto riportare integralmente,
riaccostate alle prime, rivelano, ci sembra, che di essa dovett' es-
sere causa soprattutto l' impressione di non venir trattati conforme
richiedeva il decoro di cittadini; impressione, ognun 1' intende,
seccante, irritante alla permalosa gelosia di chi stava ancor pagando
il non lieve peso dell'ambita dignità. Ogni rimostranza tornò vana:
il comune, rassegnandosi, concesse l'appalto de' lavori a Cristoforo
de'Menocchi, il quale divenne un nuovo e non troppo paziente
creditore, e il consiglio, per trovar da pagarlo, dovette suscitare
in città un altro vespaio, tassando i mercanti. Ben tentò una parte
de' consiglieri di spremer ancora i cespiti consueti, ma questi do-
vevan proprio esser ormai inariditi, onde si decise « quod fiet
« electio faciendi novum extimum trafici diete civitatis ad hoc ut
« ipse trafichus patiatur suam contingentem portionem onerum oc-
-« currentium diete civitati ad formam statutorum et sic facta distri-
« butione dominorum consiliorum infrascriptam ellectionem fece-
« runt.... Pro parte mercatorum: D. Vinc.» de Bosiis, D. Bernardus
« de Gusbertis, D. Joh. andreas de Cochis, D. Vinc.» de Scottis
M Fragulini; prò parte civium: D. Joh. m.^ de Putheo, D. Vinc.» de
(i) C. C. G., i536-'$7, fol. 31, cons. 9 febbraio '56.
312 FELICE FOSSATI
« Basticis, D. Alovisius de Bellaciis, D. Alex/ de Rodulfis rose. Qui
« omnes utsupra electi iuraverunt et iiirant in manibus p.^ì domini
« pretoris de recte rite faciendo dictum extimum remotis odio
u amore ira et amicitia et omni humana gratia et de tenendo se-
« cretum omnia et quecunque que fuerint dieta et intellecta in
« dicto extimo fiendo de facultatibus ipsorum mercatorum ne ali-
«• quando ipsis mercatoribus obesset, etc. », e dal pretore ebbero
confermato l'ordine d'eseguir 1' estimo sotto pena di 25 scudi del
sole ciascuno. Di trovar poi, nel frattempo, i denari per il vallo, i
consiglieri incaricarono, fidando nella loro » suficientia et probitate »,.
i sei già nominati (i\ i quali riuscirono ad ottener L. 2000 impe-
riali da Antonia de' Brippio, milanese, vedova « secundo loco » di
Gaspare della Torre, sì che il comune potè pagare una quota delle
spese per il vallo, L. 560 imperiali a Polo, 1' agente dei fratelli
Lomellini, come parte del loro credito, 200 scudi agli ebrei che ne
erano creditori (2).
Per qualche tempo almeno simili fastidi erano rimossi, ma se
i consiglieri credettero di poter arrischiarsi a trarre un respiro di
sollievo, certo se lo sentirono strozzar in gola da Antonio de Leyva,
dal quale il pretore riceveva la notte fra il 24 e il 25 marzo il
seguente biglietto, che il 25 stesso, sabato, i consoli lessero al
consiglio.
« AntJ leyva Caesareus lo cu.
« Dil.me nobis. occurrendo de fare intendere alcune cosse ad
« quella comunità ve dicemo et comettemo che alla receputa della
« presente debiate fare convocare il Consilio d'essa et unito che
(i) C. C. G., 1556 '37, fol. 34, cons. 20 febbraio '36.
(2) Ibid., fol. 36 sgg., cons. 13 e 22 marzo '36. Questi denari s'ottennero
mediante un contratto speciale. Pietro Maria de' Bossi vendette alla Brippio 700
pertiche « terre prative » e 200 « pasculorum », coi fabbricati ecc. per L. 3600,
con la condizione che la compratice e i suoi eredi fossero immuni ce ab omni
« molestia inquietatione et disturbo qui eidem vel heredibus suis inferri possit »,
cedessero quei beni in enfiteusi perpetua al comune, per L, 200 annue, e col
diritto allo stesso comune di riscattarli entro dieci anni. Restano una copia
non autentica del contratto di vendita e un' altra della cessione in enfiteusi,
15 marzo 1536 (Casella 120, Cartella 66). Per il vallo si pagarono L. 8oa
{Trib. XII provv., i536-'37, fol. 35, cons. 20 marzo '36).
LA PLEBE VJGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 3I3
a sarà li farete intendere che voliano fare ellectione de due per-
« sene idonee et mandarlle qua da noi di modo che per tuto mar-
« tedi prox. si trovano qua et li possiamo significare quanto ne
il occorre et della executione ne darete adviso. Medìolani 24 mar-
" tij 1536 » (i).
Brutto segno, queste chiamate ad audiendum verbum! Infatti
Antonio Maria da Parona e Vincenzo de' Bastici, tornati da Milano^
il 31 marzo, venerdì, riferiscono ai colleghi che il governatore vuol
« a Ducatu Mediolani scuta vigintimillia omni mense ad sustentan-
« dum bellum quod de presenti est inter M.^m Cesaream et Regem
« Gallorum de qua quidem summa contingit civitati et comitatui
u Vigl."i scut. 204 ^/g ", e conoscere il mercoledì successivo come
hanno pensato di trovarli. I consiglieri, dopo lungo discutere, de-
liberano di rimandare ogni risoluzione al giorno appresso « ad
« hoc, ut res bene digerì et ruminari possit w. Amaro, il boccone,.
e Simone del Pozzo marchiava il foglio del resoconto con una
delle solite noticine: « Heu heu dies infelicissimi » (2). Il primo
aprile una nuova tassa, generale! Ormai la storia di Vigevano per
diversi mesi si riduce alle richieste de' creditori e agli studi del
consiglio per trovar denari in un modo pur che fosse: ultima fonte,,
si capisce, le tasche dei cittadini. « ordinaverunt », dice de' con-
siglieri l'atto i.^ aprile, « facere ellectionem de octo viris probis
« et fidedignis ac deum timentibus qui taxare habeant omnes et
" quascumque personas diete Civitatis ad sumam tantum prò quo-
« libet capite prout videbitur equum et iustum ipsis thaxatoribus
a et rei exigentia habendo etiam respectum ad facultates mo-
« biles, que quidem taxatio etiam habeat locum in cives et habi-
u tantes in dieta civitate de presenti etiam si se absentaverint a
« dieta civitate et ut nemo a dieta taxa eufugere valeat, volunt
« quod detur ad exigendum suis rexiis et periculis, et quod omnes
« teneantur dictam taxam solvere in pecunia numerata tantum,.
« etiam si habere deberet a p.» comuni, vel habere pretenderet, et
« non sit locus compensationis, sed in pecunia tantum solvatur
" presens taxa: procedere etiam possit et valeat in forma ducalis
« camare occaxione diete taxe et fient debita capitula prò dieta
(i) C. C. G., i536-'37, fol. 42, cons. 25 marzo '36.
(2) Ibid., fol. 43, cons. 31 marzo '36.
3^4 FELICE FOSSATI
« taxa incantanda sive alio modo danda. Impetrentur etiam littere
M R.mi senatus Mediolani sive M.^orum niagistrorum intratarum dicti
*( status ad confirmationem suprascriptorum omnium ut nemo au-
*i fùgere valeat a dieta taxa.
« Quorum electorum nomina sunt hec videlicet
u D. Aalex.r de rudulfis rose, D. Joh. m.^ de Puteo, D. Ber-
« nardus de gusbertis, D. Joh. Jac.^ de mor. carlarii, D. Zininus de
^< Basticis, D. Alovisius de bellaciis, D. Vincen.» de Scottis fragulini
-« D. Ant.s de Collis quaglini.
« Que taxatio fieri debet per suprascriptos omnes qui iurave-
« runt ad SJ* Dei Evangelia manibus propriis tactis scripturis de
« recte rite facien, et postposita omni humana gratia etc. » (i).
E si sbrigarono presto, anche, dacché il 12 aprile potevano i
consoli annunziare al consiglio essere la tassa stabilita e preparati
i capitoli : solo, poiché molti ritenevano che non se ne sarebbe po-
tuto trovare un « abocator nec incantator propter exigentiam tem-
n porum... ne aliquando aliquid sinistri eveniret p.^o comuni casu
*i quo pecunie non solventur in ducali camera », chiedevano che
cosa pensava di fare, avvertendo che la quota della città sola, senza
il comitato, era di L. 510, soldi 2, denari 6 imperiali. Il consiglio
risolveva di metter la tassa all' incanto (2). Forse sperava anche
di ottenere qualche agevolezza dal Leyva : certo eransi da lui re-
cati, al campo imperiale presso Candia Lomellina, Gian Maria del
Pozzo e Tommaso de' Ferrari Fantoni, se avesse voluto « non dico
ii absolvere sed diferre solutionem 11. 510, s. 2, d. 6 imper. omni
^< mense...', et hoc propter ingentem expensam passam ab hospita-
^i tione curie et societatis Ducis et Ducisse Sabaudie » (3), ma
(1) C. a G., iS36-'37, fol- 44.
(2) Ibid., fol. 48, cons. 12 aprile '36. A ciascuno degli otto furono date
L. 2 « prò eorum salario et mercede ».
(3) Ibid., fol. 49, in margine: « Die lune que fuit festum secundum pa-
x( scatis resurationis D. N. I. C. Carolus Dux Sabaudie cum ux. que fuit filia
« regis lusitanie sive portugalie et Alio uno et filia una venit Vigl.m cum tota
« eius domo et supelectili et exterorum comitatu qui eum sequebantur prò maiori
« parte cum filiis et eorum uxorìbus relieto ducatu suo in potestate frane' regis
« gallorum. Die vero 20 [aprile] ipse Dux reversus est Candian ubi Cesaris
« exercitus duce Ant.o Leiva morabatur. Ducissa cum duobus filiis parvulis et
<( inutili turba ivit Mediolanum p.o cusagum. vixit enim prefatus Dux et omnes
« qui eum sequebantur cum 70 equitibus catrefactis et 80 in circa equites levis
LA. PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 315
Vu lU.us D. Ant.s leyva nulla cantate et misericordia inspecta iussit
« nulla mora imposita diete 11. 510, s. 2, d. 6 solvi debere; aliter
« minatur graves expensas », onde i consiglieri ordinarono « omni
^i mora postposita dieta taxa solvi debere de presenti et presertim
« a dictis consiliariis antequam consilium disolvatur et sic ab om-
41 nibus diete civitatis taxatis ut in dicto quinterneto ad hoc ut in-
u dignatio p.^' principis et iminentes expense et pericula evitentur » :
una nota marginale c'informa appunto che i consiglieri furono ob-
bligati a pagare prima d'uscire da quell'adunanza, sotto pena di
venti scudi. Eppure qualche agevolezza sembra che proprio avrebbe
fatto bene al comune ! 11 Menocchi chiedeva il resto dei denari, mi-
nacciando grave spesa se non veniva pagato subito, e il consiglio
non poteva far altro che prendere la somma occorrente dal teso-
riere della parrocchia di S. Dionigi, assicurandolo che gliel'avrebbe
restituita subito, perchè ai tesorieri era appunto stato ordinato dal
consiglio stesso, quando impose la tassa, di non dare a nessuno
per nessun motivo i denari dalla medesima ricavati, ad essa sola
dovendo servire. Più spiccio del Menocchi, Jeronimo de' Previde
Maffini, creditore di forse L. 800, fece senz'altro sequestrar i de-
nari « in manibus » di Antonio de' Colli Quaglini, tesoriere di
S. Dionigi, onde il comune non si poteva « valere de pecuniis
ti necessariis ad cottidianum usum prò urgentibus necessitatibus ».
Per ciò e perchè occorrevano assolutamente nuove somme per la
guerra, il consiglio incaricò la commissione destinata appunto agli
afifari della guerra di trovar L. 4000 imperiali. Tutto codesto nel-
l'adunanza del 6 aprile. Nell'altra, già ricordata, del 12, i consoli
avvertirono che i creditori. Polo de' Carmelini, Giovanni de' Ma-
rino, i Beulci e molti altri « graviter instabant de eorum cre-
« armature per suprascriptum tempus expensis comunis et hominum diete civi-
« tatis de man.to p.ti Ant. leiva, cum ipsi velint solvere, fuit quippe res lacri-
« mosa.... atende ubi dixi relieto ducatu tenebatur tamen civitas vercellarum
« maximo et validissimo presidio ». L'ordine del Leyva si deduce anche dal se-
guente biglietto del Birago, podestà di Vigevano, conservato nell'Arch. di Stato
di Milano, Vicende di Comuni^ Vigevano :
« Ill.mo et Ex.fno S.or S.or et patron, Ohsserv.^o etc,
« In execussione de litere di V. Ex.» date in Candia el di d'ogy di conti-
« nentia che dovesse dimandare li deputati di questa città et providere de allo-
3t6 felice fossati
« ditis »», minacciando spese sopra spese, e che un bergamasco,,
creditore di L. loo, aveva ottenuto dai maestri delle entrate di
gravar il comune, passata l'ottava di Pasqua, di 40 soldi imperiali
ogni giorno ! I consiglieri, trovandosi le casse perfettamente vuote,,
ma credendo d'aver a tutto provveduto con la tassa che si doveva
riscuotere entro l'anno, ordinarono a Pietro Maria de' Bossi d'an-
dare a Milano in cerca di qualche prestito, stringendo il contratto-
in modo che s'avesse tempo di far l'esazione e così non si dovesse
sopportare altre spese, dall'interesse in fuori. 11 guaio è che non
si poteva scovar un soldo " nuUibi ad quodvis interesse », e, al-
lora, un'altra spremuta ai cittadini, i quali furono obbligati di pa-
gare " prò quolibet stano farine que coquetur ad furnos sol. i » (i).
Ciò appunto nella seduta in cui giunse l'ingrata notizia della per-
sistenza del De Leyva. Nella successiva, giorno 2, torna all'assalto
il Menocchi, ancora creditore di L. 400 e più, il quale di nuovo
« maxima instantia requirit aliter minatur graves expensas » ed
ha già Vii executionem paratam » : ecco quindi i consiglieri delibe-
rar d'aggiungere alla tassa dieci soldi per ogni soldo d'estimo
[Vii omnem eventum » de' prudenti!) con questa condizione, che si
dovessero riscuotere non oltre al i.° dell'agosto successivo; non
solo, ma, riconoscendo che la tassa dell'anno in corso è ormai in-
sufficiente, ordinano che Vincenzo de' Bastici Borioli vada a Mi-
lano « ad perquirendum omni diligentia et cura » denari per quattro
o cinque mesi: « interim maturabunt tempora thexjìoi'"'" qui dictas
a pecunias postmodum persolvent » ; e che, « ad subveniendum
ii cottidianis necessitatibus », si aumenti di sei denari imperiali
ogni libra le carni vendute in città (2). Né basta ancora. Nella
« giamento per la lU.ma et Ex.ma s.ra Duchessa di Savoia, ho fatto dimandare
a essi deputati et insema cum loro havemo proveduto al tuto circa allo allogia-
« mento taliter che la mente di v. ex.a restarà satisfata alli cui pede me rico-
« mando.
De Viglevano alli XVI di aprili MDXXXVI.
« D. V. E.tia humil. servitor
« Alix.ro Birago, doctor et ivi potestà ».
A tergo : « Allo lU.mo et Em.mo S.or Ant.° \ leyva ces.o locumt.e Sig.or et
a I patrono mio semper osser.mo ] In Candia ».
(i) C. C. G., i536-'37, fol. 50, cons. 21 aprile '56.
(2) Ibid., fol. 51, cons. 22 aprile '36.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 317
seduta del 29 aprile il console Pietro Maria de' Bossi avverte che
Polo, Giovanni de' Marino, il Menocchi, i Luoghi Pii e i Beulci di
Milano richiedono il pagamento dei loro crediti, « aliter minantur
li emanare expensas qua erunt in effectu et forsan insuportabilias »,
onde vuol si provveda, tanto più non avendo Vincenzo de' Bastici
a Milano trovato alcuna somma. Di conseguenza un grande e lungo
discutere, che non riesce a nessuna conclusione (i). Finalmente
nell'adunanza 4 maggio il consiglio « postquam nulle pecunie de
« presenti inveniri possunt quovis interesse ob malam temporum
« qualitatem », ordina a Pietro Maria de' Bossi e a Francesco della
Ecclesia d'andar a Milano per indurre l'agente de' Lomellini, il Pal-
lavicino, il Marino a voler pazientare, « etiam cum aliquo interesse
« si opus fuerit », sino a che i tesorieri abbiano raccolto tutti i
denari, perchè ai loro crediti s'è provvisto già dal principio del-
l'anno (2). E del Pallavicino (sembra dovesse avere circa 300 scudi
d'oro del sole) sappiamo che acconsentì ad un cambio di denari,
a qualche cosa, crediamo, come l'odierna rinnovazione delle cam-
biali {3); degli altri non abbiam trovato cenno, ma almeno per il
Carmelino v'è ragione di credere che non si mostrasse tanto in-
dulgente, poiché nella seduta del 20 giugno il console Pietro Maria
de' Bossi avvisò che quegli « transmissit magnam expensam et
« maiorem minatur velie transmittere nisi providetur de credito....
« suorum principalium videlicet de scut. 700 » : al qual pericolo i
consiglieri dopo lunga discussione non trovarono altro rimedio, che
d'ordinare ad Antonio Maria da Parona e Vincenzo de' Bastici di
andare a Milano « ad aloquendum predictum D. Polum si aliquo
« honesto modo velit se acomodari accipien.° scut. 100 nomine dicti
« comunis ad interesse simul scut. 200 nomine thex."orum par. s.
« Dio. et casu quo nolit suplicetur in R."^o senatu ad petendum di-
« lationem mensuum sex de solvendo antequam incurratur in ex-
« pensa interesse quam ipse dominus polus requirit videlicet ad
« cambium de more lugdunensi Gallie civitatis Alobrogum », dando
insieme al Bastico anche l'incarico di « iterum capere cambium de
« certis pecuniis de more civitatis Lugduni Gallie provincie iam
(i) C. C. G., i536-'37, fol. 53, cons. 29 aprile '36.
(2) Ibid., fol. 54, cons. 4 maggio '36.
(3) Ibid., fol. 57, cons. 28 maggio '36.
3r8 FELICE FOSSATI
.. factum et finitum die X mensis presentis junij a M.^o D. Castel-
« lano de madiis prò uno alio termino, cùm illismet conditionibus
« sic iam factis in dicto p.® cambio ». Intanto deliberarono s'in-
cantasse al miglior offerente l'esazione della quota de' 20000 scudi,
« premissa tamen voce preconis quod unusquisque solvat infra tres
.i dies prox. secuturos aliter elapso dicto termino mitatur Mediola-
.. num ad capiendum unum comissarium qui exigere habeat reni-
« tentes simul cum pena incantus cum authoritate dominis con-
u sulibus posse contractare de salario cum aliquo qui vellit exigere
il dictam taxam »»: incaricato di riscuotere i denari ne' tre giorni,
Simone del Pozzo (r). Il Parona e il Bastico condussero Polo a
Vigevano e i consoli fecero con lui un accordo che sottomisero
all'approvazione del consiglio il 23. L'atto è assai confuso, onde
non sapremmo dire con precisione come tale accordo fosse. Certo
è che del debito vecchio Polo aspettava ad essere soddisfatto in no-
vembre e dicembre ; quanto poi ai 625 scudi « che sono per lo
« debito del ficto de pasqua 1536 se pigliarano li denari a cambio
« cum questo perhò che ogni mese se li paga se. 100 et se li as-
u segna uno thex/» a tal pagamento ita che lo primo pagamento
« se facia in calendas de aug.to prox. et se. 100 in calendas de set-
« tembre, se. 100 a calende de octobre, se. 100 a deci del d.» et
« se. 200 prò d. Antonio quaglino tex.o in calendas de novembre,
« se. 100 " I consiglieri mandarono a Milano « ad subscriben-
« das litteras cambii » Pietro Maria de' Bossi, Jeronimo de' Rodolfi,
Vincenzo de' Bastici (2); e come poi nessun tesoriere volle obbli-
garsi a pagare i cento scudi, rifiutando tutti d'impegnarsi per più
che un terzo di quella somma, ordinarono che s'assumesse l'ob-
bligo Pietro Maria de' Bossi, il tesoriere generale (3).
Ma, girate queste difficoltà, altre ne sorgono, non punto lievi.
Nessuno vuol incaricarsi d'esigere l'equalanzia con otto soldi né
per ogni lira « debiti exigendi », né per ogni soldo d'estimo, onde
il consiglio, che prima aveva dato ai XII il compito di provvedere,
nomina una commissione speciale, composta di Cristoforo de' Ro-
dolfi, Giovanni Andrea de' Cocchi, Giovanni Maria del Pozzo, Vin-
(i) C. C. G., i536-'37, fol. 60, cons. 20 giugno '36.
(2) Ibid., fol. 63.
(3) Ibid,, fol. 67, cons. 6 luglio '36. ^.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 319
cenzo de' Bossi, che trattasse « cum quavis persona » di Vigevano
per « adaptari librum » dell'equalanzia, acciocché si potesse tro-
vare un appaltatore, concedendo poi facoltà ai XII d'affidarne l'esa-
zione in qualunque modo a qualunque persona lor sembrasse con-
veniente per il comune. E intanto, dall'altra parte, il referendario
insiste per avere « certas pecunias restantes super resto se. 20000
« toto statu Mediolani imposit. et quatenus non fuerint solute diete
« pecunie minatur inferre expensas et pign orari facere cives diete
u Civitatis quare provideri petit aliter protestatur etc. » (i). Nuovi
capitoli si fanno per l'equalanzia, ma in ultimo il consiglio, pen-
sando che non si potesse ormai più andar avanti coi soliti modi,
stabilì di mettere un dazio generale. Riferiamo l'intero passo del-
l'atto per r importanza del provvedimento e perchè accenna alle
tristissime condizioni di Vigevano in quel tempo: « Quoniam Ci-
u vitas ipsa Vigl."i quantum agravata arctataque sit ex debitis
« contractis in annis preteritis ingruentium bellorum nemo est qui
u ignorat quare in exigendis taleiis et collectis que annuatim im-
n ponuntur domus ipsorum civium destruuntur, indigene a propriis
u laribus fugantur dotes mulierum virginum et viduarum contra fas
a incantantur et subastantur, pupili mendicare coguntur et multa
« alia scandela occurrunt, quare bonum esset novum modum pQV-
u quirere exigendi pecunias prò sanandis debitis utsupra contractis
u et precipue a rebus quibuscunque que introducuntur in ipsa ci-
« vitate, que ita faciendo tollentur de medio multe querelle que in
« dies oriuntur Inter ipsos cives occaxione trafici de quo cavetur
« in statutis et multe alle querimonie quarum recenseri ita fasti-
« diosum esset quam longum que omnia ita faciendo cessarent.
u Iccirco p.ti domini conJ'i elligerunt infrascriptos dominos qui
« perquirere habeant modum et formam tenendi circa dictas pe-
« cunias exigendas et de omnibus datum unum facere videlicet de
« omnibus rebus que in dieta civitate introducuntur ac in districtu
« ipsius civitatis nascuntur et colliguntur et illa omnia in scriptis
« redigere et postmodum in Consilio religere et secundum quod
« postmodum placuerit cons.o generali firmari et stabilire ut ad ul*
« teriora procedere possit.
« Quorum ellectorum nomina sunt hec videlicet :
(i) C. C. G., i536-'37, fol. 68 sgg., cons. 6 e 15 luglio '36.
320 FELICE FOSSATI
« D. Vinc.s de bosiis, D. Vinc^ de basticis, D. Joh. m.a de
it putheo, D. Joh. Jac.» de morsellis carlerii, D. franc.s de natalibus,
a D. Janinus de basticis, D. Vinc.» de carbonibus, D. Alex/ de ro-
^< dulfis rose.
« Ita quod maior pars ipsorum possit perficere. Et hoc in ter-
4t mino hinc ad medium mensem Aug.^i prox. futuri » (i).
E da questo scorcio di lugho in avanti, trovato finalmente,
dopo vari tentativi, un appaltatore dell'equalanzia in Gian Giacomo
de' Tiboldei Piccioni (2); incaricati Giov. Andrea de' Cocchi, An-
tonio de' Colli Quaglini e Luigi de' Bellazzi di fare « novum librum
^< catestrorum ad formam statutorum » per risolvere la questione
col comitato circa la spesa del vallo a Pavia (3), e altri (già no-
minati perchè trovassero 150 scudi del sole, necessari a pagare
certi debiti) di trattare tale questione (4); provveduto alla quota dei
20000 scudi per agosto e settembre, ordinando che la si riscuotesse
con gli stessi modi dei mesi precedenti, « salvis tamen iuribus com-
u pensandi quibus compensari venerint ad formam statutorum ci-
<i vitatis " (5), il consiglio non s'occupò per alcuni mesi quasi altro
che delle due questioni intorno al dazio e al nuovo estimo de' mer-
canti, sempre tenuto in una certa apprensione, talvolta anco in an-
siosa apprensione, dai malumori della plebe irrequieta.
Il 31 luglio, avvertiti che i Beulci, attuando le minacele più
volte lanciate, avevano chiesto denari ai tesorieri della città, i quali
non ne diedero perchè non ne avevano, e che il referendario aveva
mandato l'ordine di pagare entro il 20 agosto le quote de' 20000
scudi per agosto e settembre, i consiglieri riconfermarono la no-
mina fatta il 20 febbraio della commissione eletta ad eseguir l'estimo
dei traffici, le diedero « authoritatem posse transmittere unum vel
« duos Mediolanum vel ad quem locum magis expediens fuerit ad
« consulendum omnem et quamcumque deferentiam que oriri con-
u tingerit occasione dicti extimi trafici conficiendi » e differirono
tre giorni i provvedimenti da prendere per le notizie ricevute (6).
(i) C. C. G., 15 36-' 3 7, fol. 73, cons. 20 luglio '36.
(2) Ibid., fol. 75, cons. 28 luglio '36; fol. 82, cons. 9 agosto '36.
(3) Ibid., fol. 76, cons. 28 luglio '36.
(4) Ibid., fol. 80, cons. 2 agosto '36.
(5) Ibid., fol. 8r, cons. 2 agosto '36.
(6) Ibid., fol. 79, cons. 31 luglio '36.
LA PLKBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 32I
Nel seno di quella commissione parecchie discordie v'erano, soprat-
tutto intorno alla questione se si doveva andar a Milano « in con-
u sulendo super causas ipsarum diferentiarum » oppur no, stando
al giudizio del pretore, secondo gli statuti; e i consiglieri, richiesti
di un provvedimento, il 9 agosto ordinarono che nel pomeriggio
di quello stesso giorno la commissione si radunasse col pretore e
accomodasse le cose (i). Ma probabilmente nulla si risolvette, e
buon tempo ancora sarebbe passato fra inconcludenti discussioni,
se il timore che la plebe rinnovasse le dolorose gesta di anni ad-
dietro non fosse sopravvenuto a impensierire seriamente il consi-
glio. Ecco integralmente il brano dell'atto che ce ne fa fede : « Item
« in dicto Consilio expositum fuit per dictos dominos consules et
« plures de Consilio qualiter multi de populo et populariter minantur
« contra homines de Consilio faciendi et perpetrandi aliquid mali
« prout de preterito fecerunt et perpetraverunt, quod malum adhuc
« durat, quod fere Civitas ipsa remanet desolata et exausta quare
« provideri petunt aliter protestantur contra M.^um j)^ loc.^^"' et
« eius officium prò interesse cjucalis et imperialis camere ofFerentes
M ex nunc prefati domini ad omnem effectum homines paratos ad
« omnem opportunitatem et necessitatem in dieta causa.
u Qui dominus loc."^ obtulit se paratum facere omnia que fa-
ti cere tenetur et expediens fuerit dicto eius officio petens etiam
« homines necessarios et opportunos in omnem casum aliter etc.
« Qui domini dederunt et dant authoritatem dominis consulibus
■ a accipiendi tot homines in dieta eausa quos fuerint necessarios
a et opportunos ad omnem requisitionem p.^» d. loc^is et expendendi
« etiam de ere proprio ipsius comunitatis quatenus expediens fuerit ».
Questo, a dir vero, non sarebbe stato rimedio bastante ad allon-
tanare per sempre ogni pericolo, anzi, recando nuovo peso alle
finanze del comune, avrebLe finito con l'accelerare e fors'anco ina-
sprire la reazione della plebe, e il consiglio stesso, di ciò, crediamo
noi, persuaso, ordinò anche a Vincenzo de' Bossi e a Giov. Maria
del Pozzo d'andar a Milano « tanquam ellecti ab oeto ellectis ad
u faciendum extimum trafici ad se se clarificandum in certis dubiis
a dicti statuti prò dicto trafieo conficiendo » (2). Questo il 25 agosto;
(i) C. C. G., i536-'37, fol. 82, cons. 9 agosto '36.
(2) Ibid., fol. 84, cons. 25 agosto '36.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXTI, Fase. Vili.
322 FELICE FOSSATI
il 26, di rincalzo, la seguente deliberazione; « In quo quiderrr
« Consilio sic utsupra cong.^° expositum fuit per d. frane.'" de Putheo
« consulem utsupra causam presentis cong.ni^ hanc esse videlicet
« qualiter cum diu et diu versa sit et adhuc vertatur questio per
« et inter ipsos cives occaxione onerum imponendorum in futurum
" et ad tolendum littes et questiones que in dies oriuntur a plebe,
u que semper prona est ad tumultus, propter dieta onera novum
u invenire modum exigendi peeunias ad sanandum debita dieti eo-
.« munis, minori dispendio ipsius comunità tis quam fit per taleas
X et coUectas quibus dispendiis plebs ipsa concitatur ad tumultum
« et presertim tolendi perpetuam disceptationem extimi trafici qui
M nunquam fuit in ipsa Civitate et olim terra nec tempore proavum
« nostrorum quibus ablatis et evulsis de facili vivetur in ipsa ci-
« vitate amicabiliter et fraterno civium more ut vivere decet et
a sic omnes invitat ad inveniendum dictum modum aliter protesta-
.< tur etc. » : i consiglieri deliberano, « inherendo alteri ordinationi
« facte sub fol. 74, addi debere alios quatuor viros probos et ido-
u neos qui simul cum aliis octo in dicto Consilio ellectis diligenti
« perquisitione inquirere habeant omnia debita dicti comunis et
u datum mercium in melius reformare, ad hoc ut dignosci possit
« qualiter diete pecunie exigi debent ad sanandum dieta debita et
u quanto citius fieri possit in Consilio generali referre, ad hoc ut
'* Comunitas ipsa providere valeat et possit et dictas differentias
« tollere et extirpare presertim traffici que tamdiu viget in ipsa
« civitate penes aliquos plebis concitatores... » Gli aggiunti furono
Cristoforo- de' Rodolfi, Vincenzo degli Scotti, Michele de' Cavalli,
Giov. Antonio de' Podessi (i). E finalmente il 29 s'approva il dazio,
stabilendosi che per gli oneri ordinari si provveda nel modo fis-
sato dagli statuti, e che le somme occorrenti alle spese straordi-
narie passate e future si chiedano al dazio : « In q° quidem Con-
« silio sic utsupra cong.^o expositum fuit per iamdictum d. consu-
« lem causam presentis cong."is hanc esse sicuti elleeti in Consilio
« prox. preterito in executione dicti consilii omnia exposita et
« enarrata ac eis imposita executi fuerunt prò eorum posse vide-
« licet in perquirendo debita dicti comunis que sanari debentur
u per taleam possessionum et testarum ac fictorum libellariorum
(i) C. C. (?., i536-'$7, fol. 87, cons. 26 agosto '36.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 323
« ad formam statutorum ipsius civitatis et ita alia debita que sa-
" nari debentur per bona mobilia et mercimonia que ingredientur
•• civitatem ad usum civium diete Civitatis et precipue mercium
« loco trafici exigendo ad portas ipsius civitatis insta datum iam
•• formatum et bene digestum prò quibus auferetur antiqua que-
« rella alternaque iurgia mercimoniarum et trafici inter cives et
'< mercatores ipsius civitatis cui dato additum et detractum fuit
.. quicquid addi et detrai debebant, quare super premissis quid
" agendum sit ordinari petit alit. etc.
a Qui datus prout res solvere tenebuntur in ingressu diete
a Civitatis tantum et ad usum ipsorum civium etiam tantum lectus
« fuit in dicto Consilio omnibus audientibus fuit quod nemine con-
« tradicente approbatus et confirmatus....
« Quibus sic dictis et dilligenter intellectis p.*' domini conJ"
« nemine contradicente ut semel auferatur antiqua querimonia dicti
.< trafici et forma ipsorum statutorum servetur tam super oneribus
« ordinariis quam extraordinariis
« Ordinaverunt post multa hinc inde dieta et alegata quod
« extimus possessionum et testarum ac fictorum libellariorum dem-
a ptis hedificiis in dieta civitate ad formam predictorum statuto-
« rum solvere teneatur et debeant onera et gravamina ordinaria
'< que sunt stabilia et firma et immutabilia ac invariabilia diete ci-
" vitati merces et mercimonia ac descripta in dicto dato et capitulis
i' dicti dati solvere teneantur et debent omnia onera extraordinaria
.< occursa et que in futurum occurrent et ipsa sananda in eo teni-
ii pore quo visum fuerit p.^o comuni et sint ipsa loco trafici ipsius
.. de quo iamdiu facta fuit et fit questio.
« Hoc tamen quod presens datus et dieta exactio ad illam su-
" mam que de presenti est durare habeat per annum et ultra ad
" beneplacitum dicti comunis videlicet etiam illum diminuere et
a augere etiam quotiens ipsi placuerit, et aufere voluerit in totum
u vel in partem iuxta occurrentiam et necessitatem temporum ha-
« bita tamen licentia a superioribus talia faciendi a quibus haberi
u potest et debetur de iure videlicet a s.^^o Pontifice vel a R.^^ se-
'i natu vel a quibus expediens fuerit.
« Quibus sic peractis p.tì domini Cons."' quoniam evidenter
« apparet omnia incitamenta et fomenta littium et querimoniarum
« tam populi quam plebis et aliarum diversarum personarum que
« per manus quotidie erant esse penitus cassa irrita et extirpata
324 FELICE FOSSATI
u iccirco ordinaverunt supplicari debere R."^o Senatui Cesareo ut
« dispensare velit his durantibus amplius habere debere in usu
u traficus diete Civitatis ad formam ipsorum statutorum sub ru-
« brica de mercimoniis extimandis.
« Infrascripti omnes protestati sunt et protestantur predicta
« locum habere non debere nisi nundine alias impetrate renun-
u tientur ducali camere si ve imperiali que cedere videntur nisi in
ti preiudicium diete civitatis et quatenus aliter factum fuerit non
« consentiunt nec consentire intendit.
« Quorum nomina sunt hec videlicet
« D. frane.» de putheo, D. Vinc.s de carbonibus, D. Frane.» della
« Ecc.*, D. Petrus m.^ de vastamiliis, D. Jacobus de Collis tebaldi,
u D. Stephanus de bellaciis, D. Bernardinus de fumo, D. frane.» de
« cassolio.
« Protestat. quoque infrascripti domini nullo pacto consentire
« p.te ordinationi de exigendo dictum datum utsupra expressum
« fuit nisi ad formam statutorum ipsius civitatis et non aliter nec
« alio modo.
« Quorum nomina sunt hec videlicet
a D. frane.» de cassolio, D. Bernardinus de fumo minelli,
« D. franc.s della Ecclesia.
« Qui d. Con.") ordinaverunt contra dictos protestantes si et
a quatenus nollunt consentire observetur forma statutorum diete
u civitatis prò oneribus solvendis >» (i).
Quell'era un deliberare a tutto vapore! 11 guaio è che simili
provvedimenti, destinati a far cessare ogni malumore tra la plebe
e ogni pericolo di sommosse, vero o no quanto ritenevano i con-
siglieri che gli agitatori amassero tirar in lungo la questione sul-
l'estimo dei traffici, onde veniva materia « prebendo fomenta lit-
u tium inscie plebi », simili provvedimenti alla plebe non garbarono.
Nell'adunanza 13 settembre uno dei consoli espose che Giuliano
degli Ardizzi e Camillo de' Colli « suis nominibus et nomine ple-
« beorum » domandavano si facessero gli estimi de' beni immobili
e dei traffici, e siccome, quant' al primo non sapeva in che po-
tesse giovare alla plebe, a cui anzi sarebbe riuscito di peso, e il
secondo contrastava con la recentissima deliberazione del consi-
(i) C. C. G., i536-'37, fol. 88, cons. 29 agosto '36.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 325
glio sul dazio, esortò i consiglieri a provvedere. Essi chiamarono
nell'assemblea i rappresentanti della plebe. Giuliano degli Ardizzi
e Camillo de' Colli appunto, con Giovanni Matteo de' Gravalona
Alioli e Tommasino de' Biffignandi Bettoni: ma la loro petizione
« quia erat enormis », dice l'atto, « et sibi authoritatem atribuere
u volebant penitus reiecta fuit, quia non decet servos legem im-
« ponere dominis sed ipsi debent parere suis mandatis.... ». Tut-
tavia « ad peticionem plebeorum simul cum ordinatione R.™' Se-
« natus prò novo extimo confìciendo », nominarono, appunto per
l'estimo, la commissione de' nove, secondo gli statuti: per i citta-
dini (i), Giov. Maria del Pozzo, Pietro Maria dell'Acqua, Alessandro
de' Rodolfi, sostituiti poi, questi ultimi due, perchè non ritenuti
nobili, nella seduta 9 ottobre, con Fabrizio de' Vastamigli e Giacomo
de' Madì; per i mercanti. Bernardino de' Gusberti, Matteo de' Bossi,
Giov. Andrea de' Cocchi; per i plebei, Andrea de' Previde Regis,
Giov. Antonio de' Rodolfi Bozi, Antonio de' Mono detto Chiochino,
col patto che la maggioranza di loro bastasse alla validità delle
deliberazioni; tutti poi dovevano avere un salario da fissarsi dal
comune, e a tutti il consiglio assicurava l'immunità contro ogni pena
stabilita dal senato circa il tempo concesso ai lavori, fino a che le
autorità superiori si fossero pronunziate sul dazio: « quia omne
« studium ipsorum consiliariorum », seguita l'atto, « est semel tol-
« lere ab ore aliquorum qui semper huius traffici materiam ha-
« bent prebendo fomenta littium inscie plebi cum huius traffici ex-
u timus nunquam tempore antiquo fuerit factus imo nomen ipsum
« horruerint quia dignoscebant ipsum penitus esse noxium et
« semper parere novas formas querellarum et non nulla pericula
« alere inter cives » (2). E così fermi erano i consiglieri nell'idea
del dazio, che avendo essa suscitato nella popolazione, ond' era
censurata, parecchi lamenti, il 26 settembre « ordinaverunt dictam
a ordinationem [29 agosto] inferius anotari additis addendis ad hoc
u ut querelle predicte de dieta civitate penitus auferentur et ut
u infra de novo ordinant videlicet
« Quod extimus possessionum et testarum ac fictorum lìbella-
« riorum demptis hedificiis in dieta civitate et suburbiis existen-
(i) Anziché cìvium, era stato scritto prima nohilium.
(2) C. C. G f i536-'37, fol. 91, cons. 13 settembre '36.
326 FELICE FOSSATI
« tibus ad formam statutorum civitatis predicte non obstante aliqua
" sententia arbitramentali alias lata per R."^ d. Galeacium Petram
^< primum antistitem diete civitatis et d. Julianum piscinam qua
« cavebatur domus et hedificia diete civitatis teneri ad solutionem
« talearum ex tribus partibus ex quinque.... cui sententie p.^' do-
-« mini eonsiliarii ex nunc renuntiaverunt et renuntiant adeo quod
« in futurum nullum unquam sortiatur effectum quo ad partem
41 illam quod domus sive hedificia tenerentur prò tribus partibus
« ex quinque, in aliis vero remaneat dieta sententia in suo robore
^< solvere teneantur et debeat onera et gravamina ordinaria que
*i sunt stabilia firma et invariabilia diete civitati.
« Merces et mercimonia deseripta in dieto dato et eapitulis
Il dieti dati solvere teneantur et debeant omnia onera extrahordi-
« naria occursa in presentiarum vigentia et que occurent p.^» co-
« muni in futurum et ipsà sanare in eo tempore quo visum fuerit
« ipsi comuni et sint ista loco trafiei ipsius civitatis de quo iamdiu
« faeta fuit et fit questio inter cives et mereatores ipsius civitatis.
« Et per quod spatium temporis durare habeat dieta exactio
a et alia necessaria ad dictam exactionem impetrandam ut in dicto
u Consilio debita habeatur relatio et quatenus expediat prout in ibi
a est de novo ordinaverunt et ordinant incipiendo prius ut in mar-
u gine fol. 89 (i).
« Hoc tamen addito quod quotiens dieta exatio utsupra expresa
a cum dieto dato ad portas haberi et impetrari non posset tune
« et eo in casu quo ad traficum dieti domini eonsiliarii se remit-
« tunt ad dispositionem statutorum diete civitatis » (2).
Ma la plebe, dal canto , suo, non si accontentò di protestare
a Vigevano : fece pervenire le lagnanze anche al senato in Mi-
lano, il quale si decise ad intromettersi. Le prime accuse mosse
contro il consiglio dovettero però concernere non i nuovi provve-
dimenti, bensì l'amministrazione passata, con lo scopo, a noi pare,
di giungere ad ottenere una riforma nella costituzione del consiglio
medesimo. Così aprono i consoli la seduta 8 aprile: « M.^e pretor
(i) In margine : a Item quod dieta exactio ad portas ipsius Civitatis cani
« dato super inde confecto durare habeat per annum et ultra ad beneplacitum
« diete communitatis etc. w.
(2) C. C. G., i536-'57, fol. 95, cons. 26 settembre '36.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 327
■« et vos viri fratres in hac presenti congregatione evocati causa hec
M est scilicet cum multotiens R "^ Cesareus Senatus Mediolani audi-
« verit quasdam querellas per quosdam excitatores populi porectas
« astruentes respu. Vigl."' per hosce rectores qui nunc sunt male
« esse administratam et plures ordines contra ipsius statutorum
«( civitatis dispositionem et perversos in maximum dedecus ipso-
^i rum rectorum et interesse ipsius civitatis quia plebs ipsa iam
■a comota nequit solvere taleas iam impositas in principio anni prò
« sanandis debitis ipsius civitatis. Qua propter ellegit p.f"^ R."s Se-
« natus multum M.^^f" Petrum Paulum Rigonem de numero ipsorum
<« senatorum ad auscultandum ipsas querellas et disceptationes qui
M modo venit Vigl.'" per hasce querellas ad plenum ab utraque
« parte intelligendum iussitque tres sive quatuor viros elligere prò
■" parte ipsius Comunitatis qui coram p.^^ Senatore exponere ha-
^< beant omnia parte ipsius Comunitatis ac de quibus fuerint inte-
-" rogati ipsum clarificare ac dilucidare de agitatis per ipsum co-
^< mune ut Dominatio sue contentetur quam electionem fieri petunt
■*i aliter etc. et sic dixit vele fieri prò parte plebis quia coram se
a non vult tantam multitudinem hominum igitur etc. in cuius qui-
-« dem executione p.^i domini ellegerunt infrascriptos viros.
« Quorum nomina sunt hec videlicet
« D. Ant.s m.a Parona, D. Christ.s de rodulfis, D. Vinc.» de
« bosiis, D. Petrus m.^ de bosiis, D. Franc^ de Putheo, D. Gu-
^< liermus de previde, D. Alovisius de bellaciis, D. Alex.^ de rodulfis
■a rose, D. Job. Jac.^ de morsellis carlevarii, D. Vinc.» de bastiis bo-
^< rioli, D. Petrus de Tochis » (i).
La prima accusa dunque mossa all'operato del consiglio e
della quale ci resti memoria nei resoconti delle sedute, riguardò
<iuasi diremmo la condizione necessaria e sufficiente per esser con-
siderato « nobile ». Abbiam già ricordato la sostituzione di Fabrizio
de' Vastamigli e Giacomo de' Madì a Pietro Maria dell'Acqua e
Alessandro de' Rodolfi: essa avvenne per ordine del Rigone:
ii .... alios duos in eorum loco elligi debere sub titulo nobilium
^i qui videlicet a reformatione statutorum citra non fecerint aliquod
*i exercitium sive artem in civitate Vigl."' videlicet etiam et Lani-
(i) C. C. G., i556-'37, fol. 97, cons. 8 ottobre '36. Cfr. anche, Trih, XU
provv., fol. 124, la nota: « .... dum maxima fieret lis.... ».
328 FELICE FOSSATI
« ficii et aliarum artium si que sunt vel fuerint, aliter etc. Et hec
M omnia ad sedandum querellas aliquorum qui produxerunt novam
u listam aliquorum quos astruunt fore nobiles in dieta civitate ".
In conseguenza di ciò, verosimilmente, il consiglio medesimo sta-
bilì che si potesse eleggere come nobile per far l'estimo chi non
aveva esercitato nessuna arte, neppure quella del lanificio, per tre
anni prima dell'elezione (i).
E quella dovette anche esser la sola questione dal senatore ri-
solta in Vigevano, perchè subito il venerdì 13 ottobre i consoli reca-
rono al consiglio l'ordine « ut fìeret electio de quatuor viris idoneiis
« ad faciendum calcula in civitate Mediolani occaxione difFerentie
« que vertitur inter agentes nomine dicti comunis ex una et plebeos
« sive agentes eorum nomine ex alia propter administrationem bo-
u norum diete comunitatis et prout latius in actis etc. Et hoc die
« lune prox. fut. cum libris et seripturis in dieta causa necessarii^
u et oportunis et ita fieri petunt aliter etc. », conforme al quale
il consiglio, « ut veritas appareat de querellis falso illatis ab in-
« docta plebe contra ipsos consili arios », nominò Cristoforo de' Ro-
dolfi, Giov. Maria del Pozzo, Luigi de' Bellazzi, Alessandro de' Ro-
dolfi Rose, come, nella stessa seduta, aveva prima incaricato
Cristoforo de' Rodolfi, Francesco e Giov. Maria del Pozzo, Vin-
cenzo de' Bossi d'andar pure a Milano « ad contractandum cum
u ducali camera prò expediendo datum et licentiam exigendi ad
« portas w (2). Due questioni avean dunque suscitate e trattavano
contemporaneamente i plebei: l'una, svolgentesi innanzi al senatore
Pietro Paolo Rigone, sull'amministrazione del consiglio, l'altra, da-
vanti alla camera ducale, sul dazio. E mentre tali questioni richie-
devano un tempo discretamente lungo e spese non lievi (3) per
venir risolte, la necessità di trovar denari si faceva ognor più
(i) C. C. G., 1536 '57, fol. 99, cons. 9 ottobre '36.
(2) Ibid., fol. lOi, cons. 13 ottobre '56.
(3) Cfr. Trib. XII provv., fol. iii, cons. 23 ottobre '36; si concede ai
quattro rappresentanti, che si trovano a Milano per la questione con la plebe, di
dare a agentibus indocte et excecate plebis » qualche somma a de haere » del
comune « modo quod quantocitius finis imponatur quia quantum res in longum
« magis distrahitur magis fit in damnum et interesse diete civitatis quia plebs^
« ipsa nescit quid vellit, sed peccatum est illorum qui eam per tenebras in suum
« damnum trahent ».
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 329
Stringente. In settembre il referendario aveva già fatto « pignorar!
« quasdam bestias » e preso altre misure per ottenere un residuo
di L. 200 delle mesate scadenti (i); nell'ottobre poi, ancora a pro-
posito della quota de' 20000 scudi, i consiglieri lungamente ebbero
a discutere sul modo di cavare i denari, senza potersi mettere
d'accordo. Nell'adunanza del giorno 15 il pretore, vedendo che
non s'arrivava a nessuna conclusione e pur urgeva provvedere,
intervenne ordinando che si esigessero le tasse come s'era soliti
nel passato, salvo a ciascuno il diritto di farsi rimborsare la somma
pagata in più, in conseguenza delle deliberazioni che si sarebbero
prese circa il dazio; ma allora diversi consiglieri protestarono, di-
chiarando che volevano si osservassero in tutto gli statuti e si fa-
cesse quindi anche l'estimo de' traffici (2). Senonchè i contribuenti si
ribellavano contro i modi fin allora usati, onde i consoli, nell'adu-
nanza del giorno 16, chiesero che, non ostante l'ordine del pretore,,
testé accennato, si prendesse un'altra deliberazione. Disputarono i
consiglieri, ma non riuscirono a mettersi d'accordo: il pretore rin-
novò l'ordine, e di nuovo « permulti » non v'acconsentirono, onde
i consoli « protestati fuerunt et protestantur per se se non stetisse
« nec stare quominus diete exactioni non provideatur prò interesse
« imperialis camere et etiam de quibuscunque expensis que fieri
« et oriri contigerit premissa ex causa propterea quod bis sive ter
« evocari fecerunt consilium generale ut oportune provideretur
a quod minime provisum fuit etc. et inde etc » (3). E poiché fino-
ai giorno 20 nessuno aveva voluto pagare quella benedetta tassa,,
gli stessi consoli invocarono un'altra volta dai consiglieri un prov-
vedimento, e quelli, dopo lunga discus^sione, « tandem ordinaverunt
" quod diete pecunie solventur et solvi debeant ad formam quin-
« terneti iam facti et hinc retro exacti: sed quia nonnulli querel-
« lantur se fore indebite gravatos ultra eorum portionem iccirco
« ut nemini iuxte querelle locus sit ordinant ut diete pecunie que
« solvantur postmodum fiet extimus ad hes et libram ad hoc ut
« gravati recompensentur et inobedientes qui eorum portionem non
« solverint a tali gravamine non aufugiant: que pecunie postmo-
(i) C. C. G., i536-'37, fol. 94, cons. 26 settembre '36.
(2) Ibid., fol. 102, cons. 15 ottobre '36.
(3) Ibid., fol. 105, cons. 16 ottobre '36.
33° FELICE FOSSATI
■n dum solvantur ad formam extimi diete civitatis anni presentis
■ii demptis hedificiis addito extimo mercimoniorum qui extimus de
■M presenti fieri debet : et si quid ultra aliquis repertus fuerit plus
« suo debito soluisse recompensetur super taleas et coUectas anni
■" 1537 prox. futuri.
M Ordinant etiam p.^J domini con/" quod domini consules in-
^< cantari faciant dictam taxam cum salario ad onus neglegentium
•« et renitentium solvere et hoc finito incantu salarium exactoris
*i diete taxe sit super taxas ipsorum negligentium ad libram prò
^< libra et soldum prò soldo ad ratam adeo quod comunitas
-ti ipsa aliquid non patiàtur in publico sed ipsorum negligentium
•« et renitentium tantum. Quod quidem incantum durare habeat
■u bine ad diem iovis prox. futurum et non ultra et interim fieri
« publiea proclamata per loca solita et consueta et inde ete. » (i).
JNon solo, ma vedendo forse che i semplici ordini e le semplici
minacele non recavan nulla di buono, il 4 novembre diedero al
pretore, al referendario e ai consoli « aucthoritatem ... posse pro-
■u videre de potenti et formidabili brachio iusticie apud ipsum
-u D. Pretorem ad hoc ut timor iusticie sit in ipsa civitate preser-
^< tim contra renitentes et contumacesses solvere taleas et collectas
li impositas in dieta civitate, ut omnia debito fini demendetur iuxta
■ti dispositionem iusticie et disposita ae ordinata per eonsilium ge-
■u nerale diete civitatis etiam expendendi de bere comuni prout
■" predietis dominis ellectis expediens visum fuerit » (2).
Contemporaneamente altri creditori s'aveano da far tacere. A
un Pietro Martire Cacarana, che doveva avere L. 650 imperiali, si
<:hiese una proroga « etiam solvendo aliquo interesse » ; una pro-
roga si chiese a un Michele ebreo, ancora creditore per eerti drappi
mandati al funerale di Francesco II, a lui pure « solvendo etiam
« interesse more iudaico » (3); finalmente per soddisfare un tal
Cesare da Pietrasanta, che, sembra, col tramite di Fernando de' Silva,
■castellano di Rocca nuova, avea date L. 666, impiegate ne' lavori
■del vallo pavese, e che minacciava « captivitatem fieri de persona »
-di Vincenzo de' Bossi, garante, si deliberò di prendere da Pietro
(i) C. C. G., i536-'37, fol. 106, cons. 22 ottobre '36.
(2) Ibid., fol. 109, cons. 4 novembre '36.
(3) Ibid., fol. 103, cons. 15 ottobre '36.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 33 1
Maria de' Bossi e da Gian Giacomo de' Morselli una certa quantità
di fieno e magari anche dì vino, tanto da cavarne la somma ne-
cessaria (i).
In tali condizioni ci appare l'ardito tentativo degli amministra-
tori di restringere il consiglio, diminuendone quasi a metà il nu-
mero de' membri, sul cui vero significato non abbiam modo di pro-
nunziare un giudizio sicuro. Esso ci è naturalmente presentato dal-
l'atto consigliare come un provvedimento utile, necessario, onesto:
ma forse si voleva soprattutto escludere qualcuno, e poi sappiam
bene quel che s'ha da pensare sulla croce del potere e chi la regge.
Noteremo solo che quel tentativo mirò proprio, inutilmente, allo
scopo contrario a quello che, poco appresso, ottennero i plebei:
fu insomma un vano tentativo di « serrata » in danno di costoro,
che invece stavano giocando agli avversari un tiro ben più felice.
Ecco il resoconto: « Quanta sit difficultas et labor in omni tem-
ii pore anni congregandi consilium generale diete Civitatis ob ino-
« piam virorum desideratorum in tempore sevissime pestis anni
■u 1524 et atroximorum bellorum preteritorum nemo est qui ignorat.
M Et si qui pauci nunc sunt vix a cottidianis et gravissimis ac pri-
« vatis implicationibus ob qualitatem temporum auctis se explicari
« queant. Adeo quod aliquando et multociens congregatio ipsius
u consilii fieri non potest in maximum ipsius civitatis dedecus et
^< damnum. Qua propter p.^' domini con.*"'' volentes huiusmodi in-
« demnitati sucurrere ordinaverunt et etiam ordinant fore per
« agentes diete comunitatis lll.'^o et R."io Senatui Cesareo Medio-
u lani supplicandum ut dignetur dispensare ac de novo concedere
a non obstante statuto diete Civitatis scilicet quod Consilium generale
« diete Civitatis sit óo.^^ virorum modo reformelur in n.'' 36 et in
.< electione dicti consilii que fieri solet in calendis ianuarii cuius-
M libet anni, dimidia pars ipsorum consiliariorum remaneat tan-
« quam edocta et informata in rebus gestis dicti comunis in anno
« prox. preterito et alii viri 18 eligantur usque ad supp.^""^ dicto-
« rum virorum 36, qui non fuerint de dicto Consilio per annum in-
« tegrum et sic pars illa dimidia, que tanquam instructa et infor-
« mata remansit in dicto Consilio: tale munus consìUarii non ex-
^i cedat bienii spacium, et vacet a tali electione per annum inte-
(i) C. C. G , i536-'37, fol. 108, cons. 4 novembre '36.
332 FELICE FOSSATI
« grum antequam iterum eligatur adeo quod brevi in tempore
u maior numerus virorum post longas et varias animi perturba-
u tiones et corporis fatigationes nec non expensas nec damna passa
a condiscat prò munere huiusce officii solum odium aquisivisse et
« cottidie aliquo procaci titulo, vel petulantibus verbis a perditis-
« simis insectari quod extreme dementie est » (i).
Ma intanto che i nobili vagheggiavano simiU riforme in Vige-
vano, i plebei ne facevano citare i rappresentanti a Milano per i
conti sull'amministrazione, cosa che riusciva « in maximum dedecus
« et damnum " della città e specialmente del consiglio. Il quale
protestando contro gli spergiuri che propalavano ciò che si faceva
nelle sedute (2), ordinò ad Antonio Maria da Parona, Tommaso
de' Ferrari Fantoni, Giov. Andrea de' Cocchi di presentarsi, con i
colleghi eletti il 13 ottobre, « in Civitate Mediolani coram 111."^° et
« R."^° Senatui ac coram quocumque alio indice in causa calculi
u electo contra dictos plebeos sive excitatores plebis et eos prò
« honore huiusce presentis congregationis confondere dictos fau-
« tores et eos debitis penis huiusmodi facientes puniri facere ad
« perpetuam rei memoriam ut ceteris transeat in exemplum cum
« authoritate expendendi de aere comuni » (3). E il Cocchi il 13
novembre, tornato da Milano, avvertiva che per la Hte contro gli
eccitatori dell'indotta plebe era opportuno « sindicatum facere in
u dominos rationatores »» della città, affinchè potessero legittima-
mente presentarsi ai giudici, e soprattutto portar i libri a Giuliano
Piscina, che sembra dovesse rivedere i conti successivi alla sen-
tenza da lui altra volta emanata, la qual cosa i consiglieri fanno (4).
Da una parte le faccende volgevano bene per il consiglio (5):
(i) C. C. G., i536-'37fol. 109, cons. 4 novembre '36. In margine: « Ex.
« et data agentibus comunis Vigl.ni ».
(2) .« Quare p.ti domini cons.»"" premissis intellectis et precipue quia in ipso
« Consilio non est habita fides imo si in bis fides esset in quibus esse deberet
« utique non laboraretur quod ea que hic aguntur sub debito silentio conservaretur
'< quare cum multi sint qui nec Deum pre oculis habentes qui in principio anni
« iuraverunt omnia secreta tenere nec eorum honorem curantes omnia pandant
« dictis fauctoribus volentes buie nefarie dementie providere ordinaverunt etc. ».
(3) C, C. G., i536-'37, fol. no, cons. 6 novembre '36.
(4) Ibid., fol. 112, cons. 15 novembre '36.
(5) Cfr. Trih. XII provv., i556-'37, fol. 112, cons. 29 ottobre, da cui si
ricava aver Giov. Maria del Pozzo portato lettere dal senato disponenti « non ob-
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, E?CC. 333
si direbbe che il senato risolvesse di salvar capra e cavoli, appro-
vando l'opera degli amministratori vecchi e schiudendo le porte
del comune alla plebe. Infatti il 19 novembre il console Tommaso
de' Ferrari Fantoni espose nell' adunanza che la questione dei
<:onti contro gli eccitatori dell'indotta plebe era « satis ad bonum
n portum reducta.... sed in omnibus », aggiungeva, « opus est pe-
■u cuniis et precipue quia obtinuerunt a R.f^o Senatu posse aducere
M fortem executionem a civitate Mediolani a M.^o cap.^ iustitie sed
41 opus est in isto etiam pecuniis quia bigari nollunt venire nisi ali-
i< quas habeant pecunias..... » (1). E proprio di questi giorni i
•creditori tornavano alla carica: il referendario, Polo, il Silva, men-
tre ogni tanto venivan proteste perchè non si potevano fare gli
•estimi (2). Alle quali difficoltà s'aggiunse ora anche la spesa dei
soldati, avendo i consiglieri ordinato al console che « omni excep-
« tione remota conducatur Vigl.»" tot milites sive bigari quot expe
u diens fuerit ad omnem executionem fiendam in ipsa civitate
-u Vigl."' absque ullo discrimine personarum, ut timor inferatur re-
-u bellanti plebe et precipue concitatoribus, eo maxime ubi timor
« non est ibi dominium neque prioritas esse non potest nec minus
■ii religio, dantes p.^i domini authoritatem predicto 1). Thome pre-
« missa faciendi " (3). L' 8 dicembre finalmente il console Gio-
vanni Andrea de' Cocchi, arrivato allora allora da Milano, poteva
-dare al consiglio la notizia che il senatore Egidio Bosso aveva
emanato la sentenza con la quale « approbavit administratores
li comunitatis fuisse et esse probos viros etc. ». Essa aveva tut-
tavia una parte alquanto amara, che quel senatore aveva pur or-
-dinato si facesse un nuovo estimo tanto dei beni immobili quanto
-de' traffici, entro un mese, sotto pena di 500 scudi, e poi chiedeva:
« triginta viros nominatos a p.^^ Consilio prò novo Consilio in anno
^ futuro eligendo quia dominatio sua vult novum modum dictum
-u consilium imponere eligen. quia etiam sic extitit supp.tum a p.^^
<( stante aliis litteris quibus cavebatur nihil novi fieri debere in executione talee,
■« executio debitarum talearum retardari non debere, et hoc contra voluntatem
« plebeorum qui nixi sunt nolle solitas taleas solvere », e poi il cons. 22 no-
vembre.
(i) C. C. G., i536-'57, fol. 114, cons. 19 novembre '36.
(2) Ibid., fol. 114 sgg., conss. dal 19 novembre all'8 dicembre '36.
(3) Ibid., fol. 114, cons. 19 novembre '56.
334 * FELICE FOSSATI
.. plebe et ordinatum a R.^^ senatu » : la qual elezione fu dai con-
siglieri tosto fatta (i). Che cosa essi pensassero circa le intenzioni
del Bosso non risulta, ma certo nulla di bene potevano prevedere:
a buon conto incaricarono i consoli di mandar varie persone a
Milano, le quali si presentassero al senatore per la questione della
riforma. L' incertezza non durò molto. Nella seduta del 26 dicembre,
dopo che i consoli ebber fatto conoscere la lettera onde i presidi
e maestri delle entrate avvertivano che s'era diminuita la imposta
quota mensile a L. 824 (2), Tommaso de' Ferrari Fantoni recò il
doloroso annunzio : « exposuit D. Thomas de Fer. fantoni
u consul legatus p.^' comunis qui ivit Mediolanum ad M.^um j)^ ggi.
u dium Bossum qui index dellegatus a K.^^ Senatu sive comissa-
(i) C.C. G., i536-'37, fol. 122, cons. 8 dicembre 36. Ecco i nomi: Jeronimoda
Parona, Cristoforo de' Rodolfi. Vincenzo de' Carboni, Francesco del Pozzo, Jeronimo
de' Rodolfi Merchisoti, Bernardino de' Gusberti, Giov. Maria del Pozzo, Pietro Maria
de' Bosii, Vincenzo de' Bosii, Tommaso de' Ferrari, Michele de' Cavalli, Antonio
de' Podessi, Antonio Maria da Parona, Gian Giacomo de' Morselli Carlevari, Vin-
cenzo de' Ferrari Lanzaloti, Giacomo de' Morselli Maze, Gian Francesco de' Po-
dessi, Giov. Antonio de' Ferrari Prearza, Matteo de' Bussi, Francesco de' Natali,
Giacomo de' Colli Tibaldi, Antonio de' Colli Quaglini, Alessandro de' Rodolfi
l^ose, Zanino de' Bastici Borioli, Giov. Andrea de' Cocchi, Giov. Andrea de'
Bosii, Giov. Antonio del Pozzo Marchetti, Guglielmo de' Previde, Francesco della
Fcclèsia, Stefano de' Bellazzi.
(2) Ibid., fol. 124, cons. 26 dicembre '36, « Egregii et nobiles amici ca
« ris.i essendo necessario per la occurentia delle guerre alla Cesarea M.ta pre-
« valerse de qualche aiuto extraor. de dinari da questo suo stato, et acciò che
« più certamente se possi sostenere la guerra fora del stato convene perseverare
et nella mensuale exactione : vero è che per diligentia quale se he fata de pro-
« videre de qualche parte d'alcuno altro canto per volontà de sua M.ta siamo per-
« fare alcuna detractione importante et precipue a quella vostra città et contado
« quale declaremo che della suma de lib. 1123, s. 13, d. 4 quale è stata fina a
« qui esser redduta in lib. 824 quale se haiano da pagare mensualmente ma
« per che è forza e necessariss.o che siano securi della certa esactione de questa
a suma, vi comettemo che il giorno de Inocenti al più tardo debiati mandare
« qui persona perita et ben informata del modo supra '1 quale havete pensato di
« providere a detta suma quale se harano da pagare ad ogni mezo mese. Altra-
« mente vi certificamo che ne sarà necessario perseverare secondo s'è fato sine
« a qui et perhò non mancharete de fare una bona resolutione et mandare qua
<c al deto tempo cum etiamdio darne aviso in quanto in queste nostre se contene
a alli agenti per il contado de quella città.
« Dat. Mediolani die XXJ dicemhris i<;^6 ».
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 335
« rius in causa diferentie que vertitur et versa est in civitate Me-
u diolani predicta inter ipsum comune ex una et Julianum de Ar-
« diciis et Camilum de Collis excitatores et fautores rebellionis-
« plebis ipsius civitatis nititur p.tus D. Egidius vele destruere mo-
a dum et formam iam vetustissimam eligendi consilium novum
Il omni anno ut moris est et ut disponitur ex forma ipsorum statu-
" torum ac etiam deponere omnes qui nunc sunt de Consilio, et no-
K vum consilium novorum hominum imo plebeorum totum suplere^
" quod penitus esset extirpare ipsam civitatem imo ipsi cives an-
11 tequam a plebeiis et infimis personis regerentur a dieta civitate
a se penitus abdicarent, quare provideri petunt aliter etc.
