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Full text of "Archivio storico lombardo"

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TORONTO  PRESS 


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ARCHIVIO  STORICO  LOMBARDO 


Whivio  storico 

LOMBARDO 

GIORNALE 


DELLA 


SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA 


SERIE  QUARTA 


VOLUME  III  —  ANNO  XXXII 


438717 

l'3-  te  43 
MILANO 


SEDE 

DELLA  SOCIETÀ 
Castello  Sforzesco 


LIBRERIA 

FRATELLI  BOCCA 
Corso  Vitt.  Em.,  21 


1905 


La  proprietà  letteraria  è  riservata  agli  Autori  dei  singoli  scritti 


PS 

657 

Al 
Ouuo  2  2. 


Milano  -  Tip.  L.  F.  Cogliati  -  Corso  P  Romana,  17 


LA  PARTE  INEDITA 

del  più  antico  codice  statutario  bresciano  (*) 


Sommario.  §  I.  Introduzione.  —  §  II.  Ricerche  precedenti  intorno  agli  statuti 
bresciani.  —  §  III.  Descrizione  dei  due  codici  statutari  del  XIII  secolo.  — 
§  IV.  Ordine  delle  disposizioni  nel  codice  statutario  completo.  —  §  V.  La  parte 
inedita  e  sua  importanza.  (Attività  legislativa  della  società  dei  mille  e  delle 
associazioni  popolari.  Le  fazioni  bresciane.  Norme  varie  di  diritto  pubblico 
ed  amministrativo.  Statuti  contro  i  ribelli  di  Valcamonica.  Gli  statuti  della 
gabella.  Le  consuetudini.  L'ordinamentum  ingrossatorum  ed  il  sa- 
cramentum  extimatorum.  Gli  statuta  clausorum).  —  §  VI.  Ca- 
pitoli pubblicati  in  altre  opere  e  collazione  della  parte  inedita  con  lo  statuto 
del  1313. 

§  I.  Da  molti  anni  campo  ricchissimo  di  ricerche  oltremodo 
interessanti  sono  gli  statuti  dei  nostri  comuni  medievali,  fonti 
preziose  per  la  storia  del  diritto  italiano.  Fra  i  più  antichi  ben 
pochi  sono  quelli  che  rimasero  finora^  dimenticati  nei  polverosi 
archivi,  poiché  quasi  tutte  le  città  sentirono  alto  il  dovere  di  trarre 


(*)  Sento  l'obbligo  di  ringraziare  vivamente  l'avv.  Livio  Tovini  di  Brescia 
che  volle,  con  grande  cortesia,  non  potendo  recarmi  tanto  spesso  in  quella  città, 
aiutarmi  nel  presente  lavoro.  Infatti  la  parte  inedita  del  più  antico  codice  sta- 
tutario bresciano  venne  da  lui  esattamente  copiata  e  sarebbe  pronta  per  la  stampa, 
se  qualche  Istituto  ritenesse  opportuna  tale  pubblicazione.  Così  pure  la  collazione 
della  parte  inedita  con  lo  statuto  del  1313  (a  p.  39),  lavoro  lungo  e  paziente, 
venne  del  tutto  compilata  dall'avv.  Tovini.  —  Devo  altresì  ringraziare  il  prof.  Gar- 
belli  della  Queriniana  di  Brescia  per  la  squisita  gentilezza  con  la  quale  volle 
aiutarmi  nelle  presenti  ricerche. 

M.  Roberti. 


Ó  M.   ROBERTI   E   L.   TOVINI 

dall'oblìo  que'  venerandi  monumenti  della  sapienza  e  della  pratica 
esperienza  dei  nostri  maggiori  (i). 

Però  in  quella,  vera  febbre  di  ricerca  che,  specialmente  or  fa 
un  ventennio,  si  accese  fra  gli  studiosi  della  storia  medievale 
italiana,  non  tutte  le  edizioni  degli  statuti  vennero  condotte  con 
l'accuratezza,  eh' è  doverosa  sempre,  ma  tanto  più  nella  pubblica- 
zione di  opere  di  così  grande  mole.  Talvolta  (ciò  però  ad  onor 
del  vero  accadde  ben  di  rado)  l'edizione  riuscì  mancante  sia  dal 
lato  paleografico,  sia  per  difetto  di  note  storiche  o  giuridiche  ; 
oppure,  cosa  ancor  più  grave,  venne  quasi  scelta  a  caso,  senza 
una  opportuna  critica  dei  vari  manoscritti  esistenti,  e  pubblicata 
una  copia  di  un  codice  statutario,  reputato  il  più  antico,  ed  invece 
scorretto,  o  monco,  od  incompleto;  così  che  l'opera,  la  quale  era 
stata  con  tanta  fatica  condotta  a  termine,  finiva  per  portare  sia 
pur  sempre  un  utile  contributo,  ma  tuttavia  ben  limitato  alla  co- 
noscenza di  quella  speciale  legislazione  statutaria. 

Questo  avvenne  appunto,  per  una  disgraziata  vicenda  di  cose, 
riguardo  all'edizione  degli  statuti  bresciani,  pubblicati  nel  1876 
nel  volume  XVI  dei  Monumenta  historiae  patriae,  sopra  un  esem- 
plare tutt'altro  che  completo  ;  così  che  oggi  sarebbe  invero  degna 
opera  scientifica  il  poter  integrare  tale  pubblicazione,  presentando 
ai  cultori  delle  storiche  discipline  ed  in  particolare  agli  studiosi  di 
storia  del  diritto,  l' intero  testo  del  codice  statutario  bresciano  del 
XIII  secolo. 

Ci  si  permetta  intanto  con  questa  breve  dissertazione,  dopo 
di  aver  accennato  ai  vari  scrittori  che  si  occuparono  dell'argomento, 
di  porre  tra  di  loro  a  confronto  i  due  codici  che  si  conservano 
nella  biblioteca  Queriniana  di  Brescia,  facendo  così  notare  al  cor- 
tese lettore  l'importanza  della  parte  inedita  del  più  antico  codice 
statutario  bresciano.  Troppo  spesso  critici  stranieri  e  nazionali 
esprimono  quasi  il  loro  disgusto  riguardo  alle  edizioni  dei  nostri 
monumenti,  che  non  riescono  talvolta  invero  degni  della  scienza 
italiana,  e  se  ciò  suona  come  un  monito  per  il    futuro,  deve  pure 

(i)  Fra  gli  statuti  ancor  inediti  e  che  meriterebbero  davvero  di  essere  pub- 
blicati, ricorderemo  gli  statuti  antichi  di  Treviso,  che  si  conservano  nelle  due  bi- 
blioteche comunale  e  capitolare  ;  gli  statuti  di  Ferrara,  la  cui  edizione  rimase 
sfortunatamente  interrotta,  e  il  codice  carrarese  della  biblioteca  civica  di  Padova, 
che  contiene  numerosi  capitoli  inediti  della  fine  del  sec.  XIII. 


LA   PARTE   INEDITA   DEL   PIÙ   ANTICO    CODICE,   ECC.  7 

spingerci  ad  un  lavoro  di  revisione,  vero  atto  di  carità  patria,  per 
correggere  gli  errori  nei  quali,  forse  per  semplice  inavvertenza, 
sono  caduti  coloro  che  ci  hanno  preceduto. 

§  II.  Il  primo  che  fece  conoscere  gli  statuti  di  Brescia  fu  l'Odo- 
rici, scrivendo  la  storia  di  quella  città.  Al  testo  egli  volle  unire  la 
maggior  parte  dei  documenti  citati,  ed  ancor  inediti  ;  ma  essendo 
quasi  impossibile  inserire  nell'opera  tutti  gli  statuti  bresciani,  ne 
pubblicò  qualche  breve  tratto,  riassumendo,  per  sommi  capi,  il 
contenuto  del  codice,  detto  erroneamente  del  1277.  Il  dotto  scrit- 
tore, nelle  brevi  parole  d' introduzione,  non  accennò  ai  vari  codici  ; 
ma  notò  soltanto  che  i  capitoli  di  quel  codice  che  aveva  esaminato, 
e  dal  quale  aveva  tratto  alcuni  frammenti,  contenevano  leggi  diver- 
sissime, agglomerate  alla  rinfusa,  senza  ordine  di  data,  da  diverse 
commissioni  elette  a  rivedere  e  riformare  quelle  già  in  vigore  ;  e 
che  per  tali  successivi  rimaneggiamenti  ne  era  uscito  un  caos  di 
consuetudini,  di  leggi,  di  statuti,  di  promissioni  scritte  in  epoche 
varie  e  di  vario  argomento  (i).  Alcuni  anni  più  tardi  egli  si  ac- 
cinse a  completare  il  disegno,  da  tanto  tempo  ideato,  di  una  edizione 
degli  statuti  del  sec.  XIII  e  di  quelli  del  1313;  ma,  per  un  caso  stra- 
nissimo, e  di  cui  non  si  deve  certo  all'  Odorici  attribuire  la  colpa, 
l'edizione  ebbe  a  riuscire  monca  ed  incompleta. 

11  Rosa,  nome  ancor  questo  ben  noto  ai  cultori  dei  nostri  studi, 
se  attese  nei  suoi  lavori  di  storia  bresciana  e  nell'altra  sua  opera 
Feudi  e  Comuni  a  tessere  un  completo  racconto  delle  vicende  del 
comune  di  Brescia,  valendosi  abbastanza  largamente  delle  fonti 
statutarie,  non  sottopose  mai  ad  una  critica  minuta  i  codici  bre- 
sciani più  antichi,  ad  altri  lasciando  tale  lavoro  (2).  Egli  avrebbe 
allora  facilmente  evitato  al  Lodrini  e  al  Da  Ponte  l'errore  nel  quale 
caddero,  quando  essi  si  prestarono  «  a  pazienti  e  minutissimi  ri- 
«  scontri  sui  codici  dell'Archivio  cittadino,  lenta  ed  ardua  im- 
«  presa  »  (3)  ;  forse  troppo  ardua,  perchè  essi,  pure  accorgendosi 
che  r  Odorici  compieva  la  sua  pubblicazione  sopra  un  codice  in- 
completo del  XIII  secolo,  e  conoscendo  l'altro  esemplare  sincrono 

(i)  Odorici,  Storie  bresciane^  Brescia,  Gilberti,  1854,  voi.  VII,  p.  104  sgg. 

(2)  Rosa,  Statuti  di  Brescia  nel  medio  evo,  in  Arch.  star,  itaì.,  to.  X,  par.  II, 
P.  54  sgg. 

(3)  M.  H.  P.,  cit.,  prefazione  dell'Odorici  a  p.  [1584]  42. 


8  M.    ROBERTI    E   L.    TOVINI 

del  tutto  completo,  non  ne  fecero  caso,  ritenendo  forse  quello  molto 
più  antico  di  questo. 

Ricorderemo  ancora,  così  alla  sfuggita,  John  Milton  Gitterman 
per  avere  pubblicato,  in  un  breve  lavoretto,  la  vita  di  Ezzelino  da 
Romano,  con  documenti  tratti  dallo  statuto  completo  del  XIII  se- 
colo (i).  Notizia  più  larga  merita  invece  l'opera  di  Andrea  Valen- 
tini.  Questo  diligentissimo  raccoglitore  delle  notizie  storiche  cit- 
tadine, in  un  lavoro  specialmente  critico,  dopo  di  aver  accennato 
alle  vicende  delle  leggi  municipali  bresciane,  rilevò  l'errore  nel 
quale  era  incorso  involontariamente  1'  Odorici,  pubblicando  gli  sta- 
tuti che  formano  oggetto  di  questa  breve  dissertazione.  Il  Valen- 
tini,  dopo  un  lungo  esordio,  descrive  brevemente  i  due  codici  più 
antichi  che  si  conservano  nella  biblioteca  civica  Queriniana  di  Bre- 
scia, segnati  nn.  3  e  4,  ambedue  contenenti  gli  statuti  del  XIII  se- 
colo; affermando  che  il  secondo  è  completo,  mentre  è  incompleto 
l'altro  che  servì  per  l'edizione  dei  Monumenta.  Riassume  quindi, 
dopo  aver  accennato  al  codice  n.  5  del  1313,  edito  pure  dall'Odo- 
rici,  i  codici  ancor  inediti  del  1355  (n.  6)  di  Bernabò  Visconti  ;  quello 
del  1355  (n.  7)  di  Gian  Galeazzo  Visconti;  nonché  il  codice  statu- 
tario del  1429,  del  quale  si  giovò  il  Ferando  per  pubblicare  gli  Statuta 
civitatis  Brixiae  del  1473,  oggi  rarissimi.  Oltre  poi  che  arricchire  il 
suo  lavoro  di  documenti  inediti,  come  lo  statuto  contro  i  ribelli  di 
Valcamonica  (cod.  n.  4,  e.  129  v.)  del  1288,  la  pace  «  Inter  intrin- 
u  secos  et  extrinsecos  brixienses  »  del  1317  (cod.  n.  6,  e.  115), 
l'estimo  del  comune  di  Brescia  del  1385,  collazionò  altresì  con  op- 
portuni confronti  molti  capitoli  dei  vari  codici,  chiudendo  questa 
operetta  con  una  ricca  bibliografia  di  tutti  gli  statuti  dei  paratici 
bresciani. 

Per  ultimo  il  Lattes,  il  quale  nei  suoi  primi  lavori  non  rilevò 
l'equivoco  nel  quale  era  caduto  1'  Odorici  (3),  nel  suo  completo  e 
diligente  studio  intorno  al  diritto  consuetudinario  delle    città  lom« 


(i)  Eielin  voti  Romano,  Stuttgart,  1890.  La  trascrizione  del  documento  pub- 
blicato venne  compiuta  dal  Valentini. 

(2)  Valentini,  Gli  statuti  di  Brescia  dai  secoli  XII  al  XV  ili.,  in  Nuovo  Ar- 
chivio veneto,  XV,  1898,  p.  370;  XVI,  p.  188. 

(3)  A.  Lattes,  Il  diritto  comm.  nella  legisl.  statutaria,  Milano,  U.  Hoepli,. 
1884,  p.  9  ;  Intorno  al  diritto  consuet.  delle  città  lomh.,  in  Rend.  R.  Ist.  Lomb., 
serie  II,  voi.  XXVII,  1895. 


LA   PARTE   INEDITA   DEL   PIÙ    ANTICO  CODICE,   ECC.  9 

barde,  pubblicando  le  Consuetudini  di  Brescia  (le  quali  si  trovavano 
ancor  in  gran  parte  inedite  nel  manoscritto  completo  del  sec.  XIII, 
mentre  mancavano  del  tutto  nell'altro  codice  della  stessa  epoca) 
notò  come  il  codice  n.  4  fosse  per  una  parte  rilevante  ancor  ine- 
dito e  come  V  Odorici  avesse  fatto  uso  per  la  stampa  degli  statuti 
bresciani  di  una  copia  posteriore,  piena  di  errori  e  di  lacune.  De- 
scrisse altresì,  per  quanto  brevemente,  il  codice  ;  ammettendo  che 
fosse  stato  compilato  nel  1298;  ma,  eccetto  tale  fuggevole  accenno, 
non  si  occupò  della  parte  inedita,  uscendo  tutto  ciò  dal  suo  interes- 
sante argomento  (i). 

§  III.  Gli  statuti  bresciani  del  sec.  XIII  sono,  come  abbiamo 
accennato,  contenuti  in  due  codici,  l'uno  completo,  con  gravi  lacune 
invece  il  secondo.  L'esemplare  incompleto  (segn.  n.  3),  benissimo 
descritto  dal  Valentini,  è  un  volume  di  105  carte  pergamenacee  e 
13  cartacee  ;  misura  cm.  30  :x  32,  è  legato  in  pergamena,  e  porta 
il  titolo  u  Statuta  civitatis  Brixie  ».  11  carattere  è  gotico,  minu- 
scolo ;  r  inchiostro  è  ancor  nero,  le  iniziali  sono  in  rosso  ed  in 
azzurro  ;  manca  però  il  titolo  dei  libri  e  dei  singoli  capitoli.  An- 
darono perdute  di  questo  codice  molte  carte;  in  parecchie  qualche 
tratto  venne  raschiato  in  modo  da  lasciare  delle  parole  appena  la 
traccia.  Esso,  sebbene  ritenuto  il  più  antico  codice  statutario  bre- 
sciano (2),  non  è  che  una  copia  del  codice  n.  4,  del  quale  venne 
tralasciata  tutta  la  parte  scritta  in  rosso,  come  chiaramente  dimo- 
stra il  confronto  dell'  indice  del  secondo  libro,  che  più  innanzi  pub- 
blichiamo. Ben  poco  riuscirebbe  certo  a  capire  da  questo  manoscritto 
chi  volesse  ricercare  soltanto  in  esso  la  storia  delle  varie  reda- 
zioni statutarie  bresciane.  Più  rilevante  invece  riuscirà  la  descri- 
zione del  codice  completo. 

È  questo  un  volume  in  fogUo,  legato  come  il  precedente,  in 
pergamena  ;  composto  di  188  carte,  capaci  ognuna  di  circa  36-38 
linee  :  misura  cm.  41  x  29  ;  gli  statuti  sono  scritti  in  un  nitido  ca- 
rattere elegante,  gotico  minuscolo,  proprio  della  fine  del  XIII  secolo. 

Come  osservò  già  1'  Odorici,  l'ordine  numerico  degli  statuti  e 
delle  pagine  fu  segnato  più  tardi  ;  infatti  l' inchiostro  adoperato  in 

(i)  A.  Lattes,  //  diritto  consueta  delle  città  lomh.,  Milano,  U.  Hoepli,  1898. 
(2)  Valentini,  Gli  statuti  cit.,  p.  31:  «  questo  è  creduto  il  più  antico  co- 
«  dice  degli  statuti  che  ora  esista  ». 


IO  M.   ROBERTI  E   L.   TOVINI 

tale  posteriore  lavoro  ha  una  tinta  che  ha  perduto  assai  della  sua 
primitiva  vivacità.  Ben  a  ragione  si  può  presumere  che  il  mede- 
simo scrittore  che  fece  tale  numerazione  (o  almeno  uno  scrittore 
della  stessa  età)  abbia  aggiunto  in  calce  ad  alcuni  capitoli  le  di- 
sposizioni più  recenti  che  si  leggono  trascritte  alla  lettera  nel  co- 
dice del  1313  (i);  disegnando  altresì  nel  margine  di  molte  pagine 
delle  figurine  (dadi,  forche,  vesti,  croci,  ecc.)  le  quali  dovevano 
offrire  al  lettore  una  materiale  spiegazione  della  legge  cui  esse  si 
riferivano. 

Il  codice  sul  dorso  porta  scritto:  «  Statuto  dal  1292  al  1298  », 
ed  in  carattere  moderno:  «  Anno  1277  ».  Questa  seconda  data 
parve  certa  a  molti  studiosi,  che  vennero  evidentemente  tratti  in 
errore  dal  seguente  proemio,  pubblicato  sia  dall'  Odorici,  che  dal 
Valentini,  in  modo  non  però  del  tutto  esatto,  e  che  si  legge,  scritto 
in  rosso,  a  e.  io  del  codice  stesso  : 

«  Hec  statuta  comunis  brixie  de  latibulo  confussionis  exposita 
«  claritati.  Seiuncta  siquidem  (correz.  post,  in  inch.  nero  e  caratt. 
«  cors.  qua)  erant  olim  statutorum  membra  que  pertinere  nosce- 
n  bantur  ad  idem  et  sparsum  (corr.  sparsim)  locata  per  varias  libri 
«  partes  unde  (corr.  itaqué)  grosine  (corr.  sine)  tediosa  concaucio- 
«  nis  (?)  indagine  veritatis  integritas  non  potuit  (corr.  poterai)  repe- 
«  riri.  Contrarietatis  (corr.  contrarietas)  etiam  et  aet  (?)  (cane,  post.) 
«  diversitas  in  quibusdam  que  (cane,  post.)  legencium  mentes  ad- 
«  versis  (corr.  diversis)  dubitationibus  impugnabat.  Insuper  quod 
«  (corr.  que)  obscuritati  porrigebat  (corr.  porrigebant)  augmentum, 
«  iuncta  simul  erant  utilia  cum  superfluis  et  approbata  Consilio  cum 
«  cassatis.  Et  sic  predictis  occassionibus  qui  querebant  in  statuto 
«  aliquid,  velut  per  nemus  termitate  (sic)  carens  ancipites  vagabun- 
«  tur  (corr.  vagabantur).  Sed  resecatis  que  superfluitas  viciabat,  eli- 
«  minatis  (corr.  claritatis)  que  consilium  robore  denudavit,  contri 
«  rietatis  oppugnatione  sublata,  singulisque  pertinentibus  ad  ean- 
«  dem  materiam  sub  titulis  competentibus  laudabiliter  agregatis, 
a  certe  dispositionis  ordine,  quo  via  facilitatis  adquirenda  tribuitur, 
«  prout  linquet  inspicientibus,  statuta  ipsa  dispositione,  sunt  debite 


(i)  Così  ad  esempio  il  tratto  a  e.  16  del  cod.  n.  4,  dalle  parole  :  «  et  quod  qui- 
«  libet  potestas  »  alle  parole  :  «  ipso  facto  et  ipso  iure  »,  aggiunto  nel  margine, 
è  riprodotto  alla  lettera  nel  codice  del  1 3 1 3 . 


LA   PARTE   INEDITA   DEL   PIÙ   ANTICO   CODICE,   ECC.  II 

u  ordinata  (agg.  post,  per  infrascriptos  dominos  statutarios  ad  hoc 
u  electos  servatis  solepniter  opportunis.  Nomina  quorum  sunt  hec) 
«  anno  domini  Millesimo  CC.LXXVII  (corr.  CCLXXXXVIII)  in- 
«  die.  quinta  (corr.  ind.  XI)  (i). 

A  questo  proemio,  come  ben  si  vede,  non  troppo  corretto, 
fanno  seguito  alcuni  versi,  pubblicati  pure  dal  Valentini,  rimati  a 
due  a  due,  con  quella  costruzione  un  po'  strana  e  pur  così  cara 
ai  notai  del  dugento  e  del  trecento  che  volevano  dare  prova,  con 
qualche  vezzo  letterario,  della  loro  cultura  : 

Hec  modo  preclarent  licet  olim  condita  starent 

Nube  sub  obscura  peperai  quam  spersio  dura. 

De  quibus  exceptum  fuit  omne  quod  stat  ineptum. 

Versibus  et  prosa  constructio  fit  preciosa. 

Tunc  epygrama  placet  cum  sub  utroque  jacet. 

Laus  igitur  (2)  Christo  versu  referatur  in  iste. 

Quo  lux  formatur  gratia  ubicuique  datur. 

Laus  igitur  Christo  de  cuius  munere  sisto. 

Vi  ha  quindi  riportato  il  titolo  di  venti  capitoli,  nell'ordine 
che  segue  ;  i  quali  trattano  le  cose  le  più  disparate  ;  poi  questo 
elenco  termina,  ed  incomincia  il  primo  libro  degli  statuti  col  giura- 
mento del  podestà,  nello  stesso  ordine  del  codice  n.  3,  già  pubbli- 
cato nei  Monumenta.  Ecco  il  brano  d' indice,  che  sembra  non  avere 
a  prima  vista  molta  relazione  col  contesto  delle  pagine  succes- 
sive (3)  : 

De  sacramento  et  offitio  et   salano  et  satisfactione  potestatis.  (f.ij 

agg.  post.). 
De  registro  et  statutis  et  denunciationibus  prò  exhonorando. 
De  consilìariis  et  consiliis. 
De  spiis  et  ambaxatis  et  euntibus  prò  comuni. 
De  debito  comunis  solvendo. 

De  securando  palatio  et  custodia  broletti  et  carceris  comunis. 
De  augmentanda  civitate  et  inmunitatibus  prò  hoc  concessis. 


(i)  Le  indizioni  corrispondono  esattamente  alle  due  date.  Si  confronti  tale 
proemio  con  quello  del  codice  del  1315  nell'edizione  dei  Monumenta,  3.  p.  1585. 

(2)  Il  Valentini  e  1'  Odorici  lessero  «  gloria  »,  ma  il  segno  paleografico 
corrisponde  precisamente  ad  «  igitur  ». 

(3)  Cosi  ritenne  anche  il  Valentini,  op.  cit.,  p.  34,  il  quale  scrive:  ce  Segue 
«  un  brano  d'indice  del  primo  libro  tolto  forse  da  qualche  altro  codice  statutale, 
«  senza  esatta  relazione  col  contesto  delle  pagine  successive  ». 


12  M.   ROBERTI   E   L.   TOVINI 

De  prelatis  et  pastoribus  ecclesiarum. 

De  elimosinis  et  concessionibus  amore  dei  fatiendis. 

De  toloneis  et  pedagiis  et  de  ferris  (?)  fatiendis. 

De  strada  mantuana  asseguranda  et  ut  negotiatiores  securi  vadant. 

De  mutuis  et  dathiis  seu  fodris. 

De  aptandis  castris  riperie  oley. 

De  prohybitis  in  locis  brixiane. 

De  afranciiitanda  terra  mosii. 

De  providendo  ad  statum  castrorum  et  mercati  novi. 

De  mercatis  et  mensuris. 

De  biava  et  victualibus  et  rebus  nascentibus  in  nostro  districtu  ser- 

vandis. 
De  emendando  breve  comunis. 
De  innovando  regimine  civitatis. 

Ora  sì  il  Valentin!  che  l' Odorici,  avendo  notato  in  fine  del 
proemio  la  data  1277,  attribuirono  la  trascrizione  dell'  intero  co- 
dice all'autore  medesimo  del  proemio  ;  anzi  il  Valentini  sembra 
quasi  affermare,  ciò  che  non  era  certamente  nella  sua  intenzione, 
che  il  codice  stesso  è  del  1277,  nel  quale  anno  «  si  provvedeva 
«  che  in  un  sol  volume  gli  statuti  fossero  raccolti  ed  ordinati  w. 
«  Per  mala  sorte,  presegue  il  Valentini,  la  saggia  deliberazione  non 
u  conseguì  lo  scopo  prefisso;  è  bensì  vero  che  gli  ordinatori  an- 
«  nunziano  di  aver  tolto  dal  latibulo  confusionis  le  sparse  membra 
u  delle  vecchie  deliberazioni,  ma  invece  il  loro  lavoro  presenta 
«  un  caos  di  consuetudini,  di  leggi,  di  giuramenti,  di  convenzioni 
«  registrate  senza  alcun  ordine  sistematico,  né  cronologico  »  (i). 
L'equivoco,  originato  forse  dalle  inesatte  espressioni  che  usarono 
i  due  dotti-  scrittori,  è  chiarissimo,  perchè  questo  codice  contiene 
moltissimi  statuti  emanati  dopo  il  1277.  Secondo  poi  il  Rosa  «  il 
«  notaro  non  fu  che  un  semplice  istrumento  nei  mani  dei  reggitori 
«  di  quel  tempo  ;  ad  essi  la  colpa  di  avere  intercalati  nel  volume 
«  ordinamenti  per  data  ed  argomenti  disparatissimi  »  (2). 

Dall'esame  accurato  del  codice  risulta  invece  che  già  esi- 
steva da  tempo  una  raccolta  delle  disposizioni  statutarie  bresciane, 
probabilmente    della    fine    del    sec.    XII  (3) ,    o    del    principio    del 


(1)  Valentini^  Gli  statuti  cit.,  p.  35. 

(2)  G.  Rosa,  Stor.  bresc,  p.  $0. 

(3)  Ad  essa  forse  si  riferisce  il  doc.  XIV  del  Lib.  Potheris  {M.  H.  P.,  XIX, 
e.  46),  nel  quale  si  stabilisce  che  il  testo  dell'accordo  avvenuto  nel  1 199  fra  Bre- 


LA   PARTE    INEDITA    DEL    PIÙ    ANTICO    CODICE,   ECC.  I3 

sec.  XIII,  e  che  a  questa  prima  raccolta  erano  state  aggiunte 
moltissime  leggi  nel  frattempo  emanate,  così  che  «  qui  querebant 
«  in  statuto  aliquid,  velut  per  nemus  vagabantur  »  (i).  Il  notaio 
che  scrisse  il  proemio  unì  allora  in  una  seconda  raccolta  gli 
statuti  emanati  fino  al  1277,  dando  forse  loro  una  nuova  disposi- 
zione più  sistematica  (2).  Della  prima  collezione  non  ci  rimase  che 
il  solo  ricordo;  ma  di  questa  seconda  abbiamo  il  proemio  e  l'ac- 
cenno alla  divisione  in  sei  libri  :  a  e.  28  (incipit  liber  secundus), 
a  e.  52  r.  (liber  quintus  ;  forse  era  scritto  liber  quartus),  a  e.  55  v. 
(liber  quintus)  e  a  e.  183  (incipit  liber  sextus)  del  codice  n.  4.  Ri- 
masero pure  intercalati  nel  codice  n.  4  dei  brani  d' indice  :  del 
primo  libro,  che  è  quello  più  sopra  riportato  :  del  libro  secondo  e 
del  libro    quinto,   che    qui   pubblichiamo    essendo    ancora  inediti  : 

a  e.  28)  Incipit  liber  secundus. 

De  sacramento  et  offitio  iudicum  potestatis  et  de  offitio  eius- 
dem  potestatis  usque  ad  distinem  (distinctionem  ?)  oflficio- 
rum  iudicum. 

De  cataris  et  alis  sectis  ab  ecclesia  reprobatis. 

De  maleficiis  homicidiis  et  feritis. 

De  penis  et  bannis  et  libris  bannitorum  perpetualium  et  prò 
malificio  fatiendis  et  servandis. 

De  coniurationibus  non  fatiendis. 

De  incendiis  et  dampnis  furtive  factis. 

De  variis  iniuriis  et  interdictis. 


sciani  e  Bergamaschi  «  in  statutis  civitatis  ponatur  ut  semper  ibi  permaneat 
«  immutabile  »,  a  meno  che  non  si  voglia  ammettere  una  prima  redazione  fatta 
nel  sec.  XII. 

(i)  È  appunto  a  questa  prima  raccolta  che  si  riferisce  lo  statuto  del  1245 
(col.  100  nell'ediz,  dei  Mon.)  nel  quale  si  prescrive  al  podestà  l'obbligo  di  con- 
servare gli  statuti  in  tre  esemplari,  da  tenersi  uno  presso  del  podestà  stesso,  uno 
presso  i  giudici,  il  terzo  presso  un  notaio  «  qui  teneat  et  conservet  ipsum  librum 
«  statutorum  ».  Un  documento  del  Liber  Potheris  {Moti.  hist.  patr.^  cit.,  e.  575, 
n.  1^2.  A.  1249-50)  parla  di  questo  corpus  seti  volumen  statutorum,  diviso  al- 
meno in  tre  libri.  La  divisione  in  libri  fu  introdotta  quindi  fino  dalla  metà  del 
sec.  XIII. 

(2)  L'esistenza  in  quella  età  di  una  copia  di  questa  prima  redazione  di  sta- 
tuti ci  viene  confermata  da  un  documento  del  1270.  Infatti  nei  patti  di  concordia 
fra  Brescia  e  Carlo  d'Angiò,  stabiliti  appunto  in  quell'anno,  si  legge  :  «  ubi  pena 
«  imponitur  pecuniaria  debeat  procedere  secundum  statuta  et  ordinamenta  et 
«  consuetudìnes  civitatis  Brixie  ».  (Liber  Potheris  in  op.  cit.,  e.  957). 


I 


14  M.   ROBERTI   E   L.   TOVINI 

* 

De  inquisitionibus  inde  fatiendis. 

De  condemnationibus  faciendis  Consilio  octo   condempnatorum 

et  offitio  illorum  condempnatorum. 
De  condempnationibus  quas  potestas  potest  facere  per  se. 
De  ministralibus  et  eorum  officio. 

Queste  rubriche  sono  scritte  alternativamente  in  rosso  ed  in 
nero,  e  vennero  quindi  solo  in  parte  (quelle  scritte  in  nero)  ripor- 
tate nel  codice  n.  3,  e  da  questo  nei  Monumenta  (col.  123).  Ed 
ecco  infine  le  rubriche  del  libro  quinto,  scritte  in  rosso,  e  quindi 
nel  codice  n.  3,  del  tutto  tralasciate  : 

(a  e.  55  V.)  Liber  quintus. 

De  electione  officialium  et  eorum  salariis. 

De  electione  potestariarum  terrarum  brixiane. 

De  prohibitione  potestariarum  terrarum  brixiane  et  locorum. 

De  cessatione  (?)  elegendi. 

De  cessatione  et  prohibitione  officialium  comunis. 

De  sacramento  sequimenti. 

De  sacramentis  et  officio  officialium  comunis. 

Confrontando  poi  i  titoli  contenuti  in  questi  brani  d' indice  coi 
capitoli  di  ciascun  libro,  si  trova  che  essi  coincidono  con  una  certa 
esattezza  e  che  hanno  più  relazione  di  quello  che  si  creda  col 
contesto  delle  pagine  successive.  Ci  si  presenta  cioè,  benché  alte- 
rata dalle  numerosissime  interpolazioni,  la  tela  dell'antico  codice 
statutario  bresciano  del  1277. 

Dal  1277  al  1293  circa,  in  questa  seconda  raccolta  vennero 
fatte  molte,  correzioni,  che  il  Valentini  enumera  per  sommi  capi 
nel  lavoro  sopra  ricordato  (i).  Nel  1293,  poiché  le  ultime  aggiunte 
sono  appunto  di  tale  anno  (ce.  144  e  183),  venne  fatta  la  redazione 
che  ora  ci  rimane  ;  ricopiando,  con  vari  errori  (2),  poiché  il  notaio 
non  seppe  o  non  riuscì  a  decifrare  bene  lo  scritto,  il  codice  ora 
perduto  del  1277,  con  tutte  le  aggiunte  e  le  modificazioni  fatte  nel 
frattempo,  senza  darvi  un  ordine  né  cronologico,   né  giuridico  (3). 

(i)  Valentini,  op.  cit,  p.  36. 

(2)  Parecchie  indizioni  come  a  e.  99  (A.  1280,  ind.  VII)  sono  errate.  Il 
1280  corrisponde  all' ind.  VI. 

(3)  In  molti  luoghi  di  questo  codice  è  ricordato  che  sotto  la  podestaria  di 
Rolandino  di  Canossa  (1292-95)  furono  riordinati  gli  statuti,  esaminati  dagli 
anziani  e  da  sei  sapienti  per  quartiere. 


LA   PARTE   INEDITA    DEL   PIÙ    ANTICO  CODICE,   ECC.  I5 

E  forse  si  reputò  inutile  fissare  una  data  alla  nuova  collezione, 
tanto  erano  spessi  nel  trecento  i  mutamenti  di  istituzioni,  di  ma- 
gistrature, di  leggi,  specialmente  quando  si  faceva,  come  allora 
dicevasi,  popolo  nuovo  (i). 

Nel  1298,  come  bene  scrissero  il  Valentini  ed  il  Lattes,  gli  sta- 
tuti riordinati  nel  1293  furono  sottoposti  a  nuova  revisione,  ed  i 
correttori,  presi  in  esame  i  due  manoscritti  del  1277  e  del  1293  (2), 
ne  prepararono  una  quarta  trascrizione  che  non  giunse  fino  a  noi 
e  che  forse  non  fu  mai  compiuta.  L'ipotesi  è  abbastanza  logica, 
osservando  che  la  data  1277  scritta  nel  proemio  venne  cancellata 
e  sostituita  dall'altra  1298,  scritta  in  inchiostro  nero  ed  in  carattere 
corsivo  ;  che  nel  primo  paragrafo  dello  statuto,  dove  è  scritto  : 
«  iuro  ego  vicarius  »,  questa  parola  è  cancellata  ed  è  sostituita 
[all'altra  «  potestas  »  (3)  ;  che  in  moltissimi  fogli  si  osservano  cor- 
rezioni nella  stessa  scrittura  corsiva  e  cancellature  interlineari,  an- 
notazioni di  «  vacat  »  e  interi  capitoli  abrogati,  aggiunte  datate, 
osservazioni  marginali;  e  che  infine  la  stessa  mano  aggiunse  la 
numerazione  dei  capitoli  e  la  divisione  in  libri  ripetuta  in  cima  di 
ogni  foglio.  L'ipotesi  è  tanto  più  logica,  come  pure  osservarono 
il  Valentini  ed  il  Lattes,  poiché  nel  1298,  eletto  a  capo  della 
città  il  vescovo  Maggi,  fu  giurata  la  pace  tra  guelfi  e  ghibellini,  e 


(i)  duesta  copia,  del  1293,  venne  fatta  senza  alcun  criterio  giuridico,  ma 
in  modo  veramente  materiale  da  uno  scrivano  o  da  un  notaio  qualunque.  Oltre 
che  inserire  negli  statuti  le  correzioni  marginali  fatte  in  varie  occasioni  dagli 
statutari,  furono  ricopiati  altresì  i  verbali  delle  sedute  nelle  quali  vennero  vo- 
tate le  correzioni  stesse.  Cosi  le  correzioni  che  si  leggono  a  e.  120  v.  sgg.  del 
cod.  n.  4,  si  vedono  già  inserite  negli  statuti  a  e.  17  v.  ;  anzi  gli  statutari  eletti 
nel  1298,  con  una  nota  marginale,  segnarono  evidentemente  tale  ripetizione. 

(2)  Che  i  correttori  del  13 13  abbiano  preso  in  esame  anche  il  ms.  del  1277, 
crediamo  poter  desumere  sia  da  una  nota  marginale  che  si  legge  nel  cod.  n.  4 
a  e.  121  V.  e  che  dice,  a  proposito  del  cap.  CXXI  :  «  hic  videtur  vacare  unum 
«  statutum  qui  est  in  libro  veteri  »  ;  sia  dall'avere  i  correttori  riportate  nello 
statuto  del  13 13  varie  disposizioni  che  mancano  nel  cod.  n.  4  e  che  sono  ante- 
riori al  1277.  (Mon.  hist'patr.,  stat.  del  13 13,  lib.  Il,  §  LVI,  A.  1254;  III,  xil, 
A.  1252). 

(3)  Non  solo  nel  primo  paragrafo,  ma  in  tutto  il  codice  la  parola  «  potestas  » 
è  sostituita  dall'altra  «  vicarius  ».  Cfr.  ad  es.  a  e.  1 37  cap. XV  ;  a  e.  174  cap.  CXL,  ecc.  ; 
variazioni  riportate  naturalmente  nella  redazione  del  1 3 1 3 .  Cfr.  ad  es.  il  cap.  XV 
a  e.  137  cit.  col  cap.  CXCIII  del  lib.  Ili  in  ediz.  dei  Mon.  stat.  del  131 3. 


l6  M.   ROBERTI   E    L.    TOVINI 

in  quel  solenne    giuramento    trovasi   l'ordine    della    riforma   degli 
statuti  (i). 

Dall'attento  esame  di  questo  codice,  che  si  deve  riguardare 
come  il  più  antico  codice  statutario  bresciano,  abbiamo  quindi  no- 
tizia di  ben  quattro  diverse  redazioni  fatte  nel  sec.  XIII,  cioè 
quella  senza  data  precisa,  ma  certo  del  principio  di  quel  secolo, 
quella  del  1277  (ambedue  perdute),  quella  del  1293,  di  cui  esistono 
due  esemplari  e  quella  del  1298. 

§  IV.  Descritti  così  i  codici  statutari  bresciani  del  sec.  XIII, 
crediamo  opportuno,  senza  voler  ripetere  quanto  dissero  il  Rosa 
ed  il  Valentini,  seguire  l'ordine  delle  disposizioni  e  vedere  le  date 
dei  principali  gruppi  di  statuti  contenuti  nel  codice  completo,  per 
mostrare  le  gravi  differenze  di  questo,  col  codice  n.  3,  pubblicato 
nei  Monumenta,  e  per  conoscere  altresì  quali  capitoli  rimangano 
ancor  inediti. 

Le  lacune  del  codice  n.  3  si  devono  in  parte  riferire  allo  scrit- 
tore, il  quale,  come  abbiamo  sopra  accennato,  tralasciò  nella  copia 
ch'egli  fece  quanto  nel  codice  n.  4  era  scritto  in  inchiostro  rosso, 
oltre  tutte  le  aggiunte  marginali;  in  parte  invece  dip^dono  dalla 
mancanza  di  fogli  e  di  interi  quaderni  asportati,  e  da  cancellature 
ed  abrasioni  che  rendono  impossibile  la  lettura  dello  scritto.  Dalle 
prime  che  andremo  più  sotto  annotando,  noi  possiamo  trarre  spesso 
la  data  delle  disposizioni,  e  talvolta  il  nome  degli  statutari  e  varie 
altre  interessanti  notizie  ;  le  seconde,  che  diligentemente  pure  segne- 
remo,  ci  mostrano  capitoli  e  interi  gruppi  di  statuti  ancor  inediti. 

Il  codice  venne  diviso  nei  1298  in  otto  libri  ;  ma  tale  divisione 
priva  di  ogni  criterio  giuridico,  non  si  dovrebbe  certo  nella  pub- 
blicazione seguire  (2).  Esso  si  apre  con  una   nota    di   spese,  fatta 


(i)  Valentin!,  op.  cit.,  p.  37;  Lattes,  //  dir.  cons.,  p.  io. 

(2)  I  codici  statutari  precedenti  si  dividevano  in  quaderni,  carte  e  primo  o 
secondo  lato  della  carta.  Infatti,  durante  tutto  il  sec.  XIII  le  citazioni  (dovendo 
ad  es.  correggere  uno  statuto)  si  facevano  così  :  "  Statuto  posito  in  primo  latere 
«  lercie  carte,  secundi  quaderni  quod  incipit,  etc.  »  (cfr.  cod.  n.  4,  e.  121,  lac. 
in  Mon.,  col.  248).  Divisione,  come  ben  si  vede,  molto  primitiva  e  che  doveva 
ingenerare,  nelle  nuove  redazioni  statutarie,  grande  confusione  e  che  s'abbandonò 
nella  nuova  redazione  del  1313.  Cfr.  cod.  n.  4  a  e.  121  (cap.  LIUI)  con  il  co- 
dice del  13 13  in  ediz.  dei  Mon.  lib.  II,  §  XXI. 


LA    PARTE   INEDITA    DEL    PIÙ   ANTICO   CODICE,    ECC.  I7 

sembra,  nel  1309,  e  dal  tempo  resa  quasi  indecifrabile;  segue  una 
u  reformatio  consilii  centum  »  del  1292  e  l'interessante  statuto  contro 
i  «  malesardi  «  che  manca  nel  codice  n.  4  e  che  fu  aggiunto  più 
tardi  nel  nostro  codice  per  ordine  del  comune.  A  e.  io  si  leggono 
il  proemio,  i  versi  e  l'indice,  che  abbiamo  sopra  riportato;  l'indice 
doveva  essere  nella  redazione  del  1277  quello  del  primo  libro.  Se- 
guono quindi,  fino  a  e.  28  v.  gli  statuti,  secondo  l'ordine  preciso 
<iel  codice  n.  3;  soltanto  in  quest'ultimo  mancano  tutti  i  titoli  delle 
rubriche  e  dei  capitoli,  i  quali  però  nulla  ci  offrono  d'interessante. 
In  questo  primo  libro  abbiamo  riscontrato  le  seguenti  princi- 
pali lacune  : 

Cod.  n.  3,    lac.  in  col.  106  dell'ediz.  dei  Mon.,  14  capitoli  (cod.  n.  4 

dal  LXXI  al  LXXXIV  a  e.  17). 
„  „     107  parte  di  un  capit.  (cap.  LXXXVIII  a  e.  19). 

„  „     109  un  capitolo  (cap.  XCIII  a  e.  20). 

„     no    „        „  (  „     XCV  a  e.  20). 

A  e.  28  fcfr.  Mon.j  e.  123)  incomincia  nella  redazione  del  1298, 
seguendo  quella  del  1277,  il  secondo  libro,  coli' indice  che  abbiamo 
sopra  integralmente  riportato.  Gli  statuti,  che  seguono  da  e.  28  v. 
a  e.  38  V.,  si  possono  a  ragione  affermare  redatti  in  gran  parte  nel 
1277,  poiché  leggiamo  a  e.  38  v.  la  seguente  aggiunta  inetiita  scritta 
in  rosso  :  «  Hec  sunt  statuta  ultra  predictas  corectiones  statutorum 
«  et  suprascripta  capitula  de  novo  condita  per  corectores  ad  hoc 
«  electos  de  voluntate  consilii  generalis  M.CC.LXXVII  »  ;  le  quali 
parole  gettano  luce  intorno  alla  redazione  nuova  avvenuta  appunto 
in  quell'anno.  È  curiosa  poi  la  seguente  aggiunta  inedita  al  cap.  XV 
(e.  32  r.  ;  cfr.  Mon.,  col.  128:  «  Item  quod  orbi  »)  :  «  et  gayuffi  w, 
e  in  margine  :  «  et  intelligantur  gayuffi  omnes  de  quibus  quatuor 
«  boni  homines  et  bone  fame  —  fuerint  concordes  ». 

A  e.  40  {Mon.,  lac,  col.  123)  è  riportata  la  seguente  intesta- 
-zione:  «  Statuta  comunis  Brixie  que  cancellata  erant  et  de  novo 
u  sunt  confirmata  et  sunt  XVII  ».  Si  leggono  quindi  alcuni  capi- 
toli, molto  importanti  e  del  tutto  inediti,  del  1252  e  del  1285;  ma 
non  ci  venne  fatto  trovare  cenno  alcuno  di  separazione  che  possa 
-distinguere  i  diciasette  capitoli  accennati  nell'intestazione  da  quelli 
che  seguono.  Questo  fatto  avvalora  l'opinione,  espressa  più  sopra, 
^he  il  notaio  abbia  raccolto  nel  1277  gli  statuti  fino  a  quel  tempo 
emanati,  ma  che  il  comune  fino  al  1293  continuasse   ad    innestare 

Arch.  Slor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  V.  2 


l8  M.    ROBERTI   E    L.    TOVINI 

qua  e  là,  senza  aggiungere  un  legame  qualunque  con  le  leggi  già 
esistenti,  le  varie  deliberazioni  che  si  prendevano  di  anno  in  anno. 
Come  infatti  si  vede,  l'ordine  cronologico  difetta  assai  in  questo 
codice,  che  riuscirebbe,  se  le  date  fossero  certe  per  ogni  gruppo 
di  leggi,  tanto  più  prezioso  per  gli  studi  storici  bresciani. 

Così,  senza  accenno  a  data  alcuna,  leggiamo  a  e.  52  r.  la  se- 
guente intestazione  scritta  in  rosso  ed  ancora  inedita  (lac.  in  Mon., 
a  col.  148,  segnata  da  punteggiatura)  :  «  De  officio  sacramento  il- 
«  lorum  duorum  iudicum  potestatis,  qui  debent  preesse  placitis  et 
«  de  iudiciis  et  modo  rationum  et  de  statutis  pertinentibus  ad  eun- 
u  dem  et  de  consuetlidinibus  ».  Questo  titolo  molto  importante  passò 
inavvertito  da  tutti  gli  storici  sopra  ricordati,  fuorché  dal  Lattes  (i); 
e  diciamo  importante,  perchè  dalle  ultime  parole  sembrerebbe  do- 
vessero seguire  le  antiche  consuetudini  bresciane.  Ora  fino  al  n.  CC, 
i  capitoli  regolano  Tufficio  dei  giudici  e  la  procedura  giudiziale  ; 
seguono  quindi  altri  sette  statuti  (cfr.  ediz.  Mon.,  col.  152)  dei  quali 
quattro,  sia  per  la  data,  sia  per  l'argomento,  non  possono  certo  dirsi 
di  origine  consuetudinaria,  e  tre  soltanto  (il  202  del  12 16,  il  203 
del  1225  e  il  204)  potrebbero  riguardarsi  come  reliquie  di  un 
gruppo  di  consuetudini  (2).  Forse  gli  statutari  del  1293  raccolsero 
a  parte  le  consuetudini,  che  formano  infatti  il  settimo  libro  del 
codice  stesso  (3). 

Con  queste  disposizioni  termina  il  secondo  libro,  nel  quale  ab- 
biamo riscontrate  rispetto  all'edizione  dei  Monumenta  le  seguenti 
lacune  : 

Ediz.  dei  Mon.,  col.  133.  Lac.  di  51  capitoli  (cod.  n.  4    a   e.   35  dal 
XLIV  al  XCV). 
„     135  un  capitolo  (a  e.  44  v.  n.  CVI). 
„     136     „         „  (a  e.  44  n.  CVIII). 

„     136    „        „  frammentario  nello  stampato  (a  e.  44 

n.  CVIIII). 
„     136  quattro  capitoli  frammentari  nello  stamp.  (a  e.  45 
nn.  CXI-CXIIII). 


(i)  Lattes,  op.  cit.,  p.  io  (25). 

(2)  Però  il  Lattes  non  riportò  in  appendice  nessuno  di  questi  capitoli. 

(3)  Si  noti  che  il  documento  del  1270  ricordato  più  sopra  dice  :  "  Statuta  et  or- 
"  dinamenta  et  consuetudines  „,  mentre  la  parte  che  si  riferisce  alle  consuetudini 
bresciane  è  in  questo  stesso  codice  intitolata:  "  De  usanciis  „. 


LA    PARTE    INEDITA   DEL   PIÙ    ANTICO   CODICE,   ECC.  I9 

Segue  quindi,  secondo  la  redazione  del  1298,  a  e.  55  v.  il  terzo 
libro  {liber  quintus  secondo  quella  del  1277),  il  quale  incomincia 
col  breve  indice  inedito,  che  abbiamo  sopra  riportato.  Le  aggiunte 
e  le  interpolazioni  fatte  dopo  la  redazione  del  1277  qui  si  vedono 
benissimo,  poiché  mentre  a  e.  70  lo  statuto  determina  le  funzioni 
dell'ultimo  ufficiale  del  comune,  cioè  del  precone,  dopo  cominciano 
senz'altro  le  leggi  sui  tavernieri.  E  le  additiones  o  correctiones  si 
mostrano  qua  e  là  numerose,  con  date  diverse,  frammezzate  ai  ca- 
pitoli riferentisi  agli  uffici  delle  varie  magistrature.  A  e.  77  vi  ha 
una  grande  iniziale  che  dimostrerebbe  il  principio  di  un  nuovo 
libro  o  di  una  nuova  rubrica,  ma  invece  non  si  trova  nel  testo  nessun 
omogeneo  gruppo  di  statuti  (cfr.  in  edizione  dei  Mon.,  col.  187  ;  «  In 
a  primis  w  etc). 

Continuando  l'esame  di  questo  codice,  e'  incontriamo  in  un  no- 
tevole gruppo  di  capitoli,  da  e.  83  a  e.  92,  dell'anno  1279  ;  «  hec 
M  sunt  statuta  partis  ecclesie  »  leggiamo  nel  titolo,  che  manca  nel- 
l'edizione dei  Mon.  (col.  197)  ;  e  si  accompagnano  a  tali  disposi- 
zioni alcuni  statuti  dello  stesso  anno  dove  numerose  sono  le  cor- 
rezioni e  i  capitoli  interpolati;  i  quali  dopo  la  collazione  del  1277 
aumentarono  certamente  questa  parte  di  più  che  il  doppio.  Infatti, 
da  e.  93  alla  97,  vennero  aggiunti  gli  atti  della  pace  detta  di  Mon- 
tecchiaro  fatta  tra  Mantova,  Brescia  e  Verona  nel   1279  (i). 

A  e.  99  in  inchiostro  nero  e  con  la  lettera  iniziale  minuscola 
(mentre  quasi  tutti  i  titoli  sono  in  rosso  ed  hanno  l'iniziale  abba- 
stanza finamente  lavorata)  cominciano  gli  statuti  del  1280  (edizione 
dei  Mon.,  col.  225)  che,  bene  raggruppati,  vanno  fino  a  e.  106;  v'  ha 
quindi  un  altro  gruppo  di  capitoli  preceduti  da  una  intestazione 
*1  identica  alla  precedente,  sotto  la  data  1281  ;  tutti  forse  della  me- 
desima epoca,  eccetto  uno,  inseritovi  più  tardi,  del  1285.  La  solita 
intestazione  generale  è  ripetuta  a  e.  108  v.,  109  e  109  v.  con  le  tre 
diverse  date  1278,  1280  e  1282. 

L'edizione  dei  Monumenta  è,  riguardo  a  questo  terzo  libro,  ab- 
bastanza completa;  abbiamo  però  trovato,  oltre  tutti  i  titoli  delle 
rubriche  e  dei  capitoli,  le  seguenti  lacune  : 

Ediz.  dei  Man.,  col.  144  V  indice  del  libro  (cod.  n.  4  a  e.  55). 

„     166  otto  capitoli  (a  e.  63   nn.  XXXVIIII-XLVI). 

(i)  Vedasi  riguardo  a  questa  pace  il  Valentini,  op.  cit.,  p.  11. 


20  M.   ROBERTI  E   L.    TOVINI 

Ediz.  dei  Mon.^  col.  i68  un  capitolo  (a  e.  65  n.  LIl). 
„     169     „         „         (a  e.  66  n.  LUI). 
„     176  undici  capitoli  (a  e.  70  n.  LXXVIII-LXXXVIII). 
„     190  un  capitolo  (a  e.  79  n.  CLXXI). 
„     191     „        „         (a  e.  80  n.  CLXXVI). 
„     193     „         „         (a  e.  81  n.  CLXXXII). 
„     235    cinque    capitoli   (a    e.    105    nn.    CCCXIV- 
CCCXVIII). 

Il  libro  IV,  che,  secondo  V  intenzione  degli  statutari,  doveva 
contenere  le  riforme  del  1282,  va  da  e.  112  a  e.  135.  Difatti  a  e.  112 
si  legge  il  seguente  proemio,  scritto  in  rosso,  e  che  manca  nel- 
l'edizione dei  Monumenta  :  «  In  Christi  nomine  amen.  Ista  sunt  or- 
«  dinamenta  seu  statuta  facta  per  nobilem  militem  dominum  loran- 
«  dinum  de  Canossa  honorabilem  potestatem  comunis  Brixie  exa- 
«  minata  et  probata  per  dominum  capitaneum  dominos  ancianos  et 
«  sex  sapientes  prò  quolibet  quarterio  servata  solemnitate  statuto- 
«  rum  et  post  modum  emologata  firma  et  aprobata  per  consilium  ge- 
«  neralem  comunis  Brixie.  Currentibus  annis  domini  Millesimo.  CC. 
«  LXXXIJ.  Indictione  X  mense  madii  die  XV  ».  Questi  statuti  però 
occupano  soltanto  dodici  facciate,  poiché  a  e.  114  cominciano  altri 
statuti  con  date  diverse.  Qui  appariscono  le  gravissime  lacune  del- 
l'edizione dei  Monumenta,  nella  quale  mancano,  nella  col.  248  là 
dove  sta  scritto:  «  mezza  pagina  in  bianco  »  i  capitoli  da  e.  114 
a  e.  144  del  codice  n.  4! 

Dalla  e.  119  alla  132  gli  statuti  si  susseguono  in  ordine  cro- 
nologico; i  primi  (ce.  118-119)  sono  del  1283,  redatti  «  per  correc- 
«  tores  et  statutarios  ad  hoc  electos  voluntate  consilii  generalis  », 
essendo  ancora  podestà  Rolandino  di  Canossa;  vi  ha  quindi  una 
«  reformatio  »  di  Garsedone  de'  Lovisini  del  1284  (3-  e.  119  r.)  ; 
uno  statuto  del  1285,  preceduto  dalla  solita  intestazione  (a  e.  120  v.), 
ed  un  altro  breve  statuto  del  1286  (a  e.  122  v.).  Segue  un  «  con- 
«  silium  »  del  1287  (a  e.  123  v.)  ed  altre  disposizioni  delio  stesso 
anno  precedute  dalla  solita  intestazione  coi  nomi  degli  statutari. 

A  e.  129  si  leggono  |importanti  statuti  contro  i  fuorusciti  di 
Valcamonica  del  1288,  che  sarebbero  ancora  inediti,  se  il  beneme- 
rito Valentini  non  ne  avesse  curata  nel  Nuovo  Archivio  Veneto  la 
pubblicazione  (i).  Seguono  quindi  altri  statuti  del  1290  (fra  i  quali 

(i)  Cfr.  op.  cit.,  p.  II  ;  ibid.,  XV,  par.  II,  p.  370. 


LA   PARTE   INEDITA    DEL   PIÙ   ANTICO   CODICE,   ECC.  21 

uno  a  e.  132  V.,  molto  rilevante,  che  vieta  le  «  vindicte  sanguinis  », 
ed  infine  un'ordinanza  senza  data. 

Le  lacune  in  questo  libro  sono  le  seguenti  : 

Ediz.  dei  Mon.,  col.  246  T  intestazione  (cod.  n.  4  a  e.  112). 

„      248   cento    quarantuno    capitoli   (a    ce.    114-136 
capp.  VIIII-CL). 

Il  libro  V  comincia  a  e.  136  e  finisce  a  e.  140  ;  e  contiene  gli 
statuti  della  gabella,  corretti  nel  1283.  Sono  ventitré  capitoli  molto 
importanti,  alcuni  recano  il  titolo,  altri  ne  mancano;  in  un  gruppo 
completo  raggiungono  la  e.  140,  dopo  la  quale  vi  sono  quattro 
carte  in  bianco,  le  quali  aspettavano  forse  altre  disposizioni  nuove, 
o  che  dovevano  annullare  o  correggere  le  precedenti. 

Questo  libro  manca  nell'edizione  dei  Monumenta,  ed  è  intera- 
mente inedito. 

Il  libro  VI  occupa  le  ce.  144-158,  e  sono  115  paragrafi  conte- 
nenti in  parte  una  nuova  riforma  agli  statuti  fatta  da  un  consiglio 
generale  l'anno  1293  come  si  apprende  infatti  dalla  seguente  in- 
testazione (la  cui  lettera  iniziale  è  disegnata  con  larghi  fregi)  che 
manca  nell'edizione  dei  Monumenta:  «  Hec  sunt  statuta  et  ordina- 
«  menta  comunis  Brixie  et  rationum  comunis  Brixie  emendata  et 
M  correcta  per  corectores  et  statutarios  ad  hoc  electos  secundum 
"  reformacionem  consilii  generalis  comunis  Brixie  M.CCLXXXXIII. 
«  Indictione  sexta.  Nomina  quorum  dictorum  statutariorum  sunt  hec  », 
Segue  quindi  un  breve  spazio  in  bianco,  destinato  evidentemente 
a  contenere  i  nomi  degli  statutari;  ed  il  capitolo  primo  che  si  può 
vedere  in  col.   248  dei  Mon.:  «  Item  consules  terrarum  etc.  »». 

Si  noti  come  le  correzioni  e  le  aggiunte,  man  mano  che  ci  av- 
viciniamo alla  fine  del  codice,  siano  sempre  più  recenti,  ciò  che 
dimostra  che  esse  vennero  unite  senza  alcun  ordine  alla  redazione 
perduta  del  1277.  ^i  ^^^^  ancora  come,  secondo  forse  il  concetto  degli 
statutari  del  1298,  il  libro  VI  doveva  raccogliere  le  correzioni  del 
1293,  nientre  invece  vi  furono  poi  aggiunti  altri  statuti,  come  ora  ve- 
dremo, di  diversa  data  e  che  trattano  argomenti  disparati  ;  ciò  che 
dimostra  come  gli  statutari  non  fossero  guidati  da  un  criterio  giu- 
ridico o  cronologico,  ma  da  un  concetto  del  tutto  materiale. 

Le  aggiunte  e  le  correzioni  fatte  nel  1293  vanno  da  e.  144  a 
<^'  155  V.  ;  e  corrispondono  nell'edizione  dei  Mon.  dalla  coK  248  alla 


22  M.   ROBERTI   E   L.   TOVINI 

col.  268.  Segue  quindi  nel  codice  completo  una  «  reformatio  » 
riguardo  agli  atti  di  alienazione  stipulati  durante  la  signoria  di 
Ezzelino  da  Romano  (i),  con  la  seguente  intestazione,  scritta  in 
rosso  e  che  manca  nell'edizione  dei  Mon.:  «  Hec  est  quedam  re- 
«  formatio  facta  in  Consilio  generali  comunis  Brixie  Rubrica  (?) 
«  de  vendicionibus  factis  de  bonis  amicorum  eciam  (?)  sub  extima- 
«  toribus  tempore  Eccelini  de  Romano  usque  ad  tempus  cassandis 
«  et  restituendis  descripta  secundum  formam  statuti  contra  ea  lo- 
«  quentis  precedenti  carta  huius  quaterni  »;  che  è  appunto  il  capi- 
tolo XCVIII  del  foglio  precedente;  accenno  che  depone  a  favore  della 
autenticità  del  codice  stesso,  che  doveva  essere  certamente  il  co- 
dice ufficiale  del  comune,  in  confronto  del  codice  n.  3.  Segue 
quindi  da  e.  158  in  poi  lo  statuto  «  de  monetis  »  del  1257. 

Tutto  questo  libro  si  può  vedere  nell'edizione  dei  Mon.  da 
col.  248  («  Item  consules,  etc.  »)  a  col.  272  ;  salvo  i  titoli  dei  ca- 
pitoli, e  una  lacuna  di  quattro  capitoli  a  col.  272  corr.  a  e.  158  del 
codice  n.  4  (nn.  CXII-CXV). 

Dalla  metà  del  sec.  XIII  veniamo  alla  fine  del  sec.  XII  colle 
Consuetudini  bresciane  «  a  longo  tempore  obtente  w,  che  il  Lat- 
tes  ebbe  per  il  primo  a  pubblicare  in  una  completa  ed  accurata 
edizione  nel  suo  prelodato  studio  intorno  al  diritto  consuetudinario 
delle  città  lombarde.  Esse  occupano  buona  parte  del  libro  VII, 
composto  di  168  paragrafi,  compresi  dal  foglio  159  al  foglio  180; 
e  dal  contesto  si  può  a  ragione  argomentare  eh'  esse  finiscano  col 
capitolo  XLVII  ;  seguono  altri  capitoli  di  vario  argomento  del  1252, 
del  1277  e  del  1295;  ed  infine  questa  prima  parte  del  libro  VII 
sembra  terminare  (a  e.  172)  con  la  formula:  «  Lecta  et  publicata 
«  fuerunt  suprascripta  statuta,  etc.  »,  che  non  si  comprende  a  che 
cosa  si  riferisca  precisamente. 

Il  disordine  cronologico,  in  questa  parte,  è  aumentato  altresì 
da  uno  statuto  (n.  LXXV  a  e.  65)  (2),  il  quale  porta  in  nitida  scrit- 
tura, nella  seconda  parte,  la  data  :  «  Millesimo.  XX.  VIIIJ  ».  Se 
questa  data  fosse  vera,  il  comune  di  Brescia  potrebbe  certo  van- 
tare il  più  antico  capitolo  statutario  che  esista.  Essa  però  do- 
veva suscitare  forti    dubbi   nei   cultori    del   diritto    e   della   storia; 

(i)  Per  la  storia  di  queste  riforme  cfr.  Valentini,  op.  cit.,  p.  9. 
(2)  Venne  pubblicato  dal  Valentini,  op.  cit.,  p.  8,  in  nota. 


LA   PARTE   INEDITA    DEL    PIÙ    ANTICO   CODICE,    ECC.  23 

poiché  se  le  ultime  ricerche  hanno  affermato  che  ben  lontane  si 
devono  ricercare  le  fonti  delle  origini  dei  nostri  comuni,  bisogna 
tuttavia  sempre  accettare  con  diffidenza  le  notizie  di  leggi  promul- 
gate dai  comuni  stessi  almeno  sino  alla  fine  del  XII  secolo. 

L'Odorici,  il  Wustenfeld,  il  Rosa  ed  il  Valentini  avvertirono 
tale  anacronismo,  e  cercarono  di  ritornare  la  data  alla  sua  vera 
lezione.  Il  primo,  che  da  principio  col  Rosa  (i)  aveva  ritenuto 
essere  questo  il  più  antico  statuto  bresciano  (2),  più  tardi  ammise, 
sembra  per  consiglio  del  Wustenfeld,  che  si  trattava  di  un  errore 
dell'amanuense,  «  cui  restarono  forse  nella  penna  i  due  CC  corri- 
n  spondenti  a  due  secoli  dimenticati  ».  Invece  il  Valentini  lasciò 
la  cosa  sub  iudice  ;  e  poiché  questo  statuto  medesimo  é  ripetuto 
nella  redazione  del  1313  alla  lettera,  colla  diff"erenza  che  invece  di 
«  salvo  quod  in  MXXVIIIJ  »  sta  scritto  «  salvo  quod  in  MCCXXVIIIJ  » 
non  seppe  a  quale  fra  i  due  amanuensi  addossare  l'errore  (3). 

Certo  non  si  può  ammettere  la  data  1029,  sia  perché  la  frase 
i<  feudum  antiquum  vel  paternum  »  trasporta  •  il  lettore  in  pieno  se- 
colo XII;  sia  perché  l'essere  stato  trascritto  nel  codice  del  1313 
con  la  data  1229  dimostra  che  gli  statutari  avevano  notato  questo 
anacronismo.  Ma  neppure  quest'ultima  data  ci  sembra  giusta,  come 
vorrebbe  1'  Odorici.  Infatti  nello  stesso  capitolo  vediamo  che  esso 
è  richiamato  da  uno  statuto  del  1227,  come  risulta  chiaramente 
dalle  parole:  «  in  millesimo  CCXXVII  de  feudis  statutum  et  or- 
ii  dinatum  est  etc.  —  salvo  quod  in  millesimo  XXVIIIJ,  etc.  ». 

Ci  sembra  quindi  fuor  di  dubbio  che  l'amanuense  del  codice 
del  1313  errò  nell'assegnare  a  quel  capitolo  la  data  del  1229;  come 
non  si  può  accettare  che  esso  sia  stato  redatto  nel  1029.  Invece 
a  noi  pare  più  probabile,  volendo  pure  ammettere  un  errore  del- 
l'amanuense, che  questi  abbia  ommesso  un  solo  C  e  che  lo  statuto 
sia  quindi  del    1129   (4).    A    questa  data    non  si    oppone  la    frase 

(i)  Rosa,  Stai,  di  Brescia  cit.,  p.  61.  Egli  afferma,  basandosi  appunto  sopra 
questo  statuto,  che  Brescia  fino  da  quel  tempo,  e  prima  ancora  della  costituzione 
dei  feudi  di  Corrado  II  del  1037,  aveva  già  assunto  il  diritto  di  surrogarsi  agli 
imperatori  in  alcune  leggi  feudali. 

(2)  Odorici,  Stor.  bresc,  VII  p.  194  e  Cod.  dipi.,  V,  p.  48. 

(3)  Valentini,  op.  cit.,  p.  9,  A  p,  17  mostra  seguire  l'opinione  del  Rosa, 
ritenendo  autentica  la  data  del  cod.  n.  4. 

(4)  Si  noti  che  la  serie  dei  consoli  bresciani,  storicamente  documentata,  prin- 
cipia nel  112 1. 


24  M.    ROBERTI   E   L.    TOVINI 

u  feudum  antiquum  et  paternum  »  anzi  ne  riceve  conferma  ;  ri- 
correndo non  solo  la  medesima  frase,  ma  buona  parte  del  concetto- 
di  tutto  il  capitolo  in  parola  nelle  Consuetudines  feudorum  (II,  45-46),. 
certamente  anteriori  a  quell'anno 

Chiusa  questa  breve  digressione ,  seguitando  ad  esaminare 
questo  libro  quasi  interamente  inedito  incontriamo  alcune  provvi- 
sioni (a  e.  175)  proposte  al  consiglio  generale,  dopo  un  accordo  tra 
il  vescovo  ed  il  comune,  in  materia  di  decime  (i).  A  e.  178  vi  ha 
una  «  reformatio  tempore  potestarie  domini  Grasendini  de  Love- 
u  sinis  w  del  1284.  Più  sotto  si  leggono  altri  statuti  del  1393  ed 
una  serie  di  «  ordinamenta  »  (a  e.  199),  dei  quali  uno  solo  porta, 
la  data  del  1278. 

Eccetto  alcuni  capitoli  di  diritto  consuetudinario  che  si  leggono^ 
nell'edizione  dei  Mon.  (coli.  272-74)  tutto  questo  libro,  di  ben  cento- 
sessant'otto  capitoli,  è   inedito. 

A  questo  punto  nel  codice  mancano  tre  fogli,  che  erano  pro- 
babilmente bianchi,  come  quelli  in  fine  del  libro  V  e  che  furono 
tagUati  per  servire  ad  altro  scopo  ;  ma  la  numerazione  delle  pa- 
gine salta  dal  180  al  182,  tralasciando  non  sappiamo  il  perchè  una 
sola  unità.  Da  e.  182  fino  alla  303  il  codice  contiene  il  libro  Vili 
con  125  paragrafi,  risguardanti  le  correzioni  e  le  riforme  fatte  agli 
«  Statuta  clausorum  »  nel  1293,  secondo  una  deliberazione  del 
consiglio  generale,  come  infatti  si  legge  nella  intestazione,  scritta,. 
come  il  solito,  in  rosso,  e  con  la  lettera  iniziale  finamente  lavorata  : 
«  Hec  sunt  statuta  clausorum  statutorum  et  ordinamentorum  corecta 
M  et  emendata  per  statutarios  emendatores  electos  secundum  refor- 

"  mationem  consilii  generalis  comunis  Brixie.  Die D.  Mil- 

«  lesimo  ce.  nognagessimo  (sic)  tercio.  Indictione  sexta.  Nomina 
M  quorum  statutorum  et  emendatorum  sunt  hec  »>.  Segue  quindi 
uno  spazio  in  bianco  che  doveva  certo  contenere  i  nomi  degli  sta- 
tutari ;  quindi  comincia  il  nuovo  libro  '"con  un  «  item  »,  ciò  che 
dimostra  (se  pure  ve  n'ha  ancora  bisogno)  il  disordine  che  esiste, 
come  in  tutto  il  codice,  anche  in  quest'  ultimo  libro,  nel  quale 
(a  e.  183)  troviamo,  come  abbiamo  più  sopra  accennato,  un  resto 
della  divisione  del  precedente  codice  statutario  del  1277. 

(i)  LMm portanza  di  questo  accordo  venne  dimostrata  benissimo  dal  Lattes^ 
Dir.  cons.,  p.  525. 


LA   PARTE   INEDITA    DEL   PIÙ    ANTICO   CODICE,    ECC.  25 

Questo  intero  libro  manca  nell'edizione  dei  Mon.,  come  pure 
mancano  i  due  documenti,  inseriti  nel  codice  n.  4  per  ordine  del 
comune,  l'uno  del  1295,  riguardo  la  custodia  delle  SS.  Croci  ;  ed 
il  secondo  del  1297,  ^^  proibisce  alle  peccatrici  di  abitare  in  certo 
luogo  della  città. 

Il  disordine,  sia  cronologico  sia  giuridico,  delle  disposizioni 
contenute  in  questo  codice  n.  4  (che  è  il  più  completo  e  il  più 
antico  codice  statutario  bresciano)  dimostra  chiaramente  quanto 
abbiamo  detto  più  sopra  riguardo  all'autore  e  alla  data  di  questa 
raccolta.  Ma  ci  dimostra  altresì  un'altra  cosa  :  che  cioè  il  comune 
di  Brescia,  durante  il  sec.  XIII,  non  affidò,  come  usarono  molti  altri 
comuni,  ad  una  speciale  commissione  di  giuristi  e  di  persone  com- 
petenti l'incarico  di  rivedere  e  riordinare  tutti  gli  statuti,  come 
fece  nel  13 13,  così  da  riuscire  ad  avere  un  codice,  non  certo  per- 
fetto, ma  che  almeno  ha  una  parvenza,  per  così  dire,  di  ordine  giu- 
ridico. Il  comune  si  limitò  a  raccolte  parziali,  forse  fino  dal  ti8o,  le 
quali  però  andarono  perdute  o  distrutte,  quando  una  nuova  redazione 
rendeva  inutili  le  precedenti.  Ed  al  nostro  codice  servì  appunto  di 
base  l'ultima  di  tali  raccolte,  quella  cioè  del  1277,  nella  quale  ven- 
nero interpolati  qua  e  là,  od  aggiunti  in  fine,  statuti  vari  per  tempo 
e  per  argomento,  e  correzioni  e  addizioni  diverse. 

§  V.  L'  Odorici  pubblicando  nei  Monumenta  gli  statuti  bresciani 
scriveva  nella  prefazione  :  «  Or  eccovi  gli  statuti  del  secolo  XIII. 
«  Né  qui  soltanto  vi  si  danno  per  filo  e  per  segno  nella  loro  in- 
«  tegrità;  ma  vi  si  aggiungono  gli  affatto  inediti  e  di  somma  im- 
«  portanza  del  1313,  gli  uni  e  gli  altri  corredati  di  nuove  testimo- 
«  nianze  ».  E  più  sotto:  «  Ritornando  agli  statuti  del  secolo  XIII 
«  due  vetusti  codici  ne  vanta  l'Archivio  soprascritto.  L'uno  con 
«  la  data  certa  del  1277  (i),  l'altro  pur  di  quel  secolo  racchiudente, 
«  poco  su,  poco  giù,  le  eguali  deliberazioni  con  rettifiche  e  richiami 
«  di  alcune  del  sec.  XII.  Noi  verremo  significando  nelle  appen- 
«  dici  le  più  caratteristiche  diversità  d'ambo  i  volumi  »  (2), 

L'Odorici  quindi  conosceva  i  due  esemplari  della  Queriniana, 
segnati  n.  3  e  n.  4,  che  abbiamo  sopra  descritti  ;  il  secondo  coni- 


(i)  Abbiamo  già  veduto  come  V  Odorici  errasse  affermando  vera  tale  data. 
(2)  M.  H.  P.,  XVI,  col    [1584]  98. 


26  M.   ROBERTI   E   L.   TOVINI 

pleto,  incompleto  il  primo,  cioè  mancante  di  tutti  quei  capitoli,  cui 
abbiamo  già  accennato.  Anzi  molti  anni  prima,  nelle  sue  Storie 
bresciane  riferendo  per  sommi  capi  il  contenuto  dell'esemplare  com- 
pleto, se  ne  augurava  prossima  la  pubblicazione  (i).  L'errore  quindi 
si  deve,  a  nostro  avviso,  attribuire  soltanto  al  Lodrini  e  al  Da  Ponte, 
i  quali  pubblicarono  il  codice  n.  3  per  incarico  avutone  dall'  Odo- 
rici, ritenendo  quest'ultimo,  sebbene  incompleto,  il  più  antico  codice 
bresciano  (2). 

Né  l'errore  è  di  poco  momento,  poiché  son  ben  venticinque  le 
lacune  dell'esemplare  incompleto,  che  l'Odorici  (od  altri,  usando  il 
suo  nome)  trascrisse  e  pubblicò  nei  Monumenta.  Queste  venticinque 
lacune  formano  un  complesso  di  circa  664  capitoli  inediti,  quasi 
la  metà  degli  statuti  bresciani  del  sec.  XIII.  Per  mostrare  quanto 
sarebbe  utile  la  pubblicazione  di  questa  parte  ancor  inedita,  bre- 
vemente vogliamo  qui  accennare  ai  gruppi  maggiori  di  statuti  inediti 
e  alla  loro  importanza,  sia  per  la  storia  del  comune  bresciano,  sia 
delle  diverse  istituzioni  giuridiche  ch'ebbero  a  fiorire  in  quell'epoca. 

Anzitutto  è  notevole  il  gruppo  davvero  organico  del  1282,  che 
contiene  il  bando  contro  i  «  malesardi  »  il  quale  ci  mostra,  con  l'aiuto 
di  altri  statuti  pure  inediti,  l'attività  legislativa  delle  due  maggiori 
associazioni  cittadine  e  la  procedura  usata  dal  comune  per  pubbli- 
care le  nuove  leggi  o  correggere  le  antiche.  Come  tutti  i  comuni 
italiani  anche  quello  di  Brescia  sorge  e  vive  fra  lo  strepito  delle 
armi  cittadine,  dei  partiti  sempre  fra  loro  in  discordia.  Fino  dagli 
ultimi  anni  del  sec.  XII  popolani  e  patrizi  si  erano  stretti  m  due 
società,  i  nobili  in  quella  dei  militi,  i  popolani,  capitanati  però  da 
qualche  nobile,  le  cui  blandizie  profuse  adescavano  i  tumultuanti, 
in  quella  di  S.  Faustino  e  Giovita  ;  ciascuna  avendo  consoli  propri 
di  fronte  ai  consoli  del  comune,  e  così  bene  organizzate  da  poter 


(i)  Odorici,  Stor.  bresc,  VI,  pp.  201,  208,  217,  224,  234,  ecc.;  VII,  p.  104 
sgg.  ;  VIII,  p.  9  sgg.  Il  più  curioso,  come  notava  il  Lattes,  si  è  che  1'  Odorici 
trasse  dal  codice  completo  i  testi  citati  nella  prefazione  dei  M.  H.  P.,  (pref.  [1584] 
PP-  29,  39,  40)  ;  testi  che  venivano  poi  stampati  traendoli  dal  secondo  ms.  in- 
completo, ed  ai  quali  le  citazioni  dell'  Odorici  non  corrispondono.  Cosi  gli  sta- 
tuti sulle  acque  ivi  citati  mancano  nel  ms,  incompleto,  mentre  si  leggono  nel 
codice  originale.  Cfr.  Odorici,  op,  cit.,  VIII,  p.  49. 

(2)  Non  si  comprenderebbero  altrimenti  le  note  in  Mon.  coli.  [1584],  139, 
142,  tee. 


LA    PARTE   INEDITA    DEL    PIÙ    ANTICO   CODICE,    ECC.  27 

contrarre  paci  ed  alleanze,  muovere  guerra  e  scendere  in  campo 
a  favore  o  contro  città  intere  (i).  Sconfitte,  annientate  quasi,  queste 
fazioni  risorgevano  più  vive,  più  feroci  di  prima. 

L'  Odorici,  dopo  avere  ricordata  la  vittoria  di  Rudiano,  par- 
lando degli  ordinamenti  cittadini,  nota  il  sorgere  di  queste  due  so- 
cietà, dei  militi  (2)  e  della  concordia,  detta  quest'ultima  anche  di 
S.  Faustino  (3),  aventi  rettori  e  podestà  propri,  fratellanze  batta- 
gliere e  talvolta  anche  mercenarie,  alternativamente  amiche  e  ne- 
miche del  comune.  Ma  nessuno  ebbe  ad  accennare  espressamente 
all'azione  legislativa  esercitata  da  queste  due  società,  ch'erano  vere 
fonti  di  diritto,  fonti  minori  accanto  alla  fonte  maggiore,  l'arengo. 
Neil'  inedito  del  nostro  codice  vi  sono  molti  accenni  preziosi  in- 
torno a  tale  opera  legislativa  delle  due  società;  e  poiché  le  de- 
liberazioni talvolta  venivano  inserite  nel  volume  degli  statuti,  unen- 
dovi i  verbaU  della  radunanza,  questi  verbali  mostrano  con  evi- 
denza sia  la  funzione  dell'arengo  e  dei  consigli  minori,  sia  quella 
delle  due  associazioni,  che  tenevano  divisa  la  città  intera. 

In  via  generale  l' iniziativa  degli  statuti  apparteneva  diretta 
mente  al  podestà,  al  capitano  del  popolo,  al  consigHo  minore  o  ai 
singoli  consiglieri.  Le  proposte  («  provisiones  et  consilium  »>)  do 
vevano  essere  esaminate  ed  approvate  dal  capitano  del  popolo, 
dagli  anziani  e  dai  sapienti  scelti  da  ciascun  quartiere.  Vidimate 
le  firme  nei  modi  di  rito,  le  deliberazioni    venivano    presentate  al 


(i)  Odorici,  Stor.  bresc,  V,  p.  246  sgg.  ;  pp.  260,  276,  ecc.  Nessun  ac- 
cenno vi  ha  riguardo  a  tale  argomento  negli  altri  due  lavori  dell'Odorici  stesso: 
Dello  spirito  di  associazione  in  alcune  città  lombarde  (Arch.  stor.  Hai.,  Nuova  serie, 
to.  XI)  e  La  battaglia  di  Rudiano  (ibid.,  to.  III). 

(2)  Odorici,  Stor.  bresc,  VI,  doc.  214,  p.  109  (A.  1200).  L'organizzazione 
del  partito  nobiliare  ia  queste  "  Societates  militum  „,  che  esistevano  già  sulla 
fine  del  sec.  XII  in  molte  città,  a  Pisa,  a  Pistoia,  a  Parma,  a  Treviso,  non  venne 
mai  studiata  completamente.  Eccetto  il  Gaudenzi,  che  per  la  società  delle  armi 
di  Bologna  pubblicò  una  monografia  nel  Bull.  deWIstit.  stor.  ital,  n.  8,  1889,  e  i 
lavori  del  Salvemini  e  del  Tabarrini,  gli  scrittori  di  storia  locale  accennano  ad 
esse  molto  brevemente. 

(3)  Ai  santi  Faustino  e  Giovita  (s.  Afra)  era  dedicato  nel  sec.  XUI  un  tempio 
in  Brescia  (Odorici,  op.  cit.,  V,  p.  507).  Il  popolo  ("  pedites  „  di  fronte  ai 
«  milites  »),  chiamava  anche  a  Lucca  ed  in  molte  altri  luoghi  la  propria  società 
«  della  concordia  „  (cfr.  Tomasi,  Stor.  di  Lucca,  in  Arch.  stor.  itah,  X,  p.  60  sgg.  ; 
XIV,  p.  28). 


28  M.    ROBERTI    E   L.    TOVINI 

consiglio  generale,  il  quale  però  non  discuteva  le  proposte,  ma  de- 
legava a  ciò  alcune  persone  («  emendatores  »  o  «  statutarii  »)  scelte 
nei  vari  quartieri  in  tutti  i  ceti  della  cittadinanza.  Fra  gli  statuti 
inediti  ve  ne  sono  alcuni  che  regolano  il  modo  di  votare  nel  con- 
siglio generale  (i),  e  nel  codice  stesso  si  trovano  pagine  bellissime 
ove  sono  descritta  alcune  sedute  e  riassunte  le  arringhe  consigliari 
e  le  finali  deliberazioni.  Queste  notizie  completano  quella  parte 
tanto  frammentaria  (così  organica  invece  in  altri  statuti)  che  si  ri- 
ferisce a  tale  argomento.  Così,  ad  esempio,  vediamo  che  gli  ora- 
tori avevano  una  grande  libertà  di  parola,  per  quanto  ogni  licenza 
fosse  frenata  con  norme  molto  severe. 

Le  deliberazioni,  destinate  ad  avere  vigore  di  legge,  dovevano 
essere  lette,  dopo  la  votazione,  alla  presenza  dei  giudici  e  dei  notai 
e  di  alcuni  cittadini  che  fungevano  da  testimoni  ;  i  quali  tutti  si 
sottoscrivevano  nell'atto  insieme  allo  «  scriba  »  ed  al  «  dictator  » 
Esse  si  distinguevano  con  nomi  diversi  :  «  ordinamenta  »  e  «  prò 
u  visiones  »  si  dicevano  le  deliberazioni  d' indole  amministrativa 
ed  interna,  e  venivano  per  solito  pubblicate  in  nome  del  podestà, 
dal  rettore  o  vicario,  e  dal  capitano  del  popolo.  Gli  statuti  pro- 
priamente detti,  le  u  reformationes  »,  le  «  additiones  »  e  le  «  cor- 
u  rectiones  »  si  pubblicavano  in  nome  dei  «  correctores  »  o  «  sta- 
«  tutarii  »,  i  quali  rappresentavano  l' intero  comune.  Queste  deli- 
berazioni, molto  più  importanti  delle  prime,  erano  scritte  in  qua- 
derni distinti,  che  di  quando  in  quando  s' inserivano  nelle  raccolte 
ufficiali  degli  statuti  del  comune.  Secondo  queste  ultime  dovevano 
i  pubblici .  ufficiali  amministrare  la  giustizia  e  dovevano,  assumendo 
il  loro  ufficio,  giurare  di  osservarle,  come  appare  evidente  da  molte 
frasi  contenute  nella  parte  inedita  del  nostro  codice. 

Ma  accanto  a  questa  fonte  maggiore  di  diritto,  v'erano  altre 
due  fonti  minori;  cioè,  come  abbiamo  più  sopra  accennato,  la  so- 
cietà dei  militi  e  quella  del  popolo,  le  quali  dettavano  leggi,  se- 
condo che  nelle  lotte  interne  l'una  o  l'altra  riusciva  vincitrice. 

Il  documento,  in  gran  parte  inedito  del  1282,  e  il  verbale  di 
un'altra  seduta,    pure    inedito,  del  1280  (2),   completa   le  fuggevoli 


(i)  Cod.  n.  4,  e.  65,  capp.  LII  e  LUI  (lac.  in  Mon.,  coli.  168-169),  ecc. 
(2)  Ibid.,  e.   119   sgg.,  capp.  XLVII   e  LXXVI  (lac.  in    col.  248  :dell'edi- 
zione  dei  Moti.). 


LA    PARTE    INEDITA    DEL   PIÙ    ANTICO   CODICE,    ECC.  2^ 

notizie  date  dall'  Odorici,  dimostrando  l'alto  prestigio  che  aveva  la 
società  dei  mille  (nuova  espressione  della  «  societas  militum  »)  nel 
governo  del  comune  ;  mentre  altri  statuti  illustrano  l' invadenza, 
anche  nel  campo  legislativo,  del  partito  popolare,  fortificato  certa- 
mente fin  dall'origine  dalla  società  di  S.  Faustino,  contro  la  quale 
così  spesso  si  rivolgevano  le  ire  degli  avversari  (i).  Invero  la 
u  reformatio  »  contro  i  malesardi  del  1282,  non  giustamente  forse 
interpretata  dal  Valentini,  mostra  come  da  molto  tempo  esisteva 
potente  in  Brescia  la  società  dei  mille.  Era  dessa  composta  di 
mille  persone,  che  eleggevano  un  consiglio  di  cento  membri  («  con- 
«  silium  centum  »),  a  capo  del  quale  stava  l'abbate  giudice,  circon- 
dato da  un  determinato  numero  di  anziani.  Questo  consiglio  aveva 
il  diritto  di  proporre  nuove  leggi  al  podestà  ed  a  tale  scopo  esso 
eleggeva  per  ogni  quartiere  della  città  due  sapienti  o  «  iurisperiti  », 
ai  quali  l'abbate  alla  presenza  di  tutti  i  consoci,  radunati  nel  pa- 
lazzo del  comune,  affidava  l' incarico  di  preparare  il  progetto  di 
legge,  il  quale  veniva  poi  esaminato  dal  consiglio  dei  cento  e  dopo 
di  essere  stato  approvato,  era  presentato  al  podestà  per  la  sua 
esecuzione.  E  non  già  soltanto,  come  sembrerebbe  apparire  dal  do- 
cumento del  1282,  in  materia  di  bandi  avevano  vigore  le  disposi- 
zioni della  società  dei  mille  (si  confronti  la  società  dei  crociati  a 
Parma),  ma  altresì  in  moltissimi  altri  casi  le  deliberazioni  di  questa 
società,  debitamente  approvate,  avevano  forza  di  legge. 

Da  alcune  disposizioni  inedite  dello  statuto  completo  vediamo 
ancora  come  la  società  dei  mille  fosse  talvolta  invitata  («  rogata  ») 
dal  podestà  e  dal  capitano  del  popolo  a  studiare  e  votare  speciali 
provvedimenti  legislativi.  Così  nel  1282  il  podestà,  gli  anziani  del 
comune  ed  il  capitano  del  popolo  invocano  dalla  società  dei  mille 
una  decisione,  che  valga  ad  ottenere  dal  massaro  della  gabella  del 
sale  e  del  ferro  una  somma  di  denaro  necessaria  per  un'opera  di 
pubblica  utilità  (2).  La  società  dei  mille,  aderendo  all'invito,  emette  il 

(i)  Cod.  n.  4,  e.  35,  cap.  LXXXXIIIJ  (lac.  in  col.  133  dei  Mon.):  Il 
podestà  giura  di  sciogliere  tutte  le  "  conspirationes  „,  le  "  coniurationes,  sacra- 
"  menta,  conventicule  „,  e  tutte  le  "  promissiones  per  manum  et  fidem  vel  alio 
^'  modo  factas  occasione  societatis  illius  qui  dicebatur  esse  Faustini  et  Jovite  „. 

(2)  Documento  inedito  del  1292  in  principio  del  cod.  n.  4,  cap.  XVI  :  "  cum 
^'  per  dom.  potestatem  capitaneum  et  antianos  partis  et  populi  rogati  sint  antiani 
*'  mille  et  eorum  consiliarii  —  super  inveniendo  modum  et  viam  accipicndi  CL. 
"  libr.  imp.  de  gabella  salis  vel  ferri,  etc.  „. 


30  M.   ROBERTI   E    L.    TOVINI 

proprio  parere  ;  e  viene  deciso  di  dare  ad  esso  pieno  valore  «  et  non 
«  obstante  aliquibus  statutis  comunis  vel  populi  vel  consilii  centum 
«  [societatis  mille]  ».  Ed  era  perfino  divenuto  quasi  obbligatorio  l'uso 
di  non  pubblicare  gli  statuti  nuovi  approvati  dal  podestà,  dagli  an- 
ziani del  comune  e  dal  capitano  del  popolo,  senza  che  altresì  la 
società  dei  mille  avesse  dato  parere  favorevole  (i).  I  suoi  statuti 
speciali  si  inserivano  nel  codice  statutario  del  comune  (2),  e  un 
esemplare  di  questo  doveva  essere  consegnato  all'abbate  della  so- 
cietà stessa.  Con  ciò  si  spiega  la  disposizione  che  obbliga  il  vi- 
cario o  podestà  di  Brescia  ed  il  capitano  del  popolo  ad  eseguire 
sempre  quanto  sia  loro  ordinato  dagli  anziani  della  u  societas 
u  mille  peditum  »  (3). 

Accennammo  più  sopra  alla  società  dei  crociati  di  Parma,  sorta 
colà  per  consiglio  dell'Angioino  nel  1265.  Ci  sembra  non  doversi 
trascurare  la  somiglianza  che  corre  fra  di  essa  e  la  società  dei 
mille  di  Brescia.  Ambedue  appariscono  costituite  nella  medesima 
forma,  cogli  stessi  vincoli,  i  medesimi  doveri;  questa  era  retta  da 
un  capitano  e  dai  primiceri,  quella  di  Brescia  dall'abbate  e  dagli 
anziani.  Ambedue  esercitano  la  stessa  influenza  nel  governo  del 
comune;  a  Brescia,  come  a  Parma,  le  loro  decisioni  son  leggi  per 
la  città  intera.  I  crociati  si  radunavano,  come  i  membri  della  so- 
cietà dei  mille,  nel  palazzo  comunale  ed  avevano  il  diritto  di  esa- 
minare le  proposte  presentate  al  consiglio  prima  che  avessero  forza 
di  legge.  Se  nella  parte  inedita  del  codice  n.  4  abbiamo  veduto  gruppi 
interi  di  deliberazioni  «  ordinate  et  facte  per  sapientes  ad  hoc  elec- 
«  tos  secundum  reformationem  consilii  centum  societatis  mille  ", 
anche  a  Parma  «  quidquid  capitaneus,  anciani,  primiceri  omnes  in 
«  concordia,  cum  voluntate  credencie  populi    et   societatis  dixerint 

(i)  Cod.  n.  4  a  e.  37,  cap.  LXIX  (lac.  a  col.  133  nell' ediz.  dei  Moti.): 
"  vicarius  et  rector  et  capitaneus  populi  —  teneantur  et  debeant  —  demandare 
"  quidquid  antiani  partis  et  societatis  mille  peditum  sibi  dixerunt  de  voluntate 
"  consilii  generalis,  etc.  „  (A.  1277). 

(2)  Si  leggono  infatti  nel  cod.  n.  4,  parecchi  interi  verbali  di  sedute  della 
società  dei  mille  e  le  disposizioni  votate. 

(5)  Per  conoscere  veramente  l'importanza  della  società  dei  mille,  che  non 
ci  sembra  sia  stata  presa  in  grande  considerazione  dagli  storici  bresciani,  baste- 
rebbero i  tre  gruppi  di  statuti  che  si  leggono  a  e.  114  del  ms.  n.  4  (lac.  a  col.  248 
nell'ediz.  dei  Mon.)  del  1280,  cap.  XLVII  sgg.  ;  ibid.,  cap.  LXXVI  sgg.  e  cap.  CV 
sgg.  (A.  T287). 


LA    PARTE    INEDITA   DEL    PIÙ    ANTICO   CODICE,   ECC.  3I 

u  seu  denunciaverint  potestati  seu  rectori  Parme,  ipse  rector  seu 
u  potestas  teneatur  audire  diligenter  et  executioni  mandare  »>  (i). 
Cosicché  tanto  a  Brescia,  come  a  Parma  le  due  società  sono,  sulla 
fine  del  secolo  XIII,  se  non  l'unica,  certo  una  delle  maggiori  fonti 
del  diritto  statutario. 

Ma  di  fronte  alla  società  dei  mille  anche  a  Brescia  si  armarono 
le  fazioni  popolari,  ed  organizzate  strettamente  costituirono  un  forte 
partito,  a  capo  del  quale  stava,  suU'  esempio  della  «  societas  mi- 
«  litum  w,  un  capo  chiamato  abbate  o  capitano  del  popolo,  che  era 
assistito  da  un  ristretto  consiglio  di  anziani  e  da  un  consiglio  più 
largo  di  cento  persone.  Anche  questa  associazione  di  elementi  po- 
polari, aveva  l'iniziativa  delle  leggi,  ed  aveva  pure  diritto  di  tenere 
presso  di  sé  una  copia  degli  statuti  municipali.  Era  simile  a  quella 
Unione  delle  Arti  che,  sulla  fine  del  sec.  XIII,  era  diventata  a 
Padova  ormai  padrona  del  comune  (2).  Nelle  raccolte  statutarie  bre- 
sciane più  antiche  si  possono  quindi  facilmente  distinguere  gli  sta- 
tuti del  comune  da  quelli  del  popolo  e  della  società  dei  mille;  più 
numerosi  questi  o  quelli,  secondo  che  l'un  partito  o  l'altro  era,  nelle 
continue  lotte,  riuscito  vittorioso.  Che  se  verso  il  1280  (come  si  vede 
dalla  decisione  inedita  del  codice  n.  4)  la  società  dei  mille  spiega 
una  grande  attività  legislativa  e  mostra  una  grande  potenza  ;  invece 
nel  1303  gli  statuti  e  le  deliberazioni  del  partito  del  popolo  pre- 
valgono sopra  gli  stessi  statuti  del  comune  (3). 

Queste  due  società  continuarono  a  lungo,  come  in  tutti  i  co- 
muni italiani  a  contrastarsi  il  potere,  finché  più  tardi,  deposte  forse 
le  armi,  unirono  le  loro  energie  per  il  bene    della  patria  comune. 

Il  documento  del  1282  insieme  con  altri  statuti  inediti  del  co- 
dice n.  4  ci  offre,  come  abbiamo  veduto,  messe  larga  di  notizie 
riguardo  alla  storia  delle  associazioni  bresciane;  ma  lo  stesso  do- 
cumento, confrontato  con  altri  statuti  pure  inediti,  completa  in  molte 
parti  la  storia  delle  lotte  fra  le  varie  fazioni,  alle  quali  con  la  non  co- 


(i)  M.  H.  P.   ad  prov.  partn.  et  plac.  pert.,    voi.    II,    p.    32  ;    cfr.    N.  Ta- 
MASSIA,  La  cronaca  di  Salimbene,  in  Riv.  di  stor.  e  fil.  del  dir.,  voi.  II,  fase.  II, 

P-  55  sgg. 

(2)  Cfr.  i  documenti  pubblicati  nel  lavoro  intorno  alle  corporazioni  artigiane 
di  Padova  (in  Mem.  del  R.  Istit.  Feti.,  1902),  p.  69. 

(3)  Odorici,  Stor  hresc,  voi.  VIII,  doc,  p.  209  (A.  1305). 


32  M.   ROBERTI   E   L.    TOVINI 

mune  sua  erudizione  accennava  l'Odorici  nella  prefazione  dei  Monu- 
menta, ricordando  però  molti  statuti  del  codice  n.  4,  che  rimasero 
invece  inediti  (i).  Come  a  Padova  si  chiamavano  «  maleablati  »,(2), 
così  a  Brescia  si  chiamavano  «  malesardi  »  i  banditi  dal  comune 
per  ragioni  politiche  ;  ma  non  crediamo  però  che  si  volesse  con 
tale  nome  indicare  un  vero  e  proprio  partito  politico,  men  che 
meno  poi  una  famiglia;  ma  cacciati  alcuni  cittadini,  venivano  essi 
chiamati  malesardi  dai  vincitori  ;  i  quali,  vinti  più  tardi,  diventa- 
vano uscendo  dalle  patrie  mura,  alla  lor  volta  malesardi  e  banditi. 
E  le  medesime  armi  si  adoperavano  dai  fratelli  contro  i  fratelli  ; 
poiché  il  bando  importava,  almeno  fino  alla  metà  del  sec.  XIII, 
come  ci  avvertono  alcuni  statuti  inediti  (3),  la  distruzione  delle  case 
e  dei  poderi.  Ed  i  «  nefarii  homines  w  contro  i  quali  vediamo  in 
alcuni  statuti  fulminate  le  pene  più  severe,  pochi  anni  appresso 
inserivano  accanto  agli  statuti,  scritti  contro  di  loro,  altri  ordina- 
menti «  ad  purgandam  civitatem  et  districtum  Brixie  iniquis  et 
u  dampnosis  et  malitiosis  hominibus  »,  minacciando  le  stesse  pene 
a  coloro  che  si  macchiavano  dei  delitti  più  gravi  e  agli  avversari 
cacciati  dalla  patria  per  ragioni  politiche  (4). 

Importante  pure  è  il  gruppo  di  statuti  intorno  alle  fiere,  del 
1253-54,  redatti  cioè  in  quel  periodo  nel  quale  con  la  morte  di 
Federico  di  Svevia,  il  comune,  libero,  ormai,  accrebbe  con  molte 
leggi,  segno  di  rinnovata  alacrità,  il  codice  statutario  (5).  Molti 
capitoli  di  diritto  pubblico  ed  amministrativo  si  leggono  pure  a 
<^c.  63,  70  e  105  del  codice  completo.  Essi  riguardano  l' ufficio 
del  massaro  del  comune,  dei  consoli  di  giustizia,  dei  consoli  che 
giudicavano  le  cause  in  sede  di  appello,   il   salario   e    gli  obblighi 

(i)  M.  H.  P.,  XVI,  par.  II,  col.  1584  [35,  40  e  41]  ;  Stor.  hresc,  Vili,  p.  59. 

(2)  Gloria,  Siat.  di  Padova,  n.  io,  418  e  419,  461,  640.  Sembra  però  che 
non  sia  del  tutto  rispondente  alla  verità  la  spiegazione  che  il  Gloria  dà  alla  pa- 
rola "  maleablati  »,  ibid.,  p.  io  ;  che  troviamo  invece  in  vari  documenti  vene- 
ziani con  diverso  significato. 

(3)  Cod.  n.  4,  e.  35,  cap.  L  (lac.  a  133  dei  Moti.)  "  de  domibus  non 
*'  destruendis  „.  (A.  1254). 

(4)  Ibid.,  cap.  LII  sgg.  È  una  serie  quasi  organica  di  statuti  emanati  nel 
1254,  nel  1277  e  nel  1285  coatro  i  malesardi  ed  i  banditi,  e  non  solo  laici,  ma 
anche  ecclesiastici  (cap.  LXXXX,  lac.  a  e.  133  dei  Mon.). 

(5)  Cod.  n.  4,  cap.  LXXII  sgg.,  ce.  17  e  19  (lac.  a  coli.  106  e  107 
dei  Mon.y 


LA    PARTE   INEDITA   DEL   PIÙ   ANTICX)   CODICE,   ECC.  33 

del  podestà,  dei  preconi  che  dovevano    ad  alta   voce    promulgare 
le  leggi  in  certi  luoghi  della  città  (i). 

La  riforma  agli  statuti  ordinata  sotto  la  podestaria  di  Rolàn- 
dino  di  Canossa  nel  1282,  e  quelle  degli  anni  sùcccessivi,  alla  cui 
importanza  accennò  pure  il  Valentini,  mancano  interamente  nella 
edizione  dei  Monumenta  (col.  248).  Sono  statuti  molto  interessanti 
che  riguardano  la  sicurezza  della  città  dai  nemici  interni  ed  esterni, 
per  cui  vengono  istituite  apposite  guardie  notturne  e  custodi  a 
piedi  e  a  cavallo.  Parecchi  paragrafi  minacciano  gravi  pene  ai 
ladri  ed  ai  malfattori  e  ricordano  l'obbligo  che  avevano  i  villani  e  i 
cittadini  di  rincorrerli  ed  arrestarli,  ne  mancavano  le  multe  per 
i  pigri  e  i  premi  per  coloro  che  coraggiosamente  avessero  affron- 
tato i  banditi.  La  campana  serale,  secondo  queste  riforme,  doveva 
segnare  veramente  la  fine  della  vita  dentro  le  mura,  proibiti  i  cla- 
mori, le  taverne  chiuse  ;  e  tutti  coloro  che  si  indugiavano  per  le  vie, 
od  uscivano  di  casa,  dovevano  portare  un  lume  acceso.  Altri  capi- 
toli riguardano  argomenti  diversi  :  il  dazio  del  vino,  il  lavoro  degli 
orefici  secondo  le  norme  chieste  a  Venezia,  varie  opere  pubbliche, 
fra  le  quali  il  restauro  della  strada  di  Leno,  devastata  e  rotta, 
che  doveva  venire  rifatta  a  spese  di  parecchi  comuni.  Varie  sono 
le  riforme  di  diritto  penale;  meritano  speciale  ricordo  quelle  che 
proibivano  certi  supplizi,  come  quella  terribile  di  accecare  i  rei; 
quelle  che  limitavano  l'abuso  della  tortura  e  molte  altre  riguardo 
alle  carceri  ed  ai  carcerati.  In  quell'epoca  le  mura  venivano  mer- 
late, ed  erano  scelti  due  legali  per  quartiere  i  quali  dovevano  vigi- 
lare le  mura  del  castello,  le  cui  chiavi  solevano  affidarsi  a  persone 
sicure.  Nella  chiesa  di  S.  Stefano  di  Castello  non  essendovi  «  a  me- 
«  moria  hominum  w  un  sacerdote,  si  istituiva  una  curazia,  conve- 
nientemente dotandola,  e  ad  onor  del  santo  si  proibiva  alle  peccatrici 
di  abitare  nelle  stradette  che  conducevano  al  castello,  ordine  che 
dovette  avere  effetto  ben  limitato,  se  lo  vediamo  ripetuto  più  tardi 
nel  1297  (2). 

Degli  statuti  contro  i  ribelli  di  Valcamonica  parlarono  1'  Odorici 
ed  il  Valentini,  alle  cui  opere  rimandiamo  il  lettore  (3).  Qui  ci  basti 

(i)  Lac.  a  coli.  163,  176  e  235  dei  Moti. 

(2)  Cod.  n.  4  a  ce.  1 14-129. 

(3)  Valentini,  op.  cit,,  p.  11  ;  Odorici,  Stor.  Iresc.^  VI,  p.  234  sgg. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXIT,  Fase.  V.  3 


43  M.   ROBERTI   E   L.   TOVINI 

accennare  come  questo  importante  documento,  dimenticato  dalla 
maggior  parte  degli  scrittori  che  si  occuparono  di  quel  terribile 
episodio,  sarebbe  ancor  inedito,  se  il  Valentini  non  lo  avesse  pub- 
blicato in  appendice  alla  monografia  intorno  agli  statuti  bresciani. 
Ancor  inedite  invece  sono  le  correzioni,  di  argomento  vario,  del 
1290,  fra  le  quali  è  molto  notevole  uno  statuto  «  super  homini- 
«  bus  et  universitatibus  novis  habitantibus  in  terris  brixianis  »,  che 
riguarda  cioè  certe  «  universitates  hominorum  novorum  — ,  que 
«  nove  universitates  nolunt  respondere  creditoribus  antiquis  ipsa- 
«  rum  terrarum.  Et  gaudent  et  possident  possessiones  antiquas  et 
u  novas  ipsarum  terrarum  ».  Dovevano  essere  ben  numerose  queste 
«  universitates  »,  o  consorzi  di  contadini,  i  quali  prendevano  in  af- 
fitto dei  terreni,  se  uno  speciale  statuto  dovette  occuparsi  di  loro, 
ma  non  si  comprende  bene  la  domanda  dei  creditori,  che  le  «  uni- 
u  versitates  nove  »  avessero  da  assumere  i  debiti  dei  precedenti 
coltivatori. 

Come  abbiamo  in  altro  paragrafo  accennato,  è  interamente 
inedito  il  libro  V,  che  contiene  gli  statuti  della  gabella,  riformati 
nel  1293.  È  una  serie  di  ventitré  capitoli,  dove  sono  esposti  i  vari 
diritti  del  comune  sovra  beni  concessi  a  titolo  di  feudo,  di  loca- 
zione o  di  temporaneo  uso,  per  i  quali  si  obbliga  il  giudice  del 
podestà  «  qui  erit  deputatus  prò  tempore  ad  exationem  averis  co- 
u  munis  »  a  tenere  uno  speciale  elenco.  Alcuni  capitoli  riguardano 
le  tasse  cui  erano  sottoposti  i  beni  lasciati  in  eredità  a  chiese  ed 
a  monasteri,  le  imposte  che  colpivano  i  cittadini,  il  modo  di  esi- 
gerle, le  persone  destinate  a  tale  ufficio,  i  loro  diritti  e  i  loro  do- 
veri. Né  mancano  alcune  disposizioni  contro  i  banditi,  i  beni  dei 
quali  (capitolo  XIII)  servivano  a  pagare  i  soldati  del  comune.  Di  una 
qualche  importanza  sono  pure  alcuni  statuti  inediti,  in  fine  del 
libro  VI,  intorno  alle  monete  fuori  di  corso  e  che  il  «  campsor  » 
doveva  «  tayare  incontinenti  »  (i).  Il  capitolo  CXIV  proibisce  tutte 
le  vecchie  monete  che  fino  allora  liberamente  correvano  in  Brescia, 
«  nisi  ambroxianos,  placentinos,  veronenses  et  papienses  de  XII 
«  mexanis  et  alias  monetas  per  comune  Brixie  concessas  ad  ex- 
«  pendendum  et  quod  debeant  currere  per  civitatem  et  districtum 
«  Brix.  videlicet  brixianenses  novi  grossi  et  parvi,  veniciani  grossi  et 

(i)  Cod.  n.  4  a  e.  158  (capp.  CXII-CXV)  corr.  a  lac.  in  col.  272  dell'edi- 
zione dei  Mon. 


LA   PARTE   INEDITA    DEL   PIÙ   ANTICO   CODICE,  ECC.  35 

«  parvi,  veronenses  grossi  et  parvi,  mantuani    grossi   et    parvi    et 
«  trentini  grossi  ad  ligam  veronensium  facti  »>. 

Delle  u  Consuetudini  bresciane  »,  colle  quali  si  apre  il  libro  VII, 
scrisse  e  largamente  il  Lattes  :  accennare  ad  esse  non  sarebbe 
che  ripetere  quanto  fu  scritto.  Nello  stesso  libro  che  contiene  le 
consuetudini,  si  legge  1'  «  Ordinamentum  ingrossatorum  w:  una  lunga 
serie  di  statuti  di  epoche  varie,  ma  riuniti  con  un  certo  ordine. 
Vengono  in  essi  fissate  le  norme  «  quod  anguli  dirigantur  seu  dri- 
u  centur  »,  concedendo  agli  ingrossatori  il  diritto  di  espropriare 
forzatamente  fino  ad  un  iugero  di  terreno,  dietro  compenso  di  altro 
terreno  o  di  equivalente  somma  di  denaro.  I  terreni  venivano  con- 
cessi dopo  la  stima  fatta  da  appositi  «  extimatores  »,  dei  quali  si 
legge  pure  inedito  nel  codice  il  «  sacramentum  »  (i). 

Un  altro  gruppo  omogeneo  di  statuti  fa  seguito  ai  precedenti, 
col  titolo  generale  :  «  Statuta  pertinencia  ad  officium  extimatoris 
«  super  facienda  cessione  honorum  ».  Sono  molto  interessanti  non 
tanto  forse  per  l'argomento,  quanto  perchè  essi  rappresentano  la 
parte  più  antica  del  codice,  portando  tutti,  salvo  le  aggiunte  e  le 
correzioni  posteriori  che  raddoppiarono  quasi  il  numero  degli  sta- 
tuti primitivi,  la  data  1195  (2). 

Più  innanzi,  nello  stesso  libro,  chiuso  in  mezzo  fra  il  calmiere 
per  il  pane  e  le  leggi  intorno  ai  fornaciai,  v'  ha  un  notevole  sta- 
tuto, pure  inedito,  che  riguarda  il  collegio  dei  giudici  bresciani  (3). 
A  capo  di  questo  stavano  due  anziani  che  duravano  in  carica  un 
anno,  nella  matricola  dovevano  essere  scritti  i  nomi  di  tutti  i 
membri,  né  poteva  essere  accolto  nel  collegio  chi  non  avesse  stu- 
diato «  per  quinquennium  ad  minus  in  studio  generali  legum  et 
'«  postea  aprobatus  fuerit  per  collegium  »  ;  norme,  come  si  vede, 
simili  a  quelle  che  vigevano  in  molte  altre  città,  dove  da  tempi 
antichissimi  fiorirono  i  collegi  dei  giudici. 

Notevole  altresì  è  la  serie  organica  delle  disposizioni  riguar- 
danti le  decime.  Gli  statuti   che  si  leggono   nel  nostro   codice  (4) 

(i)  Cod.  n.  4,  e.  163  sgg.  (capp.  LIII-LXIX). 

(2)  Ibid.,  e.  164  (capp.  LXX-LXXXII). 

(3)  Ibid.,  e.  169  (cap.  CXVIII). 

(4)  Ibid.,  ce.  175-177  (cap.  CXLVII  diviso  in  16  paragrafi)  tralasciate  anche 
dall'  Odorici  nel  suo  Cod.  dtp.  {Stor.  hresc,  VII,  p.  139). 


36  .  M.   ROBERTI   E   L.   TOVINI 

non  sono  altro  che  modificazioni  apportate  all'antico  diritto  consue- 
tudinario; alle  decime  infatti  si  riferiscono  parecchie  «  usancie  »,  con- 
tenute nelle  Consuetudini  bresciane  (i).  Questa  materia  era  oggetto 
di  continua  controversia  fra  il  vescovo  ed  il  comune,  sia  riguardo 
alla  competenza  dei  giudici  laici  nelle  liti,  sia  riguardo  alla  forma 
ed  al  contenuto  delle  consuetudini  stesse.  Già  uno  statuto  del  1277 
obbligava  i  cittadini  laici  a  non  ricorrere  ad  altri  giudici  fuorché 
a  quelli  del  comune  ;  «  quod  nulla  persona  secularis  audeat  vel 
u  presumat  modo  aliquo  conqueri  de  aliqua  persona  seculari  oc- 
«  cassione  alicuius  decime  vel  iure  decimatoris,  nisi  sub  officialibus 
u  comunis  Brix.  sub  pena  et  hanno  X.  lib.  quociens  quis  contra- 
ii  fecerit  w  (2).  Nel  1281  veniva  finalmente  formulato  un  accordo 
speciale  fra  il  comune  ed  il  vescovo  ;  o  meglio,  come  ben  nota  il 
Lattes,  da  quello  veniva  imposto  a  quest'ultimo,  avendo  infatti  il 
vescovo  dichiarato  di  voler  fare  «  totum  id  quod  placeret  comuni 
«  brix.  ».  Parecchi  furono  i  capitoli  redatti  dai  «  sapientes  iuris  » 
per  togliere  ogni  attrito  «  inter  ipsum  d.  episcopum  et  clerum 
u  suum  et  comune  Brix.  occasione  dicti  negotii  decimarum  »  ; 
capitoli  conservatici  in  questo  codice  insieme  al  processo  ver- 
bale dell'  adunanza,  in  cui  la  convenzione  venne  presentata  al 
consiglio  generale.  Anzitutto  venivano  abrogate  le  mutazioni  fatte 
negli  oneri  a  carico  dei  laici,  a  meno  che  questi  non  fossero 
assenzienti,  fin  dal  1250,  poiché  (come  giustamente,  ci  sembra, 
spiega  il  Lattes)  le  usanze  precedenti  a  tale  anno,  sebbene  cattive, 
erano  protette  dalla  prescrizione  trentennale.  Venne  altresì  fissata 
la  procedura  da  seguire  nelle  liti  ;  esclusi  i  testimoni  ecclesiastici 
che  fossero  parte  in  causa,  senza  l'assenso  del  convenuto,  come 
pure  invalide  erano  le  deposizioni  fatte  dai  coloni  intorno  a  de- 
cime gravanti  i  fondi  da  essi  lavorati.  Unico  tribunale  competente 
fu  dichiarato  il  tribunale  del  comune,  né  alle  sentenze  emanate 
si  poteva  opporre  l'appello;  soltanto  era  ammessa  da  parte  del 
gravato  una  «  supplicatio  »,  entro  dieci  giorni  «  a  die  illati  gra- 
u  vaminis  »  ai  medesimi  giudici,  perchè  avessero  a  prendere  in 
esame  di  nuovo  la  questione.  Queste  furono  le  sole  disposizioni 
ufficiali  intorno  alle  decime  inserite  negli  statuti  bresciani  del  se- 

(i)  Lattes,  Dir.  cons.,  in  append.,  p.  423,  capp.  XXXV  e  XXXVI. 
(2)  Cod.  n.  4,  e.  173  (cap.  CXXXI)  ined. 


LA   PARTE   INEDITA    DEL   PIÙ   ANTICO  CODICE,   ECC.  37 

colo  XIII  (i),  le  quali  rendevano  nulle  tutte  le  «  reformationes 
u  facte  contra  libertatem  ecclesie  »  e  le  scomuniche  lanciate  contro 
i  consiglieri  e  l'interdetto,  che  sembra  fosse  stato  fulminato  contro 
la  ribelle  città.  E  poiché  esse  rappresentavano  certamente  il  risul- 
tato favorevole  al  comune  di  una  lotta  lunga  ed  aspra,  le  pene 
per  i  contravventori  dovevano  essere  ben  severe  ;  infatti  chi,  se- 
guendo altre  norme  avesse  con  ciò  dimostrato  di  parteggiare 
per  la  chiesa,  doveva  essere  privato  della  protezione  del  comune 
«  tam  in  persona  quam  in  rebus  ».  Il  nostro  codice  ci  ha  conser- 
vato altresì  il  verbale  della  seduta  con  la  discussione  che  seguì 
dopo  la  lettura  dei  nuovi  statuti  ;  notevoli  sono  le  multe  proposte 
ed  approvate  contro  i  giudici  (avvocati)  che  avessero  scritto  «  con- 
u  silium  aliquod  contra  predictam  provisionem  »,  contro  i  notai  che 
avessero  redatto  qualche  istrumento,  e  contro  i  ministrali  che  aves- 
sero fatta  «  aliquam  ambaxatam  contra  ipsam  provisionem  ». 

Il  libro  Vili  comprende,  come  abbiamo  sopra  accennato,  gli 
«  statuta  clausorum  »  riformati  nel  1293  dal  consiglio  generale  e 
che  mancano  completamente  nell'edizione  dei  Monumenta,  Ad  essi 
già  accennarono  l' Odorici ,  eh'  ebbe  a  pubblicarli  quasi  intera- 
mente nel  suo  Codice  diplomatico  (2},  ed  il  Valentini  ;  ne  invero 
crediamo  meritino  un  lungo  discorso.  Sono  i  soliti  provvedimenti, 
che  si  leggono  in  fine  di  tutti  i  codici  statutari  delle  nostre  città, 
sulle  opere  pubbliche,  sulle  fonti  e  sui  fiumi  e  sugli  obblighi  che 
gravavano  le  vicinie  riguardo  alle  fonti  stesse.  Parecchi  capitoli 
riguardano  il  romano  acquedotto  di  Valgobbia  e  Monpiano ,  i 
cui  avanzi  vennero  recentemente  scoperti  ;  la  conservazione  degli 
acquedotti  di  S.  Salvatore,  del  Foro,  della  Torre  d' Ercole  e  di 
altri;  alcuni  di  epoche  diverse  riguardano  i  mulini,  i  ponti  e  le  strade, 
mostrandoci  la  cura  che  aveva  il  comune  bresciano  per  tenere  in 
buono  stato  le  grandi  vie  di  comunicazione  con  grande  vantaggio 
per  i  commerci  e  le  industrie.  Altre  leggi  riguardano  gli  spaldi 
cittadini  da  Mombello  a  Portanuova  ed  altri  lavori  di  pubblica  uti- 


(i)  Andarono  perdute  le  riforme  fatte  "  super  decimarum  et  occasione  de- 
"  cimarum  tempore  Leonardi  de  Amatis  olim  vicarius  Brixie  „  (A.  1279),  ri- 
cordate nel  nostro  codice  a  e.  177,  §  XVI. 

(2)  Odorici,  Stor.  bresc,  Vili,  p.  49;  M.  H.  P.,  prefaz.,  col.  1584  (39); 
VALEhfTiNi,  op.  cit.,  p.  51. 


38  M.   ROBERTI   E   L.    TOVINI 

lità,  per  i  quali  s' utilizzavano  i  ruderi  delle  abbattute  case  dei 
malesardi. 

Inedite  per  ultimo  sono  le  riforme,  decretate  già  nel  1285  e 
ripetute  nel  1297,  intorno  alle  donne  di  mala  fama,  riforme  alle 
quali  ebbe  già  ad  accennare  T  Odorici  (i).  Nelle  stradette  del  ca- 
stello esse  continuavano  a  tenere  pubblico  ridotto  con  grave  scan- 
dalo, malgrado  i  severi  provvedimenti  del  1285.  Infatti  nel  1297 
il  prevosto  di  S.  Pietro  in  Oliveto  e  i  preti  di  S.  Stefano  e  di 
S.  Martino  presentavano  al  consiglio  una  petizione,  perchè  dalla 
via  Porta  a  S.  Stefano  e  per  tutto  il  colle  della  fortezza  e  presso 
le  chiesette  attigue  venissero  cacciate  le  peccatrici  ;  e,  pigliate  le 
renitenti  e  flagellate  dinanzi  al  popolo,  fossero  espulse  fuor  delle 
mura  e  del  distretto  dopo  tre  giorni  dall'eseguita  flagellazione.  Il 
consiglio  accettava  la  proposta  e  la  estendeva  anzi  a  tutte  le  pec- 
catrici della  città,  inserendola  tal  quale  nel  volume  degli  statuti. 

Con  questo  documento  termina  la  parte  ancor  inedita  degli 
statuti  bresciani  del  sec.  XIII  ;  e  siamo  certi  che  anche  al  lettore 
non  sembrerà  fatica  del  tutto  sprecata  la  sua  pubblicazione,  inte- 
grando in  tal  modo  l'opera,  tanto  laboriosa  ed  encomiabile,  del- 
l' Odorici. 

§  VI.  Per  completare  questo  breve  studio  critico  intorno  ai  co- 
dici statutari  bresciani  del  sec.  XIII,  e  per  rendere  meno  gravi 
agli  studiosi  le  lacune  che  abbiamo  riscontrato  nell'edizione  dei 
Monumenta,  crediamo  opportuno  notare  in  questo  ultimo  paragrafo 
quei  capitoli,  che,  sebbene  manchino  nel  codice  n.  3,  vennero  in 
tutto  od  in  "parte  pubbUcati  in  altre  opere;  |e  quei  capitoli  com 
presi  nella  nuova  redazione  del  1313,  che  si  possono  trovare 
in  questo  codice ,  edito  pure  dall'  Odorici  nello  stesso  volume 
dei  Monumenta,  Questo  secondo  lavoro  sarebbe  stato  però  ben 
facile  se  gli  statutari  del  1313  avessero  mantenuto  l'ordine  an- 
tico degli  statuti;  ma  poiché,  com' ebbe  a  notare  l'Odorici,  v'era 
«  in  quelle  pagine  un  complesso  di  ordini,  di  promissiones,  di  con- 
o  suetudini,  di  provvedimenti  per  lo  più  raccolti  sotto  forma  del 
«  solito  giuramento  del  podestà,  accumulati  alla  rinfusa  »,  così  gli 
statutari,  volendo  porre  un  po'  di  ordine  nella  raccolta,  dovettero 
inserire  alcuni  capitoli  in  un  luogo,  altri  in  altro,  dove  essi  stimarono 

(i)  Odorici,  Stor.  hresc,  VI,  p.  225. 


LA  PARTE   INEDITA   DEL   PIÙ   ANTICO   CODICE,   ECC.  39 

più  opportuno.  Il  lavoro  divenne  quindi  molto  più  grave,  poiché  ogni 
capitolo  inedito  si  dovette  confrontare  con  le  simili  disposizioni  in 
ciascuna  delle  quattro  parti  nelle  quali  è  diviso  il  codice  del  1313. 
Questa  seconda  parte  del  lavoro  ci  fu  però  proficua  di  utili 
ammaestramenti.  Anzitutto  abbiamo  facilmente  notato  che  gli  sta- 
tutari del  13 13  lasciarono  da  parte  un  grande  numero  di  disposi- 
zioni che  avevano  ormai  col  tempo  perduta  ogni  pratica  importanza, 
e  che  sopra  489  capitoli  inediti  (a  tanti  assommano  le  lacune  del 
codice  n.  3,  fatta  eccezione  del  libro  Vili)  soltanto  175  furono  com- 
presi, e  con  varianti  diverse,  nella  redazione  del  1313;  mentre  314 
capitoli  venivano  ritenuti  ormai  privi  di  valore.  Abbiamo  altresì 
potuto  accertare  Tepoca  precisa  nella  quale  vennero  emanati  molti 
capitoli,  ed  infine  abbiamo  potuto  avvertire  le  aggiunte  e  le  inter- 
polazioni varie   fatte  in  alcuni  capitoli  del  sec.  XIII. 

M.  Roberti  e  L.  Tovini. 

APPENDICE 

I.  Capitoli  già  pubblicati  in  altre  opere. 

Statuto  dei  Malesardi  (cod.  n.  4  in  princ.)  in  parte   pubblicato  dal- 
TOdorici,  Stor.  bresc.^  VIII,  p.  59. 

Lac.  a  col.  106  dei  Mon.  in  parte  pubbl.  dall'OooRici,  ibid.,  VII,  p.  no. 
„  „     133    „        „     alcuni    capitoli   saltuariamente,   ibid,,    VII, 

pp.  124-126  e  Vili,  p.  12. 
„  „     248    „         „     a  piccoli  brani  e  in  parte,  ibid.,  Vili,  p.  35. 

„  „    248     „        „     (statuti  di  Valcamonica)  Valentin!,  Stai,  di 

Bresc.f  Nuovo  Arch.  Ven,,   XVI,  p.  99. 
„  „     274    „         „     (De  usanciis)  Lattes,  op.  cit.,  (48  paragrafi). 

„  „     274    „        „    (dal  cap.   Lll  al    CLIV)  saltuariamente    in 

Stor.  bresc,  VII,  pp.  133-39. 
„  „    274    „        „     {Statuta  clausorunty  lib.  Vili)  quasi  intera- 

mente pubbl.  ibid.,  Vili,  pp.  47-58. 
Statuto  delle  Croci  in  fine  del  cod.  n.  4  pubbl.  dal  Valentini,  Storie 
delle  SS.  Croci  di  Brescia ,  in  append. 

Statuto  delle  peccatrici  in  fine  del  cod.  n.  4   riassunto  in    Odorici^ 
op.  cit,  Vili,  p.  58. 

II.  Collazione  dei  capitoli  inediti  del  cod.  n.  4  col  cod.  del  1313. 

Lac.  a  col.  106  in  ediz.  dei  "  Monumenta  „. 

Cod.  n.  4  a  e.  17.  Lib.  I,  cap.  LXXI  è  riprodotto 

nel  cod.  del  1313    .    .  Lib.  I,  §  LXI. 


40  ,    M.    ROBERTI   E    L.    TOVINI  * 

Cod.  n.  4  a  e.  17.  Lib.  I,  cap.  LXXVIII  ....  Lib.  I,  §  LXIV. 
cap.  LXXVIIII  (con  una 
breve  aggiunta)    .    .      „        §  LXV. 

cap.  LXXX „        §  LXVI. 

cap.  LXXXIII  .     .     .    .       „        §  LXII. 
cap.  LXXXUII .    .     .    .  Lib.  II,  §  CCXXXIII. 

Lac.  a  col.  loy  in  ediz.  dei  "  Monumenta  „. 

Cod.  n.  4  a  e.  19.  Lib.  I,  cap.  LXXXVIII  è  ripro- 
dotto nel  cod.  del  1313  Lib.  II,  §  CCXXXVII. 
„        cap.  LXXXXIII    .    .    .      „        §§  CCXLII    e 

CCLIV-V. 
.  .        „        cap.  LXXXXV     ...      „        §  CCLVIII. 

Lac.  a  col.  ijj  in  ediz.  dei  "  Monumenta  „. 

Cod.  n.  4  a  e.  35.  Lib.  II,  cap.  XLV  è  riprodotto 

nelcod.  del  1313  .    .  Lib.  Il,  §  XLVIII. 
„        cap.   XLVIII  (con   due 

brevi  aggiunte).     .    .  Lib.   I,  §  CI. 

„        cap.  XLVIIII  (invece 

delle  parole:  "  et  om- 

«  «  niaeorumbonafient 

.     "  guasta  „  si   legge: 

"  deveniat    in  comu* 

ni  „  (I).    .    .    .    .    .      „        §  CXXIX. 

.        cap.  L .      „        §  CLII. 

„        cap.  LI Lib.  II,  §  LXII. 

„        cap.  LII   con    aggiunte 

le  parole  :  "  de  ban- 

no...  libris,,  e  le  altre: 

;  "  Et  quod  nulla  per- 

"  sona condenna- 

«  tionis  „  (2)    .    .    .      „        §  LV. 
„        cap.  LV  con   aggiunte 
le  parole:  ^*  de  ban- 
/*  nitis....    librarum   „ 
e  le  altre:  "  additum  . 

.V  "  est...  seu  condem- 

'  «  nationis  „  .     ...      „     :  §  LVI. 

(i)  È  notevole  questa  modificazione  che  sostituisce  la  confisca  alla  distru- 
zione dei  beni  dei  banditi. 

(2)  Quest' aggiunta  riassume  molti  capitoli  del  codice  del  scc.  XIII,  che  yen^ 
nero  quindi  nella  nuòva  redazione  lasciati  da  parte. 


4 


LA   PARTE   INEDITA   DEL   PIÙ    ANTICO   CODICE,    ECC.  4I 

Cod.  n.  4  a  c.  35.  Lib.  Il,  cap.  LVIII Lib.ll,  §  LVIII. 

cap.  LVIIII „        §  UX. 

cap.  LXI „        §  LXXII. 

„  cap.  LXIIII  invece  di 
"  partis  ecclesia  „  si 
legge:  *  sancte  ma- 
"  tris  ecclesie  et  com. 

"  Brix.  „ „        §  LXXIII. 

„        cap.  LXXI  con  le  parole: 
"  applicandos  partis... 
*  de  predictis  „     .    .       „        §  LUI. 
cap.  LXXVIIII     .    .    .      „        §  LXXIV. 
cap.  LXXXI    .    .  •  .    .       „        §  LXXV. 
„'      cap.  LXXXXV    ...      „        §  LXV. 

Lac,  a  col.  ij6  in  ediz,  dei  "  Monumenta  „. 

Cod.  n.  4  a  e.  45.  Lib.  II,  cap.  CXI   è  riprodotto 

nel  cod.  del  1513  .  .  Lib.  II,  §  LXXIX. 
cap.  CXII  .....  „  §  LXXX. 
cap.  CXIV    ......      „        §  LXXXII. 

Lac.  a  coL  166  in  ediz.  dei  "  Monumenta  „. 

Cod.  n.  4  4  e.  63.  Lib.  III,  cap.  XL  è  riprodotto  nel 

cod.  del  1313    ...  Lib.  II,  §  CC. 

cap.  XLII „        §  ceni. 

cap.,XLIIII „         §  CCIV. 

„        cap.  XLV.    .....       „        §CCV. 

cap.  XLVI „        §  CCVI. 

Lac.  a  col.  jy6  in  ediz.  dei  "  Monumenta  „. 

Cod.  n.  4  a  e.  70.  Lib.  III,  cap.  LXXVIII  è  ripro- 
dotto nel  cod.  del  1 3 1 5  Lib.  II,  §  CCXII. 
cap.  LXXXIII .     .     .    .      „  III,  §  IV. 
cap.  LXXXIV   ....      „        §  IV. 

Lac.  a  coi.  190  in  ediz.  dei  "  Monumenta  „. 

Cod.  n.  4  a  e.  79,  Lib.  III^  cap.  CLXXI  è  ripro- 
dotto nel  cod.  del  13 13  Lib.  I,  §  XCII. 

Lac.  a  col.  ipj  in  ediz.  dei  "  Monumenta  „. 

Cod.  n.  4  a  e.  81,  Lib.  III,  cap.  CLXXXII  è  ripro- 
dotto nel  cod.  del  1313  Lib.  IV,  §  XXXV. 


42 


M.    ROBERTI   E   L,    TOVINI 


Lac,  a  col.  248  in  edìz,  dei  "  Monumenta  „. 


però 


Cod.  n.  4  a  e.  114,  Lib.  IV,  cap.  X  è  riprodotto 

nel  cod.  del  13 13 

„        cap.  XI  con  aggiunte 

le  parole  :  "  et  om 

"  nia...  quandocum 

"  que  „      . 

„        cap.  XIII  .    . 

cap.  XIV  .    . 

„        cap.  XVI  (non 

interamente) 

cap.  XVII. 

cap.  XXI . 

cap.  XXII. 

cap.  XXIII 

cap.  XXIV 

cap.  XXV 

cap.  XXVI 

cap.  XXVIII 

cap.  XXXIX 

„        cap.  LX    .    . 

„        cap.  XLI  .    . 

„        cap.  XLIL    . 

cap.  XLVI    . 

„        cap.  XLVIII.  In 

il  concetto  è  r 

dotto  in     .    . 

„        cap.LIIIIconagg 

le  parole  :  "  Item  te^ 

"  nor...  esset  facta  „  ; 

eie  parole  :  "  et  si 

"  militer...  ad  ter 

"  mentis  , 

„        cap.  LX    . 

„        cap.  LXI  . 

cap.  LXXII 

cap.  LXXIII 

cap.   LXXXVI.  Lo 

statuto  "  de  remo 

"  vendo,  etc.  „,  ivi 

richiamato  è  ripro 

dotto  in     .    . 

cap.  LXXXVIII 

cap.  LXXXIX   . 

cap.  LXXXXI  con  ag 


parte 
prò 

unte 


Lib.  II,  §  XXXIV. 


„        §  XXII. 
„        §  LX. 
„        §  LXI. 

„        §  LXIII. 

„        §  LXIV. 
Lib.  I,  §  XLIV. 

„        §  XLVI. 

„        §  XLVn. 

„        §  XLVIIL 

„        §  XLIX. 

»        §L. 
Lib.  II,  §  CXI. 

§  CLXVIIII. 
Lib.  I,  §  CLXXVin. 

§  CLXXIX. 
Lib.  II,  §  CLXXXVIl. 
Lib.  I,  §  CLV. 


Lib.  II,  §  CCIV. 


Lib. 


§  XXI. 
§  XCVI. 
I,  §  CLI. 
§  XCIX. 

§c. 


Lib.  II,  §  XXXVIII. 

Lib.  I,  §  CHI. 
«      §  cv. 


ECC.  43 

giunte  le   parole: 
"  et  teneatur  pote- 

"  stas statutum 

"  non  habeat    lo- 
«  cum  „  (i)  .    .    .  Lib.   I,  §  CUI. 
Lib.  IV,  cap.  LXXXXV .    .    .  Lib.  II,  §  XCV  (2). 
cap.  LXXXXVII  .    .  Lib.  I,  §  CLXXXI. 
„        cap.    C    molto    affine 

nel  concetto  al .     .       „        §  CLIX. 

cap.  CHI ,        §  CIX. 

cap.  CVIII ,        §  ex. 

cap.  CXXXVIII  con 
aggiunte  le  parole  ; 
"  et  quod  aliquis.... 
"  et   facere   legale 

«  ferrum  „     .    .     .  Lib.  II,  §  CXXXVIIL 
„        cap.  CXLVIII  con  ag- 
giunte le  parole: 
"  Et  quod  comunia... 
"  poterint  vel  inve- 

"niri,, „        §  LXX. 

Lib.  V,  cap.  IV „        §  CXCVL 

cap.  VI.    .....      „        §  CXCVII. 

„        cap.  VIII  .....  Lib.  IV,  §  XVI. 

„        cap.  IX „        §  XVIL 

cap.  XI     .....  Lib.  Il,  §  CXCIL 

„        cap.  XV  con  aggiunte 
le  parole  "  et  quod... 
«  loquente  „....,        §  CXCIIL 

„        cap.  XVIII    ......        §  C. 

Lib.    VII,  cap.   XLVIIII   (i)  è 

molto  affine  a!  .    .  Lib.  IV,  §  LXIX. 

cap.  LI Lib.  Ili,  §  IV. 

cap.  LII    .    .    .    .    .      „        §  VL 

cap.  LUI „        §  VIL 

,,        cap.  LIV „        §  Via. 

„        cap.  LV    .     .    .    .     .      „        §  IX. 
„        cap.  LVI  .    .    .    .    .      „        §  X. 
cap.  LVII      .    .    .     .      „        §  XI. 


(i)  Questa  aggiunta  dimostra  come  il  comune  bresciano  volesse  togliere  intera- 
mente l'uso  di  rovinare  le  case  dei  ribelli  e  dei  banditi  «  ad  decorem  civitatis  », 
come  dice  lo  statuto  inedito  del  codice  del  sec.  XIII,  "  cum  dicatur  quod  ci- 
"  vitates  facte  sunt  ad  similitudinem  paradisi  „. 

(2)  La  multa  esagerata  di  cento  soldi  venne  però  ridotta  a  venti. 


44 


M.    ROBERTI   E   L.    TOVINI 


Lib.  VII 

,  cap.  LVIII    .... 

Lib.III,§  XII. 

» 

cap.  LXV  solo  in  par- 

te riprodptto.    .    . 

» 

§  XIII. 

j, 

cap.  LXVI    .... 

w 

§XIV. 

)     '» 

cap.  LXX  è  molto  af- 

1] ^r\ 

fine   ...... 

w 

,    §  CCLXXV 

M 

cap.  LXXl    .... 

» 

§  XVI. 

,, 

cap.  LXXIV     .    .    . 

I) 

§  xvir. 

W 

cap.  LXXV   .... 

w 

§  XVIII. 

» 

cap.  LXXVI .... 

M 

§  XIX. 

» 

cap.  LXXVII     .     .    . 

n 

§xx. 

» 

cap.  LXXIX  .... 

n 

§  XXI. 

n 

cap.  LXXXII  con  ag- 
giunte le  parole: 

"  additam  est,  etc  „. 

» 

§  XXII. 

» 

cap.  LXXXIII  con  ag- 

.     giunte    le    parole: 

"  vel  consulibus  iu- 

«  stitiae  „      ... 

w 

§  XXIII. 

w 

cap.  LXXXIV  con  ag. 
giunte  le  par  ol^e: 

"  et  nisi...  ine'dit  X  „ 

» 

§  XXIV. 

» 

cap.    LXXXV    salvo 

qualche  variante    . 

n 

§xxv. 

» 

cap.  LXXXVII     .    . 

» 

§  XXVI. 

M 

cap.  LXXXVIII  (2)  . 

» 

§  XXVII. 

W 

cap.  LXXXXIII  salvo 

qualche  variante    . 

)ì 

XXVIII. 

>; 

.  cap.  LXXXXIV    .    . 

yy 

§  XXIX. 

>? 

cap.    LXXXXVI   con 
aggiunte  le  parole: 

'/  ; 

"  exquo....  venden- 

,111.'^ 

tium  sit  „  .    ... 

1f 

§  XXX. 

» 

cap.  LXXXXVn  .    . 

» 

§  XXXI. 

w 

cap.  XC Vini  con  qual- 

che variante.    .    . 

» 

§  XXXU. 

» 

cap.  C  con  varianti  . 

lì 

§  XXXIII. 

Jf 

cap.   CI   con   piccole 

varianti      .... 

ì) 

§  XXXIV. 

n 

cap.  CIV  .    .    .    .    . 

ì) 

§  XXXV. 

(i)  Solo  venne  aggiunto  il  diritto  di  appello  per  le  sentenze  pronunciate 
dagli  stimatori,  mentre  nel  codice  del  sec.  XIII  esse  avevano  forza  di  cosa 
giudicata. 

(2)  Ved.  nota  precedente. 


LA    PARTE    INEDITA   DEL    PIÙ    ANTICO  CODICE,    ECC* 


45 


Lib.  VII,  cap.  CVII .  .  .  .  , 
rap.  CVIII  «ultra  XH 
"  sol.  „  è  cambiato 
in  «  ultra  XVII 
«  sold.  „  e  «  ultra 
«VIIIsold.„in«ul. 


Lib.  II,  §  CXVIII. 


«  tra  IX  sold.  „  (i). 

1} 

§  CXIX. 

cap.  CVIIII  .... 

jf 

§  CXX. 

cap.  ex 

» 

§  CXXL 

cap.  CXI 

M 

§  CXXII. 

cap.  CXII      .     .     .     . 

>t 

§  CXXIII. 

cap.  CXIII    .... 

» 

§  CXXV. 

cap.  CXIV    .... 

» 

§  CXXIV. 

cap.  CXV      .... 

» 

§  cxxvn. 

cap.  CXVl    .    .     .    . 

» 

§  CXXVI. 

cap.  CXVIII ...    . 

Lib. 

Ili,  §  CCIL 

cap.  CXVIIII     .    .    . 

Lib. 

I,  §  CXVIII. 

cap.  CXXII   con    ag- 

giunte le  parole: 

"  additum  est,  etc.  „, 

e  salvo  qualche  va- 

riante     

Lib. 

Ili,  §  LIX. 

cap.  CXXIV  molto  af- 

fine nel  concetto  al 

» 

§  XLV. 

cap.  CXXV  .... 

Lib.  II,  §  CXXIX. 

cap.  CXXVII    .    .    . 

Lib. 

UT,  §  XLVI. 

cap.  CXXVllI  .    .    . 

w 

§  xeni. 

cap.  CXXVIIII  (2)    . 

» 

§  CLXXVIL 

cap.  CXXX  .... 

» 

§  CXVI. 

cap.   CXXXI   è   nel 

concetto    molto   af- 

fine al 

» 

§  CLIX. 

cap.  CXXXII    .    .    . 

n 

§  XCIV. 

cap,   CXXXIII  molto 

afl&ne  al     ...    . 

w 

§  XXXIX. 

cap.  CXXXIV  venne 

aggiunto  il  lungo 

tratto  dopo  :  "  Item 

"  statuunt  „  .    .    . 

w 

§  CLXXV. 

(i)  Queste  variazioni  dei  salari  sono  un  fatto  non  speciale  della  città  di 
Brescia,  ma  comune  a  molte  altre  città  italiane,  e  dipendono  oltre  che  dal  mag- 
gior valore  del  denaro,  anche  dalle  mutate  condizioni  dei  lavoratori. 

(2)  Non  sappiamo  perchè  sia  stata  cambiata  la  data  del  1276,  nell'altra  1273. 
Forse  fu  un  errore  dell'amanuense. 


■ 


46 


M.   ROBERTI  E  L,  TOVINI  -  LA  PARTE   INEDITA,   ECC. 


ib,  VII 

,  cap.  CXXXV  è  molto 
affine  nel   concetto 

al 

Lib. 

III,  §  CLXXXV, 

» 

cap.  CXXXVIII  molto 

affine  al     ...    . 

>; 

§LL 

» 

cap.  CXXXIX  con  ag- 
giunte le  parole: 
"  addunt   correcto- 

"  res....  M.CC.LII  „. 

i> 

§  XLIX. 

» 

cap.  CXXXX     .    .    . 

» 

§  XLV. 

» 

cap.  CXLII  .    .     -    . 

» 

§  XXIV. 

» 

cap.  CXLV  .    .    .    . 

if 

§  CLXXVIII. 

» 

cap.  CXLVIII  è  affine 

al 

Lib. 

I,  §  XXII. 

w 

cap.  CL    .    .    .    .    . 

Lib.  III,  §  XCVL 

w 

cap.  CLI  è  affine  nel 

concetto  al    .    .    . 

» 

§  cLxvin. 

w 

cap.  CUI 

n 

§  xcvn. 

» 

cap.  CLIII     .    .     .    . 

}} 

§  XCVIIL 

w 

cap.  CLIV     .     .     ,    . 

» 

§  XCIX. 

M 

cap.  CLV      .    .    ,    . 

)t 

§c. 

.n 

cap.  CLVI    .    .    .    . 

w 

§CL 

» 

cap.  CLVII  .    .    .     . 

i; 

§  CLXXL 

)j 

cap.  CLIX     .    .    .    . 

w 

§  CLXXI. 

w 

cap.  CLX  con  qualche 

variante     .     .    .    . 

» 

§  cLxxn. 

» 

cap.  CLXIl   .    .    .    . 

n 

§  Lin. 

w 

cap.  CLXIV.    .     .    . 

w 

§  XXXIX. 

w 

cap.  CLXV  .    .    .    . 

Lib. 

I,  §  evi. 

» 

cap.  CLXVIl     .    .     . 

Lib. 

Ili,  §  cu. 

w 

cap.  CLX VIII  è  mol- 
to   affine   nel   con- 

cetto al      .    .    .    . 

)> 

§  XXXIII. 

Note  e  documenti  santambrosiani  ^*^ 


SECONDA  SERIE. 


La    «    SUPERSTANTIA    »    DELLA    BASILICA. 

RIAMATA  anche  ,iLjàfeoX.,.&Qte||g  »,  la  «  superstantia  » 
rappresentò  in  origine  una  delegazione  del  comune,  per 
raccogliere  ed  amministrare  i  fondi  destinati  alla  rifab- 
brica della  basilica.  Di  qui  la  preponderanza  dell'ele- 
mento laicale  mantenutasi  per  più  secoli  nell'ufficio  del  «  superstes  » 
o  u  superstans  »  (i)  di  questa,  come  di  altre  basiliche  milanesi  ;  la 
ricostruzione  delle  quali  coincide,  al  pari  della  rifabbrica  di  S.  Am- 
brogio, col  risveglio  delle  energie  delle  varie  classi  del  laicato  citta- 
dino, uscito  più  gagliardo  dalle  lotte  fra  l'impero  ed  il  papato,  fra 
l'alto  clero  concubinario  e  simoniaco  ed  il  clero  minore  e  la  «  pata- 
«  ria  »,  conscio  della  propria  forza,  che  lo  portava  a  dirigere  le  sue 
feconde  iniziative  in  ogni  campo  della  pubblica  attività,  cominciando 
col  soddisfare  ai  bisogni  del  culto  e  col  provvedere  ad  una  più  deco- 


(•)  Cfr.  la  prima  serie  in  quest'Archivio,  XXXI,  1904,  fase.  IV,  pp.  302-359. 

(i)  Con  questa  stessa  denominazione  erano  indicati  nell'antica  porta  Ro- 
mana, sotto  le  sculture  rappresentanti  il  ritorno  dei  milanesi  in  città,  Guglielmo 
Borro  e  Prevede  Marcellino,  «  huius  operis  superstites  »,  insieme  ai  nomi  dei 
consoli  della  repubblica,,  sotto  il  cui  reggimento  era  stata  iniziata  la  ricostruzione 
della  porta  il  primo  marzo  1171,  e  dell'architetto  e  scultore  Girardo  da  Casti- 
gnianega.  La  denominazione  ricompare  sino  dai  primi  atti  della  fabbrica  del 
duomo,  per  indicare  le  persone  incaricate  di  sorvegliare   l'esecuzione  dei  lavori. 


48  GEROLAMO    DISCARO 

rosa  venerazione  dei  corpi  dei  santi,  nella  cui  protezione   la  città 
riponeva  ogni  speranza  di  grandezza  e  di  prosperità  (i). 

Creata  per  la  direzione  amministrativa  della  rifabbrica,  la  so- 
prastanzia ricevette  ben  presto  legati  e  doni  di  terre  e  di  censi;  i 
cui  redditi,  dopo  compiuti  i  lavori  in  corso,  si  dovevano  erogare 
nelle  spese  di  manutenzione  ordinaria  dell'edificio.  Divenne  così  una 
Istituzione  permanente,  che,  essendo  venuta  a  cessare,  colla  diffe- 
renziazione compiutasi  poco  a  poco  nelle  attribuzioni  delle  magi- 
strature cittadine  e  dell'autorità  ecclesiastica,  l' influenza  diretta  del 
comune  nelle  cose  della  basilica,  finì  per  cadere  sotto  la  giurisdi- 
zione dell'arcivescovo;  il  quale  nella  sua  veste  di  «  dominus  »  del 
tempio,  rivendicò  il  diritto  di  porvi  il  «  superstans  »  e  di  con- 
trollarne la  gestione. 

È  notevole  rispetto  alla  contemporaneità  della  rifabbrica  della 
chiesa  di  S.  Ambrogio  colla  ricostruzione  di  altri  templi  milanesi, 
per  mezzo  di  altrettanti  uffici  chiamati  «  labores  w,  il  testamento  del 
febbraio  11 12  di  Gisla,  vedova  di  Amizone  Ghiringhello,  la  quale 
lasciò  alcune  terre  alle  chiese  di  S.  Maria  «j  emale  w,  S.  Nazaro  al 
corpo  e  S.  Stefano  alla  ruota,  assegnando  ai  «  labores  «  delle  tre 
phiese  «  donec  »  (ciascuna  di  esse)  «  restaurata  fuerit  w,  una  parte 
dei  redditi,  che  «  post  completum  ipsum  laborem  »,  dovevano  an- 
dare a  favore  delle  rispettive  canoniche  (2).  Altri  documenti  avver- 
tono che  nella  stessa  epoca  si  lavorava  intorno  alla  grande  basilica 
di  S.  Eustorgio;  il  cui  «  labor  »  viene  beneficato  in  un  testamento 
del  1121,  come  un  ente  distinto  dalla  canonica  addetta  all'officiatura 
della  chiesa  (3).  Più  tardi,  nel  1147,  si  ha  notizia  del  «  labor  »  della 


(i)  Il  medesimo  fenomeno  si  verificò  intorno  allo  stesso  periodo  di  tempo 
a  Pavia,  Verona,  Parma,  Modena,  ecc. 

(2)  Codice  diplom.  Della  Croce,  ms.  Ambros.  D.  IV,  Sup.  V,  e.  74.  Chia- 
mavasi  «  labor  sancte  Marie  Maioris  »  o  «  Jemalis  »,  la  casa  ove  era  la  sede 
della  soprastanzia  della  metropolitana,  presso  al  palazzo  dell'arcivescovo,  vicino 
all'antico  broletto  del  comune.  Si  hanno  più  sentenze  consolari  e  arbitrali  della 
seconda  metà  del  sec.  XII  pronunciate  a  in  labore  S.  Marie  jemalis  ».  Della  sopra- 
stanzia di  S.  Stefano  «  in  brollio  »,  detto  anche  «  ad  rotam  »,  abbiamo  trovato  una 
sola  notizia  indiretta  in  un  atto  del  1336  (Cod.  Della  Croce,  XXIII,  sub  a.  1336). 

(3)  Ibid.,  V,  e.  147,  1121,  aprile  i.  Ambrogio  («  qui  dicor  Saginus  »)  fu 
Lanzone,  dispone  alcuni  suoi  beni  a  ad  partem  laboris  ecclesie  S.  Eustorgii  »,  e 
vuole  che  alla  morte  della  moglie  anche  altri  beni  «  deveniant  in  iure  supra- 
«  scripti  laboris  S.  Eustorgii  ad  retinendum  ipsum  laborem  ». 


NOTE  E  DOCUMENTI  SANTAMBROSIANI  49 

basilica  di  S.  Simpliciano  (i).  Mentre  a  S.  Ambrogio,  S.  Tecla, 
S.  Lorenzo,  S.  Eustorgio  e  a  S.  Maria  j emale  le  soprastanzie  con- 
tinuarono ad  essere  affidate  quasi  sempre  ai  laici  nei  secoli  XIII  e 
XIV  (2),  già  nel  1153  troviamo  «  superstans  «  della  chiesa  diS.  Gior- 
gio al  palazzo  un  diacono  della  stessa  chiesa.  Era  sorta  questione 
fra  il  soprastante  e  il  preposto  della  canonica  per  la  pretesa  del 
primo  di  disporre,  a  suo  arbitrio,  del  cimitero,  nel  quale  aveva  co- 
struita una  casa  vicino  alla  «  domus  superstantie  ».  La  causa  fu 
■decisa  dall'arcivescovo  Oberto,  il  quale   dichiarò  che  «  ut  canones 

(i)  BoNOMi,  Tah.  Clarev.,  ms.  Braidense^  A.  E.  XV,  20,  doc,  n.  75;  1142 
gennaio  27.  Alberico  Ferrario  del  borgo  di  porta  comasina,  per  il  caso  che  a  in 
<(  hoc  itinere  Yerusalem  in  quo  modo  iturus  sum  mortuus  fuero  »,  lascia  fra 
molti  legati  pii  cinque  soldi  all'ospitale,  cinque  al  monastero  e  cinque  «  labori  » 
■di  S.  Simpliciano. 

(2)  Della  soprastanzia  di  S,  Maria  jemale  si  ha  un  atto  del  1209  con  cui 
«  Abiaticus,  qui  dicitur  Pasquahs  superstes  laboris  mediolanensis  ecclesie  beate 
«  Marie  »  concesse  in  affitto  perpetuo  una  «  braira  ipsius  laboris  »  ad  una  com- 
pagnia di  partecipanti  (R.  Archivio  di  Stato,  Arch.  dipi.,  pergam.,  fascio  n.  144). 
Nel  1220  troviamo  Oprando  fu  Lanfranco  da  Besana  «  superstite  laboris  S.  Marie 
«  raaioris  »  (Sassi,  Series  archiepisc,  TI,  650).  Argomentiamo  che  nel  1337  la 
soprastanzia  della  metropolitana  fosse  stata  unita  al  capitolo  maggiore,  da  un  atto 
di  quell'anno,  col  quale  l'arciprete  e  il  capitolo  rinnovarono  ad  alcuni  parteci- 
panti l'investitura  di  alcune  porzioni  della  braida  suddetta,  senza  più  fare  men- 
-zione  della  soprastanzia  (i.\rch.  di  Stato,  Se^.  storica,  comune  di  Milano,  Fabbrica 
del  Duomo).  A  S.  Eustorgio,  sebbene,  come  si  vedrà  più  innanzi,  l'ammini- 
strazione della  soprastanzia  fosse  stata  fino  dal  11 56  affidata  alla  canonica  della 
basilica,  i  soprastanti  laici  continuarono  ad  alternarsi  coi  chierici  per  tutto  il  se- 
colo XIII.  Nel  12  51  era  soprastante  frate  Anselmo  Corbo  (Cod.  Della  Croce, 
XVII,  sub  a.  125 1),  e  nel  1294  «  dominus  Gasparrus  Sella  civis  Mediolani 
«  porte  ticin.  »  (Arch.  dipi.,  perg.  S.  Ambrogio,  fascio  n.  116).  '■ —  Dell'antica  so- 
prastanzia di  S.  Lorenzo  maggiore  abbiamo  un  atto  del  1209,  di  locazione  con- 
cessa da  Riboldo  e  Guido  «  qui  dicuntur  Prestinarii,  superstantes  laboris  S.  Lau- 
«  rentii  »,  di  un  fondo  posto  fuori  di  porta  Ticinese,  «  ubi  dicitur  in  Valle  Orioni 
«  prope  ecclesiam  S.  Eustorgii  »  (Ibid.,  Se:(^.  storica,  arcivescovi,  busta  IV).  L'atto 
porta  la  sottoscrizione  dell'arcivescovo  Uberto  da  Pirovano,  che  conferma  la  di- 
pendenza diretta  dall'arcivescovo  di  quella  soprastanzia,  sebbene  retta  da  laici. 
Nel  1255  era  soprastante  frate  Guglielmo  da  Ferrabò,  contro  il  quale  la  canonica 
mosse  querela  per  ottenerne  la  rimozione  dall'ufficio  a  causa  della  sua  cattiva 
amministrazione.  Si  diceva  fra  altro  che  «  remoto  plumbo  de  tecto  diete  Ecclesie 
•«  et  ibi  contra  antiquum  statura  ecclesie  et  decorem,  positis  cuppis  »,  avesse 
gravemente  pregiudicata  la  basilica  (ibid.,  perg.  S.  Lorenzo,  fascio  n.  144).  Nel 
1290  l'ufficio  era  tenuto  da  un  Visconti,  «  d.  Petrus  Vicecomes  superstans  diete 
<(.  ecclesie  »  (ibid.,  perg.  S.  Ambrogio,  fascio  n.  115). 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  V.  4 


50 


GEROLAMO  BISCARO 


«  dictant  »  spettava  soltanto  al  preposto  assegnare  le  sepolture,  e  che 
il  cimitero  doveva  rimanere  libero  «  usque  ad  pedes  »  (i).  Tre  anni 
dopo  lo  stesso  arcivescovo  Oberto  concedeva  il  dominio  della  «  su- 
u  perstantia  »  della  basilica  di  S.  Eustorgio  al  preposto  di  quella  ca- 
nonica (2). 

Questi  precedenti  spiegano  perchè  intorno  alla  stessa  epoca  i 
canonici  di  S.  Ambrogio  abbiano  cominciato  a  portare  i  loro  cupidi 
sguardi  sulla  «  domus  laboris  »  della  basilica,  cercando  di  attirarla 
nella  propria  orbita,  per  finire,  come  riuscirono  molto  tempo  di  poi, 
a  farsene  padroni;  con  grande  dispetto,  è  vero,  dei  monaci,  ma 
con  nessun  vantaggio  per  la  manutenzione  e  per  il  decoro  della 
chiesa. 

Abbiamo  accennato  altrove  alla  lite  del  1143  ^^^  ^  monaci  e  i 
canonici  intorno  ai  diritti  di  parrocchialità  sulle  case  ch'erano  sorte 
da  poco  tempo  nei  pressi  della  basilica,  e  alla  sentenza  consolare 
che  riconobbe  tale  diritto  ai  canonici  per  gli  edifici  compresi  fra 
la  linea  mediana  della  chiesa  verso  occidente  e  la  sede  della  ca- 
nonica, a  settentrione.  La  «  domus  laboris  »  si  trovava  appunto  a 
settentrione  della  chiesa,  poco  lungi  dalla  canonica.  Qualche  pre- 
tesa i  canonici  dovevano  avere  avanzato  sulla  soprastanzia  nel  T162. 
Nel  febbraio  di  quell'anno  Gariziano  Pecora  «  superstans  ecclesie 
«  Sancti  Ambrosii  »>  e  Pietro  «  conversus  illius  superstantis  >»  addiven- 
nero coi  canonici  ad  una  transazione  in  una  lite  relativa  ad  un  annuo 
censo,  legato  «  labori  ecclesie  »  ;  rinunciando  ad  ogni  maggiore  di- 
ritto si  accontentarono  di  ricevere  tre  annualità  del  canone  (3).  L'atto 
prova  inoltre  che  ormai  l'ufficio  del  soprastante,  sebbene  tenuto  da 
laici,  si  considerava  di  carattere  ecclesiastico;  tanto  che  erano  am 
messe  le  «  conversiones  w  a  favore  del  «  labor  ecclesie  »,  ossia  l'of- 
ferta che  faceva  taluno  della  propria  persona  e  dei  suoi  beni  a 
vantaggio  dell'  opera,  la  quale,  per    mezzo  del   soprastante,  si  ob- 


(i)  Sassi,  op.  cit.,  II,  544.  L'orig.  è  in  Arch.  dipi.,  Se:(ione  arcivescovi,  bu- 
sta IL  La  data  della  consacrazione  della  chiesa  di  S.  Giorgio  in  palazzo  (26 
agosto  II 27),  ricordata  nelle  antiche  notae  sancti  Georgii  Mediolanensis  (Pertz, 
M.  G.  H.,  Scr.  Vili,  386),  dovrebbe  segnare  il  compimento  della  rifabbrica  della 
basilica,  avvenuto  intorno  alla  stessa  epoca  della  ricostruzione  di  S.  Ambrogio, 
S.  Simpliciano,  S.  Eustorgio,  S.  Maria  j emale,  S.  Nazzaro  e  S.  Stefano. 

(2)  Cod.  Della  Croce,  VII-VIII,  sub  a.  1156. 

(3)  Ibid,  IX,  e.  7. 


NOTE  E  DOCUMENTI  SANTAMBROSIANI  5I 

bligava  di  fornirgli  gli  alimenti  per  tutta  la  vita;  come  si  praticava 
nelle  conversioni  ai  monasteri,  alle  chiese  e  agli  ospitali  (i). 

Quanto  si  è  detto,  in  via  d' induzione,  a  proposito  della  sen- 
tenza dei  consoli,  trova  conferma  per  il  tempo  posteriore  nel  de- 
creto dell'arbitro  Milone,  del  1174,  che  assegnò  ai  canonici  la  «  do- 
"  mus  laboris  quo  ad  iura  parochie  »  (2).  Di  questa  «  domus  » 
fanno  ^menzione  i  testimoni  del  processo  del  1200-1201,  e  quelli  di 
un'altra  causa  svoltasi  avanti  i  consoli  di  giustizia  nel  1207  ^^^  i  ca- 
nonici di  S.  Ambrogio  e  i  vicini  delle  chiese  di  S.  Pietro  «  al  dorso  » 
e  di  S.  Naborre,  intorno  alla  proprietà  di  un  pezzo  di  terra  in  conti- 
nuazione della  sede  della  canonica,  oltre  la  linea  segnata  dal  mezzo 
della  fronte  di  S.  Naborre  sino  alla  «  columpna  lapidea  dricta  »,  la 
colonna  romana  isolata  all'angolo  nord-ovest  del  portico  della  basi- 
lica (3),  attraverso  la  chiesa  di  S.  Maria  Greca  (4).  Un  testimonio 
in  questa  seconda  causa  depose  che,  dopo  il  ritorno  dei  milanesi  in 


(i)  Nel  1200  la  «  domus  laboris  »  aveva  oltre  ai  conversi,  una  conversa 
(Cod.  Della  Croce,  XII,  ce,  121-131:  Esame  del  teste  Stefano  da  Vigonzone). 

(2)  PuRiCELLi,  Moti.  Bas.  Amhr.,  n.  147. 

(3)  Sarebbe  questa  la  prima  notizia  che  si  ha  nelle  'carte  milanesi  della 
colonna  isolata  presso  il  portico  della  basilica.  Si  è  creduto  da  taluno  di  ravvisare 
un  accenno  alla  colonna  nelle  parole  che  si  leggono  in  un  documento  del  776  : 
«  iuxta  columpna  que  dicitur  orphana  »  {Cod.  Lang.  in  M.  H.  P.,  e.  106).  Ma 
la  frase:  a  que  infra  hac  civitate  Mediolani  »,  che  precede  quelle  parole,  dimo- 
stra che  la  cosidetta  colonna  «  orphana  »  sorgeva  nell'  interno  della  città,  mentre 
è  risaputo  che  la  basilica  di  S.  Ambrogio  fu  compresa  entro  la  cinta  cittadina 
non  prima  del  1162.  È  pure  nota  la  parte  che,  secondo  il  Fiamma,  era  assegnata 
alla  ((  collumpna  marmorea  recta  »  nella  cerimonia  dell'incoronazione  dell'im- 
peratore in  S.  Ambrogio  {Chronic.  mams  in  cod.  Ambr.  A.  275  inf,  e.  154), 
e  si  conosce  da  un  istromento  del  1507  riferito  dal  Puricelli,  Dissert.  Na^ar., 
pp.  630-52,  che  ancora  al  suo  tempo  era  costume  del  pretore  di  Milano  il  giorno 
che  assumeva  la  carica,  di  recarsi  presso  la  colonna,  forse  per  abbracciarla,  come 
si  dice  facesse  l' imperatore  a  in  signo  quod  in  ipso  erit  iustitia  recta  ».  Crediamo 
che  la  pratica  dell'abbracciamento  della  colonna  sì  collegasse  colla  consuetudine 
della  offerta  di  un  fiorino  che  il  podestà  faceva  ogno  anno  sull'altare  di  S.  Am- 
brogio ;  della  quale  consuetudine  sì  ha  notizia  in  una  lista  delle  oblazioni  alla 
chiesa  negli  anni  1284  e  1285  {Arch.  dipi.,  perg.  S.    Ambrogio,    fascio  n.  107). 

(4)  Cod.  Della  Croce,  XIIl,  e.  156.  Il  teste  Pagano  «  de  bambace  »,  in- 
terrogato c(  ubi  incipìebat  predicta  via  quando  intrabat  locum  de  quo  queritur  », 
rispose:  «  ad  pizum  solarli  quod  est  per  medium  ecclesie  S.  Naboris  incipìebat 
«  et  ibat  iuxta  murum  illius  canonice  usque  ad  ulmos  qui  erant  ibi  ubi  est  co- 
«  lumpna  lapidea  dricta  que  est  per  medium  sancte  Marie  Grece  ». 


52  GEROLAMO   BISCARO 

patria,  era  stata  costruita  una  casa  nello  spazio  in  questione,  ove 
stettero  Lanfranco  Bugnone,  Zamperlo  e  Lorenzo.  11  primo  dei  tre 
era  «  superstes  »  della  chiesa  di  S  Ambrogio,  «  et  ibat  querendo 
«  bonum  et  auditorium  prò  levare  ecclesiam  Sancte  Marie  Gre- 
u  ghe  "  (i).  Per  chiarire  la  portata  di  questa  notizia  come  di  altre 
riferite  dai  testimoni  intorno  agli  edifici  eretti  sopra  quell'area  dopo 
il  rimpatrio  degli  esuli,  il  causidico  dei  canonici  inserì  fra  le  linee 
la  seguente  nota:  «  quando  intravimus  civitatem,  omnia  erant  de- 
u  structa  et  quia  canonici  sancti  Ambrosi!  erant  catholici,  simul 
«  cun  aliis  exulaverunt  ;  sed  cum  intraverint  et  domos  et  sepes 
i(  et  ortos  statim  restauraverunt  »  (2).  D'onde  si  rileva  che  la 
«  domus  laboris  »  ove  abitava  il  soprastante,  e  la  vicina  chiesuola 
di  S.  Maria  Greca,  come  tutti  gli  altri  edifizi  esistenti  a  setten- 
trione della  basilica,  erano  stati  diroccati  nel  1162,  quando  Milano 
fu  distrutta. 

Dopo  il  ritorno  dei  cittadini  il  nuovo  soprastante,  Lanfranco 
Bugnone,  ricostruì  la  «  domus  »,  e  fece  una  colletta  per  riedificare 
la  chiesuola.  «  Querere  bonum  et  adiutorium  »;  ecco  il  mezzo  ordi- 
nario, cui  si  ricorreva  nel  sec.  XII,  come  sempre  di  poi  ed  an- 
che in  oggi,  per  raccogliere  i  fondi  occorrenti  alla  costruzione  degli 
edifizi  di  culto.  Il  patrimonio  delle  soprastanzie  bastava  appena  per 
le  spese  di  manutenzione  ordinaria.  Se  occorrevano  somme  consi- 
derevoli per  rifabbriche,  totali  o  parziali,  in  difetto  di  qualche  lascito 
particolare,  non  c'era  altra  risorsa  che  la  questua  o  colletta,  libera 
od  obbligatoria  secondo  le  circostanze,  limitata  fra  i  vicini  od  estesa 
a  tutta  la  città,  secondo  che  si  trattava  di  chiese  vicinali  o  parro- 
chiali  (3)  ovvero  delle  principali  basiliche. 


(i)  Cod.  Della  Croce,  Esame  del  teste  Nazzaro  «  panis  et  nucis  »  (sic). 

(2)  Ibid.  Esame  del  teste  Alberto  «  Bellinzonus  ». 

(3)  Mentre  agli  interessi  patrimoniali  delle  chiese  basilicali  provvedeva  il 
clero  officiante  coli' intervento  o  con  licenza  dell'arcivescovo,  oppure  il  sopra- 
stante, secondo  che  si  trattava  di  beni  destinati  per  il  servizic^  del  culto  o  di 
beni  assegnati  per  la  rifabbrica  o  la  manutenzione  dell'edificio,  invece  nelle  chiese 
parrocchiali  minori  tutto  si  amministrava  dal  clero  locale  col  concorso  dell'as- 
semblea dei  vicini  o  parrocchiani.  Veggansi  ad  esempio:  i.""  un  atto  del  1204, 
di  vendita  di  terre  in  Melzo  spettanti  alla  chiesa  di  S.  Eufemia  di  Milano,  sti- 
pulato da  prete  Vitale,  «  officiale  »  della  chiesa,  col  concorso  di  otto  «  vicini 
a  ipsius  ecclesìe  qui  fuerunt  electi  in  antea  communi  Consilio  vicinorum  ipsius 
«  ecclesie  »  {Arch.  dipi.,  sezione,  arcivescovi,  busta  IV);  2.°  un  altro  atto  del  121 5 


NOTE   E    DOCUMENTI   SANTAMBROSIANI  53 

Rimane  adunque  stabilita  la  data  della  rifabbrica  della  piccola 
chiesa  di  S.  Maria  Greca,  ora  sotto  l'invocazione  di  S.  Sigismondo, 
intorno  al  1167,  a  cura  del  soprastante  della  basilica,  Lanfranco 
Bugnone.  Il  sacello  presenta  ancora,  non  ostante  la  trasformazione 
della  volta  compiuta  nel  sec.  XV,  tracce  della  costruzione  del 
sec.  XII  nell'arco  dell'abside,  che  offre  qualche  affinità  costrut- 
tiva cogli  archi  delle  grandi  volte  a  crociera  della  basilica  (i). 

Nel  1200  si  litigava  fra  i  due  cleri  intorno  a  taluni  servigi  che 
i  monaci  reclamavano  dai  canonici  per  l'officiatura  della  chiesa  ; 
pretendevano  fra  l'altro  che  in  alcune  solennità  i  canonici  avessero 
ad  ornare  la  chiesa,  gli  altari  ed  il  pulpito  con  palili  e  cortine.  E 
poiché  la  questione  non  era  che  un  episodio  dell'antico  litigio  sulla 
preminenza  che  il  monastero  vantava  in  confronto  della  canonica, 
nelle  posizioni  formulate  per  l'esame  dei  testimoni  l'abbate  dedusse 
che  i  canonici  non  avevano  mai  avuto  sedili,  leggìo  e  lampade  nel 
coro,  né  mai  avevano  fatto  uso  del  pulpito  (2).  I  canonici,  dal  loro 
canto,  obbiettarono,  che  incombeva  al  soprastante  provvedere  al 
restauro  della  chiesa  e  del  pulpito,  e  che  la  nomina  del  soprastante 
spettava    all'arcivescovo  (3)  ;    per  concludere    che    coro    e    pulpito 


di  costituzione  di  livello  sopra  terre  in  Panilo  di  proprietà  della  chiesa  dei 
SS.  Babila  e  Romano  nel  borgo  di  porta  Orientale,  stipulato  da  due  preti 
«  officiali  »  col  consenso  di  otto  vicini,  «  tunc  consulibus  illius  burgi  et  illius 
«  ecclesie  »  (ibid.  perg.  S.  Maria  Beltrade,  fascio  n.  153);  3.°  un  compromesso 
del  31  marzo  1239  fra  il  prete  «  beneficiario  »  di  S.  Maria  Podone  col  consenso 
di  otto  vicini  della  parrocchia,  e  il  monastero  di  S.  Maria  di  Lampugnano  (ibid., 
Se^.  storica,  arciv.,  busta  IV). 

(i)  In  fine  di  un  codice  della  canonica  di  S.  Ambrogio  leggevasi  la  se- 
guente nota:  «  MCCL.  die  mercurii  septimo  exeunte  mense  madii,  ad  onorem 
«  Domini  nostri  ecc.  dominus  frater  Leo  de  ordine  minorum  archiepiscopus 
«  M.  consecravit  altare  sancte  Marie  grece,  quod  altare  celle  est  vel  fuit  in  ca- 
«  nonica  S.  Ambrosi!  »  (Cod.  Della  Croce,  XVII), 

(2)  Arch.  dipi,  perg.  S.  Amhr.,  fascio  n.  107  :  «  Ponit  d.  abbas  -  item 
«  quod  canonici  non  habent  in  choro  S,  Ambrosii  sedilia,  nec  lectorile,  nec  ci- 
«  cindilia,  nec  catenelias  cicinderiorum  ;  immo  omnia  predicta  sunt  infrascripti 
«  monasterii,  et  in  destructione  chori  abbas  sicut  sua  fecit  portare  in  ecclesia 
«  S.  Satiri;  —  Item  quod  canonici  non  consueverunt  sedere  in  stadiis  mona- 
«  chorum,  seu  in  choro  S.  A.  immo  iuxta  altare  ab  annis  L  supra  ». 

(3)  Cod.  Della  Croce,  XII,  e.  17.  «  Ponunt  sindicì  canonicorum  quod  su- 
«  perstes  reficit  ecclesiam  B.  A.  et  pulpitum  ;  —  quod  superstes  ipsi  ecclesie  po- 
«  nitur  ibi  per  d.  archiepiscopum  ». 


54  GEROLAMO   DISCARO 

appartenevano  all'arcivescovo,  il  quale  ne  aveva  affidato  solo  ad 
essi  l'uso  e  la  custodia.  I  patroni  delle  parti,  che  assistevano 
agli  esami,  si  sbizzarrirono  a  muovere  ai  testimoni  un'  infinità  di 
domande  sopra  argomenti  che  presentavano  coll'oggetto  della  lite 
una  relazione  affatto  occasionale  ed  indiretta.  E  così  che  si  fece 
raccontare  da  un  teste  dei  canonici,  che  l'anno  prima  (1199),  a  na- 
tale, il  soprastante  Ottone  «  de  Arena  »  aveva  offerto  «  un  pomo 
«  citrino  »  (forse  un  limone)  al  preposto  eh'  era  andato  a  portare 
l'acqua  e  l' incenso  alla  «  domus  laboris  sancti  Ambrosii,  «  ubi 
u  sunt  quedam  monumenta  »  (i).  Un  secondo  testimonio  narrò 
che  i  canonici  avevano  una  volta  fatto  demolire  1'  «  hedificium 
«  ligneum  »,  costrutto  nel  pulpito  per  ordine  dell'abbate,  giustifi- 
cando il  procedere  dei  canonici  col  dire  che  i  restauri  del  pulpito 
non  erano  di  competenza  dell'abbate,  ma  del  soprastante.  Invitato 
a  dare  spiegazione  intorno  a  questo  suo  apprezzamento,  rispose 
che  aveva  visto  il  soprastante  fare  accomodare  il  pulpito  dopo 
ch'era  stato  atterrato,  e  sopra  il  pulpito  stesso,  così  accomodato, 
far  disporre  un  coperto  di  tegole  (2).  Un  terzo  testimonio,  chie- 
rico della  canonica,  si  confessò  autore,  insieme  ad  altro  familiare 
dei  canonici,  della  distruzione  del  «  labor  ligneus  »  del  pulpito,  che 
il  soprastante  si  era  affrettato  la  stessa  notte  a  rimettere  a  posto  (3). 
Un  teste  del  monastero  chiarì  che  i  monaci  avevano  fatto  accon- 
ciare il  pulpito  per  mezzo  del  soprastante  e  col  consenso  dell'ar- 
civescovo, e  che  1  canonici  di  notte  tempo  lo  avevano  demo- 
lito; il  soprastante  la  stessa  notte,  per  evitare  conflitti  fra  i  due 
cleri,    lo    aveva   di    nuovo    accomodato    (4).  Un    secondo    testimo- 

(i)  Cod.  Della  Croce,  XI I,  e.  121  sg.  Veggasi  anche  nello  stesso  cod.  Della 
Croce,  XIII,  e.  34  sg. 

(2)  Ibid.,  XII,  ce.  165-174.  Esame  di  Guiffredo,  canonico  e  cimiliarca  di 
S.  A.  ;  a  per  nuntios  canonicorum  diruptum  fuit  hedificium  ligneum  quod  abbas 
«  et  monaci  facere  fieri  presumpserunt  in  ipso  pulpito,  quia  ad  abbatem  vel  mo- 
«  nacos  non  pertinet  reficere  pulpitum  vel  ecclesiam,  sed  ad  superstitem  ecclesie, 
«  qui  ibi  ponitur  per  d.  archiepiscopum.  Interr.  quo  modo  scit.  R.  quia  vidi  su- 
«  perstitem  qui  modo  est,  facere  reficere  ipsum  pulpitum  quando  diruptum  fuit 
«  et  supra  pulpitum  facere  cohoperire  de  cuppis  ». 

(3)  Ibid.,  XII,  ce.  225-232.  Esame  di  Pietro  Taverna,  chierico  di  S.  A.: 
«  quia  monaci  presumpserunt  facere  laborem  ligneum  in  pulpito,  ego  et  Jacobus 
«  de  labore  et  quidam  servitores  canonicorum  ipsum  destruximus,  et  antequam 
a  dies  venerit,  superstes,  cuius  officium  erat,  ipsum  reficere  fecit  ». 

(4)  Ibid.,  XII,  ce.  68-78.  Esame  di  Martino,  monaco  di  S.  A. 


NOTE   E    DOCUMENTI   SANTAMBROSIANI  55 

nio  (i)  aggiunse  che  il  soprastante  aveva  in  quell'occasione  accon- 
ciato il  pulpito  nella  forma  che  presentava  ancora  al  momento  del 
suo  esame  (22  dicembre  1200).  I  monaci  Martino  e  Guido  precisarono 
le  funzioni  del  soprastante,  dicendo  che  non  era  tenuto  a  provve- 
dere per  gli  stalli  del  coro,  ma  soltanto  per  i  banchi  della  chiesa 
e  per  le  porte,  e  a  far  ricoprire  il  tetto  (2).  Quasi  tutti  confer- 
marono che  la  sua  nomina  spettava  all'arcivescovo,  e  ch'egli  soleva 
provvedere  ai  ristauri  coi  redditi  della  «  superstantia  »  ;  ove  questi 
non  bastavano,  al  di  più  suppliva  l'arcivescovo.  Così  avevano  fatto 
nell'ultimo  ristauro  per  la  parziale  caduta  della  basilica  gli  arcive- 
scovi Oberto  (da  Terzago)  e  Filippo  (da  Lampugnano)  (3). 

Dal  complesso  di  queste  deposizioni  e  delle  altre  che  per  bre- 
vità omettiamo  di  riassumere,  si  raccoglie  che  sulla  fine  del  se- 
colo XII  le  funzioni  del  soprastante  continuavano  ad  essere  quali 
erano  state  in  origine  ;  attendere  alla  ricostruzione  e  alla  manu- 
tenzione ordinaria  e  straordinaria  dell'edificio,  comprese  le  porte 
e  quant'altro  è  dato  considerare  immobile  per  natura,  perchè  sta- 
bilmente incorporato  al  suolo;  ad  esempio  il  pulpito,  il  ciborio  e 
l'altare.  Ne  erano  esclusi  in  generale  i  mobili;  ma  si  faceva  ecce- 
zione per  i  banchi  nella  chiesa  destinati  ai  fedeli.  Agli  stalli  del 
coro,  ai  leggìi,  alle  lampade,  all'olio,  alla  cera,  ecc.,  provvedeva  il 
clero  addetto  all'officiatura  del  tempio.  Cessata  da  lunghi  anni 
r  ingerenza  del  comune  nella  nomina  del  soprastante  e  nella  sua 
gestione,  la  «  superstantia  »  era  divenuta  una  dipendenza  dell'ar- 
civescovo, il  quale  continuava  a  destinarvi  dei  laici  in  omaggio  ad 
una  tradizione  quasi  secolare. 

Alquanto  confusa  è  la  storia  delle  peripezie  del  pulpito.  Par- 
rebbe che  l'edificio  ligneo  fatto  costrurre  dai    monaci,   demolito    a 


(i)  Cod.  Della  Croce,  XII,  ce.  94-102.  Esame  di  Giovanni  da  S.  Siro,  converso 
di  S.  A.  :  «  ego  prò  nionacis  ipsum  pulpitum  aptavi,  postea  ipsuni  destruxerunt  ca- 
«  nonici  ecc.  guod  pulpitum  ut  modo  est,  superstes  aptare  fecit  ». 

(2)  Ibid.,  XII,  ce.  68-78  e  78-89. 

(3)  Ibid.,  XII,  ce.  68-78.  Esame  del  monaco  Martino:  «  ego  credo  quod 
«  sit  ibi  superstes  per  d.  archiepiscopum  et  quod  reficit  ecclesiam  sicut  potest,  et 
«  si  non  potest  d.  archiepiscopus  reficit  eandem  ecclesiam.  Et  vidi  quod  archi- 
«  episcopus  Obertus  ipsam  ecclesiam  fecit  aptare  et  quod  d.  Philipus  fecit  opus 
«  inceptum  perfici  ».  —  e.  113.  Esame  di  Pietro,  primicerio  dei  vecchioni: 
«  quondam  d.  Obertus  archiepiscopus  ipsam  [ecclesiam]  refìcere  fecit  ». 


56 


GEROLAMO    BISCARO 


suggestione  dei  canonici  e  tosto  racconciato  dal  soprastante,  fosse 
un  assito  provvisorio  a  forma  di  poggiolo,  disposto  sopra  le  colonne 
dell'antico  ambone  ch'erano  rimaste  in  piedi  dopo  il  crollo  di  parte 
della  basilica;  essendosi  in  quell'occasione  trasportate  nella  piccola 
chiesa  di  S.  Satiro  insieme  a  parte  degli  stalli  del  coro,  le  pietre 
dello  stesso  ambone,  ossia  i  frammenti  delle  volte,  del  fregio  e  del 
davanzale  (i).  Nello  stesso  tempo  che  dai  monaci  si  provvedeva 
colla  costruzione  del  poggiolo  di  legno  ai  bisogni  più  urgenti  del 
culto,  in  attesa  che,  ultimati  i  lavori  del  tiburio  e  della  vicina  cam- 
pata, si  potesse  sgombrare  lo  spazio  sottoposto  dai  ponti  di  fab- 
brica e  dagli  assiti  e  por  mano  al  completo  rifacimento  del  pulpito, 
il  soprastante,  affinchè  l'edificio  ligneo  non  rimanesse  esposto  alle 
intemperie,  dispose  al  disopra  una  tettoia  coperta  di  tegole. 

Ponendo  a  raff'ronto  alcuni  frammenti  di  queste  testimonianze 
pubblicati  dal  Puricelli  (2),  colla  iscrizione  che  si  legge  sopra  una 
parete  dell'ambone:  «  Gulielmus  de  Pomo  superstes  hujus  ecclesie 
u  hoc  opus  multaque  alia  fieri  fecit  »  ;  si  argomentò  che  il  sopra- 
stante, del  quale  parlarono  i  testimoni,  fosse  Guglielmo  de  Pomo, 
e  che  il  pulpito  sia  stato  a  di  lui  cura  ristaurato  fra  il  1196  e  il  1198. 
Si  è  ora  veduto  che  nel  1199  il  soprastante  era  Ottone  de  Arena; 
al  quale,  e  non  al  de  Pomo,  allusero  i  testimoni  che  narrarono  le 
vicende  dell'ambone,  dal  crollo  della  volta  di  sopra  in  poi.  Gu- 
glielmo de  Pomo  è  qualificato  «  superstes  ecclesie  et  laboris  sancti 
M  Ambrosii  »  in  vari  atti  dal  1204  al  1212  (3);  ciò  concorre  a 
far  ritenere  che  il  ristauro  ricordato  dalla  iscrizione  sia  poste- 
riore almeno  di  qualche  anno  al  processo  del  1200-1201.  Qualche 
frase  dei  testimoni,  se  fu  raccolta  con  precisione,  sembra  indicare 
che  nel  dicembre  1200  il  pulpito  era  ancora  come  Ottone  de  Arena 
lo  aveva  racconciato  in  fretta  e  furia  la  famosa  notte,  col  poggiolo 
di  legno  al  posto  del  davanzale  marmoreo.  Se  così  è,  bisogna    ri- 

(i)  Cod.  Della  Croce,  XII,  ce.  68-89.  Esame  dei  monaci  Martino  e  Guido. 

(2)  Moti.  Bus.  Ambr.,  n.  626  sg. 

(3)  Con  un  atto  del  dicembre  1209  {Arch.  dipi,  Se^.  storica,  arciv.,  bu- 
sta IV).  ((  Gulielmus  qui  dicitur  de  pomo  superstes  seu  minister  laboris  ecclesie 
«  sancti  Ambrosii  »,  col  consenso  dell'arcivescovo  Uberto  dava  esecuzione  ad 
una  transazione  col  monastero  di  Chiaravalle  intorno  al  diritto  di  decima  spet- 
tante alla  «  superstantia  »  nel  territorio  di  Nosedo;  transazione  già  intesa  fra  le 
stesse  parti  fino  dal  novembre  1204.  L'ultimo  atto  in  cui  figura  il  nome  di  Gu- 
glielmo de  Pomo  è  del  marzo  12 12  (ibid.,  perg.  S.  Ambr.,  fascio  n.  108). 


NOTE  E  DOCUMENTI  SANTAMBROSIANI  57 

tenere  che  il  soprastante  abbia  atteso,  prima  di  procedere  al  de- 
finitivo ristauro,  l'esito  della  lite.  Solo  dopo  risolta  dalla  sentenza 
del  novembre  1201  dei  commissari  apostolici  (i)  la  questione  sul 
dominio  e  sull'uso  del  pulpito,  il  nuovo  soprastante  Guglielmo  de 
Pomo  si  sarà  deciso  ad  iniziare  una  diligente  ricostruzione  dell'am- 
bone, ottenuta  col  ricomporre  i  frammenti  delle  volte  e  del  fregio 
e  col  rimettere  a  nuovo  i  grandi  specchi  marmorei  del  davanzale. 
Quali  altre  opere  il  de  Pomo  possa  avere  fatto  eseguire  ad 
ornamento  della  basilica  nel  tempo  della  sua  soprastanzia,  si  vedrà 
nel  capitolo  relativo  all'altare  e  alla  sua  custodia.  Intanto,  poiché 
si  è  parlato  del  pulpito  e  dei  suoi  ristauri,  rammentiamo  che  nel  1254, 
in  una  lite  che  si  agitava  fra  il  monastero  e  la  canonica  avanti 
l'arcivescovo  Leone  da  Perego,  si  discusse  fra  l'altro  a  carico  di 
quale  dei  due  capitoli  dovesse  incombere  la  spesa  occorrente  per 
un  nuovo  ristauro  dell'ambone.  I  monaci  pretendevano  di  addos- 
sarla ai  canonici,  asserendo  che  era  stato  «  destructum  vel  vio- 
«  latum  »  per  loro  colpa  (2). 

.  È  notevole  il  particolare  riferito  dal  primo  teste  dei  canonici 
nel  processo  del  1200-1201  intorno  all'esistenza  di  alcuni  monu- 
menti nella  «  domus  laboris  ».  Poiché  il  teste  venne  a  parlare  di 
questa  casa  a  proposito  della  cerimonia  dell'  incenso  e  dell'acqua 
che  i  canonici  erano  soliti  portarvi  la  vigilia  di  natale,  pensiamo 
che  quei  monumenti  fossero  delle  arche  sepolcrali  provenienti  dal- 
l'antica basiUca  a  colonne,  rimosse  dal  suolo  o  dalle  muraglie  quando 
la  chiesa  fu  ricostruita,  e  colà  trasportate  in  deposito  insieme  alle 
colonne  e  ad  altre  pietre  sopravanzate  dalla  rifabbrica.  11  preposto 
portava  l'incenso  e  l'acqua  oltre  che  alla  "  domus  laboris  »,  a  quelle 
tombe,  come  una  pertinenza  dei  cimiteri  assegnati  alla  giurisdizione 
della  canonica.  E  probabile  che  fra  i  suddetti  monumenti  vi  fossero 
il  grande  avello  marmoreo  e  i  frammenti  delle  arche  cristiane  che 
Guglielmo  de  Pomo,  quando  procedette  al  ristauro  del  pulpito,  avrà 
fatto  trasportare  là  sotto  fra  le  colonne,  e  nella  parte  posteriore  del 
davanzale,  ove  formano  tuttora  oggetto  di  particolare  ammirazione. 


(i)  PaRiCELLi,  op.  cit.,  n.  653  e  654;  eoa.  Della  Croce,  XIII,  e.  50.  L'ori- 
ginale si  trova  in  Arch.  dipi,  Se^.  bolle  e  brevi  papali  séc.  XII,  busta  VI. 

(2)  Cod.  Della  Croce,  XVIf,  sub  a.  1254.  «  Peticiones  monachorum,  ecc., 
a  item  quod  reflciant  [canonici]  pulpituin  ipsoruni  culpa  destructum  vel  violatum, 
«  cum  debeant  custodire  ecclesiam  ». 


58  GEROLAMO    BISCA RO 

Della  soprastanzia  di  S.  Ambrogio  non  si  hanno  altre  notizie 
fino  al  1282;  ad  eccezione  della  presenza  come  testimonio  di  Ven- 
tura da  Bescapè  «  superstans  ecclesie  Sancti  Ambrosii  »,  alla  pub- 
blicazione della  sentenza  proferita  nel  1260  dal  giurisperito  Pagano 
Valliano,  arbitro  in  una  delle  tante  controversie  fra  i  due  capi- 
toli (i).  Nel  1282  si  discuteva  a  chi  spettasse  la  spesa  degli 
stalli  del  coro  che  si  dovevano  rifare  (2).  Caso  straordinario  negli 
annali  della  basilica  dalla  fine  del  sec.  XI  in  poi;  canonica  e  mo- 
nastero si  erano  messi  d' accordo.  Pretendevano  di  accollarne  il 
carico  al  soprastante;  il  quale  resisteva  dicendo  che  non  era  di 
sua  competenza  provvedere  alla  costruzione  degli  stalli. 

La  causa  fu  portata  alla  curia  dell'arcivescovo  Ottone  Visconti; 
il  quale,  osservando  che  la  questione  pareva  dubbia  e  che  trattata 
u  per  viam  juris  »  la  sua  definizione  avrebbe  richiesto  troppo  tempo, 
e  non  si  poteva  frattanto  lasciare  il  coro  sprovvisto  degli  stalli, 
troncò  la  lite  col  deferire  ai  sindaci  del  monastero  e  della  canonica 
il  giuramento  intorno  all'  obbligo  del  soprastante  di  provvedere  a 
tale  opera.  Il  soprastante,  eh'  era  ancora  Ventura  da  Bescapè,  in- 
tesa la  dichiarazione  dei  sindaci  dei  due  capitoli  di  essere  pronti 
a  giurare,  li  dispensò  dalla  prestazione  dell'  atto  solenne,  purché 
confermassero  «  in  fide  et  bonitate  sua  w  il  contenuto  della  relativa 
formola.  I  sindaci  non  se  lo  fecero  dire  due  volte;  e  l'arcivescovo, 
appena  ricevuta  la  loro  dichiarazione,  sentenziando  giudicò  che  il 
soprastante  doveva  costruire  gli  stalli  nel  termine  di  un  anno  dalla 
successiva  festa  di  S.  Lorenzo  (io  agosto). 

In  un  processo  agitatosi  fra  il  1332  e  il  1337  in  seguito  al  ten- 
tativo dei  monaci  di  impadronirsi  della  chiave  della  cancellata  che 
chiudeva  in  mezzo  l'altare,  fu  interrogato  nel  5  settembre  1337  come 
testimonio  il  prete  Salomone  da  Bescap>è,  nipote  del  Ventura,  so- 
prastante. Prete  Salomone  disse  che  suo  zio  aveva  tenuta  la  so- 
prastanzia per  qurantacinque  anni  ;  ne  erano  trascorsi  altri  ven- 
tidue e  più  dalla  sua  morte  (3).  Essendo  stato  interrogato  sul  ser- 
vizio diurno  e  notturno  dei   custodi  della  basilica,  accennò  a  vari 


(1)  Cod.  Della  Croce,  XVIII,  sub  a.  1260. 

(2)  Ibid.,  XIX,  sub  a.  1282. 

(3)  L'ultima  notizia  di  Ventura  da  Bescapè  quale  soprastante  di  S.  Ambrogio 
è  in  data  del  1304,  in  un  registro  dei  censi  e  livelli  attivi  e  passivi  del  mona- 
stero di  Chiaravalle  (Arch.  dipi,  perg.  S.  Amhr.,  fascio  n.  no,  e.  31). 


NOTE  E  DOCUMENTI  SANTAMBROS.'ANI  59 

colloqui  che  aveva  avuto  in  proposito  col  custode  Arnoldo  «  de  la 
«  cessa»,  mentre  per  incarico  dello  zio  Ventura  sorvegliava  l'esecu- 
zione di  certe  pitture  nelle  volte  «  anteriori  »,  vicino  alla  «  porta 
«  mastra  de  arcipresso  »  (i).  Del  custode  Arnoldo  si  hanno  notizie 
per  il  periodo  dal  1261  al  1306  (2).  Tutto  calcolato,  crediamo  che 
le  pitture,  delle  quali  parlò  prete  Salomone  da  Bescapè,  siano  state 
eseguite  fra  il  1290  e  il  1300.  Non  è  altrettanto  facile  determinare 
a  quali  pitture  intendesse  alludere  il  testimonio.  Si  potrebbe  anzi- 
tutto dubitare  se  la  «  porta  mastra  de  arcipresso  »  fosse  quella  di 
mezzo  che  mette  dal  nartece  nella  basilica,  o  l'altra  sulla  stessa 
linea  per  cui  si  discende  dal  piazzale  esterno  nell'atrio.  Se  non 
che  lo  stesso  prete  Salomone,  in  altro  punto  del  suo  lungo  esame, 
riferì  che  aveva  visto  un  giorno  i  canonici  ricevere  l' arcivescovo 
Francesco  da  Parma  (1296-1308)  «  ad  introitum  Ecclesiae,  scilicet 
«  ad  portam  mastram  que  est  de  arcipresso  ».  Qui,  meglio  che 
nell'altro  punto,  pare  si  sia  voluto  identificare  la  «  porta  mastra  de 
u  arcipresso  »  con  quella  di  mezzo  sotto  le  vòlte  del  nartece. 

Dopo  che  nei  ristauri  della  basilica  compiuti  verso  il  1870  si 
scrostò  una  parte  della  decorazione  pittorica  della  seconda  metà 
del  sec.  XV  che  copriva  le  pareti  inferiori  del  nartece,  riappar- 
vero negli  spazi  a  destra  e  a  sinistra  della  porta  di  mezzo  gli 
avanzi  di  vari  gruppi  di  santi  dipinti  a  fresco  in  epoche  diverse. 
Nello  spazio  di  destra  si  osserva  al  basso  un  santo  in  piedi,  di- 
nanzi alla  Vergine  col  Bambino,  ed  in  mezzo  lo  stemma  Crivelli 
che  imprime  a  quella  pittura  carattere  votivo  (3).  Gli  affreschi,  cui 
attese  prete   Salomone,  dovevano  avere  ben  altre   proporzioni,  se 


(i)  SoRMANi,  Cod.  Mediol.,  V,  e.  74  sg.,  ms.  Ambrosiano,  F.  sup.,  IV,  5, 
e  cod.  Della  Croce,  XXIII,  sub  a.  1337.  Ecco  come  si  espresse  prete  Salomone  : 
«  Ego  vidi  eos  custodes  de  die  lacere  in  dictis  duobus  lectis  quos  predixi  esse 
«  intra  ipsam  sagrestiam  Inter  ipsas  grates  ferreas;  et  me  faciente  depingi  voltas 
«  anteriores  que  sunt  penes  ianuam  mastram  que  est  de  arcipresso  et  quas  voltas 
<(  faciebam  depingi  ad  petitionem  domni  Venture  de  Basilica  Petrì  qui  erat  su- 
<(  perstans  diete  ecclesie,  audiebam  dici  ab  ipso  Arnoldo  de  la  Cesa  cum  quo 
«  tunc  multociens  conversabar,  quod  ipse  iacebat  in  dieta  sacristia  prò  custodia 
«  et  munitione  dictorum  thesauri  et  paramentorum  et  altaris  maioris  ». 

(2)  Arch.  dipi,  perg.  S.  Ambr.,  fascio  n.  116,  1261  agosto;  ibid.,  fascio 
n.  117,  1306  settembre. 

(3)  Hanno  pure  carattere  votivo  le  altre  pitture  assai  guaste,  nella  quinta 
e  nella  sesta  campata  della  parete  di  mezzogiorno  dell'atrio. 


6o  GEROLAMO   BISCARO 

egli,  come  disse,  aveva  avuto  occasione  di  recarsi  molte  volte  [mul- 
tociens)  per  assistere  alla  loro  esecuzione.  Inoltre,  lo  stile  di  quel 
dipinto,  per  quanto  si  può  ancora  discernere,  sembra  indicare 
un'epoca  alquanto  più  tarda.  Lo  stesso  è  a  dirsi  della  figura  di 
santa  nell'  altra  parete,  fra  le  colonne  del  monumento  del  Decem- 
brio,  e  del  santo  benedettino  con  un  piccolo  devoto  ai  piedi,  nella 
lesena  marmorea  della  porta  di  mezzo. 

Rimangono  a  considerare  un  gruppo  di  tre  santi  allineati  (forse 
S.  Ambrogio  nel  mezzo  e  ai  lati  i  martiri  Protaso  e  Gervaso) 
nella  parete  di  sinistra,  e  due  santi  (S.  Ambrogio  e  S.  Marcel- 
lina?)  nella  parte  superiore  dello  spazio  di  destra  sopra  un  fondo 
a  zone  rosse  e  gialle  con  una  fascia  a  greca  e  piccoli  tondi  intorno 
alla  finestra  arcuata.  Le  forme  rigide  e  senza  espressione  dei  tre 
santi,  dai  capelli  e  dalle  pieghe  delle  vesti  a  linee  parallele,  e  le 
tinte  giallastre  delle  carni,  ce  li  fanno  ritenere  coevi  o  di  poco  po- 
steriori alla  rifabbrica  della  basilica,  verso  la  metà  del  sec.  XII. 
Allo  stesso  tempo  dovrebbe  appartenere  il  Redentore  con  un  fram- 
mento di  decorazione  a  greca,  nella  campata  dell'atrio  in  capo  al 
portico  di  destra. 

11  gruppo  che  megUo  risponde  così  per  il  carattere  della  pit- 
tura che  per  la  disposizione  dell'  elemento  decorativo,  alle  indica- 
zioni fornite  da  prete  Salomone,  sarebbe  quello  in  alto  della  pa- 
rete di  destra.  Il  contorno  della  finestra  e  le  zone  del  fondo  sino 
alla  volta  indicano  lo  svolgimento  di  un  sistema  decorativo  che 
avrebbe  dovuto  comprendere  anche  la  parte  inferiore  della  stessa 
parete,  ripetersi  nello  spazio  di  sinistra  e  continuare  con  qualche 
motivo  semplicissimo,  forse  un  cielo  azzurro  stellato,  nelle  volte  del 
nartece. 

Successore  di  Ventura  da  Bescapè  nella  soprastanzia  fu  il  giu- 
risperito Andrea  «  de  Orto  »,  probabilmente  della  famiglia  dei  ce- 
lebri causidici  del  sec.  XII,  Oberto  ed  Anselmo  (i).  Nulla  sap- 
piamo della  sua  attività  a  vantaggio  della  basilica.  La  sua  profes- 
sione di  giurisperito  fa  sospettare  che  1'  ufficio  del  soprastante  si 
considerasse  ormai  come  una  prebenda,  alla  quale    si    aspirava  in 


(i)  Arch.  dipi.,  perg.  S.  Ambr.,  fascio  n.  119,  1325  gennaio  18.  a  d.  An- 
te dreas  de  Orto  iurisperitus  superstans  superstantie  ecclesie  S.  Ambrosii  »  esige 
un  censo  dal  monastero  di  Chiaravalle. 


I 


NOTE   E   DOCUMENTI   SAN  T  AMBROSI  ANI  6l 


vista  dei  lucri  che  vi  andavano  uniti:  e  si  conferisse    non    già    ai 
più  idonei,  ma  ai  procaccianti  e  ai  favoriti  dei  potenti. 

Un  decreto  del  i  dicembre  1340,  dell'arcivescovo  Giovanni  Vi- 
sconti, emanato  ad  istanza  dei  canonici,  ordinava  l'unione  della  so- 
prastanzia alla  canonica  (i)  che  seguì  con  atto  del  febbraio  1350 
del  suo  vicario  Ambrogio  Medici  (2).  11  decreto  imponeva  al  ca- 
pitolo di  erogare  i  redditi  della  soprastanzia  nella  fabbrica  della 
chiesa  «  et  alias  in  utilitatem  eiusdem  ecclesie  penitus  »;  con  ob- 
bligo di  dare  conto  ogni  anno  della  erogazione,  all'  arcivescovo  o 
ad  un  suo  delegato.  Al  fine  di  stabilire  le  basi  dei  futuri  rendiconti, 
si  procedette  tosto  all'inventario  del  patrimonio  della  soprastanzia, 
che  risultò  costituito  da  terre  in  Nosedo,  Vigentino  e  alla  Vepra 
presso  Milano,  a  Lissone,  Dairago  e  Ovari  presso  Locate,  e  dal 
diritto  di  decima  su  molte  terre  della  pieve  di  S.  Donato.  Non 
ostante  la  decretata  unione,  l'ente  continuò  ad  essere  amministrato 
da  un  laico,  Ambrogio  «  de  Naxo  »,  di  Gallarate,  fino  al  1390  (3). 
Nel  frattempo,  e  precisamente  nel  1364,  l'abbate  del  monastero,  Bel- 
tramo da  Lampugnano,  in  esecuzione  di  certe  lettere  commissariali 
di  un  legato  apostolico,  investì  un  Catellano  «  de  Alzate  »>,  chierico 
vercellese,  della  soprastanzia  di  S.  Ambrogio,  come  la  prima  delle 
quattro  soprastanzie  delle  chiese  di  Milano  nelle  quali  si  alterna- 
vano i  laici  e  i  chierici,  che  si  era  resa  vacante,  per  la  morte  di 
Giovannolo  Cappello,  «  olim  ipsius  ecclesie  superstitis  ».  Catellano, 
appena  investito,  si  affrettò  ad  «  affittare  »  l'ufficio  per  cinque  anni 
a  Simonello,  figlio  di  Giovannolo,  per  l'annuo  canone  di  trenta  fio- 
rini; dal  suo  canto  Simonello  si  assunse  di  «  reparare  et  restaurare  » 
la  chiesa  e  di  soddisfare  tutti  gli  obblighi  incombenti  al  sopra- 
stante (4).  Non  abbiamo  elementi  per  chiarire  l'apparente  contrad- 
dizione fra  i  documenti  dal  1344  al  1390,  nei  quali  figura  soprastante 
Ambrogio  «  de  Naxo  »  e  i  due  atti  del  1364,  ove  si  parla  di  un  so- 
prastante defunto,  Giovannolo  Cappello,  e  del  suo  successore  Ca- 


(i)  Cod.  Della  Croce,  XXIII,  sub  a.  1349. 

(2)  Ibid.,  XXIII,  sub  a.  1350. 

(3)  Ibid.,  XXVII,  sub  a.  1390. 

(4)  Ibid.,  XXV,  sub  a.  1364.  —  Ci  sembra  caratteristico  per  i  costumi  dei 
tempi  questa  forma  di  sfruttamento  a  vantaggio  dì  un  privato,  delle  rendite  dei 
beni  destinati  a  sopperire  ai  più  elementari  ed  impres-cindibili  bisogni  per  la  con- 
servazione delle  chiese. 


02  GEROLAMO   DISCARO 

tellano.  Ma  è  probabile  che  il  tutto  si  connetta  con  una  lunga  con- 
tesa fra  i  due  capitoli,  disputantisi  il  possesso  della  soprastanzia; 
nella  quale  contesa  fini  per  prevalere  la  canonica,  che  nel  1374 
ottenne  una  bolla  di  Gregorio  XI  confermante  il  decreto  e  l'atto 
di  unione  (i). 

Per  tutto  il  quattrocento  non  si  hanno  notizie  suU'  esercizio 
della  soprastanzia.  Si  vedrà  più  innanzi  che  nel  1469  i  due  ca- 
pitoli provvidero  a  spese  comuni  per  la  costruzione  degli  stalli 
del  coro.  Consta  inoltre  che  nel  i486  l'arcivescovo  Arcimboldi, 
commendatario  dei  monastero,  dispose  per  la  ricopertura  in  piombo 
del  tetto  (2).  Nel  1507  monastero  e  canonica  presero  gli  accordi 
per  trasportare  gli  stalli  del  coro  dinanzi  all'altare,  nell'abside  sopra 
la  cripta  (3)  e  nel  1520  per  la  costruzione  della  cantoria  dell'or- 
gano (4).  11  silenzio  intorno  alla  soprastanzia  nella  esecuzione  di 
queste  opere  indica  che  i  suoi  redditi  si  consideravano  insufficienti 
a  provvedervi,  e  che  il  monastero  acconciavasi  a  concorrere  con 
metà  della  spesa,  rimanendo  l'altra  metà  a  carico  della  canonica 
che  disponeva  di  quei  redditi; 

Bisogna  arrivare  fino  alla  visita  pastorale  di  S.  Carlo  Borro- 
meo (1566-1567)  per  sapere  ancora  qualche  cosa  della  soprastanzia 
della  basilica.  Si  disse  allora  ch'era  da  molti  anni  soprastante  il 
canonico  Giovanni  Biffi,  il  quale  non  aveva  mai  dato  conto  della 
sua  gestione.  Si  constatò  che  il  capitolo  prelevava  ogni  anno  in- 
debitamente dai  redditi  dell'ente  quaranta  lire  imperiali  e  per  di 
più  lo  gravava  della  spesa  del  vino  per  le  messe  (5).  Nelle  scrit- 
ture del  1592  i  monaci,  rivendicando  il  dominio  della  chiesa,  tac- 
ciavano l'arcivescovo  Giovanni  Visconti  di  avere  favorito  la  cano- 
nica con  offesa  dei  diritti  del  monastero,  già  «  domino  w  della 
soprastanzia;  il  che  non  è  vero.  Ma  ciò  che  più  interessa  in  quelle 
scritture  su  questo  argomento,  è  l'accusa  contro  i  canonici  di  di- 
strarre e  di  godersi  le  rendite  della  soprastanzia,  trascurando  la 
manutenzione  dell'edificio  che  minacciava  da  ogni  parte  rovina  (6). 

(i)  Cod.  Della  Croce,  XXV,  sub  a.  1374. 

(2)  Fondo  di  Religione,  Conventi,  S.  Ambrogio,  busta  65. 

(3)  PuRiCELLi,  Dissert,  Na^.,  p.  630. 

(4)  Fondo  di  Rei,  Capitoli,  S.  Amhr,,  busta  115. 

(5)  Ibid.,  busta  113.  Allegato  negli  atti  della  causa  promossa  nel  1594  dal 
monastero  contro  la  canonica  per  avere  i  conti  della  soprastanzia, 

(6)  Ibid.,  busta  115. 


w 


NOTE  E  DOCUMENTI  SANTAMBROSIANI  63 


Vi  sarà  stata  dell'esagerazione;  ma  un  fondo  di  verità  non  può 
mancare  nella  enunciazione  di  alcuni  fatti  specifici;  quali,  ad  esem- 
pio, che  si  lasciava  scoperto  il  tetto  della  basilica  dalle  lastre  di 
piombo,  oggetto  di  continui  furti,  che  i  dipendenti  della  canonica 
avevano  a  scopo  di  furto  manomesso  l'aureo  palliotto  dell'altare,  e 
che  si  erano  dal  capitolo  vendute  per  far  denaro  alcune  colonne 
di  marmo  ed  altre  cose  di  proprietà  della  chiesa.  Riservandoci  di 
parlare  della  manomissione  dell'altare  nel  capitolo  seguente,  quanto 
alle  colonne  il  fatto  si  collega  col  rilievo  contenuto  negli  atti  della 
visita  di  S.  Carlo,  intorno  alla  esistenza  nella  canonica  di  parecchie 
colonne,  cinque  erette,  e  cinque  giacenti  al  suolo,  destinate  alla  con- 
tinuazione del  chiostro.  Già  si  erano  venduti  i  capitelli  di  quattro 
colonne  al  prezzo  di  venti  scudi.  Una  decima  colonna  si  era  spez- 
zata ed  un  canonico  l'aveva  asportata  insieme  a  certi  banchi  mar- 
morei; forse  quelli  dell'abside  ai  lati  della  cattedra  dell'arcivescovo, 
rimossi  alcun  tempo  dopo  l'adattamento,  nell'abside  stessa,  degli 
stalli  del  coro  (i).  Ad  onta  dei  rilievi  dell'  illustre  visitatore,  i  ca- 
nonici non  esitarono  alcuni  anni  dopo,  a  vendere  anche  le  colonne 
e  gli  altri  capitelli,  postrando  così  di  rinunciare  definitivamente  al 
proposito  di  completare  la  fabbrica  di  singolare  bellezza  iniziata 
nel  loro  chiostro  dal  Bramante.  Che  fosse  divenuto  sistema  dei 
canonici  di  rodere  attorno  alla  basilica  per  cavarne  marmi  e  se- 
polcri, se  ne  ha  una  prova  ulteriore  nella  vendita  di  un  «  navello  » 
od  arca  sepolcrale,  e  di  un  «  lavello  »  o  vasca  per  l'acqua  lustrale, 
il  primo  già  esistente  «  ne  la  piaza  inanti  a  la  chiesa  »,  del  secondo 
non  si  dice  dove  fosse,  ceduti  nel  1641  l'uno  alle  monache  di  S.  Ago- 
stino e  l'altro  alle  monache  spagnole  (2). 


(i)  Fondo  di  Relig.,  busta  115,  1566  nov.  20.  «  In  dieta  canonica  adsunt 
«  quamplures  columnae  partim  erectae  et  partim  prostratae,  videlicet  quatuor 
«  prostratae  et  quinque  erectae  cum  suis  capitellis  simul  erectis  prò  perficiendo 
«  porticum  circum  circa,  consimile  aliis  porticis  ibi  existentibus.  Capitulum  prae- 
«  fatum  vendidit  quinque  capitella  dictarum  columnarum  magnifico  domino  Hie- 
«  ronimo  Florentiae  prò  scutis  XX  expenditis  ad  utilitatem  ecclesiae,  cumpacto 
«  totidem  capitella  retrodandi  quotiescumque  perficerentur  dictae  porticus,  quo 
«  casu  pretium  praefatum  deberet  eidem  domino  Florentiae  per  capitulum  re- 
«  stitui.  Alia  vero  columpna  fuit  fracta  et  abducta  una  cum  nonnuUis  bancis  mar- 
te moreis  per  d.   Brugoram  alias  canonicum  ». 

(2)  Ibid.,  busta  114.  In  un  fascio  di  ricevute  della  soprastanzia  dal  1637 
al  1641. 


64  GEROLAMO    BISCARO 

Il  monastero,  rimasto  soccombente  nel  processo  del  1588-1592, 
tornò  alla  carica  nel  1594  P^^  avere  dai  canonici  il  rendiconto  del- 
l'amministrazione della  soprastanzia.  Nel  libello  s' insisteva  nel  de- 
nunciare la  trascurata  manutenzione  del  tempio,  «  undique  minan- 
«  tem  ruinam  »,  e  il  guasto  dell'altare  non  ancora  riparato  (i).  Ma 
pare  che  neppure  questa  volta  la  fortuna  abbia  arriso  ai  monaci,  i 
quali  si  sentirono  rispondere  che  soltanto  all'arcivescovo  la  canonica 
era  tenuta  a  dare  conto  della  sua  gestione.  In  una  seconda  visita 
pastorale  del  1603  si  deplorava  che  i  redditi  della  soprastanzia  si 
fossero  assottigliati  di  molto  in  causa  di  improvvide  livellazioni,  e 
che  la  loro  amministrazione  procedesse  confusa  con  quella  dei  red- 
diti particolari  della  sagrestia,  tenuta  allora  dal  sagrista-soprastante, 
canonico  Tibaldo  Bossi  (2).  Dai  registri  della  sagrestia  per  i  pe- 
riodi dal  1665  al  1670,  dal  1686  al  1696  e  dal  1699  al  1701,  i  soli 
che  si  sono  conservati  (3),  risulta  che  la  confusione  dei  redditi  e 
delle  spese  della  soprastanzia  e  della  sagrestia  continuò  come  per 
il  passato,  non  ostante  le  disposizioni  impartite  dal  visitatore.  Il 
monastero  tentò  nel  1700  un  nuovo  giudizio,  ripetendo  ancora  una 
volta  l'accusa  che  la  maggior  parte  delle  rendite  andava  distratta 
per  pagare  l'organista,  la  musica,  il  vino,  ecc.  Ma  la  sua  azione  fu 
respinta  definitivamente  da  tre  sentenze  conformi  (4);  gli  ultimi 
atti  da  noi  rinvenuti  fra  le  carte  santambrosiane  dell'archivio  di 
stato,  in  cui  si  fa  ancora  parola  della  soprastanzia. 


II. 

L'altare  aureo  e  la  sua  custodia. 

L'assalto  dei  monaci  alle  oblazioni  dell'altare  di  S.  Ambrogio 
in  sulla  fine  del  sec.  XI,  dovette  destare  nei  canonici  il  più  vivo 
allarme;  oltre  che  per  l'entità  di  quel  reddito  che  veniva  loro  a 
mancare,  perchè  l'assalto  stesso  preludeva  a  maggiori  e  più  audaci 
rivendicazioni  per  il  dominio    della   basilica,  e    segnatamente  del- 


(i)  Fondo  di  Relig.,  busta  113. 

(2)  Ibid.,  busta  120. 

(3)  Ibid.,  busta  114. 

(4)  Ibid.,  busta  113. 


NOTE   E   DOCUMENTI   SANTAMBROSIANI  65 

l'altare,  prezioso  per  le  reliquie  dei  santi  protettori  e  per  il  pàllio 
risplendente  d'oro  e  di  gemme. 

11  diploma  di  Angilberto,  creato  od  alterato  dai  monaci  per  la 
causa  delle  oblazioni,  contiene  la  concessione  dell'altare  all'abbate 
•Gaudenzio  e  ai  suoi  successori  insieme  alla  custodia  e  al  dominio 
{ditió)  della  chiesa  e  al  diritto  di  far  proprie  tutte  le  offerte  dei 
fedeli.  Ma  non  vi  è  dubbio  che  l'altare  fu  sempre  custodito  e  pos- 
seduto dai  preti  «  officiales  »  dell'ordine  decumano,  destinati  dal- 
l'arcivescovo all'officiatura  ordinaria  della  basilica,  indi  costituiti  in 
canonica  con  un  preposto,  a  mezzo  del  cimiliarca  o  tesoriere  scelto 
nel  loro  seno  (i).  Nelle  «  allegationes  "  del  1144  nulla  vi  ha  che 
riguardi  in  modo  particolare  le  vicende  dell'altare.  Non  manca  però 
nella  scrittura  dei  canonici  l'affermazione  del  possesso  da  tempo 
immemorabile  ch'essi  avevano  dell'altare  e  delle  sue  chiavi  (2);  in 
quella  dei  monaci  si  invoca  il  diploma  di  Angilberto,  il  costruttore 
dell'opera  meravigliosa  (3).  Una  lite  scoppiata  tre  anni  dopo  fra  i 
due  cleri  conferma  che  l'altare  continuava  ad  essere  posseduto  dai 
canonici  per  mezzo  del  cimiliarca.  L'abbate  pretendeva  che  il  ci- 
miliarca gli  aprisse  l'altare  durante  la  celebrazione  dei  divini  uffici 
nelle  feste  di  S.  Ambrogio  e  dei  santi  Protaso  e  Gervaso.  I  ca- 
nonici, citati  nella  curia  arcivescovile,  obbiettavano  che  l'abbate  non 
I  ^sapeva  addurre  altro  titolo  all'infuori  della  consuetudine.  L'arcive- 
■scovo  Oberto  trovò  che  la  consuetudine  costituiva  in  questa  ma- 
teria un  titolo  sufficiente,  ed  accolse  il  reclamo  dell'abbate  (4).  Una 
bolla  di  Eugenio  III,  del  luglio  1148,  confermò  alla  canonica  il  di- 
ritto alle  «  refectiones  »,  dovute  dal  monastero  ai  canonici  secondo 


(i)  Nel  processo  del  1 200-1 201  1  testimoni  dei  canonici  furono  interrogati 
^ulla  origine  e  sulla  funzione  del  cimiliarca.  Il  preposto  Pietro  Longo  dichiarò 
che  il  cimiliarca  veniva  nominato  colla  formola  :  «  Ego  investio  te  de  cimiliarchia  » 
dal  preposto,  il  quale  teneva  il  «  ius  faciendi  cimilìarcam  ab  archiepiscopo  ». 
«  Ego  credo  quod  quondam  Satrapus  primo  investivit  presbiterum  Burrum  de 
«  cimiliarchia,  sed  antea  multi  extiterunt  cimiliarchi  in  ipsa  canonica  »  (Cod.  Della 
Croce,  XII,  ce.  141-155).  Il  primo  cimiliarca  di  S.  Ambrogio  del  quale  abbiamo 
trovato  notizia,  è  «  Petrus  presbiter  officialis  et  cimiliarca  ecclesie  S.  Ambrosii  », 
intervenuto  in  un  atto  del  1084  (ibid.,  IV). 

(2)  «  Canonici  libere  ac  pacifice  —  claves  altaris  in  sua  potestate  retineant  ». 

(3)  «  Ex  lectione  precepti  dompni  Angilberti  bone  memorie  archiepiscopi 
<(  qui  prefati  mirifici  operis  constructor  extitit  ». 

(4)  Cod.  Della  Croce,  VI,  e.  275. 

Arch.  Sior.  Lomb.,  Anno  XXXII.  Fase.  V.  5 


66  GEROLAMO   BISCARO 

l'antica  consuetudine,   «  quando   altare   beati  Ambrosii   constitutis 
«  temporibus  aperitur  »  (i). 

Intorno  all'obbligo  dell'apertura  dell'altare  e  al  diritto  alle  re- 
fezioni si  litigò  a  lungo  nei  processi  del  1189-1191  e  1200-1201,  ed 
in  un  terzo  processo  del  1250- 1254,  del  quale  nessuna  notizia  fu 
data  dagli  scrittori  santambrosiani  (2).  Il  monastero  pretendeva  che 
il  cimiliarca  era  tenuto  ad  aprire  l'altare  solo  in  alcune  determinate 
solennità  dell'anno  ed  aveva  diritto  ogni  volta  ad  una  retribuzione 
onorifica  per  il  prestato  servizio,  consistente  in  una  refezione  alla 
mensa  dell'abbate,  il  quale  doveva  dargli  il  posto  d'onore  alla  sua 
destra  (3).  In  relazione  a  questo  punto  di  controversia,  nel  processo 
del  1200-1201  i  testimoni  furono  interrogati  sulle  funzioni  del  ci- 
miliarca e  dei  due  custodi  destinati  dal  preposto  a  sorvegliare  la 
chiesa  e  l'altare,  di  giorno  e  di  notte  (4).  Come  si  è  veduto  altrove 
chiamavasi  cimiliarchia  l'abside  maggiore,  detta  anche  «  locus  »  o 
u  sedes  episcoporum  w;  ivi   erano  la  cattedra  dell'arcivescovo  coi 


(i)  GiULiNi,  op.  cit.,  VII,  p.  Ili;  cod.  Della  Croce,  VI,  e.  297. 

{2)  I  primi  atti  sono  in  Arch.  dipi,  perg.  S.  Amhr.,  fascio  n.  109.  La  causa 
era  stata  commessa  da  Innocenzo  IV  con  bolla  (inedita)  del  25  gennaio  1250, 
all'abbate  di  S.  Simpliciano,  Tazone  da  Mandello.  Ma  pare  che  si  fosse  tosto 
arenata  in  seguito  alle  eccezioni  di  ricusa  del  giudice,  sollevate  dai  canonici.  La 
causa  venne  poi  ripresa  avanti  l'arcivescovo  Leone  da  Perego,  il  quale  emanò 
una  sentenza  in  data  io  settembre  1254  (Cod.  Della  Croce,  XVII,  sub  a.  1254; 
l'originale  è  in  Arch.  dipi.,  perg.  S.  A.,  fascio  n.  iii). 

(3)  Cod.  Della  Croce,  XII,  e.  121.  Esame  del  teste  Stefano  da  Vigonzone. 
Veggansi  anche  il  libello  del  monastero  e  le  «  positiones  »  dei  canonici  nella 
causa  del  1200  (ibid ,  XII,  ce.  n  e  17). 

(4)  Ibid.,  XII,  e.  141.  Esame  del  prevosto  Pietro  Longo:  «  Vidi  cimiliarca 
«  habere  claves  altaris  et  cimiliarchie  in  qua  sunt  scrinia  in  quibus  reponuntur 
«  thesauri  huius  ecclesie  et  in  qua  iacent  custodes  canonicorum  qui  custodiunt 
«  ecclesiam.  Duo  custodes  modo  sunt  et  esse  consueverunt  ;  monache  quamplures 
"  esse  consueverunt,  sed  modo  nulla  est  ».  Le  monache  delle  quali  parla  questo 
testimonio,  facevano  nella  chiesa  i  più  umili  servizi  di  pulizia.  Nel  libello  dei 
monaci  del  1254  si  accusavano  i  canonici  di  avere  usurpato  e  di  tenere  «  malo 
a  modo  »  il  luogo  e  i  proventi  «  quarumdam  muliercularum  agapete  que  Sco- 
tt pabant  ecclesiam  S.  A.  et  eam  mundabant  »  ;  e  si  chiedeva  la  divisione  per 
metà  dei  lucri  di  tali  donne  (Cod.  Della  Croce,  XVII,  sub  a.  1254).  Il  predicato 
«  agapete  »  vorrebbe  forse  indicare  l'uftìcio  che  esse  avevano  in  origine  di  ser- 
vire nelle  agapi  sacre  ?  A  queste  monache  od  agapete  di  S.  Ambrogio  dovevano 
corrispondere  le  «  scriptanes  »  della  Metropolitana,  costituite  sino  dal  sec.  XI 
in  corporazione  con  un  primicerio  e  con  un  patrimonio  comune. 


NOTE  E  DOCUMENTI  SANTAMBROSIANI  67 

seggi  marmorei  per  i  suffraganei,  e  le  arche  contenenti  gli  arredi, 
le  cortine,  i  palili  e  i  libri  della  chiesa  (i).  Riposavano  colà  i  due 
custodi  della  basilica;  una  tramezza  non  molto  alta  con  una  can- 
cellata chiusa  a  chiave  doveva  separare  la  cimiliarchia  dal  presbi- 
tero (2).  Nel  monastero  discendevano  spesso  personaggi  illustri 
che  desideravano  visitare  l'altare  per  venerarvi  i  sacri  corpi  (3). 
Si  ricorreva  allora  al  cimiliarca  perchè  venisse  colle  chiavi;  ma 
non  sempre  egli  si  prestava  all'invito,  nel  timore  che  il  monastero 
traesse  poi  argomento  dalla  sua  accondiscendenza  per  vantare  un 
diritto  illimitato  all'apertura  dell'altare  e  fondarvi  le  proprie  pre- 
tese al  dominio  dell'altare  medesimo  (4).  I  testimoni  rammentarono 
le  visite  fatte  all'altare  negli  ultimi  anni  da  parecchi  vescovi  ita- 
liani ed  oltremontani,  da  un  gruppo  di  prigionieri  pavesi  portatisi 
alla  basilica  coi  ceppi  ai  piedi,  e  da  alcuni  veneziani  (5).  Nel  prò- 


(i)  Cod.  Della  Croce,  XIl,  ce.  131-141.  Esame  del  canonico  Burro:  a  Interr- 
ii,: «  gatus  si  scit  quod  locum  quem  dicunt  cimiliarchiam  esse  locum  episcoporum,  R. 
W'  a  quod  est  locus  archiepiscopi  quia  vidi  multociens  archiepiscopus  in  eo  loco  asse- 
«  dere  »;  ce.  174^-187.  Esame  del  canonico  Prevosto  «  de  Osenago  »:  «  Interrogatus 
«  si  scit  quod  locum  quem,  ecc.  R.  Nescio  nisi  quod  ter  in  anno  sedit  ibi  ar- 
ce chiepiscopus  cum  fratribus  suis  cum  veniunt  ad  festa  »;  ce.  155-165.  Esame 
del  canonico  Prevosto  :  «  Offìcium  cimiliarce  est  habere  claves  altaris  et  paliorum 
«  et  curtinarum  et  librorum  canonice  ». 

(2)  Oltre  al  frammento  dell'esame  del  prevosto  Pietro  Longo  riportato  in 
n.  8,  veggasi  per  il  sec.  XIV  il  brano  della  deposizione  del  prete  Salomone  da 
Bescapè  in  n.  35[i]. 

(3^  Cq4.  Della  Croce,  XII,  ce.  33-41.  Il  monaco  Giovanni  Piatto  depose 
che  avev^  veduto  i  cimiliarchi  succedutisi  nella  basilica  «  aperire  altare  illius 
«  ecclesie  ad  petitionem  »  dei  singoli  abbati,  «  tam  prò  mìssis  celebrandis,  quam 
«  prò  ostendendo  illud  magnatibus  in  ilio  monasterio  ospitantibus,  vel  alio  cuilibet 
«  extrarieò  qui  volebat  illud  videro  ». 

(4)  Ibid.,  XII,  ce.  165-174.  Esame  del  canonico  e  cimiliarca  GuifFredo: 
«  Int.  quare  ergo  canonici  recusant  aperire.-altare  quotiescumque  d.  abbas  missam 
«  celebrai  vel  altare  apcrire  precipit  per  se  vel  per  extraneos.  R.  quia  non  te- 
«  nentur  ei  per  subiectionem,  nec  per  beneficium,  neque  per  donationem  quam 
a  habeant  monaci  vel  abbas  super  canonicis  ». 

(5)  Ibid.,  XII,  ce.  121-134.  Esame  di  Stefano  da  Vigonzono:  «  Ab  annis 
«  XI.  infra  cum  essem  in  ipsa  canonica  venit  illue  quidam  monachus  dicens  me 
a  presente  et  audiente:  Episeopus  Astensis  venit  in  monasterio  B.  A.  dicens  se 
«  velie  videre  altare  domini  B,  A.  quare  ei  altare  apertura  fuit  a  presbitero 
a  Burro,  et  altare  presente  episcopo  Astense  vidi  apertum.  Item  ab  annis  II  infra 
«  (l'esame  ebbe  luogo  il  2  dicembre  1200)   vidi   homines  de  Papia   compeditos 


68  GEROLAMO    BISCARO 

cesso  del  1332-1337  il  prete  Salomone  da  Bescapè  riferì  che  l'altare 
era  stato  aperto  per  l'incoronazione  dell'imperatore  Lodovico  il 
bavaro  e  per  le  nozze  di  Azzone  Visconti  con  «  domina  Chatel- 
u  lina  "  (i). 

L'accenno  alle  chiavi  dell'altare  nella  scrittura  dei  canonici, 
del  1144,  e  le  questioni  sul  diritto  alla  sua  apertura  dal  1147  in 
poi  dimostrano  che,  da  tempo  immemorabile,  prima  del  1144,  intorno 
ai  quattro  lati  del  palliotto  doveva  esservi  un  assito  od  altro  ro- 
busto riparo  munito  di  parecchie  serrature,  che  normalmente  si 
teneva  chiuso  per  ragioni  di  sicurezza,  e  si  apriva  solo  nelle  grandi 
solennità  o  quando  piaceva  ai  canonici  aderire  alla  richiesta  di 
chi  desiderava  ammirare  quel  meraviglioso  tesoro  e  venerare 
le  sacre  reliquie  attraverso  le  portelle  dello  specchio  posteriore. 
Intorno  a  questo  assito  furono  interrogati  quasi  tutti  i  testimoni 
dei  canonici  nel  1200-1 201.  Si  domandò  a  che  cosa  servissero 
certe  «   postes  seu  absides  circa  altare  »;  la  risposta  fu  una  sola: 


«  venire  in  eandem  canonicam  dicentes  canonicis  ut  sibi  hostenderent  altare  B. 
«  A.  —  altare  tunc  ipsis  prexoneriis  apertum  fuit  per  presbiterum  Burrum.  Et 
«  eodem  modo  ab  annis  II  infra  apertum  fuit  hominibus  de  Venetiis,  et  multas 
<(  alias  personas  vidi  in  canonicam  ipsam  venire  exorantes  canonicos  ut  sibi  altare 
«  apenant  ». 

(i)  Cod.  Della  Croce,  XXIII,  sub  a.  1337.  Esame  di  prete  Salomone  (5  settembre 
1337):  «  Et  ego  testis  fui  ad  divina  officia  cum  ordinariis  et  ofdcialibus  Mediolani  — 
«  etiam  quando  imperator  Lodovicus  fuit  unctus  et  incoronatus  apud  illud  altare 
«  et  vidi  ipsum  imperatorem  ungi  et  incoronari,  et  ego  testis  tenebam  chrismam 
«  de  qua  ille  "imperator  fuit  unctus,  qui  fuit  unctus  per  unum  teotonicum  qui 
«  erat  episcopus,  nomen  cuius  ignoro  et  coronatus  per  unum  ex  illis  episcopis 
«  qui  erant  ibi,  quem  non  habeo  menti  quis  foret.  —  Et  recordor  quod  quando 
«  dominus  Azo  dominus  Mediolani  duxit  in  uxorem  suam  dominam  Chatellinam 
«  quam  vidi  quod  dictus  d.  Azo  sponsavit  ad  dictum  altare,  ad  quod  tunc  eram 
«  praesens,  vidi  quod  canonici  S.  A.  portaverunt  claves  ad  dictum  altare  ubi 
«  ad  dictum  altare  ubi  aderant  praesentes  multi  ex  canonicis  et  dominus  Lu- 
ce chinus  Vicecomes  et  aliis  de  quorum  nominibus  non  recordor,  et  aperierunt 
e  cum  ipsis  clavibus  dictum  altare,  et  postea  vidi  quod  primicerius  lectorum 
«  cantavit  missam  super  ipsum  altare  et  ego  testis  ut  diaconus  cantavi  evan- 
«  gelium  ».  —  Intorno  all'incoronazione  di  Lodovico  il  bavaro  veggasi  in  questo 
Archivio,  XXVIII,  1901,  p.  308,  una  erudita  recensione  del  prof.  G.  Calligaris 
sopra  uno  studio  del  dott.  G.  Gerola.  Sulle  nozze  di  Azzone  Visconti  con  Cate- 
rina di  Savoia  celebrate  nel  1333,  veggansi  Azakio,  Chron.,  in  Muratori,  R.  L  5., 
XVI,  313,  e  CoRio,  op.  cit.,  ad  a.  1333. 


NOTE   E  DOCUMENTI    SANTAMBROSIANI  69 

«  prò  custodia  altaris  »  (i).  Nella  bolla  di  Innocenzo  IV  del  23 
gennaio  1250  che  delegava  l'abbate  di  S.  Simpliciano,  Tazone  Man- 
dello,  a  conoscere  una  questione  sorta  fra  il  monastero  e  la  ca- 
nonica per  l'apertura  dell'altare,  si  legge  che  l'altare  stava  «  sub 
«  quibusdam  tabulis  clausum  »»  (2).  Ne  parlarono  con  maggior 
precisione  i  testimoni  nel  processo  del  1332-1337.  Nelle  posizioni 
della  canonica  si  deduceva:  che  le  «  postes  »  dell'altare  erano  da 
tempo  immemorabile  in  parte  d'oro  e  in  parte  d'argento  dorato,  le 
une  e  le  altre  adorne  di  gemme  e  di  pietre  preziose;  che  l'altare 
si  considerava  di  maggior  valore  di  ogni  altro  in  tutta  la  cristia- 
nità; che  per  la  sua  ricchezza,  magnificenza  e  valore  si  soleva  te- 
nerlo chiuso  «  sub  quibusdam  postibus  ligneis  cum  certis  clausuris 
«ferreis»;  e  che  spettava  al  cimiliarca  di  custodire  le  chiavi  delle 
«  postes  n  lignee  e  di  aprirle  a  beneplacito  del  preposto  e  dei  canonici, 
e,  solo  in  talune  feste  solenni  dell'anno,  a  richiesta  dell'abbate  (3). 
I  testimoni  confermarono  in  ogni  parte  queste  posizioni.  Prete  Sa- 
lomone attestò  di  avere  osservato  molte  volte  da  vicino  il  palliotto 
che  conteneva  più  di  ottanta  fra  gemme  e  pietre  preziose,  e  che 
d'ordinario  stava  chiuso  sotto  le  tavole  di  legno  (4). 

11  silenzio  del  monastero  fino  a  tutto  il  sec.  XII  intorno  al 
modo  col  quale  i  canonici  avevano  provveduto  alla  custodia  del- 
l'altare e  della  chiesa,  fa  pensare  che  non  si  fossero  verificati  gravi 
inconvenienti  per  colpa  del  cimiliarca  e  dei  custodi  destinati  alla 
sorveglianza  diurna  e  notturna  della  basilica;  diversamente  i  mo- 
naci non  avrebbero  mancato  di  trarne  pretesto  per  le  loro  riven- 
dicazioni. L'assito  assicurato  da  ferree  chiusure  aveva  fatto  fino 
allora  ottima  prova,  di  fronte  così  ai  ladri  di  fuori  come  ai  custodi 
di  dubbia  fede,  pei  quali  le  grandi  lastre  d'oro  e  le  gemme  avranno 
sempre  esercitato  un  fascino  assai  pericoloso;  ed  il  pallio  aveva 
potuto  attraversare  incolume,  insieme  alle  sottoposte  reliquie,  il 
funesto  periodo  della  distruzione  e  del  saccheggio  della  città. 


(i)  Cod.  Della  Croce,  XII.  Esami  dei  canonici  Burro,  Prevosto,  Prevosto 
«  de  Osenago  »,  Guiffredo,  ecc. 

(2)  Arch.  dipi,  perg.  S.  Ambi:,  fascio  n.  109.  La  bolla  di  Innocenzo  IV, 
trovasi  inserita  in  un  precetto  dell'abbate  di  S.  Simpliciano  al  preposto  e  ai  ca- 
nonici. 

(5)  Cod.  Della  Croce,  XXN,  sub  a.  1354. 

(4)  Ibid.,  XXIII,  sub  a.  1337. 


«yO  GEROLAMO    BISCARO 

È  già  Stato  osservato  che  il  pallio  d'oro  presenta  tracce  evi- 
denti della  sostituzione  di  alcune  lastre  alle  originarie  che,  a  giudi- 
care dallo  stile  degli  ornati  e  dalla  composizione  dei  quadri,  do- 
vrebbe essere  stata  effettuata  sulla  fine  del  cinquecento  (i).  D'onde 
il  sospetto  di  qualche  furto  commesso  verso  quel  tempo.  Di  re- 
cente il  dott.  A.  Ratti  ha  stabilita  la  verità  di  questa  induzione, 
pubblicando  la  minuta  di  una  petizione  che  il  capitolo  dei  cano- 
nici voleva  presentare  alla  regina  Margherita  d'Austria,  trattenutasi 
a  Milano  dal  novembre  1598  al  febbraio  1599;  dalla  quale  petizione 
si  apprende  che  il  pallio  prezioso  era  stato  o  stava  per  essere  ac- 
comodato colla  spesa  di  mille  scudi  d'oro,  colmando  il  vuoto  la- 
sciatovi dieci  anni  prima  «  da  scelerate  e  sacrileghe  mani  sin  bora 
«  incognite  »  (2).  Le  nostre  ricerche  ci  hanno  condotto  ad  accer- 
tare oltre  alle  circostanze  nelle  quali  quel  furto  fu  perpetrato,  altre 
due  manomissioni  del  palliotto,  di  data  molto  più  antica. 

Il  giorno  8  marzo  1235  Giacomo  Descazio,  già  custode  della 
basilica  (3),  confessava  avanti  un  notaio  e  alcuni  testimoni  di  avere 
sottratto  dell'oro  dall'altare.  A  titolo  di  indennizzo  faceva  cessione 
al  preposto  della  canonica,  Ambrogio  Boffa,  di  una  sua  casa  «  in 
«  contrata  Sancti  Petri  supra  dorsum  »,  vicino  alla  chiesa  di  San 
Francesco.  Interveniva  nell'istromento  di  cessione  Agnese,  «  amasia  »> 
di  Giacomo,  per  rinunciare  ad  ogni  suo  diritto  sullo  stabile  (4).  Non 
pare  dubbio  che  l'oro  strappato  dall'altare  consistesse  in  qualche  la- 
stra del  palliotto  e  che  Giacomo  Descazio  avesse  approfittato  per 
impadronirsene  della  sua  qualità  di  custode  della  chiesa  e  dell'al- 
tare. Per  isfuggire  le  terribili  conseguenze  di  una  accusa  penale, 
egli  fece  sacrifizio  della  piccola  casa  ove  teneva  la  propria  con- 
cubina. A  questo  guasto,  forse  il  primo,  che  dopo  quasi  vent'anni 
non  era  ancora  stato  riparato,  è  probabile  si  riferisse  la  querela 
portata  dal  monastero  contro  la  canonica  nel  1254  per  la  «  cor- 
«  ruptio  sive  devastatio    que   est  in  altare    sancti    Ambrosii  »  (5). 

(i)  A.  VhNTURi,  Storia  dell'arte  itaì.,  II,  pp.  235,  238,  ecc.  e  M.  Zimmer- 
,MANN,  Oberitalische  plasttk,,ecc.,  1897,  p.  186. 

(2)  Per  la  storia  del  palliotto  d'oro^  in  Rassegna  d'arte,  1902,  p.  185. 

{3)  Si  hanno  notizie  di  lui  quale  custode  della  canonica  nel  1230  e  1232, 
in  Cod.  Della  Croce,  XV,  e.  223  e  XVI,  e.  11. 

(4)  Veggasi  doc.  I. 

(5)  Cod.  Della  Croce,  XVII,  sub  a.  1254.  Sentenza  dell'arcivescovo  Leone 
pronunciata  l'ii  settembre  1254. 


r 


NOTE    E   DOCUMENTI    S  \NTAMBROSIANI  7I 


Nelle  posizioni  il  monastero  deduceva  che  il  guasto  si  era  verificato, 
mentre  l'altare  si  trovava  in  custodia  dei  canonici  (i).  Costoro  ri- 
spondevano, protestando  che  non  erano  in  colpa,  e  che  il  danno 
era  piuttosto  da  ascriversi  a  negligenza  dell'abbate  e  dei  monaci; 
ammettevano  però  che  vi  era  di  mezzo  il  fatto  dell'uomo,  che  è 
quanto  dire  che  il  danno  proveniva  da  delitto  (2).  Da  quel  poco 
che  si  può  rilevare  dal  libello  e  dalle  posizioni,  parrebbe  che  i 
canonici  avessero  tenuta  segreta  la  confessione  del  loro  ex  custode, 
per  non  dovere  rispondere  civilmente  del  suo  delitto;  sebbene  da 
quasi  un  ventennio  fossero  al  possesso  dello  stabile  loro  ceduto 
dal  Descazio,  a  titolo  appunto  di  indennizzo.  Non  sarebbe  tuttavia 
da  escludere  la  ipotesi  che  nel  1254  si  alludesse  ad  un  nuovo 
guasto,  posteriore  a  quello  del  1235,  che  poteva  essere  già  stato  ri- 
parato; di  ciò  si  avrebbe  un  indizio  nel  difetto  di  qualsiasi  accenno  alle 
condizioni  materiali  dell'altare,  nel  libello  e  nelle  posizioni  del  1250. 
Ignoriamo  a  spese  di  chi  e  quanto  tempo  dopo  la  fine  del  processo 
del  1254  l'altare  sia  stato  riparato.  Nella  sentenza  proferita  il  io 
settembre  di  quest'anno,  l'arcivescovo  Leone  da  Perego  si  era  ri- 
servato di  deliberare  dopo  più  maturo  esame,  sulla  questione  «  de 
ii  altari  S.  Ambrosi!  et  pulpito  restaurandis,  que  devastata  vel 
*(  corrupta  dicuntur,  per  quos  vel  quem  debeant  restaurari  »  (3); 
ma  non  consta  se  e  come  egli  abbia  poi  risolto  questo  punto  di 
controversia. 

Intorno  ad  una  seconda  opera  costruita  per  la  custodia  e  la 
protezione  dell'altare  si  ha  una  serie  di  documenti  degli  anni  1292 
e  1293  (4)'  Con  un  primo  atto  del  maggio  1292,  presente  un  vi- 
cario dell'arcivescovo  Ottone  Visconti,    il  priore  dei  predicatori  di 


(i)  Arch.  dipi.,  perg.  S.  Amhr.,  fascio  n.  107:  «  Ponit  magister  de  Vi- 
<(  glevano  sindicus  d.  abbatis,  ecc.,  in  causa  appellationis  centra  prepositum  et 
«  canonicos,  qcc.  Item  quod  corruptio  sive  devastatio  que  est  in  pulpito  et  in 
«  altari  S.  Ambrosii  facta  est  ipsis  altari  et  pulpito  existentibus  in  custodia  pre- 
«  positi  et  canonicorum  seu  nuaciorum  suorum;  item  quod  illa  corruptio  sive 
«  devastatio  facta  est  per  alium  vel  alios  quam  per  abbatem  et  monacos;  item 
«  quod  illa  corruptio  sive  devastatio  opere  hominis  facta  est  ». 

(2)  Ibid.  In  margine  a  ciascuna  posizione  vi  è  la  risposta.  Sulla  i.*  «  credit 
«  sed  non  culpa  prepositi  et  canonicorum  »  ;  sulla  2.*  a  credit  quod  per  culpam 
«  vel  neligenciam  abbatis  et  monacorum  »;  sulla  3.*  «  credit  ». 

(3)  Cod.  Della  Croce,  XVII,  sub  a.  1254. 

(4)  Ibid.,  XX,  sub  a.  1292  e  1293. 


72 


GEROLAMO    BISCARO 


S.  Eustorgio,  il  celebre  frate  Stefanardo  da  Vimercate,  il  guardiano 
dei  minori  di  S.  Francesco,  frate  Protaso  Calmi,  di  concerto  con 
frate  Giacomo,  converso  del  monastero  di  Chiaravalle,  e  con  due 
maestri  dell'arte  dei  ferrai,  Pietro  Correrlo  e  Torello,  stabilirono 
il  modo  di  costruzione  di  una  «  crates  ferrea  »  od  inferriata,  da 
impiantarsi  nella  basilica  «  ad  conservationem  altaris  ».  L'infer- 
riata si  doveva  disporre  sopra  il  terzo  gradino  davanti  l'altare  per 
tutta  la  larghezza  del  coro  sotto  il  tiburio,  fra  le  due  colonne  di 
mezzo;  due  robuste  spranghe  a  guisa  di  ramponi,  assicurate  alla 
parete  di  sopralzo  della  cripta,  erano  destinate  a  rafforzare  la  so- 
lidità della  chiusura,  affinchè  non  avesse  a  cedere  agli  urti  «  propter 
li  presuram  gentium  ».  Dinanzi  all'altare  una  porta  a  due  «  clapes  >^ 
(sic)  od  imposte,  larga  quant'è  lo  spazio  fra  le  colonne  del  ciborio,, 
con  due  chiavi,  una  per  i  monaci  e  l'altra  per  i  canonici,  serviva 
per  accedere  all'altare. 

L'atto  non  dice  in  base  a  quali  decisioni  dell'autorità  eccle- 
siastica competente,  l'arcivescovo  Ottone,  si  siano  prese  le  suddette 
disposizioni.  Si  comprende  però  che  l'arcivescovo,  lasciando  da 
parte  i  due  capitoli  che  sarebbe  stato  difficile  ridurre  ad  un  accordo,, 
aveva  deferito  ad  una  commissione  di  religiosi  e  di  maestri  del- 
l'arte l'incarico  di  concretare  i  provvedimenti  per  la  costruzione 
di  una  cancellata  in  difesa  dell'altare.  Tuttavia  dal  monastero 
non  si  lasciò  passare  l'occasione  senza  battagliare  un  po';  tanto 
per  non  perdere  l'abitudine  del  litigio.  Ma  avendo  i  monaci  ten- 
tato di  impedire  con  vie  di  fatto  ai  due  maestri  Pietro  Correrlo  e 
Tomaso  da  Vaprio  di  piantare  l'inferriata,  suscitando  contro  di  essi 
perfino  gli  anziani  del  loro  paratico,  fu  intimato  ai  monaci  un 
severo  monitorio  con  minaccia  di  scomunica.  Intervenne  pure  il 
vicario  di  Matteo  Visconti,  capitano  del  popolo,  in  difesa  dei  due 
maestri,  che  poterono  così  compiere  il  loro  lavoro.  Collo  stesso 
atto  del  maggio  1292  si  provvide  a  portare  maggior  luce  all'altare, 
rendendo  più  ampia  la  finestra  di  mezzo  della  «  truina  »  (abside), 
che  doveva  essere  rimasta  dimezzata  in  seguito  alla  costruzione 
della  cripta,  e  a  rinforzare  le  inferriate  di  quella  e  delle  altre 
due  finestre  laterali.  È  possibile  che  in  questa  occasione  si  sia 
distrutta  la  parte  centrale  della  zona  inferiore  del  mosaico  che 
conteneva,  come  si  ritiene,  un'iscrizione;  ma  è  più  probabile  che 
il  guasto  maggiore    dati  dal   1507,    quando   il   coro   fu  trasportato 


NOTE    E    DOCUMANTI    SANTAMBROSIANI  ^  73 

dalla  campata  del  tiburio,  nell'abside  (i).  L'arco  scemo  che  la  fi- 
nestra di  mezzo  presentava  ai  tempi  del  Puricelli  (2)  indicherebbe 
ch'era  stata  modificata  nella  forma  e  fors'  anco  ampliata  una  se- 
conda volta. 

Dalle  testimonianze  del  1337  emerge  che  l'altare  era  stato  og- 
getto di  un  nuovo  attentato.  Brunasio  da  Manziago,  notaio  della 
curia  arcivescovile,  attestò  che  un  giorno  il  custode  Arnaldo  Della 
Chiesa  gli  aveva  mostrato  certe  figure  scolpite  «  in  dicto  altari  de 
«  antea  in  sinistro  latere  »,  deteriorate.  I  ladri  avevano  tentato  di 
rubare  Targento  dell'altare,  guastando  così  quelle  figure;  ma  non 
essendo  riusciti  ad  uscire  di  chiesa,  erano  stati  scoperti  (3).  Le 
parole  del  teste  lasciano  qualche  incertezza  intorno  a  quale  dei  tre 
specchi  d'argento  dorato  che  coprono  la  parete  posteriore  e  le  due 
laterali  dell'altare,  egli  abbia  alluso;  se  alla  parete  posteriore  che 
sarebbe  meglio  indicata  dall'accenno  alle  figure  scolpite  che  i  ladri 
avevano  guastate,  mentre  la  frase  «  de  antea  »  potrebbe  spiegarsi 
per  l'antica  consuetudine  di  celebrare  colla  faccia  rivolta  ad  occi- 
dente verso  il  popolo;  ovvero  se  alla  parete  laterale  sinistra  «  in 
a  sinistro  latere  ».  Crediamo  più  probabile  questa  seconda  inter- 
pretazione, perchè  in  altri  punti  delle  stesse  testimonianze  si  qua- 
lifica come  «  postes  de  antea  »  quella  d'oro  (4).  Se  così  è,  le  figure 
scolpite,  che  il  teste  vide  danneggiate,  sarebbero  i  quattro  busti  di 
santi  nei  clipei  dello  specchio  di  sinistra,  o  le  dodici  figure  di  an- 
geli in  rilievo  negli  spazi  geometrici  formati  dalle  divisioni  di  quello 
specchio.    Un  altro  teste,    prete    Salomone  da  Bescapè,  chiarì  che 


(i)  Puricelli,  Dissert.  Na^ar.,  p,  630. 

(2)  Veggasi  il  disegno  del  mosaico  dell'abside  in  Puricelli,  Mon.  Bas. 
Amhr.,  p.  134. 

(3)  Cod.  Della  Croce,  XXIII,  sub  a.  1337.  Esame  del  teste  Bennasio  da 
Manziago  :  «  Ego  testis  vidi  per  plures  vices  dictum  altare  B.  A.  et  una  vice  qua 
«  dictus  Arnoldus  ipsum  aperuit,  ostendit  mihi  certas  figuras  scultas  in  dicto  al- 
«  tari  de  antea  versus  manum  sinistram  seu  in  sinistro  latere  positas  dampnifi- 
«  catas,  que  dicebat  esse  latrones  qui  voluerunt  furari  argentum  et  ornamentum 
«  de  altari  predicto,  et  audiebam  ipsum  Arnoldum  dicere  quod  illi  latrones  fue- 
«  runt  ad  ipsum  altare  et  quod  illud  devastaverunt  ibi,  sed  quod  non  potuerunt 
((  exire  dictam  ecclesiam,  donec  fuerunt  inventi  ». 

(4)  Ibid.  Esame  di  prete  Salomone:  «  lUam  postem  que  est  de  ante  ipsum 
«  altare  vidi  esse  auream  et  dico  quod  vidi  intus  ipsam  postem  de  antea  ima- 
«  gincs  sanctorum  videlicet  Christum  in  magistate,  etc.  ». 


74 


GEROLAMO    BISCARO 


appunto  in  causa  di  quell'audace  tentativo  di  spogliazione  dell'al- 
tare era  sorta  Tidea  nel  legato  pontificio  Pietro  de  Peragrossis  di 
provvedere  in  modo  più  sicuro  alla  custodia  di  esso  coli' impianto 
di  una  robusta  cancellata  in  ferro  che  doveva  proteggerlo  dai  colpi 
di  mano  dei  ladri  di  professione;  prima  di  allora  dinanzi  l'altare 
non  vi  erano  altri  ripari  oltre  il  noto  assito,  (i). 

Sebbene  nel  1292  si  fosse  disposto  che  ciascuno  dei  due  capitoli 
avrebbe  avuto  una  chiave  della  cancellata,  ai  monaci  non  fu  dato 
di  possederla  e  continuarono  anche  nei  secoli  successivi,  con  loro 
grande  dispetto,  a  dipendere  dai  canonici  per  potere  accedere  all'al- 
tare. Tentarono  bensì  nel  1332  con  un  deplorevole  sotterfugio,  di 
emanciparsi  da  questa  servitù  (2);  ma  la  cosa  non  ebbe  seguito,  e  la 
chiave  rimase  presso  i  canonici  fino  alla  concordia  del  1630  (3). 
11  Puricelli  narrava  nel  1645  che,  tre  anni  prima,  era  stata  sostituita 
una  nuova  cancellata  a  quella  che  prima  esisteva,  e  ch'egli  descrive 
indicando  che  aveva  le  aste  di  ferro  infisse  al  basso  e  all'alto  in 
lastre  di  marmo,  formanti  zoccolo  e  cornice  (4).  Questa  descrizione 
dimostra  che  la  «  crates  prealta  et  firmissima  »,  rimossa  nel  1642, 
non  era  l'inferriata  del  1292,  ma  una  specie  di  tramezza  con  can- 
celli che  probabilmente  datava  da  poco  più  di  un  secolo. 

Mentre  esisteva  questa  seconda  chiusura,  fu  commesso  il  furto 
al  quale  si  riferisce  il  documento  pubblicato  dal  dottor  Ratti.  Del 
furto  si  occupano  a  lungo  le  scritture  del  1592;  quelle  del  mona- 
stero per  attribuirne  la  responsabilità  ai  canonici,  e  quelle  della 
canonica  per  scagionarli.  Il  furto  era  stato  perpetrato  di  notte  tempo. 
Il  ladro,  persona  pratica  del  luogo,  entrato  nel  recinto  dell'altare, 
«  inter  binas  crates  et  parietes  »,  aveva  strappato  alcune  lastre  del 
pallio  d'oro  e  ne  era  uscito  col  bottino.  Si  sospettò  subito  l'autore 
fra  i  custodi  della  basilica  che  soli  avevano    le  chiavi  per  entrare 


(i)  Cod.  Della  Croce  :  a  Bene  recorder  quod  antequam  illae  crates  ferreae  forent 
«  voluit  devastar!  dictum  altari,  secundum  quod  audivi  tunc  dici,  et  d.  Petrus  de  Pe- 
«  ragrossis  qui  tunc  erat  cardinalis  apostolicae  sedis  sive  vicecancellarius  scivit  et 
«  tunc  ipse  d.  Petrus  fecit  fieri  illas  crates  sicut  dicebatur.  Et  ego  vidi  fieri  illas 
«  crates  ibi  et  de  antea  ubi  modo  suut  illae  crates  non  erat  aliquid  ». 

(2)  Ibid.  Esame  di  Brunasio  da  Manziago. 

(3)  Puricelli,  Moti.  B.  Amhr.  La  «  concordia  »  è  inserita  nel  testo  del 
diploma  di  Urbano  Vili:  Gregis  Domini  cura. 

(4)-  Ibid.,  p.  125. 


NOTE   E   DOCUMENTI   SANTAMBROSIANI  75 

nel  recinto,  e  che  anche  senza  le  chiavi  avevano  modo  di  pene- 
trarvi lasciandosi  cadere  con  una  fune  dalla  finestra  del  locale  a 
sinistra  dell'abside,  ove  riposavano  durante  la  notte  (i).  I  canonici 
obbiettavano  ch'essi  avevano  avuto  sempre  custodi  di  specchiata 
onestà,  dimenticando,  si  comprende,  le  gesta  del  custode  Descazio; 
con  pari  ragione,  dicevano,  si  sarebbe  potuto  sospettare  dei  famigli 
dei  monaci,  che  potevano  entrare  nella  basilica  per  le  porte  comu- 
nicanti col  monastero  e  per  la  finestra  di  un  altro  locale  a  destra 
dell'abside,  prospiciente  sopra  il  recinto  dell'altare.  Ma  avvenne 
che  mentre  così  discutevano,  un  custode  della  basilica,  a  nome  Ce- 
sare, scappò  da  Milano,  portando  via  alcuni  paramenti  della  basi- 
lica. Riparò  a  Roma,  ove  pare  commettesse  altri  furti  sacrileghi, 
per  i  quali  venne  condannato  alla  galera.  Non  ci  voleva  di  più 
perchè  sorgessero  i  monaci  ad  accusare  l'ex-custode,  quale  autore 
del  furto  del  palliotto.  Fecero  pratiche  a  Roma,  perchè  prima  di 
mandarlo  ad  espiare  la  pena,  lo  si  ponesse  alla  corda  e  lo  si  esa- 
minasse con  diligenza  e  rigore  intorno  al  furto  dell'altare,  ma  si 
trovarono  sbarrata  la  via  dai  canonici,  i  quali,  sollevando  un  con- 
flitto di  giurisdizione,  tanto  seppero  destreggiarsi  che  riuscirono 
ad  impedire  che  il  loro  ex-dipendente  fosse  sottoposto  all'esame 
desiderato  dai  monaci.  Così  le  cose  venivano  narrate  dai  patroni 
del  monastero,  che  si  spingevano  fino  ad  insinuare  il  sospetto  della 
partecipazione  dei  canonici  o  di  alcuni  di  essi  nel  furto;  tanto  sem- 
brava eccessivo  il  loro  arrabattarsi  per  impedire  che  si  facesse  la 
luce.  A  parte  l'accusa  di  complicità,  che  pare  fosse  del  tutto  gra- 
tuita, mentre  l' interesse  dei  canonici  a  che  non  si  chiarissero  i  so- 
spetti a  carico  dell'ex-custode,  può  spiegarsi  per  il  timore  di  dovere, 
una  volta  accertata  la  sua  reità,  rispondere  del  danno  colla  propria 
borsa,  le  circostanze  di  fatto  poste  in  rilievo  a  carico  del  fuggiasco 
dal  patrono  dei  monaci,  furono  dai  canonici  sostanzialmente  am- 
messe; pur  negando  che  si  potesse  indurne  la  prova  della  sua  col- 
pevolezza. Non  conosciamo  il  testo  della  sentenza  proferita  nella 
causa  del  1592.  Ma  la  petizione  predisposta  dai  canonici  fra  il  1598 
e  il  1599   per  la  regina  Margherita,    lascia    comprendere    ch'erano 

(i)  Fondo  di  Religione,  Capitoli  S.  Ambrogio,  busta  115.  Atti  della  causa 
fra  i  monaci  e  i  canonici  per  l'uso  degli  abiti  pontificali,  e  per  il  dominio  della 
chiesa;  «  allegationes  iuris  »  presentate  dal  sindaco  del  monastero  nel  febbraio 
e  lugli)  1592,  e  dai  sindaci  della  canonica  nel  marzo  dello  stesso  anno. 


76  GEROLAMO    DISCARO 

stati  condannati  a  rimettere  le  parti  mancanti.  Ed  essi  vi  provvi- 
dero, battendo  a  destra  e  a  sinistra  per  raccogliere  la  cospicua 
somma  di  mille  scudi  d'oro,  indicata  nella  petizione  come  necessaria 
per  il  restauro. 

Abbiamo  trovato  una  «  memoria  delle  cose  che  bisognano  di 
«  necessità  per  servitio  della  chiesa  di  S.  Ambrogio  »,  che  dalla 
scrittura  si  può  con  certezza  attribuire  alla  fine  del  sec.  XVI  o 
ai  primi  anni  del  successivo  (i).  Fra  le  spese  necessarie  vi  è  in- 
dicata quella  di  «  raccomodare  l'altare  d'oro  nella  parte  che  resta 
«  guasto  e  specialmente  li  ornamenti  che  mancano  quasi  tutti  in- 
u  torno  alle  piastre  d'oro  della  parte  stanca  (sinistra)  ».  La  parte 
che  u  resta  guasta  »,  doveva  essere  quella  delle  due  o  tre  piastre 
all'angolo  superiore  di  destra  coi  quadretti  della  Risurrezione,  del- 
l'Ascensione e  dalla  Pentecoste,  che  si  riconoscono  opera  di  mo- 
derno artefice. 

Molte  notizie  sull'altare  e  sulla  sua  custodia  si  hanno  anche 
negli  atti  della  visita  pastorale  del  1603  (2).  L'altare,  opera  pre- 
ziosa di  «  Angilberto  primo  Posteria  »,  si  custodiva  medianti  ta- 
vole ben  ferme  e  solide,  munite  di  otto  chiavi,  delle  quali  quattro 
custodite  dal  preposto  e  quattro  dal  canonico  più  anziano,  chiamato 
anche  il  cimiliarca  o  sagrista.  Per  il  passato  usavasi  aprirlo  nelle 
maggiori  solennità;  ma  ciò  non  si  praticava  più  dopo  che  negli  anni 
precedenti,  spezzate  le  assi,  una  mano  sacrilega  aveva  sottratte 
alcune  lastre  d'oro.  L'altare  era  rimasto  per  molti  anni  invisibile 
ai  fedeli;  finché  «  la  magnifica  comunità  di  Milano  "  aveva  elar- 
gito duecento  scudi  d'oro,   coi   quali   era   stato   possibile   eseguire 


(i)  Fondo  di  Relig.,  busta   120. 

(2)  Ibid.,  busta  120:  «  Clauditur  dictum  altare  octo  clavibus  Inter  se  di- 
«  versis,  appositis  tabulatis  bene  firmis  et  tutis;  claves  autem  ipsae  steterunt 
«  semper  et  modo  etiam  sunt  in  potestate  canonicorum  et  asservantur  quatuor 
«  scilicet  a  praeposito  et  reliquae  quatuor  a  canonico  antiquiori  qui  cimiliarca 
«  dicitur.  In  maioribus  solemnitatibus  consueverat  altare  aperiri,  sed  hoc  tempore 
«  non  fit  quia  annis  praeteritis  fractis  assidibus  anteriori  parte  nonnullae  laminae 
«  auri  sacrilega  manu  ablatae  fuerunt  et  postquam  per  multos  annos  apertum  non 
«  fuit,  tandem  magnificas  comunitas  Mediolani  canonicorum  rogatu  ducentum 
«  aursos  nummos  elargita  est,  quibus  satis  instauratum  fuit,  sed  nondum  pcrfecte 
«et  penes  canonicorum  sagristiam  adhuc  remanent  aliqua  fragmenta  auii  et  ar- 
ce genti,  et  lapilli  in  hunc  usu  adhibendi,  si  de  hoc  ageretur  cum  communitate 
«  forte  suppleret  ad  operis  perfectionem  ». 


NOTE  E   DOCUMENTI   SANTAMBROSIANI  77 

un  discreto  ristauro.  Ma  il  lavoro  non  era  ancora  compiuto  e  ri- 
manevano nella  sagrestia  dei  canonici  alcuni  frammenti  d'oro  e 
d'argento  e  delle  pietre  preziose  da  porre  in  opera,  qualora  la  co- 
munità si  fosse  prestata  a  fare  una  seconda  elargizione.  Dobbiamo 
credere  che  negli  anni  successivi,  forse  in  seguito  alle  disposi- 
zioni date  dal  visitatore  del  1603  e  ad  un  nuovo  sussidio  offerto 
dalla  rappresentanza  cittadina,  siasi  finalmente  compiuto  il  ristauro; 
perchè  nel  processo  definito  colla  concordia  del  settembre  1630  non 
si  fa  più  parola  delle  condizioni  dell'altare  (i). 

I  testi,  che  abbiamo  fin  qui  esaminati,  non  oftrono  sicuri  ele- 
menti per  determinare  la  data  approssimativa  della  costruzione  del 
pallio  quadrifronte  e  della  copertura  del  ciborio  nella  loro  forma 
attuale.  Pure  ammettendo,  come  riteniamo  fermamente,  la  falsità 
intrinseca  del  diploma  di  Angilberto,  è  indubitato  che  quell'arci- 
vescovo ebbe  ad  offrire  in  onore  del  titolare  del  tempio  un  altare 
prezioso  per  le  lamine  d'oro  e  d'argento  e  per  le  gemme  ond'era 
adorno;  ce  ne  fanno  fede  l'iscrizione  poetica  lungo  la  cornice  dello 
specchio  posteriore,  il  tondo  coli' immagine  di  Angilberto  in  atto 
di  presentare  a  S.  Ambrogio  l'altare,  e  la  tradizione  costante,  della 
quale  si  facevano  eco  i  patroni  dei  due  cleri  nelle  «  allegationes  » 
del  1144,  e  quelli  dei  canonici  nelle  scritture  del  1200.  Soltanto 
negli  atti  della  visita  pastorale  di  S.  Carlo  si  fa  il  nome  di  un  ar- 
civescovo Anselmo,  alludendo  forse  ad  Anselmo  (IV)  Pusterla 
{1126-1135).  Si  equivocò  certamente  con  Angilberto  (II),  che  alcuni 
cronisti  di  epoca  assai  tarda,  seguendo  qualche  leggenda  formatasi 
per  piaggiare  una  delle  famiglie  più  illustri  della  città,  avevano 
attribuito  alla  agnazione  dei  Pusterla. 

Si  sostiene  da  parecchi  scrittori  (2)  che  il  palliotto  nelle  sue 
parti  principali  presenta  caratteri  affatto  difformi  dagli  elementi  che 
si  riscontrano  nelle  opere  di  oreficeria  e  negli  avori  dell'epoca  ca- 
rolingia, più  consoni  invece  alle  opere  del  sec.  XII.  Se  così  fosse 
in  realtà,  converrebbe  ammettere  che  l'altare  sia  stato  rifatto  a 
nuovo,  fondendo  le  antiche  lamine  e  adoperando  le  pietre  preziose 

(i)  Fondo  di  Relig.,  Capitoli,  S,  Ambr.,  busta  uy.  Memorie  del  monastero 
e  della  canonica  presentate  ai  cardinali  e  agli  altri  prelati  a  concordiam  trac- 
"  tantes  ». 

(2)  Attribuiscono  il  palliotto  al  sec.  XII  lo  Zimmermann,  il  Kondakow  e 
D.  Sant'Ambrogio;  non    si  scostano  dalla  tradizione  L.  Beltrami  ed  A.  Venturi. 


'^S  GEROLAMO  DISCARO 

del  pallio  di  Angilberto.  Si  sarebbe  ripetuto  il  carme  e  il  tondo 
colla  immagine  e  il  nome  del  pio  presule,  considerando  che  la 
preziosità  del  dono  consisteva  più  che  tutto  nel  valore  del  metallo 
e  delle  gemme  da  lui  offerte.  Si  è  anche  tentato  di  sottilizzare  sul 
significato  della  iscrizione,  col  leggervi  un  implicito  accenno  al  ri- 
facimento del  dono  di  Angilberto  per  opera  di  un  suo  successore. 
Ma  se  è  vero  che  quasi  due  versi  interi  del  carme,  compreso  il 
nome  di  Angilberto,  sono  scritti  con  caratteri  rozzi  e  scorretti  che 
rivelano  un  parziale  ristauro  dell'orlo  inferiore  di  quello  specchio, 
non  per  questo  si  ha  motivo  di  dubitare  che  le  parole  originarie, 
scomparse  forse  in  una  delle  tre  manomissioni  delle  quali  si  è  di- 
scorso superiormente,  non  fossero  conformi  a  quelle  che  ora  si 
leggono,  trovando  le  parole  stesse  perfetta  corrispondenza  colla 
rappresentazione  dell'arcivescovo  Angilberto  in  atto  di  offrire  l'al- 
tare al  titolare  della  basilica.  Ed  è  d'altronde  abbastanza  comune 
che  il  donatore  parli,  nella  dedica,  di  sé  stesso  in  terza  persona, 
ed  accenni  alla  dignità  della  quale  era  investito  (i). 

Parrebbe  invece  che  se  l'altare  fosse  stato  rifatto  totalmente  a 
cura  e  a  spese  di  un  successore  di  Angilberto,  pur  ripetendosi 
l'antico  carme  e  riproducendosi  il  tondo  coli' immagine  e  il  nome 
di  Angilberto,  non  si  sarebbe  mancato  di  segnarvi  anche  il  nome 
del  nuovo  donatore.  La  spesa  per  il  completo  rifacimento  di  un'o- 
pera, che  richiedeva  un  lavoro  lungo,  minuto  e  difficile,  sarebbe 
stata  di  tale  entità  da  giustificare  il  ricordo  almeno  del  nome,  se 
non  anche  della  effigie  dell'oblatore.  Lo  stesso  dovrebbe  dirsi,  e  a 
maggiore  ragione,  dell'artefice.  La  posizione  che  è  fatta  nel  pal- 
liotto  a  «  Wólvinius  magister  phaber  »,  sulla  stessa  linea  e  nelle 
medesime  proporzioni  dell'arcivescovo  Angilberto,  sta  ad  indicare 
in  Volvinio  l'autore  dell'altare,  quale  fu  offerto  da  Angilberto  nella 
prima  metà  del  sec.  IX.  Data  l'ipotesi  di  un  totale  rifacimento, 
non  si  comprende  per  quale  motivo   si  sarebbero  ripetuti  il  nome 


(i)  Si  possono  consultare  anche  per  l'analogia  collo  stile  e  coi  concetti  del 
carme  di  Angilberto  alcune  poesie  di  Alcuino  e  di  Sedulio  Scoto  in  Dùmmlep, 
Poetag  latini  aevi  caroL,  I  e  III;  in  particolare  un'iscrizione  del  primo  In  ec- 
clesia S.  Vedasti  (I,  p.  308),  ed  una  dedica  «  de  quodam  altari  »,  del  secondo 
(IH,  p.  210).  Veggansi  anche  di  Sedulio,  versus  qui  descritti  sunt  in  calice  d'oro, 
che  Angilberto  aveva  fatto  rifare,  accrescendone  il  pregio  con  grosse  gemme 
(III,  p.  237). 


NOTE  E    DOCUMEiNTI    SANTAMBROSIANI  79 

e  la  effigie  di  un  artista,  la  cui  opera  era  andata  a  finire  nel  fondo 
del  crogiuolo,  anziché  dell'artefice  del  nuovo  altare  che,  intrinseco 
a  parte,  quanto  alla  forma  e  alla  decorazione  poteva  avere  assai 
poco  di  comune  coU'altare  di  tre  o  quattro  secoli  prima. 

Si  è  detto  che  l'altare  non  può  essere  anteriore   al    sec.   XII. 
Ma  in  contrario  noi  troviamo    che    proprio    verso  la  metà  di  quel 
secolo,  nel  1144,  il  monastero  affermava  che  Angilberto  era  «  pre- 
«  fati  mirifici  operis  constructor  »  ;  e  la  canonica,  contestando  l'au- 
tenticità del  diploma  e  l'affermazione    del   monastero  che  «  claves 
«  aurei  altaris   ac    potestatem    monachis    ab  eiusdem  constructore 
«  fuisse  traditam  »,  non  metteva  però  in  dubbio  che  l'altare  fosse 
stato  offerto  da  Angilberto.  Non  una  parola,  neppure  nelle  succes- 
sive scritture  dei  canonici  del  1200-1201,    intorno    ad  un  secondo 
costruttore  o  rifacitore  del  pallio  o  a  nuove  disposizioni  impartite 
circa  le  chiavi  e  il  possesso  dell'altare.  Nel  1147  si  litiga  sull'aper- 
tura dell'altare,  del  quale  le  chiavi  continuavano  ad  essere  presso 
il  cimiliarca.  Neppure  allora  si  dice  che  l'altare   fosse  nuovo  o  ri- 
fatto; si  accenna  per  contrario   ad    antiche  consuetudini  sulla   sua 
apertura,  ch'erano  state  sempre  osservate.  Nel  1200-1201  si  discute 
di  nuovo  e  più  a  lungo  sulla  stessa  questione.  I  testimoni  del  mo- 
nastero vengono  interrogati  con  grande  diligenza  sulle  circostanze 
nelle  quali    avevano    visto  il  cimiliarca  e  i  custodi    della  canonica 
aprire  l'altare  a  richiesta  del  monastero;  risalendo  taluno  fra  i  più 
vecchi  fino  ai  tempi  del  preposto  Martino  Corbo  ([132-1152)  e  del- 
l'abbate Guiffredo  (1139-1148),  e  passando,  in  rassegna  tutti  i  cimi- 
liarchi,  gli  abbati  e   i  preposti  succedutisi  per  oltre  mezzo  secolo. 
Nessuno  dei  numerosi   testimoni  disse  o   lasciò   comprendere  che 
in  quell'intervallo  di  tempo  vi  fosse    stata  altra  interruzione  nella 
consuetudinaria   apertura  dell'altare,  oltre    quella  del  periodo  del- 
l'esiglio  dei  milanesi  (1162-1167).  Qualche  importanza  offre  pure  la 
posizione  dei  canonici  nel  processo  del  1332-1337,  che  le  «  postes  n 
dell'altare,  quali  allora  si  ammiravano,  «  partim  argentee  deaurate, 
a  partim  totaliter  auree  »,  vi  si  trovavano  da  tempo  immemorabile  ; 
perchè  se  fossero  state  rifatte  appena  un  secolo  e  mezzo  innanzi, 
non  si  sarebbe  forse  mancato  di  farne  cenno.  Se  non  proprio  nella 
posizione,  se  ne  troverebbe  traccia  almeno  negli  esami  dei  testi,  i 
quali  si  sono  dilungati  a  descrivere  e  magnificare  la  ricchezza  del- 
l'altare e  a  raffrontarlo  con  quello  di  S.  Tommaso  «  de  Conturbia  », 


80  GEROLAMO    BISCARO 

che  da  alcuni  si  riteneva   il  più   splendido   di  tutti  gli  altari  della 
cristianità  (i). 

Le  osservazioni  dei  competenti  su  alcuni  elementi  nella  tec- 
nica del  palliotto  propri  di  un'arte  non  anteriore  alla  metà  del 
sec.  XII,  possono  avere  un  fondo  di  verità  e  riferirsi  alle  parti 
rifatte  o  ristaurate  in  seguito  alle  due  o  tre  manomissioni  del  se- 
colo XIII,  delle  quali  sin  qui  non  si  aveva  alcuna  notizia.  Ma  nel 
disegno  generale,  nella  distribuzione  delle  varie  parti  dei  quattro 
specchi,  nei  soggetti  delle  istorie  e  nei  tondi  colle  immagini  del- 
l'arcivescovo, dell'artefice  e  dei  due  arcangeli  Michele  e  Gabriele, 
il  pallio  dovrebbe  essere  ancora  il  «  mirificum  opus  »,  costruito  da 
Volvinio  e  da  Angilberto  dedicato  al  santo  tutelare  della  sua  chiesa. 
Questa  la  ipotesi  che  l'esame  dei  documenti  ci  fa  apparire  più  ve- 
rosimile. 

Non  meno  grave  è  il  problema  rispetto  al  padiglione  del  ci- 
borio e  ai  gruppi  ed  ornati  in  plastica  dei  quattro  frontoni  (2).  Se 
fra  il  1194  e  il  1196  crollò  il  tiburio,  sia  pure  soltanto  in  parte,  è 
difficile  ammettere  che  il  sottoposto  padiglione  si  sia  salvato  dalla 
rovina.  Si  salvarono  gli  stalli  del  coro  e  1'  altare  coperto  dal  ci- 
borio e  protetto  da  robuste  tavole.  I  particolari  riferiti  dai  testimoni 
del  1200-1201  intorno  alla  rimozione  degli  stalli  dopo  la  caduta  par- 
ziale della  basilica  e  durante  la  sua  ricostruzione,  e  alla  loro  ricollo- 
cazione nello  stesso  spazio  di  prima,  accertano  che  nessun  danno 
sensibile  ebbero  a  soffrire  (3).  Ma  la  cosa  si  può  per  essi  spiegare, 
considerando  che  dovevano  essere  disposti  lungo  le  arcate  laterali 
che  resistettero.  E  d'uopo  credere  che  abbia  invece  ceduto  il  grande 
arco  ad  occidente,  comune  alla  crociera  del  pulpito.  Certamente  l'al- 
tare non  deve  avere  sofferto  grave  danno.  Se  fra  il  1194  e  il  1200 
si  fosse  rifatto  in  tutto  od  in  parte  il  pallio  quadrifronte,  non  avreb- 
bero mancato  di  parlarne   i   testimoni,  accennando  al   tempo,   non 

(i)  Cod.  Della  Croce,  XXIII,  sub  a.  1337:  Esami  di  prete  Bernardo  degli 
Ermenolfi,  di  Ambrogio  Roano  e  di  Brunasio  da  Manziago.  —  Si  alludeva  all'altare 
della  cappella  dedicata  nel  122 1  a  S.  Tommaso  Becket  in  Canterbury,  a  cura  di 
Enrico  III  d' Inghilterra,  che,  come  è  noto,  fu  distrutta  per  ordine  di  Enrico  VIII. 

(2)  Attribuiscono  il  padiglione  e  gli  stucchi  del  ciborio  al  sec.  IX  Dartein, 
Landriani,  Beltrami,  ecc.]  ai  secc.  XI  o  XII  Rohant  de  Fleury,  Zimmermann, 
Sant'Ambrogio,  Venturi^  ecc. 

(3)  Ibid.,  XII,  ce.  68-78,  78-87,  87-94.  Esami  dei  monaci  Martino  e  Guido, 
-del  chierico  Ambrogio  da  S.  Ambrogio  e  del  converso  Giovanni  da  S.  Siro. 


NOTE   E    DOCUMENTI    SANTAMBROSIANI  8l 

breve,  data  la  mole  e  la  qualità  del  lavoro,  durante  il  quale  la 
consueta  apertura  dell'altare  avrebbe  dovuto  rimanere  sospesa  (i). 
Si  può  anzi  dubitare  se  il  periodo  di  cinque  o  sei  anni,  decorsi  fra 
il  crollo  della  chiesa  e  l'esame  dei  testimoni,  avrebbe  bastato  alla 
bisogna. 

Il  ritardo  nel  definitivo  ristauro  del  pulpito  fino  al  tempo  della 
soprastanzia  di  Guglielmo  de  Pomo  (1204-1212)  indicherebbe  che 
non  si  ebbe  grande  premura  di  riparare  in  modo  decoroso  e  stabile 
i  danni  cagionati  nell'interno  del  tempio  dalla  parziale  rovina.  Ri- 
fatto il  tiburio  e  la  vicina  crociera  per  iniziativa  dell'arcivescovo 
Oberto  da  Terzago,  proseguita  dal  suo  successore  Filippo  da  Lam- 
pugnano,  il  soprastante  attese,  prima  di  por  mano  al  ristauro  del- 
l'ambone, che  i  due  cleri  fossero  ridotti  al  silenzio  nel  grave  litigio 
allora  in  corso.  Dalla  sentenza  del  24  novembre  120 1  del  vescovo 
di  Vercelli  e  dell'abbate  di  Lucedio,  si  arriva  fino  al  1250  senza 
che  si  abbiano  notizie  di  altre  controversie  fra  i  due  capitoli.  Nel 
periodo  intermedio  Guglielmo  de  Pomo  o  i  suoi  successori  nel- 
l'ufficio della  soprastanzia  avranno  provveduto  anche  al  rifacimento 
della  copertura  del  ciborio;  come  è  probabile  che  abbiano  nello 
stesso  periodo  costrutta  la  cripta  sotto  l'abside  (2). 

Le  figure  dei  due  monaci  benedettini  neri  nella  fronte  poste- 
riore del  ciborio,  in  atto  di  offrirne  il  modello  a  S.  Ambrogio,  in- 
dicano abbastanza  chiaramente  che  l'opera  fu  eseguita  a  spese  del 
monastero.  La  loro  rappresentazione,  che  dovette  apparire  come 
una  segnalata  concessione  ai  voti  ardenti  del  monastero,  non  sa- 
rebbe stata  possibile  nel  secolo  precedente  ;  quando  le  liti  fra  i 
monaci  e  i  canonici,  questi  ultimi  quasi  sempre  spalleggiati  dal- 
l'arcivescovo, si  succedevano  l'una  all'altra,  lasciando  appena  qual- 
che breve  tregua.    Nell'intervallo,   lungi    dall' iniziarsi   rapporti   di 

(i)  È  frutto  non  d'altro  che  di  equivoco  l'attribuzione  alla  basilica  di 
S.  Ambrogio  della  notizia  che  dà  il  Puricelli,  Mon.  Bas.  Ambr.,  n.  629,  intomo 
alla  consacrazione  degli  altari  celebrata  nel  11 96  dall'arcivescovo  Oberto,  mentre 
dal  testo  stesso  e  più  ancora  dalla  rubrica  nell'indice  risulta  chiaramente  che  la 
notizia  si  riferiva  alla  chiesa  di  Chiara  valle. 

(2)  È  noto  che  secondo  il  Corio,  op.  cit.,  ed.  1503,  I,  p.  401,  la  cripta 
sarebbe  stata  costrutta  a  spese  di  alcuni  suoi  agnati,  verso  il  1230.  Ma  l'argomento 
ch'egli  adduce,  della  presenza  nella  cripta  dello  stemma  Corio,  non  ci  sembra 
molto  concludente.  Lo  stemma  poteva  avere  carattere  votivo,  com'  è  delle  insegne 
che  si  vedono  in  alcune  pitture  dell'atrio. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXIf,  Fase.  V.  6 


82  GEROLAMO   BISCARO 

mutua  fiducia  e  cordialità^  d'ambo  le  parti  si  affilavano  le  armi  per 
nuove  offese.  Invece  la  lunga  pace  fra  le  due  corporazioni  dal  120 1 
al  1250  permette  di  pensare  che  si  sia  veduto  dai  canonici  e  dal- 
r&rcivescovo  senza  eccessivo  sospetto  inalberarsi  i  simboli  del 
monastero  nel  padiglione  sopra  l'altare;  nella  lusinga,  quanto  mai 
fallace,  che  dopo  le  numerose  sentenze  pronunciate  intorno  al  do- 
minio €  alla  custodia  della  chiesa  e  dell'altare,  non  sarebbero  state 
possibili  nuove  contestazioni.  Forse  la  concessione  rappresentò  il 
compenso  di  servigi  prestati  dal  monastero  alla  canonica  o  allo 
stesso  arcivescovo. 

Ne  ci  sembra  senza  significato  nella  questione  sull'età  dell'at- 
tuale copertura  del  ciborio,  il  silenzio  dei  monaci  nelle  «  allega- 
ci tiones  »  del  1144,  intorno  alla  scena  raffigurata  nel  frontone 
posteriore.  Poiché  tutta  la  scrittura  è  diretta  a  dimostrare  la  premi- 
nenza del  monastero  sulla  canonica  e  il  diritto  dei  monaci  alla  cu- 
stodia della  chiesa  e  dell'altare,  e  alle  oblazioni,  sembra  evidente 
che,  se,  in  quell'epoca  vi  fosse  stato  sul  frontone  del  ciborio  il 
gruppo  dei  due  monaci  prostrati  innanzi  a  S.  Ambrogio  col  modello 
dello  stesso  ciborio  nelle  mani,  non  si  sarebbe  omesso  dal  diligente 
ed  accorto  patrono  del  monastero  di  trarne  argomento  a  prò'  della 
sua  tesi.  Sebbene  ci  manchino  le  scritture  del  monastero  nei  pro- 
cessi del  1186-1191  e  del  1200-1201,  si  può  dalle  scritture  della 
canonica,  ove  si  espongono  con  somma  diligenza  gli  antichi  e  i 
nuovi  argomenti  del  monastero,  per  confutarli,  rilevare  l'assoluto 
difetto  di  qualsiasi  allusione  alle  figure  o  ai  simboli  del  ciborio. 
Lo  stesso  dicasi  delle  lunghissime  e  particolareggiate  deposizioni 
dei  testimoni  escussi  nel  secondo  processo;  alcuni  dei  quali,  inte- 
ft^ssati  in  sommo  grado  nella  controversia,  perchè  appartenenti  al- 
l'una o  all'altra  delle  corporazioni  rivali,  ebbero  modo  di  diffondersi 
su  tutte  le  circostanze  di  fatto  che  in  via  anche  indiretta  potevano 
connettersi  coi  molteplici  argomenti  portati  in  campo  a  sostegno 
delle  rispettive  rivendicazioni.  Non  una  parola  intorno  al  ciborio 
in  quegli  esami,  che  nel  codice  Della  Croce  occupano  oltre  duecento 
carte  di  fitta  scrittura;  all' infuori  della  frase  «  propter  lignamen 
«  quod  erat  subter  tevorium  >%  se  è  vero  che  colla  parola  «  tevo- 
u  rìum  »  s'intese  significare  il  ciborio,  e  non  il  tiburio,  nel  qual 
caso  è  probabile  si  alludesse  a  lavori  in  corso  per  portare  l'aitare 
alla  maggiore  altezza  resa  necessaria  dal  piano    piti  elevato  asse- 


NOTE  E  DOCUMENTI  SANTAMBROSIANI  83 

gnato  al  presbiterio  nella  rifabbrica  della  basilica  (i).  Non  è  che 
nel  1592  (2)  e  di  poi,  dal  Puricelli  (3)  e  dall' Aresi  (4),  alla  distanza 
di  più  secoli,  che  se  ne  parla  diflfusamente,  sostenendo  che  il  mo- 
naco col  modello  del  ciborio  è  l'abbate  Gaudenzio,  il  quale,  avendo 
nel  835  ricevuto  da  Angilberto  in  consegna  il  prezioso  altare,  volle, 
a  maggior  decoro  del  servizio  divino,  coprire  l'altare  stesso  di  un 
ricco  padiglione  sorretto  dalle  quattro  colonne  di  porfido.  Ma  le 
fonti  sono  troppo  tarde  e  troppo  parziali,  perchè  si  possa  attribuire 
valore  al  racconto. 

Chiudiamo  le  notizie  sull'altare  e  sulla  sua  custodia  con  un  voto; 
che  la  fedeltà  delle  persone  alle  quali  è  commessa  la  sorveglianza 
della  basilica  ^  del  suo  inestimabile  tesoro,  abbia  in  avvenire  a  con- 
servarsi così  forte  e  tetragona  agli  stiraoli  della  «  auri  sacra  fames  », 
come  per  il  passato  si  sono  sempre  dimostrate  salde  e  resistenti 
di  fronte  ai  u  fures  extrinseci  »  le  robuste  inferriate  delle  finestre 
le  serrature  delle  porte  e  le  grosse  cancellate  che  cingevano  l'altare. 


in. 

Gli  stalli  del  coro. 

Uno  degli  argomenti  portati  in  campo  dai  monaci  del  secolo  XII, 
per  giustificare  le  loro  pretese  al  dominio  della  basilica,  era  l'esi- 
stenza, da  tempo  immemorabile,  del  coro  avanti  l'altare,  cogli  stalli 
costruiti  e  mantenuti  a  loro  spese  e  a  loro  uso  esclusivo.  Fino  dai 
primi  anni  di  quel  secolo  il  coro  doveva  avere  la  stessa  posizione 
che  conservò  fino  al  1507,  lungo  le  due  linee  oggi  segnate  dall'at- 
tacco della  navata  mediana  coll'abside  fino  ai  due  pilastri  del  tiburio 
verso  occidente.  Landolfo  da  San  Paolo  narra  che  nel  1103,  quando 
prete  Liprando  accusò  di  simonia  l'arcivescovo  Grossolano,  questi 
entrò  nella  chiesa  di  S.  Ambrogio  portando  la  croce,  e  salì  il  pul- 


(i)  Trattandosi  di  semplici  lavori  di  muratura,  si  può  ammettre  che  ab- 
biano avuto  breve  durata,  tale  da  non  portare  una  rimarchevole  interruzione 
nella  consuetudinaria  apertura  dell'altare. 

(2)  Fondo  di  >Relig.,  Capitoli  S.  Amhr.^  busta  115. 

(3)  Mon.  Bas.  Amhr.,  n.  62. 

(4)  Ahhatum  S.  Amhr.  Series,  Milano,  1674,  p.  3. 


84  GEROLAMO    BISCARO 

pito  con  Arialdo  da  Melegnano,  suo  grande  fautore,  e  Berardo, 
giudice  di  Asti;  Liprando  prese  posizione  di  fronte  a  Grossolano, 
stando  a  piedi  nudi  «  in  introitu  chori  >',  sopra  la  pietra  marmorea 
raffigurante  un  simulacro  di  Ercole.  Ne  seguì  fra  i  due  una  disputa 
violentissima,  finché  il  popolo,  infuriato,  li  interruppe  gridando: 
il  exite  foras,  ad  iudicium!  (i)  ».  La  posizione  presa  da  prete  Li- 
prando all'ingresso  del  coro,  per  rispondere  a  Grossolano,  denota 
che  r  ingresso  del  coro  era  allora,  come  rimase  di  poi  fino  al  1507, 
a  pochi  passi  dall'ambone. 

Intorno  agli  stalli  vi  è  una  prima  notizia  nelle  «  allegationes  w 
dei  monaci  del  1144;  ove  si  legge  che  nessun  uomo  sano  di  mente 
ignorava  che  i  sedili  del  coro  appartenevano  all'abbate  e  al  mona- 
stero. Si  è  già  accennato  che  nel  processo  del  1200- 1201  i  testimoni 
furono  interrogati  a  lungo  sulla  costruzione  e  manutenzione  degli 
stalli.  Nelle  posizioni  del  monastero  vi  era  un  capitolo  per  provare 
che  nel  coro  i  canonici  non  tenevano  né  sedili  né  leggìo  né  lam- 
pade, e  che  da  oltre  mezzo  secolo  non  avevano  mai  usato  sedere 
negli  stalli  dei  monaci  od  in  altro  luogo  del  coro,  ma  sempre  vicino 
all'altare  (2).  Alcuni  monaci  deposero  di  avere  saputo  nella  loro 
gioventù  dai  più  anziani  del  monastero,  che  gli  stalli  erano  stati 
costruiti  da  un  monaco  dello  stesso  monastero,  Ariberto  da  Pasi- 
liano  (3);  un  converso,  Giovanni  da  San  Siro,  che  viveva  a  S.  Am- 
brogio da  circa  quarant'anni,  disse  che  lo  stesso  monaco  Ariberto 
gli  avea  confermato  di  avere  fatto  «  ipsa  sedilia  ad  utilitatem 
«  monasterii  »  (4).  11  Puricelli,  a  proposito  di  questo  Ariberto,  riferì 
un'iscrizione  collocata  sopra  la  porta  di  un  sacello  dedicato  ai 
santi  Pietro  e  Paolo  fuori  di  porta  Vercellina  (l'odierna  chiesa  di 
S.  Pietro  in  Sala)  che  attribuisce  il  merito  ad  Ariberto,  di  averlo 
riedificato  nel  T141  (5).  Avuto  riguardo  a  questa  data,  all'epoca  nella 
quale  il  converso  Giovanni  poteva  avere  parlato  con  Ariberto  e 
alla  vibrata  affermazione  contenuta  nelle  «  allegationes  »  del  1144 
rispetto  alla  proprietà  dei  sedili  del  coro  spettante  all'abbate,  rite- 
niamo che  Ariberto  li  avesse  costruiti  qualche  anno  prima  del  1144. 