« Quibus sic dictis et diligenter intellectis p.^' domini Con/»
« graviter tolentes premissa exposita imo mirantes talia fuisse facta
" vel fieri debere a tali viro, icirco ordinaverunt tali provisioni
« senatoria fore obviandum per vias ac tramites quibuscunque que
" inveniri poterint ad hoc ne talia in civitate ipsa Vigl."i fierent
« que nunquam facta fuerunt, videlicet quod domini a servis et
" infimis personis regerentur quod simile esset in civitate ipsa
« Vigl."i et prò obviandum bis et que oriri contigerint si talia per-
it severarent, eligerunt infrascriptos dominos videlicet D. Ant.™ ma-
« riam paronam, D. thomam de fer. fantoni, D. Frane.'" de putheo,.
" D. Vin."i bastiam boriolum.
« Quibus omnibus dederunt et dant omnimodam authoritatem
e cuicunque ipsorum in solidum providendi ad hoc ne predicta
« electio iam solita non perseveret, imo quod duret, et si aliqua
Il alia ordinatio facta sit per p.^"™ M.*^"'" D. Egidium tolatur et au-
« feratur etiam per R."" Senatum ac R."^ Cardinalem si opus fuerit
« ac per omnes illas vias quibus viderit fore necessarias et op-
« portunas.
« Ordinaverunt etiam p.^ì domini consiliarii quod suprascripti
« domini ellecti in causa mensuali referant in Consilio M.^or- magi-
« strorum intratarum or. qualiter propter diferentiam que vertit
« inter ipsam comunitatem et plebeanos ex alia non comode pos-
« sunt providere prò dicto mensuali quia dubitant de privatione
« ipsorum consiliariorum nec sciunt quomodo et qualiter disponere
« debent ac etiam quia in dieta mensuali solutione graviter gra-
u vantur prò inequali distributione inter ipsam comunitatem et co-
« mitatenses, et quod M.^i ipsi vellint dictam distributionem aco-
u modare.... w.
33^ FELICE FOSSATI
Egidio Bosso avea davvero giocato un brutto tiro ai nobili
vigevanesi, e il cancelliere Simone del Pozzo, registrandone la
sentenza, non trascurò di dirne qualche po' di male. Dal volume
Titoli e Memorie (i) copiamo testo e commenti:
u Nova forma data per M.^um £>, Egidium Bossum caes. sena-
■« tore prò novo Consilio elligendo quae postmodum fuit moderata
« per subsequentem senatoriam ordinationem.
« Multe erant controversie inter Julianum Ardicium et consortes
« cives viglevanenses ac deputatos et regentes M.'^^'" Comunitatem
-« Vigl."i diversis ex causis introductis in ampliss.^ et ex.o Senatu
« Mediolani et demum demandate cognitioni M.^» et Clariss.' Sena-
-« toris D. Egidii Bossi. Quarum licet multe sopite per p.^J Senatoris
u et Dellegati ordinationem fuerint, alie tamen superant decidende
-u et eius cognitioni reservate : illa presertim ut daret certam formam
« elligendi Consilium Generale diete civitatis; hecque controversia
« duas potissimum difficultates introduxerat, unam per Statutum
u Viglevani dans modum ellectionis vult quod elligantur sedecim
« viri ad sortes quorum ellectorum quilibet tres elligere possit
M alios vero duodecim pretor Vigl."' elligat et tamen statutum non
« disponit quonam isti sedecim viri ad sortes elligi debeant. Al-
l' tera dificultas erat quod consiliarii annorum preteritorum et suc-
« cessivis annis se invicem elligebant et idem semper erat consi-
M lium, quod absurdissimum esse nec tollerandum cives ipsi vigle-
■u vanenses dicebant unde ecc^u^ senatus prius a pretore Civitatis
« predicte per litteras certioratus quinam modus in preteritum
« servatus fuisset, negotium sudectum dellegavit p.^o D. Egidio de-
« cidendum qui multotiens partibus ipsis auditis habitisque etiam
M ab ipsis partibus et singula eorum cedulis eorum quos putaret
« viros probos et integros diete civitatis esse, volens prefatus M.^"»
« Senator et delegatus controversie finem imponere in hac devenit
« sententiam et ordinavit et ordinat quod infrascripti sedecim viri
M in pede presentis ordinationis descripti sint loco illorum sedecim
« virorum ad sortes ex dispositione memorati statuti elligendorum
4i qui ad formam statuti tres prò singulo eorum elligant viros pro-
u bos bone conditionis et fame gravans eorum conscientias, ut
M bona fide et sine fraude dictam ellectionem faciant, qui elligendi
-« una cum duodecim elligendi per D. Pretorem Vigl."i ad formam
(i) Fol. 25.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 337
«« dicti statuti numerum sexaginta virorum perficiant, ea tamen con-
« ditione adiecta ne predicti possint aliquos ex his qui anno pre-
« senti 1536 fuerunt elligere. Pretor autem duodecim ex consiliariis
■41 anni preteriti probis viris et utilioribus elligere teneatur et alio
M modo ellectio facta non valeat. Hique sexaginta modo premisso
M elligendi Consilium Generale diete Civitatis prò anno futuro fa-
« ciant prò successivis autem annis hec forma servetur, quod per
« mensem ante fìnem anni pretor Vigl."» per tempora existens ce-
! M dulam triginta virorum ex his qui tunc consiliarii non erunt, et
« integritate et probitate idoney videbuntur ecc.^no senatu trasmittat
'« ecc.'""^ que senatus, vel ille senator cui senatus iniunget, sedecim
■u viros ex his elliget. Qui loco illorum sedecim virorum ad sortes
M elligendorum ex dispositione preenarrati statuti tres prò singulo
^< eorum ad formam tamen in ceteris memorati statuti elligant ea
-M tamen conditione quod non possint elligere aliquos ex his qui
, ^ altero anno consiliarii fuerunt. Teneatur tamen Pretor pM Cìvì-
M tatis XIJ ex Consiliariis precedentis anni qui sibi meliores vide-
H M buntur elligere qui omnes sic ellecti numerum sexaginta virorum
ti perficiant. Quod consilium generale diete civitatis erit non possint
« tamen qui altero anno fuerunt et subsequenti anno per pretorem
« elligi tertio anno consiliarii elligi ellectio que aliter facta non
« valeat hancque formam p.f"^ M.<^"« senator ordinavit in perpetuum
il servari debere servatis in ceteris dispositione statutorum p.te Ci-
u vitatis.
u Quorum ellectorum nomina sunt hec videlicet
« D. Fabricius de vastamiliis, D. Stephanus de putheo, D. Clau-
i •« dius de fer., D. Vinc^ de Collis raynaldi, D. Barth."^ de tega-
^« malis, D. Hier.s de Bonfiliis, D. Jo. Jacobus de Gravalona, D. Ste-
': u phanus de bellaciis, D. Hier.» de podexiis, D. Vinc.^ de ferr. lan-
« zaloti, D. Jacobus de morsellis maze, D. Matheus de bussis,
u D. Jo. Ant.s de putheo marcheti, D Matheus de natalibus, D. Joh.
^ -« Jacobus Rodulphis, D. Paulus de rodulfis rosa ».
I Eh, se i nobili avevan tentato, con la proposta di ridurre i
r -consiglieri a 36, di serrar fuori del tutto la plebe e quanti con lei
P'. -amoreggiavano magari violando la segretezza giurata, con questa
sentenza venivan serviti a puntino! E il nostro cancelliere, uomo
di buon cuore, pio, religioso, ma anche, si direbbe oggi con un
certo linguaggio, conservatore della più bell'acqua o peggio, si
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXIT, Fase. Vili. 22
338 FELICE FOSSATI
sentì offeso da tanto eccesso, e come in una nota marginale, di
fianco alle ultime righe (« quod consilium generale » ecc.), ebbe a
giudicare: « tantus est in hac parte sensus obturatus et a puero
« scripta quod vix sensus colligi potest », in fondo rincarò la
dose: « Quanta fuerit hec ordinatio futilis licet a senatore facta,.
« legat sequentem moderationem ab Ecc.^o Senatu factam », Alla
quale « moderationem w, ricopiandola nello stesso volume, sentì
il bisogno di metter un piccolo cappello, anch'esso significativo:
u Cum agentes prò civitate Vigl."' vidissent tam enormem provi-
u sionem et si fas esset dicere sub alio vocabulo appellaretur, ad
« Ecc.™ et Ampliss.™ Senatum habuerunt recursum, a quo prout
u infra provisum fuit ». E trascrive la seguente :
u Ordinatio R."^i et Ampliss.' Senatus moderatio.
« Narrabat Advocatus Mag.^^ Communitatis Viglevani et Re-
« gentium dictam Civitatem M.<=""^ et Clariss. Senatorem D. Aegi-
« dium Bossium in causa mota per Julianum Ardicium et consortes
« viglevanenses ordinasse quod Consilium generale dictae Civitatis
u alio modo crearetur, quam antiquissiraa consuetudo et dispositio
« statuti per Excellentiss. Senatum confirmati dictarent; quinimo
« ex ea ordinatione sublatum esse fere totum statutum, quod qui-
u dem dicebat de iure fieri non potuisse, nec ad iudicem pertinere
u tollere dispositionem legis tanto etiam magis, quia Civitas pre-
« dieta adeo exinanita est hominibus ut impossibile sit tantum nu-
« merum hominum reperire qui viri probi et idonei sint ad eam
« civitatem regendam et bene administrandam interesseque in hoc
« publicum versari ut Civitas bene regatur, et a probis et ditioribus
u nec se imisceant administrationi sordidi homines et pauperes, qui
u cum non sua minus publica regere sciant, quod si ordinatio pre-
« dieta executioni mitteretur fieret confusio et coluvio hominum
« adeo ut exinde certissima Civitatis predicte ruina coniecturari
« possit. Propterea petebat his et aliis efficacibus rationibus ut
u Ecc.us Senatus sublata ordinatione p.t» M.^i Senatoris D. Egidii
u Bossii ordinaret statutum et consuetudinem esse iuxta quod pre-
« cedentibus annis servatum erat, et nunc observari debere.
« Respondentibus autem advocatis nobilium et plebeorum Ci-
« vitatis Vigl."i regentes ipsam Civitatem excecatos adeo avaritia
« et cupidine dominandi ut se ipsos longo tempore in Consilio et
« regimine dominandi Civitatis ipsius perpetuaverint et ideo cum
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 339
« videret reliquum Civitatis res suas dilapidari petiit ab Ill."»o eteune
« memorie Duce Franc.o 2.° provider! qui ad eam Civitatem do-
« minum Julianum Piscinam destinavit, instantibus presertìm Juliano
a Ardicio et Camilo Colla sindicis universitatis, a quo Piscina de-
« cisis nonnullis controversiis adhuc non potuerat obtinere ut re-
« feret quo modo se regentes memorati gesserant in administra-
« tione; verum adeo invaluisse pravos mores, ut semper in deterius
« res recitatae Civitatis iverint et propterea sindici predicti iterum
« Senatum eccell.™ adiverunt a quo in iudicem obtinuerunt M.^um
« et integerrimum senatorem D. Egidium Bossium a quo electis
« calculatoribus licet compertum fuisset regentes ipsos male se ge-
« sisse liberati fuerunt, sindicis nominatis tamen absentibus (i),
« ea ratione quod eis hec utrinque agitabatur expensis nobilium
« et plebeorum, et ea ratione quod in ordinatione liberationis partes
« se remiserant circa reformationem Consilii apparere et iudicio
u p.^i Senatoris. Qui tandem divino afflatus spiritu ordinationem
« fecit de qua adversarii conqueruntur. Et quia satis est ad causam
u hanc illam ordinationem recitasse, quando ille potissimum ab
« officio publico amoveri debet, qui illud totis viribus ambit pe-
u tentibus nomine dictorum Juliani et Camili universum corpus ci-
u vitatis representantium ordinari perseverandum esse in ordinatis
ti et adversarios de integro cogendos esse ad reddendam rationem
u velificationis (2) suae.
«.Senatus censuit die crastina esse providendum audito M.^o
« D. Senatore D. Egidio Bossio.
« MDXXXVIJ die XVJ januarii.
u Audito p.to M co D, Senatore ordinatum fuit persistendum
u esse in ordinatione per eum facta sub die XX decembris pro-
u xime decursi circa modum elligendi Consilium Generale et eam
« approbavit et confirmavit reiecto tamen numero virorum sexa-
« ginta. Ita quod quemadmodum viri sedecim habebant elligere tres
« prò singulo eorum, elligant solum duos qui faciant XXXIJ sive
(i) Questo documento fu pubblicato nella ristampa degli statuti nuovi, di
%. cui esiste una copia nell'Arch. civico. Tale copia ha assentieniìhus invece che
;" absentibus.
(2) Copia : villicationis.
340 FELICE FOSSATI
« 32 et alios ceto elligat pretor a se ipso ex consiliariis precedentis
« anni. Qui sibi meliores videbuntur iuxta dictam ordinationem
« absque eo quod teneantur mittere listam XXX virorum ad Se-
« natum. Ordinavit quoque quod illi regentes teneantur reddere
« rationem administratorum sicuti tenebantur ante factam dictam
« liberationem et illa non obstante.
u Sigillata in cera rubea in sigillo imperiali solito et consueto.
« In angulo Jo. Robius ».
Questa sentenza contentò il Pozzo, sebbene producesse un certo
« incomodum » : dopo di essa infatti notò : « Hec mutatio evenit
u divina providentia quia aliqui erant qui ob tempora preterita
u quorum nomina ad honestatem non exprimuntur sibi in republica
4( supremam atribuebantur autoritatem inferendo Civitati ipsi infi-
ci nita damna, et ita eo ordine tales ab eorum imperio remoti fuere
« Tamen ista variatio tullit Urbi aliud incomodum quia qui in
M uno anno sunt in ipso regimine edocti et cum aliquo proposito
« salutifero patrie faciendi in anno prox. futuro tunc ab autoritate
M consiliaria removuntur et ita res bone in opinione consiliariorum
« in futuro anno remanent imperfecte » (i).
L'elezione del u consilium novum » per l'anno 1537 è regi-
strata nel solito volume (2). L'intestazione è precisamente questa;
u Electio dominorum XL.t» Consiliariorum Consilii generalis Civi-
u tatis Vigl."i per dominos XVI ex nova forma facta per M.^um
41 D. Egidium bossum cesareum senatorem sive per R.""^ Senatum
« Civitatis Mediolani et pA... », e fu fatta, avverte una nota mar-
ginale, « Coram Ms^ D. Alexjo byrago hon. pretore diete Civitatis
« die XXJ Januarii, prius delato juramento singulo eorum electorum
M ad formam statutorum dieta Civitatis >• : poi viene senz'altro la
lista dei nomi. Matteo de' Bussi elegge Baldassare de' Morselli
Selle e Francesco de' Colli Ottini ; Matteo de' Natali : Vincenzo de'
Previde Massara e Giov. Pietro de' Rodolfi Merchisoti ; Stefano de'
Bellazzi : Antonio de' Previde Maffini e Giov. Andrea de' Bossi ;
Vincenzo de' Colli Rainaldi : Gian Giacomo de' Ferrari Mombelli
e Giov. Agostino de' Colli ; Bartolomeo de' Tegamali Vagini : Gian
Pietro della Ecclesia e Paolino de' Morselli Maze ; Jeronimo de'
(i) Tit. e Mem., fol. 26.
(2) C. C. G., i536-'37, fol. 150.
LA PLEBE VIGEVANESE ALLA CONQUISTA DEI POTERI, ECC. 34!
Galliate Ronfili : Andrea de' Galliate Ronfili Zanotti e Vincenzo
de* Ferrei Giovannetti da « Faravegia » ; Jeronimo de' Podessi :
Gerardo de' Rossi e Gian Maria de' Gravalona Alioli ; Claudio
de' Ferrari Giuli : Giovanni de' Vii Grassi Mazenoni e Tom-
maso de' Ferrari Oli; Pietro Antonio de' Gravalona Alioli, in-
vece del fratello Gian Giacomo, assente : Giov. Antonio degli
Ardizzi e Tommasino della Costa Zucconi ; Vincenzo de' Ferrari
Lanzaloti: Matteo de' Carboni e Stefano da Parona; Gian Giacomo
de' Rodolfi Merchisoti : Francesco Scipione del Pozzo e Pietro An-
tonio de' Ferrari Prearza; Stefano del Pozzo, figlio di Francesco:
Cristoforo de' Cavalli e Rattista de' Montani Ambrosi; Paolino de'
Rodolfi Rose : Giovanni de' Merli Mortarini e Paolo de' Cocchi ;
Antonio del Pozzo Merchisoti : Giovanni da Parona, figlio di Fi-
lippo, e Giovanni de' Rodolfi Zani ; Giacomo de' Morselli Maze :
Giacomo de' Cocchi Lombardi e Rattista de' Repossi Porini. Fa-
brizio de' Vastamigli aveva eletto Marco degli Ottoni e Gian Gia-
como de' Rergondi, ma « loco et scontro sue prime electionis quia
« doctores excusantur a tali munere de man.^^ p.^ì M.^J D. pretoris
« et negant vele venire », il 26 li sostituì con Rei tramo de' Riffi-
gnandi Paliari e Gian Giacomo de' Crosio Oregia. Così pure Matteo
de' Russi aveva dato il voto a Camillo de' Colli, ma lo sostituì in
seguito col Morselli « per litteras senatorias ». Il pretore poi scelse
otto altri membri « ex veteri Consilio » : Melchiorre de' Podessi,
Antonio de' Podessi, Francesco da Lodi, Rernardino de' Vitanei,
Vincenzo degli Scotti Fragulini, Rernardino de' Gusberti, Rernar-
dino de' Forno Minelli, Rattista de' Decembri Cusini,
I vari ufficiali vennero eletti nell'adunanza del 22 successivo^
con l'intervento del pretore, dei consoli Giovanni Andrea de' Cocchi
e Tommaso de' Ferrari Fantoni, e di trenta consiglieri, « in primis
« invocato divino auxilio ut decet ». Furono consoli: Vincenzo degli
Scotti FraguUni e Giov. Agostino de' ColU Luci ; sindaci : Claudio
de' Ferrari e Francesco Scipione del Pozzo ; stimatori : Rattista
de' Decembri Cusini e Paolo de' Cocchi ; revisori : Tommasino della
Costa Zucconi e Francesco de' Colli Ottini; servitori: Vincenzo de*
Giudici Alieti, Matteo de' Preguzi, Zannino de' Quaglia MazoUi e
Matteo de' Sannazzaro Magnini ; i XII di provvisione per gennaio,
febbraio e marzo : Giov. Andrea de' Cocchi, Tommaso de' Ferrari,
Vincenzo de' Previde Massara, Francesco Scipione del Pozzo, Già
corno de' Morselli Maze, Rernardino de' Gusberti, Jeronimo de
342 FELICE FOSSATI - LA PLEBE VIGEVAÉfESE, ECC.
Rodolfi Merchisoti, Michele de' Cavalli, Giov. Andrea de' Bossi,
Melchiorre de' Podessi, Bernardino de' Vitanei, Francesco da Lodi ;
giudici delle strade : Antonio Maria da Parona, Fabrizio de' Va-
stamigli, Gian Giacomo de' Ferrari Mombelli ; tubatori : Paolo da
Cannobio e suo figlio Giovanni; cancelliere « publicorum actuum
i( diete Civitatis, consiliorum generalium Dominorum XII, incantuum
« et aliorum actuum Civitatis » : Simone del Pozzo ; « ad libros
« actorum dati et recepti et libri grossi diete Comunitatis diete
« Civitatis w : Cristoforo de' Rodolfi, a cui si doveva poi dare un
collega ; razionatori : Gian Giacomo de' Ferrari Mombelli, Francesco
de' Colli Ottini, Bernardino de' Vitanei, Gerardo de' Bossi. Ber-
nardino de'Gusberti, « volens.... uti beneficiis statuti diete Civitatis ",
si dimette da consigliere, e il pretore lo condanna a pagar dieci
fiorini.
Così dunque per il 1537 la plebe di Vigevano ha conquistato,
la prima volta, il consiglio comunale.
Felice Fossati.
Giovanni Battista Fontana o Fonteio
scrittore milanese del sec. XVI
I.
Notizie sulla vita di Giovanni Battista Fontana.
Giovanni Battista De Rossi, discorrendo d' una silloge antica
■d' iscrizioni milanesi, adoperata dall'Alciati e dal Fontana, assegna
la morte di costui all'anno 1555, ed in nota aggiunge che il Si-
gonio, stampando nel 1580 la sua Storia del regno d'Italia, ne de-
plorò la perdita come avvenuta di recente (i). In vero, nell'edizione
suddetta e nell' indice si legge : « Jo. Baptista Fontana Mediola-
« nensis, qui nuper magno historiarum detrimento est mortuus ».
Non essendo possibile che il Sigonio nel 1580 deplorasse come
recente una morte avvenuta venticinque anni prima, e ritenendo
perciò come erronea la data 1555, mi venne tutt' insieme la curio-
sità di conoscere donde nascesse l'errore del De Rossi, errore ri-
petuto dietro a lui dal Ferraj (2) e dal Duchesne (3), e chi fosse if
Fontana da lui citato. Consultai quindi la biografia che di costui
leggesi nella Bibliotheca scriptorum mediolanensium dell' Argelati (4);
ma la trovai sotto vari rispetti manchevole ed anche erronea, come
ora dirò.
Anzitutto non sono ivi indicati né l'anno della nascita, né
l'anno della morte ; talché chi volesse sapere in qual tempo visse
(i) Inscript. Christianae, voi. II, par. I, p. 174.
(2) Nel Boli dell'Istit. stor. Hai, fase. XVI, Roma, 1895, p. 19.
(3) 5. Barnabé nelle Mélanges De Rossi, p. 31 dell'estratto.
{4) To. I, par. II, col. 445.
344
FEDELE SAVIO
il Fontana, bisognerebbe si contentasse dei due indizi che vi si
danno, cioè dell'elogio suddetto fattogli dal Sigonio (quantunque
errino il Puricelli e l'Argelati, dicendo che esso si trova nel libro XV,
mentre dovevano dire nell'indice, pubblicato dopo i primi quindici
libri, i soli che si stamparono vivente il Sigonio, f 1584) e delle
relazioni che ebbe il Fontana col cardinale Francesco Alciati. Sic-
come quest'ultimo fu fatto cardinale nel 1565 e visse fino al 1580,
ne abbiamo argomento per conchiudere che il Fontana fiorì tra
il 1565 ed il 1580.
Essendo stato il Fontana un raccoglitore d'iscrizioni, ricorsi pure
al Mommsen, nel Corp, inscript, lat.y voi. V, par. II. Ma questi, contro
la sua consuetudine di dare in capo ad ogni città, di cui tratta»
una notizia biografica e bibliografica degli scrittori che raccolsero
le iscrizioni di quella stessa città, omette la notizia del Fontana.
Solo ne parla per incidenza a proposito della silloge d'iscrizioni
sacre, vista dall' Alciati e poi dal Fontana, e di questo cita le vite
manoscritte degli arcivescovi di Milano da S. Barnaba sino a Gio-
vanni Arcimboldi (f 1555), le quali stanno nel codice V, 35 sup..
dell'Ambrosiana.
La cifra 1555, posta dal Mommsen accanto al nome dell'Ar-
cimboldi, mi fece conoscere l'errore del De Rossi, che prese per
data della morte del Fontana, quella che il Mommsen segnò come
data della morte dell'Arcimboldi.
La citazione però dell'opera inedita del Fontana sugli arcive-
scovi di Milano, che il Mommsen probabilmente tolse dall' Argelati,
non sarebbe a rigore del tutto esatta ; poiché il Fontana ebbe per
lo meno l' intenzione di comporre anche le vite di due successori
dell'Arcimboldi, cioè dell' Archinti e di S. Carlo Borromeo, onde
scrisse i loro nomi nell' indice in principio del manoscritto, e a suo
luogo nel testo, quantunque poi lasciasse in bianco la loro notizia.
Donde ne ricaviamo che le vite dei vescovi milanesi egli le scrisse
al tempo di S. Carlo, cioè tra il 1560 ed il 1584. Questo tempo
inoltre si può restringere d'assai percorrendo il manoscritto stesso
del Fontana, dove spesso egli cita e adopera la Storia del regno
d* Italia del Sigonio, che vide la prima volta la luce a Venezia nel
1574. Ivi è pure una prova delle relazioni di amicizia, che corre-
vano tra lui e il Sigonio, perchè a p. 8, sotto Arsacio, ei cita una
cronaca mandatagli dal Sigonio : Cronica Balborum missa mihi a
Carolo Sigonio.
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 345
Ho detto che la Storia del regno d'Italia del Sigonio comparve
nel 1574 a Venezia ; ma in questa prima edizione non aveva in-
dice. L'indice il Sigonio lo pubblicò a parte nel 1576, mosso dal
desiderio di correggere gli errori che si erano infiltrati nell' edi-
zione suddetta di Venezia, e che si ripetevano in edizioni fatte
altrove. Esso non comprese soltanto il catalogo delle storie e degli
archivi consultati dal Sigonio, come sembra dire il Muratori (i),
ma oltre a questo catalogo ed alle correzioni, di cui ho parlato,
comprese le liste degli imperatori, dei papi e di molti principi e
vescovi italiani, vissuti nel periodo, a cui si estendono i quindici
primi libri della Storia, cioè dal 565 al 1199. Sulla fine evvi pure
la lista di coloro, che « ad haec conquirenda et colligenda aucto-
« ritatem, studium operamque suam praestiterunt » ; ma tra i nomi
di questi personaggi non v' è quello del Fontana ; il quale al con-
trario trovasi (ed è l'unico nome aggiunto alla lista precedente)
nell'indice dell'edizione del 1580 (2), segno certo che nel 1576 il
Fontana era ancora vivo, e che egli morì solo nel 1580 o al più
nel 1579.
Qualche altra notizia sul medesimo Fontana potei raccogliere
in due dei numerosi volumi, che formano la corrispondenza di San
Carlo Borromeo, conservata nella biblioteca Ambrosiana, serven-
domi di guida non meno un repertorio di detta corrispondenza, in
due volumi, che ivi pure si conserva, quanto l'erudizione e l'espe-
rienza del chiarissimo vice prefetto della bibhoteca, dott. Achille
Ratti, sempre così cortese nel favorire gli studiosi.
In una lettera del 26 febbraio 1575, Cesare Spedano, scrivendo
da Roma a S. Carlo, così si esprime :
« Nel rivedere li memoriali, che la S. V. 111. ma mi lasciò, ne ho
'< trovato uno di quello mes. Gio. Batt. Fontana Milanese, al quale
" il Sig. Arciprete voleva già resignare l'Arcipretato di cotesta
" Chiesa (3), et perchè questo giovine mi pare di buona riuscita^
(i) Nella Vita del Sigonio, in capo al I volume del Sigonio, Opera omnia,
ediz. di Milano, 1732, in sei volumi, p. ix. Una copia dell'indice del 1576 sta
nella biblioteca Ambrosiana. Non ha numerazione di pagine.
(2) È chiaro che si trova pure nella ristampa delle opere sigoniane fatta in
Milano nel 1732, nel voi. II. Anche qui l'indice non ha numerazione di pagine.
(3) Come si vede dal resto della lettera, si tratta della chiesa di Monte Rotondo.
34^ FEDELE SAVIO
M lo xiecordo a V. S. 111.'»*, acciò vegga di tirarlo a servire cotesta
u Chiesa » (i).
D nome di « giovane », che lo Spedano qui dà al Fontana,
può confermare l'afFermazione del Picinelli (e dell'Argelati), ch'egli
morisse di soli 33 anni ed insieme la nostra deduzione ch'egli mo-
risse nel 1580; poiché morendo nel 1580 di 33 anni, ne avrebbe
avuti appena 28 nel 1575.
In un'altra lettera del medesimo mons. Speciano a S. Carlo,
del dì 19 gennaio 1577, pure da Roma, così parla del suddetto
Fontana :
« Solicitando io messer Gio. Batt. Fontana acciò venisse costà
*( quanto prima, massime hora che tuttavia vanno continuando le
^< buone nuove di Milano, egli mi ha scrìtto l'alligata, che mando
^< a V. S. Ill."ia acciò la vegga il parer suo. Egli si presuppone
*i che in questi tempi V. S. IH.^a non habbia bisogno d'altre per-
« sone che di quelle che la ponno aggiutare nel servizio delle
*i anime et per questo si presuppone di poter star qui anche sino
M a tanto che sia cessato affatto il male, ed intanto vorria atten-
■« dere dXVHistoria degli Arcivescovi di Milano, nella quale fa
<< grandissimo progresso, e spera di far un libro grande come il
« Platino, se V. S. 111.'»* si contenterà di compiacerlo.
« Sarà forsi bene, che la mi scriva un capitolo da mostrargli
^i el qual limitr qualche tempo breve, acciò non attenda ad altro
a che a questo studio
« Mando la quitanza delle pensioni pagate all'Anglesio a nome
*i di Mons. Fontana ».
Ci dà pure qualche informazione sul Fontana un'opera di lui,
la seconda tra quelle che l'Argelati registra, mostrando però di
non averla veduta, ed è la Vita di suor Paola Antonia De Negri
milanese raccolta da Giovanni Battista Fontana de* Conti. Essa fu
stampata nel 1576, « Romae, in aedibus Populi Romani », ed è
unita alle Lettere spirituali della suddetta De Negri, pubblicate per
(i) Tomo 92 (numero in oro), lettera 61. In altre lettere degli stessi anni,
contenute in questo tomo 92 (107, 122) e nei tomi 95, 98, 99 si parla ancora
^i un Giovanni Fontana, ma non è il nostro, sibbene mons. Giovanni Fontana,
vicario generale di S. Carlo, che poi fu vescovo di Ferrara dal 1590 al 161 1.
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 347
<cura di Giovanni Paolo Folperto, in un volume in- 16. La Vita
porta una propria numerazione di pagine, ed ha pure un proprio
frontispizio, sul quale è disegnato il busto della De Negri. Era
costei una visionaria, morta nel 1555, che diede molti disturbi alle
allora nascenti congregazioni dei Barnabiti e delle Angeliche, ma
; che con apparenze di straordinaria santità eccitò pure l'entusiasmo
di molti ammiratori. Tra questi fuvvi l'ex-barnabita Giovanni Paolo
Folperto, torbido ingegno, il quale nel 1576 riuscì a Roma ad ot-
tenere il favore di molti insigni personaggi, tra cui il cardinale
Francesco Alciato, al quale dedicò le Lettere della De Negri. Queste,
per testimonianza di vari scrittori barnabiti, sarebbero state opera
■ non della De Negri, ma di un santo religioso barnabita, il padre
•Giovanni Pietro Besozzi (f 1584), sebbene uscendo alla luce fos-
sero falsificate in modo che la loro prima edizione, uscita in Mi-
lano nel ]564, venne soppressa per decreto dell' Inquisizione (i),
Non è ora il caso di trattare di questa questione, poiché per
<('Uanto riguarda il Fontana può credersi, che, come era stata sor-
presa dal Folperto la buona fede del cardinale Alciato, persona
degnissima, così potè essere sorpresa la buona fede di lui.
Ciò che importa ora di notare sono le notizie, che intorno alla
Vita del Fontana si possono ricavare dalla dedica, che di essa
~ egli fece a quattro personaggi, coi quali per diversi motivi era
legato, vale a dire monsig. Angelo Cesi vescovo di Todi, il P. Paolo
Constabili maestro del S. Palazzo, monsig. Alessandro Simoneta
già nunzio, ed il signor Giovan Tomaso Odescalchi, senatore regio
e ducale in Milano. Riferisco per intero i passi della dedica, utili
per la biografia del Fontana.
Rivolge dapprima il discorso al vescovo Cesi, e tra le altre
ragioni per cui crede dedicargli il suo lavoro, vi è pur questa:
« Perchè finalmente vivendo io sotto l'ali dell'illustrissima fami-
« glia Cesia dall'anno MDLXXII sin bora, e a quella tenendo
« immediatamente obbligo d'ogni mio tempo e servitù, non posso
u non consacrarle come suo, ciò che da me si produce; et havendo
" destinato alcune cose all' illustrissimo signor Cardinale, et altri
*i suoi fratelli, e nipoti, mi conviene offerire qualche segno di vo-
W
m
(i) Di lui tratta il P. Ungarelli, Bihlioth. scriptorum e congregatione Clerr.
R^gg. S. Palili, Roma, Salviucci, 1836, p. 520.
348 FEDELE SAVIO
u lontà verso di V. S. Rev."ia^ massimamente avendomi essa spesso,.
« e con effetti usato benigne dimostrazioni.... ho voluto dedicarle
u questa Vùaj raccomandandole l'opera, e facendomi debito di ri-
u conoscere e ricercare la protezzione di V. S. Reverendissima,
« che [da] tanto tempo mi è benefattore ».
Col P. maestro del S. Palazzo si scusa, con espressioni secen-
tistiche, della sua insufficienza nel descrivere la vita di una persona,
così eccelsa in santità e dotata del dono di estasi, visioni, e per
sua scusa allega il comando che ebbe di scrivere, e il breve tempo
di dieci giorni concessogli per ciò : « Con quali termini ho po-
« tuto esprimere l'alto spirito, e scienza infusa e estasi frequenti
« della Madre, vestito io di pensier terreno, dedito a studi profani^
« lontanissimo dal sapere né per libri, né per veduta, né per pra-
« tica, che cosa siano questi eccessi, e ratti, e prerogative, che pe-
u culiarmente godono l'anime, che solo cercano Iddio; anci per
« mia tracutagine, anci per vizio sempre essendone stato poco cu-
u rioso, e poco stimatore, di che chiedo perdono a sua Maestà di-
« vina.... Quasi stampate le lettere spirituali dell'Angelica dedicate
« a Monsignor Illustriss. Cardinale Alciato, per sodisfazzione di
u tutti fu deliberato d'aggiungervi la Vita: con questa risoluzione
« si venne a me, come da chi per instanza d'alcuni padri, et a
« prieghi de' Signori Deputati si era tenuto cura della correzzione
u della stampa. Hebbi originali di esami, relazioni, fede autentiche,
« e tante scritture che fatto haverebbero volume molto maggiore,
« che le lettere. Da quelli fui sforzato ritrarre in diece giorni,
« quanto .non harei ardito di promettere per diece settimane, es-
« sendo quelli sì confusi, et io altresì tanto obbligato, e con qualche
« indisposizione, se ben allegeritami dal Signore.... Sa poi anco
« V. P. R. qualmente io da principio non credendo fusse neces-
« sario di esser pubblicato per auttore di questa raccolta proce-
« devo più tosto come legittimo, e zelante Notaro, che o buono
« imitatore, o studioso compositore; et sa come sull'ultimo all'im-
« provviso, anzi essendo già il primo foglio di questa Vita sotto
« 11 torchio, per essere tirato, essa volse che si racconciasse, e vi
u si mettesse il mio nome, monstrandomi luoghi delli libri, che
« ciò comandavano. Se comportasse la spesa di fare tante parole
a avanti così picciola operina, direi quello che non é men vero,
« l'essermi stata questa materia novissima, non mai prima assag-
« giata, né eletta da mio ingegno, ma prescritta e circoscritta di
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 349
M, sua natura, e l'essermi finalmente convenuto trattarla in quella
■n lingua, in cui non ho fatto molte pruove, sempre essendomi in
« diverse esercitato ».
Rivolgendo la parola al senatore Odescalchi, porta varie ragioni
ài dedicargli l'opera e: « Finalmente (scrive) perchè già essendo
u sessanta anni, che la casa nostra tiene stretta servitù coli' illustre
« sua famiglia, e non solo V. S. tutto di continova in favorirci,
u ma fanno anco il medesimo Monsignore reverendissimo il Ve-
u scovo suo fratello, e Monsignor l'Abbreviatore suo nipote; perciò
u io non ho voluto, ne dovuto lasciarla in parte, anci nel cuore
« così in questa faticuccia, come in ogni altra impresa l'ho perpe-
» tuamente preposto per tutore principale; che così mi sforza a
■u fare il conto, che Ella tiene di mio zio, e tutti noi ».
Da quest'opera apprendiamo pure esser vero quanto affermano
il Piccinelli e l'Argelati, che il nostro Giov. Battista era della fa-
miglia Fontana de' Conti, e che era nipote di Primo de' Conti, che
al suo tempo fu considerato come uno dei più insigni eruditi di
Milano, ed a lui sopravvisse fino al 1593, nel quale morì nell'età
decrepita di 95 anni. Egli è lo zio di cui parla nella dedica al
senatore Odescalchi, e di cui altresì discorre nel corso della Vita di
suor Paola, dove racconta, che portò al concilio di Trento le let-
tere spirituali della De Negri: « Il venerabile M. Primo de Conti,
« uno tra quelle persone, a quali Iddio ha dato grazia di congiun-
« gere somma cognizione di gran dottrina con somma bontà di
« lunga vita, essendo da molti e principalmente da monsignor Carlo
« Cardinal Visconte allhora Vescovo di Ventimiglia instato di an-
" dare come theologo a quello celeberrimo Concilio di Trento, fu
« ammonito, et inspirato di portarci a vedere il libro di queste
« poche lettere della Madre Maestra » (p. 70).
Il cognome però, cl;e usualmente egli portava e gli era dato,
di Fontana, lascia credere ch'egli fosse legato alla famiglia De' Conti
per parte di donne, e quindi fosse nipote di Primo per parte di
una sorella o nipote di costui.
35^ FEDELE SAVIO
II.
Giovanni Battista Fontana è identico a Giovanni Bat-
tista FONTEIO PrIMIONE. — SuE OPERE.
Con questi dati si può ora meglio esaminare un dubbio del-
l'Argelati sull'affermazione del Picinelli (i), che il Fontana scri-
vesse Topera De Prisca Caesiorum gente. Ecco le parole dell'Ar-
gelati : « Opus hoc laudat Picinellus, ab eo tamen non didici
u editum fuerit, nec ne. Liceat interim mihi dubitare, Picinellum
« ipsum deceptum fuisse a titulo alterius Operis, nempe De Prisca
a Caesiorum gente Jo. Baptistae Fontei Primionis Comm. lib. II,
u Bononiae, 1582, in fol. ».
Questo dubbio non ha ragione di esistere, e il Fonteio autore
dell'opera, stampata in due volumi in Bologna, dalla tipografia di
Giovanni Rossi, sulla famiglia Cesi, è veramente il nostro mila-
nese Giovanni Battista Fontana. Chi ce ne assicura è il Bescapè,
il quale non solo visse contemporaneo (n. 1550, f 1615) del Fon-
tana, ma per gli uffizi sostenuti presso la persona di S. Carlo e
altrove, conobbe certamente da vicino il Fontana mentre viveva,
e dopo la morte di lui procurò di avere il suo manoscritto dei
vescovi ; come scorgesi da una nota di suo pugno (2) nell'ultima
pagina bianca del codice V, 35 sup. dell'Ambrosiana, che dice cosi :
u Collecta sunt haec a (3) Fontana viro docto Romae, inde
« ms. curavimus post eius mortem ».
Or egli in due delle sue opere, citando il manoscritto del Fon-
tana sugli arcivescovi milanesi, a proposito dell' iscrizione attribuita
al vescovo Protasio, lo chiama il nostro Fonteio o Fontana mila-
nese : « N. Fonteius seu Fontana mediolanensis » (4).
(i) Ateneo, Milano, 1670, p. 279.
(2) Che la nota sia del Bescapè potei verificare io stesso confrontandola con
altri scritti autografi del medesimo, che si conservano nell'archivio dei Padri
Barnabiti di Milano, apertomi dal gentilissimo P. Premoli.
(3) Il nome di battesimo fu lasciato in bianco.
(4) Nella Brevis historia provinciae mediolanensis, Milano, 1628, p. 54 dice
che la detta iscrizione in onore di S. Barnaba fu riferita dall' Alciato, e che :
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 351
Che se qualche dubbio potesse rimanere, dopo sì autorevole
testimonianza, valgano a dissiparlo le seguenti considerazioni.
Il Fonteio scrisse la sua opera sulla famiglia Cesi tra il 1570 ed
il 1582, cioè nello stesso tempo in cui fioriva e scriveva il Fontana.
Sebbene egli non la vedesse stampata, già aveva preparata la de-
dica al cardinale Pietro Donato Cesi, e quindi dopo il 1570, quando
il Cesi venne elevato' alla sacra porpora (i). Scrisse inoltre il Fon-
teio, prima del 1582, come si vede da una dedica al medesimo
cardinale, messa in fronte all'opera del Fonteio dall'amico suo
Giulio Giacoboni di Terni, che curò la stampa dell'opera, lasciata
inedita dal Fonteio per la morte sopravvenutagli.
Certo è pure che il Fonteio mentre scrisse la sua opera sui
Cesi, nel periodo 1570-1582, viveva a Roma (2), nella famigliarità
del cardinale Cesi, che nella dedica del libro De Prisca Caesiorum
gente chiama suo patrono. Ora dalle lettere dello Spedano, dalle
attestazioni del Picinelli, e dalla dedica della Vita di suor Paola
apprendiamo che a Roma si recò il Fontana, e che colà visse nella
servitù della famiglia Cesi dal 1572 in poi, ed occupato in studi
profani.
Il Picinelli e l'Argelati affermano che il Fontana andò a Roma
sotto la protezione del cardinale Francesco Alciato. Or bene, il
« N. Fonteius seu Fontana sumpsisse scribitur (sic) ex volumine quodam Sa-
« xonico ». Nell'operetta De metropoli ^mediolanensi, a p. 11, sempre a pro-
posito della stessa iscrizione, ripete : « quod etiam N. Fonteius seu Fontana Me-
« diolanensis ex volumine quodam Saxonico in Germania sumpsit ».
(i) CiACONio, Vitae et res gestae Rom. Pontif. et Carditi., ediz. Oldoino, to. Ill^
p. 1045.
(2) A p. 15 racconta il suo dubbio sopra un passo della Rettorica ad Erennio ^
dove il nome del poeta Cesio era letto da altri Celio, da altri Lucilio, ed i di-
scorsi che su questo punto ebbe in Roma con Battista Guarino, figlio di Ales-
sandro, commentatore di Catullo, e nipote dell'altro Battista Guarino, di Guarina
editore della suddetta Rettorica. A p. 91 riferisce che il Cicereio da Milano gli
l mandò a Roma certe iscrizioni (« Cicereius ad me Romam »). A p. 95 narra
di altre iscrizioni mandate da Vienna a Roma al suo amico il veronese Giu-
seppe Panfilo, agostiniano, vescovo di Segni (1570-1581). A p. 108 dice che una
lapide con iscrizione fu mandata da Orvieto a Roma al cardinale Cesi, e sog-
giunge: « quam vidi, sum dimensus et legi in hunc modum ». A p. 140, di una
iscrizione in S. Giorgio in Velabro dice : a quam spectamus in aede S. Georgi ».
Altra iscrizione da Vienna « ab Caesaris aula Romam ad me misit » il mar-
chese Alfonso II del Carretto del Finale (p. 165).
352 FEDELE SAVIO
Fonteio si mostra tanto entusiasta del celebre Andrea Alciato, che
su cinque o sei volte che lo nomina in tutta la sua opera, quattro
lo chiama col nome di grande, « magni Alciati » (pp. 57, 98, 122,
149), una volta poi lo chiama « Alciatum seniorem » con evidente
pensiero di ossequio al cardinale Francesco, quasi che costui già
fosse tanto celebre, da dover distinguere il primo Alciato col nome
di seniore, riservando a Francesco il nome di juniore.
Noto ancora la stretta relazione di amicizia che fu tra il Fon-
teio e il Cicereio, come scorgesi dalle iscrizioni dei Cesi, venute
dalla Provenza che costui gli mandò, sicché il Fonteio due volte
lo ricorda. Ora è certo dalle lettere di Cicereio ch'egli fu stretto
di grande relazione con vari membri delle famiglie De Conti e
Maioraggio, alle quali o per parte di padre o per parte di madre
appartenne il Fontana.
Ammesso pertanto che il Fontana, autore di alcune Vite ma-
noscritte degli arcivescovi milanesi, sia il medesimo che, sotto il
nome di Fonteio scrisse la storia antica della famiglia Cesi, resta
che si cerchi di spiegare perchè prendesse non solo il nome di
« Fonteius », ma anche quello di « Primio »•, poiché così egli si
intitola in testa del suo libro : « Comment. Jo. Baptistae Fonteij
« Primionis »>.
Quanto al nome « Fonteio », il Nostro, nel prendere questo
nome antico romano, col quale si trasformava di femminile in ma-
schile il cognome Fontana, proprio di sua famiglia, seguì primie-
ramente l'andazzo della famiglia De Conti, cui era imparentato,
della quale l'Argelati cita parecchi personaggi, che assunsero un
nome nuovo, come Marc' Antonio, che si disse Maioraggio, un An-
tonio vivente nel 1560, che si chiamò Meliteo, ed altri (i).
Forse nella scelta del nome volle pure imitare il suo maestro
od amico il letterato Francesco Ciceri, che in latino dicevasi
<< Cicereius ». Infine il nome di Primio o Primione, io ritengo, che
il Fontana l'abbia scelto per indicare la sua riconoscenza al suo
vecchio zio Primo De Conti, che, per attestazione del Picinelli e
dell' Argelati, erasi preso cura della sua educazione.
(i) « Lectores optimos monendos esse duco, huius gentis homines, praeter
« cognomen De Comite, alia etiam quandoque praetulisse », col. 443. Su questa
famiglia si vedano le note del Casati al Cicereio, Epistolarum libri XII, Milano,
1782, voi. I, p. 103.
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 353
Però, quantunque il Picinelli e l'Argelati lo dicano della fa-
miglia De Conti, crederei che ad essa appartenesse solo per parte
di madre, e che per padre appartenesse alla famiglia Fontana, che
era il suo cognome più usitato, come vedesi dal linguaggio dei
suoi contemporanei.
Il Picinelli infine afferma (p. 279) che il nostro Fontana morì
in Roma protonotario apostolico. Mi è molto difficile persuadermi,
che questa qualità, qualora veramente il Fontana o Fonteio l'avesse
posseduta, fosse interamente passata sotto silenzio sì da lui nel
titolo delle opere sue e sui Cesi, e su suor Paola, sì specialmente
dal Gitìcoboni suo amico nelle due dediche al cardinale Cesi, dove
parla con lode del defunto Fonteio. Inclino piuttosto a credere che
il Picinelli l'abbia confuso con un contemporaneo omonimo (i) già
da noi ricordato, cioè con quel Giovanni Fontana, modenese, che
fu prima vicario generale di S. Carlo (dopo il 1573) e poi vescovo
di Ferrara dal 1590 al 161 1.
In un documento del 25 aprile 1575, pubblicato dal can. Ari_
stide Sala (2), ed è una pergamena originale contenente l'atto, con
cui S. Carlo delega alcuni suoi procuratori per esigere una pen-
sione sull'arcivescovado di Toledo, si legge alla fine il nome di (3)
« Fontana iuris utriusque doctor, clericus Mutinensis, Protonota-
^^ rius apostolicus, curiae archiepiscopalis Mediolani vicarius »».
La stessa confusione tra messer Giovanni Battista Fontana e
mons. Fontana (che si vedono entrambi nominati in una lettera
dello Spedano, già riferita) sembra essere stata fatta dall' Oltrocchi
neir indice alfabetico delia sua Vita S. Caroli. Però nel testo l'Ol-
trocchi, a p. 354, in nota, all'anno 1578, parla senza confusione al-
cuna, del solo nostro Fontana e poiché ci scopre la particolarità
che S. Carlo sovveniva il Fontana, affinchè scrivesse le vite degli
arcivescovi milanesi, riferisco qui il passo per intero. Dopo avere
(i) Il Fonteio però si chiama Giovanni Battista, mentre il vicario di San
Carlo è detto solo Giovanni.
(2) Documenti circa la vita e le gesta di S. Carlo, Milano, 1837, voi. I, p. 309.
(3) Qui nota il Sala che il documento è mutilo; ma poi a p. 593 dice che
doveva leggervisi « Giovanni », che consta essere stato vicario di S. Carlo. Il
Fontana era già vicario criminale della Curia il 31 agosto 1575 (ibid., voi. II,
,p. 25). Fu fatto vicario generale prima del luglio 1575 (ibid., p. 412). Nel 1572
era ancora in quell'ufficio mons. Castello (ibid., p. 193).
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. Vili. 2S
354 FEDELE SAVIO
discorso della condotta di S. Carlo in occasione della peste, rac-
conta come egli attendesse nello stesso tempo ad altre cose: « neque
« enim Consilia sua et capacissimam mentem una aegrorum cura
« absorbuit. Cum itaque sibi videret ademptam pròpter pestilentiam
u potestatem, ut libere administris suis uteretur, Jo Fontanam aere
'< suo Romae aluit, ut interim, adhibito in consilium Cardinali Sir-
« leto, Bibliothecae Vaticanae MSS. evolvens, historicam Mediola-
« nensium Archiepiscoporum Seriem concinnaret. Cum vero mense
« Augusto bue ille redire moliretur ; sed nollet propter morbi su-
ii spicionem Urbem ingredi : per litteras ad Specianum datas eum
« monuit, ut cito bue festinaret, atque ad suburbana loca, quae ma-
.. gis arrisissent, consisteret, ubi eum negotiosum habere posset;
« namque ex Urbe plura demandaturus erat, quibus operam adiun-
u geret, cum numquam alere otiosum stipendio suo passurus esset r.
Forse sulla paternità e su altre circostanze della vita del no-
stro saremmo meglio informati, se nella corrispondenza di San
Carlo si trovasse ancora una supplica presentatagli dal Fonteio,
affinchè gli venisse in soccorso con qualche beneficio ecclesiastico,
supplica che il repertorio qualifica di lunga lettera latina ed in-
dica come esistente nel voi. 36 (ora 86) (i). Probabilmente essa è
quella di cui parla lo Spedano nella lettera del 26 febbraio 1575,
che da me fu già citata. Ma invano l'ho cercata nel luogo indicato;
onde per ora è d'uopo contentarci delle notizie che ci trasmisero
il Picinelli e l'Argelati, e di quelle poche altre che io potei qui
aggiungere.
Darò ancora qualche cenno sulla storia antica dei Cesi.
Il Fontana cominciò ad applicarvi l'animo nel 1570 (o nel 1575?)
come vedesi da un indice delle fonti, posto in fine del primo vo-
lume (il solo che sia tutto del Fontana, poiché il secondo è in
buona parte del Giacoboni), dove, tra le altre, indica anche la
sua testimonianza così : « Oculi nostri, et amicorum, qui suo loco
u nominantur, ipsaque obvia monumenta, reliquum in testimoniis
« locum habent, MDLXVV ». Che questa data (che forse si deve
leggere MDLXXV) sia piuttosto quella dell' inizio dell'opera anzi-
(i) Ecco le parole del repertorio: « Fonteio domanda con una lunga let-
« tera latina al Santo qualche aiuto alla sua povertà, ed in specie un qualche
« benefizio in S. Maria maggiore ». E subito dopo : « Gabriele Faerno. Lodato
« dal Fonteio come allievo del Santo » : to. 180 (oro).
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 355
che della fine, deducesi da vari passi di essa. Per es. ivi stesso nel-
l'indice citasi un'opera del Nazario bresciano stampata nel 1572.
A p. 98 il libro di Onofrio Panvinio : Civitas Romana, che si dice
edito a Venezia « ante annos quindecim ». Siccome il libro del
Panvinio fu stampato la prima volta nel 1558, ne segue che il Fon-
feio scriveva quel passo della sua opera nel 1573. Avendo egli
lasciata l'opera incompiuta e inedita, si comprende come nella
stampa non venissero tolte queste riferenze ai diversi anni, nei
quali il Fonteio veniva di mano in mano componendo la sua opera.
Se egli veramente la cominciò nel 1570, diventa assai verosimile
quanto afferma il Picinelli che imprendesse a scriverla per suggeri-
mento del cardinale Alciati, poiché forse questi volle così onorare il
Cesi, che quell'anno stesso era stato elevato alla dignità cardinalizia.
L'opera De Prisca Caesiorum gente consta di due volumi. Il
primo, opera del Fonteio, fu stampato nel 1582, ed è diviso in due
libri; in uno dei quali l'autore spiega i passi degli scrittori latini,
che ricordarono qualche personaggio dal nome « Caesius » ; nel se-
condo si riportano le iscrizioni di personaggi aventi lo stesso nome.
L'editore del primo volume della Storia dei Cesi, Giulio Gia-
cobono di Terni, famigliare del cardinale Cesi ed amico del Fon-
tana, oltre al curare la stampa del suddetto volume, gliene aggiunse
un altro quasi tutto di suo, stampato nel 1583, nel quale egli, siccome
attesta nella dedica al cardinale Cesi (i), riportò iscrizioni per lo più
trovate da lui negli autori, ed alcune anche lasciate dal Fontana.
Il Mommsen osserva che quasi tutte le iscrizioni sono prese per
lo più da libri, e quindi l'opera del Fontana è poco utile (2j. Ag-
giungerò non parermi che vi sovrabbondi l'erudizione, né sempre l'A.
si mostrò buon critico, specialmente là dove accetta ad occhi chiusi
e commenta un passo del Corio, che narra le gesta di un Cesio Fon-
tana vivente ai tempi del re Desiderio e di papa Adriano, passo che
basta leggere per capire quanto sia favoloso. Forse la fama che egli
I
(i) « Qui, postquam a te, summi beneficii loco impetravi, ut Caesiorum stem-
« mata, a non exiguae doctrinae, magnaeque industriae viro, Joanne Baptista Fon-
« telo collecta, atque explicata evulgarem primum ; mox dein Appendicem ad
« eius Commentarios pangerem meam (multa siquidem Fonteius indicta atque
« inenarrata reliquit ; multaque post eius obitum ad nostras devenere manus) di-
ce sertis piane verbis imperasti ».
(2) Corp. inscript, lat., voi. IV, par. I, che contiene le iscrizioni di Roma.
356 FEDELE SAVIO
ebbe al suo tempo e ramicizia di molti eruditi, quali Aldo Manuzio
il giovane, il Pighio iuniore, il Panvinio, Giovanni Battista Guarino,
il Cicereio, Fulvio Orsino (il quale gli fece avere la raccolta d'iscri-
zioni di Ciriaco e dello Scandiano), gli vennero dalle relazioni, che
col mondo erudito di quei tempi avevano avuto e conservavano
parecchi membri di sua famiglia, cioè Marc' Antonio Maioraggio,
e il suo zio ed educatore Primo de Conti, per tacer d'altri. Che se
il Sigonio, alla notizia della sua morte accaduta verso il tempo,
in cui stampava a Bologna nel 1580 la sua Storia del regno d'Italia,
lamentò il danno che da essa veniva alle ricerche storiche, e pose
il Fonteio nel numero di coloro che gli avevano somministrate
notizie ed aiuti, oltre il dovere della riconoscenza, lo spinse for-
s'anche a ciò un riguardo al cardinale Cesi, allora legato di Bo-
logna e patrono del Fonteio, storiografo della sua famiglia.
L'Argelati sull'autorità del Picinelli ricorda ancora in genere
alcuni altri manoscritti del Fontana, dei quali il Picinelli non diede
maggiori indicazioni.
Uno di questi scritti consisterebbe in certe poche note fatte
ad un regesto manoscritto di lettere pontificie, da papa Liberio
venendo giù sino a Pasquale II, ma specialmente di Giovanni Vili,
Esso forma il cod. Ambr., D, 319 infer., e le note sono indicate
nel catalogo dei mss. dell'Ambrosiana come opera del Fontana,
con questo titolo : Noiae aliquot historiographae ; ma sono di non
molto valore; né il carattere mi sembra al tutto della prima mano
che scrisse nel codice V, 35 sup., la quale si crede essere del Fon-
tana. Al contrario del tutto identica a questa è la mano, che scrisse
frequenti note in margine all'opera Rerum patriae nel cod. A, 136 inf.
deir Ambrosiana (i); di queste non si tenne conto nell'edizione che
di quest'opera si fece a Milano nel 1625 « apud Jo. Bapt. Bidel-
« lium ». Esse per lo più consistono o in correzioni ortografiche,
o in citazioni di autori che trattano quei medesimi punti. A con-
ferma che l'autore di queste note può essere il Fontana, noto che
(i) Il codice fu descritto dai BoUandisti in Analecta Bolland., to. XI, 1892,
p. 206. Se, come crediamo, le note sono del Fontana si deve correggere l'indi-
cazione del secolo, che non sarebbe il XVII, ma il XVI. Il codice porta una nu-
merazione antica seguita sino a p. 262. Indi vengono « Tria commentariola quae
« Antiquitates Mediolani consequuntur » con numerazione propria. Poi si ripete
il frammento « De formula romani imperii » senza numerazione.
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 357
il codice fu posseduto dal Bescapè che lo regalò alla biblioteca
Ambrosiana, come è scritto nella rilegatura contemporanea. A p. 88
dove l'Alciato afferma essersi trovato presso S. Celso il corpo an-
cora integro di una Aurelia Virginia, vi è la nota : « Simile traditur
u de corpore Tulliolae, ut aiebant, Romae ante octoginta annos
« reperto ». A p. 90, correggendo l'errore dell'Alciato o del co-
pista che aveva scritto: « Q. Ingerinus Maximianus » (nello stam-
pato, p. 103) dice: « Alias Ingenuus, haec atque alia lapidum no-
u mina emendanda ex antiquarum inscriptionum libro, huic operi
« adiciendo, in quo exacte scripta sunt. Nunc ad manus non erat ».
A p. 106 dove l'Alciato, errando, aveva interpretato la sigla OVF
per « olim vetere familia » (p. 125 dello stampato; vedi Mommsen,
p. 625, col. 2, circa medium) nota: « Notam Oufentinae tribus sic
« declarabat puer, quo tempore haec scribebat. Primus ipse tamen^
u deinde notam tribus esse Insubrum declaravit »; e poco dopo
dopo (p. 107): « Vide infra inter inscriptiones antiquas urbis Medio-
« lanensis, et post antiquitates commentariolum de re nummaria (i),
u quibus in loci certa atque exacta huius monumenti Pliniani in-
« terpretatio traditur ». A p. 160 nota che un'iscrizione, riferita
dall' Alciato, « Romae visitur in aedibus Caesiis ». A p. 164 ri-
manda alla raccolta delle Inscr. « infra », la quale, come ho detto,
nel codice non esiste. Sulla fine del frammento su S. Eustorgio
(p. 214) cita Annales Mediolani, Si osservi ancora ia nota posta
dal medesimo Fontana alla fine della vita (rimasta incompiuta) di
S. Arialdo dell'Ai ciato: « Ad lectorem. Reliqua absolverit, an ab-
« soluta casu aliquo interciderint, incertum. Hoc certum haec tan-
« tum in suo autographo reperta fuisse ». Dal che si vede che il
Fontana aveva davanti a sé gli autografi dell'Alciato, che fece tra-
scrivere, aggiungendovi poi delle note, forse in vista di una stampa
delle opere storiche ed epigrafiche dell'Alciato, la quale era desi-
derata dagli eruditi (2).
(i) Come già ho avvertito, la. raccolta delle iscrizioni, che doveva precedere
la dissertazione « De re nummaria » non le fu unita nel cod. A, 136 inf., fatto
rilegare dal Bescapè.
(2) Come afferma il Mommsen, C. /. L., voi. V, par. Il, p. 627, col. i, nel
1560 il Landò in un'opera sulle monete romane stampata a Lione, scriveva:
« sperare se fore ut elogia haec Andreae Alciati et historiae patriae libri qua-
« tuor ab haerede eius Francisco propediem edantur ».
35^ FEDELE SAVIO
III.
L'opera del Fontana sugli arcivescovi di Milano.
Vengo ora all'opera, ancora inedita, del Fontana sugli arci-
vescovi di Milano, la quale, sebbene sotto molti rispetti abbia poco
valore, ne ha però uno importantissimo per la storia antica mila-
nese, specialmente ecclesiastica.
Com'è noto, il celebre giureconsulto ed umanista Andrea Ai-
ciato (n. 1492, f 1550) fu uno dei primi che facesse una raccolta
d'iscrizioni, o copiate dalle lapidi ancora esistenti o da altre fonti.
Una delle fonti adoperate da lui fu un codice, ch'egli dice antichis-
simo, e da cui affermò d'aver tolto tredici iscrizioni (i), le quali egli
trascrisse in una sua raccolta cominciata, a quanto pare, nel 1508 (2)
e accresciuta continuamente sin presso alla sua morte nel 1550. La
raccolta sta ora nella bibhoteca regia di Dresda, a cui passò dalla
biblioteca Petzoldiana.
Il Mommsen dall'esame dei vari codici dell'Alciato dedusse
che le tredici iscrizioni da lui trovate nel « codice antiquissimo w
fossero le tredici seguenti : quella composta da Sant' Ambrogio
per la chiesa di S. Nazario, e quelle in onore di S. Calimero
(fatta dal vescovo Tommaso), di Venerio, di Marolo, di Glicerio,
di Lazaro, di Aurelio, di Senatore, di Eustorgio I, di Magno, di
Natale^ della fondazione di S. Celso, e di S. Arialdo (3).
(i) c( Libet tredecim subsequentia sanctitate insignium virorum epitaphia
« subiicere, quorum aliqua adhuc extant, sed semifracta, aliqua vero Saturni
« edacitate consumpta in humanis esse desierunt. Et imprimis celebre est hoc
« divi Ambrosi! Carmen quod Nazarii in aede ille apposuerat. Verum ea, ut ar-
« bitror, ab impiissimo ilio Gothorum duce Taeia solo acquata et marmor con-
« fractum est, adeo ut modica eius pars in fornice Crassorum aediculae supersit.
« Mihi integrum habere ex antiquissimo codice contigit, unde et alia sequentia
« desumpsi: certissimo argumento aeternitati plus conferre tenuissimas membra-
« nas quam praedura marmora ». Mommsen, op. cit., voi. V, par. II, p. 617, col. i.
(2) C. I. L., voi. V, par. II, p. 627, col. i.
(3) Nel codice di Dresda sono tutte tredici di seguito dal fol. 146 al 158
inclusive.
I
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 359
A queste iscrizioni più tardi TAlciato ne aggiunse altre sette,
cioè :
quella di Serena, n. 6250 del Corpus (cod. di Dresda, fol. 9)
„ „ Marcellina, p. 623, n. 16 (ibid., fol. 160)
„ „ Manlia Dedalia, n. 6240 (ibid., fol. 161)
„ „ Osio, n. 6253 (ibid., fol. 162)
„ „ Rustica, n. 6266 (ibid., fol. 163)
,, „ Ludovico II imperatore, p. 623, n. 17 (ibid., 164)
„ „ Cervia, n. 6202 (ibid., fol. 165 e fol. 36).
Di queste sette non dice più TAlciato averle prese dal codice an-
tichissimo, onde il Mommsen restò dubbio se esse pure vi stessero.
Ma l'Alciato nel riferire gli epigrammi da lui trovati nel suo
codice relativi ai più antichi vescovi o santi di Milano, cioè a San
Calimero, ed ai vescovi Venerio, Marolo, Glicerio, Lazaro, Se-
natore, Eustorgio, Magno, e S. Celso (lapide dell' arcivescovo
Landolfo) non si curò per nulla dell'esattezza. In tutti cambiò al-
meno delle parole; in parecchi poi degli interi versi, mutando
eziandio il senso. Il confronto si può fare facilmente, osservando
i due testi, quali si trovano entrambi di fronte presso il Corp.
inscript, lat., voi. V, par. II, pp. 619-622, cioè il testo dell'Alciato
•e quello che il Fontana prese anch' egli da un codice antico, che
forse è il medesimo dell'Alciato.
Mi contenterò di alcuni esempi. L'ultimo verso dell'iscrizione
di S. Calimero, che in gran parte ancora si legge nella chiesa
omonima, diceva:
Quod vernat cunctis niveo vernante metallo;
l'Alciato ne fece il seguente distico:
Nunc locus hic vernat flavo radiante metallo,
Lychnuchique ardent lumine perpetuo,
volendo così dar credito ad una fiaba, che si trova presso il Fiamma,
e fu poi ripetuta dai cronisti milanesi, che l'arcivescovo Tommaso
facesse fare un altare d'oro in onore di S. Calimero: « Et dicit
« cronica Leonis quod Thomas arch. med. eius altare aureum fecit w ;
Galvagnana, in cod. Braidense, AE. X. io, e. 20 r.
Nell'iscrizione di Venerio l'Alciato tralasciò l'ultimo distico.
All'epigramma di Marolo aggiunse di suo il titolo « Marolo
-ii Syro », cambiò la collocazione di alcune parole (versi i, 4) e
360 FEDELE SAVIO
cambiò anche il senso. Per esempio il 2.° verso diceva nel codice
antico e presso Ennodio (che ne è l'autore):
Qui iubar in madidis viderat hospitiis :
egli cambiò madidis in magicis,
Qui iubar in magicis viderat hospitiis ;
facendo così Marolo compatriota dei Magi.
Quindi il De Rossi, trattando in particolare delle iscrizioni dì
S. Calimero e di Glicerio, ebbe a dire che : « Alciatinae lectionis^
u nulla habenda ratio est », e: « Alciati lectio nullam meretur fi-
« dem w. Questo giudizio però si deve limitare alle nove iscrizioni
soltanto, che qui sopra ho nominato, e che secondo ogni probabi-
lità erano le sole che stavano in quell'antico codice, siccome tra
poco dirò, poiché quanto alle altre quattro delle tredici, ed alle
sette seguenti, che l'Alciato tolse o da quella o da altre fonti, egli
fu esatto.
Intanto chi ci porge il modo di rimediare al grave inconve-
niente del testo Alciatino è il nostro Fontana, nella sua opera ine-
dita sui vescovi di Milano, che forma il codice V, 35 sup. della
biblioteca Ambrosiana.
Questa, solo impropriamente si può dir opera, e neppure le
si potrebbe dare il titolo di: Vite degli arcivescovi milanesi fXmtxvix^
è una semplice raccolta di note, che il Fontana si andava prendendo
per scrivere poscia a suo tempo le vite dei prelati milanesi, e farne
com'egli disse allo Spedano (vedi qui sopra la lettera citata delio
Spedano), un volume grosso come le Vite dei papi del Platina.
Quindi giustamente il Picinelli le chiamò Annotazioni alle vite degli
arcivescovi {Ateneo, loc. cit), quantunque esagerasse moltissimo, di-
cendole « opera molto stimata w, poiché in realtà, ove se ne tolgano
le iscrizioni, di cui già ho cominciato a parlare, non v'é quasi nes-
suna notizia, che non si trovasse nelle anteriori biografie dei ve-
scovi milanesi. Le notizie inoltre sono assai poche, e non riguar-
dano che una parte dei 130 vescovi incirca, di cui il Fontana si
prefiggeva di trattare (da S. Barnaba a S. Carlo Borromeo), e i
cui nomi collocò nell'indice in capo al suo manoscritto. Di 29 di
essi non vi é che il nome. Di 20 altri incirca non ha che le notizie
prese dai cataloghi antichi o dal Sigonio. Pei restanti, quando
I
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC, 361
tolgansi molte pagine tratte da libri stampati e assai noti, quel che
v'è di alquanto pregevole è ben poca cosa.
Basta sfogliare il codice per vedere che è solo uno zibaldone
di appunti. Qua e là l'autore ricorda a sé stesso, che dovrà trat-
tare meglio questo o quel punto. A e. 14 v., leggesi : « Recordare
« hoc loco quod in Registro lohannis pape est epistola, in qua
« Carolo imperatori et imperialiter roganti ut dimitteret noxam
u Ansperti... respondet etc. Vide antequam obliviscaris ». A e. 15 r.,
riferito l'epitafio di Ansperto, scrive: « Vide et memento de ipsius
« epitaphio et aliorum archiepiscoporum ».
Al contrario di molto pregio è il codice del Fontana per le
iscrizioni, ch'egli riportò e specialmente per quelle che erano già
state riferite dall'Alciato. Il Fontana ebbe anzi tutto a sua disposi-
zione una copia della raccolta delle iscrizioni alciatine, scritta di
mano dell'Alciato e da lui regalata nel 1536 al cardinal Cesi, allora
suo scolaro. Egli la cita come una delle fonti per la sua Storta dei
Cesi (i). Di più egli, essendo andato in Germania, potè vedere coi
suoi propri occhi quel medesimo codice antichissimo membrana-
ceo (2), ch'era stato visto e adoperato dall'Alciato. Dal Fontana
stesso sappiamo quanto conteneva il codice adoperato da lui. Per
esempio, sotto il vescovo Eustorgio I, a e. 28 v., dopo aver ri-
portato il suo epigramma come stava nella raccolta dell'Alciato,
« ex A. Alciati antiquario w, riporta la vera lezione del codice an-
tichissimo, facendola precedere dalla seguente nota: « Ut sunt in
« antiqua membrana auctoris qui descripsit vitas Pontificum et
« proemium, et eam epistolam de Mediolanensibus, quae sub no-
u mine D. Ambrosii cum eius epistolis implexa circumfertur ».
Quest'« epistola de Mediolanensibus » assai bene il De Rossi
(p. 174, 2.* colonna) identificò con quel Sermo de aedificatione Urbis
Mediolani, che fu stampato a Milano nel 1491, coi tipi di Antonio
Zaroto, in calce alle Epistole di S. Ambrogio, e che è identico alla
(i) A p. 232 del voi. I « De prisca Gaesiorum gente », tra le fonti cita:
« Alciatus I. C, Libellum Epigrammatum extra patriam collectorum; Autogra-
« phon alumno suo P. Donato Caesio Cardinali D. D. MDXXXVI ».
(2) Si osservi nel testo dell'Alciato, citato qui sopra a p. 3 59, ch'egli parla
di membrane: ot plus conferre tenuissimas membranas ». Si trattava dunque di
un codice membranaceo, com'era il codice visto dal Fontana, che lo chiama
« membrana antiqua ».
362 FEDELE SAVIO
descrizione di Milano premessa alle Vite dei sei primi vescovi di
Milano e pubblicata prima dal Muratori col titolo : De sìtu urbis
Mediolani e poi dal Biraghi con quello di Datiana Historia, Ma ne
il Mommsen (che però non vide coi suoi occhi il codice V, 35 sup.)
né il De Rossi osservarono nel manoscritto del Fontana un passo
dove si descrive più in particolare il codice, dicendo ch'esso con-
teneva le vite dei vescovi milanesi da S. Barnaba a Mona inclusive,
che vi mancava la vita di S. Calimero « fortasse scriptoris vitio,
« ut vide tur, certe non auctoris », e che dopo la vita di Mona lo
scrivano, e non l'autore, aveva aggiunto alcuni versi riguardanti
alcuni antichi vescovi di Milano, dei quali il più recente era Sena-
tore (i).
Qui non fu del tutto esatto il Fontana, poiché certo vi era
in quel codice l'epigramma di Magno, che fu posteriore di 50 anni
almeno a Senatore. Ma è da notarsi che, al tempo del Fontana, la
cronologia dei vescovi era molto confusa. Avrebbe dovuto altresì
il Fontana riflettere che l'iscrizione relativa al nuovo monastero
di S. Celso riguardava anche un arcivescovo, cioè Landolfo li di
Carcano, morto nel 997 e quindi cinque secoli dopo Senatore. Ma
certo il pensiero del Fontana, riferendo quest'ultimo epigramma,
si portò sopra tutto a S. Celso ed all'età delle persecuzioni.
Credo utile di riferire qui testualmente le espressioni, che il
Fontana adopera nel registrare dieci o anche undici di quelle iscri-
zioni ch'egli trovò in quel vecchio codice membranaceo, che oltre
a una parte notevole della Datiana Historia, conteneva la silloge
(i) c< Auctor ille vide si forte est Dacius. Ilio tempore nondum reperta erant
« corpora uUa Sanctorum presertim nec Monae nec Cali me ri. Sed si respicies
« quo tempore fuerit episcòpus Monas, intelliges quod antiquus sit auctor, hoc est
« valde notum et precipue quia proemium de Mediolano iam est impressum cum
« epistolis Divi Ambrosi i. Facile autem colligitur eum ad unum Presulem eius
« rogatu opus dirigere. De nomine auctoris frustra laboramus, quia ipse in sua
<( epistola dedicatoria dicit se nolle suum nomen propter reverentiam adhibere.
a Sex tantum archiepiscopos attingit, videlicet Barnabam, Anathalonem, Caium,
<( Castritianum, Calimerum, cuius vita hoc loco fortasse scriptoris vitio ut vide-
« tur, certe non auctoris, omissa est, et Monae, ubi non auctor sed scriptor dete-
« gitur subdendo aliquot versus qui pertinent ad veteres archiepiscopos, quorum
<( recentissimus Senator qui vivebat anno 446. Utinam vero reliqua extarent,
« nam nihil sciscitaremus de rebus etiam quae non apparent ex hoc fragmento ».
Cod. Ambr., V, 35 sup., e. 19 r.
3^3
di iscrizioni sacre milanesi. Seguirò l'ordine stesso tenuto dal
Fontana (sebbene non sempre rigorosamente), cioè l'alfabetico, fa-
cendo notare che il codice del Fontana fu scritto da sei mani, delle
quali la prima sola che va fino a e. 21 r. sembra quella dell'au-
tore. Ne possono essere prova gli spazi in bianco che in questa
prima parte si vedono spesso lasciati dopo i nomi di certi vescovi,
dei quali il Fontana o non aveva pronta la biografia, o sperava
ottenere migliori e più complete notizie. Tali spazi non si vedono
più nel resto del codice, sebbene vi siano ancora molti nomi di
vescovi senza biografia.
A e. 6 r. (parlando di S. Ambrogio e di S. Nazario) :
Ex Andreae Alciati antiquario. Fragmentum est in fornice aediculae
Crassorum litteris niaiusculis quod a D. Ambrosio Nazario martiri.
Condidit Ambrosius templum dominique sacravit.
(C. /. L., V, par. IT, p. 617, n. 3).
Indi, senza righe, né altro:
Sic et vetus codex.
Sunt alii versus in rotunditate templi, nam Serena uxor Stiliconis,
cuius nuptias celebrat Claudiaus libico ex marmore monumentum posuit
Nazario, cuius corpus invictum Ambrosius intulerat sepulcro, addito hoc
Carmine :
Qua sinuata cavo consurgunt tecta regressu.
(Ibid., n. 6250).
Dopo l'ultimo verso scrive :
Ita V. C.
Habitavit Stilico Mediolani in cuius agro castrum condidit, quod
Stiliconis dictum est.
Dopo una breve notizia di Calimero presa dal Galesino, citato
in margine, scrive (e. 20 r.):
Ex Alciati antiquario.
Calimerius ex historia sacra legi Mediolanum venisse anno domini
CXXXIIII et episcopus ecclesie Mediol. fuisse. Thomas autem monumen-
tum deauratum extruxit. Iste Caroli magni filiam de lustrico fonte
suscepit.
E in margine : Anton. 1. 4, e. 72, voi. 5.
Divo Calimerio Mediolanenses Liguriaeque summo sacerdoti qui
successit Castritiano, qui Caio, qui Anathaloni, qui Barnabae Apostolo.
Cuicumque aetheria, qui regnet in arce sacerdos.
(Ibid., p. 619, n. col. i).
364 FEDELE SAVIO
Ut erant in opere antiquo membranae versus supra corpus S, Ca-
limeri.
Quamvis aetheria, regnet in arce sacerdos.
(Ibid., col. 2).
Sotto Eustorgio I, e. 28 v.:
Ex A. Alciati antiquario.
Duo fuerunt Eustorgii episcopi Mediolanenses, alter sub Diocletiano
et Constantino, alter sub Theoderico Gotthorum rege usque ad Arcadium
(sic) de quo hic agitur, idest de 2.°
Virtutum signis poUens Eustorgius heros.
(Ibid., p. Ò2I, n. 9, col. i).
Poscia tirata una riga nera, scrive :
Ut sunt in antiqua membrana auctoris qui descripsit vitas Pontificum
et proemium, et eam epistolam de Mediolanensibus, que sub nomine
D. Ambrosii cum eius epistulis implexa circumfertur; et sic dictum sit
de aliis quoque carminibus. Versus S. Eustorgii^:
Virtutum signis pollens Eustorgius almus.
(Ibid., Ice. cit., col. 2).
Sotto Glicerio (e. 35 v.) :
Ex chronica manu Cardin.li» Alciati.
Beatus Glycerius post demortuum Martenianum Maternum XVIII
episcopus efficitur anno domini CCCCXX, sedit anno XVII et iacet in
ecclesia Sancti Nazarii ad concilia Apostolorum.
Ex vetusto libro Volgangi Lazii Viennensis Caesarei Historici, ex
sepulchris Mediolanensibus.
Epitaphium Glycerii Epi. Mediclanensi.
Glycerius forma vultuque animoque suavi.
(Ibid., p. 620, n. 5, col. 2).
Ex Alciati antiquario.
Legebatur in aede divi Nazarii. Glycerius Ravennae a militibus
iinperator dictus, a Nepote armis victus, Portuensis episcopus designa-
tus est secundum Eutropium, iuxta alios Salonae in Dalmatia. Medio-
lanenses hunc etiam habuerunt, et ex Landriana familia fuisse ferunt.
Carmen vero fuisse compositum cum eius statuis.
Glycerio Pontif.
Suffusus minio, perque omnia facta rubescens.
(Ibid., loc. cit., col. i).
Versus S. Glycerii.
SufFusus minijs, perque omnia facta rubescens.
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 365
È repigramma Ennodiano ; però non sembra che il Fontana
lo prendesse da Ennodìo, perchè in margine cita tre varianti prese
da Ennodìus, cioè :
verso I : minio Ennodius in luogo di miniis
„ 4 : Pietà Ennodius „ „ „ Laeta
„ 7 : gestii Ennodius „ „ „ gestata.
In fine, nel margine, mette uno sotto l'altro questi tre nomi:
« Ennodius, Vaticanus et Volfrangius »».
Per Lazaro (e. 47 r.) :
Ex antiquario Alciati, in sepulchro Lazari ep. mediol,
Lazarus ut diri premerei pede culmina mundi.
(Ibid., loc. cit., n. 6, col. 19).
ponendo pure in margine a 4 tacitum la variante tacitis v. e. (cioè
vetus codex)] tulit v. e. in luogo di dedit che lesse nella sua copia
étW Antiquario, indi immediatamente scrive :
Sequentes quatuor versus omisserat A. Alciatus.
Non latuit sectis facinus qui gessit in antris
Absens criminibus suter ubique fuit
Innocuis piena vernabat luce serenum
Ceu speculum noxis iniiciens faciem.
Est et templum b. Lazari, sed epigrammata precedentia, ex hoc
codice recte olim A. Alciatum ex antiquissimis membranis collegisse.
Ultimi quatuor versus etsi impoliti tamen multum faciunt ad intelli-
gendum sanctitatem b. Lazari.
Di Landolfo (e. 50 v.) :
Ex A. Alciati antiquario.
Landulfus Carcanus Archiepiscopus Mediolani hoc monumentum
D. Celso Martiri donavit 975. Alciatus.
Eximium haec Gelsi corpus cumplectitur ara.
(Ibid., p. 622, n. 12, col. i).
Variante al verso 8 : in luogo di adscitis scrive adscitus P. S.
Anno 976; e subito :
Ut in vetustissima et obsolescente membrana leguntur, ipse vidi.
Versus Sanctissimi Gelsi,
Coenobium claustrum praesentis rite sacratum.
(Ibid., loc. cit., col. 2).
366 FEDELE SAVIO
Variante al verso 12: in luogo di Vadibus legge Vatibus.
Di Marolo (p. 56 r.) :
Ex Alciati antiquario.
Marolo Syro
Tigridis extremae potator Marolus undae.
(Tbid,, p. 619 n. 4, col. i).
Dopo tirata una piccola riga nera :
Ut sunt in antiqua membrana auctoris innominati.
Marolus extremae potator Tigridis undae.
Ilbid., loc. cit., col. 2).
Di Magno (col. 64 v.) :
Ex A. Alciati antiquario.
Sepulcrum Magni Ep. Mediolanensis. Fama est hunc Magnum fuisse
ex Trincheria gente ortum, fuit conditus in tempio divi Eustorgii. Alciat.
Virtute, officio, meritis et nomine Magniis
Coelestis specimen vitae et imago Dei.
(Ibid., p. 621, n. IO, col. i).
Indi una riga intera e poi :
Virtute, officio, meritis et nomine Magnus
Forma quidem, speculum lux et imago Dei.
(Ibid., loc. cit., col. 2).
Alla fine dopo una riga nera :
Sic habebatur in veteri membrana illius auctoris, cuius epistola de
Mediolanensibus inter Ambrosii opera edita, quod dictum volo de om-
nibus carminibus semper etc.
Di Senatore (p. 93 v.) :
Ex A. Alciati antiquario.
Hic Senator fuit praesul et sanctus, templum habet Mediolani et
Ticini; est situs in ede Euphemiae, et asserunt eum natum villana
gente etc. Alciatus.
Qui vicit trabeas solio cinctumque gabino. -
(Ibid., p. 621, n. 8, col. i).
Ut legìtur in antiqua membrana auctoris illius etc.
Qui vicit trabeas, solitum cinctumque gabinum (i).
(i) Varianti dal Mommsen: al verso 5 in luogo dì Mileni leggQ Mysteria;
al verso 6 in luogo di Orcus legge Orkis (ibid., n. 8, col. 2).
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 367
Di Venerio (p. 109 r.) :
Ex A. Alciati antiquario.
In Azarii (sic) fano. Sepulcrutn Venerii episcopi Mediolanensis.
Forma pudicitiae iuveni sectanda Veneri.
(Ibid., p. 619, n. 3, col. i).
Dopo tirata una riga orizzontale :
Forma pudicitiae iuvenis sectanda Veneri.
(Ibid., loc. cit., col. 2).
Quanto agli altri sette epigrammi o iscrizioni, riportati dal-
TAlciato, cioè di Aurelio, Natale, S. Arialdo, Marcellina, Manlia
Dedalia, Osio, Ludovico imperatore, tutte le dà pure il Fontana, ma
sempre ed unicamente citando la raccolta alciatina. Di due. Rustica
e Cervia, non cita la fonte, sebbene essa sia evidentemente la
stessa, quella dell'Alciato. L'iscrizione di Serena nel testo cita
in modo che sembra averla letta nel « vetus codex » di seguito al
carme di S. Ambrogio per Nazario; né farebbe meraviglia che
i] primitivo raccoglitore della silloge congiungesse al suddetto
carme di S. Ambrogio quello di Serena, dacché stavano entrambi
nella stessa chiesa di S. Ambrogio.
Quindi inclinerei a pensare che nella silloge vista e adoperata
dal Fontana non vi fossero che questi : il carme di S. Ambrogio
per S. Nazario, l'epigramma di Serena (che però sembra fosse
già noto all'Alciato anche da un'altra fonte), e gli epigrammi di
Calimero, di Venerio, di Marolo, di Glicerio, di Lazaro, di Senatore
(questi ultimi cinque ennodiani), Eustorgio I, Magno e del mona-
stero di S. Celso. Che se a questi si creda di aggiungere gli epi-
grammi del vescovo Aurelio e il primo epigramma di Glicerio,.
omesso dall'Alciato, che si contentò di riferire (manipolandolo a
suo modo) l'epigramma ennodiano, si avrebbe appunto quel numero
di « tredici » che l'Alciato segnalò nel codice da lui visto.
IV.
Falsificazioni dell'Alciato e la silloge milanese del se-
colo XI.
Nel codice antico non esistevano certamente né V iscrizione di
Natale, né quella di S. Arialdo, poiché quelle che il Fontana riportò
368 FEDELE SAVIO
« ex Alciati antiquario » sono evidenti falsificazioni, o, se vuoisi,
manipolazioni di quest'erudito.
La vera e genuina iscrizione sepolcrale di Natale, che ci fu
conservata da Francesco Castelli nel suo manoscritto inedito Quod-
libeta, sive plura de variis rebus, fu pubblicata dal Muratori Nov.
Thes. Inscript., IV, p. 1915, dal Sassi, Series arch. med., I, p. 253
-e da Forcella-Seletti, Iscrizioni cristiane di Milano, p. 178. Per co-
modità di quei lettori che volessero confrontarla con quella del-
l'Alciato presso il Mommsen, C. I. L., p. 622, n. 11, la dò qui per
intero :
Marmore conclusum tegitur venerabile corpus
Natalis praesul qui fuit urbi bonus.
Grandis honor patrum nam fuerat pastor et almus
Nobilitate vixit rexit ovesque pater.
Condidit hanc aulam Christo praestante iuvamen
Res dedit et recte plurima dona quoque.
Unde queant vigiles domino servire per aeva
Proque suis culpis possit habere preces.
Ecclesiam rexit bis septem mensibus, annos
Sexies atque decem quoque duobiis habens.
Essa ha tutto l'aspetto d'una composizione del sec. Vili. Al con-
trario ben si sente l'umanista del rinascimento in quella che TAl-
■'ciato finse d'aver tolto dal codice antichissimo, e comincia :
Marmore Natalis tegitur venerabile corpus
Praesule quo sacris est suus auctus honos (i).
Lo stesso dicasi dell'iscrizione di S. Arialdo. La vera e ge-
nuina lezione è quella che si trova riferita dal Fiamma (Chron.
maius, cap. 784) e da un vecchio annotatore di Landolfo e che
qui riferisco per la stessa ragione che ho riferita quella di Natale:
Hoc mausoleo reverenter condita digno,
His geminis causis Arialdus passus ab istis
Martyr in Ecclesia Levita recunditur ista.
Transtulit Anselmus pastor venerabile corpus;
Sanctos thesauros venerare per omnia charos.
Hos pugiles Christi gens inclyta Mediolani,
De cuius sanati sunt isti sanguine nati.
(i) Essa fu riportata dal Mommsen, C. /. L,, V, 2, p. 622, n. 11, e come
genuina del secolo Vili dal Dùmmler, M. G. H., Poetae Carolini latini aevi, to. I,
p. 107.
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 369
E sul pavimento della chiesa si leggevano, secondo il mede-
simo Fiamma, questi altri due versi :
Martyr et levita iacet hic Arialdus in urna :
Truncatus moritur, sed vitae dona meretur.
Riflettendo alla libertà con cui l'Alciato usò manipolare a suo
talento le iscrizioni, e di più l'ambizione ch'egli ebbe di apparte-
nere alla famiglia di Arialdo, che secondo uno storico antico sa-
rebbe stata feudataria di Alzate (donde l'Alciato derivava il suo
nome), sebbene il Fiamma la faccia dei nobili di Carimate, non
dubito punto che anche l'epigramma in onore di Arialdo sia fat-
tura dell'Alciato (i).
Né questi si sarebbe contentato soltanto di cambiare a suo ta-
lento iscrizioni veramente esistenti, ma ne avrebbe anche inventate
-alcune, cioè almeno due.
Il Bescapè nella sua opera Brevis hist. mediolan. provinciae, par-
lando del vescovo Protasio, riporta alcuni versi che questi in onore
del s. fonte battesimale avrebbe composti o fatti comporre, e dice
^he i medesimi versi erano già stati riportati dall'Alciato e poi
dopo di lui dal Fontana: « extant carmina quaedam huius episcopi
« fontem et aram dedicantis S. Barnabae, quae protulit Alciatus
« et noster Fonteius seu Fontana sumpsisse scribitur (sic) ex vo-
M lumine quodam saxonico ». Lo stesso ripete nel libretto De
Metropoli MedioL, p. ii, ediz. 1628, e p. 33, ediz. 1596: « monu-
M mentum pulcherrimum nobis reliquit Andreas Alciatus, quod
« etiam noster Fonteius seu Fontana Mediolanensis ex volumine
« quodam saxonico in Germania sumpsit ».
In nessuno dei codici contenenti le iscrizioni dell'Alciato ap-
parisce-questa iscrizione del vescovo Protasio in onore del fonte
di S. Barnaba; e neppure il Fontana, che anch'egli li riporta, cita
menomamente l'Alciato. Però sembra indubitato che il Bescapè
ebbe nelle sue mani una raccolta alciatina delle iscrizioni, dove
stava il carme di Protasio, poiché dopo averlo riportato quasi
interamente secondo il testo del Fontana, nota che due versi sono
riferiti dall'Alciato in modo differente: « Alciatus sic habet sequen-
M tes versus ».
(i) Si veda Pellegrini, Vita di S. Arialdo, Milano, 1897, pp. 464-65.
Arch. Stor. Lomt., Anno XXXII, Fase. Vili. 24
37° FEDELE SAVIO
Di più mentre il Fontana dopo il 5.° verso nota che nel suo co^
dice mancavano due versi, il Bescapè trovò nel suo che mancava solo
il 6.® e parte del 7.°, cioè le due ultime parole: « flamine vieto » (i).
Si osservi inoltre che mentre il Bescapè mostra d'aver letto
quel carme nella raccolta dell' Alciato, il Fontana non fa nessuna
menzione dell'Alciato, ma afferma d'aver letto quel medesimo carme
in un volume sassonico da lui visto in Germania. Ecco le sue pa-
role (p. 18 V., sotto S. Barnaba): « Versus quos ad fontem D. Bar-
« nabae primi Mediolanensis episcopi olim Prothasius episcopus Me-
« diolani posuerat, fracti in excidio urbis sub Aenobarbo ut erant
« in yolumine saxonico a me viso in Germania ». Che cosa fosse
questo volume sassone visto dal Fontana in Germania non si può
certamente affermare in modo assoluto; né parmi si possa liberare
dalla taccia di avventato il Ferraj, che senz'altro lo suppose scritto
nel secolo X (2). Che anzi mi par molto probabile che il volume
sassonico visto dal Fontana non sia identico al codice, da cui egli
trasse le altre iscrizioni, poiché questo non tralasciò mai d'in-
dicarlo coi termini di antico od antichissimo, e così fa pure del
libro del Lazio, che chiama vetusto; mentre al volume contenente
il carme di Protasio non dà altra qualificazione che di sassonico,
né punto lo chiama antico.
Laonde assai probabile, per non dir certa, mi pare l'opinione
di mons. Duchesne (S. Barnahé, p. 33) che il carme di Protasio
sia un'invenzione dell'Alciato, che lo scrisse in qualche sua rac-
colta, e che da questa sia passato nel codice visto dal Fontana in
Germania e più particolarmente in Sassonia.
Da uri manoscritto dell'Alciato, posseduto dal suo parente il
cardinal Francesco, il manoscritto De Rebus Patriis, stampato
poi a Milano nel 1625, attesta il Baronio (3) d'aver tolta l'epigrafe
(i) Si vedano le due lezioni nel Mommsen, loc. cit., p. 623, n. 14.
(2) Si veda la tavola genealogica dei codici, unita al suo articolo, già citato,
sulle « Vitae Pontificum ».
(3) Nelle note al Martirologio Romano^ ai 25 settembre: « Libuit hic descri-
« bere pervetustam inscriptionem S. Miroclis eiusdem civitatis episcopi de S. Ana-
« thalone in lapide incisam iuxta eius imaginem, his verbis, quo praesens ins-
« criptio procedit: « D. Anathaloni Attico Secundo Episcopo... » Accepimus ex
« manu scripto commentario Andreae Alciati, quem scripsit de rebus Patriis non-
« dum edito: erat apud Illustr. et R. D. Franciscum Alciatum S. R. E. Cardi-
« nalem ». Ediz. Venezia, 1586, p. 436.
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 37I
che in onore di S. Anatalone sarebbe stata composta dal vescovo
Mirocle, ma che lo stesso Duchesne con ogni verosimiglianza ritiene
sia essa pure falsificazione dell'Alciato, e non già come pretende^
del tutto arbitrariamente, il Ferraj (p. 38), falsificazione del sec. X.
In una parola l'Alciato, volendo mostrare il possesso che aveva
della lingua latina e la sua facilità nel verseggiare si valse del-
l'occasione che gli fornì un codice antico, contenente epigrafi me-
triche di vescovi milanesi, per manipolare queste stesse epigrafi a
suo talento, ed alcune interamente inventare, premettendo ad esse
alcune notizie biografiche in prosa del vescovo oggetto dell'epigrafe^
nelle quali mirò pure ad insinuare certe falsità storiche, che ser-
vivano ai suoi scopi. Per esempio a nobilitare la sua origine po-
teva giovare che il vescovo Glicerio fosse della famiglia Lan-
driana, ch'era la famiglia di sua madre.
Poiché la più parte di tali notizie biografiche, quali si trova-
vano nella copia dell'Alciato adoperata dal Fontana, ho già date
sopra, qui darò ancora le restanti, quelle cioè che precedevano le
epigrafi, non trovate dal Fontana nel codice antichissimo, ma solo
viste da lui nella sua copia dell'Alciato. Chi vuole potrà confrontarle
con le analoghe notizie biografiche scritte dall' Alciato nella copia
che ora si conserva nella biblioteca regia di Dresda (copia che non
ha nulla da fare col « volumen saxonicum » del Fontana), e rife-
rite dal Mommsen, C. L L., voi. V, par. II, p. 617 sgg.
Per Aurelio (e. 26 r.) cita :
Ex A. Alciati antiquario.
In arca antiquissima marmorea translata ex D. Dionisio portae
orientalis ferocìentibus Germanis praelio, fuit facta anno 477.
Indi riferisce l'epigramma del Mommsen, p. 620, n. 7.
Ex Alciati antiquario. Natalis episcopi tumulus in ede D. Georgii
extat, ad quod III idus Maius fit celebratio diciturque ipse edificasse illud
templum. Alciatus.
Marmore etc.
Variante al verso 2 : ^Mn luogo di est.
Di Arialdo (e. 102 r., sotto Guido di Velate):
Ex Andr. Alciati antiquario.
Sub hoc Guidone de Velate Valvassorio archiepiscopo Arialdi ex
Alciata gente sepulcrum, cuius conciones, disputationes necem miracula
372 FEDELE SAVIO
Landulphus historicus Mediolanensis scripsit. Fuit ex oppido Carimato,
vel ut alii volunt, Cussiaco. Relatus est inter divos ab Alexandre II.
Sepultus in D. Dionisìi tumulo marmoreo. Sed 1508 a Ludovico XII Fran-
corum rege Parisius prò corpore S. Dionisii translatus est.
Indi riporta Fiscrizione riferita dal Mommsen, n. 13.
Di Marcellina (e. 91 r., sotto Simpliciano) :
Ex Alciati antiquario. Marcellinae que fuit soror Divorum Ambrosii
et Satiri epitaphium compositum a S. Simpliciano archiepiscopo qui suc-
cessit D. Ambrosio, est in ede D. Ambrosii.
Epigramma presso il Mommsen, loc. cit, n. 16.
Variante al verso 7 : Rursus iniuncta soror.
Di Manlia Dedalia (e. 93 v., sotto Teodoro) :
Ex A. Alciati antiquario. Manlius Theodorus episcopus Mediol. Theo-
dorum hunc archiepiscopum nobilissimum et ex Manlia gente coniicere
licet ex eleganti epigrammate quod Manliae Dedaliae sorori virgini sa-
crate fecit. Extat iuxta Protasii, Oribasìque Martyrum sedem.
Dopo riferito l'epigramma del C. /. L. n. 6240, aggiunge :
Dies depositioriis, annus, etc.
Di Osio (p. 58, sotto Martiniano) :
Ex A. Alciati antiquario.
415 (in margine).
Osii, qui pater Urbis et Praesul appellatur, extat insigne epigramma
in S. Ambrosio in mensa marmorea, et quoniam rudis quondam chro-
nicorum farrago Martinianum episcopum de Osiis appellat si enim pie
ut fuerit Osius Martinianus, de quo nihil adhuc concedo, tamen ne Carmen
periret hoc loco uti apposito adiicere consultum visum est.
Indi riferisce l'epigramma stampato in C. /. L., n. 6253, con
le seguenti varianti :
verso 2 : traditur in luogo di conditur
„ 5 : hilarus „ „ hilaris
„ 7 : pravusque „ „ proavus
„ 8: sed meritis „ „ menas (sic).
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 373
0
Di Ludovico II imperatore (e. 13 r., sotto Angilberto II) :
Ex A, Alciati antiquario. Sub hoc Angilberto II arch. Mediolani
obiit Ludovicus Caesar anno domini 860 qui fuit pronepos Karoli magni.
Eius tumulus extat in Ambrosiana aede versusque sequentes.
Indi riscrizione metrica del C. /. L., V, 2, p. 623, n. 17.
A e. 36 V., subito dopo la notìzia di Glicerio, vi è la notizia di
« Gerontius », o piuttosto sotto il titolo : « Gerontius Med. Archie-
« piscopus », riferisce i due epigrammi di Cervia e di Rustica, in
questo modo, cioè senza alcuna indicazione di fonti:
Circa tempora Gerontii Archiepiscopi ferunt vixisse Cerviam ma-
tronam ìnsignem, cuius epigramma in propinquitate sepulcri Sancii Vic-
toris Martii cum statuis.
A Q
Cervia, quae in fidei fundamine saeclo.
(C. /. L., v, p. 2, n. 6202).
A e. 37 r. :
Alterius item Matronae epitaphium, quod eorum esse temporum
dinoscitur huc adiicere libet ne pereat, scilicet Rusticae, quod in Ambro-
siana aede cernitur.
Rustica perpetuae non te sors pallida vitae.
(Ibid., loc. cit., n. 6266).
Col passo del Fontana citato qui sopra (e. 363) si può sciogliere
un dubbio del De Rossi (p. 174 sgg.). Il De Rossi dubitò che il co-
dice visto dal Fontana fosse una porzione stralciata dal codice
C, 133 inf. dell'Ambrosiana, che contiene una parte notevole della
Datiana Historia, ma è privo del « proemio w e della « descriptio
« Mediolani »». Dal Fontana veniamo ora assicurati assai meglio che
dagli indizi contrarii all'ipotesi del De Rossi, raccolti dal Ferraj (i),
che tal dubbio non si può ammettere, poiché il codice visto da lui
aveva solo le vite dei vescovi da S. Barnaba a Mona, omessa la
vita di S. Calimero ; mentre il codice Ambrosiano ha tutte le vite,
suddette, ed inoltre quella di S. Materno. 11 De Rossi inoltre la-
(i) Le Viiae Pontificum Mediolan. nel fase. XVI del Bull, dell' Mt. star, ital,
Roma, 1895, p. 40.
374 FEDELE SAVIO
sciò incerto se Vu antiqua membrana », il « vetus codex », ecc. del
Fontana fosse identico a quel « vetustus liber Volfgangi Lazii » da
cui trasse il primo epigramma di Glicerio, come s'era mostrato pro-
penso a credere il Mommsen. Se anche a me è lecito di manife-
stare il mio giudizio, crederei io pure che sia il medesimo, e che
sia altresì identico al codice antichissimo veduto dall'Alciato.
Quest' ipotesi acquisterebbe maggiore probabilità, se si po-
tesse affermare che l'Alciato ed il Lazio furono tra loro in rela-
zione, almeno per lettera. Una relazione tra i due antiquari e rac-
coglitori d' iscrizioni, di cui l'uno, il Lazio (nato a Vienna nel
1514, morto nel 1565) fu addetto alla corte cesarea come medico e
storico, l'altro, l'Alciato, godette egli pure la protezione degli Ab-
sburgo, allora signori di Milano, sembra molto verisimile, ma non
l'ho potuta accertare. Non ho trovato altro se non che il Lazio,
nei suoi libri, ed in particolare in quello intitolato: Commentariorum
reipublicae romanae in provinciis constitutae, stampato per la prima
volta a Basilea nel 1551, si servì pure della raccolta dell' Alciato,
di cui nella prefazione parla con termini di altissima stima.
Il codice del Lazio o almeno la parte del codice contenente
gli epigrammi portava il titolo: E sepulchris Medwlanenstbus, il
qual titolo non sarebbe vero se avesse contenuto soltanto l'epitafio
di GHcerio. Al contrario, se noi supponiamo che nella silloge vi
fossero tutte le tredici iscrizioni che ho detto qui sopra, il titolo
suddetto le conveniva interamente.
Il De Rossi infine crede che la silloge antica, usufruita dal-
l'Alciato e dal Fontana, venisse composta nel sec. XI, e già se ne
servisse Landolfo seniore, che da essa sembra aver preso l'epi-
gramma di S. Ambrogio per la chiesa di S. Nazario : « Condidit
« Ambrosius etc. »» Il fatto che le stesse inesattezze che si trovano
in Landolfo, si trovavano pure nel codice visto dall'Alciato e dal
Fontana (i) è tutto in favore della congettura del De Rossi. Ma
che alla silloge stessa appartenesse il verso :
Tertia sed media mors impedii edita cuncta
(i) Tali sono al i." verso: dominique sacravit in luogo di domino que ; al
2.** : nomini^ apostolico munere, reliquias in luogo di nomine apostolico, munere,
reliquiis ; al 5.°: vitae templi m luogo di templi vitae; al 7.°: reflexit per rejlexo ;
all'8.°: templum per tempio.
GIOVANNI BATTISTA FONTANA O FONTEIO, ECC. 375
che Landolfo riporta subito dopo il suddetto epigramma, con cui
evidentemente non ha relazione alcuna, è un' altra congettura del
De Rossi, alla quale non si può attribuire lo stesso valore della
congettura precedente. Molto meno m'induco a credere, che un
verso cominciante da un sed, fosse il primo verso d'un epigramma.
Noto in ultimo che una copia della Datiana Historia stava cer-
tamente in Austria negli ultimi vent' anni del secolo XII, quando
in uno dei monasteri di quella regione fu compilato quello che i
Bollandisti chiamano il « gran leggendario austriaco »>. Ivi si tro-
vano le vite dei vescovi, che stanno nella Datiana. Uno dei codici,
il Sancrucense (dell'abazia di Heiligenkreuz presso a Baden nel-
l'Austria inferiore), fu scritto in quel medesimo ventennio (i).
Fedele Savio.
(i) Si vedano per questo leggendario gli Analecta Bollandiana, XVII, 1898,
pp. 25-26 sg.
VARIETÀ
La giovinezza di Bartolomeo Colleoni (*)
A infanzia di Bartolomeo Colleoni è ancora involta, si
può dire, nel mistero. Non parlo dell'anno della sua na-
scita, per la quale è comunemente accolto il 1400, ma che
tuttavia non è del tutto sicuro. Che egli sia nato da un
Paolo, detto Poo o Po (i), figlio di Guidotto, che alla sua volta
era nato da un Caviata o Capiliata, che è lo stesso, è quanto af-
fermano i biografi e documenti numerosissimi; ma anche su questo
punto, che parrebbe il più incontrastato, abbiamo una circostanza
la quale appare tanto strana, che ci riesce impossibile rintracciarne
la origine^ Nel Diario Castelliano, che se non è opera di un solo
autore, deve esser stato cavato almeno in gran parte da note o con-
temporanee o di poco posteriori all'epoca da esso abbracciata, sotta
(*) Per i rapporti genealogici, ai quali si accenna in questo scritto, rimando
all'albero che si trova in Browning, Lif& of Bartolomeo Colleoni, p. xii. Questo
albero, però, potrà esser reso più completo con alcuni dati, che si offrono qui
di seguito.
(i) Lo Spino nel libro che citeremo più sotto, a p. 378 nota i, scrive con
« Pùho » il soprannome di Paolo. Ma sembra, che si pronunciasse Po, perchè, il con
temporaneo notaio Giorgio Salvetti, di cui vedremo più avanti ha : a Paulo dicto
« Po; Paulus dictus Po ». Nello stesso atto del 1423 al caso genitivo ha tanto:
« Pauli dicti Poy », quanto ancora: ce suprascripti Pauli dicti Po » (Imbrevia-
ture in Arch. notarile, busta 189, fol. 16 sg.). Le forme quindi « Pous, Pohii »
(Mozzi, Antichità Berg., ms. nella civica biblioteca, II, foli. 81 v., 88 r.) non si
debbono attribuire che a notai, i quali vollero latinizzare quel dialettale nomi-
gnolo. Però anche il notaio Guarisco Panizzoli, ha: « Pauli dicti Poh » (veg-
più sotto la nota i a p. 391).
VARIETÀ 377
il 28 Ottobre 1405, leggiamo (i): « Pohus et Petrus fratres et filii
« quondam naturales d. Guidoti de Colionibus » ; sotto il 14 feb-
braio del 1406, mentre il codice più antico ha, come in cento altri
luoghi: « Pohum et Petrum fratres et filios quond. d. Guidoti
li Colionum » (2), invece, tanto il muratoriano che la versione ri-
petono: « Petrum et fratres et filios quond. naturales d. Gui-
t< doti Coleonum » (3). Certo qui il testo è turbato, perchè in qua-
lunque caso, come nell'altro brano, avrebbesi dovuto dire: « Pe-
u trum et fratrem filios, etc. »; ma è aperto d'altro canto, che
anche qui si mantiene la nota di « filii naturales » alle persone
sunnominate. Questa nota non si trova in alcuno dei numerosi do-
cumenti raccolti dal Mozzi, onde andrebbe senz'altro rigettata; ma
vi ha forse un documento, che può aver dato agio ad un poste-
riore interpolatore della Cronaca Castelliana di credere giustificata
quella interpretazione. In un atto del 1388 leggiamo: « Guidotus
u filius quond. d. Caviate de Collionibus canonicus ecclesie maioris
« Pergami w, che è fra i testimonii (4). Proprio nello stesso anna
nella indicazione del padre di Po e di Pietro abbiamo: « d. Gui-
« dottus filius quond. d. Caviate Collionum civis Pergami » (5). A
quale ramo del vastissimo casato dei Colleoni appartenga quel
canonico, che è contemporaneo, e che si presenta coli' identica
nome e coli' identico patronimico dell'avo di Bartolomeo, non si
potrebbe dire; ma forse questo od identico documento si fece in-
nanzi ai più tardi manipolatori del Diario Castelliano, i quali pro-
babilmente si credettero autorizzati ad ammettere, che quei due
Guidotti non fossero che una persona sola, e che quindi i figli di
Guidotto, trattandosi di un canonico, non potessero essere che suoi
figli naturali. È inutile avvertire, che non trovai un solo documento,.
(i; In Muratori, R. I. S., to. XVI, col. 980 a, e nella versione di questa
cronaca edita dal can. Finazzi col titolo : / guelfi e i ghibellini in Bergamo,
Bergamo, C. Colombo, 1870, p. 201. Concorda esattamente anche il codice più
antico della Cronaca conservato nella civica biblioteca (F, VI, 4) fol. 88 v.
(2) Cod. cit., fol. 91 r.
(3) Muratori, op. e loc. cit., col. 983 d ; / guelfi ecc. cit., p. 206. Certo^
che, anche ammessa vera la cosa, come avvertii, qui il testo è turbato, perchè
in qualunque modo dovrebbe dire : « Petrum et fratrem filios etc. ». La versione,
che pende da un testo identico al muratoriano, ha essa pure : « Pietro e fra-
« telli e figli naturali ecc. », È appena necessario avvertire, che della esistenza
di questa versione fu primo il Muratori a dar notizia nella prefazione al Chro-
nicon.
(4) Mozzi, ms. cit., II, fol. 49 V.
(5) Ibid., fol. 115 V. .
373 VARIETÀ
che giustificasse questa supposizione, la quale ad ogni modo non
t fuor di luogo aver qui posto in rilievo.
Unica fonte, per la quale noi sappiamo qualche cosa intorno
alla infanzia di Bartolomeo Colleoni è il Cornazzano, il quale, per
•esserne stato ospite alcun tempo a Malpaga (i), è quegli che ne
dà il più grande affidamento, che possa avere udito dalla bocca
stessa del grande capitano alcuni particolari, che ad altri potevano
restare ignoti. Lo stesso Spino, che per fornirci una elegante Vita
<iel Colleoni non risparmiò fatiche e ricerche (2), per quanto ri-
guarda i primi tempi segue pedestremente il Cornazzano, salvo
che nel darci il casato della madre di Bartolomeo, il quale dovea
essere quello di certi Valvassori detti de' Saiguini; del che non
sa nulla il più antico biografo (3). Il suo nome sarebbe stato per
ambedue Ricardona. Questi dati non dimostrano certo una grande
scrupolosità d'indagine. Il nome della madre non è Ricardona, ma
Ricadona o Riccadonna, come diremmo oggidì; il suo casato non
è di certi Valvassori, ma di que' Valvassori di Medolago, da cui
uscirono le famiglie patrizie d'oggidì. In una delle imbreviature
-del 9 giugno 1423 di Giorgio de' Salvetti si legge: « Domina Ri-
■« cadona filia quond. Oberti de Vavasoribus da Mediolacho et uxor
« quond. d. Pauli dicti Poy de Colionibus procuratrix — Bertola-
-« mini filli sui et similiter filli quond. suprascripti Pauli de Colio-
« nibus per cartam ipsius procure rogatam per Johannem Antonii
<i de Vavassoribus de Mediolacho not. » (4). Intanto qui conosciamo
(i) De vita et gestis Bartholomaei Collei edita in Graevii-Burmanni, The-
saurus^ voi. IX, par. VII. A col. 26 il biografo parla della sua dimora nel ca-
rtello di Malpaga, ospite del Colleoni. Vedi su questo punto il Tiraboschi, Storia
4ella leti, ital, voi. VI, 11, p. 21.
(2) Spino, Istoria della vita e fatti di Bortolameo Colleoni. Uso della edizione
del 1732 (Bergamo, Santini), nella quale trovansi inserite le due orazioni funebri
del Paiello e di Michele Alberto Carrara. Una edizione di quest' opera fu fatta
anche a Trieste (C. Cohen, 1859), ma fu tralasciata tutta la parte documentale.
Lo Spino ci dà l'elenco di tutte le opere e di tutti gli scritti da lui consultati,
ed a p. 26 sg. si può vedere in qual conto tenesse l'autorità del Cornazzano ap-
punto per la stretta famigliarità ch'ebbe col Colleoni.
(3) Ibid., op. cit., p. 5.
(4) G. Salvetti, Imbreviat. cit., fol. 176 r. Anche in atti precedenti dello
stesso notaio (foli. 169 v., 170 v.) è sempre detta Ricadona. Quest' era, del
resto, il nome dato da Bartolameo anche ad una delle tante sue figlie natu-
rali. Nel codicillo, che tien dietro al suo testamento (§ 32 in Loci Pii vene-
randae pietatis institutio, Bergomi, Com. Ventura, 1603), si legge : « Item iudi-
<( cavit et legavit — dominabus Dorathinae et Ricadonae filiabus suis natura-
VARIETÀ 379
il nome esatto di Riccadonna e quello del padre suo; ma non pare
nemmeno che da quel tronco dei Valvassori di Medolago fossesi
staccato un ramo, che più propriamente andasse distinto colla in-
dicazione di Saiguini, perchè nei pochi documenti di quell'epoca
quella non esce dai confini di una indicazione puramente personale.
Quindi nei libri d'estimo del 1427 e del 1428 abbiamo: «Johannes
« et fratres filli quond. Sayguini de Medolacho; Obertinus quond.
u Sayguini de Medolacho », ed in un atto del 1430, troviamo un
« Christoforus filius quond. Sayguini de Vavassoribus de Medo-
« lacho » (i). Può darsi benissimo, che questi fossero i più stretti
congiunti di Riccadonna, tanto più che tra essi vediamo far capo-
lino il nome di « Obertinus » ; ma d'altra parte non possiamo af-
fermare altro, se non ch'essa apparteneva al vasto casato dei Val-
vassori di Medolago e che era figlia di un Oberto semplicemente
così chiamato.
Il nome de' Colleoni divenne chiaro, quando, nel 1404 impa-
dronitisi di Trezzo, si crearono a cavaliere dell'Adda un piccolo
stato indipendente, che fronteggiò per parecchi anni con fortuna
e i duchi di Milano e la nuova signoria di Pandolfo Malatesta af-
fermatasi in Brescia ed in Bergamo; ma come sia avvenuta quella
sorpresa di Trezzo, colla quale dovrebbe legarsi la prima infanzia
di Bartolomeo, non può sapersi in modo sicuro dagli autori con-
sultati dallo Spino, e che sono i più vicini a quei tempi. Il più
strano è, che Baldassare Zailo, le cui cronache purtroppo andarono
perdute, ma che era concittadino e contemporaneo di Bartolomeo (2),
confessava di non sapere in quale maniera Trezzo fosse caduto
in mano de' Colleoni (3); e, per non dire degli altri racconti più
o meno contemporanei, accennerò solo a due punti, che dimostrano
quelle confusioni. Il Corio tocca in due luoghi distinti di quell'av-
venimento (4). Nel primo, sotto il 1404, dice, che la famiglia dei
Colleoni prese il castello di Trezzo, « ma dopo i suoi membri si
« uccisero tra di loro ». Nel secondo accenna sotto il 141 7 allo
stratagemma usato da quella famiglia per riuscire allo scopo, e
a libus etc. », Anche nel magnifico codice del Cornazzano posseduto dalla civica
biblioteca (A, Vili, 21) il nome della madre è dato erroneamente con « Ric-
« cardona ».
(i) Mozzi, op. cit., IV, foli. 201 r., 387 v.
(2) D. Calvi, Scena Letteraria, Bergamo, 1664, I, p. 90; Finazzi, Antichi
scrittori delle cose di Bergamo, p. 56 sg.
(5) Spino, op. cit., p. 6.
(4) CoRio, Storia di Milano, Milano, Colombo, 1856, voi. II, pp. 489, 53$.
380 VARIETÀ
nomina fra coloro, che lo condussero a termine, Sozzo, Paolo e
Pietro Colleoni. Nella Cronaca Castelliana pare che di questa im-
presa in principio si faccia merito al solo Paolo, il padre di Bar-
tolomeo, sebbene al chiudersi della notizia si avverta, che il do-
minio di quella fortezza fu assunto insieme da Pietro e da Paolo^
che erano fratelli (i). Si potrebbe credere che, cresciuto in fama
Bartolomeo, si manifestasse negli scrittori una certa tendenza a far
merito principale di quell'ardita impresa al padre suo, e forse da
questa tendenza affatto soggettiva avessero vita anche altre enormi
confusioni, perchè, mentre lo Spino, riferendosi alla testimonianza
di Michele Alberto Carrara, contemporaneo ed elogiatore di Bar-
tolomeo, dice, che di nottetempo Paolo assaltò quella fortezza e
la prese di viva forza (2); il p. Filippo Foresti, che per questo
periodo nel suo Supplementum Chronicarum pende interamente
dagli Annales Italiae, ora perduti, del Carrara, scrive: « Petrus
« Acoleus, congregatis amicis et exulibus suis noctu Tricium ve-
u niens, oppidum adoritur et capit. — Hic Petrus Bartholomeum
« post se reliquit filium »> (3). Qui vi ha evidentemente un gros-
(1) Muratori, R, I. S., to. XVI, col. 962.
(2) Spino, op. cit, p. 6.
(3) Supplem. Chronicarum (ediz. 1483), lib. XIV, fol. 157 r. E pel conte-
nuto della notizia e per la forma « Acoleus » il p. Foresti pende certo dal Car-
rara. Qui non posso entrare in un minuto esame della cosa, solo mi basti ac-
cennare, che fu il Carrara, che nella Oratio extemporalis recitata nei funebri di
Bartolameo affermò la derivazione del Colleoni da quel C. Aculeo (Spino,
op. cit., p. 263), di cui è ricordo in Cicerone, De orai., i, 45. Quindi intro-
dusse pel cognome di quel casato la forma umanistica « Acoleus ». Che il Fo-
resti seguisse pedissequamente gli Annales del Carrara, lo prova il brano di
essi riportato in nota ad una Oratio nuptialis del nostro umanista pubblicata dal
giureconsulto Gio, Antonio Suardo (Bergamo, Locatelli, 1784) e che riguarda
il fatto d'arme di Bolgare del 1437 (Oratio nuptialis, p. 61 ; Finazzi, Antichi
scritt.y ecc. cit., p. 65 sg.) confrontato coli' identico racconto abbreviatamente dato
dal p. Foresti lib. XIV, fol. 166 r. Questi riproduceva, compendiandole, le pa-
role stesse degli autori usati, e mentre verbosamente lo confessa nella prima edi-
zione della sua opera (fol. i v.), lo afferma poi esplicitamente nell'ultima edizione
da lui curata del 1503, ove vuole giustificare la diversità del suo stile pel fatto,
che « multa ex aliis ad verbum excerperim » (fol. 451 v). Dappertutto, ov'egli
parli de' Colleoni, il nome del casato è sempre dato colla forma carrariana
« Acoleus, Acolei » (lib. VI, fol. 81 v., lib. XIV, fol. 157 r. ecc.); onde non
può restar dubbio sulla fonte per la notizia qui riportata. La circostanza, che
lo Spino trovò il « noctu » nel Carrara, e che questa parola compare anche-
nel racconto del Foresti, toglie ogni dubbio sulla cosa. Piuttosto non possiamo
sapere, se, citandolo, lo Spino abbia corretto il Carrara, e se lo scambio di
Paolo con Pietro sia imputabile al solo Foresti.
VARIETÀ 381
solano errore, perchè Bartolomeo era figlio di Paolo e non di Pietro;
ma è probabile, che questa incertezza dipenda anche dallo speciale
punto di vista, in cui si posero gli scrittori posteriori a quell'av-
venimento. La generosità, quindi, così lodata in Paolo, il quale,
sebbene da solo avesse acquistato questa signoria, nuUameno ne
volle partecipi i suoi più stretti parenti (i), potrebbe essere un
posteriore accomodamento, e creato dalla fama che Bartolomeo
ogni dì più si andava acquistando, e procurato dalla necessità di
spiegare alcuni fatti, che ormai erano diventati oscuri. Vedemmo,
che in principio del racconto la Cronaca Castellìana nomina il solo
Paolo, ma che poi conclude col dire, che il dominio fu assunto
insieme dai due fratelli Pietro e Paolo. Ma il Corio nella seconda
versione di quell'avvenimento a questi due nomi associa anche
quello di Sozzo Colleoni. Ora, la notizia dev'essere stata data da
un contemporaneo, perchè quel nome rimase così oscuro, che solo
da un contemporaneo poteva esser tratto in campo. Pietro e Paolo
erano figli di Guidotto, il quale alla sua volta era figlio di un Ca-
viata o Capiliata, ed aveva per fratelli Guardino ed Alessandro
•detto Sozzo. Per tacere d'altri documenti, uno del 1390 pone in
vista questi rapporti di parentela, poiché esso suona: « Nobiles et
« egregii viri dd. Guidotus, Guardinus et Alexander dictus Sozus
« fratres filli quond. nob. et egregii viri d. Caviate olim d. Galiazii
« Carpionum w (2). A quanto si deve ammettere, la conquista del
castello di Trezzo fu fatta più propriamente da quel ramo de' Col-
leoni, che, da un antenato soprannominato « Carpilionus », ridotto
poi per una notissima legge fonetica a « Carpionus » (3), è nei
documenti distinto colla forma : « Carpionum de Collionibus ». Cosi
in un atto del 1396 quel Pietro fratello di Paolo detto Po, a cui
indubitatamente il p. Foresti e forse lo stesso Carrara attribuiscono
la sorpresa di Trezzo, è detto: « Petrus filius d. Guidotti Carpio-
« num de Collionibus » (4), come, d'altro lato, pe' suoi ascendenti
troviamo: « dd. Caviata, Gisalbertus et Carpionus fratres filli quond.
« d. Galeazii olim d. Gisalberti Carpionum de Collionibus » (5).
Ora, appunto dal Capiliata o Caviata discese Guidotto padre di
Pietro e di Paolo ed avo di Bartolomeo, come dallo stesso Caviata
(i) CoRNAzzANo, De vita, etc, col. 3 ; Spino, op. cit., p. 7 sg.
(2) Mozzi, op. cit., II, fol. 118 r.
(3) Nel II 80 compare per la prima volta a Carpellionus filius quond. Al-
•« berti Collionis » (Lupi, Cod. dtp. civ. et ecclesiae Berg., Il, 1323).
(4) Mozzi, op. cit., II, fol. 95 r.
(5) Ibid., fol. 117 V.
382 VARIETÀ
venne Guardino, che fu padre di Galeazzo detto Dondacio (i), di
Giovanni il giurisperito, di Testino e di altro Paolo (2). È adunque
nel tradizionale organamento agnatizio, più che nella cordiale li-
beralità di Paolo, se troviamo compartecipi del dominio di Trezzo
tutti quanti erano più strettamente legati da quel vincolo, come
questo, alla sua volta, deve essere stato quello, che li strinse alla
comune impresa (3).
Certamente la impresa era stata arrischiata e non era punto
scevra di pericoli : trattavasi di dare una certa tal quale organiz-
zazione a questo nuovo dominio, e pare, che sotto questo punto
di vista tornasse opportuna l'opera di Giovanni, che ad un carat-
tere altero e violento congiungeva tutti gli accorgimenti del legu-
leio per saper destreggiarsi in mezzo a quel labirinto di violenza
e di malafede (4). Il fatto è, che mentre gli altri membri di quel
casato si dedicarono più propriamente all'esercizio dell'armi, reso
indispensabile per assicurare ed estendere il nuovo possesso (5),
Giovanni deve aver acquistato una parte preponderante nella di-
(i) In un atto del 1396 abbiamo: « Dondatius et Johannes iurisperitus
« fratres » ; in altro dell'anno successivo : « d. Johanne iurisperito et Galeazio
« fratre suo » (Mozzi, op. cit., II, fol. 95 r.). Lo Spino, op. cit,, p. 8 non ci dà
che la forma Dondaccio.
(2) Mozzi, op. cit., II, fol. 169 r.
(3) In uno dei tanti luoghi, in cui nella Croncaca Castelliana troviamo'
ripetuto chi erano coloro, che tenevano il castello di Trezzo, sotto il 4 luglio
1405 leggiamo : « Dictum castrum tenent spect. d. Johannes iudex filius quond.
« d. Guardini de Collionibus, Petrus et Pohus fratres et fìlii quond. d. Guidetti
« de Collionibus et Albriginus filius quond. (lacuna) et abiaticus d. Carpioni Col-
« lionum » (cod. cit., fol 84 r. ; cfr. Muratori, R. I. 5., to. XVI, col. 972 e).
Il ceppo comune di questo ramo de' Carpioni era un Galeazzo, che avea avuto
quattro figli dalla moglie Ricafirma de' Colleoni, cioè, Alessandro, Caviata, Gi-
salberto e Carpione (Mozzi, op. cit., II, fol. 253 r.). Da Caviata erano venuti
tanto il ramo di Bartolomeo, quanto quello del giurisperito Giovanni e dei fra-
telli compossessori di Trezzo ; qui poi appare nella stessa condizione anche un
discendente di Carpione, d'altronde affatto sconosciuto, il che rafferma il vincolo,
che aveva mosso que' Colleoni alla comume impresa di Trezzo. Non potrei af-
fermare, che il nome di Albriginus sia esatto o se piuttosto gli sbadati trascrit-
tori ed interpolatori della Cronaca Castelliana non l'abbiano scambiato con Ro-
gerinus, perchè in un atto del 1414 leggo: « Rogerius filius quond. d. Michaelis
« olim d. Carpioni de Collionibus » (Mozzi, op. cit., II, fol. 234 r.). Se così fosse,
si potrebbe compiere anche la lacuna lasciata nel testo della Cronaca, dove, certo
di proposito, si volle notato : « abiaticus d. Carpioni ».
(4) Spino, op. cit., p. 8 sg.
(5) Muratori, R. I. S., to. XVI, coli. 964 b, 968 a, 974 a, 981 d, e, ecc.
VARIETÀ 385.
rezione di tutto quell'organismo, specialmente per quanto riguar-
dava i rapporti col di fuori. Nelle notizie, che dobbiamo tenere
come contemporanee o come derivate da contemporanei, Giovanni
è sempre nominato per primo sin dai primi mesi dopo l'acquista
di Trezzo (i), e nel Regestum Litterarum del 1407, fortunatamente
giunto fino a noi (2), si conservano alcune lettere scritte da Trezzo,.
nelle quali Giovanni tiene sempre il primo posto nelle sottoscri-
zioni, al quale tengono dietro poi i nomi or di Pietro ed ora di
Paolo (3) ; che anzi, in una patente di tregua, rilasciata con tutte
le forme cancelleresche del tempo, troviamo nella intestazione :
« Johannes et Paulus de Colionibus Trizii etc. » (4).
Fra i due rami di quel casato potevano sorgere delle rivalità,
e non. è inverosimile, come raccontano i biografi, che ne sia an-
dato di mezzo Paolo, il padre di Bartolomeo (5). Ma certo l'espres-
sione usata dal Corio, che quei dei Colleoni, i quali aveano con-
quistato Trezzo, « si uccisero tra di loro », non va accolta che
con significato assai largo. Pure ammettendo, che Paolo abbia su-
bito tal sorte, quanto a Pietro non è detto nulla, che suffraghi una
così recisa affermazione ; anzi sappiamo, che egli lasciò due figli,
poiché nei libri d'estimo del 1427 troviamo ascritti alla vicinia di
S. Stefano : « Caviata et Guidottus fratres filli quond. Petri de Co-
" lionibus habitatores de Calusco » (6), dal quale Caviata o Ca-
piliata nacque quel Gio. Pietro, a cui Bartolomeo legò il castello
di Bottanuco con tutte le possessioni di questa terra e del vicino
Cerro (7). Ma intanto è certo, che i quattro cugini di Pietro e di
Paolo, che erano essi medesimi al possesso di Trezzo, sopravis-
sero alla presa stessa che del castello fu fatta dal Carmagnola,,
poiché troviamo in un importante atto del novembre 1426, che
(i) Muratori, K. I. 5., to. cit., col. 971 g, 973 a.
(2) Questo Regestum si conserva nell'Arch. della Congregazione di carità
di Bergamo. Da anni potei per gentile concessione trarne una copia, la quale
conservo presso dì me.
(3) Regestum cit., nn. L, LI, LIV.
(4) Ibid., n. LVI.
(5) CoRNAZZANO, op. cit., col. 5 ; SpiNo, op. cit., p. 8.
(6) Mozzi, op. cit., II, fol. 88 r. ; ved. anche fol. 154 r., dove al « quond.
« Petri » aggiungendosi anche: « olim alterius d. Guidoti », la identificazione
resta indubitata. Questi Colleoni, come « cives selvatici », erano ascritti ad una
vicinia cittadina pei loro beni in Calusco, sul che ved. Mazzi, Note Suburbane,
p. 256 sg., e per un esempio, sebbene mal interpretato e ridotto a forma leg-
gendaria. Celestino, Histor. quadrip. di Bergamo, Bergamo, 1618, p. 63 sg.
(7) Testamentum B. C, % 49 in Loci Pii, ecc. cit.
384 VARIETÀ
M nobiles viri dd. Joannes iuris utriusque doctor, Testinus, Paulus
^< et Dondatius fratres filii quond. spectabilis d. Guardini de Co-
^< lionibus w dividono fra loro la sostanza famigliare (i). E può
nascere qualche dubbio sulla uccisione stessa di Paolo, padre di
Bartolomeo, pel fatto, che in un importante atto di causa del 1423,
<Ìi cui ci occuperemo più innanzi, leggiamo: « Et acta ac processus
« cuiusdam litis verse coram vicario d. Potestatis Pergami Inter
-u ipsum Bartolomeum de Colionibus seu d. Testinum eius procu-
u ratorem ex parte una et supracriptum Galvaneum de Suardis
« tutorem ut supra » (2); e questo Testino era fratello di Giovanni
ed uno dei compossessori di Trezzo. Né è meno da avvertire, che
Gio. Guardino, figlio di Galeazzo o Dondaccio, fu uno dei « nego-
« tiorum gestores » di Bartolomeo, che questi nel suo testamento
proscioglie da ogni obbligo di resa di conti, ed a cui, quando però
fosse disposto ad accettare, vorrebbe affidata la riscossione di certe
(i) Mozzi, op. dt., II, fol. 169 r. Questo atto dimostra quanto sia attendi-
bile la notizia data nella Cronaca Castelliana (Muratori, R. I. S., to. XIV,
■col. 968 D, E ; cod. citv fol. 81 v.), che il 5 aprile 1405 Galeazzo, figliuolo di
Guardino Colleoni, fu ferito da Giorgio Benzoni, onde ne morì e fu sepolto a
Lodi. Che se, come vuole lo Spino, op. cit., p. 8 sg,, Giovanni il giureconsulto
dopo la presa di Trezzo sì sequestrò dai fratelli, menando vita solitaria fra i
monti, qui vediamo non esser questo potuto avvenire prima del 1426. Nel Ca-
stello è forse avvenuta qualche confusione. Rapporti di parentela dovevano esi-
stere tra questo ramo dei Colleoni ed i Benzoni di Crema, perchè nel 1374
troviamo una « domina Jacoba filia quond. d. Amizini Benzonum de Benzonibus
a de Crema uxor quond. d. Aiexandri Carpionum" de Collionibus » (Mozzi,
op. cit., II, fol. 232 V., 262 r.). Questo Alessandro era figlio di Galeazzo e quindi
fratello di Caviata, Gisalberto e Carpione (Mozzi, op. cit., II, fol. 253 r.) soli
noti per la tavola genealogica del Browning. A proposito del quale Alessandro
il Mozzi reca il sunto di un atto del 24 gennaio 1354, che conferma esso pure
la sua pertinenza a questo ramo de' Colleoni (II, fol. 251 v.) : « d. Alexander Car-
« pionum quond. d. Galeazii da Colionibus civis Pergami promisit Jacobinam
« eius filiam minorem Ambroxiolo filio reverendi in Christo patris d. d. Jacobi
« Vicecomitum episcopi Terdonensis et comitis cum dote florenorum 360 seu
« Ubrarum 480 solvendarum per dictum d. Alexandrum ipsi Ambroxiolo tempore
« quo ipsa domina Jacobina pervenerit ad etatem legiptimam et matrimonium
ce contraxerint. Notar. Martinus de Ambivere ». Jacopo Visconti fu fatto ve-
scovo di Tortona nel novembre del 1348 (Giulini, Mem. spett. alla storia della
-città e camp, di Milano, Milano, 1856, voi. V, p. 340). Ma se sono certi questi
rapporti genealogici, è altrettanto incerto il poter dire, se nella Cronaca Castel-
liana siasi scambiato un nome per un altro, o se si tratti d' altro Galeazzo, che
non sia quello conosciuto col nomignolo di Dondaccio.
(2) G. Salvetti, Imbreviat, cit., fol. 165 r.
VARIETÀ 385
sue rendite in Gandino (i). Ora, pare assai difficile ammettere,
che Bartolomeo volesse affidare la gestione dei suoi interessi ap-
punto a que' suoi parenti, che l'aveano così violentemente orbato
del padre.