(i)  Pertz,  M.  G.  H,,  XX,  26. 

(2)  Arch.  dipi,  perg,  S.  Ambr.,  fascio  n.  107. 

(3)  Cod.  Della  Croce,  XII,  ce.  yó  e  78.  Esame  dei  monaci  Martino  e  Guido. 

(4)  Ibid.,  XII,  ce.  9)-i02. 

(5)  Moti.  Bas.  Ambr.,  n.  389. 


NOTE  E  DOCUMENTI  SANTAMBROSIANI  85 

Alcuni  testimoni  parlarono  delle  «  forme  que  sunt  iuxta  sedilia  », 
che  spesso  si  portavano  in  monastero  per  i  bisogni  dei  monaci; 
avevano  visto  riattare,  a  cura  e  spese  del  monastero,  sedili  e 
u  forme  n,  e  i  monaci  usare  liberamente  degli  uni  e  delle  altre  (i). 
È  probabile  che  queste  «  forme  »  fossero  delle  scranne  o  panche 
che  si  disponevano  dinanzi  agli  stalli.  Nelle  «  forme  »  avranno 
preso  posto  i  conversi,  i  novizi  e  i  chierici,  rimanendo  gli  stalli 
riservati  ai  monaci  professi.  Si  fa  menzione  anche  degli  «  scabelli  » 
dei  sedili,  che  crediamo  servissero  ad  uso  di  inginocchiatoi  (2). 

Nessuno  dei  testimoni  del  monastero  osò  affermare  che  ai  ca- 
nonici fosse  in  quel  tempo  vietato  di  sedere  negli  stalli.  Dal  loro 
canto  tutti  i  testi  della  canonica  confermarono  che  canonici  e  mo- 
naci li  usavano  promiscuamente,  alternandosi  duranti  le  rispettive 
ufficiature.  Posero  inoltre  in  evidenza  che,  mentre  i  cori  delle  chiese 
monastiche  di  Milano  si  chiudevano  con  porte  e  chiavistelli,  il 
coro  di  S.  Ambrogio  rimaneva  sempre  aperto,  perchè  potessero 
servirsene  i  sacerdoti  della  canonica,  i  quali,  a  differenza  dei  mo- 
naci, non  avevano  bisogno  di  chiudersi  dentro.  Una  voce  piuttosto 
vaga  che  in  un  passato  abbastanza  lontano  i  canonici  non  avevano 
né  adoperavano  stalli  giù  dell'altare,  si  era  fatta  sentire  nel  processo 
del  1189-1191,  avendo  allora  un  familiare  del  monastero  riferito 
che  «  per  vetustissima  tempora  canonici  non  habebant  sedes  in 
u  ecclesia  sancti  Ambrosii  ab  altari  in  zosum  »  (3).  Giova  anche 
rammentare  quanto  disse  nel  1200  un  teste  dei  canonici,  maestro 
Prevosto,  canonico,  che  cioè  essi,  oltre  ad  usare  dei  sedili  e  del 
leggìo  del  coro,  avevano  propri  sedili  sopra  i  tre  gradini,  per  i 
quali  si  sale  all'altare  (4).  Da  tutte  queste  circostanze  sembra  di 
poter  arguire  che  in  antico,  prima  che  scoppiasse  fra  i  due  cleri 
il  dissidio  delle  oblazioni,  e  quando  la  canonica  non  era  ancora 
organizzata  con  un  proprio  preposto,  il  coro  cogli  stalli  serviva, 
come  nelle  chiese  prettamente  monastiche,  soltanto  ai  monaci,  ed 
il  clero  secolare  disponeva  per  i  bisogni  della  propria  officiatura, 
'i  di  alcuni  sedili  d'ambo  i  lati  dell'altare.  Il  principio  della  comu- 
nione, dapprima  «  prò  indiviso  »,    indi,    per    quanto    fu  possibile, 

(i)  Cod.  Della  Croce,  XII,  e.  68.  Esame,  del  monaco  Martino. 

(2)  Ibid.,  XII,  e.  102.  Esame  del  converso  Giovanni  da  S.  Siro. 

(3)  Ibid.,  XI,  e.  7  sg.  Esame  di  Ungarino  da  S.  Ambrogio. 

(4)  Ibid.,  XII,  ce.  155-165. 


86  GEROLAMO   BISCARO 

«  prò  diviso  ",  di  alcuni  diritti  sulla  basilica,  e  dei  lucri  conse- 
quenziali fra  i  due  cleri,  che  fino  dalla  metà  del  sec.  XII  coniinciò 
a  sostituirsi  per  ragioni  di  equità,  all'applicazione  rigorosa  dello 
stretto  diritto  e  all'osservanza  di  più  antiche  consuetudini,  spiega 
come  il  mormstero,  mentre  guadagnò  terreno  nella  questione  sulle 
oblazioni  e  in  altri  punti  di  discordia^  ebbe  a  perderne  nelle  que- 
stioni sul  campanile  e  sull'uso  del  coro. 

Abbiamo  già  esposto,  parlando  della  soprastanzia,  il  tenore 
della  sentenza  pronunciata  nel  1282  da  Ottone  Visconti  nella  lite 
dei  monaci  e  dei  canonici  alleatisi  contro  il  soprastante  Ventura  da 
Bescapè,  allo  scopo  di  addossare  alla  soprastanzia  la  spesa  occor- 
rente per  la  costruzione  dei  nuovi  stalli  del  coro.  La  sentenza  non 
dice  per  quali  circostanze  il  coro  fosse  allora  rimasto  senza  stalli. 
Non  sapremmo  spiegarci  la  cosa,  se  non  pensando  che  gli  stalli 
antichi,  quelli  di  Ariberto  da  Pasiliano,  fossero  ridotti  in  così  de- 
plorevoli condizioni  di  vetustà  che,  rimossi  per  provvedere  alla  loro 
sostituzione  o  ad  un  ristauro,  si  fossero  completamente  sfasciati. 
Di  qui  r  impossibilità  di  rimetterli  a  posto  per  i  bisogni  della  quo- 
tidiana ufficiatura,  duranti  le  non  brevi  more  della  lite.  L'  alta  au- 
torità politica  dell'arcivescovo  Ottone  che  diede  la  sentenza,  ed  il 
contegno  più  che  remissivo  tenuto  in  causa  dal  soprastante,  accer- 
tano che  costui  si  aff'rettò,  prestando  ossequio  alla  sentenza,  a  co- 
struire i  nuovi  stalli  entro  il  termine  fissato  dall'arcivescovo,  e  cioè 
non  oltre  il  io  agosto  1283  (i). 

Ma  non  erano  trascorsi  due  secoli  dalla  loro  ricostruzione  che 
si  pensò  di.  rifarli  a  nuovo.  Era  l'epoca  nella  quale  la  tendenza  ad 
un  profondo  rinnovamento  artistico  cominciava  a  diffondersi  anche 
in  queste  contrade.  L'arte  dell'intaglio  e  della  tarsia  era  in  auge, 
e  le  chiese  monastiche  andavano  a  gara  nell'arricchirsi  di  nuovi  e 
suntuosi  stalli  per  il  coro,  decorati  di  tarsie  e  di  scolture.  Non  è 
compito  nostro  di  dare  qui  una  descrizione  artistica  degli  stalli  di 
S.  Ambrogio,  oggi  disposti  nell'abside  della  basilica.  Ci  basta  se- 
gnalare l'errore  gravissimo  in  cui  sono  incorsi  anche  i  migliori  fra 
i  critici  d'arte  che  ne  parlarono,  attribuendoli  al  sec.  XIV.  Seb- 
bene vi  predomini  ancora  l'influsso  dello  stile  ogivale  nella  sua  più 
tarda  e  meno  simpatica  evoluzione,  dalle  forme  tozze,   dalle  linee 

(i)  Cod.  Della  Croce,  XIX,  sub  a.  1282. 


NOTE    F.   DOCUMENTI   SANTaMBROSIANI  87 

trite  e  frastagliate  e  dal  sovracarico  di  ornati  pesanti  ch'ebbe  voga 
in  Lombardia  fino  oltre  la  metà  del  quattrocento,  non  mancano  in 
qualche  elemento  le  note  spiccate  dello  stile  nuovo  e  geniale  che 
altrove  aveva  già  conquistato  il  campo  anche  nelle  arti  minori,  e 
che  Milano  aveva  imparato  a  conoscere  nell'architettura  dal  Filarete 
e  da  Michelozzo. 

L'atto  di  commissione  del  coro  di  S.  Ambrogio  era  sfuggito 
sin  qui  alle  indagini  degli  studiosi.  Il  documento  fa  parte  dì  una 
miscellanea  dì  carte  relative  alle  solite  liti  fra  i  due  capitoli  che  tro- 
vasi nel  «  Fondo  di  religione  »  del  nostro  archivio  di  stato  (i);  non 
è  l'atto  originale,  ma  una  copia  contemporanea.  Contiene  i  patti  di 
una  convenzione  stipulata  il  13  ottobre  1469  tra  Giovanni  Antonio 
da  San  Giorgio,  dottore  nelle  decretali  e  preposto  della  canonica, 
a  nome  anche  dell'abbate,  e  i  maestri  Lorenzo  «  de  Udrugio  » 
(Origgio),  Giacomo  «  de  Turri  »,  ambedue  di  porta  Vercellina, 
parrocchia  dì  S.  Vittore  al  teatro,  e  Giacomo  «  de  mayno  »  (Del 
Maino),  di  porta  Ticinese,  parrocchia  di  S.  Giorgio  al  palazzo.  I 
tre  il  magistri  lignaminis  »»  si  obbligarono  di  fabbricare  a  loro  spese 
nel  termine  di  diciotto  mesi  a  partire  dal  i.**  dicembre  successivo, 
e  quindi  a  tutto  luglio  147T,  ventotto  stalli  superiori  ed  un  nu- 
mero proporzionato  di  stalli  inferiori,  in  legno  di  noce  rossa,  forte, 
senza  nodi  e  «  in  morsa  »,  conforme  alla  qualità  del  campione 
consegnato  al  preposto.  Il  primo  stallo  a  destra  doveva  essere  a 
forma  di  cattedra,  secondo  il  disegno  all'uopo  predisposto,  con  in- 
tagli nelle  spalliere,  angeli  e  altre  figure  indicate  nel  disegno,  e 
coir  Annunciazione  nel  grande  «  testale  »  superiore,  ed  una  fi- 
gura di  santo  a  scelta  del  preposto  nel  «  testale  »  di  sotto.  Negli 
altri  tre  «  testali  »  maggiori  si  dovevano  scolpire  due  figure,  e  nei 
tre  inferiori  una,  pure  a  scelta  del  preposto.  Corrispondono  gli 
otto  «  testali  »,  così  denominati  nel  capitolato,  agli  otto  specchi 
scolpiti  ad  intaglio  che  formano  una  delle  principali  attrattive  del 
coro.  Ma  nel  corso  del  lavoro,  come  si  aumentò  il  numero  degli 
stalli,  così  si  mutarono  anche  i  soggetti  degli  intagli  nei  «  testali  », 
sostituendo  alla  rappresentazione  dell'Annunciata  e  alle  immagini 
accoppiate  od  isolate  di  santi,  altrettante  scene  istoriate,  alcune  re- 
lative ai  fasti  di  S.  Ambrogio,  ed  altre,  come  si  è  detto,  non  sap- 

(I)  Ved.  doc.  II. 


88  GCROLAMO    BISCARO 

piamo  con  quanto  fondamento,  alla  conversione  degli  inglesi  al 
cristianesimo  per  opera  del  monaco  benedettino  S.  Agostino. 

Era  stabilito  che  tutti  gli  stalli  si  decorassero  ad  intagli  nelle  spal- 
liere, secondo  otto  diversi  disegni,  e  che  i  dossali  («  super  capita  ») 
si  ornassero  con  scene  di  animali  od  altri  soggetti  di  fantasia.  Il 
cornicione  («  frixo  »)  doveva  portare  nel  mezzo  figure  di  santi  in 
rilievo,  e,  al  di  sopra,  statuine  di  angeli  in  pose  svariate.  Nelle  assi 
divisorie  degli  stalli  andava  'praticato  un  foro  rotondo  con  entro 
qualche  intaglio  di  animali  od  altro.  Si  dovevano  decorare  di  tarsie  i 
margini  («  orla  »),  ma  non  con  osso,  e  dipingere  a  vari  colori  le 
assi.  Per  le  dimensioni  e  per  quanto  non  era  stato  disposto  in  modo 
particolare,  si  prendevano  a  modello  gli  stalli  del  coro  della  vicina 
chiesa  di  S.  Francesco;  meno  che  per  la  cattedra,  le  cui  propor- 
zioni erano  state  indicate  nel  disegno.  La  commissione  comprendeva 
pure  due  leggìi  minori  ai  due  capi  del  coro  ed  uno  più  grande, 
u  pulchrum  et  laudabile  w,  con  tarsie,  nel  mezzo.  Il  prezzo  era  conve- 
nuto in  lire  imperiali  902  di  moneta  milanese,  da  pagarsi  in  più  rate. 

Dei  tre  «  magistri  lignaminis  w,  che  costruirono  il  coro  di 
S.  Ambrogio,  era  noto  fin  qui  solo  il  terzo,  Giacomo  Del  Maino 
fu  Damiano,  per  la  parte  da  esso  avuta  nella  costruzione  del  coro 
per  i  conversi  della  certosa  di  Pavia,  già  incominciato  dal  modenese 
Bartolomeo  de  Polli,  che  il  Del  Maino  con  atto  del  14  giugno  1502 
si  assunse  di  portare  a  compimento  (i).  E  risaputo  che  il  coro  dei 
conversi  della  certosa  fu  disfatto  al  tempo  della  soppressione  del- 
l'ordine certosino,  nel  1782;  si  disse  che  il  governatore,  conte 
Wilczech,  avendo  acquistati  gli  stalli,  li  adattò  ad  uso  biblioteca 
nel  palazzo  Serbelloni,  ove  abitava.  Scrittori  pavesi  scrissero  che 
il  Del  Maino  era  di  Pavia  (2);  ma  oltre  che  nel  contratto  del  1469 
esso  è  indicato  come  abitante  a  Milano,  senza  alcun  accenno  alla 
sua  pretesa  origine  pavese,  la  sua  qualità  di  cittadino  milanese  si 
trova  espressa  in  un  atto  del  3  giugno  1491,  quando  già  abitava 
a  Pavia;  col  quale  atto  assunse  nella  propria  bottega  come  gar- 
zone, tale  Ambrogio  da  Donalla  della  Valtellina,  obbligandosi  ad 
insegnargli  «  artem  et  magisterium  sculpiendi  et  intaleandi  ligna- 
u  men  »  (3). 

(i)  L.  Beltrami,  La  Certosa  di  Pavia,  Milano,  1897,  p.  93. 

(2)  C.  Magenta,  La  Certosa  di  Pavia,  Milano,  1897,  p.  481. 

(3)  Arch.  dipi,  Sei.  storica,  autografi  di  intagliatori. 


NOTE  E  DOCUMENTI  SANTAMBROSIANI  89 

Di  Lorenzo  da  Origgio  abbiamo  trovato  qualche  notizia  in  do- 
cumenti che  provengono  dalla  cancelleria  ducale  di  Milano.  Egli 
aveva  sposato  Giovannina  da  Vimercate,  che  fu  nutrice  di  Gian 
Galeazzo  e  di  Bianca  Maria  Sforza.  La  sua  qualità  di  «  balio  »  del 
giovane  duca  e  della  principessina  fu  da  lui  invocata  come  titolo 
alla  protezione  e  ai  favori  della  corte,  in  una  supplica  alla  reggente 
Bona  di  Savoia,  nel  novembre  1478,  per  ottenere  la  concessione 
gratuita  della  così  detta  torre  dell'imperatore  (i),  e  in  altra  sup- 
plica allo  stesso  duca  Gian  Galeazzo,  «  per  poter  comprare  ligne 
«  de  cadauna  maynera  ecc.  et  venderla  ecc.  senza  alcuno  impedi- 
u  mento,  inhibitione  ecc.  dei  Vicari  della  provisione,  cobbie  seu 
u  officiali  (2)  ».  In  una  terza  supplica,  di  data  forse  anteriore  alla 
prima,  diretta  alla  stessa  reggente  Bona,  Lorenzo  «  de  Udrugio, 
«  magistro  da  legname  in  la  citade  de  Mediolano  »,  si  professava 
creditore  di  sei  ducati  verso  Filippo  Maria  Sforza,  zio  del  duca  Gian 
Galeazzo,  quale  residuo  prezzo  di  «  casoni  quattro  intersa.ti,  tavola 
«  una  et  payra  tria  de  trispi  »,  ch'egli  aveva  eseguito  per  com- 
missione di  quel  principe  al  prezzo  convenuto  di  ducati  19.  Pregava 
il  il  poverello  magister  Laurentio  »,  che  la  reggente  gli  procurasse 
il  saldo  del  suo  avere,  «  a  ciò  possa  sustentarse  cum  li  suoy  fio- 
«  Jeti  (3)  ». 

Del  secondo,  Giacomo  «  de  Turri  »,  non  ci  fu  dato  sapere  alcun 
che.  Ma  si  può  credere  ch'egli  pure,  come  gli  altri  due,  fosse  un  ar- 
tista indigeno,  appartenente  al  paratico  dei  maestri  di  legname.  L'ul- 
timo posto  che  occupa  il  Del  Maino  nella  convenzione,  denoterebbe 
in  lui  il  più  giovane  dei  tre  maestri;  della  sua  età  giovanile  si  ha 
un  ulteriore  argomento  nel  lavoro  assunto  per  la  certosa  di  Pavia 
ben  trentasette  anni  dopo.  Invece  Lorenzo  da  Origgio,  nella  supplica 
al  duca  Gian  Galeazzo,  si  diceva  già  «  vechiarello  »,  che  non  «  va- 
«  leva  più  laborare  ».  E  probabile  che  nel  1469  Lorenzo    e    Gia- 


(i)  Arch.  dipi,  S&1'  storica^  autogr.  di  intagliatori.  Nel  Registro  di  missive  du- 
cali n.  138  (1478-1479)  vi  ha  in  data  21  novembre  1478  la  lettera  della  Reg- 
gente al  vicario  di  provvisione  ed  ai  maestri  delle  entrate  straordinarie,  perchè 
diano  il  loro  parere  sulla  supplica  dei  coniugi  Lorenzo  da  Origgio  e  Giovannina 
da  Vimercate;  ove  si  dice  che  per  parte  sua  la  Reggente  sarebbe  lieta  di  poterli 
accontentare,  «  ob   merita  Joannine   de   V.  nutricis  domini  ducis  Io.  Galeaz  ». 

(2)  Ibid.,  Se:(.  storica^  autogr.  di  intagliatori. 

(3)  Ibid.,  autogr.  di  intagliatori. 


90  ^  GEROLAMO    BISCA RO 

corno  «  de  Turri  »,  i  quali  abitavano  nella  stessa  contrada,  tenes- 
sero bottega  insieme,  ed  avessero,  pure  in  società,  costruito  qualche 
anno  prima  il  coro  di  S.  Francesco,  citato  come  modello  nel  ca- 
pitolato per  gli  stalli  di  S.  Ambrogio.  Imbevuti  nelle  tradizioni 
dell'arte  ogivale,  sulle  quali  cominciavano  appena  a  fare  breccia 
nelle  arti  minori  della  tarsia  e  dell' intaglio,  le  influenze  del  nuovo 
stile  portato  di  Toscana  dagli  architetti,  essi  si  saranno  associati 
al  Del  Maino,  come  ad  un  giovane  promettente,  che  doveva  por- 
tare nella  costruzione  del  coro  la  nota  più  moderna,  rappresen- 
tata dalle  scene  agresti  dei  dossali,  spiranti  una  soave  aura  virgi- 
liana, e  dalle  istorie  movimentate  dei  «  testali  »»,  composte  sopra 
le  istruzioni  del  preposto  della  canonica,  e  fors'anco  sui  cartoni  di 
qualche  distinto  pittore  all'uopo  richiesto. 

Le  sommarie  indicazioni  del  capitolato  corrispondono,  salve 
le  modificazioni  sopraccennate  nel  numero  degli  stalli  e  nelle  storie 
dei  «  testali  »,  agli  elementi  principali  del  coro  della  basilica.  La 
sua  disposizione  originaria  era  quella  dei  due  cori  che  lo  prece- 
dettero, sotto  il  tiburìo,  davanti  l'altare:  Nel  1507,  si  stabilì  di 
sgombrare  l'abside,  occupata  ancora  dall'antica  cimiliarchia,  e  di 
trasportarvi  il  coro  ad  uso  comune  dei  due  capitoli.  Si  abbattè  al- 
lora il  muro  o  tramezza  che  divideva  sino  ad  una  certa  altezza 
l'abside  dal  presbitero;  gli  stalli  dei  tre  maestri  milanesi  salirono 
così  al  piano  dell'abside,  ove  tuttora  fanno  bella  mostra  di  sé. 

Gerolamo  Biscaro. 


NOTE   E    DOCUMENTI   SANTAMBROSIANl  9I 


DOCUMENTI 


L 

12^ Si  fnarzo,  8,  ind.  Vili. 

GlACOxMO     DeSCAZIO,     ex-custode    della    basilica    di    S.     AM- 
BROGIO;, CEDE  ALLA  CANONICA  UNA  SUA  CASA    IN   PARROCHIA 

DI  S.  Pietro  «  surra  dorsum  »  a  titolo  d'indennizzo 

PER    IL    furto    commesso    DALL' ALTARE    DELLA    BASILICA. 

Ambrosiana,  Codice  diplomatico  Della  Croce,  D.  sup.  IV,  n.  i6, 
e.  65  (ex  Archivio  S.  Amhrosii  Mediolani). 

Anno  domini  incarnationis  millesimo  ducentesimo  trigesimo  quinto, 
die  iovis  octavo  die  mensis  martii,  indictione  octava.  Jacobus  Descatius 
qui  olim  fuit  custos  ecclesie  sancti  Ambrosii  prò  restitutione  illius  auri 
quod  subripuit  de  altari  eiusdem  ecclesie,  sicuti  confessus  est,  cessit 
dompno  Ambrosio  Boifae  Praeposito  domum  unam  sitam  in  contrata 
sancti  Petri  supra  dorsum:  cui  cohaeret  a  mane  Uberti  Marapongiae,  a 
meridie  ecclesia  sancti  Francisci  sive  sancti  Naboris,  a  sero  Belloti  de 
Brossano.  Ibique  Angnexia  quae  dicebatur  esse  amasia  praedicti  Jacobi 
de  eius  consenso,  nec  non  ad  interrogationem  Mirani  filli  q.  Serbruchi 
de  Legniano  missi  domini  Regis,  renunciavit  omni  iuri  pignoris  vel  hy- 
pothecae  si  quod  haberet  in  praedicta  domo.  —  Actum  in  canonica  sancti 
Ambrosii,  in  praesentia  Beltrami  de  Merate  prò  secundo  notarlo  et  in- 
frascripti  Mirani  missi  Regis.  —  Interfuerunt  Otto  filius  Anselmi  Gia- 
pini  (?),  Trussus  fil.  Merini  de  Legniano,  Gratianus  fil.  Mincherini  de 
Besuzo  omnes  de  civitate  Mediolani  testes. 

Ego  Redulfus  filius  q.  ser  Gilberti  Boffae  de  contrata  S.  Sixti  nota- 
rius  sacri  palacii  tradidi  et  subscripsi. 

Ego  Chunradus  filius  Ambrosii  de  Lomacio  portae  Ticinensis  de  con- 
trata S.  Sixti  notarius  sacri  palacii  iussu  infrascripti  Redulfi  scripsi. 


92  GEROLAMO    BISCARO 


IL 


i46g,  ottobre^  i6. 


I    MAESTRI    DI    LEGNAME     LoRENZO     DA    'OrIGGIO,     GiACOMO    DA 

Torre   e  Giacomo  Del   Maino    assumono   la   costru- 
zione  DEGLI   stalli   DEL   CORO   DI   S.   AMBROGIO. 

R  Archivio  di  Stato,  Fondo  di  Religione,  Capitoli,  S.  Am- 
brogio, busta  n.  115.  Copia  non  autentica,  della  fine  del  sec.  XV. 

Pateat  universis  et  singulis  praesentes  inspecturis  qualiter  nunc 
quondam  Petrus  Paulus  de  Perochis  olim  Mediolani  notarius  anno 
MCCCCLXVIIII.o  die  sabbati  tertio  decimo  mensis  octubris  tradidit  in- 
strumentum unum  pactorum  et  conventionum  factorum  per  et  inter  ve- 
nerabilem  virum  dominum  Johannem  de  sancto  Georgio  de  Placentia  de- 
cretorum  doctorem  praepositum  ecclesiae  S.  Ambrosii  maioris  Mediolani 
suo  nomine  et  nomine  et  vice  reverendi  domini  Abbatis  sancti  Am- 
brosii ac  capituli  et  eius  monasterii  ac  dominorum  canonichorum  eccle- 
siae et  prò  quibus  promisit,  parte  una  ;  et  magister  Laurentius  de 
Udrugio  filius  quondam  domini  Sozini,  magister  Jacobus  de  Turri  filius 
quondam  domini  Paganini,  ambo  portae  Vercellinae,  parochiae  sancti 
Victoris  ad  theatrum  Mediolani,  et  magister  Jacobus  de  Mayno  filius 
quondam  domini  Damiani  portae  Ticinensis  parochiae  sancti  Georgii  in 
pallatio  Mediolani,  omnes  magistri  lignaminis  etcetera  et  quilibet  eorum 
in  solidum  etcetera. 

Primo  quod  dicti  magistri  ut  supra  teneantur  hinc  ad  menses  XVIII 
proximos  futuros  incipientes  post  calendas  mensis  decembris  proximae 
futurae  eorum  propriis  expensis  tam  lignaminis  quam  aliarum  rerum  fa- 
cere  et  fabricare  in  ecclesia  sancti  Ambrosii  maioris  Mediolani  stadia 
tam  superiora  quam  inferiora,  et  sunt  stadia  numero  XXVIII  superiora, 
inferiora  autem  secundum  suas  proportiones,  de  lignamine  nucis,  scilicet 
de  rubeo  precipue  de  eo  quod  est  in  demonstratione,  et  sit  lignamen 
forte  et  bene  sichum,  grossum  in  morsa,  cum  sculturis  fortibus  et  li- 
matis  secondum  proportionatam  rationem  scolturae,  et  ponantur  assides 
sub  pedibus  in  omnibus  stadiis  pobye,  et  sint  praedicta  stadia  in  forma 
infrascripta.  Primo  stadium  unum  quod  sit  prò  cathedra  et  ex  forma 
cathedrae  a  manu  dextra  designatum  secondum  formam  {lacuna  dello 
spazio  di  una  parola)  prefati  domini  praepositi  dimissam  de  voluntate 
praedictorum  magistrorum  cum  scoltura  in  spalarolis  angelis  et  figuris 


NOTE    E    DOCUMENTI    SANTAMBROSIANI  93 

in  ipsa  lista  designatis  et  annunciata  beatae  Mariae  Virginis  in  te- 
stali magno  superiori,  et  in  testali  parvo  inferiori  ponatur  figura  unius 
sancti  ad  libitum  prefati  d.  praepositi  et  ita  in  aliis  testalibus  magnis 
principalibus  per  singulum  testale  ponantur  duae  figurae,  in  testalibus 
parvis  inferioribus  principalibus  ponatur  una  figura  ad  libitum  ut  su- 
pra.  Item  quod  fiant  alia  stadia  et  sint  forma  eorum  et  scoltura  in 
spalarolis  variando  scolturas  per  singulo  stadio  in  ceto  mayneribus 
formatis,  fiat  figura  in  friso  et  sit  figura  alicuius  sancti  ad  libitum  ut 
supra,  et  super  capite  ponatur  aliquod  disignum  alicuius  animalis  vel 
simile,  et  orla  fiant  intersiata,  dum  tamen  non  intelligatur  de  osso,  et 
assides  ubi  necesse  fuerit  et  poni  poterit  pingeantur  de  vario  colore, 
fiat  etiam  angelus  de  super  variatus  per  singula  stadia  in  actu  suo  di- 
verso, et  frisum  sit  relevatum,  et  assides  que  sunt  intermedia  Inter  sin- 
gula stadia  habeant  fondum  unum,  scilicet  foramen  ubi  sit  intus  aliqua 
scoltura  animalis  vel  alterius  designi  tam  in  superioribus  stadiis  quam 
in  inferioribus;  et  stadia  inferiora  sint  cum  suis  orlis  relevatis  et  scoltis, 
et  fiant  prò  singula  parte  cori  ecclesia  duo  lectorili  parvi.  Item  quod 
magnitudo  praedictorum  stadiorum  sit  prout  sunt  stadia  quae  sunt  in 
ecclesia  S.  Francisci  fratrum  minorum,  excepto  primo  stadio  quod  sit 
prò  cathedra,  quia  illud  debet  esse  maius  secundum  designatam  por- 
tionem.  Item  fiat  lectorille  unum  magnum  ponendum  in  medio  chori 
ecclesiae  praedictae  cum  scholtura  tersiae  circhum  circha  coronam  de- 
super ita  quod  sit  pulchrum  et  laudabile,  Item  quod  in  omnibus  si  quae 
deficerint  declarata  vel  expressa  non  fuerint,  habeatur  rellatio  ad  desi- 
gnum  demissum  penes  prefatum  d.  praepositum  ut  supra,  in  quo  est  de- 
signum  cathedrae  quam  unius  superioris  et  inferioris  et  si  ex  designo 
non  appareat  habeatur  recursus  ad  corum  S.  Francisci.  Et  praedicta 
omnia  sub  pretio  librarum  novem  centum  duarum  imperialium  monetae 
Mediolani  eis  dandarum  et  solvendarum  per  dictum  d.  praepositum  pre- 
fato nomine,  sub  terminis  infrascriptis,  primo  Hbras  ducentum  impe- 
rialium hinc  ad  dies  octo  proxime  futuros,  libras  centum  imperialium- 
post  mensem  a  die  coepti  operis  per  ipsos  tres  suprascriptos  et  li- 
bras (?)  inde  ad  duos  menses  post  secundum  terminum,  et  libras  centum 
ad  calendas  septembris  proxime  futuri  et  libras  centum  ad  festum  nati- 
vitatis  anni  1471  et  residuum  in  fine  operis  completi,  et  inteligatur  com- 
pletum  quando  fuerit  repositum  per  ipsos  magistros  in  ecclesia  ad  libitum 
prefati  d.  praepositi,  hoc  excepto  quod  de  libris  centum  fiat  credentia 
per  menses  tres  post  finem  operis  per  ipsos  magistros  prefato  d.  pre- 
posito  ;  sub  poena  ducatorum  XXV  auri  et  in  auro  insti  valoris,  prò 
qualibet  parte  non  attendente  quae  poena  non  habeat  locum  si  super- 
venerit  aliquis  casus  adversus  videlicet  iustus  quod  deus  advertat,  -belli 
vel  infirmitatis. 

Et  in  fidem  praemissorum  Henricus  de  Modoetia  notarius  et  causi- 
dicus  Mediolani  qui  habet  auctoritatem  complendi  instrumenta  rogata 
per  dictum  nunc  quondam  Petrum  Paulum  de  Perochis  olim  Mediolani 
notarli  ut  supra  scripsit  et  etiam  subscripsit  manu  propria. 


94  GEROLAMO  BI3CARO   -    NOTE   E   DOCUMENTI   SA.NTAMBROSIANI 

Idem  Heiaricus  prò  fide  ut  supra  subscripsit 

Item  pateat  ut  supra  dictus  quondam  notarius  ut  supra  rogavit  sub 
die  merchurii  XXVIIIJ.»  suprascripti  mensis  octobris  ratificationem  factam 
per  prefatum  dominum  abbatem  de  suprascripto  instrumento  pactorum, 
et  in  fidem  praemissorum  suprascriptus  Henrichus  de  Modoetia  habens 
auctoritatem  ut  supra  pariter  subscripsit. 

Idem  Henricus  prò  fide  ut  supra  subscripsit. 


i 


Un'opera  medita  di  Alessandro  Verri 

sulla  Storia  d'Italia 


i. 


«  La  mia  opera  è  in  mano  dell'avvocato  Baldassaroni:  avuti 
«  alcuni  congressi  con  lui  ritorno  a  scorrerla  e  poi  la  stampo.  Sa- 
«  ranno  trenta  fogli  in  quarto  di  stampa  Algarotti  e  vi  vogliono 
u  due  mesi,  a  me  basta  di  incamminarla.  L'auditore  Franceschini 
«  me  ne  parla  con  stima,  il  suo  voto  mi  fa  piacere. .  ».  Così  scri- 
veva da  Livorno  Alessandro  Verri  al  fratello  Pietro,  mentre,  re- 
duce da  Parigi  e  da  Londra,  avviavasi  a  Roma. 

Quarant'anni  dopo  però  l'opera  giaceva  ancora  inedita  sul  ta- 
volino dell'autore  ed  egli  apponeva  al  manoscritto  la  seguente 
postilla: 

«  Opera  di  mia  gioventù  con  giudizi  arditi,  stile  bastardo,  an- 
«  sietà  di  paradossi,  troppo  scarsa  nel  racconto,  nondimeno  com- 
ii  posta  con  molta  fatica  e  diligenza  dal  vigesimo  secondo  al  vi- 
«  gesimo  quinto  anno  della  mia  età,  avendo  veduto  in  buone 
«  edizioni  della  libreria  del  Questore  Lambertenghi  ed  anche  della 
«  Trivulzi  in  Milano  i  testi  tutti  da  me  citati.  Non  si  stampi  se  non 
«  la  correggo  in  vita.  —  3  gennaio  1808  ». 

Sotto  alla  postilla  aggiunse  ancora  più  tardi  le  due  parole: 
il  Non  corretta  ». 

La  cortesia  dei  conti  Sormani  e  della  marchesa  Faas  di  Bruno, 
eredi  della  storica  famiglia  Verri,  dischiudendomene  l'archivio,  mi 
ha  offerto  il  modo  di  far  conoscere  più  di  quanto  oggi  sia  noto  per 
quali  vicende  rincominciata  edizione  sia  rimasta  indefinitamente 
sospesa,  e  in  che  la  storia  consista,    presentando    anche  ai  nostri 


96  EMANUELE   GREPPI 

lettori  la  pubblicazione  integrale  della  Prefazione.  Malgrado  l'ab- 
bondanza dei  documenti  non  possiamo  però  assistere  alle  fatiche, 
alle  discussioni,  alle  compiacenze  del  periodo  nel  quale  venne  com- 
posta, perchè  i  fratelli  e  gli  amici,  tutti  riuniti  in  Milano,  non  si 
comunicavano  per  iscritto  i  loro  sentimenti,  ma  la  corrispondenza 
tosto  avviatasi  dopo  la  partenza  di  Alessandro  per  Parigi,  e  solo 
incompletamente  pubblicata  dal  Casati,  ci  fa  invece  conoscere 
quanto  avvenne  dopoché  essa,  definitivamente  compiuta,  pareva 
destinata  alla  stampa.  Ci  risulta  dunque  che  nell'ottobre  1766  l'an- 
davano rivedendo  il  fratello  Pietro  coU'amico  Luigi  Lambertenghi,. 
che  ai  tre  di  novembre  il  manoscritto,  per  la  via  di  Genova,  era 
stato  spedito  all'editore  Aubert  di  Livorno;  ma  che,  adducendo  esso 
prima  ancor  di  riceverlo  varie  scuse  per  tardarne  la  stampa,  Ales- 
sandro ai  18  di  novembre  scriveva  da  Parigi  :  «  Vorrei  che  il  nostro 
«  Aubert  non  protraesse  di  troppo.  Mi  annojo  di  far  lungo  tempo 
a  anticamera  al  pubblico  e  forse  alla  fama  qualunque  sia  per  es- 
«  sere  ». 

Il  24  di  gennaio  successivo  Pietro  lo  incoraggiava  in  questo 
suo  sogno  di  gloria  scrivendogli  :  «  Aspetto  il  riscontro  da  Livorno 
«  dell'esame  fatto  della  Storia.  Ti  assicuro  che  ne  sono  impaziente, 
«  perchè  ti  deve  far  conoscere  per  quel  che  sei  e  darti  una  repu- 
«  tazione  non  minore  di  quella  di  Beccaria  ». 

In  febbraio  si  sapeva  che  l'Auditore  aveva  letto  con  molto 
piacere  il  manoscritto,  lo  aveva  restituito  ad  Aubert  senza  dirgli 
di  non  stamparlo  (come  facevasi  quando  un  libro  era  creduto  degno 
di  censura,  tanto  da  non  tollerarne  la  pubblicazione  nemmeno  sotto 
finta  data),  ma  lo  aveva  invitato  a  farlo  leggere  anche  all'avvocato 
Baldassaroni   che  stava  scorrendolo  e  lo  trovava  buonissimo. 

Confortato  da  queste  approvazioni  l'editore  diveniva  più  pre- 
muroso ed  in  Quaresima  accoglieva  l'autore  ospite  festeggiatissimo 
nella  sua  casa  di  Livorno. 

i(  La  mia  opera  comincia  a  stamparsi  sotto  ai  miei  auspici;. 
«  sarà  un  volume  di  circa  cinquecento  facciate  in  quarto  della 
«  stampa  del  Gazzettino  americano  »  ;  così  Alessandro  al  fratello 
il  15  aprile  1767,  pochi  giorni  dopo  l'altra  lettera,  della  quale  ab- 
biamo trascritto  un  paragrafo  al  principio  di  queste  notizie. 

La  buona  accoglienza  dei  toscani  e  le  cure  della  edizione  fe- 
cero sostare  Alessandro  circa  un  mese  fra  Pisa  e  Livorno  ;  ma  anche 
a    Roma,  ove    era  giunto  il  19  maggio,    attendeva  alla  correzione 


UN  OPERA    INEDITA    DI   ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  97 

della  stampa,    della    quale    ai  27  giugno    scriveva   che:    «  andava 
a  avanti  correttamente  e  lentamente  ». 

Senonchè  proprio  forse  in  quei  giorni,  avendo  incominciato  a 
frequentare  la  società  romana,  imbattevasi  in  una  donna  la  cui  in- 
fluenza doveva  interrompere  la  pacifica  pubblicazione  della  sua 
Storia  e  mutare  i  destini  di  tutta  la  sua  vita. 

a  Oh  povero  Alessandro!  »>  (scriveva  a  Pietro  l'ii  luglio)  «  sono 
i(  innamorato  come  una  bestia  e  sono  in  una  maledetta  contraddi- 
ci zione  fra  l'amicizia  e  la  passione.  Io  non  ho  mai  trovato  al  mondo 
«  donna  più  seducente  e  che  mi  faccia  credere  meglio  di  amarmi. 
«  Oh  povero  Alessandro,  egli  è  fritto.  Non  sono  più  io.  Non  ho 
a  mai  provato  passione  così  viva,  né  credevo  di  averne  i  semi  nel 
«  cuore  ». 

E  con  veemenza  ancor  maggiore  il  15  agosto  :  «  Tu  conosci  il 
a  mio  cuore,  tu  sai  se  egli  sia  sensibile,  tu  conosci  infine  il  tuo 
«  Alessandro.  Mio  buon  amico,  mio  buon  Pietro,  io  amo  come  non 
«  ho  mai  amato,  come  non  credevo  mai  che  si  potesse  amare,  amo 
«  con  tutta  la  energia  dei  cuori  che  hanno  una  ragionata  e  finissima 
«  sensibilità.  Credo  che  il  cuore  umano  non  sia  capace  di  maggiore 
a  tenerezza  od  almeno  il  mio  non  lo  è.  Se  parlassi  a  tutt'altri  che 
it  al  mio  Piero  io  troverei  della  dissonanza  e  della  disanalogia  nei 
a  nostri  sentimenti,  ma  parlando  con  te  che  conosci  i  tormenti,  la 
a  veemenza  e  la  divina  dolcezza  di  una  funesta  e  sacra  sensibilità, 
«  io  mi  abbandono  al  mio  cuore  ed  alzo  il  velo  degli  ultimi  suoi 
a  penetrali.  Mio  caro,  mio  buon  Pietro!  Crederesti  tu  che  mentre 
^<  che  ti  scrivo  questo  giorno  quindici  agosto  alle  ore  otto  e  mezzo 
4<  della  notte,  mi  sia  preso  uno  scoppio  di  pianto,  abbia  abbando- 
ni nato  la  penna,  sia  andato  alla  finestra  per  sfogarmi  in  lagrime 
«  e  che  io  sia  il  più  tenero,  il  più  debole,  il  più  fortunato  degli 
«   uomini?  » 

Concludeva  mostrando  a  Pietro  come  gli  sarebbe  stato  impos- 
sibile di  lasciar  Roma  e  scongiurandolo  di  preparar  la  famiglia  ad 
un  suo  soggiorno  indefinito  fuori  della  patria,  di  trovargli  il  mezzo 
di  sussistere  in  Roma,  ma  di  rinunciare  a  qualsiasi  disegno  pel  suo 
avvenire,  che  contrastasse  alla  possibilità  di  rimanere  sempre  presso 
la  dama  adorata. 

Pietro  rispose  con  aff'ettuosa  tristezza  che  intendeva  la  sua 
passione,  nulla  avrebbe  fatto  per  contrastarla,  anzi  si  sarebbe  ade 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXIT,  Fase.  V.  7 


g8  EMANUELE    GREPPI 

perato  per  rendergli  possibile  la  permanenza  in  Roma,  ma  diceva: 
u  Io  ho  provato  ieri  sera  »  (nel  ricevere  la  lettera)  «  la  stessa  sen- 
«  sazione  che  ho  avuto  l'anno  scorso  alla  tua  partenza.  Nel  tempo 
u  stesso  mi  è  venuto  da  Livorno  il  pacchetto  con  undici  fogli  della 
<»  tua  stampa.  Pareva  che  contemporaneamente  mi  venisse  la  nuova 
«  di  non  doverti  più  vedere  e  un  documento  del  valore  della  mìa 
u  perdita  ». 

Egli  anzi  pensava  contemporaneamente  al  colpo  che  quella 
passione  portava  alle  speranze  di  una  convivenza  fraterna  e  alle 
speranze  di  una  fama  letteraria  che  sarebbe  stata  anch'essa  quasi 
comune  fra  loro,  poiché  aggiungeva:  «  Una  cosa  è  degna  di  ri- 
«  flessione.  La  tua  storia  sarebbe  bene  che  venisse  pubblicata 
«  mentre  tu  sei  in  Roma?  Mi  pare  che  no.  Io  vi  ho  scorto  dei 
«  passi  scabrosi  ». 

Alessandro  da  principio  non  volle  riconoscere  tutta  la  gravità 
della  osservazione,  e  al  due  settembre  replicava:  «  Quanto  al  pub- 
«  blicarla  che  si  ha  a  fare?  Le  spese  sono  fatte  e  la  fatica.  S'hanno 
«  da  gettare  tutte  quante  e  devo  io  sottoscrivere  a  questo  sacri- 
«  fizio?  Tratti  un  po'  vivi  ci  sono,  ma  in  fondo  ho  avuto  sempre 
u  giudizio,  posso  difendermi  e  far  tacere  la  calunnia  ». 

L'otto  settembre  scriveva  ancora:  «  Ho  pensato  che  sarebbe 
u  una  gran  perdita  per  me  il  sacrificare  un  po'  di  fama  e  i  primi 
«  anni  della  mia  gioventù  ad  un  timore  che  non  ha  fondamento. 
«  Parlo  della  Storia.  Ti  ridico  che  posso  avere  qualche  piccolo 
«  colpo  di  pennello  un  po'  vivo,  ma  il  fondo  è  ortodosso.  Avessi 
«  anche  a  fare  una  guerra  di  penna  d'oca,  avessi  anche  a  soffrire 
«  qualche  guajo  maggiore  che  poi  si  ridurrebbe  a  poco,  non  so 
"  risolvermi  a  gettare  negli  abissi  della  oblivione  un'opera  che  mi 
«  costò  tanto  e  che  ha  fatto  la  più  dolce  delle  occupazioni  del  fiore 
li  degli  anni  miei  »•. 

Ma  il  12  settembre  gli  era  forza  mutare  avviso:  «  Ho  riflettuto 
«  che  avendo  la  mia  storia  tratti  un  po'  vivi,  non  è  da  arrischiarsi 
Il  sotto  questo  pontificato  che  ben  conosco  da  vicino...  Dorma  la 
ti  Storia  sino  a  nuovo  più  lambertiniano  pontificato.  Scrivo  ad  Au- 
«  bert  perchè  non  si  prosegua  e  poi  penseremo  ad  un  compenso  »• 

«  Aubert  »  (aggiunge  il  3  ottobre)  «  mi  ha  risposto  ed  è  sor- 
«  preso  che  gli  dica  di  sospendere.  Mi  rimprovera  di  aver  paura 
«  di  uomini  in  gonnella,  ma  sono  a  casa  loro;  hanno  forza  ed 
u  opinione  ". 


UN  OPERA    INEDITA    DI    ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  99 

La  sospensione  della  pubblicazione  finì  col  guastare  le  relazioni 
fra  l'editore  e  l'autore.  Questi  lamentavasi  del  ritardo  alla  restitu- 
zione del  manoscritto  che  avvenne  infatti  soltanto  nel  maggio  suc- 
cessivo e  delle  indiscrezioni  per  le  quali  era  divenuto  quasi  pub- 
blico il  nome  del  Verri  che  dovevasi  tenere  celato;  quello  della 
intromissione  poco  discreta  del  padre  Majnoni  incaricato  da  Ales- 
sandro di  sollecitare  quanto  a  lui  premeva. 

La  Storia  però  non  si  poteva  ancora  considerare  sepolta  per 
sempre,  poiché  andava  girando  manoscritta  fra  gli  amici,  provocan- 
done  più   volte  le  sollecitazioni  perchè  fosse  tratta  dalla  oscurità. 

Così  nel  marzo  1708  Pietro  scriveva  al  fratello:  «  Lloyd  mi 
u  scrive  da  Genova  che  il  senatore  Lomellini  gli  ha  parlato  di  te 
u  con  molta  stima  e  vorrebbe  si  pubblicasse  la  tua  Storia  che  non 
ti  può  aver  tempo  più  favorevole  di  comparire  di  questo.  Molta 
u  gloria  e  quattrocento  zecchini  sono  in  tua  mano,  ma  le  inquie- 
«  tudini  e  le  persecuzioni  pesano  di  più  senza  paragone  ». 

Più  tardi,  sul  finire  del  1770,  un  celebre  editore  e  letterato 
francese  insisteva  per  avere  la  facoltà  di  pubblicarne  la  traduzione 
francese.  «  Non  ti  ho  detto  »  (così  Alessandro  il  18  ottobre)  «  che, 
«  avendo  dato  una  copia  del  mio  manoscritto  all'abate  Vauxcelles, 
u  egli  la  fece  vedere  a  Parigi  a  qualche  suo  amico  e  fra  gli  altri 
«  alla  moglie  di  MJ  Suard,  uno  degli  autori  della  Gazzetta  letteraria 
u  ed  essa  mi  fece  interpellare  dal  padre  Jacquier  se  le  volessi 
«  permettere  di  tradurla  e  stamparla,  lo  ho  risposto  che  mi  faceva 
i.  gran  piacere  l'offerta,  ma  che  non  volevo,  amando  più  la  tran- 
u  quillità  che  ogni  altra  cosa  ». 

Un  altro  suggerimento  era  stato  precedentemente  subito  da 
lui  declinato  per  considerazioni  che  tornano  a  suo  grande  onore. 
Il  9  aprile  1768  Pietro  gli  aveva  scritto:  «  Aggiungo  una  riga 
«  nata  da  un  discorso  del  nostro  Lloyd;  egli  è  entusiasta  della  tua 
«  Storia  e  dice  che  spenderebbe  volontieri  del  suo  per  vederla 
u  stampata,  ma  suggerisce  qualche  cosa  di  meglio;  cioè  di  farla 
«  trascrivere  eccellentemente  e  presentarla  all'imperatore  venendo 
u  in  Italia.  Aggiungere  qualche  nota,  se  vi  è,  interessante  i  diritti 
u  dell'Impero,  una  prefazione,  etc.  Io  so  che  l'imperatore  fa  at- 
«  tualmente  travagliare  per  porre  in  giorno  i  diritti  imperiali.  Io 
«  te  la  communico  perchè  vi  pensi  e  mi  risponda,  sicuro  che  nelle 
u  cose  tue  io  sarò  sempre  fedele  esecutore  delle  tue  disposizioni, 
«  né  mai  farò  un  impegno  ultroneo   ». 


100  EMANUELE   GREPPI 

Alessandro  così  rispondeva:  «  Sono  obbligato  alla  amicizia  del 
«  nostro  buon  inglese  e  lusingato  del  suo  suffragio.  La  mia  ricom- 
u  pensa  sono  simili  voti,  ma  in  generale,  quand'anche  fossi  in  tut- 
«  t'altre  circostanze,  non  mi  piace  il  dedicare  il  libro.  Non  voglio 
«  appoggi:  la  ragione  non  è  feudataria  dell'Impero.  Altronde  nel 
«  progresso  dell'opera  varie  cose  dispiacerebbero.  Gli  imperatori 
«  non  vi  fanno  sempre  buona  figura.  Bisognerebbe  spennare  le 
u  ali  della  immortale  fenice,  la  verità.  Le  note  che  mi  si  propon- 
«  gono  sarebbero  da  pubbhcista  anziché  da  filosofo.  Tu  sai  cosa 
«  vagliano  i  diritti  sui  principati,  di  che  sostanza  siano  i  trattati  e 
«  quanto  siano  vaghe  tutte  queste  idee  di  giustizia.  In  verità  non 
«  saprei  come  ragionare  con  tali  principi.  Poi  bisognerebbe  non 
«  mostrarsi  Ghibellino  e  perciò  bisognerebbe  fare  lo  stesso  cogli 
«  altri  principi,  altrimenti  sarei  creduto  sposare  un  partito.  Final- 
«  mente  chi  mi  crederebbe  imparziale  se  tanto  disputo  fra  le  due 
«  Potenze,  quando  dedico  l'opera  ad  una  delle  due  parti?  w. 

Un'ultima  proposta,  che  non  avrebbe  presentato  gli  stessi  in- 
convenienti, gli  veniva  tre  anni  dopo  da  Vienna.  L'amico  Luigi 
Lambertenghi,  uno  dei  collaboratori  alla  revisione  del  manoscritto, 
occupava  allora  una  carica  importante  nel  Dipartimento  d'Italia,  e 
d'accordo  col  suo  capo  barone  de  Sperges,  al  quale  aveva  fatto 
leggere  la  Storia,  insisteva  perchè  fosse  pubblicata  in  Vienna  stessa, 
senza  alcuna  modificazione,  ma  bensì  colla  garanzia  che  non  ne 
sarebbe  derivata  all'autore  alcuna  molestia  anche  nel  soggiorno  di 
Roma.  E  Alessandro  questa  volta,  se  declina  ancora  l'offerta,  non 
lo  fa  più  per  timore,  ma  perchè  dice  di  non  essere  più  soddisfatto 
dell'opera  sua.  «  Molte  cose  »,  egli  scrive  il  2  novembre  1771, 
«  avrei  da  mutare,  moltissime  non  mi  piacciono  più,  ma  mi  atter- 
«  risce  il  lungo  travaglio.  Nella  mia  maniera  di  lavorare  non  la 
u  finisco  mai  e  vedo  che  mi  domanderebbe  degli  anni  una  simile 
«  rifusione.  Bisogna  leggere  assai  e  scrivere  poco  ». 

Quattro  anni  di  soggiorno  in  Roma  avevano  mutato  il  brioso 
e  satirico  discepolo  degli  enciclopedisti  francesi  in  uno  scrittore, 
purista  per  la  lingua  e  per  lo  stile,  aborrente  da  ogni  storica  im- 
provvisazione, anzi  scrupoloso  censore  di  ogni  inesattezza  e  per 
di  più  politicamente  devoto  alle  tradizioni  della  Curia  romana,  co- 
sicché si  può  dire  già  in  lui  formato  sull'opera  sua  quel  giudizio 
che  poi  riassunse  nella  postilla.  Le  tracce  però  della  sua  tendenza 
a  disertare  la  scuola,  alla  quale  si  era  ascritto  a  Milano  con  tanto 


un'opera   inedita    di    ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  lOI 


entusiasmo,  sì  scoprono  prima  àncora  del  suo  arrivo  in  Roma  e 
ci  dimostrano  come  l'indole  sua  naturalmente  vi  inclinasse  anche 
senza  l'influenza  dell'ambiente  romano. 

La  prima  oscillazione  si  nota  a  Livorno,  proprio  quando  egli 
era  ancora  nel  maggior  fervore  per  la  sua  Storia.  11  23  aprile  1767 
aveva  scritto  al  fratello:  «  Professo  molte  obbligazioni  al  signor 
«  avvocato  [Baldassaroni]  il  quale  mi  va  parlando  di  alcuni  sbagli 
«  con  buonissima  grazia.  Non  è  del  mio  parere  sul  poco  conto  che 
u  faccio  degli  italiani  e  sull'entusiasmo  con  cui  parlo  dei  francesi, 
«  ma  non  importa,  io  non  lascio  la  mia  robustissima  guerra  che 
u  faccio  alle  nostre  mediocrità  «. 

Senonchè,  al  primo  maggio,  mezzo  convertito  dal  Baldassaroni, 
continua:  «  Sto  rivedendo  la  mia  Storia,  la  quale  con  tua  pace 
u  meritava  assaissimo  questa  riveduta.  Ho  levato  le  punte  troppo 
«  acute  ad  alcuni  tratti  contro  il  pedantismo  e  contro  gli  italiani 
u  massimamente  nell'ultimo  capo.  I  francesi  non  mi  sarebbero  ob- 
u  bligati  di  tanto  lodarli  e  gli  italiani  mi  prenderebbero  tutti  in 
«  quel  servizio.  Vedo  come  si  pensa  qui  in  Toscana  e  se  ho  da 
«  procurarmi  i  voti  della  Etruria  non  bisogna  sfidare  tanto  il  suo 
u  amor  proprio.  In  parte  anche  io  aveva  torto  ". 

Pietro  ebbe  forse  sin  d'allora  l'istinto  che  la  comunione  intel- 
lettuale col  fratello  era  in  pericolo,  cosicché  rispondeva  con  una 
certa  vivacità:  «  Ho  piacere  che  tu  mi  tocchi  alcuni  punti  della  tua 
«  Storia,  ma  temo  che  non  ti  si  attacchino  dei  rispetti  umani  vedendo 
«  da  vicino,  come  tu  fai,  i  pregiudizi  dell'Italia;  mi  fido  della  tua 
«  anima  robusta  che  oserà  dire  la  verità.  La  guerra  ai  pedanti  è 
«  quella  che  si  deve  fare  ora  da  chiunque  ha  cuore  per  i  progressi 
u  delle  lettere  d'Italia  ». 

La  partenza  di  Alessandro  per  Roma  troncò  la  polemica,  ma 
un'altra  sopravvenne  nel  marzo  successivo,  la  quale  mi  sembra  una 
vera  lotta  di  tendenze,  efficacemente  sostenuta  da  entrambe  le  parti. 

Alessandro,  dopo  avere  accennato  che  voleva  mutare  il  prin- 
cipio troppo  risonante  di  uno  dei  suoi  capitoli,  aggiungeva:  «  lo 
«  vorrei  una  misurata  filosofia  anche  contro  gli  errori  e  vorrei  che 
«  la  sua  forza  stesse  nella  verità  e  non  nell'entusiasmo.  Lo  stile 
«  di  Hume  per  questo  mi  piace  assai.  Ha  detto  e  provato  più  lui 
«  colla  sua  tranquilla  profondità  che  non  tutti  insieme  i  filosofi 
«  francesi,  se  ne  eccettuiamo  Voltaire,  tremendo  fulmine  delle  opi- 
u  nioni.  Hume,  dubitando  sempre  delle  forze  della  umana  ragione. 


102  EMANUELE    GREPPI 

u  accrebbe  i  di  lei  diritti  e,  degradandola  in  apparenza,  la  esalta 
«  in  sostanza.  Segue  passo  a  passo  il  vero  e  leva  le  penne  ad  una 
«  ad  una  senza  scorticare  la  pelle.  La  sua  modestia  incanta  e  con 
«  questo  vantaggio  dispone  ad  ascoltarlo,  ed  avendo  detto  tutto  il 
«  dicibile,  non  ha  fatto  strepito  come  gli  altri  ed  ha  fatto  più  se- 
u  guaci;  ma  il  tuono  fastoso,  intollerante,  audace  di  alcuni  suoi 
«  colleghi  ha  sdegnato  infinitamente  ". 

Pietro  per  contro  rispondeva:  «  E  molto  interessante  il  quesito 
«  che  mi  fai  nella  cara  tua  del  5.  Tu  sei  assai  inglese  e  non  puoi 
«  soffrire  l'entusiasmo  dei  francesi.  Sono  anch'io  con  te.  Però  con- 
ti  viene  confessare  che  i  gradassi  della  filosofia  hanno  fatto  forse 
«  più  bene  alla  società  vivente  che  i  filosofi  modesti.  Vi  voleva 
«  chi  riscuotesse  la  moltitudine  con  una  sorta  di  arditissimo  tuono 
«  di  ispirazione;  bisognava  dare  moltissima  importanza  alle  lettere; 
«  vi  voleva  impostura  molta  e  calore  per  risvegliarci.  Beyle,  paci- 
u  fico  e  modesto,  ha  fatto  alcuni  seguaci;  gli  enciclopedisti  hanno 
«  con  molta  ciarlataneria  posto  la  filosofia  in  un  aspetto  più  ve- 
ii  nerando  e  luminoso  al  guardo  non  tuo,  ne  mio,  ma  del  pubblico. 
«  La  filosofia  in  loro  mano  ha  chiamato  altamente  al  suo  tribunale 
«  i  sovrani,  i  ministri,  i  generali  e  tutto  quanto  il  volgo  ha  sempre 
«  rispettato;  alla  voce  imperiosa  di  coloro  sono  corsi  i  sovrani  a 
«  cercare  la  loro  amicizia,  l'opinione  loro;  e  forse  alla  sola  impo- 
rt stura  si  devono  i  tributi  che  nella  Svezia,  nel  Brandeburgo, 
«  nella  Lorrena  e  nella  Russia,  i  monarchi  hanno  offerto  alla  fi- 
«  losofia  ». 

La  discussione,  per  quanto  andasse  dilatandosi  in  teorie  ge- 
nerali, aveva  avuto  in  questo  caso,  come  lo  ebbe  in  altri,  per  punto 
di  partenza  e  per  punto  di  mira  il  valore  della  Storia  d'ItaUa  e 
l'opportunità  di  pubblicarla;  ma  gli  eccitamenti  del  fratello,  sebbene 
molte  volte  ripetuti,  a  nulla  dovevano  valere. 

Grande  influenza  ebbero  sull'animo  di  Alessandro  le  osserva- 
zioni del  padre  Jacquier  che  con  lui  legossi  in  Roma  di  strettissima 
amicizia.  Non  sembra  che  questo  padre  lo  prendesse  di  fronte  per 
le  sue  opinioni  contrarie  alla  autorità  temporale  della  Chiesa,  non 
sembra  anzi  nemmeno  che  di  queste  opinioni  egli  molto  si  offen- 
desse, poiché  le  sue  cordiali  relazioni  cogli  enciclopedisti  non  ce 
lo  fanno  ritenere  uomo  rigido  e  scrupoloso,  ma  deve  piuttosto, 
analizzando  punto  per  punto  ogni  passo  della  Storia,  aver  convinto 
l'autore  di  molte  affermazioni  inesatte.  Lo  stesso  Pietro  d'altronde 


I 


UN  OPERA  INEDITA    DI    ALESSAN:)RO    VERRI,    ECC.  IO3 

quando  si  pose  a  studiare  la  storia  di  Milano,  scriveva  al  fratello 
che  aveva  notato  molti  difetti  nella  narrazione  e  nell'apprezzamento 
dei  fatti  relativi  alla  prima  lega  lombarda. 

Per  tali  ragioni  Alessandro  andava  sempre  più  dubitando  del 
valore  della  sua  Storia,  sebben  in  lui  rimanesse  il  vago  proposito, 
non  contradetto  nemmeno  dalla  postilla,  di  rifondere  l'opera  in 
modo  che  corrispondesse  ai  maggiori  studi  e  alle  convinzioni  del- 
l'autore parzialmente  mutate.  Ma  ad  allontanarne  il  pensiero  con- 
tribuirono le  Rivoluzioni  d' Italia  del  Denina,  poiché  parve  ad  Ales- 
sandro che  con  questo  Ubro  la  nostra  storia  si  fosse  affermata  su 
ragionevoli  basi  senza  bisogno  del  suo  concorso. 

Il  fratello  tentò  inutilmente  di  combattere  tale  obbiezione  con 
una  lettera  del  9  luglio  1777,  ove  scrive:  «  Egli  è  certo  che,  se  la 
«  stampa  di  Livorno  continuava,  dieci  anni  sarebbero  passati  dacché 
a  sarebbe  pubblico  il  tuo  eccellente  Saggio  sulla  Storia  e  godresti 
«  la  fama  corispondente.  11  Denina  e  il  Tiraboschi  sarebbero  stati 
u  prevenuti  da  te;  ma  le  loro  fatiche  possono  rivolgersi  in  tua  uti- 
«  lità,  perchè  chi  ti  distoglie  dal  ripassare  agiatamente  il  tuo  ma- 
«  noscritto?  Mi  pare  anzi  che  faresti  assai  bene  a  tenerlo  sempre 
«  di  vista,  e  i  bei  pensieri,  le  riflessioni  politiche,  le  erudizioni  in- 
«  teressanti  che  vai  radunando  di  mano  in  mano  le  potresti  incas- 
«  sare  in  quell'opera.  Un  lavo]  o  di  quella  indole  dà  luogo,  in  un 
«  posto  o  nell'altro,  di  poter  dir  tutto  opportunamente  e  il  fondo 
«  della  cosa  é  tanto  bello  che  merita  la  tua  cura  ». 

Finalmente  due  bellissime  lettere  del  1779  rappresentano  forse 
l'ultimo  tentativo  di  Pietro  a  difesa  di  quella  Storia  da  cui  il  fra- 
tello andava  sempre  più  alienandosi.  Nella  prima,  in  data  23  otto- 
bre, dopo  avergli  dato  conto  dei  lavori  già  molto  progrediti  per  la 
Storia  di  Milano,  aggiunge:  «  Vedrai  però  che  in  nulla  il  mio  la- 
u  voro  pregiudica  alla  tua  Storia;  io  lavoro  un  ritratto  e  tu  hai  fatto 
«  un  quadro  di  molte  figure  istoriate;  il  mio  pregio  sarà  la  verità 
«  della  somiglianza,  in  te  il  merito  principale  consiste  nella  somma 
«  varietà  di  fisonomie  tutte  vere,  nella  abbondanza  delle  cose  col- 
«  locate  nel  loro  lume,  nella  industria  ingegnosa  di  dare  vaste  idee 
«  con  un  rapido  cenno  e  nella  rapidità  colla  quale  l'occhio  trascorre 
«  su  tante  interessanti  e  variate  cose.  11  tuo  libro  é  destinato  a  ri- 
»  flettere  sugli  avvenimenti  piuttostochè  a  raccontarli  ed  é  una  le- 
«  zione  di  filosofia  estratta  dagli  esempii  piuttostochè  una  istru- 
«  zione  storica;  il    mio    ha    per  principale  oggetto  di  informare  il 


104 


EMANUELE    GREPPI 


u  lettore  su  quanto  ha  la  nostra  storia  di  interessante  e  le  rifles- 
«  sioni  non  sempre  le  faccio,  lasciando,  per  buoni  riguardi,  per  lo 
M  più  al  lettore  di  ragionare  da  sé  w. 

La  seconda  di  queste  lettere,  in  data  del  24  novembre,  prende 
le  difese  dello  stile  della  Storia  d'Italia  contro  il  parere  di  Ales- 
sandro che  lo  definiva  «  bastardo,  metà  Tacito  e  metà  Voltaire  ». 
«  Io  non  ti  contrasterò  che  lo  stile  della  tua  Storia,  allora  che 
«  la  scrivesti,  non  era  formato  ;  vi  si  vedeva  la  imitazione  di  Ta- 
«  cito,  vi  erano  molti  francesismi,  ma  ne  quelle  punte  si  potevano 
«  rintuzzare  senza  togliere  dei  tratti  non  comuni  di  spirito,  ne 
«  quella  difettosa  imitazione  e  disuguaglianza  di  stile  era  correg- 
u  gibile  se  non  colla  intiera  rifusione.  Se  quell'opera  fosse  stata 
«  scritta  per  ottenere  il  vanto  di  uno  stile  formato  all'età  di  ven- 
«  tiquattro  anni,  quanti  ne  avevi  allora,  non  era  possibile  di  riu- 
«  scirvi,  ma  quante  bellezze  di  sentimenti,  di  idee,  di  principii  di 
«legislazione  e  di  morale,  quante  giudiziose  e  nuove  combinazioni 
«  in  una  storia  già  tanto  dibattuta  non  troverai  tu  stesso  in  quel- 
«  l'aureo  libro  di  cui  nessuno  simile  ha  sinora  prodotto  l'Italia  per 
«  la  nostra  storia!  Onde,  convinto  del  tuo  torto,  io  ti  condanno  a  non 
«  dirmi  più  male  della  tua  Storia,  sinché  non  mi  nomini  un  libro 
«  italiano  su  cui  con  maggior  piacere  e  profitto  io  possa  leggere 
«  tutte  le  varie  vicende  di  questo  stivale,  dandomi  una  migliore 
«  idea  dei  costumi,  delle  arti,  delle  scienze  e  della  felicità  nei  di- 
«  versi  secoli,  di  quello  che  tu  hai  fatto  ». 

Malgrado  questi  scongiuri  la  Storia  rimase  inedita  e  l'ultimo 
saluto  di  Pietro  trovasi  al  capo  secondo  della  Storia  di  Milano, 
dove,  avvertendo  che  la  storia  particolare  della  città  doveva  scin- 
dersi dalla  storia  d'Italia,  aggiunge:  «  Questo  argomento  più  vasto 
u  e  generale  è  stato  trattato  prima  del  1766  da  un  uomo  che  nel 
«  fiore  della  gioventù  ha  posposto  i  piaceri,  che  le  grazie  della 
u  persona  e  dello  spirito  potevano  cagionargli,  ai  meno  volgari 
«  piaceri  di  illuminare  i  suoi  simili  e  di  lasciare  una  non  volgare 
«  memoria  alla  posterità.  Alcune  circostanze  hanno  consigliato  il 
«  difi"erire  di  render  pubblico  quel  lavoro  di  erudizione,  di  fatica 
«  e  d'ingegno  non  comune.  I  lettori  un  giorno  giudicheranno  se 
«  quel  compendio  della  storia  d'Italia  sia  stato  annunciato  da  me 
w  con  parzialità  e  se  fautore  che  li  ha  fatti  piangere  colla  Panica, 
u  li  ha  fatti  fremere  colla  congiura  di  Galeazzo  Sforza,  li  ha  oc- 
«  cupati  colla  placida  e  sensibile  narrazione  di  Saffo,  abbia  saputo 


un'opera  inedita  di  alessandr)  verri,  ecc.  105 

u  dipingere  al  vivo  il  carattere  dei  secoli,  lo   stato  della  felicità  e 
«  della  coltura  degli  italiani  da  Romolo  sino  a  noi  »». 

Questo  Archivio  non  è  sede  opportuna  per  la  integrale  pub- 
blicazione della  Storia,  ma  lo  è,  parmi,  per  la  riproduzione  della 
prefazione,  la  quale,  insieme  a  questi  cenni  preliminari,  e  ad  un 
riassunto  dei  principali  argomenti  svolti  nei  successivi  trentasei 
capitoli  e  nella  conclusione,  varrà  intanto  a  fornire  qualche  mag- 
giore notizia  intorno  alle  attitudini  storiche,  ai  metodi,  ai  giudizi, 
alle  aspirazioni  di  uno  scrittore  milanese,  oggi  ancora  meritamente 
stimato  pel  suo  personale  valore  e  per  la  comunanza  con  altri  uo- 
mini illustri  che  fecero  di  Milano  uno  dei  focolari  del  pensiero 
moderno. 


IL 

Prefazione  al  Saggio  della  Storia  d'Italia. 

Mio  scopo  è  stato  scrivendo  questo  saggio  di  svellere  dalle 
mani  di  pochi  eruditi  la  storia  nostra  per  diffonderla  nei  nostri 
leggitori.  Perciò  ho  temuto  di  fare  un  grosso  libro  ed  ho  diretto 
le  mie  fatiche  a  scegliere,  a  restringere,  come  altri  a  compilare  ed 
ammucchiare. 

Non  si  aspetti  il  lettore  descrizioni  di  guerre,  non  discussioni 
erudite,  non  genealogie  di  principi.  Forse  è  più  facile  il  compilare 
queste  cose  che  il  leggerle. 

Nella  storia  come  nella  poesia  furono  gli  uomini  più  coraggiosi 
che  in  qualunque  altro  genere  di  letteratura.  Ogni  nazione,  per 
poco  colta  che  sia,  ha  una  vasta  biblioteca  di  cronisti:  eppur  pochi 
sono  coloro  che  li  conoscono.  Non  condanniamo  questa  ignoranza. 
Rare  sono  le  opere  di  tal  genere  che  si  meritarono  la  pazienza 
dei  lettori. 
^  Quanto  a  me' non  ho  misurato  il  mio  stile  colla  benignità,  ma 

-'i     col  piacere  dei  leggenti  ;  perciò  non  la  imploro,  ma  ho  cercato  di 

meritarla. 

mm:         Che  mi  offre  alla  mente  quello  sterminato  mucchio  di  follie  e 

^  di  atrocità,  di  vizii  e  di  virtù  che  formano    gli    annali  del   genere 

umano?  Una  confusa  ed  immensa  folla  di  vicende  :    chi  può    tutte 

descriverle  o  chi  lo  deve?    Conviene    pur    dunque    ridurre   questa 


k 


I06  EMANUELE    GREPPI 

gran  materia  in  poco,  e,  misurando  la  brevità  della  vita  e  la  mol- 
tiplicità  delle  cognizioni,  non  pretendere  che  gli  uomini  consacrino 
tutto  sé  stessi  per  sapere  che  fecero  i  loro  antenati;  onde  è  ne- 
cessario non  ignorare  quanto  di  più  utile  e  degno  a  sapersi  giace 
involto  nelle  infinite  memorie  che  ci  sono  tramandate.  Deplori 
l'erudito  il  saccheggio  che  noi  faremo  della  storia,  sfiorandone  il 
sommo  sugo  e  lasciando  nella  oscurità  il  molto  che  ci  par  degno 
di  rimanervi.  Noi  cerchiamo  di  costruire,  di  far  pensare.  Ciò  che 
non  ottiene  questo  fine  ci  è  sembrato  inutile. 

Non  è  che  la  storia  non  possa  scriversi  con  dettaglio.  Non 
sono  mai  bastevolmente  copiose  quelle  degli  scrittori  contemporanei 
e  le  vaste  raccolte.  Le  prime  assicurano  ai  posteri  la  conoscenza 
dei  fatti  e,  se  sono  anco  scritte  con  inutile  abbondanza,  egli  è  questo 
sempre  un  piccolo  male  in  paragone  della  irreparabile  sterilità. 
Quanto  poi  alle  vaste  raccolte  esse  sono  grandi  magazzini,  il  di 
cui  pregio  è  d'esser  tale  che  ogni  sorta  di  letterati  vi  ritrovi  merce 
opportuna  ai  suoi  lavori.  La  sola  possibilità  che  a  qualche  cosa 
servir  possa  una  notizia  basta  per  inscriverla.  Debbono  essere  ster- 
minati depositi  della  memoria  umana. 

Ma  conviene  distinguere  questi  due  generi  di  storia  da  quello 
di  chi  intraprende  la  pittura  di  molti  secoli.  Il  minuto  dettaglio  e 
la  vastità  della  erudizione  sono  in  tal  cosa  fuor  di  luogo.  Sono 
condannati  gli  uomini  a  sempre  ignorare  la  storia  se  ella  ha  da 
esser  sempre  copiosissima.  Conviene  distinguere  l'erudito  dallo 
storico.  Quello  prepara  i  materiali  ed  i  colori,  questo  fabbrica  e 
dipinge;  egli  è  come  il  punto  d'appoggio  fra  il  comune  degli  uo- 
mini e  gli  eruditi.  Presenta  ai  leggitori  il  risultato  di  studi  immensi. 

Non  farò  gli  elogi  della  nostra  storia.  Essa  è  la  più  antica  di 
Europa,  se  ne  eccettuate  la  greca.  Prima  ci  presenta  una  nazione 
che  aveva  resi  soggetti  ed  ammiratori  tutti  i  popoli  che  ella  co- 
nobbe, il  di  cui  governo,  milizia,  leggi,  scrittori,  eroi  sono  tuttora 
la  nostra  maravigUa  ed  istruzione.  Roma,  che  era  stata  signora 
delle  genti  colla  forza,  lo  divenne  colla  religione.  T£,  come  il  senato 
romano  dava  e  toglieva  i  regni  ed  i  trionfatori,  consoli  e  dittatori, 
conducevano  cattivi  i  re  al  Campidoglio,  così  i  pontefici  reggevano 
l'Europa  colla  non  meno  possente  forza  della  veneranda  opinione. 
Diedero,  tolsero  scettri  e  corone,  videro  supplici  ai  loro  piedi  i  re, 
viderli  vassalli  e  tributarli,  unirono  armate  colle  Crociate,  le  scon- 
fissero cogli  interdetti. 


UN   OPERA    INEDITA    DI    ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  IO7 

Non  sono  opere  leggiere  i  compendii.  È  facile  il  compilar  la 
storia  con  tutto  quello  che  si  sa,  non  mai  rinunciando  alla  propria 
vanità  in  favore  dei  lettori,  ai  quali  vogliamo  imprimere  alta  idea 
di  nostra  erudizione  coll'opprimerli  di  mille  discussioni.  Più  illu- 
minato è  l'amor  proprio,  più  utile  è  l'opera  di  ridurre  in  sugo  la 
vasta  e  diradata  materia  storica,  di  chi  cerca  sempre  di  nascondere 
la  fatica  piuttosto  che  di  palesarla,  di  chi  sparge  il  suo  stile  di  ri- 
flessiva, semplice,  facile  narrazione  e  presenta  in  poco  l'estratto 
di  lunghi  e  faticosi  studii.  Egli  otterrà  di  essere  letto,  egli  renderà 
universali  quelle  notizie  che  stanno  sepolte  in  volumi  immensi, 
ispidi  per  molta  pedanteria.  Non  vi  è  altro  mezzo  di  render  comune 
la  storia. 

Non  mancò  chi  si  lagnasse  che  tal  sorta  di  opere  abbia  fatto 
perire  le  grandi.  Si  incolpa  Giustino  di  aver  fatto  perire  Trogo 
Pompeo,  ma  fortunato  quel  compendiatore  che  faccia  cadere  nel- 
l'oblio le  opere  voluminose!  Bisogna  che  le  abbia  rese  inutili.  Non 
avrà  perduto  molto  la  filosofia  riducendo  un  grosso  libro  in  un 
piccolo. 

In  questo  genere  di  letteratura  tutto  dipende  dalla  buona  scelta 
e  dal  non  sostituire  la  nostra  persona  a  quella  del  lettore,  ma  bensì 
porre  noi  al  suo  luogo. 

A  forza  di  abituazione  negli  studii  si  acquista  per  essi  un  grado 
di  stima,  si  dà  loro  una  importanza  che  il  lettore  non  conosce.  Da 
qui  ne  viene  che  poco  giudiziosamente  attribuendo  altrui  le  nostre 
passioni  crediamo  che  i  lettori  debbansi  compiacere  di  alcune  mi- 
nute discussioni  e  di  alcune  notizie,  le  quali  noi  amiamo  assais- 
simo, come  in  ogni  arte  avvenir  suole  che  ella  sia  stimata  all'ec- 
cesso dai  suoi  professori.  Ciascuno  si  ferma  volontieri  e  siede 
agiatamente  a  discorrere  del  proprio  mestiere;  ciascuno  è  chiac- 
chierone nell'arte  sua.  Anche  lo  storico  ha  questo  difetto  se  non  è 
cauto  ad  evitarlo.  La  difficoltà  è  grande.  Per  intraprendere  e  con- 
durre a  fine  un'opera  faticosa  vi  vuol  molta  passione  e  per  iscri- 
verla non  ve  ne  vuol  tanta.  Vi  sono  dei  gravi  trattatisti  sul  modo 
di  fare  il  caffè  e  le  perrucche;  i  loro  autori  non  vedevano  che  per- 
rucche  e  caffè.  Ciò  può  avvenire  in  ogni  altra  materia.  Io  non  so 
se  mi  sia  riuscito  di  sfuggire  questi  difetti,  ben  so  che  ho  procurato 
di  farlo.  Ho  sempre  avuto  fretta  di  correre  il  mio  cammino,  ho  ri- 
spettata la  impazienza  degli  uomini,  ho  cercato  di  istruire  in  buona 
fede,  non  mi  sono  proposto  di  rendere  il  mio  lettore  un  profondo 


I08  J^MANUELE    GREPPI 

erudito,  ma  un  uomo  colto.  Come  chi  deve  fare  un  lungo  viaggio 
con  un  compagno,  cui  voglia  mostrar  le  vedute,  le  campagne,  i 
villaggi  laterali  al  cammino,  dimostra  in  breve  ciò  che  è  degno  di 
attenzione  e  prosegue  la  sua  strada  senza  fermarsi  sui  due  piedi 
ad  ogni  momento  ed  opprimere  il  suo  compagno  lettore  con  lunghe 
disquisizioni  e  con  minute  osservazioni  su  tutti  gli  alberi,  le  vedute, 
i  rottami  e  le  capanne,  coll'immancabil  successo  di  render  lunga 
e  faticosa  la  via,  annojato,  non  istrutto,  il  socio  suo. 

Mi  sono  guardato  parimenti  da  un  altro  difetto  che  egualmente 
nasce  da  una  lunga  dimora  in  un  solo  genere  di  studii.  Non  vi  è, 
per  avventura,  nella  storia  uno  stile  più  sconciamente  falso  che  il 
poetico,  quando  dipingere  vogliamo  le  azioni  ed  i  fatti  come  se  vi 
fossimo  presenti.  L'immaginazione  arriva  a  trasportare  l'erudito  in 
Atene  ed  in  Roma  e  quasi  a  sognare  di  esservi  propriamente. 
Quindi  si  descrivono  le  battaglie  con  calore  da  cui  sembra  che  lo 
storico  stesso  vi  stia  combattendo  ;  quindi  non  mancano  le  esatte 
descrizioni  delle  passioni,  i  sospiri,  il  pianto,  l'ira,  il  valore,  la 
compassione  si  dipingono  su  volti  da  noi  più  secoli  distanti,  si 
entra  con  mirabil  coraggio  nei  pensieri  dei  principi  e  si  annullano 
gli  invalicabili  anni  che  stanno  di  mezzo  fra  lo  storico  ed  i  fatti. 
Questa  è  una  falsa  vivacità  di  stile. 

Essa  non  disconviene  ai  contemporanei:  ma  nei  posteri  deve 
comprendersi  una  esatta  e  cauta  discussione  del  vero  e  trasparir 
dee  sempre  in'  loro,  per  mio  avviso,  un  timido  spirito  di  dubita- 
zione che  escluda  ogni  sospetto  di  romanzesco  arbitrio. 

Bisogna  conciliarsi  fede  e  benevolenza  nei  leggitori. 

Bisogna  perciò  che  essi  vedano  nello  scrittore  un  amico  che, 
seco  loro  favellando,  cerca  il  vero  per  quelle  poche  e  scabrose  vie 
che  rimangono  dopo  molti  secoli  di  menzogne.  Egli  è  incredibile 
quanto  indisponga  gli  animi,  in  ogni  genere,  lo  stile  magistrale. 
Sembra  che  ci  rimproveri  ad  ogni  momento  la  ignoranza  del  leg- 
gitore, il  quale  si  offende,  diventa  nemico,  ostilmente  va  in  traccia 
dei  difetti  dell'opera,  non  ne  cura  le  bellezze:  l'amor  proprio  è  un 
giudice  inesorabile. 

Bisogna  ancora  guardarsi  nella  storia  dalla  voglia  di  sistemiz- 
zare.  Per  poco  che  si  abbia  di  ingegno  se  ne  può  in  tal  guisa  abu- 
sare. Si  scoprono  delle  relazioni  tra  fatti  e  fatti,  tutto  si  vuol  ri- 
durre ad  un  fattizio  sistema  della  mente,  si  alzano  dei  vasti  edifizii 
su  due  dita  di  terreno,  vi  sono,  per  così  dire,  i  suoi  Descartes  anche 


\ 


un'opera   inedita    di    ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  IO9 

nella  storia,  vi  sono  i  microscopisti  che  vedono  colla  immaginazione, 
e  non  cogli  occhi.  Non  cadono  in  questi  difetti  gli  uomini  medio- 
cri e  freddi;  i  grandi  e  fervidi  ingegni  hanno  questo  felice  incon- 
veniente, padre  di  illustri  ed  ammirabili  delirii.  Ma,  più  si  conosce 
la  storia,  più  comprendonsi  le  cagioni  degli  avvenimenti,  più  la 
mente  ne  abbraccia  una  gran  massa,  più  ancora  ella  è  cauta  nel 
formar  sistemi.  Chi  vede  pochi  fatti,  e  sceglie  quelli  che  siano  con- 
formi alle  sue  idee,  può  facilmente  sistemizzare;  chi  ha  viste  più 
lontane  vede  come  possano  formarsi  questi  sistemi,  ma  anche  come 
distruggersi. 

Ben  di  rado  la  fortuna  delle  vicende  presenta  allo  spirito  una 
costanza  di  avvenimenti  la  quale  ci  conduca  ad  una  general  cagione 
di  molti  effetti  produttrice.  Ad  ogni  momento  il  tumultuoso  am- 
masso dei  delirii  e  delle  crudeltà  degli  uomini  tronca  il  filo  allo 
storico  che  aveva  cominciato  ad  entrare  in  questo  labirinto,  ed  ei 
la  ritrova  per  lo  più  composta  di  isolati  e  disgiunti  pezzi  difficil- 
mente costituenti  la  materia,  molto  meno  una  serie  di  conseguenze 
generali.  La  storia  istessa  di  tutto  il  globo  non  porgerebbe  che  di 
rado  questa  materia;  che  sarà  in  quella  di  un  mucchio  di  persone 
abitanti  un  piccol  canto  del  mondo?  Perciò  conviene,  preferendo  il 
timido  vero  agli  splendidi  errori,  limitarsi  per  lo  più  a  qualche  fug- 
gitiva riflessione,  e,  paragonando  fra  di  loro  le  parti  della  storia, 
vederne  piuttosto  le  varietà  che  le  somiglianze;  perchè  quelle  son 
molte  e  poche  queste,  in  quelle  non  ci  seduce  l' imaginazione,  ed 
in  queste  ci  lusinga  il  piacere  di  ridurre  molte  azioni  ad  un  sol 
punto. 

Non  v'è  per  avventura  che  il  popolo  romano  che  nella  nostra 
storia  ci  presenti  un  soggetto  di  concatenate  generali  riflessioni.  È. 
una  nazione  che  passò  a  traverso  di  infinite  vicende  ;  è  una  na- 
zione grande  e  strana  in  tutte  le  sue  cose,  di  una  costante  con- 
dotta in  molte  parti,  ove  ritrovi  vasta  materia  di  ragionare,  perchè 
è  una  massa  di  avvenimenti  l'uno  all'altro  appartenenti  e  parago- 
nabili in  molti  prospetti.  Dopo  di  questi  secoli  più  non  ritrovi  sì 
grande  nazione.  Sono  crudeli  e  pazzi,  poi  imbecilli  imperatori  che 
guidano  una  mandra  di  uomini:  sono  barbari  che  saccheggiano  le 
ruine  di  un  vasto  impero,  che  lo  squarciano,  poi  se  lo  dividono. 
Quindi  sorgono  le  atroci  controversie  fra  i  contraddittorii  diritti 
dell'impero  e  del  sacerdozio,  cui  vanno  dietro  le  fazioni  dal  seno 
delle  quali  rinacque  in  Italia  la  libertà;  libertà  funesta    che  la   di- 


no  EMANUELE    GREPPI 

vise  in  tante  piccole  e  gelose  repubbliche,  perpetue  nemiche  e 
spente  alfine  dall'abuso  di  una  licenziosa  indipendenza.  Successero 
a  lei  i  tiranni,  finche,  vinti  anch'essi  da  maggiori  potenze,  le  sparse  | 
forze  in  queste  si  riunirono  e  cangiate  le  trepide  opinioni  con 
principii  più  conformi  alla  nascente  cultura,  le  grandi  idee  sui 
terreni  diritti  del  sacerdozio  scemaronsi,  e,  decaduta  quella  sola 
grande  potenza  che  a  sé  rivolgeva  lo  sguardo  delle  genti,  divenne 
r Italia  una  provincia  obliata  in  un  canto  di  Europa,  finché  con 
mezzi  meno  funesti  riscosse  T  ammirazione  diventando  la  madre 
delle  belle  arti,  nelle  quali,  un  tempo  maestra,  ora  le  é  serbato  un 
posto  men  glorioso.  Tali  furono  le  vicende  sue:  e  s'elleno  presen- 
tano un  sempre  istruttivo  e  variato  quadro,  non  sono  però,  per  la 
loro  irregolarità  e  tumulto,  il  soggetto  di  un  vasto  e  seguito  si- 
stema. Egli  è  ben  vero  che  la  stranezza  e  varietà  delle  cose  es- 
sendo materia  di  molte  particolari  riflessioni,  esse  divengono  così 
importanti  come  le  generali. 

Vi  è  chi  brama  ritrovare  nella  storia  i  puri  e  succinti  fatti, 
lasciando  ai  lettori  il  merito  di  ragionarvi.  Questo  metodo  é  ottimo, 
quando  si  possano  presentare  i  fatti  così  strettamente  uniti  che, 
per  poco  di  finezza  abbia  il  lettore,  ne  può  dedurre  le  conseguenze. 
È  lo  stesso  il  far  riflessioni  come  il  farle  necessariamente  fare. 
Anzi  la  storica  pedanteria  consiste  in  ciò,  di  far  le  più  triviali  ri- 
flessioni, quelle  che  altro  non  esigono  che  un  mediocre  buon  senso. 
Ma  sono  ben  pochi  i  casi  nei  quali  si  ritrovi  questa  fortunata  com- 
binazione. Troppo  si  stima  colui  il  quale  si  crede  di  poter  fare  su 
di  una  serie  di  vicende  riflessioni  così  esatte  e  vere  quante  ve  ne 
farà  chi  si  é  consacrato  ad  esaminarle  e  conoscerle.  Egli  é  più  in 
istato  da  paragonare  fatti  con  fatti,  di  vedere  la  materia  nella  sua 
estensione;  vi  ha  impiegato  lunghi  studii,  ne  ha  fatto  il  soggetto 
delle  sue  meditazioni.  Debbono  bensì  nascere  spontaneamente  que- 
ste riflessioni;  né  si  veda  nell'autore  la  voglia  e  quasi  il  mestiere 
di  riflettere.  Ei  sia  più  frequente  nel  farle  che  prolisso,  più  rapido 
che  discusso,  più  agiato  che  faticoso  ;  riunisca  al  momento  i  fatti, 
poi  li  abbandoni  e  segua  il  suo  viaggio;  non  mai  esaurisca  la  ma- 
teria; indichi  e  lasci  pensare. 

Non  è  esatto  quel  precetto  che  le  riflessioni  debbano  essere 
fatte  per  la  storia,  ma  la  storia  per  le  riflessioni.  Basta  che  in 
esse  vi  regni  uno  spirito  di  filosofia.  Se  non  formeranno  una  sto- 
ria formeranno  un  buon  libro. 


UN  OPERA    INEDITA    DI    ALESSANDRO    VERRI.    ECC.  Ili 

Non  bisogna  mai  essere  municipale  nella  storia,  non  bisogna 
restringere  la  piccola  mente  in  un  palmo  di  paese.  È  prodigiosa- 
mente modesto  chi  non  brama  di  aver  qualche  voto  dagli  stra- 
nieri. Ogni  serie  di  vicende  è  capace  di  interessare  generalmente 
i  leggitori,  se  sia  dettata  dal  condimento  di  ogni  cosa,  cioè  dallo 
spirito  di  filosofia.  11  filosofo  rende  importante  tutto  ciò  che  passa 
fra  le  sue  mani:  non  v'è  cronaca  di  un  villaggio  che  egli  non  sa- 
pesse render  più  grande  che  non  quella  dei  più  vasti  regni  scritta 
da  raccontatori  di  battaglie,  di  leghe  e  di  paci,  di  matrimonii  e 
successioni  di  principi. 

Debbo  i  miei  omaggi  alla  illustre  memoria  del  signor  Mura- 
tori. Quel  gran  letterato  ha  tanto  scritto  sulle  cose  nostre  che  ad 
(ogni  momento  bisogna  ricorrere  a  lui.  Egli  è  dappertutto.  Prima 
l  di  lui  sapevamo  poco  della  nostra  storia;  dopo  le  gloriose  sue  fa- 
tiche non  abbiamo  da  invidiare  nessuna  nazione.  Non  mi  si  op- 
ponga di  essere  il  suo  compendiatore.  Egli  comincia  da  Augusto, 
io  da  Romolo;  e  spero  svanirà  tal  sospetto  anche  di  quei  secoli 
dei  quali  egli  scrisse,  confrontando  questo  mio  opuscolo  colle  va- 
ste opere  sue.  I  suoi  gran  lumi  mi  hanno  dato  il  filo,  ma,  quando 
l'ebbi  fra  le  mani,  camminai  da  me  stesso. 

11  metodo  che  scelse  quel  rispettabile  uomo  non  mi  sembra  il 
migliore,  quantunque  il  più  comune:  intendo  il  dividere  la  storia  in 
annali.  Ella  così  tutta  si  sfracella:  la  catena  degli  avvenimenti  si 
frange  ad  ogni  passo.  La  divisione  non  è  mai  arbitraria,  molto 
meno  può  essere  così  regolare  nelle  vicende  umane.  Ella  nasce  dai 
fatti  stessi,  essi  determinano  i  confini  del  racconto,  non  già  i  do- 
dici segni  del  zodiaco. 

Da  qui  ne  viene  che  la  storia  diventa  una  gazzetta,  e  come 
l'Ariosto,  si  troncano  a  mezzo  tutti  i  racconti.  Si  lascia  Rinaldo  per 
parlare  di  Angelica.  Questo  inconveniente  si  vede  negli  annali  del 
signor  Muratori  e  vi  sarà  in  ogni  opera  di  tal  genere.  Tal  metodo 
rende  ancora  difficile  l' intelligenza  dei  fatti,  e  reca  alla  memoria 
una  confusa  serie  di  avvenimenti  che  più  si  sminuzzano,  più  si 
involgono  e  si  confondono. 

Ho  creduto  necessario  il  citare  gli  autori,  non  tanto  perchè  mi 
si  credesse,  quanto  perchè  li  ho  risguardati  come  una  interessante 
parte  della  storia.  Importa  sapere  chi  di  mano  in  mano  la  scrisse. 
Questa  filologia  costa  nessuna  fatica  ed  è  di  molta  istruzione.  Per- 
ciò io  non  credo  da  seguirsi  il  metodo  degli  antichi,  grandi  nemici 


112  EMANUELE    GREPPI 

delle  citazioni.  Forse  alcuni  le  temono  perchè  danno  in  mano  al 
lettore  il  filo  per  mettere  a  prova  la  fedeltà  ed  esattezza  del  rac- 
conto; ma  bisogna  fare  in  guisa  di  non  avere  di  questi  timori.  Non 
sono  però  stato  così  scrupoloso  di  citare  ad  ogni  parola.  L'ho  fatto 
quando  mi  parve  necessario. 

Chieggo  per  fine  di  esser  giudicato  con  quella  imparzialità  con 
cui  ho  scritto.  Non  esigo  altro  sentimento  nel  lettore  che  questo: 
ho  desiderato  di  scrivere  in  modo  che  ei  solo  mi  bastasse. 


III. 

«  Non  sono  leggieri  i  compendii....  utile  è  l'opera  di  chi  cerca 
«  ridurre  in  sugo  la  vasta  e  diradata  materia  storica....  di  chi 
«  sparge  il  suo  stile  di  riflessiva,  semplice,  facile  narrazione  e  pre- 
u  senta  in  poco  1'  estratto  di  lunghi  e  faticosi  studii.  Egli  otterrà 
«  di  esser  letto,  egli  renderà  universali  quelle  notizie  che  stanno 
«  sepolte  in  volumi  immensi,  ispidi  per  molta  pedanteria....  Non 
«  v'è  altro  mezzo  per  render  comune  la  storia  w. 

Questo  problema  non  ha  perduto  interesse.  Anche  oggi  si  vor- 
rebbe profittar  meglio  del  grande  materiale  di  erudizione  e  di  cu- 
riosità che  va  accumulandosi  per  merito  di  molti  studiosi,  ma  an- 
che oggi  si  è  più  fortunati  nell'  opera  di  produzione  di  un  nuovo 
materiale  storico  e  critico  che  in  quella  della  sua  difi"usione  fra 
un  conveniente  numero  di  lettori. 

La  prefazione  espone  a  questo  riguardo  precetti  interessanti; 
ma  poiché  meglio  dei  precetti  valgono  gli  esempii,  né  potendo  of- 
frire qui  l'opera  intera,  procurerò  con  qualche  estratto  e  con  qualche 
commento  di  indicare  in  che  modo  il  Verri  abbia  messi  in  pratica 
i  suoi  stessi  precetti. 

lì  principale  merito  letterario  della  Storia  sua  consiste  dunque  a 
mio  giudizio,  nella  felice  combinazione  di  una  rapida  sintesi  di 
fatti  con  riflessioni  filosofiche  e  con  digressioni  aneddotiche  giudi- 
ziosamente introdotte,  le  quali,  togliendo  la  consueta  aridità  dei 
compendi,  danno  molta  varietà  al  racconto  e  gli  imprimono  spesso 
l'evidenza  e  la  naturalezza  di  speciali  monografie. 

L'  autore,  fedele  alla  promessa  fatta  nella  prefazione,  si  con- 
sidera davvero  come  la  guida  del  lettore  in  un  rapido  viaggio  e 
gli  mostra  un  po'  saltuariamente  quanto  gli    par   degno    di  atten- 


UN  OPERA    INEDITA    DI    ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  II3 

zione  senza  opprimerlo  con  minute  osservazioni;  ma  lo  invita  al- 
tresì ad  esaminare  con  cura  qualche  modesta  particolarità,  quando 
ciò  reputi  opportuno  per  illustrare  ed  imprimere  in  lui  la  figura 
tipica  del  paesaggio. 

«  Il  filosofo  "  ;  scrive  Alessandro  Verri,  e  par  quasi  dica  del 
Taine  ;  «  rende  importante  tutto  ciò  che  passa  per  le  sue  mani  ;  non 
u  v'  è  cronaca  di  un  oscuro  villaggio  che  egli  non  sappia  render 
«  più  grande  che  non  quella  dei  più  vasti  regni  ». 

Così,  per  esempio,  al  capo  ottavo  si  indugia  alquanto  nel  con- 
siderare certi  speciali  artifizii  della  eloquenza  romana^  rappresen- 
tandoci Cajo  Gracco  accompagnato  nelle  concioni  da  un  suonatore 
di  flauto,  che  dà  il  tuono  alla  sua  voce,  e  mostrandoci  in  Cicerone 
uno  scolaro  di  Roselo  il  comico  più  famoso  dei  tempi  suoi. 

Così  al  capo  dodicesimo,  per  renderci  evidenti  gli  eccessi  dei 
cristiani  contro  le  reliquie  del  paganesimo,  trascrive  una  legge  di 
Valentiniano  stigmatizzante  gli  ecclesiastici  che,  «  armati  di  ferro, 
(t  deturpano  i  cadaveri  e  scordati  di  Dio  portano  ai  sacri  altari  le 
a  mani  ancor  lorde  di  ceneri  ». 

Al  dieciassettesimo  ci  descrive  il  conclave  che  elesse  Alessan- 
dro III  e  il  cardinale  Ottaviano  che,  «  perdute  le  sue  speranze, 
«  corse  a  strappare  la  cappa  d'indosso  al  nuovo  papa  e  stava  per 
«  ricoprirsene  egli  stesso,  se  un  senatore  che  era  presente  non 
«  glie  lo  avesse  impedito.  Allora  Ottaviano  si  rivolse  furiosamente 
u  verso  di  un  suo  capellano  gridando  che  gli  desse  la  cappa  rossa 
«  che  aveva  portato,  tanto  era  deciso  di  voler  essere  papa.  Con 
u  somma  fretta  se  la  pose  sulle  spalle,  e,  per  il  grande  affanno 
«  di  vestirsene,  non  trovando  il  cappuccio,  se  la  mise  al  rovescio, 
«  lo  che  mosse  alle  risate.  Fu  perciò  chiamato  dai  suoi  avversari 
«  papa  scelto  a  rovescio  e  papa  smanta-compagno  ». 

Al  decimonono,  ad  indicar  la  ferocia  degli  odii  fra  guelfi  e 
ghibellini,  cita  un  fatto  quasi  domestico  narrato  dal  Fontano:  «  Io 
«  ho  udito,  essendo  fanciullo,  raccontare  con  molte  laigrime  dalla 
u  mia  avola  Leonarda  quanto  fossero  grandi  gli  odii  che  certe  fa- 
«  raiglie  esercitavano  fra  di  esse.  Fu  preso  un  tale  della  fazione 
^  u  contraria,  fu  tagliato  a  pezzi;  gli  fu  strappato  il  fegato  e  fu  dai 
«  capi  di  quella  fazione  arrostito  nelle  bragie  e  carboni  accesi. 
«  Poi  fu  tagliato  in  bocconi  minutamente  e  si  distribuì  per  cola- 
«  zione  ai  cognati  a  tal  pasto  invitati  ». 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  V.  8 


114  EMANUELE    GREPPI 

Al  ventesimo  secondo  trascrive  dal  commento  a  Dante  di  Ben- 
venuto da  Imola  il  racconto  di  quanto  capitò  al  Boccaccio  in  Mon- 
tecassino,  per  farci  conoscere  come  gli  studi  fossero  nel  Trecento 
trascurati  anche  nei  conventi  più  celebri. 

Più  avanti  dedica  dieci  pagine  a  piacevoli  estratti  delle  pre- 
diche di  frate  Domenico  Gabriele  da  Barletta,  come  in  precedenza 
altre  dieci  sono  riempite  da  curiose  citazioni  a  spese  di  Bartolo  e 
di  Accurzio,  celebri  giureconsulti;  e  finalmente  un  intero  capitolo 
di  venti  pagine  tratta  del  pubblico  atto  di  fede  seguito  in  Palermo 
nel  1724  che  descrive  colle  minuzie  di  un  corrispondente  di  gior- 
nale, ricopiando  interi  brani  della  relazione  del  dottor  Antonio 
Mongitore  consultore  del  santo  uffizio. 

A  questi  innesti  egli  teneva  in  modo  speciale  e  li  difendeva 
con  calore  contro  chi  ne  contestava  la  opportunità. 

a  Non  gli  piace  parimenti  »  (scrive  al  fratello  a  proposito  dei 
giudizii  dell'abate  Vauxelles)  «  il  capitolo  del  Barletta  e  dice  che 
«  questa  è  roba  buona  per  M.''  de  Saint  Foin  nei  saggi  di  Parigi, 
«  ma  non  per  un'  opera  grave,  quasicchè  la  bizzarria  di  quelle 
ti  prediche  non  fosse  una  pittura  molto  viva  dei  costumi  e  della 
«  letteratura  di  quei  tempi  ». 

Queste  macchiette  episodiche,  ritratte  con  brio  e  giudizio,  do- 
vrebbero risaltare  sullo  sfondo  dei  grandi  avvenimenti  storici;  né 
il  Verri  intese  sottrarsi  a  questo  suo  principale  dovere,  poiché 
infatti  la  Storia  è  tutta  divisa  in  capitoli  dove  si  raccontano  con 
ordine  le  vicende  di  ogni  epoca  in  modo  da  far  vedere  «  tutti  i  se- 
«  coli  alla  medesima  distanza,  onde  i  fatti  di  ciascuno  non  mi  sem- 
«  brassero  o  più  grandi  o  più  piccoli  di  quello  che  essi  sono  "  (i). 

Se  però  la  breve  narrazione  è  per  misura  equamente  distri- 
buita, non  potrei  dire  altrettanto  della  evidenza  e  della  abilità  del 
racconto.  Vi  sono  dei  capitoli,  anche  di  semplice  narrazione,  pro- 
prio bellissimi,  altri  invece  monchi  e  confusi. 

La  insufficienza  della  narrazione  storica,  dal  Verri  riconosciuta 
nella  postilla  e  già  da  lui  anche  prima  addotta  più  volte  come  una 
delle  ragioni  per  non  consentire  la  pubblicazione,  gli  era  stata  su- 
bito fatta  notare  da  parecchi  fra  i  lettori  privilegiati  del  manoscritto. 

Di  fronte  a  queste  critiche  la  sua  opinione  variò  fra  due  estre- 
mi. Da  principio,  affettò  di  proposito  una  eccessiva  noncuranza  dei 

(i)  Capitolo  ultimo,  conclusione. 


UN  OPERA   INEDITA    DI    ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  I  r5 

fatti;  più  tardi  troppo  si  commosse  pei  difetti  della  narrazione;  si 
giudicò  superato  dal  Denina  e  dal  Tiraboschi,  e  non  accettò  il  giusto 
avvertimento  del  fratello  che  gli  diceva  in  vari  modi  potersi  trat- 
tare la  storia,  essendoci  dei  libri  destinati  a  riflettere  sugli  avveni- 
menti, altri  invece  a  raccontarli. 

L'originaria  e  più  completa  giustificazione  del  metodo  da  lui 
seguito  trovasi  in  una  lettera  del  14  aprile  1770:  «  lo  ho  studiato 
«  talvolta  una  settimana  per  scrivere  due  righe  e  mi  sarebbe  stato 
u  molte  altre  volte  più  facile  scrivere  una  facciata  che  una  parola. 
u  Potevo  estendermi,  ma  non  avrei  detto  in  molto  quello  che  ho 
u  detto  in  poco  ;  potevo  fare  del  brodo,  ma    ho  voluto  fare    della 

I;  u  gelatina,  ma  pure  pochi  conoscono  quanto  costa  un  compendio, 
^  u  e  per  soddisfare  il  volgare  delle  persone  bisognerebbe  stendersi 
;  «  assai  e  riferire  le  diverse  opinioni  sui  punti  controversi  e  rifon- 
«  dere  nella  narrazione  dei  fatti  tutta  1'  erudizione  su  la  quale  ci 
«  siamo  appoggiati;  ed  io  so  che  ho  scritto  tre  volte  più  di  quanto 
«  ho  composto  e  che  se  avessi  a  fare  una  apologia  di  quanto 
u  avanzo,  caccierei  fuori  una  parata  di  non  comune  erudizione, 
«  dalla  quale  si  vedrebbe  che,  per  dire  una  parola,  ho  esaminato 
«  e  paragonato  gli  autori,  nascondendo  la  fatica  e  dando  al  let- 
'<  tore  solamente  il  risultato  ». 

Tuttavia  se  un  compendio  critico  e  polemico  non  può  e  non 
deve  esaurir  la  materia,  bisogna  pur  riconoscere  che  anche  in  un 
compendio  si  poteva  far  meglio,  tanto  più  che  V  autore  erasi  pre- 
fisso di  scrivere  una  storia  popolare,  la  quale,  insieme  a  riflessioni 
argute  e  profonde,  doveva  presentare  le  notizie  in  modo  chiaro 
ed  abbastanza  completo. 

Probabilmente  quando  egli  scriveva  la  giustificazione  sopra  ri- 
ferita, trovavasi  appunto  in  quel  giusto  punto  di  mezzo  fra  i  due 
estremi,  partendo  dal  quale  avrebbe  potuto  seguir  la  strada  mi- 
gliore; ma  la  storia  era  già  scritta  ed  a  correggerla  la  mano  si  sen- 
tiva impotente,  perchè  narrazione,  riflessioni,  episodi  erano  stati 
fusi  insieme  dal  calore  di  una  eletta  mente  giovanile  ;  cosicché 
scomporne  il  prodotto  cogli  scrupoli,  colla  riflessione,  colla  erudi- 
zione successivamente  acquistate  equivaleva  a  distruggerlo  senza 
rimedio. 

Ritorniamo  dunque  un  momento  con  lui  ai  felici  errori  di  una 
vigorosa  gioventù,  ed  udiamone  le  care  esagerazioni: 

«  La   prima  spedizione  »,  scrive    al  capo  quarto    a   proposito 


Il6  EMANUELE    GREPPI 

delle  guerre  Puniche,  «  fu  in  Sicilia,  in  cui  più  che  le  guerre  (no- 
«  josa  e  funesta  monotonia  negli  annali  di  tutte  le  nazioni)  im- 
u  porta  r  osservare  come  il  console  Valerio  portasse  da  Catania 
«  un  orologio  solare  che  fu  esposto  in  Roma  pubblicamente....  » 
(Intorno  a  questo  fa  una  diligente  discussione). 

Più  diffusamente  al  capo  ventesimosesto:  «  Non  v'è  parte  de- 
u  gli  annali  umani  più  difficile  da  rendersi  istruttiva  che  le  batta- 
u  glie.  Squallida  ed  infruttuosa  materia  di  ragionamento.  La  storia 
«  di  tutte  le  nazioni  è  la  stessa  in  questo  argomento.  La  miseria 
u  degli  uomini  l'ha  reso  così  comune  che  non  è  più  importante.  11 
«  signor  Muratori  ha  riempito  i  suoi  altronde  pregevoli  Annali  di 
«  tutte  le  piccole  guerre  dei  guelfi  e  ghibellini,  tralasciando  la  storia 
«  e  cclesiastica  e  facendo  un'  opera  separata  di  ciò  che  riguarda  i 
«  costumi,  le  arti,  le  lettere,  il  governo  degli  italiani.  Chi  può  di- 
«  pingere  senza  questi  colori?  Come  sarà  storia  degli  uomini 
u  quella  che  non  li  fa  conoscere?  Chi  la  divide  in  civile,  in  ec- 
«  clesiastica,  in  letteraria,  in  filosofica,  fa  uno  scheletro  di  cia- 
u  scuna  ». 

Questa  suddivisione  della  storia,  che  il  Verri  in  massima  giu- 
stamente condanna,  è  però  parzialmente  subita  da  molti  per  la 
estrema  difficoltà  di  ordinare  tante  cose  in  un  tutto  armonico,  e 
il  Verri  stesso  non  sempre  ha  saputo  vincere  tale  difficoltà,  quan- 
tunque vi  ci  sia  provato  molto  valorosamente. 

Finalmente  in  un  periodo  notevole  del  capo  ventesimonono 
scrive:  «  Le  guerre,  gli  errori,  le  fraudi  formano  la  vasta  ed  igno- 
«  mimosa  porzione  delle  memorie  umane.  La  necessaria  connes- 
«  sione  degli  avvenimenti  mi  trattiene  mio  malgrado  in  tale  argo- 
ii  mento  ;  io  lo  abbandono  quando  posso  e  mi  rifugio  alla  storia 
«  delle  pacifiche  arti  dell'  ingegno,  perchè  mi  consoU.  In  lei  sola 
u  veggo  gli  uomini  ». 

Su  per  giù  tutti  i  novatori  hanno  gli  stessi  pregi  e  gli  stessi 
difetti.  Si  infervorano  per  il  perfezionamento  di  qualche  lato  man- 
cante dell'  arte  o  della  scienza  loro,  ma  nel  fervore  dimenticano 
spesso  certe  esigenze  che,  appunto  perchè  venute  prima,  sono  or- 
dinariamente fondamentali. 

A  rendere  poi  meno  spiccati  i  periodi  storici,  quali  siamo  abi- 
tuati ad  impararli  nelle  scuole,  contribuisce  un'  altra  particolarità 
che  non  potrei  chiamare  un  difetto,  ma  una  tendenza. 

I   passaggi  da  un  epoca  all'  altra,  dalla  repubblica   all'  impero 


un'opera   inedita    di    ALESSANDRO    VERRr,    ECC.  117 

romano,  da  questo  alla  dominazione  dei  barbari,  dalle  libertà  co- 
munali alle  signorie,  dalla  indipendenza  d'Italia  alla  oppressione 
straniera,  anziché  essere,  come  ordinariamente  si  usa,  fortemente 
rilevati,  vi  sono  invece  studiatamente  attenuati  in  modo  che  il  pas- 
saggio risulti  quasi  insensibile. 

E  qui  apparisce,  sia  pure  con  qualche  danno  del  lettore  im- 
preparato, il  pensatore  moderno  che  attenua  l'importanza  improv- 
visa dei  più  strepitosi  avvenimenti,  perchè  li  considera  predisposti 
da  fatti  precedenti. 

La  teoria  della  evoluzione,  rivelati  al  Verri  dal  Vico,  spunta 
spiccatamente  in  certi  passi. 

Così  al  capo  decimosettimo,  descritto  il  promettente  risorgi- 
mento civile  e  commerciale  dei  comuni  italiani,  egli  aggiunge:  «  Ma 
u  non  era  tuttora  compiuta  la  misura  di  quelle  serie,  lepide  e  tristi 
«  vicissitudini  per  mezzo  delle  quali  passano  tutte  le  nazioni  per 
u  fare  sempre  il  disastroso  e  lento  viaggio  dalla  barbarie  alla 
«  coltura  ». 

Altra  volta,  trattando  della  nobiltà,  e  avvertita  la  analogia  fra 
il  costume  feudale  di  armar  cavalieri,  la  usanza  germanica  di  pre^ 
sentare  con  solennità  le  armi  ai  giovani  nelle  assemblee  della  na- 
zione, e  il  rito  romano  di  creare  gli  equites,  consegnando  loro  il 
cavallo  e  l'anello  pubblico,  conclude:  «  Le  distinzioni  sono  sem- 
«  pre  in  origine  conformi  alla  utilità  pubblica  ed  alle  idee  che  di 
«  essa  ha  la  nazione.  Gli  onori  sono  distribuiti  dal  bisogno.  Così 
«  quando  si  credettero  uomini  utili  alla  società  quelli  che  in  tempi 
«  di  anarchia  sapevan  le  leggi  ed  avevano  più  chiare  idee  di  giusti- 
«  zia,  i  giureconsulti,  si  usò  di  dar  loro  la  toga  con  certi  esterni 
«  atti  di  onore.  E  per  lo  stesso  principio  che  solennemente  si  fa- 
«  ceva  un  giureconsulto  ed  un  cavaliere.  Credo  che  con  questi 
«  principii  si  possa  trovare  1'  origine  della  nobiltà  in  tutte  le  na- 
«  zioni  e  qual  sia  quella  conforme  ai  veri  vantaggi  di  ciascuna  ». 

In  un  terzo  passo  precorre  in  certo  modo  la  politica  dei  no- 
stri giorni,  aliena  dalle  guerre  ambiziose  in  Europa,  ma  disposta 
ad  affrontare  per  interessi  economici  guerre  più  lontane.  Ivi  :  «  L'in- 
ai dustria  non  andò  esente  dalle  gelosie.  Genova,  Pisa,  Amalfi,  Fi- 
ii  renze  erano  in  continue  dissensioni  per  escludersi  a  vicenda  dalle 
«  negoziazioni  d'Oriente;  ma  son  ben  diverse  le   guerre  della  in- 

«  dustria  da  quelle  della  ambizione Lo  spirito  dei   suoi  abita- 

«  tori  rivolto,  alla   industria,  la    forza    delle  repubbliche  di  molto 


Il8  EMANUELE   GREPPI 

u  accresciuta  con  ben  corredate  marittime  flotte  e  colle  dominanti 
«  ricchezze  sembrava  dover  ricondurre  la  romana  coltura  Senza  la 
u  ferocia  dei  costumi  di  nazione  guerriera.  Era  in  istato  l'Italia  di 
«  soffrire  degli  urti  senza  minare.  11  gran  commercio  ha  molti 
«   scampi.  Egli  ripara  presto  anche  le  perdite  grandi  »».  (Cap.  XVII), 

Altri  ragionamenti  filosofici  del  N.  intorno  alla  storia  meno  si 
staccano  da  concetti  anche  ai  suoi  tempi  abbastanza  diffusi  ;  egli 
espone  però  con  forma  sua  propria  che  dimostra  pur  sempre  ori- 
ginalità di  pensiero. 

La  migliore  delle  sue  sintesi  trovasi  al  principio  del  capo  ven- 
tesimoprimo  come  spiegazione  della  degenerazione  dei  nostri  co- 
muni in  despotiche  signorie:  «  Dal  seno  delle  discordie  nasce  la 
«  libertà.  Ella  s'invecchia,  degenera  nella  anarchia  e  si  incurva  nel 
«  despotismo.  Tali  furono,  tali  saranno  le  vicende  delle  repubbli- 
«  che.  11  popolo  sente  la  tirannia  e  si  rifugia  nella  libertà  con  moti 
u  violenti  e  convulsivi,  ma  se  la  libertà  non  è  fondata  sulla  egua- 
«  glianza  di  fortune,  i  ricchi  sanno  a  poco  a  poco  corroderla,  per- 
«  che  nello  stato  civile  più  vai  l' ingegno  che  la  forza,  come  al- 
«  r  opposto  questa  e  non  quello  diede  gli  imperi  nelle  primitive 
«  unioni  del  genere  umano.  Le  astute  ricchezze  con  lento  ed  oc- 
«  culto  artificio  non  perdono  occasione,  accelerano  talvolta  l'inchi- 
«  namento  ai  disordini  per  rendersi  necessarie,  finche  il  popolo, 
«  stanco  di  sé-  stesso,  chiede  in  beneficio  quel  despotismo  che 
«  odiò  ». 

Cogli  stessi  principi  è  condotto  il  ragionamento  sulla  storia 
romana;  ma  di  questo  ha  già  parlato  con  la  competenza  che  gli  è 
propria  il  professore  Attilio  De  Marchi  in  uno  scritto  inserito  nel 
volume:  Dai  tempi  antichi  ai  tempi  moderni  —  da  Dante  a  Leo- 
pardiy  offerto  da  settanta  insigni  scrittori  per  le  nozze  di  Michele 
Scherillo  e  di  Teresa  Negri,  come  una  specie  di  plebiscito  intellet- 
tuale in  omaggio  allo  sposo  illustre  e  alla  memoria  indimenticabile 
del  padre  della  gentile  sua  sposa. 

Nota  il  De  Marchi  come  la  storia  del  Verri  «  risenta  di  quello 
«  spirito  di  indipendenza  che  in  quei  tempi,  auspice  la  Francia, 
«  pervadeva  tutto  e  faceva  il  giudizio  individuale  forte  e  audace 
«  contro  ogni  tradizione  e  contro  ogni  autorità  »  ;  riconosce  in  lui 
una  mente  acuta  che  pensa  e  vuol  far  pensare,  cita  parecchi  dei 
suoi  giudizi  che  reputa  felicissimi  e  arguti,  e  conchiude  :  «<  Difetti, 
«  insufficienze,  errori,  certo  vi  sono  nella  Storia  romana  di  questo 


un'opera  inedita  di  alessa  ni  ro  verri,  ecc.  119 

«  saggio  inedito  del  Verri,  ma  vi  sono  pure  notevoli  pregi  di  chia- 
«  rezza,  di  sobrietà,  di  senso  critico  e  di  acutezza  filosofica,  e  poi 
u  quello  grande  di  farsi,  leggere  con  piacere  e  con  utilità  anche 
«  dove  si  dissente  dall'autore.  Quando  poi  si  ricordi  l'intento  suo 
«  di  parlare  non  agli  eruditi,  ma  ad  un  più  largo  pubblico....  si 
u  pensa  a  ragione  che  1'  autore  meglio  avrebbe  provveduto  alla 
«  coltura  del  paese  e  forse  al  nome  proprio  con  questo  volume 
«  di  storia  romana,  dove  qua  e  là  pare  lampeggino  dei  bagliori  di 
«  critica  nuova,  che  non  colla  scenografica  rappresentazione  degli 
«  eroi  paludati  e  declamanti  al  sepolcro  de'  Sci  pioni  ». 

I  sentimenti  politici  dell'autore  già  si  rivelano  in  questa  prima 
parte,  ma,  riservandoci  di  osservarli  meglio  nello  sviluppo  della 
storia  moderna,  diremo  ora  soltanto  che,  analogamente  a  molti  altri 
suoi  contemporanei,  professava  in  teorica  la  eccellenza  del  go- 
verno democratico  e  repubblicano,  ma  praticamente  riteneva  «  il 
«  più  dolce  governo  esser  quello  di  un  dispotico,  illuminato  e  vir- 
ii  tuoso  principe  ».  Tutte  le  sue  punte  invece  riservava  contro  gli 
abusi  della  aristocrazia  e  del  sacerdozio,  tantoché  questi  precon- 
cetti alterano  talvolta  anche  la  serenità  dello  storico. 

Più  personale  è  un  suo  giudizio  sulla  instabilità  della  costi- 
tuzione romana,  che  il  De  Marchi  ha  ritenuto  tanto  notevole  da 
riferirlo  per  esteso;  e  nel  quale  non  divide  la  comune  ammira- 
zione per  la  sapienza  delle  leggi  romane.  Infatti  pur  riconoscendo 
che  i<  per  intrinseca  loro  natura  i  liberi  stati  non  giacciono  in 
«  quella  tranquillità  in  cui  dormono  i  regni  despotici,  non  poten- 
"  dovi  essere  letargo  dove  è  libertà  »  ;  continua  dicendo  che  non 
perciò  poteva  indursi  a  credere  fosse  salutare  a  Roma  tanto  con- 
trasto di  potenza  con  potenza.  «  Non  era  »  (prosegue)  «  quell'on- 
«  deggiamento  che  preserva  le  acque  dalla  corruzione,  ella  era  una 
«  furiosa  tempesta  in  cui  tutta  naufragò  la  repubblica  ». 

Questa  ripugnanza  ai  disordini,  alle  agitazioni,  alle  illegalità, 
non  ostante  il  prestigio  del  popolo  e  della  storia  romana,  ci  ri- 
vela già  il  conservatore  avversissimo  alla  rivoluzione  francese  ; 
anche  nel  giovane  baldanzoso,  ribelle  alla  tradizione  e  un  poco  an- 
che alla  autorità,  e  ci  mostra  già  predisposta  la  crepa,  che,  grada- 
tamente allargandosi,  lo  separò  poi  dal  fratello  e  dalle  stesse  con- 
vinzioni che  avevano  ispirato  questa  Storia. 

Colla  caduta  dell'impero  comincia  propriamente  la  storia  d'Ita- 
lia quale  oggi  l'intendiamo,  e  qui  ci  interessa  osservare  come  un 


I20  EMANUELE    GREPPI 

pensatore  distinto  la  considerasse,  senza  scorgere  come  termine 
ultimo  dei  suoi  destini  l'unità  nazionale  che  abbiamo  raggiunto. 

Non  mancava  a  lui  certamente  la  coscienza  di  una  nazionalità 
italiana,  il  sentimento  di  appartenervi  e  un  vivo  affetto  per  la  pa- 
tria; nelle  sue  lettere  e  nei  suoi  scritti  appare  anzi  frequentemente 
il  dolore  di  saperla,  e  in  parte  anche  a  ragione,  poco  stimata  dagli 
stranieri  ;  non  manca  lo  studio  di  sollevarne  le  sorti  né  manca  in 
lui  la  speranza  di  un  vicino  risorgimento. 

Anzi  le  ultime  parole  di  tutta  l'opera  son  queste:  «  Vi  è  un 
«  numeroso  partito  che  si  querela  e  mugge  e  muove  scandali  con- 
«  tro  la  oltremontana  letteratura,  ve  ne  è  un  altro  forse  più  nume- 
«  roso,  ma  non  rumoreggiante,  che  nel  silenzio  e  nella  solitudine 

«   prepara  ai  posteri  piiì  tranquilla  filosofia Alcune  nuove  opere 

«  annunciano  già  1'  avvento  della  vicina  filosofia,  ne  hanno  fatto 
u  risuonare  le  prime  sue  voci  maestose;  se  gli  ululati  si  alzarono 
u  contro  di  esse,  caddero  anche  ben  tosto  nel  discredito.  È  un  fatto 
«  di  molta  considerazione   ". 

Ma  se  ansiosamente  tendeva  al  risorgimento  morale,  econo- 
mico ed  intellettuale  della  nazione,  nulla  accenna  in  lui  al  risorgi- 
mento politico,  quale  noi  l'abbiamo  voluto  e  raggiunto.  I  brevi  passi 
che  si  riferiscono  alle  condizioni  politiche  del  tempo  suo  indicano 
un  certo  quietismo,  che  non  è  certamente  sentimento  di  soddisfa- 
zione, ma  che  in  sé  però  non  racchiude  speranza  e  volontà  di  so- 
stanziali mutamenti. 

A  un  passo  che  trovasi  nella  prefazione,  aggiungeremo  ora  in 
proposito  altri  due  successivi. 

Al  capo  trentesimosecondo,  dove  riassume  le  vicende  e  le  con- 
dizioni d'Italia  verso  la  fine  del  secolo  decimosettimo,  scrive: 
«  L'Italia  non  ci  presenta  più  un  grande  soggetto  di  storia.  Qual- 
«  che  guerra  che,  come  di  rigurgito,  la  inondava  di  tempo  in  tempo 
u  la  toglieva  dalla  oscurità,  poi  vi  ricadeva.  La  potenza  del  seg- 
«  gio  [pontificio]  era  decaduta,  la  maggior  parte  di  questa  penisola, 
«  soggetta  al  dominio  spagnuolo,  era  una  dimenticata  porzione  di 
«  vasti  regni.  Gli  altri  piccoli  principi  che  la  dividevano  temevano 
«  le  rivoluzioni,  non  le  cercavano.  Così  era  steso  sull'Italia  non 
u  so  se  dica  il  letargo  o  la  tranquillità.  La  sola  storia  faceva  ri- 
«  sovvenire  che  ella  aveva  dominato  l'Europa  prima  colle  armi 
«  dei  romani,  poi  colla  religione  •». 

E  parimenti    nella    conclusione:  «  Tutto    il    seguito    di  questa 


UN'oPER\    inedita    di    ALESSANDRO   VERRI,    ECC.  121 

«  Storia  avrà  potuto  insegnare  che  l'Italia  non  ebbe  mai  tempi 
u  più  tranquilli.  Non  è  la  conquistatrice  dei  romani,  non  è  1'  og- 
u  getto  delle  prede  di  cento  nazioni,  non  ha  tributaria  tutta  TEu- 
«  ropa  colla  venerazione  del  Seggio,  non  è  squarciata  dalle  fazioni, 
u  non  divisa  fra  molti  tiranni  feudatarii;  ella  è  quasi  oscura,  non 
u  rumoreggia  di  grandi  sfortune.  Le  rimane  qualche  guerra  pas- 
«  saggiera,  quando  tutta  l'Europa  è  in  armi  e  poi  ritorna  la  tran- 
«  quillità.  Chi  conosce  la  storia  si  contenta  anche  della  sola  assenza 
«  dei  mali.  Chi  paragonerà  il  governo  degli  attuali  principi  con 
«  quello  dei  trapassati,  avrà  di  che  consolarsi  ». 

La  conclusione  non  può  certamente  procacciare  vanto  di  pro- 
feta al  nostro  autore,  che,  non  vecchio  ancora,  doveva  assistere 
alla  più  furiosa  tempesta  di  passioni  e  di  guerre,  ma,  avvicinando 
questa  conclusione  ad  un  altro  passo  della  storia,  la  profezia  vien 
fuori   a  sua  stessa  insaputa. 

In  un  passo  cioè  del  capitolo  ventesimo,  a  spiegazione  dell'or- 
ribile divampare  di  contese  fra  guelfi  e  ghibellini,  aveva  scritto 
questa  profonda  verità  :  «  L'uomo  sociale  ha  tante  passioni  che  i 
«  soliti  avvenimenti  umani  non  bastano  ad  esercitarle  tutte.  Vi  vo- 
«  gliono,  per  occuparlo,  delle  rivoluzioni.  Le  desidera,  se  ne  com- 
u  piace.  Lo  spirito  di  partito  è  perciò  facilissimo  a  destarsi;  è  la 
u  malattia  più  comune  dello  spirito  umano.  In  ogni  ceto  di  uomini 
u  si  introduce,  nessun  teatro  ne  va  esente.  Le  passioni  degli  uo- 
«  mini,  condensate  nel  recinto  delle  città,  si  urtano  violentemente, 
u  sembra  che  non  vi   possano  contenere  e  che  rigurgitino  ". 

Concordando  i  due  passi  se  ne  deve  dedurre  che,  per  quanto 
la  storia  possa  ammonirci  della  convenienza  di  accontentarci  della 
semplice  assenza  dei  mali,  tuttavia  non  se  ne  appaga  la  natura 
umana;  onde  sorti  oscure  e  tempi  eccezionalmente  tranquilli  prelu- 
diano alle  rivoluzioni,  non  bastando  i  soliti  avvenimenti  ad  eser- 
citare tutte  le  passioni  dell'uomo  sociale. 

E  così  infatti  la  grande  rivoluzione  esplose  da  una  società  che 
pareva  indolente,  pacifica  e  serena. 

Ma  se  con  qualche  sforzo  si  può  giungere  a  far  del  Verri  il  pro- 
feta di  prossimi  rivolgimenti,  nessuna  dialettica  può  mostrarcelo  come 
un  sognatore  della  unità  nazionale.  Ho  cercato  in  ogni  sua  lettera, 
in  ogni  suo  scritto  quanto  anche  lontanamente  vi  potesse  alludere, 
ed  una  sola  volta  ho  trovato  ne  discutesse  come  di  una  semplice 
ipotesi,  ma  quell'  unica  volta    conclude  per    contestarne    la  coiive- 


122  EMANUELK    GREPPI 

nienza.  L'accenno  trovasi  in  una  pagina  inedita  destinata  alla  terza 
parte  delle  Notti  Romane:  «  Quand'anche  »,  egli  scrive,  «l'Italia 
«  fosse  tutta  impero  dello  stesso  monarca,  ella  sarebbe  sempre 
«  meno  ampia  e  poderosa  della  Iberia  e  della  Allemagna  e  di  tanti 
«  altri  paesi  più  di  lei  vasti  e  temuti,  dove  ora  per  quella  mera- 
«  vigliosa  podestà  [del  pontificato]  sorge  regina  e  riverita  e  stende 
«  l'impero  suo  di  pace  nelle  più  remote  spiagge  della  terra  ». 

Sebbene  questa  pagina  sia  stata  scritta  dal  N.  un  quarto  di  se- 
colo dopo  la  Storia,  quando  le  sue  opinioni  eransi  modificate,  tut- 
tavia, per  quanto  riguarda  la  missione  nazionale  del  nostro  paese, 
non  dovevano  differire  molto  dalle  {'recedenti. 

Me  ne  convince  una  lettera  di  Pietro  in  data  24  giugno  1775, 
nella  quale,  pure  approvando  le  rivendicazioni  del  potere  civile 
sul  potere  ecclesiastico,  ammette  che  soltanto  dal  papato  l'Italia  può 
aver  forza  e  grandezza.  «  La  pace  che  gode  l'Europa,  »  egli  scrive, 
u  la  buona  armonia  fra  le  due  antiche  rivali,  Austria  e  Francia, 
u  sono  le  più  fatali  combinazioni  per  Roma,  di  cui  la  sussistenza 
«  e  la  gloria  dovrebbero  interessare  ogni  italiano,  perchè  sono  il 
«  solo  mezzo  col  quale  l'Italia  ancora  si  nomina  ed  ha  qualche  in- 
«  fluenza  in  Europa.  Togli  Roma,  e  siamo  considerati  poco  più  dei 
«  greci,  cioè  gente  ingegnosa,  gloriosa  un  tempo,  ma  resa  avvilita 
«  e  spogliata  di  ogni  gloria.  Anche  Roma  è  poi  il  ricovero  di  ogni 
«  italiano  che,  se  per  azzardo  si  trova  male  nella  sua  città,  può  ivi 
«  ricoverarsi  e  avere  cariche,  dignità  superiori  a  quelle  che  po- 
«  trebbe  sperare  dal  proprio  sovrano  ». 

In  Pietro  però  abbiamo  talvolta  qualche  lampo  dell'  avvenire 
che  non  troviamo  in  Alessandro.  In  questa  stessa  lettera,  per  esem- 
pio, discutendo  che  cosa  avrebbe  dovuto  fare  il  papa  per  riformare 
la  propria  autorità  allora  così  compromessa,  gli  vien  fatto  di  pen- 
sare che,  rispondendo  ai  sovrani,  dovrebbe  insinuar  loro:  «  La 
«  base  dei  regni  essere  l'opinione,  la  voc^  dovere  essere  vuota  di 
«  senso  se  non  emana  dalla  Divinità,  la  forza  delle  truppe  dipen- 
ii  dere  essa  stessa  dalla  opinione  degli  uomini  che  compongono 
«  l'armata....  ». 

In  altra  del  1782,  aggravandosi  la  rovina  della  autorità  ponti- 
ficia e,  considerandone  un'altra  volta  gli  effetti  in  relazione  della 
gloria  nazionale  italiana,  conclude:  «  Io  augurerei  bene  per  il  tempo 
«  avvenire  se  l'edificio  crollasse  e  se  la  naturale  attività  degli  ita- 
«  liani,  resa  più  libera  almeno  nei  suoi  pensieri,  potesse    operare 


UN  OPERA    INEDITA    HI    ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  I23 

«  per  sentimento  e  non  per  imitazione,  e  ciascun  uomo  fosse  lui 
<i   medesimo.  Ma,  ripeto,  questo  è  un  problema  ». 

Anche  in  .questi  passi  più  arditi,  non  si  va  però  oltre  alla  li- 
bertà di  pensiero.  La  libertà  4)olitica  e  tanto  meno  1'  unità  nazio- 
nale non  vi  trovano  un  posto. 

Questa  disposizione  dello  spirito,  e  non  diversa  poteva  essere 
quella  di  Alessandro  anche  nel  tempo  in  cui  divideva  le  idee  più 
avanzate  del  fratello,  influisce  sulla  materia  del  racconto,  tantoché 
ci  sembra  percorrer  l'Italia  con  itinerario  diverso  da  quello  che 
oggi  ci  è  ordinariamente  tracciato.  Le  cime  ci  si  presentano  con 
forme  diverse,  sostiamo  in  luoghi  oggi  poco  frequentati,  lasciando 
lontani  o  traversando  di  fretta  quelli  che  oggi  ci  ospitano  più  lun- 
gamente. 

Il  passaggio  del  dominio  d'Italia  dai  Goti  ai  Greci,  dai  Greci 
ai  Longobardi,  da  questi  ai  Franchi  è  raccontato  fiaccamente  e 
svogliatamente^  senza  sentire  che  l'uno  o  l'altro  dei  popoli  barbari, 
che  avevano  fatta  del  nostro  paese  la  loro  unica  sede,  avrebbero 
potuto  essere  i  creatori  della  nuova  Italia.  Nelle  molteplici  elezioni 
di  re  o  di  imperatori,  avvenute  dopo  la  divisione  dell'impero  di 
Carlo  Magno  non  par  che  l'A.  avverta  una  gran  differenza  se  il  regno 
rimaneva  indipendente,  oppure  era  offerto,  come  seconda  corona, 
a  un  sovrano  straniero.  Soltanto  al  tempo  di  re  Arduino  egli  os- 
serva come  allora  si  determinasse  una  certa  reazione  degli  italiani 
contro  i  tedeschi.  Freddo  e  incompleto  è  il  racconto  della  prima 
Lega  lombarda,  che  presso  di  noi  divenne  una  epopea  nazionale. 
Tratta  assai  poco  del  dominio  dei  Visconti  e  meno  ancora  della 
Casa  di  Savoja,  tantoché  Emmanuele  Filiberto  non  é  neppure  no- 
minato, e  in  genere,  curiosissima  cosa  in  uno  scrittore  milanese, 
le  vicende  del  mezzogiorno  sono  descritte  con  cura  ed  esattezza 
molto  maggiore  che  non  quelle  del  settentrione. 

Delle  libertà  comunali  discorre  assai  bene  in  alcune  pagine  di 
considerazioni  generali;  ma  troppo  poco,  anche  per  un  compendio, 
dei  fatti  storici  che  vi  si  riferiscono;  nulle  quasi  le  notizie  di  Ge- 
nova, scarse  quelle  di  Venezia,  più  abbondanti  per  Firenze  perchè 
più  strettamente  legate  alla  storia  di  Roma  e  dei  papi;  ma  la  caduta 
della  sua  libertà  é  commemorata  con  queste  sole  parole:  «  Altro 
«  non  perde  Firenze  col  ricevere  dall'imperatore  un  sovrano  che 
«  i  mali  delle  fazioni  ». 

Tutta  invece  la  cura  dello  scrittore  è  assorbita  nel  raccontare 


124  EMANUELE    GREPPI 

e  satireggiare  l'opera  del  sacerdozio  costantemente  intesa  a  pro- 
cacciarsi terreni  diritti.  Tutta  la  sua  erudizione,  tutto  il  suo  spirito^ 
tutta  la  sua  filosofia  a  ciò  sono  rivolte,  onde  la  campagna  contro 
il  sacerdozio  la  comincia  tanto  alla  lentana,  che  prime  sue  vittime 
ne  sono  i  pitagorici:  «  Si  facevano  digiunare  i  novizii  per  molto 
«  tempo,  loro  si  imponeva  vestire  dimesso  e  tacere,  dormire  po- 
«  chissimo.  Tollerare  dovevano  mille  insulti  fatti  a  bella  posta  per 
«  avvezzarli  al  disprezzo,  alle  vessazioni  d'ogni  sorta.  Era  loro  co- 
«  mandato  il  silenzio  di  due,  tre,  sino  a  cinque  anni,  nello  spazio 
«  dei  quali  non  dovevano  che  ascoltare.  Qual  uomo  di  buon  senso 
il  avrebbe  avuto  la  docilità  veramente  inimitabile  di  fare  tal  novi- 
u  ziato  da  cappuccino  o  da  certosino  col  pericolo  di  ritrovare  alla 
«  fine  di  tanti  incommodi  qualche  impostura?  È  difficile  che  abbia 
«  questa  ignorante  pazienza  un  uomo  di  merito   ». 

Siccome  però  sulla  strada  dei  certosini  si  imbatte  anche  nei 
framassoni,  non  manca  di  dar  loro,  sempre  a  proposito  di  Pitagora, 
una  «stoccata:  «  La  stampa,  quel  flagello  di  ogni  mistero,  e  qualche 
«  spergiuro,  ha  fatto  conoscere  a  che  si  riducesse  il  preteso  arcano 
«  dei  franchi-muratori,  cui  l'oscurità  dava  tanta  importanza.  Forse 
u  altro  non  mancava  che  lo  stesso  mezzo  per  far  vedere  che  quelle 
«  sette  antiche  avevano  di  comune  con  questa,  nonché  il  mistero 
«   ed  i  simboli,  anche  la  futilità  ». 

Altre  occasioni,  durante  il  racconto  della  storia  romana,  gli  si 
presentano,  ed  egli  non  le  trascura,  per  frustare  cogli  stessi  in- 
tendimenti i  suoi  contemporanei  ma,  per  non  dilungarci,  saltiamo  al 
primo  ingresso  del  pontefice  romano  nella  sua  Storia:  «  I  papi  in 
"  Roma  cominciarono  a  godere  di  qualche  considerazione.  Le  dame 
«  principalmente  troviamo  che  avevano  un  gran  rispetto  per  quella 
«  dignità.  L'imperatore  Costanzo,  fra  i  varii  vescovi  che  aveva  man- 
«  dato  in  esiglio  perchè  si  opponevano  all'arianesimo  che  egli  favo- 
«  riva,  fuvvi  ancora  il  pontefice  Liberio  (sic).  Le  dame  romane  tutte 
«  in  corpo  pregarono  l'imperatore  perchè  lo  richiamasse  ».  E  con- 
tinua a  mostrarceli  come  i  beniamini  delle  dame,  citando  un  passa 
di  Ammiano  Marcellino  e  un  altro  di  S.  Gerolamo,  che  per  verità 
si  riferiscono  a  certi  preti  insidiatori,  non  ai  pontefici,  ma  che, 
abilmente  collegati  col  primo,  riescono  maliziosamente  a  completare 
il  quadro. 

Pili  avanti,  sempre  per  trovare  i  papi  in  difetto,  prende  par- 
tito per  chi  pretende  avere  papa  Innocenzo  permesso  che  dai  pa- 


I 


UN  OPERA   INEDITA    DI   ALESSANDRO   VERRI,   ECC.  I25 

gani  si  facessero  dei  sacrifizi  agli  Dei  per  scampar  Roma  da 
Alarico. 

Caduto  l'impero  romano,  satireggia  Gregorio  Magno  perchè 
usava  chiamare  i  Longobardi:  «  nefandissima  gens  »,  e  i  loro  re: 
Vostra  Eccellenza.  Dovendo  correre  in  questa  rassegna,  saltiamo 
ad  Adriano  II,  che  aveva  minacciato  di  scomunicare  Carlo  il  Calvo, 
ma  aveva  finito  col  raddolcirsi  e  promettergli  l'impero  dopo  averne 
ricevuto  un  solenne  rabbuffo  nella  risposta  che  gli  diceva:  non  sa- 
pere dove  avesse  mai  trovato  che  un  re  di  Francia  fosse  obbligato 
di  mandare  a  Roma  un  reo  cpndannato  secondo  le  regole,  e  che  né 
lui,  né  la  sua  stirpe  si  erano  mai  ritenuti  luogotenenti  dei  vescovi. 

Nel  descrivere  le  condizioni  d'Italia  sullo  scorcio  del  primo 
millennio  enumera  i  molti  modi  coi  quali  monaci  e  clero  giungevano 
ad  a  ccaparrarsi  quasi  ogni  ricchezza  e  li  riassume  in  una  formola 
energica.  «  Gli  ecclesiastici  avevano  reso  i  peccati  un  fondo  censi- 
«  bile  ",  onde  viene  poi  a  giustificare  i  principi,  che,  non  avendo  più 
bastanti  tributi,  presero  monasteri  e  abbadie  per  pagare  generali 
e  ministri,  cosicché  «  con  quanta  generosità  si  era  donato,  con  al- 
«  trettanta  rapina  si  tolse  ».  Predispone  in  tal  modo  il  terreno  alla 
lotta  fra  Enrico  IV  e  Gregorio  VII.  In  essa  tratta  con  una  certa 
imparzialità  entrambi  i  campioni,  affascinato  dalla  energia  di  Gre- 
gorio, che  u  eseguiva  i  progetti  più  pericolosi  con  una  precisione 
u  che  li  rendeva  audacissimi  soltanto  in  apparenza  »,  ma  riguar- 
doso alla  memoria  di  Enrico  che  definisce:  «  sfortunato  principe 
«  le  cui  sventure  sono  più  certe  che  le  colpe  ». 

Delle  pretese  pontificie  fa  più  tardi  umoristicamente  la  satira, 
trattando  delle  singolari  deduzioni  che  si  traevano  dai  libri  sacri. 
«  Il  senso  allegorico  servì  molto  in  tale  affare.  Gesù  Cristo  vicino 
«  alla  sua  passione  dice  ai  suoi  discepoli  che  bisogna  abbiano  due 
«  spade  per  compiere  la  profezia:  sarà  messo  nel  numero  dei  per- 
«  versi.  I  discepoli  gli  dicono:  ecco  due  spade.  Risponde  Gesù:  ciò 
«  basta.  Tutti  i  commentatori  interpretano  che  le  due  spade  erano  le 
«  due  potenze,  temporale  e  spirituale,  che  queste  due  potenze  appar- 
ii tengono  alla  Chiesa,  perchè  anche  codeste  spade  erano  in  mano 
«  dei  discepoli,  che  perciò  la  Chiesa  esercisce  la  spirituale  podestà 
«  da  se  stessa  e  quanto  alla  temporale  ha  delegato  i  principi  ad 
«  eseguirla  in  suo  nome....  ». 

Dell'abuso  poi  della  podestà  pontificia  cita  a  testimonio  S.  Ber- 
nardcr  che  a  papa  Lucio  scriveva  :    «  Si  sottraggono    gli  abati  dai 


126  EMANUELE    GUKPPI 

«  vescovi,  i  vescovi  dagli  arcivescovi,  gli  arcivescovi  dai  primati. 
«  Voi  mostrate  in  tal  modo  che  avete  pienezza  di  podestà,  ma  forse 
u  a  danno  della  giustizia  ». 