Queste incertezze nascono dal fatto, che la importanza del
Colleoni, la sua personalità non si rivelarono che relativamente
assai tardi, onde la sua infanzia, date anche le tumultuose condi-
zioni de' tempi, passò interamente inosservata, e per conseguenza
coloro, che vollero occuparsene quando le gesta di quell'uomo da-
vano un incitamento a farlo, dovettero appoggiarsi ad incerti rac-
conti, nei quali forse la fantasia, più che la realtà, ebbe una parte
preponderante. Così, non si mette neppure in dubbio, che Bartolo-
meo non si trovasse in Trezzo quando avvenne la tragica fine del
padre, e che a lui non fosse stato scudo che la tenera età, se non
venne colla madre gettato in durissima prigionia (2). Quantunque
i ferrei costumi e quel cieco furoreggiare di passioni tutto rendes-
sero possibile, nullameno lo Spino non ha potuto tacere, che « è
« tuttavia ancor fama, che, alla morte del padre, Bartolomeo non
« in Trezzo, ma nelle montagne di Bergamo, presso un maestro
« di grammatica, trovavasi ad imparar lettere » (3). Lo Spino non
lascia nemmeno sospettare a chi si debba questa notizia, la quale,
appunto perchè esemplarmente modesta, può essere anche la più
vera. E questo tanto più, in quanto lo stesso Michele Alberto Car-
rara pare vi accenni nella sua Oratio extemporalis, quando appunto
parlando del nostro Bartolomeo , affermò : « Annum vix agens quar-
« tumdecimum, cum esset litteris non mediocriter institutus maiorum
« exemplo et propria magnanimitate etc. » (4). Non mancavano,
del resto, in quel tempo anche fra i monti del Bergamasco persone,
che potessero dedicarsi all'istruzione della gioventù. Cito frattanto,
perchè tal compito poteva anche essere toccato a lui, quel « Ni-
« cholinus de Oppreno »», che nel 1406 metteva assieme il trattato
De cautelis breviationibus et punctis circa scripturam observandis (5).
(i) Testamentum B. C. cit., §§ $9, 68.
(2) CORNAZZANO, Op. cit., COl. 3.
(3) Spino, op. cit., p. io.
(4) Oratio extemporalis in Spino, op. cit., p. 263. Il Browning, op. cit., p. 4,
ammette, che Bartolomeo possa essersi rifugiato tra i monti con un maestro di
scuola dopo l'avvenuta tragedia domestica.
(5) Veggasi Rivista delle biblioteche e degli archivi, XI, 1900, p. 1553:.'
I dove il Rostagno di questo grammatico fece un Niccolino da Oppeano. Ma Oppno
^' non può assolutamente leggersi per Oppeano, e tutti i caratteri del codice ri-
Arch. Star. Lomb., Anno XXXII, Fase. VJII. 25
386 VARIETÀ
Opreno è una riposta terricciola della valle S. Martino, di quella
valle, nella quale i Colleoni doveano avere nomerosissime ade-
renze e donde traevano validi aiuti per le loro imprese (i). Dato
anche, che Bartolomeo fosse nato un po' prima del 1400, certo, che
all'epoca della presa di Trezzo egli dovea avere un'età più adatta
ad essere iniziato allo studio, che al maneggio dell'armi; ed in quel
tumulto di giornaliere vendette, in quell'avvicendarsi di effimere
signorie, la terra di Opreno posta fra i monti, in mezzo ad una
popolazione tutta guelfa, che avea saputo infliggere appunto in
quei paraggi una durissima lezione allo stesso Bernabò Visconti (2),
dovea prestare un sicurissimo ricetto al fanciullo non ancora atto
a maneggiare la spada. Certamente non vi ha nulla di assoluto in
queste induzioni ; ma se non si può ammettere nulla di assoluto
nemmeno nella tradizione pervenuta fino a noi e generalmente ac-
colta, pare non sia a rigettarsi un riscontro, che forse alla tradi-
zione stessa presta un aspetto assai più verisimile, perchè non sog-
getto alle soUte preoccupazioni, colle quali si vuole circondare la
oscura infanzia d' un uomo, che ad un tratto si vide sorgere a
grandissima altezza.
Che Bartolomeo avesse un fratello maggiore di età, il quale
potè sfuggire alla tragedia, che colpì la sua famiglia, e porsi al
chiamano all'Italia settentrionale. A p. 159 è la data del codice messo assieme
da questo Niccolino. Per la famiglia che avea nome da Opreno veggansi Mozzi,
op. cit., V, fol. 35 r. ed Angelini, Famiglie Bergamasche (ms. nella Civica bi-
blioteca), fol. 329 V. Non può far specie l'inorganico raddoppiamento della con-
sonante, abituale nelle scritture di quel tempo, e che può forse spiegarsi col fatto,
che quel grammatico nato in un ambiente, nel quale naturalmente si scempiano
le consonanti, credesse di poter rendere con Oppreno la forma letteraria vera
del nome di quella terricciola. Se poi osserveremo, che la valle di S. Martino,
alla quale appartiene Opreno, da immemorabile congiunta al territorio di Ber-
gamo lo fu pure da immemorabile alla diocesi di Milano, si renderà spiegabile
la rispondenza fra pupa e pigota {fritoìa è anche bergamasco e veneziano) e la
citazione pure, tra altre opere, del ^reviarium Ambrosianum.
(i) Basti qui accennare al fatto, che dopo la presa di Trezzo i Colleoni
aveano fatto riporre in questa Valle tutto quanto di prezioso aveano rinvenuto
in quel castello (Muratori, R. I. 5., to. XVI, col. 962).
(2) Celestino, op. cit., I, p. 227, che ha espressamente Opreno. Il Corio,
op. cit., voi. II, p. 264, dice alla Canonica^ ma è indubitatamente un errore della
sua fonte o suo. Propriamente dovrebbesi dire al Casale, ancora in quei paraggi,
come si ha da un memoriale inedito di Sozzone Suardo (ms. 1*, IV, 42), che
fu parte di quegli avvenimenti e del quale forse dovrò occuparmi. Ivi è detto :
« prope Caprinum supra Cassalle ».
VARIETÀ 387
soldo di Giorgio Benzoni, tiranno di Crema, è quanto affermano i
suoi biografi, ma che non mi risultò provato da alcun documento.
Quello, che prova il lavoro di fantasia dei biografi stessi, è il rac-
conto di fatti, che si riferiscono a questo Antonio, e i quali fanno
sentire il loro contraccolpo anche a Bartolomeo. Antonio avea avuto
dal Benzoni un' anticipazione sulla sua paga, e, desideroso di ri-
vedere la madre liberata finalmente dal carcere, si era portato nei
luoghi appartenenti alla sua famiglia ; ma i congiunti, paurosi di
avere in lui il vindice della morte di Paolo, aveano trovato modo
di toglierlo di mezzo. E qui entra in campo il Benzoni, che muove
un processo per riavere l'anticipazione di paga data ad Antonio,
e il quale, andando a lungo le cose, trova modo di impadronirsi
di Bartolomeo e di gettarlo in disonesto carcere a' Crema, donde
non fu tratto che dalla madre, la quale, non esistendo del marito
altre sostanze, dovette alienare pel riscatto parte della propria dote.
Così lo Spino (i), il quale qui avea per unica fonte il Cornazzano,
ma che sentì tuttavia la necessità di modificarne d'alcun poco le
espressioni, perchè effettivamente l'amico e biografo di Bartolomeo
lascia intendere, che l'affetto materno non ebbe ritegno ad affron-
tare l'estrema povertà pur di redimere il figlio dalle esose mani
del Benzoni : « donec mater suae dotis alienatione redimeret. —
i( Bartholomaeus ultima matris paupertate exceptus cum iam ado-
u levisset, nihil sibi superius esse intelligens, praeter nudum cor-
« pus, in quod fortuna saeviret » (2), andò altrove in cerca di
men triste destino. E inutile cercare un solo dato cronologico in
tutto questo racconto ; l'unica cosa, che a noi è concesso sapere, è,
che dovrebbe cadere entro i limiti dal 1403 al 141 7, quanto durò
la signoria del Benzoni (3). Un processo sommario del 1423, di
cui gli atti si trovano nelle imbreviature di Giorgio Salvetti con-
servate neir Archivio notarile (4), serve a ridurre alla giusta pro-
porzione tutto quel racconto. Il 15 maggio di quell'anno al banco
4el podestà Niccolò Spinola comparve Galvano del fu Giovanni
(i) Spino, op. cit., p. 11.
(2) Cornazzano, op. cit., col. 3. Il Bonomi, Il castello di Cavernago e i
conti Martinengo Colleoni, Bergamo^ 1884, p. 29 scrive : a fu in quel tempo che
((. il tradimento cagionò l'eccidio della famiglia di Paolo, il quale perdette non
«. solo il castello di Trezzo, ma la vita ed ogni suo patrimonio ». Tanto pareva
lasciassero ammettere gli antichi biografi. Veggasi anche a p. 28 una pittura non
meno dolorosa delle condizioni di Bartolomeo.
{3) GiuLiNi, op. cit., voi. VI, pp. 75, 203.
(4) Arch. not. cit., busta 139, fol. 165 r. sgg.
388 VARIETÀ
detto Moris de' Suardi quale tutore di Bettina figlia di Bettino detto
Brianza de' Suardi, asserendo, « quod suprascriptus Betinus dictus
« Brianza de Suardis quondam pater diete Betine fuit et erat tem-
*. pore infrascripte vendicionis per eum facte ut infra gibelinus et de
« parte gibelina civitatis et districtus Pergami ; et quod ipse Betinus
u — de anno currente 140Ó vel 1407 vedidit Paulo dicto Po de Co-
u lionibus certas possessiones terre suprascripti Betini — iacentes
u in territorio de Butanucho et de Mazaticha squadre Insulle di-
u strictus Pergami citra dimidiam insti pretii eius, quod ipse pos-
« sessiones valebant, et existentes tunc in fortiam partis guelfe,
u prò pretio librar. 650 imper. — Cum ipsas possessiones supra-
« scriptus Paulus dictus Po tenebat et possidebat et gaudebat, licet
« indebite, tempore quo castrum de Tricio tenebatur per ipsum
« Paulum et alios nobiles de Colionibus ». Il duca Filippo Maria
con lettera data da Abiate il 19 aprile 1421 avea accordato, che
le possessioni vendute durante la guerra al di sotto della metà del
giusto prezzo si potessero ricuperare mediante lo sborso del prezzo
versato. E il tutore continua nella sua domanda : « Et quod su-
« prascriptus Paulus dictus Po decessit relieto et super vivente
M Bartolameo eius filio legiptimo et naturali et sibi heredem et
« successorem in solidum. Et quod suprascriptus Bartolameus tenet
« et possidet ipsas pecias terre, exceptis tribus peciis terre — alie-
« natis per suprascriptum Bartolameum Carabello de Poma (i). et
« quas ipse Carabellus tenet et possidet ». E quindi il predetto
tutore fece il suo deposito di lire 650 d' imperiali.
Nello stesso punto il podestà : « visa dieta peticione — habi-
« taque informacione et fide prout prefato d. Potestati visum fuit,
« quod suprascriptus Bartolameus, contra quem vult moveri lis per
« suprascriptum Galvanum de Suardis — est absens et extra ter-
« ritorium huius civitatis Pergami et qui vadit vagabundus hinc
u inde, ita quod ignoratur ubi sit », ordina, che le citazioni sieno
fatte a tenore di quanto è prescritto dagli statuti per gli assenti
di ignota dimora. Segue la descrizione dei fondi in contestazione,
dalla quale risulta, che si trattava di cinque corpi di case poste
in Bottanuco « in contrata de suptus ubi dicitur in Castello » e di
(i) Di questo Carabello da Poma è una notizia nella Cronaca Castelliana
sotto il 12 agosto 1405 (Muratori, R. I. S., to. XVI, col. 974) ed in Finazzi,
/ guelfi^ ecc. cit.^ p. 259. L'elenco qui riportato di ribelli al veneto dominio è
tolto dai Libri hanitorum rehelium contra Statum Ser,»^^ d. d. «,, come si ha dal
Mozzi, op. cit., Vili, fol. 65 r. sg. Anche qui a fol. 66 v. è registrato « Cara-
« bellus quond. Tadey de Poma », che era stato bandito nel 1432.
VARIETÀ 389
468 pertiche di terra (ettari 31), delle quali una parte, cioè per-
tiche 66 (ettari 4,50), era stata venduta a Carabello da Poma. Il
i.o giugno davanti al vicario comparve « domina Ricadona uxor
« quond. d. Pauli dicti Poy de Colionibus ac mater suprascripti
u Bertolamei et eius Bertolamei procuratrix per cartam procure
« rogatam per Jo. Antonium de Vavassoribus de Medolacho no-
« tarium, quam produxit », ed essa fra l'altre opposizioni produsse
anche questa : « maxime cum non sit servata debita forma iuris
« et decretorum Domini nostri et Statutorum et ordinamentorum
« Comunis Pergami propter absentiam ipsius Bertolamei, qui absens
u est et stetit pluribus mensibus ellapsis, et qui est in partibus
« Romandiole, ut dicitur, et quam absentiam alegat ». Ma, malgrado
questa ed altre eccezioni, il 9 giugno successivo ebbe contraria la
sentenza.
Ma in un atto successivo, appunto colla stessa data della sen-
tenza, leggiamo : « In civitate Pergami in hospitio in quo moratur
u spectabilis legum doctor d. Nicholaus de Spinolis Pergami po-
« testas super lobia inferiori dicti hospitii — domina Ricadona filia
u quond. Oberti de Vavassoribus de Mediolacho et uxor quond.
il d. Pauli dicti Poy de Colionibus procuratrix — Bertolamini filii
« sui et similiter filii quond. suprascripti Pauli de Colionibus per
u cartam ipsius procure rogatam per Jo. Antonium de Vavasso-
« ribus de Mediolacho notarium die i decembris 1420 fecit datum
« et retrodationem Pievano filio quond. d. Johannis dicti Moris de
« Suardis et Antonio filio quond. d. Zenonis olim suprascripti
« Johannis » dei fondi precedenti ritraendone il prezzo di lire 650
d' imperiali. Ed ancora nello stesso giorno i predetti due Suardi
confessano di aver ricevuto da Ricadona lire 375 d'imperiali, « quas
u suprascriptus Bertolaminus alias habuit et recepit a suprascriptis
« de Suardis » (i).
Non voglio entrare in un particolare esame di questi atti : a
me basta d'averli segnalati per dimostrare, come abbiansi ad ac-
cogliere per lo meno con beneficio d' inventario i racconti fin qui
spacciati sulla prima giovinezza di Bartolomeo. La sorte intanto ci
ha dimostrato, che nel 1423 egli era ancora al possesso di una
vasta tenuta in Bottanuco ; e qui non dovea consistere tutta la so-
stanza ereditata dal padre, perchè i libri d'estimo del 1427 ci fanno
vedere, che ascritto alla vicinia cittadina di S. Stefano eravi ap-
punto « Bartolameus fihus quond. Pohii de Colionibus » pei suoi
(i) Imbreviat, eh., foli. 176 r., 180 v.
390 VARIETÀ
beni dì Calusco (i). Vediamo anche, che vi fu un momento, in
cui dovette vendere a Carabello di Poma una piccola parte delle
terre possedute in Bottanuco ed assumere dai Suardi un rilevante
mutuo. Qui saremmo tentati di credere, che tale vendita e tale
mutuo potessero essere stati provocati dalla necessità di riscattarsi
da qualche prigionia, nella quale Bartolomeo fosse incorso per la
sua giovanile ed avventata natura ; in qualunque modo, se mai tra
i due fatti vi ha un rapporto, è facile però vedere, che egli non
rimase mai privo d'alcuna sostanza e che il sacrificio materno è
puro sogno. Forse lo è pure la esistenza di un fratello di nome
Antonio, e probabilmente fu solo la posteriore leggenda che ri-
corse a questo espediente per ispiegare un fatto, i cui particolari
non erano più assai chiari. La madre affermava, nel 1423, che da
più mesi (« pluribus mensibus ellapsis »), non da più anni, Bar-
tolomeo aveva lasciato la casa paterna per recarsi in Romagna,
come, almeno, n'era corsa voce. Ma conviene osservare, che, stando
ai biografi, in quell'anno appunto egli trovavasi sotto il Caldora
all'assedio di Napoli, dove essi medesimi cominciano a rappresen-
tarcelo già fortunato per acquisto di copiosa preda, e dove, dopo
la caduta di questa città nell'anno seguente, già parlano di « ac-
« cresciute ricchezze »», alle quali si aggiunsero nuovi onori (2).
Certo, che se egli andava « vagabundus hinc inde », come affer-
mava il podestà, non potrebbe segnare un punto decisamente cro-
nologico l'affermazione materna, che al 1° giugno, in cui Ricca-
donna proponeva le sue eccezioni in giudizio, Bartolomeo potesse
ancora trovarsi in Romagna, se aveva colà indirizzato i suoi passi
pochi mesi innanzi lasciando la patria ; in qualunque modo è aperto,
quanto sia difficile seguire i primi passi del Colleoni sull'orme di
scrittori, che pure gli erano contemporanei. Per quanto fu sin qui
esposto, le cose si presentano in questo modo. La possessione di
Bottanuco fu venduta non, come vedemmo, per bisogno, ma in
forza di una disposizione data dal duca di Milano per rimediare
(i) Mozzi, op. cit., II, fol. 88 r. Fra gli estimati « sub rubrica nova » della
« talea salis mortui », del 1399 troviamo: « Pous filius d. Guidoti de Colio-
« ribus habitator de Solzia » e « Petrus filius d. Guiridoti de CoUionibus habi-
« tator de Calusco » (Mozzi, op. cit., Il, fol. 81 v.). Questa indicazione potrebbe
confermare la nascita di Bartolomeo in Solza, se colà abitava anche il padre.
Nell'estimo poi del 1430 la professione di Bartolomeo è già pienamente accolta :
« Bartolomeus filius quond. d. Pauli de CoUionibus armiger » (Mozzi, op. cit.,
II, fol. 264 v.)
(2) Spino, op. cit., p. 19.
VARIETÀ 391
in qualche modo alle ingiustizie commesse in un periodo di vio-
lenza estrema. E se fu possibile col prezzo restituito di saldare
anche il notevole debito verso i Suardi, dovrebbe essere indizio,
che Bartolomeo possedesse ancor tanto, da potere senza preoccu-
pazioni per sé e per la madre adempiere all' impegno assuntosi.
Anzi si aggiunga, che un atto dell' 11 novembre 1430 rogato da
Guarisco Panizzoli ci mostra, che Bartolomeo dovea possedere
anche altri fondi in Bottanuco, perchè ne vendeva pertiche 84 (et-
tari 5,56) a certo Venturino de' Carnarii ; e l'atto aggiunge, che il
venditore assoggettava a pegno tutti gli altri suoi beni per ga-
ranzia della piena esecuzione del contratto (i). In ogni caso ri-"
sulta aperto da questi documenti, che il Colleoni prima del 1420
aveva intera, o quasi, la ragguardevole possessione di Bottanuco,
che altri fondi ei possedeva in proprio in questa stessa terra, che
gli rimanevano i beni paterni di Calusco e che non avea verun
debito coi Suardi ; per il che diventano un sogno le gravi angustie
e la. estrema miseria, onde ne circondarono l' infanzia e la giovi-
nezza i suoi biografi.
A. Mazzi.
(i) Arch. not. cit., busta 160, voi. Ili, fol. 197 r. sg., delle imbreviature
di Guarisco Panizzoli. Il Mozzi (op. cit.., II, fol. 264 v.) per una svista attri-
buisce a quest'atto la data del 1425, In esso si seguono gli ascendenti di Barto-
lomeo fino al bisavolo : « Nobilis vir de Bartolomeus natus quond. nobilis viri
« d. Pauli dicti Poh olim nobilis viri d. Guidotti olim spectabilis et egregii viri
'( d. Caviate de Colionibus ».
392 VARIETÀ
Per la storia della coltura del riso
in Lombardia.
ON si può precisare in quale epoca sia stato per la prima
volta seminato il riso in Italia, come non puossi accer-
tare se si debba agli Arabi piuttosto che ai Veneziani
il merito dell' introduzione nella nostra penisola di questo
prezioso cereale.
Ma egli è quasi fuori di dubbio che l' Italia conobbe il riso
prima del secolo decimoquarto (i). Non pure avanti il 1340 (2), ma
anche dopo il 1400 il riso era però considerato in Lombardia un
oggetto di lusso, e vendevasi solo dagli speziali e droghieri, a caro
prezzo, come pepe, zucchero ed altre cose oltremarine; e sembra
che comunemente si traesse dall'Asia per la Grecia (3). Esso non
formava ancora la minestra comune e quasi caratteristica del pasto
quotidiano del popolo lombardo (4).
L'abate FumagalU ricordando che verso la fine del duodecimo
secolo i Milanesi avevano intrapresa la estrazione dei navigli dal
Ticino e dall'Adda, aggiunge che allora provveduti da acque, pen-
sarono ad estenderne l' irrigazione, impiegandone parte nelle risaje.
Ma è giusto avvertire ch'egli notò anche che questo ramo di gua-
dagno, così esteso ai suoi tempi, non era cominciato nel dodicesimo
(i) È notizia, per i lavori del Belgrano e del De Simoni, di riso importato
in Anversa dai Genovesi nel 1315. Gfr. A. Schulte, Geschichte des mittelalter-
lichen Handels^ I, 712 n.
(2) Nel Datum o tariffa daziaria milanese del 1340 iLa rixum » era quotato
L. 5 « prò centenario ».
(5) Gfr. V. Hehn, Piante coltivate ed animali domestici nelle loro migrazioni
dall'Asia per la Grecia e V Italia nel resto d'Europa^ Firenze, Le Monnier, 1892.
La 4.a ediz. tedesca è del 1883, Berlino.
(4) Fra i Capitoli piacevoli di Gerolamo Leopardi, fiorentino, nell'Accademia
della Borra, detto il Ricardato (Firenze, Sermartelli, 1613) ve n'ha uno a in
a lode della minestra », e che chiude coi versi : ^
In quanto all'autor, per quel ch'io intendo,
Fu un Lombardo, chiamato Giovanni,
Huom veramente d' ingegno stupendo,
Che n'ebbe il privilegio per dieci anni.
VARIETÀ
393
secolo come taluni autori ebbero a riferire ma assai più. tardi, e pochi
secoli al certo contar possono le risaje nel milanese (i).
Il Verri per qualche tempo aveva creduto che i milanesi, ri-
tornando dalle crociate avessero portato dall' Egitto nella loro
patria la coltura del riso, ma si ricredette (2), letta la grida del
18 aprile 1386, pubblicata dal Giulini nelle sue Memorie di Milano
(XI, 426), con cui veniva ordinato che gli speziali ed i droghieri
non vendessero il riso a maggior prezzo di denari 14 imperiali la
libbra. Ai 21 dicembre del medesimo anno era fissato ad un soldo (3);
e così di seguito variava come risulta dalle successive numerose e
curiose « mete » o tariffe delle mercerie del comune di Milano, con-
servate nei libri delle Provvigioni nel suo archivio municipale (4).
(i) Sulla coltura delle campagne, ecc., Diss. XIII in Antichità Longobarde^
voi. II, p, 141 (Milano, 1792).
(2) Storia di Milano^ Milano, Lampato, 1840, voi. II, p. 130.
(3) « Rixum prò qualibet libra sol. unum ». Arch. civico di Milano, Prov-
visioni, voi. I, tol. 45.
(4) Eccone uno spoglio a tutto il 143 1:
1388, 29 febbraio, « arissum prò libra 1409, 24 luglio, soldi 2.
« sol. unum ».
1389, 12 gennaio, 16 febbraio, 22 di-
cembre, I soldo.
1590, 2 marzo, i soldo.
Ibid., 12 settembre, io denari.
1391» 31 gennaio, 4 marzo, i soldo.
1392, 16 gennajo, io denari.
Ibid., 9 agosto, I soldo.
Idid., 20 dicembre, io denari.
1393, 20 marzo, 3 dicembre, i soldo,
2 denari.
1394, 4 marzo, i soldo, 2 denari.
1395, 28 gennajo, i soldo.
1596, II marzo, 17 agosto, 11 dicem.,
I soldo.
1397, 19 febbrajo, 19 dicem., i soldo
Ibid., 20 dicembre, soldi i, denari 6.
1410, II agosto, soldi 2.
141 1, 8 aprile, soldi 2.
Ibid., 3 ottobre, soldi i, denari 8.
1412, 7 marzo, soldi i, denari 8.
141 3, 3 aprile, 20 dicembre, soldi i,
denari 6.
1416, 18 dicembre, soldi i, denari 4.
1417, 3 dicembre, soldi i, denari 4.
1418, 5 aprile, soldi i, denari 2.
1419, 19 dicembre, soldi i, denari 4.
1420, 22 ottobre, soldi i, denari 4.
1421, 4 aprile, 25 settembre, soldi i,
denari 4.
1422, 22 aprile, 18 dicembre, soldi i,
denari 4.
1406, 6 marzo, 21 ottobre, 20 dicem- 1425, 12 febbrajo, soldi i, denari 6
bre, I soldo.
1407, 7 luglio, I soldo, denari 4.
Ibid., 15 settembre, 2 novembre, 16 di-
cembre, I soldo, denari 6.
1408, 7 marzo, 7 aprile, i soldo, de-
nari 8.
Ibid., II dicembre, soldi 2.
1424, 24 ottobre, soldi i, denari 4.
1425, 9 marzo, soldi i, denari 6.
Ibid., io ottobre, soldi 2.
1426, 18 dicembre, soldi 3.
1430, 24 gennajo, soldi i, denari 8.
Ibid., 15 dicembre, soldi i, denari 2.
145 1, 7 marzo, soldi i, denari 2.
Archivio civico, Provvisioni^ voli. I, II, III, IV ad annum.
394 VARIETÀ
Da diversi scrittori si ripete tuttora che Pier Crescenzio verso*
il 1301, abbia introdotta la coltivazione del riso nel bolognese,
esperimentandola nei propri terreni in Rubizzano con semi ricevuti
dalla Sicilia; come apparirebbe dalla sua opera Ruralium commo-
dorum (negli Scriptores rei rusticae, 1735), in cui lo chiamò il « tesoro
« delle paludi ». Ma non è esatto, perchè il capo di cui nell'opera del-
l'illustre agronomo bolognese si parla del riso, è un'aggiunta del
traduttore che non si trova nel testo latino (i). Nel 1468, come ri-
sulta da un documento riferito dal Targioni-Tozzetti nei suoi Viaggi
per la Toscana (XII), si trattò di praticare una risaja nel piano di
Pisa (2). Dal Betti (3) è proclamato introduttore nel veronese nel 1522
Teodoro Trivulzio, allora comandante l'armata veneziana (4). Opi-
nione del De-Gregory e del Ranza è che nel novarese e nel ver-
cellese si sia introdotta la coltivazione al cominciamento del se-
colo XVI (5). Ad Agostino Gallo, da Brescia (1499-1570), il noto
autore delle Venti giornate dell'agricoltura (Venezia, 1569), si dà
il merito di aver per il primo, tra gli agronomi, dettati precetti
sulla coltura del riso (6).
(i) Cfr. U. C, cenni critici dell'opuscolo Dell» risaje, ecc., in Biblioteca
Italiana di Milano, I, 1816, p. 250. Per il Crescenzio agg. M. Buch, Des Petrus
de Crescentiis Buch ùber die Landwirthschaft und seine lllustrationen in Zeitschrift
fùr Bùcherfreunde, settembre 1901.
(2) Il Balducci, al servizio della compagnia de' Bardi in Firenze, nella sua
Pratica della Mercatura (1471) nota tra le spezierie non minute il « rìso d'oltre
a a mare » e il « Riso di Spagna ». (Cfr. [Pagnini] Della decima e di varie altre
grave:(^e imposte al comune di Firenze, Lisbona e Lucca, 1766, to. Ili, p. 295.
. (3) Z. Betti, Memoria 2.* aggiunta a\V Agricoltore esperimentato di Cosimo
Trinci (Venezia, Gatti, 1783, p. 266); F. Cherubini, Noti:(ie storiche di OstigUa,
Milano, Lamperti, 1826, p. 86 n.
(4) Il maresciallo G. G. Trivulzio (f 1518) avrebbe ridotta a bella coltura
la Selva piana in cima al Lario, introducendovi risaje adacquate dal Boggia (cfr,
C. Cantù, Storia di Como, I, 143 n.).
(5) G. De-Gregory, Solution du problème économico-politique concernant la
conservation ou la suppression de la culture- du ri^ en Lombardie, chap. I. De l'origine
des rizières dans la Lombardie, Turin, imp. royale, 18 18; G. A. Ranza, Riflessioni
sulle risiere^ l'jyo. Ms. alla Nazionale di Torino, cod. n.*II, 14. Debbo la cono-
scenza di questo ms. alla cortesia del prof. Giuseppe Roberti in Torino, il noto bio-
grafo del famigerato giacobino Ranza. Il Giovanetti, Le risaje novaresi^ ms. alla co-
munale di Novara (cfr. Tarella, Catalogo delle opere di autori novaresi^ ecc., Novara,
1886, p. 124) non serve per la parte storica. Altrettanto dicasi del Discorso sull'utile
e danno delle risaje nel Novarese (fine sec. XVI), cod. Trivulziano n. 11 26.
(6) « Si vede quanta soventione rende a questo paese nel mangiarlo in mi-
« nestra, e più nel macinarlo con la segala et miglio insieme, o con quella so-
c( lamenta per fare il pane con maggior utilità » (p. 40).
VARIETÀ 395
Ora noi possiamo, mercè un documento inedito, ritenere per
positivo che nella seconda metà del sec. XV la produzione del riso
fosse già di qualche importanza nel ducato di Milano e tale da in-
fluire sul valore delle altre biade, e che il merito d'aver introdotto
questo elemento di ricchezza nuova non spetta già, come dai più degli
scrittori s'è propalato, a Lodovico il Moro (i), ma piuttosto al fratello
suo e predecessore nel ducato, Galeazzo Maria Sforza (f 1476).
È dell'a. 1475 la data precisa dell'introduzione della semina
del riso nel ferrarese; e la prova sta nella seguente lettera ducale
all'oratore del duca di Ferrara in Milano, Nicolò de' Roberti :
« Inteso quanto ne scriveti del desiderio che ha lo IH.^^o Duca
a vostro de introdure el seminare del riso nel ferrarese: et per
u questo che gli ne voghamo compiacere de xij sachi, dicemo che
u per satisfacione de sua S.^ voressimo compiacerli in molto ma-
ii gior cosa de questa, quale è minima, per fare cosa che alla
.< S.^ sua fosse grata. Noi scrivemo per l'aligata ad Juliano Gua-
>i scono (2) officiali sopra li parchi nostri che ad omne requisitione
i< vostra debi consignare la dieta quantità de rixo ad ciaschaduno
'< vostro messo siche mandareti per esso. Quanto al facto del cor-
'< siero del 111. m.r Sigismondo noy havemo scripto opportunamente
a per intendere comò sta la cosa ».
Daf. Villenove die 2'j septembris 147S.
u per Co. Jo. Ja. (3) ».
(i) Cfr. ad es. Rovelli, Storia di Como, III, p. 366. Il Biffignandi^ Me-
morie storiche di Vigevano, 1810, p. 144, ricordando a merito del Moro l'intro-
duzione dei gelsi e l'allevamento dei bachi e delle pecore di Linguadoca, non
accenna al riso; il Maccaneo poi, nel 1490 {Corographia Laciis Verhani), pur
decantando la fertilità di Vigevano ed accennando ai gelsi, tace a sua volta del
riso. Leggenda anche quella dei gelsi e dei bachi ! La piantagione dei gelsi, fatta
allo scopo di trarre dalla loro foglia il sostentamento pei bachi, s'incominciò
presso di noi pochi anni prima del 1470 (cfr. C. Casati, Vantica industria se-
rica milanese in La Perseveranza, 18 luglio 187 1).
(2) Era tale:
« Juliano Guascone,
« Havendone lo Jll.™° Duca de Ferrara facto richiedere per mezo del suo
« Ambassatore che gli vogliamo compiacere de sachi XIJ de riso : quale desydera
« de haverne per semunare in Ferrarese, te scrivemo et commettemoti che al
« dicto Ambaxatore o ad qualunche suo messo debij subito fare consignare li
« dicti sachi XIJ de riso.
« Villenove, XXVIIJ septembris 147 ^ ».
(3) Archivio di Stato di Milano, Registro Missive, n. 124, foli. 4 e i t.
396 VARIETÀ
L'indomani (28) il permesso ducale di uscita del riso, esente
da dazi, veniva impartito a tutti gli ufficiali:
« Dux Mediolani, etc. Havendo noy compiaciuto al duca de
u Ferrara de sachi XIJ de riso che ne ha facto richiedere per si-
u minare in Ferrarese, commandiamo ad ciaschaduno nostro offi-
u ciale et subditi ad chi specta, che lasseno liberamente et senza
« paghamento alcuno de datio, passare et condure per tuto fora
il del dominio nostro li dicti sachi XIJ de riso, per qualuncha messo
« del prefato Duca exhibitore de questo nostro scritto.
« Vilknove die XXVII J septembris 14'js »•
Dalla concessione al duca di Ferrara trasparirebbe però che il
rìso veniva coltivato allora nei parchi ducali piuttosto che non nelle
tenute private, od almeno che la coltivazione non ne fosse ancora
così generalizzata, come appare verso la fine del quattrocento. E
nei molti contratti agrari di quel secolo, da noi consultati nell'Ar-
chivio notarile di Milano, non ci fu dato di trovarvi accenno.
Non è nostro compito di trattare del traffico del riso che fino
dal 1480 varcava abbondantemente le Alpi (i), ed abbiamo dati
statistici pel passo del Gottardo e per i mercanti di Berna, di Ba-
silea e d'altre città della bassa Germania. Nel 1494, ad es., Pietro
zur Wittwen, di Brienz, conduceva a Lucerna 30 some di riso, e
80 altre some vi trasportava nel 1496 Bernardo Morosini. Nel
triennio 1497-99 figura specialmente come speditore di riso il ne-
goziante basileese Baldassare Irmi (2).
La coltivazione si estese, come abbiamo detto, verso la fine
del quattrocento, sicché per la sua considerazione il duca venne
presto a gride proibitive di estrazione dal Milanese. La prima, che
è in data 29 settembre 1494, segnala appunto « ad quanto bene-
u fitio è stato ali subditi soy el seminare et recogliere di risi »,
venne promulgata a suon di tromba dal trombetta del comune, ai
30 settembre dalle scale del palazzo del Broletto ed al i.° ottobre
sulla piazza dell'Arengo e fuori delle porte Ticinese e Comasina.
(i) « Risum ponatur prò centenario libr. 2 sol. io »; così ancora nel Ca-
pituhitn spiciarie degli statuti dei dazi di Milano {Statuta, ediz. Milano, Suardi,
1480). Nella tariffa daziaria di Lucerna del medesimo anno (1480) non figura
ancora tassato il riso.
(2) Cfr. A. ScHULTE, Geschichte des mitteìalterlichen Handeìs und Verkehrs.
^wischen Westdeutschìand und Italien, Leipzig, 1900, I, 578, 712, II, 197; Bol-
lettino storico della Svi:(^era Italiana, 1892, p. 5.
VARIETÀ 397
Diamone il testo:
u Intendendo la Excellentia del nostro l[\.^° et Ex.^o Signore
« Jo. Galeaz Maria Sfortia Vesconte duca de Milano, etc. de Pavia
« et Anglera Conte ac de Zenova et Cremona Signore che Dio con-
« serva longamente in felicissimo stato, ad quanto benefìtio è stato
« ali subditi soy el seminare et recogliere di risi nel dominio suo ;
« per provedere che maior abondantia de victualie sia in benefìtio
u depsi subditi et maxime ad quelli de la inclita cita de Milano et
« suo ducato ad li quali ha singulare consideratione, per tenore de
« la presente crida si fa comandamento generalmente ad caduna
« persona di qualuncha grado, stato et condictione se sia cossi ec-
« clesiastica comò seculare, che non olsa né presuma di condure
u ne fare condure per alcuno modo alcuna quantità de riso fora
u de la cita predicta de Milano et suo ducato senza licentia in
i< scripto signata Marchisinus, sotto la pena di ducato uno prò
« staro che se ritrovarà condure o essere conducto fora depsa
« citate o ducato ut supra et ultra di perdere dicto rixo et bestie
« ac altri instrumenti con li quali lo conducessero aut havessero
« conducto aut il loro pretio applicanda alla camera di Sua Ex. ^^^
« Item che alcuna persona ut supra habitante nel dominio suo
« fuora depsa cita et ducato non olsa né presuma condure né fare
« condure da jurisdictione ad jurisdictione né fora del predicto
u dominio quantità alcuna de riso senza licentia ut supra sotto la
w pena predicta applicanda ut supra. Bene se concede che ad caduno
« sia licito condure vel far condure ad le citate di Milano et Pavia
« tuta la quantità de riso gli piacerà senza altra licentia né impe-
« dimento alcuno, certificando che caduno contrafaciente ad questa
« crida sarà punito irremissibilmente et senza rispecto.
« Papiae 25? septembris 1494.
u sign. Marchisinus » fi).
Grida che si rinnovava ai 29 gennaio 1496 (2).
Ai 23 dicembre 1495 Francesco da Cremona, dimorante in
Milano, figlio di quel Carlo da Cremona che fu maestro delle caccie
ducali, e spesso ricordato per altre cariche tenute, nei carteggi
sforzeschi, e di casato Favagrossa, prometteva di dare a Francesco
Visconti, figlio del q."™ magnifico Guido, « partim in terra Vigle-
(i) Arch. civ. di Milano, Registro provvisioni^ 1494-1504, fol. 7 t. Il Mar-
chesino è lo Stanga, prediletto tra i segretari del Moro,
(2) Arch. di Stato di Milano, Reg. Panigarola E. E., fol. 281 t.
398 VARIETÀ
u vani, et partim in ejus territorio », entro venti giorni, moggia 400
4( risi fiendi et non facti » alla misura di Milano, del peso di
L. 80 grosse, per il prezzo di soldi 28 e denari 6 per ogni mog-
gio (i).
Vennero i tehipi grossi ed il succedersi di francesi, svizzeri e
spagnoli, tutti intenti ad angariare la povera Lombardia. I docu-
menti vi richiamano le forniture del riso per le truppe.
■ Così nella grida del 15 aprile 1500 delle cose « per l'uxo et
a bisogno de li Francesi » il riso è quotato soldi 6 per stajo (2).
Nell'aprile 1509, e lo deduciamo da un registro di spese del con-
vento dei Serviti in Milano, i|2 stajo di riso costava soldi 7; nel
dicembre 151 1 lo staio era a soldi 14, per salire ad una lira nel-
l'aprile 1512 (3). Nei patti stipulati tra la città di Milano e Fran-
cesco I di Francia ai 7 gennajo 15 16, il 22.° articolo domandava
la revoca delle tratte del riso : « tracta rixi in totum tollantur »> (4).
Nei registri dell'abbazia di Chiaravalle la comparsa del riso è
segnalata all'anno 15 17-15 18 (5).
Le gride proibitive si succedono numerose dopo il 1520. Così
ai 13 agosto 1522 « sotto pena della forca e confiscazione di tutti
« li suoi beni applicandi alla ducal Camera » (6), ai 31 gennaio,
20 febbrajo e 7 ottobre 1525, ai 7 luglio .1530 (7).
Nel castello di Milano, nel 1526, tra altre vettovaglie, dovevansi
tenere « moza 1000 riso cum la scorza da qui a S.to Martino prox.
*( a sol. 50 el mozo L. 2500 m (8). Nel 1532 per bocche mille, di
^< riso fatto ne bisognaria moza 100, et gli n'è moza 126 da fare
u che poterla fare moza 50, ne mancarla moza 50 »» (9).
Nel 1530, costituendo oramai la coltura del riso una delle prin-
(i) Arch. not. di Milano, Rog. not. Boniforte Gira.
(2) Arch. civ. di Milano, Reg. provv., V, fol. 78.
(3) Bibl. Braidense, Mss. Ballati, to. VI, p. I, fol. 216.
(4) M. FoRMENTiNi, // ducato di Milano, p. 246.
(5) « Vena e riso m. 26 L. 32. 11. 6 » cfr. A. Ratti, // secolo XVI nel-
J^abba^ia di Chiaravalle in quest'Archivio, a. XXIIl, 1896, voi. V, pp. 107-108.
(6) Cfr. L. Ferrario, Busto Arsirlo, p. 57.
(7) Arch. di Stato di Milano, Gridario e Registro Panigarola P., fol. 263.
Proibizione di condurre, vendere e far vendere « riso cossi pisto quanto in cor-
« tice » per condurre fuori del dominio milanese, e neanche nel medesimo da
luogo a luogo se non in vista delle licenze ducali segnate, sigillate e spedite dal
magistrato delle biade.
(8) Trivulziana, cod. n. 173.
(9) Arch. di Stato di Milano, Pia^^e forti, Milano, cartella II.
VARIETÀ 399
cipali produzioni agricole del Milanese, fu compresa nel censimento
effettuato a quell'epoca (i).
Luigi Guicciardini, parlando del commercio di Anversa nella
sua nota Descrittione di tutti i Paesi Bassi (Anversa, 1567) scriveva
che da Milano e suo stato, oltre ai molti drappi di seta e oro, di
fustagni, armature, ecc., vi giungevano « molti rixi et buoni » (2).
Di quei tempi, o poco dopo, dalle case pie di Milano si dispen-
savano in elemosine più di 800 moggia di riso « mondato fuori
« della sua scorza » (3).
Ma oltrepassata la metà del cinquecento, non si tardò ad ac-
corgersi come per tal coltivazione la malaria e le febbri prendes-
sero il sopravvento. Quindi si fece sentire la reazione da parte del
governo spagnolo, che si manifestò in una serie di divieti e di leggi
restrittive emanate dai suoi governatori in Milano, dal duca di Ter-
ranova venendo al contestabile di Castiglia. Fissata la distanza di
« miglia 4, ragionando il miglio a 3000 brazza de Ugnarne, et comin-
« ciando la misura alla muraglia della città » di Milano o di No-
vara (4), oltre la quale non dovevasi seminare il riso. E potevano
esser messi a riso soltanto i terreni non suscettibili di altra produ-
zione. Né mancarono contese, e fiere, tra l'autorità laica e quella eccle-
siastica circa al permettere o negare ai coloni della chiesa la semina
del riso. La contesa più grave, ripetutasi sotto il card. Federigo
Borromeo, nel 1596, è stata già illustrata in q\ies>t^ Archivio (5), ne
noi vi ritorneremo sopra, come non ci dilungheremo oltre a trat-
tare della risicoltura nei secoli successivi (6). A dispetto di tante
(i) Annali della fabbrica del Duomo, voi. Ili, p. 426; M. Formentini, 1/ du-
cato di Milano, p. 604.
(2) Nel 1590 a Parigi una libbra di riso costava bajocchi 45 (cfr. Dondi,
Cronaca di Sabbioneta in Cronisti lombardi, Milano, 1856, voi. II, p. 371. Per
il ricevimento in Tortona del consiglier Bernardino Mendozza, nel 1556, erano
abbisognate anche 6 libbre di riso a soldi 6 e denari 9 (cfr. (\vìqs\' Archivio, VI,
1879, p. 434).
(3) P. MoRiGiA, Nobiltà di Milano, Milano, 1619, p. 98.
(4) Cod. Trivulziano n. 2122 sotto Risi. Cod. Triv. n, 1708 (ce Parere in
u materia de seminar risi appresso alla città »). Del 1594 ^ anche l'editto del ve-
scovo di Novara, Bescapè, per il seminare de risi (cfr. Scritti pubblicati da mons.
vescovo di Novara nel governo del suo vescovato, Novara, Sesalli, 1609, p. 710).
(5) M. Formentini, Libello famoso contro la città di Milano in quest'^r-
chivio V, 1878, p. 48.
(6) Cui interessasse di approfondire la ricerca e di constatare quanto in-
chiostro siasi adoperato per segnalare l' insalubrità delle risaje non mancano mss.
e stampati, oltreché negli archivi di Milano, in Ambrosiana. Cfr. specialmente
400 VARIETÀ
leggi proibitive, susseguite da regolamenti sempre più severi, essa
crebbe in modo veramente meraviglioso, e tutti noi possiamo con-
statare quale sviluppo prendesse in Lombardia, dove tuttodì è
estesa e fiorente più che in ogni altra parte d'Italia (i).
Avremo invece occasione di ritornare sul discorso del riso per
ricercare le origini di uno dei piatti più in voga, massima gloria
della cucina milanese : « il risotto », che ci venne forse, unico buon
regalo, dagli Spagnuoli !
E. Motta.
le segnature G. B. XVI, 14; S. B. M. VII, 23 ; S. R. S. IX, 15 ; S. C. Z. IV,
21; S. N. Q, IX, 79 e la Legione scritta contro li Risari dal Bugati;ms. anche
ricordato dal Predari, Bibìiogr. milanese, p. 508.
(i) F. Leouain, La coltivazione del riso con provvedimenti di salubrità, To-
rino, 1878, p. 12.
BIBLIOGRAFIA
EvELiNA Menghini, Dello stato presente degli studi intorno alla vita di
Paolo Diacono^ Pavia, tip. succ. Fratelli Fusi, 1904 (Estratto dal
" Bollettino della Società Pavese di storia patria,,), pp. 197.
È un libro che contiene assai più di quel che prometta il titolo :
movendo dall'esame e dalla discussione delle fonti a cui può attingere
il biografo di Paolo Diacono : fonti che si possono distinguere in due
gruppi, le cronache cioè che ce ne parlano e l'epitaffio (o il creduto
epitaffio) del dotto monaco da una parte, e dall'altra le opere stesse di
Paolo; l'A. vagha e discute tutto ciò che fu detto, piìi o meno a propo-
sito, coU'aiuto di queste fonti : affronta il mare magnum delle conget-
ture che dovrebbe aver pur per confine i limiti a cui queste fonti ci
permettono solo di giungere ed è invece sconfinato.
Da tutto questo esame e da questa discussione scaturisce un po' più
di luce sulla vita del dotto longobardo: le linee generali della vita di
Paolo le vediamo più sicure (non dico siano ora tracciate per la prima
volta) e si risolvono molti dubbi.
Certo fu grande la fatica che 1' egregia A. sostenne ; la sua dili-
genza fu esemplare, è buono il metodo seguito e il lavoro degno di
molta lode: qualche deficenza qua e là si nota; però il buono prevale
di gran lunga.
Una delle fonti che potrebbe parere più importante è l'epitaffio che,
se autentico, se posto un giorno realmente sulla tomba di Paolo, do-
vrebbe avere grande valore.
La signora Menghini ne nega l'autenticità.
La induce ad affermar ciò, in primo luogo, l'esame del contenuto
dell'epitaffio, che mostra conoscere sì poco della vita di Paolo; di più,
sospetta l'A., ciò che vi si dice, può esser stato ricavato dalle opere
stesse di Paolo: ma all'A. paion gravi, sopra tutto, le ommissioni che
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. Vllf. 26
402 BIBLIOGRAFIA
sono nel componimento non breve, e sopra tutto il silenzio sulle rela-
zioni dì Paolo con Carlo Magno. Nell'epitaffio non si parla realmente
né di Carlo M. né dei Franchi, né dei longobardi beneventani in parti-
colare, mentre cogli uni e cogli altri Paolo ebbe rapporti, e 1*A. che è
disposta a capire perchè siano dimenticati i longobardi di Benevento,
crede inesplicabile il silenzio sulle relazioni di Paolo con Carlo, e non
se lo spiega né dal punto di vista religioso né dal politico.
Dei rapporti di Paolo l'epitaffio non conosce (o, per esser più esatti,
non menziona) che quelli con Ratchis.
Né paiono all'A. senza significato quegli ampliamenti, quelle espres-
sioni indeterminate di cui sono ricchi quei versi : le paiono nascondere
la povertà di notizie che aveva il poeta.
La storia esterna dell'epitaffio la porta a simile conclusione. Sulla
tomba di Paolo vista nel secolo X dal Salernitano, era un epitaffio (su
ciò mi pare non si possa dubitar punto) ma non sappiamo se quell'epi-
taffio fosse il componimento noto pure a noi. L'A. crede che no, asso-
lutamente no, perchè se il Salernitano vi avesse letto l'epitaffio ora
discusso, avrebbe dovuto dimenticarlo del tutto per riferire sul suo eroe
una serie di fatti in contraddizione con quanto trovava nell'epitaffio. 11
Salernitano non lo avrebbe dunque conosciuto: l'epitaffio Ildericiano nel
sec. X, cioè nel tempo in cui il Salernitano visitò Monte Cassino, non
era sulla tomba del poeta. Leone Ostiense (sec. Xl-Xll) ci parla pure
della tomba di Paolo senza ricordare che fosse illustrata da un epitaffio
(e ciò mi pare spiegabilissimo pensando che in circa quattro secoli
quella tomba aveva forse subito dei mutamenti in cui può essere andato
smarrito l'epitaffio citato dal Salernitano): l'A. crede che Leone, cassi-
nese, avrebbe dovuto conoscere quei versi, almeno trascritti in un co-
dice, e forse anche nel codice che ce li conservò, quei versi che si di-
cevano esser l'epitaffio di Paolo; se non li cita, vuol dire che non
prestava lor fede.
Pietro Diacono li vide, li citò, ma certo già trascritti in un codice;
e quando parlò della tomba del poeta, non fé' più cenno di epitaffio.
Tutto ciò all'A. pare strano e questa serie di fatti la induce a du-
bitare che l'epitaffio Ildericiano non sia in realtà che un carme lauda-
tivo, una semplice esercitazione retorica di carattere ascetico e monacale,
composta assai tardi e inserta, probabilmente nel sec. XI, in un foglio
bianco di un codice dell'abbazia. Il nome di Ilderico, poiché si sapeva di
un Hildric vissuto nel monastero al tempo della morte di Paolo, era
aggiunto nel carme per ragioni di verisimiglianza. Allora, in un com-
ponimento di tal natura, non avevano più importanza, secondo ci dice
l'A., le relazioni di Paolo coi principi di Benevento e col re dei Franchi
e se ne spiega la ommissione.
Le cronache. — In generale ci son di bea poco aiuto: l'A. accenna
appena a un gruppo di cronache franche, tarde per età, povere di no-
tizie, poco attendibili o con notizie facilmente desumibili da fonti mi-
gliori. La discussione si ferma specialmente su due gruppi di cronache :
BIBLIOGRAFIA 403
il beneventano e il cassinese; il qual ultimo gruppo ha un nucleo, il
solo importante, che si collega strettamente col beneventano.
Il gruppo beneventano è rappresentato specialmente dall'Anonimo
Salernitano del sec. X, Questi ci presenta per il primo un ampio rac-
conto in cui Paolo figura come fedele a Desiderio, in mezzo al tradi-
mento dei suoi procereSf che cerca vendicare o liberare il suo re pri-
gioniero, attentando alla vita di Carlo; che, cacciato in esilio, compare
alla corte di Arichi di Benevento e lo dispone alla resistenza contro il
re Franco, e che, solo dopo morto Arichi, si ritira nel chiostro.
La leggenda ha schietto carattere longobardo-beneventano, come
era già stato osservato: ma l'A. mostra di più che la leggenda paolina,
la quale collega il poeta al re vincitore dei longobardi, non si deve
considerare isolata, ma è da porre in relazione con altre leggende, pur
riferite dall'anonimo, che ci mostrano nell' Italia del sud V esistenza di
un gruppo di leggende, forse non completamente evolute, che ebbero
per centro Arichi e Carlo Magno. Nel modo stesso pare che altro
gruppo si fosse andato elaborando nel nord dell'Italia attorno a Carlo
ed Adelchi.
Nella leggenda meridionale compare pure il poeta, la cui figura è
compenetrata di quello spirito che informa la leggenda tutta. E non è
forse difficile lo spiegarsi il perchè di questa inclusione: Paolo aveva
fama di dotto, e questa fama doveva spandere luce speciale su lui, spe-
cialmente in un ducato che ebbe principi amanti della coltura, e città
che furono centri non spregevoli di coltura : Benevento e Salerno.
Si può notare che la stessa figura di Carlo, quale si elabora in
quell'ambiente, è la figura di un principe amico e mecenate dì dotti. Di
più questo dotto era stato unito alla famiglia ducale di Benevento; facile
quindi il supporre che fosse pur stato un propugnatore dei longobardi
del sud, come di quelli del nord. Si aggiunga a ciò che Paolo aveva
pur narrate le imprese dei longobardi e chi ne aveva narrate le glorie,
non poteva non essersi opposto alla loro rovina: tanto più che non era
forse sparito del tutto un ricordo, anche confuso, di rapporti (che pure
sono storici) di Carlo con Paolo. E forse nella elaborazione della leg-
genda, quale l'anonimo ci presenta, può aver influito il racconto stesso
di Paolo su Unulfo e Pertarido.
I cronisti cassinesi non si curano di tutto quell' ambiente in cui ha
la sua ragione d'essere la leggenda di Paolo : prendono questa isolata,
ne addolciscono le tinte, cioè la snaturano e lo fanno perchè nulla
hanno di meglio da sostituirle. La arricchiscono invece di notizie che
nel monastero potevano trovare facilmente : quelle riferentisi all' atti-
vità letteraria di Paolo, tanto che a poco a poco nei racconti cassinesi
il politico scompare e resta quasi solo il letterato, senza che però (no-
tiamolo bene) sia sparito affatto il ricordo della vecchia leggenda. Ciò
apparirà evidente a chi studierà Leone Marsicano e Pietro Diacono.
Un barlume della importanza politica della leggenda si vede ancora
nel sec. XI in Romualdo Salernitano che, pur accennando a tutta la
404 BIBLIOGRAFIA
vecchia leggenda, ci mostra in Paolo quasi più solo un esempio di fe-
deltà (i).
A questo punto io m* ero chiesto : se 1' epitaffio Ildericiano fosse
tardo, per es. del sec. XI, perchè niun accenno ci conserverebbe della
vecchia leggenda? E in quel silenzio io vedevo una conferma dell'au-
tenticità dell'epitaffio: esso almeno sarebbe stato composto quando la
leggenda beneventana non era entrata ancora in Monte Cassino, dove
io la credevo (e la credo) introdotta dall' anonimo Salernitano.
L'A. invece ne deduce che il silenzio non prova nulla; che dal
silenzio non può dedursi fosse ignota la leggenda all'autore del carme :
che del resto neppur dal silenzio dei cronisti cassinesi anteriori a Leone
può dedursi si ignorasse al loro tempo la leggenda in M, Cassino, leg-
genda che l'A. vorrebbe dal Salernitano (non cassinese, del sec. X) fosse
per primo accolta e forse elaborata, ma crede già conosciuta da Er-
chemperto (sec. IX) (cassinese) in cui trova un cenno alla leggenda
medesima nella congettura che questi fa sulla causa per cui Paolo
avrebbe interrotto il suo racconto nella h. l. dopo la morte di Liutprando :
il concetto che ispira questa congettura è simile a quello da cui è ispirata
la leggenda dell'anonimo.
E a prova di ciò osserva che anche nel tempo in cui certo a M.
Cassino era nota la leggenda, vi son molti che la rifiutano.
Io riassumo, non discuto: ma non posso tralasciar di osservare che
dal sec. XI in poi anche i cronisti che non riportano intera quella leg-
genda, piìi o meno velatamente vi accennano e mostrano chiaro che la
conoscono; ma un indizio solo che quella leggenda fosse nota in Monte
Cassino prima di Leone io non T ho trovato e neppure in Erchemperto,
come vedremo.
Rifiutate così e cronache ed epitaffio, l'A. non trova fonti più si-
cure che le opere stesse di Paolo e specialmente le epistole in prosa
ed in versi, che son veri documenti storici e con queste sole armi viene
alla battaglia. Darò il risultato delle sue ricerche.
Nascita e famiglia di Paolo. — Paolo è friulano, forse cividalese, non
certo di Aquileia : lo si ricava da Paolo stesso, mentre il Salernitano
ce lo dice arbitrariamente di Forogiulio, e l'epitaffio ha espressioni inde-
terminate. Per r anno di nascita l' A. si attiene al periodo 720-30, seb-
bene le paia non ingiustificabile fermarsi al quinquennio 725-30: riconosce
che dati sicuri nella discussione non se ne possono recare, ma solo
son possibili congetture.
(i) Appunto per questo spirito nuovo che presso Romualdo informa la
vecchia leggenda raddolcita, io aveva avvicinato il racconto di Romualdo al
racconto di Paolo su Unulfo e Pertarido.
BIBLIOGRAFIA 4O5
Per la nobiltà della famiglia di Paolo trova espressioni indetermi-
nate e nel Salernitano e nell' epitaffio, ma crede che Paolo stesso af-
fermi la nobiltà della sua schiatta.
Giovinezza di Paolo e suoi studi. — U epitaffio che è la fonte prin-
cipale sulla educazione di Paolo, ci dà su questo punto due notizie
distinte: Paolo subito " proHnus „ fin dai primi anni, fu accolto a corte
(e ciò può pur essere avvenuto prima di Ratchis re) e poi " rege mo-
" nente pio Ratchis „ cominciò a " penetrare decenter „ " omnia sophiae
" culmina sacrae „ il che pare pure avvenisse nella reggia.
Ammesso che Paolo fosse " protinus „ accolto nell' " aula regia „ ,
Paolo non sarebbe stato già fin d'allora indirizzato alla vita ecclesiastica e
tanto meno al chiostro (e fin qui nulla di strano): Ratchis lo avrebbe
poi avviato a studi teologici (che includono anche l'idea dell'ingresso
nella vita ecclesiastica). Come? dove avrebbe Paolo fatti questi studi?
L'A. non affronta subito la discussione perchè pone la questione
sotto forma un po' differente. Distinguendo il " protinus „ da ciò che poi
si dice di Ratchis, Paolo sarebbe stato, secondo quella fonte, dapprima
alla corte di Liutprando: TA., invece, è persuasa che Paolo alla corte di
Liutprando non fu mai. Se vi fosse stato, Paolo sarebbe passato a
corte dalla sua terra natia fin dalla sua prima giovinezza: ed allora
eome avrebbe potuto Paolo serbare tanti e si freschi ricordi del suo
Friuli? Ciò che narra di Liutprando non svela mai il testimonio oculare:
parrebbe quasi invece di sorprenderlo in ciò che si narra dei friulani, che
hanno tanta parte sul finire del racconto della historia langobardorum.
Certo è degna di nota questa vivezza e frequenza di ricordi friu-
lani e la larga parte che, per tempi sì vicini a Paolo, per i tempi anzi
di Paolo, è fatta alle cose friulane, ma siamo pur sempre nel campo
delle congetture e, in nessun caso, sarebbe strano che Paolo tenesse
spesso volto lo sguardo ai suoi friulani. Come nulla dice di essere stato
a corte con Liutprando, non dice neppur mai d'essere stato spettatore
di cose riferentisi al Friuli.
Ad ogni modo crede l'A. che Paolo avrebbe passati i primi anni
nel Friuli e qui compiti i primi studi. Nulla però trova che la autorizzi
a credere che P. fosse educato alla corte ducale: non sappiamo se alla
corte ducale vi fosse una scuola letteraria, e tanto meno che qui in-
segnasse quel Flaviano, di cui Paolo si dice discepolo.
Flaviano insegnò forse a Pavia, dove pur pare avesse insegnato
quel Felice di cui Flaviano fu nipote.
Se poco sappiamo delle cure che per le scuole e gh studi ebbero
e re e duchi longobardi, pare ad ogni modo che a Pavia e nelle prin-
cipali città longobarde vi fossero scuole: scuole ecclesiastiche e scuole
laiche tenute privatamente da maestri di grammatica forse romani. A
Cividale, in una di queste scuole, forse ecclesiastica. Paolo ebbe i primi
rudimenti e a Pavia si -perfezionò. Egli destinato alla vita ecclesiastica
fin dai suoi primi anni (così vuole l'A.) da Cividale seguì poi Ratchis
a Pavia. A Cividale però sarebbe già entrato negh ordini sacri: qui
406 BIBLIOGRAFIA
forse già fu diacono — non prete — e a Pavia fece parte di quel clero
palatino che da Liutprando in poi era nella corte longobarda. Pare in-
vece che Tepitaffio colleghi la entrata di Paolo negli ordini sacri con
Ja esortazione di Ratchis a studi teologici: e tutto ciò a corte.
Per potervi discutere su con profitto, bisognerebbe conoscere un
po' meglio che cosa fosse quella cappella palatina istituita da Liut-
prando : obbiettare solo che la notizia dell'epitaffio è sospetta perchè
proviene forse dal fatto che l'autore dell'epitaffio vedeva in Ratchis
più il monaco che il re: che Ratchis fu un re ed un vero re, non
un religioso prima d'esser monaco e che scese dal trono solo per ragioni
pohtiche e non per ispirito ascetico, non è risolvere la questione. Ad
ogni modo un non breve soggiorno di Paolo a Pavia è certo e l'A.
raccoglie le prove che lo dimostrano. Paolo fece parte probabilmente
di quel clero palatino che abbiam ricordato.
E quali furono i rapporti fra Paolo e il suo re? Sia a Cividale, sia
a Pavia furon quelli che potevan essere fra un duca od un re ed un
ecclesiastico, un uomo di studio. È pericoloso determinare di piià.
La monacazione: il tempo. — L'A. fissa il termine ante quem al 782,
data probabile del viaggio di Paolo in Francia (al 783 attribuisce la
lettera di Paolo all'abate Teodemaro di M. Cassino): fissare il tempo
preciso e l'occasione è un problema difficile, come è difficile vagliare tutte
le ipotesi messe avanti, sgombrare il terreno da preconcetti che ci im-
pediscono di trovare il filo conduttore nel labirinto intricato. Sono da
scartarsi in primo luogo le ipotesi che partono dal falso preconcetto che
Paolo fosse il tipo del patriota longobardo, un uomo di azione, legato
ai suoi re, spinto al chiostro dalla sventura toccata al suo popolo.
Paolo è tutt' altro : è un ecclesiastico mite, studioso, alieno da ogni
briga politica, né in relazione cogli ultimi re del suo popolo, come ve-
dremo. Né il Paolo storico è uomo da trovarsi impigliato nella disfatta
dei duchi che avevano nel 776 tentato una riscossa, né potè essere
spinto al chiostro da quei tristi eventi per il suo popolo. Paolo a quella
congiura, a quella sollevazione non partecipò: anzi, come vedremo, al-
lora probabilmente era già a M. Cassino e monaco.
Come abbiam detto, Paolo non ebbe forse rapporto alcuno cogli
ultimi re longobardi e specialmente con Desiderio: né valgono le testi-
monianze, che si adducono di solito, per provarli. Non l' epitaffio ad
Ansa regina che è certo anteriore al 774 e forse del 'jo-'^]!; non i
rapporti fra Paolo ed Adelperga cominciati solo, pare, nel ducato be-
neventano.
Il primo indizio di queste relazioni ci appare nel carme didascalico
" Versus de annis a principio „ una specie di cronologia delle sei età
del mondo, che è del 763. Il carme tradisce già il monaco e ci mostra
il poeta farsi come una guida degli studi storici della duchessa, il
che include la vicinanza del maestro alla scolara: fatto, che si spie-
gherebbe colla dimora del poeta a M. Cassino. Fu Paolo che offerse
a leggere alla duchessa il breviario di Eutropio, e che, ampliato e con-
BIBLIOGRAFIA
407
tinuato, a essa lo ripresentava con un'epistola che TA. crede anteriore
al 772. Questi tre punti capitali fan sorgere l'idea di una istruzione
continuata, metodica, che del resto Paolo afferma nella stessa lettera
di dedica. Ciò richiedeva il soggiorno di Paolo presso la duchessa, e
probabilmente a Monte Cassino, dove con piìi facilità poteva esser messa
insieme una compilazione come la historia romana.
I rapporti fra la duchessa e Paolo appaiono dunque iniziati nel
beneventano e nel 763 (Adelperga era sposa dal 762 e.) e non presup-
pongono punto rapporti anteriori fra Paolo e Desiderio. Paolo dal 763
appare già monaco. Di più, se Paolo fosse vissuto a Pavia cogli ultimi
re longobardi, gli avvenimenti del 774 gli avrebbero fatto maggior
impressione, né forse avrebbe potuto scrivere ciò che scrisse in Francia
per Ildegarde regina e nel libro de episcopis mettensibus. Solo per Arichi
e per Adelperga egli ha affetto sincero: nulla di simile per gli ultimi
re longobardi. Nel 776 non era in Friuli dove solo fu vera ed efficace
sollevazione, a cui partecipò il fratello di Paolo, non Paolo e nella
supplica del 781 nulla è che non convenga ad un monaco.
La vera ragione della conversione di Paolo fu dunque la vocazione
sincera, non furono cause politiche e l'occasione è forse da ricercarsi
nel ritiro di Ratchis e nelle nuove condizioni in cui la reggia ticinese
si trovò con Astolfo: di qui la molla che spinse Paolo, giovane ancora,
desideroso della quiete studiosa, a chiedere al chiostro e pace e mezzi
di studio. Ciò spiegherebbe pure la sua freddezza di fronte agli ultimi
casi del suo popolo e l'affetto per Monte Cassino dove aveva fatto
lungo soggiorno.
Se il limite ante quem per la monacazione di Paolo è il 782, se
possiamo con probabilità asserire che già nel 763 era monaco : abbiamo
pur ragioni per antecipare ancora quella data e farla coincidere colla
fine del regno di Ratchis o il principio di quel di Astolfo.