Un  altro  santo  egli  oppone  un  poco  più  tardi  alle  pretese  dei 
pontefici  e  cioè  S.  Luigi  re  di  Francia,  che  nelle  contese  fra  papa 
Gregorio  e  Federico  II  scriveva:  «  Come  ardisce  il  papa  deporre 
«  un  sì  gran  principe  senza  che  sia  convinto  dei  delitti  che  gii  si 
u  accagionano?  Quanto  a  questi  non  si  deve  credere  ai  suoi  nemici, 
«  fra  i  quali  il  primo  è  il  papa  ».  Aggiunge  anzi  l'aneddoto  di  un 
curato  di  Parigi,  che  avendo  avuto  l'ordine  di  pubblicare  la  sco- 
munica contro  di  Federico,  così  eseguillo  in  chiesa:  «  Ascoltate 
u  tutti  quanti.  Mi  vien  comandato  che  con  le  candele  accese  ed  al 
u  suono  delle  campane  pronunzii  solenne  sentenza  di  scomunica 
u  contro  l'imperatore  Federico.  Io  non  ne  so  la  cagione,  ben  so 
«  che  fra  lui  e  il  papa  vi  è  grave  controversia  ed  inesorabil  odio, 
u  e  so  altresì  che  uno  di  loro  reca  ingiuria  all'altro,  quale  dei  due 
u  mi  è  ignoto.  Io  pertanto,  in  quanto  si  estende  la  mia  autorità, 
li  scomunico  e  denuncio  come  scomunicato  quello  dei  due  che  reca 
«  all'altro  ingiuria  ed  assolvo  chi  la  soffre  ».  Il  curato,  aggiunge 
il  Verri,  fu  regalato  dall'imperatore  e  punito  dal  papa. 

Di  scomuniche  però  si  parla  troppo,  sebbene  sempre  con 
arguzia  efficace,  ma  anche  lo  spirito  conduce  a  sazietà.  Sorvo- 
lando dunque  su  molti  altri  aneddoti,  ricorderò  l'osservazione  che 
ai  tempi  di  Lodovico  il  Bavaro,  sembrando  oramai  insufficiente 
contro  ai  ghibellini  l'arma  della  scomunica,  si  volle  chiamarli 
eretici,  e  che  la  frequenza  delle  scomuniche  avendone  diminuita  la 
forza,  i  laici  introdussero  il  sistema  di  controscomunicare  gli  ec- 
clesiastici con  accendere  in  tal  funzione  invece  di  candele  dei  fasci 
di  paglia  e  dei  tizzoni.  «  Questo  abuso  •'  (osserva)  «  fu  ripreso  dal 
«  concilio  di  Avignone  tenuto  dal  papa  Giovanni  XXII.  Sembra 
«  strano  che  si  punisca  il  disprezzo  delle  scomuniche,  nato  dalla 
u  loro  profusione,  colla  scomunica  stessa.  Tale  pena  fu  imposta  in 
«  quel  canone  ». 

Il  periodo  acuto  delle  lotte  fra  il  sacerdozio  e  l'impero  stava 
per  finire,  e  l'autore  registra  la  dissoluzione  dei  vincoli  che  l'uno 
all'altro  avvincevano;  ma  non  cessa  per  questo  di  tartassare  i  papi 
che  ai  tempi  di  Alessandro  VI  e  di  Giulio  II  dice  «  cresciuti 
«  nella  potenza,  ma  diminuiti  nella  venerazione  ». 

Della  ribellione  protestante  traccia  brevemente   e    con  riserbo 


UN  OPERA    INhDITA    DI    ALKSSANDRO    VERRI,    PXC.  I27 

le  orìgini,  concludendo  così:  <•  La  storia  ecclesiastica  era  dimenti- 
«  cata.  Ne  risorse  lo  studio  con  tutto  il  fervore  dello  spirito  di 
«  controversia.  Le  parti  furono  costrette  ad  istruirsi.  Fu  questo  il 
«  solo  bene  che  produssero  queste  grandi  rivoluzioni  che  non 
«.  spettano  al  mio  istituto  ». 

Sulla  fine  dell'opera  si  parla  un  po'  meno  di  papi  e  di  scomu- 
niche; molto  però  di  supplizi  religiosi  in  Spagna  e  in  Sicilia,  finché 
si  rammenta  con  soddisfazione  l'abolizione  della  inquisizione  de- 
cretata a  Napoli  dal  re. 

La  nota  satirica,  arma  preferita  dall'autore  nelle  discussioni 
ecclesiastiche,  vibra  però  ancora  qualche  volta  con  una  certa  effi- 
cacia: «  La  bolla  In  coena  Domini  non  fu  accettata  da  nessun  prin- 
«  cipe.  Altro  non  produsse  che  dei  tumulti.  Se  accrescevasi  un 
«  tributo  i  popoli  citavano  la  bolla  In  coena  Domini  e  ricusavano 
«  di  pagarlo.  Alcuni  teologhi  e  confessori  fomentavano  queste  opi- 
«  nioni.  Altri  dicevano  essere  sospetto  di  eresia  perfino  chi  mettesse 
«  in  quistione  se  in  alcuna  provincia  non  fosse  accettata  la  bolla. 
«  Non  permettevano  soltanto  di  dubitare  del  merito  suo,  ma  tam- 
«  poco  della  sua  accettazione,  benché  fosse  palese  il  contrario  ».  E 
altrove:  «  Il  papa  Clemente  [XII]  promosse  il  commercio  attivo  di 
«  Roma  erigendovi  un  lotto  e  scomunicando  chi  lo  giuocasse  fuori 
«  dei  suoi  stati.  Prima  di  lui  Benedetto  XIII  aveva  scomunicato  chi 
«  giuocasse  al  lotto  di  Genova  ». 

Le  iodi  ai  papi  sono  invece  in  questa  storia  assai  scarse,  si 
contano  sulle  dita  di  una  mano  :  non  mi  pare  anzi  aver  trovato  che 
queste.  L'una  ai  tempi  delle  lotte  cogli  imperatori  d'Oriente:  «  La 
«  pubblica  opinione  si  rivolse  ai  pontefici.  Essi  ressero  Roma  col 
«  più  legittimo  di  tutti  i  diritti,  il  consenso  comune  ».  L'altra  in 
omaggio  a  Niccolò  V:  «  Finalmente  fu  del  tutto  estinto  lo  scisma 
«  coll'avere  il  pontefice  Niccolò  ceduto  alquanto  per  vincere.  Rara 
«  politica  in  tali  dissensioni  ».  La  terza,  a  tutto  onore  di  Grego- 
rio XIII  e  a  dileggio  dei  protestanti:  «  Gregorio  XIII  senza  sfoggio 
«  di  letteratura  e  quasi  senza  strepito  si  rese  immortale  colla  ri- 
«  forma  del  Calendario....  Gli  astronomi  di  Germania  protestavano 
«  contro  del  Calendario  come  avean  fatto  nelle  materie  di  contro- 
«  versia.  Ricusarono  le  verità  di  astronomia  perchè  promulgate  da 
<«  una  potenza  ecclesiastica  che  essi  non  conoscevano  per  legittima. 
«  Si  unì  una  Dieta  in  Augusta.  L' elettore  di  Sassonia  vi  disse  che 
«  non  comportava  l'onore    dell'impero  germanico  che  si  ricevesse 


128  EMANUELE    GREPPI 

u  tal  riforma.  Tutti  furono  del  suo  savio  parere....  Tacquero  poi 
«  le  passioni  e  si  cedette....  La  pacifica  politica  di  Gregorio  gli 
«  acquistò  molta  venerazione.  Giovanni  Basilovich  gran  duca  di 
«  Moscovia  mandò  ambasciatori  pregandolo  di  essergli  mediatore 
«  con  Stefano  Batory,  re  di  Polonia.  Difatti  la  pace  fu  conclusa  ». 

Nel  complesso  però  la  storia  ecclesiastica  non  si  può  dire  im- 
parziale. E  bensì  lecito  convenire  col  Verri  nella  critica  che  fa  di 
Bonifacio  Vili,  e  implicitamente  anche  degli  altri  pontefici:  «  avere 
«  essi  avuto  idee  di  grandezza  non  conformi  al  pacifico  sacerdozio  »  ; 
ma  i  molti  meriti  di  questa  imponente  dinastia  di  re  sacerdoti  sono 
troppo  trascurati  e  non  si  tien  conto  delle  ragioni  che  hanno  spinto  i 
pontefici  ad  entrare  in  lotta  anche  violenta  coi  principi,  mentre  un 
contegno  più  remissivo  avrebbe  potuto  abbassare  la  Chiesa  d'Occi^ 
dente  al  livello  di  quella  d'Oriente;  senonchè  l'apologia  dei  pontefici 
è  fatta  invece  sin  troppo  completamente  nella  terza  parte  inedita 
delle  Notti  romane,  ove  l'opera  loro  è  spiegata  come  logicamente 
coordinata  tutta  ad  un  altissimo  fine.  Avvocato  dei  pontefici  è  nien- 
temeno che  Cicerone,  il  quale  in  una  lunga  dissertazione,  ragio- 
nando sopra  quanto  si  suppone  essergli  stato  raccontato  dal  Verri, 
comincia  dicendo: 

«  Di  imperi  fatti  con  la  fortuna  delle  armi  sono  gli  esempi 
*i  comuni  e  più  frequenti  che  non  comporta  la  felicità  delle  genti, 
u  dove  che  questo  è  il  solo  il  quale,  nato  dal  consenso  dei  sub- 
«  bietti  e  dalla  paterna  benevolenza  dei  pontefici,  sia  cresciuto  pur 
u  sempre  con  volontarie  dedizioni,  senza  strepito  d'armi  e,  for- 
u  mate  con  origine  celeste,  indusse  gli  uomini  al  consenso  ed 
«  alla  persuasione.  Per  la  qual  cosa,  mentre  la  fondazione  di  tutti 
«  gli  imperii,  è  storia  atroce  scritta  col  sangue  e  macchiata  da  de- 
«  litti,  questa,  incominciando  da  umili  e  pietosi  ufficii  di  benevo- 
«  lenza,  dalla  paterna  protezione  del  sacerdozio  verso  popoli  ab- 
u  bandonati  dal  principe  loro  e  oppressi  dai  barbari,  crebbe  di  poi 
u  a  tanta  maestà  d'imperio  divino,  che  le  fronti  coronate,  ingom- 
«  brate  da  un  divino  terrore,  si  piegassero  ai  piedi  suoi,  tremassero 
«  i  tiranni,  i  popoli  ne  scotessero  il  giogo,  e  potenti  re  stringessero 
«  lo  scettro  con  mano  tremante  quando  usciva  da  questi  colli  voce 
«  tremenda  dispositrice  degli  imperii,  al  suono  della  quale  altri 
«  ascendevano  sicuri,  altri  scendevano  dal  trono....  », 

Segue  narrando  i  fasti  più  noti  del  pontificato,  dei  quali  citerò 
solo  per  le  considerazioni  più  acute  quanto  riflette  il  suo  intervento 


un'opera    inedita    di   ALESSANDRO   VERR[,    ECC.  I  29 

nel  cambiamento  di  dinastia  presso  i  Franchi:  «  Mentre  presso  di 
a  noi  e  presso  le  altre  genti  tutte  narrano  le  storie  che  non  senza 
<i  guerre  lunghe,  pericolosi  rivolgimenti  di  fortuna  e  vicissitudini 
«  di  sangue  o  di  morte,  o  si  fondarono  o  si  distrussero  o  trapas- 
«  sarono  i  regni,  presso  voi  fu  risoluta  quest'opera  in  modo  tutto 
«  pacifico  e  compiuta  con  liete  cerimonie  fra  gli  applausi  del  con- 
«  senso  comune  ». 

Ad  atti  riprovevoli  talora  commessi  dai  pontefici  allude  spe- 
cialmente a  proposito  del  supplizio  di  Corradino,  ma  ne  scagiona 
l'istituzione  dicendo:  «  E  se  pure  in  tanta  podestà  vi  furono  abusi, 
«  conviene  pure  che  la  discreta  mente  consideri  essere  ella  stata 
«  amministrata  e  confidata  ad  uomini  non  esenti  dalle  infermità 
«  mortali  »;  e  Cicerone  finalmente  conclude:  «  Eppure,  siccome  in 
«  tutte  le  cose  discordi  e  varii  sono  gli  umani  giudizii,  veggo  ora 
«  taluni,  dopoché  le  furono  sommessi,  volgere  in  altrettanto  orgo- 
«  glio  le  passate  loro  umiltà,  e  sembra  ascrivano  la  cagione  di 
ti  tanta  sommissione  piuttosto  alla  umiltà  dei  tempi  ed  alla  infermità 
«  degli  uomini  che  ad  altra  cagione,  quasi  fosse  stata  sorpresa  la 
«  mente  loro  ed  oscurato  il  mondo  tutto  da  triste  ignoranza,  ma 
«  chi  con  animo  discreto  consideri  queste  vicende  vedrà  che  il  più 
u  delle  volte  con  matura  prudenza  furono  praticati  consigli,  i  quali 
u  ora  sembrano  inavveduti,  per  modo  che,  qualora  si  tralasci  ogni 
«  altra  considerazione,  niuno  potrà  negare  non  essere  stata  al  mondo 
«  podestà  cUcuna,  la  quale  abbia  superata  questa  nella  prudenza, 
il  e,  certo,  considerando  i  modi  maravigliosi  coi  quali  fu  stabilita 
«  e  conservata  una  tale  podestà  anche  nella  mente  aliena  da  lei 
u  desta  così  alta  meraviglia  che  non  è  da  giudicarsi  consueto  ef- 
«  fetto  di  umana  virtù,  ma  sente  in  tutto  del  divino  e  del  celeste, 
«  siccome  cosa,  più  che  terrena,  immortale  ». 

Per  quanto  le  due  storie  del  pontificato,  scritte  dallo  stesso 
autore,  ma  a  trent'  anni  di  distanza,  si  contraddicano,  tuttavia 
hanno  questo  in  comune  che  fanno  del  poter  pontificio  il  centro 
della  storia  d'Italia. 

Quando  scema  la  potenza  politica  dei  papi,  scema  anche  di 
calore  e  di  interesse  la  Storia  d'Italia  del  Verri;  onde  la  narra- 
zione è  più  languida,  meno  confortata  da  serie  o  argute  conside- 
razioni, a  misura  che  essa  si  avvicina  ai  tempi  nostri.  Le  imprese 
della  casa  di  Savoia,  delle  quali  sarebbe    ora   riempiuto    un    com- 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXH,  Fase.  V.  <) 


I 


130  EMANUELE    GREPPI 

pendio  popolare,  non  destano  che  di  sfuggita  l'attenzione  dell'au- 
tore, quantunque  ne  andasse  crescendo  l'influenza  sugli  avvenimenti 
del  nostro  paese.  Di  Emanuele  Filiberto,  lo  abbiam  già  detto,  ei 
tace  completamente,  di  Carlo  Emanuele  si  sbriga  scrivendo:  «  Prin- 
«  cipe  di  una  grande  intraprendenza  di  cui  molto  bene  e  molto 
.<  male  dissero  gli  storici,  sempre  imparziali  w  ;  nelle  ultime  pagine 
rammenta  come  per  la  pace  di  Aquisgranà:  «  il  r.e  di  Sardegna 
'■<  accrebbe,  come  in  tutte  le  altre  guerre,  i  suoi  stati  ».  Ma,  seb- 
bene poco  prima  avesse  narrato  i  torti  patiti  da  altri  principi  ita- 
liani, dall'ultimo  Medici,  che  vedeva  farsi  e  rifarsi  il  suo  testamento, 
dall'ultimo  Farnese,  che  vide  anch'  esso  disporre  della  sua  succes- 
sione senza  essere  chiamato  a  parteciparvi  ;  non  gli  passa  mai  per 
la  mente  di  cercar  le  ragioni  per  le  quali  quei  principi  subivano 
dei  torti,  il  re  invece  all'occorrenza  ne  infliggeva  altrui. 

Belli  invece,  e  scritti  con  amore,  sono  certi  episodi  delle  vi- 
cende italiane,  come  l'effimero  governo  di  Masaniello,  ed  altri  oggi 
più  trascurati,  come  le  ribellioni  della  Corsica  e  i  tristi  casi  di  Mes- 
sina abbandonata  dai  francesi. 

Per  ultimo,  merita  di  essere  riprodotto  un  periodo  che  tratta, 
con  criteri  morali  molto  indulgenti,  della  influenza  dei  francesi, 
dopoché  la  guerra  di  successione  di  Spagna  li  ricondusse  in  Italia: 
u  I  francesi,  come  avevano  fatto  ai  tempi  di  Carlo  Vili,  dirozza- 
'i  rono  i  nostri  costumi.  Ci  introdussero  il  commercio  civile,  ci 
il  tolsero  alla  selvatichezza.  Portarono  le  donne  nella  società,  che 
«  prima  venivano  gelosamente  custodite  da  severi  e  solitarii  ma- 
«  riti.  Si  dolevano  della  corruzione  dei  costumi  le  gravi  persone, 
«  ma  gli  orrori  delle  insidie,  le  atroci  vendette  del  così  detto 
«  punto  di  onore,  riposto  nella  fedeltà  del  conjugio,  i  tradimenti, 
ti  i  trabocchetti,  i  sicarii,  tutti  questi  orribili  effetti  di  incolti  ed 
«  insociali  costumi  non  più  ci  funestarono  »-. 

La  minor  vivacità  della  narrazione  storica  è  compensata  pei 
tempi  più  moderni  da  un  crescente  interesse  per  la  cultura.  Sotto 
questo  aspetto  tutte  le  discussioni,  sino  dai  primi  capi  che  trattano 
della  storia  romana,  sono  rivolte  a  preparar  gli  argomenti  per  la 
polemica  contemporanea. 

Il  periodo  che  meglio  riassume  il  pensiero  del  Verri  trovasi 
alla  fine  del  capo  ventesimonono:  «  Sembra  che  i  greci  ed  i  ro- 
«  mani  abbiano  esaurite  quasi  tutte  le  combinazioni  del  bello  nella 
«  architettura.  Molti  secoli  di  esperienza,   vaste    ed    infinite   opere 


UN   OPERA    INEDITA    DI    ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  I31 

u  di  ogni  genere  da  essi  fabbricate  possono  aver  prodotto  questo 
"  effetto.  Bisogna  ricorrere  sempre  a  questi  grandi  modelli.  Finora 
«  chi  ha  voluto  dipartirsene,  non  vi  ha  sostituito  niente  di  migliore, 
«  mi  intendo  quanto  alla  architettura  presa  in  generale,  non  quanto 
«  a  piccole  e  parziali  riforme.  Non  così  è  avvenuto  in  questa  Na- 
u  zione  riguardo  alle  opere  di  ingegno.  Furono  pregevoli,  ma  non 
«  insuperabili.  Farmi  dunque  che  la  libertà  di  invenzione,  che  si 
u  va  introducendo  nella  architettura,  dovrebbe  trasportarsi  nelle 
«  arti  di  ingegno,  e  la  servitù  che  tuttora  sussiste  nelle  arti  di  in- 
«  gegno  trasferirsi  alla  architettura.  Vorrei  che  fossimo  contenti 
«  di  imitare  le  moli  del  secolo  di  Augusto  e  che  avessimo  il  co- 
«  raggio  di  superarne  gli  scrittori  ». 

Con  queste  idee  ci  spieghiamo  il  silenzio  assoluto  del  nostro 
autore  su  tutte  le  grandi  costruzioni  della  età  di  mezzo,  sul  no- 
stro stesso  Duomo,  che  egli  aveva  pure  sempre  dinnanzi  agli  occhi, 
mentre  la  sua  storia  doveva  essere  ed  è,  sotto  altro  aspetto,  più 
che  la  storia  politica,  la  storia  dell'  ingegno  umano,  della  musica, 
degli  spettacoli,  della  letteratura,  delle  arti,  delle  scienze,  della  le- 
gislazione, della  filosofia. 

Alla  musica  è  dedicata,  in  modo  speciale,  una  bella  digressione 
di  dieci  pagine  che  trae  occasione  dalla  vita  di  S.  Gregorio  Magno 
e  dal  canto  da  lui  detto  gregoriano.  L'autore  sostiene  che  questo 
canto,  con  poche  differenze,  riproduce  la  musica  dei  romani  e  «  così 
«  le  arie  degli  inni  secolari  servirono  a  cantare  quei  di  Prudenzio  ». 
Sostiene,  malgrado  certe  ampollose  asserzioni  di  Quintiliano  e  di  Ma- 
crobio,che  la  musica  non  era  giunta  a  grande  perfezione  presso  i  greci 
e  i  romani,  «  perchè  »  ;  e  qui  ancora  una  volta  appare  lo  scrittore 
precocemente  moderno;  «  se  quella  nazione  fosse  giunta  a  tal  per- 
"  fezione  avrebbe'  perfezionato  al  sommo  tutte  le  arti  e  la  sublime 
it  scienza  del  cuore.  Le  cognizioni  si  abbracciano.  La  meccanica  vi 
«  dovrebbe  aver  fatto  maravigliosi  progressi  per  fabbricare  per- 
«  fettissimi  strumenti,  la  scienza  della  armonia  dovrebbe  essere 
«  ridotta  ai  suoi  elementi  più  semplici,  la  sensibilità  degli  uomini 
«  dovrebbe  essere  conosciuta  intimamente.  Quanto  erano  lontani 
«  da  tal  punto  i  romani!   " 

E  più  avanti  continua  dicendo  che  quei  che  scrìssero  miracoli 
della  efficacia  della  musica  riferirono  soltanto  vecchie  tradizioni, 
non  però  del  tutto  infondate.  «  Narrano  ciò  che  era  stato,  non  ciò 
u  che  era  ai  loro  tempi.  Le  passioni  dei  popoli  colti  non  sono  così 


I 


132  EMANUELE   GREPPI 

«  veementi.  La  cultura  accresce  il  raziocinio  a  spese  della  imma- 
«  ginazione.  I  barbari  sentono,  i  colti  ragionano.  La  ferocia  di- 
«  venta  valore,  l'ira  risentimento,  l'amore  benevolenza.  Questo  in- 
«  fievolimento  dell'animo  è  manifesto  paragonando  in  massa  i  colti 
«  coi  selvaggi  popoli.  Le  arti  che  accompagnano  il  ripulimento 
u  delle  nazioni  altro  non  fanno  che  compensare  la  perdita  delle 
u  prime  robuste  sensazioni.  Ecco  in  qual  guisa  la  musica  possa 
a  essere  stata  di  meravigliosa  forza  presso  i  popoli  barbari,  e,  per 
«  quanto  si  raffini,  non  produca  grande  impressione  nei  più  ri- 
«  puliti  ». 

La  stessa  dissertazione  si  chiude  colla  testuale  citazione  di  una 
disputa  fra  cantori  francesi  e  cantori  italiani,  narrata  dal  monaco 
di  Angouléme,  biografo  di  Carlo  Magno  e  definita  dall' imperatore 
a  favore  degli  italiani.  «  Anche  adesso  »,  osserva  il  Verri,  «  vi  è 
«  difierenza  fra  la  agilità  della  voce  degli  italiani  e  dei  francesi. 
"  Forse  ciò  dipende  dalla  costituzione  degli  organi  e  dal  clima. 
u  Da  Carlo  Magno  fino  alla  Serva  Padrona  abbiamo  coi  francesi 
«   questa  disputa  ». 

Meno  originale,  quantunque  sempre  acuto,  nel  trattar  di  spet- 
tacoli, dice  del  teatro  romano:  «  Per  quanto  potesse  esser  magni- 
«  fico,  a  gran  fatica  mi  indurrei  a  sospettare  che  nell'arte  di  fare 
«  illusione  e  di  porre  in  moto  i  sentimenti,  pareggiasse  1'  odierno 
u  francese.  Un  attore  tragico  montato  su  due  alti  coturni,  che  erano 
u  come  una  specie  di  trampoli,  con  una  sconcia  maschera  in  viso, 
«  declamante  o  meglio  urlante  per  essere  inteso  in  un  vasto  teatro, 
u  non  so  come  possa  eccitare  ed  esprimere  le  passioni  delicate  ". 

Celebra,  tuttavia  il  pantomimo  Pilade,  che  «  facendo  un  giorno 
«  la  parte  di  Ercole  furioso,  gli  spettatori  trovarono  che  ei  gestiva 
«  troppo  e  cominciarono  le  fischiate.  Levò  egli  la  maschera  dal 
li  viso  e  disse  ad  alta  voce  :  pazzi  che  voi  siete,  io  rappresento  un 
«  più  gran  pazzo  che  non  siete  voi.  Questa  espressione  sola  prova 
..  che  Pilade  era  un  gran  maestro;  ella  è  piena  di  sicurezza  di  sé 
«  stesso  e  di  un  genio  vigoroso  »». 

Degli  spettacoli  della  età  di  mezzo  si  sbriga  con  noncuranza: 
«  Ad  autori  tragici,  che  non  conoscevano  i  tasti  delicati  delle  pas- 
u  sioni,  la  nobiltà  dei  sentimenti  e  la  storia,  non  si  offriva  altro 
«  soggetto  di  pianto  che  quello  dei  predicatori.  Le  giostre  ed  i 
«  tornei,  le  corti  bandite  (feste  pubbliche  piene  di  strepito  e  di 
a   bagordi  che  ofìrivano  i  principi)  erano  i  nostri  divertimenti  ». 


UN  OPERA   INEDITA    DI    ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  I33 

Per  le  epoche  posteriori  allude  a  qualche  dramma,  più  come 
opera  letteraria  che  per  l'effetto  scenico,  mentre  invece  non  man- 
cano notevoli  osservazioni  sul  teatro  a  lui  contemporaneo.  «  Il  no- 
"  stro  teatro  sembrava  essere  vicino  ad  una  grande  riforma  per 
«  le  illustri  produzioni  del  signor  dottor  Goldoni,  il  primo  e  l'unico 
«  grande  uomo  d'Italia  in  questo  genere....  Egli  è  il  primo  che, 
«  non  imitando  alcuno,  abbia  seguito  il  vasto  suo  genio.  Il  mio 
«  libro  è  la  natura,  ei  dice  in  una  sua  prefazione.  Ma  non  basta 
«  il  grande  autore  a  far  risorgere  il  teatro.  Vi  vogliono  anche  i 
«  grandi  attori.  Le  nostre  compagnie  sono  così  lontane  dal  cono- 
ii  scere  quest'arte,  che  disprezzano  con  tutta  ingenuità  i  francesi.... 
«  Se  il  gran  maestro  del  teatro  francese  fosse  presente  alla  rappre- 
«  sentazione  delle  sue  tragedie  tradotte  in  italiano,  avrebbe  da  stu- 
«  pire.  Gli  sembrerebbe  più  la  parodia  che  la  rappresentazione  delle 

«  opere  sue Quanto  alla  tragedia  né  i  nostri  commedianti  sono 

«  in  istato  di  rappresentarla,  né  l'Italia  la  conosce.  Non  ne  abbiamo 
"  che  una  la  quale  possa  resistere  al  teatro.  Questa  é  la  celebre 
«  Merope  del  marchese  Maffei.  Sempre  mi  sono  maravigliato  che 
«  quell'autore,  dopo  tanti  applausi,  non  ne  abbia  fatte  delle  altre. 
«  Chi  poi  chiama  capo  d'opera  la  Sofonisba  del  Trissino,  V  Ulisse 
«  del  Lazzarini,  la  Giocasta  del  Baruffaldi,  non  ha  che  ad  esporle 
«  sul  teatro  per  farne  prova.  Abbiamo  un  genere  di  tragedia  to- 
«  talmente  destinato  alla  musica.  I  drammi  di  Apostolo  Zeno  e  del 
u  signor  Metastasio  faranno  sempre  onore  all'Italia.  Possono  essere 
u  un  modello  del  tragico  teatro;  ma  essendo  fatti  per  la  declama- 
ti zione  musicale,  riuscirebbero  troppo  condensati  e  veloci  nelle 
«  declamazioni  semplicemente  vocali....  ». 

Quanto  alla  letteratura,  fin  dal  secolo  d'Augusto  manifesta  un 
modo  proprio  di  apprezzarla  e  di  intenderla,  dal  quale  non  si  sco- 
sta anche  in  tutti  i  giudizi  successivi.  «  Virgilio,  Ovidio,  Cicerone, 
u  Lucrezio  sono  ornamento  di  tal  secolo  e  monumenti  immortali 
«  della  letteratura.  L' incolta  poesia  di  Ennio  fu  cangiata  in  una 
«  dolce  armonia  di  ragione  e  di  parole.  Ma  non  puossi  senza  par- 
«  zialità,  dove  si  tratti  di  pensare,  dare  il  vanto  a  tal  secolo  sopra 
«  il  seguente,  chiamato,  con  metafora  stranissima,  d'  argento.  Poi- 
«  che  in  questo,  quantunque  aureo,  non  ritrovi  la  filosofia  di  Se- 
«  neca,  la  politica  di  Tacito,  la  fisica  di  Plinio.  Ebbero  le  lettere 
«  nel  loro  nascimento  le  istesse  vicende  che  da  noi  nel  secolo  de- 
ii  cimosesto.  Fu  in  quel  secolo  coltivata  la  Hngua  e  la    poesia,  né 


134  EMANUELE    GREPPI 

«  SO  se  fossimo  più  sapienti  di  parole  o  di  idee.  Il  secolo  seguente 
a  fu  quello  in  cui  nacque  l'arte  di  pensare,  eppure  gli  fu  po- 
<«  sposto  ». 

Fanno  riscontro  i  giudizi  esposti  a  proposito  di  questi  nostri 
due  secoli.  Del  primo  egli  dice;  u  La  cultura  si  diJBTondeva  dap- 
u  pertutto.  Il  cardinale  Pietro  Bembo,  segretario  di  Leone  X,  e 
«  Giovanni  della  Casa  erano  due  bei  spiriti  che  scrivevano  ele- 
«  gantemente  in  prosa  ed  in  verso.  Vi  vuole  molta  parzialità  per 
«  chiamarli  grandi  uomini.  Sono  conosciute  le  loro  opere  che  eb- 
u  bero  tanti  imitatori.  L'armonioso  stile  con  cui  sono  scritte  ci  se- 
«  dusse.  Vi  sono  cento  scrittori  italiani  che  tutti  hanno  la  loro  di- 

«  citura Non  si  può  negare  che  non  ci  sia  in  questi  autori  uno 

«  stile  contorto  e  dal  quale  trasparisce  lo  sforzo  che  facevano  per 
«  collocare  con  sommo  studio  i  vocaboli  con  faticosa  sintassi.  Si 
«  vede  la  ricerca  delle  parole  più  che  delle  idee,  vi  è  della  timi- 
u  dita  nelle  espressioni,  non  vi  è  niente  di  libero  e  di  generoso. 
«  Temevano  i  difetti,  non  cercavano  le  bellezze.  Questo  non  sarà 
«  mai  lo  stile  dei  pensatori.  Lo  spirito  di  pedanteria  che  impres- 
«  sero  nella  nostra  nazione  appena  comincia  a  perdere   il    suo  ti- 

n  rannico  impero 11  Tasso  illustrava  questo  secolo   ed  impazzì 

«  per  le  critiche  fatte  dai  grammatici  al  suo  poema   immortale 

«  L'Ariosto  suo  contemporaneo  dedicava  il  suo  Orlando  al  cardi- 
u  naie  d'Este  ed  aveva  la  nota  accoglienza ». 

Del  seicento  invece  egli  scrive^  «  È  noto  lo  stile  che  chia- 
«  miamo  del  seicento.  Le  sconcie  metafore,  i  coraggiosi  traslati 
«  erano  succeduti  alla  timida  esattezza  dei  cinquecentisti.  I  qua- 
u  resimali  e  le  poesie  di  questi  tempi  sono  la  più  umiliante  por- 
li zione  della  nostra  letteratura.  Al  tempo  dei  Longobardi  eravamo 
«  ignoranti,  in  questo  secolo  eravamo  ridicolmente  dotti.  Pure  non 
«  è  che  nei  nostri  sentimenti  non  si  ritrovi,  in  mezzo  di  gigante- 
«  sche  metafore,  qualche  gran  lampo.  L'ardimento  col  quale  scri- 
«  vevano  li  rendeva  o  ridicoli,  o  sublimi,  giammai  mediocri.  Se  gli 
u  scrittori  del  cinquecento  furono  colti,  limati  e  regolati,  quelli  del 
u  seicento  avevano  difetti  e  bellezze  grandi  ». 

Alla  critica  accurata  e  profonda  di  questi  secoli  corrisponde 
una  noncuranza,  che  oggi  parrebbe  inconcepibile,  di  quanto  aveva 
creato  l'epoca  precedente.  Il  Boccaccio  è  messo  a  fascio  col  Bembo, 
il  Poliziano  è  ricordato  soltanto  per  le  traduzioni  dal  greco,  e  il 
Petrarca  principalmente  perchè  ha  scritto    in  latino    e    perchè  più 


UN   OPERA    INEDITA    DI    ALESSANDRO    VERRI,    ECC.  I35 

che  imitatore,  era  plagiario  dei  provenzali,  credendo  provarlo  col- 
l'allegare  il  sonetto:  Pace  non  trovo  e  non  ho  da  far  guerra,  che 
egli  riteneva  in  gran  parte  tradotto  dal  poeta  catalano  Mosen  Jordi 

Ancora  più  curiosa  è  la  disinvoltura  con  cui  scivola  su  Dante. 
Dissertando  sulla  formazione  della  nostra  lingua  volgare  egli  scrive: 
«  Dante  Alighieri  fiorentino  fu  uno  dei  primi  che  conosciamo  scri- 
«  vesse  lingua  volgare.  Fioriva  al  principio  del  secolo  decimo- 
u  quarto  ».  Altrove,  parlando  delle  nostre  atroci  guerre  intestine: 
«  Le  carceri  erano  piene  di  prigionieri  e  si  era  introdotto  il  bar- 
«  baro  costume  di  farli  morire  di  fame.  Così  perì  il  conte  Ugolino, 
«  fatto  degno  delle  lagrime  dei  posteri  dai  versi  di  Dante,  il  cui 
«  passo  molto  noto  è  uno  di  quelli  che  ha  resa  immortale  la  su- 
«  blime  e  strana  sua  Commedia  ». 

Eppure  Dante  era  ben  conosciuto  dal  Verri,  che  di  lui  più 
volte  valevasi  come  fonte  storica,  citando  per  esempio,  il  canto 
ventesimoprimo  del  Paradiso  a  proposito  dei  costumi  ecclesiastici, 
il  ventesimoquarto  per  gli  orologi  a  ruota,  il  ventesimoquinto  pel 
lusso  delle  vesti. 

La  sintesi  della  nostra  storia  letteraria  si  integra  pel  Verri  colla 
fortuna  della  nostra  lingua,  pensando  egli  che  una  prematura  perfe- 
zione e  stabilità  della  lingua  sia  indizio  di  pigro  sviluppo  del  pen- 
siero. «  Trovo  altresì  una  cosa  m;  scrive  al  capo  ventesimosecondo; 
«  che  consola  il  grammatico  e  dispiace  al  filosofo,  e  questo  è  che 
<<  da  Petrarca  sino  a  noi  la  lingua  nostra  ha  quasi  nulla  cangiato. 
u  Questa  purità  non  ci  è  onorevole.  Non  succede  rivoluzione  nelle 
«  idee  di  una  nazione  che  non  gli  sia  parallela  anche  la  lingua, 
a  la  quale  altro  non  è  che  il  mezzo  con  cui  le  esprime.  L' immo- 
«  bilità  delle  voci  forse  prova  quella  dei  pensieri.  Non  vi  è  na- 
*i  zione  colta  in  Europa  che  abbia  la  stessa  lingua  che  aveva  ai 
«  tempi  del  Petrarca.  Questa  costanza  dal  secolo  decimoquarto  in 
«  qua  mi  sembra  assai  sospetta  ». 

Queste  considerazioni  però,  interpolate  in  un  capo  ove  si  tratta 
dei  principi  della  nostra  cultura,  sono  predisposte  per  preparare 
le  ultime  della  conclusione,  ove  apertamente  si  giustificano  le  forme 
letterarie  della  piccola  scuola  che  aveva  pubblicato  il  Caffè:  «  I  fran- 
ai cesi  »  (là  in  fondo  si  dice)  «  sono  i  nostri  maestri  e  sdegniamo 
«  di  averli....  Bisogna  non  ricusare  la  luce  da  qualunque  parte  ella 
«  venga....  Non  è  possibile  formarsi  sui  libri  di  una  nazione  e  non 
«  prendere   il   loro  stile.    Se    abbiamo    da    acquistare    nuove   idee 


136  '  EMANUELE   GREPPI 

u  dobbiamo  acquistare  anche  un  nuovo  mezzo  di  esprimerle.  Non 
M  scriveremo  come  il  Boccaccio,  come  il  Bembo,  come  il  Casa.  Non 
«  importa.  Scriviamo  come  Montesquieu.  Abbiamo  dei  francesismi, 
u  ma  leggiamo  l'enciclopedia.. .  Si  comincia  a  riguardare  la  lingua 
«  come  mezzo  e  non  come  fine  ». 

Delle  scienze  e  delle  arti  il  Verri  parla  volontieri,  sia  interpolan- 
done il  discorso  nella  narrazione,  sia  trattandone  separatamente; 
ma  di  preferenza  va  ricercando  le  origini  e  i  progressi  delle  arti 
comuni,  che  sino  allora  erano  state  interamente  trascurate  dagli 
storici.  «  Quando  poi  venisse  portato  il  baco  da  seta  non  si  sa  », 
scrive  al  capo  decimosettimo.  «  Questa  è  la  sorte  delle  pacifiche 
«  arti.  Un  macello  di  uomini  è  sempre  celebre.  I  beni  della  tran- 
«  quilla  industria,  i  nomi  dei  più  grandi  benefattori  della  umanità 
«  sono  ricoperti  dalle  vaste  ombre  della  oblivione.  Tutto  ciò  che 
u  non  fa  strepito  è  dimenticato  »  ;  e,  come  del  baco  da  seta,  si  in- 
teressa degli  orologi,  della  carta,  della  bussola,  degli  occhiali,  della 
stampa,  dei  cannocchiali. 

Tra  le  scienze,  una  ne  troviamo  così  qualificata  da  lui  e  della 
quale  attribuisce  la  paternità  al  Machiavelli  con  queste  parole: 
u  È  una  ben  triste  gloria  per  l'Italia  l'avere  prodotto  il  primo  au- 
u  tore  consciuto  nella  storia  di  un  metodico  trattato  della  scienza 
«  dei  tradimenti,  delle  stilettate  e  degli  assassinii,  e  di  avergliene 
u  fornito  la  materia  ». 

Della  scienza  del  diritto,  che  era  quella  da  lui  professata,  tratta 
sobriamente,  sebbene  non  dimentichi  di  illustrare  la  storia  colla  le- 
gislazione e  sebbene  in  certe  argute  sue  satire  dei  primi  pandet-» 
tisti  miri  a  colpire  il  curialismo  del  nostro  Senato  ;  ma  due  passi 
ne  rivelano  specialmente  l'ingegno.  L'uno  allude  ad  una  imminente, 
ma  non  ancora  invocata  riforma,  così  concludendo  intorno  all'opera 
legislativa  di  Giustiniano:  «  Lo  stesso  accade  oggidì.  Abbiamo  ven- 
«  timila  volumi  di  opere  legali  in  foglio.  In  tutte  le  nazioni  le  cose 
«  meno  semplice  sono  le  leggi.  In  mezzo  alla  somma  coltura  vi  è 
u  questa  somma  barbarie.  I  filosofi  non  hanno  finora  rivolto  gli 
«  sguardi  a  questa  materia  m.  L'altro  può  annoverarsi  fra  quelli 
in  cui  si  rivela  l'osservatore  profondo  delle  relazioni  fra  i  fenomeni 
sociali  in  modo  aff"atto  moderno.  Egli  infatti  così  giustifica  i  così 
detti  giudizi  di  Dio,  accolti  come  prove  giudiziarie:  «  Questa  su- 
u  perstizione  fu  così  universale  che  non  sembra  soltanto  da  attri- 
«  buirsi  alla  imitazione,  ma  ad  un  principio   ancor  più  inerente  al 


un'opera    inedita   di    ALESSANDRO    VERRI,   ECC.  I37 

«  cuore  umano.  Le  nazioni  barbare,  che  non  hanno  ancora  svilup- 
ii  paté  le  più  complicate  idee  di  giustizia  negli  atti  umani,  che  non 
«  hanno  principio  e  regole  per  le  prove  giudiziali  da  farsi,  non 
a  sapevano  istituire  un  giudizio,  dare  un  grado  di  giusta  probabi- 
u  lità  agli  indizii,  determinar  la  forza  e  le  condizioni  dei  testimonii. 
«  Tali  formole  richiedono  un  codice  di  leggi  ragionato  e  costante. 
«  Una  nazione  barbara  non  è  capace  di  tanto,  o  non  ha  leggi,  o 
«  le  ha  semplicissime.  Nella  incertezza  dunque  del  giudizio,  nella 
«  necessità  di  decidere  altro  criterio  non  ritrovavasi  che  di  com- 
u  metterlo  ad  un  giudice  infallibile.  11  duello  dovette  essere  il  più 
«  usitato  perchè  il  primo  giudizio  che  si  presenti  a  popoli  che  hanno 
u  sempre  le  armi  in  mano.  Egli  eziandio  ha  maggiore  apparenza 
«  di  giustizia.  La  condizione  di  entrambi  i  contendenti  è  eguale. 
«  Tali  sono  le  mie  congetture  su  di  ciò  ». 

Nelle  scienze  naturali  le  indicazioni  sono  abbastanza  diligenti, 
ma  superficiali,  finché  giunto  al  secolo  decimosettimo  e  persuaso 
che  soltanto  allora  la  scienza  cominciasse  a  trovar  seriamente  la  sua 
via,  il  N.  lor  dedica  uno  speciale  capitolo,  notando  il  contemporaneo 
progresso  della  Germania  con  Keplero  e  Copernico  e  dell'Italia  con 
Galileo,  l'Accademia  Cosentina  e  quella  del  Cimento,  e  riassumendo 
il  pensier  suo  con  queste  parole:  «  Bernardino  Telesio  gettò  fon- 
«  damenti  più  universali  di  quella  sola  e  lungamente  trascurata  via 
«  di  andare  alla  natura,  la  esperienza.  Le  vaste  menti  hanno  per- 
«  turbato  la  fisica  con  sistemi.  I  pazienti  osservatori  con  poco  stre- 
u  pito  hanno  alzato  un  canto  dell'immenso  velo  che  la  nasconde  »». 

Di  scienze  non  tratta  per  l'epoca  successiva  quasi  a  lui  con- 
temporanea; ma  questo  silenzio,  più  che  a  negligenza,  mi  pare  do- 
versi attribuire  a  un  certo  presentimento  che  prossime  strepitose 
innovazioni  toglierebbero  ogni  interesse  ai  parziali  progressi  che 
sino  allora  andavansi  conseguendo  nel  secolo  suo.  <«  L'Italia  »,.  dice 
nella  conclusione,  «  sembra  progredire  con  velocità  verso  la  filosofia  w. 
E  per  lui  u  filosofia  »  aveva  l'originario  significato  di  disciplina  uni- 
versale della  fantasia  e  della  ragione;  ma  ciò  non  lo  dispensava 
di  discorrere  anche  della  filosofia  nel  senso  più  comune  e  di  com- 
mentar brevemente  in  ogni  tempo  le  opere  dei  filosofi.  Ma  questi 
pensatori  di  sistemi  tratta  ordinariamente  colla  ironia:  «  Pietro 
«  Lombardo,  detto  il  maestro  delle  sentenze,  fu  autore  di  una  ri- 
«  voluzione  negli  studii  teologici....  Il  suo  libro  delle  sentenze  gettò 
«  i  fondamenti  della  scolastica  teologica....  Sembravano  maravigliose 


138  EMANUELE    GREPPI 

u  tali  opere.  Il  libro  delle  sentenze  fu  messo  al  pari  della  Sacra 
«  Scrittura.  Fu  commentato  da  duecento  quarantaquattro  teologhi 
«  successivamente.  Bisogna  che  fosse  ben  oscuro  e  che  ora  sia  ben 
«  chiaro.  Lo  Spirito  delle  Leggi  ha  appena  qualche  nota  da  un  solo 
«  commentatore   ". 

«  San  Tomaso  d'Aquino  »  (prosegue)  «  seguì  le  tracce  di  Pietro 
«  Lombardo....  Questa  nuova  teologia  consisteva  in  darle  un  metodo 
a  dialettico....  La  teologia  chiamò  in  suo  soccorso  la  dialettica  ara- 
«  bica  e  aristotelica;  tutto  si  volle  ridurre  ad  un  metodo  logicale 
«  e  spiegare  i  miracoli  e  la  dottrina  colla  debole  forza  della  ra- 
«  gione.  Questo  divenne  un  gran  mostro....  La  filosofia,  e  la  teologia 
«  si  diedero  in  tal  guisa  la  mano,  consorzio  pericoloso,  che  sempre 
a  ha  turbato  la  letteratura....  ». 

Altrove  scrive:  «  Famosa  è  fra  le  altre  la  questione  dei  no- 
«  minali  e  dei  reali.  Sostenevano  i  nominali  che  gli  universali  si 
«  formano  dopo  la  esistenza  del  soggetto,  colla  mente  e  col  pen- 
«  siero.  I  reali  dicevano  che  gli  universali  esistono  nel  soggetto 
u  stesso.  Sono  sublimi  questioni....  Quando  i  pazzi  sono  molti  di- 
«  vengono  rispettabilissimi....   »». 

I  filosofi  eterodossi  sono  trattati  anche  peggio.  Pompohaccio  e 
Cremonino  Ferrarese,  di  lui  contemporaneo,  ebbero  «  lo  stesso  de- 
«  lirio  di  essere  empii  non  tanto  per  irreligione  quanto  per  cre- 
«  dulità  alle  opinioni  di  Aristotile  ».  Giordano  Bruno  «  è  un  fre- 
«  netico  che  scrive  »  ;  egli  e  Gerolamo  Cardano  «  si  eressero  in 
«  riformatori  degli  studii  per  rendere  spregevoli  così  utili  sforzi  ». 
«  Tomaso  Campanella  è  da  riporsi  nel  numero  di  questi  uomini 
«  singolari."  Si  predicava  al  profeta  ed  al  Messia....  Sembravano 
«  ritornati  in  Italia  i  tempi  dei  greci  filosofi.  Con  sedizioni,  tumulti, 
«  entusiasmi,  stranezze,  delirii,  lo  spirito  umano  faceva  degli  sforzi 
«  più  che  dei  progressi.  Egli  era  in  rivoluzione  ». 

Ma  finalmente,  in  epoca  di  poco  anteriore  alla  sua,  il  V.  trova 
anche  nella  filosofia  italiana  Tuomo  di  genio.  «  Abbiamo  avuto  in 
«  questo  secolo  un  grande  uomo  il  cui  nome  non  è  così  celebre  quanto 
«  meriterebbe.  Questo  è  Giambattista  Vico,  napoletano,  autore  della 
«  Scienza  nuova.  La  oscurità,  la  stranezza  dei  vocaboli,  con  cui  è 
a  scritta  quest'opera  ha  respinto  i  lettori.  Egli  imprende  non  meno 
«  che  di  far  la  vita  del  genere  umano,  di  spiegare  come  l'uomo  si 
«  unisca  in  società,  come  in  lui  nascessero  le  idee  religiose  e  mo- 
«  rali,  quali  siano  i  principii  della  legislazione,  per  quali  gradi  prò- 


un'opera  inedita  di  alessnndro  vkrri,  ecc.  139 

«  grediscano  le  nazioni  alla  coltura,  per  quali  ritornino  nella  bar- 
«  barie.  Libro  pieno  di  vaste  e  sublimi  idee,  di  ben  collocata  e 
«  profonda  erudizione.  Non  so  se  l'Italia  abbia  avuto  prima  di  lui 
il  un  così  gran  pensatore.  Non  si  può  dare  esatta  idea  del  suo  libro; 
«  bisogna  leggerlo.  Quel  gran  filosofo  sentiva  più  che  non  vedeva 
«  gli  oggetti;  aveva  delle  vaste  idee  e  balbettava  nell'esprimerle. 
«  La  sua  opera  può  farne  nascere  altre  mille  migliori  di  lei  ». 

Questo  giudizio  pare  possa  chiudere  degnamente  la  nostra  ras- 
segna. Le  citazioni  fatte  bastano  a  rivelarci  la  mente  di  Alessandro 
Verri,  quale  si  era  formata  nella  sua  studiosa  gioventù  e  nel  con- 
tatto degli  amici  che  avevano  creato  una  scuola  gloriosa  di  pensa- 
tori lombardi. 

Infatti  negli  articoli  del  Caffè,  e  non  nei  soli  di  Alessandro,  ma 
anche  in  quelli  di  Pietro,  si  trovano  tracce  delle  idee  svolte  nella 
Storia,  ma  non  quante  si  potrebbe  supporre,  il  che  cresce  merito 
di  originalità  ad  Alessandro,  che,  a  breve  distanza,  sapeva  tra- 
sformarle, completarle  e  volgere  a  nuovi  pensieri  la  mente.  Una 
sentenza  però,  tratta  da  un  suo  scritto  in  quel  celebre  giornale, 
potrebbe  porsi  come  epigrafe  alla  Storia:  «  Le  verità  politiche 
«  come  le  fisiche  sofi'rono  più  danno  da  chi  le  ha  volute  genera- 
«  lizzare  e  ridurre  a  sistema,  che  da  chi  con  idee  meno  vaste,  ma 
"  più  sicure  le  analizzò  nei  loro  particolari  »>.  Da  questa  sentenza 
deriva  la  modernità  del  suo  pensiero,  ma  deriva  anche  la  mancanza 
di  una  fede  robusta  che  tolse  efficacia  alla  sua  azione  nella  vita  e 
deriva  altresì  la  incessante  auto-critica  analitica  intorno  alla  stessa 
sua  Storia,  che  gli  procurò  le  prime  esitazioni  e  ne  determinò  final- 
mente l'abbandono. 

La  sua  pubblicazione  potrebbe  anche  oggi  essere  accolta  favo- 
revolmente dagli  studiosi,  più  però  come  documento  storico,  che  come 
storia;  ma  potrebbe  specialmente  essere  molto  efficace,  come  stimolo 
ed  esempio  a  dettar  libri  di  storia  da  leggersi  comunemente  con  pia- 
cere e  con  frutto,  cosicché  concludendo  ne  direi  quanto  il  suo  autore 
disse  del  Vico:    «  La  sua  opera  può  farne  nascere    altre  migliori 

«  di  lei  w. 

Emanuele  Greppi. 


VARIETÀ 


Per  la  storia  artistica  della  chiesa  di  S.  Satiro 

in  Milano. 

(SPIGOLATURE  D'ARCHIVIO). 

AGENDO  recentemente,  nell'Archivio  nostro  di  Stato,  al- 
cune ricerche  sui  pittori  che  hanno  lavorato  nelle  chiese 
milanesi,  ho  avuto  opportunità  di  rinvenire  alcuni  docu- 
menti sulla  fabbrica  e  su  opere  d'arte  dell'antica  chiesa 
di  S.  Satiro.  Benché  slegati  fra  loro  penso  sia  utile  ;  data  la  po- 
vertà di  notizie  sicure  e  documentate  su  quell'antica  chiesa,  che 
è  fra  le  più  belle  d'Italia;  di  renderli  noti,  quale  modesto  contri- 
buto ad  una  futura  illustrazione  del  tempio. 

Francesco  Malaguzzi  Valeri.      • 

•     DOCUMENTI 


I. 

Inventario  degli  oggetti  del  rettore  della  chiesa  di  San 
Satiro  del  1476. 

I4^6. 

Haec  est  descriptio  honorum  relictorum  per  dominum  Christophorum 
de  Grassis  rectorem  ecclesie  Sancti  Satani  Mediolani  et  ordinarium  ec- 
clesie Mediolani  facta  per  dominum  Johannem  de  Imperialibus  sub  diebus 
dominico  et  lune  xxi  et  xxij  Julij  Mcccclxxvj. 

Imprimis  soto  il  porticho  cadrighe  tre  da  Raina 
Item  credenza  una 
Item  payra  ij  de  trespede 
Item  tavole  nj 


VARIETÀ  141 

Item  marna  j 
Item  mexa  r 

Item  una  altra  credenza 

Item  uno  schagno  rotondo  ramato 

Item  archabancho  uno  vegio 

Item  uno  altro  archabancho  cum  tovalia  una  de  braza  iij  vel 
cìrcha 

Item  cribieto  uno  perferoto  (sic)  de  lottono 

Item  una  altra  credenza  granda  cum  certi  taglieri  et  gratirola  dua 

Item  Cavali  ij  (o  caneli  ?) 

Item  Schachera  j 

Item  certa  quantitade  de  legne 

Item  sidella  una 
Item  in  camera  ubi  dormiebat   prefatus  dominus   presbiter  Christophe- 
rus  in  soUario 

Item  uno  capsono  in  el  quale  era  una  bazilleta  de  lottono  cum 
certe  scripte  dentro. 

Item  capseta  una  de  piumbo  cum  certe  relequie  intro 

Item  una  altra  capseta  de  marmoro    cum  certe  relequie  intro 

Item  uno  Prospero  in  carta 

Item  uno  libro  confessionario  in  carta 

Item  breviario  uno  pizenino 

Item  payra  ij  de  candire  de  ararne. 

-Item  cestellum  unum  cum  certe  bolle  dentro. 

Item  bussere  ij  cum  certe  geme  dentro. 

Item  una  nostra  dona  de  marmoro 

Item  ofììtiolo  uno 

Item  ace  xxvj  de  filo 

Item  una  baxleta  piena  de  scripture 

Item  bussole  ij  cum  certe  relequie  dentro 

Item  tella  una  de  linzolo 

Item  zornia  una  turchina 

Item  zupono  uno  rosso 

Item  zornia  una  rossa 

Item  paniti  ij  novi  cum  una  barreta  rossa 

Item  una  altra  capsa  unde  he  certe  schatole  cum  certi  ferra- 
menti intus  et  altre  cosse. 

Item  uno  altro  cassone  voio 

Item  uno  altro  cassono  in  el  quale  he  sacheta  una  rossa  cum 
certe  franze  et  cerrate  dentro 

Item  sacheta  una  biancha  in  la  quale  he  una  preda  negra  faciata 
cum  uno  pario  de  scharpe  da  Vescho  et  parlo  uno  de  calze  de  sen- 
dale  rosso. 

Item  una  altra  sacheta  biancha  in  la  quale  he  sacheta  una  in  la 
quale  son  certe  geme  et  altre  cosse. 

Item  uno  bazile  de  ararne. 


142  VARIETÀ 

Item  in  la  camera  apresso  a  la  camera  donde  dormiva  tavola  una  cum 
payro  uno  de  trispede  de  acupresso  quam  Géorgio  da  Verano  dixe 
essere  sua. 

Item  banche  ij 

Item  schragni  ij 

Item  [tre]spedi  de  ferro  da  resto 

Item  tripè  j  alto  de  ferro 

Item  una  credenza  vegia 

Item  credexella  una 

Item  cadrega  una  ramada 

Item  lettera  una  cum  una  fodra  et  uno  piumazo 
Item  in  la  lobieta  capsono  uno  vegio  cum  langi  (lamegi?)  ij 

Item  in  capsa  una  super  lobieta  uno   pocho   de  brochato  d'oro 

Item  una  pianeda  de  fustagno  biancho 

Item  uno  camexe  biancho 

Item  una  tovalia  da  altare  lavorata  da  rosso 

Item  guardanapa  una  lavorata  de  cillestro 

Item  uno  vestito  mesgio 
Item  in  uno  spazachà  su  la  lobieta  panere  ij 

Item  uno  libro  da  Raxone  el  quale  dixe  Johannepedro  da  Campo 
essere  so. 
Item  in  la  caneva  una  coldera  et  testo  uno  de  arame. 

Item  payro  j  de  bardene 

Item  Socarda  (?)  una. 

Item  vasie  iij   da    vino,  uno  de  tenuta  de   br.  viiij®;   l'altro  de 
brente  viij  et  l'altro  de  brente  vj 

Item  uno  vassello  de  axeo  pieno  de  tenuta  de  br.  iiij* 

Item  vaseli  ij  pieni  de  aceto  de  tenuta  de  br.  3  vel  circha. 

Item  vassello  uno  de  vino  biancho  de  tenuta  de  brente  ij  pieno 

Item  segiono  uno 

Item  vasseleti  iij  d'agresto  de  tenuta   de    uno    stare   per    zes- 
chadunq. 

Item  armayro  uno 

Item  calestre  xij  da  vino 

Item  fiaschi  ij  rutti 
Item  la  giexa  in  la  prima  capsa  da  man  sinestra  tre  prede  sacrate 

Item  paxa  una  da  rechalcho 

Item  tabernachulo  uno 

Item  capsa  una  cum  uno  calice  de  argento 

Item  payra  ij  de  corpore 

Item  camexe  uno 

Item  una  pianeta  fornita 

Item  missale  uno  in  carta 

Item  uno  altro  payro  de  Corporale 
In  la  secunda  capseta  capsa  una  cum  certis  reliquiis  intus 

Item  schatula  una  cum  più  reliquij  dentro 


VARIEIA 


143 


Item  capseta  una  de  legno  cum  più  reliquij  dentro 

Item  uno  putto  de  rechalcho 

Item  una  stolla  da  vescho 

Item  cortelini  ij  cum  vagini  iij  fornite  de  argento 

Item  coppa  una  de  argento 

Item  manti  xxviij  et  tovalie  v 

Item  tascha  una  cum  certe  scripture  dentro 

Item  uno  libro  da  Luna 
In  la  terza  capseta  una  sacheta  cum  fiodregete  ij  da  cossini  dentro 

Item  panixeli  irj 

Item  barrete  v  negre  et  una  rossa  et  una  altra  barrete 

Item  barrete  ij  grande  de  bruna 

Item  camere  uno  cum  certe  scripture  dentro 

Item  cavezolo  uno  de  pano  de  lino  br.  x  vel  circha 

Item  copertorio  uno 
In  la  quarta  capsa  mantello  uno  de  zamboloto  cum  uno  capuzo 

Item  uno  oltro  mantello  de  zamboloto  truchino  (sic)  cum  il  ca- 
puzo de  pano  truchino 

Item  uno  vestito  de  zamboloto  cilleslro  fodrato  de  pranze 

Item  uno  sellerò 

Item  uno  mantello  de  zambolloto  cillestro  foderato  de  pano 

Item  banchali  iij  frusti 

Item  capuzo  uno  barretino  foderato  de  sandale 
Item  in  la  capsa  prima  in  giexa  da  man  dritta  piattello  uno  grande  et 
quadreti  iij 

Item  una  sacheta  cum  giape  ij  de  veluto  cremexile 

Item  panixello  uno  da  reno  laborato  doro 

Item  manti  iiij*  laborati  doro 

Item  uno  fornimento  d'una  pianeda  laborato  doro  et  molte  altre 
cosse  in  la  dieta  sacheta 

Item  coverto  uno  frusto  de  mezza  lana 

Item  covertura  una  laborata  de  aqua  forte 
In  la  seconda  capsa  tovalie  iiij°  et  mantili  xnij"  et  palij  xij 

Item  dalmadege  ij  et  pianea  j  de  bambaxina 

Item  una  altra  pianea  de  sendale 
In  la  terza  capsa  pagni  ij  uno  rosso  e  laltro  negro  mantili  ij 

Item  payro  duo 

Item  pianea  una  et  uno  camexe 

Item  uno  messale 

Item  uno  libro  da  Canto 
Item  super  altare  croxe  una  granda 

Item  una  pezenina 

Item  uno  tabernachulo  cum  la  testa  de   sancta  Barbara  dentro 
Item  in  camera  scriptarum  capsono  uno  in  el  quale  sono  pianeda  j*  de 
cremexille  cum  le  Montagne  cum  li  so  fornimenti 

Item  cotte  ij 


J 


144  VARIETÀ 

Item  cavezo  de  tella 
Item  certe  scripture  dentro 

Item  libro  uno  grando  da  Canto  in  carta  cum  li  giovi 
Item  libri  xviij  da  Canto  diversarum  manerierum 
Item  uno  altro  capsono  cum  cilastreli  vj  de  eira  biancha. 
Item  uno  candire  grande  de  lottono 
Item  valixa  una 
Item  rexega  una 
Item  schachera  una 
Item  payra  ij  de  speroni 
Item  sedelino  uno  rotto 
Item  una  figura  de  nostra  dona  de  preda 
Item  una  cadrega  da  Rama 
Item  cossini  nj  da  giexa 

Item  pianede  ij  una  lavorada  doro  e  laltra  gialda 
Item  piviale  uno  de  seda  biancha. 
Item  una  altra  pianeda  cum  le  j^roxe  doro 
Item  una  binda 

Item  payra  ij  de  bolge  et  una  piena  de  scripture 
Item  una  lectera  cum  una  bancha  vegia 
Item  uno  bazil  de  lottono 
Item  tre  cossini 

Item  una  campana  et  uno  campanino 
Item  fornimento  de  una  croxe  da  rechalcho  pezi  vuij^ 
Item  assa  una  piena  de  diverse  scripture  et  libri 
Item  torgielo  uno 
Item  canuroli  ij  pieni  de  scripture 
Item  stagnino  uno  de  lottono 
Item  bazira  una  granda  et  una  pizenina. 
Item  ole  una  granda  et  laltra  pezenina 
Item  forexe  uno 
Item  in  la  camera  unde  dormive  el  prefato  d.  Christoforo  Grasso  cam- 
panino  uno  et  molte  altre  scripture. 
Item  pexa  una  da  duchati...  (sic) 
Item  in  capsono  uno  cotta  una 
Item  una  altra  cotta 
Item  barrete  iij 
Item  camixa  una  dagipto  (sie) 
Item  tovalia  una  da  br.  v 
Item  sugaro  uno  de  braza  iij 
Item  capuzo  uno  de  saya  de  bruna 
Item  aze  ij  de  filo 

Item  in  capsono  alio  croxeta  una  da  rechalcho 
Item  tabernachulo  uno  de  legno 
Item  corporali  iij 
Item  pìanea  una  de  veluto  cellestro  cum  uno  camexe 


VARIETÀ  145 

Item  una  tovalia 

Item  uno  sugaman 

Item  paniti  v 

Item  mantile  uno  da  altare 

Item  paniti  iij  et  arete  (?)  iij 

Item  mantile  uno  da  altare 

Item  capzelo  uno  negro 

Item  ferro  uno  longo 

Item  campanino  uno 
Item  in  el  schrigno  che  su  la  lobia  certa  quantitade  de  ferramenti 
In  la  camera  suo  (sic)  uno  lecto  cum  uno  lenzolo  una  tavola  cum  uno  tape. 
Ili  la  credenza  eh' è  soto  el  porticho  padelle  ij  una  nova  et  una  vegia 
rotta  padellino  uno  pizenino  cadena  j  da  fogo   payro    uno  de  bar- 
dene  et  multe  altre  ferramenti  et  in  notabele  quantitade 

Item  tenaie  viiij  da  frixura 

Item  payro  uno  de  marteli 

Item  uxeli  vij  da  fuxina. 

Et  que  quidem  descriptio  facta  fuit  in  presentia  domini  Cristhophori 
de  Vicecomitibus  filij  quondam  Spectabilis  Millitis  domini  Bartholomei 
Vincentij  de  Gallinis  filij  quondam  domini  Jacobi  Damiani  de  Novaria 
filij  quondam  Magistri  Johannis  Johannis  Marci  de  Medda  Anziani  Do- 
menici de  Busso  filij  Ambrosij  omnibus  vicinorum  et  parochianorum 
diete  Ecclesie  Sancti  Satari  Mediolani 

Ego  Antonius  de  Baxilicapetri  publi- 
cus  imperiali  auctoritate  Curieque 
Archiepiscopalis  notarius  et  pre- 
fati domini  Economi  Canzelarius 
predictam  descriptionem  scripsi  et 
subscripsi. 

(Sezione  storica,  Milano,  Culto:  Monasteri,  ecc.,  5.  Satiro). 


II. 

La  Cappella  di  Santa  Barbara  in  S.  Satiro. 

Illustrissimi  Principes.  Li  fidelissimi  servitori  vicini  di  la  parochia 
de  sancto  Sattaro  di  questa  Vostra  Citate  de  Milano  fano  intendere  a 
la  Eccellentia  Vostra  qualiter  in  essa  Ecclesia  è  una  vostra  ducale  Ca- 
pella  fondata  sotto  il  vocabolo  di  Sancta  Barbara  et  dotata  di  I3  quale 
è  Capellano  presente  Jacobo  de  la  Cruce.  Et  sicut  iam  uno  mense  che 
è  venuto  lo  dicto  Capellano  non  gli  è  unqua  celebrato  missa  ne  etiam 
in  altri  mesi  circa  quatro  passati,  in  admiratione  de  molti,  però  che  non 

Arch.  Sior.  Lomb.,  Anno  XXXII.  Fase.  V.  io 


146  VARIETÀ 

gli  pare  conveniente  né  comportabile  che  quello  Capellano   debia  gau- 
dere  la  intrata  dotale,  et  non  benefitiarla. 

Qua  de  re  fi  supplicato  humiliter  per  li  dicti  vicini  che  se  degnano 
le  Signorie  Vostre  provedere  a  tanto  manchamento  non  comportando 
che  la  dota  se  golda  et  non  se  facia  il  dovero  ih  beneficiare  la  dieta 
Capella  come  se  debe,  et  si  è  creduto  essere  di  vostra  bona  intentione. 

Fuori:  Supplicatio  Vicinorum  parochie  Sancti  Sattari  Mediolani. 

(Sezione  storica,  Vicende  di  comuni.  Milano,  Culto:  chiese,  mo- 
nasteri, S.  Satiro,  sec.  XV). 


III. 
Una  Cappella  ducale  in  S.  Satiro. 

Illustrissimi  Principes.  Esendo  za  per  spatio  de  anni  xlj  vel  circa 
che  la  felice  memoria  de  la  Illustrissima  Madonna  Biancha  duchesa  de 
Milano  vostra  ava  dete  una  capela  construta  in  la  giesia  de  Sancto 
Setero  {sic)  al  vostro  fedelissimo  servitore  et  horatore  de  Dio  preto 
Jachobo  da  Croce,  qual  fu  fiolo  de  una  servetrice  de  Sua  S.  per  spatio 
de  anni  più  de  vinti,  et  sempre  ha  habuto  li  paramenti  de  dieta  capela 
a  suo  piacemento  per  potere  celebrare  mesa  et  da  uno  poco  tempo  in 
qua  Tè  zonto  una  grandissima  devocione  a  dieta  giesia  et  a  dicto  ca- 
pelano  per  honore  de  dieta  capela  et  per  che  li  concorre  tuto  Milano 
volea  tenere  dicto  altare  hornato  per  honoro  de  V.  S.  quali  sono  pa- 
troni de  dieta  capela,  s'è  asaltato  una  eerta  congregatione  et  non  gè 
voleveno  lasare  tore  li  dicti  paramenti  per  non  volere  lassare  celebrare 
et  questa  matina  el  dicto  capelano  l'è  handato  per  celebrare  mesa  ala 
dieta  capella  li  è  stato  vedato  logava  (sic)  de  dicti  paramenti  e  lui  ha  roto 
una  cassa  dove  beri  [sic)  drento  dicti  paramenti.  E  così  lo  caseto  l'è 
roto,  quali  ho  serito  a  fare  hordinare  a  soy  spese  e  fare  lo  debito  suo 
a  dieta  capela. 

Prego  la  V.  S.  se  degno  (sic)  scrivere  al  Vicario  de  Monsignore 
arcivescho  che  manda  per  li  procuratori  de  prochiano  [sic)  de  Sancto 
Setero  e  per  quella  congregatione  se  li  astringa  a  dare  dicti  paramenti 
al  dicto  capellano  et  che  al  possa  dire  et  fare  dire  mesa  a  quilli  che 
volono  celebrare  mesa  e  questo  è  per  honoro  de  V.  S.  qualH  siti  pa- 
troni, a  le  quale  continue  s'aricomanda. 

Fuori:  Supplicatio  presbiteri  Jacobi  de  la  Cruce. 

(Sezione  storica,  Vicende  di  comuni.  Milano,  Culto:  chiese,  mo- 
nasteri, S.  Satiro,  sec.  XV). 


VARIETÀ  147 


IV. 


Note  d'arte  e  oGGETTr  artistici  in  S.  Satiro. 

Za  «  Santa  Barbara  »  del    RoltrafRo  (1509).  —    I^* altare    «  della   Pietà  ».    — 

Porte  minori  della  chiesa.  —  I^a  cappella  di  Santa  Caterina.    —  I,avoTi 

eseguiti  da  Cristoforo  da  Birago   «  lapicida  ».    —   Pagamenti  al   pittore 

'     Ambrogio  da  Possano.    -  Modello  della  facciata.    (1487).   —   Figure  in 

cotto  levate  dal  tiburio. 

Da  un  fascicolo  di  note  di  spese  e  di  ricordi  dal  1502  al  1550 
dell'antica  Congregazione  di  S.  Maria  di  S.  Satiro  (R.  Archivio  di 
Stato  di  Milano,  Fondo  di  Religione,  Cause  Pie,  Milano:  Santa 
Maria  presso  S.  Satiro)  tolgo  i  più  notevoli  accenni  relativi  a  cose 
d'arte  : 

e.  I,  v.  n.  n.:  MDII.  Notta  che  a  di  27  de  octobre  de  l'ano  supra- 
scripto  fu  concluso  nel  Capitolo  et  ne  la  Congregatione  del  Priore  et 
scolari  de  domina  santa  Maria  de  Santo  Satiro  de  Milano  che  se  dovesse 
fare  dipingere  per  maestro  Johanne  Antonio  Boltraffio  dipintore  de 
Milano  suso  una  tavola  una  figura  de  sancta  Barbara  per  essere  posta 
a  lo  altare  de  suprascripta  sancta  posto  ne  la  suprascripta  giesia  per 
honore  de  dieta  sancta  et  delo  altare:  et  ala  dita  conglusione  sono  pre- 
senti li  infrascritti  come  de  sotto  quali  tuti  fumo  contenti  de  dita  con- 
clusione. 

In  prima  Domino  Filipo  da  Raynoldi  Priore  de  dieta  scola 
Domino  Gallo  Resta 
Domino  Gasparo  Codega 
Domino  Maffeo  de  Valnexia 
Domino  Antogniotto  da  Meda 
Domino  Caldino  da  Seregnio 
Domino  Lelio  da  Valle 
Domino  Angustino  da  Brasgo 
Domino  Leonelo  del  Conte 
Domino  Nicolò  da  Gerenzano. 

e.  2,  r:  Al  nome  de  Dio  adì  9  aprili  1507.  Noeta  che  adì  suprascripto 
s'è  ordinato  in  Congregatione  che  el  se  voglia  fare  le  infrascripte  cose, 
videlicet: 

Item  fare  ornare  lo  altare  de  la  Pietà. 
Item  vendere  una  anchona  vegia. 

Item  fare  mettere  lo  aramo  sopra  ala  volta  de  la  giexa. 
Item  fare  la  capela  de  D.  Nicolò  de   Gerenzano    per  tore  uno 
loco  per  metere  lo  corpus  domini 
{Omissis) 


148  VARIETÀ 

id.:  Adì  II  Zugno 

Noeta  che  adì  suprascripto  s'è  ordinato  in  Congregatione  che  el  se  volia 
fare  le  infra  scripte  cosse  videlicet: 

Iteni  che  el  se  volia  fare  una  protesta  de  le  finestre  et  uscie  (sic) 
che  guardano  sopra  antido  seu  o  Corte  (i)  de  la  scola  de  Madonna 
Santa  Maria  de  Sancto  Satiro  facti  a  nome  de  D.  Andrea  de  Arexijo 
seu  a  nome  de  altre  in  posto  a  D.  Antonio  da  Medda  e  a  D.  Bernar- 
dino da  Cornerò  et  dicto  uscio  che  el  sia  facto  con  doue  sarradure  zoè 
■una  de  dentro  et  una  de  fora. 

e.  6  V.:  Ihesus  Maria  1514  adì  29  Genaro.  Notta  de  la  ordinatione 
facta  per  li  diputati  seu  scolari  de  la  nostra  scolla  de  Sancta  Maria  de 
Sancto  Satiro  ha  stabelito  e  ordinato  per  fare  una  porta  appresso  a  lo 
altare  de  la  Pietà  simile  a  quelo  ch'è  facto  appresso  ala  porta  che  va 
al  malcantono.  Dieta  ordinaiione  è  facta  da  eomissione  e  consentimento 
de  li  infra  seripti  videiicet: 

D.  Bernardo  Carpano 

D.  Gallo  Resta 

D.  Leonardo  da  Hoxijo 

D.  Lelio  de  Val 

D.  Ambrosio  da  Vimercato  • 

D.  Bernardino  da  Corneno 

D.  Gaspar  Codica 

D.  Antoniotto  da  Medda 

D,  Dionisio  da  Roxa 

D.  Filipo  Rinoldo. 

e.  7,  r.:  1514.  Notta  adì  29  Genaro  è  messo  a  lo  incanto  per  fare  la 
porta  appresso  alo  altare  de  la  Pietà  per  farla  similli  {sic)  a  quella  ch'è 
fata  de  presente  appresso  a  quela  che  va  al  malcantono  ne  la  giexia 
de  nostra  Dona  dagando  li  scolari  quelo  marmoro  bastardo  che  ha  li 
dicti  scolari. 

Adì  29  Ginaro  1514  ha  comparso  in  capitulo  Magistro  Jo.  Antonio 
de  Hogioni  p.  h.  p.  Sancto  Mabillo  e  a  havocato  la  dieta  porta  dagando 
li  scolari  lo  dito  marmoro  bastardo  et  non  altro  cossa  alchuna  salvo 
dagando  al  dicto  magistro  Jo.  Antonio  per  la  dieta  porta  L.  trexento 
sive  L.  300  e  darghe  la  fuxina  pientata  e  lo  dicto  Magistro  promette  de 
comenzare  e  fornire  in  termino  de  mexi  6  et  darà  sigurtà  de  tuto  quelo 
che  po'  inportare  lo  precio  del  tuto  de  dita  porta. 

e.  II,  r.  :  1517.  Richordo  come  questo  di  14  de  Septembre  D.  Am- 
broxio  de  Vimercato  priore,  D.  Jo.  Lucha  da  Cavenago,  D.  Marcho  Caymo 
D.  Bernardo  Carpano,  D.  Michele  Toxo  et  Bernardo   da   Meda   hanno 


(i)  Forse:  andito  seu  corte. 


VARIETÀ  149 

concluso  de  mandare  in  montagna  per  lo  marmoro  biancho,  rosso  et 
negro  et  tra  lori  sono  resolti  de  andare  D.  Marcho  Caymo  et  lo  fatore 
et  a  lori  li  hanno  data  ampia  et  larga  commissione  de  tore  tuto  quelo 
bisogna. 

e.  12,  V.:  Adì  primo  de  Zenaro  1518. 

Item  li  suprascripti  scholari  hanno  comisso  a  domino  Bernardo 
Carpano  habia  lui  cura  de  li  magistri  a  farli  lavorare. 

Item  die  3  Januarij  d.  lo  priore  d.  Bernardo  da  Corneno  d.  Liono 
del  Conte  et  d.  Michele  toxo  et  lo  magnifico  d.  Baptista  di  Negri  hanno 
ordinato  se  dacha  (sic)  a  Jo.  Angelo  Picaprede  s.  30  in  sino  a  s.  40 
sopra  al  marmoro  ch'è  a  Como. 

e.  14,  r.:  1518....  De  mandare  a  Mussio  li  magistri  a  tore  le  prede 
de  le  sepolture  et  mandare  a  Milano. 

e.  14,  V.:  1518.  Ricordo  chomo  questo  di  12  de  Augusto  li  infra- 
scripti  scholari  sono  congregatti  a  fare  la  infrascripta  ordinatione  D.  Ber- 
nardo da  Meda  priore,  d.  Jo.  Lucha  da  Cavenagho,  d.  Antognotto  de 
Meda,  domino  Ambrosio  da  Vimercato,  d.  Lionelo  da  Oxio,  d.  Michele 
Toxo  et  domino  Bernardino  de  Corneno 

hanno  deliberato  a  maestro  Mariotto  et  a  maestro  Cristoforo  de 
Birago  pichaprede  la  porta  quale  se  ha  a  fare  per  L.  250  dachando  (sic) 
ben  fatto  secondo  la  porta  et  medio  de  l'altra  porta  fatta  et  fazendo 
de  meglio  Tanno  remisso  a  d.  Ambrosio  de  Vimercato  et  tuto  quelo 
comandarà  de  sopra  più  che  li  scholari  soni  (sic)  a  darcheli  senza  al- 
cuna exceptione. 

s.  n.  :  1520.  Richordo  chomo  questo  dì  melcoldì  29  de  febraro  Re- 
verend.mo  (?)  d.  Roffino  vicario  (?)  de  lo  Reverendissimo  Monsignore 
Arcivescovo  de  Milano  ha  consecrato  (?)  la  capela  de  Sancta  Catelina 
constructa  in  la  giexia  de  Santo  Sataro  de  Milano  et  dottata  per  lo 
M.co  dottore  Jacomo  da  Elio  per  L.  250  ogni  anno  sopra  a  un  livelo 
che  giaxe 

s.  n.:  7/2<5  7  Jan. 

Item  ordinant  quod  Thesaurarius  prefate  schole  det  et  solvat  libr. 
quattuor  impr.  ad  ebdomada  Magistro  Cristoforo  de  Birago  lapicide 
prefate  scole  eo  laborante  in  fabricare  pavimentum  sive  solum  prefate 
ecclesie  et  non  aliter.  Et  hoc  ad  bonum  computum  donec  finita  fuerit 
dieta  opera. 

Da  alcune  copie  moderne  raccolte  dal  defunto  archivista  P.  Cos- 
sali,  unite  ai  documenti  originali  nella  citata  busta  in  Sezione  sto- 
rica. Vicende  di  comuni,  Milano,  Culto,  chiese,  ecc.,  e  che  sembran 
tratte  dagli  originali  ritirati  dalla  parrocchia,  si  rilevano,  fra  le  altre, 
queste  notazioni  che  credo  utile  riportare  e  che   si   potranno  con-^ 


I50 


VARIETÀ 


trollare,  quando  sia  possibile  rintracciarle  e  averne  visione,  con  gli 
originali  relativi  : 

In  una  nota  delle  spese  di  fabbrica  e  degli  artisti  del  sec.  XV  (riti- 
rata dal  parroco  nel  1858)  si  legge  :  17  Agosto.  Conto  a  M.®  Amb.®  Pos- 
sano d.o  Borgognono  Pentore  L.  50 

Nel  1487  si  pagavano  per  opere  fatte  a  Maestro  Dominico  da  Roxa, 
ad  Antonio  da  Lomazzo  ed  a  M.o  Filippo  da  Pozo,  a  M  0  Bartholomeo 
legnamaro  per  braccia  VII  de  asse  per  fare  una  tabula  del  desegno  de 
la  Fazada  L.  Ili,  sol.  x. 

A  Dona  da  Lona  per  opere  4 s. .  . .  (sic) 

A  Cristoforo  Panietti  (o  Panicelo)  per  opere  4  ...  s. . . . 
.  A  Amb.o  de  farre  (o  da  Cara)  per  opere  6 s. . . . 

A  Ant.o  de  Dexio  per  opere  III  ....  s 

A  M.  Beltramino  da  Moirano  per  opere  4 s 

A  Dona  de  Cux.o  (Cusago  o  Cusano)  per  opere  4 s 

A  Jacopo  de  Pavia  per  opere  5 s. . . . 

A  Tognino  da  Brignano  per  opere  2 s. 

A  Filippo  da  Serra  per  opere  3  (sic) 

A  Zohane  de  Pandino  per  opere  6 

A  Angelo  da  Cirnuscolo  piccaprede  per  opere  i 

A  Ottorino  da  Busti  per  opera  i 

Opera  una  per  fare  coprire  il  tiburìo  sopra  il  coro  L.  —  ?.di  VI 

Per   fare    penze    {sic)   la   banderola   suxo   il    tibureto   suxo    le 
capele  L.  —  ss.dì  xmj 

Per  una  croce  dorata  posta  suxo  il  tiburieto  suxo   le  capelete 
L.  VII ... . 

A  Gabriel  di  Suaroli  per  opere  3 

Al  pentore  per  penze  il  tiburieto  sopra  le  capellete  L.  X 

A  Pedro  del  Monte  di  Brianza  per  opere  5. 

Nel  1521  a  M.ro  Pazino  di  Molli  picapreda  per  parte  di  pagamento  di 
43  medoni  et  piode  da  sepolture  de  marmoro  6  L.  3. 

A  M.ro  Mariotto  picapreda  a  li  suoy  lavoranti  L,  19.12 
A  certi  carradori  per  condotta  marmoro  negro 

1532.  7.0  Giugno.  Gli  scolari  di  S.  Maria  pregano  Messer  Pagano  d'Adda  a 
Vercelli  di  far  fare  un  disegno  di  una  ferrata  da  porsi  all'altare  di  S.ta 
Maria,  simile  a  quello  esistente  in  una  chiesa  di  Vercelli. 

U32-  30  Luglio.  L'ing.  Cristoforo  Lombardo  ingeniero  della  fabbrica 
della  Chiesa  maggiore,  stima  il  solo  di  marmoro  bianco  e  negro  fatto 
in  S.  Satero  da  Magistro  Cristoforo  dicto  lo  Abraichino. 

ISSI'  22  Luglio,  Contratto  per  fare  il  solo,  sotto  il  tiburio    cioè  dentro 


VARIETÀ 


151 


da  li  pilastri,  di  bianco,  negro  e  giallo  con  M.o  Stefano  de  Osteno  e 
ring.re  suddetto 

jjS^-  ^^  Dicembre.  [Stima  del  detto  ingegnere]. 

1693.  Si  è  fatta  la  balaustrata  di  marmo  lustro  avanti  l'aitar  maggiore 
dove  vi  è  la  miracolosa  Imagine  di  M.  V.  sopra  disegno  dell'  Ing.re  pje- 
trasanta. 

772^.  Si  visita  dall' Ing. re  Gio.  Francesco  Malatesta  la  cupola  di  S.  Maria 
presso  S.  Satiro  ed  opina  che  sieno  levate  le  30  figurine  di  cotto  poste 
in  giro  al  cornicione  di  detta  cupola  come  che  male  assicurate  ed  in 
buona  parte  rotte  e  si  levano. 

1804.  Come  chiesa  monumentale  si  proibisce  dal  governo  ogni  ristau- 
razione  senza  inteUigenza  del  governo. 

1820-1834.  Si  ristaurò  la  cupola  e  l'aitar  maggiore  con  pitture  ed  altro. 

(Ved.  Gazzetta  di  Milano,  5  marzo  e  17  ottobre  1820,  nn.  65  e  291;  e 
1834,  13  novembre,  n.  317)  e  Carteggio. 

1834  circa.  Disegno  di  porta  principale  verso  la  contrada  Falcone  del- 
l'Arch.o  Canonica  regalato  \sic\ 

1832.  Porta  d'ingresso  dalla  parte  della  contrada  della  Lupa,  del- 
l'Arch.o  Vandoni. 

1857.  Scoperta  di  pitture  a  fresco  del  Borgognone  di  cui  il  S.  Rocco 
venduto  alla  Pinacoteca  di  Brera  nel  1868. 

Sec.  XV.   Distinta  della  spesa    fatta   alla   Cappella   di  S.  Satiro  per  la 
somma  di  ducati  2200  per  Bartolomeo  della  Valle,  architetto  ducale. 
1841.  Rotonda  bramantesca.  Ristauri. 


152  VARIETÀ 


Le  séjour  à  Milan  d'Aulo  Giano  Parrasio. 


E  début  du  XVIe  siècle  fut,  en  Italie,  l'àge  d'or  des  pro- 
fesseurs  de  rhétorique.  Aux  grands  érudits  du  XV^  siede, 
qui  étaient  pénétrés  de  l'esprit  de  l'antiquité  classique, 
on  vit  succèder  une  generation  de  pédants  pour  qui  les 
auteurs  anciens  devinrent  une  mine  inépuisable  de  formules  com- 
modes,  de  métaphores,  de  citations,  d'allusions  mythologiques,  pro- 
pres  à  orner  leurs  discours:  la  rhétorique  commenda  d'y  sévir.  Il 
est  vrai  que  ces  pédants  étaient  aussi  des  hommes  violents  et  que- 
relleurs:  on  retrouve  dans  leurs  tirades  ampoulées  l'écho  de  leurs 
haines  personnelles,  et  leurs  «  praelectiones  »  sont  de  véritables 
pamphlets  contre  leurs  ennerais  littéraires. 

C'est  le  cas  pour  celles  d'Aulo  Giano  Parrasio.  Elles  ont  été 
récemment  publiées  (i)  et  fournissent  des  témoignages  fort  curieux 
sur  la  violence  des  polémiques  qui  mirent  alors  aux  prises  les  meil- 
leurs  professeurs  des  écoles  milanaises;  sans  doute,  elles  ne  nié- 
ritent  pas  tonte  confiance,  mais  nous  avons  d'autres  écrits  de  ce 
temps-là  qui  les  complètent  ou  les  réctifient.  En  s'aidant  des  uns  et 
des  autres,  on  peut  écrire  un  chapitre  intéressant  de  l'histoire  des 
universités  italiennes  au  commencement  du  XVI«  siècle:  c'est  ce  que 
j'ai  tàché  de  faire. 


(i)  Cf.  Francesco  Lo  Parco,  Aulo  Giano  Parrasio,  Studio  biografico-critico^ 
à  Vasto,  chez  L.  Anelli,  1899.  Les  discours  et  les  lettres  de  Parrasio  sont  réunis 
dans  un  appendice  qui  occupe  les  pages  115-184:  j'y  ren verrai  sans  cesse  au 
cours  de  ce  travail  et  je  dois,  de  ce  fait,  beaucoup  de  reconnaissance  à  M.  Lo 
Parco.  Cependant  il  me  sera  bien  permis  du  lui  adresser  ici  quelques  critiques. 
En  faisant  un  choix  dans  les  lettres  et  les  discours  de  son  héros,  M.  Lo  Parco 
en  a  parfois  laissé  de  coté  qui  offraient  un  réel  intérét.  Il  a  totalement  ignoré 
un  manuscrit  du  Vatican  qui  contient  d'autres  discours  également  inédits.  Enfin 
il  n*a  pas  toujours  su  tirer  de  ses  documents  tout  le  parti  possible,  J'ai  jugé 
inutile  d'indiquer  tous  les  points  où  je  me  séparé  de  lui,  mais  je  puis  dire  qu'à 
la  première  partie  de  son  livre,  je  ne  dois  presque  rien,  sauf  quelques  citations 
d'ouvrages  antérieurs. 


VARIETÀ  153 


I. 


Aulo  Giano  Parrasio  (i),  originaire  d'une  vieille  famille  de  Ca- 
labre, était  né  en  1470  (2)  et  s'était  de  bonne  heure  fait  une  place 
assez  honorable  dans  le  monde  des  humanistes  napolitains  (3).  Mais 
il  encourut  la  disgràce  du  roi  Frédéric  (4)  et  il  vint  se  fixer  à  Rome; 
il  n'y  devait  rester  que  peu  de  temps.  11  était  le  client  des  Savelli 
et  des  Caétani,  deux  familles  dont  Alexandre  VI  était  l'ennemi  mor- 
tel.  farrasio  faillit  étre  entraìné  dans  leur  ruine.  Heureusement  il 
était  l'ami  de  Tommaso  Inghirami,  le  savant  chanoine  du  Latran; 
Inghirami  ou  Phaeder,  comme  on  l'appelle  plus  souvent,  aurait  in- 
tercéde pour  lui;  mais  Parrasio  crut  plus  sage  de  se  mettre  hors 
de  l'atteinte  du  pape:  il  gagna  la  frontière  et  se  rendit  à  Milan  (5). 

Il  y  arriva  au  début  de  l'année  1499  (6);  tout  de  suite,  il  cher- 
cha  à  s'employer  comme  «  pédagogue  »  et  c'est  ainsi  qu'il  fit,  pour 
son  malheur,  disait-il  plus  tard,  la  connaissance  d'Alessandro  Mi- 
nuziano.  Celui-ci  était  depuis  longtemps  professeur  aux  Ecoles  pa- 
latines  (7);    mais  en  outre  il  dirigeait  à  la  fois  une  librairie  et  un 


(i)  Sur  l'ensemble  de  la  vie  de  Parrasio,  011  pourra  consulter,  outre  Lo  Parco 
le  tra  vai  l  très  copieux  de  Cataldo  Jannellt,  De  vita  et  scriptis  Auli  latti  Par- 
rhasii,  Naples,  1854.  Nous  emprunterons  aussi  plusieurs  renseignements  à  une 
apologie  de  Parrasio  qui  fut  imprimée  en  1505  à  la  suite  de  ses  commentaires  sur 
Claudien.  Nous  en  reparlerons  par  la  suite,  mais  voici  toujours  la  description  du 
volume  en  question.  Au  recto  du  feuillet  de  titre  :  a  CI.  Claudiani  Proser- 
«  pinae  raptus  cum  lani  Parrhasii  commentariis  ab  eo  castigatis  et  auctis  acces- 
«  sione  multarum  rerum  cognitu  dignarum.  Sequitur  Apologia  lani  contra  ob- 
«  trectatores:  per  Furium  Valium  Echinatum  eius  auditorem  ».  A  la  suite  de 
V Apologie,  f .  k  7  v°,  colophon  du  28  aoùt  1505. 

(2)  Parrasio  est  toujours  qualifié  de  «  Consentinus  »,  mais  cela  peut  signi- 
fier  seulement  qu'il  était  des  eavirons  de  Cosenza.  Sur  sa  naissance  en  general, 
cf.  Lo  Parco,  o.  c,  pp.  4-8. 

(3)  CI  ìbid.,  pp.  1 19-123,  le  discours  par  lequel  Parrasio  ouvrit,  à  Naples, 
son  explication  publique  des  Silves  de  Stace. 

(4)  ibid.,  p.  142.  Parrasio  dit,  il  est  vrai  :  «  odio  tyrannidis  patria  cessi  », 
mais  nous  aurons  l'occasion  de  voir  qu'il  ne  faut  pas  se  laisser  prendrc  à  ses  pé- 
riphrases  d'humaniste. 

(5)  Lo  Parco,  o.  c,  p.  30,  note  r,  et  V Apologia,  f .  C  3  v*. 

(6)  Cf.  ibid.,  p.  33. 

(7)  Sur  Minuziano,  cf.  la  notice  de  l'abbé  Guillon,  dans  \q  Journal  de  la  Li- 
brairie, 1820,  pp.  517-320,  551-336,  348-352.  Pour  le  fait  en  question,  voir  à  la 


154  VARIETÀ 

pensionnat;  le  temps  depuis  lequel  il  était  installé  à  Milan,  le  nom- 
bre  et  la  nature  des  ouvrages  sortis  de  ses  presses,  les  relations 
enfili  que  nous  lui  connaissons,  tout  laisse  croire  qu'il  avait  dans 
la  ville  une  situation  considérable  et  que  ses  affaires  marchaient 
fort  bien.  Ce  n'était  pas  qu'il  fùt,  à  proprement  parler,  philologue: 
son  Horace  ou  son  Tite-Live,  par  exemple,  ne  marquent  aucun 
progrès  sur  les  éditions  précédentes  (i).  Mais  cela  lui  importait 
peu;  il  visait  surtout  à  fournir  de  livres  ses  propres  écoliers  et 
éditait  de  préférence  les  auteurs  qu'il  devait  expliquer.  Ainsi  l'école 
faisait  marcher  la  librairie  (2). 

Bien  qu'il  fùt  d'environ  vingt  ans  plus  jeune  que  Minuzi^no, 
Parrasio  lui  était  certainement  supérieur  par  le  talent  et  l'érudition. 
C'était  irne  raison  de  plus  pour  que  Minuziano  cherchàt  à  se  l'at- 
tacher.  Il  le  fit  entrer  chez  lui  comme  «  hypodidascalos  »  ainsi 
qu'on  disait  alors;  Parrasio  devait  le  seconder  dans  ses  fonctions 
de  pédagogue;  mais  il  prétend  que  tout  le  soin  de  l'enseignement 
retombait  sur  lui;  en  méme  temps,  il  travaillait  à  l' imprimerle 
comme  correcteur  (3);  en  échange  de  ses  services,  il  était  logé 
et  nourri  avec  les  pensionnaires  qu'il  devait  instruire;  mais,  à  l'en 
croire,  on  ne  lui  donnait  que  des  viandes  passées,  du  pain  moisi  et 
une  piquette  détestable  (4). 

Pendant  quelques  mois,  Taccord  regna  entre  les  deux  hommes; 
à  deux  reprises,  Parrasio  rendit  méme  à  Minuziano  un  service  assez 


p.  332.  Ces"  écoles  palatines  n'étaient  pas,  à  proprement  parler,  une  université  ; 
l'universìté  du  Milanais  était  à  Pavie  ;  la  fondation  des  écoles  fut  l'oeuvre  de 
Ludovic  le  More;  il  en  est  souvent  question  dans  les  épigrammes  de  Lancinus 
Curtius;  cf.  Lancini  Curtii,  Epigrammaton  libri  decem,  Milan,  1521,  ffs.  30-31 
du  livre  II. 

(i)  L'Horace  est  de  i486;  le  Tite-Live  est  de  1495;  en  1505,  Minuziano  en 
donna  une  réimpression  dont  il  sera  parie  plus  loin. 

(2)  Cf.,  dans  la  notice  de  Guillon,  o  c,  p.  333,  l'avertissement  mis  par 
Minuziano  à  la  fin  de  son  édition  du  de  Oratore. 

(3)  Il  assure  qu'il  collabora  très  activement  à  une  édition  de  Virgile  que 
Minuziano  était  en  train  de  préparer  ;  il  aurait  rétabli  quelques  vers  altérés  de  la 
Ciris  ;  et  c'est  lui  qui  aurait  restitué  à  Donat  la  biographie  de  Virgile  ordinaire- 
ment  attribribuée  a  Servius.  Cf.  Lo  Parco,  o.  c,  p.  36,  note  3,  et  les  Comnien- 
tarii  de  Raptu  Proserp.,  f.  a  i  v°.  Dans  ses  Annales  Typographici,  Panzer  men- 
tionne  une  édition  de  Virgile  parue  chez  Minuziano  en  i504:jen'ai  pu  la  ren- 
contrer. 

(4)  Lo  Parco,  o.  c,  p.  143  :  «  Meum  fuit  illud  in  te  beneficium. .  »,  et 
p.   144  :  «  I  nunc  et  confer  illa  sapidissima  tuceta...  ». 


VARIETÀ  155 

important.  Pour  pi  aire  aux  Mécènes  du  temps  et  les  incliner  à  la 
munificence,  rien  ne  valait  alors  une  pièce  de  vers  latins  bien  tour- 
nés.  Minuziano  le  savait,  mais  hélas!  il  n'était  pas  né  poète:  Par- 
rasio  dut  venir  à  son  secours  et  lui  composer  des  vers;  Minuziano 
les  presenta  comme  siens  à  son  protecteur  et  cela  lui  valut  une 
pension  de  40  écus  d'or  (i).  D'autre  part  il  était  en  butte  aux  cri- 
tiques  et  aux  railleries  d'un  de  ses  collègues  aux  écoles  palatines, 
Emilio  Ferrari  (2).  Celui-ci  l'accusait  d'avoir  «  déchiré,  gate,  bou- 
«  leversé  »  Cicéron  dans  l'édition  qu'il  avait  donnée  de  ses  oeu- 
vres;  il  attaquait  Minuziano  au  cours  de  ses  legons;  il  l'attaquait 
encore  dans  des  épigrammes  qu'il  faisait  afficher  sur  la  grand'place 
de  Milan.  Minuziano  se  trouvait  fort  empéché  d'y  répondre  de  la 
méme  manière:  Parrasio  lui  préta  le  secours  de  sa  Muse  et  le  four- 
nit  d'épigrammes  pour  riposter  à  son  adversaire.  11  fit  mieux  en- 
core, il  vint  au  cours  de  Ferrari  pour  prendre  publiquement  la  dé- 
fense  de  Minuziano;  un  duel  d'éloquence  allait  s'engager  entre  les 
deux  hommes,  mais  il  semble  que  les  partisans  de  Ferrari  empé- 
chèrent  Parrasio  de  parler  (3). 

La  querelle  continua;  mais  maintenant  c'était  pour  son  compte 
que  Parrasio  forgeait  les  épigrammes;   il    s'y  eleva  sans  effort  au 


(1)  Lo  Parco,  p  143  :  «  Quid  quod  mea  opera  liberalitatem  tui  Lysonis  prouo- 
«  casti...  ».  Il  faut  noter  qu'en  un  autre  endroit  (p.  133)  Parrasio  parie  d'Etienne 
Poncher  comme  du  «  successeur  de  Lyson  ».  Or  on  sait  que  Poncher  rempla9a 
comme  chancelier  du  duché  de  Milan  Pierre  de  Sacierges,  évéque  de  Lugon. 
Estce  celuici  qui  est  Lyson?  M.  Léon-G.  Pélissier  me  fait  remarquer  que  pour 
les  Italiens  qui  appelaient  «  Rohano  »  le  cardinal  d'Amboise,  le  nom  de  Lyson 
pourrait  fort  bien  représenter  l'évéque  de  Lucon.  Cf.  infra  la  note  2  de  la 
p.  158. 

Je  dois  faire  une  remarque  generale  à  propos  des  témoignages  que  Parrasio 
fournira  contre  son  adversaire.  C'est  qu'ils  sont  empruntés  à  des  discours  pro- 
noncés  en  public  au  cours  de  la  querelle,  et  devant  un  auditoire  où  les  parti- 
sans de  Minuziano  pouvaient  étre  nombreux.  Parrasio  ne  pouvait  dénaturer  les 
faits  dont  il  parlait  sans  s'exposer  à  étre  contredit  ;  je  pense  donc  qu'en  l'espèce 
son  témoignage  peut  étre  accepté. 

(2)  C'est  ce  Ferrari  qui,  en  1490,  donnait  à  Milan  une  édition  d'Ausone  ; 
cf.  Catal.  des  livres  itnprimés  de  la  Bihlioth.  Nat.,  to.  V,  col.  613.  En  dehors  de 
ce  qui  va  étre  raconté,  on  ne  sait  que  peu  de  chose  sur  son  compte;  Tiraboschi 
lui  consacre  seulement  quelques  lignes.  Cf.  tome  VI,  partie  IP,  de  l'édition  de 
Modène  (1790),  p.  789. 

(5)  Cf.  Apologia,  f.  C  I  r",  et  Lo  Parco,  o.  c,  p.  144.  L'édition  de  Ci- 
céron donnée  par  Minuziano  forme  quatre  volumes  qui  parurent  en  1498-99  ; 
cf.  Maittaire,  Annales   Typographici,  tome  I,  p.  687. 


156  VARIETÀ 

ton  qui  était  de  mise  dans  le  gerire  des  Invectives.  Il  vomit  contre 
ses  adversaires  les  accusations  les  plus  grossières;  il  se  défendit 
contre  celles  dont  on  voulait  l'accabler;  on  l'avait  traité  de  «  mé- 
u  chant  pédagogue  »  ;  il  répondit  fièrement  qu'avant  de  brandir  la 
ferule,  il  avait  manie  l'épée  et  que  de  grands  personnages  de  l'an- 
tiquité  avaient  d'ailleurs  fait  de  méme  (i). 

Gependant  les  Frangais  avaient  reconquis  le  Milanais  et  ve- 
naient  de  rentrer  à  Milan  (2);  en  méme  temps  Ferrari  se  décidait 
à  quitter  la  ville;  dans  un  discours  où  il  attaquait  encore  Minu- 
ziano,  il  laissait  entendre  qu'il  partait  pour  fuir  la  domination 
frangaise.  Parrasio  était  de  ceux  qui  l'avaient  accueillie  avec  joie; 
il  protesta  contre  ces  allusions  dans  une  nouvelle  épigramme  et 
chanta  Page  d'or  que  les  Frangais  venaient  de  ramener  à  Milan:  ce 
fut  le  dernier  épisode  de  la  querelle,  le  départ  de  Ferrari  y  mit 
fin  pour  tout  de  bon  (3). 

L'année  1501  apporta  dans  la  vie  de  Parrasio  plusieurs  chan-, 
gements  heureux.  Chez  Minuziano,  il  avait  eu  comme  élève  le  jeune 
Catelliano  Cotta,  dont  le  pére  était  à  Milan  un  personnage  impor- 
tant.  Catelliano  s'attacha  vite  à  son  maitre  et  voulut  l'avoir  comme 
précepteur.  Parrasio  vint  demeurer  chez  lui;  mais  durant  quelques 
mois,  il  continua,  semble-t-il,  de  faire  la  classe  dans  le  pensionnat 
de  Minuziano  (4).  Puis  il  se  lassa  de  ce  ròle  subalterne  et  quitta 
le  vieux  pédagogue;  à  quel  moment,  nous  ne  saurions  le  dire  au 
juste,  mais  en  1501,  il  semble  uniquement  occupé  de  ses  travaux 
philologiques.  Le  17  avril,  il  obtenait  de  Louis  XII  un  privilège 
pour  l'impression  de  commentaires  sur  le  poème    de    Claudien  de 


(1)  Cf.  l'épigramme  citée  dans  V Apologia,  f.  D  iii  v°:  on  y  verrà  la  vio- 
lence  de  cette  guerre  de  piume.  Les  autres  épigrammes  composées  alors  par  Par- 
rasio ont  été  recueillies  par  Jannelli  aux  pages  188-194  de  son  ouvrage  (Lo  Parco, 
o.  e,  p.  39,  note  3). 

(2)  Avril  1500. 

(3)  Cf.  Apologia,  f .  C  6  v»,  et  Lo  Parco,  o.  c,  p.  39. 

(4)  Cf  la  dédicace  à  Catelliano  Cotta  des  Commentar,  de  Raptu  Proserp.^ 
f.  aa  8  r°  :  «  Quom  multos  omnis  ordinis  aetatisque  discipulos  habeam  moruni 
«  gratia  carissimos  :  noster  in  te  tamen  amor  praecipuus  est.  ».  Plus  loin  (v°) 
Parrasio  dédie  ces  commentaires  à  Cotta  comme  «  pietatis  erga  praeceptorem 
«  tuae...  perpetuum  testimonium  ».  On  peut  compléter  ce  témoignage  par  celui 
de  V Apologia,  f  D  v"  :  «  Habeàs  confessum  reum  :  si  quod  ultimo  loco  ponis 
((  ostendes:  ab  Alexandre  uel  unum  discipulum  abduxisse:  praeter  Catullianum 
«  Cottam  :  cuius  hospitio  lanus  est  usus  Alexandri  permissu  :  nisi  simulata  fuit 
«  eius  oratio  ».  ;  - 


VARIETÀ  157 

Raptu  Proserpinae  (i).  L'ouvrage  flit  imprimée  dans  la  maison 
méme  de  Lucio  Cotta  en  méme  temps  que  le  Carmen  Paschale  de 
Sedulius  et  que  les  poèmes  de  Prudence  (2).  Ces  deux  dernières 
ceuvres  forment  un  autre  volume  qui  fut  dédié  au  Napolitain  Michele 
Rizzi,  un  des  membres  du  nouveau  sénat  de  Milan.  Parrasio  savait 
que  ce  Napolitain  avait  l'oreille  de  Louis  XII  ;  il  glissa  dans  sa  lettre 
de  dédicace  un  éloge  bien  senti  du  roi  de  France:  c'était  sur  les 
Fran^ais  qu'il  fondait  à  présent  tous  ses  espoirs  de  fortune  (3). 

11  n'attendit  pas  longtemps  pour  les  voir  se  réaliser;  le  départ 
d'Emilio  Ferrari  laissait  libre  la  chaire  d'éloquence  des  écoles  pa- 
latines;  Parrasio  la  demanda  et  l'obtint  de  Georges  d'Amboise,  par 
un  acte  du  14  aoùt  1501  (4).  Mais  il  fallait  encore  qu'il  fut  agréé 
par  l'ensemble  du  sénat.  Devant  tous  les  sénateurs  assemblés  et 
les  personnages  les  plus  doctes  de  la  ville,  il  improvisa  une  courte 
harangue  pour  demander  au  sénat  de  ratifier  le  choix  du  cardinal. 
Sans  doute,  il  était  pauvre,  mais  c'était  le  mérite  qu'on  recherchait 
en  lui,  et  non  les  richesses.  11  rappela  qu'à  Rome,  il  avait  déjà 
enseigné  l'éloquence  et  il  promit  de  faire  tous  ses  efforts  pour  que 


(i)  Cf.  la  première  édition  des  Conimentarii  (Biblioth.  Nat.,  Vélins,  562). 
Le  prìvilège  est  reproduit  au  verso  du  dernier  feuillet.  ©'autre  part,  dans  son  Hi- 
storia  typographica  mediolanensis,  Sassi  décrit  un  exemplaire  des  Commentarti  qui 
porterait  le  colophon  suivant:  a  Impressum  Mediolani  In  aedibus  clariss.  Viri  Lucii 
«  Cottae,  pridie  Kal.  sextiles  MDI  dexteritate  Guillelmorum  le  signerre  fratrum  » 
(voir  Sassi,  apud  Argelati,  BibJiotheca  scriptorum  medici anmsium,  to.  I,  par.  I, 
col.  612). 

(2)  Cf.,  à  la  Bibliothèque  Nationale  (Vélins,  2130):  «  Sedulii  Carmen  Pa- 
ce schale.  Aurelii  Prudentii  Poemata  ».  Au  f.  P  6  r°,  le  colophon  suivant:  «  Im- 
w  pressum  Mediolani  sumptibus  lani  :  et  Catelliani  Cottae  :  dexteritate  Guillel- 
«  morum  le  signerre  fratrum  ».  Au  f.  P  ii  v°,  Parrasio  expJique  que  ses  Com- 
mentaires  sur  Claudien  ont  été  imprimés,  à  mesure  qu'il  les  rédigeait,  par  des 
ouvriers  engagés  exprès.  Mais  ceux-ci  allaient  plus  vite  que  lui  en  besogne  :  pour 
les  occuper  il  leur  a  fait  imprimer  en  méme  temps  ces  poèmes  de  Sedulius  et 
de  Prudence. 

(3)  F.  a  ii  r":  «  Ciuilis  et  Pontificii  luris  consultiss.  Insubriaeque  Regio 
«  Senatori  domino  Michaeli  Riccio  Neapolitano  Patricio  lanus  P.  S.  P.  D.  ». 
Au  f.  a  ili  r°,  éloge  de  Louis  Xll:  «  qui...  tuo  Consilio  maximis  in  rebus  utitur  ». 
Ceite  lettre-préface  est  datée  du  13  juin  1501,  Ce  Michele  Rizzi,  à  qui  elle  est 
dediée,  Michel  Riz  pour  les  Fran(;ais,  joua  un  certain  ròle  dans  la  dìplomatie  de 
son  temps;  on  le  voit  par  celles  de  ses  lettres  qui  figurent  dans  le  manuscrit  261 
de  la  collection  Dupuy  ;  nous  retrouverons  son  nom  dans   la   suite  de  ce  récit. 

(4)  Le  diplòme  dans  Lo  Parco,  o.  c,  p.  47,  note  i.  Parrasio  devait  en- 
■seigner  «  cum  solito  salario  ».  D'après  V Apologia,  (f.  B  ii  v°)  ces  appointements 
s'élevaient  à  150  écus  d'or. 


158  VARIETÀ 

les  Milanais  n'eussent  pas  à  se  repentir  de  lui  avoir    confié   leurs 
enfants  (i). 

Il  est  probable  que  Minuziano  n'avait  pas  vu  sans  envie  les 
succès  de  son  ancien  sous-maitre;  nous  avons  dit  qu'il  était  lui- 
méme  professeur  aux  écoles  palatines;  il  se  dit  sans  doute  qu'il 
allait  étre  exposé  à  des  comparaisons  fàcheuses  pour  son  amour- 
propre;  les  élèves  délaisseraient  ses  legons  pour  courir  à  celles  de 
Parrasio;  peut-étre  y  eut-il  aussi  des  raisons  politiques  qui  l'exci- 
tèrent  contre  son  jeune  rivai;  toujours  est-il  que  brusquement  il 
lui  déclara  la  guerre.  Nous  ne  pouvons  dire  avec  précision  com- 
ment  les  hostilités  débutèrent;  voici  pourtant  ce  que  l'on  croit  de- 
viner.  En  pleine  chaire,  Minuziano  se  fit  Taccusateur  de  Parrasio; 
il  dit  les  griefs  qu'il  avait  contre  lui,  raconta  tous  les  bienfaits  dont 
Parrasio  lui  était  redevable  et  lui  reprocha  son  ingratitude;  il  alla 
plus  loin;  si  Parrasio  a  quitte  Naples,  disaitil,  c'est  qu'il  s'y  était 
rendu  coupable  de  meurtre  qualifié  et  qu'il  voulait  échapper  à  la 
justice  de  son  pays.  Quelques  jours  après,  Parrasio  ouvrait  son 
cours:  il  consacra  sa  première  le^on  à  se  défendre  de  ces  attaques. 
On  l'avait  dissuade,  disait-il,  de  répondre  à  Minuziano  sur  le  ton 
injurieux  que  celui-ci  avait  employé,  il  ne  parlerait  donc  pas  de  sa 
vie  privée;  il  laisser^ait  de  coté  ses  meurtres,  ses  vols,  ses  rapines, 
enfin  ses  vices  honteux.  Puis,  comme  entraìné  par  le  tour  de  son 
discours,  il  disait  avec  plus  de  précision  ce  qu'avait  fait  Minuziano  ; 
il  lui  reprochait  d'avoir  servi  d'espion  à  ce  haut  fonctionnaire  qui 
venait  justement  d'étre  condamné  pour  concussion  (2);  il  s'étonnait 

(i)  Lo  Parco,  o.  c,  pp.  137-139. 

(2)  Ibid ,,  o.  e,  p.  142:  «  Hic  est  ille...  qui  nostrum  prae>uleiu,  le- 
ce petundarum  nuper  damnatum,  in  nostras  doraos,  in  nostras  fortunas,  in  no- 
ce stras  ceruices  incitabat,  etc.  ».  Cf.  encore,  p.  133  :  «  Non  est  amplius  uulpi 
ce  locus,...  nusquam  Lysonis  excussor  emissarius,  iacet  cruentus  ille  delator,  in 
c(  ade  linguae  qui  necem  gerebat  ».  Dans  le  premier  de  ces  passages,  Parrasio 
ne  nomme  pas  cet  évéque  dont  Minuziano  se  serait  fait  l'agent,  mais  dans  le  deu- 
xième,  celui-ci  est  nettement  accuse  d'ètre  a  l'espion  et  le  pourvoyeur  de  Lyson  ». 
Le  prélat,  condamné  pour  concussion,  serait  donc  Lyson  lui-méme,  c'est-à-dire, 
très  probablement  (cf.  supra  la  note  i,  p.  155)  Pierre  de  Sacierges,  évèque  de 
Lu^on.  En  attendant  que  des  documents  d'archives  viennent  confirmer  cette  hy- 
pothèse,  voici  encore  une  raìson  qui  me  semble  l'autoriser.  Le  deuxième  des  pas- 
sages cités  vient  immédiatement  après  un  développement  où  Parrasio  chante  les 
louanges  de  Poncher  qui  avait,  nous  l'avons  dit,  succède  à  Sacierges  comme 
chancelier  du  duché  de  Milan.  Il  est  donc  vraisemblable  qu'au  présent  il  oppose 
le  passe  et  le  bonheur  dont  jouissent  maintenant  les  Milanais  à  la  terreur  qui 
pesait  sur  eux  du  temps  de  Sacierges. 


VARIETÀ  159 

enfiti  qu'un  pareli  homme  l'accusàt.  Habile  transition  pour  passar 
à  l'apologie  personnelle  qui  faisait  la  deuxième  partie  du  discours  (i). 
Nous  ne  connaissons  pas  la  réponse  de  Minuziano  ;  mais  il  est  pro- 
bable  qu'il  s'y  montrait  aussi  violent  que  la  première  fois.  Parrasio 
releva  cette  nouvelle  attaque,  avec  plus  de  modération  cette  fois: 
u  Je  ne  suis  pas  venu,  disait-il,  pour  répondre  aux  calomnies,  aux 
«  chicanes  et  aux  injures  que  cet  homme,  le  pire  des  animaux 
«  à  deux  pieds,  a  déversées  hier  contre  moi  »>,  et  il  continuait  un 
peu  plus  loin:  «  Pourquoi  donc  s'applique-t-il  ainsi  à  vous  empé- 
u  cher  de  venir  m'entendre?  C'est  qu'il  veut  vous  entretenir  plus 
«  longtemps  dans  l'admiration  de  sa  propre  personne  »  (2). 

Le  ton  méme  de  ces  paroles  nous  montre  que  Parrasio  avait, 
dès  lors,  cause  gagnée:  en  dépit  de  Minuziano,  les  élèves  venaient 
à  lui  et  savaient  apprécier  son  mérite.  Mais  Tannée  suivante,  quand 
rouvrirent  les  cours,  la  lutte  reprit  encore  entre  les  deux  adver- 
saires.  Parrasio,  sur  maintenant  de  son  public,  le  prit  de  haut  avec 
son  ancien  protecteur.  Il  conseillait  à  ses  élèves  d'aller  entendre 
u  cette  bete  brute,...  pour  apprendre  à  faire  la  difFérence  du  chant 
«  d'Apollon  et  du  chant  de  Marsyas  ».  Qu'ils  fassent  l'épreuve; 
ils  verront,  dit  Parrasio,  que  Minuziano  est  un  plagiaire  sans  ver- 
gogne; l'autre  jour,  il  n'a  fait  que  reprendre,  presque  dans  les 
mémes  termes,  une  de  mes  le^ons  de  Fan  passe  (3).  Voilà  ce  que 
vaut  le  professeur,  mais  que  dira-t-on  du  citoyen?  Pourquoi  n'est-il 
pas  venu  encore  présenter  ses  hommages  à  Poncher,  le  nouveau 
président  du  Sénat  de  Milan?  «  C'est  qu'au  fond  il  le  hait,  comma 
«  le  successeur  de  son  cher  Lyson  :  en  public,  il  feint  de  l'aimer,  il 
u  le  loue  à  haute  voix,  mais  il  y  met  si  peu  de  conviction  qu'il  a 
«  l'air  d'un  homme  pleurant  sur  le  tombeaude  sa  belle-mère  »  (4). 
On  voit  assez  à  quoi  tendaient  ces  paroles  où  se  cachait  une  dé- 
nonciation;  pourtant  elles  n'atteignirent  pas  leur  but.  Est-il  donc 
vrai  qu'on  pùt  trouver  à  redire  au  «  loyalisme  "  de  Minuziano? 
En  tout  cas,  Poncher  ne  le  pensa  pas,  car  on  ne  voit  pas  qu'il  ait 


fi)  Pour  tout  ce  qui  précède,  cf.,  dans  Lo  Parco,  o.  c,  pp.  140-145,  toute 
VOratio  5^  in  Aìexandrum  Minutianum.  Dans  le  manuscrit  de  Naples,  nous  avons 
là  le  premier  des  discours  contre  Minuziano  ;  puis  viennent  le  deuxième  et  enfin 
le  premier  discours  du  recueil  Lo  Parco.  A  les  lire  attentivement,  on  se  con- 
vainc  que  cet  ordre-là  est  le  bon,  et  que  l'éditeur  a  eu  tort  de  l'intervenir. 

(2)  Lo  Parco,  o.  c,  pp.  135-136. 

(3)  Ibid.,  pp.  15 I-I 32.  Si  la  querelle  a  commencé  en  1501,  ce  discours-ci 
doit  étre  de  1502  :  «  quae...  nos  anno  superiore...  uobiscum  communicauimus  ». 

(4)  Ibid.,  pp.  133,  en  bas.  Sur  Etienne  Poncher,  cf.    infra  note   3,  p.  162. 


l60  VARIETÀ 

tenu  Minuziano  en  disgràce.  Ce  fut  méme  lui,  l'année  suivante,  qui 
engagea  Parrasio  à  faire  la  paix.  Celui-ci  n'eut  garde  de  s'y  refuser; 
dans  une  le^on  d'ouverture,  il  annonga  à  ses  élèves  qu'il  s'était 
réconcilié  avec  Minuziano,  et  il  enumera  tous  les  Romains  célèbres 
qui  avaient,  avant  lui,  renoncé  à  leurs  haines  personnelles.  Il  ajou- 
tait  naivement  que  les  élèves  y  gagneraient,  car  leur  temps  ne  se 
passerait  plus  à  écouter  les  injures  qu'il  se  devait  de  lancer  contre 
son  adversaire  (i). 


II. 


Ainsi  se  termina  la  querelle  (2).  Pendant  les  deux  années 
qu'elle  avait  dure,  Parrasio  se  fit  connaìtre  comme  philologue  par 
de  nouvelles  publications.  En  1502,  parut  à  Milan  une  édition  de 
l'opuscule  de  viris  illustribus.  Elle  était  donnée  comme  l'oeuvre 
de  Catelliano  Cotta,  mais  celui-ci,  dans  sa  préface,  avouait  la  part 
qu'y  avait  prise  Parrasio  et  qui  était  évidemment  très  grande  (3). 
Un  peu  plus  tard,    Parrasio    publiait    en  son  nom,    cette  fois,  une 

(i)  Lo  Parco,  p.  147.  A  la  fin  de  cette  legon  préliminaire  à  l'explication  de  Perse, 
Parrasio  rappelle  que  l'année  précédente  il  a  expliqné  les  Silves  de  Stace.  Or,  à  la 
fin  du  discours  que  nous  avons  cité  plus  haut  (p.  1 59,  note  3),  il  déclare  (Lo  Parco, 
o.  e,  p.  134)  qu'il  va  passer  à  l'explication  de  Stace,  sans  doute  à  celle  des  Silves. 
Le  discours  étant  de  1502,  la  praefatio  in  Persiutn,  doit  étre  de  l'année  1303.  On 
y  lit  d'ailleurs  une  phrase  qui  semble  confirmer  cette  dernière  date  :  «  Minutia- 
<(  nus...  annis  abbine  duobus,  an  tertius  agitur,  ex  hospite  factus   hostis  ». 

(2)  A  la  fin  de  1502,  les  adversaires  devaient  méme  étre  déjà  réconciliés. 
L'Ambrosienne  conserve  un  petit  poème,  intitulé  Sirmio,  dont  la  dédicace  est 
datée  du  31  octobre  1502.  L'auteur,  Stephanus  Dulcinus,  y  célèbre  les  poètes  "mi- 
lanais  et  il  nonime,  còte  à  còte,  Parrasio  et  le  «  docte  Minuziano  »,  «  cui  par 
«  ingenium  eruditioni  »  (f.  e  6  r»). 

(3)  Cf.  Sassi  apud  Argelati,  Biblioth.  script,  mediol,  to.  I,  par.  \,  col.  427  : 
«  Interea  uiros  illustres...  sub  titulo  Cornelii  Nepotis  emittemus,  et  illos  quidem 
<(  multis  in  locis  a  me  castigatos,  ipsius  ope  lani...  »  On  discutait  déjà,  à  l'epoque, 
pour  savoir  qui  était  l'auteur  de  De  viris  illustribus.  Tandis  que  Parrasio,  et 
Cotta  après  lui,  le  donnait  à  Cornelius  Nepos,  d'autres  l'attribuaient  à  Suétone 
cu  à  Pline  le  Jeune.  En  15  io,  il  en  paraissait  à  Strasbourg  une  édition  dont  voici 
l'intitulé  :  Suetonii  de  Viris  illustr.  Vrhis  Romae  :  quos  qui  Cornelio  Nipoti  uin- 
dicant  maxime  falli  Alexander  Minutianus  praeceptor  luce  clarius  prohauit  (Graesse, 

Trésor).  Ainsi  Minuziano  s'était  più  à  reprendre  le  travail  de  Parrasio,  et  sans 
doute  qu'en  paraissant  le  critiquer,  il  en  avait  fait  son  profit  :  on  verrà  que,  plus 
tard,  il  procèderà  de  la  méme  fagon. 


VARIETÀ  l6l 

édition  de  l'opuscule  de  regionibus  urbis  Romae  qu'on  attribuait 
alors  à  Publius  Victor  (i).  Chaque  année  enfin,  il  expliquait  à  ses 
auditeurs  des  textes  nouveaux  et  difficiles  (2). 

Ce  labeur  incessant  fut  mal  récompensé  :  en  1502  les  profes- 
seurs  des  écoles  palatines  ne  furent  pas  payés  de  leurs  appointe- 
ments,  suivant  un  procède  d'économies  qui  était  courant  à  l'epo- 
que. Parrasio  suspendit  ses  cours  et  vécut  chichement,  nous  dit-il, 
des  quelques  le9ons  qu'il  donnait;  il  ne  remonta  en  chaire  qu'après 
s'ètre  fait  assurer  un  traitement  effectif  (3).  Mais  bientòt  la  peste 
qui  avait  déjà  ravagé  Rome,  arriva  à  Milan  et  y  répandit  la  ter- 
reur.  C'était  alors  un  fléau  périodique,  auquel  on  pouvait  toujours 
s'attendre.  Dès  qu'il  avait  fondu  sur  une  ville,  la  vie  normale  y 
était  suspendue,  les  écoles  étaient  licenciées.  C'est  sans  doute  ce 
qui  arriva  à  Milan;  Parrasio  interrompit  ses  le^ons  et  ne  les  reprit 
qu'au  début  de  l'autre  année  scolaire  (4).  Il  semble,  dès  lors,  les 
avoir  continuées  sans  encombre  pendant  plusieurs  années  de  suite 
et  nous  savons  qu'il  eut  beaucoup  de  succès.  Son  nom  tient  une 
place  d'honneur  dans  ces  poésies  latines  de  l'epoque  qui  sont 
comme  un  journal  de  la  vie  milanaise  (5).  Un  prétre  qui  était  lui- 
méme  pédagogue,  abandonna  l'école  qu'il  avait  fondée  en  dehors 
de  la  ville,  et  rentra  loger  dans  Milan  pour  suivre  plus  assidùment 


(i)  Cf.  Marini,  Gli  atti  de'  fratelli  Arvali,  to.  II,  p.  619;  au  début  du 
volume  se  trouvait  une  épigramme  de  Parrasio  à  Etienne  Poncher.  La  réimpies- 
sioii  de  l'opuscule  qui  fut  faite  à  Venise,  en  1505,  contient  une  préface  où  l'on 
pcut  lire  l'éloge  de  Parrasio  (L.  Preller,  Die  Regionen  der  Stadi  Rom,  p.  47). 
On  peut  donc  accepter  la  date  de  1503  que  Lo  Parco  ,  o.  e,  p.  55,  donne 
pour  ce  travail,  sans  que  d'ailleurs  il  la  justifie. 

(2)  Cf.,  dans  Lo  Parco,  o.  c,  p.  56,  la  liste  des  auteurs  latins  auxquels 
sont  consacrés  les  commentaires  manuscrits  conservés  à  Naples.  Il  est  vrai  que 
tous  n'ont  pas  été  rédigés  pour  les  cours  faits  à  Milan.  Mais  V Apologia  nous  ap- 
prend  (f.  A  4  v**)  que  Parrasio  y  expliqua  notamment  Valerius  Flaccus,  Florus, 
les  Silves  de  Stace,  la  «  Poétique  »  d'Horace.  Au  point  de  vue  surtout  de  l'età- 
blissement  du  texte,  certains  de  ces  auteurs  étaient  alors  fort  difficiles. 

(3)  Lo  Parco,  o.  c,  p.  151  e  152. 

(4)  Ibid.,  p.  156.  Sur  la  peste  qui  ravagea  alors  l'Italie,  cf.  Rosmini,  Storia 
di  Milano,  to.  Ili,  p.  290. 

(5)  Cf.,  outre  le  recueil  déjà  cité  de  Lancinus  Curtius,  les  Opuscules  poé- 
tiques  de  Giovanni  Biffi  (Biblioth.  Nat.,  Réserve  mYc  668).  C'est  de  Biffi  que 
l'Apologia  (f,  A  5  r°)  raconte  le  trait  que  je  cite  ici.  Il  fut,  ses  vers  l'attestent, 
un  des  plus  chauds  partisans  de  Parrasio,  et  sans  doute  un  de  ses  meilleurs  élèves 
car  le  maitre,  un  peu  plus  tard,  se  fit  suppléer  par  lui  ;  voir  le  5*  des  Opuscules, 
f.  AA  4  r°. 

Ardi.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  V.  " 


j62  varietà 

es  cours  du  professeur  en  vogue.  Parrasio  possédait  aussi  ramitié 
de  Démétrius  Chalcondyle  et  bientòt  il  devenait  son  gendre.  Il  an- 
non9a  la  nouvelle  à  ses  auditeurs  au  début  d'une  legon  d'ouverture 
et  il  ajouta  qu'en  faisant  choix  d'une  femme,  il  avait  surto  ut  visé 
leur  intérét:  il  s'était  allié  à  un  homme  fort  savant  dont  le  com- 
merce le  ferait  chaque  jour  avancer  un  peu  plus  dans  la  science; 
et  sa  femme  ne  le  dérangerait  nullement  de  ses  travaux,  pas  plus 
que  jadis  Martia  ne  troubla  ceux  d'Hortensius,  Calpurnia  ceux  de 
Pline,  Argentarla  ceux  de  Lucien,  Claudia  ceux  de  Stace  et  Pu- 
dentilla  ceux  d'Apulée  (i). 

Ces  succès  et  ces  amitiés  n'étaient  rien  encore;  il  fallait  à  Par- 
rasio la  faveur  et  les  largesses  du  gouvernement  fran^ais.  Nous 
l'avons  vu,  dès  l'arrivée  des  Franc^ais  à  Milan,  se  déclarer  leur 
chaud  partisan  et  plus  tard  dénoncer  Minuziano  comme  gallo- 
phobe.  Pour  conquérir  la  faveur  des  grands  seigneurs  fran9ais  il 
ne  dut  épargner  aucune  platitude.  Nous  avons  conserve  les  louanges 
grandiloquentes  qu'au  début  d'une  legon  il  adressait  à  Trivulze, 
venu  pour  y  assister;  elles  sembleraient  plus  sincères,  s'il  n'avait, 
plus  tard,  fait  resservir  le  méme  discours  pour  un  haut  person- 
nage  de  Vicence  (2).  Son  effort  dut  tendre  surtout  à  s'assurer  les 
bonnes  gràces  de  cet  Etienne  Poncher  que  nous  avons  nommé  plus 
haut  (3).  Les  hautes  fonctions  qu'il  occupait    à    Milan  faisaient  de 

(i)  Lo  Parco,  o.  c,  pp.  149-150.  Une  épigramme  de  Curtius,  au  f.  80  r° 
du  livre  16,  a  eté  composée  pour  les  noces  de  Parrasio.  Sur  Chalcondyle  méme, 
on  consulterà  la  notice  de  Legrand,  Bihliogr.  helUn.,  to.  l,  pp   xciv-cr. 

(2)  Les  deuK  discours  sont  conservés  dans  le  Vat.  latin  5233  qui  contient 
plusieurs  morceaux  de  Parrasio  restés  jusqu'a  présent  inédits.  Le  premier  discours, 
au  folio  176- r°,  est  intitulé  :  «  Praefatio  ad  Caesa.  Commentarla  in  Laudem  Io. 
«  laco.  triuuicii  ».  Voici  un  specimen  des  louanges  que  Parrasio  dècerne  à  Tri- 
vulze  :  «  a  seruitute  exemptam  patriam...  suis  auctoribus  Gallis  aduinxisti,  Ita- 
((  lìae  iam  fatiscenti  pacem  reddidisti,  quodque  feliciter  et  tranquille  uiuamus 
«  (absit  uerbo  inuidia)  tuum  munus  est  ».  A  l'exceptìon  de  quelques  phrases  ap- 
propriées  à  Trivalze,  comme  celle-ci,  tout  le  discours  se  retrouve  dans  le  méme 
raanuscrit,  au  foHo  137  r°.  Il  n'y  a  de  changé  que  le  nom  du  haut  personnage 
devant  qui  parie  Parrasio  et  les  allusions  faites  à  sa  famille  et  à  sa  carrière.  Ce 
haut  personnage  s'appaile  Moro  (Maurus)  et  ce  qui  est  dit  de  lui  nous  permet 
de  l'identifier  avec  Gabriele  Moro,  de  Vicence,  qui  fut  ambassadeur  à  Ferrare 
auprès  du  due  de  Bourgogne  et  en  Espagne  (Marino  Sanuto,  /  Diarii^  to.  VI)  ; 
oa  verrà  que  Parrasio,  après  qu'il  eut  quitte  Milan,  s'en  alla  enseigner  à  Vicence. 
(3)  Cf.  p.  159.  Etienne  Poncher  était  devenu  évéque  de  Paris  le  3  fé- 
vrier  1502  (Gaìlia  christ.,  to.  VII,  col.  158).  Vers  le  méme  temps,  il  avait  été 
nommé  président  du  sénat  de  Milan  et  chancelier  du  duché  (cf.  supra  les  remar- 
ques  sur  la  date  des  discours  de  Parrasio  contre  Minuziano). 


VARIETÀ  163 

lui  le  Mécène  désigné  de  tous  les  gens  de  lettres.  Poncher  se  préta 
de  bonne  gràce  à  ce  ròle  qu'on  voulait  lui  faire  jouer:  on  le  voit 
par  les  vers  qui  célèbrent  ses  mérites;  on  le  voit  encore  par  les 
dédicaces  nombreuses  qui  lui  furent  alors  adressées,  et  dont  Fune 
a  Minuziano  pour  auteur  (i). 

Parnasio  est  de  ceux  qui  se  comptent  parmi  les  intimes  du 
prélat.  C'est  Poncher  qui  lui  avait  assuré  un  traitement  régulier; 
il  le  comblait  de  présents;  il  lui  confia,  pour  l'instruire,  son  neveu 
Francois  Poncher  (2).  Enfin  il  s'intéressait  à  ses  travaux  et  lui  fit 
avoir  ce  manuscrit  inédit  des  grammairiens  latins  que  Parrasio  pu- 
blia  en  1504  (3).  Lui-méme  se  sentait  attiré  et  séduit  par  cette 
antiquité  que  les  Fran^ais  trouvaient  partout  en  Italie  et  qui  avait 
pour  eux  l'attrait  de  l'inconnu  et  de  la  nouveauté;  mais  il  était 
trop  vieux  pour  se  remettre  sur  les  bancs  de  l'école.  Parrasio  dut 
étre  pour  lui  comme  un  dictionnaire  vivant  qu'il  se  plaisait  à  feuil- 
leter  sans  cesse.  Nous  voyons  notre  érudit  composer  pour  son  pa- 
tron un  petit  travail  sur  les  usages  de  la  table  chez  les  Gaulois  et 
chez  les  Espagnols  de  l'antiquité  (4).  Parfois  méme  il  dut  lui  préter 


(i  )  Lanciaus  Curtius  lui  a  consacré  plusieurs  pièces  (op.  cit.,  livre  13,  f.  31  r^', 
v°  des  ffs.  35,  36,  37,  f.  42  r»).  Le  livre  que  lui  offrit  Minuziano  est  son  édi- 
tion  des  Comnientaires  et  Lettres  de  Jacopo  Ammannati,  parue  en  1 506,  quand 
Poncher  avait  déjà  quitte  le  Milanais.  Parmi  les  auteurs  qui  lui  ont  dédié  leurs 
ouvrages,  on  peut  citer  Battista  Spagnoli  {Gallia  chrisL,  ibid.,  col.  159),  et  le 
secrétaire  royal  Tristanus  Chalcus,  qui  l'appelle  «  son  Mécène  »  (Biblioth  Nat., 
ms.  latin  8785,  feuillet  du  titre).  Cf.  encore,  à  la  Bibiioth.  Nat.,  le  ms.  latin  8391 
dont  la  dédicace  est  adressée  à  Poncher  «  patrono  literatorum  optimo  ». 

(a)  Lo  Parco,  o.  c,  p.  133,  et  aussi,  à  la  p.  152,  le  passage  auquel  nous 
avons  déjà  renvoyé.  Le  fait  que  le  neveu  de  Poncher  fut  l'élèvj  de  Parrasio  nou«? 
est  attesté  par  un  autre  témoignage.  Une  editici  des  Métamorphoses  d'Ovide, 
parue  à  Milan  en  1503,  est  dédiée  à  Francois  Poncher,  et,  dans  sa  lettre-prétace, 
I  E'Tiilio  Merula  l'appelle  «  assiduutn  lani  auditoreni  »  Janelli,  op.  cit.,  p.  37, 
note  I,  et  p.  60,  note  3).  Des  termes  de  cette  préface,  on  ne  saurait  conclure  que 
Parrasio  alt  été,  au  sens  moderne,  le  précepteur  du  jeune  homme.  Mais  celui-ci 
I  fut  au  moins  un  assidu  de  ses  cours. 

(3)  Cf.  Keil,  Grammat.  lai.,  to.  I,  pp.   vii-ix,  et  surtout  to.  IV,  pp.  viii-x 
I   où  l'édition  est  décrite  et  presque  tonte  la  préface  reproduite.  Je  relève  ce  membre 

de  phrase  :  «  Quippe  quorum  [operum]  uix  e  media  Bibliothecarum  strage  quani 
«  geticus  dedit  furor,  unicum  quod  extabat  exemplar  erutum  sit  auxilio  Patris 
«  Amplissimi  Stephani  Poncherii  luteciae  parisiorum  pontificis  indulgentissimique 
a  mei  patroni  ». 

(4)  Vat.  lat.  5233,  f.  131  r"  :  «  Ampliss.  patri...  Stephano  Poncherio...  lanus  S. 
a  Quoniam  Demetrius  tibi  noster,  ex  auctoribus  graecis  in  latinum  transfert  in- 


164  VARIETÀ 

le  secours  de  son  éloquence;  il  y  a  dans  ses  manuscrits  un  discours 
destine  au  Sénat  de  Milan;  pour  qui  fut-il  compose  sinon  pour 
Etienne  Poncher?  (i). 

Poncher  fut  rappelé  en  1504  et  remplacé  par  Jeffroy  Charles, 
président  du  parlement  dauphinois  et  membre  du  Sénat  de  Milan 
depuis  son  institution  par  Louis  XII  (2).  Tout  de  suite,  on  vit  les 
lettrés  se  tourner  vers  ce  nouvel  astre  de  qui  dépendait  leur  for- 
tune. Charles  suivit  l'exemple  de  son  prédecesseur,  et  il  leur  fit 
bon  accueil.  Au  reste,  il  était  lui-méme  fort  curieux  de  géographie 
et  il  n'épargnait  rien  pour  devenir  plus  savant  en  cette  science  (j). 
Il  achetait  beaucoup  de  livres  anciens  et  les  prétait  aux  humanistes 
de  ses  amis  (4):  sur  l'un  de  ses  manuscrits,  on    lit    encore:   «  Est 


«  genitos  hispanorum  gallorumque  niores,  et  quales  in  rep.  utrique  se  gesserint, 
«  ingrntum  me  facturum  tibi  non  arbitrar,  si  pariter  ipse  tibi  cxpressero,  quain 
«  uitae  rationem  piiblicis  et  priuatis  in  epulis  iidein  sectabautur,  quantumque  inter 
«  utriusque  elegantiani  differat...  ;). 

(i)  Le  discours  se  trouve  à  la  Bibliothèque  Nationale  de  Naples,  dans  le 
manuscrit  mème  et  à  la  suite  des  discours  contre  Minuziano  (Manoscr.  V.  D.  15); 
en  voici  l'incipit  :  «  Non  auderem  profecto  CoUegae  Car.mi...  ».  Jannelli^  qui  l'a 
connu,  pense  que  Parrasio  l'a  prononcé  lui-méme  devant  ses  collègues  (op.  cit., 
p.  68).  C'est  ce  qu'on  ne  saurait  soutenir  sérieusement,  après  une  lecture  atteu- 
tive  du  discours.  Ainsi  l'orateur  donne  plus  loin  à  ses  «  collègues  «  le  nom  de 
a  patres  optimi  ».  Il  s'adresse  donc  aux  sénateurs,  et,  dès  lors,  on  comprend 
cette  phrase  :  «.  Nam  quom  diuina  mens  Reuer.  domini  Cardinalis  buie  ordini  nos 
«  praeesse  uoluerit  ».  C'est  le  président  du  sénat  qui  parie;  au  cours  de  sa  ha- 
rangue,  il  promet  d'ètre  accessible  à  tous,  chez  lui,  comme  au  tribunal.  Dans  la 
bouche  de  Parrasio,  cette  promesse  n'aurait  aucun  sens.  Au  reste,  ce  n'est  pas,  dans 
le  manuscrit  de  Naples,  le  seul  discours  qui  ait  été  prononcé  pour  Etienne  Poncher. 

(2)  Sur  Jeffroy  Charles,  on  consulterà  Piollet,  Étudg  historique  sur  Geofroy 
Charles^  Grenoble,  1882,  ou  encore,  à  défaut  de  cette  brochure  difficile  à  re-i- 
contrer,  le  quatrième  volume  de  V Heptaméron  dans  l'édition  Anat.  de  Montai- 
glon  :  il  s'y  trouve,  pp.  293-299,  une  notice  très  complète  sur  notre  personnage. 
On  rencontre  son  nom  orthographié  de  diverses  manières,  mais  il  avait  l'habi- 
tude  de  signer  Jeffroy  Charles.  Le  manuscrit  261  de  la  collection  Dupuy  con- 
tient  cinq  lettres  des  lui  à  Florimond  Robertet  (L.  Dorez,  Catal.  de  la  colìeclìon 
Dupuy,  to.  r,  p,  261). 

(5)  Cf.,  dans  VIUnerarlum  Portugalhnsium  e  Lusitania  in  Indiam,  imprimé 
à  Milan  en  1508  (Biblioth.  Nat.,  Réserve  G  457),  la  lettre  de  dédicace,  de  Ma- 
drignano  à  Jeffroy  Charles,  f.  A  il  r°.  Elle  est  à  lire  tout  entière  pour  la  pré- 
cision  des  détails  qu'elle  renferme  sur  les  études  géographiques  du  chancclier. 
C'est  lui  d'ailleurs  qui  avait  commandé  cette  traduction  à  Madrignano. 

(4)  Cf  l'édition  que  Ioannes  Maria  Catanaeus  a  donnée,  en  1505,  des  oeu- 
vres  de  Pline  le  Jeune.  La  réimpression  qui  en  fut  faite,  en  1533,  par  Josse  Bade 


VARIETÀ  163 

«  communis  Carolo  cum  amicis  w  (i).  Il  y  avait  toujours  à  sa  table 
des  poètes,  des  savants,  des  professeurs  de  l'Académie  (2);  Aide 
Manuce  y  dina  plus  d'une  fois  (3).  Minuziano  s'empressa  d'oftrir 
au  nouveau  Mécène  un  ouvrage  sorti  de  ses  presses:  en  1505,  il 
lui  dédiait  une  nouvelle  édition  de  Tite*Live  (4). 


III. 


Ce  volume  fut  l'occasion  d'une  nouvelle  querelle  avec  Parra- 
sio.  11  y  avait  deux  années  pleines  que  celui-ci  expliquait  à  ses 
cours  publics  les  livres  de  Tite-Live  sur  la  guerre  de  Macédoine, 
et  il  y  avait  fait  d'innombrables  corrections;  Minuziano  s'arrangea 
pour  en  avoir  connaissance,  et,  dans  son  Tite-Live,  il  les  publia 
comme  siennes.  Tout  de  suite  Parrasio  s'émut,  et  puisque  le  pla- 
giaire  semblait  mettre  le  fruit  de  son  larcin  sous  la  protection  de 
Jeffroy  Charles,    lui    aussi    s'adresserait  au  président.  du  Sénat  et 


i« 


et  Jean  de  Roigny  reproduit  la  lettre  de  dédicace  à  Jeffroy  Charles  où  se  trouve 
le  détail  en  question.  J'en  extrais  encóre  ce  passage  (f.  a  iiì  v")  :  «  Plinius  doctos 
«  ueaerabatur.  Tu  imdique  cónquiris,  et  inuentos  stipendiis  publicis,  sacerdotiis 
«  honestissimìs,  de  tuo  muneraris,  eruditorumque  conspectu  libentissime  frueris  ». 
(i)  Ce  manuscrit  est  à  la  Bibliothèque  Nationale  et  porte,  dans  la  collection 
Dupuy,  le  numero  454. 

(2)  Dans  la  lettre-préface  dont  il  vient  d'ètre  question,  Madrignano  raconte 
quc  Charles  le  retint  un  jour  à  dìner  ;  «  aderant  enim  philosophi  :  poetae,  astro- 
«  logi  :  et  oratores:  ...  aderat  et  Alexander  Minutianus  huius  urbis  decus  :  qui 
«  sua  doctrina  prope  innumeros  patritios  reddidit  clariores  »  (op.  cit.,  f.  A  8  r"). 
Lancinus  Curtius,  qui,  ce  jour-là,  était  aussi  au  nombre  des  convives,  a  d'ailleurs 
une  épigramme  qui  célèbre  ces  diners  (op.  cit.,  lib.  18,  f.  105  r°)  :  «  De  mensa 
«  praesidis  «. 

(3)  Cf.  la  lettre  de  dédicace  de  l'Horace  paru  chez  Aide  ei  1509;  elle  a 
été  réimpriniée  dans  Schelhorn,  Amoenttates  histor.,  to.  Il,  pp.  620-622  ;  en  voici 
un  passage    intéressant  :    «  sic    me  uidisti   libeater,    ut  saepe  eti;im...   conuiuam 

tuum  esse  uolueris,  cum  multi  una  cenarent  familiares,  iidetnque  Academici,  et 
«  doctissimi  uiri,  qui  ad  te  ut  olim  doctissimi  quique  ad  Mecoenatem,  frequentes 
«  concurrunt  atque  confugiunt  ». 