Luogo della monacazione. — Se Paolo avesse realmente composta la
expositio della regola di S. Benedetto che gli è attribuita, expositio che
non par compiuta a M. Cassino, ma in un monastero dell' Italia del
nord, che il Traube identifica con quello di S. Pietro al monte Pedale
(di fronte a Civate), ne avremmo che qui Paolo sarebbe stato monaco
prima di trasferirsi a M. Cassino, dove, con ogni probabilità, lo tro-
viamo già nel 763. A questa congettura l'A. oppone varie osserva-
zioni e, principale fra tutte, questa: la expositio, che conosciamo, non
pare affatto opera di Paolo, ma posteriore a Paolo, anzi non sappiamo
neppur con certezza che Paolo abbia composta una expositio.
Accettando le ipotesi del Traube si va incontro a molte difficoltà: se
il monastero di S. Pietro fu fondato da Desiderio, Paolo avrebbe po-
tuto ritirarvisi, al più presto, nel 759; il che è in contraddizione con
quanto abbiamo sopra osservato sulle relazioni fra Paolo e gli ultimi
re longobardi ; e se Paolo nel 763 era già a Monte Cassino, avrebbe fatta
r expositio nei primi anni della sua vita monacale, il che non è proba-
bile. Paolo si fé' monaco a Monte Cassino, e non abbiam bisogno di sup-
408 BIBLIOGRAFIA
porre un soggiorno di lui al monte Pedale per ispiegarci i versi sul lago
di Como che gli sono attribuiti.
Paolo alla corte di Carlo Magno. — Sono le sventure famigliari che
posero Paolo in relazione con Carlo. Il fratello Arichi aveva parteci-
pato ai moti del 776, pare indubitato, e, non solo lui, ma tutta la fami-
glia aveva sofferto per le conseguenze. Paolo, conosciuta forse per fama
la generosità del re, pressato, direi, dalle terribili condizioni dei suoi, a
cui era impossibile differire Taiuto, da M. Cassino si trasferì in Francia,
in un monastero benedettino non lontano dalla corte e qui compose e di
qui fé' pervenire al re la sua supplica. Ecco Toccasione deiravvicinamento
al re da parte del monaco studioso, avvicinamento non chiesto da Carlo,
ma di cui Carlo si mostrò ben lieto. La supplica sarebbe del 782 poco
prima della Pasqua: non so però se TA. sia proprio riescita a dimo-
strare che l'epistola a Teodemaro sarebbe stata scritta il 783, quando
Paolo era assente da M. Cassino appena da un anno. Il luogo dove la
lettera fu scritta sarebbe Thionville, presso il re.
A noi non interessa seguir Paolo da vicino nella sua dimora in
Francia, come fa l'A. la quale trova il poeta ora a corte, o, per dir
meglio, presso la corte, non proprio nella reggia, ma col godimento dei
benefìzi del re, ora in qualche monastero, specialmente quando il re
era al campo ; e P. non dovette sempre trovarsi nelle stesse condizioni.
Fu a Metz presso il vescovo Angilramno; fu in relazione con Apro abate
di S. Ilario di Poitiers, relazione che forse si limitò alla visita di Paolo
al chiostro di S. Ilario e alla tomba di Venanzio Fortunato; ebbe ami-
cizia con Adalardo abate di Corbia; e tutta la sua produzione storico-
letteraria si collega o alla corte o a queste relazioni che ebbe.
Se Carlo esitò un po' a conceder la grazia, pare quasi certo che
ad Arichi essa fu concessa (783 e): nulla sappiamo degli altri prigio-
nieri. Ottenuta la grazia. Paolo rimase però ancora in Francia o per
gratitudine .al benefattore o per cooperare con lui al rinnovamento
della coltura, sebbene non toccasse a Paolo in ciò una parte molto im-
portante. Insegnò greco ai chierici destinati al seguito di Rotrude (sulla
coltura greca di Paolo si potrà discutere ancora), ma che, alla corte,
insegnasse grammatica latina non sappiamo: sappiamo che Carlo al
monaco studioso assegnò l'incarico di una raccolta di Omelie, che Paolo
probabilmente non mise insieme a corte, ma a M. Cassino, in ambiente
pili adatto.
L'A. ha tratteggiato con cura 1' opera di Paolo in relazione colle
riforme carolingiche: e in quel quadro trova per il suo posto la pro-
duzione poetica di lui, che potremmo dir aulica.
I rapporti fra Paolo e il re proseguirono anche dopo il ritorno del
monaco a M. Cassino: da M. Cassino Paolo continuò nella sua coope-
razione all'opera carolingica, né Carlo dimenticò quegli che, per breve
tempo (782-786), aveva accolto nella sua corte.
II ritorno in Italia e la morte. — È certo che Paolo era già ritornato
in Italia e a M. Cassino quando compose l'epitaffio per Arichi di Be-
BIBLIOGRAFIA ' 409
nevento (787), la composizione del quale è da porsi fra l'agosto del
787 e il luglio 788. Ci sorprende in quest* epitaffio la nota frase " Gallia
" dura „ dopo tutto quello che Paolo aveva scritto per Carlo. Essa sola
ci mostrerebbe che Paolo non era più presso Carlo, e secondo l' A.
essa si spiegherebbe coli' impressionabilità di quella natura, che fra
nemici irreconciliabili, aveva saputo guadagnarsi l'affetto degli uni e
degli altri, e mostrare devozione ed amore agli uni ed agli altri.
Forse Paolo era già a Monte Cassino da qualche tempo prima e Carlo
può avervelo trovato quando visitò quel cenobio neh' inverno-primavera
del 786-7. Non è possibile il suo ritorno in Italia con Carlo nella spe-
dizione del 786 ostile ai beneventani, ma è difficile determinar meglio
il tempo e 1' occasione di questo ritorno: forse possono averlo af-
frettato le relazioni fra il re e Benevento, che si andavano inasprendo.
Ciò però non vuol dire che Paolo fosse un paciere fra i due belligeranti,
né che, morto Arichi, egli divenisse come un consigliere politico della
vedova duchessa.
Non fu mai Paolo uomo politico, né la sua partenza dalla corte
dovette lasciarvi un gran vuoto, tanto più che il compito a lui affidato,
più che la corte, richiedeva la pace e la biblioteca di un monastero.
Nell'ultimo periodo della vita di Paolo due fatti son certi : la con-
tinuazione dei buoni rapporti con Carlo, che, non solo di Paolo, ma fu
pur amico del monastero, a cui chiese un esemplare della regola be-
nedettina per le riforme che voleva introdurre nei monasteri francesi;
e di più la compilazione della historia langobardorum. Non è possibile
fissar la data della morte di Paolo del quale non è più indizio dopo
l'8oo, certo è però che fu la morte sopraggiunta che a Paolo impedì
condurre sino alla fine la storia del suo popolo.
Prima di chiudere questo riassunto, in cui ho appena potuto dare
una pallida idea del gran lavoro e della diligenza dell'A. nel discutere,
vagliare la rudis indigestaque moles di tante ipotesi, di tante argomen-
tazioni su un materiale scarso, frammentario, mi sia lecito sottoporre
all'A. stessa alcuni dubbi che il suo lavoro non mi ha tolto e che non
mi permettono ancora di credere l'epitaffio privo di ogni valore storico.
A me non pare, in primo luogo, che la storia della tomba di Paolo,
ci dia argomento per combatterne l'autenticità.
Che sulla tomba di Paolo nel sec. X fosse un epitaffio, mi pare in-
discutibile: il Salernitano afferma di averlo visto coi suoi occhi e, du-
bitarne perchè egli ci ha pur data la leggenda carolingica svoltasi nel-
l' Italia del sud, nella quale ha parte la figura di Paolo, dubitarne perchè
il cronista raccoglie anche tradizioni leggendarie, mi pare non logico.
Altro è il dubitare di lui quando racconta avvenimenti, altro il respin-
gere una affermazione così categorica su un dato di fatto.
4IO BIBLIOGRAFIA
Ai tempi di Leone ostiense e Pietro diacono quest'epitaffio sulla
tomba di P. non c'era più: e non è punto strano che dopo due secoli la
tomba di Paolo avesse subito alterazioni: ma l'epitaffio poteva benis-
simo essersi conservato trascritto in un codice da mano del sec. X ex.
od XI. ed esser conosciuto da Pietro diacono, non conosciuto o trascurato
da Leone ostiense. Pietro lo cita senza metterlo più in relazione colla
tomba di Paolo lodandolo come di " versus lucidissimos „, in quella
forma ad un dipresso che altrove aveva usata per citar l' epitaffio
paoliniano per Fortunato.
Certo non v' è prova matematica che 1' epitaffio visto dal Salerni-
tano sulla tomba di Paolo fosse l' Ildericiano: a me però non pare
inverosimile e tanto meno impossibile, come sostiene l' A., la quale
crede che se il Salernitano avesse visto queir epitaffio, non avrebbe
più potuto narrare di Paolo ciò che narrò.
Io mi chiedo : se sulla tomba era un epitaffio contenente particolari
sulla vita di Paolo (come attesta il Salernitano), anche quando non
fosse stato quello a noi noto, doveva certo presentare del poeta una
figura ben diversa da quella della leggenda, una figura storica e non
fantastica : ed allora, perchè il Salernitano narrò egualmente quella
leggenda? Del resto chi può dirci del valore del Salernitano nell' in-
terpretare un epitaffio, le ragioni per cui anche lo potè trascurare?
Se veniamo alla storia interna dell' epitaffio, noto subito che non
basta, per demolirlo, dire che ha espressioni indeterminate, che in esso
c'è del convenzionalismo. GH epitaffi di questa età (per non generaliz-
zare, mi fermo all'età carolingica) hanno tutti un convenzionalismo che
però non tradisce la verità storica.
Su un dato tema, poste come fisse certe basi, si ricamano le solite
frasi, che non nascondono però il fondo storico su cui l'epitaffio si regge.
Il convenzionalismo è nelle frasi con cui si esprime un determinato
concetto e non punto nel concetto stesso. Tale è l'epitaffio Ildericiano
nel quale è facile rilevare i punti fondamentali : le frasi che li illustrano
son quelle che troviamo in tutti i poeti di quell'età. Ciò io ho cercato
altrove di far rilevare e credo che, a torto, l'A. non ne abbia tenuto
conto nel suo giudizio: a me pare che la forma letteraria del carme
non ci permetta di scendere fino al secolo supposto dall'A.
Confrontando poi le notizie dell' epitaffio con quelle che la critica
ha affermate, trovo che la figura di Paolo nell' epitaffio Ildericiano è
proprio, in fondo, quella che ha ricostruito la critica e che delle notizie
particolari esplicite date dall'epitaffio (educazione a corte, la vita eccle-
siastica iniziata con Ratchis, la monacazione " vernanti pectore „, in
tempo anteriore al 774) la critica non ne ha demolita neppur una in modo
definitivo: alcune le ha anzi raccolte, e le ha trovate sicure dopo un
lungo brancolare al buio; per le altre non sa che sostituirvi ipotesi, anzi
finora deve confessare di aver bisogno di maggiori cognizioni per
affrontare la discussione.
Si è detto che l' incontrare il nome di Ratchis nell'epitaffio è assai
BIBLIOGRAFIA 4II
suggestivo: era naturale, fu detto, che il pio re dovesse esser quello
che aveva eccitato il giovane agli studi sacri. Ciò non impedisce punto
che la notizia possa esser vera, e negarla su questo bel fondamento è
pericoloso assai, tanto più che i rapporti fra Paolo e Ratchis sono veri,
sono anzi i soli che la critica creda poter provare, trattandosi di rap-
porti di Paolo con re longobardi.
Neppur mi sembrano impossibili a spiegarsi le " ommissioni „ che
son nell'epitaffio e, prima fra tutte, quella dei rapporti fra Paolo e
Carlo. Rimango ancora nella mia vecchia opinione: qui si fissano i capi
saldi della vita di Paolo, che più potevano importare al poeta e su
questi capi saldi si tesse l'elogio che è stereotipo nelle frasi: gli epi-
sodi secondari non interessano, ed erano tali, per il monaco poeta, il viag-
gio di Paolo in Francia, la sua amicizia per il re, l'opera di Paolo per il
re. Se l'elogiato fosse stato Alenino, credo anch' io che il poeta avrebbe
scritto diversamente.
Aggiungo ancora che il poeta dell' epitaffio non conosceva certo
la leggenda Salernitana: solo ai tempi di Leone ostiense quella leg-
genda penetra in M. Cassino e d'allora in poi, più o meno velatamente,
ma in modo indiscutibile tutti la ricordano, anche se la ripudiano. Prima
d'allora non è nota: e la ragione che Erchemperto adduce per spie-
garsi la interruzione della historia langobardorum è data come regola
generale non come peculiare di Paolo " Mos... ystoriographi doctoris est,.
" maxime de sua stirpe disputantis, ea tantum modo retenere quae ad
" laudis cumulum pertinere noscuntur „. Anche il fatto che l'autore del
carme ignora questa leggenda è un elemento importante per il giudizio
sul componimento.
Son dubbi che non hanno la pretesa di risolvere la questione e
che sottometto all'esame di chi sì bene ha saputo affrontare e risolvere
tanti altri problemi.
Giuseppe Calligaris.
Ambrogio Roviglio, Una pagina di storia longobardica (ristampa), Reggio
Emilia, Calderini, 1904 (pp. 22).
L'A. vuol determinare quanto di vero e quanto di leggendario sia
nelle relazioni lasciateci dalle più antiche fonti intorno alla morte di re
Alboino; si propone perciò di passare in rassegna queste fonti e le di-
scussioni erudite che furon fatte sulle loro affermazioni.
Sono due rassegne un po' affrettate: per es. l'A. non arriva neppure
a precisare in modo soddisfacente che cosa dicano le vecchie fonti che
esamina.
Le fonti ricordate sono:
a) UOrigo, la quale attribuisce la morte di Alboino ad Elmichi e
Rosmunda, " per consilium Peritheo „. Peredeo avrebbe, dice l'A., con-
sigliato il modo di compier l'assassinio.
412 BIBLIOGRAFIA
b) Paolo diacono {h. l., II, 28), autore del vecchio e noto racconto
in cui si è soliti vedere in Elmichi il consigliere di Rosmunda e in Pe-
redeo l'esecutore del delitto, col famoso passo non punto chiaro: " et
" iuxta consilium Peredeo Helmechis interfectorem omni bestia crudelior
" introduxit „.
L'A., accogliendo la tradizionale interpretazione del racconto pao-
lino, vuole spiegare quel passo oscuro proponendo dubbiosamente una
costruzione che egli stesso riconosce un po' audace contro i diritti della
sintassi: " Et iuxta consilium, (separando consilium da Peredeo forse non
" erra) Helmechis, omni bestia crudelior, introduxit Peredeo interfec-
" torem „. Persuaso che, secondo il racconto della h. L, il vero uccisore
di Alboino è Peredeo (e invece non ce lo dicono né VOrt'go né Paolo)
trascura uno studio più minuto del brano, che forse lo avrebbe portato
ad altre conclusioni.
cj Si riferisce ma non si discute un passo del Chron. Gothanum: di-
scussione che sarebbe stata necessaria per determinare la parte che
spetta ad ognuno dei tre tristi eroi del dramma.
Qui si dice apertamente che l'uccisore é Elmichi; Peredeo è il cu-
biculario del re. Di Peredeo non ci parlan piia le altre fonti:
d) Il " continuator Prosperi Havniensis „ attribuisce senz'altro il
delitto a Rosmunda e ad Elmichi, senza aggiungere particolari.
e) Mario Aventicense ci dice che Alboino fu ucciso " a suis id
*' est Helmegis cum reliquis consentiente uxore sua „.
f) L'abate Biclariense dice pure, in generale, che Alboino fu
colpito " facilone coniugis suae, a suis „ " nocte „.
g) Agnello Ravennate non menziona Peredeo, ma solo Elmichi,
pur riferendo il racconto con ampiezza; ricorda, di più, la fuga dei col-
pevoli a Verona, e poi a Ravenna " cum multitudine Gebedorum et
" Langobardorum „. Agnello non dice dove sia avvenuto il delitto: VOrigo
e Paolo attestano espressamente che si compì " in palatio „, in Verona.
Ricercate le fonti, l'A. vorrebbe discutere la parte spettante ai tre
colpevoli nel delitto, ma l'infelice esame fatto di quelle fonti che più
dovrebbero interessargli, non lo conduce certo a buoni risultati: insuf-
ficiente od erroneo specialmente quanto dice di Peredeo.
Riguardo al movente del delitto, l'A. respinge l'opinione di coloro
che vogliono vedervi delle cause politiche come determinanti. A queste
cause politiche crede il Fleger, che si appoggia specialmente a Mario
Aventicense e ad Agnello. L'A. propende invece ad attribuirlo al solo
desiderio di vendetta da parte di Rosmunda: essa ebbe per complici El-
michi e Peredeo; a quest'ultimo attribuisce però importanza minore di
quella che forse ebbe veramente all'atto dell'uccisione, senza che forse
egU fosse materialmente l'esecutore del delitto.
Il lavoro finisce accennando alla sorte toccata ai personaggi del
dramma. Il "continuator Prosperi Havniensis „ ci dice senz'altro che Ro-
smunda ed Elmichi in Ravenna " potiti praesidio vita caruere „. Paolo
ed Agnello riferiscono invece il noto racconto leggendario sulla tragica
BIBLIOGRAFIA 4X3
fine dei due complici e P. completa il quadro col racconto degli ultimi
casi del fortissimo Peredeo, mandato da Longino prefetto all'impera-
tore (i).
Giuseppe Calligaris.
G. B. PicoTTi, / Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 128} al 1J12.
Appunti storici, Livorno, tip. R. Giusti, 1905, pp. vii-345.
Frutto di lunghe e faticose ricerche, cui furono guida il felice intuito
dello scopritore, l' acuta percezione dei rapporti anche lontani degli
umani fenomeni, l'amore del vero che non conosce limiti di tempo e di
spazio, e la baldanza giovanile che vince le difficoltà frapposte dalla
inerzia e dalla diffidenza degli uomini, questo libro, atteso con impa-
zienza dagli studiosi di cose trivigiane, è tale da appagarne interamente
le aspettative, e da assegnare all'autore un posto distinto nella schiera
(i) Non credo inutile far qui cenno di altro lavoro su questo stesso argo-
mento, del quale ebbi notizia dalla Revue critique d'histoìre et de littérature (n, 49^
9 dicembre 1905, pp. 453-4), che ne dà il giudizio che pure riferirò.
Il lavoro ha per titolo: Michele Rigillo, La tragedia di Verona (572): ri-
costruzione storica, Rionero, Ercolani, 1904, pp. 76, in-8.
Questa monografia, dice il critico, vuol mostrare che la morte di Alboino
non è dovuta a cospirazione alcuna né gepida né d'altra sorte, ordita da avver-
sari nazionali di Alboino, ma é da attribuirsi puramente alla vendetta di Rosmunda,.
che volle disfarsi di un marito che la trattava male (a brutalisait ») e che,'per
giungere allo scopo, si valse di « un de ses affidés ». Essa ha esercitato a le
« droit humain, sacre » della vendetta. La monografia è anzi « un peu grandi-
« loquente et tantót passablement gouailleuse, méme un peu rabelaisienne »
contro coloro che vollero cercare un motivo politico alla soppressione di Al-
boino. Né l'A. crede alla leggenda, quale la raccontano Paolo diacono ed Agnello
ravennate, anzi mostra come la leggenda stessa si é venuta formando, compli-
cando, sopracaricando. L'A. dà poca importanza al personaggio di Peredeo, che
per lui é anzi un pleonasmo inopportuno (le più antiche fonti pare a me invece
diano a Peredeo nel dramma una parte non certo priva di importanza).
E nello studiare la formazione della leggenda, entra a dans des détails phy-
« siologiques passablement surprenants, pour démontrer comment s'est formée
« cette obscéne et tendencieuse legende lombarde », invenzione del « chauvinisme »
di Paolo diacono. Di tutta la leggenda non resta quindi che la morte del re e
l'odio della moglie di lui. Per Rosmunda l'A. invoca però le circostanze atte-
nuanti, perché lo sposo la forzò a bere (e forse più d'una volta) nel cranio del
padre. Il critico trova che l'A. ha speso troppe parole nella sua discussione, e
che la monografia tradisce la inesperienza di un giovane : questo riassunto mi fa
di più dubitare che manchi al lavoro una seria ed efficace discussione delle
fonti, che avrebbe dovuto essere la parte più importante di tutta la monografia.
414 BIBLIOGRAFIA
degli Storici italiani; può servire di esempio a chi vorrà proporsi a tema
dei propri studi la storia di qualche altra delle grandi famiglie medievali
ch'ebbero signoria in Italia. Già testimoni, coU'interesse che destano la
comunanza degli studi e V amore del patrio loco, alla caccia, in appa-
renza, tumultuosa del Picotti ai documenti caminesi negli archivi trivi-
giani, ci limitiamo qui a trarre argomento dalla sua monografia per dire
brevemente degli scarsi rapporti eh' ebbero i da Camino colla regione
lombarda ; riservandoci di esporre altrove le nostre impressioni generali
suU' opera e i diversi apprezzamenti su alcuni punti di questione, ai
quaU siamo condotti dal risultato delle nostre indagini.
L'autore dedica una prima parte alle origini della famiglia da Ca-
mino e alle sue vicende fino a Gherardo. Non è qui il luogo di discu-
tere sulla ipotesi che al Picotti sembra presso che sicura, della deriva-
zione dei Caminesi dai conti di Treviso. Certamente il matrimonio di
Guecellone (II) colla contessa Sofia, che i cronisti dicono unica figlia
ed erede del conte Valfredo da Colfosco, avvenuto verso il 1154, segna
se non proprio l'inizio, come vorrebbe il Picotti, un sensibile incremento
nella potenza dei Caminesi ; i quali per mezzo di Sofia ottennero le cu-
rie di Serravalle, Mareno, Costa, Zumelle, il Cadore ed altri possessi
nel comitato di Ceneda e nelle diocesi di Feltre e di Belluno.
Il nome della contessa Sofia richiama alla memoria il monastero
cistercense di S. Maria della Sana valle di Pollina, in Val di Mareno,
già suddito del grande monastero di Chiaravalle di Milano; la cui fon-
dazione viene comunemente attribuita alla di lei pietà e religione. S. Carlo
Borromeo, che ebbe in commenda quell'abbazia dal 1563 al 1570, dedi-
cava a pie dell' aitar maggiore della chiesa una lapide a Sofia (i) colla
seguente iscrizione:
SOPHIAE DE CA
MINO . CAR . BOR.
P.
Il Picotti accenna alla bella chiesa del monastero, ora parrocchiale,
" d'età alquanto posteriore, „ e al chiostro " con un mirabile cortiletto
" e un portico, prezioso monumento di stile romanico del sec. XII „ ; e
soggiunge che " il monastero era già stato beneficato da Sofia e forse
" da lei stessa fondato prima del 1170, data di un atto di donazione
^' eh' ella fece all' abbate di alcune chiese in Serravalle, Zumelle, La-
" go, ecc., e delle relative giurisdizioni e possessioni „. Ma noi crediamo
di poter escludere che l'antico monastero della Pollina sia stato fondato
dalla contessa Sofia. Nel 1217 1' abbate, rammentando che i cistercensi
si trovavano alla Pollina da sessant'anni e piti " sub monasterio et ab-
" batibus Cleravallis de Mediolano, „ chiese al vescovo di Ceneda ed
ottenne la conferma dei diritti e dei privilegi spettanti al monastero e
(i) MiTTARELLi, Annali Camald., IV, e. 55. _
BIBLIOGRAFIA 4I5
all'ordine cistercense (i). I sessant'anni dal 1217 corrispondono al 1157;
che sarebbe la data approssimativa della venuta di una colonia di mo-
naci chiaravallesi alla FoUina. Non solo né in quest'atto né altrove si
parla mai del diritto xiei Caminesi all' avogaria o al patronato sui mo-
nastero, che nel sec. XII i fondatori dei conventi solevano riservare a
sé stessi e ai propri eredi, ma dagli atti di una causa agitatasi nel 1216
dinanzi a Giordano, vescovo di Padova, e ad altri due commissari
apostolici, si rileva che quel cenobio preesisteva ai monaci di Chiara-
valle ed apparteneva, prima della loro venuta nella Marca, ai benedet-
tini neri di S. Fermo di Verona, verso i quali i cistercensi, quando li
sostituirono, si erano obbligati ad un annuo censo (2).
Alcuni testimoni sentiti in quella causa narrarono di due visite di
un abbate di Chiaravalle " qui vocabatur lohannes, qui erat crassus,
" curtus et calvus „. La prima volta, verso il 1179, era venuto per in-
sediare un nuovo abbate, " dominus Ubertus de Vercellis „; sei o sette
anni dopo ritornò per destituirlo, in causa della vita scandalosa che
conduceva. I testimoni avevano conosciuto personalmente questo Uberto,
che dopo la destituzione si era ridotto a vivere in Ceneda " more lay-
" corum „ con una concubina, dalla quale aveva avuto più figli. Le
carte chiaravallesi provano l'idtntità dell'abbate Giovanni ricordato dai
testimóni della Follina, che resse il proprio monastero dal 1178 al 1189(3).
La presenza alla Follina dei benedettini neri prima dei cistercensi
e i loro vincoli di sudditanza col lontano monastero di S. Fermo di Ve-
rona ci consentono di ravvisare nel prezioso chiostrino dalle colonne
binate e dai rozzi ed informi capitelli una costruzione risalente ben ol-
tre la metà del sec. XII. I cistercensi avrebbero saputo fare molto me-
glio, se non cogli artefici locali, colle maestranze che intorno allo stesso
tempo stavano lavorando a Chiaravalle, a Cerreto e a Morimondo. Che
fosse sistema dei cistercensi di adibire alla costruzione delle proprie chiese
e monasteri una maestranza cognita delle tradizioni della congregazione
che in Italia faceva capo a Chiaravalle, argomentiamo dalla presenza
alla Follina nel maggio 1308 di " magister Lanfrancus murarius filius
" Anselmi de Como qui laborat in monasterio de la Follina „ e di " ma-
" gister Martinus murarius de Como filius q. Ambrosii laborator dicti
" monasterii „ (4); che corrisponde alla data della ricostruzione della
chiesa nella sua forma attuale, quale risulta da una donazione fatta
l'anno prima al monastero " in subsidium constructionis nove ecclesie
de Follina „ (5); e ci fa conoscere nei due maestri muratori comacini
gli architetti e costruttori di quel tempio.
(i) Bibl. comunale di Treviso, cod. 109, Scripturae et instnivienta Ahhatiae
S. Marine^ ecc., IV, p. 113.
(2) Ibid., II, p. 88 sg. '
(3) Bibl. naz. di Brera, cod. A. E. XV, 20 e 21, Bonomi, Tahul. Clarevallis,
nn. 168-227.
(4) Scriptiinu et instr., ecc., I, p. 709.
(5) Ibid , III, p. 545.
4l6 BIBLIOGRAFIA
Le ricerche del Picotti lo hanno portato a risultati notevoH nello
studio della assai intricata genealogia e delle vicende famighari dei Ca-
minesi nel sec. XIII. Qualche punto rimane ancora nell'ombra e potrà
forse essere chiarito da un nuovo esame della grande massa di docu-
menti di quel tempo che si conservano negli archivi di Treviso, Ce-
neda, Coneghano, Feltre e Belluno. La storia dei da Camino prima della
signoria di Gherardo si svolge quasi sempre nel campo ristretto della
Marca. Il solo documento lombardo relativo ad una Caminese che ab-
biamo rinvenuto fra le pergamene dell'archivio di stato di Milano, è un
testamento dell'anno 1257, di " domina Adheleyta filia quondam domini
" Gabrielis de Camino, „ datato da Cremona. L'atto originale si trova
fra le carte del convento dei Domenicani di quella città (i). Servì di
custodia al " Giornale del P. Sindaco „ del convento, e in quell'occa-
sione venne'ritagliato in tutta la sua lunghezza per quasi una terza
parte della pergamena, rendendo così in alcuni punti incerta la lettura
del testo. Le principali disposizioni della testatrice sono le seguenti:
istituisce eredi i conventi dei predicatori nei beni da essa posseduti nei
rispettivi territori; vuole che si prelevino dalla eredità lire duecento
imperiali da distribuirsi " prò anima et remissione peccatorum diete te-
" statricis „; affranca tutti i suoi servi ed ancelle, concedendo loro in
proprietà i peculii , ma riserva a " illi de Camino „ , non meglio
identificati, il " iuspatronatus „ su ciascuno di essi; lascia a " iUi de Ca-
" mino „ le giurisdizioni spettanti al padre suo, Gabriele; lega una
possessione a " domina Maria filia quondam domine Ymie sororis sue „,
lire quaranta imperiali a " Theotonica serviens eius „ ed altre somme
a vari conventi ed ospitali di Cremona, Parma, Treviso, Trento, Cone-
gliano, Serravalle, al monastero della Pollina (lire 500) e a singoli sa-
cerdoti e religiosi; dispone perchè si esiga la sua dote dal vescovo di
Trento; vuole in fine essere sepolta nella chiesa dei predicatori di Cre-
mona. Non una parola nel lungo atto che lasci comprendere per quaH
circostanze Adeleita avesse fissata la sua dimora in quella città.
Sappiamo che Gabriele, il primo dei Caminési che assunse il titolo
di conte di Ceneda, già signore di Serravalle, Soligo, Costa e di tutta
la Val di Mareno, aveva avuto dalla moglie Maria, due fighe, Adeleita
ed Engelenda, che nel 1224 istituì sue eredi, sostituendo ad esse nel
caso fossero morte senza figli, i nipoti, figli dei suoi fratelli Biaquino (I)
e Guecellone (IV), la madre Engelenda, la mogHe e il monastero della
Pollina. Fra il 1241 e il 1242, sotto pretesto ch'egli parteggiava per l'im-
peratore Federico II, i nipoti Biaquino (II) e Guecellone (V), i quali, ab-
bandonata la causa imperiale, erano con Alberico da Romano passati
nel campo della Chiesa, si impadronirono delle sue curie e dei suoi pos-
sessi feudali e allodiali e lo confinarono nel Cadore, ove poco appresso
venne a morte. Una lettera diretta da Biaquino verso il 1245 ad un
cardinale, accenna alla donazione che Gabriele aveva fatto a Biaquino
(i) Arch. dìplotn., fascio perg. n. 5.
BIBLIOGRAFIA 417
<li tutti i suoi beni, confermata in un ultimo suo testamento. Alla spoglia-
zione si era fatta seguire l'estorsione di una duplice ratifica, con par-
venze di legalità, dell'atto violento! Vantando le sue grandi benemerenze
per la causa della Chiesa, Biaquino raccomarda intanto la propria causa
relativa alla eredità dello zio Gabriele, per la quale si aspettava di es-
sere citato " ad curiam „, È probabile che fra i rivendicanti vi fosse
in prima linea la figlia Adeleita (i). La presenza di costei nel 1257 in
Cremona, allora dominata dal Pelavicino, si può spiegare per le osti-
lità che contro di lei, rivendicante senza tregua i propri diritti sulla
eredità paterna, non avrà mancato di suscitare Biaquino, abusando del-
l'alta posizione ch'egli teneva nel partito della Chiesa. Nel testamento
è notevole l'accenno alla dote di Adeleita, di cui andava debitore il ve-
scovo di Trento, che era allora Egnone dei conti da Piano, perchè in-
dicherebbe cosa fin qui ignorata che Adeleita era vedova di un conte
da Piano; come pure non era nota l'esistenza di una terza figlia di
Gabriele, a nome Imia, nata forse dopo il 1224, e di una figlia di costei.
Chi aspirava a signoria, o, avendola ottenuta, la voleva rafforzare
per poi trasmetterla ai discendenti, aveva cura di stringere vincoli di
parentela con potenti famiglie di altre città, che gli permettevano di
cercarvi appoggi alla propria politica offrendo il ricambio, od almeno
di paralizzare l'azione ostile degli avversari. È così che Gherardo, il
quale in prime nozze aveva sposato Ailice, figlia del noto partigiano di
Ezzelino, Albergerio da Vivaro di Vicenza, probabilmente, come avverte
il Picotti, nella speranza di rendere il tiranno meno avverso alla fami-
glia Caminesè, rimasto vedovo impalmò Chiara della Torre. L' unica
notizia diretta di lei è nell'obituario dei predicatori di S. Nicolò di Tre-
viso, che ne segna la morte nell'ottobre 1299 (2). La sua appartenenza
alla grande famiglia milanese risulta indirettamente da una lettera di
Gastone della Torre, patriarca d'Aquileia e nipote di Raimondo, a Bea-
trice figlia di Gherardo da Camino, in cui la chiama sua consanguinea,
mentre in un altro atto Franceschino della Torre la dice sua cugina.
Si può credere che obbiettivo principale del matrimonio con Chiara
della Torre sieno stati i rapporti di Gherardo col proprio signore, il
patriarca Raimondo (1274-1299); della cui cordialità, prima dell'avvento
di Gherardo al capitanato dì Treviso e di poi sino al 1292, fa fede la
scelta di Gherardo quale arbitro nelle contese fra Raimondo ed Alberto
conte di Gorizia nel 1274 e nel 1281, e fra Raimondo e i Veneziani coi
rispettivi alleati nel 1291. Ciò condurrebbe a fissare la data delle nozze
non prima del 1274 e forse dopo il 1277, quando colla cacciata dei Tor-
riani da Milano molti di questa casa presero stabile dimora nel Friuli.
(i) Il Picotti allude in più riprese a questa lite per 1' eredità di Gabriele da
Camino, fra Adeleita e i nipoti del defunto. Adeleita viveva ancora nel 1272.
(2) A. Marchesan, Gaia da Camino, Treviso, 1904, p. 242: « 1299 (o^"
< tobre) Obiit d. Clara de Turri ux. d. Gerardi de Camino w.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXIf, Fase. Vili. 37
I
4l8 BIBLIOGRAFIA
Il Marchesan (i), che ritiene Gaia figlia di Chiara della Torre, pone
la di lei nascita fra il 1265 e il 1270 e ne fissa il matrimonio con Tol-
berto intorno al 1293. Ammessa 1* ipotesi, assai probabile, attesa V età
che doveva avere Chiara figha di Gaia quando andò sposa al conte
Rambaldo di ColJalto (1314), della nascita di Gaia prima del 1274, si
dovrebbe crederla figlia, al pari di Rizzardo, di Ailice da Vivaro. Un
indizio in questo senso ci è fornito da un atto del 1323 (2), portante
un* investitura livellaria rinnovata da Chiara da Camino, quale erede
della madre Gaia, erede alla sua volta di " dominus quondam Petrus
" de Puteo de Vincentia qui tunc morabatur Tarvisii „, che, per non
pensare male di Gaia (3), vogliamo credere le fosse parente per parte
della madre, pure di Vicenza. Il nome dato alla figlia può essere stato un
semplice omaggio a colei che aveva assunto presso Gherardo e nella
famiglia, il posto che prima spettava alla madre di Gaia.
Se col matrimonio con Chiara della Torre Gherardo aveva mirato
a rinsaldare i suoi legami col partito della Chiesa, al quale serbò fede
fino al termine del suo reggimento, non perchè fosse guelfo nell'anima,
come pensa il Ricotti, ma semplicemente perchè quella pohtica rispon-
deva ai suoi interessi; per contro il figlio Rizzardo intese, col suo ma-
trimonio con Giovannina Visconti, figlia di Nino di Gallura, celebrato
fra il 1309 e il 1310, di aprirsi una via verso il partito imperiale; le
cui sorti accennavano a risorgere, all'annuncio della prossima discesa
in Italia di Enrico di Lussemburgo. " Guelfa di sangue (!) era certo
" Giovannina Visconti „, e il Ricotti argomenta che ella poteva aprire
la via di Treviso anche ai guelfi pisani ch'erano stati amici del padre.
Ma noi riteniamo che il matrimonio della madre di lei. Beatrice d'Este,
con Galeazzo, figlio di Matteo Visconti, avesse allontanato da Beatrice
e dalla giovane figlia gli amici del primo marito. Il loro posto era stato
preso da Galeazzo e dai partigiani di questo. La successiva podesteria
trivigiana di Galeazzo (1310-1311), esule da Milano, ove ancora domina-
vano i Torriani, conferma il significato del matrimonio di Rizzardo con
Giovannina, nel senso di un decisivo cambiamento nella rotta della po-
litica fino allora seguita dai signori di Treviso.
(i) Op. cit., p, 23.
(2) Archivio notarile di Treviso. Protocolli del notaio Domenico da Cre-
spano, 1323, luglio 19. Il livello era stato costituito da Pietro « de Puteo » 2^
anni prima, e cioè verso il 1298.
(3) I detrattori di Gaia non mancheranno di insinuare che Pietro « de Pu-
« teo » fosse uno di quegli amici di Rizzardo e di Gaia, le cui nobili imprese ci
sono svelate da Benvenuto da Imola, ed abbia istituita sua erede Gaia per ... .
gratitudine! Né noi diciamo, qualunque opinione si voglia avere del marito di
Gaia, Tolberto da Camino, che la cosa sia del tutto inverosimile. Non sempre
avviene che il marito opponga sdegnosamente il proprio veto all'accettazione di
lasciti cospicui che importano la liquidazione di rapporti dapprima ignorati, sui
quali la morte sta per stendere il velo dell'oblio.
BIBLIOGRAFIA 419
Il Picotti pone l*inizio di questa podesteria al 5 luglio 1310 e la fine
al 19 maggio 1311. Crediamo che la prima data vada alquanto rettificata,
poiché in un atto del 19 luglio 1310 figura ancora podestà il suo pre-
decessore, conte Rambaldo (i). Quanto all'ultima e alle date interme-
die, 1310 luglio 29, agosto 26 e 31, settembre 5, 131 1 gennaio, marzo 20,
aprile 5 e 21, indicateci dallo stesso Picotti, è a ritenersi che la mag-
gior parte si riferiscano alla menzione contenuta nei singoli atti, della
podesteria di Galeazzo, colla formula " sub domino Galeacio Vicecomite
" potestate Tarvisii „, oppure all'intervento di giudici o di consoli " do-
" mini Galeacii Vicecomitis, ecc. „; come abbiamo potuto constatare per
i tre atti del 20 e 30 marzo e 19 maggio 131 1 (2). Il suo personale in-
tervento fu da noi accertato una sola volta, in un atto di emancipazione
assunto il 29 dicembre 1310 (3) " corani dicto domino potestate „.
Si può ammettere che dal luglio a tutto dicembre 1310 Galeazzo
non si sia allontanato da Treviso. Nel " concordio „ stipulato a Milano
il 27 dicembre di quell'anno, sotto gh auspici dell'imperatore Enrico VII,
fra i Visconti e i Torriani, Matteo Visconti rappresentava per procura
anche l' assente Galeazzo. Ma è probabile che pochi giorni dopo co-
stui abbia sentito il bisogno di correre al fiancò del padre, il quale, non
ostante l'apparente riconciliazione, stava afiìlando le armi per abbattere
i comuni nemici. Ottenuta una breve licenza, si sarà accompagnato agli
ambasciatori di Rizzardo e del comune, che si recavano ad assistere
all'incoronazione di Enrico (6 gennaio 1311), a prestargli l'omaggio e
ad avviare le pratiche necessarie per ottenere dal sovrano la nomina
di Rizzardo a vicario dell'impero nella città e nel distretto di Treviso.
Così si spiega il racconto dei cronisti milanesi intorno alla scelta di
Galeazzo fra i cento nobili milanesi che dovevano accompagnare l'im-
peratore a Roma per la sua incoronazione, a misteriosi colloqui di Ga-
leazzo con Franceschino della Torre sulla fine del gennaio, e alla parte
importante ch'ebbe Galeazzo nei sanguinosi tumulti del febbraio successivo
che terminarono colla sconfitta e colla cacciata dei della Torre; cui fece
seguito l'ordine dato dall'imperatore a Matteo e a Galeazzo di andare in
confino, il primo ad Asti, il secondo a Treviso (4). È noto che il confino di
Matteo fu di breve durata; nel 17 aprile egH era di ritorno a Milano e nel
18 luglio otteneva il titolo di vicario imperiale. Quanto al confino di
Galeazzo a Treviso i cronisti possono essere stati tratti in equivoco
dalla effettiva sua partenza per quella città, determinata dagli impegni
ch'egli aveva colà con Rizzardo e col comune; ma non è da escludere
(1) Arch. notarile di Treviso, Protocollo D. del not. Vendrame de Ricardo.
13 IO, luglio 19. « D. Petrus de Gaydo ludex et assessor ac vicarius domini Rara-
« baldi comitis potestatis Tarvisii » dà un curatore a due minorenni.
(2) Ibid., Prot. D. e Bibl. com. di Treviso, Stat. Caminese fol. 131 r.
(3) Ibid., Prot. D.
(4) Giovanni da Cermenate, Historia in Muratori, R.I.S., IX, 1248.
420 BIBLIOGRAFIA
che i' imperatore, sapendo di questi impegni, ne abbia approfittato per
fissare colà, d'accordo collo stesso Galeazzo, la sua temporanea residenza,
finché a Milano si fosse ristabilita la calma. Assai breve deve essere
stato questo secondo periodo della dimora di Galeazzo in Treviso. Nel-
l'atto 19 maggio 1311, l'ultimo citato dal Picotti, si fa menzione di un
vicario del podestà; il che sembra indicare l'assenza del titolare della
città e del distretto. Probabilmente verso la fine dell'aprile, alla notizia
del ritorno di Matteo a Milano, Galeazzo avrà chiesta ed ottenuta una
nuova licenza; giunto in patria, ove si apriva alla sua attività un campo
assai più vasto e pili importante, egli dopo alcuni giorni si sarà defini-
tivamente congedato da Rizzardo e dal comune. Le sue lettere di con-
gedo devono essere pervenute fra il 19 e il 22 maggio; sotto quest'ul-
tima data un documento segna quale vicario del comune quello stesso
Pietro de Gaido, che il giorno 19 fungeva ancora da vicario di Ga-
leazzo (i). Pochi giorni dopo Rizzardo riceveva il diploma della sua
nomina a vicario imperiale, datato da Cremona il io maggio, e tosto,
abbandonato il titolo di capitano, assumeva 1' amministrazione diretta
del comune, sostituendo all'antica carica del podestà, capo nominale del
comune, un ufficiale che,» col titolo di visconte, doveva rappresentare il
vicario imperiale. Così Galeazzo Visconti sarebbe stato l'ultimo podestà
del comune di Treviso, se appena un anno dopo l'orgoglioso Rizzardo
non si fosse lasciato " carpir „ cecamente nella " ragna „.
Del reggimento di Galeazzo poco si può dire. Sotto la signoria dei
Caminest la funzione del podestà era ridotta ad una larva di potere.
Presiedeva ai consigli del comune ed amministrava la giustizia perso-
nalmente, più spesso a mezzo dei suoi assessori, scelti non più come
sotto il libero comune, fra riputati giurisperiti di fuori, ma fra i giudici
cittadini devoti al signore. Le sentenze e tutti gli altri provvedimenti
del podestà e dei suoi assessori, venivano spesso revocati od annullati
dal sigfiore, cui era stata concessa piena balìa. Sappiamo che Galeazzo
aveva a Treviso una propria corte, della quale faceva parte un " Car-
^' ducius de Luca familiaris dicti d. potestatis „ (2). Pare si fosse trovato
a corto di denari, perchè ad un certo momento, forse alla vigilia della
sua ultima partenza per Milano, si fece prestare dieci lire dei grossi
(pari a circa L. 350 dei piccoli) dal conte Rambaldo, colla fideiussione di
Tolberto Calza, nobile trivigiano (3); il quale quattro anni dopo, non
(i) Arch. notarile di Treviso, Protoc. D. di Vendrame de Ricardo. — 13 n,
maggio 19. " D. Petrus de Gaydo iudex et vicarius domini Galeacii potestatis
« Tarvisii „ dà due curatori a un minorenne.
(2) Ibid., Prot. D. È l'atto ricordato a nota 2, p. 419.
(5) Ibid., 13 15, aprile 27, a In palacio comunis Tarvisii — d. Tholbertus
« Calza fecit Turam eius familiarem — suum procuratorem specialem ad peten-
« dum et exigendum — a nobili viro domino Galeacio Vicecomite de Medio -
<( lano de uno mutuo sive deposito decem librarum denar. venet, grossorum quas
BIBLIOGRAFIA 42 T
avendo Galeazzo soddisfatto il suo debito, destinava un procuratore " ad
" petendum et exigendum „ quella somma " a nobili viro domino Ga-
" leacio Vicecomiti de Mediolano „. Si sarà finalmente deciso il Visconti,
allora vicario imperiale e signore perpetuo di Piacenza, di fare onore
ai propri impegni; od avrà lasciato il suo mallevadore alle prese col
creditore? Gli esempi che ci presenta il Picotti, di vecchi debiti insoluti
di Rizzardo e di Guecellone da Camino, non ci affidano molto sulla pun-
tualità e correttezza dei signori italiani del sec. XIV.
G. BlSCARO.
R. Bellodi, Il monastero di S. Benedetto in Polirone nella storia e nel-
l'arte^ Mantova, 1905, in-4 fig., pp. 327.
All'insigne cenobio mantovano TA. dedica un volume elegante nella
veste, non privo d'illustrazioni, ricco di notizie e ispirato a sincero amore
pel monumento, per la sua storia, per l'arte sua e animato da vivo de-
siderio d'una miglior conservazione. Ho detto: non privo d'illustrazioni,
mentre avrei preferito poter dire: degnamente illustrato, poiché l'opera
ha il difetto di illustrazioni mediocri, se non scarse; queste son quasi tutte
disegni, i quali, per quanto belli, non sono sempre i più adatti a rendere
con sufficente esattezza e chiarezza il carattere di un monumento artistico.
Buone, se anche poche, fotografie, avrebbero meglio ritratto il monastero
nella grandiosità dell'insieme e nella varietà delle parti; non manca qual-
che fotografia, ma sono eccezioni. Vi è poi un difetto anche nella distri-
buzione delle illustrazioni; queste sono sparse a caso come un semplice
ornamento decorativo del testo, anziché corrispondere a questo come
suo necessario complemento; tanto più che, essendo l'opera divisa in
due parti. Storia ed Arte, le illustrazioni avrebbero dovuto raggrupparsi
specialmente nella seconda, ove sono necessaria dimostrazione del te-
sto, il quale ad esse continuamente richiamandosi, obbliga il lettore a
saltare ad ogni passo pel volume in cerca dell'illustrazione, sebbene ne
sia quasi sempre indicata la pagina. Non è per pedanteria ch'io insisto
sulle illustrazioni, ma perchè in un'opera che illustra un monumento
artistico, quelle sono " magna pars „. Tuttavia 1' opera del Bellodi è
degna dell'importanza del soggetto ed in compenso dei difetti rilevati ha
vari e grandi pregi, tra cui, per stare nel campo illustrativo, quello di
offrire al lettore alcune piante del monastero, le quali, meglio d' ogni
descrizione, danno un'idea della grandiosità del medesimo e della sua
disposizione,
« dictus d. Galeacius et Tholbertus confessi fuerunt habuisse in salvamentum —
« a domino Rambaldo comite tarvisino, ut in carta scripta per Andream de Ron-
« zano notarium continetur, etc. ».
h
422 BIBLIOGRAFIA
Questo monastero è veramente tra i più cospicui d'Italia vuoi per la
sua lunga e fortunosa storia, vuoi per la sua vastità e ricchezza e pel
suo valore artistico che, malgrado i vandalismi, è ancor tale da farne un
monumento degno di miglior sorte. Ben a ragione Paolo III in una sua
visita lo chiamò : " magnum coenobium et admirabile valde „. L'A. ha
il merito d'avercelo fatto conoscere intimamente nella sua secolare esi-
stenza e nella sua importanza artistica; e io credo che sarebbe assai
utile e interessante per la storia della coltura non meno che dell' arte
diffondere per mezzo di simili monografie la conoscenza dei principali
almeno tra i numerosissimi cenobi d' Italia, focolari di cultura nel me-
dio evo, centri di vita e di arte attraverso lunghi secoli, vita che il ful-
mine napoleonico improvvisamente troncò, disperdendo le ricche colle-
zioni di preziosi manoscritti adunate con geloso amore, o smembrandole
tra le varie biblioteche che il Bonaparte si die vanto di fondare o ar-
ricchire.
L'opera si divide, come già dissi, in due parti: Storia ed Arte; la
prima per mole supera di gran lunga la seconda, ma l'apparente spro-
porzione è giustificata dalle lunghe e varie vicende del monastero, che
l'A. tesse diligentemente dalle origini che risalgono al mille, alla fatale
soppressione napoleonica e poi alle disastrose rovine che ne seguirono
sotto l'Austria e anche sotto l'Italia redenta, la quale, salvo qualche
slancio momentaneo di generosità, non fu troppo sollecita nel riparare
alle mine degli stranieri e nel conservare le parti ancor salve dell'edificio.
Questa parte storica non riesce meno interessante dell'artistica sia
per la varietà della materia sia pel soffio di vita e pel sentimento con
cui l'A. sa animare la descrizione della secolare esistenza del cenobio,
nella quale ai periodi burrascosi per guerre e vicende politiche s'alter-
nano periodi di pace e di riposo; ai momenti di grande trepidazione
pei pericoli con cui il Po, nemico implacabile, irrompente dagli argini,
minaccia il convento e sparge il lutto e la carestia nelle campagne cir-
costanti, mettendo a prova 1' eroismo e la generosità dei monaci, suc-
cedono le annate copiose e felici, in cui affluiscono al convento le laute
rendite de' suoi vasti possessi.
E spesso il silenzio claustrale e 1' uggia della campagna solitaria
sono interrotti dal tripudio e dal fasto dei cortei papali o regah che
colle loro visite segnano grandi avvenimenti nella vita tranquilla del
cenobio; una volta, nel 1585, perfino alcuni ambasciatori giapponesi, fat-
tisi cristiani, visitano il convento, empiendo di stupore i monaci, che
accolgono con grande riverenza gli strani " antipodi „, eternando nel
marmo la memoria della meravigliosa apparizione con una non meno
meravighosa epigrafe. Oppure nel chiostro cercano sohtudine, ispira-
zione e quiete ospiti illustri, come il poeta gentile della Gerusalemme
o il maccheronico cantore del Baldo.
La seconda parte, l'artistica, già s'intreccia nella parte storica, poi-
ché qui l'A. va man mano segnalando le successive trasformazioni e i
continui ingrandimenti del cenobio, gli artisti che cooperarono al seco-
BIBLIOGRAFIA 423
iare edificio e anche i vandalismi purtroppo avvenuti dopo la soppres-
sione napoleonica. La quale, ironia della sorte, sopraggiunse quando da
soli pochissimi anni, meno d' un decennio, 1* ultimo abate, 1* intrapren-
dente Mauro Mario, aveva con nuovo splendore ricostruito la biblioteca
e il refettorio, biblioteca che racchiudeva ricco e prezioso tesoro di ma-
noscritti che Napoleone distribuì fra l'Archivio di Stato di Milano e la
biblioteca civica di Mantova; una parte però andò perduta, adibita agli
usi pili indegni.
Nella seconda parte l'A. svolge la storia artistica del monastero
sfiorata nella prima, illustra i vari edifici che lo compongono , le
singole opere d* arte sfuggite alle rapine napoleoniche, ne descrive lo
stato attuale e i pochi e parziali restauri fatti, invocando maggiore pietà
per ciò che ancor rimane da conservare. La chiesa fu prima umile cap-
pella, poi geniale chiesa romanica, di cui sopravvive un prezioso cime-
lio in un rilievo rappresentante'due mesi dell'anno, ottobre e novembre,
frammento d' una di quelle rappresentazioni dei mesi, che sono tra le
più graziose caratteristiche della scultura romanica.
La chiesa romanica s'ingrandisce nel quattrocento e svelte ed ele-
ganti s'innalzano le volte acute; ma ogni ardire de' secoli precedenti
offusca Io splendore del rinascimento e Giulio Romano trasforma la
chiesa in un tempio maestoso, senza però alterare nelle linee generali
r antica struttura, ma questa infiorando colle grazie dell'arte nuova, che
il seicento non oserà molto sciupare. Anche la pittura concorre ad ab-
bellire il tempio, e i piìi celebri pennelli dell'aureo cinquecento adornano
gli altari dei loro quadri, che poi i rapaci vandali d'oltr'alpe toglieranno
per sé. Attorno alla chiesa ogni secolo ha veduto sorgere nuovi chiostri,
fabbriche nuove, i quali, dopo i nobili usi del tempo felice, furon con-
taminati da soldatesche bestiali e poi rovinati da contadini senza tetto,
<:he vi cercaron rifugio.
L'A. descrive e illustra anche i piccoli conventi che il monastero
possedeva in altri paesi, come a Maguzzano presso il Garda, ove si
crede abbia dimorato qualche anno Teofilo Folengo, a ricordo del quale
esiste ancora una cascina detta Maccheronica o Maccherona, e a S. Croce
di Campese presso Bassano, ove lo stesso poeta ha tomba e busto
marmoreo.
Tra le chiese dipendenti dal monastero son degne di nota quella
d'Ognissanti in Mantova con un bell'affresco di Stefano da Zevio, e l'o-
ratorio di Valverde con un'abside tutta frescata da ignoti pittori della
fine del XIV sec. e del principio del XV. L' interessante affresco, mar-
tellinato e ricoperto d'intonaco nel sec. XVIII, fu recentemente scoperto
dall'Ufficio Regionale, ma purtroppo non restaurato, mentre ne avrebbe
bisogno. L'A. dispera che ciò si faccia, scoraggiato dall' esempio del
chiostro di S. Simeone, " ove si rovina e si deturpa quanto si è in al-
" tro momento con grande amore e non lieve dispendio restaurato e
" riabbellito „. Triste rivelazione!
Ma ancor più triste è quella che riguarda l'attuale chiesetta di Val-
424 BIBLIOGRAFIA
verde aperta a ogni più sconcia profanazione, esposta ai piìi gravi pe-
ricoli pel dipinto già tanto danneggiato dall' umidità. L' artistico pelle-
grinaggio dell'A. si chiude con una così desolante descrizione della gra-
ziosa chiesetta, che fa quasi desiderare non si scoprano i monumenti
quando non si possa o non si voglia custodirli e conservarli decoro-
samente.
Arturo Frova.
Epistolario di L. A. Muratori edito e curato da Matteo Campori, voli. VI^
VII, Modena, Società tipografica modenese, 1903, 1904.
I due presenti volumi contengono 1322 lettere del Muratori, fra le
quali moltissime sono le inedite. Questo ricco manipolo, che si riferisce
agli anni 1722-1733, anni di supremo interesse nella vita letteraria del
Muratori, ci fornisce la storia dell'inizio, della prosecuzione, e quasi
del compimento degli Scriptores rerum italicarum, l'allestimento delle dis-
sertazioni sulle Antiquitates Italiae e la preparazione del Novus The-
saurus Inscriplionum. Ciò significa, in altre parole, che nei due presenti
volumi rispecchiasi il periodo veramente splendido della vita del Mura-
tori, quando egli, giunto alla piena maturità dell'ingegno e della erudi-
zione, raccoglie finalmente il frutto di quanto aveva seminato nella sua
giovinezza, prodigiosamente laboriosa. La fermezza del disegno, la te-
nacia nel fissarlo coU'occhio e nel realizzarlo praticamente destano non
minore meraviglia del suo ingegno, della sua memoria, della sua facilità
nel pensare e nello scrivere. Né minor compiacimento prova chi sfo-
gha questi volumi nel vedere come, nonostante alcune difficoltà quasr
sempre provenienti da ragioni politiche, la benevolenza degli eruditi di
tutta Italia abbia sorretto con nuova vigoria la vigoria del Muratori,,
rendendogli possibile una serie di opere alle quali le forze di un uomo^
solo erano di gran lunga inferiori.
Al Muratori pareva che gli italiani fossero svoghati. E a Pier Ca-
terino Zeno augurava (15 maggio 1722, n. 2081) che il suo Giornale dei
letterati si diff'ondesse " fra gii svogliati italiani e fra gli stranieri più stu-
" diosi di noi „. A G. Oraziani scriveva (30 settembre 1729, n. 2768):
" Vides quam raros historicos et, poene dixi, quam nullos hodie Italia
" progignat „. E accennando alle tribolazioni che toccarono all'illustre
P. Gattola, cassinese, dicea (18 agosto 1729, n. 2851) che in Italia chi
scrive libri " non triviali „, trova soltanto contradditori.
II Muratori invece incontra assai più numerosi i fautori, che non gli
oppositori. A Milano egli peasava sempre. E non solo perchè non dimen-
ticò mai un istante la sua ossequiosa devozione verso C. Borromeo, al
quale inviava al cader degli anni i propri auguri (12 dicembre 1726, n. 2547:
li dicembre 1727, n. 2674: 16 dicembre 1728, n. 2788: 11 dicembre 1730,.
n. 2984, ecc.), ma anche perchè ivi gli studi fiorivano e la Società Pa-
latina rendeva possibile la pubbhcazione delle maggiori opere alle quali
BIBLIOGRAFIA 425
attendeva. Quando cominciava la stampa degli Scriptores, egli esclamava
(1722, 23 luglio, n. 2109) " Viva Milano „. Encomiò la " liberalità „ dei
milanesi, quando rendevano onore ad A. Vallisnieri (17 settembre 1722,
n. 2124), e si rallegrò col Sassi (io febbraio 1723, n. 2144: cfr. 2140^
quando udì che il conte Donato Silva si occupava di carte antiche.
" Insomma „ egli scrive " la nobiltà di Milano non è più quella, che
" conobbi a* miei giorni; e ringrazio Dio che io e T Italia, anzi il pub-
" blico tutto, ne profitteremo „.
Fino dalla prima lettera del voi. VI troviamo il Muratori attendere
col massimo ardore a raccogliere da ogni parte d'Italia i materiali per
la sua Raccolta. Sino dal 9 gennaio 1722 (n. 2024), mentre chiede a
Pier Caterino Zeno la continuazione dei Cortusi, teme che la Serenis-
sima si preoccupi sotto il punto di vista politico della Cronaca del Dan-
dolo. Giuseppe Malaspina di S. Margherita si affaccenda per procurargli
il Caffaro coi suoi continuatori, nonché i Cronisti Astesi. C*è tutta una
serie di lettere (nn. 2028, 2053, 2085, 2096, 2187, 2202, 2261, 2401, 2583)
per questi argomenti. Al Malaspina egli rimane gratissimo, e perciò lo
assicura (1725, i novembre, n. 2401), che anche la Cronaca Novalicense^
e il poema dell'Astegiano " compariranno dono „ di lui (i). A Francesco
Brembati ricorre per averne cronache bergamasche (nn. 2031, 2073).
In Vienna il conte Antonio Rambaldo di Collalto è messo a profitto
per Sicardo e Gottofredo da Viterbo (nn. 2036, 2201, 2306) e per una
Cronaca Friulana (n. 2202). Da quella città N. Forlosia gli manda colla-
zioni delle Storie di Ottone di Frisinga (n. 2324), e di Liutprando
(n. 2442), gli Annali Lambaciani ed altri aneddoti antichissimi (n. 2388,.
2400, 2603); colà N. Garelli deve occuparsi per lui della vita di Lodo-
vico il Pio scritta da Nigello (n. 2399). Cerca mss. in Olanda e in Inghil-
terra (n. 2209). Va da sé che Francesco Arisi è sovente pregato per le
cronache di Cremona (n. 2039); anzi con questo letterato la corrispon-
denza é frequente (2). Uberto Benvoglienti (nn. 2051, 2210, 2240, 2253^
2260) deve lavorare a mettere insieme cose di Toscana in generale e
di Siena in particolare, e ben si sa come l'impresa muratoriana restasse
avvantaggiata dalla dotta attenzione di quell'esimio erudito. Da C. Gri-
maldi (n. 2050) aspetta comunicazioni di fonti napoletane. Specialmente
per la vita dei vescovi di Napoli scritta da Giovanni Diacono, il Mura-
tori si raccomandava a Matteo Egizio (n. 2150, i gennaio 1723; 2157),
e C. Grimaldi (n. 2240, cfr. n. 3054).
(i) Nella lettera 2261, 22 giugno 1724, dice che alfa cortesia del Malaspina
attribuiva non solo le Cronache Astesi, ma anche l'Astegiano, e altre cose da-
tegli da chi non vuol essere nominato. E soggiunge: oc So ch'ella userà in ciò-
« il conveniente segreto ».
(2) Sicché anche per altri aneddoti, come per quello riflettente i funerali di
Gian Galeazzo (n. 2356), e per la Cronaca di Boncompagno fiorentino sull'assedio-
dì Ancona da parte del Barbarossa (n. 2258: cfr. 2289, a G. B. Bianconi), il
Muratori ricorre all'Arisi.
426 BIBLIOGRAFIA
Fino dal 1.° maggio 1722 pregava (n. 2075) Salvino Salvini di for-
nirgli notizie su Ricordano (la cui autenticità non viene qui neppur posta
in dubbio), sui Villani, sulle Cronache Pistoiesi. In appresso si occupava
{n. 2216, 26 novembre 1723) di Dino Compagni. Da Guido Grandi
aspetta materiali toscani (14 aprile 1724, n. 2265), e si rallegra col Sassi
per la scoperta di una cronachetta lucchese (1725, nn. 2422, 2431). E
pure col Sassi si intrattiene intorno alla edizione delle opere di Tolomeo
da Lucca (n. 2589). L'edizione dei Villani, che gli costò non poca fatica
(n. 2765), gli procurò poscia molti guai, poiché da Firenze gliene fu
mossa acerba guerra. Colà si sarebbe voluto che molti mss. egli avesse
collazionati; ma se il Muratori si fosse deciso a seguire questo metodo
nelle sue edizioni degli Scriptores, ben poco cammino avrebbe fatto, e
scarsa luce gettata sulla intricata ed oscura storia italiana nei secoH
di mezzo. Con belle parole egli si difende dalle accuse in una lettera
(25 agosto 1730, n. 2951) ad A. F. Marmi, lettera che può citarsi ad
esempio del vero metodo da seguirsi nella edizione dei testi. E savie
parole abbiamo a questo proposito anche nella Vita di L. A. Muratori
^Venezia, 1756, p. 94-6), scritta da Francesco Soli Muratori, che conosceva
ben addentro il pensiero e gli intendimenti dello zio. Il Soli Muratori
giustamente combatte le pretese eccessive dei fiorentini, e avverte che
suo zio sapeva in antecedenza di non poter far cosa per ogni parte
perfetta, mentre tante biblioteche gli venivano chiuse. Ora possiamo ag-
giungere per parte nostra che l'edizione dei Villani, procurata dal Mu-
ratori, dopo quasi due secoli è ancora quella alla quale ricorriamo più
volentieri e con maggiore fiducia. I tentativi fatti replicatamente per
apprestarne una migliore, finora non furono coronati da buon suc-
cesso.
A G. B. Tafuri, da Nardo, scrisse il Muratori intorno alla pseudo-
cronaca di Matteo Spinelli (16 maggio 1722, n, 2082). Ne dice: " mi
" piace al maggior segno... Se non che non so intendere, come sia
*'■ scritta in- volgare: dubito che si tratti di una versione „. Più tardi
(1723, marzo 19, n. 2162) ringraziando il Tafuri, perchè gli avea man-
date molte note sullo Spinelli, dichiara di trovar strano come il cronista
cada in tanti errori cronologici, anche a proposito di fatti a lui con-
temporanei. Avendogli poi il Sassi (n. 2178) procurato un testo latino
dello Spinelli, trovò che questo era la versione dell'italiano (n. 2391).
Ma al postutto non stava tranquillo, e al Benvoglienti scriveva addi 9
agosto 1726 (n. 2502): " Io non mi ostinerei a credere originale il vol-
" gare de' Giornali dello Spinelli; ma né pure ad altri riuscirebbe fa-
" cile il mostrare il contrario. Se Ricordano potè scrivere in volgare,
^' perché non potè alquanti anni prima un Napolitano? Però poco im-
" porta „. Le difficoltà dei Diurnali furono dunque avvertite dal Mura-
tori, ancorché esse non l' abbiano deciso a riconoscerne la falsificazione.
Ed è poi curioso l'avvertire com'egli accosti in un medesimo periodo la
falsificazione napoletana alla falsificazione toscana, e come dalla sua
troppa fiducia in questa si sia lasciato ingannare da quella.
BIBLIOGRAFIA 427
Con G. Vernacci corrisponde per le cose di Urbino (n. 2091), con
P. Canneti e con B. Brandolini per Forlì (n. 2172, 2283), con L. A. Gen-
tili per Cosimo e Fermo (n. 2304) e per Gubbio (n. 2444), con G. Vin-
ciuli per Perugia (nn. 2205, 2472) (i), con Fr. Zambeccari per Bologna
(n. 2404), con A. P. Berti per Aquila (n. 2154) (2). Al Vallisnieri chie-
deva (n. 2160) copia della l^tta di Carlo Zeno esistente nella biblioteca
del Seminario di Padova. S* intratteneva col Sassi (n. 2415) sulle Cronache
padovane, negando l'autenticità della biografia di Ezzelino, attribuita a
Pietro Gerardo, e attribuendo troppo scarso valore ai carmi del Mussato,
compresa la tragedia Ecerinis. Nella lettera 2443 parla del Monaco (nella
stampa " Monastero „) Padovano (cfr. 2449). N. Zacarli lo fornisce di aned-
doti reggiani (n. 2317). Per Parma e Piacenza il Muratori si raccomanda
nella lettera 2652. M. Fiacchi (n. 2246) gli procurò Ricobaldo. Sulle Cro-
nache di Nardo, cfr. 3139.