(4)  Biblioth.  Nat.,  lav.  Rés  ,  J  198.  Le  recto  du  premier  feuillet  est  blanc. 
Au  verso  cominence  la  lettre  de  dédicace  à  Jeffroy  Charles,  elle  est  datée  du 
13  septembre  1503.  Oh  là  trouvera  tout  entière  dans  le  Tite-Live  de  Draken- 
BORCH,  to.  VII  (1746),  pp.  257-259:  elle  contient  beaucoup  de  détails  fort  in- 
téressants  pour  la  biographie  de  Charles,  et  confirme,  sur  certains  points,  les  té- 
moignages  précédenti. 


l66  VARIETÀ 

dénoncerait  cette  manoeuvre.  11  s'occupait  justement  de  réimprimer 
ses  commentaires  sur  Claudien.  11  les  fit  precèder  d'une  lettre-pré- 
face  où  il  lui  exposait  ses  griefs  et  qui  parut  trois  mois  après  celle 
de  Minuziano  (i).  De  plus,  il  y  joignit  V Apologia  que  son  élève 
Furius  avait  composée  pour  lui  (2).  Furius  y  répondait  aux  «  In- 
«  vectives  »  de  Panatus  et  de  Nauta  où  Parrasio  était  couramment 
appelé  «  par  asino  »  ou  bien:  «  àne  d'Arcadie  »  (3).  Il  reprénait 
point  par  point  leurs  accusations;  il  en  montrait  le  néant  et  relevait 
avec  pedanterie  toutes  les  fautes  de  grammaire    échappées    à   ses 


(i)  Elle  est  datée  du  12  décembre  et  se  trouve  au  f.  aa  il  r"  des  Com- 
mentaires sur  Claudien,  édition  de  1505.  Le  passage  auquel  j'emprunte  les  dé- 
tails  précédents  est  reproduit  par  Drakenborch,  ibid.,  p.  552.  Nous  désirerions, 
sans  doute,  étre  renseignés  sur  cet  incident  par  un  autre  que  l'interesse  lui-mème  ; 
mais  le  récit  de  Parrasio  semble  très  vraisemblable.  Nous  avons  de  lui  une  «  Prae- 
«  fatio  in  Liuium  de  bello  Macedonico  ».  (Vat.  lat.  5253,  f.  170  r°)  ;  il  y  fait 
allusion  au  profìt  que  ses  élèves  ont  tire  de  Tite-Live  l'année  précédente  (ibid., 
(f.  174  r°).  Cette  explication  de  Tite-Live  succèda  elle  mème  à  celle  de  Florus 
(Lo  Parco,  o.  c,  p.  155)  qui  date  de  1502.  Ainsi  il  est  vrai  qu'en  1505,  Par- 
rasio s'était  déjà  occupé  beaucoup  de  Tite-Live.  Au  contraire  Minuziano  ne  donne, 
dans  son  édition,  que  le  texte  de  son  auteur,  sans  le  moindre  commentaire,  sans 
aucune  note;  c'est  qu'il  était  incapable,  sans  doute,  de  justifier  des  corrections 
qui  étaient  l'oeuvre  d'autrui. 

(2)  Cf.  supra,  la  note  i,  p.  153. 

(3)  L'opuscule  est  conserve  à  la  bibliothèque  Ambrosienne  ;  le  feuillet  du 
titre  manque  ;  au  f.  a  ii  r°  se  trouve  la  préface,  dont  voici  l' intitulé  :  «  Rolan- 
«  dini  Panati  Laudensis  ad  illustrem  marchionem  Pallauicinum  praefatio  in 
«  inuectiuas  contra  lanum  Parrhasium  asinum  archadicum  ».  A  la  suite  de  ces 
Invectives,  Panatus  en  publie  une  autre,  de  son  maitre  Nauta  (f.  e  v**),  et  à  la 
fin  de  l'opuscule  (f.  e  ii  v"),  il  réimprime  plusieurs  épigrammes  de  ce  méme 
Nauta,  toutes  dirigées  contre  Parrasio.  Cette  publication  ne  porte  pas  de  date, 
mais  tous  les  faits  qui  y  sont  mentionnées  concernent  la  première  querelle  avec 
Minuziano  ou  méme  la  querelle  avec  Ferrari  ;  elle  doit  ètre  à  peu  près  de  l'année 
1502,  et  par  suite  V Apologia,  qui  dut  la  suivre  de  près,  serait  antérieure  à  l'année 
1505.  D'aìlleurs  il  suffit  de  lire  le  passage  du  f.  B  iii  r^  où  Furius  parie  de 
Poncher  ;  on  verrà  qu'au  moment  où  il  fut  écrit,  celui-ci  n'avait  pas  encore  été 
remplacé  par  Charles  comme  président  du  Sénat.  De  mème  Furius  dit  ailleurs 
(f.  C  3  v®)  que  Parrasio  est  parti  de  Naples  depuis  bientót  cinq  ans.  Or  il  semble 
prouvé  (Lo  Parco,  o.  c,  p.  27)  qu'il  quitta  cette  ville  en  1498  au  plus  tard  ; 
cela  mettrait  à  l'année  1502  la  composition  de  V Apologia,  Il  est  vrai  qu'il  s'y 
trouve  (f.  B  5  v°)  une  allusion  au  Tite-Live  de  Minuziano.  Mais  on  peut  ad- 
mettre  que  l'ouvrage,  compose  en  1502,  regut  des  additions  au  moment  d'ètre 
employé  par  Parrasio  dans  la  querelle  du  Tite-Live. 


VARIETÀ  167 

adversaires.  Heureux  temps  où  quelques  solécismes  suffisaient  à 
déshonorer  un  homme! 

Cependant,  on  ne  s'en  tenait  pas  toujours  à  ces  assauts  d'in- 
jures  et  de  gros  mots,  et  Parrasio  l'éprou'va.  Un  soir  qu'il  revenait 
de  dìner  chez  un  sénateur,  une  pierre  Tatteignit  à  la  téte  et  lui  fit 
une  blessure  assez  grave.  Une  enquéte  fut  ordonnée  qui,  sans 
doute,  n'aboutit  pas,  et  Parrasio  resta  persuade  que  Minuziano 
avait  arme  la  main  d'un  agresseur.  C'était  là  de  quoi  l'inquiéter, 
mais,  comme  il  l'écrivait  à  l'humaniste  Pio,  il  gardait  la  sympathie 
des  grands  personnages  de  la  ville  (i).  Charles  sans  doute  n'avait 
pas  encore  pris  parti  entre  les  deux  adversaires:  s'il  avait  été  net- 
tement  hostile  à  Minuziano,  Parrasio,  dans  cette  méme  lettre,  n'au- 
rait  pas  manqué  de  nous  le  dire. 

Il  changera  bientòt  d'attitude  sans  que  l'on  puisse  dire  pour- 
quoi.  Parrasio,  il  est  vrai,  a  parie  plus  tard  de  la  baine  tenace  que 
Charles  lui  avait  vouée  (2).  Mais  nul  témoignage  n'est  ici  plus 
suspect  que  le  sien.  Pour  célébrer  le  président  du  sénat  milanais, 
il  avait,  jadis,  épuisé  toutes  les  ressources  de  sa  rhétorique;  il  était 
mal  venu  maintenant  à  le  traiter  d'homme  cruel  et  de  brute  gros- 
sière. Surtout,  il  était  de  mauvaise  foi,  en  accusant  Jeffroy  Charles 
d'avoir  voulu  le  faire  assassiner:  au  moment  de  l'agression,  c'est 
Minuziano,  on  l'a  vu,  qu'il  en  rendait  responsable.  On  ne  peut  non 
plus  accepter  sans  réserves  les  deux  raisons  qu'il  donne  de  sa  dis- 
gràce  soudaine.  Charles,  nous  dit-il,  s'était  brouillé  avec  Michele 
Rizzi,  ce  Napolitain  passe  au  service  de  la  France  dont  nous  avons 
déjà  parie  ;  il  voua  dès  lors  une  baine  mortelle  à  tous  les  Napoli- 
tains,  et  surtout  à  Parrasio  qui  avait,  à  deux  reprises,  loué  Rizzi 
dans  des  lettres-préfaces  (3).  Puis  il  prétendit  installer  dans  Fècole 


(1)  Cf.  les  deux  kttres  à  Pio  publiées  par  Jannklli,  o.  c  ,  pp.  167-170.  Dans 
la  p  emière  Parrasio  raconte  brièvetnent  l'agression.  C'est  seulement  dans  la  deu- 
xième  lettre  qu'il  en  rend  Minuziano  responsable  :  «  Incidi  iam  in  suspicionem... 
«  ab  eo  [Minuziano]  immissum  in  me  sicarium,  cum  uideret  me  uiuo  furta  sibi 
«  non  impune  cessura...  Habemus  adhuc  integra  principum  studia  ».  Cette  lettre 
qu'on  trouvera  tout  cntière  dans  Janelli,  a  suivi  de  très  près  la  réimpression  du 
Claudien;  car  Parrasio  y  écrit  de  son  livre  :  «  Sub  incudem  reuocatus  in 
«  manu  nunc  est  ». 

(2)  Cf.,  dans  Lo  Parco,  o.  c,  pp.  166-171,  toute  VOratio  ad  municipium 
Vicentinum. 

(5)  Lo  Parco,  o.  c,  p.  167.  La  ^première  de  ces  lettres-préfaces  est  celle 
du  Sedulius  (cf.  supra^  p.  157,  et  la  note  3).  M.  Lo  Parco  note  que  la  deuxième 


l68  VARIETÀ 

de  Parrasio  quelques  enfants  savoyards  qu'il  protégeait;  il  voulut 
méme,  pour  leur  faire  place,  obliger  Parrasio  à  renvoyer  plusieurs 
fils  de  Milanais  et  il  lui  garda  rancune  de  n'avoir  pas  consenti  à 
le  faire  (i).  Une  telle  fermeté  est  bien  étonnante  chez  un  homme 
aussi  plat  que  notre  rhéteur.  Il  est  plus  vraisemblable  qu'il  y  eut  à 
sa  disgràce  des  raisons  politiques.  11  faudrait,  pour  les  pénétrer,  con- 
naìtre  toutes  les  intrigues  qui  se  tramaient  contre  la  domination 
fran^aise,  savoir  si  Parrasio  n'était  pas  l'ami  de  Milanais  suspects 
au  président  du  Senat.  Cela  put  faire  naìtre  des  soup^ons  que 
Minuziano  se  chargea  sans  doute  d'exploiter.  Bref,  Parrasio  sentii 
qu'il  n'était  plus  en  faveur;  il  songea  à  quitter  Milan  pour  retourner 
dans  son  pays.  Ce  fut,  dit-il,  Etienne  Poncher  qui  l'en  dissuada  (2). 
Il  resta,  et  à  l'automne  de  1506,  il  continuait  d'occuper  sa  chaire 
et  d'étre  inscrit  pour  deux  cents  écus  d'or  au  budget  de  l'État  de 
Milan;  l'hostilité  de  Charles,  si  tant  est  qu'elle  fut  réelle,  ne  se 
montrait  pas  encore  par  des  actes  (3). 

Cependant,  quelques  mois  plus  tard,  Parrasio  avait  quitte  Milan 
et  enseignait  à  Vicence.  On  devine  comment  la  chose  dut  arriver. 
Il  avait  connu  à  Milan  un  jeune  noble  Vicentin  qui  venait  étudier 
le  grec  chez  Démétrius  Chalcondyle,  c'était  Trissino,  le  futur  auteur 


figure  ea  tète  d'un  ouvrage  de  Rizzio  lui-méme,  intitulé  :  De  Regibus  Hispaniae^ 
Hierusalem,  Galliae...  bistorta;  elle  serait  datée  du  ler  octobre  1505,  epoque  à 
laquelle  Parrasio  possédait  encore  la  faveur  de  Charles  ;  la  baine  que  celui-ci  lui 
voua  plus  tard  aurait  don-  été  toute  rétrospective. 

(i)  Lo  Parco,  o.  c,  p.  167:  «  lUud  autem  nullo  pacto  ferre  potuit,  me 
«  sua  causa  noluisse  quorundatn  Meiiolaaensiuni  liberos  a  nostris  aedibus  extur- 
«  bare,  quo  uacuus  apud  me  contubernio  locus  AUobrogibus  esset  suis  ».  Ce  texte 
est  précieux  ;  il  indique  que  Parrasio,  en  mème  temps  qu'il  faisait  des  cours  pu- 
blics,  avait  chez  lui  une  «  pédagogie  ». 

(2)  Poncher  avait  quitte  Milan  pour  partir  en  arabassade,  mais  il  y  revint 
sans  doute,  en  passant,  dans  le  courant  de  l'année  1506. 

(3)  Lo  Parco,  o.  c,  p.  170:  «  Extat  ecce  diploma....  senatus  eiusque  [Ca- 
«  roli]  decreto  factum,  quo  decernuntur  annua  mihi  ducenta,  optioque  datur,  ut  ex 
a  animi  mei  sententia  Mediolani  uel  Ticini  profitear  ».  On  remarquera  que  Par- 
rasio pouvait,  à  son  gre,  enseigner  à  Milan  ou  à  Pavie.  Pour  comprendre  ce  dé- 
tail,  il  faut  savoir  qu'un  édit  du  7  septembre  1506  enjoignit  aux  étudiants  mi- 
lanais d'aller  étudier  à  l'Université  de  Pavie  (Léon-G.  Pélissier,  Documents  pour 
Vhistoire  de  la  domination  fran^aise  dans  le  Milanais,  Toulouse,  1891,  p.  148).  Il 
va  de  soi  que  les  professeurs  de  Milan  durent,  tous  les  premiers,  se  transporter 
à  Pavie.  Le  diplòme  qui  autorisait  Parrasio  à  n'en  ricn  faire  doit  étre  contem- 
porain  de  l'édit  en  question. 


VARIETÀ  169 

de  la  Sophonisbe  (i).  11  vit  que  Parrasio  était  dégoùté  de  Milan  et 
cherchait  à  quitter  la  ville;  il  tàcha  sans  doute  de  Tattirer  à  Vicence 
et  dut  lui  servir  d'intermédiaire  auprès  du  municipe  vicentin.  Mais 
peut-étre  que  Charles  prit  ombrage  de  ces  négociations;  il  rappela 
Parrasio  qui  s'était  rendu  à  Venise  et  lui  interdit  sans  doute  de 
quitter  de  nouveau  Milan  {2).  Parrasio,  devenu  suspect,  dut  at- 
tendre,  pour  gagner  Vicence,  une  occasion  favorable.  11  y  arriva, 
semble-t-il,  dans  les  premiers  mois  de  Tannée  1507  (3). 

Où  était  Tenthousiasme  avec  lequel,  sept  ans  plus  tòt,  il  célé- 
brait  la  venne  des  Fran^ais  en  Italie?  11  n'avait  plus  que  baine  et 
mépris  pour  «  ces  barbares  stupides  »  et  il  satisfit  sa  rancune  dans 
le  discours  inaugurai  qu'il  adressa  aux  Vicentins.  Au  moins,  ils 
étaient  dignes,  eux,  que  l'on  cherchàt  à  leur  plaire;  «  aux  Fran^ais 
il  ne  demandait  que  le  pain  de  sa  vieillesse  »  (4),  mais  il  se  sou- 
ciait  peu  d'emporter  leurs  suifrages.  Quant  à  Charles,  ce  n'est  plus 
l'homme  éclairé,  le  généreux  protecteur  des  lettres  qu'il  célébrait 
jadis;  ce  Savoyard  est  la  pire  des  brutes,  c'est  aussi  un  imposteur, 
un  malhonnéte  homme.  11  a  tout  fait  pour  se  venger  de  Parrasio. 
Ce  sont  des  hommes  à  lui  qui  Font  attaqué  dans  la  rue,  mais  le 
coup  ne  réussit  qu'à  demi  ;  Charles  voulut  alors  le  faire  empoisonner 
par  le  chirurgien  qui  soignait  sa  blessare.  A  présent,  il  veut  le 
perdre  dans  l'esprit  des  Vicentins;  il  va  lancer  contre  lui  des  ac- 
cusations  terribles,  mais  il  les  tient  encore  secrètes,  voulant  ainsi 
l'empécher  de  préparer  sa  défense.  Pour  les  réfuter,  Parrasio  at- 
tend  de  les  connaìtre:  les  preuves  ne  lui  manqueront  pas;  les  faits 


(i)  Cf.  les  lettres  de  Parrasio  à  Tri^sino  dans  RoscoÈ,  Vita  e  pontificato 
di  Leone  X,  trad.  par  Bossi,  to.  X,  p.  161  sqq.  La  première,  où  Parrasio  prie 
son  ami  de  lui  prèter  trois  écus  d'or,  est  datée  «  de  la  maison  de  Démétrius,  le 
«  14  octobre  1506  ». 

(^)  Lo  Parco,  o.  c,  p.  169:  a  Ostentare  impotentiam  suam...  ». 

(3)  Dans  son  discours  aux  Vicentins,  Parrasio  fait  allusion  à  une  recente 
victoire  des  Fran^ais  (Lo  Parco,  o.  c  ,  p.  166).  Ce  ne  peut  étre  que  la  prise  de 
Génes,  qui  est  d'avril  1507.  Parrasio  serait  arrivé  à  Vicence  peu  de  tenips  après. 
Il  n'y  parvint  pas  sans  encombre;  dans  un  discours  inédit  qui  fut  prononcé  à  Vi- 
cence, il  disait  en  pirlant  de  ses  tribulations  :  «  Quintus  iam  mensis  est:  ex  quo 
«  male  feriatus  bine  illuc:  illinc  huc  erro  bellumque  musis  indixi  »  (Biblioth.  Nat. 
de  Naples,  uis.  V.  D.  15,  5^  f.  r°  d'un  discours  intitulé  :  Praefatio  in  Liuhim. 
Vicentiae). 

(4)  Cette  phrase  est  extraite  du  discours  inédit  cité  dans  la  note  précédente 
(6®  f.  r")  ;  tout  le  reste  ne  fait  que  résumer  VOraiio  ad  tnunicipium  Vicentinumy 
publiée  par  Lo  Parco. 


170  VARIETÀ 

eux-mémes,  la  vie  qu'il  méne  enfin  diront  aux  Vicentins  s'il  est 
rhomme  que  représentent  ses  calomniateurs.  i 

Parrasio  n'eut  pas,  setnble-t-il,  à  faire  cette  démonstration;  on 
n'a  gardé  de  lui  aucun  discours  qui  formule  avec  précision  et  qui 
réfute  formellement  les  calomnies  dont  il  se  disait  la  victime.  On 
devine  cependant  quelles  elles  pouvaient  étre;  c'étaient  celles  qu'il 
avait  lui-méme  exploitées  contre  Minuziano  et  qui  reviennent  dans 
toutes  les  «  Invectives  »  d'humanistes;  on  avait  attaqué  ses  moeurs, 
on  l'avait  accuse  d'amours  contre  nature;  il  est  vrai  que  cette  ca- 
lomnie  était  devenue  un  lieu  commun  de  l'invective,  mais  cela 
méme  nous  force  d'admettre  que  la  vie  des  pédagogues  ou  plutòt 
les  moeurs  du  temps  semblaient  souvent  l'autoriser. 

Notre  intention  n'est  pas  de  suivre  Parrasio  à  Vicence;  il  y 
passa  deux  années  qui  furent  encore  troublées  par  des  polémiques 
et  assombries  par  des  besoins  d'argent  (i);  après  la  bataille  d'A- 
gnadel,  l'approche  des  troupes  ennémies  le  for9a  de  quitter  la  ville; 
il  se  réfugia  à  Venise,  puis  enseigna  quelque  temps  à  Padoue,  mais 
la  guerre  l'empéchait  de  se  fixer  nulle  part;  au  début  de  l'année 
151 1,  il  quitta  l'Italie  du  Nord  pour  retourner  dans  son  pays  (2). 
étai  reste  à  Milan  sept  années  entières,  sept  années  qui  fu- 
rent peut-étre  les  plus  laborieuses  et  aussi  les  plus  agitées  de  son 
existence.  Ce  sont  celles  de  ses  meilleurs  travaux,  celles  aussi  de 
ses  polémiques  les  plus  vives.  En  l'étudiant  pendant  cette  période, 
on  peut  se  flatter  de  le  connaitre  tout  entier  et  l'on  apprend  à 
connaìtre  en  méme  temps  l'esprit  et  la  condition  des  professeurs 
de  son  epoque.  Ce  sont 'de  pauvres  hères  qui  vivent  au  jour  le  jour 
et  qui  souvent  sont  exposés  à  mourir  de  faim.  Pédagogues  ou  pro- 
fesseurs publics,  ils  sont  toujours  à  attendre  leurs  honoraires  ou 
leur  traitement.  Ils  dépendent  uniquement  du  caprice  des  «  Mécènes  » 
qui  les  entretiennent,  et,  pour  se  les  rendre  favorables,  les  prières 
et  les  flatteries  ne  leur  coùtent  jamais  rien.  Ils  n'ont  pas  de  dignité; 
en  revanche  ils  sont  pleins  d'orgueil.  Ils  sont  fiers  de  leur  science 
du  latin  et  surtout  ils  sont  fiers  de  leur  érudition;  ils  en  font  pa- 
rade dans  leurs  le9ons  d'ouverture,  ils  en  éblouissent  leurs  audi- 
teurs  et  leurs  élèves.  Mais  la  concurrence  est  trop  apre;  les  rivaux 
moins  heureux  s'agitent;  des  polémiques  s'engagent;  de  gros  mots 
sont  échangés.  Finies,  ces  belles  attitudes  imitées  de  l'antiquité, 
l'homme  du  XVI<=  siècle  reparaìt  avec  ses  passions  à  fleur  de  peau. 


(i)  Cf.  RoscoÈ,  o.  et  1.  e. 
(2)  Lo  Parco,  o.  c,  pp.  76-80. 


VARIETÀ 


171 


avec  son  tempérament  querelleur  et  violent;  ces  guerres  de  piume 
se  terminent  souvent  par  des  coups  d'épée. 

Quelques-uns  de  ces  rhéteurs  étaient  des  hommes  fort  médio- 
cres,  mais  Parrasio  fut  au  moins  un  bon  ouvrier  qui  fit  de  la  be- 
sogne  fort  utile.  Il  s'attacha  avant  tout  à  l'épuration  des  textes  an- 
ciens;  il  rechercha  les  bons  manuscrits  des  auteurs  classiques  et  en 
I  forma  une  collection  importante.  Il  a  joui,  en  son  temps,  d'une  re- 
nommée  incontestée;  qu'on  juge  de  celle  qu'il  dut  avoir  parmi  les 
Fran^ais  plus  grossiers  qui  suivirent  ses  le^ons  à  Milan.  L'impres- 
sion  qu'ils  en  emportèrent  acheva  de  les  conquérir  à  la  cause  de 
l'humanisme  (i);  et  ce  ne  fut  pas,  sans  doute,  le  moindre  resultai 
du  long  séjour  que  fit  à  Milan  notre  Parrasio. 

Louis  Delaruelle. 


(i)  Ceci  n'est  pas  une  simple  hypothèse;  ce  mème  Poncher,  qui  fut  le  Mé- 
cène  de  Parrasio,  essaiera,  un  peu  plus  tard,  d'attirar  Erasme  en  France. 


172  VARIETÀ 


Un'edizione  ufficiale  di  storici  milanesi. 


L  culto  che  mólte  città  italiane,  grandi  e  piccole,  ebbero 
per  la  raccolta  e  la  conservazione  delle  memorie  patrie, 
la  municipalità  di  Milano  cominciò  a  nutrirlo  relativa- 
mente tardi.  L'occasione  che  prima  il  comune  avrebbe 
potuto  cogliere  per  dare  incremento  agli  studi  storici  milanesi,  si 
presentò  nel  1598,  quando  Giacomo  Filippo  Besta,  con  una  supplica 
a  stampa,  chiese  al  consiglio  generale  un  sussidio  per  la  pubblica- 
zione della  sua  opera  in  tre  volumi,  intitolata  Descrizione  e  mera- 
viglie della  città  di  Milano  e  delle  imprese  de*  suoi  cittadini.  La  sup- 
plica fu  messa  all'ordine  del  giorno  per  la  tornata  del  18  settembre 
di  quell'anno,  e  il  consiglio  de'  LX  conferi  al  Tribunale  di  Prov- 
visione il  mandato  di  eleggere  una  commissione  per  «  visitare  » 
il  manoscritta  e  riferire  (i);  ma,  a  quel  che  pare,  non  se  ne  fece 
nulla,  e  l'opera  del  Besta  rimase  ed  è  tuttora  inedita  (2).  Né  miglior 
sorte  dovette  avere  il  progetto  di  un'  edizione  corretta  del  Corio, 
per  la  quale,  nel  1601,  il  vicario  Fabrizio  Bossi  e  i  XII  di  Prov- 
visione officiarono  direttamente  il  signor  Giovanni  Antonio  Tas- 
sani  (3). 

La  prima  deliberazione,  destinata  effettivamente  a  dotare  la 
città  di  una  collana  storica  municipale,  fu  quella  presa  dalla  Came- 
retta molti  anni  più  tardi,  e  proprio  nel  1622.  Il  benemerito  vicario 
di  queir  anno,  Gio.  Batta  Brivio,  nell'  adunanza  del  6  settembre 
parlò  della  cosa  a'  LX  del  consiglio  con  vero  amore  se  non  con 
grande  eloquenza.  Egli  mise  in  rilievo  ;  dice  il  verbale,  «  che  già 
u  che  le  antiche  memorie  delle  grandezze  di  questa  città  per  l'in- 


(i)  Arch.  stor,  civ.  di  Milano,  Dicasteri,  Cameretta,  e.  121;  v.  pure  nella 
biografia  premessa  alla  2.*  edizione  del  Giulini,  Memorie,  Milano,  1854,  la  nota 
a  p.  XV  del  voi,  I. 

(2)  I  tre  volumi  autografi,  e  una  copia  del  2."  voi,,  fatta  eseguire  dallo  stesso 
autore,  sono  in  Trivulziana  (Codd.  180-83).  L'Ambrosiana  possiede  un  volume 
di  Frammenti  (P.  258,  sup.)  e  una  copia  del  2."  voi.  (P,  276,  sup). 

(3)  Porro,  Della  necessità  di  correggere  il  Corio,  in  (\uQst^ Archivio,  IV,  p.  852. 


VARIETÀ  173 

«  giuria  de'  tempi  andavano  perendo  e  consumandosi,  era  ben  ra- 
«  gione  che  si  procurasse  almen  di  conservar  V  opera  di  quegli 
«  auttori,  che  le  attioni  memorabili  e  gloriose  de'  nostri  antenati 
«  avevano  alla  posterità  trasmesso  negli  annali  e  componimenti 
«  loro.  De'  quali  perché  alcuni  erano  scritti,  et  altri  seben  alla  stampa 
a  da  principio  furono  dati,  nondimeno  per  1'  antichità  rarissimi  si 
«  trovavano  di  presente,  et  erano  in  breve  per  smarrirsi  a  fatto, 
«  veneva  raccordato  per  cosa  sommamente  convenevole  e  neces- 
«  saria  al  servizio  e  splendor  publico  il  far  una  scelta  delle  più 
u  degne  historie  di  Milano,  e  darle  alla  stampa  a  spese  d'  essa 
«  città,  col  deputar  persone  che  di  tal  impresa  prendessero  parti- 
«  colar  cura,  e  cercassero  di  effettuarla  in  quel  miglior  modo  che 
«  fosse  possibile  »  (/). 

La  Cameretta,  «  approvato  e  commendato  »  a  unanimità  il 
"  raccordo  »  del  vicario,  deliberò  di  affidare  la  cura  della  stampa 
al  dottore  Paolo  Ro,  regio  avvocato  fiscale,  con  l'incarico  di  aggre- 
garsi alquanti  collaboratori.  Il  Ro,  che  nel  1622  era  de' LX,  scelse 
nel  seno  di  questo  consesso  tre  colleghi  di  lavoro  nelle  persone  del 
marchese  Giovanni  Maria  Visconte  e  de'  conti  Antonio  Visconte  e 
Massimiliano  Attendolo  Bolognino.  Ma  costui  mori  presto,  e  il  Ro, 
distratto  da  altre  cure,  fu  assente  da  Milano  per  più  di  due  anni, 
sicché  il  lavoro  rimase  in  gran  parte  a  carico  degli  altri    due    (2). 

I  delegati  dal  comune  per  la  stampa  delle  storie   si  rivolsero 

f^jnaturalmente  alla  nota  tipografia    regia  e  camerale    de'  Malatesta, 

citata  anche  dal  Manzoni,  come  quella  alla  quale,  nel  settembre  del 

1612,  fu  commessa  da  don  Giovanni  de  Mendozza  la  stampa  della 

u  solita  grida,  corretta   ed    accresciuta ad  esterminio  dei    bra- 

«  vi  »  (3).  I  Malatesta  furono  una  vera  dinastia  di  tipografi,  il  cui 
albero  genealogico,  con  1'  elenco  de'  numerosi  privilegi  non  senza 
contrasto  ottenuti,  si  conserva  nell'Archivio  storico  civico  di  Mi- 
lano (4),  dove,  con  la  cortese  assistenza  del  dott.  Ettore  Verga,  ho 
senza  fatica  rintracciato  i  documenti  inediti  che  formano  l'appen- 
dice di  questo  scritto. 

Fu  Melchiorre  Malatesta  quegli  che  fissò  con  la  municipalità 
di  Milano  i  patti  per  l'edizione  ufficiale  degli  storici  cittadini;  ma, 
venuto  egli  a  morte  nel  sessennio  che    trascorse   fra   la   delibera- 


(i)  Arch.  stor.  civ.,  Dicasteri,  Cameretta,  e.  131. 

(2)  Ved.  le  relazioni  premesse  a'  due  volumi  che  della  collana  vennero  alla  luce. 

(3)  Promessi  sposi,  cap.  I. 

(4)  Stampatori,  e.  891. 


174  VARIETÀ 

zione  della  Cameretta  e  la  pubblicazione  del  primo  volume,  l' im- 
presa fu  effettivamente  compiuta  da'  suoi  due  figli  ed  eredi  Gero- 
lamo e  Paolo  Landolfo  Malatesta.  Nella  supplica  indirizzata  ap- 
punto da  costoro  al  governatore  di  Milano  nel  1628  (quando  cioè 
era  imminente  la  pubblicazione  del  primo  volume)  per  conseguire 
il  diritto  di  esclusività  nella  stampa  e  nelia  vendita  delle  storie 
milanesi  edite  e  inedite,  appare  uno  degli  obblighi  assunti  da'  con- 
traenti, e  cioè  «  che  dalla  città  si  mantenesse  un  correttore,  et 
«  dall'impressore  un  altro  ».  Il  Motta,  a  cui  dobbiamo  la  pubblica- 
zione di  questo  documento  (i),  dice  che  il  correttore  municipale 
fu  «  evidentemente  »  quel  G.  A.  Tassani,  incaricato,  come  abbiara 
detto,  molti  anni  prima,  di  correggere  il  Corio;  ma  a  noi  questa 
sembra  una  congettura  arrischiata,  perché,  fra  l'altro,  crediamo 
che  i  correttori  di  cui  si  fa  parola  nella  supplica,  dovessero  com- 
piere un  ufficio  assai  più  umile  di  quello  per  il  quale  il  Vicario  e 
i  XII  di  Provvisione  avevano  scritto  direttamente  al  Tassani  nel 
1601  (2).  I  delegati  stabilirono  inoltre  con  i  tipografi  camerali  il 
formato  dell'edizione,  che  fu  fatta  in  folio,  e  fissarono,  come  ri- 
sulta da'  documenti  che  pubblichiamo,  il  prezzo  d'ogni  foglio  di 
stampa  in  L.  9,  senza  l'incisione  e  l'impressione  de'  rami. 

Per  quanto  l'opera  si  dovesse  compiere  a  cura  e  spese  della 
città,  a'  Malatesta  non  sfuggi  il  beneficio  morale  e  materiale  che  a 
loro  ne  sarebbe  potuto  venire,  e  però  invocarono  tutti  i  fulmini 
della  legge  contro  i  concorrenti,  che  già  cominciavano  ad  apparire 
sul  mercato  librario  milanese.  Difatti  la  pubblicazione  ufficiale  delle 
storie  non  era  stata  per  anco  intrapresa,  che  il  tipografo  Bidelli 
nel  1625  dava  alla  luce  i  Rerum  patriae  lib.  IV  dì  Andrea  Alciato. 
I  Malatesta  quindi:  «  perché  non  siano  defraudati  da  qualche  emuli 
«  et  invidiosi  »,  desiderano  un  «  privilegio  perpetuo,  a  fine  che 
u  ninno  lìbraro,  né  stampatore,  né  di  qualsivoglia  conditione,  che 
«  non  abbi  causa  de  detti  heredi  possa  stampare,  né  tener  venali 
«  in  questa  città,  né  in  qualsivoglia  luogo  del  dominio  di  Milano  i 
u  detti  libri,  né  parte  di  quelli,  sotto  pena  della  perdita  de'  detti 
«  libri,  che  si  troveranno  o  stampati  o  introdotti  contro  forma  d'esso 
a  privilegio,  e  de  scudi  500,  ed  altre  pene  arbitrarie  »  ecc.,  ecc.  Il 
governatore  Gonzalo  Fernandez  de    Cordova,  di    manzoniana  me- 


(i)  E.  Motta,  Briciole  bibliografiche,  Como,  1893,  pp.  36-7. 

(2)  Questi  avrebbe  dovuto  rivedere  la  Storia  del  Corio  «  et  correggerla  de- 
«  gli  errori  che  dentro  vi  sono  sparsi  et  ridurla  in  stile  più  ornato  e  più  con- 
ce forme  a'  tempi  »,  Ved.  quest'' Archivio,  IV,  p.  854. 


VARIETÀ  175 

moria,  «  dal  Campo  sopra  Casali,  a'  15  maggio  1628  »,  concesse 
il  privilegio,  ma  limitò  di  molto  le  pretese  de'  fratelli  Malatesta,  ri- 
ducendo la  durata  del  diritto  di  esclusività  a  soli  dieci  anni,  e  i 
500  scudi  di  multa  a  100,  quante  volte  però  si  fosse  trattato  di 
u  opera  nuova  et  non  più  data  in  luce  da  altri  ».  Sicché  il  Bidelli, 
avvalendosi  di  questa  restrinzione,  che  lo  metteva  in  grado  di  fare 
la  concorrenza  a'  tipografi  camerali,  l'anno  appresso  si  accinse  a 
pubblicare,  e  pubblicò  in  un  volume,  che  gareggia  con  le  edizioni 
malatestiane  per  il  formato,  i  tipi,  le  incisioni,  il  De  bello  inussiano 
di  Galeazzo  Capella,  e  le  Historiae  cisalpinae  del  Puteano.  I  Mala- 
testa  allora  fecero  buon  viso  a  cattivo  gioco:  gelosi  di  conservare 
la  privativa  di  fornitori  comunali,  si  accordarono  col  Bidelli,  e,  in- 
cettata r  edizione,  riuscirono  a  venderla  tutta  intera  al  comune, 
come  se  fosse  stata  fatta  da  loro,  a  L.  9  il  foglio  di  stampa,  oltre 
la  spesa  per  l'incisione  e  l'impressione  di  due  rami  (i). 

Con  la  pubblicazione  delle  Historiae  cisalpinae  il  Bidelli  era 
venuto  ad  attraversare  il  disegno  de'  delegati  del  comune,  perché 
questi  le  avevano  comprese  nel  piano  della  collezione  ufficiale  (che 
vogliamo  ritenere  incompleto,  per  giustificare,  fra  le  altre  omis- 
sioni, quella  gravissima  del  Corio)  insieme  con  le  Historiae  insu- 
bricae  dello  stesso  Puteano,  i  dieci  libri  del  Merula,  il  De  rebus 
gestis  prò  restitutione  Francisci  Sfortiae  del  Capella,  le  Vitae  vi- 
scontee del  Giovio  (v.  doc.  I),  e  due  opere  affatto  inedite:  i  venti 
libri  di  Tristano  Calco  e  la  Vita  Philippi  Mariae  di  P.  C.  Decembri. 
Ma  non  tutti  questi  scritti  ebbero  la  stessa  sorte,  perché  la  stampa 
delia  collana  si  arrestò  a'  due  primi  volumi,  l'uno  consacrato  al 
Calco,  e  l'altro  al  Merula,  al  Giovio  e  al  Decembri. 

Preparata  la  materia,  e  spinta  a  buon  punto  la  composizione 
tipografica,  il  delegato  Giovanni  Maria  Visconti,  che  più  degli  altri 


(i)  Questi  due  rami  sono  i  «  ritratti  del  Medichino  »  e  le  a  Imprese  del 
«  Medichino  »  del  doc.  IV.  Dal  quale  si  rileva  la  eccessiva  condiscendenza  degli 
amministratori  verso  i  Malatesta,  che  facevano  addebitare  al  comune  (e  il  comune 
pagava)  parecchie  spese  di  lavori  eseguiti  dall'incisore  nel  loro  esclusivo  interesse. 
Difatti  l'edizione  di  quattro  operette  del  Bescapé,  che  vide  la  luce  nel  1628,  essi 
la  stamparono  per  loro  conto,  addossando  al  comune  le  spese  de'  frontespizi.  Cosi 
pure  VEpitome  Historiae  Mediolanensis  Tristani  Calchi  fu  edita  da'  Malatesta  nel 
1627  (e  non  già  senza  anno,  come  dice  il  Predari,  Bibliografia  enciclopedica  mi- 
lanese, Milano,  1857,  p.  126)  per  farne  un  presente  a'  signori  P.  Ro,  G.  M.  Vi- 
sconti, e  A.  Visconti;  ma  il  comune  pagò  le  spese  delle  incisioni,  se  non  il  re- 
sto. Gli  omaggi  personali  fatti  col  pubblico  denaro  non  sono  quindi  una  inven- 
zione del  sec.  XX! 


176  VARIETÀ 

si  spese  per  tradurre  in  atto  la  volontà  del  consiglio  generale, 
pensò  di  provvedere  a'  disegni  e  alle  incisioni  de'  frontespizi,  de'  ri- 
tratti e  de'  fregi  necessari,  perché  1'  opera  riuscisse  degna  del  co- 
mune milanese.  I  disegni,  chi  avrebbe  saputo  tracciarli  meglio  del 
Cerano,  nonostante  la  sua  tarda  età?  La  fama  di  Gio.  Batta  Cre- 
spi, detto  il  Cerano  dal  nome  del  suo  borgo  natio,  empiva  allora  di 
sé  tutto  il  dominio,  e  volava  anche  lontana.  Reduce  da  Roma  e  da 
Venezia,  nelle  cui  scuole  aveva  studiato  pittura,  architettura  e  pla- 
stica, egli  si  distinse  sùbito  a  Milano,  dove  il  cardinale  Borromeo 
gli  commise  un  gran  numero  di  opere,  e  lo  chiamò  a  insegnar  pit- 
tura nell'accademia  fondata  da  lui.  11  modello  e  la  direzione  de'  la- 
vori per  il  colosso  di  S.  Carlo  sopra  Arona,  le  statue  e  le  scul- 
ture ornamentali  compiute  per  le  porte  del  Duomo  lo  avevano  reso 
da  molto  tempo  popolare,  quando  G.  M.  Visconti  si  rivolse  a  lui, 
settantenne,  per  l'illustrazione  delle  storie  cittadine.  Dev'essere  in- 
fatti del  marchese  Visconti  una  traccia  di  frontespizio  (doc.  II)  de- 
ferentemente  inviata  al  Crespi  nell'ottobre  del  1627. 

L'artista  accettò  di  buon  grado  l'incarico,  e  disegnò  non  solo 
il  frontespizio  e  un'arma  di  Milano  per  il  primo  volume  della  col- 
lezione, ma  anche  i  frontespizi  per  VEpitome  del  Calco  e  per  il 
secondo  volume,  oltre  i  dodici  ritratti  de*  Visconti  inseriti  nelle 
Vitae  del  Giovio,  i  quali,  pur  non  essendo  firmati,  non  si  possono 
attribuire  che  a  lui. 

Questi  disegni,  notevoli  tutti  per  il  loro  valore  intrinseco,  fu- 
rono fra  le  ultime  manifestazioni  artistiche  del  Cerano,  morto,  com'è 
noto,  nel  1633,  e  meritano  perciò  di  non  essere  trascurati  dagli 
studiosi  dell'arte.  Il  frontespizio  per  il  primo  volume  fu  eseguito 
scrupolosamente  sulla  traccia  proposta  da' delegati:  in  alto,  l'arma 
di  Milano  fra  due  figure  simboleggianti  la  Virtù  e  la  Gloria;  sotto 
r  arma,  la  figura  di  Milano  in  veste  di  giovine  guerriero,  che  ha 
nella  destra  lo  scettro  e  la  corona,  e  nella  sinistra  altri  simboli  di 
sovranità;  a'  lati,  Marte  e  Mercurio;  nella  parte  inferiore,  una  targa 
rettangolare  recante  il  titolo  dell'opera  contenuta  nel  volume  (Tri- 
stani  I  Calchi  \  Medio lanen.  \  Historiae  \  patriae  1  libri  \  XX)  ^  fian- 
cheggiata dalle  personificazioni  dell'Adda  e  del  Ticino  che  ofi'rono 
pesci  alla  città.  L'  «  invenzione  della  machina  »,  per  dirla  con  la 
frase  ufficiale,  cioè  la  composizione  e  la  disposizione  delle  parti, 
in  questo  frontespizio  a  tema  troppo  obbligato,  è  abbastanza  felice; 
il  disegno  rapido  e  senza  smancerie  nell'insieme,  ha  però  un  poco 
di  quell'ampollosità  e  quella  pesantezza,  specialmente  ne'  nudi,  di 
cui  il  Cerano  non  sempre  si  seppe  liberare. 

Più  armonico  forse,  ma  non  men  grave  di  elementi  ornamen- 


VARIETÀ  177 

tali  è  il  frontespizio  disegnato  per  il  secondo  volume:  in  alto,  lo 
stemma  de' Visconti  sostenuto  da  due  putti  uscenti  dalle  bocche  di 
due  angui  attorti;  sotto,  una  targa  col  titolo  del  libro  (i),  sorretta 
da  un'  aquila  e  da  due  figure  che  sembrano  l'Adda  e  il  Mincio  in- 
catenati. La  grande  arma  di  Milano  in  mezzo  a  due  putti,  che  tro- 
vasi nel  secondo  foglio  del  primo  volume,  e  il  piccolo  frontespizio 
per  V Epitome  del  Calco,  costituito  in  gran  parte  da  una  targa  col 
titolo  dell'opera,  sormontata  dall'  insegna  di  Milano  «  con  bam- 
u  bozzi  »,  rivelano  pure  la  mano  esperta  del  Crespi,  che  non  di- 
sdegnò di  firmare  questi  lavori  di  minor  conto,  come  soleva  :  Cer- 
ranus  delin, 

Cotesta  sua  buona  consuetudine  mi  ha  fatto  dapprima  dubi- 
tare che  i  dodici  ritratti  anonimi  de'  Visconti  non  fossero  opera 
sua;  ma,  in  séguito  a  un  attento  esame  delle  incisioni,  ogni  dubbio 
è  completamente  scomparso.  Ne'  dodici  ritratti  tutte  le  eccellenti 
qualità  del  Cerano  appaiono  armonizzate:  la  franchezza  del  dise- 
gno, r  eleganza  del  tocco,  e,  più  di  ogni  altro,  alcune  caratteristi- 
che botte  di  scuro  ne'  fondi,  con  le  quali  egli  sapeva  rendere  ani- 
mate e  luminose  le  figure;  mentre  i  suoi  difetti  di  maniera  e  di 
grazia  affettata  ritornano  nelle  cornici,  che  chiudono  i  ritratti  con 
motivi  ornamentali  ricordanti  l'autore  de'  frontespizi. 

D'altronde  non  si  saprebbe  spiegare  perché  mai  il  comune,  con 
imperdonabile  e  irriverente  leggerezza,  pensasse  di  affidare  al  Ce- 
rano la  sola  parte  decorativa  dell'edizione,  e  a  un  anonimo  la  parte 
veramente  artistica;  e  come  mai  il  Cerano,  lungi  dall'adontarsene, 
accettasse  di  buon  grado  la  parziale  e  modesta  commissione  con- 
feritagli. Ma  su  questi  ritratti  viscontei  del  Crespi,  e  in  genere  su 
tutti  quelli  che  servirono  ad  illustrare  le  diverse  edizioni  delle 
Vitae  del  Giovio,  io  mi  propongo  di  parlare  un'  altra  volta,  men 
rapidamente,  rilevando  parecchie  inesattezze  nelle  quali  si  è  in- 
corsi finora  (2). 


(i)  Questo  frontespizio  fu  adoperato  due  volte  nel  secondo  volume;  prima 
col  titolo:  Georgi  Merulae  Alexandrini  antìquitatis  Vicecotnitum  libri  X,  e  poi  con 
l'altro:  Duodecim  Vicecomitum  Mediolani  Principum  Vitae  auctore  Paolo  Jovio 
Episcopo  Nucerino.  La  Vita  Ph.  Mariae  del  Decembri  fu  stampata  in  fondo  a 
questo  stesso  volume  senza  frontespizio. 

(2)  Il  D'Adda,  per  dirne  una,  nelle  sue  Indagini  storiche,  artistiche  e  biblio- 
grafiche sulla  libreria  visconteo-sfor^esca  di  Pavia,  Milano,  1875,  p.  XLIX,  chiama 
il  ritratto  di  Filippo  Maria  Visconti,  contenuto  nell'  edizione  pari^na  del  1 549 
delle  Vitae  di  P.  Giovio,  esatta  riproduzione  della  nota  medaglia  di  Vittore  Pi- 
sano, che  in  verità  è  tutt'altra  cosa. 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXII.  Fase.  V.  12 


178  VARIETÀ 

Il  marchese  G.  M.  Visconti,  ottenuti  i  disegni  dal  Crespi,  ne 
commise  l' incisione  a  Cesare  Bassano,  uno  de'  migliori  bulini  del 
seicento.  Della  precisione  e  dell'  eleganza  di  quest'  artefice  si  po- 
trebbe convincere  sùbito  anche  un  profano,  raffrontando  il  nitido 
frontespizio  che  egli  incise  per  1'  edizione  del  Calco,  con  quello 
sciatto  e  sgarbato  che  suU'  identico  disegno  esegui  nel  1644  un 
L.  P.  Bianco  per  il  Theatrum  mediolanense  di  Salvatore  Vitale. 

Il  lavoro  di  preparazione,  il  disegno,  l'incisione,  l'impressione 
de'  rami  e  la  stampa  del  testo  non  richiesero  meno  di  cinque  anni; 
e  quindi  solo  nell'adunanza  camerale  del  dicembre  1627  il  vicario 
dottor  Fabio  Dugnani  potè  comunicare  a'  signori  LX  «  che  in  cou- 
rt formità  di  quello  che  fu  stabilito  a  gli  anni  passati  circa  il  dar 
«  alla  stampa  le  Historie  di  Milano,  i  sigg.  Delegati  a  tal  impresa 
«  non  havevano  mancato  d'ogni  cura  e  diligenza  possibile,  e  che 
«  finalmente  s'era  stampato  Tristano  Calco  nella  forma  che  si  po- 
«  teva  vedere  dal  libro  quivi  essibito,  di  cui  doppo  le  feste  si  man- 
«  derebbe  copia  a  ciascuno  di  loro  sigg.,  e  che  tuttavia  da  i  me- 
«  desimi  sigg.  Delegati  si  proseguirebbe  il  rimanente  dell'impresa, 
«  col  procurare  che  si  mandino  in  luce  l'altre  bistorie  »  (i).  Ma  il 
libro  non  fu  effettivamente  pubblicato  che  dopo  il  maggio  del  1628, 
come  si  deduce  dalla  Summa  privilegii  che  trovasi  a  tergo  del  se- 
condo frontespizio,  e  che  altro  non  è  se  non  la  parte  essenziale  del 
documento  edito  dal  Motta,  redatta  in  latino. 

Non  risulta  dagli  atti  che  il  Vicario  annunciasse  egualmente  la 
compiuta  stampa  del  secondo  volume,  il  quale  però  dovette  veder 
a  luce  nel  1630,  nonostante  che  la  relazione  premessavi  da'  delegati 
rechi  la  data  de'  13  agosto  1629.  Difatti  a'ia  fine  delle  Vitae  vi- 
scontee si  legge:  «  Mediolani.  Apud  her.  Melchioris  Malatestae  Im- 
pressores  Reg.  Due.  et  Civit.  M.  DCXXX  ». 

Dopo  quest'anno,  la  collana  non  ebbe  più  séguito,  almeno  nella 
forma  e  con  gl'intenti  iniziali.  Il  comune  e  i  delegati  per  esso  mi- 
sero da  parte  le  storie  degli  scrittori  passati  a  miglior  vita,  e  si  mostra- 
rono solleciti  esclusivamente  de'  vivi,  ora  incoraggiandone  l'opera 
con  l'acquisto  di  molti  esemplari  (v.  doc.  VI),  ora  assumendosi  in 
tutto  o  in  parte  le  spese  di  stampa  (2),  ma  più  specialmente  isti- 
tuendo la  carica  di  storiografo  municipale,  che  primo  occupò  il  Ri- 
pamonti nel  1635.  Cosi  che  i  delegati  non  si  dissero  come  una  volta 

(i)  Arch.  stor.  civ.,  Dicasteri^  Cameretta,  e.  132. 

(2)  Ved.  nell'Arch.  stor.  civ.  gli  atti  della  Cameretta  sotto  le  seguenti  date: 
24  novembre,  1639;  3°  dicembre,  1649;  ^  aprile,  i^joj  30  dicembre,  1654;  24 
gennaio,  1656. 


I 


VARIETÀ  179 

«  per  la  stampa  »,  ma  «  sopra  il  far  scrivere  le  storie  di  questa  pa- 
«  tria  w  (t);  e  alla  carica  di  storiografo  aspirarono  spesso  più  cac- 
ciatori d'impieghi,  che  persone  degne  dell'ufficio.  La  ressa  fu 
tale  nel  1645,  che  il  comune  incaricò  il  signor  Gerolamo  Legnano 
e  il  marchese  Vercellino  M.  Visconti  di  assumere  le  dovute  infor- 
mazioni «  sopra  il  concorso  de'  soggetti  pretendenti  di  continuare 
«  la  storia  di  Milano  »  (2). 

Una  vera  appendice  a'  due  volumi  pubblicati  tra  il  '28  e  il  '30 
vide  la  luce  quattordici  anni  dopo,  sotto  il  vicariato  di  Giulio  Du- 
gnano,  fratello  di  quel  Fabio  Dugnano  che  nel  1627  aveva  tenuto 
a  battesimo  l' impresa  del  comune,  e  fu  la  raccolta  de'  Residua  di 
Tristano  Calco  (3),  tratti  per  opera  del  Puricelli  da  un  codice  pos- 
seduto da  L.  A.  Cotta,  e  preventivamente  esaminato  dal  Legnano 
e  dal  Visconti  summentovati.  Tutte  le  altre  pubblicazioni  storiche 
ufficiali  e  semi-ufficiali  che  furon  fatte  poi,  non  si  possono  consi- 
derare come  atti  esecutivi  della  deliberazione  presa  dalla  Cameretta 
il  6  settembre  del  1622,  perché  non  rispondono  allo  spirito,  diciamo 
COSI,  di  conservazione,  e  non  di  produzione,  che  l'aveva  informata. 

Prima  di  chiudere  però  questi  appunti  bibliografici,  possiamo 
rivolgerci  due  domande:  Quanto  costò  la  stampa  de'  due  volumi 
alla  municipalità  di  Milano?  Il  denaro  fu  bene  speso? 

I  documenti  che  pubblichiamo,  e  che  forse  non  riusciranno 
inutili  per  la  storia  economica  delle  arti  grafiche,  ci  consentono  di 
rispondere  facilmente  alla  prima  domanda.  11  comune  spese  per  la 
stampa  de'  248  fogli  che  compongono  i  due  volumi  (4)  L.  2232,  e 
per  l'incisione  e  l'impressione  de' rami  altre  L.  1758;  in  tutto 
L.  3990;  e  poiché  di  ciascun  volume  si  tirarono  250  copie,  ogni 
copia  venne  a   costare   quasi    L.  8  (5).  Occorrerebbe    conoscere  il 

(1)  Cameretta,  5  aprile,  1653. 

(2)  Ibid.,  23  dicembre,  1645. 

(•{)  Tkisiami  Chalci  mediolanensfs  historioeraphi  Residua  e  Bihliotheca  Pa- 
tricij  Nobilissimi  Ludi  Hadriani  Cottae,  nunc  primo  prodeunt  in  Iticem,  studio  et 
opera  Joannis  Pe  tri  Puricelli,  Sacrae  Theol.  Doctoris  et  Laurentianae  Basilicae 
Archipresbyterij  qui  suos  etiam  iìlis  Indices  et  Epitomas  adiecit.  Mediolani,  apud 
Ioannem-Baptistam  et  lulium-Caesarem  fratres  Malatestas,  Regio- Camerales  et  Ci- 
vitatis  Typographos,  MDCXLIV,  in  f.,  pp.  120. 

(4)  Le  pagine  stampate  sono  471-I-8  n.  n.  nel  i.°  voi.,  e  326  1 139-1-40+3 
n,  n.  nel  2.°;  le  rimanenti  sono  bianche. 

(5)  In  questa  cifra  non  é  compreso  però  il  valore  de'  disegni  di  G.  B.  Cre- 
spi, che  non  sappiamo  se,  e  in  qual  misura  fu  ricompensato  ;  né  il  prezzo  de' 
libri  a  stampa  e  manoscritti,  di  cui  si  servirono  i  tipografi,  che  ci  è  noto  solo 
in  parte  (ved.  doc.  I). 


l8o  VARIETÀ 

prezzo  della  mano  d'opera,  della  carta,  e  moltissimi  altri  elementi 
d'indole  economica  per  poter  giustamente  valutare  queste  cifre; 
però,  data  l'ingordigia  de'  Malatesta,  non  crediamo  di  apporci  male 
ritenendo  che  a  uno  speculatore  accorto  l'impresa  sarebbe  costata 
molto  di  meno. 

Infine,  se  spese  troppo,  spese  bene  il  comune?  Non  vorremmo 
esser  tacciati  di  severità  verso  i  delegati  preposti  all'  esecuzione 
dell'opera;  è  un  fatto  però  che  essi  non  presero  nessuna  elemen- 
tare cautela  nella  scelta  e  nella  revisione  de'  testi.  Certo,  da  due 
valentuomini  del  secolo  XVII,  orecchianti  di  studi  storici  e  lette- 
rari, non  si  potrebbe  pretendere  ciò  che  oggi  dicesi  un'  edizione 
critica,  ma  un  tantino  di  circospezione,  di  prudenza  e  di  diligenza, 
si.  Essi  invece  buttarono  nelle  mani  de'  tipografi  il  primo  Giovio 
o  il  primo  Decembri  che  capitò  loro  fra'  piedi,  senza  dar  nem- 
meno un'  occhiata  al  nome  dell'  editore  o  dell'  amanuense.  Si  che, 
per  esempio,  la  lezione  della  Vita  Philippi  Mariae  edita  dal  co- 
mune, è  talmente  guasta,  da  non  poter  reggere  il  confronto  con 
nessuno  de'  codici  che  dell'  opera  di  P.  C.  Decembri  sono  a  mia 
conoscenza.  Eppure  uno  di  questi,  il  Trivulziano  1273,  è  dovuto  a 
Giovan  Giacomo  Chiesa,  noto  copista  milanese,  e,  per  giunta,  se- 
gretario, come  suo  padre,  della  municipalità  di  Milano  (i);  il  quale 
lo  trascrisse  proprio  nel  1625,  quando  cioè  l'edizione  affidata  a'  de- 
legati non  aveva  ancor  visto  la  luce. 

Giuseppe  Petraglione. 


(i)  Ved.   Teatro  genealogico  delle  famiglie  illustri  e  cittadine  di  Milano,  ms. 
Trivulziano,  fondo  Belgioioso,  non  ancora  collocato. 


VARIETÀ 


l8l 


DOCUMENTI 


(Archivio  storico  civico  di  Milano,  Storici  milanesi). 

I. 

1628^  A  di  II  agosto. 
Communità  de  Milano  deve  dare  per  V  infrascritti  libri  : 


Dati  al  Sig. 
Sen.re  Ro 
in  occa- 
sione del- 
le Histo- 
'  rie  che  si 
dovevano 
stampare 


Hist.  di  Giorgio  Merola  in  fol.  datta  che 
hanno    adoperata  per    copia   da  fare 

ristampare L.  24 

Hist.  Cesaip'tna  del  Puteano,  in  4°     .     .     .     „     6 
Hist.  Insubria  del  Pateano,  in  8°.     .     .     .     „     4:10 
Hist.  Galeatij  Capette  de  Restitut.  Francisci 

Sfortiae  Mediolani  Ducis,  in  8°  .     .     .     „     3 
Vite  Illustrium  Virorunt  Pauli  Jovij  cum 
figuris  in  fol.  allemagna  speso   .     . 


»  24 

(0 


L.  1155:17:6 


E  più  deve  dare  n.  250  Vita  Philippi  Mariae  Vicecomes  (sic) 
Mediolani  Ducis  è  fogli  undeci  a  L.  9  il  foglio      .    .  L. 


99 


L.  1254:17:6 


E  più  n.  250  Hist.  Cesalpina   Puteano,    fol.    22  a    L.   9   ii 

folio L.       198 


L.  1452:17:6 


Si  detrano  dalla  suddetta  lista  centonovanta  due  e  soldi 

due .     .  L.      192:   2 


Resta  in  L.  1260:15:6 
Gio.  Batta  Arcimboldo,  Delegato. 


(i)  Omettiamo,  perché  estranei  al  nostro  argomento,  i  titoli  de'  non  pochi 
altri  libri,  in  gran  parte  riguardanti  la  peste,  forniti  da'  Malatesta  al  comune 
sino  a'  27  gennaio  del  1632. 


l82  VARIETÀ 


li. 


Al  Sig.f  Gio.  Baila  Crespi  Cerrano. 

I  principali  soggetti  che  si  desiderano  sulla  prospettiva  de*  libri  delle 
Historie  di  Milano  sono  questi  : 

Nella  parte  superiore  TArma  della  Città  fra  due  figure  rappresen- 
tanti runa  la  Virtù  e  l'altra  la  Gloria. 

Milano  in  figura  di  giovane  robusto  nella  forma  che  V.  S.  giudi- 
cherà, havuto  quel  riguardo  che  le  parerà  alle  descrittioni  'di  lui  fatte 
in  occasione  delle  venute  et  essequie  Reali. 

Ai  lati  di  Milano  due  figure,  l'una  di  Marte  e  Taltra   di   Mercurio. 

Nella  parte  inferiore,  due  fiumi,  il  Ticino  e  TAdda. 

Nel  rimanente  e  quanto  all'  inventione  della  Machina,  alla  disposi- 
zione delle  figure,  a  gli  abiti,  e  simboli  loro,  a  i  trofFei^  et  ogni  altro 
ornamento,  il  tutto  si  rimette  al  giudicio  et  al  valore  di  V.  S.,  bastando 
haverle  accennato  questo  poco,  piuttosto  per  soddisfattione  di  lei,  che 
bisogno  dell'opera.  Nostro  Signore  conservi  e  felici[ti]  V.  S.  come  de- 
sidera. 

Milano,  li  2'j  ottobre  i62y. 


III. 


i6j2,  Alti  7  maggio. 


Intagli  fatti  in  rame  da  Cesare  Bassani  per  le  Historie  di  Milano 
stampate  sin  a  questo  giorno  di  ordine  de'  SS."  Delegati  dal  Consiglio 
Generale  de'-  SS."  LX  per  li  quali  intagli  si  è  accordato  e  stabilito  il 
prezzo  col  detto  Bassani  nelle  somme  infrascritte  dal  Sig/  Marchese 
Gio.  Maria  Visconti  uno  di  essi  Sig."  Delegati. 

L'intaglio  della  prospettiva  ééiV Historia ài  Tristano  Calco,  scudi 

trentacinque D.  35 

L'Intaglio  deìVHistoria  di  Giorgio  Merula,  e  delle    Vite   de'  XII 

Prencipi  Visconti,  scudi  trentacinque w  35 

Un'arma  grande  della    Città  con  bambozzi  che  sostengono  la  co- 
rona e  diversi  trofei  di  libri  et  armi,  scudi  undeci    .     .    .    .  „  11 

Un'altra  arma  mezana  con  gl'istessi  bambozzi,  scudi  otto.    .    .  „  8 

Un'altra  arma  con  diversi  trofei  pendenti,  scudi  sette     .    .    .    .  „  7 

Due  armette  della  Città  piccole  scudi  sei „  6 

Da  riportarsi  D.    102 


i 


VARIETÀ  183 

Riporto  D.  102 

Quattordeci  ritratti  con  suoi  ornamenti  attorno,  cioè  dei  XII  Prin- 
cipi Visconti,  de'  quali  uno  si  è  fatto  due  volte,  et  uno  di  Gio. 
Jacopo  Medici  nell' Historia  De  Bello  Mediceo,  a  ragione  di 
scudi  nove  per  ciascuno,  sono  in  tutto  scudi  cento  ventisei.  D,  126 

Una  impresa  del  detto  Medici,  scudi  tre „      3 

Intaglio  posto  a  gli  epitomi  di  Tristano  Calco,  scudi  sei     ...    „      6 
Nei  suddetti  prezzi  si  è  avuto  riguardo  alli   intagli  fatti 
di  alcune  delle  suddette  Armi  della  Città. 

E  per  le  spese  fatte  nella  stampatura  di  tutti  i  suddetti  Intagli, 
come  per  la  lista  a  parte  in  somma  di  Lire  trecento  trenta 
sei,  che  sono »,     56 


D.  293 


Sono  in  tutto  scudi  ducento  novanta  tre,  che  fanno    lire   mille  set- 
tecento cinquantotto. 

Gio.  M.  Visconti. 


IV. 


NOTTA    DELLE     SPESE     FATTE   DA     CeSARE     BaSSANO      PER    FAR 
STAMPARE   GLI    InTAGLIJ   FATTI   PER    LA    CiTTÀ. 


Per  la  stampatura  di  250  principij  del  Tristano  Calco  a 

L.  4  il  cento L.     io,  ss.  — 

Per  la  stampatura  de   400  armi  della    Città   con  li  duoi 

puttini  a  L.  4  il  cento „     16,  ss.  — 

Per  la  stampatura  de  400  principij   dell'epitome  a   L.  4  il 

cento ^^     16,  ss.  — 

Per  la  stampatura  de  250  principij  del  Bascapé  a  L.  4  il 

cento „     IO,  ss.  — 

Per  la  stampatura  de  250  ritratti  del  Medichino  .  .  .  .  „  io,  ss.  — 
Per  la  stampatura  de  250  imprese  del  Medichino  .  .  .  „  io,  ss.  — 
Per  la  stampatura  de  250  armi  con  li  duoi  puttini  .  .  .  „  io,  ss.  — 
Per  la  stampatura  d'altre  250  armi  con  li  duoi  puttini  .  „  io,  ss.  — 
Per  la  stampatura  di  400   armette   della  Città  per  porre 

sopra  le  liste  de  SS."  Sessanta .     „     16,  ss.  — 

Per  averli  consignato  cop.  250   Monti  Etna  a  ss.   cinque 

l'uno „    62,  ss.  IO 


Da  riportarsi  L.  170  ss.  io 


184  VARIETÀ 


^ 


Riporto  L.  170  ss.  IO 


Per  la  stampatura  de  150  armi  nel  principio  del  Roccona 

delle  pubbliche  allegrezze L.  6,  ss. 

Per  la  stampatura  de  250  principij  di  Giorgio  Merula.    .  „  io,  ss. 

Per  la  stampatura  delli  dodeci  Visconti  havendone  fatto 
stampare  cop.  250  per  sorte,  che   in   tutto   fanno  la 

somma  di  retratti  3000  a  L.  4  il  cento „  120,  ss. 

Per  250  principij  dell'opera  de  12  Visconti »  io,  ss. 

Per  250  principij  di  un  altro  libro  del  Basgapé  .    .     .    .  „  io,  ss. 

Per  250  principij  di  un  altro  libro  del  Basgapé   .    .    .    .  „  io,  ss. 


L.  336,  ss.  IO 
Gio.  M.  Visconti. 

V. 

Ordine  a  favore  di  Cesare  Bassani  Intagliatore  in  rame. 

i6}2^  Alli  X  maggio, 

I  Sig."  Gio.  Batta  Rainoldi  Vicario  di  Provvisione  e  Conservatori 
del  Patrimonio  della  Città  di  Milano,  congregati  etc. 

Vista  la  nota  degl'Intagli  fatti  in  rame  da  Cesare  Bassani  per  le 
Historie  di  questa  Città  di  ordine  de  SS."  Delegati  fatte  stampare  in 
essecutione  dell'ordinatione  de'  SS."  LX  del  Consiglio  generale  delli 
6  Settembre  1622,  con  la  quale  fu  stabilito  che  si  facessero  stampare 
quelle  Historie  di  Milano  cosi  manoscritte  che  già  stampate  altre  volte, 
che  fossero  parse  degne  della  stampa.  I  quali  Intagli  sono  poi  stati  ac- 
cordati dal  Sig.  Marchese  Gio.  Maria  Visconti,  uno  de  suddetti  Sig."  De- 
putati, in  scudi  ducento  novanta  tre,  da  lire  sei  per  scudo  in  tutto,  com- 
putata la  spesa  di  fargli  stampare,  come  distintamente  si  vede  dalla 
lista  del  tenore  che  segue. 

Hanno  ordinato  che  si  spedisca  un  mandato  al  Tesoriere  della  Città, 
che  paghi  al  suddetto  Bassani  Lire  novecento  cinquanta  tre  Imperiali, 
le  quali,  computate  altre  lire  ottocento  cinque,  già  pagategli  a  buon 
conto  in  diverse  partite,  fanno  il  saldo  et  intiero  pagamento  delli  sud- 
detti scudi  293,  che  importano  gl'intagh  e  le  stampe  loro  contenute  nella 
lista  di  sopra  inserta. 

Raynoldus  v[icarius]  Cesare  Visconte 

Meltius  Giov.  Batta  Arcim[bol]do 

H[iERONiMus]  ADv[ocArus]    Carlo  Visconte. 


VARIETÀ  185 


VI. 


i6jOj  Lunedi  a  gli  XI  febr.o  la  sera. 

Congregati  i  Sig."  Francesco  Landreani  Vicario  di  Provvisione  e 
Conservatori  del  Patrimonio  della  Città  di  Milano  nel  loro  Tribunale  etc. 

Propose  il  S.r  Vicario,  che  il  S.r  Senatore  Re,  al  quale  da  SS."  LX 
fu  raccomandata  la  cura  dell'impressione  delle  Historie  di  Milano,  haveva 
fatto  ufficio  ed  istanza  con  Ericio  Puteani  Historico  Regio  e  già  publico 
lettore  in  questa  Città,  che  adesso  dimora  in  Lovanio,  acciò  finisse  e 
dassi  alla  stampa  THistoria  deirinsubria. 

Il  che  avendo  egli  fatto,  era  parso  al  medemo  S.'"  Senatore,  che  per 
trattarsi  nell'opera  di  molte  cose  appartenenti  alla  Città  e  provincia 
nostra,  e  per  essere  uscita  da  persona  di  quel  valore  e  forma,  che  è  il 
Puteani,  fossi  bene,  che  di  là  se  ne  mandasser  cento  copie,  parte  per 
dare  a'  SS."  LX,  e  parte  per  riporsi  nell'Archivio.  E  però  aveva  voluto 
darne  parte  a  lor  signori,  acciò  fossero  serviti  dar  ordine  che  si  sbor- 
sassero ducente  scudi,  che  tanto  importa  il  prezzo  e  costo   d'essi  libri. 

Sopra  di  che  hanno  stabilito  che  il  negozio  si  rimetti  ad  esso  Sig.  Se- 
natore, et  a'  SS."  Marchese  Gio.  Maria  Visconti  e  Co.  Antonio  Visconti, 
che  insieme  hanno  questa  Impresa,  acciò  proveggano  come  loro  parerà 
con  auttorità  di  far  pagare  il  danaro  richiesto. 

F.  Landrianus 

Meltius 

Gio.  Pietro  Negroli  (?) 

Odoardo  Croce 

Antonio  Rainoldi. 


BIBLIOGRAFIA 


D.  Johann  Graus,  S.  Maria  im  Ahrenkleid  und  die  Madonna  cum  cohazono 
vom  Mailander  Dom  (La  Vergine  dall'abito  a  spighe  eia  Madonna 
del  Coazzone  del  Duomo  di  Milano),  estratto  dal  Kirchenschmuck^ 
Graz,  1904,  pp.  20. 

Il  titolo  stesso  dell'  opuscolo  mostra  come  l'argomento  abbia  inte- 
resse anche  pei  milanesi;  infatti  si  tratta  della  relazione  tra  una  serie 
di  rappresentanze  tedesche  della  Vergine  sotto  sembianze  assai  singo- 
lari e  una  statua  del  nostro  Duomo,  ora  nel  Museo  del  Castello,  che 
offre  le  medesime  caratteristiche.  Tali  rappresentanze  l'A.  aveva  già 
studiato  in  alcuni  articoli  del  Kirchenschmuck;  qui  egli  riassume  la  que- 
stione e  cerca  risolverla  col  sussidio  di  nuovi  elementi  e  traendo  par- 
tito dagli  articoli  del  Sant'Ambrogio  sull'argomento  pubblicati  néìì'Arte 
e  Storia,  nella  Rivista  pavese  di  scienze  storiche  e  nella  Lega  Lombarda. 
L'opuscolo  è  corredato  di  parecchie  buone  illustrazioni. 

Queste  singolari  raffigurazioni  della  "  Vergine  dell'abito  a  spighe  „, 
sparse  in  numero  di  trenta  circa,  in  Baviera,  a  Salzburg  e  in  Tirolo, 
di  cui  la  pila  antica  risale  al  1400  circa,  hanno  per  caratteristica  comune, 
salvo  lievi  varianti  :  l'aspetto  giovanile,  le  mani  giunte  in  atto  di  pre- 
ghiera, le  lunghe  chiome  sciolte  scendenti  fin  quasi  alle  ginocchia,  la 
veste  seminata  di  spighe  e  stretta  alla  cintura  da  un  nastro,  di  cui  un 
lembo  scende  sul  davanti  fino  a  terra,  e  un  raggiante  intorno  al  collo. 
Alcune  di  esse  portano  un'iscrizione  in  cui  si  dice  che  l'immagine  rap- 
presenta la  Vergine  prima  delle  sue  nozze  e  che  è  dipinta  anche  nel 
Duomo  di  Milano,  oppure  in  una  città  "  Olana  „ ,  "  Osana  „  o  "  Osan- 
na „  nello  stato  di  Milano.  Ciò  aveva  dapprima  fatto  sperare  all'A.  di 
poter  trovare  una  traccia  dell'originale  a  Milano  o  a  Olona  (Corte  Olona, 
Castiglione  Olona),  ma  le  sue  ricerche  riuscirono  vane,  finché  ebbe  no- 
tizia d'una  statua,  proveniente  dal  Duomo  e  ora  nel  Museo  del  Castello, 
raffigurante  una  Vergine  assai  simile  a  quella  in  questione  e  giudicata 
dal  Sant'Ambrogio  il  ritratto  della  duchessa  Caterina  Visconti,  moglie 
di  Gian  Galeazzo,  la  quale  è  costantemente  ritratta  coU'abito  a  spighe 
e  la  radia  araldica  al  collo. 


BIBLIOGRAFIA  X87 

L'A.  crede  invece  che  la  presenza  del  motto  biblico  "  Electa  ut  sol, 
"  pulchra  ut  luna  „,  letto  dal  Sant'Ambrogio  sul  nastro  infranto  della 
statua  (el....t  luna)  basti  a  rivelarla  per  un'immagine  di  Maria  Vergine, 
e  ne  rileva  la  perfetta  rispondenza  colle  rappresentanze  tedesche,  e 
insieme  certe  differenze,  per  cui  quelle  non  possono  esserne  copie 
I;  dirette. 

Infatti    dagli  Annali   del   Duomo,  si   ricava  la  notizia    di  un'antica 
immagine   d'argento    della  Madonna  del    Coazzone,  assai  venerata   dai 
*f  tedeschi,  sostituita    poi  da  un  dipinto  di   Cristoforo  De  Motti  nel  1466 
.td  infine  da  una  statua  di  Pietro  Antonio  Salari  nel  1485,  la  quale  sa- 
prebbe, secondo  il  Sant'Ambrogio,  quella  appunto  del  Castello. 

L'A.  nota  che  la  denominazione  antica  di  "  Madonna  del  Coazzone  „ 
caratterizza  assai  meglio  le  rappresentazioni  tedesche  della  Vergine 
che  non  le  altre  caratteristiche,  dell'  abito  a  spighe,  ecc.,  e  condivide 
l'opinione  del  Sant'Ambrogio  che  quelle  siano  derivate  dal  dipinto  del 
De  Motti  del  1466. 

Abolito  poi  da  San  Carlo  il  culto  della  "  Madonna  del  Coazzone  „, 
la  statua  fu  tolta  dall'altare  e  deposta  nei  magazzeni  della  Fabbrica; 
così  se  ne  spense  non  solo  la  divozione,  ma  anche  il  ricordo,  mentre 
sopravvisse  tra  i  tedeschi  e  vi  si  diffuse  mediante  numerose  riprodu- 
zioni. Neir^/Zas  Marianus  di  Gumppenberg  del  1673  si  parla  d'una 
celebre  e  miracolosa  immagine  della  Vergine  nel  Duomo  di  Milano, 
per  la  quale  Gian  Galeazzo  avrebbe  fondato  una  nuova  cattedrale. 

Nelle  iscrizioni  di  due  rappresentanze  di  Budweis  e  di  Salzburg 
si  legge,  tra  altri  miracoli,  quello  della  rosa  bianca  colta  dalla  duchessa 
di  Milano  davanti  all'immagine  della  Vergine  e  portata  nel  suo  palazzo, 
ma  riapparsa  al  mattino  seguente  al  luogo  primitivo.  Riguardo  alla 
caratteristica  dell'abito  a  spighe,  l'A.  la  fa  derivare  col  Sant'Ambrogio 
da  quello  della  duchessa  Caterina,  quale  appare  sempre,  senza  ecce- 
zione, nei  ritratti  che  ce  ne  rimangono  nella^Certosa  di  Pavia,  fondata 
per  voto  fatto  da  lei  avanti  il  parto  del  secondo  figlio,  Filippo  Maria  ; 
per  gratitudine  alla  Vergine,  che  aveva  esaudito  il  suo  voto  e  verso 
la  quale  aveva  una  speciale  devozione,  di  cui  son  parecchie  e  signifi- 
canti le  prove,  la  duchessa  avrebbe  adottato  per  sé  l'abito  col  simbolo 
della  fecondazione  e  fatto  rappresentare  con  tale  abito  la  Vergine  stessa: 
tale  intima  relazione  tra  la  persona  della  duchessa  e  l'originale  delle 
rappresentanze  tedesche  sarebbe  confermata  anche  dalla  leggenda  della 
rosa  bianca  e  dalla  radia  ducale  intorno  al  collo  della  Vergine,  divisa 
per  la  quale  l'A.  conclude  col  ritenere  un'istituzione  dei  Visconti  l'ori- 
ginale perduto  della  u  Madonna  del  Coazzone  „  e  come  data  del  mede- 
simo la  fine  del  XIV  secolo. 

Arturo  Frova. 


l88  BIBLIOGRAFIA 


Enrico  Casanova,  Dizionario  feudale  delle  Provincie  componenti  Vantico 
stato  di  Milano  air  epoca  della  cessazione  del  sistema  fendale  {Ducato 
di  Milano,  principato  di  Pavia  di  qua  dal  Po,  contado  di  Como,  con- 
tado di  Cremona,  contado  di  Lodi)  —  {i796\  —  Firenze,  stab.   tip. 
-     Giuseppe  Civelli,  1904,  in-8,  pp.  xii-124. 

Nelle  vecchie  biblioteche  familiari  milanesi  si  possono  tuttora  rin- 
tracciare parecchi  volumoni,  per  lo  più  rilegati  in  pergamena,  e  che 
portano  od  il  titolo  significativo  di  Nobiltà  smascherata,  come  il  più  noto 
di  essi,  od  altro  consimile.  Queste  pubblicazioni,  che  circolarono,  più  o 
meno  discretamente,  manoscritte,  rimontavano,  ove  si  voglia  ricercarne 
Torigine,  alle  pazienti  investigazioni  di  qualche  patrizio  autentico,  un 
po'  schizzinoso  ed  un  po'  burlone,  come  quel  Pusterla  che  è  ritenuto 
autore  del  più  reputato  di  tali  lavori.  Essi  ebbero,  e  possono  avere 
tuttora,  un  certo  sapore  di  scandalo  col  semplice  raccontare  fatti  sicuri 
naturalissimi,  neppur  disonorevoli,  ma  così  rapidamente  e  forse  voluta- 
mente posti  in  oblio!  Non  si  contentavano  di  porre  in  chiaro  la  sepa- 
razione genetica  fra  i  Crivelli,  antichissima  prosapia  milanese,  ancor 
oggi  superstite  in  tre  rami,  ed  i  nuovi  Crivelli  del  Lago  Maggiore,  o  di 
lumeggiare  altre  notizie  storiche  quasi  volgari.  Ma,  in  un'  epoca,  che 
dallo  spagnolismo  derivava  i  funesti  pregiudizi  contro  i  commerci,  un 
tempo  vanto  della  nostra  nobiltà,  ed  in  contrapposizione  ai  genealogisti 
adulatori  o  falsari,  si  compiacevano  di  rievocare  le  umili  professioni  dei 
prossimi  ascendenti  di  molti  titolati  contemporanei.  Senza  troppo  adden- 
trarsi nell'esame  di  tali  lavori,  sarà  agevole  il  constatare  come  la  cosi 
detta  "  nobiltà  diplomatica  „  ne  abbia  fatte  costantemente  le  spese. 

La  bufera  rivoluzionaria  eguagliatrice  e,  forse  in  un  grado  ancor 
maggiore,  il  carattere  esotico,  che  volle,  questa  volta,  assumere  il  regime 
austriaco  alla  restaurazione  del  1814,  cancellarono  dalle  leggi  e  quasi 
dai  costumi  ogni  vetusta  distinzione  fra  i  membri  della  nobiltà  lombarda 
ammessi  agli  onori  di  corte.  Appena  sopravissero,  né  si  potrebbero  an- 
cora affermare  scomparse,  talune  diffidenze  ed  una  certa  riserva  verso 
i  maggiori  finanzieri  della  fine  del  settecento,  celebri  per  le  loro  ric- 
chezze conseguite  colle  "  ferme  „.  Ma,  ancora  all'agonia  dell'antico  re- 
gime, e,  per  essere  precisi,  ai  ricevimenti  della  corte  arciducale  di  Milano 
nell'inverno  del  1796,  vigevano  le  norme  rigorose  in  odio  ai  nobili  di- 
plomatici. Là  dove  gli  alti  magistrati  ed  i  canonici  delle  maggiori  col- 
legiate erano  accolti  senza  riguardo  alla  loro  nascita,  i  nobili  diploma- 
tici potevano  entrare,  ma  come  semplici  spettatori,  poiché  era  loro 
vietato  giocare,  ballare  e  sedere,  e  le  loro  mogli,  fossero  pur  discese 
da  schiatte  di  nobiltà  "  generosa  „,  perdevano  il  diritto  di  essere  rice- 
vute a  corte.  E  vi  è  memoria  di  laboriosissime  pratiche  che  furono 
imposte  alla  discendente  d'una  delle  più  chiare  famiglie  del  patriziato 
civico  per  poter  continuare  ad  essere  ricevuta  a  palazzo  dopo  il  suo 
matrimonio  con  un  semplice....  feudatario. 


BIBLIOGRAFIA  189 

Parole  queste  che  sembrerebbero  incomprensibili  in  altri  paesi  che 
posero  il  possesso  di  un  feudo  quale  criterio  precipuo  delle  distinzioni 
araldiche.  Invece  l'egemonia  del  patriziato  cittadino  di  fronte  ad  ogni 
altra  classe  privilegiata  fu  vittoriosamente  affermata  in  Milano  durante 
lunghi  secoli,  e  per  avventura  i  maggiori  della  sua  storia,  quelli  di  cui 
permangono  più  dirette  la  ripercussione,  la  traccia  nella  nostra  vita 
moderna.  Non  si  deve,  per  altro,  dimenticare  che  dalla  nobiltà  diploma- 
tica delle  epoche  tarde,  che  comperava  i  feudi  dalla  Regia  Camera,  e 
presentava  quindi  le  caratteristiche,  sempre  poco  pregiate  da  noi,  di 
un'origine  prettamente  censitaria  e  di  un  conferimento  d'un  potere  so- 
I  vrano  straniero,  era  ben  diversa  la  feudalità  più  antica. 

Non    occorre  neppur   risalire    alle  più  remote   investiture,    affini  a 

quelle  inglesi  che  ci  diedero    il  germe  delle   libertà  parlamentari,   così 

ìonfigurate,  che  i  feudi  si  perdevano  ove  i  vassalli  non  intervenissero 

Ralla  Dieta.  (Secondo  si  legge  per  esempio  in  Ottone  di  Frisinga).  Dopo 

i  capitani  costretti  a  patto  nel  duecento  coi  patrizi  cittadini,  vennero  i 

gentiluomini  investiti    dai  Vicari   imperiali   indigeni,   dai  nostri   illustri 

\.  principi,  i  Visconti  e  gli  Sforza.  Vi  è  una  profonda  differenza,  non  solo 

fj  fra  i  poteri    affidati  fin  dall'alto    medio  evo  ai  da   Carcano  ed   ai  conti 

|di  Biandrate   e   quelli  derivati   per  esempio   agli  Arbona    dall'acquisto 

dei  105  fuochi  di  Agrate  per  rogito  notarile,  ma  anche  fra  l'investitura 

i  del  feudo  di  Sant'Angelo   concessa  dal  duca   Francesco  I  al  castellano 

u  Attendolo    Bolognini  e  tante   altre  del    periodo  spagnuolo,  nelle    quali 

campeggia,  per  usare  la  frase  del  C,  "  la  vendita  degli  effetti  camerali 

"  alienabili  „. 

Pare  a  chi  scrive  che  in  tanta  trasformazione  d'istituti  e  di  costumi 
il  significato  del  feudo  siasi  venuto  alterando  così  da  non  rimanere 
costanti  che  alcuni  elementi  della  figura  giuridica  ed  il  nome.  Ora,  il 
Dizionario  feudale,  lavoro  accurato  e  prezioso  del  compianto  Enrico 
Casanova,  basato  sopratutto  sulle  scritture  che  rimangono  più  ampie  e 
numerose  per  i  tempi  recenti,  di  maggiore  rilevanza  per  il  fisco,  con- 
sidera tutte  quante  le  investiture  dello  Stato  di  Milano,  ma  in  molto 
maggior  numero  quelle  di  età  tarda.  E  la  demarcazione  non  è  nep- 
pure tentata  fra  i  feudi  di  diverso  tipo,  fatta  eccezione  di  quelli  impe- 
riali, che  in  numero  di  tre  sono  mandati  innanzi  alla  serie  degli  altri. 
Sarebbe  d'altro  canto  ingiusto  ed  avventato  il  muoverne  censura  al- 
l'autore, ove  si  ponga  mente  al  carattere  frammentario  di  quest'opera, 
che  viene,  pur  troppo,  postuma  alla  luce.  Altri  lavori  dovevano  seguire 
nel  pensiero  del  valente  studioso  e  tali  da  ricevere  dal  criterio  crono- 
logico una  maggiore  chiarezza  nella  disposizione  dei  feudi.  Così  come 
è,  il  diligentissimo  Dizionario  feudale  segna  un  gran  progresso  in  con- 
fronto al  passato,  quando  dovevamo  contentarci  di  vecchi  cataloghi 
sparsi  negli  archivi.  Si  paragonino  l'elenco  del  Benalio  (i)   od  il  breve 

(i)  Elenchui  familiarum  in  Mediolani  dominio  feudis,  iurisdictionihus  iituli- 
sqiie  insignium  (17 14). 


190  BIBLIOGRAFIA 

catalogo  dei  titolati  che  non  giunge  oltre  l'epoca  spagnuola  ed  è  Tunico 
accenno  di  tal  natura  che  si  possa  rintracciare  nel  volume  del  Calvi 
intorno  al  patriziato  milanese,  e  le  colonne  fitte  di  notizie,  di  riferimenti 
ad  innumerevoli  atti  notarili,  che  costituiscono  quest'opera.  Ha  per  og- 
getto precipuo  quella  serie  copiosa  di  feudi  che  la  regia  camera  disse- 
minò per  tutto  il  milanese  negli  ultimi  due  secoli  dell'antico  regime.  In 
proposito  noi  abbiamo  qui  una  vera  miniera,  utile,  indispensabile  ad 
ogni  ricerca  che  vi  si  connetta.  Ma  ho  già  detto  come  non  siano  deli- 
beratamente omessi  dal  C.  i  richiami  ad  un  tempo  più  antico,  anche  se 
possano  parere  scarsi  al  nostro  desiderio.  Per  verità  l'introduzione, 
molto  succinta  ed  al  tempo  stesso  notevole  per  un  abbozzo  di  storia 
del  feudo,  tace  delle  fonti  a  cui  furono  attinti  gli  elementi  del  ponde- 
roso lavoro  ;  e  non  possiamo  sapere,  solo  in  parte  intuire  nella  defi- 
cienza di  indicazioni  altrettanto  precise,  la  cagione  per  la  quale  i  feudi 
più  antichi  sieno  stati  dunque  meno  sistematicamente  studiati.  Piuttosto 
un  altro  motivo  ci  appare  derivante  dal  disegno  di  un  lavoro  che,  non 
privo  di  qualche  scopo  pratico  attuale,  ha  in  vista  specialmente  lo  stato 
dei  feudi  alla  vigilia  della  morte  dell'istituto.  È  fatto  cenno  di  terre  ri- 
tornate al  demanio  prima  della  rivoluzione,  ma  generalmente  non  sem- 
bra si  siano  elencate  quelle  comunità  che,  astrette  a  vincolo  feudale  in 
altri  tempi,  non  lo  siano  più  state  alla  fine  dell'antico  regime.  Sarebbe 
ozioso  che  io  qui  insistessi  nell'espressione  del  vivo  rammarico  per 
questi  limiti  cronologici  del  lavoro.  Quanto  a  quelli  di  spazio,  fissati 
dall'autore  stesso  al  principio  dell'  introduzione,  anche  qui  ci  sia  con- 
cesso dolerci  di  non  aver  incontrato  una  maggiore  larghezza.  Le  ces- 
sioni delle  pingui  terre  d'oltre  Po  e  d'oltre  Ticino  alla  monarchia  sa- 
bauda avvennero  così  tardi,  nell'  ultimo  secolo  dell'  antico  regime,  che 
la  loro  storia  è  tutta  lombarda  ed  istintivamente  si  corre  al  dizionario 
per  cercarvi  taluno,  di  quei  "  numerosissimi  feudi  „ ,  secondo  riconosce 
lo  stesso  Casanova,  che  però  ci  rimanda  genericamente  ai  lavori  del 
barone  A.  Manno  sul  patriziato  subalpino,  opera  preziosa,  che  nulla 
però  avrebbe  perduto  ad  essere  alcun  poco  accompagnata  per  via  dalla 
degna  sorella.  Non  solo  invece  le  ragioni  pratiche  connesse  colla  ripar- 
tizione del  lavoro  delle  nostre  commissioni  araldiche,  ma  anche  la  se- 
parazione secolare  giustificano  l'esclusione  decisa  dal  C.  per  i  feudi  della 
terraferma  veneta  poi  divenuta  lombarda.  Sta  bene  d'altra  parte  che 
nel  mantovano  non  si  riscontrassero  che  alcuni  feudi  imperiali;  pre- 
scindendo  dalla  questione  dei  beni  di  casa  Zanini  da  molti  ritenuti  sem-  m 
plicemente  enfiteutici;  nondimeno  perchè  tacerli  quando  si  parla  di  ' 
Maccagno  e  di  Retegno  ?  I  rami  secondari  dei  Gonzaga  meritavano  di 
stare  accanto  ai  Mandelli,  ai  Borromeo  ed  ai  Trivulzio,  e  sarebbero 
anzi  state  preziose  notizie  sistematiche  intorno  a  quegli  staterelli.  Se  si 
vuole  poi  por  mente  alla  condizione  attuale  delle  circoscrizioni  araldiche, 
i  feudi  mantovani  avrebbero  dovuto,  parmi,  aver  posto  nell'elenco  degli 
altri  di  Lombardia.  Né  avrebbero  potuto  mancare  quelli  della  Valtel- 
lina che  non  si  sa  altrimenti  come  elencare.  Il  C.  accenna  alla  scarsa 


BIBLIOGRAFIA  I9I 

fioritura  feudale  di  quelle  montagne.  E  sia  ;  non  si  contendano,  neppur 
nel  ramo  di  Zizers  divenuto  cosi  italiano,  i  Salis  ai  nativi  Grigioni,  ma 
come  cancellare  dalla  nostra  storia  l'importante  e  vetusto  feudo  di  Chia- 
venna  e  quelli  di  Mazzo  e  di  Villa,  nerbo  della  potenza  dei  Venosta  ? 
E  poiché  sono  a  parlare  della  ripartizione  topografica,  mi  sia  concesso 
di  additare  il  grandissimo  vantaggio  che  verrebbe  a  lavori  come  questo 
da  una  carta  che  ritraesse  con  suggestiva  evidenza  la  collocazione  e 
Testensione  dei  feudi.  Il  Darmstàdter  ne  unì  al  suo  interessante  vo- 
lume (i),  per  molti  lati  affine  a  quello  che  abbiamo  alle  mani,  intorno 
al  Reichsgut  nella  Lombardia. 

Apparirebbero  meglio  allora  le  notevolissime  disuguaglianze  per 
ciò  che  riguarda  l'ampiezza  dei  feudi  che  sono  fra  le  constatazioni  che 
prime  si  impongono  a  chi  esamina  con  ordine  e  con  cura  il  libro  di 
cui  discorriamo.  L'A.  richiama  l'attenzione  dello  studioso  sui  beni  feu- 
dali estesissimi  dei  Gavazzi  alla  Somaglia  e  degli  Attendolo-Bolognini 
a  Sant'Angelo.  Entrambi  questi  feudi  furono  fra  i  più  antichi  dei  super- 
stiti sino  alla  fine  del  regime.  Nicorolo  Gavazza  ebbe  l'investitura  della 
Somaglia  e  terre  annesse  da  Bernabò  Visconti  il  io  luglio  1371.  Nel 
corso  del  secolo  seguente  i  beni  feudali  della  Somaglia  furono  tempo- 
raneamente perduti  per  i  Gavazzi,  sui  quali  era  scesa  la  vendetta  del 
duca  Filippo  Maria,  che  li  riteneva  complici  del  ribelle  Gabrino  Fondulo. 

Allora  la  Somaglia  mutò  in  breve  tempo  molti,  e  tutti  illustri  signori, 
dei  quali  fu  il  Garmagnola  ed  ultimo  Nicolò  Piccinino,  quando  Filippo 
Maria,  come  narra  il  Godo  "  quasi  li  havea  dato  tutto  il  Governo  de 
"  la  Republica  „.  Ma  i  Gavazzi,  strettisi  con  Francesco  Sforza,  ripresero 
colle  armi  il  loro  feudo  sì  che,  pur  essendo  tanto  mutati  i  tempi  e  la 
forma  e  la  ragione  del  possesso,  si  può  dire  che  se  lo  tengono  oggi 
ancora.  L'investitura  ai  Bolognini  rimonta  al  1452,  ma  non  vi  fu  alcuna 
soluzione  di  continuità  nel  dominio  di  quelle  terre  e  di  quel  castello 
che  è  tuttora  nelle  loro  mani.  La  Somaglia  e  Sant'Angelo  Lodigiano 
abbracciavano  vasti  e  ricchi  territori,  ma  non  gran  numero  di  villaggi; 
vi  furono  invece,  sovratutto  nei  tempi  piìi  antichi,  feudi  che  si  compo- 
sero di  moltissimi  paesi  ed  anche  di  tutta  una  pieve.  Tali  furono  i 
feudi  della  pieve  di  Brebbia  data  per  più  lungo  tempo  ai  Visconti  Bor- 
romeo, di  quella  di  Dairago  degli  Arconati  e  poi  dei  Lossetti,  d'Incino, 
antico  possesso  dei  Dal  Verme,  di  Nesso,  regalata  da  Lodovico  il  Moro 
a  Lucrezia  Grivelli,  di  Seveso  divisa  fra  i  Carcassola  e  gli  Arese,  di 
Vimercate,  per  trecent'anni  dei  Secco  Borella,  di  Agliate,  Angera,  Ar- 
cisate,  Leggiuno  e  Rosate.  Due  pievi  insieme  raggruppate.  Cariate  ed 
Oggiono,  costituirono  un  feudo  comprato  dai  d'Adda  a  mezzo  il  secolo 
sedicesimo.  Infine  le  ultime  terre  dello  stato  verso  il  confine  svizzero, 
lungo  le  rive  del  lago  di  Gomo,  erano  riunite  nel  feudo  detto  per  an- 
tonomasia delle  tre  pievi,  di  Dongo,  Sorico  e  Gravedona.  Il  feudatario 
ne  fu  sovente   potentissimo  e  basterà  citare   i  nomi  di    Gian   Giacomo 

(i)  Pubblicato  a  Strasburgo,  Trùbner,  1896. 


192  BIBLIOGRAFIA 

Medici  e  di  Tolomeo  Gallio.  Non  pieve  ma  contado  vastissimo  fu  quello 
di  Melzo,  più  lungamente  infeudato  ai  Trivulzio  che  non  ai  Marliani, 
ai  Cotta,  ai  Fieschi  di  Lavagna,  agli  Sforza,  agli  Stampa,  ai  de  Leyva, 
che  tutti  ne  godettero  i  pingui  redditi  per  breve  tempo.  Il  destino  di 
così  grandi  territori  era  quello  di  non  restare,  generalmente,  infeudati 
quale  complesso  unico  né  per  lungo  tempo.  Così  fu  smembrato  in  vario 
modo  il  contado  di  Melzo,  e  simil  cosa  accadde  dei  due  altri  celebri 
feudi  che  ebber  nome  di  vicariati:  Belgioioso,  che  dal  1500  non  uscì 
mai  più  dalle  mani  degli  eredi  estensi,  e  Desio  composto  della  pieve 
omonima  e  di  quella  di  Bollate,  alienato  via  via  a  frammenti  dagli 
investiti  marchesi  Manriquez  de  Mendoza.  Questo  processo  di  smem- 
bramento dei  maggiori  feudi  nel  seicento  e  nel  settecento  è  ben  chia- 
rito dal  Casanova,  che  lascia  per  altro  n^l'oscurità  la  fine  di  raggrup- 
pamenti più  antichi  non  meno  importanti,  quali  la  pieve  di  Incino,  che 
non  si  capisce  quando  né  come  abbia  cessato  di  appartenere  ai  Dal 
Verme. 

Il  Dizionario  del  C.  registra  un  piccolo  numero  di  terre  come  in- 
feudate ai  loro  signori  "  ex  immemorabili  possessione  „.  Sono  verosi- 
milmente quelli  i  cui  titoli  d' investitura  rimontano  ad  un  tempo  ante- 
riore al  limite  (che  non  è,  non  capisco  come,  precisato)  al  quale 
si  arrestano  le  fonti  del  nostro  dizionario.  Consistono  in  alcuni  pochi 
feudi  di  enti  morali,  in  un  bel  gruppetto  di  dominii  viscontei  e  nel  feudo 
di  Campomorto,  giuridicamente  devoluto  ad  un  ente  ecclesiastico,  ma 
praticamente  sempre  in  possesso  della  famiglia  Mantegazza,  poiché  era 
un  membro  di  tale  famiglia  l'abate  commendatario  in  forza  di  un  diritto 
di  iuspatronato  antichissimo,  che,  come  è  noto,  il  Giulini  fa  risalire  al- 
l'undecimo  secolo  (i).  Inverno  nel  contado  di  Pavia  era  pure  stato  ab 
antiquo  feudo  dei  cavalieri  gerosolimitani,  ma  fu  appreso  dal  demanio 
alla  fine  del  settecento  per  ordinazione  del  senato  della  quale  il  Casa- 
nova tace  il  motivo  ;  mal  vezzo  in  cui  incorre  altre  volte. 

La  Valsolda,  che,  colla  Val  Bodia,  la  Val  Cuvia,  la  Valsassina,  la 
Val  d'Intelvi  e  la  Valtravaglia  (dalia  quale  furono  staccate  nel  500  le 
così  dette"  quattro  valli),  offre  l'esempio  di  un  altro  tipo  di  feudo  a  larga 
estensione,  era  anch'essa  sempre  stata,  salvo  due  piccolissime  interru- 
zioni, feudo  dell'arcivescovo  di  Milano.  Beni  feudali  infine  dei  Visconti 
«  ex  immemorabili  possessione  »  appaiono  esser  stati  :  Agnadello,  Be- 
snate,  Crenna,  Jerago,  Moncucco  e  Pissarello  (spettanti  al  ramo  di  Fon- 
taneto)  e  Somma.  Accanto  al  feudo  dei  Gavazzi  alla  Somaglia  il  C.  ne 
elenca  ben  pochi  altri  che  rimontino  al  quattordicesimo  secolo  ;  epoca 
per  la  quale  si  può  cominciare  a  riferirsi  a  rogiti  notarili,  ed  a  partir 
dalla  quale  il  C,  sulle  tracce  del  Benalio,  cessa  di  parlare  generica- 
mente d'immemorabile  possesso.  Un  numero  ancora  minore  di  questi 
giunse  superstite   fino  a  tempi  più    recenti.    Lodovico  il  Bavaro  aveva 

(i)  Memoria  per  servire  alla  storia  di  Milano^  ecc.,  lib.  XXIII,  voi.  II  della 
ediz.  del  1854. 


BIBLIOGRAFIA  193 


ncesso  fin  dal  1329  il  feudo  di  Vidigulfo  ai  Landriani  che  poi  molto 
se  lo  suddivisero  fra  le  loro  linee.  Angera,  la  quale,  prima  che  da  im- 
peratori e  duchi  veniva  infeudata,  non  è  detto  per  qual  ragione,  dalla 
Santa  Sede,  fu  appunto  data  nel  1350  da  Clemente  VI  a  Caterina  Vi- 
sconti, in  attesa  di  divenire  celebre  feudo  di  casa  Borromeo.  Questa 
terra  aveva  il  privilegio  di  ricevere  investiture  da  differenti  poteri  ed 
il  conte  Vitaliano  Borromeo  fu  appunto  investito  dal  consiglio  generale 
della  comunità  di  Milano. 

L'esempio  mostra  come  sarebbe  opportuno  che  codesti  dizionari 
facessero  precedere,  agli  elenchi  di  atti  e  rogiti  in  ordine  cronologico, 
qualche  notizia  sulla  natura  del  feudo.  É  proprio  troppo  sibillino  il  ve- 
dere senz'altro  indicato  che  una  stessa  terra  sia  stata  infeudata  in  non 
più  di  cent'anni,  una  volta  da  un  papa,  un'altra  da  un  imperatore,  una 
terza  da  un  duca  di  Milano,  ed  una  quarta,  secondo  si  è  detto,  da  corpi 
civici  rappresentativi.  Al  1359  rimonta  la  donazione  di  Bernabò  Visconti 
a  fondazioni  ospitaliere  conglobate  più  tardi  nell'Ospedale  Maggiore, 
beni  questi  che  finirono  poi  per  perdere  ogni  carattere  feudale.  Lo 
stesso  Bernabò  investì  i  Cagnola  del  feudo  di  Tormo  rimasto  a  quella 
famigha  fino  al  principio  del  XVIII  secolo.  Il  nostro  A.  ricorda  quindi 
due  soli  altri  feudi  che  rimontino  sino  al  secolo  XIV  :  Maccastorna 
(1385)  sul  lodigiano,  che  i  Bevilacqua  tennero  poi  per  tutta  la  durata 
dell'antico  regime,  e  Castel  Visconti  in  territorio  di  Cremona  infeudato, 
salvo  una  breve  interruzione  nel  quattrocento,  al  capitolo  di  Santa  Ma- 
ria della  Scala  in  Milano.  L'esame  molto  istruttivo  delle  dotte  pagine 
del  Dizionario  ci  rivela  come  non  siano  sopravissute  a  lungo  molte 
delle  investiture  ch'ebbero  luogo  nel  secolo  XV.  Ne  ho  contato  in  tutto 
una  trentina  oltre  i  feudi  più  vasti  di  cui  si  è  già  parlato.  Li  indicherò 
in  ordine  cronologico  : 

Melzo  e  Rosate  (entrambi  infeudati  il  Ì2  luglio  1412)  ;  Castel  Pon- 
zone  (1416);  Besozzo  (1417);  Carimate  (1434);  Bissone  (1447);  Bere- 
guardo  (1448);  Laveno  (1449).'  Codogno  (1450);  Sant'Angelo  (1452); 
Venegono  Superiore  (1454);  Brignano  (1470);  Motta  Visconti  (1473); 
Lacchiarella  (1475);  Cantù  (1475);  Antignate  (1480);  Orio(i48i);  Ospe- 
daletto  (1482)  ;  Villanova  sul  Lodigiano  (1482)  ;  Maleo  (1483)  ;  Mettone 
(1484);  Lonate  Pozzolo  (1490);  Trigolo  (1496). 

Non  ho  tenuto  conto  di  qualche  investitura  precedente  per  le  me- 
desime terre  che  abbia  avuto  una  durata  troppo  breve.  Questi  rapidi 
rilievi  avranno  forse  potuto  servire  a  mostrare  quale  copiosissima 
messe  di  preziose  osservazioni  per  la  storia  lombarda  ci  sia  recata 
dal  lavoro  del  Casanova.  Qualche  esempio  avrà  pure  potuto  iniziare  il 
lettore  al  metodo  seguito  nel  Dizionario  Feudale  ed  anche  a  documen- 
tarlo rispetto  ad  alcune  mende  che  possono  richiedere  una  correzione. 
Non  si  è,  naturalmente,  inteso  qui  con  iattanza  inopportuna  di  racco- 
gliere il  materiale   pazientemente  adunato   dall' A.  secondo   altri  criteri 

Arch.  Stor.  Lontb.,  Anno  XXXII,  Fase.  V.  13 


194  BIBLIOGRAFIA 

che  quelli  da  lui  prescelti,  ma  piuttosto  si  ebbe  di  mira  l' indicazione 
della  convenienza  di  completare  in  determinati  sensi  Topera  già  così 
imponente. 

Bene  fece  l'autore  dichiarando  col  titolo  stesso,  che  forse  per  isvi- 
sta  è  alterato  dall'editore  là  dove  stampa  :  «  estratto  dall'Opera  :  Il  pa- 
"  triziato  lombardo  »,  e  fin  dalle  prime  parole  dell'introduzione  che  l'opera 
sua  non  riguarda  direttamente  le  nostre  famiglie  patrizie.  Ne  cerche- 
reste infatti  invano  talune  delle  più  chiare,  come  gli  Alciati,  i  Piola  e 
perfino  i  Menclozi,  nomi  che  invece  ricorrono  ad  ogni  tratto  negli  elenchi 
dei  decurioni.  Non  è  superfluo  il  porre  in  luce  ancora  una  volta  questo 
indice  di  una  efi"ettiva  distinzione  fra  la  classe  dei  feudatari  e  quella 
dei  patrizi  civici,  distinzione  non  cancellata  dal  ritrovarsi,  col  procedere 
del  tempo,  un  numero  crescente  di  patrizi  investiti  di  feudi,  ed  anche, 
sebbene  con  molta  maggior  parsimonia,  di  casate  feudali  ammesse  fra 
le  patrizie  milanesi. 

Chi  prenda  poi  in  esame  la  celebre  matricola  degli  Ordinari,  vetusto 
libro  d'oro  milanese,  quale  si  trova  nel  codice  del  Castelli  nella  bibho- 
teca  Ambrosiana,  subito  rileva  gran  numero  di  quelle  schiatte,  esempio 
tipico  di  nobiltà  generosa,   che  mai  ricorrono   sfogliando  le   pagine  del 
Dizionario  feudale.  Cito  i  saggi  più  significativi.  Né  Amiconi,  né  Appiani, 
né  Caponago,  né  Ghiringhelli,  né  Martignoni,  né  Scaccabarozzi  appaiono 
investiti  di  quelle  concessioni  feudali  che  il  C.  elenca  così  diligentemente. 
Il  metodo    adottato    nell'  opera  che  esaminiamo    consiste  essenzial- 
mente nell'elencare  in  ordine  alfabetico  i  feudi,  sovra  tutto,  come  ho  già 
avuto  occasione  di  rilevare,  quelli   superstiti   verso    la  fine  dell'  antico 
regime,  e  nel  riferire   per  ogni    singolo  feudo  i  relativi  provvedimenti 
in  ordine  di  data.  La  serie  si  apre  naturalmente,  salvo  per  i  pochissimi 
casi  già  accennati  d'immemorabile  possesso,  coU'investitura  e  si  chiude 
coll'apprensione  da  parte  del  fisco,  se  la  linea  investita  venga  ad  estin- 
guersi ;  ma  sovente  la   colonna  del  Dizionario  deve   proseguire   alcun 
poco  registrando  gli  strascichi  di  liti  tra  il  fisco  ed  i  pretendenti  legati 
da  parentela  all'ultimo  investito.  Molte  volte  poi  la  regia  Camera  riinfeu- 
dava la  terra  a  scopo  di  lucro.  Il  C.  indica  quasi  costantemente,  desu- 
mendolo  dai  rogiti  notarili,  che    appaiono  essere  stati  la  spina  dorsale 
del  suo  lavoro,  il  prezzo  delle  infeudazioni  onerose;  indica  pure  di  re- 
gola i  conseguenti  conferimenti  di   titoli  agli  investiti    ed  il  numero  di 
fuochi  di  ciascuna  terra,  indicazione    quest'ultima  di  qualche   rilevanza 
statistica.  Tra  l'investitura  ed  il  termine  dell'infeudazione  vi  era  campo 
per  non  pochi  avvenimenti  interessanti   lo  storico  ed   il  giurista.  Il  C. 
annota  un  buon  numero  di  refute,  di  permute,  di  vendite,  di  transazioni, 
sì  da  comporre   notevoli   frammenti  di   storia  locale,   per   non   parlare 
delle  confische  e  d'altre  interruzioni  violente.   Meno  facilmente  si  può 
seguire  il  processo  di   divisione  fra   gli  agnati  od   il  trapasso  in  linea 
femminile,  là  dove  queste  mutazioni  fossero  consentite  dalla  natura  del 
feudo.  Mi   pare   sarebbe  utile   (né   1'  ho  sin    qui  taciuto)  il  premettere, 
all'elenco  cronologico  degli  atti  sovraindicati,  un  breve  cenno  della  legge 


BIBLIOGRAFIA  I95 

jdel  feudo,  indicante  i  limiti  del  trapasso,  se  questo  sia  ammesso  per  i 
soli  maschi  od  anche  per  le  femmine    ed  in  quale  misura,   se  per  tutti 

I  gli  agnati,  per  i  legittimati,  ecc.  Del  pari  opportuno  sarebbe  V  indicare, 
ove  si  abbia,  l'esistenza  di  statuti  della  terra,  di  Jura  curiae.  Come  è 
noto,  furono  numerosi  nel  milanese  gli  statuti  promulgati  nelle  piccole 
terre  del  contado,  anche  se  infeudate. 

Attenendosi  ad  uno  sguardo  complessivo,  si  dovrà  riconoscere  che 
le  notizie  offerte  dal  C.  sono  molto  ineguali,  variando  in  una  propor- 
zione che  dipende  non  tanto  dall'importanza  della  voce  del  Dizionario, 
quanto  dalle  opportunità  presentatesi  per  il  compilatore  di  utilizzare 
antichi  documenti,  come   per  esempio  le  informazioni   assunte  in   vista 

|.  dell'apprensione  parziale  per  il  feudo  di  Albizzate  per  la  morte  del  car- 
dinale Federico  Visconti,  che  si  chiarirono  tali  da  rendere  ricca  di  inte- 
ressanti dettagli  la  notizia  del  C.  riguardante  quella  terra.  É  ovvio  che 
codeste  disparità  nella  trattazione  si  debbano  imporre  quasi  fatalmente 
al  primo  saggio,  tentato  dopo  lungo  e  fortunoso  intervallo,  di  una  ela- 
borazione sistematica  della  materia.  Certamente  in  un'auspicata  nuova 
edizione,  che  la  nostra  Commissione  araldica  ci  vorrà  ben  regalare  in 
un  tempo  non  troppo  lontano,  l'edilìzio  così  onoratamente  avviato  dal 
compianto  genealogista  avrà  modo  di  essere  completato  in  ogni  sua 
parte. 

Pare  a  molti  che,  dopo  le  leggi  della  Cisalpina,  abolitive  di  ogni 
diritto  feudale,  qualsiasi  portata  pratica  ed  attuale  di  lavori  intorno  ai 
feudi  debba  essere  ormai  esclusa.  Pure  non  si  può  trascurare  il  fatto 
che,  sessant'anni  più  tardi,  alla  vigilia  della  legge  del  regno  d'ItaUa 
che  tolse  via  le  superstiti  vestigia  patrimoniali  del  regime  feudale,  i 
beni  ancora  vincolati  in  base  a  quelle  vetuste  leggi  sommavano  ad 
almeno  un  centinaio.  Si  veda  in  proposito  l'elenco  molto  istruttivo  pub- 
blicato dal  consigliere  Angelo  Decio  nel  1860,  nel  suo  hbro:  Notizie 
sulla  situazione  di  fatto  e  di  diritto  dei  beni  feudali  in  Lombardia.  Ed 
ancora  la  legge  1887  intorno  alle  decime  aveva  di  fronte  resti  della 
feudalità  contro  cui  partire  in  guerra,  secondo  dottrine  care  alle  scuole 
politiche  prevalenti  nel  secolo  testé  spirato. 

Questa  tenacia  di  resistenze  ha  pure  il  suo  significato:  non  si  can- 
cellano a  colpi  d'articoli  di  codice  istituti  secolari,  sieno  pur  divenuti 
in  gran  parte  vieti,  senza  che  ne  rimanga  un  solco  profondo  nella  vita 
della  nazione.  Oggi  ancora  in  quasi  tutta  la  Lombardia  si  hanno  esempi 
del  sussistere  di  rapporti  di  clientela,  sovente  adorni  di  simpatiche  ca- 
ratteristiche patriarcali,  fra  i  terrazzani  ed  i  discendenti  dei  loro  antichi 
signori  feudali,  tuttora  proprietari  a  titolo  semplicemente  allodiale  di 
tenute  un  tempo  rette  da  altre  e  più  rigide  norme.  Ora  ciò  si  osserva 
anche  ai  nostri  giorni,  e  forse  in  maggiore  misura  per  feudi  non  recen- 
tissimi, tenuto  sempre  fermo  ciò  che  spero  aver  già  lumeggiato  e  cioè 
per  un  lato  che  "  carattere  fondamentale  delle  usanze  lombarde....  si  è 
"  che  i  feudi  si  considerano  piuttosto  dal  punto  di  vista  patrimoniale, 
"  anziché  sotto  l'aspetto  militare  e  politico,  quale  predomina  nel  feudo 


196  BIBLIOGRAFIA 

u  franco  „  (i);  e  per  altro  canto  il  prevalere  in  Milano  del  patriziato 
civico,  in  confronto,  se  non  degli  antichi  "  capitani  „,  certo  della  tarda 
"  nobiltà  diplomatica  „.  Osservazioni  queste  del  resto  appena  accennate 
che  io  ho  inteso  precisamente  a  rilevare  l'importanza  della  pubblica- 
zione del  benemerito  don  Enrico  Casanova,  a  mostrarne  lo  svolgimento, 
a  trarne  un  saggio  dei  contributi  che  ne  verranno  alla  storia  della  no- 
stra regione. 

Giuseppe  Gallavresi. 


Giovanni  Visconti  Venosta,  Ricordi  di  gioventù,  cose  vedute  0  sapute 
{1847-1860),  Seconda  ediz.,  Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Cogliati,  1904,  in-8, 
pp.  610. 

Questo  bel  libro  viene  a  tenere  degna  compagnia  a  quella  schiera 
numerosa  di  "  memorie  „,  "  ricordi  „,  "  note  „  e  "  noterelle  „,  che  pul- 
lularono su  dall'età  del  nostro  risorgimento,  tanto  ricco  e  denso  di  fatti 
e  di  sentimenti  svariati,  e  che  offrono  ed  offriranno  materiali  preziosi, 
come  al  critico,  così  all'artista  della  storia  :  materiali  tanto  più  preziosi, 
quanto  meglio  frangono  la  visione  sintetica  de'  grandi  avvenimenti  nelle 
osservazioni  analitiche  di  que'  fuggevoli  casi,  di  quelle  incerte  opinioni, 
onde  l'animo  nostro  entra  in  diretto  immediato  contatto  con  la  realità 
dell'evoluzione  storica.  E  nella  schiera  numerosa,  questo  libro,  che  ha 
meritato  già  la  fortuna  di  una  seconda  edizione,  occupa  un  posto  singo- 
lare per  alcune  sue  qualità  caratteristiche,  come  la  intimità  del  racconto, 
la  obiettività  serena  anche  tra  i  più  acerbi  dolori  pubblici  e  privati,  la 
continua  varietà  della  materia,  che  rende  talvolta  troppo  spezzettata 
la  tela  della  narrazione,  la  sottile  vena  di  umorismo,  con  qualche  sprazzo 
di  riso  lievemente  beffardo  anche  in  mezzo  a  fatti  della  più  dolorosa 
gravità.  Integrano  le  caratteristiche  accennate  una  facilità  ed  una  cor- 
rettezza di  parola  e  di  frase,  una  tranquillità  di  stile  lontana  da  ogni 
nervosità,  .da  ogni  scatto,  una  decenza  e  compostezza  di  materia  e  di 
forma,  che  vi  fanno  pensare  spontaneamente  all'efficacia  che  su  questa 
può  aver  esercitato  la  prosa  del  gran  Lombardo.  E  tali  belle  qualità 
tutt'assieme  concorrono,  più  che  a  far  di  questo  un  libro  superiore,  a 
staccarlo  nettamente  dal  fondo  comune,  a  renderlo  davvero  non  volgare 
opera   di  lettura  dilettevole  e  sana. 


Il  movente  intimo  dell'autore  è  tutto  familiare  ed  educativo.  11  libro 
egli  lo  ha  dedicato  alla  consorte  donna  Laura  D'Adda  Salvaterra,  che 
con  la  più  felice  e  sicura  memoria  femminile  gli  è  più  volte  venuta  in 

(i)  A.  Lattes,  //  diritto  consuetudinario  delle  città  lombarde,  Milano,  Hoepli, 
1899,  cap.  X,  §  43. 


BIBLIOGRAFIA  I97 

soccorso  "  or  completando  i  fatti  „  ora  risvegliando  "  la  commozione  „ 
che  quei  fatti  già  suscitarono.  Lo  ha  scritto  per  i  nipoti,  i  figliuoli  di 
Emilio  Visconti  Venosta:  ai  quali  volle  far  dono  di  tutto  un  tesoro  di 
notizie  domestiche,  di  piccoli  ricordi  ed  aneddoti,  di  impressioni  e  giu- 
dizi, inquadrati  nella  cornice  del  grande  rivolgimento  storico,  tra  il  1847 
e  il  1859,  non  senza  qualche  rapido  accenno  alle  memorie  precedenti 
di  casa  Venosta  e  della  Valtellina,  né  senza  qualche  occhiata  fuggitiva 
al  1860. 

In  questo  mondo  del  passato  l'autore  rivive,  e  fa  rivivere,  con  la 
compiacenza  di  chi  ebbe  a  soffrire  o  godere,  con  i  suoi,  nel  grande 
palpito  del  risorgimento,  di  chi  molte  cose  vide  e  notò,  ed  una  piccola 
pietra  cementò  ancor  egli  del  comune  edificio  ;  né  vuole  che  tutto  que- 
sto sia  perduto,  anche  per  insegnamento  altrui.  Ma  V  intimo  movente 
familiare  ed  educativo,  se  trapela  qua  e  là,  non  soffoca  per  questo  la 
composizione.  La  quale  procede  senza  preoccupazioni  organatrici,  così 
a  frammenti,  a  mosaico  di  note  e  ricordanze  più  o  meno  brevi,  e  non 
tanto  collegate  quanto  accostate  l'una  all'altra,  con  un  aspetto  di  veri- 
dicità, con  una  fedeltà  al  reale,  che  si  sarebbero  perdute  qualora  fosse 
intervenuta  Topera  di  fusione.  Queste  pagine  di  "  cose  vedute  e  sapute  „ 
mi  somigliano  tanti  pastelli  dalle  mille  figure  e  dai  mille  colori  svaria- 
tissimi  fortemente  sovrapposti. 

Ma  alla  raccolta  delle  memorie  ed  alla  narrazione  serve  di  guida 
e  di  lume  una  veduta  superiore  di  psicologia  storica,  che  dalle  prime 
pagine  alle  ukime  si  può  dire  abbia"  accompagnato  l'autore.  L'opera  si 
apre  così  :  "  Nel  leggere  i  libri  di  storia  ho  avuto  più  volte  la  curiosità 
"  di  sapere  che  cosa  facesse,  che  cosa  dicesse,  durante  i  principali  av- 
"  venimenti,  tutta  quella  parte  di  pubblico  che  non  ha  l'onore  di  es- 
"  sere  ricordata  nei  libri  (i)  „  :  e  prosegue  :  "  Non  è  una  storia  com- 
"  pietà  di  quei  tempi,  ^che  io  vi  scriverò....  Vi  dirò  quello  che  ne  ho 
"  veduto  io,  e  quello  che  ne  ho  sentito  dire,  e  le 'impressioni  che  me  ne 
«  sono  rimaste,  vi  condurrò  in  mezzo  ad  alcuni  fatti  grandi  e  a  molti 
"  fatterelli  ;  vi  farò  conoscere  qualcuna  delle  persone  che  ho  conosciute 
"  allora,  gente  d'importanza  o  gente  oscura,  qualche  parente,  qualche 
"  amico  ;  insomma,  cercherò  di  darvi  un'  idea  dell'  "  ambiente  „  in  cui 
"  sono  vissuto  a  quei  tempi  (2)  „  :  si  chiude  con  tali  parole  :  "  Questa 
"  non  é  una  storia,  ve  lo  ripeto,  è  una  "  cronaca  „  di  cose  vedute  o 
"  sapute  da  me  :  é  .una  cronaca,  oltre  che  dei  fatti,  delle  impressioni 
"  e  delle  opinioni  che  correvano  nei  tempi  in  cui  quei  fatti  si  svolge- 
"  vano.  Molte  delle  opinioni  e  dei  giudizi  d'allora  saranno  forse  corretti 
"  dal  tempo,  ma  riferendoli  quali  erano  nella  comune  opinione,  la^quale 
"  reggeva  alla  sua  volta  e  determinava  i  fatti,  sono  anch'essi  "  docu- 
"  menti  „  di  cui  la  storia  un  giorno  dovrà  pur  tenere  conto  „  (3). 

(i)  Gap.  J,  p.  2. 

(2)  Gap.  I,  p.3. 

(3)  Gap.  XXXVir,  p   608. 


I 


198  BIBLIOGRAFIA 

Ora,  per  il  filosofo  della  storia  nulla  v'ha  di  più  interessante  che 
poter  assistere  al  rimescolio  di  quelle  molecole  di  fatti  e  di  opinioni, 
la  cui  risultante  sia  poi  un  grande  rivolgimento.  Dai  personaggi  e  dalle 
azioni  che  appaiono  sul  davanti  della  scena,  passando  allo  sfondo  av- 
volto nel  buio,  se  si  rovescia,  per  dir  così,  il  palcoscenico,  non  si  ro- 
vescia per  ciò  la  storia  ;  essa  anzi  ci  si  rivela  in  tutta  la  verità  vivente; 
e  par  che  ci  si  viva,  ci  si  respiri  in  mezzo. 

In  tal  guisa,  con  questo  libro,  ci  è  offerta  l'imagine  intera  dell' ari- 
stocrazia lombarda  e  di  parte  della  borghesia,  quando  si  preparava  la 
unità,  rindipendenza.  Peccato  che  uno  specchio  simile  manchi  per  le 
altre  regioni,  e  per  la  "  plebe  „  lombarda  :  su  cui,  per  altro,  qui  si  get- 
tano ogni  tanto  sprazzi  di  luce. 


Dato  il  carattere  dell'opera,  riesce  difficile,  per  non  dire  impossi- 
bile, tentarne  un  riassunto  tale,  che  se  ne  conosca  in  breve  tutta  la 
materia  e  se  ne  misuri  tutta  l'importanza.  Ciò  non  di  meno,  procedendo 
per  linee  sommarie,  ricorderò  che,  di  trentasette  capitoli,  sette  sono 
consacrati  al  fortunoso  "  quarantotto  „ ,  quattro  al  disgraziato  "  cin- 
"  quantatre  „,  dieci  interi  all'avventurato  "  cinquantanove  „,  tre  al  "  ses- 
"  santa  „  :  agli  altri  anni  sono  assegnati  uno  o  due  capitoli,  in  propor- 
zione della  loro  gravità  e  ricchezza  storica. 

Precede,  nel  capitolo  I,  una  breve  notizia  di  casa  Visconti  Venosta 
e  del  loro  mescolarsi  alle  sorti  e  alle  vicende  della  Valtellina,  quando 
questa,  prima  da  Napoleone,  poi,  premente  la  popolazione  medesima, 
annuente  il  plenipotenziario  sardo,  ottenne  nel  Congresso  di  Vienna  di 
essere  staccata  dai  Grigioni  e  annessa  alla  Lombardia  (i).  Dagli  ultimi 
anni  del  Settecento,  attraverso  il  bisnonno,  il  nonno  (2)  e  il  padre,  l'au- 
tore ci  trasporta  ai  suoi  primi  anni  d' infanzia,  ed  a  quelli  della  prima 
adolescenza,  schizzando  un  quadretto  dell'educazione  che  s'impartiva 
nelle  famiglie  lombarde  prima  del  quarantotto,  e  presentandoci  una 
serie  di  particolari  atti  a  spiegarci  come  a  poco  a  poco  spuntasse  e  si 
radicasse,  nelle  compagnie  dei  giovani  e  nella  scuola,  l'avversione  al- 
l'Austria. Questa  specie  di  preparazione  alla  prima  grande  rivoluzione 
italiana  l'autore  termina  al  settembre  del  1846,  quando  gli  morì,  meno 
che  cinquantenne,  il  babbo. 

Segue  il  preludio  al  quarantotto  (3).  I  fratelli  Emilio,  Gino,  Enrico, 
sono  affidati  per  istruzione  alle  cure  di  Cesare  Correnti,  che  li  dirige, 
ma  assai  piìi  per  le  vie  della   politica.   Il  giovinetto    osserva    quel  che 


(1)  Il  Diario,  ms.  dei  plenipotenziari  della  Valtellina,  si  trova  presso  l'autore. 

(2)  Fu  benemerito  raccoglitore  di  documenti  antichi  valtellinesi,  che  si  con- 
servano in  casa  Venosta. 

(5)  Gap.  II. 


BIBLIOGRAFIA  I99 

vede,  tende  l'orecchio  a  ciò  che  sente  dire,  sui  funeraH  del  Gonfalonieri, 
su  l'elezione  dell'arcivescovo  Romilli,  sui  primi  furori  pio-noniani,  sui 
primi  tafferugli  e  le  dimostrazioni  pacifiche,  ma  efficaci,  come  quella, 
dell'astensione  dal  fumare.  Il  preludio  si  chiude  con  gli  aumenti  di  guar- 
nigione nel  Lombardo- Veneto,  con  la  coraggiosa  proposta  di  G.  B.  Na- 
zari, rappresentante  di  Bergamo,  alla  Gongregazione  centrale  delle  Pro- 
vincie. Le  autorità  cercavano  il  bandolo  della  matassa,  il  "  Gomitato 
segreto  „  che  doveva  dirigere  tutto,  e  che  viceversa  non  esisteva. 

Eccoci  al  '48.  Il  capitolo  III  comprende  dal  primo  di  gennaio  al  18 
marzo.  Gon  l'autore,  assistiamo  al  convulso  agitarsi  di  coloro  che  pre- 
paravano gli  eventi,  ai  dibattiti  tra  le  varie  opinioni:  entriamo  nelle 
case,  nei  caffè,  conosciamo  la  condotta  dell*  aristocrazia  milanese.  Si 
chiedono  riforme  con  una  dimostrazione  pubblica  :  scoppia  il  vero  moto 
rivoluzionario  d'azione  :  sentiamo  e  vediamo  quel  che  potè  vedere  e 
sentire,  nella  prima  giornata,  il  giovinetto  quattordicenne. 

Dalla  seconda  alla  quarta  giornata  (i),  la  scena  è  per  noi  ristretta 
al  quartiere  di  casa  Visconti,  tra  via  della  Gerva,  Monforte,  Burini  e 
poco  attorno:  ed  è  inquadrata  entro  una  cornice  di  altre  notizie  tutte 
interessanti,  fino  alla  presa  del  palazzo  del  genio  per  l'atto  eroico  di 
Pasquale  Sottocorno.  La  quinta  giornata  (2),  la  presa  di  porta  Tosa, 
l'aspetto  magnificamente  terribile  della  città  nella  notte  tra  il  22  e  il  23 
di  marzo,  l'esultanza  ed  anche  un  po'  il  patriottismo  della  sesta  gior- 
nata, le  notizie  dei  paesi  insorti  e  degli  ostaggi,  la  ritirata  degli  ^au- 
striaci, si  chiudono  con  la  formazione  del  battaglione  lombardo  guidato 
da  Luciano  Manara  ;  la  sola  cosa  seria  che,  dopo  la  vittoria,  facessero 
gli  spensierati  e  fiduciosi  milanesi.  Dalla  partenza  degli  austriaci  a  Gur- 
tatone  e  Montanara  (3);  l'opinione  pubblica  dei  milanesi,  la  guardia 
nazionale,  la  palestra  parlamentare,  dove  s'addestravano  a  discutere  e 
legiferare  in  reboanti  e  dissennati  discorsi,  il  formarsi  di  associazioni 
e  di  partiti  prò  e  contro  la  fusione  con  il  Piemonte,  i  giornali  pullulati 
subito  dopK),  le  agitazioni  vane,  disperditrici  di  energie,  offrono  l'agio 
a  vere  pagine  di  psicologia  storica,  per  cui  intendiamo  perfettamente 
come  si  corra  alla  catastrofe.  E  questa  fu  precipitata  (4)  dal  rifiuto  che 
il  governo  provvisorio  opponeva  alla  pace  al  Mincio  offerta  dal  ministro 
Wessemberg.  Nell'ambiente  milanese  non  si  poteva  forse  pensare  né 
rispondere  diversamente;  al  campo  piemontese  era  ben  altra  cosa:  ma 
Garlo  Alberto  non  potè  che  elogiare  con  tristezza  ironica  il  rifiuto,  di- 
cendo solo:  "  La  risposta  del  governo  provvisorio  è  degna  della  città 
"  delle  Ginque  Giornate  „  ;  e  piegò  il  capo  e  sostenne  rassegnato  il 
disastro.  A  Milano  si  preparavano,  in  una  specie  di  convulsione,  difese 


(i)  Gap.  IV. 
(2)  Gap.  V. 
($)  Cap.  VI. 
(4)  Gap.  VII. 


200  BIBLIOGRAFIA 

impossibili  e  vane,  contro  gli  Austriaci  che  avanzavano  rapidamente. 
Emilio  Visconti  Venosta  si  arrola  con  Garibaldi;  la  mamma  con  i  fra- 
telli minori  parte  in  Svizzera,  per  Bellinzona. 

Durante  il  viaggio  (i),  l'autore  potè  osservare  l'atteggiamento  mi- 
naccioso dei  contadini  lombardi  contro  i  signori,  a  Bellinzona  le  ire 
tristi,  rabbiose  degli  emigrati  contro  Carlo  Alberto.  Gustavo  Modena 
furoreggiava  tra  subissi  di  applausi  recitando  1'  "  esecrato  Carignano  „ 
del  Berchet.  A  Lugano,  dopo  un  viaggio  avventuroso  traverso  le  mon- 
tagne, il  giovanetto  Gino  ritrova  Emilio,  in  una  stalla,  sdraiato  sulla 
paglia,  ravvolto  nel  cappotto,  febbricitante,  sfinito  dagli  ultimi  scontri, 
dalle  lunghe  marce,  per  sfuggire  e  sbandarsi.  Il  Mazzini,  o  Pippo,  come 
lo  chiamavano  confidenzialmente  gli  emigranti,  si  trova  là  a  tener  desto 
l'incendio,  a  rinverdire  le  speranze,  a  provocare  colpi  di  mano  in  Val- 
tellina e  in  Val  d'Intelvi  :  tutto  riuscito  a  vani  sacrifici  di  vite  preziose. 
La  famiglia  Visconti  Venosta  {2),  mentre  Emilio  parte  per  Genova  e 
Pisa,  vuol  ritrarsi  a  Tirano,  ma  deve  passare  prima  per  la  capitale 
lombarda.  Tutto  è  occupato  militarmente;  le  case  dei  signori,  in  ogni 
città  o  paese,  devono  servire  di  alloggio  ai  croati.  Lo  squallore  della 
Lombardia,  l'irritazione,  la  nausea  della  compagnia,  del  contatto  insul- 
tante sono  descritte  con  evidenza  mirabile.  Che  impressione  fa  sull'ani- 
mo giovinetto  lo  spettacolo  della  patria  calpestata  dallo  straniero,  e 
che  lezione  per  l'avvenire  !  (3).  Sul  finire  del  decembre  tornano  in  città 
per  gli  studi.  Università  e  Licei  erano  chiusi  ;  si  permettevano  soltanto 
lezioni  private,  ma  non  mai  a  gruppi  di  scolari  più    numerosi  di  dieci! 

Vengono  i  primi  mesi,  tristi  ed  angosciosi,  del  '49  (4);  i  milanesi  as- 
sistono alla  partenza  dei  croati  per  i  campi  di  Novara  :  i  croati  vanno 
e  sicuri  come  a  lesta.  Luciano  Manara,  sposo  di  fresco,  parte  con  i  lieti 
volontari  per  Roma:  "  Noi  dobbiamo  morire  „  egli  diceva  "  per  chiu- 
"  dere  con  serietà  il  quarantotto.  Affinchè  il  nostro  esempio  sia  efficace, 
"  noi  dobbiamo  morire  „  (5). 

E  poi  tornano  alla  spicciolata  i  reduci,  da  Roma,  da  Venezia,  tri- 
sti, malconci,  mutilati  :  il  18  agosto,  la  festa  dell'imperatore,  procura 
bastonate  a  sangue  ad  uomini  e  donne.  1  nostri  tornano  a  Tirano,  e 
quivi  devono  subire  l'occupazione  militare,  e  la  famiglia  è  punita  per 
aver  mancato  di  rispetto  ad  un  attendente  croato  devastatore  di  mo- 
bili !  Nello  squallore  dello  stato  d'assedio  (6),  reso  più  che  mai  duro  e 
crudele  durante  il  1850,  tra  i  primi  tentativi  dei  comitati  mazziniani, 
che  lanciano  le  cedole  del  prestito  nazionale,  tra  le  prime   condanne  a 


(i)  Cap.  VIIL 

(2)  Cap.  IX. 

(3)  Cap.  IX,  p.  150. 

(4)  Cap.  X. 

(5)  P-  168. 

(6)  Capp.  XI  e  XII. 


i 


BIBLIOGRAFIA  20I 

morte,  spuntano  a  Milano  i  germi  di  quella  resistenza,  attiva  e  passiva 
insieme,  che  segnò  nella  storia  una  pagina  meravigliosa  di  eroismo  meno 
appariscente,  ma  in  sostanza  più  difficile  e  meritorio  ;  resistenza  "  ad 
ogni  costo  „  che,  separando  completamente  il  paese  dallo  straniero, 
facendo  trattare  i  dominatori  come  un'orda  passeggiera  di  occupanti, 
forse  salvò  davvero  la  causa  nazionale.  "  La  vita  giornaliera  di  questo 
rigido  programma  doveva  riuscire  ben  dura;  ma  fu  vissuta  e  non  si 
piegò  mai  „  (i). 

Quasi  tutti  si  astengono  dai  divertimenti  ;  i  giovani  studiano  più 
che  altro  la  scherma.  Carlo  Tenca  fonda  il  Crepuscolo,  che  non  parlò 
mai  dell'Austria  né  dell'  imperatore  ;  Clara  Maffei  crea,  si  può  dire,  il 
"  salotto  „  famoso;  Cesare  Giulini  torna  di  Piemonte  (2)  "  convinto  „ 
come  diceva  "  di  poter  meglio  servire  il  suo  paese  vivendo  in  patria 
"  che  nell'esilio  „. 

Nel  1851  (3),  le  Università  rimangono  chiuse  ancora;  si  studia  presso 
i  professori  di  Pavia,  privatamente.  Mentre  le  cedole  del  prestito  na- 
zionale, i  libri  ed  i  manifesti  incendiari  mandano  alle  forche  il  sacerdote 
Orioli,  il  Dottesio  e  lo  Sciesa;  i  giovani  si  riscaldano  di  patriottismo 
e  si  educano  alla  politica  tra  le  fide  mura  dei  loro  insegnanti  :  iniziano 
la  serie  dei  duelli  con  gli  ufficiali  austriaci,  di  cui  prima  vittima  cade 
l'animoso  Luigi  della  Porta.  La  venuta  dell'  imperatore  alle  manovre 
offre  ai  municipii  di  Milano  e  di  Como  l'occasione  di  mostrarsi  con  fie- 
rezza indiff'erenti  e  inossequenti.  I  comitati  mazziniani  (4)  sono  scoperti; 
cominciano  i  processi  di  Mantova  del  '52  e  del  '53:  dolore  e  terrore 
occupano  l'animo  dei  milanesi;  gli-  austriaci,  stupidamente  feroci,  sca- 
vano sempre  più  profondo  l'abisso  tra  loro  e  il  popolo  lombardo  con 
il  bastone  e  con  le  prime  forche  di  Belfiore. 

L'anima  del  patriottismo  lombardo  (5)  nel  '53  era  tuttavia  Giuseppe 
Mazzini.  Questi  vuole  un'insurrezione  ad  ogni  costo;  non  ascolta  né 
consigli  né  ragioni  contrarie  ;  la  parte  più  ponderata  ed  aristocratica 
si  tira  in  disparte,  sta  a  vedere.  Il  Piolti  De  Bianchi  si  volge  alla  bor- 
ghesia ;  il  Brizio  di  Assisi  arrola  dei  popolani.  Il  6  febbraio  persuade 
della  vanità  dell'impresa.  L'autore,  gli  amici,  Carlo  De  Cristoforis  atten- 
dono trepidanti  ;  nessuno  credeva  che  finisse  così  presto  e  così  misera- 
mente. La  cittadinanza  ne  rimane  disgustata;  qualcuno  osa  presentarsi 
a  Giulay  per  scagionare  la  città:  la  severità  repressiva  aumenta;  Carlo 
De  Cristoforis  deve  fuggire,  riesce  a  mettersi  in  salvo;  i  processi  rin- 
crudiscono a  Mantova.  Il  Lazzati  scampa  alle  forche  per  la  memore 
gratitudine  del  generale  Wratislaw  :  ma  in  vece  sua  è  giustiziato  il  Gra- 
zioli. Che  dramma  nell'intimo  del  Lazzati,  quando  lo  seppe  !    Giuseppe 

(i)  p.  189. 

(2)  p.  188. 

(3)  Cap.  XIII. 

(4)  Cap.  XIV. 

(5)  Capp.  XV-XVI. 


202  BIBLIOGRAFIA 

Mazzini  cerca  nuovi  capi  e  nuove  fila  al  partito  repubblicano  unitario; 
ma  questo  in  Lombardia  si  sfascia. 

"  Io  non  fui  mai  in  relazione  col  Mazzini;  ma  ero  tra  gli  intimi 
del  salotto  Maffei  e  del  gruppo  del  Crepuscolo,  ove  il  M.  aveva  avuto 
gli  amici  più  autorevoli  in  Milano  (i).  Le  impressioni  mie  che  ho  qui 
esposte  sono  l'eco  fedele  dei  discorsi  che  ho  udito,  e  di  ciò  che  ho  ve- 
duto svolgersi  in  quel  tempo.  L'anno  1853,  che  doveva  segnare  l'apogeo 
di  Mazzini  e  il  trionfo  della  sua  idea,  ne  principiò  invece  in  Lombar- 
dia la  decadenza  e  il  suo  rapido  tramonto..,.  E  mentre  l'astro  di  Mazzini 
impallidiva,  cominciavano  in  Piemonte  ad  apparire  quei  primi  albori  di 
una  luce  nuova,  che  presto  doveva  diffondersi  in  tutta  l'Italia  „. 

Dal  lugho  al  settembre  del  '53  (2)  Emilio  e  Gino  fanno  un  viaggio  a 
Roma,  a  Napoh,  in  Sicilia;  lieta  e  istruttiva  diversione  dal  triste  anno.  Le 
condizioni  reali  dello  stato  pontificio  e  borbonico  sono  dipinte  con  una  ve- 
rità, che  talvolta  fa  sorridere,  ma  di  un  riso  amaro.  Alla  dogana  pontificia 
sequestrano  loro,  e  non  restituiscono  più,  un  Machiavelli,  un  Molière,  ogni 
libro  :  a  Roma  osservano  il  dispregio  in  cui  erano  tenuti  i  preti  qui  a  pa- 
ragone di  quelli  di  Lombardia.  A  Napoli  ottengono  il  passaporto  per  la  Si- 
cilia, ma  solo  in  riguardo  alla  "  bandiera  austriaca  „  :  in  Sicilia  si  trovano 
come  divisi  moralmente  e  materialmente  dal  mondo  civile  :  perfino  le 
comunicazioni  epistolari  erano  vietate  o  inceppate  :  si  stava  molto  me- 
glio sotto  l'Austria  !  Governi  stupidamente  tiranni,  inferiori  a  quello 
austriaco,  ancora  in  parte  di  altri  tempi,  giustamente  ritenuti  tra  i 
peggiori  del  mondo  civile,  conchiude  l'autore  parlando  de'  governi  del 
papa  e  del  re  Borbone  (3). 

Alla  fine  del  settembre  (4),  a  Genova,  sentono  notizie  gravi  della 
Valtellina  e  tornano  a  Milano,  dove  sanno  dell'eroico  capitano  Calvi  e 
della  prigionia  di  Ulisse  Salis,  che  non  compromise  però  né  Emilio  né 
altri.  L'anno  1854  (5)  non  occupa  gran  parte  del  racconto,  e  questo  si 
restringe  a  mettere  in  rilievo  lo  sfacelo  del  partito  repubblicano,  l'evo- 
luzione del  salotto  Maffei,  l'opera  del  Giuhni.  L'Austria  istituisce  la 
leva  obbligatoria:  chi  la  scansa  fuggendo,  chi  ungendo  qualche  commis- 
sario con  bei  marenghi  :  l'autore  si  esercita  a  fare  il  pompiere.  E  poco 
si  dedica  anche  al  '55  (6).  Laguerra  di  Crimea,  la  partecipazione  del 
Piemonte,  il  nome  delle  armi  italiane  associate  a  quelle  europee  nella 
vittoria,  l'esposizione  di  Parigi,  la  cessazione  dello  stato  d'assedio  fanno 
allargare  un  po'  il  cuore  ai  patriotti.  I  due  Venosta  vanno  a  Parigi 
, per  divertirsi  e  per  studiare   le  opinioni:    e  là  si  comincia   a  intuire  e 


(i)  p.  259. 

(2)  Gap.  XVil. 

(3)  P.  283. 

(4)  Gap.  XVI II. 

(5)  Cap.  XIX. 

(6)  Cap.  XX. 


BIBLIOGRAFIA  203 

precorrere  con  la  speranza  il  futuro:  onde  una  forte  ripercussione  nel 
salotto  Maffei. 

Nel  '56  (i)  il  patriottismo  italiano,  e  specialmente  quello  lombardo, 
prende  un  nuovo  e  più  sicuro  indirizzo.  11  Crepuscolo  dé[  Tenca,  il  sa- 
lotto Maffei  ed  i  salotti  minori,  Dandolo,  Carcano,  Manara  fanno  eco 
alla  voce  di  Cavour  al  congresso  di  Parigi.  Le  signore  milanesi,  dette 
"  le  oche  „  dalle  austriacanti,  pochine,  perchè  volevano  salvare  la  pa- 
tria, contribuiscono  anch'  esse  a  rianimare  la  vita  cittadina,  a  tener 
fermo  nella  resistenza.  Dalle  feste  sono  sempre  esclusi  gli  ufficiali  au- 
striaci. I  duelli  spesseggiano  :  tra  questi  famoso  il  duello  tra  Manfredo 
Camperio  e  il  capitano  Schònhalls,  dal  Camperio  stesso  descritto  in 
una  lettera  qui  riprodotta.  Da  Torino  si  promuove  una  sottoscrizione 
di  cento  cannoni  per  la  fortezza  di  Alessandria,  e  a  Milano  si  vuole 
che  ogni  città  lombarda  dia  un  cannone.  Si  preannunzia  la  visita  del- 
l'imperatore :  si  organizza  l'astensione  e  la  contro-dimostrazione.  Difatti, 
la  miglior  società  milanese  e  la  popolazione,  d'accordo,  non  ostante  gli 
sforzi  della  polizia,  non  partecipano  per  nulla  alle  feste  imperiali;  pro- 
prio nel  momento  in  cui  Francesco  Giuseppe  entra  in  città,  15  di  gen- 
naio 1857,  gira  tra  il  suo  seguito  la  fotografia  del  monumento  all'eser- 
cito piemontese,  donato  in  quel  giorno  dai  lombardi  alla  città  di  Torino. 
Il  ricevimento  a  corte  fallito,  la  figura  buffa  e  decorativa  del  conte 
Archinto,  scialacquatore  vanitoso,  chiamato'  a  proporre  riforme,  l'amni- 
stia, il  collocamento  a  riposo  di  Radeztki  prenunziano  la  nomina  a  vi- 
ceré di  Massimiliano. 