Si preoccupava di Genova, vedendo la gelosia politica di quella re-
pubblica (n. 2121). De* Genovesi quindi si lagna col p. M. A. Lazzarelli,
uno dei più fidi amici ch'egli avesse a Milano (n. 2337). Da N. D. Magri,
genovese, aspettava la cronaca dello Stella, ed altri doni ancora (n. 2423;
cfr. nn. 2431, 2439, 3017), candidamente dicendo che così Genova farebbe
una bella " figura nella Raccolta e per conseguenza nel mondo „.
Nel mentre al cassinese Erasmo Gattola annunciava la stampa dei
primi volumi degli Scriptores (n. 2152), gli chiedeva cose napoletane, e
materiali desunti dalla celebre " biblioteca di Monte Cassino,,. Ma non
ne accettò la offerta d'inserire nella Raccolta la storia di Monte Cas-
sino, da quel Padre composta (nn. 2158, 2164, 2167). Nella corrispon-
denza col p. C. Montagiosi (nn. 2222, 2228, 2238, 2234) discuteva sull'oppor-
tunità o meno di accogliere il commento di Paolo diacono alla Regula.
In complesso, de' Cassinesi non si mostra troppo contento (3). Siccome
essi pensavano a pubblicare per proprio conto i monumenti della loro
(i) Cronache perugine aspettava anche dal suo amico A. Vallisnieri, n. 2350.
(2) Si capisce facilmente come il Muratori possa in questa lettera scrivere:
a di sanità non ne ho molta ; ma degli intrighi assai fino alla gola ». Sono fre-
quenti i lagni che egli fa intomo alla propria salute. Come, p. e., nella lettera ,
2363 (2 agosto 1725): « non son già i 63 anni (o 53 anni, poiché Muratori
« nacque nel 1627) che fanno l'uomo vecchio, ma sì bene gli acciacchi ». Tutta-
via trattavasi sempre di indisposizioni non gravi, causate dallo studio e dalle quali
si rimetteva alquanto nella villeggiatura, come impariamo dalla vita, scritta dal
nipote. È bello il vedere nell'opera di costui come il grande erudito attri-
buisse i suoi mali alla qualità dei cibi, di cui si nutriva, o a qualunque altra
causa, fuor che alla vera, cioè all'eccesso del lavoro.
(3) Cfr. le vivaci parole del n. 2797. Nella lettera 3540 (23 dicembre 1923)
lagnasi per non aver ottenuto da Monte Cassino le varianti a Paolo Diacono.
Si capisce peraltro che alla vivacità di qualche espressione non dobbiamo dar
troppo valore. Forse sono parole sfuggite sotto l'impressione del momento.
428 BIBLIOGRAFIA
Storia gloriosa, così è naturale che non si accalorassero per servire
il Muratori.
Più ancora spiacente si dimostra del mcdo con cui lo trattavano i
piemontesi, e in alcune lettere adopera frasi che, al pari di quelle ri-
guardanti Genova, si dovrebbero dire più che esagerate, se non si con-
siderassero le peculiari circostanze in cui furono scritte. 11 25 marzo 1723
si rivolse direttamente a Vittorio Amedeo II (n. 2163), chiedendogli le
Cronache della Novalesa e di Fruttuaria, e assicurandolo ch'egli, nella
sua impresa, non era mosso dall'interesse di alcun principe particolare,
ma soltanto dall' " onor dell'Italia „ (i). Al Malaspina, non molto dopo,
(23 dicembre 1723, n. 2225) scriveva: " que' benedetti piemontesi son
" più avari, che non è l'avarizia stessa „; e in appresso ancora (8 marzo
1725, n. 2322): " del Piemonte e de' suoi principi nulla ho „. Più tardi
entrò in corrispondenza con un dotto siciliano, che, fermatosi in Pie-
monte, aveva pochi anni prima scritto una dissertazione intorno al rior-
dino degli studi colà, cioè con Francesco De Aguirre (2). Gli di-
ceva (22 novembre 1726, n. 2539) che avrebbe desiderato dedicare al
re sardo un volume della Raccolta (3), ma che pur troppo nulla avea
potuto aver sul Piemonte. Nuove preghiere nella lettera 18 dicembre
1726, n. 2553. Ad Ignazio Solari del Borgo manifestò più tardi il suo
contento, perchè il re a mezzo del Maffei gli aveva promesso di conce-
dergli quanto di meglio si trovasse negli archivi di stato, incaricando
il De Aguirre delle relative indagini (18 settembre 1727, n. 2646). Non
è questo il luogo, per certo, di riandare la storia, non tutta bella forse,
ma neppur tutta brutta, delle relazioni del Muratori col Piemonte. Molti
se ne sono di proposito occupati, come il Silingardi in addietro, e re-
centemente Giuseppe e Guido Manacorda (4).
(i) duesta lettera fu pubblicata per la prima volta dal Soli Muratori, op. cit.,
p. 337, colla risposta cortese del re, 17 aprile 1723 (p. 338).
(2) Il suo lavoro Della fondazione degli studi generali a Torino nel ip^y
fu pubblicato da S. Struppa, Palermo, Gianni Trapani, 1901.
(3) Bisogna tener presente alla mente, nel discorrere di queste cose, che la
protezione imperiale, sotto dei cui auspici la Raccolta si stampava in Milano, non
mancava di dare a quell'opera un certo carattere politico, che potea appena essere
attenuato, ma non certo distrutto, dalle insistenti dichiarazioni del Muratori. Né
si dimentichi che anche la questione di Comacchio, alla quale il bibliotecario di
Modena aveva partecipato, mettendo la sua erudizione in servizio degli Estensi e
dell' impero, contro la Santa Sede, poteva far pensare a taluno che dai lavori
del Muratori la politica non avesse fatto pieno ed intero divorzio.
(4) La corte piemontese e le ricerche storiche di L. A. Muratori in Piemonte^
in Atti della R. Accademia di Torino, XXXV, p. 360 sgg. Nel gennaio 1721 il Mu-
ratori, fece i primi passi per avere materiali piemontesi da arricchire la sua Raccolta.
I Manacorda pubblicarono per la prima volta la citata lettera del Muratori al re di
Sardegna, in datata 18 dett. 1727, togliendola dalla biblioteca civica di Torino^
BIBLIOGRAFIA 429
Il Muratori non dimenticava la Sicilia, e ad A. Pantò, di Palermo,
■sì raccomandava per la raccolta delle Cronache Arabe di G. B. Caruso
^n. 2249), e siccome dell'illustre storico ed orientalista siciliano egli facea
grande stima, così molto si addolorò quando ne avvenne la morte
(n. 2384).
I lavori del Simonsfeld richiamarono negli ultimi anni l'attenzione
sulla così detta Cronaca di Giordano (Fr. Paolino, vescovo di Pozzuoli).
Anche di questa il Muratori si interessava, intendendo di pubblicarla
fra le Aniiquitaies (nn. 3205, 3267), quando ne avesse potuto avere un
buon testo.
Pubblicando le opere storiche di A. Mussato, aveva stampato anche
" un certo pezzo di storia delle Famiglie Padovane, che è presso di me
" manoscritto e si trova ancora costà (= Padova), con poco onore di
" quella famiglia „. Poi se ne dolse dubitando che quella famiglia esi-
stesse ancora. Ma il Vallisnieri l'assicurò che trattavasi soltanto di iden-
tità di cognome, mentre la famiglia dello storico era ormai estinta
(nn. 2684, 2693). Assai piìi interessanti sono le lettere in cui parla delle
edizioni del Ferrato. Scrive al Sassi (20 agosto 1722, n. 21 19): " Oh,
" non posso spiegarle, quanto cominci a pesarmi il correggere copie e i
" testi ancora, che talora son pieni di tanti spropositi, che non se ne può
" trar i piedi. Lo pruovo adesso per la storia di Ferretto Vicentino,
" bellissima, ma affatto rovinata da' copisti, né due copie mandatemi, han
" giovato a me per farne fare una buona „. Il testo muratoriano dipende
essenzialmente da' manoscritti meno antichi conservati ora nella biblio-
teca comunale di Vicenza (i). Più tardi (17 dicembre 1726, n. 2551) scri-
vendo al Sassi sul contenuto della Historia del Ferreto dichiara: " Ve-
" ramente il Ferretto è una mala lingua e propone di correggere la maldi-
" cenza con una nota „. A questo proposito si può richiamare una lettera
a Pier Paolo Ginanni (18 maggio 1731, n. 3019), al quale il Muratori
comunica che, su domanda del generale dei Predicatori, mandò le no-
tizie necessarie al processo per la santificazione di Benedetto XI. " Gli
" ho mandato „ dice " le testimonianze di Almerico Augerio, franzese, che
" scrisse le vite dei papi circa il 1360 e del Polistore abbate di S. Bor-
e l'accompagnarono con altra, 13 giugno 1735, pure del Muratori, diretta, a quanto
sembra, al marchese d'Orniey, dalla quale apparice che anche stava aspettando
documenti piemontesi. Mi piace rilevare le utili informazioni che i Manacorda
danno (11, 367 e 369), rispetto alle relazioni tra il Muratori e Scipione Maffei.
(i) Il Muratori ebbe sentore dell'esistenza di un codice a Roma. Si rivolse
quindi ad A. I. Trivulzio (28 agosto 1725, n. 2382), perchè si procurasse l'inizio
e la fine di quel testo, allo scopo di verificare se stesse in armonia colla copia
che della Historia del Ferreto egli già possedeva. Probabilmente egli allude ad
un cod vat. ottoboniano (n. 1877), di cui gli aveva dato cenno Apostolo Zeno
{Lettere I, 53, n. 34), fino dal 1791. Non risulta ch'egli conoscesse il cod.
^at. 4921, del sec. XIV.
43© BIBLIOGRAFIA
" tolo di Ferrara, che fiorì nei medesimo tempo, ambe presso di me ma-
" noscritte „. Spera che la Sacca Congregazione inscriva quel papa nel
catalogo dei santi. E ciò realmente fu fatto.
Continua è la corrispondenza col Sassi, che al Muratori giovava spe-
cialmente per i manoscritti dell'Ambrosiana (nn. 2027, 2029, 2035, ecc.)(i);
uno degli argomenti per i quali il Muratori ricorreva particolarmente
al Sassi era fornito dalle vite dei papi (cf nn. 2043, 2135, 2177, 2340).
Gli confidava le sue incertezze su Landolfo Seniore e suU' Infessura,.
autori che si potevano pubblicare in fine, senza nome d'editore, perchè,
se anche fossero stati proibiti, l'opera rimanesse illesa (12 marzo 1722,
n. 2064). In altra occasione (17 dicembre 1726) gli propose di omet-
tere, nella stampa dell' Infessura, " quello che è pili scandaloso, e che
" fa nausea, avvertendo con una nota i lettori del taglio fatto „ (2). È il
Sassi che tratta coli' Inquisitore la questione d&W imprimatur prima che
la stampa si inizi, poiché al Muratori non gradirebbe che i manoscritti
andassero a Roma (26 febbraio 1722, n. 2047). Mentre il Muratori ma-
nifesta poi al Sassi il suo contento, udendo che il papa vede volontieri
la Raccolta, teme di ciò che potrebbe avvenire con altro papa (n. 2140)»
Ma ecco sopravvenire difficoltà d' altro genere. L' imperatore favoriva
l'impresa (n. 2061, 2065); e siccome in alcune vite dei papi si parlava
della superiorità di questi " in temporalibus „, così temeansi fastidi da
parte dell'autorità civile. Muratori proponeva vari mezzi per sopprimere
le parole del testo, fino a lasciar tacitamente intendere che mancassero
nei manoscritti adoperati (n. 2168). Il Sassi avrebbe fatto una nota
" per scusa „ alla vita di Gregorio VII (n. 2176). Ma soprattutto temevasi
di Roma, e al Muratori già pareva udire i " grandi striUi di Roma „
appena principiata la pubblicazione (n. 2209; cfr. 2236, 2239). Il Muratori
sa che il Chronicon Farfense dolse " ai politici romani „ (n. 2681), ma
non vuol celare " la verità per timore o riguardo d'alcuno „. Del resto
egli si compiace pensando d'avere buoni protettori a Roma, com'è il car-
dinale Goti (n. 2732). E da Roma infatti nessuna opposizione venne; né
Landolfo, né l' Infessura destarono quegli " strilli „ di cui il Muratori si
preoccupava.
Altre difficoltà di specie differente sorgevano a Milano. Il Sassi si
disgustò nel 1722 coi " signori „ della Società Palatina; ma poi alla
burrasca segui la bonaccia (nn. 2088, 2096). Un temporale più grosso
scoppiò nella state del 1725, quando il Muratori si adontò perché dubi-
tava che il Sassi avesse dispensato una o piii copie degli Anecdota
giacenti all'Ambrosiana, senza il suo consenso (nn. 2365, 2367). Si trovò
modo di accomodare anche questa faccenda. Subito dopo, una prefazione
del Sassi esacerbò il Muratori, e qui la questione fu un po' acuta, e
(i) Notevole, fra gli altri, è il n. 2365 che si riferisce all'ediz. della Cronaca
del Morena.
(3) Cfr. per l'Infessura anche il n. 2568.
BIBLIOGRAFIA 43 1
convenne metter di mezzo il marchese Alessandro Teodoro Trivulzio.
Il Muratori era già di cattivo umore, perchè i giornali letterari di Ve-
nezia e di Lipsia andavano propalando ch'egli non " era il principale
in questa società, „ ma soltanto una persona al servizio dei " signori „
di Milano (i). Ma il Muratori, sempre d'animo generoso, se anche tal-
volta un tantino vivace, finì per rabbonirsi, e la questione ebbe ottimo
termine (nn. 2370, 2373, 23804, 2376). Il Sassi finì per riconoscere di
non poter disporre liberamente d' un' opera che portava il nome del
Muratori (n. 2390). Né gravi furono i dissapori coll'Argelati (nn. 2109^
21 15, 2373, 2390). Il Muratori era geloso dell'opera sua, e voleva che
ben si sapesse eh' essa era veramente ed unicamente sua.
La corte di Vienna favoriva costantemente l' impresa (n. 2324), e
non solo a parole. Infatti Carlo VI approfittando di un viaggio del
p. Pauli in Italia, lo incaricò {1726) di recare al Muratori la collana colla
medaglia d'oro (nn. 2508-09, 2512, 2514, 2518). L'occasione del dono fu
(dice il nepote, p. 85) la dedica che L. Muratori fece all' imperatore del
suo Trattato sulla carità cristiana. La causa vera di tale regalo e di
tale onore sta nelle relazioni di continua e sicura amicizia.
Dalle lettere può seguirsi, mese per mese, il progresso della
stampa (2), che si faceva nel palazzo ducale di Milano.
Il Muratori se ne interessava, talvolta anche per rispetto allo smercio.
Egli discuteva coi suoi collaboratori riguardo al metodo da tenersi
nella edizione dei testi, e all' ampiezza delle note. Alcuni si erano la-
mentati che queste erano talvolta troppo ampie, ed egli riconosceva
che quelle dell'Oslo al Mussato erano " spropositatamente prolisse „
(n. 2266), eppure era inevitabile riprodurle. Ma al Malaspina raccoman-
dava di andar guardingo nelle note (nn. 2261, 2401, 2583), anzi lo eso-
nerava senz'altro da quell'officio (3). Passando il tempo, accrescendosi
il numero dei volumi, cessò, o quasi, di raccoglier nuove cronache (nn.2770^
2779, 3173. 3195). Fino dal 1725 trovava che questo era lavoro gravoso.
A P. Canneti, che stava a Forlì, scrisse (12 ottobre 1725, n. 2395), che grande
era la sua preoccupazione: " tutto dì cercare di distaccare manoscritti^
" rivedere e correggere que' che s' hanno a pubblicare, prefazioni e mille
" altre cure „. E quindi non è meravigliare se più volte dichiarasse di
(i) Il 7 agosto 1727 (n. 2630) scrive a Fr. Muselli, canonico a Verona, la-
gnandosi perchè Scipione Maffei nella Diplomatica lo avesse trattato « con qual-
« che amarezza » rispetto ai Ritmìj e anche perchè lo appellasse soltanto « prin-
« cipal racoglitore Rerum Italicorum, quando io non so d'aver compagni in tale
« faccenda ».
{2) Il primo volume degli Scriptores apparve nel 1723 : ved. Soli-Mura-
tori, op. cit., p. 225.
(3) A. G. D. Mansi che preparava le note alla vita di Castracelo del Te-
grini, raccomanda sobrietà, trattandosi di uno scrittore di epoca tarda (26 set-
tembre 1727, n. 2615).
432
BIBLIOGRAFIA
-desiderare di metter termine alla Raccolta (9 marzo 1731, n. 3005; 27 no-
vembre 1733, n. 3331) (i).
L'ansietà in cui il Muratori si trovava nel 1733 in seguito allo scoppio
della guerra per la successione polacca (n. 3331) non fu la sola causa per
cui egli vivamente desiderava di porre un termine ad un'opera, pre-
parata e stampata con incredibile rapidità. Molto spesso si lagna del-
l'indebolita salute; a rimedio de' mali si recava due volte all'anno in
campagna nella primavera e nell'autunno. Tuttavia gravi malattie in
questo periodo di tempo non sofferse. E quando si lamenta della me-
moria che gli diminuiva (nn. 2973, 3143), le sue parole si devono in-
tendere con molta discrezione. Tutta la sua operosità scientifica dimostra
quanta in lui fosse la forza del ritenere. Le politiche vicende non lo
lasciavano indifferente ; soprattutto quando a avesse paventarne inco-
modo agli studi, ne parla. Teme, addì i giugno 1730 (n- 2924), che la
prossima guerra non rechi danno all' Italia e " specialmente „ alle let-
tere. Più tardi, quando ormai i cannoni rombano, egli si augura che
da Trento discendano truppe a difesa di Mantova (11 novembre 1733,
n. 3327), e si. duole della " povera Lombardia „ (26 dicembre 1733,
n- 3337)-
A fargli desiderare la fine della stampa degli ScriptoreSy oltre ai
motivi suddetti, s' aggiungevano i nuovi disegni e i nuovi lavori, che or-
mai tutta occupavano la sua mente. Nei volumi precedenti ^e\V Episto-
lario abbiamo veduto come il Muratori sino dai suoi giovani anni fosse
venuto mettendo insieme una messe ricchissima di documenti. Allora
viaggiava parecchio, e a ciò che gli amici gli comunicavano egli potea
aggiungere quello che trascriveva di sua mano. Nel periodo al quale
siamo giunti, mentre si preoccupa di morir presto (n. 3314), egli sente
che l'età e la salute gli tolgono ormai la possibilità dei viaggi (n. 3030).
Egli è quindi obbligato a ricorrere continuamente ai suoi numerosi,
abili, e volonterosi corrispondenti.
Scorrendo questi due volumi òeXV Epistolario assistiamo al formarsi
della grande opera delle Antiquitates, nella quale, in 72 dissertazioni, si
trattano tanti aspetti della vita religiosa, civile, pubblica e privata degli
italiani. 11 Muratori è sempre alla caccia di carte (2), poiché quest'opera
è condotta quasi unicamente sopra i documenti, sopra le iscrizioni, sopra
le monete. Quando il canonico Silva, milanese, pensava a stampare di-
(i) Già nella lettera 2 ottobre 1728 (n. 2770) dice che, mentre dapprima
era stato avidissimo di cronache, ora era lento nell'accettarle. Accoglie una cro-
naca Anconitana, ma soggiunge: « incomincio ad essere stanco della Raccolta ».
(2) In una lettera a V. Vecchi (n. 2063, 27 marzo 1722) gli parla di « ro-
« toli » « originali », e aggiunge : « avremo persona che saprà leggerli, senza i
«biglietti nascosi ». Credo che con queste ultime parole alluda ai regesti dei do-
cumenti, che si usavano scrivere sopra biglietti, i quali venivano posti dentro nel
rotolo originale.
BIBLIOGRAFIA 433
plomi, egli gli suggerisce di ristampare i documenti, " ch'io ricevei da
" Bobbio, „ e lo esorta ad ispezionare vari archivi. Pare che il Mu-
ratori allora pensasse ad un lavoro collettivo. Più tardi (20 aprile 1723,
n. 2171) si ferma al pensiero di pubblicare egli stesso un volume di do-
cumenti, anzi (27 maggio 1723, n. 2179; cfr. nn. 26^7) di dissertazioni
contenenti documenti. Non dismise il pensiero di far ricerche neir ar-
chivio capitolare di Verona, dove, per non dar nell'occhio, manderà
un suo sostituto (3 agosto 1724, n. 2267). Con queste reiterate ricerche
la materia cresceva tra le mani del Muratori. U unico tomo di docu-
menti minaccia di raddoppiarsi (12 ottobre 1725, n. 2395, cfr. n. 2574,
2597). Cerca nuovi atti da Genova (io novembre 1725, n, 2407), e da
San Marino (11 novembre, n. 2408). Da Bologna, G. Bianconi gli co-
munica gli atti della Lega lombarda (nn. 2451, 2588), che costituiscono
uno dei più bei ornamenti delle Antiquitates. Carte attende da Verona,
dove lavorano per lui F. Muselli e B. Campagnola, ai quali si racco-
manda per il testo di un Penitenziale, che crede di aver già trovato in
un manoscritto di Bobbio (21 marzo 1726, n. 2457). Ad A. Scotti, di
Venezia, chiede documenti, compreso un diploma di Cangrande della
Scala, 1329 (12 luglio 1726, n. 2496). Desidera documenti piemontesi
(n. 2573, 20 febbraio 1727). Nel mentre apparecchiava le dissertazioni,
gli si presenta alla mente la questione sull'origine della lingua (n. 3340),
e chiede in proposito consigli al Benvoglienti (nn. 2532, 2574) (i). E della
lingua infatti le Antiquitates si occupano ampiamente.
A ciò si collega la questione sui ritmi medievali (destinata a spe-
ciale trattazione, nella disquisizione sulla origine della lingua italiana)
sulla quale il Maflfei lo combattè alquanto nella Diplomatica (n. 2630).
Si fece venire la copia del ritmo intorno a Verona, che formava oggetto
di controversia, e ciò a mezzo del Campagnola (nn. 2664, 2754). Scontento
del Maffei per questo motivo, gli viene il dubbio che da lui siano ve-
nuti gli ostacoli, che trovò nelle sue ricerche in Verona, e conchiude:
" bisogna camminar con riguardo rispetto a lui „. Ma ciò non ostante
rifiutasi, con bel garbo, di stampare un viglietto del Muselli contro il
Maffei. Si propone di difendersi rispetto al ritmo, ma vuol conservarsi
amico del veronese e non apparire doppio con lui (n. 2722). E final-
mente assai sì rallegra dell'accordo ristabilito tra il Maff"ei e il Capi-
tolo di Verona (3 marzo 1729, n. 2810). Sicché, più tardi, con ogni cor-
tesia riiigraziò il Maffei, allorché questi gli regalò la Verona Illustrata
(nn. 3160, 3181) ; né meno cortese e grato si dimostrò verso Giuseppe
Bianchini, dal quale avea avuto la Enarratio Pseudo-Athanasiana in
Symbolum (n. 3165).
Venuto a notizia del codice di Bernardo Trevisano, racchiudente
le copie di documenti veneziani antichissimi, desidera averne copia
•^n. 2669). Per conoscere le antiche condizioni dei canonici, e parlarne
(i) In quest'ultima lettera esprime l'opinione che la lingua italiana si costi-
Ttuisse al tempo della dominazione longobarda,
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. Vili. a8
434 BIBLIOGRAFIA
nelle dissertazioni, rivolgeasì a monsignor G. A. Scalabrini (n. 282o)^
Ancorché a lavoro finito non desiderasse nuovo materiale, tranne il
caso di documenti veramente antichi e preziosi, tuttavìa ancora nel prin-
cipio del 1733 (n. 3216) ringraziava il p. G. Grandi, per un atto che gli
aveva trasmesso da Pisa, nel mentre secolui si condoleva, perchè a quel-^
l'erudito era stato chiuso l'Archivio, per il motivo che aveva " rimesse
" a suo luogo Tossa slegate di cotesti antichi vescovi „. Così andavano
formandosi le Antiquitates Italiae medii aevi (n. 3148; cfr. n. 3153), che
diede a copiare nella primavera del 1732 (n. 3140). Il nipote Soli-Mu-
ratori, che assistette meravigliando alla facilità grandissima con cui lo
zio compose, quasi ad un tempo, le 72 dissertazioni, ci descrive (pp. 168-
169) il metodo seguito nella compilazione, possibile solo ad un uomo for-
nito di straordinaria memoria, per cui non avea bisogno di abbozzi, ma
scriveva con quella stessa disinvoltura, che altri appena dimostra nel
copiare. Il Muratori come sapeva di rendere onore all'ItaHa (n. 2055)
colla raccolta degli Scriptores^ così pure aveva piena coscienza del va-
lore delle Antiquitates, e addì io ottobre 1733 (n. 3189) scriveva: " Ho
" anche fatto de' miracoli a poter adunare tanta copia di antichi docu-
" menti, che darò nell'opera che ho per le mani „. Ora non potrebbe
più averne tanti, giacché la verità fa paura a molti, e da molti è per-
seguitata, specialmente in Italia. Così egli si v^ lamentando, perché teme
dei sospetti e della gelosia altrui; e forse teme anche più di quanto sia
grande il pericolo.
Alle dissertazioni si riferiscono anche i suoi studi sulle monete
(n. 3167). In molte lettere troviamo le tracce delle ricerche ch'egli fece
dovunque in Italia, per avere disegni di monete e di sigilli. Dal Mu-
schi spera monete di Verona (nn. 2754, 2827, 2836, 2839, 2844), ^^l Ben-
voglienti, monete dei re Longobardi (n. 2765) e di Siena (n. 2832). Ebbe
monete da Ferrara (n. 2783), cerca quelle di Venezia (n. 2784) e di Pia-
cenza (n. 2781); al Malaspina (n. 2795; cfr. 2817) chiede monete del Pie-
monte, del Monferrato e di Genova: " Io non m'attento „, soggiunge,
" a scrivere a Genova, perché que' repubblicani sono intrattabili e so-
" spetterebbero subito qualche mistero di pohtica „. Dall'Ansi attende
monete cremonesi (nn. 2823, 2826), e al p. Montagioli chiede se gli ab-
bati Cassinesi battessero moneta (n. 294.1). Al Canneti ricorre per le
monete di Cesena, Faenza e Forlì (n. 2947). Desidera monete di Ra-
venna e dei Polentani (n. 2968). F. Camerini gli comunicò notizie sulla
numismatica di Ascoli e Fermo, e su antichità romane (n. 2982); onde
a lui si rivolse anche per le monete del ducato di Spoleto (n. 3293).
L'immane lavoro di cui abbiamo parlato, non allontana il Muratori
da altre indagini. Abbiamo già visto, parlando dei precedenti tomi del-
V Epistolario, com'egli da lungo tempo meditasse il Novus Thesaurus
Inscriptionùm. Non ne abbandonò mai il pensiero (n. 2398). Man mano
che nei volumi degli Scriptores smaltiva i suoi materiali, e mentre pro-
cedeva innanzi spedita la composizione delle Antiquitates, riprendeva
la caccia alle iscrizioni antiche, e si rivolgea quindi con frequenza ai
BIBLIOGRAFIA 435
corrispondenti (n. 2961) (i), purché i testi fossero anteriori al Mille
(n. 3034)- Ne attendeva da Pistoia (n. 2946, 4 agosto 1730), da Fano
(n. 3044), da Gubbio (n. 3056), da Falerna (n. 3059), da Cassino (nn. 3068
3075). N'eSbe da Nardo (n. 3109), da Treviso (n. 3119), da Bergamo
(n- 3135); da Camerino (nn. 3268, 3283, 3301). Ne attendeva dallo Scotti
(n. 3256).
Poco mancò che la raccolta delle iscrizioni quasi fornisse causa ad
un nuovo leggero attrito col Maffei. Tuttavia tutto finì coli* accordo
scambievole. Il 7 settembre 1732 (n. 3173) il Muratori annunciava ad
A. F. Gori, che il Maffei gli aveva comunicato il proposito di raccogliere
le iscrizioni antiche, e che a tal fine intendeva intraprendere un viaggio
in Francia, Inghilterra, Olanda, Germania. Soggiunge, riconoscendo il
merito del Maffei: " Egli è ottimo per sì gran disegni „. Quanto a sé,
mentre si vede intralciato nel suo lavoro, attende a chieder consigli dal
tempo (cfr. 3187). Poco appresso annuncia, 14 ottobre, n. 3190, a
G. G. Zamboni, in Londra, che il Maffei era in viaggio per le iscrizioni.
Scrivendo a F. Brembati, di Bergamo, si esprime in forma tale che dalle
sue parole traspare il desiderio che il suo corrispondente non faccia
parte al Maffei delle iscrizioni da lui raccolte (18 dicembre 1732, n. 3211) ;
e più tardi si mostra seccato perché il canonico (Giuseppe) Bianchini
abbia regalato al Maffei le iscrizioni raccolte da suo zio (Francesco), e
quasi si compiace vedendo che il Maffei faccia di volo i suoi viaggi
col pericolo di lasciare indietro abbondante materiale (al Brembati,. 15
gennaio 1733, n. 3219). È facile credere che se il Maffei avesse avuto
modo di compiere egli il Thesaurus, ne sarebbe venuta fuori un' opera
assai migliore che quella del Muratori non sia; ma i rigorosi criteri
scientifici coi quali il Maffei intendeva l'epigrafia, rendevano impossibile
l'esecuzione di un'opera di così vasta comprensione. Noi che assistiamo
alla pubblicazione del Corpus Inscripiionum Latinarum da parte dell'Ac-
cademia di Berlino possiamo ben comprendere la grandiosità gigantesca
di tale impresa.
Torniamo alle relazioni tra il Maffei e il Muratori. Veri disgusti col
Maffei, il Muratori non ebbe mai, e il dotto veronese nel 1749 nella pre-^
fazione al Museum Veronense difese il Muratori dall'accusa d'aver la-
sciato correre parecchi errori nel suo Novus Thesaurus. Ciòfece notare
con compiacenza il Soli-Muratori {Vita, p. 105). E quando il Muratori^
prossimo ormai alla morte, perdette l'uso degli occhi, il Maffei gli scrisse
una splendida lettera, che Soli-Muratori riferisce (p. 205), e nella quale
sì leggono, fra le altre, queste generose parole: " Noi due siamo stati
" conformi affatto in più opinioni importanti: siamo anche stati dis-
" senzienti in più altre; ma questo non ha impedito mai ch'io non vi
" abbia riputato sempre il primo onore dell'Italia „ (Verona, 15 gennaio
(i) Nel n. 2976 (cfr. n. 2979) dice: « non manco io oggi di cercare dap-
I a pertutto gli avanzi delle antichità romane ».
436 BIBLIOGRAFIA
1750)' Pochi giorni dopo il Muratori rispose degnamente, 20 gennaio,
e il 23 del mese stesso moriva (i).
Nel periodo cui si riferisce il to. VI dé[V Epistolario cade la pub-
blicazione di un'altra opera del Muratori, cioè del Trattato della carità
cristiana, contro di cui, a detta di Soli-Muratori, op. cit., p. 50, si mostrò
avverso il Fontanini, allorché il manoscritto era in Roma, sotto Tesarne
del maestro del Sacro Palazzo. Il Muratori volle dedicare il suo libro
all'imperatore, e per ottenerne il consenso, si rivolse ad Apostolo Zeno,
in Vienna (3 aprile 1723, n. 2165; cfr. 2202, al co. A. di Collalto) (2).
Parlando di questo suo libro, in una lettera a G. Riva, in Londra (26
ottobre 1723, n. 2209), dice di avervi " con grande franchezza trattato
" questioni delicate „, e si aspetta gU assalti del Fontanini, ancorché
l'opera esca coU'approvazìone ecclesiastica. Le opposizioni temute non
vennero, che anzi il trattato piacque e ottenne lodi (n. 2253).
Il Muratori non si limitava a scrivere intorno alla carità, ma sapea
praticarla. AU'abb. Malaspina confessava di non aver denari, ma debiti,
essendo costretto quindi a vivere " da pover uomo „. Ma assai avea
speso per la rifabbrica della sua chiesa, ed ora molto gli costava la
Compagnia della Carità, ch'egli aveva istituito (16 aprile 1722, n. 2068)
presso la chiesa della Pomposa, nel 1722 (3). Nel marzo 1727 mandò
al canonico Francesco Muselli, in Verona, V " invito „ (specie di sta-
tuto) di detta Compagnia, eh' egli dice aver fondato per combattere
" le insopportabili usure de' giudei, che pigliano il 18 e il 20 per cento „
(20 marzo 1727, n. 2584), e lo esortava a seguire la buona ispirazione
avuta di fondare alcun che di somigliante in Verona (n. 2594). La Com-
pagnia dava molto da fare al Muratori (n. 3177). Né contento di ciò, egli
pensava anche altrimenti ai suoi poveri (n. 3221), e si occupava volen-
tieri fin degli umili affari concernenti un muratore " morto all' ultima
'* povertà „ (n. 2915).
Nelle lettere che il Muratori scriveva nei suoi anni giovanili si tro-
vano talvolta accenni a teatri e a pompe mondane. Procedendo coU'età,
questi argomenti abbandonano del tutto l'Epistolario^ che invece ora si
fa frequente di pensieri, e anche di trattazioni filosofiche e religiose.
Egli molto lavorava nell'esercizio del suo ministero (4) ed era assiduo
alle funzioni ecclesiastiche ed al confessionale (n. 2469, 24 aprile 1726).
Quelle forze che la scarsa salute gli acconsente, le dedica agH studi e
^1 ministero (n. 2559). Imparò ormai a giudicare del mondo. " Quanto a
(i) Il Muratori nel 1726 avea visto con dispiacere che il Maftei cedesse al
Coleti l'edizione dei Concili, sapendo quanto questo fosse a quello per dottrina
inferiore (6 giugno, n, 2483).
(2) La dedica stampata a parte in capo all'opera, colla data del 15 novem-
bre 1723, viene qui riprodotta, n, 2214.
<3) Soli-Muratori, op. cit., p. 49.
(4) Fu parroco per 17 anni: Soli-Muratori, op. cit., p. 136.
BIBLIOGRAFIA 437
" me „ scriveva a C. Borromeo (11 dicembre 1730, n. 2984), " sento una
" anticipata vecchiaia, e mi truovo talvolta stufo e stanco del mondo, ma
" con essere nondimeno forse più degli altri attaccato ad esso mondo,
" tuttoché sempre piià io lo ravvisi cattivo „. Tradusse i Salmi, e meditò
intorno ai mezzi che l'uomo ha, in qualsiasi condizione si trovi, per farsi
santo (n. 3113). Venne il giorno in cui gli divenne grave officio quello di
attendere alla sua chiesa: le processioni, le benedizioni col Venerabile,
il confessionale, divennero lavori troppo gravi per lui; laonde si vide
costretto a cedere la chiesa al nepote Soli-Muratori (cfr. lettera del
13 agosto 1733, n. 3288). In altri tempi avea iniziato alcune conferenze
per il clero della sua chiesa, ma non fu abbastanza secondato dai gio-
vani (n. 3305). Di tali conferenze, ch'erano esercizi spirituali, e dello
scopo che, ciò facendo, il Muratori si era prefisso, piìi larghe notizie
abbiamo dal nipote che molto si diffonde a parlarci delle virtù del Mura-
tori, e specialmente della sua carità così spirituale, come temporale (i).
In questi volumi à&W Epistolario parlasi anche di filosofia. Al Valli-
snieri (3 gennaio 1727, n. 2558) manifesta il dolore ch'egli provava ve-
dendo indebolirsi la religione in Francia (2), in Inghilterra, in Olanda.
" Non permetta Iddio, che il male vada più avanti „. Non si nasconde
le difficoltà ch'egli trovò nello studio della filosofia morale, specie nelle
questioni sulle relazioni tra l'anima e il corpo. " Ma, per la Dio grazia,
" ricorro sempre al Credo e qui starò saldo fino alle ceneri. Niuno
" arriverà a farmi credere, ch'io sia un orologio, che passeggia per
" Modena, perchè conosco Iddio, e chi mi ha dato questa potenza, mi
" ha distinto dai bruti, i quali neppur sappiamo che cosa siano „. Già
meditava di scrivere di filosofia morale (n. 2760). Se la prende cogli
inglesi atei e scettici, e dice che la causa di tanto male è da cercare
nella mala volontà associata all'ingegno mediocre (n. 2799). Lodando
assai un poema di Tommaso Campailla, si duole peraltro ch'egli sia
troppo pedissequo della filosofia cartesiana (n. 2918). Loda (n. 3184)
Girolamo Tartarotti, allorché questi gli avea manifestato il disegno di
scrivere sulla origine e la natura dell'anima, ma ritiene che soltanto la
fede sciolga il problema dell'anima. Difende Aristotele, che non è quel
miserabile che si vuol far credere, e combatte Cartesio, che poi non é
" quell'angelo di luce, che molti si van figurando „ : aggiunge alcune
considerazioni sul Locke, e conchiude: " Però il rifugio mio é nel
" Credo, e col fanale della santa religione nostra e col scio cui credidt
" di S. Paolo, fo coraggio a me stesso. Poiché per conto della filosofia,
" ella sa dove nel secolo del 1500 fossero giunti i Pomponazzi e i Cre-
" monini „ (n. 3233, 17 marzo 1733). Sa mantenersi umile: " Io quanto
" più m' inoltro verso la vecchiaia, tanto più m'accorgo di non sapere „
(n. 2567). Al Brembati di Bergamo raccomandava perciò, 2 giugno 1729
(n. 2835) di non voler leggere libri alla rinfusa, fossero o no, proibiti;
( i) Soli-Muratori, op. cit., pp. 46, 44.
(2) Cfr. n. 2759.
438 BIBLIOGRAFIA
ma bisogna, inculcava, starsene airautorìtà della Chiesa^ che non è ri-
gorosa nel concedere la licenza. S'interessava all'edizione delle antiche
versioni Evangeliche, cui attendeva il Bianchini (n. 2813; cfr. n. 2810),
e al VaUisnieri (4 febbraio 1727, n. 2570; cfr. n. 2567) (i) spiegava come
gli antichi Padri dimostrino Tautorità dei Vangeli, laonde non si deve
dar bada " a quegli sfrenati inglesi „.
Qualche questione delicata viene toccata anche in questi volumi
dtW Epistolario, dove si accenna, ancorché raramente, alla questione del
cosidetto Voto sanguinario (nn. 2859, 2871), a proposito della Immaco-
lata Concezione. Il Muratori (che, secondo la testimonianza del nipote,
p. 112, accettava la dottrina dell'Immacolata Concezione) impugnava il
Voto che si facea a difenderla. Ma la questione si fece ardente solo al-
cuni anni più tardi.
Abbiamo qualche cenno contro il Tannucci (nn. 2793, 2971). Ricor-
dasi in queste lettere il nome di Pietro Giannone. Avendo inteso del
romore'che se ne facea a Napoli, al Muratori venne desiderio di cono-
scerne la Storia (19 aprile 1723, n. 2169). Non riuscito ad averla, pensò che
qualche stampatore si sarebbe invogliato a ristamparla (n. 2183). Di ciò
scriveva a C. Grimaldi, suo corrispondente a Napoli, al quale raccomandò
poi di inviargli il Hbro per la via di Venezia, o per quella di Livorno,
schivando la posta di Roma (i ottobre 1723, n. 2204). Non trovo in
questi volumi dell' Epistolario alcun giudizio intorno alla Storia civile. Il
conte Alberto Serego, in Verona, possiede la prima edizione dell'opera,
con postille, tutt'altro che favorevoli, di Scipione Maffei : tali postille si
arrestano tuttavia dopo non molte pagine, ma pur meriterebbero di ve-
dere la luce. Si riferiscono tutte a questioni storiche, senza accenno a
dottrine teologiche o filosofiche.
Varie questioni speciali sono ex professo o incidentalmente discusse
nelle lettere. Col Facciolati il Muratori si intrattiene intorno alle formule
delle iscrizioni cristiane (n. 2493), con G. Bianchini discute sulla lettura dei
piombi recanxi i nomi di S. Vittoria e di S. Kiberto in Verona (n. 2663).
Parla dell' autorità del catalogo delle reliquie pavesi del vescovo S. Ro-
dobaldo (n. 2752), discute intorno alla pronuncia del greco (n. 3066). Si
occupa del Ceccarelli, il famoso falsificatore di documenti (n. 3029), ac-
cenna all'antico corso del Po dopo Ostiglia e alle relative questioni
(n. 3024), si arrovella per dare l' interpretazione di un passo di Ci-
cerone (n. 2893), spiega quale metodo egli preferisca nell'agiografia
(nn. 2831, 2941) (2) : non crede provato che uh catino venerato a Genova
(i) A quest'ultima lettera è apposta nella stampa la data del 27 gennaio 1727.
Ma ci dev'essere un errore nell'anno, poiché vi si dà per morto recentemente il
VaUisnieri, che mori solo addi 18 gennaio 1730. La ritarderemo quindi sino al
27 gennaio 1730. Nella lettera si discorre del poema di T. Campailla, cui si ri-
ferisce, come vedemmo, la lettera n. 2918.
(2) In quest'ultima lettera egli accenna alle vite dei più antichi abbati di
Bobbio scritte da Giona.
BIBLIOGRAFIA 439
sìa proprio quello adoperato da G. C. neirultima cena (n. 2533); prende
interesse alla correzione del testo del Quadriregio (n. 2251).
A F. Camerini, di Camerino, cui molto doveva, inviò nel maggio
173^ ("• 3029) il proprio ritratto. Più tardi (1^33; n. 3217) gradì il pro-
prio ritratto, assai rassomigliante, che da Vienna aveagli mandato Giu-
seppe Riva. *
L'amicizia abbellisce tutti i volumi àéiV Epistolario. Il Muratori aveva
un animo profondamente buono, né de* benefizi ricevuti sapea scordarsi
giammai. Appena contro il Fontanini troviamo qualche frecciata, an-
corché di passaggio (n. 2865). Ma di consueto le bizze del Muratori coi
suoi amici erano fuochi di paglia, e terminavano presto, per merito e
suo e degli altri. Si é detto di quanto si riferisce alle controversie col
Sassi, coIl'Argelati, col Maffei. E si è detto ancora quanta venerazione e
quanta gratitudine egli continuasse a professare verso il conte Borromeo.
Rimase addoloratissimo quando ebbe nuova della morte del p. Benedetto
Bacchini, e fece divisamento di dettarne l'elogio (n. 2130). In lui avea
trovato il " direttore „ dei suoi studi, come dice il nipote {Vita^ p. 9).
Il marchese Orsi, della cui ospitale amicizia avea approfittato il Mura-
tori più volte, morì più che ottantenne il 20 settembre 1730; e il Mura-
tori, che fu erede dei suoi libri, ne provò vivo cordoglio (nn. 3312, 3314,
3315). Un'altra piaga aperse nel cuore del bibliotecario modenese la
morte del Vallisnieri " che era il principale onore dell'università di
" Padova, e rendeva glorioso anche questo cielo di cui era nativo „
(n. 2567) (i).
I due volumi di cui qui ho parlato, sono, a non dubitarne, i due più
importanti di quella parte dell'Epistolario che finora vide la luce. Il va-
lore scientifico ne sarebbe peraltro grandemente accresciuto, se aves-
simo anche le lettere dei corrispondenti. Solo per questa maniera si
potrebbe apprezzare quanto al progresso del sapere abbia giovato
il meraviglioso accordo di pensieri e di opere che si stabilì, e si con-
servò, nonostanti innumerevoli difficoltà, tra il grande Vignolese, e i
suoi degni amici e collaboratori (2).
Carlo Cipolla.
(i) Il Vallisnieri nacque il 3 maggio 1661 a Rocca di Tresilìco, nella Gar-
fagnana.
(2) Avvertii qualche error di stampa. Ne cito alcun altro. Al n. 2045 si leg-
gerà Bernardo Guidone (cfr. la lezione esatta ai nn. 2166, 2168); p. 2924 r. 2
forte e non forse, pare sia da leggere; Martino (e non Marsino) Polacco si leggerà
al n. 2320. La lettera n. 2994 è probabilmente dell'aprile 1750; cfr. nn. 2908-09. Si
riferisce essa al gruppo di lettere riguardanti FAccademia di Urbino, alla quale il
Muratori fece inscrivere f)arecchi dei suoi amici in attestato di stima (cfr. nn. 2854,
J2856-59).
440 BIBLIOGRAFI^^
Henry Tronchin, Le conseiller Francois Tronchin et ses amis VoUairey.
Diderot, Grimm, etc, d'après des documents inédits, Paris, Plon,.
in-8, pp. 399.
I rapporti fra l'Italia e Ginevra, strettissimi alla fine della Rina-
scenza e precisamente allo stabilirsi del Calvinismo, quando questo
aperse le braccia agli eretici d*ogni paese, s'erano via via rallentati. La
situazione di Ginevra, costituita baluardo della potenza anche politica
dei protestanti, doveva necessariamente isolarla da popolazioni che^
come le nostre, rimanevano fedeli al cattolicesimo e si erano testé ap-
punto liberate dagli elementi più torbidi ed inquieti. Ma venne il sette-
cento, epoca di tolleranza e di scetticismo, ed anche la vecchia rocca
del puritanesimo continentale, senza rinunciare ai suoi paludamenti
esteriori, dovette piegarsi ai tempi nuovi. I dissidenti dal concistoro
furono tuttora banditi, in principio, dal territorio della repubblica, ma in
pratica i permessi speciali si moltiplicarono, I teatri continuarono ad
essere proibiti nella " cerchia antica „; ma sorsero alle porte, frequen-
tati dagli stessi patrizi e borghesi ginevrini, che non rifuggirono dal-
Taffidare ai comici commedie di loro fattura. Questo fu appunto il caso
del consigliere Tronchin, dignitario della repubblica, d'una famiglia
ugonotta d'origine francese, assurta a grande rinomanza nel sec. XVIIl,
grazie ai suoi membri che furono banchieri, medici, raccoglitori d'opere
d'arte. Francesco Tronchin protesse efficacemente lo stesso Voltaire, da
lui ammirato come letterato insigne, ma che meritava tutte le folgori
delle leggi di Calvino col suo atteggiamento veramente sfrontato. Le
carte dell'archivio Tronchin, vagliate dal colto nepote, che compilò questo
piacevole volume, per il fatto stesso che emanano da una fonte così
benevola al sedicente patriarca, pongono in chiara luce l'egoismo, la
doppiezza di Voltaire, l'impudenza delle sue manifestazioni d'empietà
e di mal costume. In quello stesso punto in cui aveva estremo bisogno
di conservarsi quell'asilo sulle rive del Lemano, Voltaire non sapeva
trattenersi dal proseguire le sue poco gloriose gesta, dal diffondere
scritti pornografici che si affrettava a sconfessare, ponendo in serio
imbarazzo i suoi protettori ed amici. Se queste numerosissime lettere
ribadiscono la disgustosa impressione destata negli animi leali dai me-
todi del signore di B'erney, riproducono però mirabilmente la vita di
quei cenacoli colti ed eleganti che il settecento vide sorgere e prospe-
rare sulle sponde del lago di Ginevra. Voltaire si insediò dapprima a
Saint- Jean, nella villa poi detta " Les Déhces „, e fu sovratutto grazie
ai Tronchin, che l'aiutarono nell'acquisto e nell'adattamento di quella
piacevole residenza. Ivi si adunava la più gaia e scelta società; si re-
citavano tragedie e commedie, si leggevano versi, si concertavano par-
tite di piacere. Dopoché Voltaire si guastò definitivamente coll'austera
repubblica, il consigliere Tronchin gli successe alle " Délices „ e vi ri-
prese, con un'impronta più seria, le abitudini ospitali del suo celebre
BIBLIOGRAFIA /j/jT
predecessore. Francesco Tronchin non era solo un autore drammatico
ed un magistrato, ma un cultore delle belle arti fra i più considerati
del tempo suo. La sua galleria fu comperata dall'imperatrice Caterina II,
ed egli se ne compose tosto un'altra pregevolissima. All'acume del suo
giudizio di critico d'arte si rimettevano non solo la sovrana capricciosa^
e poco competente, ma Galitzin, Grimm, Diderot, i maggiori conoscitori
di quadri che vivessero allora.
La visita ai tesori adunati dal consigliere era il pretesto, quando
non fosse lo scopo, di un vero pellegrinaggio di illustri personaggi. Per
l'Italia vi era un introduttore patentato, noto per esser stato per più
di cinquant'anni l'anello di congiunzione fra la Svizzera e l'Italia. Era
questi un milanese, di cui taluno non volle ricordare che le men belle
e straordinarie avventure, ma che certo ebbe ingegno non comune e
meritò la stima di uomini insigni, il conte Giuseppe Gorani.
Dai cenni che il signor Tronchin inserisce nel suo bel libro appare
come una corrispondenza fra i suoi avi ed il Gorani sia conservata
nei preziosi archivi di Bessinges. L'economia politica primeggiava fra
gli argomenti di cui trattavano quei due uomini intelligenti e colti:
Gorani inviò all'amico i suoi lavori, l'elogio del Bandini, lo scritto sulle
regalie. Il nostro concittadino insisteva nel rilevare come gli economisti
italiani avessero precorso i francesi nel porre in chiaro importanti
principi, volgarizzati vent'anni poi dai rivali più abili o più fortunati.
Ho detto che Gorani indirizzò al consigliere Tronchin non pochi
milanesi che fecero il viaggio di Ginevra alla fine del settecento: un
Arconati, un Barbò.
Ma un'altra volta non furono più viaggiatori isolati, che il Gorani
raccomandò alla cortesia del mecenate ginevrino, bensì tutto un grup-
petto di dame e gentiluomini milanesi, insigni per il loro cosmopoHtismo,
la loro eleganza, il gusto per le lettere e le arti. Il Manzoni doveva
poi crescere non lontano da quel cenacolo, che ebbe un'azione sulla sua
giovinezza; era il circolo di Casa Imbonati.
" Vous aurez bientòt à Genève (scriveva Gorani al consigliere)^
" la comtesse Sanazaro, femme aimable et qui chante à merveille; la
" comtesse Carcano, qui a beaucoup de discernement et de connaissances;
" le comte Imbonati, leur frère, et le marquis Castelli, qui a bien de
" l'esprit et du savoir. Je vous les recommande et vous prie de vous
" lier avec eux, car vous en serez bien content „.
La Carcano e la Sanazaro erano difatti sorelle di Carlo Imbonati,.
cantato dal Verri, dal Parini e dal Manzoni, uno dei milanesi più co-
nosciuti del tempo suo, figH tutti del fondatore dell'Accademia dei Tra-
sformati e di una Bicetti de' Buttinoni, sorella al celebre medico trevigliese.
Il Gorani affidò pure al Tronchin, amantissimo di musica, virtuosi
é virtuose italiani, fors'anche lombardi, " il signor Vincenti, professeur
" de viole très savant en cet art sublime „; mentre Grimm gli mandava
" la signora Balconi, que des talents pour la musique conduisent à
'* Londres „.
442 BIBLIOGRAFIA
Questo Studio, coscienzioso e sistematico, di gradevole lettura, che
il signor Tronchin ha dedicato alla memoria dei suoi vecchi e dei loro
illustri amici non tratta che incidentalmente delle relazioni fra quel-
l'eletta società e l'altra che contemporaneamente fioriva in Lombardia,
intorno al Beccaria, ai Verri, agU Imbonati; ma ciò che egli ne accenna
é sufficiente per far nascere il desiderio di ricerche metodiche che in-
sistano su questo punto, di grande interesse per noi.
Giuseppe Gallavresi.
BOLLETTINO DI BIBLIOGRAFIA STORICA LOMBARDA
(giugno-dicembre 190^)
I libri segnati con asterisco pervennero alla Biblioteca Sociale.
ABATI (sac. I.). Oslo Sopra e il suo santuario. Monografia. Bergamo,
tip. S. Alessandro, 1905 [Cenni bibliografici in Rivista di scienze s/o-
riche, novembre 1905, p. 361].
*ADAMI (dott. C). Di Felice e Gregorio Fontana, scienziati pomarolesi
del sec. XVIII : notizie biografiche e bibliografiche, con lettere ine-
dite, versi, ritratti ed autografi. Rovereto, tip. U. Grandi & C, 1905,
in-8, pp. LXij-55, con due ritratti e due fac-simili. (Edizione per cura
del Comitato promotore delle onoranze centenarie).
Per l'occasione del centenario, celebrato lo scorso settembre a Pomarolo,
luogo natale dei due illustri fratelli, naturalista il primo, matematico il se-
condo, il prof. F. Salveraglio, bibliotecario della Universitaria di Pavia, com-
memorò degnamente l'opera di Gregorio Fontana, come bibliotecario, prima
del collegio Ghislieri, poi dell' Università pavese. Con la scorta di copiosi
documenti dell'Archivio di Stato di Milano e della Biblioteca, di cui il Fon-
tana può ben chiamarsi il fondatore, il Salveraglio mise in luce le grandi
benemerenze del matematico trentino per l'Ateneo pavese. Il discorso verrà
pubblicato néìVArchivio Trentino (cfr. Boll, delle pubbl. ital. della Biblioteca
Nazionale di Firenze, n. 58, ottobre 1905).
ALESSIO (F.). I primordi del cristianesimo in Piemonte ed in particolare
a Tortona. Pinerolo, tip. Chiantore-Mascarelli, 1905, in-8, pp. 154.
(Biblioteca della Società storica subalpina, XXXII, i).
^AMBROSOLI (S.). L'ambrosino d'oro: ricerche storico-numismatiche, con
illustrazioni e note. Seconda edizione. Milano, tip. editr. L. F. Co-
gliati, 1905, in-4 fig., p. 31.
* — Atlantino di monete papali moderne a sussidio del Cinagli. Milano,
U. Hoepli edit., 1905, in-i6 fig., pp. xj-131, con tav. [Manuali Hoepli].
Nel grazioso atlante sono a notarsi per gli studi locali le monete di
papa Innocenzo XI (Odescalchi di Como), 1676-89 e quelle di papa Cle-
mente XIII (Rezzonico di Venezia e Como).
444 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
AMODEO (prof. F.)- Vita matematica napoletana. Studio storico, biografico^
bibliografico. Parte prima. In-4 ili. Napoli, Giannini, 1905.
Cfr. il cap. IV. Gli istituti d' istru7Ìone e scientifici in Napoli intorno
al 1800 (§ 6. La Regia Officina Geografica e i geodeti Rizzi-Zannoni e Vi-
sconti. — § 7. Reale Osservatorio Astronomico e gli astronomi Cassella,
Znccari, Piazzi e Brioschi).
*ANCEL (R.). Les tableaux de la reine Christine de Suède. La venta au
régent d'Orléans. — Mélanges d'archeologie et d'histoire {Ecole fran-
faise de Rome\ XXV, fase. III-IV, 1905.
Vendita della collezione dei quadri della regina Cristina di Svezia, ac-
quistati nel 1696 dal principe Livio Odescalchi; fatta dai suoi eredi Baldas-
sare Odescalchi, duca di Bracciano e fratello cardinale Odescalchi nel 171 5
al reggente Filippo d'Orleans.
''ARCARI (dott. F.). Monete d'oro dei marchesi Ippoliti di Gazzoldo. —
Bollettino di numismatica, luglio 1905.
* Archivio storico per la città e comuni del circondarlo di Lodi, diretto da
Giovanni Agnelli. Anno XXIV, 1905, in-8 gr. Lodi, tip. Quirico & Ca-
magni.
Fase. 7, gennaio-mav:^o. I vescovi dell'antica Lodi [Dalle origini a San
Tiziano, a. 476]. — Santa Maria della Misericordia a Sant'Angelo. —
Ospedale di S. Salvatore a Graffignana, — La viabilità nel Lodigiano nel
sec. XV. — Mercato di Orio. — Pesi e misure secondo gli statuti lodi-
giani. — Notizie varie.
Fase. Il, aprile^giugno. I vescovi dell'antica Lodi \Cont. fase, prec-
Da Projetto a. 577 circa ad Andrea a. 971-1002]. — Ospedali lodigiani:
S. Giovanni Battista di S. Colombano. — Atti della Deputazione storico-ar-
tìstica di Lodi. — Rievocazioni storiche [cavalcata storica in Lodi, rappre-
sentante Lodovico Vistarino di ritorno dal campo della disfida da lui so-
stenuta nel 1526 sul Lambro presso Melegnano contro Sigismondo Mala-
testa]. — Necrologio: prof Antonio Ronzon.
Fase. Ili, luglio-settembre. Ospedali lodigiani : S. Pietro di Senna detto
Ospedaletto. — I vescovi dell'antica Lodi [cont. Da Nokerio a. 1009- 102 7 (?)
a Opi:(^:(^one]. — Barche abbrucciate al confluente del Lambro durante la
guerra per la successione d'Austria (1746). — Entrate feudali di Sant'An-
gelo (1593).
* Archivio (Piccolo) storico dell'antico marchesato di Saluzzo, diretto da Do-
menico Chiaitone. Annata lì. Saluzzo, tip. Bovo & Baccolo, 1903-05,
in-8 gr., con tav. ili., pp. 368.
Dei diversi interessanti articoli inserti in questa importante rivista no-
tiamo per l' interesse speciale che offrono agli studi storici di Lombardia i se-
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 445
guenti : Bellorini (E.). Osservazioni sull' « Epistolario » di S. Pellico [I. In-
torno alla data di alcune lettiere del Pellico]. — Chiattone (D.). La casa
Cavassa di Saluzzo [portale marmoreo di Matteo Sanmicheli, di Porlezza.
Dello stesso insigne scultore, è il bassorilievo marmoreo di Francesco Ca-
vassa, murato nella parete est del porticato. La magnifica balaustrata che
chiude il terrazzo prospiciente sull'antico orto è di Pietro Lombardo, 1490].
Martinetti (G. A.). Un'amarezza toccata a Silvio Pellico [annuncio spar-
sosi nel 1852 su per i giornali del presunto matrimonio suo colla marchesa
di Barolo]. — Michieli (A. A.). La « Bibbia » di Silvio Pellico [appena ar-
restato, e poco dopo, mentre era ancora nel carcere di S. Margherita a Mi-
lano, il Pellico chiese una Bibbia e il Dante]. — Chiattone (D.). I primi
vescovi di Saluzzo nel cinquecento [Filippo Archinto, quarto vescovo, 1546-
1556; biografia a pp. 287-90 dell' Archinto che nel 1556 ottenne l'arcive-
scovado di Milano]. — Lo stesso. Matrimoniana nel cinquecento in Saluzzo
[Interessanti documenti per la storia del costume. Notiamo a p. 237 sg. e
261 sg. le trattative e le convenzioni di matrimonio di Anton Maria da
Sanseverino, comandante le truppe milanesi con Margherita di Saluzzo. I
patti matrimoniali, poi sfumati, si stipularono negli alloggiamenti di Lodo-
vico il Moro presso Carmagnola il 27 luglio 1490]. — Lo stesso. Appunti
di bibliografia saluzzese [cfr. a pp. 355-67 la copiosa bibliografia riferentesi
a Silvio Pellico].
ARNAULDET (P.). Inventaire de la bibliothèque du chàteau de Blois en
15 18 {suite). — Le Bibliographe moderne, maggio-agosto 1904.
Interessa le vicende dei codici della biblioteca viscontea di Pavia.
Ars et Vita. Numero unico pubblicatosi in occasione dell' Vili Congresso
Interuniversitario italiano. Pavia, tip. succ. Bruni, 1905.
Contiene anche parecchi articoli di storia pavese. Il prof. G. Romano
con sintesi efficace vi traccia a larghi tratti Due millennii di storia pavese;
V. Rossi rileva alcuni ricordi della città di Pavia sparsi nelle opere di Dante,
Boccaccio e Petrarca; G. Natali parla dell' ^r/g a Pavia; M. Mariani di Un
nuovo lavoro di B. Lantani da S. Colombano (affreschi in Bobbio) ; A. Ca-
vagna Sangiuliani dà rapidi cenni swWEdiliiia pavese e i Visconti ; C. D.,
sotto il titolo La forte Pavia, discorre di Pavia nella storia milanese ; Ur-
bano Pavesi degli Studenti nella VII Compagnia dei Mille (cfr. Boll, storico
pavese, fase. II, 1905, pp. 262).
ARULLANi (V. A.). « La caduta » del Parini e « I Profughi di Parga w
del Berchet. — Fanfulla della domenica, XXVII, 23.
ASPERI (dott. R.). Giacomo Giovanetti giureconsulto novarese (1787-1849).
Tesi di laurea. Novara, Miglio, 1905, in-8, pp. 94 e 2 ili.
AUVRAY (L.). Inventaire de la coUection Custodi conservée à la Biblio-
thèque Nationale. 6.* article. — Bulletin Italien, 1905, aprile-giugno.
446 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
BAILLOUIN (M.). Correspondance de Volta et de van Marum. — Journal
des savants, III, 8.
* BARATTA (M.). Leonardo da Vinci negli studi per la navigazione del-
l'Arno (Con ine. e due tav.) — Bollettino della Società geografica
italiana^ ottobre-novembre 1905.
BARDO. Porro e Pellico. — Gazzetta del Popolo della domenica, n. 5, 1905.
[BASERGA sac. dott. G.]. Note di storia Vallintelvese. — La Valle Inielvi^.
a. Ili, 1905, nn. 93, 95, 100, 102, 106, 108, 114, 116, 118, 120, 125
(Como, Longatti).
XLI. Chiese medievali in Valle : Castiglione. — XLII. Ostano. —
XLIII-XLV. S. Fedele. — XLVI. Veglio. — XLIX-L. Scaria. — LI. Pelila
Superiore. — LIF. Laino. — LUI. Ponna.
BAZETTA (G.). Antronapiana e il suo lago. Milano, tip. editr. L, F, Co-
gliati, 1905,' in-i6 fìg., p. 62 con 2 tav.
BAZETTA (dott. N.). Storia della città di Domodossola dall'era romana
all'apertura del traforo del Sempione. Appendice del giornale La
Libertà di Domodossola, nn. 25, 28, 30, 39, 45, 1905.
Colla narrazione si arriva alle lotte fra i Domesi e il conte vescovo di
Novara, Uguccione dei Borromei ed alle prime invasioni vallesane (1303-17).
BEATTY (H. M.). Dante and Virgil. In- 18. London, Blackie, 1905.
BECKER (H.). Lorenzo Mascheroni's Zirkelgeometrie im Dienste des ma-
thematischen Unterrichts. 4.° (Progr. Ginnasio Insterburg, 1905).
La Geometria del compasso di Lorenzo Mascheroni in servizio dell' in-
segnamento della matematica.
*BELLODI (R.). Il monastero di San Benedetto in Polirone nella storia e
nell'arte. Mantova, eredi Segna, tip. edit., 1905, in'4 fìg., pp. 327.
Cfr. i Cenni hihlio grafici in questo fascicolo deìVArchivio.
BELTRAMI (L.). Indagini e documenti riguardanti la torre principale del
castello di Milano, ricostrutta in memoria di Umberto 1. Milano,
tip. U. Allegretti, 1905, in-4 fig., p. 74.
— « 11 Musicista w di Leonardo da Vinci. — Corriere della sera, 22 di-
cembre 1905.
Tavola esposta nelle sale della Pinacoteca Ambrosiana.
Beltrami [poli filo], — Ved. Gauthiez.
BERENZI (can. G.). La chiesa di S. Giuseppe in Pontevico [cenni storici].
Brescia, tip. fratelli Ceroidi, 1905, in-8, pp. 14.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 447
BERGADANI (R.). Alba nelle guerre per la successione del Monferrato
(1613-1631). In-8. Torino, Gìorgis, 1905.
BERTOLDI (A.). Lettere di A. Manzoni a G. P. Vieusseux. — Biblioteca
delle scuole italiane^ XI, 9.
Sono 3, del 1832, ricavate dagli autografi della Nazionale di Firenze^
Beschreibung des Domes von Mailand. Arona, stab. tip. Cazzani, 1905,.
in- 16, pp. 56.
* BIADEGO (G.). Cesare Betteloni : paralipomeni. — Atti Istituto Veneto^
to. LXIV, serie Vili, to. VII, disp. 6.^-;.*
* — Ingresso in Milano di Cristierna di Danimarca sposa del duca Fran-
cesco Maria Sforza (1534). Verona, tip.-lit. Franchini, 1905, in-8,
pp. 19 (Nozze Gemma-Franchini).
Relazione inedita da un ms. della Comunale di Verona, e che reca qualche
particolare che non dà il cronista milanese Burigozzo. Il compilatore anonimo
era probabilmente qualche addetto del rappresentante veneziano residente a
Milano. Derivante perciò da fonte veneta, la relazione meritava, anche sotto
questo punto di vista, di esser conosciuta, non solo come integrazione, ma
anche in qualche parte come contrapposto della relazione del cronista mi-
lanese.
— I prigionieri toscani di Curtatone a Verona. Genova, tip. Curletti
& Lombardo, s. a. [1904], in-8, pp. 11.
*BISCARO (dott. G.). Un documento del secolo XII sulla zecca pavese.
— Rivista italiana di numismatica, fase. II, 1905.