Seguono  due  capitoli  (2),  tra  i  più  interessanti  a  documentare  la 
gravità  del  pericolo  corso  dal  patriottismo  e  dalla  politica  piemontese, 
l'energia  audace  con  cui  il  pericolo  fu  scongiurato.  Massimiliano  era 
troppo  abile  e  troppo  colto  e  nobile  d'animo  per  non  fare  un  po'  di 
breccia  nella  migliore  società  milanese.  "  Combattere  Massimiliano  in 
"  ogni  modo  e  ad  ogni  costo  „  fu  la  parola  d'ordine.  Tra  i  numerosi 
episodi  ed  aneddoti  di  questa  lotta  campeggia  il  duello  con  il  D'Adda 
che  aveva  abboccato  all'amo  di  un  invito  dell'arciduca.  Il  duello  si  fa 
a  dispetto  della  polizia  :  e  questa,  quando  era  già  avvenuto,  non  ne 
sapeva  nulla  ancora.  11  Cavour,  d'accordo  con  Giulini  ed  Enrico  Dan- 
dolo, già  agli  ultimi  mesi  di  sua  vita,  promove  una  sottoscrizione  per 
mandare  i  coscritti  lombardi  a  servire  nell'esercito  piemontese.  Non  si 
riuscì  a  questo  :  ma  incominciò  l'esodo  dei  giovani,  atti  alle  armi,  che 
si  offrivano  volontari  al  Piemonte  :  e  furono  diecimila  !  Tutti  passano 
il  confine,  di  nascosto,  con  varie  vicende  e  tra  mille  pericoli.  "  A  que- 
"  sta  intesa  parteciparono  persone  d'ogni  classe  e  d'ogni  paese  nelle 
"  Provincie  lombarde  e  nelle  venete.  Tale  occulto  lavorìo  durò  quasi 
"  tre  mesi  :  noto  a  molti,  vi  parteciparono  pure,  com'era  naturale,  vet- 


(i)  Capp.  XXI-XXIII. 
(2)  Capp.  XXIV-XXV. 


204  BIBLIOGRAFIA 

"  turali,  contrabbandieri,  barcaioli  :  la  polizia  n'era  sulle  tracce,  ma 
"  non  riuscì  ad  impedirlo  :  nessuno  tradì  „'^(i). 

Gli  eventi  precipitano.  Ecco  l'anno  meraviglioso,  il  Cinquantanove, 
quando  l'alta  Italia  visse  la  vita  d'un  secolo.  Soltanto  a  quello  che  tocca 
più  da  vicino  l'autore,  egli  consacra  ben  nove  capitoli  (2).  Incomincia 
l'esodo  dei  volontari,  dal  gennaio.  Ai  funerali  di  Enrico  Dandolo  av- 
viene la  più  solenne  e  degna  manifestazione  patriottica.  Ricercato,  come 
uno  degli  organizzatori,  dalla  polizia,  l'autore  fugge  via,  quasi  di  tra 
le  unghie  dei  birri,  e  passa  il  Ticino  sotto  il  naso  di  un  commissario, 
che  a  lui,  creduto  ingegnere  ferroviario  facilita  la  via,  raccomandandogli 
per  un  impiego  il  figliolo.  A  Torino  s'imbatte  con  Emilio,  scappato  an- 
cora lui  sotto  le  oneste  spoglie  di  un  mercante  di  formaggi. 

A  Milano  intanto  si  imbastiscono  processi  insulsi  per  i  funerali  : 
un  grazioso  interrogatorio  avviene,  ed  è  qui  riferito,  tra  il  giudice  Fluk 
e  la  contessa  Ermellina  Dandolo  a  proposito  della  magnifica  corona 
tricolore  levata  trionfalmente  ad  ornare  la  bara  (3).  L'autore,  arrolatosi 
tra  i  volontari,  una  mattina  alle  cinque,  facendo  anticamera  presso  Ca- 
vour vide  Garibaldi  che  entrava  dal  ministro,  di  soppiatto.  Poco  dopo 
fu  creato  il  corpo  dei  cacciatori  delle  Alpi.  Emilio  Visconti  Venosta  è 
mandato  commissario  civile  a  fianco  di  Garibaldi.  Cavour  voleva  subito 
dar  ordine  ai  paesi  occupati  ;  e  nel  tempo  stesso  intendeva  che  i  paesi 
lombardi  fossero  dai  francesi  trovati  già  in  piena  rivolta  contro  lo  stra- 
niero. L'ufficio  di  E.  Visconti  Venosta  fu  davvero  delicatissimo  e  diffi- 
cilissimo: egli  così  lo  definiva  al  fratello:  "  Il  mio  incarico  è  quello  di 
servire  da  guanciale  tra  l'ordine  e  la  rivoluzione,  tra  il  governo  regio 
e  Garibaldi,  tra  i  volontari  e  i  paesi  da  cui  passiamo  „  ved.  p.  517. 

L'autore,  mandato  ancor  egli  presso  Garibaldi,  passa  il  Lago  Mag- 
giore con  Nievo,  Griziotti  e  quattro  cannoni,  e  va  in  Valtellina  com- 
missario regio. 

Qui  ci  si  apre  una  breve  storia  particolareggiata  della  Valtellina, 
insorta,  lasciata  sola  con  pochi  soldati,  a  contatto  con  le  truppe  au- 
striache. Che  succedersi  di  spionaggi,  di  piccole  reazioni,  e  che  periodi 
di  ansie,  incertezze,  pericoli,  fu  quello  per  la  Valtellina,  dopo  la  batta- 
glia di  San  Fermo  e  prima  di  Solferino  e  San  Martino!  Il  commissario 
va  a  Bergamo  presso  il  quartiere  generale  di  Garibaldi,  dove  assiste 
a  scene  interessanti  e  dove  ottiene  1'  occupazione  stabile  della  sua  re- 
gione ed  una  più  accurata  difesa.  Assiste  allo  scontro  ed  alla  presa  di 
Bormio.  Piomba  la  pace  di  Villafranca:  egli  lascia  l'ufficio  e  se  ne  viene 
a  Milano,  dove  già  si  formano  i  partiti,  si  fonda  la  Perseveranza  e  in- 
comincia l'immigrazione  veneta,  di  carattere  patriottico  allora,  più  tardi 
economico. 


(0  p.  415. 

(2)  Capp.  XXVI-XXXIV. 

(3)  pp.  452-4. 


BIBLIOGRAFIA  205 

Negli  ultimi  tre  capitoli  (i)  l'autore  ci  offre  alcune  bricciche  stori- 
che e  letterarie  di  importanza  locale  e  nazionale.  Come  si  formò  il 
primo  municipio  di  Milano,  come  si  assestò  la  sicurezza  pubblica  in 
quel  subbuglio,  come  si  diportò  il  D'Azeglio,  primo  governatore  e  il 
Beretta,  primo  sindaco;  e  le  feste  gaie,  e  la  vita  novella  del  paese,  e 
il  contegno  del  generale  Vaillant,  e  lo  spuntare  dei  partiti  e  dei  gior- 
nali politici,  e  Crispi  che,  pertinace,  insinua  l'idea  della  spedizione  sici- 
liana ;  e  tanti  e  tanti  altri  fatti  ed  aspetti  della  vita  milanese,  ci  sfilano 
innanzi  come  in  un  caleidoscopio.  Un  capitolo  è  consacrato  interamente 
alle  memorie  ed  alle  notizie  sul  Manzoni,  della  cui  familiarità  egli  inco- 
minciò a  godere,  appunto  nel  sessanta.  Un  ricordo  del  Manzoni  mi 
sembra  conchiuda  degnamente  il  libro  :  "  Di  questi  guai  e  di  queste 
"  noie  se  ne  passarono  in  rassegna,  quella  sera,  parecchie  „. 

Il  Manzoni  ascoltava  e  taceva;  e  poi,  a  guisa  di  conclusione,  prese 
a  dire:  "  Tra  qualche  anno,  e  forse  tra  pochi  mesi,  di  tutti  questi  pic- 
"  coli  guai  che  ora  ci  preoccupano  tanto,  chi  si  ricorderà?  D'una  cosa 
"  sola  ci  ricorderemo  tutti,  e  per  sempre  :  ci  ricorderemo  che  in  questi 
"  due  anni  si  è  fatta  l'Italia  „  (2).  Accanto  a  queste  parole  stanno  degna- 
mente quelle  con  cui  si  chiude  il  libro  :  "  Possano  questi  sentimenti  e 
"  questi  fatti  testimoniarvi  parimenti  la  fede  che  animava  i  giovani  d'al- 
"  lora,  e  se  i  tempi  nuovi  saranno  fiacchi  o  immemori  del  passato,  con- 
"  servate  negli  animi  vostri  tanto  più  salda  l'antica  divisa  :  Tutto  per 
"  la  patria  e  la  patria  al  disopra  di  tutto  „  (3). 


Questa  rapida  corsa  attraverso  la  materia  del  libro  servirà  a  mala 
pena  a  farne  indovinare  tutta  l'estensione  e  tutto  il  valore.  A  chi  in- 
tendesse approfondirlo,  il  libro  off'rirebbe  agio  ed  argomento  per  bel- 
lissime questioni  storiche.  Una  delle  dimostrazioni  storiche  di  maggiore 
importanza  cui  tende  l'autore  evidentemente,  riguarda  l'opera  di  Cavour. 
La  maggior  parte  delle  pagine  che  precedono  immediatamente  alla 
narrazione  del  '59,  e  quasi  tutte  quelle  che  la  comprendono  e  la  seguono, 
espongono  una  serie  di  fatti  e  di  considerazioni  traverso  le  quali,  con 
una  specie  di  rigidità  matematica,  si  arriva  a  tessere  tutta  la  tela  del 
risorgimento  nazionale,  per  quello  che  ebbe  di  effettivo,  attorno  un  solo 
centro,  l'opera  del  Cavour.  "  Bisogna  „  dice  l'autore,  "  essere  vissuti  a 
"  quei  tempi,  bisogna  aver  seguito  quei  fatti  ansiosamente  giorno  per 
"  giorno,  per  avere  la  profonda  convinzione  che  Cavour  tutto  mosse 
"  e  diresse  e  che  il  grande  artefice  del  nuovo  regno  d'Italia  fu  lui  „  (4). 

(i)  Capp.  XXXV-XXXVII. 

(2)  p.  607. 

(3)  P-  608. 

(4)  P-  413. 


206  BIBLIOGRAFIA 

E  senza  dubbio,  dove  si  voglia  tener  conto  che  fu  il  suo  genio  ad  al- 
lacciare la  Francia  e  Napoleone  III  nelle  spire  della  politica  propria,  a 
preparare  e  movere  il  Piemonte  e  Vittorio  Emanuele,  a  disciplinare  la 
rivoluzione  e  Garibaldi  ;  dove  si  aggiungano  i  documenti  venuti  or  ora 
in  luce  e  specialmente  i  Ricordi  dell'Hilbner,  e  si  vogliano  ricostruire 
gli  enormi  ostacoli  che  governi,  diplomazia,  opinione  pubblica  ergevano 
sulla  nostra  strada,  tutti  abilmente  e  potentemente  superati  da  lui,  senza 
dubbio  viene  spontanea  la  domanda  :  si  sarebbe  fatta  l'Italia,  se  Cavour 
non  era  ?  Chiunque,  assistendo  agli  spettacoli  storici  ne'  libri  del  passato 
e  ne'  moti  del  presente,  si  sarà  accorato  alla  vista  di  tante  idealità,  sen- 
tite e  volute  da  migliaia  e  pure  miseramente  infrante,  perchè  non  sorse 
né  l'occasione  di  attuarle  né  l'uomo  capace  di  afferrarla;  chiunque  creda 
che  senza  la  forza  effettiva  nulla  si  ottiene  in  realtà,  alla  domanda  ri- 
sponderebbe :  Se  Cavour  non  era,  l'Italia  non  sarebbe  fatta. 

Ma  guai  ad  applicare,  nell'assoluta  integrità  della  risposta,  un  tale 
semplicismo  storico  al  risorgimento  nostro,  come  ad  ogni  altro  profondo 
mutamento  politico  o  sociale.  Cavour  trovò  predisposti  i  cuori  e  gli 
intelletti  delle  migliaia,  per  non  dire  dei  milioni.  Se  così  non  fosse  stato, 
la  sua  forza  pratica  ed  esecutiva,  nella  doppia  forma,  diplomatica  e 
militare,  non  avrebbe  avuto  su  che  esercitarsi,  nulla  da  eseguire.  La 
prima  proposizione  è  vera,  ma  non  è  men  vera  l'altra  :  Cavour  non 
avrebbe  fatto  nulla,  se  prima  l'Italia  non  fosse  stata....  per  esempio, 
mazziniana. 

Questo  io  dico  per  una  certa  ruggine  che,  contro  il  Mazzini  e  l'o- 
pera di  lui,  traspare  qua  e  là  nel  libro  del  Visconti  Venosta.  Che  que- 
sta ruggine  si  sia  depositata  sull'animo  dell'  autore  dopo  i  miseri  moti 
del  *53,  é  umano,  è  spiegabile.  Ma  una  superiore  serenità  storica  vuole 
che  non  ci  lasciamo  abbagliare  dal  successo  soltanto,  che  si  riconosca 
anzi  la  necessità  dell'opera  mazziniana.  Quanti  sarebbero  divenuti  pa- 
triotti,  i  giovani  specialmente,  senza  gli  scritti  ardenti,  le  follie  generose 
del  Mazzini?  Ecco  quello  che  l'autore  stesso  ci  attesta  di  sé  e  di  tanti 
altri  giovani  nel  1854  :  "  Le  discussioni  politiche  seguivano  di  solito  la 
"  falsariga  delle  idee  e  dei  precetti  di  Mazzini;  i  suoi  assiomi  ci  sembra- 
"  vano  verità;  il  suo  patriottismo  mistico  intransigente  ci  esaltava  :  le  sue 
"  formole  Dio  e  il  Popolo,  Pensiero  ed  Azione,  ci  dispensavano  dal  pen- 
"  sare  e  ci  spronavano  ad  agire  „  (i).  Era  appunto  quello  che  ci  voleva 
per  la  moltitudine,  per  i  giovani.  Ogni  freddo  raziocinio  avrebbe  di- 
strutto ciascuna  di  quelle  "  utopie  „  che  animavano  persino  quel  terri- 
bile loico  che  era  il  Manzoni,  che  in  casa  Correnti  diceva,  come  ne 
riferisce  il  Visconti  Venosta  medesimo  :  "  Oggi  tutto  é  utopia;  ma  tra  la 
"  utopia  bella  dell'  unità  e  quella  della  federazione,  sto  per  l'utopia 
"  bella  „  (2). 


il)  p.  204. 
(2)  p.  586. 


BIBLIOGRAFIA  2<  7 

Così,  de'  moti  inconsulti  eccitati  dal  Mazzini,  delle  condanne,  dei 
martirii  d'ogni  genere  sofferti  dai  suoi  affiliati  non  si  può  giudicare 
soltanto  in  linea  assoluta  di  convenienza  pratica  o  di  idealismo  umani- 
tario. La  relatività  del  giudizio  qui  si  impone  :  tutto  serviva  a  scavare 
sempre  più  profondo  l'abisso  tra  oppressi  ed  oppressori  :  guai  se  si 
fosse  escogitato  un  mezzo  termine,  se  si  fosse  costruito  un  ponte  di 
passaggio!  E  lo  spettacolo  di  chi  sfida  la  morte  è  d'una  suggestione 
incommensurabile.  Certe  aspirazioni  a  idealità  contrastanti  con  la  realtà 
non  diventano  solo  per  forza  propria  necessità  psicologiche,  prepotenti 
motrici  d'azione  negli  animi  dei  più.  Dello  spettacolo  educativo  del  sa- 
crificio altrui,  hanno  bisogno  uomini  d'  ogni  classe,  dell'  aristocrazia  e 
del  volgo. 


Ma  lasciamo  stare  le  questioni  di  giudizio  e  di  apprezzamento  : 
sono  molto  elastiche  ed  irriducibili  ad  elementi  scientifici.  Ciò  che  me- 
glio importa  nel  libro  presente,  pare  a  me  l'esattezza  dell'informazione 
storica  generale,  la  precisione  del  ricordo  particolare  (i).  Ogni  qual  volta 
occorre  di  comparare  con  altre  fonti  attendibili  quanto  il  Visconti  Ve- 
nosta afferma,  non  lo  si  può  cogliere  in  fallo.  Cito,  ad  esempio,  quanto  vi 
ha  di  comune  tra  questo  libro  e  il  Mezzo  secolo  di  patriottismo  del  Bonfa- 
dini,  quello  che  si  narra  del  Cattaneo  a  raffronto  delle  dichiarazioni  inserite 
dal  Cattaneo  stesso  néìY Archivio  triennale;  e  la  guerriglia  della  Valtellina 
a  raffronto  della  relazione  del  Carrano;  e  le  notizie  attinenti  ai  pro- 
cessi di  Mantova  riscontrate  negli  studi  ben  noti  del  Luzio.  Il  che  ci  dà 
pieno  affidamento  per  tutti  gli  aneddoti  caratteristici,  per  tutti  i  piccoli 
avvenimenti,  per  tutte  le  piccole  cause  efficienti  e  concomitanti  dei 
grandi  effetti.  Molte  volte,  anzi,  si  riportano  a  prova  passi  altrui  ri- 
cordi inediti  :  ovvero  lettere  di  altri  a  documentazione  infallibile.  Così  il 
Camperio  descrive  egli  stesso  ne'  minimi  particolari  il  duello  avuto  col 
capitano  Schònalls  :  l'ingegnere  Guy  narra  come  avvenisse,  per  suo 
mezzo,  la  fuga  di  Emilio  Visconti  Venosta  ;  la  contessa  Ermellina  Dan- 
dolo riferisce  l'interrogatorio  sostenuto  dal  consigliere  Fliik  :  e  il  ban- 
chiere Costantino  Garavaglia  attesta  come,  due  o  tre  giorni  prima  che 
Garibaldi  salpasse  da  Quarto,  egli  fu  chiamato  in  tutta  fretta  dal  D'Aze- 
glio, governatore  di  Milano,  e  dalle  preghiere  sue,  che  gli  faceva  da 
parte  di  Cavour,  fu  indotto  a  racimolare  in  giorno  di  festa  trecentomila 
lire  in  oro,  che  consegnò  sulla  parola  al  capitano  garibaldino  Chiassi  (2). 
Così  che,  anche  dove  manchi  o  il  documento  o  il  termine  di  raffronto, 
noi  possiamo  indurci  a  prestare  pienissima  fede  all'autore  :  tanta,  del 
resto,  è   la   sincerità   e  la  sicurezza   del   racconto,   del   ricordo  :    tanta 


(i)  Un  Grtola  per  Grioli,  a  p.  209,  dev'essere  semplice  svista  tipografica. 
(2)  Cfr.  pp.  585-7. 


2o8  BIBLIOGRAFIA 

schiettezza  e  veridicità  traspare  da  ogni  pagina.  Né  ultima  cagione  di 
sicurezza  storica  ci  porge  la  stima  personale  di  cui  gode  il  gentiluomo 
lombardo. 

Premesso  questo,  s' intende  bene  quanto  preziosa  riesca  questa 
nuova  miniera  aperta  ai  ricercatori  d'ogni  specie.  Lo  storico  della  let- 
teratura vi  troverà  notizie  di  grandi  e  piccini,  assai  interessanti.  Del  Re- 
vere,  ad  esempio,  saprà  che  parecchi  sonetti  scrisse  in  casa  Visconti 
Venosta;  del  Berchet,  che  la  fama  e  l'ammirazione  era  indiscussa  e 
generale  in  Milano,  ed  i  versi  sonavano  sulle  labbra  di  tutti  avanti  il 
'48:  del  Mazzini,  che  gli  scritti  erano  molto  discussi  prima  del  '48, 
ma  dopo,  fino  al  '54  almeno,  regnarono  sovrani  nella  letteratura  pa- 
triottica ed  educativa.  Lo  Stoppani  gli  apparirà,  nel  '48,  giovine  chie- 
rico, alla  testa  dei  seminaristi  dirigendo  la  costruzione  e  la  difesa  di 
una  barricata  :  e  Giuseppe  Rovani,  nel  '57,  si  vanterà  di  una  pelliccia 
nuova  che  dirà  di  dovere  all'imperatore;  ed  all'autore  dichiarerà  una  sera, 
mezzo  brillo  :  "  So  perchè  lei  non  mi  saluta,  ma  devo  dirle  ch'io  era 
"  una  buona  ed  eletta  fanciulla....  ma  che  ho  finito  male  „  (i). 

Ecco  il  Montanelli,  tra  i  cacciatori  degli  Appennini  mandati  in  Val- 
tellina, che  "  col  modesto  cappotto  del  soldato  seguiva  umilmente  il  duca 
"  di  San  Donato,  il  quale  pomposamente  precedeva  a  cavallo  un  batta- 
"  glione  di  cui  era  maggiore  „  (2).  Belle,  interessanti  pagine  riguardano 
il  Manzoni,  sebbene  non  tutto  riesca  nuovo,  massime  dopo  l'ultima  pub- 
blicazione del  Fabris:  si  può  dire  che  gran  parte  del  secondo  capitolo 
e  tutto  il  penultimo  siano  dedicati  ai  ricordi  del  gran  Lombardo. 

Quante  figure,  degnissime  di  memoria,  sono  qui  illustrate  breve- 
mente, che  in  altra  guisa  cadrebbero  nel  piìi  perfetto  oblio  !  Tali,  il 
maestro  Pozzi,  che  utilmente  consacrò  se  stesso,  prima  del  '48,  al  rin- 
novamento dei  metodi  della  scuola  primaria  in  Milano  (3)  :  il  BoseUi, 
che  nel  collegio  omonimo  educava  con  una  pedagogia  tutta  speciale  a 
base  di  ceffoni  e  di  purganti,  massime  per  guarire  l' irrequietudine  dei 
ragazzi  "  stato  morboso  „  secondo  lui  (4)  ;  e  che  fu  dei  primi  a  cadere 
nelle  cinque  giornate,  ucciso  a  colpi  di  baionetta  sulla  porta  del  Bro- 
letto: Antonio  Pasetti,  che  nei  processi  del  '52,  fu  bastonato  a  sangue 
e  non  parlò  mai,  ed  incorporato  in  una  compagnia  miUtare  ungherese 
ai  confini  orientali  dell'Austria,  morì  dagli  strapazzi  :  eroe  ignorato  ed 
incompianto  (5).  Un  vero  dramma  psicologico  è  racchiuso  in  due  pagine 
dove  si  narra  di  Antonio  Pievani,  volontario,  che  dall'autore  fu  sorpreso 
di  notte  mentre  leggeva  per  istudio  tra  i  compagni  d'armi  che  riposa- 
vano; che  militò  nel  59  e  nel  60  con  Garibaldi,  in  Sicilia;  poi  affrontò 


(1)  p.  383. 

(2)  p.  542. 

(3)  PP-  15-16. 

(4)  PP-  18-19. 

(5)  P-  223. 


BIBLIOGRAFIA  209 

il  colèra  facendo  l'infermiere,  e  in  fine,  nel  contrasto  crudele  tra  le  sue 
convinzioni  liberali  e  religiose,  e  tra  la  condotta  della  rivoluzione  e 
qnella  del  pontificato,  finì  frate  e  morì  ben  presto  in  un  convento  di 
Valcamonica  (i). 

E  quante  notizie  caratteristiche  intorno  a  personaggi  già  noti  1 
Carlo  De  Cristotoris,  ad  esempio,  ci  viene  descritto  allegrissimo  d'u- 
more, attivissimo,  irrequieto  e  d'una  audacia  romanzesca,  tanto  che  ne 
era  soprannominato  D'Artagnan  :  e  qui  si  narra  di  lui  quando  si  na- 
scose nelle  sale  dell'esposizione  e  tagliuzzò  il  ritratto  vistoso  del  conte 
Nava,  austriacante,  che  vi  si  pompeggiava  in  uniforme  di  ciambellano 
imperiale,  e  come  fu  mescolato  ai  moti  del  6  febbraio  1853  e  fuggì  tra- 
vestito da  cocchiere.  Sei  anni  di  poi,  a  Torino,  dopo  una  vita  avven- 
turosa, s'mcontra  nt^ll'amico  Gino  Visconti  Venosta.  Doveva  partire  per 
la  guerra  :  ma  si  mostrava  sempre  allegro  ;  ad  un  tratto  si  fece  serio, 
lo  abbracciò  e  gli  disse  :  (2)  —   "  Ti  saluto  per  l'ultima  volta  !....  Sì,  caro 

*  Gino,  noi  non  ci  rivedremo  più  !  La  mia  vita  fu  una  sequela  di  avven- 

*  ture  e  ne  uscii  sempre  salvo:  essa  ebbe  una  grande  aspirazione:  com- 

*  battere  per  l'Italia  e  poi  servirla  nell'esercito  nazionale.  Ora  che  il  mio 

*  sogno  si  avvera....  io  morirò.  Sì,  caro  Gino,  lo  sento  ;  ne  ho  il  presen- 

*  timento....  questa  volta  ci  lascio  la  pelle....  —  Sorrise,  poi  esclamò:  — 
"  Addio,  addio,  ricordati  di  me!  —  Entrò  nel  vagone,  il  treno  partì  e  io 
"  rimasi  mesto,  qiiasi  atterrito.  Pochi  giorni  dopo,  ossia  il  27  maggio, 
''  egli  moriva  all'assalto  di  San  Fermo  alla  testa  della  sua  compagnia. 
"  Povero  e  generoso  Cadetto!  „ 

Lascio  d'insistere  su  la  singolare  attitudine  dell'autore  a  cogliere 
la  nota  drammatica,  tragica  o  comica,  dello  spettacolo  di  cui  è  testimone 
o  parte.  Quei  giovani  che  una  mattina  delle  cinque  giornate  vanno  in 
chiesa  con  i  loro  insegnanti  a  confessarsi  e  comunicarsi  prima  di  affron- 
tar la  morte;  quel  sacerdote  che  benedice  in  articulo  mortis  i  cittadini 
inginocchiati  dinanzi  a  lui;  l'ingegner  Alfieri  che  prende  il  comando 
del  quartiere  ov'è  l'autore,  durante  la  prima  giornata,  ed  era  pazzo,  e 
ne  commette  tante  finché  se  n'accorgono,  cosa  difficile  in  quei  momenti; 
quel  ladro  che  gli  ruba  l'orologio  ed  è  lasciato  andar  libero,  senza  che 
né  meno  gli  frughino  in  tasca,  dalla  guardia  nazionale  del  quarantotto, 
in  nome  dei  diritti  dell'  uomo  ;  e  la  notte  passata  sui  tetti  tra  il  22  e 
il  23  marzo  con  il  pittore  De  Albertis,  mentre  tutt'attorno  la  città  pa- 
reva circondata  da  un  orizzonte  d'incendio  per  le  cannonate  furiose 
degli  austriaci  ;  e  quei  marinai  napoletani  che,  nell'infuriare  della  tem- 
pesta, ad  ogni  ondata  violenta  facevano  un  nuovo  voto  :  e  "  ne  fecero 
"  di  così  smisurati  (fra  gli  altri  quello  di  un  organo  a  tre  tastiere  con 
"  sessanta  canne)  da  scommettere  che  non  furono  mantenuti  tutti  „  : 
e  la  salita  verso  Bormio   sotto  il  fuoco  dei  tirolesi,  sul  cui  tiro  troppo 


(1)  pp.  549-30- 

(2)  p.  463. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  V.  I4 


fe 


21 0  BIBLIOGRAFIA 

alto  gli  ufficiali  garibaldini  trovavano  a  ridire,  ma  l'autore  in  cuor  suo 
la  pensava  diversamente  e  benediceva  i  nemici;  tutto  questo  ed  altri 
cenni  episodici  ed  aneddotici  disseminati  a  profusione  per  il  libro,  non 
rimangono  soltanto  impressi  nella  memoria  di  chi  legge,  ma  ofifrono  in 
copia  all'artista  ed  allo  psicologo  della  storia  elementi  di  studio  e  di 
lavoro  preziosi. 

Se  libri  tali,  così  utili  all'educazione  della  gioventù,  così  necessari 
all'integrazione  della  storia,  si  moltiplicassero  nelle  varie  regioni  d'Ita- 
lia, noi  dovremmo  agli  autori  tutta  quella  gratitudine  e  quella  ammira- 
zione di  cui  siamo  larghi  al  colto  gentiluomo  lombardo. 

G.  Lisio. 


APPUNTI  E  NOTIZIE 


/^  Eriprando  notaio  milanese  del  SEC.  XI.  —  Nel  fascicolo  prece- 
dente di  quesl'Jrc/iwio  (XXXI,  p.  488  sg.)  è  stato  fatto  cenno  d'un  do* 
cumento  milanese  dell'anno  ino,  insigne  per  una  curiosa  sottoscrizione 
poetica,  additato  agli  studiosi  nel  primo  fascicolo  degli  Studi  Medievali, 
dove  però  una  mera  svista  tipografica  ha  fatto  qualificare  la  carta  del 
Ilio  come  un  atto  spettante  al  secolo  "  undicesimo  „.  Ci  piace  rilevar 
qui  quell'errore  puramente  materiale,  perchè  esso  ci  dà  occasione  di 
chiarire  che  se  a  cagione  di  quel  documento  Ser  Eriprando  deve  essere 
detto  un  notaio  del  sec.  XIl,  ciò  non  toglie  tuttavia  che  egli,  e  forse  con 
maggior  diritto,  possa  chiamarsi  un  uomo  del  sec.  XI.  Difatti  son  parec- 
chie nell'Archivio  di  Stato  di  Milano  le  pergamene  che  recano  la  sua 
sottoscrizione  e  tutte  appartengono  al  sec.  XI,  a  cominciar  dalla  piti 
antica,  che  è  in  data  del  4  agosto  1078  (S.  Apollinare),  passando  ad 
una  seconda  del  29  gennaio  ic8i  (Lentasio),  ad  una  terza  del  29  di- 
cembre 1084  (S.  Radegonda),  infine  ad  una  quarta  del  29  febbraio  1088 
<(S.  Margherita). 

Ove  si  ammetta  dunque  che  Eriprando  abbia  cominciato  ad  espli- 
care l'attività  sua  come  notaio  verso  il  1075  e  ch'egli  contasse  allora 
dai  venti  ai  venticinque  anni,  è  ovvio  eh' ei  debba  considerarsi  più  come 
un  uomo  del  sec.  XI  che  non  del  XII. 

^*^  Come  sono  nati  i  Lombardi  secondo  un  epigramma  francese  del 
SEC.  XIL  —  Fra  i  componimenti  che  con  criteri  assai  discutibili  il  padre 
Beaugendre  ha  voluto  assegnare  ad  Ildeberto  di  Lavardin,  arcivescovo 
di  Tours,  il  più  famoso  certo  tra  i  poeti  latini  fioriti  in  Francia  sullo 
scorcio  del  sec.  XI  e  gli  inizi  del  XII  (i),  si  legge  un  epigramma,  del 
quale  B.  Hauréau  nel  suo  eruditissimo  scritto  intorno  ai  "  carmina  mi- 


(i)  Venerai).  Hildebekti,  primo  Cenomanensis  episcopi^  deinde  Turonensis  ar- 
chiepiscopi Opera  tam  edita  qnam  inedita^  ed.  Ant.  Beaugendre,  Parisiis,  MDCCVIII. 
Sopra  Ildeberto  si  vegga  Hìst.  littér.  de  la  France,  to.  XI,  p.  250  sgg.  ;  A.  Dieu- 
donné,  Hildebert  de  Lavardin,  éveque  de  Mans,  archevèque  de  Tours  (1056- 11 3  3), 
Sa  vie,  ses  lettres,  Paris,  1898. 

♦ 


212  APPUNTI   E    NOTIZIE 

"  scellanea  „  d' Ildeberto,    non  ha  saputo  indicare  la  fonte  (i).    Esso    è 
intitolato  De  Ligurihus  e  suona  così: 

Vulpe  salitur  ovis  dum  densis  vepribus  haeret  : 

hac  genitos  Ligures  fabula  stirpe  refert. 
Impliciti  sunt  sex  vitiis  :  a  vepribus  unum, 

a  vervece  duo,  cetera  vulpis  habet. 
Gens  ea  vepre  tenax,  ove  simplex,  veliere  mollis, 

gens  ea  patre  suo  cauta,  delusa,  pavens. 

Siamo  dunque  qui  in  cospetto  d'una  delle  piii  antiche  (se  non  della 
più  antica)  tra  le  satire  lanciate  dai  Francesi  contro  i  poveri  Lombardi, 
giacché  che  dei  Lombardi  si  tratti,  non  può  correre  dubbio  veruno  (2). 
La  divulgatissima  storiella  del  duello  del  Lombardo  colla  lumaca  o  colla 
tartaruga,  già  raccolta  a  mezzo  il  sec.  XII  da  Giovanni  di  Salisbury 
sulla  bocca  degli  scolari  parigini  (3),  mirava  a  colpir  sopratutto  la  viltà 
che  i  Francesi  rimproveravano  ai  Lombardi;  ma  Fautore  anonimo  del- 
l'epigramma pseudo-ildebertino  non  sta  pago  a  quahficarli  vili  {paventes)) 
egli  rinfaccia  loro  altri  cinque  difetti  o  vizi  che  dir  si  vogliano:  H  ac- 
cusa d'essere  tenaci,  sciocchi,  molli,  astuti  ed  ingannatori.  Non  c'è 
male  davvero! 

Curiosa  poi  e  nuovissima  la  storiella  intorno  al  modo  bizzarro  con 
cui  i  Lombardi  sono  venuti  al  mondo:  dal  congiungimento  cioè  d'una 
volpe  con  una  pecora.  Che  l'invenzione  di  questa  facezia  debba  ascri- 
versi all'ignoto  poeta  non  oserei  asserire.  Forse  si  tratta  d'una  piace- 
volezza che  correva  da  tempo  immemorabile  in  Francia,  quand'egli  la 
raccolse.  Vetustissimo  difatti  e  colà  ed  altrove  è  stato  sempre  il  vezzo 
di  attribuire  origini  ridicole  o  vituperose  a  certi  popoli  (4)  o  a  certe 
classi  di  uomini.  Che  cosa  non  è  stato  detto,  per  esempio,  intorno  alla 


(i)  Notice  sur  Ics  Mélanges  poétiques  d'Hildehert  de  Lavar din^  in  Notic.  et 
Extr.  des  mss.,  to.  XXVIII,  2®  partie,  p.  420:  «  Baluze  les  a  copiées  (cette 
«  pièce  et  la  précédente)  lui-mème  pour  son  édition  d'Hildebert.  C'est  là  tout 
«  ce  nous  en  pòuvons  dire  ». 

(2)  Nel  secolo  quarto,  dopo  la  ritorma  di  Diocleziano,  oltreché  l'antica  re- 
gione cosi  denominata,  indicossi  col  nome  di  «  Liguria  »  tutta  la  pianura  trans- 
padana, di  cui  Milano,  sede  del  «  vicarius  Italiae  »,  era  la  metropoli.  Cfr.  Corp. 
Inscr.  Lai.,  to.  V,  par.  II,  p.  810.  Di  qui  la  consuetudine,  divenuta  comunissiraa 
più  tardi,  di  chiamare  «  Liguria  »  la  Lombardia,  specie  in  causa  dell'autorità  di 
Paolo  Diacono  e  d'  Uguccione.  Contro  l' improprietà  di  quest'usanza  insorgeva 
sulla  fine  del  sec.  XIV  Benvenuto  da  Imola  (cfr.  Epistolario  di  C.  Salutati, 
lib.  IV,  ep.  I,  voi.  II,  p.  137);  ma  le  sue  proteste  a  nulla  valsero:  gli  scrittori 
del  suo  tempo  chiaman  ancora  Liguria  la  Lombardia  e  a  dux  Ligurum  »  è  Gian 
Galeazzo  Visconti  per  l'autore  del  suo  epitafio! 

(3)  Cfr.  Il  Lombardo  e  la  lumaca,  nel  mio  volume  Attraverso  il  medio  evo,.. 
Bari,  Laterza,  1905,  p.  117  sgg. 

(4)  Basterà  ricordare  la  leggenda  sull'origine  degli  Unni. 


APPUNTI    E    NOTIZIE  2I3 

creazione  del  villano?  (i)  In  quanto  concerne  poi  la  origine  dei  popoli, 
io  sono  lieto  di  potere,  a  conforto  di  noi  Lombardi,  riportare  qui  due 
altri  epigrammi  che  riguardano  la  nascita  della  gente  tedesca  e  della 
francese ,  quali  si  rinvengono  in  un  manoscritto  della  Palatina  di 
Vienna  (2).  Da  essi  si  potrà  rilevare  che  se  noi  abbiamo  avuto  de'  pro- 
genitori poco  umani,  neppure  i  Teutoni  ed  i  Galli  possono  andar  molto 
superbi  delle  loro  scaturigini  : 

De  origine  germanorum. 

Genti  teutonicae  mirabilis  extat  origo. 
Ova  tulit  cygnus,  qua  fuit  alta  palus. 
Alnus  et  alta  fuit;  asinus  piger  ova  recepit, 
Lepus  contra  fovit  :  hoc  genus  inde  fuit. 
Cygnus  candentes  et  asellus  monstrat  inertes, 
Molles  alta  palus,  sed  proceros  exprimit  alnus. 

De  origine  francorum. 

Fnincigenae  genti  dispar  datur  ortus  habendi  : 
Flumina  scrutanti  cum  pavo  coisset  anati, 
Ovum  fera  viae  deponit  in  aggere  tritae, 
Dama  quod  inventum  fovit  caveis  glacierum. 
Credite  Francigenas  hinc  prima  quod  extulit  aetas. 
Pavo  decorantes,  sed  anas  designat  edaces  ; 
Flumen  luxuriam,  sterilem  via  publica  terram, 
Ast  frigus  glacies  ;  bene  prodit  dama  tugaces. 

F.  N. 

/^  Una  MERIDIANA  DEL  XII  SECOLO.  —  Una  congregazione  di  bene- 
dettini francesi  ha  rioccupato  recentemente  l'antico  cenobio  della  badia 
di  Acquafredda  in  territorio  di  Lenno  sul  lago  di  Como,  già  dei  monaci 
cistercensi,  e  dopo  un  secolo  e  più  ha  così  fatto  ritorno  ai  silenzi  della 
vita  claustrale  l'ampio  edificio  coll'annessa  chiesa  e  coi  vicini  orti  e 
giardini,  annoverato,  anni  or  sono,  una  fra  le  più  deliziose  villeggiature 
del  Lario. 

Niun  luogo  più  adatto  allo  studio  ed  al  raccogUmento  di  quell'ameno» 
poggio  ove,  fino  dal  1147  s'erano  dato  cura  di  estendere  l'azione  loro 
in  Lombardia  i  frati  cistercensi  della  badia  di  Morimondo,  il  cui  priore 
Pietro  acquistava  per  l'appunto  in  detto  anno  da  Azzone  d' Isola  l'altura 
d' Acquafredda  e  vi  fondava  una  piccola  casa  monastica  sussidiaria. 

Né  è  qui  il  luogo  di  riassumere    neppur  brevemente  le  vicende  di 


(i)  Per  quanto  si  riferisce  alla  nascita  de'  villani,  cfr.  le  storielle  popolari 
accennate  dal  Meklini,  Saggio  di  ricerche  sulla  satira  contro  il  villano,  Torino^ 
1894,  p.  30  sgg.,  alle  quali  altre  parecchie  si  potrebbero  aggiungere. 

(2)  Cod.  Lat.  $233,  del  sec.  XV,  che  contiene  gli  Epigrammi  di  Prospero, 
ved.  S.  Endlicher,  Catalog.  codd.  philolog.  latin.  Uhi.  Palat.  Vindohonensis,  1836: 
p.  277. 


214  APPUNTI    E    NOTIZIE 

quel  cenobio  che  andò  soppresso  nel  1783  collo  sperpero  di  tutto  quanto 
conteneva  di  prezioso  per  l'arte  e  per  la  storia.  Chi  saprebbe  racimo- 
lare oggidì  tanti  tesori?  e  a  malapena  sappiamo  che,  nell'intento  di 
salvare  e  utilizzare  qualche  resto  dell'insigne  monastero,  le  campane 
vennero  date  alla  chiesa  di  Zelbio  poco  sopra  Nesso,  l'organo  a  Sala, 
le  reliquie  del  corpo  di  S.  Agrippino  a  Delebio. 

Poca  speranza  adunque  di  rinvenire  oggidì  in  quel  luogo,  dopo  tante 
vicende,  qualche  oggetto  meritevole  di  considerazione  se,  pregandosi  ul- 
timamente il  collega  dott.  E.  Verga,  che  si  recava  colà,  di  constatare 
l'esistenza  o  meno  nella  chiesuola  d'Acquafredda  di  toccante  iscrizione 
sul  sepolcro  dei  claustrali,  già  esistenti  in  passato,  e  citata  in  una  sua 
pubblicazione  dal  conte  Cavagna  Sangiuliani,  non  si  avesse  avuto  la 
ventura  di  accertare  la  conservazione  di  quell'epigrafe  e  nel  tempo 
stesso  di  scoprire  in  un  lastrone  di  marmo  una  meridiana,  disusata  da 
tempo  ma  che  risale  ai  primi  anni  dalla  fondazione  del  chiostro,  e  cioè 
al  1193. 

La  tavola  di  marmo,  levigata  solo  nella  sua  parte  anteriore  e  delle 
dimensioni  di  circa  m.  0.50  per  0.60,  giace  ora  a  terra  in  un  cortile  del 
convento  ed  offre  in  vista  scolpito  il  circolo  del  meridiano  diviso  in  due 
emisferi.  Quello  inferiore  appar  riportato  con  linee  moventi  dal  centro, 
ove  doveva  levarsi  lo  stilo  indicatore,  in-  dodici  segmenti  rispondenti 
alle  ore  dalle  6  alle  18,  né  presenta  altra  particolarità  che  tre  intacca- 
ture profonde  nelle  ore  dalle  8  alle  9,  dalle  12  alla  i,  e  dalle  2  alle  3, 
riferibili  manifestamente  ad  ore  di  preghiera  o  di  speciali  occupazioni 
quotidiane  della  congregazione. 

Nell'emisfero  superiore  sta  scritta  al  disopra  della  linea  equino- 
ziale, designata  colle  lettere  in  gotico  antico  di  LN  e  AEQ,  la  data 
che  dà  più  particolarmente  valore  a  questo  marmo,  così  espressa 
MC  xeni,  lasciando  posto  nell'intervallo  fra  le  due  cifre  e  così  pure 
fra  le  due  sigle  testé  menzionate  della  linea  equinoziale  a  un  circolo 
minore  che  dalla  X  e  dalla  lettera  greca  P  inscrittavi  altro  non  può 
significare,  che  il  monogramma  xpi^'^ó?. 

Appar  chiaro  da  tutto  ciò  che  la  lastra  era  destinata  a  stare  ver- 
ticalmente o,  come  si  diceva  dai  vecchi  astronomi,  con  circolo  azimath; 
la  simmetria  poi  delle  linee  orarie  rispetto  alla  verticale  o  linea  del 
mezzodì,  indica  che  s'intendeva  di  fissarla  o  che  fu  esattamente  disposta 
in  passato  nel  piano  verticale  est-ovest,  ossia,  come  si  dice,  a  perfetto 
mezzogiorno. 

Diego  Sant'Ambrogio. 


/^  La  Badia  di  San  Giovanni  Battista  di  Vertemate.  —  La  linea 
ferroviaria  che  da  Milano  va  a  Como,  tocca  qua  e  là  a  breve  distanza 
edificii  religiosi  d'antica  data,  meritevoli  di  qualche  considerazione;  la 
chiesa  ed  il  convento  delle  benedettine  di  Meda,  poco  dopo  Seregno 
sulla  destra,  e  più  innanzi  dall'egual  lato   la  cappelletta   di   Mocchirolo, 


APPUNTI    E    NOTIZIE 


215 


cui  fa  riscontro  sulla  sinistra  il  più  importante  oratorio  di  Lentate  sul 
Seveso  (i). 

Procedendo  poi  oltre  verso  Como,  una  strada  tortuosa  risale  da 
Cucciago,  frammezzo  ai  boschi,  fino  all'altipiano  di  sinistra  su  cui  siede 
Vertemate,  e  poco  prima  di  raggiungere  la  vetta,  incontrasi  la  vetusta 
badia  di  San  Giovanni  di  Vertemate. 

Ridotta  oggidì  allo  stato  di  cascinale  agricolo  e  solo  serbando  degli 
antichi  splendori  il  nome  di  "  badia  „,  non  invita  a  tutta  prima  il  visi- 
tatore ad  accedervi,  e  la  chiesa  è  poi  sì  cadente  e  malandata  da  servire 
a  mala  pena  come  deposito  di  legna  ed  attrezzi  rurali. 

Vi  fa  pompa  ancora  al  sommo  della  porta  un  grandioso  stemma 
cimato  da  un  cappello  cardinalizio  e  colle  insegne  dei  Visconti  Aimi,  ma 
la  facciata  rinzaffata  a  calce,  come  l'interno  tutto  quanto  del  fabbricato, 
nulla  ha  che  richiami  l'attenzione.  Un  altro  stemma,  oggidì  obliterato, 
vedevasi  sulla  porta  che  dai  piazzale  dà  adito  al  monastero  propria- 
mente detto,  ridotto  ora  ad  abitazione  del  castaido  e  dei  dipendenti 
contadini,  e  in  cui  la  stessa  corte  quadrata,  che  doveva  servire  come 
chiostro  principale,  nulla  offre  di  artistico  all' infuori  di  un  portichetto 
sul  fianco  destro  della  chiesa. 

Nonostante  i  rimaneggiamenti  che  ebbe  quella  parte  della  costru- 
zione e  l'adattamento  di  una  scala  di  legno  per  l'accesso  al  portico  su- 
periore, scorgonsi  ivi  ancora  sulla  parete  alcune  pitture  di  qualche  me- 
rito, fra  cui  una  Pietà  nella  piccola  mezzaluna  al  disopra  della  porta  e 
poco  discosto  a  destra  due  figure  in  ampii  paludamenti  che  parrebbero 
rappresentare  i  santi  Pietro  e  Paolo. 

Migliore  di  tutte  ed  anzi  notevole  per  smalto  pittorico  e  accurata 
esecuzione  è  un  grande  affresco  a  sinistra  delia  porta,  incorniciato  da 
una  zona  a  quadretti  policromi  nello  stile  delle  opere  giottesche,  col 
soggetto  dell'Annunciazione.  Oltremodo  commendevole  la  testa  della 
Vergine  che  è  mirabile  possa  essere  giunta  fino  a  noi  colla  rustica  scala 
praticata  in  prossimità  del  dipinto,  locchè  dinota  che  i  contadini  stessi 
del  luogo  tennero  sempre  quell'  immagine  in  particolar  venerazione. 

Penetrando  da  quella  porticina  laterale  nella  chiesa,  tutta  quanta 
imbiancata  a  calce  come  dicemmo  e  ingombra  di  fitte  cataste  di  legname, 
ci  colpisce  tosto  lo  stato  di  squallore  a  cui  è  ridotto  l'edificio.  Come  già 
osservava  nella  sua  visita  del  1676  il  vescovo  comense  Ambrogio  Tor- 
riani,  essa  è  "  satis  ampia  „  coll'altare  verso  oriente,  e  volte  a  crociera 
tanto  nel  presbitero  e  nei  due  ambienti  laterali,  quanto  nel  piedicroce 
con  quattro  pilastri  rotondi,  aventi  basi  senza  unghie  protezionali  e  ca- 
pitelli a  cubo  di  rozza  fattura. 

Nessuna  traccia  oggidì  né  dell'altare  principale,  con  ancona  un  giorno 
in  onore  di  San  Giovanni  Battista,  né  degli  altri  due  a  destra  ed  a  si- 
nistra dell'apparente  navata  trasversale,    dedicati    a   Santa  Maria  delle 


{1)  Su  Meda  e  su  Lentate  veggansi    la    Lega  Lombarda  del 
tobre  1901  e  del  4  dicembre  1904. 


9,  12  e  13  ot- 


2l6  APPUNTI   E    NOTIZIE 

Grazie  ed  a  San  Francesco.  Chiusa  da  muri  divisori,  per  foggiarne 
un  pili  sicuro  ripostiglio,  è  la  navata  di  sinistra,  ove  presso  la  porta  era 
stato  adattato  in  passato  altro  altare  a  San  Francesco  da  Paola,  come 
risulta  dalla  visita  a  San  Giovanni  di  Vertemate  del  cardinal  Ciceri, 
vescovo  di  Como,  l'anno  1686. 

Non  ancora  vuotate  del  tutto  in  quella  dissacrata  chiesa,  con  poco 
riguardo  all'igiene  e  minor  decoro,  sono  le  due  cripte,  una  delle  quali 
può  scoperchiarsi  tuttora  con  somma  facilità,  e  in  cui  per  lunga  serie 
d'anni  vennero  tumulati  i  cadaveri  degli  uomini  nell'una  e  delle  donne 
nell'altra,  del  cascinale  della  badia  e  dei  vicini  molini.  Si  direbbe  che 
l'azione  esiziale  del  tempo,  che  fu  sì  funesta  all'antica  basilica,  si  sia 
soffermata  davanti  a  quelle  tombe  che  pur  meritavano  maggior  rispetto, 
benché  sia  sparito  invece  da  tempo  l'ossario  che  si  apriva  sul  lato  de- 
stro della  facciata. 

Nella  sola  ristretta  e  spoglia  sagrestia,  che  già  il  vescovo  Torriani 
qualificava  come  "  parva,  humilis  et  humida  „  e  oggi  pure  debolmente 
rischiarata,  v'è  ancora  un  buon  ricordo  d'arte  nelle  pitture  che  decorano 
la  vòlta  con  medaglioni  di  santi,  e  la  parete  a  tramontana  con  un  Cristo 
nel  sepolcro,  intorno  a  cui  volano  due  triadi  d'angeli  che  rammentano, 
a  dir  del  Monti,  la  leggiadria  di  quelli  dipinti  dal  beato  Angelico  di  Fie- 
sole, e  certo  sono  opere  con  un  vicino  San  Benedetto  ed  altre  cose 
minori,  degne  di  riguardo  e  tali  da  invocarsene  la  conservazione,  ove 
ciò  appena  riesca  possibile. 

L'esterno  della  chiesa,  intonacato  di  calce  anche  nelle  tre  absidi 
di  sfondo  e  provvisto  della  torricciuola  ottagonale  per  le  campane  al 
disapra  del  presbitero,  nulla  offre  di  speciale  sotto  il  rispetto  artistico; 
e  altrettanto  può  dirsi  dei  locali  costituenti  l'antico  monastero,  disposti 
intorno  alla  corte  quadrangolare  sul  lato  destro  della  basilica,  e  recinti 
d'ogni  intorno  dal  brolo  cintato,  su  tutto  il  perimetro,  e  da  ortaglie  di 
proprietà  del  cenobio. 

Il  convento  di  San  Giovanni  doveva  costituire  in  passato  su  quell'alto 
poggio,  dominante  larga  estensione  di  paese  e  da  cui  si  gode  d'un' in- 
cantevole panorama  sulla  valle  sottostante  fino  ai  monti  di  Brunate,  un 
tranquillo  e  sicuro  luogo  di  refugio;  e  non  è  senza  commozione  che  se 
ne  visitano  ancor  oggi  le  scarse  vestigia  rimaste,  evocando  colla  me- 
moria le  vicende  molteplici  cui  ebbe  a  sottostare  e  che  ci  sforzeremo 
d    qui  brevemente  riassumere. 

Una  notizia  convalidìita  dalla  Bibliotheca  cluniacensis  del  Marrier, 
ci  informa  intanto  che  fino  dagli  albori  del  XII  secolo  fu  istituito  in  luogo 
un  Priorato  dei  monaci  benedettini  cluniacensi,  e  la  relativa  chiesuola 
sarebbe  stata  consacrata  l'anno  1107  da  Oddone,  vescovo  di  Imola,  per 
incarico  di  Guido,  vescovo  di  Como. 

Il  Marrier  annovera  infatti  quel  convento  fra  gli  altri  cluniacensi 
elencati  nella  Definizione  del  1367,  come  segue:  "  Prioratus  S.  Johannis 
"  de  Vertemate,  qui  est  unitus  Prioratui  de  Cernobbio,  ubi  debent  esse 
''  cum  Priore  6  monachi  et  fit  ibi  eleemosyna   omnibus  petentibus  „. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  217 

Benché  dipendente  da  altro  priorato,  sarebbe  pur  sempre  riescito 
di  qualche  interesse  ravvisar  nella  nostra  badia  le  tracce  almeno  del- 
l'antica Obbedienza  cluniacense;  ma  sgraziatamente,  come  a  Santa  Maria 
di  Cernobbio,  tutto  il  tempo  ha  travolto  e  sperperato,  cosicché  di  quegli 
antichi  priorati  dei  secoli  XII  e  XIII  non  ci  rimane  altro  esempio  che  in 
quello  di  Piona  presso  Gravedona,  col  pittoresco  suo  chiostro  del  1252. 

Risulta  anzi  dalle  notizie  dei  cronisti  che  un  claustrino  cluniacense 
esisteva  pure  a  San  Giovanni  di  Vertemate,  ma  esso  andò  distrutto 
barbaramente  nel  1688,  allorché  i  comaschi  irritati  contro  gli  abitanti 
•di  Vertemate  che  pareva  inclinassero  verso  i  milanesi,  fecero  colà 
un'incursione  guerresca,  distruggendo  il  castello  edificato  poco  prima 
in  luogo  contro  le  offese  degli  oltramontani  e  la  non  lontana  badia  di 
San  Giovanni. 

Vano  riesce  dunque  il  far  ricerca  oggidì  colà  di  memorie  clunia- 
censi,  ed  anzi  la  distruzione  deve  essere  stata  così  radicale  che  rite- 
niamo ascrivibile  a  posteriore  rifabbrica  anche  la  chiesa  con  volte  a 
■crociere  e  capitelli  a  cubo  fino  a  noi  pervenuta  e  che  abbiamo  più  sopra 
descritta. 

In  tale  avviso  ne  inducono  la  rozzezza  della  costruzione  per  lo  più 
in  cotto  e  non  in  pietrame,  quale  usavano  i  Cluniacensi,  e  con  molti 
particolari  che  tradiscono  un'epoca  già  inoltrata  dell'architettura  lom- 
barda. 

Avremmo  così  sott'occhio  in  quella  chiesa  un  edificio  della  fine  del 
XIII  o  dei  primi  anni  del  XIV  secolo,  ed  anche  i  dipinti  a  fresco  di  ca- 
rattere più  antico  verso  la  porticina  laterale  della  chiesa  non  risalgono 
oltre  la  fine  del  trecento,  e  posteriori  ancora  sono  quelli,  della  metà 
invece  del  XV,  nella  cappella  della  sagrestia. 

Si  ha  anzi  ragione  di  credere  da  un  documento  che  citeremo  più  in- 
nanzi di  papa  Gregorio  XV  del  1621,  che  dopo  la  rovina  del  pristino 
chiostro  cluniacense,  la  congregazione  religiosa  la  quale  ne  continuò 
in  luogo  le  tradizioni,  si  avvicinasse  di  preferenza  alle  prescrizioni  ri- 
tuali degli  Umiliati,  e  ne  abbracciasse  le  dottrine,  benché  il  Tiraboschi 
nella  sua  storia  di  quell'Ordine  non  citi  San  Giovanni  di  Vertemate 
espressamente  fra  i  conventi  degli  Umiliati  nella  provincia  di  Como. 

Quell'autore  per  altro  fa  esplicite  riserve  sul  non  aver  egli  pub- 
blicati tutti  i  documenti  che  possedeva,  e  d'altronde  benché,  verso  la 
fine  del  XVI  secolo,  non  sia  stato  anche  San  Giovanni  di  Vertemate 
compreso  tassativamente  fra  le  case  soppresse  nel  1579  ed  incorporate 
di  quella  congregazione,  come  lo  fu  la  casa  di  Rondenario  colle  altre 
due  di  Vico  e  le  molte  del  bacino  lacuale  comasco,  data  anche  per  la 
badia  di  San  Giovanni  da  quell'epoca  ad  un  dipresso  la  cessazione  del 
convento  propriamente  detto  e  l'istituzione  dello  stato  di  commenda,  che 
fu  del  resto  la  rovina  totale  del  poco  che  rimaneva  dell'antico  cenobio. 

Primo  commendatario  della  badia  fu  infatti  sugli  inizi  del  XVII  se- 
colo l'abate  Marco  Gallio  di  Como,  nipote  dell'illustre  cardinale  To- 
lomeo e  fratello  di  Carlo,  capitano  delle  tre  pievi  superiori  del  lago.  In- 


2l8  APPUNTI   E    NOTIZIE 

signito  della  carica  onorifica  di  protonotario  apostolico,  fu  sotto  il  suo 
governo  nel  1621  concesso  da  papa  Gregorio  precitato  il  breve  aposto- 
lico indirizzato  al  vescovo  di  Como  e  diretto  ad  introdurre  nella  chiesa 
abbaziale  di  San  Giovanni  di  Vertemate  i  "  Frati  rriinimi  „  di  San  Fran- 
cesco da  Paola. 

Avevano  fatta  istanza  all'uopo  presso  il  pontefice  lo  stesso  com- 
mendatario Marco  Gallio  e  il  padre  Antonio  Barberi,  correggitore  del- 
l'Ordine nella  provincia  di  Milano,  ed  è  in  quel  documento  che  la  badia 
è  designata  come  già  di  proprietà  un  giorno  dell'ordine  degli  Umiliati. 

Fu  del  resto  una  chiamata  più  che  altro  "  prò  forma  „,  giacché, 
benché  un  altare  sia  stato  eretto  nella  chiesa  a  San  Francesco  di  Paola 
per  l'appunto,  non  risiedeva  alla  badia  che  il  cappellano  incaricato  della 
messa  quotidiana,  né  il  convento  tornò  mai  più  a  funzionare,  se  non  per 
assoluta  deficienza  di  mezzi,  per  lo  stato  stesso  di  commenda  introdotto 
in  quella  istituzione. 

Dalle  notizie  risultanti  all'epoca  della  soppressione  possedeva  la 
badia  non  pochi  fondi  agricoli  fra  cui  a  Caslino,  a  Cadorago,  Lenna,  e. 
vasti  possessi  in  Vertemate  stessa  con  molti  dei  molini  della  sottostante 
valle,  sicché  calcolavasi  nel  1787  che  ammontassero  i  livelli  attivi  a 
L.  246  e  i  fondi  a  L.  9193,  e  spettassero  al  cardinal  commendatario 
L.  7130,  dedotte  le  L.  450  per  l'onere  della  messa,  restando,  ben  inteso, 
a  suo  favore  i  mobili  e  le  scorte. 

Venuto  a  mancare  il  protonotario  Gallo,  nel  1632,  gli  succedettero 
come  commendatari  in  quel  secolo,  don  Giuseppe  Donesaiia  fino  al 
1664  e  poscia  da  quella  data  fino  al  1712  il  munifico  cardinale  Giuseppe 
Archinti.  Furono,  al  dir  del  Litta,  i  meriti  del  padre  che  procurarono  a 
quest'ultimo  da  Alessandro  VII  la  badia  di  San  Giovanni,  a  quel  modo 
che  allo  stesso  porporato  veniva  assegnata  poco  dopo  l'altra  badia,  già 
di  compendio  degli  Umiliati  essa  pure,  di  San  Giovanni  della  Vigna  nella 
diocesi  di  Lodi.  Com'è  noto,  si  distinse  per  altro  l'Archinti,  nominato 
cardinale  da  papa  Innocenzo  XII,  oltrecchè  come  arcivescovo  di  Milano,, 
in  varie  mansioni  politiche  ed,  entusiasta  di  Filippo  V  di  Spagna,  era 
poco  propenso  invece  al  governo  d'Austria  che  stava  per  stabilirsi  in. 
Lombardia. 

Dal  17J2  al  1737  fu  commendatario  di  San  Giovanni  di  Vertemate 
il  cardinale  Curtis  de  Origo,  della  famiglia  omonima  di  Milano,  e  mag- 
gior lustro  le  diede  poscia,  per  titoli  ed  aderenze,  il  commendatario 
che  gli  successe  dal  1737  al  1769  cardinal  Carlo  Francesco  Diirini,  arci- 
vescovo di  Rodi,  prelato  domestico  ed  assistente  della  Santa  Sede  per 
nomina  di  papa  Clemente  XII.  Si  recò  come  nunzio  apostolico  in  Elvezia 
e  presso  Luigi  XV  di  Francia;  divenne  vescovo  di  Pavia,  e  in  mezzo 
a  tanti  onori  come  non  scordare  l'umile  e  depauperata  badia  di  cui  era 
titolare  ?  Magagne  dei  tempi  ! 

Non  meno  di  lui  illustre  fu  l'ultimo  commendatario  della  badia  negli 
anni  dal  1774  al  1788,  in  cui  venne  a  morte,  cardinale  Eugenio  Visconti. 
Già  possedeva  egli  fin  dal  1725  l'abbadia  di  San  Pietro  all'Olmo,  e  molto- 


APPUNTI    E    NOTIZIE  21 9 

si  distinse  negli  uffici  pubblici  come  referendario  dapprima  e  da  ultimo 
come  prefetto  di  Propaganda  Fide.  Fu  altresì  nunzio  in  Polonia  nel  1759 
e  gli  venne  addebitata  certa  soverchia  tendenza  alla  vita  gaja  e  rumo- 
rosa in  Vienna  ove  trovavasi  per  mansioni  diplomatiche. 

Era  per  altro  uomo  di  retto  sentire,  ed  allorché  cessò  colla  sua 
commenda  di  aver  vita  a  sé  la  badia  di  Vertemate,  a  stento  si  potè  ot- 
tenere dall'Economato  ne  aveva  assunto  la  gestione  vacante,  il  quale 
che  venisse  conservato  l'uso  introdotto  dai  commendatari  e  mantenuto 
dal  Visconti  di  una  dote  di  L.  25  alle  fanciulle  nubende  dei  fittabili  e 
coloni  della  gestione  agricola. 

Venuti  poi  i  giorni  delle  affrettate  e  violente  soppressioni,  la  badia 
di  San  Giovanni  di  Vertemate  che  già  s'era  andata  lentamente  prepa- 
rando alla  sua  disparizione,  fu  venduta  al  pubblico  incanto  e  la  posse- 
derono i  Cusani  dapprima  e  poscia  i  Traversi  e  a  stento  la  parroc- 
chialità di  Vertemate  ottenne  nel  1798  di  poter  ritirar  essa  alcuni  pochi 
effetti  di  culto  chiesastico  rimasti  abbandonati  e  che  avrebbero  dovuto 
altrimenti  essere  venduti  essi  pure,  come  lo  furono  i  fabbricati  tutti  della 
badia,  e  i  fondi,  l'orto  e  il  giardino. 

Va  da  sé  che,  nello  stato  di  squallore  in  cui  trovavasi  la  chiesa, 
non  potè  allora  essere  presa  in  considerazione  la  domanda  fatta  nello 
stesso  anno  1798  dai  deputati  dell'Estimo  del  comune  di  Vertemate,. 
perchè  si  conservasse  quella  chiesa  abbaziale  a  comodo  di  quella  par- 
rocchia, e  da  allora  in  poi,  la  sconsacrata  chiesetta  di  San  Giovanni 
andò  sempre  più  deperendo  e  la  sua  esistenza  stessa  è  seriamente  mi- 
nacciata da  qualche  tempo  in  qua. 

Non  riesca  quindi  discaro  se,  a  scongiurare,  per  quanto  è  possibile, 
siffatta  estrema  jattura,  si  richiami  l'attenzione  degli  studiosi  su  questa 
dimenticata  e  vetusta  badia  che,  trovandosi  a  poca  distanza  dalla  gran 
via  che  unisce  Como  a  Milano  ed  in  amena  e  ridente  posizione,  con 
tracce  tuttora  di  curiosità  architettoniche  e  di  dipinti  di  qualche  vaglia,, 
può  essere  facilmente  visitata.  D.  S. 

/^  Bandiere  dell'armata  d'Italia  (1797).  —  Sono  tanto  pochi  gli 
studiosi  di  bandiere  di  guerra  e  coloro  che  per  persistenza  di  ricerche 
posson  dirsi  competenti  in  materia,  che  davvero  si  potrebbero  contare 
sulle  dita  di  una  mano.  I  lavori  però  che  l'Hollander  ha  già  pubblicato 
sia  nel  Carnet  de  la  Sabretache  che  in  altri  periodici,  sono  più  che  suf- 
ficienti per  stabilire  la  di  lui  fama  quale  di  uno  dei  più  intelligenti,  eru- 
diti e  pazienti  indagatori  di  questa  difficilissima  e  sinora  nemmanco  sfio- 
rata materia  che,  mancando  un  appropriato  vocabolo  latino,  oseremo 
germanicamente  chiamare  "  Fahnenkunde  „.  I  cultori  degli  studi  storici, 
e  specialmente  coloro  che  s'interessano  al  turbinoso  periodo  dell'occu- 
pazione francese  in  Italia  alla  fine  del  XVIII  secolo,  leggeranno  con 
piacere  la  nuova  sua  pubblicazione  (i)  esclusivamente  basata  su  doci - 

(i)  O.  Hollander,  Les  drapeaux  et  ètendards  de  Varmée  d'Italie  et  de  Varmée 
d'Égypte,  ly^j-iSoi  (Extrait  du  Carnet  de  la  Sabretache),  Paris,  Leroy,  1904. 


220  APPUNTI    E    NOTIZIE 

menti,  inediti  per  la  massima  parte,  e  sulT  illustrazione  dei  cimeli  che 
per  la  difficoltà  stessa  della  loro  durabilità  soltanto  in  piccolissimo  nu- 
mero sono  pervenuti  sino  a  noi. 

Il  14  dicembre  1796  il  generale  in  capo  Bonaparte  da  Milano  risol- 
veva di  dare  delle  nuove  bandiere  a  tutte  le  mezze  brigate  (così  chia- 
mavansi  allora  i  reggimenti)  che  facevano  parte  della  sua  armata  d'Italia, 
ed  in  una  lettera  al  generale  Berthier  egli  prescriveva  che  su  ciascun 
drappo  si  facessero  iscrivere  le  battaglie  a  cui  i  differenti  corpi  eransi 
trovati  presenti,  distinguendo  con  carattere  più  vistoso  quelle  fazioni 
vittoriose  cui  maggiormente  avevano  contribuito. 

Si  incaricò  di  sorvegliare  la  confezione  di  queste  bandiere  il  capo 
battaglione  Leopoldo  Berthier,  "  logé  (dicono  i  documenti)  Casa  Trivulci 
"  place  Saint  Alexandre  „.  Il  modello  adottato  era  quello  che  nel  1794 
veniva  assegnato  alle  bandiere  dell'allora  già  disciolta  197.*  mezza  brigata, 
e  se  ne  ordinarono  90,  come  appare  dal  contratto  in  data  io  gennaio  1797 
tra  il  cittadino  Garros,  "  agent  en  chef  des  effets  militaires,  commis  des 
"  deniers  et  affaires  de  la  République  Frangaise  „,  ed  il  negoziante 
Gian  Giacomo  Boudet,  che  si  obbligava  a  fornirle  ai  magazzini  militari 
in  Milano  nello  spazio  di  un  mese,  complete  con  asta  a  lancia  dorata, 
zoccolo  in  ottone  giallo  e  puntale  in  ferro  e  colle  relative  cravatte  guer- 
nite  di  frangie,  al  prezzo  di  195  lire,  numerario  di  Francia  in  oro  od 
argento. 

Stante  qualche  lentezza  per  parte  dei  corpi  nel  declinare  i  fatti 
d'arme  di  cui  potevano  andar  fregiate  le  loro  nuove  insegne,  non  fu 
che  pel  1°  Pratile  che  il  cittadino  Boudet  venne  obbligato  a  portare  le 
nuove  bandiere  alla  sede  dello  stato  maggiore  ("  Casa  Cerbellonni  „) 
per  essere  collaudate,  incassate  e  spedite  alle  divisioni  disseminate  nel 
paese  occupato,  e  fu  anche  puntuale,  visto  che  non  gli  era  stato  pos- 
sibile, malgrado  i  reclami  avanzati,  di  riscuotere  il  pattuito  anticipo  di 
6000  lire. 

Ogni  mezza  brigata  ebbe  tre  bandiere  e  cioè  una  per  battaglione; 
la  parte  di  drappo  che  andava  arrotolata  ed  inchiodata  all'asta  era 
bianca  pel  i.°,  rossa  pel  2°  e  bleu  pel  3,**  battaglione.  La  stoffa  di  taf- 
fetà di  seta  misurava  circa  metri  1,60  in  quadrato  :  al  centro  stava  un 
quadro  bianco  circondato  ai  quattro  lati  da  un  trapezio  diviso  in  tre 
strisele  ineguali  disposte  obliquamente;  un  aspetto,  come  si  vede,  assai 
caratteristico.  In  ciascun  trapezio  la  striscia  esterna  era  rossa,  bianca 
quella  di  mezzo  ;  il  bleu  toccava  sempre  il  quadro  del  centro  il  quale 
nel  diritto  presentava  dipinti  ad  olio  un  fascio  da  littore  sormontato  dal 
berretto  frigio  scarlatto  e  circondato  da  due  ramoscelli  di  quercia;  sul 
rovescio  però  soltanto  questi  ultimi  che  dovevan  rinchiudere  sia  il  nu- 
mero del  corpo  oppure  delle  leggende  ricordanti  le  testimonianze  spe- 
ciali d'onore  conferite  sia  poi  oralmente,  sia  nei  rapporti  ufficiali,  a 
quel  dato  corpo  dal  generale  in  capo  in  persona.  Citeremo  ad  esempio^ 
le  seguenti  per  quanto  ne  sia  controverso  il  testo,  nessun  originale  es- 
sendo pervenuto  sino  all'età  nostra  : 


APPUNTI    E    NOTIZIE  221 

J'ÉTAIS   TRANQUILLE,    LA    BRAVE    32®   É TAIT    LÀ! 
La    57*    DEMI   BRIGADE    QUE    RIEN    n'aRRÉTE. 

Brave  18®.  Je  vous  connais,  l'Ennemi  ne  tiendra  pas   devant  vous. 
La  25*  s'est  cou verte  de  gloire. 
La  terrible  75*  que  rien  n'arrète. 

Le  altre  iscrizioni,  pure  dipinte  in  lettere  d'oro,  erano  disposte  oriz- 
zontalmente sulle  striscie  tricolori,  quelle  del  davanti  sono  le  regola- 
mentari, ossia,  République  franqaise  sopra  e  Discipline  et  Soumission 
Aux  Loix  militaires  sotto,  ed  ai  quattro  angoli  alternati  i  numeri  della 
mezza  brigata  e  del  battaglione. 

Al  rovescio  invece,  disposte  in  vario  modo  a  seconda  del  loro  nu- 
mero e  della  loro  lunghezza,  le  iscrizioni  dei  fatti  d'arme.  Quelle  che 
piij  di  sovente  ricorrono  sono  : 

combat  de  montenotto  (sic)     bataille  de  MONDOVI 

BATAILLE    de    millesimo  PASSAGE    DU   PONT   DE    LODI 

bataille    de    LONATO  bataille   de    CASTIGLIONE 

BATAILLE   DE   BASSANO  COMBAT    SUR   LA   BRENTA 

BATAILLE   d'aRCOLO    {sÌc)  JRE  ET    2ME    BATAILLE   DE   RIVOLI 

BATAILLE    DE   S.T   GEORGE  BLOCUS   ET    PRISE    DE   MANTOUE 

COMBAT    d'aNGUILLARI  PASSAGE   DU   TAGLIAMENTO 

TRAVERSÉE   DU   TIROL  BATAILLE   DE    CEMBRA. 

Due  di  queste  bandiere  sono  conservate  al  Royal  Hospital  a  Chelsea 
presso  Londra,  essendo  cadute  in  mano  degli  inglesi  il  4  settembre  1800 
in  seguito  alla  capitolazione  di  Malta  ;  altre  dieci  si  trovano  nell'  I.  R. 
Museo  dell'armata  a  Vienna,  prese  quasi  tutte  tra  il  1799  ed  il  1801. 
Sembra  non  ne  esistano  altre. 

Il  14  luglio  1797  queste  bandiere  venivano  distribuite  con  grande 
solennità  ed  il  chiarissimo  autore  riproduce  un  documento  ufficiale  da 
cui  si  rilevano  i  seguenti  dati  circa  la  dislocazione  dei  corpi,  dati  che 
qui  vale  la  pena  di  riportare  : 

i.^  Divisione,  Brune  a  Padova  — 2.*  mezza  brigata  leggiera;  18.% 

25.',  32.%  75.*  mezze  brigate  di  linea, 
2."  „  Augerau  a  Verona  —  27.»  leggiera;  4.*,  40.*,  43.»^  e 

51.*  di  linea. 
3.^         „  Bernadette  a  Udine  —  16.*  leggiera;  30.»,  55.%  61.^ 

ed  88.*  di  linea. 
4.''         „  Fiorella  a  Treviso  —  21.^  leggiera;  6.»,  12.%  64.»  e 

69.*  di  linea. 
5.'^  „  Joubert  a  Vicenza  —  4.*  e  22.»  leggiere;  11.'',   14.», 

33.»  ed  85.»  di  linea. 
6^         „  Delmas  a  Belluno  —  26.**  leggiera;   39.*  e  93."  di 

linea. 


222  APPUNTI    E    NOTIZIE 

7.a  Divisione  Baraguay  d'Hilliers  a  Venezia  —  17.^  leggiera;  5.% 
58.»,  63.^  e  79.^  di  linea,  di  quest'ultimo  solo  il 
i.^  battaglione  gli  altri  due  essendo  distaccati 
a  Cor  fu. 

8.a         „  Victor  a  Genova  —  5.»  e  18.*  leggiera;  57.*  di  linea. 

Colonna  mobile  al  comando  del  generale  Bon  a  Milano  —  9.*  e 
13.*  di  linea. 

Divisioni  in  paesi  conquistati  : 

i.a  Divisione,  Miollis  a  Mantova    —  29.»  leggiera. 

2.^         „  Kilmaine  a  Milano  —  ii.%  I2.«'  e  so.'i  leggiera. 

3.^         „  Sauret  a  Tortona    —  45.^  di  linea  (2.°  e  3."   batt.^). 

4.^         „  Casabianca  a  Cuneo  —  45.»  di  linea  (i.°  batt.**). 

5.*         „  Vaubois  in  Corsica  —  19.^  di  linea. 

A  Milano  la  distribuzione  delle  bandiere  ebbe  luogo  nel  recinto  del 
Lazzaretto,  ove  cinque  giorni  prima  si  era  celebrata,  con  quella  pompa 
che  tutti  gli  studiosi  dell'epoca  conoscono,  la  festa  della  Federazione 
della  Repubblica  Cisalpina  di  cui  l'Aspari  ci  ha  lasciato  memoria  in 
una  sua  incisione.  Mentre  nella  prima  si  distribuirono  le  bandiere  alle 
nostre  Guardie  Nazionali  in  questa  'seconda  solennità  ebbero  uguale 
onore   tre  coorti  cisalpine  comandate  dal  La  Hoz  (i). 

Alla  cavalleria  ed  all'artiglieria  i  nuovi  stendardi  non  furono  con- 
segnati che  alli  22  settembre  1797,  anniversario  della  fondazione  della 
Repubblica.  Essi  portavano  dipinto  nel  diritto  un  fascio  da  littore  sor- 
montato da  berretto  e  contornato  da  due  rami  d'alloro   dorati,  il  tutto 

LIBERTÉ  EGALITÉ 

circondato  dalle  iscrizioni  :  discipline  subordination 

VIGILANCE 

L'altro  lato  era  senz'emblemi,  ma  tutto  riempito  dalle  iscrizioni  delle 
imprese  compmte,  leggendosi  sulle  due  prime  linee  :  république  fran- 
gAiSE  e  l'indicazione  del  corpo.  Tutt' intorno  d'ambo  i  lati  a  mo'  di 
cornice  una  fascia  ricamata  a  foglie  di  quercia  e  terminante  in  fitta 
frangia  dorata.  Il  drappo  del  i.°  squadrone  era  scarlatto,  con  fascia 
rossa  ricamata  in  oro.  Quello  del  2.°  squadrone  era  cilestre  con  fascia 
bleu  e  ricami  in  oro.  Quello  del  3.°  squadrone  era  verde  chiaro  con  fa- 
scia verde  ricamata  in  oro  ;  infine  quello  del  4.°  squadrone  era  giallo 
con  fascia  e  ricami  oro  su  oro. 

Lo  stendardo  per  altro  dell'Artiglieria  delle  Guide  aveva  il  drappo 
tricolore  ed  invece  dei  nomi  delle  battaglie  la  leggenda:  partout  l'ar- 
TiLLERiE  s'est  comblée  DE  GLoiRE.  Qucsto  cd  i  quattro  stendardi  della  co- 
sìdetta  Compagnie  des  Guides  sono  conservati  a  Parigi  nel  Museo  d'ar- 
tiglieria. 

(i)  Ved.  Corriere  Milanese  del  17  luglio,  n.  57,  p.  457;  ed  in  Ambrosiana. 
SCV  Vili,  4  sotto  al  n.  39. 


I 


APPUNTI    E    NOTIZIE  223 

Il  Museo  del  Risorgimento  in  Milano  ha  però  la  somma  ventura  di 
possedere  (i),  per  quanto  incompleto  e  manomesso,  il  drappo  del  3.° 
squadrone  del  3.°  reggimento  d'artiglieria  leggiera  che  il  chiarissimo 
autore  fa  oggetto  d'una  riuscitissima  illustrazione  e  che  i  lettori  po- 
tranno esaminare  a  loro  bell'agio  a  miglior  comprensione  dei  cenni 
dati  qui  sopra. 

Vi  si  leggono  le  seguenti  iscrizioni  : 

Aff:  de  Mondovi  et  Pas  :  du  Pò. 

Bat:  de  Lodi  et  Pas:  du  Mincio. 

Bat  :  DE  Castillon  et  Aff  :  de  la  Corona. 

Prise  DE  Trente. 

Aff  :  de  Trente  et  de  Bassano. 

Capitulation  de  Porto  Legnago. 

Bat  :  de  St  George  et  de  Rivoli. 

Bat  :  d'Arcole  et  de  la  Favorita. 

Reddition  de  Mantoue. 

Pas  :  de  la  Piave. 

Pas  :  du  Tagliamento. 

Pas  :  de  Lisonzo,  et  Prise  de  Gradisca. 

Aff  :  et  prise  de  Indemburg  (2). 

Per  non  riuscire  troppo  lungo  ed  anche  perchè  presenta  troppo 
lieve  interesse  per  la  storia  lombarda,  tralascierò  di  riassumere  l' inte- 
ressante illustrazione  delle  bandiere  delle  cosidette  mezze  brigate  di 
battaglia  e  dell'armata  d' Egitto,  colla  quale  si  chiude  questo  lavoro. 
Degne  d'ammirazione  le  magnifiche  tavole  di  cui  esso  va  corredato. 

Enrico  Ghisi. 

/^  Onoranze  centenarie  al  poeta  Giovanni  Fantoni.  —  Ricorrendo 
tra  breve  il  primo  centenario  della  morte  di  Labindo,  la  città  di  Fiviz- 
zano,  la  quale  giustamente  si  vanta  di  avere  dato  i  natali  a  chi  fu  detto 
l'Orazio  Toscano,  ha  deliberato  di  onorare  il  più  degnamente  che  per 
lei  si  possa  la  memoria  del  valoroso  poeta.  A  tal  fine  si  è  costituito  in 
Fivizzano  sotto  la  presidenza  di  quel  sindaco,  signor  Ignazio  Angeli,  un 
Comitato  che  si  rivolge  per  aiuto  nella  nobile  impresa  a  quanti  sono 
studiosi  italiani.  Noi  confidiamo  che  la  gentile  città  lunigianese  saprà 
rendere  il  miglior  tributo  al  geniale  artista,  facendone  conoscere  la  vita 
e  gh  scritti  meglio  di  quanto  siasi  fatto  sin  qui. 

/^  Tra  gli  acquisti  fatti  nel  mese  di  novembre  u.  s.  dalla  Biblioteca 
del  Senato  del  Regno  in  Roma  sono  da  comprendersi  151  Statuti  e  or- 
dini municipali  italiani,  mss.  e  a  stampa,  provenienti  per  la  più  gran  parte 

(i)  Lascito  del  conte  Aldo  Annoni. 
(2)  Per  ludenhirg. 


224  APPUNTI    E    NOTIZIE 

dalla  biblioteca  del  defunto  barone  F.  Em.  Bollati  di  St. -Pierre,  sovrin- 
tendente agli  Archivi  piemontesi.  La  Commissione  per  la  Biblioteca,  che 
ne  ha  deliberato  l'acquisto  nell'intendimento  di  accrescere  la  collezione, 
già  ricca  di  ben  2280  statuti  italiani  e  costituente  il  più  prezioso  fondo 
storico  dell'Istituto,  ne  darà  notizia  particolareggiata  in  uno  dei  pros- 
simi fascicoli  dell'utile  Bollettino  delle  pubblicazioni  di  recente  acquisto,  che 
col  1904  ha  iniziato  le  sue  pubblicazioni  (Roma,  tip.  del  Senato). 

*^  È  uscito  il  primo  volume  del  Codice  Diplomatico  dell'  Università 
di  Pavia  (atti  dal  1361  al  1400),  pubblicazione  promossa  dalla  Società 
di  storia  patria  pavese,  e  curata  dal  prof.  dott.  R.  Majocchi,  Essa  torna 
a  grande  onore  del  nostro  egregio  consocio  ;  e  V Archivio  si  riserva  di 
riparlarne. 

*^  Anche  l'ottavo  volume  degli  Atti  del  Congresso  storico  interna- 
zionale di  Roma  ha  veduto  ora  la  luce.  Esso  per  materia  e  per  sezioni 
è  il  secondo  della  serie.  Benché  per  mole  minore  di  altri  già  pubblicati 
(ha  pagine  xxxvii-373),  non  riesce  per  la  importanza  e  la  varietà  del 
contenuto  inferiore  a  veruno.  Esso  si  divide  in  quattro  parti  di  cui  la 
i.a  e  la  2.*  contengono  i  verbali  delle  sedute  dei  gruppi  I  e  II,  Storia 
antica.  Epigrafìa,  e  III,  Filologia  classica.  La  3.»  parte  abbraccia  le  co- 
municazioni concernenti  ai  primi  due  gruppi,  in  numero  di  diciassette, 
dovute  ad  epigrafisti  e  storici  ben  conosciuti,  italiani  e  stranieri;  citiamo 
tra  altri  i  nomi  del  Bormann,  del  Conway,  dell'Eusebio,  del  Lumbroso, 
del  Petersen,  del  Vulié.  La  parte  4.*,  oltre  ai  temi  presentati  per  la  di- 
scussione al  III  gruppo,  da  uomini  competentissimi,  quali  il  Ramorino, 
il  Sabbadini,  lo  Stampini,  il  Vitelli,  abbraccia  ventiquattro  comunica- 
zioni concernenti  tutte  alla  filologia  classica.  Ricordiamo  tra  queste  la 
Vili,  la  XVII  di  G.  ViteUi  e  A.  Mancini  sopra  papiri  greci;  la  IV  del 
prof.  Monro  Binning  sul  dialetto  omerico,  la  XIV  del  prof.  R.  Seymour 
Conway  su  un'  iscrizione  preellenica  di  Creta.  Di  un  codice  di  Palefato 
parla  poi  il  dott.  Butti;  di  un  ms.  di  Tacito  recentemente  rinvenuto  il 
Ramorino  (V,  XIII);  il  Pascal  ed  il  Curcio  toccan  questioni  lucreziane 
(XXII,  XXIII);  di  letteratura  latina  cristiana  trattano  il  Labroue,  il  Puech 
(VI,  X)  ;  infine  il  Sécheresse  discute  (XX)  sulla  questione  oggi.assai  viva 
se  il  latino  possa  divenire  la  vagheggiata  lingua  internazionale  dell'av- 
venire. Varietà  e  dottrina  :  ecco  le  caratteristiche  doti  di  questo  bel  vo- 
lume che  fa  onore  al  pari  di  quelli  già  pubblicati  all'  infaticabile  zelo 
del  benemerito  segretario  del  Congresso,  il  comm.  dott.  G.  Gorrini. 

/^  Pubblicazioni  recenti.  —  Per  cause  indipendenti  dalla  Direzione 
à^W Archivio  essendo  mancato  il  solito  Bollettino  trimestrale  di  biblio- 
grafia storica  lombarda^  segnaleremo  qui  le  pubblicazioni  storiche  più 
recenti  che  concernono  alla  storia  lombarda,  su  alcune  delle  quali  ri- 
torneremo con  qualche  maggiore  notizia: 

Bragagnolo  G.  &  Bettazzi  e.,  La  vita  di  G.  Verdi  narrata  al  popolo,  in-8, 
Milano,  G.  Ricordi  &  C,  1905. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  225 

Carotti  prof.  Giulio,  Le  opere  di  Leonardo,  Bramante  e  Raffaello,  in -8  fig., 
Milano,  U.  Hoepli,  edit.,  1905. 

Clementi  Giuseppe,  //  B.  Venturina  da  Bergamo  dell'Ordine  de'  Predicatori 
(1504- 1346),  in-8,  Roma,  Puster,  1904. 

Colle-^ione  Giorgio  Mylitts  di  battenti  in  ferro  ed  in  bronco.  Venti  tavole 
in  eliotipia.  Note  illustrative  di  Andrea  Balletti,  fol.,  Milano,  Allegretti,  1905. 

Dalla  Santa  Giuseppe,  Un  episodio  della  vita  universi taria  di  Giasone  del 
Mayno,  in-8,  Venezia,  Visentini,  1904. 

Darowski  Adam,  Bona  Sfor:(a,  in- 16  fig.,  Kzym  [Roma],  Forzani,  1904. 

Da  VARI  Stefano,  Descri:(ione  dello  storico  palax':(o  del  Te  di  Mantova^  in-4  ili., 
Mantova,  Segna,  1905. 

Del  Balzo  Carlo,  L'Italia  nella  letteratura  francese  dalla  caduta  dell'impero 
romano  alla  morte  di  Enrico  IV^  in-8,  Torino-Roma,  casa  editrice  nazionale,  1905. 

Garnett  Richard,  Italian  villas  and  their  gardens.  With  ill^  London,  1905. 

Giani  Maria  Anglla,  Di  Gian  Carlo  Passeroni  e  di  alcuni  riscontri  fra  il 
"  Cicerone  „  e  il  «  Giorno  »,  in-4,  Tortona,  Rossi,  1 904. 

Giovannini  prof.  Alberto,  Carlo  Cattaneo  economista,  in-8,  Bologna,  Zani- 
chelli, 1905. 

Graziani  Ern.,  Brescia  nella  storia  delle  armi,  in-8  fig.,  Brescia,  tip.  della 
Provincia,  1904. 

GuiDiNi  arch.  A..,  Il  tempio  di  Santa  Croce  in  Riva  San  Vitale,  in-4  il^» 
Milano,  Treves,  1905. 

Lombardo  dott.  Giacomo  Maria,  Bianca  Milesi,  con  documenti  inediti,  in-i6, 
Firenze,  Seeber,  1905. 

Majocchi  dott.  Rodolfo,  Codice  diplomatico  della  Università  di  Pavia, 
(sec.  XIV),  in-4,  Pavia,  Fusi,  1905. 

Malaguzzi  Valeri  Francesco,  Gio.  Antonio  Amadeo,  scultore  e  architetto, 
lombardo  (1447-1562),  in-8  fig.,  Bergamo,  Istituto  italiano  d'arti  grafiche,  1904. 

Magistretti  Marco,  Manuale  Ambrosianum,  ex  codice  saec.  XI.  Pars  prima: 
Psalterium  et  Kalendarium  ;  Pars  altera  :  Officia  totius  anni  et  dlii  ordines,  ■  in 
fol.,  2  voi.,  Mediolani,  U.  Hoepli,  1905. 

Mazzi  A.,  Il  Beato  Venturina  da  Bergamo,  Bergamo,  tip.  Bolis,  1905. 

OuRoussow  princesse  M.,  Gauden:(io  Ferrari  a  Varallo  et  Saranno.  Esquisse 
d'art,  in 4  ili.,  Paris,  Fischbacher,  1905. 

Parini,  Oeuvres  choisies  tradmtes  pour  la  première  fois  en  langue  frangaise  par 
le  prof.  Th.  Feriaud.  Voi.  Ili  (Prose),  in- 16,  Paris,  Boyveau  et  Chevillet  édi- 
teurs, '1904. 


226  APPUNTI    E    NOTIZIE 

PoRiauET  René,  Histoire  diplomatique  du  Pìémont,  18^^-18^6,  in  8,  Bar-le-Duc, 
Brodard,  1904. 


Rivista  Archeologica  della  Provincia  e  antica  diocesi  di  Como.  Fase.  50.®,  in-8  \ 
ili.,  Milano,  L.  F.  Cogliati,  1905. 

Rivista  Archeologica  Lombarda,  diretta  dal  dott.  prof.    Serafino  Ricci.  A.  I, 
fase.  I,  in-8  ili.,  Milano,  L.  F.  Cogliati,  1905. 

Sartori  Treves  Pia,  Una  umanista  bresciana  del  secolo  XV  {Laura  De  Ce- 
rato), in-8,  Brescia,  Apollonio,  1904. 

ViLLARi  PASQ.UALE,  Le  invasioni  barbariche  in  Italia,  seconda  edizione,  in  8, 
-.Milano,  U.  Hoepli,  1905. 


> 


O  I*  E?  I«  B? 

pervenute  alla  Biblioteca  Sociale  nel  I  trimestre  del  1905 


Ambrosoli  S.,  Intorno  ad  un  nuovo  esemplare  della  moneta  Cavallina  di 
Candia.  Lettera  al  signor  conte  sen.  Nicolò  Papadopoli,  Milano, 
tip.  L.  F.  Cogliati,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

Biblioteca  della  Società  Storica  Subalpina  diretta  da  F.  Gabotto,  voi.  I, 
III,  V-VIII,  Pinerolo^  tip.  Chiantore-Mascarelli,  1899-1901  (d.  d.  socio 
Novati). 

Bollettino  delle  pubblicazioni  di  recente  acquisto  della  Biblioteca  del  Senato 
del  Regno.  A.  I,  1904,  Roma,  Forzani  (d.  d.  Commissione  della  Bi- 
blioteca del  Senato). 

Braga GNOLo  G.  &  Bettazzi  E.,  La  vita  di  G.  Verdi  narrata  al  popolo, 
Milano,  G,  Ricordi  &  C,  1905  (d.  d.  s.  Seletti). 

Bollettino  della  Società  Dantesca  italiana,  nn.  1-2-3-9,  Firenze,  tip.  S.  Landi, 
1890-1892  (d.  d.  s.  Novati). 

Calvi,  E.,  Bibliografia  analitica  petrarchesca  1877- 1904,  Roma,  1904  (dono 
d.  s.  Novati). 

Carotti  G.,  Le  opere  di  Leonardo,  Bramante  e  Raffaello^  con  188  ili.,  Mi- 
lano, U.  Hoepli,  1905  (d.  d.  E.  e  d.  s.  A.). 

Chiesa  G.,  Regesto  dell'Archivio  comunale  della  città  di  Rovereto,  fase.  I, 
(1280-1450),  Rovereto,  tip.  Roveretana,  1904  (d.  d.  Biblioteca  civica 
di  Rovereto). 

CiccHiTELLi  V.,  Sulle  opere  poetiche  di  Marco  Gerolamo  Vida,  Napoli, 
L.  Pierro  &  F.,  1904  (d.  d.  s.  Novati). 

Collezione  Giorgio  Mylius  di  battenti  in  ferro  ed  in  bronzo.  Venti  tavole 
in  eliotipia.  Note  illustrative  di  Andrea  Balletti,  Milano,  1905  (dono 
d.  s.  G.  Mylius). 

Dalla  Santa  Giusepìe,  Un  episodio  della  vita  universitaria  di  Giasone  del 
Maino,  Venezia,  Visentin!.  1904  (d.  d.  A.). 

Da  VARI  S.,  Descrizione  dello  storico  palazzo  del  Te  di  Mantova,  Mantova, 
tip.  Segna,  1905  (d.  d.  A.). 


228  OPERE    PERVENUTE    ALLA   BIBLIOTECA    SOCIALE 

Ferrigno  G.  B.,  La  peste  a  Castelvetrano  ne^li  anni  1624-1626,  Trani, 
V.  Vecchi,  1905  (d.  d.  A.  e  del  Municipio  di  Mantova). 

Greppi  G.,  Le  dernier  cri  de  Venise  mourante  (1797),  Rome,  Imprimerie 
editrice  romaine,  1905  (d.  d.  s.  A,). 

HoLLANDER  A.,  Les  drapeaux  et  étendards  de  Varmée  d'Italie  et  de  l'armée 
d'Égypte,  1797-1801,  Paris,  J.  Leroy,  1904  (d.  d.  A,). 

Intra  G.  B.,  Del  conte  Luigi  Magnaguti.  Cenni  biografici,  Mantova, 
G.  Mondovì,  s.  a.  (d.  d.  s.  A). 

Lenzi  F.,  L'arte  e  le  opere  di  Benedetto  Pistrucci,  Orbetello,  1004  (dono 
d.  s.  A.). 

Mazzi  Angklo,  //  Beato  Venturina  da  Bergamo,  in-8,  Bergamo,  tip.  Bolis, 
1905  (d.  d.  s.  A.). 

Milano  Sanitaria.  Anno  X,  Milano,  tip.  L.  F.  Cogliati,  1905  (d.  d.  dottor 
Levati). 

Nava  C,  Un  monumento  sconosciuto  dell'architettura  lombarda.  La  chiesa 
di  Rivolta  d'Adda,  Milano,  tip.  degli  Ingegneri,  1903  (d.  d.  s.  A.). 

PAsaucco  G.,  Elagabalo.  Contributo  agli  studi  sugli  a  Scriptores  Histo- 
riae  Augustae  »,  Feltre,  tip.  Panfilo  Castaldi,  1905  (d.  d.  A.). 

Primo  trentennio  della  Società  Ceramica  Richard- Ginori.  Commemorazione, 
Milano,  tip.  Bonetti,  s.  a.  (d.  d.  s.  No  vati). 

Rivoli  [Due  de],  Les  Missels  imprimées  à  Venise  de  1481-1600,  Descrip- 
tion,  illustration^  bibliogì^aphie.  Avec  cinq  planches  sur  cuivre  et  350 
gravures,  initiales  et  marques,  Paris,  J,  Rothschild,  editeur,  1896 
(d.  d.  s.  A.). 

Senato  del  Regno,  Catalogo  della  Biblioteca,  Roma,  tip.  del  Senato,  1879, 

—  Appendice  I,  Roma,  ivi,  1886. 

—  Indice  per  materie,  ivi,  1888  (d.  d.  Senato). 

Ved.  Bollettino. 

SoMMERFELD  G.  Matthàus  von  Krakau  und  Albert  Éngelschalk  zur  Quel- 
lenkunde  des  spàteren  Mittelalters,  s.  i.  t.  (d.  d.  A.). 

35  mar{0  rgos» 

Il  Bibliotecario 
B.  Sanvisenti 


Achille  Martelli,  gerente-responsabile . 


Le  sentenze  dei  consoli  di  Milano 

nei   secolo   XII 


E  origini  del  consolato  e  dei  comuni  italiani  nel  se- 
colo XII  aprirono  agli  storici  nostri  ed  agli  stranieri 
un  vasto  campo  di  laboriose  ricerche  e  di  lunghi  studi, 
nel  corso  dei  quali  furono  emesse  tante  opinioni  così 

diverse  (i)  da  far  diffidare  poi  della  possibilità  di  giungere  ad  una 

unica  teoria  (2). 


(i)  Rimandiamo  per  la  rassegna  di  codeste  opinioni  e  dei  più  autorevoli 
storici  meno  recenti  al  lavoro  di  Pr.  de  Haulleville,  His taire  des  communes  lom- 
bardes,  Paris,  1859.  Tra  i  recenti  ricordiamo:  A.  Amati,  //  risorgimento  del  co- 
mune di  Milano,  Milano,  1865  ;  A.  Pawinski,  Zur  Entstehungsgeschichte  des  Con- 
suìatus  in  den  Communen  Nord  und  Mittel  Italiens  XI-XII  Jahrh.,  Berlin,  1867; 
F.  ScHUPFER,  La  società  milanese  all'epoca  del  risorgimento  del  comune,  in  Ar- 
chivio giurid.  ital,  1870,  fase.  Ili  al  VI  (anche  a  parte);  Max  Hadloike,  Die 
lombardischen  Stàdie  unter  der  Herrschajt  der  Bischòfe  und  die  Entstehung  der 
Conmumn,  Berlin,  1883  ;  Paolucci,  L'origine  del  comune  di  Milano  e  Roma,  To- 
rino, 1892;  R.  Davidsohn,  Origine  del  consolato  con  speciale  riguardo  al  contado  di 
Firenze-Fiesole,  in  Arch.  stor.  ital,  1892,  p.  225;  R.  Bonfadiki,  Origini  del  comune 
di  Milano,  Milano,  1890  ;  K.  Neumayek,  Die  gemeinrechtliche  Entwickelung  des 
internati onahn  Privai  und  Stadtnchts  his  Bartolus  Bd.  I,  Mùnchen,  1901;  H.  Pacl- 
zow,  Ueber  die  italienischen  Stadirechte  (Beitràge  ^ur  Bùcherkunde  und  Philologie 
A.  Wilmans),  Leipzig,  1905  ;  F.  Gabotto,  Le  origini  signorili  del  comune,  To, 
rino,  1903.  Quanto  ai  comuni  rurali  vanno  meriZicnati  :  E.  Berta,  Sull'origine 
dei  comuni  turali,  in  Riv.  ital.  di  sociologia,  a.  Ili,  p.  749;  A.  Palmieri,  Degli 
antichi  comuni  rurali  e  di  quelli  deli' Apennino  bolognese,  Bologna,  1899.  Giovano 
a  complemento  di  questa  rassegna:  S.  Villanova,  Saggio  di  bibliografia  della 
storia  dei  comuni  italiani  (%ivista  di  storia  e  filosofia  del  diritto),  Palermo,  1900, 
voi.  II;  E.  Calvi,   Tavole  storiche  dei  comuni  italiani,  Roma,  1903. 

(2)  G.  VcLPE,  Una  nuova  teoria  sulle  origini  dei  comuni,  m  Arch.  stor.  itaL, 
serie  V,  to.  XXXIII,  p.  350  sg.  e  la  replica  del  Gabotto,  ibid.,  to.  XXXV,  1905, 
P-  65  sg. 

Arch.  i>ior.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VI.  it 


230  EZIO   RIBOLDI 

Gli  è  che  i  documenti,  i  quali  ci  parlano  direttamente  della  co- 
stituzione dei  comuni  stessi  (Brevi,  statuti,  ecc.)  sono  pochissimi  (i), 
e  le  narrazioni  dei  cronisti,  per  quanto  degne  di  considerazione, 
aumentano  la  confusione  già  così  grande  in  tutta  la  storia  di  quella 
età.  Altro  fonte  sicuro  non  rimane  se  non  queir  ingente  mole 
diplomatica  che  pel  sec.  XII  può  attestarci  indirettamente  l'azione 
politica,  giudiziaria,  amministrativa  del  consolato  e  del  comune  du- 
rante la  loro  gloriosa  e  non  breve  esistenza.  L'attività  giudicante 
di  quella  età  ha  lasciato  le  più  numerose  tracce  nei  nostri  ar- 
chivi; e  per  quanto  non  si  presenti  in  forma  di  responsi  di  giu- 
risprudenza, perchè  priva  quasi  sempre  di  motivazioni,  tuttavia, 
anche  nel  suo  lato  negativo,  conservando  il  fatto  della  causa  le 
deduzioni  avversarie,  la  soluzione  del  giudice,  ci  offre  i  presup- 
posti del  nostro  diritto  statutario.  Sono  sentenze  di  giudici,  messi 
regi,  consoli,  arbitri,  delegati  papali,  vescovi,  abati,  prevosti  ;  sono 
allegazioni  processuali,  libelli,  interrogatori  di  testi,  mandati  ;  sono 
atti  di  esecuzione  o  di  giurisdizione  volontaria.  La  raccolta  di  tanto 
materiale  richiederà  certo  ingegno  e  lena  superiore  alle  forze  indi- 
viduali, ma  sarà  utilissima  per  lo  studio  del  diritto  municipale,  in- 
dispensabile per  lo  studio  di  quel  corpo  comunale  che  con  tanto 
spreco  d'anatomia  finora  ci  siamo  affaccendati  a  ricostruire  di  se- 
conda mano.  Ma  a  tal  lavoro  nessuno  ha  finora  pensato  (2);  sicché 
della  stessa  Milano,  che  scrisse  una  pagina  immortale  della  storia  co- 
munale, tre  quarti  degli  atti  consolari  sono  sconosciuti  ancora  ed  i 
pochi  noti  si  considerano  alla  stessa  stregua  degli  altri  documenti. 

A  compilarne  una  prima  raccolta  ed  a  dare  un  primo  saggio 
di  studio  abbiamo  pensato  noi  con  la  modestia  di  chi  sa  di  por- 
tare una  pietra  per  la  ricostruzione  di  un  grande  edifizio,  e  nel 
riunire  gli  elementi  del  paziente  esame^  abbiamo  distinto  codesto 
materiale  diplomatico  così  : 

i.o  Le  sentenze  ;  2.0  Gli  atti  d' indole  politico-amministrativa; 

3.®  Gli  atti  diversi. 

1^ 

(i)  Unici  quelli  di  Pisa  e  Genova.  Cfr.  Breve  consuìum  pisanae  civitatis,  1164, 
in  BoNAiNi,  Statuta  civitatis  Pisarum  a  saec.  XII  ad  XIV,  Firenze,  1852  ;  Breve 
del  comune  di  Pisa,  1143,  in  Ciby^krio,  Storia  della  monarchia  di  Savoia^  Torino, 
1840,  voi.  I  ;  Statuta  consulatus  lanuensis  in  H.  P.  Ai.,  Leges  municipales,  241  ; 
Breve  della  campagna  genovese,  in  Atti  della  Società  Ligure,  voi.   I,  p.  176. 

(2)  Tranne  il  comune  di  Alba,  dove  il  podestà  nel  121 5  ne  ordinava  un  re- 
gesto. Cfr.  E.  Milano,  //  regestum  comunis  Albe,  Pinerolo,  1903. 


LE    SENTENZE   DEI   CONSOLI    DI   MILANO,    ECC.  23 T 

Le  prime  hanno  certamente  maggiore  importanza  per  il  loro 
numero  e  per  il  contenuto,  e  si  trovano  in  abbondanza  nei  mano- 
scritti<  milanesi  del  Sormanni,  del  Della  Croce  e  del  Bonomi  ;  qua 
e  là  anche  nell'Archivio  di  Stato  e  negli  archivi  minori  (i)  ;  tut- 
tavia la  ricerca  non  si  potrà  mai  dire  esaurita  perchè  le  carte, 
specialmente  del  massimo  archivio  milanese,  soffrirono  tante  e  taU 
trasposizioni  dietro  criteri  così  disparati,  da  richiedere  lo  spoglio 
paziente  di  tutti  i  fondi,  cosa  per  noi  impossibile.  Ci  accontente- 
remo quindi  di  esser  riusciti  a  metterne  insieme  un  buon  numero 
e  di  averle  fatto  oggetto  d'uno  studio  speciale  che  presentiamo, 
quale  saggio  di  quei  frutti  che  si  possono  cogliere  da  cotesta 
nuova  pianta  (2).  Qualche  sentenza  però  venne  già  alla  luce  per 
cura  del  Giulini  ;  molte  furono  da  lui  semplicemente  citate  ;  poche 
appaiono  in  altri  scrittori,  ma  una  buona  metà  è  materiale  ine- 
splorato. 

Gli  atti  d'indole  politico-amministrativa  non  sono  molti  e  vi- 
dero quasi  tutti  la  luce  mercè  il  Muratori,  il  GiuUni,  il  Vignati. 
Sono  in  maggioranza  del  periodo  enobarbico  e  consistono  in  trat- 
tati d'alleanze  e  di  paci,  conchiusi  tra  le  città  della  lega  a  mezzo 
o  'colla  testimonianza  diretta  dei  consoli  milanesi.  Siccome  ci 
siamo  prefissi  di  segnalare  e  studiare  le  sole  sentenze,  così  tra- 
lasceremo questi,  come  gli  ultimi  atti  di  vario  contenuto,  i  quali 
per  la  maggior  parte  sono  emanazione  della  competenza  in  ma- 
teria volontaria  del  collegio  consolare  e  non  raggiungono  un  nu- 
mero cospicuo,  sebbene  non  sian  tutti  noti.  Consistono  in  nomine 
di  curatori,  omologazioni  di  contratti,  assistenze  a  minorenni  ed 
anche,  fuori  di  questo  campo,  in  nomine  d'arbitri,  ordini  a  notai,  ecc. 
Abbiam  stabilito  come  limite  delle  nostre  ricerche  Tanno  1216, 
perchè  la  raccolta  delle  «  consuetudini  »  che  allora  venne  alla  luce, 
ha  tale  importanza  da  offuscare  il  valore  dei  documenti  pari  a 
quelli  da  noi  studiati,  e  perchè  fu  nostra  intenzione  di  far  cono- 
scere in  queste  carte  una  delle  più  ricche  e  sicure  fonti  della 
stessa  raccolta  ufficiale.  Di  più  il  periodo  della  vita  del  comune 
in  cui  esso  fu  retto  dai  consoli  si  chiude  precisamente  verso  la  fine 

(i)  Per  queste  e  per  le  seguenti  citazioni  rimandiamo  alle  note  bibliogra- 
fiche del  Repertorio. 

(2)  Precedenti  esempi  non  mancano.  Cfr.  Q.  Santoli,  /  consoli  a  Pìsfoìn. 
Pistoia,  1904. 


232  EZIO   RIBOLDI 

del  sec.  XII  e  sugli  inizi  del  XIII,  sicché  se  i  documenti  posteriori 
non  sono  trascurabili,  hanno  per  noi  minor  valore  e  non  si  tro- 
verebbero qui  nella  giusta  sede. 

Non  abbiamo  creduto  opportuno  di  ripetere  nel  Repertorio 
i  nomi  dei  consoli,  già  noti,  e  nemmeno  di  palesare  l'oggetto  delle 
controversie,  sembrandoci  più  che  sufficiente  indicare  a  quale  parte 
del  diritto  esse  si  riferiscano  ;  ci  parve  invece  utile  ricordare  il 
sistema  probatorio,  così  importante  per  la  storia   della  procedura. 

Nel  compilare  la  serie  dei  consoli  più  volte  siamo  stati  in  pro- 
cinto d*  inchiudervi  i  nomi  di  quei  personaggi  che  negli  atti  poli- 
tico-a  mministrativi  appaiono  spesso  come  testimoni  o  come  rettori. 
Essi  infatti  erano  in  buon  numero  de'  consoli,  sicché  non  sarebbe 
ardi  mento  il  conchiudere  che  tali  fossero  tutti.  Ma,  come  vedremo, 
anche  molti  personaggi  che  compaiono  nelle  sentenze  in  qualità  di 
giudici  o  causidici,  dovevano  essere  consoli;  eppur  da  noi  non  sono 
indicati  come  tali;  e  parecchie  carte,  come  bene  osservò  il  Bo- 
nomi  (i),  ci  provano  che  l'ufficio  di  console  non  era  sempre  unito 
a  quello  di  rettore  della  lega  (2). 

Nel  dar  oggi  in  luce  la  nostra  raccolta  ci  conforta  il  pensiero  di 
aver  aperta  la  via  e  dato  l'esempio,  e  la  certezza  di  veder  presto  appa- 
rir saggi  migliori  a  vantaggio  dell'intiera  storia  dei  nostri  comuni  (3). 

I. 

Il  consolato  come  tribunale. 

Strano  davvero  potrà  sembrare  a  chi  scorra  la  storia  dell'alto 
medioevo  l'apparente  contrasto  tra  il  diritto  giudiziario  e  il  preva- 
lente diritto  comune;  l'esistenza  cioè  di  un  giudice  unico  («  comes  w, 

(f)  E.  BoNOMi,  Exetnpla  diplomatum  S.  M.  Clarevallis,  cod.  ms.  della  Brai- 
dense  di  Milano,  sig.  AE,  XV,  32.  p.  5. 

(2)  Ved.  Giù  LINI,  Memorie  spettanti  alla  storia,  al  governo  ed  alla  descri- 
zione delia  città  e  campagna  di  Milano^  Milano,  Colombo,  1855,  voi.  Ili,  p.  743, 
che  pone  i  rettori  nel  novero  dei  consoli. 

(3)  Nel  corso  del  lavoro  ci  varremo  delle  sigle  seguenti: 

L.  C.  .•  Liher  Consuetudinum  Mediolani  anni  MCCXVI  nunc  primum  editus, 
curante  L.  Blklan,  Milano,  Agnelli,  1866;  H.  P.  M.  :  Monumenta  Historiae  Pa- 
triae  ediia  iussu  R.  Caroli  Alberti  ;  S.:  Sentenza;  a):  fonte  manoscritta;  h):  fonte 
a  stampa  ;  r)  :  citazione  semplice. 


LE   SENTENZE    DEI   CONSOLI    DI    MILANO,    ECC.  233 

o  «  marchio  w  o  «  iudex  »  o  «  regis  missus  »),  quando  il  diritto 
germanico  tiene  il  campo,  ed  il  succedersi  del  giudizio  collegiale 
quando  il  'diritto  romano  riprende  il  sopravvento.  Già  molti,  av- 
vertita tale  circostanza,  si  sono  affaccendati  nella  ricerca  del  carat- 
tere del  consolato  per  spiegare  le  origini  di  esso  e  dei  comuni,  le 
quali,  meglio  che  nei  cronisti  o  nelle  congetture  messe  fuori  per 
semplici  analogie,  si  possono  studiare  tra  le  numerose  sentenze  e 
in  quegli  elementi  di  diritto  giudiziario  che,  presentandoci  la  fisio- 
nomia del  consolato  come  tribunale,  verranno  illuminandone  tutta 
la  -Storia.  Giacché  nella  mancanza  di  una  distinzione  di  poteri  e  di 
diritti,  l'organo  che  noi  studiamo  quale  collegio  giudicante  era  nello 
stesso  tempo  capo  supremo  della  amministrazione  comunale. 

Nelle  sentenze  noi  possiamo  distinguere:  il  preambo  lo,  del 
quale  sono  elementi  costanti  la  data  espressa  nel  solo  mese  e 
giorno,  r  enunciazione  dei  giudici  componenti  il  collegio  e  delle 
parti  in  causa;  il  corpo  col  riassunto  delle  deduzioni,  delle  prove 
e  del  giudicato  del  tribunale  senza  alcun  motivo  né  di  fatto  né 
di  diritto;  la  chiusa,  coli' indicazione  dell'anno,  coll'enumerazione 
delle  persone  presenti  al  giudizio,  le  firme  dei  consoli,  di  qualche 
giudice  o  messo  regio  e  del  notaio  scrivente.  Tutte  quante  prin 
cipiano:  «  sentenfiam  protulit  »>,  col  nome  di  un  console  sen- 
tenziante  «  una  cum  noticia  »  o  «  in  concordia  »  oppure  «  con- 
u  scilio  »  o  ancora  «  parabula  et  consensu  »  di  colleghi  nomi- 
nati o  sottintesi  o  assenti.  Nel  corpo,  dopo  la  rassegna  delle 
deduzioni  e  delle  prove,  «  bis  et  aliis  multis  auditis  »,  lo  stesso 
primo  console  interroga  le  parti,  deferisce  il  giuramento,  valuta 
le  ragioni,  solo  qualche  rara  volta  dichiarando  il  consiglio  preso 
dai  colleghi  o  dai  sapienti,  ed  enumera  tassativamente  in  sin- 
golare le  prese  decisioni  e  il  deliberato  nella  causa.  Esso  poi 
varia  da  sentenza  a  sentenza  e  talvolta  appare  anche  come  semplice 
membro  del  collegio  (i),  oppure  si  trova  nel  preambolo  e  non  nella 
sottoscrizione  della  chiusa  (2)  ;  ciò  che  diventa  norma  costante  man 
mano  che  ci  avviciniamo  alla  fine  del  sec.  XII,  quando  il  primo 
console  è  anche  giudice  unico,  solo  talvolta  assistito  da  due  col- 
leghi menzionati  appena  nella  sottoscrizione.  Leggendo  attenta- 
ci) Cfr.  vedi  ad  es.  in  S.  Ili,  IX,  X,  XL  Citiamo  costantemente  per  la 
itenza  il  numero  rispondente  al  Repertorio. 
(2)  S.  II,  IV,  X,  XIV,  XXX. 


234  EZIO   RIBOLDI 

mente  codesti  giudicati  consolari,  si  avverte  con  facilità  la  prepon- 
deranza di  codesto  primo  console  nel  giudizio,  anzi  sempre  più  ci  si 
persuade  che  la  menzione  dei  colleghi  non  fosse  che  una  formalità 
consuetudinaria,  dipendente  dal  fatto  di  reputar  virtualmente  pre- 
senti tutti  i  consoli  ai  giudizi.  Perchè  non  è  possibile  supporre  che 
al  pri  mo  console  spettasse  solo  di  stender  la  sentenza,  dopoché, 
come  si  disse,  spettava  a  lui  udire  le  parti,  deferire  il  giuramento, 
vagliare  ed  ammettere  le  prove.  Ma  una  circostanza  speciale  gitta 
una  luce  nuova  sulla  realtà  di  questo  personaggio:  egli  è  quasi 
sempre,  almeno  per  la  prima  metà  del  secolo,  insieme  messo  regio 
o  giudice  o  causidico  (i).  Superfluo  il*  ricordare  quanta  e  quale 
fosse  l'autorità  dei  giudici  e  dei  messi  regi  (2),  i  quali  erano  rivestiti 
dal  sovrano  d'autorità  per  amministrare  la  giustizia.  Ciascuna  città 
aveva  i  propri  giudici  cittadini,  in  gran  parte  reclutati  dalle  mi- 
gliori famiglie,  e  i  messi  regi  si  sceglievano  per  consuetudine 
da  quelli  (3),  tanto  che  nel  mentre  essi  erano  i  legittimi  e  naturali 
rappresentanti  del  potere  sovrano  e  i  luogotenenti  dell'imperatore, 
agli  occhi  dei  cittadini  potevano  presentarsi  più  sotto  la  sembianza 
del  patriota  e  la  loro  giurisdizione  pareva  merce  di  casa  propria.  11 
console  messo  regio  o  giudice  conciliava  quindi  il  rispetto  o  la  con- 
tinuità del  potere  imperiale  da  una  parte,  e  le  giuste  aspirazioni  e 
nuove  tendenze  dell'altra:  il  suo  giudicato  e  il  suo  tribunale  erano  per- 
fettamente secondo  le  leggi  ;  nulla  creava  di  nuovo,  nulla  cancellava 
dell'antico.  Man  mano  però  che  ci  avviciniamo  alla  fine  del  secolo 
la  funzione  di  primo  console  è  assunta  indifferentemente  da  tutti  (4), 

(i)  Non  lo  sono  quelli  menzionati  in  S.  IV,  XIV,  XXVI,  XXIX. 

(2)  GiuLiNi,  op.  cit.,  voi.  I,  pp.  129,  221  sg.  ;  voi.  Ili,  p.  744;  Muratori, 
Antiq.  M.  Aevi,  voi.  II,  p.  41  ;  Haulleville,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  265  ;  Schupfer, 
Storia  del  diritto  italiano.  Città  di  Castello,  1895,  p.  164;  Volpe,  op.  cit.,  in 
Arch.  stor.  ital.  cit.,  p.  375  sg. 

(3)  GiuLiNi,  op.  cit.,  voi.  I,  pp.  262,  276,  315  sg.  ;  voi.  II,  p.  615;  Haul- 
leville, op.  cit.,  p.  300  sg.  ;  Leo,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  180;  Frisi,  Memorie  di 
Mon:(a,  Milano,  1784,  voi.  I,  p.  59  sg. 

(4)  Il  GiULiNi,  op.  cit,  voi.  VÌI,  p.  330,  non  sappiamo  perchè,  pone  l'a  Un- 
«  garus  de.  Curte  Ducis  »  (S.  II)  tra  i  cittadini,  nel  mentre  la  sua  parentela 
farebbe  pensare  ben  diversamente.  Qualcuno  credette  che  «  Curte  Ducis  »  signi- 
ficasse «  della  corte  ducale  »  (cfr.  Schupfef,  op.  cit.,  Arch.  giurid.  cit.,  1870, 
"•  3j  P-  59)  "la  si  ingannò,  come  bene  disse  il  Paolucci,  op.  cit.,  p.  75.  Di 
questo  personaggio,  che  appare  presente  nelle  due  S.  I,  Il  e  in  parecchi  lodi 
(cfr.  GiuLiNi,  op.  cit.,  voi.  Ili,  pp.  129-154)  e  della  sua  famiglia  parlò  minuta- 
mente lo  stesso  Giulini  ai  passi  citati 


LE  SENTENZE  DEI  CONSOLI  DEI  MILANO,  ECC.  235 

sicché  parrebbe  lecito  asserire  che  essa  non  fosse  regolata  da  cri- 
teri fissi,  bensì  la  potessero  esercitare  tutti  i  membri  del  collegio 
consolare,  per  quanto  la  consuetudine  desse  preferenza  a  quelli  già 
insigniti  delle  cariche,  emananti  dalla  suprema  autorità  imperiale,  di 
giudice,  causidico  o  messo  regio. 

Nel  preambolo  della  sentenza,  come  si  è  veduto,  il  primo  con- 
sole annunzia  il  suo  accordo  con  colleghi  spesso  nominati,  spesso 
sottintesi,  e  spesso,  ma  non  sempre,  sottoscritti  nella  chiusa,  talvolta 
prima,  talvolta  dopo  lo  stesso  primo  console.  Il  loro  numero  varia 
da  sentenza  a  sentenza,  e  gradatamente  diminuisce  fin  quando  alla 
fine  del  XII  secolo  nel  preambolo  compare  un  console  unico  e  nella 
chiusa  due  o  più  consoli  sottoscritti,  diversi  dal  primo  (i).  Non  è 
possibile  mettere  in  relazione  l'importanza  della  causa  col  numero 
dei  consoli;  talvolta  l'analogia  sembra  evidente  (2),  tal'altra  non  ap- 
pare; e  di  frequente  la  stessa  indeterminatezza  si  trova  in  un'unica 
sentenza,  dove  il  preambolo  e  la  chiusa  non  corrispondono  tra 
loro  (3).  Ma  nel  corpo  della  sentenza  i  colleghi  non  appaiono 
mai,  ed  è  solo  rarissimo  il  caso  (4)  che  il  primo  console  valuti  le 
prove  assieme  con  uno  o  più  di  essi;  sicché  la  loro  funzione  era 
puramente  passiva,  diversa  affatto  da  quella  degli  «  auditores  »  o 
giudici  o  u  boni  homines  »  dei  placiti  comitali  e  delle  sentenze  dei 
messi  regi,  i  quali  erano  parte  essenziale  del  giudizio,  perchè  la 
sentenza  era  sempre  pronunziata  in  plurale  e  le  prove  erano  va- 
gliate in  comune.  Inoltre  i  consoli  colleghi  variano,  come  il  primo 
console,  da  sentenza  a  sentenza,  di  modo  che,  compilandone  una 
serie,  sulla  scorta  anche  degli  altri  atti,  si  vedono  mutare  annual- 
mente o  ripetersi  più  di  frequente  dopo  l'intervallo  di  qualche  anno. 

I  cronisti  nostri  affermano  che  il  consolato  era  un  collegio 
annuale;  e  ciò  é  quasi  luminosamente  confermato  dalla  serie;  ma 
da  chi  e  tra  chi  si  sceglievano  i  consoli?  In  qual  numero?  For- 
mavano un  unico  collegio  od  erano  distinti  a  seconda  della  loro 
funzione? 


(i)  Per  la  prima  volta  in  S.  LXXX. 

(2)  S.  I,  II,  IX,  XVIII,  XIX,  XXI. 

(5)  Ibid.  II,  IV,  VI,  XIII,  XVII,  XIX,  XXVI.  Ved.  anche  Leo,  op.  cit., 
voi.  I,  p.  175,  sg.,  sostiene  che  il  numero  dei  consoli  era  proporzionato  all'im- 
portanza del  convenuto. 

(4)  S.  XI,  XXXI,  LXXX. 


326  EZIO    RI80LDI 

Studiando  la  serie  noi  avvertiamo  i  fatti  seguenti: 

i.°  Anche  pei  consoli  colleghi  si  ripete  il  fatto,  costante  pei 
primi  cinquant'anni,  dell'  unione  dalla  carica  consolare  a  quella  di 
messo  regio,  di  giudice,  di  causidico,  con  prevalenza  dei  giudici 
sui  messi  regi.  E  notate  ancora  che  nelle  sentenze  spesso  com- 
paiono sottoscritti  giudici  e  messi  regi  senza  dichiarazione  di  essere 
consoli,  per  quanto  o  appaiano  nel  preambolo  come  tali,  oppure 
in  atti  dello  stesso  torno  di  tempo  si  professino  rivestiti  d'autorità 
consolare  (i);  segno  quindi  che  non  era  sacramentale  la  qualifica 
di  «  consules  ".  A  fianco  poi  dei  consoli  giudici  o  messi  regi,  tro- 
viamo colleghi  spogli  di  tale  autorità,  e  il  loro  numero  aumenta 
man  mano  che  ci  avviciniamo  alla  fine  del  secolo. 

2.°  Una  parte  dei  consoli  è  reclutata  da  casate  che  si  rin- 
vengono neir  elenco  delle  famiglie  nobili  milanesi  sia  di  capitani, 
sia  di  valvassori  (2);  non  pochi  hanno  per  cognome  una  denomi- 
nazione sarcastica,  bufia,  anche  triviale,  e  compaiono  precisamente 
tra  le  famiglie  cittadine  (3),  sicché  dovrebbesi  conchiudere  che  i 
consoli  si  scegliessero  dalle  tre  classi  cittadine  dei  capitani,  dei 
valvassori,  dei  «  cives  »  ;  ciò  che  luminosamente  è  provato  dalla  sen- 
tenza del  II 30  (4). 

3.°  La  quasi  totalità  delle  sentenze  denomina  i  membri  del 
tribunale  come  semplici  «  consules  »  ma  verso  la  metà  del  sec.  XII 
incominciano  ad  apparire  «  consules  causarum  vel  iusfitie  ([156)  », 
i  «  consules  comunis  seu  comunitatis  w  (1156,  11 70,  ecc.),  e  solo 
rare  volte  e  quasi  di  furtivo  negli  ultimi  anni  del  secolo  qualche 
«  consul  reipublicae  »  (1182-1184).  Contemporaneamente  compaiono 
i  «  consules  negotiatorum  »  (1159),  poi  i  «  consules  credenti ae 
«  S.  Ambrosii  "  (1199);  e   anche   talvolta  i  consoli  dei  Capitani  e 


(i)  S.  Vili,  IX,  X,  XI,  XII,  XIII,  XVII,  Xv^III,  Qcc. 

(2)  Flamma,  Cronicon  Maius,  in  Misceli,  stor.  ital,  VII,  p.  370  sg.  ;  Cre- 
SCENZi,  Anfiteatro  romano,  Roma,  1649,  voi.  I,  p.  63  ;  Giulixi,  op.  cit.,  voi.  IV, 
pp.  104  e  644. 

(3)  GiULiNL,  op.  cit.,  vol."I;  pp.  315,  355;  G.  Rosa,  Feudi  e  comuni,  Bre- 
scia, 1876,  p.  79  sg. 

(4)  Flamma,  Manipulus  Florum,  in  R.  L  S.,  voi.  XI,  p.  223;  Otto  Frisino, 
De  Gestis  Frider,  voi.  II,  p.  15  ;Guntherus,  De  Gestis  Frid.  (Reqber,  Vet.  Script»^ 
rer.  germ.,  1584,  lib.  II,  p.  305);  Mjratori,  Antiq.  Med.  Aevi,  voi.  IV,  p.  484  ; 
Leo,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  176  sg.  ;  Haulleville,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  424. 


I 


LE   SENTENZE    DEI    CONSOLI    DI   MILANO,   ECC.  237 

Valvassori,  i  consoli  della  Motta,  i  consoli  dei  Capitani  e  Valvassori 
del  Seprio  e  della  Martesana  (1225)  (i). 

4.°  Il  numero  dei  consoli  non  è  mai  costante  :  ha  un  maximum 
di  21  e  un  minimum  di  3;  la  media  annuale  è  di  12,  e  proporzio- 
nale appare  la  presenza  di  individui  appartenenti  alle  diverse  parti 
cittadine. 

Si  può  conchiudere  dunque  che  il  tribunale  consolare  era  un  col- 
legio elettivo  di  carattere  politico,  composto  di  elementi  tratti  dai  di- 
versi ordini  cittadini,  ma  diretto  preponderantemente  da  messi  regi  e 
dai  giudici.  Era  il  naturale  frutto  delle  lotte  intestine,  ma  non  dovette 
essere  sanzionato  da  voti  o  da  costituzioni,  bensì  confusamente  creato 
dalla  consuetudine,  preoccupata  di  salvare  la  secolare  legalità  e  le 
nuove  esigenze,  incerto  quindi  nella  funzione,  nel  numero  dei  compo- 
nenti e  fors'anche  della  designazione  del  mandato.  Tale  carattere  di 
^  incertezza,  che  si  trova  in  tutti  il  diritto  consuetudinario  (2),  appa- 
ia rirebbe  dal  fatto  che  in  origine  il  nome  di  console  viene  a  desi- 
gnare quei  giudici  cittadini  in  cui  si  concentrava  già  il  potere  ;  e 
forse  nome  e  mandato  erano  precari,  indeterminati  nel  tempo  e 
nell'entità.  Una  trasformazione  avvenne  in  forza  delle  lotte  interne 
e  per  la  infiltrazione  dell'elemento  cittadino  che,  spoglio  di  ogni 
altro  titolo,  avrà  lentamente  assodata  la  carica  consolare,  aumen- 
tandone la  durata,  dichiarandone  il  valore  fino  a  stabilirne  defi- 
nitivamente la  fisionomia  (3). 

Anche  la  distinzione  tra  i  «  consules  iustitie  »  e  «  comunis  » 
in  origine  non  esisteva,  perchè  spesso  gli  uni  e  gli  altri  appaiono 
promiscuamente  in  casi  non  giustificati  da  veruna  ragione  plausibile. 
Così  una  controversia  tra  il  comune  di  Milano  e  certa  Biriana  (4)  è 
trattata  presso  i  consoli  del  comune,  senza  dar  luogo  a  ricusazioni 
o  da  parte  del  giudice  o  della  convenuta.  Chi  volesse  spiegare 
l'intervento  dei  consoli  del  comune  dalla  materia   d'indole  ammi- 


(i)  T.  Calchi,  Historia  Mediai^  voi.  I,  ix,  in  Graevius,  Thes.  Antiq.  Rom., 
Londra,  1704,  voi.  I,  pp.  2,  187  ;  Corio,  Historia  di  Milano,  Venezia,  1554,  p.  Sy; 
GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  VI,  p.  289  sg.,  e  passim  negli  altri  storici  milanesi. 

(2)  A.  LaTtes,  Il  diritto  consuetudinario  delle  città  lombarde,  Milano,  1889,  p.  64. 

(3)  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  IH,  p.  553.  Il  fatto  fu  affermato  anche  dal  Caf- 
faro  negli  Annali  pel  consolato  di  Genova,  e  il  Giulini  lo  credette  giustamente 
applicabile  anche  al  consolato  milanese. 

(4)  S.  XXXI. 


I 


238  EZIO   RIBOLDI 

» 

nistrativa,  non  saprebbe  poi  come  giustificare  V  intervento  dei  sem- 
plici «  consules  »  nella  lunga  controversia  amministrativa  tra  i 
comuni  di  Chiavenna  e  Piuro  presso  il  foro  milanese  (i).  Né  in 
tali  consoli  appare  la  qualifica  di  giudici,  come  non  si  trova  in 
queir  Ottone  Zendadario,  che  nel  1 182  e  nel  1 184,  essendo  con- 
sole della  repubblica,  pone  la  firma  a  due  sentenze  (2).  Di  più  av- 
vertasi che  il  L.  C,  parlando  della  giurisdizione  consolare,  dice  che 
la  competenza  criminale  spetta  o  al  potestà  o  al  console  della 
repubblica,  «  licet  consules  iustitie  ex  ordine  illam  potestatem  ha- 
«  beant  »  (3);  sicché  virtualmente  il  collegio  consolare  era  tribunale 
e  in  un  capo  supremo  dello  stato  e  solo  per  facilità  di  lavoro  nei 
primordi  alcuni  consoli  attendevano  alle  cause,  altri  al  comune,  senza 
che  fosse  irregolare  la  partecipazione  di  questi  agli  uffici  di  quelli 
e  viceversa  (4);  più  tardi  e  per  abitudine  la  divisione  divenne  netta 
e  sanzionata  dagli  statuti. 

Anche  i  due  nomi  di  comune  e  di  repubblica  non  devono  as- 
sumersi come  termini  omotetici,  per  quanto  ^'autorità  del  Muratori 
sembri  confortarne  1'  eguaglianza  che  alla  fine  del  XII  secolo  po- 
teva sussistere.  Ma  prima  né  il  comune  era  tutta  la  città  né  i  suoi 
consoli  trattavano  gli  affari  di  tutti:  non  era  né  il  municipio  né  la 
«  respublica  «  dei  romani,  bensì  «  universitas  civium  »  (5),  come 
ben  disse  il  Muratori  ;  una  gran  parte  ma  non  tutta  la  cittadi- 
nanza; aveva  insomma  un  significato  meno  comprensivo  della 
«  repubblica  ».  E  di  ciò  è  sicura  prova  l'esistenza  del  collegio 
mercantile,  il  quale  viene  spesso  a  patti,  a  leghe,  a  convenzioni 
col  comune,  e  la  creazione  del  potestà  verso  la  fine  del  sec.  XII. 
Ad  essa  si  arrivò  solo  per  la  strapotenza  ognor  più  crescente 
dei  consoli  del  comune  i  quali,  trasformatisi  appunto  in  consoli 
della  repubblica,  si  credettero  arbitri  dei  destini  di  tutta  la  città,  a 
scapito   dell'indipendenza  mercantile   (6).   La  credenza  di  S.   Am- 

(1)  S.  XX,  XXIII,  XXV;  GiuLiNi,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  412;  Crolla- 
LANZA,  Storia  di  Chiavenna,  Chiavenna,  1901,  p.  27. 

(2)  S.  XLIX,  LI,  e  GiuuNi,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  5. 

(3)  L.  C  r.  VI,  p.  16;  Lattes,  op.  cit.,  p.  84. 

(4)  I  consoli  di  giustizia  appaiono  insieme  ai  consoli  del  comune  in  atti  po- 
litico-amministrativi. Cfr.  Rovelli,  Storia  di  Como,  voi.  II,  p.  364. 

(5)  Muratori,  Antiq,  Med.  Aevi,  voi.  I,  p.  981. 

(6)  ScHUPFER,  op.  e  loc.  cit.,  nota  3,  p.  40  sg.  ;  Paolucci,  op.  cit.,  p.  45  sgg.; 
Lattes,  op.  cit.,  p.  166  sg.  ;  Volpe,  op.  cit.,  p.  375  sg. 


I 


LE   SENTENZE   DEI   CONSOLI   DI    MILANO,   ECC.  239 

brogio  (i),  apparsa  per  la  prima  volta  con  propri  consoli  nel  1199, 
è  Tultimo  e  più  convincente  indizio  della  verità  di  quanto  abbiamo 
affermato. 

Nella  chiusa  delle  sentenze  si  trovano  menzionate  molte  per- 
sone presenti  al  giudizio,  senza  che  la  qualità  della  causa  eser- 
citi una  evidente  influenza  sul  maggiore  o  minor  numero  di  essi. 
Sono  in  gran  parte  nobili,  persone  consolari,  giudici,  non  sempre 
milanesi,  ma  spesso  appartenenti  a  quelle  città  di  cui  qualche  cit- 
tadino appare  come  parte  in  causa.  Qual'è  1'  ufficio  che  a  tale  con- 
sesso spettava   nello  svolgimento  del  giudizio? 

Quattro  sentenze  chiamano  codeste  persone  presenti  sempli- 
cemente come  «  testes  »  (2);  le  altre  non  attribuiscono  loro  alcuna 
qualità.  Ma  come  dobbiamo  intendere  quella  parola  di  «  testes?  » 
Testi  in  causa  o  testi  dell'operato  dei  consoli?  Alla  prima  do- 
manda pare  si  debba  rispondere  negativamente,  giacché  là  dove 
le  parti  citano  testimoni,  la  sentenza  o  ne  riferisce  i  nomi  e  le 
deposizioni,  oppure  accenna  genericamente  alla  prova  per  testi. 
Ma  in  moltissime  cause  dove  tale  prova  non  si  esperisce  o  dove 
i  testi  sono  nominati,  i  personaggi  appaiono  presenti  e  ben  di- 
stinti, o  nello  stesso  anno  il  medesimo  personaggio  appare  in 
più  sentenze  e  più  tardi  nel  collegio  consolare.  Eccoci  quindi 
portati  a  credere  che  costoro  fossero  testimoni  dell'operato  dei 
consoli,  cioè  un  vero  consiglio  del  consolato,  ciò  che  appare 
anche  dal  testo  di  certe  sentenze,  dove  per  questioni  di  notevole 
importanza  i  consoli  chiedono  parere  a  personaggi  sapienti  e  dal 
vederli  menzionati  anche  in  atti  di  giurisdizione  volontaria  o  di 
semplice  amministrazione  (3).  Siamo  dunque  di  fronte  a  un  corpp 
consulente  composto  di  personalità  di  provata  scienza ,  perso- 
nalità che  si  incontrano  come  «  consules  »,  come  «  testes  », 
u  come  boni  homines  »  ,  tre  corpi  distinti  di  attribuzioni  ma 
quasi  unici  di  personalità.  Il  Giulini  credette  ravvisare  in  questo 
corpo  consulente  il  primo  nucleo  del  Consiglio  di  Credenza  (4)  e 
forse   mal   non   si    appose,    come    attesterebbe    una   carta   inedita 


(i)  I.  Ghiron,  La  credenza  di  S.  Ambrogio,  ecc.,  in  quGSt'' Archivio,  serie  I, 
a.  Ili,  p.  583,  e  a.  IV,  p.  70. 

(2)  S.  Ili,  XXIX,  XLVII. 

(3)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  VII,  p.  142;  voi.  IV,  pp.  43  e  63. 

(4)  Ibid,,  voi.  Ili,  pp.  417  e  458. 


240  EZIO   RIBOLDI 

del  1188  (i),  nella  quale  è  detto  che  quattro  consoli  milanesi  pa- 
gano per  conto  del  comune  all'  abate  di  S.  Ambrogio,  pel  prezzo 
di  un  mulino,  tre  libre  di  terzioli,  «  habito  conscilio  credentie  »  : 
tale  consiglio  era  dato  dalle  persone  che  si  trovano  menzio- 
nate poi. 

Oltre  cotesti  personaggi  insigni,  la  chiusa  delle  sentenze  enu- 
mera uno  o  parecchi  servi,  i  quali  dovevano  compiere  le  funzioni 
di  ufficiale  giudiziario,  per  quanto  fossero  in  pari  tempo  messi 
comunali  e  si  trovino  per  ciò  presenti  ad  atti  di  semplice  ammi- 
nistrazione ;  e  termina  con  le  sottoscrizioni  dei  consoli  e  di  uno  o 
più  giudici  o  notai  scriventi  «  admonitione  istorum  consulum  ».  Il 
L,  C.  parla  di  «  tabelliones  qui  ad  pedes  consulum  sedent  »  (2)  e 
di  «  scriptores  sedentes  in  banchis  »  (3),  e  un  documento  del  1213  (4) 
di  «  scriba  et  ufficialis  consulum  iustitie  Mediolani  prò  faciendis 
u  sententiis  et  aliis  pubblicis  scripturis  ».  Questo  documento  ci  fa 
inoltre  sapere  come  fosse  imperfetta  la  cancelleria  di  quei  tempi, 
in  quanto  attesta  che  nessuna  memoria  delle  sentenze  era  con- 
servata presso  il  tribunale,  giacché  lo  stesso  scriba  è  invitato  a 
testificare  l'autenticità  della  sentenza  prodotta  come  documento  in 
causa  e  scritta,  come  da  dichiarazione  fatta  in  calce,  tutta  di 
suo  pugno.  Noi  dovremmo  conchiudere  che  i  «  tabelliones  »,  gli 
«  scriptores  »,  gli  «  scribae  »  altro  non  fossero  che  giudici  o 
notai,  i  quali  appunto  in  tutte  le  sentenze  dichiarano  di  aver  scritto 
per  comando  del  primo  console. 

Il  preambolo  delle  sentenze  nostre  e  degli  atti  ci  offre  buoni 
elementi  per  stabilire  la  sede  del  tribunale  consolare,  che  doveva 
consuetudinariamente  esser  fissa.  Esisteva  infatti  a  Milano  un  pa- 
lazzo speciale  chiamato  «  consolato  »,  dove  i  consoli  amministravano 
la  giustizia  e  pronunziavano  le  sentenze.  Trovavasi  nel  broletto 
vecchio,  e  senza  essere  un  gran  palazzo,  era  una  «  domus  »  o  casa 
notevole  a  quei  tempi;  aveva  un  proprio  brolo  e  metteva  nella 
via  pubblica,  precisamente  di  fronte  alla  porta  del  palazzo  arcive- 


(i)  Arch.  di  Stato  di  Milano^  Corp,  Relig.,  perg.  Mon.  S.  Amhr. 

(2)  L.  a,  t.  Ili,  p.  9  h. 

(3)  Ibid.,  p.  IO  b. 

(4)  S.  L  ;  Beklan,  Le  due  edi:(ioni  milanese  e  torinese  del   L.    C.    M.,    Ve- 
nezia, 1892,  p.  178  sg. 


LE   SENTENZE   DEI»  CONSOLI    DI    MILANO,   ECC.  24! 

scovile  nel  centro  della  città  (i).  Le  sentenze  genericamente  sono 
date  «  in  consulatu  »,  o  in  «  broileto  »  oppure,  a  grande  maggio- 
ranza, «  in  broileto  consularie  »  o  semplicemente  «  in  ci  vitate  »  (2). 
Ciò  mi  conduce  a  credere  che  le  sentenze  definitive  venissero 
pronunziate  o  pubblicate  nel  brolo  del  palazzo  consolare,  mentre 
che  gli  atti  di  istruttoria  si  tenevano  in  appositi  locali,  come  ap- 
pare da  una  sentenza  interlocutoria,  datata  dal  «  solario  consula- 
«  rie  »  (3),  cioè  in  una  stanza  del  piano  superiore,  dove  forse  era 
in  corso  il  procedimento. 

Inoltre  «  in  camera  consulum  iustitie  »  (4),  cioè  in  una  sala 
che  serviva  di  tesoreria  (5),  noi  troviamo  i  consoli  trattare  e  discu- 
tere sulla  esecuzione  di  parecchie  sentenze  già  emanate  e  «  in 
«  casella  »  (6),  o  stanza  del  consolato,  provvedere  al  disbrigo  di 
affari  di  giurisdizione  volontaria.  Il  palazzo  aveva  dunque  un  piano 
superiore,  parecchie  camere,  una  usata  come  tesoreria  (crederei 
segreteria),  una  come  sala  di  riunione,  e  doveva  nello  stesso  tempo 
esser  palazzo  del  comune,  come  si  dedurrebbe  da  un  atto  di  giu- 
risdizione volontaria  in  cui  è  detto:  «  in  camera  consulum  iustitie  », 
alludendosi  così  ad  altra  «  camera  consulum  comunis  w  e  da  un 
atto  di  pura  e  semplice  amministrazione  compiuto  «  in  solario  con- 
«  sulatus  »  (7),  e  da  altro  atto  dei  consoli  del  comune  fatto  «  in 
u  broileto  consularie  »  (8). 


(5)  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  146;  voi.  II,  p.  112;  voi.  Ili,  pp.  550,  381. 
Era  perciò  poco  lontano  da  S.  Maria  Iemale,  l'antico  Duomo.  Ecco  così  spiegata 
la  data  del  documento  a.  1097,  in  cui  si  dice  :  «  in  civitate  mediolani  in  consu- 
«  latu  civium  prope  ecclesiam  sancte  marie  ».  (Cfr.  Rend.  deìVIst.  Lomh.  di 
scten.  e  kit.,  serie  II,  voi.  XV,  p.  435).  Il  Paolucci,  op.  cit.,  pp.  47-48,  com- 
battendo la  lezione  a  consulatus  »,  si  domanda  appunto  dove  mai  fosse  situata 
la  chiesa  di  S.  Maria,  e  noi,  rispondendo  alla  domanda  sua,  gli  segnaliamo  qui 
che  nella  stessa  chiesa  furono  pronunziate  sentenze  arbitrali  e  trattati  affari  im- 
portanti della  città  nostra.  Cfr.  quest''ArchiviOj  XXXII,  1905,  ni,  p.  48,  nota  2. 

(2)  Vedansi  le  date  delle  singole  carte  nel  Repertorio  citato. 

(3)  S.  XVIII. 

(4)  Ibid.  LXXXI  e  CVII  ;  Bonomi,  ms.  cit.,  voi.  II,  p.  854;  Porro,  Liher 
consuet.  med.^  Torino,  1869,  p.  181. 

(5)  GiULiNi,  op.  cit,,  voi.  1,  p.  586;  Du  Canoe,  Glossariutn  med.  et  inf. 
ìatinitatis,  ad  v. 

(6)  S.  XXXVI,  XLVI;  Giulini,  op.  cit,  voi.  Ili,  p.  3;  voi.  IV,  p.  43. 

(7)  Carta  in  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Moti.  S.  Ambrogio. 

(8)  Giulini,  op.  cit,  voi.  VII,  p.  122;  Rovelli,  op.  cit..  voi.  II,  p.  364. 


242  EZIO   RIBOLDI 

Del  tribunale  milanese  per  tutto  il  sec.  XII  possiamo  dunque 
rendere  la  fisionomia  in  questo  modo:  aveva  la  sua  sede  nel  pa- 
lazzo comunale  o  broletto  vecchio,  dove,  in  apposite  sale  ed  a 
giorni  determinati,  stavano  i  consoli  per  sbrigar  gli  affari.  Le  parti 
presentavansi  al  banco  di  uno  dei  consoli;  e  questi  istruiva  la  causa, 
dava  le  sentenze  come  primo  console,  annunziando  l'accordo  cogli 
altri  colleghi,  cui  in  affari  importanti  chiedeva  anche  consiglio.  As- 
sistevano parecchi  personaggi  come  testimoni  dell'operato  conso- 
^  lare  ;  dei  servi,  un  giudice  o  notaio  per  la  scrittura,  la  firma  o  l'au- 
tenticazione degli  atti,  dei  quali  ordinariamente  redigevasi  solo 
l'originale,  ed,  a  richiesta  delle  parti,  anche  copia  che  veniva  con- 
segnata, assieme  all'originale,  all'interessato,  senza  verun  deposito 
nella  cancelleria  o  segreteria  consolare  (i).  Tali  norme  incerte  e 
confuse  vengono  solo  regolate  negli  statuti  del  121 1  ricordati  dal 
Corio  (2)  e  nella  pace  perpetua  firmatasi  nel  1215,  auspice  il  potestà 
Vialta,  nella  quale  si  determina  (3)  il  numero,  la  durata  in  carica, 
la  forma  d'elezione  e  le  mansioni  dei  consoli  di  giustizia. 