BLANCHET (A.). Traité des monnaies gauloises. In-8 gr. ili. Paris, Le-
roux, 1905.
Nell'appendice: inventario dei ripostigli, si dà notizia di monete sco-
perte nel C. Ticino e a Como, e nella plaga fra Novara e Vercelli, giusta
informazioni fornite all'autore dal dott. Magni e dal prof Castelfranco.
BOLDRINI (dott. L.). Della vita e degli scritti di messer Giovita Rapido.
Verona, tip. Annichini, 1904, in-8.
Il Rapido o Ravizza, grammatico umanista e pedagogista ben noto-
delia rinascenza, nacque a Chiari verso l'a. 1476 ; studiò in patria sotto l'Oli-
vieri, cui successe nel 1497 e di cui sposò più tardi la nipote Antonia. Per-
fezionatosi forse allo studio padovano, ottenne (1498-1499) la scuola di
Caravaggio. Nel 1508 passa a Bergamo per succedere al bolognese G, B. Pia
come professore di belle lettere; ed a Bergamo scrive orazioni panegiriche
e il trattato pedagogico De modo in scholis servando. Nel 1522 passa a Vi-
cenza dove la sua fama di oratore eccellente gli procura la cittadinanza ono-
raria; e nel 1532 viene eletto dal Consiglio dei Dieci in precettore dei gio-
448 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
vani cancellieri a Venezia. Nella quiete di quell'officio compone vari altri
trattati, e muore a Venezia nel 1553 ; il suo cadavere, per sua volontà, venne
seppellito con splendidi funerali nella prepositurale di S. Nazzaro in Brescia.
"^BOLLEA (L. C). Una fase militare controversa della guerra per la suc-
cessione di Monferrato (aprile-giugno 1615). — Rivista di storia e
d'arte di Alessandria, a. XVI, 1905, fase. XVII-XVIII.
"^Bollettino della Società Pavese di storia patria. Anno V, 1905, in-8 gr.
Pavia, tip. succ. Fusi.
Fase. IL Gabotto (F.). Documenti torinesi per la storia delle relazioni
fra Monferrato e Pavia [12 16- 12 54]. — Levi (E.). Una contesa di precedenza
tra Cremona e Pavia nei secoli XVI, XVII e XVIII [Cont. e fine. — Le
orazioni di Giulio Salerno. Bernardo Sacco e la sua Storia di Pavia. — Le
orazioni di Cesare Cremonino e di Jacopo Antonio Marta]. — Invernizzi (C).
Gli ebrei a Pavia. Contributo alla storia dell'ebraismo nel ducato di Milano.
(I. Gli Ebrei a Pavia nel secolo XV. II. Gli Ebrei a Pavia nel secolo XVI). —
Rota (E.). Religiosi ambasciatori alla corte di Madrid durante il dominio
spagnuolo in Lombardia. — Recensioni: Di P. Rasi, del De Sermone Enno-
diano, di F. F. Trahey]. — Bollettino bibliografico. — Notizie ed Appunti:
Romano (G.). Intolleranza accademica; L'invasione longobarda e la circo-
scrizione episcopale in Italia; Ciapessoni (P.). Per un manoscritto nella Bi-
blioteca Universitaria di Pavia attribuito ad Incmaro. — Notizie varie. —
Recenti pubblica:(_ioni.
Fase. III. Invernizzi (C). Gli Ebrei a Pavia [cap. III. L'espulsione
degli Ebrei dal ducato di Milano]. — Boffi (A.) e Pezza (F.). La novennale
signoria di Facino Cane e Beatrice di Tenda sopra Mortara (secondo il libro
dei privilegi mortaresi). — Romano (G.). Per la storia delle origini del
teatro Fraschini. — Recensioni. — Bollettino bibliografico. — Notizie ed Ap-
punti: Romano (G.). Carlo IV di Lussemburgo a Pavia; Caelum Aureum
o Cella 'Aurea ? ; Dove mori il frate Giacomo Bussolari ? — Notizie varie. —
Recenti pubblicazioni.
* Bollettino storico della Svizzera Italiana. Anno XXVIL Bellinzona, tip. Co-
lombi, 1905.
NN. 4-6. Balli (G.). Sulla storia del regime matrimoniale nel Ticino
[cont. e fine.]. — Verga (dott. E.). Lettere di illustri ticinesi a Cesare
Cantù (Giocondo AlbertoUi). — Sant'Ambrogio (dott. D.). La tomba Mut-
toni del 15 13 a Cima di Valsolda. — La battaglia di Arbedo secondo un
cronista milanese ed altre testimonianze. — Torriani (E.). Catalogo dei
documenti per l' istoria della prefettura di Mendrisio e pieve di Balerna dal-
l'a. 1500 circa all' a. i8oo [cont.]. — Varietà: Colonie valmaggesi in Si-
cilia; Olivi dei laghi Verbano e Ceresio; Ancora del casato Verda; Rivalità
per la capitale nel 1698; Ancora della cartiera Fumagalli ; Per la genealogia
dei Toscano di Mesocco. — Cronaca. — Bollettino bibliografico.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 449
NN. 7-9. Lattes (prof. A.). Notizie intorno ad alcune pergamene tici-
nesi [di Mendrisio]. — Borrani (sac. S.). La parrocchia ed i parroci di Co-
mano presso Lugano. — Torriani (E.). Catalogo dei documenti per l' istoria
di Mendrisio e Balerna [coni.]. — Bollettino bibliografico.
BONELLI (G). Discretum. Saggio di critica filologica del cinquecento. —
Classici e Neo-Latini, a. I, 1905, n. 2 (Aosta).
Del bresciano Bartolomeo Stella, intimo amico del card. Reginaldo Polo,
che l'ebbe compagno al Concilio di Trento.
fiorromàus-Blàtter. Zeitschrift fur Bibliotheks-und Bucherwesen. Hrsgegb.
vom Verein vom hlg. Karl Borromàus in Bonn. Jahrgang 3, 1905-1906.
N. I. Kòln, J. P. Bachem, 1905.
Borromeo. — Was S.^ Charles Borromeo a Murderer? — Tablet, 29 lu-
glio 1905.
— Ved. Mollai.
:B0SELLI (A.). Pellico e Manzoni. — Per l'Arte, XVI, 12.
fiOURRILLY (V. L.). Les rapports de Fran90Ìs I.^»" et d'Henri li avec les
ducs de Savoie, Charles II et Emmanuel-Philibert, 1515-1559. —
Revtie dfhistoire moderne et contemporaine^ to. VI, n. 9, giugno 1905.
— Jacques Colin, abbé de Saint-Ambroise (14.... ?-i547). Contribution à
l'histoire de Thumanisme sous le règne de Fran9ois P"". Lille, impr.
Le Bigot, 1905, in-8, pp. 143 (a Bibliothèque d'histoire moderne »).
Il Colin fu un italianista e tradusse in francese il Cortegiano del Casti-
glione.
BOYD TACHER (].). Christopher Columbus, his Life, his Work, his Remains,
as revealed by originai printed and manuscript records together
with an Essay on Peter Martyr of Anghera and Bartholome de las
Casas, the firs historians of America. New-York & London, G. P.
Putnam's Sons, 1903-1904, in-8, 6 voli. ili.
BRAKMAN (C). Sidoniana et Boethiana. Traiecti ad Rhenum, Kemink,
1904, in-8, pp. 38.
Nella ^.^ parte di questo nuovo lavoro del Brakman si contengono brevi
observationes criticae in 'Boethii philosophiae consolationem dalle quali appare
c&e Boezio imitò Sidonio. [cfr. Bollettino di filologia classica, n. 5, a. XII,
1905, p. 103].
.BRAMBILLA (prof.*^ M. E.). Lodovico Gonzaga, duca di Nevers (1539-1595),
su documenti nuovi. Udine, tip. D. Del Bianco, 1905, in-8, pp. vinj-192,
con ritratto.
Arch. Star. Lomb., Anno XXXII, Fase. Vili. 29
450 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
BRANCA (A.). Brissago, il Sacro Monte e la Fonte Vittoria. Bellinzona^
Colombi, 1905, in-8 ili., pp. 42,
BRAUNE (H.). Ueber eine schnelle Methode fur die Bestimmung des
Stickstoffgehaltes in Eisen und Stahl und eine Untersuchung von
pràhistorischem Eisen aus Castaneda (Stid-Graubiinden). Diss. Phil.
Basel, Walz & Miéville, 1905, in-8 fig., pp. 75.
BROFFERIO (A.). I miei tempi. Voi. Vili. Torino- Venaria Reale, Renzo
Streglio & C. tip. edit., 1905, in-i6^ pp. 673.
BRUNO (A.). La navigazione interna nell' Italia superiore e l'antico pro-
getto Chabrol di un canale fra Savona e Venezia per Alessandria.
Savona, tip. Nazionale, 1905, in-4, pp. 8.
BULLO (C). Il padre Antonio Tornielli cappuccino. Cenni bibliografici.
Venezia, tip. C. Ferrari, 1905.
*BUSTICO (dott. G.). La legge Casati [1859] e l'obbligo scolastico. Con-
tributo alla storia della Scuola Popolare in Italia. (Estr. dal gior-
nale « L*Eco del Baldo »). Riva, tip.-lit. F. Miori, 1905, in-8, pp. 23.
* — Giacomo Leopardi a Milano. Castelvetrano, tip. editr. L. S. Lentini,
1905, in-8, pp. 34.
Il Leopardi venne a Milano nel 1825 invitatovi dall'editore e stampa-
tore Antonio Fortunato Stella, personaggio quest'ultimo che occupa un posto
emerito nella storia degli editori italiani. Egli ebbe ad incoraggiare i primi
passi di parecchi uomini d' ingegno, ammirando del Leopardi il genio, prima
che la fama parlasse così altamente di lui in Italia e fuori.
* BUTTI (A.). Recensione di M. Romano, Ricerche su Vincenzo Cuoco^
politico, storiografo, romanziere, giornalista. Isernia, 1904. — Gior-
nale storico della letteratura italiana, fase. 138." (1905) a pp. 412-423»
*BUTTURINI (M.). Caccia al vischio degli uccelli acquatici usata sul lago
di Garda nel secolo XVII. Ricordo del Benaco a' campioni delle
corse di canotti-automobili, VII-VIII settembre MCMV. Brescia, stab.
Unione tip.-lit. Bresciana, 1905, in-8, pp. 29.
Il B. che già in questo Archivio s' è occupato con amorose ricerche della
pesca sul lago di Garda, aggiunge ora un saggio colla descrizione della caccia
al vischio degli uccelli acquatici, usata nel secolo XVII: sotto l'aspetto delle
caccia il lago di Garda, così abbondantemente illustrato, non era ancora stato
studiato. In appendice^ qualche appunto sulla caccia col falcone. ^
CADOGAN (E.). Makers of modem history. Three types : Louis Napoléon
Cavour, Bismark. London, Murray, 1905, in-8, pp. ix-216.
Agg. GuÉTARY (J.). Un grand méconnu. Napoléon III. Paris, librairie
nouvelle, 1905, in-16, pp. xi-290.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 45I
CALCATERRA (C). Una poetessa del secolo XVI, Livia Tornielli. — // Pie-
monte^ III, 19 sg.
CALMETTE (J.). Le « Comitatus » germanique et la vassalité à propos de
une théorie recente. — Nouvelle Revue historique de droit frangais
et étranger, XXVIII, 4, 1904.
CAMPANI (A.). Bianca Mìlesi-Mojon {cont» e fine). — Rassegna Nazionale^
16 luglio 1905.
CANTOR (M.). Hieronymus Cardanus, ein wissenschaftliches Lebensbild
aus dem XVIJahrhundert — Neiie Heidelberger Jahrbucher,vó[. XIII^
Gerolamo Cardano, una biografìa scientifica del sec. XVI.
CANTÒ (C). Poesie religiose. Monza, tip. Artigianelli, 1905, in-8, pp. 51.
Con prefazione Cesare Cantù e le sue poesie religiose del dott. B. Nogara.
Cantù. — Cesare Cantù. La biografia ed alcuni scritti inediti o meno noti
a cura dell'avv. Pietro Manfredi nel Centenario della nascita. To-
rino, Unione tìp.-editr., 1905, in-8 ili., pp. 270 e ritr.
Introduzione- "Biografia : I. La famiglia. I primi anni. — II. Il Cantù
professore di ginnasio. — III. Il processo di alto «tradimento. — IV. La prima
edizione della Storia Universale. I congressi scientifici. — V. La rivoluzione
del 1848. — VI. Il decennio 1849-59. — VII. Il nuovo Regno. — VIIL II
Cantù alla Camera dei deputati. — IX. La vecchiezza. — La fortuna delle
opere del Cantù. — XI. Le opere del Cantù resteranno. — Degli scritti
inediti e delle opere meno note del Cantii. I. Vari lavori ho io fatti.... — II. Il
suo studio è tutto rivestito di libri.... — III. Ho veduto altre volte Man-
zoni.... — IV. Il medico. — V. L'egoista. — VI. Epigrafi. — VII. Rela-
zione al Congresso di Venezia sulle strade ferrate. — Vili. L'esule alla Festa
Nazionale di Torino il 27 febbraio 1848. — IX. Le lettere dal carcere. —
X. L'Europa nel secolo di Dante. — XI. V Algiso, giudicato da Tommaso
Grossi.
i — Ved. Bollettino storico della Svizzera Italiana, Fasoli, Nogara.
CARDUCCI (G.). Opere; voi. XVI: poesia e storia, in-8. Bologna, N. Za-
nichelli, 1905.
Di L. A. Muratori e della sua raccolta di storia italiana dal '500 al 1500
— Del Risorgimento italiano. — Dello svolgimento dell'Ode in Italia. —
Primavera e fiore della lirica italiana.
CAROTTI (G.). L'arco di Alfonso d'Aragona e di Ferrante I in Napoli.
Con ili. e tav. — Arte decorativa italiana^ fase. I e II, 1905.
I documenti ne fanno autori, tra altri, Pietro da Milano, che è il lom-
bardo Pietro di Giovanni di Martino da Viconago, noto anche come me-
daglista insigne, e Donienico lombardo.
452 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
Carpenedolo. — Alcune memorie del Santuario di Maria Immacolata
detto del Castello di Carpenedolo. Brescia, F. Ceroidi, 1905, in-i6 ili.,
pp. 22.
CASINI (T.). Fonti per la storia della Consulta di Lione. — Memorie
R. Accademia di scienze e lettere di Modena, serie III, voi. V, 1905.
CASTAGNERI (E.). Sulla persistenza dei « Collegia » romani nelle corpo-
razioni d'arti e mestieri medioevali. Torino, Bona, 1905, in-8.
CASTELAR (E.). Ricordi d'Italia: Mantova e Virgilio. — L'isola di Capri.
Milano, Società editr. Sonzogno, 1905, in-16 (« Biblioteca Universale w,
n. 341).
CASTELFRANCO (P.). Lambrate. Di un grande sarcofago cristiano mar-
moreo, ornato con sculture di rilievo. — Notizie degli scavi, a. 1905,
fase. IV.
* Catalogo di monete veneziane provenienti dalla raccolta Giovanni Bet-
tinelli di Bergamo in vendita all'asta amichevole per cura di Ro-
dolfo Ratto (23 novembre 1905). Genova, stab. fratelli Pagano, 1905,
in-8, pp. 29 e 2 tav.
Catalogo dei lavori di archeologia, storia patria ed economia politica
pubblicati dal conte Antonio Cavagna Sangiuliani dal 1861 al 1905,
Pavia, tip. succ. Fusi, 1905, in-8, p. 41.
* CAVAGNA SANGIULIANI (A.). Gli statuti di Dervio e Corenno recente-
mente stampati. Nota relativa ai Paratici. — Rivista di scienze sto-
riche, maggio 1905.
— Pel nuovo elenco degli edifici monumentali della provincia di Pavia.
Note e proposte. Pavia, succ. Fusi, 1905.
Il conte Cavagna in un precedente suo opuscolo (/ nostri monumenti 190^)
moveva alcuni appunti aW Elenco generale degli edifici monumentali pubblicato
nel 1862 dal Ministero, notandovi gli errori e le omissioni, non poche, in-
corse nell'inventario governativo per riguardo ai monumenti pavesi. — In
questo nuovo lavoro, più completo, l'A. sotto forma di lettera al Prefetto
della Provincia, passa in rassegna i monumenti che meriterebbero di figurare
nell'elenco o di figurarvi più esattamente; e lamenta, a ragione, la poca
tutela che vi esercita il governo. Ed è davvero strana l'anomalia, che do-
vrebbe cessare, di vedere la provincia di Pavia divisa fra i due uffici re-
gionali di Milano e di Torino: da questa anomalia deriva la mancanza di
unità e d'uniformità nei provvedimenti per la conservazione de' monumenti.
CAVIGLIONE (C). Un Manzoni nuovo? — Rassegna Nazionale^ 16 set-
tembre 1905.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 453
*CERADINI (dott. G.). Opere. Voi. I. Con 17 tav. e ritr. In-4 gr. Milano,
U. Hoepli, 1906.
A proposito dei due globi mercatoriani 1^41 e i$^i [nella Biblioteca go-
vernativa di Cremona] (pubblicazione interrotta per la morte dell'autore
t 1894) a pp. 199-598.
* CERETTI (sac. F.). Biografie mirandolesi. Tomo IV, in-8. Mirandola,
tip. Grilli, 1905 (« Memorie storiche w della Mirandola, voi. XVI).
È notevole a pp. 201-220 la biografia del barone Alessandro Zanoli,
10 storico della milizia cisalpino-italiana, morto a Monza nel 1855, istituendo
suo erede il poeta dott. Raiberti. L' iscrizione sul suo modesto monumento
nel cimitero di Monza venne fatta incidere dall'amico suo, il conte Francesco
Arese, noto patriota lombardo. — Nei precedenti volumi delle Biografie Mi-
randolesi, dettate per vero dire con molta prolissità, scusabile in parte dal-
l'amore che il C. porta alla sua Mirandola, notiamo le pagine consacrate al
gran giudice Giuseppe Luosi (175 5-1850) che ebbe larga parte negli avveni-
menti del periodo napoleonico in Milano. Né è a tacersi Francesco Montanari
implicato col Tazzoli, col Castellazzo, con l'Acerbi nei processi di Mantova.
CERVESATO (A.). Contro corrente : saggi di critica ideativa. Bari, G. La-
terza, tip. edit, 1905.
I. Il primo uomo della nuova Italia (Parini).
CERVI (G.). Francesco Sforza: grande azione comica, lirica, coreografica
in due atti e tre quadri. Musica di Giuseppe Zanetti. Cremona,
stab. arti grafiche E. Foroni, 1904, in-16, pp. 45.
* CESSI (R.). Prigionieri illustri durante la guerra fra Scaligeri e Carra-
resi (1386). Nota. (Estr. dagli Atti della R. Accademia delle scienze
di Torino, voi. XL, 18 giugno 1905). Torino, Clausen, 1905, in-8.
Due battaglie in questa lotta hanno speciale importanza : lo scontro alle
Brentelle del 25 giugno 1386 e l'altro di Castelbaldo dell' 8 marzo 1387;
ma specialmente il primo nel quale tutto l'esercito scaligero era rimasto pri-
gioniero del signore di Padova; i migliori capitani, quali Facino Cane e
Ugolino dal Verme, avevano perduta la libertà, che, riottenuta, perdevano
di nuovo a Castelbaldo, prigionieri per la seconda volta del Carrarese.
Ora il C. da imbreviature di alcuni notai antichi che, vissuti alla corte
del principe, ne rogarono gli atti sia pubblici che privati, ne cava nomi di
diversi prigionieri e ne dilucida i contratti stipulati per la loro liberazione.
11 doc. IV (3 ottobre 1386) ad es. è una carta sohtionis di $50 ducati, fatta
a Luchino da Casate del quondam Galeazzo da Jacobo dei Capodivacca, il
quale si era costituito mallevadore di Ugolino dal Verme pel pagamento
della tagha a detto Luchino. L'ultimo doc, del 22 aprile 1387, ricorda fra
alcuni prigionieri della battaglia di Castelbaldo, anche un Franceschinus de
Alexandria e un Johannes de Mediolano.
\-
454 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
CESSI (R.). Un passo dubbio di Ennodio. Padova, Gallina, 1905, in-8,
pp. 36.
L'A. studia quel passo del Panegyricus d' Ennodio a Teodorico dove
vengono ricordati i benefizi da Teodorico resi all' Italia al tempo dell' inva-
sione degli Alamanni.
CHABERT (S.). Questions relatives à Virgile. — Annales de i^ Universi fé
de Grenoble, XVI, 3.
I. La mosaique de Sousse et le début de V Eneide. — II. Virgile et son
« grand dessein ». — III. Le pian chronologique de V Eneide,
CHIATTONE (D.). Silvio Pellico a Milano. — Gazzetta del Popolo di To-
rino, 9 febbraio 1905.
Con documenti inediti.
— Ved. Archivio {Piccolo) di Saluzzo,
*CIACCIOL (L.). Il cardinale legato Bertrando del Poggetto in Bologna
(1327-1334). — Atti e Memorie R. Deputazione di storia patria per le
Provincie di Romagna, serie III, voi. XXIII, fase. I-III (1905).
Missione di ristabilire la pace e l' equilibrio in Lombardia, e di abbattere
ed annientare il partito ghibellino, per edificare sulle sue rovine un vasto
stato pontificio, avente la sua capitale nel centro guelfo più ragguardevole
dell'Italia dopo Firenze e cioè in Bologna, nella quale sarebbe stata da Avi-
gnone trasferita la sede papale, affine di potere di là regolare il movimento
politico italiano, meglio che dall'abbandonata e malsicura Roma, lontana
troppo dal più attivo focolare di vita italiana del tempo, qual era la Lom-
bardia.
*CIAN (V). Il seguito di due iniziali. — Giornale storico della letteratura
italiana, fase. 136-137 (1905), pp. 259-261.
In un recente fascicolo della Biblioteca delle scuole italiane il C. richia-
mava l'attenzione degli studiosi sopra una prefazione agli Articoli tratti dal
Cafft, che reca la firma A. M. confessando d' ignorare chi si nascondesse
sotto queste iniziali. Ora svela il piccolo segreto di quelle due iniziali;
l'autore di quella prefazione è sicuramente Achille Mauri.
— Il « Latin sangue gentile » e il « furor di lassù » prima del Petrarca.
Con ili. — La Lettura^ agosto 1905.
Appunti sullo spirito antitedesco che prevalse in Italia, nel Medio Evo.
* — Un genealogista patriotta. Lettere inedite del conte Pompeo Litta-
Biumi. (Estr. dal Supplemento al fase. II, a. I, voi. I della « Miscel-
lanea di erudizione »). Pisa, tip. Marietti, 1905, in-8. pp. 13.
Nove lettere, interessanti, del Litta al conte Luigi di Cossilla in To-
• rino, scritte dal 1847 al 1849 e che si riferiscono a quegli avvenimenti po-
litici nei quali 1' autore loro ebbe una parte cosi cospicua. Al testo delle
lettere va innanzi un succoso cenno biografico del Litta.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 455
CINQUINI (A.). Spigolature da codici manoscritti del secolo XV: II. Il
Codice Vaticano-Urbinate Latino 1193. — Classici e Neo-Latini, a. I,
1905, nn. 3, 4, 5.
Esame e tavola del codice che contiene componimenti di Pandolfo Gol-
lenuccio in morte di Battista Sforza, di Leonardo Griffi milanese, del Por-
cellio, di Bonino Mombrizio, di Mario e Francesco Filelfo, di Francesco
Tranchedino, di Piattino Piatti, [di Antonio Pozobonelli, di Gio. Giacomo
Simonetta, di fra Martino da Vailate, ecc. Di taluni si offrono dei saggi.
* CIPOLLA (C.). Pubblicazioni sulla storia medioevale italiana [1901). Ap-
pendice al Nuovo Archivio Veneto, to. IX, parte I (1905).
Cfr. a pp. 53-68, il cap. III. Lombardia.
€LERIC (O.). Der Kampf zwischen den Eidgenossen und Konig Franz I
von Frankreich um Mailand 1515. Schlacht bei Marignano. — Schweizer,
Monatsschrift fur Offiziere alter Waffen, 1905.
Battaglia di Marignano, settembre 151 5.
CODARA (sac. A.). Il cardinale Agostino Gaetano Riboldì. Pavia, succ. Fusi,
1905, in-8, pp. xj-462, con ritr.
'''COGGIOLA (dott. G.). I Farnesi e il ducato di Parma e Piacenza durante
il pontificato di Paolo IV (con appendice di documenti). Voi. I. Parma,
Battei, 1905, in-8 gr., pp. 282.
Se ne riparlerà.
^COLOMBO (A.). La chiesetta di S. Giorgio Martire e la ricostruzione
ideale dell'antica Vigevano. — Rivista di scienze storiche, novembre
1905.
€OIVIANDINI (A.). [// Curiosol. Milano capitale d' Italia (1805-1814). — Se-
colo XX, 1905, pp. 507-520 e ili.
— L'Italia nei Cento Anni del secolo XIX giorno per giorno illustrata.
Disp. 46.*: 1847-1848. In-i6 ili. Milano, tip. A. Vallardi, 1905.
*COIVIPOSTELLA (B.). Le armi delle nobili famiglie Bassanesi fiorenti in
quanto ai maschi. — Bollettino del Museo Civico di Bassano, a. II,
1905. n. 3,
Vi è discorso, tra altre, delle famiglie Bellavitis (Bergamo- 1589), Brocchi
(Plevio (i), nel Canton Grigioni-1599), Caffo (Bergamo-1700), Locai elli (Ber-
gamo-1512), Tattara (Mandello, lago di Como, 1623).
(i) Dovrà leggersi Pluvio =: Piuro in Valtellina, allora dominio grigionese;
' località celebre per lo scoscendimento del 1618.
456 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
CORIO (prof. L.). La strada del Campidoglio, episodi nazionali 1849-1870^
strenna pel 1905-1906 del Pio Istituto dei Rachitici. Milano, presso
il Pio Istituto.
CORNELIO (A. M.). Impressioni Ossolane. — // Buon Cuore di Milano,
a. IV, 1905.
* CORTI (G.) & MAROZZI (C). Armoriale italiano (Addizioni e rettifiche
al « Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili italiane del
comm. G. B, di Crollalanzà), — Giornale araldico-genealogico, mag-
gio 1905.
Famiglie Arbona, Amati, AnaneJU, Bevilacqua, Brasca, Busserò, Carati,
Cardano, Cattaneo, Cavalli, Ca^aghi, Cignardi, Crescentini, Crivelli, milanesi;.
Bovio {de "Bove e Bovo) di Pavia, Vico {de Vicho) di Pavia.
* COSTA (E.). Andrea Alciato e Bonifacio Amerbach. — Archivio storico
italiano, fase. Ili, 1905.
CRESCINI (V.). Dante e Sordello. — Fanfulla della domenica, XXVII, 36-37.
CROCE (B.). Note su Paolo Ferrari. — La Critica, III, 4.
D'ANCONA (A.). Lettere di Piemontesi illustri. Pisa, tip. Mariotti, 1905
(Trozze TuUio-Vinaj).
Una letterina di Massimo d'Azeglio è tutta in dialetto milanese.
— La poesia popolare in Italia. 2.^ edizione accresciuta. Livorno, Giusti^
editore, 1905, in-i6, pp. 571.
DARESTE (R.). La « Lex rhodia ». — Nouvelle Revue historique de droit
fran^ais et étranger, luglio-agosto 1905.
11 D. offre una traduzione francese di questa legge, secondo il testo
greco pubblicato nel 1897 dall'abate Mercati, allora bibliotecario dell'Ambre--
DE BUDE (E.). Napoléon III et le general Dufour, d'après une correspon-
dance inèdite 1830-1872. — Revue des deux mondesj i." aprile 1904.
Con qualche cenno dei fatti d'Italia.
DEJOB (Ch.) Les descriptions de batailles dans 1' « Orlando Furioso » et
dans la « Gerusalemme Liberata ». — Bulletin Italien, V, 3.
DELL'ACQUA (C). L' imperatore de' francesi Napoleone I e l'augusta sua
consorte Giuseppina nel maggio 1805 in Pavia. — // Buon Cuore di
Milano (edit. Cogliati), a. IV, 1905, n. 32 sgg.
DETLEFSEN (D.). Verbesserungen und Bemerkungen zum XI. Buch der
Naturalis Historia des Plinius. — Hermes, voi. XL, fase, IV.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 457
DE TONI (dott. E.). I nomi geografici alle porte d' Italia. — Venezia, Co-
mitato locale della Società Dante Alighieri, edit. (tip. Emiliana) 1905,
in-16, pp. XV1J-I24.
— Giuseppe De Notaris. — La Nuova Notarisia di Padova, aprile 1905.
Dizionario corografico dell' Italia e dei principali paesi italiani oltre con-
fine, illustrato nei ricordi storici, artistici e nella vita pubblica ed
economica. Direttori G. B. Magrini e G. Vaccari. Fase. XXVI (I del
voi. II). Milano, casa editr. dott. F. Vallardi, 1905, in-8 fig., pp. 1-40.
* DONATI (G.). Dizionario dei motti e leggende delle monete italiane. —
Bollettino di numismatica, novembre 1905 sgg.
DRAGON (A.). L'unite italienne à travers les àges. Aper9u historique
sur le ròle de la France et de l'AUemagne en Italie. Paris, Larose
et Tenin, 1905, in-16, pp. xi-107.
*DRIAULT (E.). Napoléon I.^"" et l'Italie, 2.me et s.me parties : Bonaparte
et la république italienne. Napoléon roi d'Italie. — Revue Historique^
luglio-dicembre 1905 {coni, e fine).
La Consulte de Lyon. — La république italienne. — Le couronnement
de Milan.
DUHEW (P.). Léonard de Vinci et Villatpand. — Bulletin Italien, V, 3.
ESCHER (H.). Das schweizerische Fussvolk im XV und im Anfang des
XVI Jahrhunderts. Zilrich, Fasi & Beer, 1905, in-8, pp. 47 e tav.
La fanteria svizzera alla fine del XV e sul principio del XVI secolo.
EVELYN. Antichi pittori italiani, conversazioni artistiche illustrate per la
gioventù. Milano, A. Solmi edit., 1905, in-8 gr. ili., pp. 643.
VII. Masolino da Panicale. — XIX. Andrea Mantegna. — XXX. Leo-
nardo da Vinci. — XXXI. Bernardino Luini. — XXXII. Il Sodoma.
FABRY (G.). Rapports historiques des régiments de l'armée d'Italie pen-
dant la campagne de 1795-1797. Paris, Chapelot, 1905, in-8, pp. 598.
FALENA (U.). Isabella Andreini. — Rassegna Nazionale, 16 maggio 1905.
FASOLI (R.). Cesare Cantù storico-pedagogista-dida'tta, conferenza com-
memorativa. Como, tip. editr. Ostinelli, 1905, in-8, pp. 31.
FAVARO (A.). Nuove ricerche sul matematico Leonardo Cremonese. — Bi--
bliotheca Mathematica di Lipsia, 1905.
FERRARIS (C). Di alcune forme di politica sociale del comune in Italia.
— Festgahen fur Adolph Wagner (Leipzig, Winter, 1905, 4.').
45^ BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
* PESTI (C). Notizie storico-genealogiche sugli ultimi dinasti di Nomi. —
AtU R. Accademia degli Agiati in Rovereto, aprile-giugno 1905.
Cfr. a pp. 112 sgg. e 121 sgg. un alberetto genealogico dei dinasti di
Nomi conti Busio Castelletti^ originati da un maestro Pietro Busio, sarto di
Milano, cittadino di Trento e console ivi nel 1440, con descrizione dello
stemma Castelletti, e Baldironi, oriundi di Milano di dove passarono a Trento
e conti Zanatta di Mantova.
I^ILALETE. I magi evangelici e le loro reliquie. — Rassegna Nazionale,
16 maggio 1904.
Esamina il lato storico dell'autenticità delle spoglie mortali dei Magi
che si credettero deposte e conservate per alcuni secoli nella basilica di
S. Eustorgio e dimostra la puerilità della pretesa.
FILIPPINI LERA (A.). Il concetto della folla nei « Promessi Sposi ». —
Rassegna Pugliese, XXI, 7-8.
* FILIPPINI (F.). La seconda legazione del cardinale Albornoz in Italia
(1358-1367). Documenti. — Studi Storici, voi. XIV, fase. I, 1905 [cfr.
q\xesi^ Archivio, XXXI, 1904, p. 454].
jj6i, 4 settembre. Lettera di Egidio ad Urbano V circa la dispensa dal
4.° grado di parentela per il matrimonio tra Paolo conte di Montefeltro e
una nipote dei Signori di Mantova. — 136^, 21 giugno. Urbano V comanda
ad Egidio di osservare scrupolosamente i patti della pace con Barnabò Vi-
sconti. — 1^6^, 22 settembre. Urbano V manda ambasciatore all' Albornoz,
Egidio~~di Ulchero, per la lega da farsi con Bernabò. — 1^66, 24 giugno.
Urbano V scrive a Giovanni di Oleggio per la difesa della Marca dalla
Compagnia Inglese.
FLAMINI (F.). Varia: pagine di critica e d'arte. Livorno, R. Giusti, 1905,
in-i6. •
9. L'opera dì Giuseppe Verdi.
FOGAZZARO (A.). Discorsi. 2.» ediz., con aggiunte. In-i6. Milano, tip. editr.,
L. F. Cogliati, 1905.
3. Intorno ad un'opinione di Alessandro Manzoni. 8-9. La figura di
Antonio Rosmini. Per A. Rosmini.
* Fontana Leone. Necrologia. — Bollettino storico-bibliografico subalpino,
a. X, fase. I-III, 1905, a pp. 241-43.
Altro affettuoso necrologio del compianto nostro socio senatore Fontana,
leggesi nella Rivista storica italiana^ a p. 414-15 del fase. Ili, 1905.
* FOSSATI (F.). Nuovi documenti su l'opera di Lodovico il Moro in difesa
di Costanzo Sforza. -— Atti e Memorie della R. Deputazione di storia
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 459
patria per le Provincie delle Marche. Nuova serie, voi. I, fase. IV,
pp. 423-440 e voi. II, fase, 1, pp. 59-88 (Ancona, 1904- 1905).
Dai documenti milanesi qui pubblicati ed egregiamente adoperati dal
F. risulterebbe provato che il signore di Pesaro si salvò dalla rapace ambi-
zione di Girolamo Riario, poco onestamente protetto dal pontefice Sisto IV,
suo zio, sopratutto mercè 1' opera costante, ferma, energica — non diciamo,
anche, disinteressata — di Lodovico il Moro (1480).
FRAIKIN (J.). La nonciature de France, de la bataille de Pavie à la mort
de Clément VII : sources mss. — Miscellanea di storia ecclesiastica, II,
6-7, 1905- ,
FRANGI (M.). La casa degli Eroi a Groppello. Poemetto, 2.^ ediz. Roma-
Milano, Società editr. Dante Alighieri, 1905.
FRANCIA (P.). La Lucia dei « Promessi Sposi ». Firenze, tip. Galileiana,
1905, in- 16, pp. 106.
FRISIANI (dott. C). Commemorazione del dott. Antonio Rezzonico (Opera
Pia Guardia medico-chirurgica notturna nel comune di Milano). Mi-
lano, stab. tip. G. Agnelli, 1905, in-8 fig., pp. 20.
FUOCHI (M.) & COTRONEI (B.). Lattanzio e un'ode di G. Parini. — Aléne
e Roma^ VII, 64-65, 1904.
G^ (E,). Guida della Valle Intel vi. — La Vaile Intelvi^ a. Ili, 1905, nn. 93,
94, 95 e prec. (Como, Longatti).
GADINA (sac. G.). Ricordi e preghiere pel Santuario della Madonna del
Castello in Invorio Superiore. Intra, tip. F. Bertolotti, 1904, in-16,
pp. 64.
''GALLAVRESI (G.). La piazza dei Mercanti di Milano al tempo della voca-
zione di S. Alessandro. — In Omaggio del Circolo S. Alessandro
Sauli (Genova, 1905).
* — Il diritto elettorale politico secondo la costituzione della Repubblica
Cisalpina. Milano, tip. editr. L. F. Cogliati, 1905, in-16, pp. 248.
Ne riparleremo.
* — La lutte des Lombards contre les Autrichiens, d'après les Mémoires
de M. Visconti- Venosta. — Revue des questions historiques, i." lu-
glio 1905.
* — Le istruzioni del conte Benedetto Arese a suo figlio deputato alla
Consulta di Lione. — Rendiconti Istituto Lombardo, serie II, vo-
lume XXXVIII, fase. XVI.
— Il senatore Giuseppe Piola Daverio (1826-1904). — Rassegna Nazto-
nakf 16 ottobre 1904.
460 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
*GASPERONI (G.) Aurelio de' Giorgi Bertola e la sua filosofia della storia.-
— La Romagna, II, i, 1905.
— La storia e le lettere nella seconda metà del secolo XVIII. Jesi,,
tip. editr. Cooperativa, 1904.
Si parla di Gio. Cristofaro Amaduzzi (1742-1792) di cui l'A. pubblica
parecchie lettere scambiate, p. e. con Isidoro Bianchi (cremonese), Girolamo-
Tiraboschi, Vincenzo Monti (Cfr. Arch. stor. ital, fase. HI, 1905, p. 240).
GAUTHIEZ (P.). Les villes d'art célébres : Milan. Paris, Renouard, 1905.
Cfr. i cenni di Polifilo in Corriere della sera, 3 dicembre 1905.
GERSPACH. Lugano, la ville des fresques. — Tour du monde, 3 giugno
1905.
Ripr. in GaTX^ìta Ticinese di Lugano, n. 105, 1905.
""GHILINI (G.). Annali di Alessandria, annotati, documentati e continuati
da Amilcare Rossola. Voi. II, disp. 46.'*-54.^. In-^. Alessandria, Pic>
cone, 1905, da p. 241 a p. 384.
Comprende gli avvenimenti dal 1558 al 1604.
*GIORCELLI (G.). Una grida di Vincenzo I Gonzaga, duca di Mantova e
di Monferrato, per la zecca di Casale (7 agosto 1590). — Bollettino di
numismatica, settembre 1905.
* GIULIANI (C. de). Cristoforo Madruzzo. Giovinezza e studi. Sua elezione
a principe vescovo di Trento e a cardinale (1512-1542). — Archivio
Trentino, a. XX, fase. I (1905).
*GIULINI (A.). Di un ramo ignorato del casato de' Maggi. — Giornale
araldico-genealogico, a. XXIX, 1905, n. 5.
Ramo di Parabiago, omesso dal Calvi nelle sue Famiglie notabili mi-
lanesi, che pur ebbe qualche istante di splendore, ora estinto.
* — Parole pronunciate sulla tomba del conte Emilio Barbiano di Bel-
giojoso. — Bollettino della Consulta araldica, n. 28, voi. VI.
*GIUSSANI (A.). Il forte di Fuentes. Episodi e documenti di una lotta se-
colare per il dominio della Valtellina. Como, tip. editr. Ostinelli,
1905, in-8 gr., pp. xii-448, con ritr. piante e tav. ili. (" Raccolta Sto-
rica „ della Società storica comense, voi. V).
Prefazione. — I. Il conte di Fuentes. — II. I Grigioni. — III. I Val-
tellinesi. — IV. Le alleanze dei Grigioni coi Milanesi, Francesi e Veneziani.
— V. Broccardo Borroni. — VI. La costruzione del forte. — VII. Gli ar-
chitetti Gabrio Busca e i suoi collaboratori. — Vili. La fortezza. — IX. I
Castellani. — X. Il Piano di Spagna. — XI. Attraverso due secoli. —
XII. La distruzione. — Documenti. — Indici.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 46 1
GIUSSANI (P.). Precursori italiani dell'attuale Corte di Cassazione: dis-
sertazione di laurea in giurisprudenza (R. Università di Pavia).
Milano, stab. tip. E. Reggiani, 1905, in-4, pp. 46.
*GNECCHI (E.). Cronaca delle falsificazioni. — Rivista italiana di numi-
smatica, fase. II, 1905.
Monete di Mantova (zecchino di Lodovico III e doppia di due di Vin-
cenzo I Gonzaga), Mesocco (scudo d'oro del sole di G. G. Trivulzio).
*GÒLLER (E.). Der Liber Taxarum der Pàpstlichen Kammer (Teli I). —
Quellen und Forschungen dell'Istituto Storico Prussiano, voi. Vili,
fase. I (1905).
Questo interessante studio, sul quale forse ritorneremo a completa edi-
zione, interessa fin d'ora i monasteri di Brescia (cfr. p. 164 sgg.).
* GRILLO (G.). Monete -di Castiglione delle Stiviere. — Bollettino di nu-
mismatica, giugno 1905.
GUERLIN (H.). Bergame. — Revue Mame, 30 luglio 1905.
CIUERRINI (P.). La Preriforma cattolica e le Confraternite del SS. Sagra-
mento : Un'antica Confraternita di Brescia. — Miscellanea di storia
ecclesiastica, III, i, 1904.
* — L'Immacolata a Brescia. — Rivista di scienze storiche, ottobre-no-
vembre 1905.
<jmda alla Basilica Ambrosiana. Milano, tip. arciv. di R. Ghirlanda,
1905, in-i6, pp. 95, con tav.
Guida di S. Pellegrino. Milano, stab. tip.-lit. L. Zanaboni & Gabuzzi di
L. Gabuzzi, 1905, in-8 fig., pp. 112, con 15 tav.
•GUSTARELLI (A.). Il dramma d'amore nel IV libro dell' « Eneide ». —
Rivista Abruzzese di scienze e lettere, XX, 5-6.
HADANK (K.). Die Schlacht bei Cortenuova am 27 november 1237. Berlin,
R. Hanow, 1905, in-8, pp. 63.
La battaglia di Cortenuova, del 27 novembre 1237.
HANOW (B ). Beitràge zur Kriegsgeschichte der staufischen Zeit Die
Schlachten bei Carcano und Legnano. Berlin, R. Hanow^, 1905, in-8,
pp. 47.
Contributi alla storia militare del periodo degli Hohenstaufen. Le bat-
taglie di Carcano e di Legnano.
"*HAZARD (P.). Les milieux littéraires en Italie de 1796 à 1799. — Me-
langes d'archeologie et d'histoire (Ecole Fran9aise de Rome) XXV,
fase. III-IV, 1905.
462 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
HENRIOUD. Les anciennes postes valaisannes et les Communications in-
ternationales par le Simplon et le Grand S.* Bernard, 1616-1648. —
Revue historique vaudoise, luglio 1905 sg.
*HERRERA (A.). Medallas del principe don Felipe y de Juanelo Tur-
riano (ili.). — Revista de archivos, bibliotecas y museos, marzo-aprile
1905.
Le due medaglie di Filippo, figlio di Carlo V, sono del Leone Leoni;
l'altra è del Gianello della Torre, cremonese.
HILL (G. F). Medallic Portraits of Christ in the Sixteenth Century (Re-
printed from « The Reliquary w). In-4 ili. pp. io, s. loc, & typ. (1904).
Ricorda anche il Cristo Salvatore della collezione Trivulzio, già attri-
buito a Leonardo, ed inciso dal Morghen.
HUNIÈRES (L. d'). La Tour du Filarète. — Le Monde illustre, 30 set-
tembre 1905.
INTRA (G. B.). Del conte Luigi Magnaguti : cenni biografici. Mantova,
stab. tip. G. Mondovì, 1905, in-8, pp. xxiiij-3, con ritr.
*INVERNIZZI (C). Gli Ebrei a Pavia nei secoli XV e XVL Pavia, succes-
sori Fusi, 1905, in-8, pp. 92.
lANUEL (H.). Commentationes philologicae in Zenonem Veronensem, Gau-
dentium Brixiensem, Petrum Chrysologum Ravennatem. Pars L Re-
gensburg^ Mayr (Programm des alten Gymnasium 1904-1905) in-8,
pp. 4^-
KRUSCH (B.). Jonae Vitae sanctorum Columbani, Vedastis, Johannis. Han-
noverae, Hahn, 1905, in-8, pp. xii-366 (« Scriptores Rerum Germa-
nicarum in usum scholarum ex Monumentis Germaniae Historicis
separatim editi w).
LANG (W.J. Manzoni's literarischer Nachlass. — Deutsche Rundschau,
IO luglio 1905. /
LEFRANC (A.) & BOULANGER Q.). Comptes de Louise de Savoie (1515,
1522) et de Marguerite d'Angouléme (15 12, 1517, 1524, 1529, 1539).
Paris, Champion, 1905, in-8, pp. viii-126.
Leonardo. — Le tristi condizioni di un Leonardo da Vinci (La Santa
Anna). — Rassegna d'arte, aprile 1905.
Leonardo da Vinci. Bibliografia Vinciana, 1901-1905. ^
— Ved. Raccolta Vinciana (e Baratta, Beltrami, Duhem, Evelyn, Lie-
benau).
BOLLETTINO BIBLIOGRAFIGO 46^:
Lettres de Louis XI, roi de Francc. Tome IX, 1481-1482, publiées par
/. Vaesen. Paris, Laurens, 1905, in-8.
LIEBENAU (Th. von). Ein Reisebericht des Historienmalers Ludwig VogeL
— Katholische Schweizerblcitter, 1904, fase. II.
Pubblica una lettera del noto pittore Vogel da Zurigo (27 settembre 18 13).
dove dice d'aver veduto in Milano una copia contemporanea del Cenacolo,
di straordinaria bellezza, che altre volte era alla Certosa di Pavia, ed allora
posseduta da un droghiere in piazza Fontana.
LOCATELLI (sac. C). Il 4 novembre 1605 : memorie e documenti. Milano,,
tip. editr. arciv. R. Ghirlanda, 1905, in-4, pp 76.
I. Il processo di canonizzazione a Roma. — II. La festa di S. Carlo-
in Duomo e il discorso del rev. padre Lorenzo Felino, chierico regolare
teatino. — III. Miracolo operato da S. Carlo nel 1605. — IV, Epistolario
di S. Carlo e S. Alessandro Sauli. — V. Analogie tra S. Alessandro Sauli
e S. Carlo Borromeo. — VI. Appendici.
LOETSCHER. Un voyage en Italie et en Suisse en 1839. — Revue catho-
lique (fAlsace, mai 1905 et suiv.
* LUCCHINI (cav. L.). La Basilica di S. Michele in Cremona. — Arte e
Storia, nn. 15-16, 1905.
LUGO (prof. D.). Saggio di studi sulla Acquicoltura Benacense (Estratto
dall'AVo del Baldo). Riva, tip. Miori, 1905, in-i6, pp. 112 e 4 ili.
S'apre con un esauriente Cenno storico sull' aquicoltura del Benaco, at-
tinto ai vecchi documenti per tutte le vicende attraversate dalla pesca del
Garda,
LUZIO (A.). Un'apologia di Haynau. — Corriere della Sera, io agosto 1905.
Vibrata confutazione del tentativo di riabilitazione della a Jena di Brescia »
fatto dal tenente Bartsch (Haynau und der Aufstand in Brescia 1848, nach
offiziellen Acten etc, nelle Mittheilungen des K. u. K. Kriegs Archivs di
Vienna, 1903),
* — I martiri di Belfiore e il loro processo : narrazione storica documen-
tata. Milano, tip, editr. L. F. Cogliati, 1905, in-8, fig., 2 voli. (pp. xx>
414; 422).
Ne riparleremo.
— Giuseppe Mazzini. Conferenza con note e documenti inediti. — Mi-
lano, tip. Treves, 1905.
MAHON (P.), Études sur les armées du Directoire, P. i : Joubert à Tarmée
d'Italie ; Championnet à l'armée de Rome (octobre 1798 - janvier 1799)-
Paris, Chapelot, 1905, in-8, pp. xxviii-591 et cartes.
464 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
^MAJOCCHI (R.). Lo scisma d'Occidente e Gian Galeazzo Visconti. — /?/-
vista di scienze storielle, giugno 1905.
MALAGUZZI-VALERI (C. L.). Trattative segrete italo-austriache prima della
guerra del 1866. — Rivista d'Italia, ottobre 1905.
Si sa che, prima dell'accordo fra Russia e Italia, s' erano intavolate tra
Austria, Italia e Francia trattative le quali, se fossero approdate, avrebbero riac-
quistato il Veneto all'Italia senza la infelice campagna del 1866 e forse mutate
le condizioni politiche internazionali in modo da impedire la guerra franco-
prussiana e la costituzione dell' impero germanico sotto la dinastia degli Ho-
henzoUern. Di queste infruttuose trattative fu episodio culminante la missione
segreta del conte Alessandro Malaguzzi Valeri a Vienna ; e di questa dà in-
teressanti particolari il figlio del conte Alessandro, Carlo Lodovico, colonnello
nella riserva. Però una larga documentazione di quel momento importante
della nostra storia si avrà quando saranno pubblicati documenti che il conte
Alessandro lasciò in custodia al figlio minore Ippolito, direttore dell'Archivio
di Stato di Milano, morto pochi mesi or sono, con la raccomandazione di
tenerli segreti finché in Vienna vivessero uomini o signore, che avendo
preso parte a quei fatti, potevano essere compromessi {Corriere della Sera,
14 novembre 1905).
IMANACORDA (G.). Un segreto rimpianto di don Abbondio. — Rassegna
Pugliese, XXII, 1-2.
Quello di non avere famiglia.
1VIANNUCCI (F. L.). I genitori di S. Alessandro Sauli. — In Omaggio del
Circolo Alessandro Sauli. Genova, tip. del Serafino d'Assisi, 1905,
PP- 5-7-
IMANZONI (A.). Brani inediti dei « Promessi Sposi w per cura di Gio-
vanni Sforza. 2.^ ediz. Milano, U. Hoepli edit., 1905, in- 16, 2 voli,
(pp. cxx-cxxiiij-772).
Manzoni. — Ved. Bertoldi, Caviglione, Filippini, Fogazzaro, Francia,
Lang, Manacorda, Momigliano, Osimo, Romanelli, Rondani, Scrocca.
* MARCHISIO (A. F.). Studi sulla numismatica di casa Savoia. Memoria VII:
Supplemento alla Memoria VI sulle prove di zecca per re Vittorio
Emanuele II. — Rivista italiana di numismatica, fase. Il, 1905.
Scherzo patriottico del pezzo da 2 centesimi della zecca di Milano del-
l'a. 1857.
* — Un ongaro inedito di Jacopo 111 Mandelli, conte di Maccagno. —
Rivista italiana di numismatica, fase. Ili, 1905.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 465
* MARIANI (prof. M.). Di un altro lavoro di Bernardino Lanzani da San
Colombano. — Rivista di scienze storiche, ottobre 1905.
Autore degli insigni affreschi della Basilica di S. Colombano in Bobbio,
secondo il documento pubblicato dal conte C. Cipolla nella rivista L'Arte
(fase. VII, 6-8).
MASELLI (dott. A.). Di alcune poesie dubbiamente attribuite a Paolo Dia-
cono. Studio letterario-storico. Montecassino, tip. di Montecassino,
1905, in-8, pp. 121 [cfr. Archivio Storico di Roma, voi. XXVIII,
fase. I-II, pp. 250].
MASI (E.). Nell'ottocento. Idee e figure del secolo XIX. Milano, tip. fra-
telli Treves, 1905, in-i6.
I. Fra il settecento e V ottocento (Epigoni e precursori. V. Alfieri e la
critica). — II. // Congresso del 181^ e V Italia, — IV. La rivoluzione del 1848
(Pio IX e il principio della rivoluzione. Le Cinque Giornate di Milano nar-
rate da Austriaci. Il maresciallo Radetzky. Le Dieci Giornate di Brescia.
Garibaldi). — V. Il conte di Cavour e l'unità italiana. — VI. Giornali e
storia contemporanea.
MASSARA (A.). Usi nuziali dell'Agro novarese d'una volta e d'adesso. —
Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, voi. XXII, fase. III,
1905 {cont. e fine).
— La Passione del Nostro Signore Gesù Cristo nel Novarese (Estr. dal-
V Archivio per le Tradizioni popolari, voi. XXII), Torino, Clausen,
1905, in-8, pp. 7.
*MATTOI (E.). Medaglie a G. Donizetti. — Bollettino di numismatica,
giugno 1905.
MAYER (E.). Die angeblichen Fàlschungen des Dragoni. Uebersehene
Quellen zur kirchlichen und weltlichen Verfassungsgeschichte Ita-
liens. Leipzig, Deichert, 1905, in-8, pp vi-98.
Tenta di salvare il canonico cremonese Dragoni (f 1860) dalle falsifi-
cazioni perpetrate. Il Neues Archiv (XXX, i, p. 274) annuncia una confu-
tazione di H. Wibel.
*— Zur Entstehung der Lex Utinensis. — Mittheilungen des Instituis Jiir
oesterreichische Geschichtsforschung, XXVI, i, 1905.
Questo codice è d'origine italiana, e costituisce un importante documento
pel diritto italiano del secolo IX, portando un forte argomento a favore di
quelli che credono alla persistenza delle istituzioni municipali dell'epoca
romana.
Arch. Stor. Lomb , Anno XXXII, Fase. Vili. 3°
466 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
MAYERHOFFER von VEDROPOUE (E.). 1805. Der Krieg der 3. Koalition
gegen Frankreick (in Silddeutschland, Oesterreich und Oberitalien.).
Skizze der Begebenheiten. Mit i Skizze der Operationen und 3 De-
tailskizzen. Wien, L. W. Seidel & Sohn, 1905, in-8, pp. 111-45.
MAZZATINTI (G.). Contributo alla storia del 1859. — Archivio storico del
Risorgimento Umbro, a. I, fase. I-II, 1905.
Mazzini. — FERRIANI (L.). Mazzini a Lugano. — RESASCO (F.). L'Esule:
a Londra, a Lugano ; Mazzini e la sua salma nei ricordi di Paolo
Gorini. — // Caffaro, 19-20, 22-23 giugno 1905 e n. 69, 1905.
MAZZINI (G.). [Lettera agli amici milanesi nel 1859]. — L'Italia del Po-
polo, 22-23 giugno 1905.
Pel Mazzini cfr. la copiosissima Bibliografia mai:{iniana in occasione
del centenario pubblicata nel Giornale storico e letterario della Liguria, a. VI,
1905, fase. 10-12, pp. 467-74. Aggiungi quella in 'Bollettino storico subalpino
a. X. nn. 1-3 (1905), p. 225-26.
MELANI (A.). La Torre cosidetta del Filarete. — // Campo di Torino^
I.' ottobre 1905.
È una critica negativa alla Torre, e, in parte, ai restauri del Castello
Sforzesco.
— S. Maria delle Grazie, in proposito di recenti restauri. — Natura ed
Arte, i.° ottobre 1905.
* MERONI (can. V.). La pieve d' Incino o mandamento di Erba. Memorie
storiche. Voi. II. Milano, casa editr. arciv. G. Agnelli, 1905, in-i6^
pp. 220, con tav. ili.
Prefazione. — Comune di Crevenna. — Parrocchia di Crevenna. —
Convento di S, Salvatore. — Comune di Lozza. — Convento di S. Ber-
nardo, dei Serviti. — Comune di Buccinigo. — Parrocchia di S. Cassiano in
Buccinigo. — Frazione di Pomerio. — Comune di Parravicino. — Chiesa,
parrocchiale di Casiglio. — Comune di Carcano. — Chiesa parrocchiale di
Carcano. — Comune di Alserio. — Chiesa parrocchiale di S. Clemente di
Alserio. — Villa Tasserà. — Comune di Lambrugo. — Comune di Mon-
guzzo. — Chiesa di Monguzzo. — Conclusione.
MIGNON ("M.). Poésies fran9aises de J. G. Alione. In-i6. Paris, Société
fran9aise d' imprimerie, 1905.
Milano. — Antichità romane : un corpo meraviglioso di Venere. Con una
ili. — Domenica del Corriere, 13 agosto 1905.
Frammenti di una statua, che è forse quanto di più bello dell'epoca
romana siasi mai dissepolto a Milano, trovati nei pressi di via S. Margherita,,
nel maggio scorso.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 467
* Milano nel 1905 (X Congresso internazionale di navigazione intema,
settembre 1905). Milano, tip. U. Allegretti, 1905, in-8 fig., pp. 239,
con tav.
Interessanti in questa elegante Guida il « Riassunto storico » e la ras-
segna dei monumenti e degli istituti scientifici della città.
MILLARD (E.). Une loi historique. II. Les Juifs, les Grecs, les Italiens.
Bruxelles, Lamartin, 1905, in-8, pp. iv-348 et 5 pi.
MINGARDEN (L.). Pline le jeune avocat. In-8. Marseille, impr. Barlatier, 1905.
MOLLAI (G.) Deux pélerinages au Suaire de Chambéry-Turin. — Revue
de l'art chrétien, IV* sèrie, to. XV (1904), pp. 158-160.
Visite di Francesco I di Francia nel 15 17 e di S. Carlo Borromeo
nel 1578 alla S. Sindone di Torino, secondo documenti dell'Archivio di
Stato di Modena.
* MOMIGLIANO (A.). Perchè don Rodrigo muore nel suo giaciglio? — ^//i
R. Accademia delle scienze di Torino, XL, 11 (1905).
MONTANARI (T.). Stato presente della questione della via d'Annibale per
le Alpi, a proposito di una recente pubblicazione del signor I. Colin..
— Rivista militare italiana, fase. I, 1905.
MONTET (baronne de). Souvenirs. In-8. Paris, Plon, 1904.
Cfr. i Cenni bibliografici datine dal dott. Gallavresi nel precedente fa-
scicolo di quest'Archivio (p. 210 sgg.).
* MONTI (P.) & LAFFRANCHI (L.). Per concludere intorno alla zecca di
« Ticinum >;. (Risposta definitiva al signor Markl). — Bollettino di
numismatica, luglio-agosto 1905.
Monumenta palaeographica. Herausgegeben von A. Chroust. I Abth., I Serie,
17 e 18 Lieferung. Miinchen, Bruckmann, 1905, in-8 gr.
Le tav. I.* e 2.* della 17.^ dispensa offrono i frammenti del Virgilio
della Biblioteca di S. Gallo (sec. V). Tav. 9.^ Omelie di S. Ambrogio,
scritte in S. Gallo principio dell' XI secolo. Nella dispensa 18.^ tav. 8.* e 9.»
Boethius, T)e institutione arithmetica, scritta in Tours, probabilmente dopo
l'a. 845.
MORELLINI (D.). La fonte di alcuni successi de' manoscritti Corona. —
Napoli Nobilissima, XIV, 5.
Mostra che almeno sei di quei successi rimontano a novelle del Bandello.
^MOROSINI (I.). Lettres inédites de madame de Staèl à Vincenzo Monti
(1805-1816). — Giornale storico della letteratura italiana, fase. 136-137
(1905)-
468 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
*MUONi (dott. G.). Note per una poetica storica del romanticismo. Mi-
lano, Società editr. libraria, 1905, in-8, pp. 139.
MURARI (R.)- Dante e Boezio : contributo allo studio delle fonti dante-
sche. Bologna, N. Zanichelli tip. edit., 1905, in-i6, pp. x-430.
I. Severino Boezio, i. La vita di Boezio. 2, Le opere di Boezio. 5. La
fortuna di Boezio sino alla fine del secolo XIII. — II. Dante e Boezio. —
4. La Consolano philosophiae alla mente dell'Alighieri. 5. La presentazione
scenica di Beatrice nella Commedia e della Filosofia nella Consolatio. 6. La
fortuna e il fato. 7. La teoria del libero arbitrio. 8. La preghiera del libro III
m. 9 della Consoìatio nell' opera dantesca, io La nobiltà nel Convivio e nella
Consolatio. 11. Altri raffronti.
* NATALI (G.). Il bastone pedagogo, noterella pariniana. — Nozze Petra-
glione-Serrano (Messina, tip. Nicastro, A. Trimarchi edit., 1905).
Raccoglie un gran numero d'attestazioni diverse, antiche e moderne,
sull'uso malaugurato d'insegnare ai fanciulli ce a suon di nerbo ».
— Poesie di Giuseppe Parini, 'con introduzione e commento. Milano,
casa editr. dott. F. Vallardi, 1905, in-8, pp. 360.
NERUCCI (G.). Storia succinta del battaglione universitario toscano e della
sua campagna guerresca nel 1848. Pistoia, casa tip.-lit. editr. Sini-
buldiana G. Fiori & C, 1905, in-8, pp. 46.
"^NEWMAN (W, L.). The Correspondance of Humphrey, Duke of Glouce-
ster, and Pier Candido Decembrio. — The English Historical Re-
view, luglio 1905.
Dopo che Leonardo Bruno aretino, autore di una traduzione latina della
Politica d'Aristotile, dedicata al duca di Gloucester, ne venne ringraziato, il
Decembrio offriva al duca medesimo i propri servigi di traduttore titolato,
ciò che diede luogo ad uno scambio di lettere durante gli anni 14 3 8-1445.
NOGARA (B.). Cesare Cantù. — Scuola Cattolica, maggio 1905.
*ONESTINGHEL (G.). La guerra tra Sigismondo conte del Tirolo e la re-
pubblica di Venezia nel 1487 {continua). — Tridentiim, a. VIII, fase. IV,
giugno 1905.
Cfr. pp. 170-172 per le pradche tentate dalla reggenza arciducale presso
il duca G. Galeazzo Sforza per indurlo all'alleanza contro Venezia. Pratiche
avviate da Gaudenzio di Matsch, in buone relazioni colla corte di Milano,
e marito di Ippolita, figlia di Cicco Simonetta.
08IM0 (V.). Studi e profili. Palermo, R. Sandron, 1905, in-8.
IV. La prima stesura dei Promessi Sposi. — Vili. Felice Cavallotti.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 469
PABST (G.). Le maréchal Canrobert, souvenirs d'un siècle. Tome III :
Paris et la cour pendant le Congrès. La naissance du prince impe-
riai. La guerre d'Italie. Paris, Plon, 1905, in-8, pp. 547.
PARI NI (G.). Il Giorno col dialogo Della nobiltà, e odi scelte, adattati ed
annotati ad uso delle scuole dal prof. Giacomo Dominici. 13.^ ediz.
Torino, tip. editr. Salesiana, 1905, in- 16, pp. xxxv-339.
Parini. — Ved. AruUani, CervesatOy Fuochi^ Natali.
* PASCAL (C). Un glossario latino del VII secolo. — Bollettino di filologia
classica, a. XII (1905) n. 4.
Frammento di glossario latino, che contiene tutte parole comincianti
col e, contenuto nel codice Ambrosiano F. 60 sup.
* PASINI (F.). Un plagio a danno di Vincenzo Monti. — Supplemento n. 8
(ipoj) al Giornale storico della letteratura italiana.
PASTOR (L.). Ungedruckte Akten zur Geschichte der Pàpste, vornehm-
lich im XV, XVI und XVII Jahrhundert. Erster Band, 1377-1464.
Freiburg ijBy Herder, 1904.
I documenti di questo primo volume provengono, nel loro nucleo mag-
giore e più importante, dall'Ambrosiana e dagli Archivi di Stato di Milano
e Gonzaga di Mantova (cfr. la recensione del prof. G. Capasso in Rivista
storica italiana, fase. Ili, pp. 334-538).
PASTORE (prof. A.). Giovanni Caramuel di Lobkowitz e i primordi della
teoria della quantificazione del predicato. — Classici e Neo-Latini
di Aosta (direttore prof. S. Pellini) a. I, n. 3, giugno-luglio 1905).
L'A. scopre che il fCaramuel, da ultimo vescovo di Vigevano, dove
morì nel 1682, aveva già dichiarato esplicitamente nella sua Theologia ra-
tionalis, stampata nel 1654 il principio logico di cui sopra, attribuito al
Bentham (1827).
PATRONI (G.). Tipologia e terminologia dei pugnali di selce italiani. —
Bulle t tino di paletnologia italiana, 1905, p. 85 sgg.
Tratta specialmente dei pugnali provenienti dal territorio di Garlasco
in Lomellina, appartenenti al Gabinetto Archeologico della R. Università di
Pavia, e di quelli illustrati dal Colini nel lavoro : Il sepolcreto di Remedello
Sotto nei Bresciano e il periodo eneolitico in Italia.
PAVESI (P.). Date riguardanti gli Istituti Universitari di Pavia. Pavia,
tip. Ponzio, 1905.
PEDDIE (Robert Alexander). Printing at Brescia in the fifteenth century.
A list of the issues. London, William & Norgate, 1905, in-4, pp. 30.,
470 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
PÉGARD (P.). La mission du citoyen Comeyras dans les Ligues grises,
1796- 1797. — Annales des sciences politiques^ 1905? ^5 settembre.
PELISSIER (L. G.). Un traité de géographie politique de l' Italie à la fin
du XV' siècle. — > Bulletin Italien, aprile-giugno 1905.
Pubblica la Totale description en abrégé de tout le pays d'Italie^ secondo
il cod. 921 della Biblioteca di Lione. L'opera è anonima; bisogna fissarne
la redazione al biennio 149 5- 1496.
* PELLEGRINI (sac. C). Di S. Mauricillo vescovo di Milano, in occasione
dello scoprimento delle sue reliquie a S. Satiro. — Scuola Cattolica,
agosto 1905, pp. 1 19-123.
Pellico. — Bibliografia di Silvio Pellico.