Sostanzialmente  adunque  questo  tribunale  nulla  mutava  alla 
costituzione  del  tribunale  dei  marchesi,  conti,  messi  regi,  giudici, 
nelle  cui  sentenze  (4)  compaiono  sempre: 

i.o  Primo  giudice  («  comes  »,  «  index  »,  «  missus  regis  »)  ; 

2.°  Colleghi  assistenti  (chiamati  «  auditores  »); 

3.0  Personaggi  presenti  e  servi; 

4.0  Firme  di  giudici  o  notai;  colla  stessa  incertezza  nel  nu- 
mero, nelle  sottoscrizioni,  nelle  rispondenze  tra  il  preambolo  e  la 
chiusa.  Sono  quindi  i  consoli  colleghi  che  prendono  il  posto  degli 
«  auditores  »,  i  quali  però  dovevano  pur  sempre  essere  le  solite 
personalità  cittadine,  da  cui,  come  dicemmo,  si  sceglievano  i  giudici, 
i  u  boni  homines  »  i  consoli.  L'unica  importante  differenza  sta  nel- 
l'evidente ritorno  al  giudice  unico,  perchè  l'azione  del  tribunale 
comitale  o  del  messo  regio  si  svolge  sempre  in  plurale  e  l'istrut- 
toria e  il  giudicato  emanano  sempre  dagli  «  auditores  »  (5).  Con- 


(i)  Beklan,  Le  due  edizioni  cit.,  p.  178  ;  S.  XXI,  L. 

(2)  T.  Calco,  op.  cit.,  P-  81;  Corio,  op.  cit,,  all'anno. 

(3)  GiULiMi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  223  sg.;  Porro,  op.  cit,,  p.  181. 

(4)  Di  queste  non  molte  si  possono  vedere  nei  cartulari;  cfr.  Giulimi,  op.  cit., 
voi.  VII,  p.  60  sg.  ;  H.  P.  M.,  Scriptores,  voi.  I  e  II  passim. 

($)  Vi  si  dice  sempre:  «  paruit  supradictis  audito ribus  »,  e  di  seguito:  «  iu- 
«  dicaverunt  »  ;  cfr.  Giulini,  op.  e  loc.  cit. 


LE   SENTENZE    DEI    CONSOLI   DI    MILANO,    ECC.  243 

Statiamo  adunque  l'influenza  del  rinnovato  studio  del  diritto  romano 
anche  nel  diritto  giudiziario  e  la  rispondenza  perfetta  fra  di  esso 
e  il  diritto  comune  non  solo  in  questa  età,  ma  anche  precedente- 
mente quando  l'apparenza  farebbe  credere  alla  esistenza  di  un 
giudice  unico,  nel  mentre  il  tribunale  comitale  o  del  messo  regio 
era  essenzialmente  collegiale. 


II. 
Competenza  del  tribunale  consolare. 

Se  il  tribunale  consolare  nelle  origini  era  un  organo  giudiziario 
confuso  nella  sua  costituzione,  dobbiamo  di  conseguenza  presup- 
porre che  altrettanto  dovesse  essere  nelle  sue  funzioni.  Riguardo 
alle  norme  di  competenza  in  base  agli  atti  faremo  più  delle  con- 
statazioni di  fatto  che  induzione  a  principi  o  a  regole  fisse,  e  in 
genere  ^/erremo  confermando  come  consuetudine  anche  pei  secoli 
precedenti  quanto  il  Lattes  studiò  nella  disamina  del  L.  C.  (i). 

La  raccolta  nostra  ci  dà  esempi  di  atti  di  giurisdizione  volontaria 
e  di  giurisdizione  contenziosa,  astrazion  fatta  da  quanti  documenti 
attestano  l'ingerenza  del  collegio  consolare  in  affari  amministrativi  e 
politici,  conseguenza  della  mancanza  di  una  distinzione  netta  tra  i 
consoli  del  comune  e  quelli  di  giustizia.  Troviamo  infatti  alcune 
nomine  di  tutori  o  di  curatori  (2),  omologazioni  di  contratti  di  mi- 
norenni e  di  tutori  (3),  aggiudicati  di  proprietà  legittime  (4),  assi- 
stenze alle  donne  e  autorizzazione,  insieme  al  marito,  al  compi- 
mento di  atti  civili  (5),  assistenze  a  contratti  (6),  pei  quali  però  la 
presenza  o  la  registrazione  dei  giudici  non  doveva  essere  a  pena 
di  nullità,  ma  per  maggior  solennità  ed  efficacia   (7).  V'è  sempre 


(i)  Lattes,  op.  cit.,  p.  27. 

(2)  S.  XCII;  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  43! 

(5)  Porro,  op.  cit.,  pp.  62  e  63  ;  Bonomi,  ms.  cit,  voi.  IH,  p.  413. 

(4)  GiULiNi,  op.  citt.,  voi.  IV,  pp.  63  e  128;  BoNOMr,  ms.  cit.,  voi.  II,  p.  854. 
($)  Bonomi,  ms.  cit.,  voi.  Ili,  p.  413. 

(6)  GiuLiNi,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  3. 

(7)  T.   Guzzi,    Le   obbligao^ioni   nel   diritto   milanese    antico^    Torino,  1903, 
127  sg. 


2^4  EZIO   RIBOLDI 

un  primo  console,  la  dichiarazione  della  sua  concordia  coi  colleghi, 
i  personaggi  presenti,  i  giudici,  i  notai;  e  le  stesse  indeterminatezze 
delle  sentenze,  le  quali  alla  lor  volta,  nel  testimoniarci  la  svariata 
attività  giudicatrice  del  consolato,  ci  sono  guida  a  conoscere  la  sua 
competenza  per  materia,  valore,  grado  e  connessione  di  causa. 
Nessun  atto  però,  nessuna  sentenza  ci  parla  di  giurisdizione  pe- 
nale, ma  tale  silenzio  non  è  sufficiente  per  escluderla  dal  collegio 
consolare.  Poiché  il  L.  C.  ci  fa  sicura  testimonianza  in  contrario, 
dove  ad  esempio  dice  che  il  reo  deve  tenersi  «  sub  fida  custodia 
«  tam  diu  donec  consulis  arbitrio  idoneam  satisfactionem  praesti- 
«  terit  »  (i);  e  che  le  cause  penali  non  si  trattano  da  altri,  «  quam 
u  potestatem  si  affuerit,  vel  per  consules  reipublice,  licet  consules 
u  iustitie  ex  ordine  illam  potestatem  habeant  »  {2).  Di  più  della 
nessuna  traccia  a  noi  rimasta  di  giurisdizione  criminale  ci  è  data 
spiegazione  da  altro  passo,  in  cui  è  detto  che  le  sentenze  criminali 
non  venivano  mai  scritte  (3),  e  le  civili  solo  quando  trattavano 
cause  superiori  in  valore  a  cinquanta  soldi  (4).  Tale  consuetudine 
doveva  essere  antica,  giacché  nei  cartulari  nostri  non  vi  é.che  po- 
chissimi vestigi  di  simile  materia  e  se  ve  n'  ha  qualcuno  non  si 
riferisce  né  ai  consoli  né  all'età  da  noi  studiata,  neppure  pel  caso 
di  occupazione  violenta  di  possesso,  a  spiegazione  della  notevole 
questione  sollevata  dal  L.  C.  (5).  Veramente  noi  ne  troviamo  un 
curiosissimo  esempio  nella  lunga  controversia  tra  le  città  di  Pavia 
e  Vercelli  per  lo  spoglio  violento  da  questa  subito  del  castello  di 
Rebbio  (6).  Ma  avvertasi  qui  piuttosto  un  caso  specialissimo  di  di- 
ritto internazionale,  perché  la  causa  si  dibatte  tra  due  comuni  per 
un  fatto  avvenuto  in  seguito  a  conquista  a  mano  armata;  al  pos- 
sesso é  inerente  sovranità  e  la  causa  é  delegata  al  comune  di  Milano 
più  probabilmente  in  forza  di  compromesso  che  di  giurisdizione 
ordinaria.  Però  anche  in  questo  caso  eccezionale  la  -causa  assume 
tutta  la  forma  civile  nella  procedura  e  nel  diritto,  ciò  che  non 
esclude  la  possibilità  di  azione  penale,  come  si  trova  più  tardi,  per 


(i)  L.  a,  t.  VI,  p.  16  b. 

(2)  Ibid.,  p.  16  d. 

(3)  Ibid.,  p.  16  e. 

(4)  Ibid.,  t.  Iir,  p.  12  d. 

(5)  Ibid.,  t.  VI,  p.  16  a;  Lattes,  op.  cit.,  p.  140  sg. 

(6)  H.  P.  M,  Chartarum,  voi.  I,  p.  1079  sgg.;  S.  LXXXII,  LXXXIII,  XC. 


LE  SENTENZE  DEI  CONSOLI  DI  MILANO,  ECC.  245 

I    quanto  qui  non  se  ne  rinvenga  traccia  alcuna.   Solo  dopo  il  1385, 

jj   quando  il  potestà  fu  obbligato   a  passar  copia  delle  sue  sentenze 

al  sindaco  del  comune,  si  die*  mano  ad  una  raccolta  di  sentenze 

criminali  (i),   ma  siamo  troppo  lontani  dall'età  nostra  e  le   tracce 

diventano  sempre  più  insignificanti. 

In  materia  civile  l'attività  dei  consoli  si  dimostra  invece  assai 
assidua  ed  appaiono  come  di  competenza  del  loro  tribunale  azioni 
patrimoniali,  sia  personali  che  reali,  azioni  di  stato,  azioni  miste. 
Numerose  sono  le  cause  di  locazioni,  di  medietà,  di  danni,  di  ob- 
bligazioni, di  fideiussioni,  ma  prevalgono  assai  le  sentenze  in  ma- 
teria possessoria;  tra  esse  vari  gruppi  che  bastano  a  ricostruire 
intieramente  cause  interessanti.  Uno  riguarda  la  disputa  di  pos- 
sessi tra  l'arciprete  di  S.  Maria  del  Monte  in  Varese  ed  i  comu- 
nisti di  Velate:  incomincia  nel  1145  e  prosegue  fino  al  1153  sotto 
i  consoli  di  Milano,  poi  dal  1162  al  1165  sotto  quelli  di  Seprio,  e 
più  tardi  in  Milano  dal  1201  al  1204.  Un  altro  riguarda  liti  per 
diritti  d'acqua  tra  un  cittadino  milanese  e  il  capitolo  di  S.  Ambrogio 
(1187-1189)  e  l'ultimo  altra  lite  lunghissima  per  gli  stessi  motivi 
tra  Giacomo  Pelucco  e  l'arciprete  di  Monza  (1204-1206). 

Della  competenza  consolare  in  materia  feudale  e  signorile  ci 
danno  pure  testimonianza. buon  numero  di  sentenze  nelle  quali  si 
vedono  risolte  questioni  di  giurisdizione,  distrettabilità,  sudditanza, 
fodri,  prestazioni  in  opere  e  in  denaro,  alloggi,  albergarla,  seguiti, 
rendimenti  di  onori  ;  questioni  reali,  come  si  vede,  e  questioni  di 
stato.  Notiamo  però  che,  quando  discutevasi  di  privilegi  emanati 
dall'  impero,  prudentemente  i  consoli  rimettevano  la  causa  al  tri- 
bunale imperiale,  senza  però  dichiararsi  incompetenti  (2).  E  qualche 
testimonianza  troviamo  pure  della  competenza  in  materia  di  di- 
ritto pubblico  amministrativo,  non  solo  in  questioni  sollevate  da 
privati  per  loro  interessi  riflessi,  ma  ben  anche  in  questioni  di  puro 
diritto,   come  nella  citata  controversia  tra  Piuro  e  Chiavenna. 

Più  difficile  invece  ci  riesce  lo  stabilire,  sulla  scorta  delle  sen- 
I  tenze,  se  mai  vi  fosse  un  limite  nella  competenza  per  valore.  Ripe- 
tiamo intanto  che  le  sentenze  in  cause  di  valore  inferiore  a  cinquanta 
soldi  non  venivano  scritte,  per  quanto  ve  ne  sia  taluna  nelle  nostre 


(i)  E.  Verga,  Le  sentenie  crìminaìi  dei  podestà  milanesi,  Milano,  1901 
(2)  S.  IV. 
Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VI.  16 


d46  EZIO   RIBOLDI 

che  verta  intorno  a  liti  per  36  soldi  e  per  poche  libre  (i).  Solo  negli 
statuti  del  121 1  menzionati  dal  Calco  fu  stabilito  che  i  consoli  delle 
ville  giudicassero  in  cause  di  valore  inferiore  a  venti  soldi;  segno 
evidentissimo  che  queUi  di  Milano  erano  competenti  per  qualsiasi 
valore,  tranne  nei  soli  paesi  di  campagna.  Indeterminata  ancora  ci 
riesce  la  competenza  per  connessione  di  causa,  giacché  si  trovano 
unite  azioni  principali  e  secondarie,  azioni  di  riconvenzione  e  di 
compensazione,  più  azioni  principali  talvolta  diversissime  e  solo 
avvicinate  dalla  identità  della  persona. 

Studiando  poi  la  competenza  per  territorio  devesi   premettere 
che  il  fatto  di  veder  trattate  questioni  di  beni  immobili  posti  in  de- 
terminati paesi,  non  ci  autorizza  a  concludere  che  fin  là  giungesse 
la  giurisdizione  del  nostro  tribunale,  perchè  spesso  le  parti  erano 
entrambe  cittadine  o  era  tale  l'attrice,  e  in  tali  casi  consuetudini  e 
statuti  non  accennano  alFobbligo  di  adire  il  tribunale  nella  cui  giu- 
risdizione risiedeva   l' immobile.  Ciò  non  ostante  appare  indubbio 
che  la  competenza  del  tribunale  consolare  si  estendesse  a  tutto  il 
territorio  del  contado  di  Milano,  a  paesi  della  Bazana  e  della  Mar- 
tesana  (2),  ai  contadi  di  Seprio  (3),  di  Lecco  (4)  e  di  Stazzona  (5) . 
Altre  cause  per  azioni  di  immobili  posti  nel  lodigiano  e  tra  conten- 
denti lodigiani  sono  trattate  dai  nostri  consoli  (6);  qualcuna  simile 
per  Como  (7),  una  per  Pavia  (i  151),  nella  quale  però  il  convenuto 
solleva  eccezione  di  incompetenza,  volendo  riferire  la  causa  al  tri- 
bunale pavese,  ciò  che  non  gli  fu  concesso.  Avvertiamo  però  che 
i  paesi  del  contado   milanese   avevano    propri    consoli,    più   tardi 
anche  il  potestà,  e  che  dall'esame  di  qualche  sentenza  di    codesti 
tribunali  foresi  risulta  che  la  loro  competenza  non  aveva  limiti  di 
materia  e  di  valore.  Parrebbe  che  gli  abitanti  della  campagna,  dei 
borghi,  delle  città  dipendenti  potessero  scegliere  tra    il   foro   loro 
proprio  e  il  milanese.  Infatti  tra  il  comune  di  Velate  e  l'arciprete 
di  S.  Maria  del  Monte  durò,  come  si  disse,   a  lungo    una  lite  per 


(i)  S.  XXXIV. 

(2)  Ibid.  II,  XVII,  XXVII,  XXXII,  ecc. 

(3)  Ibid.  IV,  V,  Vili,  e  molte  altre. 

(4)  Ibid.  XLV. 

(5)  Ibid.  LIV. 

(6)  Ibid.  XX,  XXIII,  XXV. 

(7)  Ibid.  XI,  XIV,  XIX,  XXVIII. 


I 


I 


LE   SENTENZE    DEI   CONSOLI    DI   MILANO,   ECC.  247 

possessi  comuni,  divisioni,  diritti  di  pascolo  e  di  legna  in  parec- 
chie località  del  contado  sepriese.  La  prima  fase  si  svolse  al  tri- 
bunale milanese  (io  gennaio  1153)  e  fu  favorevole  ai  velatesi;  la 
seconda  (13  aprile  1162)  e  la  terza  (20  maggio  1165)  al  tribunale 
di  Seprio  ;  l'ultima  presso  i  consoli  di  Velate  e  ancora  di  Milano. 
Possiamo  poi  ammettere  tale  principio  per  la  nostra  città,  visto  che 
si  trova  regolato  presso  città  vicine  e  precisamente  in  un  trattato 
del  giugno  1167  tra  i  comuni  di  Mandello  e  di  Como,  col  quale  si 
stabilisce  che  gli  abitanti  di  Mandello  saranno  quindi  innanzi  trat- 
tati come  comaschi  e  che  per  la  giustizia  potranno  rivolgersi  ai 
consoli  di  Como,  sia  direttamente  che  in  grado  di  appello  (i).  Tale 
fatto  ha  per  noi  grande  importanza  perchè  ci  illumina  nel  risolvere 
la  questione  della  competenza  in  secondo  grado  del  consolato  no- 
stro. Non  possediamo  che  un'unica  sentenza  nella  quale  si  parla 
di  appello  presso  consoli  milanesi  contro  una  sentenza  pronun- 
ciata dal  potestà  e  ne  abbiamo  molte  invece  nelle  quali  apparen- 
temente il  tribunale  funziona  come  giudice  di  secondo  grado  ;  in 
realtà  opera  in  forza  della  sua  ordinaria  giurisdizione.  Ma  nel 
primo  caso  tale  facoltà  è  delegata  e  concessa  quasi  per  privilegio 
dai  rettori  della  lega  (2),  e  nei  secondi  il  tribunale  si  pronuncia 
intorno  a  cause  già  altrove  risolte,  instituendo  un  nuovo  giudizio 
indipendentemente  dal  primo  e  nel  quale  le  decisioni  di  questo 
rimangono  semplici  prove  documentali  delle  quali  il  giudice  tien 
quel  conto  che  crede  o  ritrae  presunzioni  di  diritto  (3). 

Noi  non  troviamo  perciò  regolata  a  Milano  per  tutto  il  XII  se- 
colo la  competenza  di  appello  come  a  Pavia  e  in  altre  città  lom- 
barde (4),  in  conseguenza  forse  di  quello  stesso  principio  per  cui 
la  causa  poteva  liberamente  trattarsi  presso  parecchi  fori;  la  parte 
che  rimaneva  insoddisfatta  dall'uno  credevasi  in  diritto  di  rivol- 
gersi all'altro,    prima    o    poi   a    seconda   delle    circostanze,    dando 


(i)  Rovelli,  op.  eh.,  voi.  II,  p.  350. 

(2)  S.  XLVII.  Vi  è  detto  :  c<  Girardus  iudex  atque  consul  raediolani  qui 
«  dicor  Pistus  cognoscens  de  appellatione  super  sententia  lata  a  Girardo  iudice 
«  qui  dicitur  de  Baniole  assessore  potestatis  Laude  ». 

(5)  Cfr.  le  sentenze  citate  per  la  controversia  tra  Piuro  e  Chiavenna  e  per 
quella  tra  i  comuni  di  Velate  e  l'arciprete  di  S.  Maria  del  Monte.  Vedi  anche 
S.  II  ;  e  Periodico  Soc.  Stor.  Comense,  voi.  VI,  p.  273  sg. 

(4)   LaTTES,    op.   Cit.,   p.    UT    sg. 


248  EZIO   RIBOLDI 

spesso  esempio  di  cause  già  risolte  dal  tribunale  cittadino  e  trat- 
tate poi  in  un  tribunale  forese  (i),  quasi  che  questo  avesse  giuri- 
sdizione di  secondo  grado  contro  le  sentenze  di  quello.  E  lo  stesso 
principio  ci  spiega  come  potesse  darsi  il  caso  di  appellare  dalle 
sentenze  dei  consoli  nostri  presso  tribunali  di  ecclesiastici  o  di  si- 
gnori e  viceversa,  per  quanto  i  signori  in  molti  statuti  vietino  ai 
loro  sudditi  di  chieder  giustizia  ad  altri  signori  o  consoli  (2).  E 
una  carta  del  1183  ce  ne  dà  manifesta  prova;  vi  si  legge  infatti: 
u  Ego  lacob  qui  dicor  Coallia  notarius  sacri  palati  dieta  istorum 
«  testium  quos  abbadissa  monasterii  maioris  produxit  super  causa 
«  quam  habebat  cum  Suzone  de  Canturio  sub  consulibus  medio- 
u  lani  et  qua  causa  translata  est  ad  dominum  Obertum  archipre- 
u  sbiterum  modoecensis  ecclesie  per  appellationem  »  (3). 

Questi  esempi  e  la  circostanza  di  trovar  talvolta  delle  parti 
le  quali  si  obbligano  a  non  appellare  da  una  sentenza  qualunque, 
ci  fanno  conchiudere  che  precisamente  la  libertà  di  scelta  fosse 
regola  comune,  che  l'appello  non  si  intendesse  come  più  tardi  o 
come  nel  nostro  diritto,  e  che  perciò  il  tribunale  milanese  si  tro- 
vasse, di  fronte  ai  tribunali  foresi,  sullo  stesso  gradino  nella  scala 
del  diritto  giudiziario,  solo  godendo  forse  di  quella  maggior  re- 
putazione od  egemonia  che  la  sua  qualità  ed  i  suoi  membri  gli 
potevano  far  acquistare. 


III. 

Note  di  diritto  e  di  procedura. 

Superfluo  e  inutile  sarebbe  il  ritornar  sovr'un  argomento  così 
sapientemente  trattato  e  quasi  esaurito  da  quel  profondo  conosci- 
tore del  diritto  lombardo  che  è  il  Lattes,  ricercando  tra  le  sentenze 
gli  elementi  di  diritto  consuetudinario  milanese  ;  ma  l'occasione  ci 
è  propizia  per  dimostrare  come  il  chiarissimo  A.  asserisse  il  vero 


(i)  Così  dicasi  per  le  note  sentenze  di  Velate. 

(2)  Cfr.  gli  statuti  di  Cremella  in  Frisi,  op.  cit.,  voi.  II,    p.  48  ;    Seregni, 
Gli  statuti  dì  Arosio  e  Bigoncio^  Torino,  1901,  p.  59  e  altrove. 

(3)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Corp.  Relig.,  perg.  Moti.  Magg.  (carta   anno 
1183). 


LE    SENTENZE   DEI    CONSOLI   DI    MILANO,  ECC.  249 

.quando  scriveva  :  «  che  le  raccolte  autentiche  non  sono  l'unica 
«  fonte  delle  consuetudini  lombarde  e  che  le  usanze  si  devono 
u  ricercare  anche  nei  documenti,  sentenze  e  carte  private  »  (i). 
Perchè  in  verità  noi  abbiamo  trovato  nel  nostro  materiale  alcuni 
elementi  di  diritto  e  di  procedura  tralasciati  dal  L.  C,  specie  pel 
diritto  pubblico  amministrativo,  di  cui  le  radici,  come  ben  disse  lo 
stesso  autore,  devono  pur  ricercarsi  tra  le  consuetudini.  Già  nel 
primo  capitolo  non  ci  mancò  occasione  per  suffragare  tale  verità; 
ma  qui  toccheremo  qualche  altro  tratto  anche  per  contribuire  meno 
mediatamente  alla  ricerca  delle  origini  dei  nostri  comuni. 

Nel  campo  del  diritto  rinveniamo  un  primo  notevole  accenno 
alla  capacità  e  alla  rappresentanza  in  giudizio  come  attore  o  come 
convenuto.  In  una  sentenza  del  9  novembre  1159  stanno  di  fronte 
come  attore  due  figli  emancipati  contro  il  proprio  genitore.  I  giudici 
sono  commerciah,  la  causa  civile,  trattandosi  di  possesso  di  terre  e  di 
diritti  d'acqua,  onde  il  carattere  prevalentemente  soggettivo  del 
diritto  antico  ci  fa  pensare  che  le  parti  fossero  commercianti.  Ne 
seguirebbe  una  duplice  deduzione  :  che  l'emancipato  non  avea  bi- 
sogno di  autorizzazione  alcuna  per  essere  commerciante  ;  che  po- 
teva stare  in  giudizio  senza  essere  assistito  dal  curatore,  nel  mentre 
ciò  avviene  per  il  minore,  come  appare  da  altra  sentenza  (2). 

Numerosi  esempi  illustrano  il  concetto  della  rappresentanza, 
sempre  incerto  nei  limiti  e  nella  forma.  Il  padre  è  rappresentato 
dal  figlio  (3)  ;  molti  convenuti  da  pochi,  i  quali  talvolta  danno 
«  guadiam  »■  di  comunicar  la  decisione  ai  mandanti,  talvolta  no  (4). 
Frequenti  pure  sono  i  casi  di  «  procuratores  »,  di  «  advocati  »,  assi- 
stenti o  rappresentanti  e  giuranti  per  le  parti,  e  un  caso  notevole 
abbiamo  di  rappresentanti  di  mandatari,  i    quali  alla  lor  volta  de- 

(i)  Lattes,  op.  cit.,  p.  52.  Ciò  non  fu  avvertito  dai  precedenti  scrittori  di 
diritto  milanese.  Cfr.  Argellati,  Bihlioth.  Scrip,  Med.,  Mediolani,  1745,  voi.  I, 
coli.  CCIX-CCXIV  ;  G.  Verri,  De  oriu  et  progressu  iuris  Med.  Prod.,  ecc.,  Me- 
diolani, 1759,  p.  XVIII  ;  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  224  sg.  ;  F.  Rezzonico, 
Origini  e  vicende  del  dir.  mil.  in  Milano,  Milano,  1846;  Bérlan,  Gli  statuti 
municip.  milanesi^  Milano,  1868  ;  F.  Schupfer,  Delle  fonti  del  diritto  a  cui  fu- 
rono attinte  le  Cons.  Milan.,  Milano,  1868. 

(2)  S.  XCII  ;  GiULiNi,  op.  cit,  voi.  IV,  p.  43  ;  Porro,  op.  cit.,  p.  62  ;  Bo- 
NOMI,  ms.  cit,  voi.  Ili,  p.  413. 

(3)  S.  IV,  XVII. 

(4)  Ibid.  XXVII,  XXXIX. 


250  EZIO   RIBOLDI 

legano  altri   che  «  prò    illis  et  prò  se    respondebant  »  (i).    Per  le 
persone  giuridiche  religiose  (chiese,    conventi,    canonicati)   l'abate, 
l'arciprete,  il  vescovo,  spesso  anche    semplici  membri,    le   rappre- 
sentano legalmente,  mentre  difficile  è  il  determinare  a  chi  spettasse 
o  chi  potesse  rappresentare  in  giudizio  il  comune  (2).    In    una  in- 
teressante sentenza  del  21  maggio  11 70  già  ricordata  si  vede  con- 
venuto in  giudizio  presso  i  consoli  del  comune  di  Milano  da  una 
Biriana  lo  stesso  comune,  per  la  restituzione  di  possessi  confiscati 
ai  figli  di  lei,  i  quali  durante  la  guerra  avevano  fatto  del  danno  alla 
nostra  città.  Non  è  detto  chi  fossero  i  rappresentanti  del  comune, 
ma  si  svolge  l'azione   come    se  virtualmente   lo    stesso  fosse  pre- 
sente ;  i  consoli,  naturali  rappresentanti,  costituiscono  invece  il  tri- 
bunale e  giudicano  contro  la  città.  In  altra  sentenza  noi  troviamo 
il  comune  di  Seguria  non  rappresentato  dai  consoli,  bensì  da  quattro 
messi  (11 76),  mentre  il  comune  di  Velate  è  rappresentato  dai  suoi 
consoli  (1202).  In  questa  causa  anzi  troviamo    esempio  di  riassun- 
zione di  istanza,  poiché  nel  preambolo  della  sentenza  è  detto  che 
la  causa  «  fuit  incepta  »  da  altri  individui,  «  qui  tunc    erant   con- 
«  sules  ipsius  loci  »>.  11  nome  di  comune  però,  come    avvertimmo, 
raramente  fa  capolino,  bensì  spesso    troviamo    detto  «   gli    uomini 
«  del  tal  paese  »  in  cause  nelle  quali  veramente  è  coinvolto  il  co- 
mune, come  nella  lunga  controversia  tra  i  comuni  di  Chiavenna  e 
Piuro,  rappresentati  da  un  console  e  parecchi  vicini.  Spesso  poi  il 
comune  è  rappresentato  dai  soli  consoli  (3),  o  dai  consoli  con  qualche 
cittadino,  sicché  devesi  credere  che  la  naturale  rappresentanza  non 
spettasse  ai  soli  consoli,  ma  che  altre  persone,  a  seconda  della  co- 
stituzione comunale,  la  assumessero  e  spesso  semplici  mandatari  (4) 
estranei  all'amministrazione,  distinguendo    però  sempre  la  propria 
persona  dal  comune,  quasi  non  ne  fossero    membri,    colle  parole  : 
«  prò  se  et  prò  comune,  ecc.  w.  Altra  nota  di  diritto  ricaviamo  da 
una  sentenza  del  24  maggio  11 77,  nella  quale  il  convenuto  chiede, 
prima  di  ogni  altra  difesa,  di  voler  esser  giudicato  secondo  la  sua 
legge  (e  non  dice  quale),  non   secondo   la   legge  romana,  e  viene 
assolto  dal  giudice  che  non  ne  espone  però  i  motivi.  E  notevole 

(i)  S.  XLVI. 

(2)  Lattes,  op.  cit.,  p.  69  sg. 

(3)  S.  XXV. 

s(4)  Ibid.  LXXXII  e  H.  P.  M,  Chariarwn,  p.  1079  sg. 


LE    SENTENZE   DEI  CONSOLI   DI   MILANO,   ECC.  25I 

questa  eccezione  per  professione  di  legge  personale,  in  un  tempo 
relativamente  lontano  da  quello  in  cui  tali  professioni  avevano  una 
vera  efficacia  giuridica  (i).  Notevole  ancora  una  causa  risolta  con 
sentenza  del  25  ottobre  1207,  nella  quale  un  cittadino  milanese 
chiede  al  prevosto  di  S.  Ambrogio  la  consegna  di  terre  già  ap^ 
partenenti  ad  un  suo  debitore  pignoratizio.  Il  convenuto  osserva 
doversi  in  primo  luogo  esercitare  l'azione  contro  il  debitore  prin- 
cipale, i  suoi  fideiussori,  i  suoi  eredi,  e  poiché  l'attore  asserisce 
con  giuramento  di  averli  escussi  e  di  aver  loro  posto  il  hanno, 
fuor  che  agli  eredi  i  quali  avevano  rinunziato  alla  eredità,  così  il 
console  condanna  il  convenuto  a  restituire  tali  terre. 

Ben  più  importanti  sono  o  appaiono  a  noi  le  note  di  diritto 
pubblico  qua  e  là  raccolte,  specie  nella  stessa  controversia  tra 
Chiavenna  e  Piuro,  dalla  quale  risulta  che  i  due  .paesi  formavano 
unico  comune,  avendo  «  in  comune  consularia  w;  che  il  consolato 
era  misto  di  chiavennati  e  piuriesi  in  proporzione  dell'importanza 
dei  due  paesi,  un  quarto  cioè  di  piuriesi  e  tre  quarti  di  chiaven- 
nati; che  il  consiglio  dei  consoli  trattava  gli  affari  amministrativi 
a  maggioranza;  che  nelle  spese  comuni  i  piuriesi  contribuivano  per 
un  quarto,  solo  quando  nel  voto  di  maggioranza  vi  entrasse  uno 
dei  piuriesi;  infine  che  il  comune  doveva  la  sua  costituzione  ai 
vicini,  e  che  perciò  il  vicinatico  qui  come  altrove  fu  la  base  della 
origine  comunale  (2).  Come  si  vede  un'intiera  costituzione  comu- 
nale è  illustrata  e  ne  è  illustrata  l'origine,  diversa  dalla  milanese, 
diversa  dal  comune  di  Seguria,  il  quale  nella  sentenza  del  13 
aprile  1176  appare  composto  di  due  elementi:  i  «  curtusii  »  o  abi- 
tanti della  corte  e  i  «  villani  »  o  abitanti  della  villa,  nel  mentre 
il  comune  di  Velate  appare  come  frutto  dell'unione  dei  nobili  coi 
rustici,  proporzionalmente  rappresentati  da  consoli  scelti  nel  loro 
seno  (31  agosto  120 1).  Tali  notizie  confermerebbero  1'  opinione  di 
chi  asserì  doversi  studiare  la  formazione  dei  comuni  nelle  asso- 
ciazioni preesistenti   delle  singole   località  (3).  Non    ripetiamo    gli 


(i)  G.  Salvigli,  Nuovi  studi  sulle  professioni  delle  leggi,  in  Atti  e  Memorie 
R.  Dep.  Star.  Patr,  per  le  Prov.  Mod,  e'Parm.,  1884,  voi.  II,  p.  389  sg. 

(2)  Notizie  più  diffuse,  oltreché  negli  storici   valtellinesi   (Quadrio,   Rome- 
gialli,  Lavizzara)  si  trovano  in  Crollalanza,  op.  cit,  passim. 

(3)  G.  Rosa,  op.  cit.,  p.  80;  Soimi,  Le  associazioni  in  Italia  avanti  le  origini 
del  comune,  Modena,  1898. 


I 


252  EZIO   RIBOLDl 

accenni  alla  costituzione  del  comune  e  del  consolato  milanese,  ma 
aggiungiamo  quanto  gli  atti  confermano  delle  notizie  già  note:  che 
cioè  i  consoli  trattavano  la  pace  e  le  alleanze,  amministravano  le 
finanze  e  i  beni  demaniali,  contraevano  prestiti  e  mutui,  avevano 
ingerenza  su  le  gabelle,  sui  pedaggi,  sulle  tasse  in  genere,  ecc. 

Nel  campo  della  procedura  si  rinvengono  pure  notizie  preziose 
ed  esempi  pratici  delle  principali  formalità  ricordate  anche  dal  L,  C. 
Per  quanto  riguarda  l'arbitrato,  oltre  le  numerose  sentenze  sparse 
anche  nei  nostri  cartulari,  troviamo  atti  consolari  di  delega  ed  ar- 
bitri, colla  indicazione  della  causa  e  del  tempo  per  trattarla  (i), 
colla  esclusione  di  appelli  per  volontà  delle  parti.  Frequenti  gli 
esempi  di  libelli  riportati  dalle  sentenze,  di  comparse  («  posi- 
«  tiones  »)  (2),  di  mandati  «  ad  lites  »  (3)  e  di  incidenti,  quali  l'ec- 
cezione di  incompetenza,  risolta  dal  tribunale  e,  come  pare,  pro- 
posta prima  di  ogni  altra  difesa  (4)  e  l'intervento  di  terzo  sia  «  ad 
«  escludendum  »»  che  «  ad  confirmandum  »  (5).  Tutte  le  forme  di 
prova  ricordate  dal  L.  C.  occorrono,  ma  vi  appare  ripetutamente 
la  perizia,  non  menzionata  in  quello,  sola  e  congiunta  ad  accesso 
giudiziale,  sia  nel  giudizio  di  merito  che  nella  fase  esecutiva  (ó). 
Notiamo  anche  un  giuramento  prestato  sette  giorni  dopo  la  sen- 
tenza, la  quale  risolve  precisamente  la  causa  in  base  a  questo  giù 
ramento  posteriore  (7);  esempi  di  rinunzia  agli  atti  e  di  rinunzie 
a  un  capo  solo  di  domanda  (8);  di  transazioni  compiute  durante  lo 
svolgimento  del  giudizio  (9);  di  azioni  possessorie  congiunte  ad 
azioni  petitorie  (io);  di  azioni  accessorie  congiunte  o  separate  dalla 
principale. 

Troviamo  pure  qualche  sentenza  in  giudizio  esecutivo.  Il  27 
gennaio  1173  l'abate  di  S.  Ambrogio  conviene  in  giudizio  parecchi 
cittadini,  per  obbligarli  ad  abbattere  alcuni  mulini    che  gli  arreca- 

(i)  BoNOMi,  ms.  cit.,  voi.  Ili,  p.  435. 

(2)  S.  CU  ;  GrjLTNi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  58  sg. 

(3)  Ambrosiana  di  Milaao,  cod.  Della  Croce,  v.  14,  a.  12 12. 

(4)  S.  XVIir,  LXXXI. 

(5)  Ibid.  XCVII. 

(6)  Ibid.  XXXV,  LXXXVir. 

(7)  Ibid.  XLII.  ..,v... 
(8;  Ibid.  LX  e  LXI.                            •      '" 
(9)  Ved.  le  precedeati  sentenze. 

(io)  Lattes,  op.  cit.,  p.  304. 


LE   SENTENZE    DEI   CONSOLI    DI    MILANO,    ECC.  253 

vano  danno.  A  meglio  conoscere   la    causa   il   tribunale  consolare 
nomina  perito  un  maestro  dei  mulini,  procede   ad  un  accesso  giu- 
diziale e,  fatto  giurare  l'attore   perchè    affermi  la  verità  della  sua 
domanda,  ordina  che  i  mulini  siano  abbassati    alla    giusta  misura. 
Il  28  giugno  II 73  con  nuova  sentenza  indica  le  norme  e  le  misure 
cui  attenersi  in  detto  abbattimento,  sentite  le  parti  in  causa.    Così 
il  20  dicembre  1204  in  seguito  a  sentenza  consolare  si  ordina    al- 
Tarciprete  di  Monza  di  dividere  dei  prati  con  tal  Giacomo  Pelucco; 
il  i.**  aprile  del  seguente  anno,    volendo    il  tribunale  «  sententiam 
«  executioni  mandare  »  nomina  tre  persone    «  ad  curandam   divi- 
«  sionem  eius  predii  »  in  presenza  di  testimoni  e  di  periti  per  la 
stima.  Ma  spesso  le  sentenze  restavano  lettera  morta,    e    allora   il 
tribunale,  a  domanda  di  parte,  interveniva  con  nuova  sentenza  (i) 
per  costringere  il  soccombente  ad  uniformarsi  al  giudicato  conso- 
lare. Avvertiamo  però  che  in  unica  istanza    sono    promiscuamente 
trattate  questioni  di  merito  e  questioni  per  esecuzione  di  precedenti 
sentenze,  ciò  che  dimostra  la  mancanza   di  una  chiara  distinzione 
tra  il  giudizio  cognoscitivo  e  il  giudizio  esecutivo,  il  che  risponde 
perfettamente  alFindole  del  diritto  in  quell'età.    Siamo   sempre  in 
un  campo  ove  la  consuetudine    è    unica   norma    e   sarebbe   sogno 
concepirvi  anche  distinti  il  diritto  costituzionale,  civile,  amministra- 
tivo, feudale,  penale,  commerciale  e  la  stessa  procedura.    Tutto    è 
riunito  in  un  sol  codice  e  in  un  sol  organo  di  potere  ;  talché  uno 
studio  unilaterale  non  potrà  mai  condurci  alla  conclusione  più  lon- 
tana e  molto  meno  renderci   l'idea    completa   di   quello    che  fu  il 
consolato  nella  età  comunale.  Speriamo  di  poter  giungere  più  pros- 
simi a  tal  meta   dopo  qualche  lavoro  particolare    e   l'esame    degli 
altri  atti  citati  nella  introduzione. 

Ezio  Riboldi. 
(I)  S.  LX  e  LXI. 


254  EZIO   RIBOLDl 


REPERTORIO 


4  luglio  1117  nell'arengo. 

L'arcivescovo  di  Milano,  "  presentibus  mediolanensibus  consulibus  „ 
dichiara  di  nessun  valore  le  investiture  e  le  alienazioni  fatte  dal  ve- 
scovo intruso  di  Lodi. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  v.  11  ad  a.  ;  b)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  VII,  p.  82  sg.  ; 
Vignati,  op.  cit.,  voi.  I  p.  97  sg. 

II. 

II  luglio  iijo  nel  teatro. 

Ungaro  da  Corte  Duce,  console  di  Milano,  e  con  lui  i  colleghi  nel 
consolato  distinti  nei  tre  ordini  dei  Capitani,  Valvassori,  e  Cittadini, 
conferma  la  sentenza  del  vescovo  di  Bergamo  nella  controversia  di  di- 
ritto feudale  e  signorile  tra  i  ministri  della  chiesa  di  Bergamo  e  i  vil- 
lani di  Calusco. 

a)  Ambrosiana,  Fagnani,  Famigrlte  Milanesi  (f.  Da  Ro)  e  cod.  Della  Croce,  io  ad  a.  ; 
b)  Giulini,  op.  cit  ,  voi.  VII,  p.  96  sg.;  Lupi,  Cod.  Diplom.  Berg.,\o].  II,  p,  944. 


III. 


IO  novembre  iij8  nel  broletto. 


Quattro  consoli  di  Milano  assolvono  due  cittadini  di  Sesto  dalla 
domanda  di  un  loro  concittadino  relativa  ad  una  medietà.  La  prova  è 
testimoniale. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Monastero  di  Chiaravalle;  Bonomi,  Diplomata 
Clarevallis,  ms.  Braidense,  AE.  XV,  20,  p.  190  sg. 

IV. 

21  agosto  1140  nella  pubblica  via. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  in  una  controversia  tra  Locamo  da 
Besozzo  e  i  conti  di  Seprio  per  diritti  feudali  e  rimandano  le  parti  al 
foro  imperiale;  poi,  in  altra  controversia  tra  lo  stesso  attore  e  il  co- 
mune di  Mendrisio  per  una  preda  e  pel  "  districtum  „  dello  stesso  paese^ 


\ 


LE    SENTENZE   DEI   CONSOLI   DI    MILANO,   ECC.  255 

dopo  giuramento,  obbligano  Locamo  alla  restituzione  e  assolvono  il  co- 
mune dalla  seconda  domanda. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  v.  12  ad  a.;  b)  Rovelli,  Storia  di  Como,  voi.  II, 
p.  3^6  8g.  ;  e)  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  289  sg.  ;  Fìcker,  Forsch.,  IV,  n.  113;  e  eh",  que- 
sVArchivio,  XXXI,  1904,  i,  p.  65. 

V. 

20  maggio  1142  nel  broletto, 

I  consoli  di  Milano  assolvono  gli  abitanti  di  Mendrisio  dalla  do- 
manda di  fodro  regale  fatta  loro  dai  conti  di  Seprio.  Come  prova  il 
giuramento  decisorio. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  io  ad  a.  ;  h)  Rovelli,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  347;  e)  Giu- 
LiNi,  op.  cit.,  voi.  IH,  p.  303  e  questMrcAmo,  XXXI,  1904,  i,  p.  63. 

VI. 
II  luglio  114J  nell'arcivescovado. 

I  consoli  di  Milano,  delegati  come  arbitri  dalle  parti,  sentenziano  in 
una  causa  religiosa  fra  i  monaci  e  i  canonici  di  S.  Ambrogio. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Monastero  di  S.  Ambrogio  ;  b)  Puricelli,  Ambr. 
Bus.  Mon.,  n.  390;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  ITI,  p.  310  e  quesV Archivio,  XXXI,  1Q04,  11,  p.  332. 

VII. 

2j  giugno  114J. 

Un  console  di  Milano  giudica  in  una  controversia  promossa  da  un 
tale  di  Inverigo  contro  la  badessa  del  Monastero  Maggiore  e  due  mas- 
sari del  monastero  per  alcune  prestazioni  signorili.  In  difetto  di  prova 
per  parte  dell'attore  viene  deferito  il  giuramento  all'avvocato  della 
badessa. 

a)  BoNOMi,  mss.  cit.,  Tab.  Mon.  Maior.,  p.  204. 

Vili. 

22  agosto  114S  nel  broletto. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  in  una  controversia  tra  l'arciprete  di 
S.  Maria  del  Monte  sopra  Varese  e  due  fratelli  abitanti  di  Porta  Ro- 
mana per  diritti  di  legna  in  un  bosco  comune  e  per  la  proprietà  di  un 
podere.  In  seguito  a  deposizione  testimoniale  e  al  giuramento,  la  sen 
tenza  è  favorevole  all'attore. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Maria  dil  Monte  sopra  Varese. 


256  EZIO   RIBOLDI 

IX. 

77  ottobre  114J  nel  consolato, 

I  consoli  di  Milano  giudicano  favorevolmente  all'arciprete  stesso  in 
una  causa  con  un  tale  di  Velate  per  il  possesso  di  un  campo.  Prova, 
la  testimonianza  e  il  giuramento. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  infondo  cit. 

X. 

ij  maggio  114'j  nel  broletto. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  favorevolmente  ai  decumani  della 
chiesa  di  S.  Maria  Iemale  in  una  causa  contro  i  Carcano,  contumaci, 
per  una  pescheria.  Prova,  la  testimonianza  e  il  giuramento. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Beneficiati  delh  Metropolitana;  Ambrosiana,  cod. 
Della  Croce,  v.  6  ad  a.  ;  e)  Giur.iNi,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  3^2. 

XI. 

2j  ottobre  114'j  ^^^  consolato. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  in  una  controversia  tra  il  vescovo  di 
Lodi  e  i  villani  di  Cerveniano  per  la  proprietà  di  un  bosco  in  Galva- 
gnano.  Provano  la  testimonianza  è  il  giuramento. 

a)  Arch.  Vesc.  di  Lodi,  Bonomf,  Mon.  Land.  Episcop.,  voi.  I;  b)  Vignati,  Cod.  Diplom. 
Laud.,  voi.  II,  p.  134. 

XII. 

18  giugno  1148  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  favorevolmente  all'arciprete  di  S.  Maria 
del  Monte  sopra  Varese,  in  una  causa  per  possesso  di  terre  con  uno 
di  Arzago.  Prova,  la  testimonianza  e  il  giuramento. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Lorenzo  Maggtorv. 

XIII. 

ij  gennaio  11 49  nel  broletto. 

I  consoli  di  Milano  sentenziano  favorevolmente  al  prevosto  di  S.  Lo- 
renzo in  una  causa  contro  un  cittadino  milanese  pel  possesso  di  un 
mulino.  Prova  testimoniale  e  giuramento. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Lor.  Magg. 


LE   SENTENZE   DEI   CONSOLI   DI    MILANO,    ECC.  257 


XIV. 

8  luglio  J14P  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  danno  ragione  ad  alcuni  cittadini  di  Lodi  in  una 
causa  per  una  decima  contro  due  fratelli  del  borgo  di  Landriano.  Prova, 
il  giuramento. 

a)  Arch.  Vesc.  di  f.odi,  calta  originale;  b)  Vignati,  op.  cit,  voL  II,  p.  67. 

XV. 

J  gennaio  iijo  nel  broletto. 

I  consoli  di  Milano  sentenziano  favorevolmente  ai  custodi  e  decu- 
mani della  chiesa  di  Monza,  in  una  causa  per  la  chiusa  di  un  mulino 
contro  Pabate  di  S.  Ambrogio.  Prova,  i  testi  e  il  giuramento. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Collegiata  di  Mon^a;  b)  Frisi,  Mem.  di  Mon^a^ 
voi.  II,  p.  59;  e)  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  381. 

XVI. 

18  settembre  iiyo  nel  broletto, 

I  consoli  di  Milano  sentenziano  favorevolmente  ai  consoli  dei  pa- 
scoli di  P.  Vercellina  in  una  causa  per  possesso  di  un  prato  e  un  pa- 
scolo comune  contro  l'abate  di  S.  Ambrogio.  Prova,  i  testi  e  il  giura- 
mento. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Monastero  di  S.  Ambrogio  ;  e)  Giulini,  op  cit., 
voi.  Ili,  p.  381. 

XVII. 

,  19  dicembre  iijo  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  danno  piena  ragione  alla  chiesa  di  Monza  in 
una  causa  di  diritto  feudale  o  signorile  contro  alcuni  di  Centemero. 
Prove,  documenti,  testi  e  giuramento. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Colleg.  di  Motiva;  b)  Frisi,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  60; 
e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IH,  p.  412, 

XVIII. 
4  maggio  iiji  in  solario  consulatus. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  di  essere  competenti  a  trattare  una 
causa  possessoria  vertente  tra  parecchi  pavesi,  che  volevano  adire  ai 
consoli  di  Pavia,  e  il  Prevosto  di  S.  Lorenzo. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Lor.  Magg. 


258  EZIO   RIBOLDI 


XIX. 

j  settembre  iijr  nel  broletto. 

I  consSi  di  Milano  trattano  una  causa  per  diritto  di  pascolo,  arare,  ecc. 
in  località  lodigiane,  tra  il  vescovo  di  Lodi  e  molti  militi  milanesi.  Prova, 
i  testi.  La  sentenza  è  favorevole  al  convenuto. 

a)  Arch.  Vesc.  di  Lodi,  originale;  b)  Vignati,  op.  cit.,  voi.  IT,  p.  174. 

XX. 

8  maggio  IIS2  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  in  una  causa  di  diritto  pubblico  am- 
ministrativo tra  i  comunisti  di  Piuro  e  di  Chiavenna,  con  richiamo  ad 
una  sentenza  dei  consoli  comaschi.  Prova,  il  giuramento. 

a)  Non  rinvenuta  ;  b)  Periodico  Società  Storica  Comense,  IV,  p.  2-5;  e)  Giulini,  op.  cit., 
voi.  HI,  p.  412. 

XXI. 

IO  gennaio  ujj  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  sentenziano  favorevolmente  all'arciprete  di  Santa 
Maria  del  Monte  sopra  Varese  in  una  causa  per  diritti  su  parecchi  bo- 
schi e  prati  coi  vicini  di  Velate.  Prova,  documenti,  testi  e  giuramento. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  pergr-  S.  Maria  del  Monte. 


XXII. 


14  aprile  iijj  nel  consolato. 


I  consoli  di  Milano  giudicano  in  una  causa   di   diritto  feudale  e  si- 
gnorile tra  alcuni  militi  milanesi  e  l*abate  di  S.  Abbondio  in  Como. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Abbondio,  Como;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  Ili, 
p.  413. 

XXIII. 

14  aprile  11S4  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  di  diritto  pubbHco 
amministrativo  tra  gli  abitanti  di  Chiavenna  e  di  Piuro. 

a)  Non  rinvenuta;   b)  Per.  Soc    Stor.  Com.,  IV,  p.  287;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  Ili, 
P.  473- 


I 
I 


LE  SENTENZE  DEI  CONSOLI  DI  MILANO,  ECC.  259 

XXIV. 

13  ottobre  11S4  nel  consolato. 


I  consoli  di  Milano  giudicano  in  una  causa  per  un  anniversario  tra 
il  primicerio  della  Metropolitana  di  Milano  e  Micara,  moglie  di  Alberto 
da  Lampugnano. 

a)  Bibliot.  Arch.  Arcivescovile  di  IAWslvìo^  pergamene  antiche  diverse^  cart.  n.  141  ;  Am- 
brosiana, cod.  Della  Croce,  v.  7,  p.  72  ;  e)  Gfr.  qnQsV Archivio,  XXXI,  1904,  11,  p.  222. 

XXV. 

29  gennaio  iijj  nel  consolato. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  di  diritto  feudale  e  si- 
gnorile tra  i  Conti  di  Seprio  e  gli  abitanti  di  Ronago.  Prova,  il  giura- 
mento di  12  abitanti. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  n.  12  ad.  a.;  b)  Rovelli,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  348, 

XXVI. 

2p  giugno  iiss  nel  broletto. 

Nuova  sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  di  diritto  pub- 
blico amministrativo  tra  gli  abitanti  di  Piuro  e  Ghiavenna.  Prova,  i  do- 
cumenti. 

a)  Non  rinvenuta;  b)  Allégranza,  Dell'antica  fonte  battesimale  di  Chiavenna,  Ve- 
nezia, I7r5,  p.  87;  Ter.  Soc.  Stor.   Com.,  IV,  p    291;  e)  Giulini,  op.   cit.,   voi.   Ili,  p.  447. 

XXVII. 

6  ottobre  iijó  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milario  giudicano  favorevolmente  al  vescovo  di  Lodi 
in  una  causa  di  diritto  feudale  e  signorile  contro  alcuni  di  Cavenago. 
Prova,  i  testi. 

a)  Arch.  Vesc.  di  Lodi;  Bonomi,  Mon.  Land.  Episcop.,  voi.  I;  b)  VIG^fATI,  op.  cit, 
voi.  II,  p.  197. 


ì 


XXVIII. 

jp  ottobre  rijó  nel  consolato. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  tributo  di  siligine 
miglio  tra  il  vescovo  di  Lodi  e  un  villano  suo  massaro.  Prova,  testi 
giuramento. 

a)  Bonomi,  op.  cit.  ;  b)  Vigmati,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  199. 


26o  EZIO   RIBOLDI 


XXIX. 

ij  maggio  IIJ9  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  in  una  causa  per  sfratto  di  locazione 
rurale  tra  l'abbadessa  del  Monastero  Maggiore  ed  un  Borelli. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Mon.  Magg.:  copia  in  cod.  Trivulziano,  n.  1738. 
Pare  una  falsificazione  del  Galluzio. 

XXX. 

9  novembre  11S9  in  città. 

I  consoli  dei  negozianti  di  Milano  danno  piena  ragione  a  due  figli 
emancipati  che  volevano  usar  liberamente  di  tre  pezze  di  terra  e  che 
vietavano  al  padre  Tuso  di  una  roggia  in  danno  ai  propri  mulini.  Prove, 
Tatto  di  emancipazione  e  il  giuramento. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni;  b)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  VII,  p.  125. 

XXXI. 

21  maggio  iiyo  nel  borgo  di  Varese. 

I  consoli  del  comune  di  Milano  danno  piena  ragione  a  donna  Bi- 
riana  in  una  causa  possessoria  tra  essa  e  lo  stesso  comune.  Prova,  una 
semplice  presunzione. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Marta  del  Monte. 

XXXII. 

16  ottobre  iijo  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  di  diritto  feudale 
tra  la  famiglia  Pozzobonello  e  Tabate  di  Chiaravalle,  che  viene  assolto. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Monas.  di  Chtar.  ;  Bonomi,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  440; 
e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  701. 

XXXIII. 

21  febbraio  11J2  nel  consolato. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  di  diritto  feudale  e  si- 
gnorile tra  Tabate  di  S.  Ambrogio  e  alcuni  fratelli  di  Concorezzo. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Ambr.  ;  b)  Puricelli,  Ambr.  Bas.  Mon.,n  523; 
e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  HI,  p   742. 


LE    SENTENZE  DEI  COItSOLI  DI    MILANO,  ECC.  201 


XXXIV. 

IO  gennaio  iijs  «*^  broletto. 

I  consoli  di  Milano  sentenziano  in  una  causa  tra  due  cittadini  mi- 
lanesi per  il  pagamento  di  un  pezzo  di  terra  venduto.  Prove,  un  docu- 
mento, i  testi  e  il  giuramento. 

a)  Ambrosiana,  codd.  Sormanni  e  Della  Croce  cit.  ;  b)  Porro,!.  C,  p.  ^  ;  e)  GrotAi, 
op.  cit.,  voi.  ni,  p.  744. 

XXXV. 

27  gennaio  ii'jj  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  sentenziano  in  una  causa  promossa  dairabbate 
di  S.  Ambrogio  per  fare  abbassare  i  molini  di  alcuni  cittadini  che  dan- 
neggiavano i  molini  del  monastero.  Prove,  una  perizia,  un  accesso  giu- 
diziale, il  giuramento. 

a)  Arch.  dì  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Ambr.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  744. 


XXXVI. 

28  giugno  iiy^  in  casella  consularie. 

I  consoli  di  Milano  fissano  in  qual  modo  e  misura  devonsi  e  abbas- 
sare i  mulini  dei  convenuti  nella  sentenza  precedente. 

a)  Gli  stessi  fonti. 

XXXVII. 

26  febbraio  1174  nel  broletto. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  in  una  causa  per  una  chiusa  sul  Re- 
freddo tra  parecchi  cittadini  e  un  altro  cittadino.  Prova,  un  accesso  giu- 
diziale. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni  cit.,  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi    HI,  p.  751. 

XXXVIII. 

12  luglio  ii']4  in  città. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  tra  l'abate  di  S.  Apol- 
linare e  un  cittadino  milanese  pel  possesso  di  un  campo. 

a)  BoNOMi,  Tab.  Morimundi,  p.  496:  e)  Arch.  di  Stato  dì  Milano,  Musaeum  Dtplom.  cit. 
Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VI.  17 


202  EZIO  RIBOLDI 


XXXIX. 

8  novembre  11J4  nel  consolato. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  la  chiusa  di  una 
roggia  tra  due  fratelli,  cittadini  milanesi. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  v.  9  ad  a.  ;  e)  Arch.  dì  Stato  dì  Milano,  Musaeum 
Dtplom.  cit. 

XL. 

16  luglio  iiyj  nel  consolaio. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  diritto  di  pascolo 
tra  Tabate  di  S.  Ambrogio  e  i  consoli  dei  pascoli  della  comunità  di 
P.  Vercellina.  Prove,  documenti. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg:  S.  Ambr.;  e)  Giulimi,  op.  cit.,  voi.  III.  p.  760. 

XLI. 

ij  aprile  1176  nella  strada  tra  Garbagnate  e  Seguria. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  Tabbattimento  di 
fossati  e  terrapieni  e  per  una  servitù  di  passaggio  tra  il  comune  di 
Seguria  e  un  milanese.  Prova,  un  accesso  giudiziale. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni  cit.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  770. 

XLII. 

•    2y  maggio  iiyj  nel  consolato. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  tra  due  cittadini  mì-^ 
lanesi  per  una  medietà.  Il  convenuto  chiede  di  esser  giudicato  secondo 
la  sua  legge  e  non  secondo  la  legge  romana. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Mon.  di  Chiarav.  ;  Bonomi,  ma.  cit.,  voi.  I,  p.  443. 

XLIII. 

^7  novembre  Jiyy  nella  pescheria. 

I  consoli  dei  negozianti  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa,  per 
la  serviti!  di  passaggio  in  una  viottola,  tra  Tarciprete  di  Monza  ed  un 
monzese.  Prova,  documenti,  testi,  giuramento. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  ad  a.;  b)  Porro,  L.  C,  p.  112;  e)  Giulini,  op.  cit.,. 
voi.  III,  p.  771. 


* 


263 


XLIV. 

18  settembre  1179  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  ratificano  l'operato  di  alcuni  messi  consolari 
che,  in  seguito  a  sentenza,  avevano  compiuta  la  divisione  d'acque  tra 
due  fratelli  e  contemporaneamente  accordano  al  convenuto  il  diritto  di 
chiudere  una  roggia  per  inafl5are  il  proprio  campo.   Prova,  documenti. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  ad  a.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  780. 

XLV. 

ij  novembre  iiyg  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  in  una  causa  per  sfratto  di  locazione 
rurale  tra  la  badessa  del  Monastero  Maggiore  e  parecchi  villani,  massai 
in  Brinzio  e  traslocati  in  Concorezzo. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Capitolo  di  S.  Ambrogio. 

XLVI. 

tji  dicembre  iiyg  in  casa  consularie, 

I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  di  diritto  feudale 
e  signorile  tra  la  badessa  di  Orona  e  i  villani  di   Cesano    e    Bienzago. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Man.  Orona;  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  ad  a.  ; 
b)  Porro,  L.  C,  p.  126  sg.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  781. 

XLVIT. 
2p  dicembre  11 80  nella  chiesa  di  S.  Stefano. 

Girardo  Pisto  console  di  Milano,  in   seguito    ad   autorizzazione  dei 
^rettori  della  Lega,  dà  sentenza  in  grado  di  appello  del  podestà  di  Lodi 
in  una  causa  di  diritto  feudale  e  signorile  in  Cavenago  tra    il   vescovo 
di  Lodi  e  tal  Ribaldo  Incelso.  Prova,  documenti. 

a)  BoNOMi,  Monum.  Land.  Episcop.  cit.  in  Arch.  Vesc.  di  Lodi  ;  b)  Vignati  ,  op.  cit., 
voi.  Ili,  p.  113. 

XLVIII. 

22  agosto  1181  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  per  servitù  di 
passaggio  tra  Tabate  di  S.  Vittore  e  i  villani  di  Grancino. 

a)  Non  rinvenuta;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  790. 


264  EZIO   RIBOLDI 


XLIX. 

27  febbraio  1182  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  danno  ragione  alla  badessa  del  Monastero  Mag- 
giore in  una  causa  possessoria  contro  un  cittadino  milanese.  È  presente 
e  firma  la  sentenza  un  console  della  repubblica. 

a)  Ai^ch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Cap.  di  S.  Ambr. 

L. 

ij  dicembre  1183  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  assolvono  Sozone  da  Cantù  dalla  domanda  di 
prestazioni  come  distrettuale  a  lui  fatta  dalla  badessa  del  Monastero 
Maggiore.  Prova,  una  presunzione  di  diritto. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Mon.  Magg.  ;  b)  Berlan,  Le  due  edizioni  citate, 
p.  178  sg. 

LI. 

4  luglio  1184  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  sentenziano  in  cause  di  decime,  diritto  signo- 
rile, diritti  di  pascolo,  tra  la  badessa  di  S.  Dalmazio  in  Colliate  e  gli 
uomini  di  Coliate. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  ad  a.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  6. 

LII. 

2)  dicembre  iiSj  nel  broletto  (i). 

I  consoli  di  Milano  sentenziano  in  una  controversia  per  diritti  su 
un  campo  in  Brusuglio,  tra  Guidone  prete  di  S.  Silvestro  e  alcuni  fra- 
telli soprannominati  Porcelli,  cui  si  dà  piena  ragione. 

a)  Non  rinvenuta;  e)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Musaeum  Diplom.  cit. 

LUI. 

29  dicembre  Ji8j  in  città. 

I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  per  risarcimento 
di  danni,  tra  alcuni  cittadini  milanesi  e  Tabate  di  Chiaravalle.  È  pre- 
sente e  firma  la  sentenza  un  console  della  repubblica. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Cap.  di  S.  Ambr.  ;  e)  Giuuni,  op.  cit..  voi.  IV,  p   21. 

(1)  Il  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  5,  ricorda  altra  sentenza  del  1$  dicem- 
bre II 84,  di  contenuto  ignoto  e  da  noi  non  rinvenuta. 


LE   SENTENZE  DEI   CONSOLI    DI   MILANO,    ECC.  265 

LIV. 

I  giugno  1187  nel  broletto. 

I  consoli  di  Milano  condannano  il  prevosto  di  S.  Ambrogio  a  di- 
struggere una  chiusa  sul  Refreddo,  costruita  in  danno  di  Acerbo  Teso. 
Prova  testimoniale. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  ad  a.;  e)  Porro,  L.  C.,  p.  7  «g. 

LV. 

I  giugno  1187  nel  broletto, 

I  consoli  di  Milano  condannano  Acerbo  Teso  a  chiudere  un  fossato 
ed  a  ripristinarne  un  antico.  Attore  il  prevosto  di  S.  Ambrogio.  Prova 
i  documenti. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  ad  a.  ;  b)  Porro,  L.  C,  p.  5  sg.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.^ 

TOl.   IV,   p.   42. 

LVI. 

9  novembre  1187  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  danno  piena  ragione  all'abate  e  console  di  San 
Sepolcro  pei  vicini  in  una  causa  per  diritti  di  pascolo  contro  i  consoli 
di  Comabio  rappresentanti  anche  i  vicini. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Ambr.;  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  v.  13; 
e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  41. 

LVII. 

12  novembre  iiSy  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  condannano  alcuni  villani  di  Consonno  in  una 
causa  per  diritti  feudali  e  signorili  promossa  dal  monastero  di  Chiara- 
valle.  Prova,  documenti  e  testi. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg-.  di  Chi ar.  ;  Boìtom,  Diplomata  Clarevallis,  ms.  cit., 
voi.  II,  p.  504. 

LVIII. 

2p  dicembre  iiSy  in  città. 

Per  la  stessa  causa  i  consoli  di  Milano  condannano  un  altro  villano 
di  Consonno. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Cap.  di  S.  Ambr.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  41. 


206  EZIO   RIBOLDI 

LIX. 

i8  giugno  1188  in  città. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  (?)  a  favore  della  badessa  di  Fon- 
tegio  per  un  podere  ed  una  roggia  presso  Gratosoglio,  il  cui  possesso 
veniva  contrastato  dall'ospedale  dei  crociferi. 

a)  Non  rinvenuta;  e)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Musaeum  Diplom.  cit. 

LX. 

29  agosto  1188  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  sono  chiamati  a  giudicare  in  una  causa  tra 
Acerbo  e  Teso  e  il  prevosto  di  S.  Nazaro  per  uso  di  acque  dal  Re- 
freddo. L^attore,  giunto  a  sentenza,  rinunzia  agli  atti. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Ambr.  ;  b)  Porro,  L.  C,  p.  Q  sg. 

LXI. 

7  luglio  1189  nella  chiesa  di  S.  Tecla. 

I  consoli  di  Milano  trattano  ancora  parecchie  cause  per  diritti  di 
acqua  del  Refreddo  tra  Acerbo  Teso  e  il  prevosto  di  S.  Ambrogio. 
Si  chiude  con  transazione. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Ambr.;  b)  Porro,  L.  C,  p.  110  sg. 

LXII. 

2j  febbraio  iipo  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  di  diritto  signorile 
tra  il  monastero  di  Chiaravalle  e  un  villano  suo  colono.  Prova,  docu- 
menti e  testi. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  di  Chiarav.;  Bonomi,  IHplom.  Clarev.  cit.,  toI.  II, 
P.  540. 

LXIII. 

2j  ottobre  1190  in  città. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  di  diritto  signorile  tra 
un  rustico  e  il  monastero  di  Chiaravalle. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  di  Chiarav.;  Bonomi,  ms.  cit.,  voi.  II.  p.  553. 


LE   SENTENZE   DEI   CONSOLI  DI  MILANO,   ECC.  267 

LXIV. 

ly  novembre  iipo  in  città. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  rescissione  di  un 
contratto  di  locazione  fra  il  prevosto  di  S.  Lorenzo  e  uno  dei  suoi  ono- 
rari, che  "  in  re  locata  malum  usatum  est.  „  (sic). 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  pergr.  S.  Lor.  Mag^gr. 

LXV. 

ip  dicembre  iigo  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  doversi  pagare  una  guadiam  alla  ba- 
dessa di  Orona,  perchè  un  individuo  di  Bianzago  abitante  in  Boisio 
aveva  aperto  un  fossato  vicino  al  "  castrum  „  del  convento. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Moti.  Orona;  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  adja.  ; 
b)  Porro,   L.    C,  p.  201  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  56. 

{LXVI. 

2p  dicembre  iipi  in  città. 

I  consoli  di  Milano  obbligano  per  sentenza  a  chiudere  un  fossato 
presso  la  "  braida  „  del  convento  di  Chiaravalle  alcuni  abitanti  in  Vi- 
comaggiore.  L'attore  presta  come  prova  il  giuramento. 

a)  Bonghi,  ms.  cit.,  voi.  II,  p.  556. 

LXVII. 

II  marzo  1192  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  condannano  Tabate  di  S.  Ambrogio  a  togliere 
una  chiusa  dal  fiume  Orona,  la  quale  produceva  danni  al  mulino  di  un 
milanese.  Prova,  la  perizia. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Monas.  diS.  Ambr.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  lY,  p.  63. 

LXVIII. 

22  giugno  1192  nel  broletto. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  decima  tra  Guar- 
nerio  Cagainsterio  e  uno  da  Terzago. 

a)  BoNom,  Tab.  Morini.,p.  553;  e)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Musaeum  Dtplom.  cit. 


268  E2aO  TUBOLDI 


LXIX. 


2j  ottobre  1192  in  città, 

I  consoli  di  Milano  condannano  un  massaro  del  monastero  di  Chia- 
ravalle  al  pagamento  di  un  annuo  canone  per  un  fondo  da  lui  condotto. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Mon.  di  Chiarav, 


LXX. 

29  dicembre  1192. 

I  consoli  di  Milano  condannano  parecchi  villani  a  risarcire  il  danno 
prodotto  al  monastero  di  Chiaravalle  col  taglio  di  alcune  piante. 

a)  Non  rinvenuta  ;  e)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Musaeum  Diplom.  cit. 


LXXI. 

y  febbraio  iigj  in  città. 

I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  per  espropriazione 
della  quota  dei  beni  del  debitore  defunto  pervenuta  al  fatello  superstite 
possessore  dell'altra  porzione.  Prova,  la  testimonianza. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  ad  a.  ;  e)  Giulini.  op.  cit ,  voi.  IV,  p.  77, 

LXXII. 

19  aprile  iigj  nel  broletto. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  diritti  d*acqua  tra 
il  prevosto  di  S.  Ambrogio  e  gli  eredi  di  Ottone  da  Moirano. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  ad  a.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  77. 

LXXIIl. 


14  ottobre  iigj  nel  consolato. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa   per  diritto  di  decima 
tra  il  monastero  di  Chiaravalle  e  due  suoi  coloni.  Prova,  i  testi. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Chiarav.  ;  Bonomi,  ras.  cit.,  voi.  II,  p.  868. 


LE   SENTENZE  DEI  CONSOLI   DI   MILANO,   ECC.  269 


LXXIV. 


2^  novembre  iigj  ^^  città. 


I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  possessoria  unita 
^ad  altra  per  diritto  di  passaggio  tra  il  prevosto  di  S.  Ambrogio  e  un 
milanese. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Chiar.  ;  Ambrosiana,  cod  Sormanni,  ad  a.  ;  e)  Giulini, 
op.  cit.,  voi.  IV,  p.  77. 


LXXV. 


//  agosto  1198  in  città  (i). 


I  consoli  di  Milano  danno  piena  ragione  al  monastero  di  Chiara- 
valle  in  una  causa  tra  questi  e  un  nobile  milanese  il  quale,  appunto 
perchè  tale,  pretendeva  di  non  pagare  alcuni  appendizi  al  monastero 
stesso. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Chiarav.  :  Bonomi,  Viplom.  Clarev.,  ms  cit  ,  voi.  IT, 
p.  901. 

LXXVI. 

/  gennaio  iipp  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  sentenziano  in  una  causa  tra  la  badessa  del 
Monastero  Maggiore  e  Zuzone  da  Cantù  per  il  fitto  di  un  campo  in 
Arosio. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Mon.  Magg:  ;  cod.  Trivulziano,  1740.  Pare  opera 
di  un  falsario. 

LXXVII. 

21  dicembre  iigg  in  città. 

I  consoli  di  Milano  giudicano  in  una  causa  per  disputa  di  possessi 
tra  un  prestinaio  e  parecchi  milanesi. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  ad  a.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  128. 


(i)  Il  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  pp.  87,  97,  100,  122,  ricorda  quattro  altre 
sentenze,  senza  indicare  il  contenuto  (2  ottobre  1196;  25  aprile  1197  ;  15  ago- 
sto 1198  ;  15  ottobre  1199).  Noi  non  abbiamo  potuto  rinvenirle. 


270  EZIO   RIBOLDI 


LXXVIII. 


)i  dicembre  iipp  in  città. 

I  consoli  di  Milano  danno   sentenza  in   una  causa   possessoria  tra 
un  milanese  ed  alcuni  abitanti  di  Trezzano.  Prova,  i  documenti. 
a)  Manca;  b)  Porro,  L.  C,  p.  33. 


LXXIX. 

ji  dicembre  1200  in  città  (i). 

I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  tra  Ottone  Pri- 
stinario  e  Lorenzo  da  Trezzano  con  suo  nipote  per  alcuni  diritti  d'acqua 
in  Trezzano. 

a)  Manca  ;  e)  Àrch.  di  Stato  di  Milano,  Musaeum  Diplom.  cit. 


LXXX. 

ji  agosto  1201  in  città. 

I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  per  {diritti  di  pa- 
scolo tra  l'arciprete  di  S.  Maria  del  Monte  e  il  comune  e  gli  uomini  di 
Velate. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Maria  del  Monte. 


LXXXI. 

22  aprile  1202  nel  consolato. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  risarcimento  di 
danni  tra  Uberto  da  Sesto  e  l'arciprete  di  Monza.  Avendo  il  convenuto 
sollevato  eccezione  di  incompetenza,  la  causa  è  rimandata  al  foro  ec- 
clesiastico. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Colleg.  di  Mon^a;  b)  Frisi,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  82; 
e)  GiuLiNi,  pò.  cit.,  voi.  IV,  p.  13C). 


(i)  Il  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  128,  ricorda  altra  sentenza  del  9  marre 
1200,  di  contenuto  ignoto  e  da  noi  non  rinvenuta. 


» 


LE   SENTENZE    DEI   CONSOLI    DI   MILANO,   ECC.  27I 

LXXXII. 

1}  dicembre  1202  nel  palazzo  comunale, 

I  consoli  del  comune  di  Milano  giudicano  esser  valevole  la  procura 
data  dal  comune  di  Vercelli  al  suo  procuratore  nella  causa  contro  il 
comune  di  Pavia. 

a)  Arch.  Civico  di  Vercelli,  reg.  sec.  XIV  ;  b)  H.  P.  M.,  Chartarum,  voi.  I,  p.  io83. 

LXXXIII. 
14  dicembre  1202  nel  palazzo  comunale. 

Sentenza  interlocutoria  dei  consoli  del  comune  di  Milano  nella  causa 
tra  il  comune  di  Vercelli  e  quello  di  Pavia  per  il  castello  di  Robbio. 
a)  Arch.  Civ.  di  Vercelli,  cod.  cit.  ;  b)  H.  P.  M.,  Charlar.,  voi.  I,  p.  1089. 

LXXXIV. 

21  luglio  J204  in  città  (i). 

I  consoli  milanesi  danno  piena  ragione  all'arciprete  di  S.  Maria  del 
Monte,  il  quale  convenne  in  giudizio  per  causa  di  decime  il  comune  di 
Velate. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Raccolta  Diplomatica,  voi.  II,  p.  28  sg. 

LXXXV. 

jo  ottobre  1204  in  città. 

I  consoli  di  Milano  assolvono  un  abitante  di  Vicomaggiore  dalla 
domanda  di  Amizeto  Pozzobonello  per  la  restituzione  di  un  prato. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Chiarav.  ;  Bonomi,  Diplom.  Clarev.^  voi.  Ili,  p.  184. 

LXXXVI. 

20  dicembre  1204  a  Baraggiola  presso  Monza, 

In  una  causa  per  diritti  d'acqua  tra  Giacomo  Pelucco  e  Tarciprete 

di  Monza  i  consoli  di  Milano  pronunziano  sentenza  favorevole  all'attore. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Capitolo  di  Mon:(a  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  147. 

(i)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  143,  ricorda  altra  sentenza  del  4  feb- 
braio 1203,  senza  indicare  il  contenuto.  Non  fu  da  noi  rinvenuta. 


272  EZIO  RIBOLDI 


LXXXVII. 

/  aprile  120S  presso  il  Lambro. 

I  consoli  milanesi  nominano  tre  persone  incaricate  di  dividere  le 
acque  tra  Giacomo  Pelucco  e  l'arciprete  di  Monza. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  per^.  Cap.  di  Mon^a;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  147. 

LXXXVIII. 

2j  aprile  120S  in  camera  dei  consoli. 

I  consoli  di  Milano  costringono  il  figlio  di  Giacomo  Pelucco  a  non 
impedire  l'uso  di  acqua  per  irrigare  in  una  roggia  presso  un  prato  di- 
viso, giusta  la  precedente  sentenza. 

a)  e  e)  Come  doc  prec. 

LXXXIX. 

27  ottobre  120J  nel  consolato. 

Sentenza  dei  consoli  milanesi  in  una  causa  possessoria  tra  Alberto 
Capello  e  due  fratelli  Beccaria,  i  quali  vengono  assolti  dalla  domanda 
attrice. 

a)  BoNOMi,  Diplom.  Clarev.,  ms.  cit.,  voi.  TU,  p.  loq. 

XC. 

I  dicembre  120S. 

I  consoli  del  comune  di  Milano  danno  piena  ragione  al  comune  di 
Vercelli  nella  causa  da  questi  promossa  contro  il  comune  di  Pavia  per 
il  possesso  del  castello  di  Robbio,  di  cui  i  pavesi  si  erano  impadroniti 
con  violenza. 

a)  Arch.  Giv.  di  Vercelli,  reg.  sec.  XIV;  b)  H.  P.  M.,  Chartar.,  voi.  I,  p.  11 19  sg. 

XCI. 

21  marzo  1206  nel  consolato. 

Lunghissima  sentenza  dei  consoli  milanesi  nella  nota  causa  per  di- 
ritti d'acqua  tra  l'arciprete  di  Monza  e  Giacomo  Pelucco,  nella  quale 
appare  ricostruita  tutta  la  causa  e  si  rinvengono  preziose  notizie  coro- 
grafiche, e  di  diritti  rurali. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Cap.  di  Morula;  b)  Frisi,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  84  sg. 


I 


LE   SENTENZE   DEI   CONSOLI   DI   MILANO,   ECC.  273 


XCII. 


¥ 


22  maggio  1206  nel  broletto. 


I 


I  consoli  milanesi;  dopo  aver  dato  il  curatore  ad  un  minorenne, 
pronunziano  sentenza  in  una  causa  possessoria  tra  lui  e  il  capitolo  di 
S.  Ambrogio. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  per^.  Cap.  di  S.  Ambr  ;  b)  Porro,  L.  C,  p.  149  sg.;  e)  Giu- 
LiNi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p,  150  sg. 


xeni. 

19  luglio  1206  in  città. 

Sentenza  dei  consoli  milanesi  in  una  causa  di  diritto   signorile  tra 
i  rustici  di  Baggio  ed  Algisio  da  Varedo. 

a)  Bibliot.  Arch.  Capitolare  di  Milano,  perg.  ant.  diver.,  cart.  n.  141  ;  Ambrosiana,  co- 
dice Della  Croce,  v.  13,  ad  a.  ;  e)  qxiesV Archivio,  XXXI,  1904,  11,  p.  235. 


XCIV. 

p  ottobre  1206  in  città. 

I  consoli  di  Milano  costringono  per  sentenza  il  prevosto  di  S.  Am- 
brogio ad  eseguire  una  obbligazione  stipulata,  ed  obbligano  il  conve- 
nuto Rosso  da  Gerenzano  a  rilasciarne  il  documento. 

a)  Ambrosiana,  eod.  Della  Croce,  n.  13  ad  a. 

xcv. 

4  maggio  i2oy  in  città. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  evizione  tra  un  fi- 
glio emancipato  e  la  canonica  di  S.  Ambrogio. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.Ambr.  ;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  158  sg. 

XCVI. 

/  giugno  120']. 

Un  console  di  Milano  condanna  in  contumacia  Algisio  Abuello  da 
Consonno,  al  pagamento  di  un  fitto  a  Girardo  Prealloni. 

a)  BoNOMi,  Diplont.  Clarev.,  ms.  cit.,  voi.  Ili,  p.  130. 


1; 


274  EZIO   RIBOLDI 


XCVII. 

31  luglio  120^  in  città. 

I  consoli  di  Milano  assolvono  un  villano  dalla  domanda  dell'Ospe- 
dale di  S.  Vincenzo  per  una  decima.  Interviene  la  canonica  di  S.  Am- 
brogio ad  excludendum. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  per§^.  S.  Ambr.  ;  Ambrosiana ,  cod.  Della  Croce,  v.  13  ad  a.  ; 
e)  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  158  sg. 

XCVIII. 

IO  luglio  1207  in  città. 

Sentenza  per  una  decima  feudale  in  una  causa  trattata  dai  consoli 
di  Milano  tra  un  cittadino  milanese  e  un  villano  di  Quarto  Cagnino. 
Interviene  ad  excludendum  l'Ospedale  di  S.  Vincenzo. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  v.  13  ad  a. 

XCIX. 

14  agosto  120J  in  città. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  la  remissione  di 
un  terreno  livellato  tra  la  canonica  di  S.  Ambrogio  e  Lorenzo  da  Trez- 
zano.  L'attore  chiede  anche  le  spese  di  giudizio,  e  in  seguito  a  confes- 
sione del  convenuto  gli  è  data  piena  ragione. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg,  S.  Ambr.  ;  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  v.  13  ad  a.  ; 
e)  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  158  sg. 

c. 

2y  ottobre  i2oy  in  città. 

Sentenza  dei  consoli  milanesi  in  una  causa  per  evizione  tra  un  cit- 
tadino milanese  e  la  canonica  di  S.  Ambrogio. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  v.  13  ad  a.;  b)  Porro,  £,.,C.,  p.  n  sg.  ;  e)  Giulini, 
op.  cit.,  voi,  IV,  p.  158. 

CI. 

28  ottobre  120^  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  condannano  Giacomo  Perdice  e  figli  a  pagare 
alla  canonica  di  S.  Ambrogio  una  decima. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  S.  Ambr.  ;  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  v.  13  ad  a.  ; 
e)  GiuLiNi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  158. 


LE   SENTENZE    DEI  CONSOLI    DI   MILANO,    ECC.  275 


CU. 

21  dicembre  1207  in  città  (i). 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa  per  abbattimento  di 
una  porta  in  luogo  pubblico  tra  i  vicini  di  S.  Pietro  e  Naborre  a  Mi- 
lano e  la  canonica  di  S.  Ambrogio.  Poiché  il  convenuto  dimostra  che 
furono  invece  costrutte  sulla  sua  proprietà,  viene  assolto. 

a)  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  v.  13  ad  a.;  e)  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  158  sg. 
e  quest'i4rcA/wo,  XXXFI,  1905,  in,  p.  51,  nota  4. 


CHI. 

4  luglio  1209  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  condannano  un  cittadino    da   Trezzano  a  resti- 
tuire ad  Albergato  Prealloni  alcuni  beni  di  un  suo  debitore  pignoratizio. 

a)  Arch.  di  Stato  dì  Milano,  perg.  S.  Ambr.  ;  Ambrosiana,  cod.  Sormanni,  ad  a.  ;  e)  Giu- 
lini, op.  cit.,  voi.  IV,  p.  108. 


CIV. 

27  luglio  1209  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano    assolvono    dalla   domanda   attrice   due   fratelli 
Beccaria  in  una  causa  possessoria. 

a)  BoNOMi,  Diplom.  Clarev.,  voi.  IH,  p,  254. 


cv. 


j£  dicembre  1209  nel  consolato. 

Sentenza  dei  consoli  milanesi  in  una  causa  di  diritto    feudale  e  si- 
gnorile tra  la  chiesa  di  Monza  e  parecchi  frateUi  di  Monguzzo. 

a)  Arch.   di  Stato  di  Milano,  Colleg.  di  Moriva;  b)  Frisi,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  qi  sg. 


(i)  Il  Giulini,  op.  cit.,  voi.  IV,  pp.  161,  168,  ricorda,  senza  allegarne  il 
contenuto,  due  altre  sentenze  (29  marzo  1208-29  giugno  1208)  citando  come 
fonte  l'Arch.  Ambrosiano.  Non  furono  rinvenute. 


276  EZIO   RIBOLDI 


evi. 


3  aprile  1210  in  città. 

Sentenza  dei  consoli  di  Milano  in  una  causa   per  diritto  di  decima 
tra  il  prevosto  di  Vimercate  e  Giacomo  Beroldi. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Collegiata  di  Vimercate;  b)  Porro,  L.  C,  p,  145. 


CVII. 

p  novembre  1210  in  camera  dei  consoli. 

I  consoli  di  Milano  con  nuova  sentenza  ordinano  Tesecuzione  di 
una  parte  di  precedente  sentenza  tra  un  milanese  e  il  monastero  di 
di  Chiaravalle. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Chiar.  ;  Bonomi,  Diplom.  Clarev.,  voi.  Ili,  p.  314 


CVIII. 

20  luglio  I2II  nel  consolato. 

I  consoli  di  Milano  danno  sentenza  in  una  causa  di   diritto  feudale 
e  signorile  tra  alcuni  di  Giussano  e  molti  abitanti  di  Arosio. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Mon.  Magg. 


CIX. 

ij  settembre  1212  nel  consolato. 

Sentenza  consolare  in  una  causa  per  diritti  di  decima  feudale  tra 
il  prevosto  di  Vimercate  ed  Uberto  Ismaelli  di  Vimercate,  il  quale 
viene  condannato. 

a)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  perg.  Colleg.  di  Vimercate;  Ambrosiana,  cod.  Della 
Croce,  V.  14  ad  a.  ;  b)  Porro,  L.  C,  p.  145  sg. 


LE  SENTENZE   DEI   CONSOLI    DI    MILANO,   ECC. 


277 


SERIE  DEI  CONSOLI  MILANESI  (0 


22  agosto  114S. 

Stephanardus  ludex  ac   Missùs  R. 

Lanfrancus  de  Setara 

Gigo  Burrus 

Azo  ludex  ac  R.  Missus. 

77  ottobre  114S. 

Gregorius  ludex  ac  R.  Missus 
Otto  de  Raude 
Malastreva  Bordella 
Gilbertus. 

7^  giugno  1148. 
Girardua  Cagapistus. 

7/  gennaio  1149. 

Azo  Ciceranus. 
Gilbertus  Penarus. 

8  luglio  1149. 

Ariprandus  Confanonerius 
Guercius  ludex  ac  R.  Missus. 

4  maggio  USI. 

Heriprandus  Confanonerius. 
Alberti  de  Porta  Romana 
Heriprandus  ludex. 


IO  gennaio  iijj. 

Alberti  de  Porta  Romana 
Otto  de  Mairola. 

29  gennaio  iiSS- 

Obertus  de  Orto  ludex  ac  R.  Missus 

Guasco  de  Mairola 

Bordolle 

Albertus  de  Carata 

Guercius  ludex  ac  R.  Missus. 

7/  maggio  iijg. 

Rogerius  de  Isembardo 
lohannes  de  Stampa 
Malasterna  de  Fabagrossa 
Oldradus  Vicecomes 
Fridericus  ludex 
Otto  de  la  Turre 
Oldradus  de  Vicomercato 
Fridericus  ludex 
Franciscus  de  Bimio. 

27  maggio  iiSy  (2). 
Uvidottus  Polengonus. 

28  dicembre  iióy  (3). 

Guido  Confanonerius 
Grotto  de  Grogonzola 
Mainerius  de  Pixina. 


(i)  Aggiunta  a  quella  del  Giulini,  op.  cit,,  voi.  VII,  p.  350  sg.;  ed  a  quelle 
in  (\Vitsl'' Archivio^  XXII,  1895,  i,  p.  363  sg.  e  XXXI,  1904,  11,  p.  222. 
Si  citano  in  calce  le  fonti  escluse  dal  Repertorio. 

(2)  Vignati,  Codex  Diplotn.  Laud.^  voi.  Ili,  p."  39.  A  p.  56,  in  un  trattato 
di  alleanza,  figurano  de'  testi  in  cui  si  dovranno  probabilmente  riconoscere  de' 
consoli. 

(3)  Vignati,  op.  cit,,  voi.  IN,  p.  44. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VL  18 


278 


EZIO   RIBOLDI 


jo  dicembre  iiój  (i). 
Squarsapars  de  Buxinate. 

21  ottobre  1181. 
Albericus  de  Bonna. 

27  febbraio  1182. 

Anricus  Mainerius 

Otto  Vicecomes 

Guilielmus  ludex 

Mediolani 

Stephanus  Menclocius 

Oto  Zendadarius  consul  reipubblice. 

ij  dicembre  ii8j. 
Heriprandus  ludex. 

24  dicembre  1184  (2). 

Rogerius  Vicecomes 
Arialdus  Vicecomes 
Arnaldi  de  Mairola 
Guilielmi  Corbi 
Astulfi  Cotte 
Ardrigotti  Marcellini. 

28  maggio  II 88  (3). 
Chonradus  ludex. 

2p  agosto  1188. 

Giggottus  de  Mairola 
Azo  de  Pusterla 
lacopus  Gambarus 
Ariprandus  Morigia 
Ambroxotus  de  Comite 
Guilielmotus  de  Alitate. 


7  luglio  1189. 

Anselmus  de  la  Cruce 
Guilielmus  GaCurius 
Johannes  ludex 
Guertius  de  Ostiolo 

17  novembre  iigo. 

lacopus  Gambarus 
Giggottus  de  Mairola. 

I  gennaio  1199. 

Ariprandus  Bonafides 
Rainerius  Cotta 
Ubertus  Vicecomes 
Otto  Zendadarius 
Alcherius  de  Vicomercato. 

II  gennaio  iigg  (4). 

De  Consulibus  lustitie. 

Guillielmotus  Brema 
lacopus  Cagapistus 
lacobus  de  Aiate 
Rogerius  Marinonus 
Aliprandus 
Petracius  de  Gluxiano. 

De  Consulibus  Credentie  S.  Ambrosii. 

Ardericus  Stampha 
Grossus  de  Ninguarda 
lohannes  de  Levate 
Rogerius  de  Riclus 
Rogerius  de  Leoni. 

ji  agosto  1201. 

Giggottus  de  Mairola 
Baldicionus  Stampa 


(i)  Vignati,  op.  cìt.,  voi.  Ili,  p.  36. 

(2)  Trivulziana,  Fondo  BelgioiosOj  n.  291  carta  all'anno.  Una   copia  del 
migerato  Bianchini  si  trova  pure  nel  cod.  1738. 

(3)  GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  IV,  p.  43. 

(4)  Vignati,  op.  cit.,  voi.  III,  p.  233. 


fa- 


LE   SENTENZE  DEI  CONSOLI    DI    MILANO,    ECC. 


279 


Guertius  de  Ostiolo 
Preallonus  de  Preallonis 
Leo  de  la  Cruce. 

ij  dicembre  1202. 

Consules  Comunis. 

lohannes  de  Raudus  (sic) 

Enricus  de  Comiliano 

Obizone  de  Advocato 

Anselmus  Tenzago 

Obizono 

Amicono 

Guilielmus  Calzagrixia 

Philippus  Lanterio  de  Moetia  (sic) 

Albertus  Mirabilia. 


21  marzo  1206. 


21  agosto  1204. 


Guilielmus  de  Terzago 
Guido  de  Buinate. 


I  dicembre  120J. 
Consules  Comunis. 

Rizardus  Crivellus 

Paganus  de  la  Turre 

Guido  de  Landriano 

lohannes  de  Raide  (sic) 

Albertus  de  Mandello 

Guidus  Baldus 

lacobus  de  Moetia  (sic) 

Ugo  de  Camerario 

lacobus  de  Aliate 

Drudo  Marcellinus 

Arnaldus  ludex  de  Supralaqua. 


Monachus  de  Modoetia 
Guastacons  de  la  turre 
Obizo  de  Surexina 
Gaspar  Menclocius 
Guido  Faroldus 
Ugo  Salarius 
Alborgellus  de  Dexio. 


ij  dicembre  1209  (i). 


Albertus  de  Marliano 
Guifredus  de  la  turre 
Prevede  de  Ovreno 
lacobus  Menclocius. 


ij  settembre  121 2. 

Gottecinus  de  Ovreno 
Albertonus  Saporitus. 

IO  febbraio  luj  (2). 

Andrioto  de  la  Cruce 

Norando  de  Pusterla 

lohanne  Codevillano  de  Surexina 

Domifilo  Toppo 

Duirante  de  Marliano. 


24  marzo  121 6  (3). 

Vicecomes  de  Vicecomitibus 
Rolandus  de  Erba. 


24  febbraio  12 17  (4). 

Miranus  Incressus 
lacobus  de  Populo. 


(i)  Porro,  op.  cit.,  p.  65. 

(2)  Berlan,  Le  due  edizioni  cit.,  p, 

(3)  Cod.  Trivulziano,  1740. 

(4)  Ambrosiana,  cod.  Della  Croce,  n. 


178. 
14:  Can.  S.  Ambrogio, 


28o        EZIO   RIBOLDI   -   LE   SENTENZE    DEI  CONSOLI   DI   MILANO,   ECC. 

7  Ottobre  1219  (i).  ij  maggio  1221  {2). 

Sanzanomen  Albericus  Redulfus  de  la  Cruce. 

Bonaccursus  de  Vicecomitibus 

Obizo  Pellucus.  .  2j  giugno  122J  (3). 

lohannes  de  Legnano. 


(i)  Ambrosiana,   cod.  Della  Croce,  n.  14:  Collegiata  S.  Stefano,   Viminate, 
sentenza  ad  a. 

(2)  Porro,  op.  cit.,  p.  185. 

(3)  Ambrosiana,  pergamena,  n.  1620. 


JEAN  GALÉAZ  VISCONTI 

et  le  Comté  de  Vertus 


Es  Archives  départementales  de  la  Marne,  dans  le  dépòt 
de  Chalons-sur-Marne,  possèdent  une  pièce  écrite  en 
fran9ais  et  émanant  de  Jean  Galéaz  Visconti  comme 
Comte  de  Vertus  en  Champagne.  Cette  pièce  attira 
mon  attention,  lors  de  récentes  recherches  au  dépòt  de  Chalons. 
Elle  est  datée  de  Pavie,  le"  5  octobre  1368.  Et,  bien  qu'elle  n'ait 
trait  qu'à  une  affaire  d'assez  mediocre  importance  (l'amortissement 
d'une  rente  léguée  à  une  église  de  Chalons),  elle  constitue  assuré- 
ment  une  rareté.  En  effet  il  ne  m'a  pas  été  donne  de  retrouver 
aucune  pièce  analogue,  aucun  acte  «  direct  »  d'administration  re- 
dige en  fran^ais  et  émanant  de  Jean  Galéaz  comme  Comte  de 
Vertus.  Nous  verrons  si  l'on  peut  assigner  des  causes  à  cette  ra- 
reté. Pour  rinstant,  et  avant  de  citer  la  pièce,  on  fera  remarquer 
ceci.  La  pièce  n'intéresse  directement  que  l'égUse  Saint  Etienne  de 
Chalons  ;  le  Comte  de  Vertus  n'a  eu  à  intervenir  dans  l'affaire  que 
pour  une  seule  raison  :  c'est  que  la  rente  amortie  était  assise  à 
Clamanges,  au  comté  de  Vertus  (i). 

Voici  maintenant  le  texte  de  la  charte  (2): 

A  tous  ceulz  qui  ces  présentes  lettres  verront  et  orront,  Galéaz 
Visconte  de  Melan,  Conte  de  Vertus  en  Champaigne,  salut.  Nous  avons 
veu  un  admortissement  fait  a  honorables  et  discretes  personnes  Doyen 


(i)  Je  note  en  passant  que  ce  bourg  de  Clamanges  nous  rappelle  un  nom 
bien  fameux  dans  l'histoire  des  lettres  au  XV'  siede,  celui  de  Nicolas  de  Cla- 
manges, né  en  1360  dans  le  méme  village  champenois  dont  il  est  ici  question. 
Et,  incidemment  aussi,  on  noterà  dans  la  pièce  un  autre  nom  de  lieu  illustre 
dans  les  lettres  et  dans  l'histoire,  Joinville.  Si  je  relève  ces  deux  noms  c'est  pour 
donner  quelque  idée  des  environs  connus  de  la  petite  ville  de  Vertus. 

(2)  Archives  du  département  de  la  Marne,  Dépòt  de  Chalons-sur-Marne,  G.  579. 


282  HENRY   COCHIN 

et  Chapitre  de  l'église  Saint  Estienne  de  Chaalons  par  notre  feal  et  amé 
vicaire  et  procureur  general  Messire  Amechin  de  Bozele,  dont  la  te- 
neure  s'ensieut.  A  tous  ceulz  qui  ces  présentes  lettres  verront  et  or- 
ront,  Amechin  de  Bozele,  vicaire  et  procureur  general  de  très  excellent 
^t  poissant  primpce  monsigneur  Galeaz  Visconte  de  Melan,  Conte  de 
Vertus  et  de  très  excellent  dame,  madame  Ysabel,  fille  de  Roy  de  France, 
Contesse  du  dit  Vertus,  salut.  Comme  honorable  et  discrète  personne 
maistre  Guillaume  de  la  Mote,  iadiz  chanoines  et  archediacres  de  Join- 
ville  en  l'église  Saint  Estienne  de  Chaalons,  en  son  testament  ou  der- 
raine  volonté,  ait,  pour  le  salut  et  remède  de  son  ame,  donne  et  laissié 
a  la  dite  église  de  Chaalons  une  rente  annuelle  et  perpétuelle  de  qua- 
rante  moutons  lainne  portans,  quarante  deruers  tournois,  et  un  petit 
sestier  d'avainne,  la  quelle  rente  tenoit,  levoit  et  possidoit  paisiblement 
le  dit  maistre  Guillaume  pour  le  temps  qu'il  vivoit,  par  lui  ou  ses  de- 
putés,  à  pranre  chascun  an  a  tous  jours,  le  jour  de  TAscention  nostre 
signeur,  en  et  seur  la  ville  de  Clamanges  assise  ou  dit  Conte,  pour  cer- 
tain  et  iustes  causes  contenues  es  lettres  seur  ce  faites;  et  de  par  nos 
amez  en  Dieu  les  Doyen  et  Chapitre  de  la  dite  Eglise  de  Chaalons, 
nous  alt  esté  requis  et  supplié  que,  come-  la  dite  rente  soit  assise  en 
la  terre  signourie  et  justice  du  dit  Conte,  et  ne  porroient  tenir  les  diz 
Doyen  et  Chapitre  la  dite  rente  sans  le  congié  et  hcence  de  mes  diz 
sigheurs  et  dame  ou  leurs  gens,  nous  ycelìe  leur  vousissiens  admortir 
et,  pour  ce,  pranre  finance  d'eulz,- tele  comme  il  appartendroit.  Savoir 
faisons  que,  considerò  le  bon  propos  du  dit  maistre  Guilliaume,  l'amour 
et  l'affection  que  mes  diz  signeur  et  dame  et  nous  avons  a  la  dite  église, 
et  pour  l'augmentation  du  devin  servise,  nous  les  diz  Doyens  et  Cha- 
pitre avons  receu  a  finance  pour  raison  de  la  dite  rente  parmi  la  somme 
de  soissante  royaulk  de  bon  or  et  de  boh  poiz  courans  pour  le  temps 
de  feu  le  Roy  Jehan  notre  signeur  dònt  Dieux  ait  l'ame,  de  laquelle 
somme  il  ont  fait  bónne  et  souffissant  satisfaction.  Si  nous  plaist  et  vo- 
lons  et  ottroyons  et  consentons  et  de  certaine  science,  en  tant  comme 
en  nous  est  et  faire  le  poons,  ou  nom  et  par  le  pooir  a  nous  baillié  de 
par  mesdiz  signeur  et  dame,  que  lesdiz  Doiens  et  Chapitre  et  leurs 
successeurs  en  la  dite  Eglise  puissent  dores  en  avant  a  tous  jours, 
perpetuelment,  tenir,  posseder,  lever  et  joir  paisiblement  de  la  dite 
rente  de  quarante  moutons,  quarante  deniers  tournois  et  un  petit  sestier 
d'avainne,  comme  de  rentè  admortie;  la  quele,  ou  nom  que  dessus,  ad- 
mortissons  par  ces  présentes,  tenons  et  réputons  pour  admortie,  sans 
ce  que  les  diz  Doyen  et  Chapitre  ne  leurs  successeurs  en  ycelle  Eglise 
soient  en  rien  tenu,  ne  puissent  estre  constraint  de  la  jamais  mettre 
hors  de  leur  main,  ne  de  en  paier,  pour  ce,  ou  temps  a  venir,  aucune 
autre  finance  que  desdiz  soissante  royaulz,  sauf  en  autres  choses  le 
droit  de  mes  diz  signeur  et  dame  et  en  toutes  l'autrui.  Et  pour  ce  que 
ce  soit  ferme  chose  et  estable  a  tous  jours  mais,  nous  avons  mis  nostre 
seel  à  ces  lettres,  dou  quel  nous  usons  et  entendons  a  user,  qui  furent 
i'aites  le  douzime  jour  dbu  mois  de  fevrier,  l'an  de  grace  mil  trois  cena 


Pi..  I. 


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\it. 


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fr 


Sceaii  eu  ciré  jauue  appendu  à  la  charte  du  Comte  de  Yertus 
datée  de  Pavle  le  5  octobre  13«8. 


Phototypie  Menotti  Bassani  &  C.  à  Milan. 


Pr..   II. 


k 


Sceaux  de  Jean  Galéas  et  de  Valcntiiie  Visconti, 

existants  aux  Archivcs  Nationales,  Collection  Douèt  d'Arcq,  N.os  591,  11708,   11709. 


Phototypie  Menotti    Rassani  &   C.    à  Milan. 


JEAN   GALÉAZ   VISCONTI  ET   LE   COMTÉ    DE   VERTUS  283 

soissant  et  sept.  Lequel  admortissement,  en  la  forme  et  manière  que 
fait  est  par  nostre  dit  vicaire  et  procureur  et  comme  dessus  est  dit, 
loons,  gréons,  ratiffions  et  approuvons,  et  prometons  en  bonne  foì  et 
seur  l'obligation  des  biens  de  notre  dit  Conte  de  le  tenir  et  avoir  ferme 
et  estable  sans  jamais  venir  ni  faire  venir  encontre.  En  tesmoing  de  ce 
nous  avons  seelé  ces  presentes  de  nostre  seel,  qui  furent  faites  de 
Pavye,  le  VP  jour  d'octembre,  l'an  de  grace  mil  trois  cents  soissant 
et  huit. 

signé:  Antonius. 

La  pièce  originale,  qui  se  trouve  aux  Archives  à  Chalons,  porte 
encore  sur  doublé  queue  un  assez  beau  sceau,  en  ciré  jaune,  du 
Comte  de  Vertus.  J'en  ai  fait  faire  une  épreuve  photographique,  que 
Fon  trouvera  cì-contre  (1  Planche).  Ce  sceau,  comme  on  le  remar- 
quera,  n'est  pas  semblable  aux  divers  sceaux  de  Jean  Galéaz  que 
possèdent  les  Archives  Nationales,  et  dont  je  public  les  moulages  à 
titre  de  comparaison  (pour  ceux  du  moins  qui  fìgurent  dans  la  Col- 
lection  Douet  d'Arcq)  (i)  (II  Planche).  Mais  par  contre,  le  sceau  de 
Chalons  est  à  peu  près  semblable  à  une  des  monnaies  si  rares  du 
Comte  de  Vertus,  que  M.  de  Longpérier  à  étudiées,  et  après  lui 
M.  Auguste  Denis  (2). 

Dans  le  mémoire  que  je  viens  de  citer,  M.  de  Longpérier  a 
affirnié,  —  sur  le  dire  de  l'Archiviste  d'alors,  —  que  les  Archives 
de  Chalons  ne  possédaient  «  aucune  »  pièce  émanant  de  Jean  Ga- 
léaz comme  Comte  de  Vertus.  11  n'est  pas  très  surprenant  que 
notre  petite  charte  ait  alors  échappé  à  l'attention.  Le  dépòt  de 
Chalons  est  considérable,  et,  bien  qu'aujourd'hui  encore  il  soit 
loin  d'avoir  été  complètement  inventorié,  il  y  a  cependant  quelques 
progrès  en  ce  sens,  depuis  les  jours  où  Longpérier  faisait  ses 
recherches.  Pourtant  il  ne  m'a  pas  été  donne  de  rencontrer  rien 
de  plus  qu'une  seule  charte  de  Jean  Galéaz. 

(i)  Ce  sont  les  n.o»:  591.  Appendu  à  un  traile  d'alliance  du  Comte  avec 
le  roi  de  France  (30  aoùt  1395).  —  11708.  Procuration  pour  le  mariage  de  Va- 
lentine  Visconti  (1387).  —  J'y  joins  le  n.°  11709,  Sceau  de  Valentine.  —  On 
trouverait  encore  d'autres  sceaux'de  Jean  Galéaz  dans  ncs  dépóts  fran^ais,  Je  si- 
gnale,  cès  à  présent,  celui  qui  est  appendu  au  traité  entre  Jean  Galéaz  et  le 
Comte  de  Savoie  (Arch.  Nat.,  K.  50,  n."  8;  Tardif,  Cartons  des  rois,  n."  1578). 

(2)  A.  DE  Longpérier,  Oeuvres,  to.  V,  p.  ic6,  Monnaies  de  Jean  Galéaz, 
Comte  de  Vertus  en  Champagne  (Extrait  du  to.  IV,  Nouv.  sèrie,  de  la  Revue 
Numismatiqtte)',  cf.  Auguste  Denis,  Essai  sur  la  Numistnatique  de  la  parile  de  la 
Champagne  représentée  aujourd'hui  par  le  dép.  de  la  Marne,  Chalons,  1872. 


^4  HENRY   COCHIN 

Je  me  suis  attaché  à  examiner  les  liasses  abondantes  qui  ren- 
ferment  des  documents  intéressant  les  divers  lieux  de  eulte  qui  ont 
existé  à  Vertus,  et  notamment  les  deux  abbayes  de  Saint  Sauveur 
et  de  Notre  Dame,  ainsi  que  l'église  Collegiale.  Il  y  a  là  d'assez 
beaux  chartriers  possédant  des  bulles  pontificales,  et  bien  fournis 
de  titres,  qui  témoignent  de  nombreuses  fondations  pieuses  éma- 
nant  surtout  des  comtes  de  Champagne  et  rois  de  Navarre.  J'y 
ai  trouvé  des  traces  du  gouvernement  de  Jean  Galéaz,  mais  toujours 
par  l'intermédiaire  de  procureurs  ou  de  gouverneurs.  Ainsi  nous 
sont  révélés  les  noms  de  plusieurs  des  intermédiaires  et  fonction- 
naires  qu'employa  le  Comte  de  Vertus;  mais  on  ne  le  voit  jamais 
paraitre  de  sa  personne  que  dans  Tunique  pièce  que  j'ai  repro- 
duite,  et  oìi  Ton  se  demande  vraiment  quelle  est  la  raison  particu- 
lière  de  son  intervention.  Car  cette  pièce  elle-méme  d'ailleurs  n'est 
que  la  confirmation,  le  «  vidimus  »  d'un  acte  émané  d'un  person- 
nage  qui  servit  de  procureur  à  Jean  Galéaz  en  1367,  et  se  nommait 
Amechin  de  Vozèle  (ou  Bozèle).  Mais,  Gomme  nous  l'apprendra  la 
"  Prisée  »  qui  sera  analysée  plus  loin,  il  s'était  servi,  l'année  précé^ 
dente  (1366)  d'un  autre  personnage  nommé  Berthelemin  de  Garim- 
baut,  et  désigné  comme  «  procureur  et  receveur  ».  Un  peu  plus 
tard,  un  document  nous  révèle  la  présence  d'un  fonctionnaire  de 
caractère  plus  stable,  un  gouverneur;  ce  document  concerne  Notre 
Dame  de  Vertus  (i)  pour  un  démélé  au  sujet  de  certaines  «  ma- 
u  sures  »  sises  au  lieu  dit  «  le  four  aux  raynes  ».  Il  émane  d'un 
certain  u  Sauces  de  Nogent,  chevalier,  seigneur  d'Auney,  gouver- 
«  neur  du  Comté  de  Vertus  »  (2).  1   , 

Quelques  années  plus  tard,  et  sans  que  l'on  puisse  dire  à  quel 
moment  et  pour  quelles  causes,  Sauces  de  Nogent  quitta  ses  fonc- 
tions.  On  rencontre  le  nora  d'un  autre  gouverneur  de  Vertus  «  Ber- 
«  tram  Guasch,  escuier  ».  Celui-là  semble  avoir  joué  un  ròle  assez 
important,  et  on  le  voit  figurer  dans  plusieurs  des  pièces  concer- 
nant  le  mariage  de  Valentine  Visconti.  J'en  parlerai  plus  loin.  Je 
finis  d'abord  ce  qui  concerne  l'administration  du  Comté  de  Vertus. 
M.  Jarry  (3)  a  transfor/^ié  le  nom jJe  Guasch  en  Guasco  et  a  suppose 

(i)  Archives  de  la  Marne,  Chalons  sur  Marne,  G.  1474. 

(2)  Il  y  est  (pour  tout  dire)  question  d'un  autre  fonctionnaire  plus  modeste, 
«  Jacquet  Vidamour,  sergeant  de  monsigneur  le  Comte  de  Vertus  ». 

(3)  E.  Jarry,  La  vie  politiqus  de  Louis  de  France,  due  d'Orléans  (i)j2-i40j), 
Paris,  1889. 


JEAN  GALÉAZ  VISCONTI  ET  LE  COMTÉ  DE  VERTUS        285 

le  personnage  italien.  Il  ne  dit  pas  pour  quelle  raison.  J'ai  rencontré 
le  nom  sous  ces  formes:  Guaschi  Giiasc  ou  Gasch,  en  fran^ais,  et 
Guaschus  en  latin.  Par  lui-méme,  le  nom  peut  étre  fran^ais  aussi 
bien  qu'italien.  Quoi  qu'il  en  soit,  Guasch  figure  comme  gouverneur 
de  Vertus  dans  des  actes  de  1373,  puis  de  1387  (t)  ;  il  re9oit  le  méme 
titre  en  1397,  y  ajoutant  celui  de  «  Chambellan  de  Monsigneur  le  Due 
«  d'Orléans  »  (2).  Puis  j'ai  lieu  de  croire  qu'il  cesse  d'étre  gouver- 
neur au  moment  de  la  mort  de  Jean  Galéaz,  ou  peu  après.  En  effet 
dans  un  acte  de  1404,  Bertram  Guasch  s'intitule  encore  «  Cham- 
«  bellan  du  Due  d'Orléans  »,  mais  il  ajoute:  «  jadis  gouverneur  de 
«  la  Comté  de  Vertus  »  (3). 

En  general  donc,  le  comté  est  administré  par  des  fonction- 
naires  et  non  directement  par  le  comte,  et  c'est  pourquoi,  ainsi 
d^ailleurs  que  Fon  s'y  devait  attendre,  le  nombre  des  pièces  éma- 
nées  du  comte  lui-méme  ont  dù,  en  tous  temps,  étre  rares.  Pour- 
tant  il  en  a  existé,  puisque  nous  en  tenons  une,  mais  sauf  un  hasard 
heureux,  il  est  douteux  que  nous  en  rencontrions  d'autres.  En  effet 
nous  apprenons  en  outre,  par  un  autre  document,  que  les  archives 
du  comté  avaient  été  brùlées  et  détruites  par  fait  de  guerre.  C'est 
ce  que  nous  verrons  tout  à  l'heure,  en  parlant  du  précieux  docu- 
ment que  possèdent  encore  les  Archives  Nationales,  la  «  Prisée  »  du 
comté  de  Vertus. 

Il  faut  rappeler  en  quelques  mots  ce  que  fut  le  comté  quand 
Jean  le  Bon  le  constitua  pour  en  faire  la  dot  de  sa  fille  Isabelle 
de  France,  et  aussi  ce  qu'avait  été  Vertus  dans  des  temps  plus 
anciens.  Cette  histoire  est  aisée  à  suivre  dans  les  travaux  de 
d'Arbois  de  Jubainville  (4),  de  Longpérier  déjà  cité  et  de  Lon- 
gnon  (5). 


(i)  29  décembre  1387,  Arch.  Nat.,  K.  552.  Cf.  aussi  Lalore,  Collection  des 
cartuìaires  du  diocèse  de  Troyes,  Paris,  1878,  to.  IV. 

(2)  5  aoùt  1397,  Arch.  de  la  Marne  à  Chalons  sur  Marne,  G.  144$. 

(3)  Arch.  de  la  Marne  à  Chalons  sur  Marne,  G.  144 1.  —  L'acte  est  fait  au 
nom  de  a  Jehan  le  Gay  d'Ay,  bailli  de  monsigneur  le  due  d'Orléans  pour  ses  terres 
«  de  Champagne  et  de  Brie  ».  —  Il  est  clair  que  dès  lors  le  système  d'administra- 
tìon  institué  par  Jean  Galéaz  a  pris  fin. 

(4)  D'Arbois  de  Jubainville,  Histoire  des  ducs  et  des  comtes  de  Champagne, 
Paris,  1859-66  ;  cf.  aussi  :  CalmetTe,  Histoire  des  villes  et  villages  de  la  Marne, 
Reims,  1880.  Voir  aussi  :  Ordonnances  des  Rois  de  France,  to.  Ili,  p.  549. 

(5)  Dìctionnaire  topographique  de  la  Marne,  Paris,  1891. 


286  HENRY   COCHIN 

Vertus  est  situé  à  30  kil.  au  sud-ouest  de  Chalons-sur-Marne, 
dans  cette  grande  plaine  crayeuse,  à  peine  traversée  de  quelques 
ondulations  de  collines,  qui  s'étend  d'Epernay  à  Vitry-le-Frangois. 
C'est  aujourd'hui  un  chef  lieu  de  canton,  présentant  un  aspect 
de  propreté  et  d'aisance,  semblable  d'ailleurs  à  tant  d'autres  pe- 
tites  villes  de  la  région  champenoise.  Elle  est  à  l'heure  présente, 
comme  elle  l'était  au  Moyen  àge  (i),  entourée  de  vignes,  et  le 
centre  d'un  important  commerce  de  vins.  La  ville  actuelle  ne  garde 
guère  que  deux  souvenirs  du  passe  :  la  belle  Collegiale,  qui  date, 
en  partie  du  moins,  du  douzième  siècle,  et  possedè  une  crypte 
plus  ancienne  peut-étre;  puis  un  fragment  des  remparts  du  moyen 
àge,  avec  une  belle  porte  en  ogive,  que  l'on  nomme  Porte-Baudet.  La 
ville  entière  a  gardé  la  forme  arrondie  que  lui  a  imposée  longtemps 
la  ceinture  de  ses  remparts  aujourd'hui  disparus.  Elle  est  d'ailleurs 
posée  au  flanc  d'un  coteau  et  toute  en  pente.  En  haut  de  la  ville 
et  au  dessus  de  la  Collegiale,  le  nom  d'une  rue  [Rue  du  Chàteau) 
et  un  mouvement  de  terrain  bien  marqué  prouvent  seuls  l'existence 
d'un  ancien  chàteau  fort. 

On  ne  peut  oublier  de  parler  des  eaux,  dont  la  beauté  fait  le 
caractère  du  lieu  et  explique  aisément  qu'il  ait  du  ètre,  dès  les 
temps  les  plus  anciens,  un  centre  de  population.  Il  y  a  deux  sources; 
l'une,  en  haut  de  la  colline,  est  si  abondante  qu'elle  forme  un  petit 
étang  d'eau  vive,  où  baigne  le  pied  méme  de  la  Collegiale;  l'autre. 
au  milieu  de  la  ville,  fournit  incessamment  un  volume  extraordi- 
naire  d'eau  plus  limpide  encore.  Les  eaux  de  ces  deux  sources 
forment,  à  la  sortie  méme  de  la  ville,  une  rivière  assez  importante, 
que  l'on  nomme  aujourd'hui  la  Berle. 

A  deux  kilomètres  de  Vertus,  sur  le  territoire  de  Bergères- 
les-Vertus,  s'élève  une  colline  isolée,  qui  mesure  240  mètres  de 
haut,  ce  qui  lui  donne,  au  milieu  des  plaines  et  de  bas  coteaux 
de  Champagne,  l'aspect  et  la  renommée  d'une  montagne.  On  nomme 
aujourd'hui  cette  colHne  le  Montaimé;  cette  forme  moderne  du  nom, 
modelé  sur  une  forme  latine  imaginaire,  a  supplanté  la  forme  en 
usage  pendant  tout  le  moyen-àge:  Moymer  (2).  C'est  sur  le   Moy- 

(i)  L'immense  majorité  des  pièces  que  j'ai  rencontrées  aux  Archives  de  la  Marne 
touchent  à  des  questions  de  dimes  sur  les  vignes  de  Vertus  et  de  Bcrgères-les-Vertus. 

(2)  En  latin  ce  nom  a  plusieurs  formes  diverses.  La  plus  frequente  est  Mons 
Aymeri.  Mais  à  l'année  877,  les  Annales  Bertìnianì  donnent  :  Mons  Witmari.  — 
Le  chàteau  fut  définitivement  détruit  au  quinzième  siècle.  Cf.  Longnon,  loc.  cit. 


JEAN    GALÉAZ   VISCONTI  ET   LE    COMTÉ    DE   VERTUS  287 

mer  que  s'élevait  jadis  le  chàteau  fort  des  comtes  de  Champa- 
gne, qui  va  figurer,  comme  un  don  de  valeur,  dans  la  dot  d'Isabelle 
de  France  en  1361.  Le  Moymer  avait  sa  legende  au  moyen  àge. 
La  tradition  populaìre  y  pla^ait  le  chàteau  d'Hautefeuille,  demeure 
du  traitre  Ganelon.  M.  Longnon  le  trouve  bien  désigné  en  cette 
qualité  dans  la  Chanson  de  geste  qui  a  pour  titre  Gaufrey. 

Ce  qui  signale  Vertus  à  l'attention  au  cours  du  moyen  àge,  e' est 
d'avoir  servi  de  séjour  fréquent  aux  comtes  de  Champagne,  qui  y 
avaient,  de  bonne  heure,  institué  une  prévoté.  Le  nom  méme  de 
Vertus  remonte  à  une  epoque  bien  plus  ancienne.  11  n'a  pas  d'autre 
rapport,  bien  entendu,  qu'une  assonnance  de  hasard,  avec  le  mot  qui 
signifie  les  mérites  de  l'àme;  mais  cette  assonnance  a  naturellement 
et  dès  longtemps  donne  lieu  à  des  confusions  et  à  des  jeux  de  mots, 
dont  le  principal  est  contenu  dans  cette  devise  connue  :  Post  funera 
virtus  ;  on  en  rapportait  l'invention  à  Jean  le  Bon,  pour  honorer  la 
fidélité  des  Champenois  envers  le  roi  de  France  captif. 

Quoi  qu'il  en  soit  de  cette  devise,  dont  l'origine  et  l'ancien- 
neté  sont  également  douteuses,  il  est  certain  du  moins  que  le 
nom  de  la  ville  de  Vertus  a  une  étymologie  tout  autre  que  psy- 
chologique.  C'est  un  vieux  nom  celtique.  Il  y  a  eu  un  «  Pagus 
u  Virtudensis  »,  nommé  dans  une  charte  de  Louis  le  Débonnaire 
et  Lothaire  en  825.  Il  est  appelé  «  Virtudisus  »  dans  un  capitu- 
laire  de  Charles-le-Chauve,  qui  le  désigne  parmi  les  lieux  appar- 
tenant  à  la  «  Missie  »  d'Hincmar.  Flodoard  mentionne  la  «  Villa 
«  Virtudis  ».  Un  peu  plus  tard,  le  jeu  de  mots  est  accompli:  Raoul 
Glaber  parie  du  «  Vicus  Virtutis  »,  et  dàns  une  vie  anonyme  de 
S.  Arnoul,  il  y  a  un  lieu  dit  «  Virtutes  ».  Cette  forme  persiste 
dans  les  chartes  d'Henri  le  Liberal  au  douzième  siècle  et  semble 
prendre  une  possession  definitive  (i). 

Voila  pour  ce  qui  est  du  nom.  Quant  à  l'histoire,  en  voici  le 
résumé.  Vertus  nous  apparaìt  d'abord,  comme  archidiaconé  de 
l'évéché  de  Reims.  Le  comte  de  Champagne  Herbert  II  s'en  em- 
para,  en  970,  malgré  les  résistances  du  fameux  évéque  Adalbé- 
ron  (2).  En  977,  la  cession  fut  régularisée  et  consentie  par  le  cha- 

(i)  Cependant  on  trouve  ancore  «  de  Virtuto  »  au  XIV^  siècle.  (Jean  XXII, 
Lettres  communes,  analysées  d'après  les  registres  dits  d'Avignon  et  du  Vatican, 
Paris,  1905,  to.  V,  fase.  III).  Cf  aussi  Lex,  Eudes  comte  de  Blois,  p.  56, 

(2)  Il  est  question  de  ces  faits  dans  les  Lettres  de  Gerbert. 


288  HENRY   COCHIN 

pitre  de  Reims,  moyennant  une  redevance  annuelle.  Cette  situation 
durait  encore  au  douzième  siede.  Pendant  ce  dernier  siècle,  Vertus 
est  un  séjour  presque  habituel  des  comtes  de  Champagne.  A  plu- 
sieurs  reprises  des  dames  le  re9oivent  comme  douaire.  On  le  voit 
en  particulier  figurer  dans  le  douaire  de  Bianche  de  Navarre,  qui 
construisit  ou  plutòt  augmenta  le  chàteau  de  Moymer  en  1210. 
En  1229,  notre  Sire  de  Joinville  raconte  un  siège  et  un  incendie 
de  la  ville  de  Vertus.  Pourtant  la  destruction  n'avait  pas  dù  étre 
complète,  puisque  nous  voyons,  en  1230,  les  habitants  de  Vertus 
recevoir  du  comte  de  Champagne  une  charte  de  libertés  commu- 
nales.  Ils  sont  d'ailleurs  en  fréquentes  relations  avec  leurs  comtes, 
car  ceux-ci  continuent  à  multiplier  leurs  séjours  à  Vertus,  ou  plutòt 
dans  le  chàteau  fort  de  Moymer.  C'est  sur  ce  mont,  qu'on  voit  par 
exemple,  en  1239,  le  fameux  comte  Thibaut  IV,  le  poéte,  brùler 
83  hérétiques  Albigeois,  en  présence  d'une  nombreuse  assemblée. 
Les  comtes  de  Champagne  ont  trouvé  à  Vertus  un  séjour  de  pré- 
dilection.  Ils  y  ont  fonde  les  deux  abbayes  de  Notre  Dame  et  de 
Saint  Sauveur.  Voilà  ce  qu'il  importe  de  savoir  jusqu'au  moment 
où  Jeanne  de  Champagne,  en  épousant  Philippe  IV  le  Bel,  apporte 
la  Champagne  à  la  France. 

La  Champagne  ne  mit  pas  longtemps  à  devenir  très  frangaise 
de  coeur  ;  les  rois  y  rencontrèrent  aide  et  appui,  au  moment  du 
plus  apre  danger.  En  1358,  pendant  méme  la  captivité  du  roi,  le 
Dauphin  trouva  moyen  de  réunir  à  Vertus  les  notables  de  Cham- 
pagne et  d'obtenir  d'eux  les  subsides  que  les  Etats  Généraux  lui 
avaient  refusé.  Deux  ans  plus  tard,  il  négociait  le  mariage  de  sa 
soeur  avec  Jean  Galéaz,  et  cette  «  heureuse  aventure,  gràce  à  la- 
it  quelle  »,  dit  Longpérier,  «  le  jeune  prince  Milanais  allait  se  trouver 
«  beau-frère  de  Charles  V  roi  de  France,  de  Louis  d'Anjou  comte 
«  de  Provence  et  roi  de  Naples,  de  Jean  due  de  Berri,  de  Phi- 
«  lippe  le  Hardi  due  de  Bourgogne  et  comte  de  Fiandre,  de  Jeanne 
u  reine  de  Navarre  et  comtesse  d'Evreux,  de  Marie  duchesse  de 
u  Bar  M.  Le  roi  Jean,  en  1361,  érigea  Vertus  en  comté  en  y  ajou- 
tant  les  seigneuries  de  Rosnay  (i)  et   de  la   Ferté    sur   Aube  (2), 

(i)  Aujourd'hui  Rosnay- l'hópi tal ,  Aube,  arrondissement  de  Bar-sur-Aube, 
cantori  de  Brienne-le-Chàteau.  —  Cf.  Boutrot  et  Socard,  DicHonnaire  topogra- 
phique  de  VAuie^  P-  I37« 

(2)  Haute-Marne.  Arrondissement  de  Chaumont,  canton   de   Chateauvillain. 


JEAN  GALÉAZ  VISCONTI  ET  LE  COMTÉ  DE  VERTUS       289 

afin  d'en  constituer  une  dot  à  sa  fille  Isabelle.  11  avait  voulu 
d'abord  lui  donner  un  comté  erige  à  Sommières  en  Languedoc, 
dans  la  sénéchaussée  de  Beaucaire;  on  verrà  plus  loin  les  raisons 
touchantes  mais  improbables  qui  furent  mises  en  avant  pour  faire 
préférer  Vertus  à  Sommières  :  il  était,  disait-on,  désirable  de  choisir 
une  contrée  qui  ne  fùt  pas  trop  éloignée  du  séjour  usuel  du  roi, 
afin  que  Galéaz  et  Isabelle,  lorsqu'ils  viendraient  visiter  leur  fief, 
pùssent  aisement  saisir  l'occasion  pour  aller  saluer  à  Paris  leur 
très  cher  pére  et  beau-père.  J'ajoute  que  le  roi  leur  assurait  à 
Vertus  une  demeure  noble  et  fortifiée,  puisqu'ainsi  que  nous  le 
verrons,  il  leur  donnait,  «  hors  prisée  »  et  à  part  du  comté,  le  vieux 
chàteau  des  comtes  de  Champagne  sur  le  sommet  du  Moymer. 

Je  ne  sais  si  Galéaz  alla  jamais  à  Vertus.  S'il  y  alla,  le  séjour 
y  dùt  manquer  à  la  fois  et  de  sécurité  et  d'agrément.  Nous  venons 
aux  plus  durs  moments  de  la  Guerre  de  Cent  ans.  Tous  les  do- 
cuments  que  nous  consultons  ne  parlent  que  de  faits  de  guerre. 
Nous  apprenons  notamment  que  Vertus  est  brulé  et  pillé  par  le 
due  de  Buckingham  en  1380.  Si  l'on  veut  se  faire  une  idée  des 
maux  incroyables  soufiferts  part  cette  partie  de  la  Champagne  pen- 
dant les  dernières  années  du  XIV^  siècle  et  les  premières  années  du 
XVe,  il  faut  voir  aux  Archives  de  la  Marne  certaines  pièces  qui  eùs- 
sent  pu  trouver  place  dans  le  beau  livre  du  pére  Denifle  sur  la  Déso- 
lation  des  Eglises.  C'est  notamment  le  mémoire  redige  par  Michel 
Joly,  abbé  de  Notre  Dame  de  Vertus,  pour  faire  connaìtre  la  misere 
de  son  abbaye  en  1420,  et  les  déprédations  incessamment  souffertes 
pendant  les  trente  ou  quarante  années  qui  viennent  de  s'écouler  (i). 

Tous  ces  faits  rendent  moins  surprenante  la  disette  de  docu- 
ments  que  nous  avons  constatée,  touchant  l'administration  du  comté 
de  Vertus.  Ce  n'est  pas  pourtant  que  nos  Archives  soient  pauvres 
de  documents  émanant  de  Jean  Galéaz  Visconti,  ou  le  concernant. 
Mais  parmi  ces  documents,  les  principaux  ont  trait,  non  au  mariage 
de  Jean  Galéaz  avec  Isabelle  de  France,  mais  au  mariage  de  sa 
fille,  la  belle   et   bonne   Valentine,   avec   Louis    due    de    Touraine 


(i)  Archives  de  la  Marne  à  Chalons  sur  Marne,  H.  469.  —  On  trouve  dans 
la  mème  liasse  une  magnifique  bulle  de  la  mème  année,  donnée  par  Martin  V 
à  Florence,  en  faveur  de  l'abbaye  de  Notre  Dame  de  Vertus,  à  l'occasion  des  maux 
qu'elle  avait  soufiferts. 


290  HENRY    COCHIN 

puis  due  d'Orléans,  fils  de  Charles  V.  Il  était  donc  naturai  que 
M.  Jarry  les  publiàt  dans  son  livre  sur  le  due  d'Orléans.  Nous  trou- 
vons  notamment  dans  ses  pièees  justificatives  :  i.o  Sous  le  numero  VI, 
une  pièee  de  J387  (concernant  la  eoncession  faite  au  Comte  de  Ver- 
tus  par  le  roi  Charles  V,  d'un  quartier  aux  Armes  de  France), 
commengant  par  les  mots  :  «  Nos  Johannes  Galéaz,  eomes  virtutum, 
u  mediolani....  imperialis  viearius  generalis  ».  C'est  un  vidimus  des 
Lettres  Patentes  de  Charles  V  (i).  2.0  Sous  le  numero  VII,  le  con- 
trat  de  mariage  de  Louis  due  de  Touraine  avec  Valentine  Vi- 
sconti (2),  confirmé  par  le  Comte  de  Vertus  ;  la  pièce  commence 
par  les  mèmes  mots. 

M.  Jarry  a  publié  encore  une  autre  pièee  émanant  du  Comte 
de  Vertus,  et  qui  n'a  pas  rapport  au  mariage  de  sa  fille  Valentine, 
sous  le  titre  :  «  Instructions  milanaises  relati ves  au  Royaume 
«  d'Adria  »  (3).  Je  l'indique  en  passant.  Il  n'est  pas  douteux  que 
nos  Arehives  ne  contiennent  encore  de  nombreux  documents  tou- 
chant  les  relations  diplomatiques  de  la  France  et  de  Milan  sous 
Jean  Galéaz.  Mais  il  n'a  pas  pu  entrer  dans  le  cadre  de  eette 
modeste  recherche  d'établir  méme  une  enquéte  approximative  sur 
ce  vaste  sujet  (4).  Je  me  contente  d'une  mince  récolte,  concernant 
seulement  le  eomté  de  Vertus  et  son  administration.  Et  à  ce  point 
de  vue  special,  il  faudra  noter    aux  Arehives  Nationales,  dans   la 


(i)  Arch.  Nat.,  KK.  896. 

(2)  Ibid.,  K.  532. 

(3)  Je  note  encore  aux  Arehives  Nationales  un  superbe  document,  mais  as- 
sùrément  connu,  et  dont  une  reproduction  doit  se  trouver  dans  les  Arehives  mi- 
lanaises. C'est  le  traité  d'alliance  conclu  entre  Amédée  comte  de  Savoie  et  le 
Comte  de  Vertus,  «  in  campis  Inter  Casalem  et  fortalicium  Trece  prope  rippam 
«  Padi,  die  sexta  Junii  Anno  domini  millesimo  trecentesimo  septuagesimo  quarto  ». 
Arch.  Nat.,  K.  50  (sceaux). 

(4)  On  aura  remarqué  dans  le  a  Ròle  de  la  dépense  du  due  de  Touraine  » 
ce  motif  de  dépense  assez  pittoresque:  «  Conduite  de  quatorze  destriers  envoyés 
a  d'Italie  par  le  Comte  de  Vertus  ».  [Les  ColUctions  de  Bastarci  d'Estang,  Cata- 
logne par  Léopold  Delisle,  Paris,  1885).  Je  signale  incidemment  encore  la  belle 
lettre  publiée  ailleurs  par  Léopold  Delisle,  et  par  laquelle,  en  1369,  Charles  V  sol- 
licitait  de  Jean  Galéaz  une  aide  pécuniaire  pour  la  rangon  de  leur  commun  beau- 
frère  le  comte  de  Bar,  retenu  prisonnier  à  Metz.  Je  remarqué  que  Jean  Galéaz 
n'y  TQqo'it  pas  son  titre  de  Comte  de  Vertus  :  «  Magnifico  et  potenti  viro  do- 
«  mino  Galeachio  domino  Mediolani  amico  nostro  carissimo  ».  (Mandements 
et  Acks  divers  de  Charles  F,  Paris,  1874.  Dans  ColUctions  de  documtnts  inédits). 


JEAN   GALÉAZ   VISCONTI    ET   LE   COMTÉ   DE  VERTUS  29I 

liasse  qui  fournit  les  pièces  touchant  le  mariage  de  Valentine,  une 
pièce  au  moins  qui  a  rapport  plus  direct  au  comté  de  Vertus 
par  lui-méme,  mais  encore  n'est  elle  dressée  qu'en  vue  du  mariage, 
et  comme  suite  du  contrat  de  mariage  approuvé  le  8  avril  1387. 
C'est  une  pièce  qui  donne  pouvoirs  pour  Texécution  de  certaines 
obligations  résultant  du  contrat  de  mariage;  et  si  ces  pouvoirs  sont 
donnés  à  Bertrand  Guasch,  gouverneur  de  Vertus,  ce  n'est  pas 
seulement  parce  qu'il  peut  étre  question  occasionnellement  dans 
l'acte  du  comté  de  Vertus,  mais  surtout  parcequ'à  ce  moment 
Guasch  était  le  représentant  habituel  de  Jean  Galéaz  pour  toutes 
les  affaires  qu'il  avait  à  traiter  en  France.  C'est  de  quoi  on  peut 
s'assurer  en  étudiant  les  documents  publiés  par  Jarry  et  surtout 
l'important  document  dont  nous  donnerons  en  terminant  l'analyse. 
Le  comté  de  Vertus  sortit  des  mains  des  Visconti  par  la  mort 
de  Jean  Galéaz,  ainsi  d'ailleurs  qu'il  avait  été  stipulé  dans  le  con- 
trat de  mariage  de  Valentine.  Il  ne  resta  pas  longtemps  dans  la 
maison  d'Orléans.  La  fille  de  Louis  d'Orléans  et  de  Valentine  Vi- 
sconti, Marguerite  d'Orléans,  née  en  1406,  fut  donnée  en  mariage 
à  Richard  de  Bretagne,  comte  d'Etampes  (i).  Elle  mourut  en  1466. 
C'est  elle  qui  porta  le  comté  de  Vertus  dans  la  maison  de  Breta- 
gne. Cette  Marguerite  fut  mère  de  Francois,  deuxième  du  nom, 
due  de  Bretagne,  et,  par  lui,  grand'mère  d'Anne  de  Bretagne,  reine 
de  France.  Je  fais  remarquer  pour  mémoire  que  Louis  XII,  le  se- 
cond  époux  d'Anne  de  Bretagne  avait,  comme  elle,  pour  bisaieule 
Valentine  Visconti  et  pour  trisaieul  Jean  Galéaz. 

(i)  Nous  n'avons  pas  à  suivre  le  Comté  de  Vertus  dans  ses  destinées  ul- 
térieures.  Mais  je  devais  indiquer  une  nouvelle  direction  de  recherches  aux  érudìts 
qui  voudraient  continuer  jusqu'au  bout  la  recherche  de  documents  concernant 
Jean  Galéaz,  Comte  de  Vertus,  et  Valentine  sa  fille.  Par  exemple,  les  Archives 
départementales  de  la  Loire  Inférieure  renferment  plusieurs  documents  de  cette 
origine.  UInventaire  Sommaire  signale  (to.  Ili,  Nantes,  1879,  p.  8)  :  i.»  E,  26. 
Ratification  par  Jean  Galéaz,  Comte  de  Milan  et  de  Vertus,  des  articles  du  con- 
trat de  mariage  de  sa  fille  Valentine,  fiancée  à  Louis,  due  de  Touraine  et  comte 
de  Valois,  et  de  la  promesse  y  contenue  d'une  dote  immobilière  de  30,000  du- 
cats.  —  2.°  E.  33.  Copie  extraite  des  Archives  de  la  Chambre  des  Comptes 
contenant  le  prisage  du  comté  de  Vertus,  aveux  de  vassaux,  donations,  privi- 
lèges.  —  Ces  deux  documents  ne  sont  sans  doute  que  des  doubles  des  pièces 
que  possèdent  les  Archives  Nationales.  —  On  peut  consulter:  J.  Trévédy,  Sei- 
^muries  de  Bretapie  hors  de  Bretagne  (dans  Revue  de  Bretagne,  de  Vendèe  et 
d'Anjou,  Année  1896,  notamement  le  n."  du  mois  d'aoùt). 


292  HENRY   COCHIN 

C'est  par  le  fait  de  Marguerite  d'Orléans,  comtesse  d^Etampes 
et  de  Vertus  et  dame  de  Clisson,  que  nous  possédons  le  plus  im- 
portant  document  que  je  connaisse  sur  le  mariage  d'Isabelle  de 
France  avec  Jean  Galéaz  et  sur  l'érection  et  l'importance  du  comté 
de  Vertus.  En  1446  la  comtesse  d'Etampes  n'ayant  plus  d'archives 
concernant  Vertus  par  suite  des  incendies  et  des  pillages  de  la 
dernière  guerre,  fit  faire  une  copie  d'un  important  document  reste 
depuis  quatre  vingts  ans  en  la  Chambre  des  Comptes  du  roi  à 
Paris.  C'est  la  «  Prisée  »,  que  Charles  V  avait  fait  dresser  en  1366 
du  comté  de  Vertus,  afin  d'en  bien  fixer  la  valeur  et  la  mesurer 
au  chifFre  de  la  dot  promise  à  sa  soeur  Isabelle.  Cette  Prisée  est 
suivie  d'un  véritable  cartulaire,  et  il  renferme  un  nombre  considé- 
rable  de  pièces  et  de  renseignements  touchant  l'histoire  locale  et 
l'histoire  generale  (i). 

La  «  Prisée  »  du  comté  de  Vertus  copiée  en  1446,  forme  un 
volume  in-4  de  163  folios  numérotés,  dont  deux  (57  et  58)  blancs;  il 
se  trouve  à  Paris,  aux  Archives  Nationales,  sous  la  cote  KK.  1080: 

fol.  I  -  fol.  2  r.o  Mandement  de  Charles  V,  donne  à  Paris,  le 
29  avril  1366.  Charles  V  mande  à  maitre  Colart  Cathon  clerc  et 
à  Jacques  Soyer,  procureur  du  Roi  au  baillage  de  Vitry,  de  se  tran- 
sporter  au  comté  de  Vertus  et  d'en  faire  la  prisée,  comme  il  a  été 
convenu  lors  du  mariage  d'Isabelle  de  France  avec  «  Jean  Galeach  ». 
Le  résultat  de  cette  prisée  devra  étre  envoyé  à  la  Chambre  des 
Comptes  à  Paris  ; 

fol.  3  r.o  «  C'est  la  prisée  de  la  Comté  de  Vertus....  faite  par 
u  nous  Colart  Cathon....  et  Jacques  Sohier  »;  les  priseurs  deman- 
dèrent  conseil  dans  leur  mission  à  plusieurs  personnes  notables, 
dont  «  Berthelemin  de  Garimbaut,  procureur  et  receveur  de  Mon- 
«  seigneur  le  Comte  de  Vertus  »  ; 

fol.  3  v.o  -  5  v.o  Cathon  et  Soyer  nomment  les  divers  lieux 
auxquels  ils  ont  dù  se  transporter  dans  le  comté,  en  méme  temps 
que   les    dates   choisies  par    eux    pour   opérer   la    prisée   (depuis 


(i)  Quoique  ce  document  n'émane  pas  personellement  de  Jean  Galéaz,  il  a 
pour  l'histoire  de  ce  persomiage  assez  d'importance  pour  qu'il  n'ait  pas  paru  inu- 
tile de  l'analyser,  en  citant  brièvement  les  passages  les  plus  intéressants.  Il  a  été 
publié  en  grande  partie  récemment  :  Aug.  Longnon,  Documents  relatifs  au  comté 
de  Champagne  et  de  Brie  (1172-1361),  to.  II,  pp.  550-570  (Coli  de  doc.inédits). 


JEAN   GALÉAZ   VISCONTI  ET   LE   COMTÉ    DE  VERTUS  293 

juin  1366  jusqti'en  décembre  1367);  ils  disent  les  difficultés  qu'ils 
ont  eu  lorsque  «  vindrent  les  eompaignes  ou  pays  »  (i)  :  ils  expo- 
sent  aussi  les  raisons  pour  lesquelles  ils  ont  dù  estimer  certaines 
terres  ou  certains  droits  à  très  bas  prix,  u  eonsidéré  les  guerres 
«  qui  avoyent  destruit  le  pais  et  que  les  choses  estoyent  en  très 
«  petit  estat  ».  Le  comté  de  Vertus  se  compose  de  trois  chàtel- 
lenies,  celle  de  Vertus  avec  le  chàteau  de  Moymer,  celle  de  Ro- 
snay,  celle  de  la  Ferté  sur  Aube. 

Suit  la  liste  détaillée  ées  revenus  de  ces  chàtellenies: 

fol.  6  r.o  -  20  r.o  Revenus  de  la  ville,  chàtellenie  et  prevóté 
de  Vertus  et  de  Moymer  (2). 

fol.  20  r.*'  -  21  r.o  Chsìrges  de  cette  chàtellenie;  rcivenu  net. 

fol.  21  v.o  -  33  r.o  Rentes  et  charges  de  la  chàtellenie  de 
Rosnay;  revenu  net. 

fol.  34  r.°  -  44  r.o  Revenu  et  charges  de  la  Ferté  sur  Aube. 

fol.  44  r.o  Total  des  revenus  de  l'ensemble  du  comté  de 
Vertus,  3.358  livres  tournois,  12  sous,  3  deniers;  somme  sur  la- 
quelle  (fol.  44  v.**)  il  faut  rabattre  les  gages  du  «  bailli,  procureur 
«  et  receveur  »  de  la  dite  comté  «  pour  gouverner  icelle  »,  qui  se 
montent  à  100  1.  par  an. 

Fin  de  la  prisée  proprement  dite. 

fol.  44  v.o  -  45  r.o  Observations  faites  le  9'  juin  1375  par  la 
Chambre  des  Comptes  à  propos  de  cette  prisée.  Le  roi  n'ayaflt 
donne  à  Jean  Galéaz  et  à  sa  femme  que  3000  livres  de  rente  et 
la  prisée  ayant  montré  que  le  comté  produisait  net  3258  1.,  12  s., 
3  d.,  258  1.,  12  s.,  3  d.  devaient  revenir  par  an  au  roi;  or  cette  somme 
ne  lui  a  pas  été  remise  «  depuis  XIII  ans  en  9a  que  la  possession 
«  des  dis  lieux  fu  baillée  au  dit  conte  ou  à  ses  gens  pour  lui  »; 
cela  fait  que  le  Comte  de  V.  doit  au  roi  la  somme  de  3361  1.,  19  s., 
3  d.;  mais  comme,  d'autre  pàrt,  le  gouverneur  du  comté  de  V.  se 
plaignait  à  la  Chambre  des  Comptes  que  les  revenus  de  ce  comté 
avaient  été  fort  exagérés  dans  la  prisée,  il  est  décide  par  le  con- 


(i)  C'est  le  moment  méme  où  Bertrand  du  Guesclin  mit  fin  aux  ravages 
des  Grandes  Compagnies  en  les  entrainant  en  Espagne  (1366), 

(2)  Remarquons  que  parmi  les  revenus  assignés  à  J.  G.  dans  la  ville  méme 
de  Vertus  se  trouve  la  collation  des  prébendes  canonicales  de  la  collegiale  de 
S.tjean. 

Arch   Slor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VI.  19 


294  HENRY   COCHIN 

seil  du  roi  que  le  roi  rattacherait  à  son  domaine  quelques  terres 
attribuées  d'abord  au  comté  et  qu'il  tiendrait  quitte  le  comte  des 
sommes  à  lui  dùes;  cette  transaction  est  exposée  avec  plus  de 
détail  dans  les  lettres  royaux  qui  suivent. 

fol.  45  V."  -  56  r.o  Copie  de   lettres   patentes    en    forme   de 
charte  de  Charles  V;  Paris  le  9  juin  1375;  ces  lettres  contiennent 
(fol.  45  V.  -  50  V.)  le  vidimus  de  lettres  patentes  en  forme  de  charte 
de  Jean  le  Bon  datées   de    Paris,   avril  1361.  Celles  de  Charles  V 
sont  en  fran^ais,  celles  de  Jean  le  Bon  en  latin  (i). 

Charles  V  rappelle  que,  comme  régent  du  royaume,  en  l'ab- 
sence  de  son  pére,  il  a  constitué  en  dot  a  sa  soeur  Isabelle,  lors 
de  son  mariage  avec  Jean  Galéaz  Visconti,  trois  mille  livres  de 
rente  sur  la  ville  et  chàtellenie  de  Sommières  (2),  érigées  en  comté. 

Le  roi  Jean  (charte  latine),  sur  la  demande  des  conjoints,  con- 
sent  à  leur  assigner  ce  revenu  sur  un  territoire  plus  rapproché  de 
Paris,  afìn  que  «  quando  dictos  filium  et  filiam  nostros  in  Fran- 
«  ciam  venire  contigerit,  frequencius  ipsos  videre  possimus  quam 
«  eosdem  videremus  si  in  locis  de  Sumidrio  predicto  residerent  »>. 

Il  fait  rentrer  Sommières  dans  le  domaine  royal,  et  choisit  en 
échange  un  territoire  forme  du  chàteau  de  Moymer,  des  villes  de 
Vertus  et  de  Rosnay,  du  chàteau  et  de  la  ville  de  La  Ferté  sur 
Aube  et  de  leurs  dépendances;  il  forme  un  comté,  ayant  exacte- 
ment  les  mémes  droits  et  les  mémes  devoirs  que  celui  de  Som- 
mières; c'est  à  dire  que  Galéaz  et  Isabelle  auront  le  droit  de  tou- 
cher  tous  les  revenus  du  comté  jusqu'à  concurrence  de  3000  1.  t.  ; 
que  le  comté  resterà  a  celui  des  dé^tx  conjoints  qui  survivra  à 
l'autre;  qu'après  leur  décès  il  reviendra  à  leurs  enfants  ;  que  s'ils 
n*en  ont  pas,  il  fera  retour  à  la  couronne.  Le  comté  aura  toutes 
les  franchises  ;  l'hommage,  cependant,  en  sera  du  au  roi  et  il  res- 
sortira  à  la  juridiction  du  Parlement.  Il  devra  étre  fait  prisée  de  ce 
nouveau  comté.  En  dehors  des  3000  1.  de  rente  qu'ils  pourront  en 
percevoir,  le  roi  leur  donne,  en  plus  de  l'estimation,  les  bàtiments 
du  chàteau  de  Moymer.  La  Chambre  des  Comptes  de  vrase  charger 
de  la  prisée. 

(i)  M.  Longnon  a  préféré  pubblier  ce  document  d'aprés  le  texte  qui  en 
existe  au  Trésor  des  Charles,  J.  503,  n.*'  3. 

(2)  Sommière,  département  du  Gard,  arrondissement  de  Nimes.  Cf.  Germer  - 
Durano,  Dictionnaire  topographique  du  Gard,  p.  239. 


JEAN  GALÉAZ  VISCONTI  ET  LE  COMTE  DE  VERTUS        295 

lei  finit  la  charte  de  Jean  le  Bon  et  reprend  celle  de  Charles  V; 
le  roi  dit  qu'après  que  la  prisée  ordonnée,  «  escripte  en  un  livre 
«  de  parchemin  seellé  de  nostre  contre  seel  »  (i),  a  été  exécutée 
«  notre  amé  Bertran  Guasch,  escuyer,  gouverneur  du  dit  conte  de 
u  Vertus,  si  comme  il  puet  apparoir  par  lettres  patentes  seellées  du 
«  grant  seel  de  nostre  dit  frère  [GaleasJ  (2),  dont  le  transcript  est  de- 
«  mouré  en  nostre  dite  Chambre  des  Comptes,  se  soit  puis  naguères 
«  trait  par  devers  nous  et  nos  dites  gens  des  Comptes,  et  soy  dolu 
«  et  complaint  de  plusieurs  villes  et  habitans  d'icelles,  nobles  et  au- 
u  tres  du  dit  conte,  qu'il  disoit  à  lui  estre  baillez  en  la  dite  assiette 
«  lesquelz  refusoyent  et  contredisoyent  »....  D'un  autre  coté  le  comte 
de  Vertus  devait  au  roi  une  somme  (3361  livres)  pour  la  raison 
exposée  plus  haut;  la  Chambre  de  Comptes,  comme  nous  Tavons  vu, 
rattache  à  la  couronne  un  certain  nombre  de  terres  indiquées  primi- 
tivement  comme  faisant  partie  du  comté  (par  exemple  tous  les  biens 
de  Tabbaye  de  Clairvaux)  mais,  en  méme  temps,  elle  veut  que  Jean 
Galéas  paie  la  somme  due.  Après  avoir  pris  ces  mesures  la  Cham- 
bre des  Comptes  dèci  are  que  «  toutes  les  autres  parties,  demaines 
«  et  villes  contenues  en  la  dite  prisée  et  assiette  seront  et  demour- 
«  ront  à  tous  jours  de  la  conte  de  Vertus  et  ressort  d'icellui 
«  conte  ".  Le  roi  approuve  et  ratifie  ces  mesures;  il  donne  cepen- 
dant  u  de  grace  espécial  »  pleine  et  entière  quittance  au  comte 
àe  Vertus  de  la  somme  de  3361  livres  et  cela  «  pour  et  ou  nom 
«  des  enfens  du  dit  conte  et  de  nostre  dite  suer  et  pour  contem- 
«  placion  des  dis  meneurs  ». 

fol.  56  r.o  Fin  de  la  charte  de  Charles  V;  suit  immédiate- 
ment  l'exposé  de  la  raison  pour  laquelle  la  copie  de  la  prisée  a 
été  entreprise  en  1446. 

fol.  56  r.o  -  V  °  Lettre  du  procureur  de  «  Madame  Marguerite 
u  d'Orléans,  comtesse  d'Estampes  et  de  Vertus,  dame  de  Cligon  ", 
demandant  que  l'on  lui  fasse  une  copie  de  «  l'assiette  et  prisée 
«  qui  fut  faicte  ja  pie^a  à  feu  le  due  de  Milan  ». 

fol.  56  v.o  «  Ex  ordinacione  dominorum  Compotorum....  cujus 


(i)  Voilà  donc  la  description  de  l'originai  de  la  «  prisée  »,  dont  nous  n'avons 
plus  que  la  copie. 

(2)  Notons  ce  fait  :  Galeas  prévenait  le  roi  des  nominations  qu'il  faisait  daps 
l'intérieur  de  son  comté. 


296  HENRY   COCHIN   -  JEAN   GALÉAZ   VISCONTI,   ECC. 

«  assiete  in  dieta  camera  existentis  facta  fuit  collacio  hujus  pre- 
u  sentis  copie,  die  XVIIJ  maii  millesimo  CCCC'"^  XLVJto,  per  yne 
u  (plus  bas)  Fromont  »; 

fol*  57»  5^  r°  v.o  blancs; 

fol.  59  r.*  n  Copie  de  plusieurs  adveuz  et  dénombremens  de 
«  plusieurs  terres  et  seigneuries  tenues  et  mouvant  de  la  conte  de 
a  Vertus....  et  aussi  de  certains  previlèges....  baillez  au  temps  que 
«  la  prisée  et  assiete  fut  faicte,  lors  baillée  en  assiete  de  terre  par 
«  le  roy  Charles  le  Quint  de  ce  nom,  à  feue  Madame  Ysabel  de 
li  France  sa  seur,  fiUe  du  roy  Jehan  leur  pére,  et  feu  le  comte  de 
u  Milan  son  mary,  et  depuis  apportez  en  la  Chambre  des  Comptes 
u  à  Paris,  avec  la  dite  prisée;  lesquelz  dénombremens  et  previlèges 
«  à  la  requeste  de  noble  et  puissante  dame  Madame  Marguerite 
a  d'Orléans,  à  présent  dame  et  comtesse  de  la  dite  conte  de  Ver- 
«  tus,  par  l'ordonnance  de  nosseigneurs  des  comptes  ont  esté  et 
«  sont  copiez  et  escriptz  en  ce  présent  livre  et  icelui  livre  ou  copie 
4i  baillié  à  ses  gens  et  officiers  pour  elle  afìn  d'avoir  cognoissance 
«  de  ses  vassaulx  et  subgiez....  dont  icelle  dame  ne  ses  gens  et 
«  officiers  ne  povoyent  avoir  vraye  cognoissance  parce  que  les 
«  papiers,  registres  et  autres  anciens  enseignemens  d'icelle  conte 
«  ont  esté  perduz,  destruiz,  ars,  gastez....  ou  la  plus  grant  partie 
«  d'iceeulx  par  la  fortune  de  la  guerre  ». 

Suivent  fol.  59  v.»  à  163  v.o  (fin  du  volume),  les  copies  de  nom- 
breux  aveux,  de  nombreux  privilèges  émanés  surtout  des  comtes 
de  Champagne.  Nous  laisserons  de  coté  ces  pièces  qui  malgré  leur 
intérét  évident  pour  l'histoire  de  France,  sont  en  dehors  de  Fobjet 
propre  de  la  prisée  et  touchent  peu  Jean  Galéas. 

La  coUation  de   la  copie  de    toutes  ces    pièces  a    été  faite  le 

20  juin  1447. 

Henry  Cochin. 


L'ingresso  di  Francesco  Sforza  in  Milano 

e  r  inizio  di  un  nuovo  principato 


IO  intendimento  è  di  esporre,  nella  presente  Memoria, 
gli  ultimi  giorni  della  lotta  titanica  fra  il  conte  di  Pavia 
e  la  repubblica  milanese,  i  primi  del  dominio  della 
casa  sforzesca,  la  quale  per  potenza,  per  attività,  per 
benemerenze  non  fu  certamente  inferiore  a  quella  che  la  prece- 
dette e  di  cui  fu  la  diretta  e  legittima  continuatrice  :  la  viscontea. 
Dividerò  pertanto  il  mio  lavoro  in  quattro  capitoli  :  nel  primo  trat- 
terò delle  condizioni  di  Milano  sul  tramontare  di  sua  vita  repubbli- 
cana, de'  tentativi  da  essa  fatti  per  resistere  al  fortunato  condottiere, 
della  laboriosa  tela  da  costui  ordita  per  prepararne  definitivamente 
la  rovina  ;  nel  secondo  e  nel  terzo  parlerò  degli  avvenimenti,  che 
si  svolsero  dalla  prima  entrata  in  Milano  del  vittorioso  conte  al 
giorno  in  cui  fu  proclamato  solennemente  duca;  nel  quarto,  infine, 
accennerò  al  lavorìo  diplomatico  del  novello  duca  per  farsi  rico- 
noscere tale  da'  potentati  italiani  ed  esteri,  fino  al  momento  in  cui, 
per  rendere  stabile  la  propria  condizione,  comprese  essere  neces- 
saria la  lotta  con  Venezia.  Ad  altra  epoca,  però,  l'esposizione  do- 
cumentata di  questa  fino  alla  pace  di  Lodi;  la  quale,  mentre  chiuse 
l'età  de'  grandi  condottieri,  segnò  il  principio  di  quel  glorioso  e 
fecondo  periodo,  noto  sotto  il  nome  di  «  equilibrio  italiano  ». 

CAPO  PRIMO. 

L'ultimo  atto  del  grande  dramma,  che  ha  per  suoi  protagonisti 
il  popolo  milanese,  desioso  di  libertà,  e  il  conte  Francesco  Sforza, 
avido  di  succedere  nell'ex-dominio  visconteo,  sta  oramai  per  com- 


298  ALESSANDRO   COLOMBO 

piersi.  Né  la  catastrofe  poteva  essere  diversa.  La  repubblica  di  S.  Am. 
brogio,  guidata  negli  ultimi  momenti  da  uomini  inetti  ed  ambiziosi, 
aveva  creduto  di  trovare  la  propria  salvezza  nell'alleanza  co'  vene- 
ziani; ma  questi,  suoi  naturali  nemici,  mentre  potevano  benis- 
simo difenderla  (e  lo  fecero,  crediamo,  in  parte),  miravano  in  se- 
greto a  rovinarla,  per  estendere  i  propri  domini  fino  all'Adda,  ed 
oltre.  Le  lunghe  guerre  e  le  continue  scorrerie  degli  amici  e  dei 
nemici  avevano,  d'altra  parte,  ridotto  il  paese  all'intorno  un  vero 
deserto  ;  e  però  le  popolazioni  che,  fuggendo  dalla  campagna,  si 
erano  agglomerate  nella  assediata  città  con  la  speranza  di  trovarvi 
sicurezza  e  vettovagliamento,  vi  aveano  accresciuto  la  miseria  e  la 
desolazione.  Si  era,  è  vero,  sul  finire  di  febbraio,  e  cominciavano 
allora  i  primi  tepori  della  bella  stagione  ;  ma  molti  mesi  doveano 
ancor  passare  prima  della  raccolta  :  e  quale  raccolta  si  poteva  at- 
tendere, sperare  da  un  corpo  smunto  e  disfatto,  qual'era  quello 
del  territorio  di  Milano?  La  carestia,  pertanto,  era  l'unica  prospet- 
tiva possibile  ;  la  fame,  l' inevitabile  e  triste  sua  compagna.  Ora, 
si  sa,  contro  la  fame  riescono  vane  tutte  le  ragioni,  tutte  le  pro- 
messe, fossero  state  anco  più  lusinghiere  di  quelle  che  si  sforza- 
vano di  dare  i  veneziani  ;  e  Francesco  Sforza  ne  era  tanto  bene 
persuaso,  che,  a  buon  conto,  avea  dato  ordine  rigoroso  a'  suoi  di 
non  soccorrere  gli  affamati  milanesi,  che  sarebbero  venuti  (e  ne 
venivano  continuamente)  a  cercare  un  po'  di  alimento  al  campo. 
Egli  aveva  deciso  di  vincere  l'ostinata  città  con  l'unico  mezzo,  che 
ancora  gli  rimaneva  nelle  mani,  dopo  che  gli  era  andato  a  vuoto 
il  tentativo  di  sorprendere  Monza  (i);  e  vi  riusciva  egregiamente. 
Gli  storici  e  i  cronisti  contemporanei  ci  hanno  lasciato  un  quadro 
abbastanza  completo  delle  tristi  condizioni  di  Milano  in  que'  giorni, 
e  in  modo  particolare  il  Simonetta  (2),  che  fra  tutti  è  certamente 
quello  che  ancora  merita  maggior  considerazione.  Sulla  sua  falsa- 
riga si  sono  calcati  posteriormente  il  Corio  (3),  il  Ripamonti  (4),  il 


(i)  Addi  I.!  febbraio  1450. 

(2)  JoH.  SiMONETTAE,  De  reb.  gest.  Frane.  I  Sfortiae,  in  Muratori,  R,  I.  SS.^ 
to.  XXI,  ce.  593-94. 

(3)  B.  CoRio,  Storia  di  Milano^  voi.  Ili,  pp.  173-74,  Milano,  1857. 

(4)  Jo3.  RiPAMONTii  Hist.  patriae  dee.  Ili,  lib.  V,  p.  402,  Mediolani,  1641. 
Le  parole  del  R.  sono  riportate,  tradotte  in  italiano,  dal  Cusani,  Storia  di  Mi- 
lano, Milano,  1861,  voi.  I,  p.  207. 


l'ingresso   di   FRANCESCO   SFORZA   IN   MILANO,  ECC.  299 

Rosmini  (i),  per  non  citare  che  i  maggiori  ;  il  Verri  (2)  ha  creduto 
bene  di  aggiungervi  un  documento,  estratto  dall'Archivio  Civico,  seb- 
bene porti  una  data  alquanto  anteriore  (28  aprile  1449).  In  una  let- 
tera, poi,  dello  Sforza  a'  fiorentini,  scritta  da  Cassano  il  21  dicem- 
bre 1449  e  pubblicata  dal  Sickel  (3),  si  dice  che  tale  era  fin  d'allora 
la  carestia  in  Milano,  che  molti  cadevano  «  morti  de  fame  per  le 
«  strate  ».  \arì  altri  accenni  di  questo  miserando  stato  di  cose 
potremmo  ritrovare  altrove  (4);  e  che  ne  fosse  edotto  lo  Sforza, 
e  in  cuor  suo  forse  se  ne  rammaricasse,  appare  da  una  minuta 
lettera,  senza  indicazione  di  luogo,  di  tempo  e  di  indirizzo,  ma 
scritta  probabilmente  al  conte  da  un  suo  fido  in  Milano,  poco  prima 
della  resa  della  città  (5).  Ivi,  infatti,  si  consiglia  allo  Sforza  di  non 
allarmarsi  delle  cattive  notizie,  che  gli  potessero  venire  dagli  as- 
sediati, né  di  darne  dimostrazione  ad  alcuno;  perchè  essi  «  scranno 
u  sempre  boni  Castellani  »,  e  se  potranno  resistere  «  fin  che  have- 
«  ranno  da  mangiare  »,  l'avvenire  è  nelle  mani  di  Dio.  Quanto 
fanno  per  essi  i  veneziani  è  semplicemente  da  «  barbari  »  ;  li  lu- 
singano a  resistere,  nella  speranza  che  alla  fine  abbiano  a  gettarsi 
nelle  loro  braccia;  ma  in  ciò  sono  favoriti  da  pochi.  Noi,  per  conto 
nostro,  dice  l'autore  ignoto  della  lettera,  nulla  lascieremo  d'inten- 
tato per  conservare  e  salvare  l'afflitta  città  «  da  tanti  pericoli  et 
«  affanni  »,  e  se  fino  ad  ora  «  cum  una  mano  se  siamo  scaldati  per 
«  hauere  Millano,  da  mo  inanzi  lo  farimo  cum  doe  ».  Parlando  poi 
espressamente  de' milanesi,  li  chiama  «  poueri  homeni....,  ali  quali 
u  hauemo  una  grandissima  compassione  ».  Noi  insistiamo  su  tale 
fatto,  cioè  della  miserabile  situazione  economica  della  repubblica 
in  questi  tempi,  perchè  siamo  convinti  che  la  fame  e  il  triste  mi- 
raggio di  un  più  fosco  avvenire  abbiano  veramente  indotto  i  buoni 


(i)  C.  Rosmini,  Storia  di  Milano,  voi.  II,  p.  44,  Milano,  1820. 

(2)  P.  Verri,  Storia  di  Milano,  voi.  Il,  p.  27,  nota  i,  Firenze,  1851. —  Tale 
documento  è  pure  riportato,  ma  senza  data,  dall'annotatore  del  Corio,  op.  cit., 
voi.  Ili,  pp.  189-90. 

(5)  Th.  SiCKhL,  Beitràge  und  Bericht.  ^ur  Gesch.  der  Ewerb,  Mailands  durch 
Frani  Sforma,  doc.  XI,  in  Archiv  fur  Ktinde  òsterr.  Geschichtes-Quellen,  Wien, 
1855,  XIV  B. 

(4)  Fr.  Philelphi,  Epist,,  lib.  VII,  p.  46,  Venetiis,  1492  ;  P.  C.  Decembrii, 
Vita  di  Frane.  I  Sfor.,  in  Muratori,  R.  I.  SS.,  to.  XX,  e.  1042. 

(5)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Docum.  diplom.,  Repuh.  Ambrosiana,  14^0  (ma- 
lamente attribuita  all'anno  1449). 


300  ALESSANDRO  COLOMBO 

ambrosiani,  più  che  la  retorica  del  futuro  conte  di  Valenza,  a 
sottomettersi  al  già  odiato  e  vilipeso  Sforza.  A  ciò  si  aggiunga  il 
rancore  mal  dissimulato  contro  i  veneti,  non  ostante  il  formale 
trattato  di  alleanza  del  24  dicembre  1449  (i),  rancore  che  s'  era 
andato  sempre  più  rinfocolando  dopo  le  disillusioni  degli  ultimi 
avvenimenti,  come  proverebbero  anche  le  parole  della  lettera  sopra 

citata:  « alcuni  citadini  Milanesi  gli    adheriscono   »,  e  il  fatto 

che  lo  stesso  partito  della  guerra,  nelle  cui  mani  era  la  somma 
delle  cose  e  che  fino  allora  era  rimasto  l' idolo  della  moltitudine, 
perdeva  continuamente  terreno.  Eppure  —  strano  a  dirsi  !  —  a  Ve- 
nezia, ancora  il  26  febbraio,  si  avea  ferma  fiducia  di  trionfare  dello 
Sforza  ;  e  l' inviato  milanese  Righino  de'  Panigarola  scriveva  in 
quel  giorno  stesso  di  là  al  suo  governo,  esortandolo  a  bene  spe- 
rare  nelle  promesse  e  negli  aiuti  della  Serenissima,  ma  in  pari 
tempo  a  non  esimersi  dal  concorrere  per  la  sua  parte  nelle  spese 
della  guerra  campale  (2). 


(i)  SrcKEL,  op.  cit.,  doc.  XIV.  —  Il  Bertolini,  nella  sua  recensione  a  questo 
importante  lavoro  (in  Arch.  stor.  Hai,  Nuova  serie,  XV,  2,  p.  43,  nota  43,  Fi- 
renze, 1862),  dice  che  la  copia,  di  cui  si  servi  il  Sickel  (in  Arch.  di  Stato  di 
Milano,  Corrispond.  ducale^  ^449)ì  è  però  scorretta  e  manchevole,  e  perciò  si 
astiene  dal  trascriverla.  Al  postutto,  le  basi  delle  proposizioni  fatte  da  Venezia 
a  Milano  doveano  essere  le  stesse  di  quelle  da  essa  fatte  allo  Sforza,  cioè  a'  suoi 
inviati,  il  fratello  Alessandro  e  gli  oratori  Andrea  da  Birago  e  Angelo  Simonetta  :. 
trattative,  com'  è  noto,  andate  a  monte. 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Docutn.  diplom  ,  Repub.  ambrosiana,  14^0. 
Esiste  solo  in  copia  cartacea;  manca  quindi  della  firma  e  del  recapito.  In  fine  ha 
però  questa  annotazione:  «  Copia  litterarura  Righini  de  panicarolis  ex  uenetijs 
«  ad  Mediolanum  in  cifra  missa  ex  ferr.^  per  ant.  de  tricio  ».  Tale  lettera  iu 
dunque  intercettata  dall'agente  sforzesco  Antonio  da  Trezzo,  di  cui  parlerò  più 
avanti,  e  da  lui  spedita  poi  in  cifra  al  suo  signore  ?  —  Ecco  che  cosa  dice  in 
sostanza  il  Panigarola  :  la  Signoria  di  Venezia  ha  troppa  carae  al  fuoco,  ed  ha 
ormai  sostenuto  tante  spese,  che  è  anche  giusto  che  Milano  vi  concorra  per  la 
sua  parte  ;  bastano  506  mila  ducati  :  con  questi  si  potrà  levare  gente  in  Pie- 
monte, acquistare  Novara  «  et  quello  paese,  dal  quale  se  hauerano  uictualie  ». 
Il  Conte,  per  tal  modo,  «  hauerà  tanto  fuoco  ale  spale,  chel  non  saperà  come 
«  governarse  ».  Notevole,  poi,  l'accenno  ad  Innocenzo  Cotta,  fermato  al  campo 
dì  Sigismondo  Malatesta,  al  quale  avea  chiesto  un  salvacondotto  per  Bergamo, 
dove  teneva  il  suo  bagaglio,  perchè  la  Signoria  vedeva  in  lui  un  inviato  segreto 
dello  Sforza  ;  anzi  essa,  nel  mattino  del  26  febbraio,  avea  scritto  al  Malatesta, 
rimproverandolo  di  aver  concesso  al  Cotta  il  salvacondotto,  e  dandogli  ordine 
di  farlo  venire  a  Venezia,  perchè  «  questa  S.rìa  uole  hauere  da  luy  informatioae 


l'ingresso   di    FRANXESCO   sforma   in   MILANO,   ECC.  30I 

Del  resto,  neanche  lo  Sforza  era  rimasto  per  parte  sua  iao- 
peroso  ;  e  se  gli  avvenimenti-  Io  condussero  alla  vittoria  finale,  si 
fu  perchè  egli  seppe,  con  la  sua  consueta  abilità,  dirigerli  a  pro- 
prio esclusivo  vantaggio.  Egli  non  si  era  mai  create  illusioni  sulle 
difficoltà  dell'impresa  di  Milano  ;  basterebbero  a  provar  ciò,  se  non 
ci  fosse  altro,  le  prime  parole  della  lettera  più  volte  ricordata: 
«  Quando  accade  ala  ex.  vostra  a  parlare  cum  qualchuno  da  Mil- 
H  lano,  che  uada  a  Millano,  ne  intrare  in  rasonando  deli  facti  de 
«  Millano,  per  niente  non  se  mostra  la  ex.  vostra  alterata  cum  al- 
«  cuno....  ».  Ma  egli  temeva  non  tanto  da'  milanesi,  quanto  da'  loro 
alleati  e  da  quelli  che  si  facevano  chiamar  tali.  Prima  sua  cura  per- 
tanto era  stata  quella  di  diminuire  il  numero  di  costoro,  staccandoli 
naturalmente  dall'orbita  di  Milano  e  di  Venezia  :  il  che  gli  era  riuscito 
in  parte  abbastanza  bene,  ricorrendo  ora  alle  lusinghe  e  alle  arti  della 
diplomazia,  ora  adoperando,  se  queste  non  bastavano,  le  minaccie 
e  le  pressioni  a  mano  armata.  È  noto  quanto  egli  fece  a  proposito 
di  Guglielmo  di  Monferrato,  allorché  ebbe  motivo  di  dubitare  della 
sua  fedeltà  (i);  ma  ben  di  rado  ricorreva  a  questi  estremi.  Noi 
possiamo  seguire  la  politica  dello  Sforza  consultando,  oltre  la 
pregevole  pubblicazione  documentata  del  Sickel  (2),  i  lavori  del 
Buser  (3)  e  del  Toderini  (4).    Nuovi   documenti,  da  noi  veduti   al- 

«  di  facti  del  Conte  ».  È  pur  ricordato  (ciò  che  prova,  come  vedremo,  che  il  so- 
spetto del  conte  era  giusto)  il  tradimento  del  marchese  di  Cotrone,  ossia  del 
Ventimiglia,  uno  dei  luogotenenti  dello  Sforza,  incaricato  di  difendere  Cantù  dai 
v^eti.  II  tradimento,  come  si  sa,  andò  a  vuoto  per  l'accortezza  del  conte  ;  tut- 
tavia il  Panigarola  pare  si  contenti  del  semplice  tentativo,  quantunque  certo  alla 
Signoria  sarebbe  piaciuto  che  fosse  completamente  riuscito.  La  elezione  infine  dei 
nuovi  capitani,  conchiude  la  lettera,  è  riuscita  molto  grata  alla  Signoria,  avendo 
avuto  assicurazione  «  che  tuti  sonno  fidelissimi,  et  de  dispositione  prima  de  mo- 
«  rire  che  perdere  la  libertà  ».  AUudesi  a'  Capitani  e  difensori  della  libertà  nomi- 
nati il  i.°  gennaio  1450,  de'  quali  avremo  occasione  di  parlare  più  avanti. 

(i)  Guglielmo  di  Monferrato,  rinchiuso  nel  castello  di  Pavia  nel  maggio 
?:449,  mentre  lo  Sforza  moveva  al  campo  contro  Vigevano  (cfr.  il  mio  lavoro  : 
Vigevano  e  la  Repubblica  Ambrosiana  nella  lotta  contro  Francesco  Sfor-^a  in 
Boll,  della  Soc.  pav.  di  stor,  patria^  fase.  Ili,  1903,  pp^  18-19),  ^^^  ^"  rimesso 
in  libertà  che  dopo  la  presa  di  Milano. 

(2)  SicijEL,  op,  e  loc  cit.,  e  Bertolini,  ree,  cit.,  dal  titolo  :  //  conquisto  di 
Milano,  ecc.,  p.  40  sgg, 

(?)  B.  Buser,  Die  Bexiehun.  der  M^diceer,  ecc.,  Leipzig,  1879. 

(4)  Teod.  Hoo^B^i^  Francesco  Sforma  e  Fene^ia  ia  Arcb.  Veneto,  IX,  1875. 


302  ALESSANDRO   COLOMBO 

TArchivio    di    Stato    di    Milano,    serviranno   a    metterla   in    mag- 
gior luce. 

Non  v'  ha  dubbio  che  l'alleanza  tra  Milano  e  Venezia,  se  fosse 
stata  sincera,  avrebbe  potuto  distruggere  tutte  le  speranze  del  no- 
stro pretendente  ;  e  difatti  fu  un  momento,  in  cui  egli  si  sentì  quasi 
solo,  e  comprese  tutto  l'orrore  di  una  prossima  rovina:  tanto  è 
vero  che,  per  guadagnar  tempo,  finse  di  riprendere  le  trattative 
con  quella  repubblica,  cui,  dal  trattato  di  Rivoltella  in  poi,  si  era 
sempre  studiato  di  ingannare.  Ma  l'abilità  e  la  fortuna  (i)  non  gli 
mancarono  anche  in  questa  occasione.  Senza  contare  l'appoggio 
morale  di  Cosimo  de'  Medici,  e  per  esso  de'  fiorentini,  il  conte  era 
riuscito  a  trarre  a  sé  il  Gonzaga  (2),  generalissimo  de'  milanesi, 
e  non  pochi  altri  personaggi,  già  influenti  in  Milano  stessa,  quali 
Pietro  Pusterla  (3)  e  Innocenzo  Cotta  (4).  Dalla  sua  erano  pure, 
e  lo  mostrarono  più  tardi  co'  fatti,  Pietro  Cotta,  Cristoforo  Pagnano, 
Gaspare  da  Vimercate  e  Guarnerio  da  Castiglione  (5).  Con  promesse 
poi  di  donativi,  di  impieghi  e  di  onori  cercava  di  tenersi  avvinte 
quelle  persone,  che  altrimenti  sarebbero  sfuggite.  Così  fece  per  i 
fratelli  Toscani  di  Milano,  con  sua  lettera  in  data  Calco,  27  gennaio 
1450   (6),  relativamente   al   possesso   di    alcuni   territori   del  nova- 


(i)  Cfr.  I.  Burckhardt,  La  civiltà  del  Rinascimento  in  Italia^  traduzione 
italiana  del  Valbusa,  Firenze,  1899,  voi.  I,  p.  25  sg,,  pp.  43-44. 

(2)  Dopo  la  sommossa  del  settembre  1449,  per  cui  il  governo  di  Milano, 
dalle  mani  de'  nobili  e  ghibellini,  passò  in  quello  de'  guelfi  e  plebei,  il  Gonzaga, 
non  sentendosi  più  sicuro  in  quella  città  in  causa  della  anarchia  che  ne  sussegui, 
col  pretesto  di  portare  un  rinforzo  a  Crema  era  passato  con  molti  soldati  a  lui 
devoti  allo  Sforza,  ottenendo  in  premio  18.000  ducati  e  Tortona  e  Casalmag- 
giore.  Cfr.  Crist.  a  Soldo,  Istoria  bresciana,  in  Muratori,  R.  I.  SS.,  XXI,  860. 

(3)  Era  fuggito  al  campo  sforzesco  in  seguito  alla  sommossa  del  settembre, 
che  lo  avea  deposto  dal  supremo  magistrato  della  repubblica,  al  quale  era  stato 
chiamato  nel  luglio  precedente  insieme  col  Castiglione  e  Galeotto  Toscano. 

(4)  Ved.  la  nostra  nota  2  a  p.  300. 

(5)  Il  Gabotto,  U attività  politica  di  P.  C.  Decembrio,  in  Giorn.  Ligustico^ 
1893,  pone  fra  i  fautori  dello  Sforza  anche  il  Decembri. 

(6)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Registri  ducali,  Frammenti,  14^-14^2  :  «  Fran- 
«  ciscus  Sforila  uicecomes  Marchio  papié  etc.  Attendando  la  justa  et  honesta  ri- 
«  chesta  di  nostri  seruitori  Azzo  et  fratelli  deli  toschani  citadini  de  Milano,  Siamo 
*  contenti  et  motu  proprio  et  ex  certa  scientia  li  prometemo,  per  la  presente 
«  nostra  littera,  di  confirmarli  et  liberamente  darli  in  sua  mano  et  possanza  li 
«  luochi  et  terre  de  calpignano,  sitiano   et  casalino,  del  territorio  nouarese,  nel 


L  INGRESSO    DI   FRANCESCO   SFORZA    IN   MILANO,    ECC.  303 

rese,  già  goduti  dal  padre  loro  Galeotto  (i);  ma  prima  vuole 
avere  «  lo  dominio  de  Miliario,  uel  saltem....  el  nostro  stato  in 
«  pace  »  :  clausola  prudentissima  e  necessaria  in  que'  tempi  di  ge- 
nerale malafede;  e  la  conferma  non  avvenne  difatti,  come  vedremo, 
che  nel  maggio.  Quando  infine  vide  ogni  possibilità  di  accordo 
con  Venezia  svanita,  per  non  essere  preso  tra  due  fuochi,  cercò  di 
assicurarsi  dalla  parte  di  Savoia;  e  ne  trovò  il  duca  ben  disposto 
a  trattare.  I  preliminari  vennero  aperti  sulla  fine  d'ottobre  del  1449, 
con  la  tregua  d'un  mese  (2)  ;  ma  la  pace  non  fu  conchiusa  che  il 
27  dicembre  successivo:  per  essa  lo  Sforza  cedeva  a  Ludovico 
alcuni  distretti  del  territorio  milanese  (3).  Dietro  il  duca  di  Savoia, 
altri  stati  a  lui  vicini  ed  aderenti  sottoscrissero  -a  quel  trattato. 
Infatti  il  primo    articolo  di   esso  stabiliva  che,   «  entro  un   mese 

«  pross.  fut., caduno  de  dicti  Signori  deba  nominare  suoi  adhe- 

«  renti,  colligati  et  recommandati,  quelli  sono  et  intendesseno  in- 
«  elusi  in  questa  pace,  et  la  nominatione    de  quelli  fare   a  l'altra 


«  modo,  forma  et  ragione  li  hebbe  el  spectabile  Galeoto  quondam  patre  de  dicti 
«  Azzo  et  fratelli  dala  recolenda  memoria  delo  111.  S/^  quondam  duca  de  mi- 
c(  lano....  ».  La  lettera,  che  porta  la  firma  del  conte,  è  controsegnata  «  Johan- 
«  ninus  ». 

(i)  Ucciso  nella  predetta  sommossa  del  settembre  1449. 

(2)  Il  Gabotto,  Lo  Stato  Sabaudo  da  Amedeo  FUI  ad  Emanuele  Filiberto, 
Torino,  1892,  voi.  I,  p.  11,  nota  3,  dice  che  il  documento,  con  la  data  del 
24  ottobre  '449,  si  trova  nell'Arch.  di  Stato  di  Torino,  Trattati  e  protoc.  ducali  ; 
il  Bertolini  (op.  cit.)  accenna  a  una  lettera  di  Ludovico  di  Savoia  allo  Sforza 
d.  in  Montecalerio  il  2  novembre,  con  la  quale  quel  duca  ratifica  la  tregua,  che 
il  Conte  avea  già  ratificata  in  Melegnano  il  26  ottobre  :  lettera  esistente  nell'Ar- 
chivio di  Stato  di  Milano  (allora  di  S.  Fedele),  Corrispond.  ducale,  1449.  Cfr.  Sickel, 
op.  cit,  p.  212,  nota  6. 

(3)  S.  GaiCHENON,  Histoire  généal.  de  la  R.  Maison  de  Savoye,  Lione,  1660, 
to.  II,  p.  87  ;  SiCKEL,  op.  cit.,  p.  248  e  doc.  XX.  Esiste  in  copia  cart.,  donde  fu 
cavata  dal  Sickel,  nell'Arch.  di  Stato  di  Milano,  Trattati,  1449,  e  porta,  erronea- 
mente in  apparenza  (cfr.  la  giusta  osservazione  di  E.  Rubieri,  Francesco  I  Sfor:(a, 
Firenze,  1879,  voi.  II,  p.  196  e  nota  i),  la  data  del  27  dicembre  1450.  Copia 
di  questo  documento  il  Gabotto  (op.  cit.)  dice  esistere  nell'Arch.  di  Stato  di 
Torino,  Tratt.  e  protoc.  due,  dove  dice  anche  essere  una  «  convenzione  tra  Mi- 
c(  lano  e  il  duca  di  Savoia  contro...  lo  Sforza...  ».  Questo  documento,  citato  alla 
nota  3  della  p,  1 1,  deve  ascriversi  al  6  marzo  1449  (^  quello  cioè  edito  da  A.  Ca- 
sati, Milano  e  i  principi  di  Savoia,  Torino,  1853,  pp.  52-59);  l'altro,  ascritto  al 
27  dicembre  1450,  è  veramente  del  27  id.  1449,  detto  1450,  perchè  l'anno  in- 
comincia a  nativitate. 


304  •  ALESSANDRO   COLOMBO 

M  parte  «  ;  aggiungendo  che,  «  entro  due  mesi  p.  f.,  quelli  adhe- 
M  renti,  colligati  et  recommandati  debano  hauer  ratifficato  la  dieta 
n  pace  »,  con  l'obbligo  alle  due  parti  contraenti  di  «  certifficarse 
u  1  uno  1  altro  »  nel  predetto  termine.  E  però,  mentre  con  sua  lettera 
datata  da  Torino,  22  gennaio  1450  (i),  il  duca  di  Savoia  citava,  fra 
i  suoi  aderenti  e  raccomandati,  il  re  di  Francia,  il  Delfino,  il  mar- 
chese di  Monferrato,  il  conte  di  Lavagna  Ludovico  del  Fiesco,  il 
visconte  di  Reillane  Ludovico  Bolleri,  Antonio  di  Romagnano  e 
Francesco  di  Novello,  le  comunità  di  Berna  e  del  Vallese  ;  due 
altri  nuovi  documenti  dell'  Archivio  di  Stato  di  Milano ,  finora 
inediti,  ci  provano  che,  nel  febbraio  1450,  Antonio  marchese  di 
Romagnano  e  Giovanni  marchese  di  Monferrato  entravano  suc- 
cessivamente nella  lega  tra  il  Savoia  e  lo  Sforza,  il  primo  il  giorno 
5  febbraio  (2),  il  secondo  il  21  dello  stesso  mese  (3):  e  ciò,  come 
è  detto  in  uno  de'  documenti,  «  prò  ademplimento  et  executione 
a  contentorum  in  pace  nuper,  uidelicet  die  uigesimoseptimo  mensis 
«  decembris  proxime  preteriti,  in  ciuitate  Taurini  celebrata  per  et 
«  inter  prefatum  Illust.  et  ex."»"  dominum  Ducem  Sabaudie,  seu 
«  agentes  prò  eo  parte  una,  et  Illustrem  et  Ex.*"  dominum  Fran- 
«  ciscum  sfortiam  uicecomitem  marchionem  etc.  ac  Papié  comitem 
«  Cremone  dominum  etc,  seu  agentes  prò  eo  parte  alia....  »  (4). 
Che  lo  stesso  abbia  fatto  il  conte  Francesco  Sforza,  risulta  da  mi- 
nute di  documenti  da  noi  viste  nel  precitato  Archivio,  senza  data, 
e  che  furono  sempre  malamente  ascritte  a  dopo  il  26  febbraio  1450; 
esse,  infatti,  non  sono  se  non  le  bozze  dell'elenco  de'  collegati,  ecc. 
che,  giusta  il  concordato  del  27  dicembre  1449,  lo  Sforza,  uno  dei 
contraenti,  doveva  consegnare,  nel  termine  d'un  mese,  all'altro, 
vale    a   dire    al  duca  di   Savoia  (5).  In    una  minuta  cartacea  del- 

(i)  SicKEL,  op.  cit.,  doc.  XXI. 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Docum.  diplom.,  Repub.  Ambrosiana,  14^0. 
Orig.,  perg.,  mill.  344  x  163. 

(3)  Ibid.,  Orig.,  perg.,  mill.  385  X  271. 

(4)  Richiamiamo  l'attenzione  del  lettore  su  questo  passo  del  documento  in 
data  21  febbraio  1450  (il  che  è  ripetuto,  sebbene  non  così  esplicitamente,  nel- 
l'altro in  data  5  id.  id.),  come  prova  irrefragabile  che  il  famoso  trattato  ascritto 
ai  27  dicembre  1450  è  effettivamente  del  1449.  Detto  passo  è  riportato  anche  dal 
Sickel  (op.  cit.,  p.  212,  nota  7)  a  conferma  del  doc.  XX. 

(5)  Sono  cinque  minute  cartacee,  che  si  riferiscono  sempre  a  uno  stesso  ar- 
gomento. Colui,  che  le  compulsò  prima  di  noi  e  alla  bell'e  meglio  le  clasatìcò, 


L  INGRESSO  DI   FRANCESCO   SFORZA    IN   MILANO,    ECC.  305 

rArchivio  stesso  troviamo  ancora  quattro  ratifiche,  u  facte  prò 
«  I>aGe  facta  et  firmata  per  111.'""'"  d.num  d.num  cum  Duce  Sa- 
fl  baudie  «  ;  ma  evidentemente  solo  le  prime  due  sono  da  con- 
siderarsi come  conseguenza  della  predetta  pace  :  quella  con  Ni- 
colò, Sveva,  Giano  e  Battista  d' Oria,  figli  di  Leonello,  condo- 
mini di  Valle  d'  Oneglia,  •  e  l'altra  con  Benedetto  d' Oria  fu  Paolo, 
di  Finale  od  Albenga,  entrambe  del  20  febbraio  1450  (1).  Oramai 
lo  Sforza,  sicuro  dalla  parte  del  Ticino  e  della  Liguria,  poteva 
spiegare  tutte  le  sue  forze  contro  il  nemico  principale,  i  veneziani; 
e  difatti  impartì,  come  vedremo,   gli  ordini   opportuni   a'  suoi    ge- 


vi  scrisse  sopra,  in  matita,  «  1450,  dopo  il  26  febbraio  ».  Ricordiamo  alcuni  dei 
principali  aderenti  del  conte  Francesco  :  la  comunità  di  Genova,  il  duca  di  Mo- 
dena e  Reggio,  il  marchese  di  Mantova,  le  comunità  di  Bologna,  Ancona  e  Lucca, 
la  confederazione  degli  Svizzeri,  i  Fieschi,  i  Campofregoso,  i  D'Oria,  i  Del  Car- 
retto, gli  Spinola,  i  Guttuarii  di  Pavia,  i  marchesi  di  Ceva,  i  conti  di  Venti- 
miglia  e  di  Tenda,  i  nobili  di  Cocconato,  i  Borromei  di  Palestre,  i  nobili  Grotti 
di  Robbio,  i  Rusca,  ecc. 

(i)  Le  altre  due  ratifiche  sono  rispettivamente  del  7  marzo  1450,  co'  fra- 
telli Luigi,  Lancellotto  e  Galeazzo  de'  Grotti  fu  Galeazzo,  di  Milano,  e  del  suc- 
cessivo 18  marzo,  col  milite  Biagio  Assereto- Visconti  fu  Costantino,  podestà  di 
Milano.  —  Riportiamo  la  parte  del  documento  che  a  noi  interessa  (Arch.  cit., 
Trattati,  1428-14$^,  min.  cart.)  : 

«  M^CCCCLM 

«  Infrascripte  sunt  ratificationes  facte  prò  pace  facta  et  firmata  per  IlLmiiin 
«  d.num  d.num  cum  Duce  Sabaudie. 

«  Primo.  Ratificatio  Nicolay,  Scene,  Janis,  et  Baptiste  de  Auria  filij,  et  procura- 
«  toris  Sp.lis  d.ni  Leonelli  de  auria  condomini  Vallis  vnelie,  facta  sub  anno 
«  1450  indictione  XIIJ.  die  XXa  februarij,  presentibus  Jeronimo  noario,  leo- 
«  nardo,  petro  et  Georgio  beuiardo  districtualibus  diete  vallis,  testibus  etc. 
«  Subscripta  per  Girardum  verceUinum  notarum  '  publicum  imperiali  aucto- 
«  ritate,  qui  scripsit  et  subscripsit  se  etc. 

a  Secundo.  Ratificatio  Sp.lis  et  generosi  d.ni  Benedicti  de  auria  quondam  d.ni 
«  pauli,  facta  sub  die  XXa  februarij  anni  14 50.  Et  subscripta,  rogata,  et 
ce  scripta  per  vincentium  de  campis  de  fenario  (Finale)  imperiali  auctoritate 
«  notarium.  presentibus  Sp.'ì  d.no  Christoforo  dentuto  potestate  Fenarij,  egre- 
«  gio  legum  doctore  d.no  Johanne  de  ricijs  vicario  Fenarij,  egregio  legum 
«  doctore  d.no  Antonio  de  Judicibus  de  fenario.  Franchino  ricio  Ciue  alben- 
«  gane,  et  Nicolosio  de  valle  de  fenario,  testibus  etc.  ». 
Lo  stesso  Benedetto  d'  Oria,  come  vedremo,  il  31  marzo  1450  firmò  de'  patti 

e  capitoli  in  Milano  col  conte  Francesco,  divenuto  duca  ;  in  essi  egli  è  chiamato 

"  citadino  zenouexe  „ 


3o6  ALESSANDRO  COLOMBO 

nerali  (i).  Ma  non  contento  degli  ultimi  «  successi  diplomatici  » 
ottenuti,  cercò  anche  di  aprire  una  breccia  nel  campo  nemico  ; 
della  qual  cosa  non  si  deve  movergli  rimprovero.  Tradire  o  favo- 
rire il  tradimento,  pur  essendo  convinti  di  essere  a  lor  volta  tra- 
diti, era  costume  de'  capitani  di  ventura  d'allora,  come  di  tutti  i 
tempi;  immaginarsi  poi  quando  le  proposte  venivano  da  quegli  stessi, 
cui  premeva  di  attirare  nel  proprio  partito  !  Cosicché  è  a  credere 
che  lo  Sforza  abbia  accolto  con  vero  piacere  le  proposizioni  di 
pace,  che  il  conte  Jacopo  Piccinino  gli  veniva  facendo  a  mezzo 
del  comune  amico  Luchino  Palmieri,  quantunque  avesse  molti  mo- 
tivi a  non  fidarsi  troppo  della  lealtà  del  suo  più  acerrimo  nemico. 
A  lui  non  parca  vero  di  poter  staccare  un  capo  tanto  valente  dalle 
file  de'  veneziani  e  di  servirsi  di  lui  stesso  per  combatterli  :  e  però 
rispose  di  sì  a  quasi  tutte  le  domande  del  braccesco,  sebbene  alcune 
fossero  un  po'  gravose,  affrettandosi  anzi  a  fargli  pervenire  l'accetta- 
zione per  mezzo  dello  stesso  Palmieri,  redatta  in  altrettanti  capitoli, 
da  lui  scritti  e  firmati  il  22  febbraio  a  Vimercate  (2).  Le  pratiche  non 
ebbero  seguito,  perchè  il  Piccinino,  pentitosi  all'ultimo  momento,  e 
forse  anche  temendo  della  sincerità  delle  concessioni  troppo  larghe 
dello    Sforza,    preferì    di   restare    ancora    co'  veneziani  (3)  ;    ma  il 


(i)  Tuttavia  anche  da  quella  parte  egli  aveva  già  in  qualciie  modo  prov- 
veduto, come  fa  fede  una  lettera  in  data  Lodi  12  gennaio  1450,  firmata  Cichus 
de  Calabria  e  diretta  al  referendario  e  agli  officiali  a  bullettarum  »  della  sua 
città  di  Cremona,  nella  quale,  d'ordine  del  Conte,  venivano  dallo  stesso  Cicco 
deputati  «  per  bona  guardia  de  questa  citade...  alle  tre  porte  di  essa  citade  »  i 
seguenti  sei  cittadini  :  Marco  de'  Cagnoli  e  Antonio  de'  Riccardi  per  il  ponte  e 
la  porta  d'Adda,  Pietro  da  Lodi  e  Daniele  de'  Cucardi  per  la  porta  Regale,  Ga- 
briele de'  Gavazio  e  Luigi  Nucardi  per  la  porta  Cremonese  (Arch.  cit.,  Registri 
ducali.  Frammenti,  14^0-14^2^  fol.  219). 

(2)  Doc.  L  Due  copie  cartacee,  che  chiameremo  A  q  B.  In  quest'ultima  si 
trovano  le  risposte  date  direttamente  dallo  Sforza  alle  domande  del  Piccinino; 
ed  esse  vennero  ricopiate  in  A,  per  essere  poi  redatte  tali  e  quali  in  istrumento, 
una  volta  accettate  dal  Piccinino,  mutando  naturalmente  i  pronomi  dalla  prima 
alla  terza  persona.  Rioroduciamo  ^  ;  e  le  varianti  di  B  sono  messe  in  nota  alla 
nostra  edizione. 

(3)  Il  CoRio,  che  narra  (op.  cit.,  voi.  Ili,  pp.  171-72)  la  tentata  defezione 
del  Piccinino  copiando  il  Simonetta,  la  pone  un  po'  prima  del  20  febbraio,  e  ag- 
giunge che  egli  "  ingiustamente...  ritenne  Luchino  „  e,  dopo  aver  svelato  tutto 
al  Malatesta  e  a'  commissari  veneziani,  svisando  il  vero,  "  acciò  non  si  potesse 
"  sapere  il  trattato,  lo  fece  impiccare  a  un  merlo  del  luogo  di  Bosisio  „,   dove 


l'ingresso    di    FRANCESSO   sforza  in   MILANO,   ECC.  307 

fatto  di  essere  state  iniziate  è  una  prova  di  quanto  asserivamo 
più  sopra,  cioè  che  il  conte  Francesco,  pur  di  riuscire  nel  suo 
scopo,  nulla  lasciava  d'intentato,  sortisse  poi  buono  o  cattivo  ef- 
fetto (i). 

Se  noi  ci  facciamo  ora  a  considerare  il  lato  puramente  militare 
della  sua  linea  di  condotta,  vedremo  che  lo  Sforza  stratega  non 
è  inferiore  allo  Sforza  diplomatico.  Il  Verri  ha  espresso  in  propo- 
sito un  giudizio  abbastanza  felice.  Dopo  aver  fatto  osservare  che, 
allora,  era  avvenuto  un  grande  mutamento  nell'arte  della  guerra  (2), 
così  scrive  :  «  ....  il  conte....  in  ogni  parte  si  presentò  abilissimo 
«  generale  nel  postare  il  suo  campo,  nel  prevenire  il  nemico,  nelle 
u  marcie  giudiziosamente  condotte,  nel  cogliere  il  momento  per  at- 
«  taccare,  nel  dirigere  la  battaglia,  nel  provvedere  di  tutto  l'armata 
«  propria  e  impedire  la  sussistenza  al  nemico,  nel  conservare  la 
u  militare  disciplina,  risparmiare  quanto  era  possibile  la  miseria 
«  de'  popoli,  e  nel  tempo  stesso  conservarsi  l'amore  de'  soldati  che 
«  giungeva  sino  all'entusiasmo  w  (3).  E  trova  modo  di  fare  un  con- 


si  trovava  accampato  dopo  la  sua  unione  col  Colleoni.  Lo  Sforza  fu  preso  da 
tanta  ira,  che  giurò  di  vendicarsi  acerbamente  ;  il  che  spiega  e  giustifica,  fino  a 
un  certo  punto,  la  parte  presa  qualche  anno  dopo  dallo  Sfoiza  alla  cattura  e 
morte  del  Piccinino.  Nel  frattempo  il  Venti  miglia,  che  si  trovava  a  Cantù,  cer- 
cava di  tradire  il  suo  signore  co'  veneziani;  ma  avutone  avviso  il  Conte,  lo  ar- 
restò lui  stesso  e  lo  fece  tradurre  sotto  buona  guardia  a  Lodi,  e  poscia  a  Pavia, 
a  far  compagnia  a  Guglielmo  di  Monferrato. 

(i)  Anche  con  Alfonso  di  Napoli  cercò  di  accordarsi,  approfittando  della 
comune  inimicizia  con  Venezia  ;  e  infatti  gli  inviò  Niccolò  Arcimboldo  e  Angelo 
Simonetta,  suoi  oratori,  quest'ultimo  di  ritorno  dalla  fallita  ambascieria  di  Ve- 
nezia. Si  dice  comunemente  che  i  predetti  oratori,  prima  che  giungessero  a  de- 
stinazione, furono  richiamati  indietro,  avendo  nel  frattempo  Io  Sforza  occupato 
Milano.  Ma  una  lettera  scritta  da  Roma  il  9  marzo  1450  dall'agente  sforzesco 
Vincenzo  Amidano,  e  che  noi  vedremo  a  suo  luogo  (Arch.  cit.,  Potenie  estere, 
Roma,  i^^T-1^^4),  ci  fa  conoscere  che  il  Simonetta  (solo)  era  giunto  già  a  Na- 
poli ;  quindi  le  trattative  devono  essere  state  almeno  iniziate,  quantunque  subito 
interrotte  per  il  pronto  richiamo  del  Simonetta  stesso.  E  per  aprire  eziandio  trat- 
tative col  pontefice,  non  soltanto  per  informarsi  di  quanto  avveniva  a  Roma,  il 
conte  Francesco  avea  in  pari  tempo  quivi  inviato  il  predetto  Amidano,  che  vi 
giunse,  come  risulta  dalle  prime  parole  della  lettera  citata,  il  4  marzo. 

(2)  Per  questo  cfr.  E.  Ricotti,  Storia  delle  compagnie  di  ventura  [in  Italia, 
Torino,  1844,  voi.  Ili,  p.  155  sgg. 

(3)  Verri,  op.  cit.,  voi.  Il,  pp.  26-27. 


308  ALESSANDRO   COLOMBO 

fronto  tra  lui  e  il  re  Enrico  IV,  venendo  alla  seguente  conclusione: 
«  A  Francesco*  Sforza  mancò  un  più  grande  teatro  sul  quale  mo- 
»  strarsi,  e  spettatori  più  illuminati.  Enrico  ebbe  per  campo  il 
«  regno  di  Francia,  e  per  testimonio  un  secolo  più  colto  »  (i). 
Tuttavia  il  Ricotti  ritiene,  ch'egli  sia  stato  «  forse  il  maggior  ca- 
u  pitano  che  abbia  avuto  l' Italia  dalla  rovina  dell'  impero  romano 
«  al  XVI  secolo....  »  (2)  ;  e  il  Burckhardt,  dopo  aver  accennato 
alla  sua  grande  popolarità  e  al  credito  personale  che  godeva  presso 
gli  stessi  nemici,  osserva:  «  In  nessun  altro,  quanto  in  lui,  si  parve 
u  la  vittoria  del  genio  e  della  forza  individuale,  e  chi  non  voleva 
«  credere  alla  superiorità  de'  suoi  talenti,  dovea  almeno  riconoscere 
«  in  lui  il  prediletto  della  fortuna  »  (3).  Perdute  infatti,  in  seguito 
ad  alcuni  rovesci,  le  vantaggiose  posizioni  della  Valsassina  e  l'im- 
portante passo  di  Brivio  sull'Adda,  un  altro  al  suo  posto  si  sarebbe 
dichiarato  vinto  o,  quanto  meno,  avrebbe  deposto  ogni  speranza; 
il  conte  no.  Ben  comprendendo  come  l'essenziale  era  di  far  cono- 
scere a'  suoi  che  non  fuggiva,  ma  che  si  ritirava  semplicemente, 
con  alcune  mosse  ben  combinate  e  approfittando  dell'imperdona- 
bile incertezza  de'  nemici,  egli  seppe  in  poco  tempo  riunire  tutte 
le  sue  truppe  sur  una  nuova  linea,  la  quale,  se  non  era  migliore 
della  precedente,  avea  però  il  vantaggio  di  stringere  più  da  presso 
la  città  di  Milano.  Cosicché,  il  mattino  del  i.°  febbraio,  egli  oc- 
cupava le  seguenti  località  :  a  Calco  (4),  il  quartier  generale,  e 
quivi  pure,  o  non  molto  lontani,  i  Sanseverino,  il  Torello,  il  Sa- 
lernitano, Sacramoro  da  Parma,  Paolo  da  Roma  (succeduto  a  Luigi 
dal  Verme)  ;  a  Carate,  il  Gonzaga  ;  sulle  mosse  per  Canturio  (oggi 
Cantù),  il  Ventimiglia.  Il  grosso  de'  veneti,  al  comando  di  Sigi- 
smondo Malatesta,  era  ancora  al  di  là  dell'Adda;  ma  un  corpo  di 
avanguardia  avea  occupato  Monte  Barro,  tendendo  per  tal  modo 
la  mano  al  Colleoni,  che  si  trovava  non  lungi  da  Bellagio,  e  al 
Piccinino,  accampato  presso  Como,  ancora  fedele  a'  milanesi.  I  due 
eserciti  belligeranti  sono  adunque  quasi  a  contatto;   ma   entrambi 


(i)  Verri,  op.  e  loc.  cit. 

(2)  Ricotti,  op,  cit.  e  loe.  cit. 

(3)  Burckhardt,  op.  cit.,  voi.  I,  pp.  43-44  citate. 

(4)  Il  CoRio,  op.  cit.,  voi.  III,  p.  167,  lo  vorrebbe  già  a  Vimercate,  co- 
piando naturalmente  il  Simonetta,  op.  cit.,  p.  587  ;  ma  noi,  per  ragioni  che  (fi- 
remo  in  seguito,  crediamo  che  non  vi  sia  andato  prima  del  5  febbraio. 


309 

hanno  poca  voglia  di  venire  alle  mani:  si  combattono  di  astuzia 
e,  temporeggiando,  cercano  ciascuno  di  stancare  l'avversario  e  in- 
durlo a  prendere  per  primo  l'offensiva. 

Abbiamo  detto  che  il  conte,  dopo  l'impresa  di  Monza,  si  tro- 
vava ancora  a  Calco;  ne  diamo  subito  le  prove.  Nella  cartella  i?^- 
gistri  ducali,  Frammenti,  anni  1430-1452,  n.  19,  fra  le  non  molte 
lettere  dello  Sforza  riferentesi  a  questo  tempo,  e  pervenuteci  nelle 
loro  minute  cancelleresche,  una  ne  trovammo  davvero  interessante: 
è  del  1.»  febbraio  1450,  ed  è  datata  da  Calco  (i).  Eccone  il  con- 
tenuto. 11  comune  e  gli  uomini  di  Abbiategrasso,  affine  di  poter 
far  fronte  al  pagamento  della  «  taxa  bladorum  gentibus  armigeris, 
«  quas  prefata  D.  V.  iam  mensibus  duobus  et  pluribus  ad  ipsam 
«  [terram]  logiandas  transmisit  »,  costretti  come  sono  a  prendere 
a  mutuo  e  con  forte  interesse  la  richiesta  quantità  di  biade,  «  cum... 
«  anno  preterito  pauca  vel  quasi  nulla  biada  colligere  potuerunt, 
«  quoniam  in  herba  per  exercitum  V.  D.  destructa  fuerunt  »,  e 
d'altra  parte  non  potendo  ricorrere  a  nuove  tasse,  data  la  miseria 
della  popolazione,  supplicano  umilmente  lo  Sforza,  acciocché  dia 
loro  facoltà  di  alienare  beni  immobili  comunali  «  usque  ad  quan- 
<«  titatem  florenorum  trium  mille,  ualoris  sol.  XXXIJ  imper.  prò 
«  floreno  »,  non  ostanti  statuti  e  decreti  in  contrario;  il  che  ac- 
corda lo  Sforza  con  detta  sua  lettera-patente,  controfirmata  «  Jo- 
«  hannes  ».  Dello  stesso  giorno  e  medesima  località,  e  pure  con- 
trofirmata «  Johannes  »,  è  un  salvacondotto  a  Sandrino  de'  Barili 
di  recarsi  da  Bergamo  a  Milano  con  otto  compagni,  e  di  ripartirne 
con  la  cognata  Caterina  de'  Calepio  con  cinque  figli,  due  letti, 
panni,  vesti,  ecc.,  della  validità  di  giorni  quindici  (2).  Ma  anche  il 
2  e  3  febbraio  pare  che  il  conte  non  siasi  mosso  da  Calco;  perchè, 
sotto  tali  date,  troviamo  due  salvacondotti,  di  cui  l'uno  a  Giov.  Pao- 
lino Brippio  per  recarsi  nel  Monferrato  con  dodici  persone,  e  l'altro 
a'  nobili  Ercole  de'  Modegnano  e  Cristoforo  Porro,  mercanti,  per 
condurre  «  ex  partibus  inferioribus  extra  territorium  Comitis  ad 
«  ciuitatem  Laude,  tam  per  terram  quam  per  aquam,  prò  usu 
a  exercitu,  sine  aliqua  solutione  etc,  modios  100  frumenti,  modios 


(i)  Del  registro  originario,  a   noi   giunto  (come  tanti  altri  della  medesima 
cartella)  in  modo  frammentario,  occupa  i  foli.  221  V.-222. 
(2)  Ibid.,  fol.  222. 
Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VI.  20 


31 0  .  ALESSANDRO   COLOMBO 

«  40  ordey  et  salmas  25  leguminum  »,  entrambi  valevoli  per  mesi 
due  ;  sono  controfirmati  «  Persanetes  n  (i).  Non  abbiamo  documenti 
per  provare  che  lo  Sforza  abbia  lasciato  questa  località  il  4  o  il 
5  febbraio  ;  però  è  certo  che  egli,  il  6,  si  trovava  già  a  Vimer- 
cate,  come  dimostra  chiaramente  un  suo  notevole  decreto,  a  noi 
pervenuto  nella  solita  minuta  cancelleresca,  conservataci  ne'  Re- 
gistri Ducali,  Frammenti,  14^0-^2.  E  prezzo  dell'opera  soflfer- 
marci  su  questo  documento;  perchè,  oltre  a  fornirci  una  data  certa 
sur  una  delle  più  importanti  disposizioni  d'ordine  interno  emanate 
dal  conte,  durante  il  blocco  ch'egli  fece  di  Milano,  ci  porge  modo 
di  coordinarla  ad  altre  analoghe  disposizioni  antecedenti,  e  di  cor- 
reggere certe  inesattezze  e  notizie  esposte  in  modo  alquanto  vago 
dagli  storici  contemporanei. 

Informato  adunque  il  conte  come  molti  de'  suoi  sudditi,  con- 
trariamente agli  ordini  dati,  aveano  portato  e  portavano  di  nascosto 
temerariamente  vettovaglie  a  Milano,  «  quod  nobis  molestissimum 
«  fuit  et  est,  ac  causa  principalis  qua  ipsi  mediolanenses  obedientie 
«  nostre  in  hodiernum  usque  diem  non  peruenerunt  »,  per  impedire 
che  un  tal  fatto  avesse  a  rinnovarsi,  nominò  Mafino  de'  Stanga 
suo  «  commissario  »,  con  l'incarico  speciale  di  investigare  e  tradurre 
in  arresto  chiunque  si  fosse  attentato  di  condurre  o  far  condurre, 
o  in  qualsivoglia  altro  modo  favorire  che  si  conducessero  vettovaglie 
a  Milano;  i  beni  mobili  ed  immobili  de'  contravventori  saranno 
confiscati  a  favore  della  camera  comitale;  il  commissario  Stanga 
avrà  in  proposito  pieni  poteri  ;  e  tutti  gli  ufficiali,  rettori,  sudditi 
e  militari  saranno  in  obbligo  di  aiutarlo  e  favorirlo  (2).  Gli    scrit- 


(i)  Ibid.,  fol.  220. 

(2)  Ecco  il  documento,  nella  sua  integrità  : 

a  In  uicomercato,  sexto  fehruarij  14^0. 

«  Franciscusfortia  uicecomes  etc.  Piene  informati  de  uictualibus  Mediolanum  con- 
«  ductis,  tempori  uetito  et  contra  ordines  nostros,  per  quamplures  ex  sub- 
«  ditis  nostris  ex  eorum  audacia  et  teraeritate,  quod  nobis  molestissimum 
«  fuit  et  est,  ac  causa  principalis  qua  ipsi  mediolanenses  obedientie  nostre  in 
«  hodiernum  usque  diem  non  peruenerunt.  Et  quorum  uigore  ipsi  ueniunt 
«  merito  condempnandi  et  puniendi,  eosdem  tales  inuestigari  uolumus  et 
«  haberi  debere.  Et  quos  haberi  poterit  personaliter,  in  habere  ac  persona 
a  puniri.  Et  quos  non  haberi,  saltim  in  habere,  ut  ceteris  transeat  in  exem- 


l'ingresso   di   FRANCESCO   SFORZA    IN   MILANO,   ECC.  31I 

tori  milanesi  ricordano  benissimo  quest'ordine  perentorio  dello 
Sforza,  ed  anzi  il  Corio  allude  chiaramente  allo  Stanga,  senza 
però  nominarlo,  là  dove  dice  che  fu  mandato  un  commissario 
a  far  dovunque  incetta  di  grano  per  l'esercito  sforzesco  (i);  ma 
nessuno,  da  quanto  ci  consta,  ha  saputo  precisarne  la  data  e  le 
circostanze.  E  siccome  dalla  narrazione  di  quelli  (2),  se  non  dai 
documenti,  che  al  riguardo  fanno  difetto,  appare  essere  avvenuto 
anche  uno  spostamento  nelle  singole  posizioni  de'  belligeranti;  noi 
possiamo  ragionevolmente  dedurre  che  intorno  al  6  febbraio,  e  cioè 
quando  avveniva  la  nomina  dello  Stanga,  lo  Sforza  avea  già  im- 
partito tutti  gli  ordini  per  fortificare  la  linea  Melzo-Vimercate-Se- 
regno-Carate-Cantù,  e  i  veneziani  aveano  finalmente  operato  la  loro 
congiunzione  co'  milanesi,  occupando  la  linea  che  da  Como,  lungo 
i  monti  della  Brianza,  andava  sino  a  Olginate,  spingendosi  anche 
al  di  là  dell'Adda.  I  quartieri  generali  erano  rispettivamente,  quello 
del  conte  a  Vimercate,  quello  del  Malatesta  a  Galbiate;  e  avamposti 
del  primo,  costituiti  dalla  cavalleria  e  fanteria  scelta  di  Roberto  da 
Sanseverino  e  del  Salernitano,  mantenevano  di  continuo  il  contatto 
col  nemico,  per  impedirgli  di  scendere  al  piano  e  portar  così  soc- 
corso agli  affamati  milanesi. 


«  plum  et  omnibus  sit  animo  nostris  stare  mandatis.  Confidentes  igitur  de 
«  prudentia,  fide  ac  solicitudine  dilecti  nostri  Mafini  de  Stanghis,  tenore  pre- 
«  sentium,  elligimus,  creamus  et  deputamus  eundem  Mafinum  in  officium 
«  nostrum  specialem  ad  predicta  et  infrascripta  exequenda.  Dantes  et  conce- 
«  dentes  eidem  Mafino  potestatem,  auctoritatem  et  baliam  in  toto  territorio 
«  nostro  possendi  et  debendi  omnes,  et  sint  qui  uelint,  qui  conduxerunt 
«  seu  conduci  fecerunt,  uel  conducentibus  concesserunt  auxilium  siue  dede- 
«  runt,  seu  dare  fecerunt  modo  aliquo  aliqua  uictualia  Mediolanum,  ut  dictum 
«  est,  contra  ordines  et  sine  licentia  nostra  seu  officialium  nostrorum,  inue- 
ii  stigare,  arrestare,  capere  et  detinere  personaliter.  Et  ipsorum  omnium  bona 
«  queque,  tam  mobilia  quam  immobilia,  describere  et  camere  nostre  appli- 
«  care,  ac  uendere,  alienare,  deponere  et  transportare,  seu  describi,  applicar!, 
c(  uendi,  alienari,  deponi  ac  transportari  facere,  prout  sibi  uisum  fuerit  et 
a  uidebitur  expediens,  ac  peccunias  eorum  omnium  recipere,  ac  confessiones 
«  facere  opportunas.  Et  queque  alia  facere  prò  predictis  exequendis,  que 
«  nostre  camere  cedere  nouerit  utilitati  etc.  Persanetes  i.. 

(i)  CoRio,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  171. 

(2)  Cfr.  Simonetta, -op.  cit,,  p.  593;  Gagnola,    Cron,  milan.,,  in  Archivio 
stor.  ita].,  serie  I,  voi.  Ili,  p.  120  ;  Corio,  loc.  cit. 


312  ALESSANDRO   COLOMBO 

Abbiamo  detto  più  sopra  che  la  nomina  dello  Stanga  a  com- 
missario per  l'incetta  de'  viveri,  e  proibizione  di  condurne  a  Milano, 
ci  richiama  alla  mente  altre  analoghe  disposizioni  anteriori  dello 
Sforza;  il  sunto  di  queste,  o  per  lo  meno  i  provvedimenti  presi 
dagli  agenti  del  conte  in  una  determinata  regione  contro  i  loro 
contravventori,  ci  fu  conservato  in  un  registro  frammentario  (i): 
e  noi  ci  affrettiamo  a  riassumerlo,  potendo  da  esso  ricavare  par- 
ticolari notevoli  su  questo  periodo  fortunoso  di  storia  lombarda. 
Sono  cinque  verbali  di  interrogatori,  tenuti  da  una  specie  di  corte 
marziale,  stabilita  nel  castello  di  Lodi  e  presieduta  dal  famoso  Cicco 
Simonetta  (2);  vanno  dal  17  gennaio  1450  al  3  febbraio  succes- 
sivo. Non  fu  conservato  il  testo  del  decreto  di  Francesco  Sforza 
contro  quelli,  che  si  attentavano  di  far  pervenire  vettovaglie  a  Mi- 
lano; è  lecito  però  supporre  che  esso  non  differenziasse  gran  che 
da  quello  emanato  il  6  febbraio  a  favore  dello  Stanga  :  ma  i  punti 
o  capitoli,  sui  quali  dovevano  essere  interrogati  i  rei  o  sospetti, 
per  conoscere  la  loro  colpabilità  e  giudicare  in  merito,  ci  sono 
noti,  incominciando  con  essi  il  frammento  di  registro.  E  sono: 
i.o  Quale  e  quanta  vettovaglia  fu  condotta  in  Milano;  2.°  Quante 
volte;  3.^  In  che  tempo;  4,°  Donde  fu  tolta  e  per  qual  via  introdotta 
in  Milano,  da  chi  fu  comperata  e  a  chi  venduta;  5.°  Se  all'imputato 
è  noto  che  altri  abbiano  fatto  la  stessa  cosa,  e  quali  sono  coloro 
che  lo  accompagnarono  o  favorirono;  6.°  Se  vi  siano  altre  circo- 
stanze degne  di  nota.  Sei  individui  vennero  esaminati  («  rasonnati  » 
leggesi  nel  documento)  ne'  giorni  17  e  18  gennaio  1450.  11  primo 
fu  certo  Dionigi  di  Stefano  da  Castello,  abitante  a  Bescapè  e  di 
professione  oste.  Egli  riferisce,  previo  giuramento,  che,  in  una  notte 
del  passato  dicembre,  Giovanni  Moco  di  Sant'Angelo  con  due  suoi 
compagni,  di  cui  ignora  i  nomi,  e  centonovanta  persone,  con  un 
carico  a  spalla  di  duecento  porci  circa  e  formaggi,  venendo  di  là 
da  Po  si  avviarono  a  Milano,  dopo  aver  mangiato  e  bevuto  alla  sua 


(i)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Militare,  Guerre,  142^-60.  Cart.,  di  foli,  io, 
di  cui  cinque  scritti,  mìll.  300  X  no. 

(2)  Così  appare  da  una  lettera  del  Conte  in  data  Calco,  23  gennaio  '450, 
trascritta  nel  Registro.  Gli  altri  membri  erano  :  frate  Bassano  di  Lodi,  dell'or- 
dine di  S.  Francesco  ;  frate  Giovanni  di  Lodi,  dell'ordine  di  S.  Agostino  ;  mes- 
sere Michele  de'  Mariani  di  Milano;  Venturino  de'  Brambilla,  castellano  di 
Lodi. 


L* INGRESSO    DI    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,   ECC.  313 

osteria.  Parimente  intorno  a  quel  tempo,  narra  sempre  il  nostro 
oste,  certo  Panica  da  Landriano  e  un  suo  figlio  portarono  a  spalla 
due  sacchi  di  pane  a  Milano;  un  tal  Facio  da  Bescapè  gli  vendette 
dieci  libbre  di  sale,  cui  egli  rivendette  ad  alcuni  milanesi,  venuti 
con  que'  tali  de'  porci;  e  altri  infine,  tra  cui  il  Guercio  e  un  mor- 
tarese,  con  tre  carichi  («  cavallate  »)  di  sale,  dopo  aver  cenato  al- 
l'osteria, si  diressero  alla  volta  di  Milano.  Non  meno  interessante 
è  la  deposizione  di  certo  Bartolomeo  di  Leone  Chioppo  da  Lodi, 
fatta  dopo  quella  di  Dionigi  da  Castello.  Prestato  il  dovuto  giura- 
mento, egli  narra  come,  lo  scorso  dicembre  (il  giorno  non  dice),  si 
trovò  insieme  con  Taddeo  Busello  e  Giacomo  Lanzani  da  S.  Co- 
lombano, Antonino  Poltrono  da  Chignolo,  maestro  Giacomo  pure 
da  Chignolo  e  Giorgio  Maizo  da  Lodi  nella  terra  di  S.  Colombano, 
e,  richiesto  dal  sopracitato  Antonino,  anche  a  nome  degli  altri 
compagni,  se  voleva  unirsi  loro  per  condurre  a  Milano  sessantatre 
porci  menati  di  là  da  Po,  accettò  ben  volontieri  l'offerta;  ma,  mes- 
sosi con  quelli  in  cammino,  a  un  miglio  circa  dal  ponte^del  Lambro, 
nel  territorio  di  S.  Angelo,  si  scontrò  con  un  reparto  di  fanteria 
milanese  e  fu  derubato  de'  porci.  Recatosi  allora  a  Milano  con  un 
certo  Pollo,  riferì  il  furto  a  Domenico  da  Pesaro,  capitano  di  giu- 
stizia, quello  stesso  che  noi  ritroveremo  più  tardi  il  giorno  della 
sommossa  in  piazza  della  Scala,  e,  per  mezzo  suo,  potè  ottenere 
la  restituzione  de'  famosi  porci.  Riferisce  ancora  il  nostro  Barto- 
lomeo che,  nel  dicembre  1449,  in  quel  di  S.  Colombano,  Giovanni 
da  Monza  e  Francesco  da  Lodi  aveano  pure  de'  porci  da  condurre 
in  Milano;  che,  sempre  in  quell'anno  e  nel  mese  di  novembre,  egli 
si  era  recato,  insieme  con  altri  dodici,  da  Lodi  a  Caorso  (nel  Pia- 
centino) per  acqua  e  di  qui  a  Chiavenna-Landi  (i)  per  terra,  com- 
perandovi 91  porci,  i  quali,  per  la  via  di  Monticelli-S.  Colombano- 
S.  Angelo,  furono  condotti  a  Milano  e  ivi  venduti;  che  infine, 
trovandosi  egli  in  questa  città  la  notte  di  Natale  p.  p.,  vide  come 
Antonio  Fornaro  da  Melegnano,  Tommaso  da  Robba  (Robbio?), 
Taddeo  Bosello,  Antonino  Poltrono  da  Chignolo,  Bassiano  Chioppo 

(i)  Nel  Registro  è  scritto  solo  «  Chiauenna  »  e  a  Chiuenna  »,  ed  è  un 
torrente  tributario  di  destra  del  Chero,  affluente  a  sua  volta  di  destra  del  Po. 
Sulle  sue  rive,  noti  lungi  da  Corte-Maggiore,  evvi  un  borgo  o  meglio  cascinale, 
chiamato  Chiavenna-Landi  ;  un  Chiavenna-Torretta  esiste  pure  presso  Lugagnano  : 
ma  il  primo  è  nel  piacentino^  il  secondo  nel  parmigiano. 


314  ALESSANDRO    COLOMBO 

da  Lodi  e  Domenico  de'  Fayni  vi  condussero  e  vendettero  otto 
porci,  due  carichi  («  cavallate  »)  di  pane  e  uno  di  strutto  («  sonza  »). 
Più  breve  è  la  deposizione  di  Cristoforo  di  Bassano  Chioppo  da 
Lodi,  certo  un  cugino  del  precedente,  esaminato  per  terzo.  An- 
ch'egli,  fatto  il  dovuto  giuramento,  narra  che  nel  dicembre  1449  si 
recò,  con  altri  dodici  compagni  (i),  a  Chiavenna-L.  per  comperarvi 
90  porci,  i  quali,  per  la  via  di  S.  Angelo,  furono  tutti  condotti  e 
venduti  a  Milano  a  diverse  persone;  e  noi  abbiamo  ricordato  questa 
testimonianza,  perchè  essa  conferma  in  parte  l'altra  del  cugino 
Bartolomeo,  ove  si  tolgano  la  differenza  del  mese  e  qualche  va- 
riante nei  nomi  de'  compagni  (2).  Viene  quarto  Domenico  de'  Fayni 
da  Lodi,  accusato  concordemente  da'  due  cugini  Chioppo  come  uno 
di  quelli,  che  presero  parte  alla  nota  spedizione  de'  novanta  porci; 
ma  egli,  non  ostante  la  prova  palese  e  la  tortura  subita  per  ben 
tre  volte,  stette  sempre  sulla  negativa:  per  cui  quella  specie  di 
corte  marziale  si  vide  costretta  a  chiedere  consiglio  al  conte  Fran- 
cesco sulla  pena  da  applicarsi  a  quell'ostinato,  e  la  risposta  venne 
cinque  giorni  dopo,  e  fu  per  l'impiccagione,  come  già  si  era  fatto 
per  i  due  Chioppo,  accusatori  e  in  pari  tempo  rei  confessi  (3).  Gli 
ultimi  due  interrogati  il  giorno  18  gennaio  sono  Antonio  da  Piscina 
da  Bescapè  e  Antonio  de'  Petrino  da  Broni  :  il  primo  riferisce  che 
il  proprio  fratello  Zannetto,  unitamente  ad  altri  due,  condusse  lo 
scorso  anno  d'Oltrepò,  per  il  passo  della  Napola,  un  carico  di  sale 
a  Milano;  il  secondo  che  il  passato  dicembre  tali  Bartolomeo  detto 
Cariò  del  Mostone,  Carlo  dell'Aguzzafame,  Antonio  de'  Gualtero  e 
Zannino  de'  Scalfì  da  Zibido  comperarono  a  Stradella  quattro  ca- 
richi di  sale  ed  olio,  e  li  vendettero  a  Zibido  stesso  a  un  certo 
Pietro  da  Landriano:  anch^essi  è  da  credere  che  abbiano  seguito 
la  sorte  de'  due  Chioppo  e  del  Faini. 

(i)  Eccone  i  nomi:  Antonio  Fornaro,  Giovanni  da  Monza,  Tommaso  da 
Robba,  Bartolomeo  Chioppo,  Domenico  Fayni,  Lanzino  da  Lodi,  Scaramuzino  da 
Lodi,  Bassano  Chioppo  e  il  fratello  Rainaldo,  Giovanni  de'  Baldo  di  Milano, 
Francesco  da  Lodi  e  Pollo  da  Gallomozo. 

(2)  Antonio  Fornaro  è  detto  di  Melegnano;  Lanziano  da  Lodi,  anziché 
Lanzino;  Scaramuza  invece  di  Scaramuzino. 

(3)  Chi  scrisse  la  lettera  al  Conte  fu  Cicco  ;  e  la  risposta  (della  quale  è  ri- 
portata testualmente  la  parte  che  interessa)  ha  la  data  di  Calco,  25  gennaio  '450, 
ore  8  di  notte,  controfirmata  Persanete.  Forse  con  quella  delazione  i  Chioppo 
speravano  di  aver  salva  la  vita. 


i 


l'ingresso   di    FRANCESCO   SFORZA   IN   MILANO,   ECC.  3X5 

Non  meno  interessanti,  per  la  storia  del  blocco  di  Milano,  sono 
le  interrogazioni  fatte  il  ai,  23  e  27  gennaio,  e  il  3  febbraio  1450. 
Due  furono  chiamati  a  rispondere  nel  primo  giorno:  Antonino 
de'  Faini  da  Landriano,  e  Tommaso  de'  Mozano.  Richiesto  da  Luigi 
Prina  e  Giovannino  Restocco,  la  notte  del  i.°  gennaio,  se  voleva 
unirsi  a  loro  per  condurre  a  Milano  del  pane,  fatto  venire  co'  ca- 
valli da  Pavia  a  Lodi,  il  Faini  accettò,  ed  anzi  pattuì  il  prezzo  di 
soldi  17;  ma  egli  non  vi  andò  personalmente,  incaricando  di  por- 
tare due  formaggi  il  proprio  fratello;  il  pane,  il  formaggio  ed  altri 
viveri  furono  poscia  condotti  a  Milano  ed  ivi  venduti  da  circa  140 
persone,  di  alcune  delle  quali  sono  ricordati  i  nomi.  Il  Faini  narra 
ancora,  che  messer  Francesco  da  Landriano  inviò  più  volte,  e  in 
diverse  epoche,  del  pane  e  altre  vettovaglie  a  Giovanni  Pietro  da 
Landriano,  abitante  in  quella  città;  e  che  altrettanto  faceva  Gabriele 
di  Giovanolo  da  Landriano,  spedendo  a  Milano  il  pane,  cotto  in 
casa  sua,  per  mezzo  di  un  proprio  massaro,  per  nome  Ambrogio 
Moraga.  La  deposizione  del  Faini  viene  confermata  in  alcuni  par- 
ticolari da  Tommaso  de'  Mozano;  questi  poi  aggiunge  di  aver  ri- 
cevuto, sempre  nel  mese  di  gennaio,  da  Giovan  Bello  da  Landriano 
18  pani  di  miglio,  che  vendette  in  Milano  al  prezzo  di  soldi  50, 
tenendo  per  sé  soldi  16.  Uno  solo  fu  sottoposto  ad  interrogatorio 
il  23  gennaio:  Leone  de' Lagriago  da  Landriano.  Questi  racconta, 
previo  giuramento,  come  addì  i.»  gennaio  comperò  da  Beltramo 
Pachia,  pure  da  Landriano,  due  formaggi,  del  peso  di  circa  lib- 
bre 22,  al  prezzo  di  soldi  5  V2  ^^  libbra,  e  li  portò  a  spalla  entro 
un  sacco  a  Milano,  vendendoli  a  Cristoforo  del  Magro  postiere  per 
soldi  7  la  libbra:  pagato  nel  suo  ritorno  il  Pachia,  che  gli  avea 
venduto  i  formaggi  sulla  parola,  prese  per  sé  il  guadagno  netto 
(soldi  33);  furono  con  lui  compagni,  portando  ciascuno  viveri  di- 
versi, da  vendere  per  proprio  conto,  Tommaso  da  Sala,  Cristoforo 
da  Milano,  Stefanino  da  Lina,  Giacomo  Prina,  Antonio  Dotto,  Gia- 
como del  Bezozo,  Giovanni  de'  Griffini  e  altri  (circa  40),  de'  quali 
però  ignora  i  nomi,  essendo  o  di  Milano  o  di  Bescapè  o  addirittura 
forestieri.  Chiestogli  se  fu  altre  volte  a  Milano,  rispose  che  sì,  ma 
sempre  con  salvacondotto.  Addì  27  gennaio  Antonino  dal  Pro,  fu 
Guglielmo,  da  Borgonovo,  il  solo  esaminato  in  quel  giorno,  depose 
che  in  questo  stesso  mese,  trovandosi  a  Ticozzo  con  la  sua  ca- 
valla, ebbe  l'invito  da  certo  Antonio  Poltroni  di  unirsi  a  lui  e  ad 
altri  soci,  per  condurre  fino  a  Po  sette  «  cavallate  »  di  sale  e  una 


3l6  ALESSANBRO   COLOMBO 

a  asinata  »  di  burro:  il  compenso  sarebbe  stato  di  un  fiorino.  Ma^ 
giunti  alla  riva  del  fiume,  mentre  il  Poltroni  e  compagni  (il  dal  Pr  o 
pare  li  avesse  lasciati)  stavano  per  passarlo  al  luogo  detto  «  in 
«  bocca  d'ambro  »,  con  l'intenzione  di  condurre  il  burro  e  il  sale 
con  un  «  borchiello  »  a  S.  Colombano,  e  di  qui  a  Milano,  furono 
sorpresi  dalla  retroguardia  del  conte  e  dagli  uomini  di  Pavia  e  di 
Arena,  e  spogliati  del  lor  carico.  Finalmente  il  3  febbraio  tal  Gio- 
vanni Vigono,  fu  Bartolomeo,  da  Vigone,  riferì  che  nel  dicembre 
e  gennaio  scorsi  Paviglono,  «  compagno  del  nostro  IH.  S.  et  suo 
u  habitatore  et  guardiano  de  la  terra  de  pischera,  contado  de  Milano  », 
inviò  a  diverse  riprese,  per  mezzo  di  un  suo  famiglio,  il  Rossetto, 
e  di  un  fante  di  Domenico  Buzano,  pane,  farina  ed  altre  vettova- 
glie a  Milano,  facendole  recapitare,  per  rivenderle,  in  casa  di  Cal- 
dino da  Robecco,  abitante  a  porta  Tosa;  il  fatto  fu  riconfermato 
da  Giorgio,  detto  il  «  Rinegadio  »,  da  Patarini,  contado  milanese, 
narrandolo  a  un  tal  Caldino  da  Milano,  fu  Giovanni.  Così  finisce 
l'elenco  degli  esaminati;  né  è  da  credere  che  quella  specie  di 
corte  marziale,  stabilita  nel  castello  di  Lodi,  abbia  continuato  an- 
cora molto  nel  proprio  ufficio:  tre  giorni  dopo,  avveniva  la  no- 
mina dello  Stanga;  e  con  questa,  virtualmente,  essa  decadeva  dal 
suo  mandato. 

Molte  considerazioni  possiamo  dedurre  dall'ultimo  documento, 
sul  quale,  non  senza  motivo,  ci  siamo  così  a  lungo  soffermati.  An- 
zitutto, che  la  carestia  in  Milano  s'era  incominciata  a  far  sentire 
fin  dal  novembre  1449,  e  che,  non  ostanti  gli  ordini  dello  Sforza 
e  l'attenta  sorveglianza  esercitata  dalle  sue  truppe  e  da'  suoi  amici, 
le  vettovaglie  continuavano  a  giungere  in  quella  città,  pagate  na- 
turalmente a  carissimo  prezzo,  date  le  difficoltà  dell' incettamento 
e  del  trasporto;  che  i  paesi,  ne'  quali  le  dette  vettovaglie  venivano 
specialmente  raccolte,  erano  quelli  posti  al  di  là  del  Po;  che  il 
maggior  contingente  degli  arditi  contrabbandieri  era  dato  dal  lodi- 
giano;  e  che  la  via  da  essi  più  battuta,  perchè  meno  guardata  dagli 
sforzeschi,  era  quella  di  S.  Colombano  e  di  S.  Angelo.  Gli  storici 
milanesi,  poi,  concordemente  affermano  che  da  Monza  e  da  Como 
venivano  in  gran  parte  viveri  a  Milano;  ed  era  naturale:  quelle 
città  erano  ancora  fedeli  alla  repubblica.  Non  è  quindi  a  stupirsi 
se  questa  potè  tanto  resistere,  non  ostante  fosse  politicamente  e 
finanziariamente  sfasciata.  A  ciò  s'aggiungano  le  mosse  de'  veneti, 
del  Piccinino  e  del  Colleoni,  non  sempre  decise;  la  necessità,  per 


L  INGRESSO    DI    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,   ECC.  317 

il  conte,  di  tener  sempre  divise  le  proprie  forze,  a  fine  di  aver 
l'occhio  a  tutto,  che  gli  impediva  di  operare  con  quella  energia  e 
celerità  che  avrebbe  desiderato;  la  difficoltà,  sempre  grave  per  un 
esercito,  dell'approvvigionamento.  Noi  abbiamo  visto  come  lo  Sforza, 
con  la  nomina  dello  Stanga,  potè  ovviare  in  parte  a  questo  incon- 
veniente; inducendo  quindi  con  l'astuzia  il  Mal  atesta  a  passare 
l'Adda  e  a  riunirsi  co'  generali  milanesi,  ottenne  il  doppio  scopo 
di  inchiodarlo,  per  così  dire,  sulle  montagne  della  Brianza  e  di 
concentrare  i  proprii  soldati  in  un  punto  solo.  In  tali  condizioni 
di  cose,  la  caduta  di  Milano  non  era  più  che  questione  di  tempo. 
Tuttavia  i  documenti,  che  ci  rimangono,  non  portano  gran  luce 
sugli  avvenimenti,  che  caratterizzano  gli  ultimi  venti  giorni  della 
libertà  milanese.  Giacché  i  cronisti  sincroni,  senza  lor  colpa,  si  sono 
più  tosto  compiaciuti  di  narrare  le  vicende  interne  della  città,  che 
di  mettere  queste  in  relazione  co'  fatti  esteriori;  e  come  non  ci  sono 
note  tutte  le  mosse  dello  Sforza  dal  6  al  26  febbraio,  allorché  an- 
dava stringendo  le  fila  della  sua  politica,  così  rimane  in  parte  nel- 
l'oscurità quanto  fecero  i  veneti,  in  sul  tramontare  della  ormai  de- 
crepita repubblica  ambrosiana.  Se  ne  deve  ad  essi  la  completa 
rovina,  oppure  essi  hanno  fatto  tutto  il  possibile  per  impedirla?  I 
pochi  fatti,  che  verremo  ancora  esponendo,  prima  di  passare  a 
quello  che  forma  oggetto  del  nostro  studio,  ci  proveranno  quale 
sia  l'opinione  da  preferirsi. 

Da  Vimercate,  dove  aveva  trasportato  definitivamente  il  proprio 
quartier  generale,  è  certo  che  lo  Sforza  non  si  mosse  più  per  tutto 
il  mese  di  febbraio,  e  nemmeno  per  la  prima  decade  del  marzo 
successivo,  ove  si  faccia  eccezione  di  quando  venne  a  Milano,  a 
prendere  per  la  prima  volta  possesso  del  nuovo  dominio:  lo  pro- 
vano, oltre  il  documento  primo,  che  contiene  l'abbozzo  de'  capitoli 
per  la  condotta  del  Piccinino,  alcuni  salvacondotti  concessi  appunto 
a  Vimercate,  il  20  febbraio,  a  gente  che  diceva  di  recarsi  a  Milano 
per  suoi  affari  (i),  non  che  diverse  lettere  le  quali,  per  essere  di 
data  posteriore  al  26,  saranno  da  noi  studiate  più  avanti.  E  a  Vi- 
mercate egli  naturalmente  cercò  di  riunire  il  maggior  nerbo    delle 

(i)  Arch.  cit.,  Reg.  due,  Framm.,  1430-^.  Sono  tre  salvacondotti:  l'uno 
ad  Antonello  de'  Merate  di  Lodi  ;  l'altro  a  Giovanni  de'  Spazini  ;  il  terzo  ad 
undici  persone,  che  chiedono  di  recarsi  a  Milano  per  parlare  col  ministro  del- 
l'Ospitale di  S.  Lazzaro,  a  proposito  della  coltivazione  di  certe  terre. 


3l8  ALESSANDRO   COLOMBO 

sue  truppe:  su  questo  vanno  d'accordo  anche  i  cronisti.  Ma  che 
cosa  fece  in  questo  frattempo?  Tre  cose  precise  noi  conosciamo 
soltanto,  dalle  narrazioni  sincrone:  la  fortificazione  del  campo  a 
Vimercate  con  argini  e  fosse  e  lo  sbarramento  di  tutte  le  vie  con- 
ducenti a  Milano;  l'ordine  simile  impartito  a'  connestabili  e  capi- 
squadre  dislocati  altrove,  a  Carate,  a  Seregno,  a  Cantù,  a  Melzo; 
il  tentato  tradimento  del  Ventimiglia.  I  documenti  poi  ci  hanno 
confermato,  in  modo  indiretto,  che  lo  Sforza,  in  questi  ultimi  tempi, 
aumentò  d'assai  la  sorveglianza  sulle  vettovaglie,  che  si  cercavano 
di  far  penetrare  nella  bloccata  città,  facendole,  dove  poteva,  re- 
quisire per  proprio  conto;  e,  direttamente,  che  furono  aperte  sul 
serio  delle  trattative  fra  il  conte  Francesco  e  il  conte  Jacopo  Pic- 
cinino. 11  Verri  (i)  infine  ci  fa  sapere  che,  con  biglietto  de'  Capi- 
tani e  difensori  della  libertà  in  data  20  febbraio,  Gaspare  da  Vi- 
mercate, quello  stesso  che  inutilmente  avea  offerto  Crema  allo 
Sforza  e  che,  per  esser  stato  a  lungo  sotto  le  sue  bandiere,  ne  era 
sincero  e  caldo  fautore,  avea  ottenuto  di  poter  uscire  «  tute,  libere 
u  et  impune  »  da  Milano,  con  otto  servi  e  tutte  le  sue  robe,  pur- 
ché non  si  recasse  «  ad  partes  hostiles  »,  ma  dritto  dritto  «  ad 
u  illustrem  dominum  Sigismundum  Pandulphum  de  Malatestis  Ari- 
u  minensem  ac  illustrissimi  dominii  Venetorum  etc.  Capitaneum 
a  Generalem  ».  Il  Verri  osserva  che,  anziché  abboccarsi  col  Ma- 
1  atesta,  il  Vimercate  concertò  probabilmente  col  conte  la  dedizione 
di  Milano;  e  la  cosa  potrebbe  essere  verosimilissima,  ove  tal  viaggio 
fosse  realmente  avvenuto.  Ma,  fino  a  prova  contraria,  rimane  sempre 
l'attestazione  del  Simonetta,  non  essersi  cioè  il  Vimercate  mai 
mosso  dalla  città,  prima  che  questa  si  rendesse  allo  Sforza  (2).  E 
però  troviamo  ragionevole  l'osservazione  del  Bertolini  (3):  «  nel 
«  passaporto...,  sovra  cui  il  Verri  poggia  la  sua  narrazione,  non 
a  altro  si  attesta,  fuorché  Gaspare  avea  avuto  l'intenzione  di  fare 
«  il  viaggio  ».  Il  precipitarsi  degli  avvenimenti,  e  forse  anche  qualche 
avviso  pervenutogli  a  tempo  (poiché  non  è  a  credere  che  fossero 


(i)  Verri,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  29,  nota  i.  Il  documento  [è  dell'Archivio  Civico 
di  Milano,  Gridarium,  Reg.  C,  fol.  13$  v. 

(2)  Il  RuBiERi,  op.  cit.,  voi.  II,  pp.  203-204,  non  sappiamo  con  qual  fon- 
damento, dopo  aver  ammesso  che  il  V.  si  recò  dallo  Sforza  il  20  febbraio,  ag- 
giunge che  il  25  era  già  di  ritorno  a  Milano! 

(3)  Bertolini,  op.  cit.,  p.  45.  Cfr.  Sickel,  op.  cit.,  p.  214  e  nota  i. 


l'ingresso   di   FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  319 

tutte  sincere  quelle  persone,  che  chiedevano  e  così  facilmente  ot- 
tenevano dallo  Sforza  de'  passaporti,  il  giorno  20  febbraio,  a  Vi- 
mercate),  avranno  indotto  il  futuro  conte  di  Valenza  a  non  moversi 
più  dalla  città. 

Ma  neanche  Venezia  se  ne  stava  inoperosa.  Appena  conchiusa 
la  pace  con  Milano,  essa  si  era  affrettata  a  dar  ordine  a'  suoi  ca- 
pitani, che  militavano  sotto  lo  Sforza,  di  abbandonarlo,  di  ripassare 
l'Adda  e  di  desistere  tosto  dalle  ostilità  contro  quella  repubblica, 
non  più  nemica  ma  alleata;  e,  quantunque  conoscesse  a  fondo  il 
pensiero  del  conte,  gli  avea  inviato  al  campo  il  solito  Malipiero, 
perchè  gli  annunciasse  ufficialmente  il  nuovo  orientamento  politico 
e  le  ferme  intenzioni  del  proprio  governo.  Quale  ambasciatore  ve- 
niva quindi  spedito  a  Milano,  con  regolare  passaporto,  il  Venier, 
vittima  più  tardi  del  tumulto  del  25  febbraio;  e  mentre  effettiva- 
mente era  una  bravata  della  Serenissima  il  sostenere  come  già  av- 
venuta la  pace  generale  di  tutti  gli  stati  della  penisola  (i),  noi 
abbiamo  forti  motivi  per  credere  che,  almeno  nell'intenzione  di 
liberare  Milano  dall'assedio  e  dalla  fame,  la  repubbUca  veneta  fu 
sincera.  Che  poi  il  Malatesta  non  sia  stato  pari  al  suo  ufficio  e  che 
le  molte  vettovaglie,  radunate  nel  bergamasco,  non  abbiano  potuto 
giungere  fino  a  Milano,  è  un'altra  questione.  Se  i  documenti  ri- 
guardanti Venezia  in  questo  tempo  non  facessero  difetto,  noi  po- 
tremmo meglio  corroborare  la  nostra  asserzione;  tuttavia,  per  il 
nostro  scopo,  basterà  l'esame  di  una  lettera,  che  va  sotto  l'anno  1449, 
e  che  un  agente  dello  Sforza  scriveva  al  suo  signore  il  23  no- 
vembre da  un  paese  oltre  l'Adda,  che  potrebbe  anche  essere  non 
molto  lontano  da  Brescia  (2).  In  essa  si  avvisa  anzitutto  il  conte 
che  Sigismondo  Malatesta  («  el  S.  Gismundo  »),  generalissimo  dei 
veneti,  ha  dato  ordine  a'  suoi  di  concentrarsi,  «  come  sentono  il 
«  signale  delle  bombarde  che  traranno  »,  a  Pontoglio,  e  ivi  di  at- 
tendere sue  ulteriori  e  più  precise  disposizioni:  certo,  passando  per 


(i)  Non  era  nemmeno  certa  la  sua  alleanza  con  Napoli,  come  si  rileva 
dalla  lettera  in  data  Roma,  9  marzo  1450,  già  ricordata  addietro:  «...  Se  altro 
«  sentirò  più  chiaro  de  decto  acordo  del  Re  cum  Venetia,  lo  quale  non  credo, 
a  perchè  né  N.  S.  né  lo  amb.re  vca.°,  secondo  sento,  affermano  non  ne  sapere 
«  niente...  ». 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Militare,  Guerre,  142^-60.  Min.  cart.,  senza 
indirizzo  né  indicazione  di  luogo  e  di  anno. 


320  ALESSANDRO   COLOMBO 

Trezzo  o  per  Brivio,  egli  mirava  ad  unirsi  con  Jacopo  Piccinino^ 
successo  al  padre  suo  Francesco  nel  comando  delle  milizie  ambro- 
siane. Che  r  alleanza  tra  Milano  e  Venezia  fosse  dunque  un  fatto 
quasi  compiuto,  non  v'era  più  luogo  a  dubitare;  l'agente  sforzesco 
raccomanda  pertanto  al  suo  signore  di  provveder  presto  «  al  facto 
«  nostro  ».  Ma  v'ha  di  più:  e  forse,  a  questo  riguardo,  il  dettò 
agente  riferivasi  più  tosto  a  voci  che  correvano,  che  non  a  notizie 
attinte,  come  la  prima,  da  fonte  sicura.  11  vescovo  di  Rimini,  Jacopo 
da  Cortona,  informa  il  Malatesta  d'un  accordo  tra  il  papa  e  Ve- 
nezia, ormai  condotto  a  buon  punto;  e  certo  Luca  fa  sapere  da 
Venezia  che  un  Giovanni  da  Ricordati  è  stato  inviato  segretamente 
«  ad  tractare  l'accordio  tra  lo  S.  Gismundo  et  lo  Re  de  Ragona  »  (i). 
E  pure  informato,  continua  il  nostro  agente,  dell'ambascieria  di 
Angelo  Simonetta  al  Senato  veneto;  ma  egli  non  crede  all'offerta 
di  Parma,  per  parte  del  suo  signore,  a  Venezia,  in  compenso  di 
un  problematico  aiuto  nella  impresa  di  Milano:  poiché,  cedendo 
Parma,  si  può  benissimo  cedere  anche  Piacenza,  e  «  demum  el 
«  resto  ».  Tuttavia  i  milanesi,  avvertiti  di  queste  mene  segrete 
dallo  stesso  Malatesta  e  dal  Panigarola,  loro  ambasciatore  a  Ve- 
nezia, ne  muovono  aperto  lamento,  e  pregano  il  Malatesta  di  ac- 
correre sollecitamente  in  loro  aiuto,  affinchè  non  abbiano  a  cadere 
nelle  mani  del  conte  Francesco.  Sigismondo  comunica  tosto  al  Se- 
nato le  richieste  de' milanesi;  ma  dice  che  egh  non  potrà  muoversi,, 
fintantoché  non  gli  siano  giunti  in  Brescia  i  tremila  ducati  richiesti 
e  promessi.  È  una  pura  finzione  l'ordine  dato  da'  rettori  bresciani 
di  adattare"  la  strada  da  Brescia  a  Pontevico:  forse  con  ciò  essi 
sperano  che  il  conte  abbia  a  rivolgere  tutti  i  suoi  sforzi  da  quella 
parte,  cioè  verso  Parma,  lasciando  scoperti  Trezzo  e  Brivio,  a'  quali 
mira  il  Malatesta,  come  lo  dimostra  il  concentrarsi  di  tutte  le  sue 
truppe  a  Pontoglio.  Tuttavia  sarà  opportuno  guardare  da  ogni 
parte:  l'agente  nostro  confida  assai  nell'abilità  e  saviezza  del  suo 
signore;  ma  sopratutto  vuole  che  egli  conduca  le  cose  in  modo, 
«  che  qua  non  se  acorga  ve  ne  sia  facto  aduiso  de  qua  ».  In  un 
poscritto  poi  l'avverte,  che  la  signoria  di  Venezia  fa  di  tutto  per 
'indurre  il  marchese  di  Ferrara  ad  addossarsi  l'impresa  di  Parma. 


(i)  Quale  importanza  si  debba  dare  a  questa  alleanza,  e   all'altra   col   pon- 
tefice, vedremo  esaminando  la  più  volte  ricordata  lettera  del  9  marzo  1450. 


321 

Che  le  informazioni  dell'agente  a  noi  ignoto  fossero  in  gran 
parte  esatte,  dimostrarono  in  seguito  gli  avvenimenti:  non  molto 
dopo  infatti,  e  quando  probabilmente  il  Malatesta  ebbe  da'  veneziani 
tutto  ciò  che  desiderava,  si  aprivano  palesemente  le  ostilità  tra 
costui  e  il  conte.  Il  Malipiero  aveva  ormai  abbandonato  il  campo 
sforzesco. 


CAPO  SECONDO. 

Quanto  avvenne  prima  e  dopo  la  resa  di  Milano  allo  Sforza 
è  troppo  noto,  almeno  nelle  sue  linee  generali,  perchè  noi  dobbiamo 
semplicemente  ripeterlo:  sarebbe  davvero  come  portare  vasi  a  Samo 
e  nottole  ad  Atene.  Altro  è  lo  scopo  che  ci  siamo  prefissi  nel  det- 
tare questa  memoria;  e  sebbene  non  pretendiamo  di  dire  cose  del 
tutto  nuove,  o  solamente  tali,  tuttavia  desideriamo  che  quelle,  già 
narrate  da  altri,  messe  al  vaglio  della  critica  e  alla  stregua  de'  do- 
cumenti, siano  finalmente  «  un  po'  meglio  conosciute  ».  Giacché  è 
proprio  qui  il  caso  di  osservare,  che  molti  sono  stati  tentati  dalla 
grandiosità  dell'avvenimento,  ma  nessuno  è  riuscito  a  sciogliere 
ogni  dubbio.  Lo  stesso  Sickel,  che  al  riguardo  lasciò  scritto  il  più 
notevole  lavoro  che  io  conosca  (i),  mentre  avrebbe  potuto,  con 
l'acutezza  dell'ingegno  che  lo  distingue,  chiarire  molte  circostanze, 
si  è  pur  troppo  fermato  al  punto,  in  cui  comincia  il  nostro  lavoro  ; 
cosicché  l'ultimo  documento  da  lui  edito,  che  va  sotto  la  data  del 
26  febbraio  (2),  lasciato  a  sé  ha  potuto  condurre  qualcuno  (3)  a 
deduzioni,  della  cui  attendibilità  ci  é  lecito  dubitare.  Qualche  cosa 
di  nuovo  ha  fatto  il  Formentini,  nel  suo  interessante  lavoro  sul 
«  ducato  di  Milano  »  (4);  ma  se  noi  ci  dovessimo  unicamente  fon- 
dare su  di  lui,  ci  troveremmo    davvero   più   imbrogliati   di  prima. 

(i)  Sickel,  Beitràge,  ecc.,  citata. 

(2)  È  il  doc.  XXII  della  raccolta.  Egli  ricorda,  è  vero,  e  descrive  (p.  214, 
nota  3)  tre  altri  documenti  da  lui  veduti  all'Archivio  notarile  di  Milano,  riguar- 
danti sempre  i  capitoli  del  26  febbraio  ;  ma,  fuori  del  primo  (pubblicato  imper- 
fettamente, e  con  errore  di  data,  dal  Formentini  ;  cfr.  nota  4),  essi  non  furono 
mai  editi. 

(3)  Bertolini,  //  conquisto  di  Milano,  ecc.,  pp.  45-46. 

(4)  M.  Formentini,  Il  ducato  di  Milano,  studi  storici  documentati,  Milano, 
Brigola,  1877. 


322  ALESSANDRO   COLOMBO 

D'altra  parte  il  Verri  (i),  non  ostante  le  bizze  partigiane  e  il  ce- 
sarismo troppo  spiccato,  che  informano  il  suo  lavoro,  non  è  sempre 
da  disprezzare:  i  pochi  documenti  che  egli  cita,  ove  fossero  stati 
meglio  conosciuti,  avrebbero  infatti  potuto  arrecare  qualche  luce 
sull'argomento,  o  almeno  spingere  lo  studioso  a  proseguire  e  com- 
pletare, fin  dove  fosse  possibile,  le  ricerche  d'archivio-.  Il  che  pre- 
cisamente noi  abbiamo  fatto.  La  fortuna,  questa  volta,  ci  secondò  ; 
e  quali  ne  sian  stati  i  risultati,  giudicherà  da  sé  stesso  il  lettore. 

Il  primo  dubbio,  che  ci  si  presentava  alla  mente,  era  quello 
del  giorno  preciso  in  cui  scoppiò  la  rivolta  in  Milano.  Rispetto  alle 
cause,  che  la  determinarono,  non  avevamo  la  benché  minima  preoc- 
cupazione, essendo  convinti  che  esse  furono  varie  e  molteplici,  e 
non  dovute  soltanto  all'imperizia  e  al  fanatismo  di  quelli,  che  allora 
reggevano  la  sciagurata  repubblica.  Tuttavia  converrà  che  il  lettore 
si  ricordi  di  quanto  già  abbiamo  esposto  nel  precedente  capo;  e 
perché  il  suo  giudizio  sia  pieno  e  completo,  aggiungiamo  che,  oltre 
alla  famosa  grida  del  lunedì  23  febbraio  (2),  con  la  quale  si  com- 
minavano pene  severissime  ai  bestemmiatori  e  ai  libertini,  un'altra 
più  notevole  fu  pubblicata  il  26  successivo  (3),  da  cui  appare  che 
il  ducato  d'oro  era  sceso  al  valore  di  tre  lire  e  quattro  soldi  im- 
periali. Abbiamo  detto:  più  notevole.  Infatti,  se  la  prima  ci  dimo- 
stra chiaramente  la  sfacciata  corruzione  de'  milanesi  in  que'  tempi, 
e  potè  sembrare  a  qualcuno  la  goccia  che  fece  traboccare  il  vaso 
già  pieno  (4);  la  seconda  rimane  sempre  un  documento  irrefragabile 

(i)  Verri,  op.  cit.,  voi.  II,  cap.  XVI.  —  Affatto  destituito  d'ogni  fonda- 
mento critico  è  il  citato  lavoro  del  Rubieri,  Francesco  I  Sforma,  ecc.  ;  e  nulla 
di  nuovo,  per  questo  momento  storico,  aggiunge  il  Perret,  Histoire  des  relations 
de  la  France  avec  Venise^  Parigi,  1896,  voi.  I,  p,  218. 

(2)  Verri,  op.  cii,,  voi.  II,  p.  3 1,  in  nota.  Fu  edita  nuovamente  dal  Cantù, 
nelle  annotazioni  al  Corio,  Storia  di  Milano,  voi.  Ili,  pp.  190-95. 

(3)  Argellati,  De  monetis  Italiae,  etc,  Milano,  1750,  voi.  II,  p.  27.  —  Il 
GiULiNi,  che  lo  ricorda  {Memorie,  tcc.^  Milano,  1857,  voi.  VI,  pp.  465-66),  e 
dietro  a  lui  il  Cantù  (in  Corio,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  192)  traggono  la  conse- 
guenza, "  che  la  proporzione  fra  le  monete  di  que'  tempi  e  quelle  delle  nostre 
«  era  come  dall'uno  al  cinque  ;  e  cosi  una  lira,  un  soldo  e  un  denaro  corrispon- 
«  deva  a  cinque  lire,  cinque  soldi  e  cinque  denari  d'oggidì,  secondo  la  grida  „. 

(4)  A.  BiANCHi-GioviNi,  La  repubblica  di  Milano  dopo  la  morte  di  Filippo 
Maria  Visconti,  Milano,  Silvestri,  1848,  p.  155:  "  Il  libertinaggio  in  Milano  era 
«  grandissimo....  Non  è  quindi  inverosimile  che  in  un  momento  di  crisi,  e  quando 
«  bollivano  tante  altre  passioni,  una  legge  così  poco  opportuna  abbia  contribuito 
«  4id  accrescere  il  numero  de'  malcontenti  e  a  sollecitare  la  catastrofe....  ». 


L  INGRESSO    DI   FRANCESCO   SFORZA    IN    MILANO,   ECC.  323 

di  quella  grave  crisi  economica  e  finanziaria  (i),  che  fu  la  cagione 
precipua  della  rivolta  del  febbraio  (2). 

Ed  ora  eccoci  a  stabilirne  la  data.  A  questo  riguardo  osser- 
viamo subito  che  soli  il  Sanuto  (3)  e  il  Bonincontro  (4),  fra  gli 
scrittori  contemporanei,  ce  ne  hanno  lasciata  una  esplicita  :  il  25 
febbraio.  Gli  altri,  pur  ammettendo  il  26,  quale  giorno  della  resa  allo 
Sforza,  si  limitarono,  per  quello  della  rivolta,  a  un  semplice  cenno: 
così  il  Decembri  (5)  e  il  da  Soldo  (6).  Altri  ancora,  come  il  Brac- 


(i)  A  maggior  conferma  di  ciò,  ricordiamo  che  allora  il  prezzo  della  farina 
era  salito  a  denari  34  la  libbra,  per  cui  addi  22  febbraio  1450  la  Fabbriceria 
del  Duomo  si  trovò  nella  dura  necessità  di  "  differire  a  tempi  migliori  la  cele- 
(c  brazione  dell'anniversario  ordinato  dalla  fu  Maria  de'  Codevacca,  specialmente 
«  perchè  bisogna  distribuire  la  farina  di  frumento...  »  {Annali  della  Fabbrica  del 
Duomo  di  Milano,  ecc.,  Milano,  Brigola,  1877,  voi.  II,  p.  135). 

(2)  Con  questo  non  neghiamo  assolutamente  la  complicità  dello  Sforza  e  de' 
suoi  favoreggiatori  in  Milano,  a  capo  de'  quali  appare  essersi  subito  messo  Ga- 
spare da  Vimercate  ;  ma  considerando  obbiettivamente  il  fenomeno  e  il  disordine 
nel  quale  incominciò,  dobbiamo  credere  che,  almeno  in  principio,  gli  sforzeschi 
non  vi  abbiano  avuto  gran  parte  txl  lo  abbiano  direttamente  provocato. 

(3)  Sanqto,  Vite  de'  duchi  di   Fene^ia,  in  Muratori,  R.  I.  SS.,  XXII,  e.  11 37. 

(4)  BoNiNcoNTRi,  Annales,  in  Muratoci,  R.  I.  SS.,  XXI,  e.  155. 

(5)  Decembri,  op.  cit,  p.  1043, 

(6)  Cristoforo  a  Soldo,  Istoria  bresciana,  in  Muratori,  R.  I.  SS.,  XXI, 
p.  863.  Lo  stesso  dicono  il  Cagnola,  op.  cit.,  pp.  125-26;  il  Corto,  op.  cit., 
voi.  Ili,  p.  175  sgg.  ;  il  Ripamonti,  op.  cit.;  il  Verri,  op.  e  loc.  cit.  Ne'  Gior- 
nali Napoletani  (Muratori,  R.  I.  SS.,  XXI,  e.  1030)  troviamo  queste  sole  parole  • 
«  L'Anno  1450  del  Mese  di  Febraro  il  Conte  Francesco  Sforza  si  i&zt  Duca  di 
«  Milano  »  ;  e  il  Ghilini,  Annali  d'Alessandria,  all'a.  1450,  ediz.  Bossoli  dell'an. 
1903,  voi.  I,  p.  479,  pone  addirittura  il  27  febbraio  come  data  del  solenne  in- 
gresso, senza  ricordare  affatto  un'altra  entrata.  Piìi  preciso  è  il  Giulim,  op.  cit., 
voi.  VI,  p.  466;  il  quale,  ammettendo  il  25  (stampato  erroneamente  il  15)  quale 
giorno  in  cui  scoppiò  la  sedizione,  dice  che  essa  «  sul  principio  non  era  formata 
«  che  di  500  persone  »  ;  il  primo  ingresso  dello  Sforza  avvenne  il  26  (ibid.,  p.  469). 
Anche  il  Rosmini,  op,  cit.,  voi.  II,  pp.  446-48,  fa  cominciare  il  tumulto  il  25, 
nel  qual  dì  la  Reggenza  milanese  avea  convocato  il  Consiglio  generale  in  Santa 
Maria  della  Scala  per  deliberare;  una  nuova  adunanza  fu  tenuta  il  26  (ibid.,  p.  449), 
dove  lo  Sforza  venne  acclamato  duca  (ibid.,  p.  450)  ;  ed  egli  fece,  in  quel  giorno 
medesimo,  la  sua  prima  comparsa  in  Milano  (ibid.,  p.  4$i).  Seguono  il  racconto 
del  Rosmini  :  il  Cubani,  op.  cit.,  voi.  I,  pp.  207-09,  e  il  Ricotti,  op.  cit.,  voi.  Ili, 
pp.  148-50.  Il  RoMANiN,  Storia  documentata  di  Venezia,  Venezia,  1855,  voi.  IV, 
p.  222,  mentre  fa  scoppiare  il  tumulto  la  sera  del  25,  aggiungendo  che  per  esso 
fu  cacciata  la  Signoria  milanese,  non  accenna  punto  all'entrata  dello  Sforza  av- 
venuta il  26"  (quantunque  ricordi  che   in   tale  giorno  egli    fu  gridato  duca),  ma 


324  ALESSANDRO   COLOMBO 

ciolini  (i),  il  Platina  (2)  e  l'autore  degli  Annali  di  Piacenza  (3), 
vorrebbero,  non  sappiamo  con  qual  fondamento,  anticipare  addi- 
rittura di  un  anno.  Rimane  sempre  il  Simonetta  (4);  ma  egli,  se- 
condo il  suo  costume,  non  si  cura  quasi  mai  della  cronologia.  Per 
cui  noi  ci  troveremmo  davvero  in  grave  imbarazzo,  pur  avendo 
dinanzi  una  narrazione  particolareggiata  e,  per  molti  punti,  atten- 
dibilissima, se  da  altra  parte  non  ci  venissero  forniti  quegli  ele- 
menti, i  quali  a  ragione  furono  detti  gli  «  occhi  della  storia  ». 
Fermo  adunque  rimanendo  che  il  26  febbraio  lo  Sforza  fece  il  suo 
primo  ingresso  in  Milano  (tutti  i  documenti,  del  resto,  ce  lo  atte- 
stano (5),  anzi  ci  dicono  qualche  cosa  di  più,  e  cioè  che  fu  «  nel 
n  pomeriggio  »)  (6),  possiamo  con  più  fiducia  esaminare  il  racconto 


solo  a  quella  solenne  del  25  marzo.  Infine  il  Beltfami,  //  Castello  di  Milano,  ecc., 
Milano,  Hoepli,  1894,  P-  5^»  citando  un  passo  della  Cronica  di  Zorzi  Dolfin 
esistente  nella  Marciana,  ammette  come  giorno  del  tumulto  e  uccisione  del  Ve- 
niero  il  25  febbraio. 

(i)  P.  Bracciolini,  Hist.  pop.  fior.,  in  Muratori,  R,  L  SS.,  XX,  e.  426. 

(2)  Platina,    Historiae   manhianae,  in  Muratori,  R.  I.  SS.,   XX,    e.  848. 

(5)  Annales  Piacentini,  in  Muratori,  R.  I.  SS.,  XX,  e.  901. 

(4)  Simonetta,  op,  cit.,  pp.  597-602. 

(5)  Ricordiamo  qui  per  il  momento  il  decreto  ducale  da  Monza  16  marzo 
1450,  con  cui  lo  Sforza  obbliga  tutti  i  salariati  del  suo  territorio  a  offrire  alla 
Fabbriceria  del  Duomo  "  pars  decima  salarii  sui  unius  mensis  »,  in  memoria  del 
suo  ingresso  in  Milano,  avvenuto  «  vigesima  sexta  die  mensis  februarij  anni 
«  praesentis,  intercessionis  gloriosae  Virginis  Mariae...  »  (Ann.  Fahh.  del  DuomOj 

voi.  II,  pp.  156-37)- 

(6)  Che  lo  Sforza  sia  entrato  in  Milano  alle  ore  20  conferma,  oltre 
l'autore  degli  Ann.  Plac.  (loc.  cit.)  e  il  Bracciolini  stesso  (loc.  cit.),  sebbene  con 
errore  di  anno,  la  famosa  iscrizione  edita  dal  Verri  (op.  cit.,  nota  in  fine  al 
cap.  XVI),  dal  Giulini  (op.  cit.,  voi.  VI,  p.  469),  dal  Cantù  (in  Corio,  op.  cit., 
voi.  Ili,  p.  193,  note)  e  dal  Bel  trami  (op.  cit.,  p.  61)  :  una  lapide  di  marmo 
già  adoperata,  come  davanzale  di  finestra,  in  una  casa  attigua  alla  chiesa  di  San 
Donnino  alla  Mazza.  Coloro  che  hanno  pubblicato  detta  iscrizione  (e  in  modo 
speciale  il  Beltrami,  che  ne  fa  la  storia  fino  a  questi  ultimi  giorni)  ci  dicono 
che  essa  fu  rinvenuta  nel  1774  mentre  si  fabbricava  la  casa  Delfinoni,  vicino 
agli  archi  di  porta  Nuova  ;  che,  murata  nello  scalone  della  casa  già  Balabio  al 
n.  45  di  via  Monte  Napoleone,  venne  dall'attuale  proprietario  signor  Abrami 
gentilmente  donata,  nel  1887,  al  Museo  archeologico  di  Milano.  Essa  suona  preci- 
samente così  :  tRANCISCVS  .  SFORTIA  .  VICECOMES  .  DVX  ||  Illl  .  ET  .  ANIMO '.  INVICTO  . 
ET  .  CORPORE  1 1  ANNO  .  MCCCCL .  AD  .IIII  .  KAL.  MARTI AS  \\  HORA  .  XX.  DOMINIO  .  VRBIS. 

MEDiOLANi  11  POTiTVS .  EST Come  SÌ  vede,   è  incorppleta;  e  il  Beltrami  fa  os- 


l'ingresso   di  FRANCESCO   SFORZA   IN   MILANO,   ECC.  325 

simonettiano;  e  vedremo  precisamente  che  in  esso  si  parla  di  tre 
giorni  distinti.  La  rivolta  pertanto  sarebbe  scoppiata  il  24;  era  al- 
lora di  martedì.  Ma  lasciamo  la  parola  al  biografo  del  futuro  duca. 
Volendo  far  credere  al  popolo  affamato  e  ormai  tumultuante 
che  si  faceva  in  prò  suo  qualche  cosa,  i  Capitani  e  difensori  della 
libertà  avevano  per  l'ultima  volta  radunato  a  consiglio,  nella  chiesa 
di  Santa  Maria  alla  Scala  (i),  i  principali  rappresentanti  delle  varie 
porte:  non  si  sa  però  quali  deliberazioni  ivi  siano  state  prese,  o 
se  almeno  si  sia  tentato  di  prenderne.  Il  Rubieri  (2)  suppone  che 
il  consiglio  fu  raccolto  per  decidere  intorno  al  modo  di  cedere  la 
città  a  Venezia.  E  veramente,  se  noi  badiamo  al  fatto  che  due  fra 
i  più  autorevoli  cittadini  e  benemeriti  della  repubblica,  Pietro 
Cotta  (3)  e  Cristoforo  Pagnano  (4) ,  uomini ,  come  dice  il  Si- 
monetta, «  animo  non  desides  et  tyrannicae  conjurationi  minime 
«  grati  »,  si  rifiutarono  di  prender  parte  all'adunanza,  e  più  tardi 
tutta  l'ira  del  popolino  si  riversò  sul  Venier,  il  noto  ambasciatore 
veneto,  facendo  miserando  strazio  del  suo  corpo,  la  congettura  può 
avere  qualche  fondamento.   Ma,  esaminata  poi  con  più  attenzione, 


servare,  che  «  le  lettere  dell'ultima  linea  mancano  nella  metà  inferiore,  essendo 
«  stata  in  questo  lato  della  lastra  di  marmo  incavata  la  battuta  per  il  davanzale 
«  di  finestra  >  (op.  cit.,  p,  61,  nota  i).  Noi  vogliamo  aggiungere  qualche  cosa 
di  più,  e  cioè  che  essa  fu  anche  taghata,  o  meglio  segata  sotto  quella  linea  ; 
dimodoché  non  sarebbe  che  la  prima  metà  (superiore)  della  lapide  posta  sulla 
porta  della  Rocchetta  :  lapide  citata  pure  dal  Beltrami,  e  della  quale  ci  ha  la- 
sciato il  testo  completo  il  Giulini  (op.  cit.,  voi.  VI,  p.  481).  L'altra  metà  (infe- 
riore) ricordava  appunto  la  data  della  ricostruzione  del  Castello  ;  e  noi  avremo 
modo  di  parlarne,  più  avanti.  Intanto,  quello  che  è^  certo  si  è  che,  nell'ultima 
linea  della  soprascritta  iscrizione,  seguivano  le  parole  :  idem  .  ill  .  princeps  ;  e 
poi,  in  altre  tre  righe,  il  resto  della  lapide  riportata  dal  Giulini. 

(i)  Da  una  lettera  in  data  Monza  18  marzo  1450,  che  vedremo,  appare  che 
era  allora  prevosto  di  detta  chiesa  Marco  de'  Benzoni. 

(2)  Rubieri,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  204. 

(3)  Di  nobile  famiglia  e  abitante  a  porta  Nuova.  Fu  tra  i  primi  Capitani 
e  difensori  della  libertà  (allora  in  numero  di  24).  Cfr.  il  mio  lavoro  intitolato  : 
Vigevano  e  la  Repubblica  ambrosiana  nella  lotta  contro  Francesco  Sforma,  in  Bollet- 
tino della  Società  Pavese  di  storia  patria,  a.  1903,  fase.  III-IV,  doc.  I. 

(4)  Pur  esso  di  nobile  famiglia  e  abitante  a  porta  Nuova  [parrocchia  di 
S.  Domenico  (Donnino  ?)  alla  Mazza].  Fu  de'  primi  24  sindaci  o  procuratori  della 
libertà.  Cfr.  Vigevano,  ecc.,  doc.  I.  Fu  anche  Capitano  e  difensore  della  libertà 
con  l'Appiani  e  l'Ossona  (prima  volta  ?). 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VI.  ai 


326  ALESSANDRO   COLOMBO 

anche  senza  tener  calcolo  della  mancanza  assoluta  di  prove,  essa 
ci  pare  improbabile,  o  per  lo  meno  poco  opportuna.  Perchè  o  le 
mire  de'  veneti  su  Milano  non  erano  più  un  segreto  per  alcuno,  e 
allora  non  c'era  bisogno  di  fingere  questa  assemblea;  o  si  prepa- 
rava segretamente  la  dedizione  alla  Serenissima,  e  allora  non  era 
consigliabile  farla  sapere  e,  quel  che  è  peggio,  ratificare  da  tanta 
gente.  Comunque  sia  i  due  dissidenti,  rimasti  fuori,  sulla  piazza 
attigua,  non  si  presero  scrupolo  di  nascondere  il  loro  vivo  ram- 
marico per  le  tristi  condizioni  attuali  ;  li  udirono  altri,  che  per  caso 
o  deliberatamente  ivi  si  trovavano;  e  in  breve  l'assembramento 
divenne  folla,  la  folla  confusione.  Si  sa  bene:  basta  spesso  una 
fiammella  per  destare  un  incendio;  e  così  avvenne  in  quel  dopo 
pranzo  in  Milano.  Intanto  altri  tumulti  erano  scoppiati  in  diversi 
punti  della  città:  il  male  ha  sempre  in  se  del  corftagioso;  e  porta 
Nuova  fu  la  prima  a  prendere  le  armi. 

Ma  dove  la  sommossa  avea  ormai  raggiunto  il  grado  di  aperta 
rivolta  era  in  piazza  della  Scala.   Quivi  i  malcontenti,   fatta   certa- 
mente causa  comune  con  quelli,  che  si  trovavano  adunati  in  chiesa 
e  che  indarno  attendevano   l'arrivo    de'  Capitani  e   difensori  della 
libertà,  avevano    già  messo  in  fuga  Lampugnano  Birago,   uno   dei 
membri  del  governo,  mandatovi  appunto  da'  suoi  colleghi,    perchè 
cercasse  di  portare  la  calma  con  le  buone  parole  e  con  le  promesse  ; 
essi  però  si  erano  ben  guardati,  alla  prima  notizia  de'  disordini,  di 
abbandonare  l'Arengo,  loro  sede  abituale.    Né  miglior  fortuna  era 
toccata,  poco  dopo,    al  capitano  di  giustizia   Domenico  da  Pesaro, 
che  noi  già  conosciamo.  Quantunque  accompagnato  da  buon  numero 
di  sgherri  e  dal  boia,    egli    dovette    ritirarsi  dinnanzi  all'attitudine 
minacciosa  de'  ribelli:  anzi  quella  comparsa  provocante  fu  come  il 
segnale  della  battaglia.  Si  dà  mano  alle  campane;  d'ogni  parte  ac- 
corrono nuovi  cittadini;  e  il  movimento  finalmente  si  coordina  me- 
glio, mercè  la  risoluta  direzione    di    Gaspare  da  Vimercate,  eletto 
liberamente  da'  rivoltosi  e  coadiuvato,  oltre  che  da'  predetti   Cotta 
e  Pagnano,  da' cinque  fratelli  Stampa  (i).  Il  grido   «   all'Arengo!  » 
scuote  tutta  quella  moltitudine,  come  un  sol  uomo:    la  distanza    è 
breve;  e  come  un  sol  uomo,  tumultuando,  essa  corre  all'assalto  del 


(i)  II  Simonetta  nomina  soltanto  il  primo,  Giovanni.  Sulla  famiglia  Stampa 
cfr.  quanto  dice  il  Cantù,  nelle  sue  note  al  Corio,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  192. 


327 

palazzo.  Ma  è  respinta  da'  soldati  che  vi  sono  a  guardia:  alcuni  ne 
escono  malconci;  i  più,  presi  da  panico,  si  danno  a  fuggire  disor- 
dinatamente verso  porta  Orientale.  Un  giovinetto  animoso,  Fran- 
cesco da  Triulzio,  riesce  a  trattenerli  con  un  semplice  rimbrotto: 
«  Quo  fugimus  (egli  grida),  cum  nos  insequatur  nemo?  »  Parole 
semplici;  ma,  appunto  perchè  tali,  di  grande  effetto.  Molte  volte  i 
fanciulli  hanno  delle  esclamazioni,  che  fanno  maravigliare  i  grandi; 
e  la  storia,  antica  e  moderna,  ne  dà  frequentemente  gli  esempi. 
Ecco  perchè  noi  qui  non  osiamo  porre  in  dubbio  la  veridicità  del  Si- 
monetta, e  credere  che  egli  abbia  voluto  soltanto  infiorare  il  suo  rac- 
conto di  una  leggenda  inutile.  Il  Pagnano,  che  si  trovava  vicino  al 
Triulzio,  e  indarno  avea  forse  cercato  di  raccogliere  più  volte  i 
fuggiaschi,  approfitta  del  momento  opportuno  per  rincorarli  e  in- 
durli a  tornare  indietro;  si  unisce  a  lui  il  Vimercate,  rimasto  con 
pochi  alla  retroguardia  ;  e  mentre  quest'ultimo  rivolge  alia  moltitu- 
dine, di  nuovo  riordinata,  alcune  parole  di  occasione,  giunge  ina- 
spettato il  rinforzo  di  Melchiorre  Marliano  (i)  «  cum  non  mediocri 
«  armatorum  manu  ».  Solo  il  Cotta  non  vi  è  più  presente:  egli, 
staccatosi  senza  dubbio  dal  grosso  de'  compagni  nella  confusione 
successa  dopo  il  primo  e  vano  assalto  all'Arengo,  si  era  dato  alla 
fuga  con  pochi  seguaci  verso  porta  Comacina;  ma,  inseguito  dai 
suoi  nemici,  vi  fu  con  facilità  preso  e  subito  rinchiuso  in  carcere  (2). 
Una  tale  notizia,  giunta  ben  tosto  agli  orecchi  di  coloro,  che  si 
provavano  poco  lungi  da  porta  Orientale,  non  mancò  di  eccitare 
maggiormente  gli  animi  già  scaldati;  però,  in  massima,  si  era  in- 
decisi sul  partito  da  prendere.  Chi  voleva  si  corresse  subito  a 
porta  Nuova,  dubitando,  e  a  ragione,  di  Ambrogio  Triulzi,  che  vi 
era  stato  posto  a  guardia  da'  capi  della  repubblica;  chi  invece  si 
desse  nuovamente  l'assalto  all'Arengo,  per  troncare  d'un  colpo  la 
testa  all'odiato  governo.  Prevalse  alla  fine  quest'ultimo  parere, 
tanto  più  che  un  certo  Giovanni  Andrea  Toscano  (3),  il  quale   avea 

(i)  Con  lettera  da  Vimercate  i.o  marzo  1450,  che  vedremo,  lo  Sforza  con- 
cede ad  Antonino  de'  Marliano  e  a'  suoi  nipoti  detti  «  Vedanini  »,  cittadini  milanesi 
e  abitanti  in  Varese,  esenzione  da'  pesi  sui  beni  che  hanno  in  quel  territorio. 

{2)  Fu  messo  in  libertà  il  giorno  dopo  e  poscia  ricompensato  dallo  Sforza, 
in  premio  de'  suoi  servizi,  con  donazioni;  cfr.  lettera  da  Milano  14  maggio  1450 
(Reg.  due,  Framm.,  i4p-^2,  n.  19). 

(3)  Probabilmente  fratello  di  Azzo,  già  beneficato  dallo  Sforza;  cfr.  lettera 
da  Calco,  27  gennaio  1450,  già  citata. 


328  ALESSANDRO    COLOMBO 

sempre  libero  Taccesso  all'appartamento  della  duchessa  vedova, 
situato  appunto  nella  parte  posteriore  di  quel  palazzo,  meno  cu- 
stodita e  quindi  più  facile  a  prendersi,  si  era  di  proposito  offerto 
ad  essere  guida. 

Intanto  «  era  giunta  la  notte  »  ;  e  le  tenebre  favoriscono  molto 
bene  quelle  imprese,  nelle  quali  entra  in  parte  o  in  tutto  il  tradi- 
mento. Cristoforo  da  Soldo  (i)  narra,  che  dal  primo  al  secondo 
assalto  de'  milanesi  all'Arengo  corsero  «  forse  tre  ore  »,  e  che  en- 
trambe le  volte  il  Vimercate  avea  con  sé  «  qualche  cinquecento 
«  persone  ».  Tenendo  calcolo  che  nel  mese  di  febbraio  si  fa  notte 
molto  presto,  noi  abbiamo  un  dato  sicuro  per  stabilire  che  la  ri- 
volta incominciò  «  intorno  alle  due  pomeridiane  »,  vale  a  dire  «  dalle 
«  ore  venti  alle  ventuna  »,  secondo  il  computo  italiano.  Non  sap- 
piamo quanta  fede  meriti  1'  asserzione  'dello  stesso  da  Soldo  (2), 
essersi  il  Venier  in  persona  opposto  ai  rivoltosi  la  prima  volta,  che 
cercarono  di  irrompere  nell' Arengo;  certo  lo  fece  temerariamente 
la  seconda  volta,  ma  vi  trovò  pur  troppo  la  morte  (3). 

Condotti  dal  Toscano,  il  Vimercate,  uno  de'  fratelli  Stampa, 
Giovanni,  e  m.olti  altri  cittadini,  armati,  erano  riusciti  a  penetrare 
nel  palazzo  del  governo;  non  v'ha  dubbio  che  per  questo  si  fos- 
sero già  presi  precedenti  accordi  tra  il  Toscano  stesso  e  coloro, 
che  erano  posti  a  guardia  della  entrata  segreta.  Saliti  in  fretta  le 
scale,  gli  invasori,  tumultuando,  giunsero  ben  presto,  per  il  corri- 
doio superiore,  alla  porta  che  metteva  nella  sala,  ove  erano  soliti 
risiedere  i  Capitani  e  difensori  della  libertà;  ma  essi,  avvisati  dal 
rumore,  erano  già  fuggiti:  solo  il  Venier,  che  non  senza  motivo 
dovea  trovarsi  colà,  volle  opporre  resistenza  e  fu  barbaramente 
trucidato  (4).  In  breve  tutto  il  palazzo  si  riempì  di  grande  confu- 

(i)  Soldo,  op.  cit.,  p.  863. 

(2)  Ibid. 

(3)  La  uccisione  del  legato  veneto  è  confermata  da  tutti  gli  storici  e  cro- 
nisti contemporanei,  non  che  da  documenti.  Il  Sanuto,  veneziano,  dice  che  fu  ta- 
gliato a  pezzi  e  la  sua  famiglia  fatta  prigioniera  (loc.  cit.}.  Gli  Annales  Piacentini 
(loc.  cit.)  aggiungono,  che  fu  trucidato  anche  «  Galoso  Thoscano,  prò  liberiate 
«  domino  »  ;  gli  altri  riuscirono  a  mala  pena  a  fuggire,  scampando  così  la  vita, 
non  il  carcere. 

(4)  Il  Simonetta  afferma  che  il  primo  a  vibrargli  il  colpo  fu  Giovanni 
Stampa  ;  la  Cronaca  del  Dolfin  (cit.  dal  Beltrami)  che  fu  ucciso  «  per  lo  mezo 
«  de  uno  cittadino  de  Crivellis  »  ;  il  da  Soldo  che  fu  a  tagliato  a  pezzi  »  sulla 


L  INGRESSO   DI    FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  329 

sione:  quelli,  che  erano  rimasti  fuori  e  non  aveano  potuto  seguire 
il  Vimercate,  fatti  arditi  dalla  facilità  dell' impresa,  lo  aveano  invaso 
dalla  parte  anteriore;  cosicché,  in  pochi  istanti,  i  rivoluzionarii  si 
trovarono  padroni  del  campo.  Fu  naturalmente  dichiarato  decaduto 
l'antico  governo;  e  nella  notte,  passata  fra  il  terrore  e  il  sangue, 
furono  conquistate  anche  tutte  le  porte  della  città,  compresa  quella 
ove  si  trovava  il  fiero  Triulzi  (i). 

Solo  alla  mattina  si  ebbe  un  po'  di  quiete  (25  febbraio);  e  al- 
lora da  quelli,  che  aveano  diretto  il  movimento  e  che  dovevano 
aver  tosto  costituito  una  specie  di  governo  provvisorio,  si  pensò 
al  modo  di  dare  consistenza  e  stabilità  al  nuovo  ordine  di  cose.  E 
nella  stessa  chiesa  di  Santa  Maria  della  Scala,  donde  si  può  dire 
fosse  partito  «  tam  praeclaH  facinoris....  initium  »,  come  osserva 
il  Simonetta,  fu  in  questo  giorno  medesimo  tenuta  un'assemblea 
di  primarii  cittadini.  La  seduta  riuscì  naturalmente  tempestosa, 
lunghe  furono  le  discussioni,  e  i  pareri  infiniti:  chi  voleva  conti- 
nuare il  reggimento  repubblicano,  mettendovi  però  alla  testa  uo- 
mini saggi  e  onesti;  era  questa  forse  la  piccola  fazione  triulziana; 
chi  invece  desiderava  il  protettorato,  se  non  addirittura  la  signoria 
di  un  principe.  Il  re  di  Francia  ed  Alfonso,  il  duca  di  Savoia  e  il 
pontefice  si  videro  proposti  e  ben  presto  scartati;  solo  de'  veneziani 
nessuno  osò  fiatare.  Prése  la  parola  il  Vimercate,  e  con  abile  di- 
scorso seppe  indurre  i  milanesi  a  non  fidarsi  che  dello  Sforza,  il 
marito  di  una  propria  concittadina,  colui  solo  che  avrebbe  potuto, 
«  uno  die,  et  bello  et  rei  frumentariae  inopia  oppressam  civitatem 
u  liberare  ».  Incredibile,  ma  vero:  gli  animi  di  tutti  si  rivolsero, 
come  per  incanto,  al  Conte,  già  tanto  detestato  fino  allora;  ed  ac- 
cettata la  proposta  per  acclamazione,  si  pensò  tosto  di  fargliela 
pervenire.  Il  Simonetta  afferma  che  ne  fu  dato  l'incarico  allo  stesso 
proponente;  ma  non  pare  che  egli  si  sia  mosso  dalla  città;  giacché 
subito  dopo  quello  storico  aggiunge,  che  lo  Sforza  fu  avvertito  di 


scala.  Sui  funerali  dell'infelice  Venier,  «  celebrati  onorevolmente  e  lodevol- 
«  mente  »  con  denari  della  Fabbriceria  del  Duomo,  cfr.  Ann.  della  Fabh.  del 
Duomo,  voi.  II,  p.  136. 

(i)  Egli  si  arrese,  dicono  gli  storici  tutti,  seguendo  il  Simonetta,  dietro  le 
esortazioni  del  suo  congiunto  Melchiorre  Marliano.  Pare  però  che  si  sia  riservata 
per  sé  e  i  suoi  seguaci  piena  libertà  d'azione,  come  vedremo. 


330  ALESSANDRO   COLOMBO 

quanto  avveniva  in  Milano  da  Leonardo  Gariboldo  (i)  e  da  un 
certo  Luigi  Trombetta,  anzi,  per  tutto  quel  giorno,  fu  un  incessante 
andirivieni  di  messi  da  Vimercate  e  da  Milano,  quasi  per  avere  o 
dare  nuove  e  più  sicure  informazioni.  Lo  stesso  storico  fa  poi 
comprendere  la  gioia  immensa  provata  dal  suo  signore  al  lieto 
annunzio;  ma  in  pari  tempo  dice  che  egli  non  perdette  la  precisa 
visione  del  momento,  e  che  aumentò  la  vigilanza  sul  nemico,  dando 
ordini  precisi  in  particolar  modo  al  Salernitano  e  a  Roberto  San- 
se verino,  i  quali,  com'è  noto,  si  trovavano  quasi  a  contatto  co'  ve- 
neti. Il  giorno  appresso,  giovedì  26,  radunò  un  consiglio  di  guerra: 
ciò  avvenne  senza  dubbio  al  mattino;  ivi  furono  ventilati  e  discussi 
due  progetti,  se  cioè  si  dovesse  assalire  il  nemico  o  marciar  tosto 
su  Milano;  prevalse  alla  fine  il  secondo,  sostenuto  dal  Conte,  che 
ben  sapeva  come  i  fatti  compiuti  valgano  molto  di  più  de'  diritti 
più  o  meno  pretesi:  e  poco  prima  del  mezzodì  egli  in  persona, 
accompagnato  dal  Gonzaga  «  con  forse  cinquecento  cavalieri  w  (2), 
mosse  dal  campo  di  Vimercate.  alla  volta  dell'arresa  città.  11  viaggio 
fu  veramente  trionfale.  Lungo  la  strada,  gli  vennero  incontro  molti 
illustri  milanesi,  fra  i  quali  Gaspare  da  Vimercate,  non  che  una 
folla  di  popolo  esultante  (3);  quando  arrivò  a  porta  Nuova  erano 
circa  le  ore  venti  (i  pomeridiane).  E  qui  lo  lascieremo  per  un  mo- 
mento, parendoci-  opportuno  fare  alcune  osservazioni  sopra  il  rac- 
conto, qualche  volta  incompleto,  del  Simonetta. 

Questi  ad  esempio,  nel  descrivere  l'assemblea  del  25  febbraio, 
tenuta  nella  chiesa  di  Santa  Maria  alla  Scala,  si  limita  a  far  sapere 
che  ivi  si  discusse  della  forma  del  nuovo  governo  e  della  scelta 
del  nuovo  signore,  lasciando