Ved. Bollettino storico bibliografico subalpino^ a. X, nn. 1-3, 1905 (vedi
i nn. 6449-6480 a pp. 221-223) e Chiattone (D.) in Piccolo Archivio sto-
rico dell'antico marchesato di SaluT^^^o, a. II, pp. 355-367.
— Ved. Archivio {Piccolo), Bardo, Boselli, Ravello.
PELLINI (S.). Medaglione : Gio. Jacopo Valerio. — Classici e Neo-Latini,
a. I, 1905, nn. 2, 4, 5.
Studi e saggi sui diversi mss. di Gio. Jacopo Valerio giureconsulto mi-
lanese, morto ottuagenario nel 165 1, conservati in Ambrosiana. Della vita
del Valerio il Pellini tratterà dopo aver esaurito la riproduzione dei saggi
dei suoi epigrammi.
PHILIPP (E.). Ueber die Mailànder und die Venediger Handschrift zum
Dialog des Tacitus. — Wiener Studien, a. XXVI, fase. II.
PICOT (E.). Note sur Gio. Petro Negroli, armurier à Paris au XVP siècle.
— La Correspondanca historique et arcìiéologique^ giugno-luglio 1905.
Di lui parla il Brantóme.
PIETH (F.). Die Feldziige des Herzogs Rohan im Veltlin und in Grau-
biinden. Mit 8 Skizzen des Kriegschauplatzes. Mit dem ersten Preise
gekrònt von der Schweizer. Offìziersgesellschaft. Bern, K. J. Wyss,
1905, in-8, pp. XX-170.
Le campagne del duca di Rohan in Valtellina e nei Grigioni.
*PILOT (A.). Alcuni componimenti inediti contro Carlo Emanuele I. —
Ateneo Veneto, gennaio-febbraio 1905.
Con riferimenti ai Gonzaga ed a Mantova.
* - Contro don Pedro di Toledo (Estr. dalla Nuova Rassegna, n. 6, giu-
gno 1905). Firenze, 1905, in-8 gr., pp. 4.
Alla riaccesa lotta tra Savoia e Spagna per opera di don Pedro di Toledo,
governatore di Milano e, meglio, alla nota ritirata di quest'ultimo (1616) si
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 47 1
riferiscono i cinque componimenti qui pubblicati dal Pilot che li ebbe a
trarre da codici della Marciana e del Museo Correr di Venezia, e debita-
mente commentati. Modesto, ma utile contributo alla lirica politica del pe-
riodo di Carlo Emanuele I di Savoia, già studiato, e con onore, dal D'An-
cona, dal Gabotto e dal Rua.
PIANTA (P. von). Nachtrag zur Chronik der Familie von Pianta 1892.
Zùrich, Art. Jnst. Orell, Fiissli, 1905.
Supplementi alla Cronaca della famiglia Pianta, edita nel 1892.
*POCHETTINO (G.). Un comune demaniale in Piemonte. Ricerche storiche
su Gamondo or Castellazzo Bormida. — Rivista di storia, arte, ar-
cheologia della provincia di Alessandria, a. XVI, fase. XV^I-XVIII, 1905.
Cfr. il cap. VI: Gamondo e Federico Barharossa. Tra i dee. in appen-
dice, il P. ristampa, con note critiche, il diploma di Ottone II in favore del
monastero di S. Felice in Pavia (21 novembre iodi).
* POLLARGLI (prof. S.). La Torre del Re a Pizzighettone. - Rivista di
scienze storiche^ settembre 1905.
PRAETORIUS (E.). Die Mensuraltheorie des Franchinus Gafurius und der
folgenden Zeit bis zur Mitte des XVI Jahrhunderts. Leipzig, Breit-
kopf & Haertel, 1905. in-8, pp. v-132.
La teoria mensurale di Franchino Gaffurio e dell' epoca susseguente fino
alla metà del XVI secolo.
PROTO (E.). Per l'episodio dei montoni nel Folengo e nel Rabelais. —
Album, per il XXV anniversario della libreria napoletana di Luigi
Pierro [cfr. Gior. star, della letter. ital., fase. 136-137, p. 282J.
*PUINET (P. de). La consécration des églises d'après les publications de
G. Mercati : Ordo Ambrosianus ad consecrandum ecclesiam et altaria
et W. H. Frere : Pontificai services illustrated front Miniatures of
the XVih and XVIth Qenturies. — Reviie des questions historiques,
aprile 1905.
QUIGNON (H.). L'abbé NoUet et son voyage en Piémont et en Italie en
1749. Amiens, Yvert et Tellier; Paris, Champion, 1905, in-8.
RABENHORST (M.). Quellenstudien zur naturalis historia des Plinius. Teil l.
Die Zeitangaben varronischer und capitolinischer Aera in der natu-
ralis historia. In-8. Berlin, E. Ebering, 1905.
In questa « dissertazione inaugurale » l'A. si propone di dimostrare,
contro il parere del Mùnzer, che, per le notizie storico-antiquarie nella Na-
turalis historia, Plinio non attinge a M. Terenzio Varrone, ma bensì ai rerum
memoria dignarum libri di Verrio Fiacco, che può quindi considerarsi come
la fonte principale della enciclopedia pliniana (Cfr. Bollettino di filologia
classica, settembre 1905, p. 69).
472 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
* Raccolta Vinciana presso l'Archìvio Storico del comune di Milano r
[bollettino]. Fase. I (gennaio-giugno 1905). Milano, tip. U. Allegretti^
1905, in-i6 fig., pp. 70, con tav.
Costituzione e programma della Raccolta Vinciana — Primo elenco degli
aderenti. — Pubblicazioni, manoscritti, disegni, incisioni, fotografie, ecc., per-
venute dal gennaio al giugno 1905. — Bibliografia Vinciana a partire dal 1901
a cura del dott. Ettore Verga (in preparazione la Bibliografia dal 1500 al 1900)»
— Varietà Vinciana : Verga (E.). Intomo alla donazione dei codici di Leo-
nardo fatta dall' Arconati all' « Ambrosiana ». — Beltrami (L.). Espressioni
e vocaboli lombardi nel Codice Atlantico.
RAVELLO (F.), " Le mie prigioni „ di Silvio Pellico con studio biografico,
e note critiche. Torino, librer. S. Giov. Evangelista, 1905, in-8, pp. 334.
BEGHINI (magg. gen. L.). Pochi ricordi sulla campagna di guerra del 1866,,
relativi specialmente al tenente d'artiglieria don Andrea dei prin-
cipi Corsini a Borgoforte. Firenze, stab. tip.-lit, pei Minorenni cor-
rigendi di G. Raraella & C, 1905, in-8, pp. 13.
* RENDA (U.). Il li Torrismondo « di T, Tasso e la tecnica tragica nel
cinquecento. — Rivista Abruzzese di scienze, lettere ed arti, ottobre
1905 prec. e seg.
RIBOLDI (E.). L'arbitrato internazionale nel diritto medioevale lombardo
(secoli XII e XIII). — Vita Internazionale, n. 25 (1905) sg.
RICCI (S.). Turbigo. La. necropoli della Gallizia. — Notizie degli scavi di
antichità, 1904, io.
Riforma (Per una) nell'uso pubblico delle maggiori biblioteche: docu-
menti raccolti a cura della Società bibliografica italiana. Milano,
Società bibliografica italiana edit, 1905, in-8, pp. 16.
*
RIGILLO (M.). La tragedia di Verona. Rionero, Ercolani, 1904, in-8, pp. 76.
La tesi che il R. si propone di dimostrare è questa: la morte di re
Alboino fu la conseguenza di un delitto ordito da Rosmunda, a ciò mossa
da ragioni private, senza che e' entrassero affatto le ragioni politiche (cfr. gli
appunti del Cipolla in Riv. stor. Hai, fase. Ili, 1905, p. 315).
RISTORI (G. B.). I paterini in Firenze nella prima metà del secolo XIII.
— Rivista storico-critica delle scienze teologiche^ I, i, 1905.
S. Pietro Martire venne da Milano a Firenze ma a predicare la fede;
non come inquisitore.
* — Della venuta e del soggiorno di S. Ambrogio in Firenze. — Ar-
chivio storico italiano, disp. 4.», 1905.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 473
* Rivista arctieologica lombarda, diretta dal prof. dott. Serafino Ricci. Anno I,
fase. II, in-8 gr. Milano, tip. editr. L. F. Cogliati, 1905.
Ricci (S.). Il sarcofago di Larabrate (con 8 ili.). — La Redazione. No-
tizie varie d' archeologia e d* arte. [Amici dei Monumenti di Milano e della
Lombardia. — Basilica di S. Marco in Milano. — Una nuova gloria del-
l'arte comacina a Farneta. — Per gli studiosi di cose lombardesche. —
Tomba romana, ad Incino. — Conferenze d'archeologia e d'arte alla Uni-
versità Popolare di Varese. — Frammenti di bella statua romana, rinvenuti
a Milano. — Sul sarcofago di Lambrate. — Oggetti antichi di Turbigo al
Museo Archeologico di Milano. — Di Verdesiacum. — Antichità gallo-romane
a Graffignana Lodigiano]. — Frova (Arturo). Recensione di Ricci-Gentile,
Archeologia e storia dell'arte. — Doni alla Gipsoteca d'Arte.
* ROCCO (S.). Recensione di V. Cicchitelli, sulle opere poetiche di Marco
Girolamo Vida (1904). — Giornale storico della letteratura italiana,
fase. 138 (1905), pp. 404-412.
RODRIGUEZ VILLA (A.). El emperadcr Carlos V y su corte, segun las
cartas de don Martin de Salinas, embajador del infante don Fer-
nando (1522-1539). Con introdueción, notas é indiees. Madrid, est
tip. de Fortanet, 1903-1905, in-8, pp. 990.
ROLLONE (L.), La provincia di Milano. Torino, stamp. reale della ditta
G. B. Paravia & C. edit, 1905, in-i6 fìg., pp. 47. con tav.
ROMANELLI (G.). Lingua e dialetti, neologismi, barbarismi, solecismi :
nuovo avviamento allo studio della lingua, con raffronti delle due
edizioni de' " Promessi Sposi „., ad uso delle scuole secondarie. Se-
conda edizione rinnovata ed accresciuta. Livorno, R. Giusti tip. edit.^
1905, in-i6, pp. XVJ-204.
ROMANO (prof. G.). L'origine del potere civile e della signoria territoriale
dei papi : discorso letto addì 3 dicembre 1904. — Annuario R. Uni-
versità di Pavia, 1904-1905.
RONDANI (A.). A proposito di Sancio Panza e di don Abbondio. — Italia
Moderna, III, 28.
RUA (I.). Carlo V e Francesco I alla tregua di Nizza: conferenza. Co-
senza, tip.-lit. L. Aprea, 1904, in 8, pp. 74.
RUCK (K.). Die Anthropologie der Naturalis Historia des Plinius im
Auszuge des Robert von Erieklade. Aus der Wolfenbiitteler und
Londoner Handschrift herausgegeben. Neuburg a. D., Griessmayer^
(Programm des Gymnasiums 1904-1905) in-8, pp. 52.
474 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
*SABBADINI (R.). Un codice ignoto della Veterinaria di Columella. —
Rendiconti deiristituto Lombardo, serie II, voi. XXXVIII, fase. XVI.
Il codice Ambrosiano C. 212 inf. del sec. XIV.
* — Briciole umanistiche. — Giornale storico della letteratura italiana,
fase. 136-137 (1905).
XXVIII. Modesto e Pier Candido Decembrio. — XXIX. Antonio d'Asti.
— XXX. Gasparino Barzizza. — XXXI. Bernardo Giustinian e Lodovico
Gonzaga. — XXXIII. Fra Gioacchino Castiglione.
*SACCHI (M. F.). Cosimo de' Medici e Firenze nell'acquisto di Milano allo
Sforza. — Rivista di scienze storiche, ottobre 1905 sgg.
*SALVIONI (G.). Il valore della lira bolognese nella prima metà del se-
colo XVI. — Atti e Memorie R. Deputazione di storia patria per le
Provincie della Romagna, serie III, voi. XXIII, fase. I-III (1905).
Cfr. p. 206 sgg. il cap. III. Antonio Maria da Legnano, zecchiere. —
Progetti di riforma abortiti negli a. 1^08 e 1^09.
San Pietro Martire e la sua iconografia. — Il Rosario, memorie dome-
nicane (Firenze, 1905) n. 448.
* SANT'AMBROGIO (D.). I sarcofagi Andreani a Corenno Plinio; Un gran-
dioso e poco noto dipinto in Milano del Castiglioni, detto il Gre-
chetto ; Colonne e capitelli di Sant'Ambrogio nel Palazzo della Pa-
triottica; Affreschi alla Bicocca del XV secolo; L'oratorio di Ci-
slago e il castello dei Visconti Castelbarco ; Nel Museo di porta
Giovia; Una scacchiera del XVII secolo; La catena dell'antica porta
Vercellina presso il castello di Milano ; Un busto in Milano del car-
dinale Francesco Alciati. — Lega Lombarda, nn. 122, 7 maggio 1905 ;
n. 147, i.*" giugno ; n. 188, 16 luglio ; n. 195, 23 luglio ; n. 210, 8 agosto;
n. 218, II agosto: n. 234, 3 settembre; n. 268, 8 ottobre 1905.
* — Sulla voce " Amimom „ inscritta sui capitelli del castello di porta
Giovia in Milano ; Un marmo d' ispirazione cluniacense nel Priorato
di Pontida. — Rivista di scienze storiche, settembre-ottobre 1905.
— Il reliquario di S. Nicola, del 1496, nel Priorato Cluniacense di Piona;
Le campane dell'antica Certosa di Farneta presso Lucca; Un ri-
cordo del Vida nel Museo di porta Giovia. — Arte e Storia, nn. 9-10;
14-15 e 17-18 (1905).
* — Una tavola pittorica del 1501 nel Duomo di Asti. — Rivista di scienze
storiche, novembre 1905.
Di un Gandolfus di Rocetto 0 di Nocetto, forse pavese.
SARASINO (E.). Di un quadro originale su tavola di Giovanni Martino
Spanzotti, casalese, maestro del Sodoma e dell'opera sua. In-i6.
Torino, tip. Gazzetta del Popolo, 1905.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 475
*Sauli. — Al suo Santo Patrono. Omaggio del Circolo S. Alessandro
Sauli, fol. ili. Genova, tip. del Serafino d'Assisi, 1905.
Mannucci (F. L.). I genitori di S. Alessandro Sauli. — Gallavresi (G.).
La piazza dei Mercanti di Milano al tempo della vocazione di S. Alessandro.
*SAVIO (F.). I santi martiri di Milano. La leggenda di S. Vittore. —
Rivista di scienze storiche, ottobre-novembre 1905.
L La leggenda primitiva e termine estremo posteriore della sua com-
posizione. — n. Termine anteriore della leggenda, e sua data probabile. —
in. Termine esterno posteriore della leggenda.
* — Caelum aureum o cella aurea? — Rivista di scienze storiche, ot-
tobre 1905.
*SCAFFINI (dott. G.). I Castelbarco nella novellistica del trecento. —
Tridentum, giugno 1905.
*SCHIAPARELLI (L.). I diplomi dei re d'Italia. Ricerche storico-diploma-
tiche. Parte IL I diplomi di Guido e di Lamberto. — Bullettino del-
l'Istituto storico italiano, n. 26.
SCHNEIOER (B.). Der mantuanische Erbfolgestreit. Bonn, Behrendt, 1905,
in-8, pp. vii-93.
La guerra della successione mantovana.
SCHULTZ-RIESENBERG (W.). Die Reise nach den oberitalienischen Seen:
Lago Maggiore, Lugano-See, Como-See. Garda-See und Mailand.
Praktisches Reisenhandbuch. s-te Aufl. Berlin, A. Goldschmidt, 1905-
1906, in 8, pp. 1V-160-16 e 4 carte (" Griebens Reisefuhrer „, Bd, 15).
Schweizerisches Kunstler-Lexikon. Herausgegeben vom Schweizerischen Kun-
stverein. Redigiert untar Mitwirkung von Fachgenossen von D.r Cari
Brun. Vierte Lieferung [Frei-Gyssig]. Frauenfeld, Huber & C., 1905,
in-8 gr. da p. 481 a 648.
Con molte biografìe di artisti del lago di Lugano.
SCROCCA (A.). Studi sul Monti e sul Manzoni. Napoli, Pierro, 1905, in-i6,
pp. 163.
Cfr. i Cenni bibliografici in Giorn. stor. iella letter. ital, fase. 138,
pp. 445-448 (firm. Em. B.).
^SEGARIZZI (A.). Sei lettere di Giovanni Sobota. — Pagine Istriane^ a. Ili,
fase. Ili (1905).
Una certa importanza storica ha l'ultima, delle sei, diretta a Maffeo
Valaresso, arcivescovo di Zara (Venezia 4 cai. luglio 145 1). Si ricordano le
segrete pratiche di Bartolomeo Colleoni supremo capitano dei Veneziani col
476 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
duca Francesco Sforza e l'ordine dato dalla Signoria al provveditore Nicolò-
Canal, d' impadronirsi del Colleoni col mezzo degli altri due capitani, Gen-
tile della Lionessa e Giacomo Piccinino. Il Colleoni però, ch'era nella cam-
pagna di Montechiaro, riuscì a sfuggire, e riparò nel Mantovano, indi presso
lo Sforza.
''SEGARIZZI (A.). Bollettino bibliografico della Regione Veneta, 1902. Ap-
pendice al Nuovo Archivio Veneto, Nuova serie, anno VI. Venezia,
tip. Visentin], 1905, in 8 gr., p. 103.
Con somma cura sono elencati 1276 titoli delle pubblicazioni riguar-
danti l'odierno Veneto, dai tempi più remoti fino ai nostri giorni, ed i
luoghi dell'antico dominio (Bergamo, Brescia, Crema) per il solo periodo
in cui essi furono soggetti alla Serenissima.
SEGRE (A,). La campagna del duca d'Alba in Piemonte nel 1555. Roma,
Voghera, 1905, in 8, pp. 59.
* SELLA (P.). Alcune note sulla Vicinia come elemento costitutivo del
comune. — Archivio storico italiano, disp. 4.% 1905.
SFORZA (G.). Trenta lettere inedite di romanzieri, statisti, poeti, soldati,,
patriotti. Milano, tip. U. Allegretti, 1905, in-8, pp. 62 (Nozze-Hoepli-
Porro).
Vanno dal 1818 al 1860 e cominciano col nome di V. Monti, che
raccomanda il Conciliatore al Sismondi, per chiudere con quello non meno
illustre di Camillo Cavour, ai quali si accompagnano, tra altri, Melchiorre
Gioia, Giuseppe Pecchio, Piero Maroncelli, Pietro Borsieri, Tommaso Grossi,
Giovanni Berchet, Giuseppe Ferrari.
SOL (E.). Les rapports de la France avec T Italie du XIP siècle à la fin
du premier empire. Paris, Champion, 1905, in-8, pp. 171.
SOLIMENA (C). Plinio il Giovine e il Diritto pubblico di Roma (Tesi di
laurea). Napoli, L. Pierro tip. edit., 1905, in-8, pp. vin-331.
SPEZI (dott P.). Pio V [Ghislieri] ed i suoi tempi. Roma, F. Pustet,
1905, in-8, pp. 108.
SPRECHER (J. A. von). Die Familie de Sass. Historischer Roman aus der
letzten Pestzeit Graubùndens (1629- 1632). 3.*^ Aufl. Basel, Basler Buch-
Antiquariatshandlung, 1905, in 8, pp. iv-372.
La famiglia de Sass. Romanzo storico del periodo dei torbidi grigio-
nesi (1629-1652).
* Stampa. — Ex-Libris dell'avvocato don Giuseppe Stampa (1740-1818)»
: — Rivista italiana di Ex-Libris, a. I, n. i (Genova, novembre 1905).
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 477
STOPPANI (P.). Antonio Rosmini: commemorazione tenuta il 25 giugno 1905.
Milano, tip. editr. L. F. Cogliati, 1905, in-8, pp. 47, con io tav.
STRADIOTTO. Per la verità storica. — Rivista di cavalleria (Roma) Vili, 3,
1905.
A proposito dell'azione della cavalleria alla battaglia di Custoza.
*SUAREZ INCLAN Q.) y DANVILA (M.). Informe sobre el libro del S/ Ro-
driguez Villa, titulado " Ambrosio Spinola „. — Boleiin de la Real
Academia de la Historia, aprile 1905.
TAMASSIA. La falcidia nel Medio Evo. — Memorie Istituto Veneto, vo-
lume XXVII, n. 4.
*TENCAJOLI (O. F.). La villa episcopale di Balerna. — In II Buon Cuore
di Milano, a. IV, 1905, n. 32.
TESTI (p. M.). 1 Barnabiti si stabiliscono a Cremona sotto il generalato
di S. Alessando Sauli e gli auspicii di Nicolò Sfondrati vescovo, poi
papa Gregorio XIV. Milano, tip. editr. L. F. Cogliati, 1905, in-8, pp. 24.
Cfr. i Cenni bibliografici in Rivista di sciente storiche, novembre 1905,
p. 367.
THONiON (d/). Voyages du seigneur de Villamont, partant de la " duché
de Bretaigne „, pour aller en Terre Sainte, par la Savoie, le Pié-
mont, l' Italie, la Grece, la Syrie et V Egypte, au mois de juin 1589.
Ses deux passages en Savoie. — Revue Savoisienne, 2.^ trimestre 1905.
TRIULZI-BELGIOIOSO (C). L'Italia e la rivoluzione italiana (dalla Revue
des deux mondes, 1848) aggiuntovi : Gli ultimi tristissimi fatti di Mi-
lano (narrati dal Comitato di pubblica difesa, con documenti). Pa-
lermo, R. Sandron edit., 1904, in-16, pp. viij-184 (" Biblioteca rara „,
serie storica, n. 9).
Trivulzio. — Ved. Gnecchi.
TUMIATI (D.). La morte di Bajardo : lirica intonata per melologo da Vit-
tore Veneziani. Bologna, N. Zanichelli tip. edit., 1905, in-16, pp. 34.
*TUOR (C. M.). Reihenfolge der residierenden Domherren in Chur. —
XXXIV Jahresbericht der Histor.-Antiquar. Gesellschaft von Gran-
biinden (Coirà, 1905).
Nella serie dei canonici e preposti del capitolo di Coirà notansi Nicolao
Venosta, valtellinese (1564-96), Bernardino Gaudenti e Carlo Giuseppe Menr
gotti, di Poschiavo (1655 e 1759). Tra i decani: Bartolomeo di Castelmur
di Val Bregaglia (1517) e fra gli scolastici Prospero Pusterla di Sondrio
(i 597-1600).
47^ BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
USTERI (P.). Ungedruckte Meister-Foscolo Briefe. — Archiv fiir das
Studium der neueren Sprachen und Literaturen, CXIV, 1-2.
Lettere dirette ad Ugo Foscolo dal zurigano Jacopo Enrico Meister^
conservate autografe nella Labronica di Livorno.
VALENTINI (A.). Giannandrea Astezati. Saggio degli " Scrittori Bresciani „.
Brescia, tip. Pavoni, 1905, in-8, pp. io.
VALER fd/ M.). Die Bestrafung von Staatsvergehen in der Republik der
drei Bunde. Ein Beitrag zur mittelalterlichen Riigegerichtsbarkeit
und zur Geschichte der Demokratie in Graubiinden. In-8 gr. Chur,
Schuler, 1904.
Contributo storico-giuridico, interessante, intorno ai famigerati tribunali
o Straf^erichte dei Grigioni; interessa specialmente per le condanne del 1529
contro Gio. Angelo de Medici, poi papa Pio IV, Giovanni Pianta nel 1572
e dell'arciprete di Sondrio, Nicolò Rusca, nel 161 8.
VALMAGGI (L.). Varia, IV (Il campo vitelliano di Cremona. La capitola-
zione di Narni, Marziale I, 28; Xlll, 122). — Rivista di filologia e
d'istruzione classica, a. XXXIil, fase. III-IV.
Varallo. — Il chiostro di S. Maria delle Grazie in Varallo. Novara^
stab. tip. fratelli Miglio, 1905, fol. ili., pp. 34.
Gli studiosi d'arte sono intervenuti con un'agitazione veramente lode-
vole e pratica perchè a Varallo sia conservato il chiostro delle Grazie mi-
nacciato di distruzione per deliberazione del Consiglio comunale di quella
cittadina, ricca degli affreschi di Gaudenzio Ferrari. Una parte efficace della
propaganda per la sua conservazione a decoro dell'arte è data dal Numero
unico riccamente illustrato, qui sopra annunciato, e che contiene articoli di
Ercole Bonardi {....me mutor in fide?), del sac. Alfonso Chiara (// B. Ber-
nardino Caimi fondatore del S. Monte di Varallo), di G. C. Barbavara {L'arte
nel convento di S. M. delle Grafie), di A. Massara [Una notte nel chiostro),
di L. Bisteri {Saluto al santuario di Varallo).
*VARISCO (A.). L'epigrafe del ventaglio monzese detto della regina Teo-
dolinda. — Studi Medievali, I, fase. Ili, 1905.
VENTURI (A.). Storia dell'arte italiana. Voi. IV. La scoltura del trecento
e le sue origini. Milano, U. Hoepli, 1906^ in-8 gr., pp. xxxii-970 con
803 ine. in fototipografia.
VIOLA (O.). Il tricolore italiano: saggio bibliografico, con due appendici.
Catania, C. Battiato, libr. edit., 1905, in-8, pp. xj-32.
Virgilio. — Ved. Beatty, Chabert, Gustar elli, Wick.
Vita di S. Costanzo, eremita bresciano. Brescia, tip. A. Luzzago, 1905,
in- 16, pp. 40, con tav.
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 47^
Vita e virtù della reverenda madre Agnese Riva, vicaria generale e
maestra delle novizie nelle Ancelle della carità di Brescia. Brescia^
tip. editr. Queriniana, 1905, in-i6, pp. 220.
* VOLPE (G.). Per la storia giuridica ed economica del Medio Evo. —
Studi Storici, voi, XIV, fase. II (1905).
— Lambardi e Romani nelle campagne e nelle città. Per la storia delle
classi sociali, della Nazione e del Rinascimento italiano (sec. XI-XV).
— Studi Storici, voi. XIII, fase. IV e voi. XV, fase. II (1904-1905).
Continuazione e fine di questo importante studio che meriterebbe una
recensione approfondita nel nostro Archivio.
WABER (A.). Walliser Berg-und Passnamen vor dem XIX Jahrhundert.
— Jahrbuch des Schweizer Alpenclub, Jahrg. 40 (Bern, 1905) mit ili.
Nomi di montagne e passaggi alpini del Vallese prima del secolo XI X.
WICK (C. F.j. Spigolature virgiliane e lucreziane. — Atti R. Accadeìnia
di archeologia e belle arti di Napoli, voi. XXIII (1905).
WOLFF (M. von). Untersuchungen zur Venezianer Politile Kaiser Maxi-
milian's I wàhrend der Liga von Cambray, mit besonderer Bertick-^
sichtigung Veronas. Innsbruck, Wagner, 1905, in-8, pp. v-i8o.
Ricerche intorno alla politica veneziana dell'imperatore Massimiliano I
durante la lega di Cambray, con speciale riguardo di Verona.
WOTKE (K.). Das oesterreichische Gymnasium im Zeitalter Maria The-
resias. Berlin, Hoffmann, 1905, in-S. pp. Lxxx-615 e 5 tav. (" Monu-
menta Germaniae paedagogica „ XXX).
Il ginnasio austriaco ai tempi di Maria Teresa.
WREDE (A.). Deutsche Reichtagsakten unter Kaiser Karl V. Bd. IV. Gotha,.
Perthes, 1905, in 8, pp. vii-796.
*YVER (G.). Recensione del Liber potheris comtmis Civitatis Brixiae, ediz.
Cazzago & Fé d'Ostiani. — Revue Historique, luglio-agosto 1905,.
pp. 384-388.
ZAMBETTI (prof. D. G.). La Valle Calepio illustrata. Bergamo, Società
tip.-lit. Bergamasca già D. Legrenzi & C, 1905, in-i6 fig., pp. vij-2i8.
*ZANELLI (A,). Carlo V a Peschiera (1530). — Archivio storico italiano,
disp. 4.% 1905.
— Un avventuriere bresciano del secolo XVIII (Sebastiano Bona). Bre-
scia, Ceroidi, 1905, in-8, pp. 8.
480 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
*ZATTONI (sac. dott. G.). Indipendenza del vescovado di Bobbio dalla
giurisdizione metropolitica di Ravenna. — Rivista di scienze storiche,
maggio 1905.
*ZEILLER (I.). Étude sur l'arianisme en Italie à l'epoque ostrogothique et
à l'epoque lombarde. — Mélanges d'archeologie et d'histoire (École
frangaise de Rome) gennaio-aprile 1905.
*ZENATTI (O.). Il poemetto di Pietro de' Natali sulla pace di Venezia tra
Alessandro III e Federico Barbarossa (con 6 tav.). — Bullettino del-
l'Istituto storico italiano^ n. 26 (1905).
ZONTA (G.). Filippo Nuvolone \mantovanó\ e un suo dialogo d'amore. Mo-
dena, tip. Rossi, 1905, in-8^ pp. 196.
Cfr. Giornale storico della letteraiura italiana, fase. 138, pp. 457-440.
APPUNTI E NOTIZIE
^% Il sigillo di re Liutprando (712-744). — Neirultimo fascicolo
•della Revue Numismatique (IV® sèrie, to. IX, 1905, p. 355 sgg.), il noto
Studioso di storia bizantina, G. Schlumberger, dà conto di un curioso ac-
quisto da lui ultimamente fatto in Italia. Si tratta d'una bolla plumbea
di apparenza molto arcaica, che reca sul diritto un busto di re coronato
che tiene nella mano destra la croce e nella sinistra il volumen. Nel
campo le lettere del nome livtpran. Al rovescio una croce collocata
sopra gradini, interamente analoga a quella che si vede sui soldi aurei
del basileus Leone III l' Isaurico, per l'appunto contemporaneo di Liut-
prando. Lo Schlumberger non esita a riconoscere quindi nella bolla un
suggello del re langobardo, sebbene dichiari d'ignorare se si conoscano
monumenti congeneri di sovrani langobardi.
Ecco una domanda a cui ci piacerebbe veder rispondere i nostri
competenti studiosi di numismatica e sfragistica (i).
/^ Cremonesi maestri a Lucca ed a Verona. — Il dott. Paolo Bar-
santi nel suo recentissimo e nudrito volume sul Pubblico insegnamento
in Lucca dal sec. XIV alla fine del sec. XVII (Lucca, tip. Marchi, 1905),
trattando dei maestri che furono nel trecento chiamati a professare
grammatica nella graziosa città toscana, rammenta anche Francesco da
Cremona, che fu in Lucca otto anni di seguito, dal 1354 al 1362, ed ol-
treché la grammatica ebbe pure incarico di erudire gli scolari suoi nella
logica e nella filosofia. Di qui si vede che Francesco non era un sem-
plice maestro di scuola, bensì un insegnante di tipo universitario; ed
infatti, prima di recarsi a Lucca nel 1354, egli professava nello studio
di Pisa, ed a Pisa ritornò nel 1362 ad insegnare oltreché grammatica
anche logica e fisica, quando più non gli piacque la dimora lucchese.
Il nome di questo " sufficientissimus doctor „, come lo vediamo chia-
mato in un documento del tempo, edito dalBarsanti (op. cit., p. 210), ci era
già noto per la sua stanza a Pisa, di cui ragionò anche il Fabroni. Pec-
(i) Lo stesso Schlumberger descrive un'altra bolla di piombo con leggenda
indecifrabile, dove le iniziali S. A., che sono nel centro, dovrebbero secondo lui
significare Sanctus Amhrosius. La supposizione ci sembra semplicemente fantastica.
Arch. Stor. Lomb., Anno XXXII, Fase. Vili. 31
482 APPUNTI E NOTIZIE
cato che nessuno dei documenti a lui concernenti ci sappia dire da qual^
famiglia provenisse !
D'un altro grammatico cremonese, nato sullo scorcio del trecento,
ma la cui attività si esplicò tutta nella prima metà del secolo seguente^
ci ha poi dato or ora notizie queir infaticabile esploratore della storia
civile e letteraria veronese, che è il prof. Giuseppe Biadego, in un ele-
gante opuscolo pubblicato per le nozze Avena-Tebaldini (C/« cremonese
maestro a Verona : Bartolomeo Borfoni, Verona, stab. tip. Franchini, 1905).
Si tratta di un Bartolomeo Borfoni, che il Lancetti con la sua solita fran-
chezza spacciò per figliuolo d'un altro Borfoni, esso pure maestro di
scuola, quel Folchino, di cui il nome è più noto vuoi per i suoi amiche-
voli rapporti con Moggio da Parma, vuoi per i suoi scritti letterari e
grammaticali. Di Bartolomeo, che se non figlio fu però congiunto di
Folchino, noi sapevamo fin qui che aveva abbracciato la carriera eccle-
siatica e che, recatosi a Vicenza per attendervi al suo ufficio di inse-
gnante, v'era divenuto mansionario della Cattedrale ed aveva retto le
pubbliche scuole fino all'anno 1443, in cui ebbe a cedere l'incarico troppo
grave per lui al suo successore, il famoso Ognibene da Lonigo. Adesso
il Biadego, grazie ai documenti rinvenuti nei patrii archivi, ci fa nota
che Bartolomeo prima che a Vicenza teneva scuola in Verona, dove
appare la prima volta l'anno 1400 collo stipendio non lauto di lire sei
al mese. Poco contento, pare, del suo stato, nel 1406 il Borfoni inizia
trattative col comune di Vicenza, che gli off'riva quasi il doppio dello
stipendio fin allora goduto, ove si recasse colà. I Veronesi, spiacente
di vedere partire il Borfoni, gU concessero un aumento, inferiore però
a quello che il maestro chiedeva, e questi finì per piantarli in asso
forse in modo poco legale. Da Vicenza il Borfoni non si mosse più :
morendo nel 1444, dei suoi beni lasciò eredi i mansionari della Catte-
drale, che gli eressero una tomba oggi scomparsa. Solo 1' epigrafe ne
avanza, dove il Borfoni è lodato come dotto e come scrittore. A noi
non è concesso sapere se 1* iscrizione dicesse il vero, perchè niun'opera
di Bartolomeo c'è pervenuta. Certo ei non fu un grand'uomo, ma l'opera
sua diuturna ed efficace d' insegnante lo rende degno del pietoso ri-
cordo che il Biadego ha voluto dedicargli.
F. N.
/^ Nell'interessante memoria del Kochendòrrffer, Pdpstliche Kurialen
wdhrend des grossen Schismas (Neues Archiv, XXX, 3, 1905) vien descritto
il personale della cancelleria di papa Bonifacio IX (1389-1404), durante
il grande scisma. Tra gli ufficiali di curia notiamo un la. de Fapia^ che
nel 1391 e 1393 è tra i rescribendarii e ancora figura come tale nel 1403.
Tra i computatores a\V a. 1404 un M. de Novaria; al 1403 il cremo-
nese B, de La Capra^ futuro arcivescovo di Milano.
Tra gli scriptores et abbreviatores : Daniel de Bossis, lombardo cer-
tamente ; Jacobus de Canis de Papia (1389-90), che è il medesimo già.
citato fra i rescribendarii ; Lazarus de Papia (1393).
APPUNTI E NOTIZIE 483
Tra gli scriptores: Arpinus de Collis de Alexandria; A. de 0/^/5(1393);
B. de Novaria; M. de Novaria (1390), che è il medesimo citato sopra
fra i computatores.
Tra gli uditores del sacro palazzo : Branda da Castiglione (1392-
1403), poi cardinale; Paulus de Dugnano (1391-96).
Tra gli advocati consistorii: Samuel de Cremona (1394?); Blasius
de Mediolano (1404) ; Ardicinus de la Porta di Novara (1400).
/^ Artisti sconosciuti? — Ai 9 ottobre 1387 dal Consiglio e Sa-
pienti della città di Lodi concedevasi l'immunità per gli oneri personali
a Raynaldo de Spino, " pictori civitatis Laude „ (i).
In data 5 ottobre 1451, e da Lodi, Francesco Sforza, duca di Milano,
rilasciava lettere di passo, valevoli per 4 mesi, a favore di magistro
Jacobo de Placentia sculptori nostro (2).
Artisti sconosciuti finora?
/^ Intagliatori a Milano. — La storia dell'intaglio e dell'* intarsio
in Lombardia non è peranco fatta, benché si abbia qualche monografia
particolare. La nostra Società possiede, per dono degli eredi, il molto
materiale ms. raccolto dal compianto socio e ben noto scrittore d*arte
Michele Caffi, che a taluni insigni artefici, quali i Canozzi da Lendinara,
fra Raff"aello da Brescia e fra Giovanni da Verona, già aveva consacrate
delle illustrazioni a stampa.
Degli intagliatori ed intarsiatori operanti nelle chiese di Milano
dal 1141 al 1765 s*è occupato il Forcella (3): dei maestri intagliatori
Martinolo da Orsenigo (1393), forse del casato dei celebri architetti del
duomo, e Bartolomeo da Novara (1479) ha fatto in seguito menzione il
nostro Archivio (4). Aggiungiamo qualche altro nome.
Maestro Marco Antonio de* Calassi assumeva nel 1484 in appren-
dista dell'arte sua ovvero " intaliandi lignamina „ e pel tirocinio di sette
anni, Paganino, figlio di Pietro de' Frigeri. Dimorava nella parrocchia
di S. Raffaele (5).
Si metteva alla bottega di maestro Angelino da Legnano, abitante
in S. Fedele, per imparare, per anni sei, dal 1^ dicembre i486 innanzi,
" de arte lignaminis „ Michele de' Madioni, abitante nelle cascine di
La Torgiera, territorio di Garegnano. Il padrone lo teneva in casa sua
ad un medesimo pane e vino, istruendolo del suo meglio, dandogli oltre il
vitto, esclusi i vestiti, L. 8 imperiaH all'anno per sua mercede. A sca-
(i) Bibl. Ambrosiana, cod. E. S. VI, 13, fol. 54.
(2) Arch. di Stato di Milano, Registro ducale n. 87, fol 324.
(3) Notizie storiche degli intarsiatori e scultori in /«f«o, Milano, Kantorowicz,
edit., 1895.
(4) XXII, 1895, p. 540 e XXVIir, 1901, p. 455.
(5) Arch. notarile di Milano, Rog. 21 gennaio 1484, not. Giosafatte Corbetta.
484 APPUNTI E NOTIZIE
denza degli anni del contratto prometteva dargli " unam planam, unam
" resegam, unam maneram, reseginum unum et sechurim unam et pia-
" norium unum „ (i). Qui, ci sembra, anziché di un intagliatore trattasi di
un semplice falegname.
Maestro Ambrogio de' Donati, abitante in S. Paolo in Compito, ac-
cettava in apprendisti " de arte intaliatoris „ il 20 gennaio 1507 il gio-
vinetto Agostino figlio di maestro Bernardino da Giussano, e il 4 mag-
gio 1508 Giov. Pietro, figlio di maestro Giuseppe de Basti, abitante in
Vigevano; il primo per otto anni ed il secondo per sei anni (2).
Tre anni prima (27 luglio 1505), era morto in causa di ferite, il tren-
taseienne Ambrogio da Brivio, " intaliator legnanimum „, dimorante a
S. Raffaele (3).
E. M.
/^ Il Battaggio alla chiesa di S. Marcellino di Milano. — Ultimo
lavoro forse comparso intorno al Battaggio è quello dell*arch. E. Gus-
salli sull'opera sua nella chiesa di S. Maria di Crema (4).
Si aggiunga qui un appunto che lo riguarda per la chiesa di S. Mar-
cellino in Milano. Ai 4 gennaio 1491 " magister Johannes de Batagijs
" q.*" domini Thomini „, in porta Ticinese, nella parrocchia di S. Mau-
rilio, confessava d'aver ricevuto da Nicolao de Gritti e Giov. Agostino
da Vallate, fabbricieri della chiesa di S. Marcellino, in Porta Comasina,
L. 120 " prò piena et completa solutione et integra satisfactione quo-
" rumcumque operum factorum et fieri factorum per dictum confitentem
" in ecclesia Sancti Marcelini Mediolani, hinc retro, et quarumcumque
*' rerum ac lapidum, cuporum, ferramenti, calzine et sabioni, ac ligna-
" minum posit. in opere hinc retro in ea ecclesia „. E si citava un istru-
mento di patti, tacendone però la data, tra il Battaggio ed i rappre-
sentanti di quella chiesa, a rogito notaio Antonio de Andriotti (5).
La chiesa di S. Marcellino, rifabbricata nel 1625 dal card, arcive-
scovo Federico. Borromeo, venne demolita nel sec. XVIII. Badisi che
ai tempi del Battaggio, ne era beneficiale un altro illustre lodigiano: il
musico Franchino Gaffurio.
E. M.
/. Armaiuoli lombardi a Urbino. — Nel n. 15-16 1905 di Arie e
Storta il signor Ercole Scatassa produce un elenco di armajoli in Urbino
nei secoli XIV-XVII. Ne caviamo i seguenti nomi di lombardi: Giovanni
(i) Arch. not. di Milano, Rog. i486, i.» dicembre, not. A. Zunico.
(2) Rog. not. Gio. Ambrogio de' Magistri, in cod. Triv., 1820, fol. 461, III.
(3) Cfr. quest'Archivio, XVIII, 1891, p. 263, dove è pur ricordata la morte
di Riccardo da S. Floriano, di 50 anni, maestro da legname caduto dall' alto del
duomo ai 6 maggio 1474.
(4) In Rassegna diarie, febbraio 1905.
(5) Arch. not. di Milano, Rog. not. A. Zunico.
APPUNTI E NOTIZIE 485
Battista di Giacomo da Como, balestriere nel 1484 — Sebastiano di ma-
stro Antonio da Cremona dal 1489 al 1520 — Mastro Piero di Milano^
armaiolo nel 1517 — Giacomo di ser Giovanni di Como, " spadario sive
" armarolo „, dal 1521 al 1540.
J*^ Maestri da ballo milanesi. — È noto quanto meritata e sparsa
fosse fuori d'Italia la fama dei maestri da ballo milanesi nel periodo spa-
gnuolo: rappresentante più insigne di essi Cesare Negri, detto il Trom»
bone, di cui abbiamo alla stampa l'opera " vaghissima „ delle Nuove in-
ventioni di balli (Milano, Bordone, 1604), ora diventata assai rara (i).
Il suo stato di servizio, oltreché da quanto egli stesso narra nel
suo trattato, ci è ora fornito da un documento dell'Archivio di Simancas,
pubblicato, non è molto, da Gautillo de Antano nella Revista de Archivos,
(novembre dicembre 1904, p. 459), documento interessante anche perchè
vi è il ricordo di suo figlio Filippo Negri, cieco.
" Negri (Cesar de).
" Fué professor de danza cuarenta y siete aiios en la Casa Real;
" ensenó al Emperador Ridolfo, al Archiduque Ernesto, a D. Juan de
" Austria, à la Infanta cuando estuvo en Milàn, a las damas de la Reina
" a su paso por alli y a los gobernadores de aquel Estado que hubo
" en su tiempo. Compuso é imprimió un libro de su arte titulado Las
" gracias de amor, que dedico y presentò al Rey en 1603, por lo que
" se le concedieron ocho escudos de entretenimiento al mes en Milàn.
" Solicitó traspaso de la pensión en su hijo Felipe de Negri, inhàbil
" para el servicio de S. M. por ser ciego, aunque el padre no era de
" mucho provecho por tener setenta anos y estar poco sano, aunque
" creia que no se le hizo la merced por que sirviese, sino por lo que
" habia servido; y debió ser asì en efecto pues el Rey concedió otros
" cuatro escudos al hijo sin quitar los ocho al padre;
" (Arch. de Simancas, Estado T104).
«IP
1. r. „.
Non mancarono anche nel settecento i ballerini italiani all' estero.
Ed è curiosa e rarissima la Scuola di ballo o Neue und Curieuse Thea-
tralische Tantz-Schul del maestro Gregorio Lambranzi, stampata col
suo ritratto e con tavole incise in rame, da Gio. Giorgio Puschner in No-
rimberga nel 1716.
*^ Anagramml — Segnaliamo la comparsa dei primi sei fascicoli
del foglio bimestrale Classici e Neolatini diretto dal prof Silvio Pellini
in Aosta. Nel solito bollettino bibliografico abbiamo data e diamo l'in-
dicazione di diversi articoli contenutivi che hanno relazione colla storia
dell'umanesimo in Lombardia, dovuti al Nogara, al Cinquini, al Bonelli
(i) Nella Storia di Milano del Verri (III, p. 311) sono riprodotte due delle:
$8 tavole di danze.
486 APPUNTI E NOTIZIE
ed al Pellinì stesso. Qui riporteremo dal n. 4, p. 185, comechè perduto
in un periodico di non facile accesso agli studiosi, V anagramma di
Milano, dettato da Fr. Benei, ed edito a Lione nel 1606.
Mediolanum.
Anagramma Fr. Beneij (i).
En odi malum.
O illa felix civitas, cui sic licet
Quod civitati principi Insubrum licet,
Matrique Patris optimi et sanctissitni
Dixisse, et insit veritas verbo et fides,
Traiectae id arte nominis dant literae,
Ad indicandum forte si rem pertinent.
Bona aemulatrix gloria : En odi malum.
O illa felix et beata civitas!
Nel n. 5, a p. 227, riproducesi la Urbium Italicarum Descriptio Thomae
Eduardi Angli, su lezione stabilita col confronto delle due edizioni del
già citato Parnassus poeticus di Nicolò Nomesio del 1606 e 1612. In essa
è detto delle città lombarde:
Est Mediolanum iucundum nobile magnum
Maxima pars hominum clamat miseram esse Cremonam
Vina Utini varìas generosa vehuntur ad urbes.
Mantua gaudet aquis ortu decorata Maronis,
Brixia dives opum parce succurrit egenis.
Italicos versus praetert Papia latinis
Bergomum ab inculta dictum est ignobile lingua
Vercellae lucro non delectantur iniquo
Odit mundanas sincera Novaria fraudes.
Laus Pompeia boves pingues producit ovesque
Hospitibus Comum pisces cum carnibus ofFert.
¥ jf
Tra le falsificazioni di documenti medievali che levarono più
rumore verso la metà del secolo passato, vanno certo menzionate
quelle numerosissime dovute a monsignor Antonio Dragoni, canonico
cremonese (ma piacentino di nascita), il quale con i suoi apocrifi mo-
numenti ingannò il Troja, il Robolotti, il Mazzetti, ed altri parecchi
tra gli storici del tempo suo. Sulla sua trista opera di falsario ha ora
scritta una notevole dissertazione, sulla quale ritorneremo, un dotto
tedesco, Ernst Mayer. Essa è intitolata : Die angeblichen Fàlschungen
des Dragoni. Uebersehene Quelle zur kirchlichen und weltlichen Verfas-
sungsgeschichte Ilaliens, Leipzig, 1905.
(i) Parnassus poeticus hiceps Nicolai Nomessii Charmensis Lotharingi,
Lugduni, apud Joh. Pillehotte, MDCVI.
APPUNTI E NOTIZIE 487
^*^ Onoranze a Cesare Cantù. — Il giorno io novembre scorso
«bbe luogo il trasferimento della salma di Cesare Cantù dal cimitero
monumentale di Milano, dove trovavasi, a quello di Brivio.
L'illustre storico, fondatore della nostra Società nel 1873, e morto
a Milano dieci anni fa, essendone tuttavia Presidente, aveva espresso
nel suo testamento il desiderio di essere sepolto nel suo paesello natale.
Ed a Brivio, in un bel monumento, opera dello scultore Danielli, innal-
zatogli dalla pietà figliale di donna Rachele Villa Pernice, venne l'ii
novembre solennemente tumulato.
Il monumento è formato da un gruppo di colonne reggenti un sar-
cofago di marmo, davanti al quale, sovra un'alta colonna, sta il busto
del Cantù, in marmo di Gandoglia.
Alla mesta cerimonia in Milano ed in Brivio presenziavano nume-
rose le autorità e non meno numerosi gli ammiratori ed i congiunti dello
storico.
Un bel volume poi fu pubblicato a cura del Comitato delle onoranze
a Cesare Cantù, prendendo occasione dal primo centenario della sua
nascita (i). Oltreché ad un'ampia e documentata biografia Tavv. Pietro
Manfredi vi ha fatto posto ad alcuni scritti minori, o inediti e poco noti
■del Cantù, che servono viemmeglio a fare conoscere l'animo del grande
scrittore che ha onorato tanto l'Italia. Del volume, arricchito da non
pochi ritratti e fini incisioni, l'Archivio nostro dovrà ancora occuparsi.
La solenne commemorazione centenaria del Cantù all'Istituto Lom-
bardo di scienze e lettere, del quale fu operoso membro effettivo, verrà
tenuta (secondochè pare) dal prof. Carlo Cipolla, dell'Ateneo di Torino.
/^ Un pubblico numeroso e distinto assisteva domenica, 26 novembre
scorso, alla conferenza storica tenuta dall'egregio nostro consocio conte
Francesco Daugnon nella sala municipale di Offanengo. La conferenza
doveva inaugurare i lavori del nuovo campanile e intendeva con molta
ragionevolezza decidere i cittadini di Offanengo, del qual borgo il conte
Daugnon è sindaco, a fermarsi sopra un'opera d'arte degna dei sacri-
fici che hanno già sopportato per la loro bella chiesa.
Con esposizione facile, sicura e garbata, l'oratore tratteggiò, come
in un quadro, tutta la storia antica e medievale di Offanengo, borgo
antichissimo, soffermandosi specialmente ai rapporti suoi con Crema,
agitata dai partiti guelfo e ghibellino. Toccò d'uomini e di fatti impor-
tanti, quaU il conte Mangifredo, il Benzoni, le lotte, le vittorie alterne
di Offanengo coi nemici suoi e di Crema.
Il conte Daugnon, conosciutissimo per i suoi studi araldici e genea-
logici, ha pronta una Storia degli Italiani in Polonia, di cui apparirà fra
(i) Cesare Cantù. La biografìa ed alcuni scritti inediti o meno noti a cura
dell'avv. Pietro Manfredi nel Centenario della nascita. In-8 ili., Torino, Unione
tip. edit., 1905.
488 APPUNTI E NOTIZIE
breve il primo volume. Non dubitiamo che il libro sia per riuscire un
importante contributo alla storia dell' emigrazione italiana e trovare fa-
vorevole accoglienza presso gli studiosi.
^*^ Tra le pubblicazioni artistiche di recente pervenute in dono alla
nostra Società, due notevolissime sono dovute alla cortesia dei consoci
baroni Giuseppe e Fausto Bagatti-Valsecchi. L*una è la superba opera (i),
già pota agli studiosi, sulla loro casa in Milano; Taltra una monografia
recentissima, con finissime illustrazioni, sulle loro ville di Cardano e di
Varedo (2).
Queste due ville, illustrate dairarch. G. Moretti, sono degne sorelle
della casa di Milano, e rivelano, non meno di questa, il sentimento ar-
tistico, il buon gusto e l'amore pel bello antico associato alle esigenze
moderne, che sono doti speciali dei fratelli Bagatti-Valsecchj, i quali, con
raro esempio, sanno usare della ricchezza nel modo più nobile, facendola
strumento di culto per Tarte e di rigenerazione artistica, tanto più am-
mirabile in un ambiente di modernità come Milano.
Far risorgere fra noi, nella città e nella campagna, il tipo delle
abitazioni signorili del nostro bel tempo antico, e non solo ispirarsi ai
migliori modelli de* secoli in cui la vita privata italiana era tutta un
sorriso di arte, ma adoperare con rara sapienza, restaurando o rico-
struendo, materiali antichi raccolti e salvati dalla dispersione o dalla
rovina, questo è compiere un'alta e duplice missione.
Parti superstiti di monumenti distrutti, opere d'arte disperse e igno-
rate hanno trovato nei fratelli Bagatti-Valsecchi non solo i loro salvatori
e raccoglitori, ma gli artisti illuminati, che in ricostruzioni e restauri ne
hanno fatto membra integranti di nuovi organismi, restituendo quei ci-
meli a nuova vita e abilmente armonizzandovi le parti nuove, senza
togliere rilievo alla loro originaria disposizione e fisonomia. E ove non
hanno potuto valersi dell'antico, hanno con amore ricercato e fedel-
mente riprodotto motivi antichi, consoni a quelli cui dovevano as-
sociarsi, anziché mendicare a fantasmi di nuovi stili elementi in troppo
stridente disarmonia coU'antico. Coloro che hanno mirabilmente re-
staurato la chiesa di S. Maria della Pace, ripristinando nella sua in-
tegrità uno de* più bei tempH quattrocenteschi di Milano, coloro che
hanno nella casa di Via S. Spirito eretto un raro monumento di arte
privata, e nell'architettura e nella decorazione e nella suppellettile, i
'medesimi hanno con pari buon gusto ed eleganza restaurate e finite
nei minimi particolari le ville di Cardano e di Varedo, ricomponendo
nella loggia superiore di quest'ultima gli avanzi della torre campanaria
del distrutto convento di S. Erasmo in Milano, e ricostruendo nel giar-
(i) La casa Bagatti-Valsecchi al N. 7 della Via S. Spirito in Milano, foL
ili., Milano, 1898.
(2) Le ville Bagatti-Valsecchi a Cardano e Varedo, fol. ili, Milano, 1905.
APPUNTI E NOTIZIE 489
dino alcune arcate dell'antico Lazzaretto milanese, demolito, " per far
" posto a un'infinità di infelici case d'abitazione, veri aborti architetto-
" nici e orribili esempi negativi dei più elementari precetti igienici „.
A. F.
/^ Vedrà prossimamente la luce, pei tipi di C. Rossetti, un Codice
diplomatico degli Agostiniani di S. Pietro in del d'Oro, dovuto al no-
stro consocio prof. R. Majocchi, in collaborazione col dott. Nazareno
Casacca.
/^ I Benedettini di Solesmes hanno aperta la sottoscrizione per
la ristampa del celebre Sanctuarium, seu Vitae Sanctorum ex diversis
codicibus collectae di Bonino Mombrizio. La notizia sarà favorevolmente
accolta da tutti gli studiosi dell'agiografia. L'edizione originale ed unica
del Sanctuarium, stampata a Milano circa il 1480, era ormai introvabile
o offerta a prezzi eccessivi nei cataloghi d'antiquari; si contano le bi-
blioteche dove l'opera può essere consultata.
La nuova edizione sarà la riproduzione scrupolosa del testo del-
l'antica. Gli editori vi aggiungeranno delle note, delle correzioni, una
scelta di varianti e degli indici. I due volumi dell'edizione originale sono
di pp. 700 a 2 colonne in foglio, ciascuno; la ristampa si farà in un
formato in-8 gr. Jesus, che è d'un uso piìi comodo, ma la^ paginatura
antica sarà riprodotta nei margini. Il prezzo di sottoscrizione è stabilito
in 60 franchi; le prenotazioni vogliansi indirizzare al rev. p. don A. Bru-
NET O. S. B., a Appaldurcombe House^ per Wroxhall^ Isola di Wight (In-
ghilterra).
pervenute alla Biblioteca Sociale nel IV trimestre del 1905
Abad C. M., El culto de la Inmacolada Concepción en la ciudad de Burgos,
Madrid, 1905.
{Armando V. & I.], Per il primo centenario della morte di Edoardo Calvo.
Spigolature di due amici del dialetto e delle memorie torinesi, To-
rino, fratelli Bocca, 1905 (d. d. socio Motta).
Bellodi R., // Monastero di San Benedetto in Polirone nella storia e nel-
Varte^ Mantova, eredi Segna, 1905 (d. d. Editore).
Brioschi D., La casa Bagatti- Valsecchi al N. 7 della Via di S. Spirito in
Milano^ 1905 (d. d. soci fratelli Bagatti- ValsecchiJ.
BuRAGGi G. C, Uno statuto ignoto di Amedeo IX duca di Savoia, Torino,
V. Bona, 1905 (d. d. Autore).
CoMANDiNi A., Echi napoletani del 1860 nelle lettere di una imperatrice
(Nozze Bisleri-Bordoni), Milano, tip. Gualdoni, 1905 (d. d. s. Motta).
Comune di Milano, Dati statistici a corredo del resoconto delV amministra-
zione comunale, 1904, Milano, tip. E. Reggiani, 1905 (d. d. Municipio).
Carte, piante e vedute dell'antica Milano (d. d. s. Bertarelli).
Frisiani C, Antonio Rezzonico {1828-190^) commemorato nella seduta
straordinaria dell'Opera Pia Guardia medico-chirurgica notturna di
piazza del Duomo, Milano, tip. G. Agnelli, 1905 (d. d. s. A.).
G. C, // B. Giovanni da Vercelli {1200-128J), Roma, A. Befani, 1904
(d. d. s. Ghisi).
<jriULiNi A. & Legnani F., Discorsi pronunciati per l'inaugurazione del-
l'Asilo Giovanni Bernardo Merini {io giugno ipoj), Milano, tip. Gon-
falonieri, 1905 (d. d. s. Giulini).
JLuzio A., / martiri di Belfiore e il loro processo, Milano, tip. editrice
L. F. Cogliati, 1905 (d. d. Ed.).
OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE 49I
Manfredi P., Cesare Cantù. La biografia ed alcuni scritti inediti o meno
noti, Torino, Unione tip. editr., 1905 (d. d. Comitato per le ono-
ranze a C. Cantù).
Meroni V., La pieve d'Incino e mandamento d'Erba, voi. II, Milano,
tip. G. Agnelli, 1905 (d. d. s. A.).
Milano nel igoy. X Congresso internazionale di navigazione interna,
XXIV settembre 1905, Milano, tip. U. Allegretti, 1905 (d. d. Muni-
cipio).
Montanelli P., // movimento storico della popolazione di Trieste, Trieste,
G. Balestra, 1905 (d. d. A.).
Moretti G., Le ville Bagatti-Valsecchi a Cardano e a Varedo, Milano,
stab. Menotti Bassani & C, 1905 (d. d. soci fratelli Bagatti-Val-
secchi).
MuoNi G., Note per una poetica storica del romanticismo, Milano, Società
editr. libr., 1906 (d. d. A.).
Pesce A., Alcune notizie intorno a Giovanni Antonio del Fiesco e a Nicolò
da Campofregoso {144^-14^2), Genova, tip. della Gioventù, 1905 (dono
dell'A.).
Piette e., Sur une gravure du Mas d'Azil, Paris, 1903.
— Gravures du Mas d'Azil et statuettes de Menton, Paris, 1902.
— Consequences des mouvements sismiques des régions polaires, Angers,
1902.
— Etudes d'ethnographie préhistorique. VI. Notions compiè mentaires sur
l'Asylien. VII. Classification des sédiments formés dans les cavernes
pendant l'age du renne. VITI. Les écritures de Vage glyptique^ Paris,
1904-1905 (d. d. A.).
Piccolo Archivio Storico dell'antico marchesato di Saluzzo diretto da Do-
menico Chiattoiie, annata II, Saluzzo, Bovo & Baccolo, 1903-1905
(d. d. s. Chiattone).
PiLOT A., La morte di Tomaso Morosini, Arezzo, E. Sinatti, 1905 (dono
d. d. s. Motta).
Reinach S., La collection Piette au Musée de S. Germain, Paris, E. Le-
roux, 1902 (d. d. signor Piette).
Rezzonico G., Relazione sull'andamento morale ed economico dell'anno
igo4 dell'Opera Pia Gurdia medico-chirurgica notturna, Milano, tip.
G. Agnelli, 1905 (d. d. s. A).
RuscH G., Schicksale und Thaten des k. u, k. Infanterie-Regimentes hoch-und
Deutschmeister Nr. 4, Wien, 1895 (d. d. s. Ghisi).
492 OPERE PERVENUTE ALLA BIBLIOTECA SOCIALE
Salvoni a., Discorso stille vittime della rivoluzione di Brescia nel giorno'
del solenne trasporto delle loro ossa al cimitero pubblico^ Brescia,
tip. Apollonio, 1861 (d. d. A).
Segre A., Alcuni elementi storici del secolo XIV iteli' epistolario di Coluccio
Salutati, Torino, tip. Baglione & Momo, 1904 (d. d. s. A.).
Tencajoli O. F., La villa episcopale di Balerna in // Buon Cuore di Mi-
lano, 5 agosto 1905.
— Un légat da pape Clément Vili en Pologne au IS96 in Bulletin Polo-
naise 1905, n. 208 (d. d. A.).
Variali C, Luciano Manara^ Milano (d. d. s. Ghisi).
2j dicembre i^oj.
Il Bibliotecario
B. Sanvisenti
II
IJVDlO£>
MEMORIE.
Carlo Salsotto. Sul significato del nome a Italia » presso
Liutprando, vescovo di Cremona ...... Pag. 5
Alessandro Colombo. L'ingresso di Francesco Sforza in Mi-
lano e l'inizio di un nuovo principato . • • • » 33
Attilio Buttl La fondazione del « Giornale Italiano »> e i suoi
primi redattori (1804-1806) „ 102
Dino Muratore. La nascita e il battesimo del primogenito' di
Gian Galeazzo Visconti e la politica viscontea nella pri-
mavera del 1366 „ 257
Felice Fossati. La plebe vigevanese alla conquista dei poteri
pubblici nel 1536 „ 285
Fedele Savio. Giovanni Battista Fontana o Fonteio, scrittore
milanese del sec. XVI „ 343
VARIETÀ.
Gerolamo Biscaro. I documenti intorno alla chiesa di S. Sigi-
gismondo di Rivolta d'Adda Pag, 175
Ettore Verga. Per la storia degli schiavi orientali in Milano „ 188
Angelo Mazzi. La giovinezza di Bartolomeo Colleoni . . „ 376
Emilio Motta. Per la storia della coltura del riso in Lombardia. „ 392
BIBLIOGRAFIA.
Achille Ratti. — /. P. DeMgel, Die politische und kirchliche
Tàtigkeit des monsignor Josef Garampi in Deutschland
(1761-1753). Geheime Sendung zum geplanten Friedenscon-
gress in Augsburg und Visitation des Reichsstiftes Salem. Pag. 200
494 INDICE
Giuseppe Galla vresi. — Comte de Hiibner, Neuf ans de sou-
venirs d'un ambassadeur d'Autriche à Paris sous le second
Empire (1851-1859) Pag. 203
— Baronne du Montet, Souvenirs
Giuseppe Calligaris. — E. Menghini, Dello stato presente
degli studi intorno alla vita di Paolo Diacono . . . „ 401
— A. Roviglio, Una pagina di storia longobardica . . , „ 411
Gerolamo Biscaro. — G. B. Picotti, I Caminesi e la loro si-
gnoria in Treviso dal 1283 al 1312 „ 413
Arturo Frova. — R. Bcllodi^ Il monastero di S. Benedetto in
Polirone nella storia e nell'arte „ 421
Carlo Cipolla. — Z,. A. Muratori. Epistolario. . . . „ 424
Giuseppe Galla vresi. — H. Tronchifty Le conseiller Fran9ois
Tronchin et ses amis Voltaire, Diderot, Grimm, etc. . „ 440
Bollettino di Bibliografia storica lombarda (giugno-dicembre
1905) ,,443
APPUNTI E NOTIZIE.
Appunti : Un cimelio lombardo ricuperato (A. R.). — Due ma-
tematici cremonesi del sec. XVI: fra Leonardo de Antonii
e maestro Leonardo Mainardi (F. N.). — Scacchiera della
seconda metà del XVI secolo appartenuta ad un Bernabò
Visconti di Como (Diego Sant'Ambrogio). — Notizie: Belle
novità alla biblioteca Ambrosiana. — Gara di precedenza
tra Cremona e Pavia. — Una nuova Società Archeologica
Italiana. — Giubileo Bibliotecario. — L' Omero ambro-
siano. — Nuove pubblicazioni storiche. — f Adolfo Mus-
safia Pag. 216
Appunti: Il sigillo di re Liutprando (712-744). — Cremonesi
maestri a Lucca ed a Verona (F. N.). — Lombardi nella
cancelleria di papa Bonifacio IX. — Artisti sconosciuti ? —
Intagliatori a Milano (E. M.). — Il Battaggio alla chiesa
di S. Marcellino in Milano (E. M.). — Armaiuoli lombardi
a Urbino. — Maestri da ballo milanesi. — Anagrammi. —
Notizie : Le falsificazioni di monsignor Antonio Dragoni.
— Onoranze a Cesare Cantù. — Conferenza storica a Of-
fanengo. — Le ville Bagatti-Valsecchi a Cardano e Va-
redo. — Pubblicazioni in corso di stampa . . . . „ 481
INDICE 495
ATTI DELLA SOCIETÀ STORICA LOMBARDA.
Adunanza generale ordinaria dei giorno 7 maggio 1905 : ver-
bale e rapporto de' Revisori Pag. 234
Comunicazione: Di alcuni documenti viscontei in biblioteche
inglesi (C. Foligno) „ 239
Necrologia: Ippolito Malaguzzi-Valeri (F. N.) . . . . „ 246
Opere pervenute in dono alla Biblioteca Sociale nel III e IV
trimestre del 1905 . . „ 255-49c^
Achille Martelli, gerente-responsabtle.
Milano - Tip. L. F. Cogliati - Corso P. Romana, 17.
0
DG
651
A7
anno 3^
Archivio storioo lombardo
PLEASE DO NOT REMOVE
CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET
UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY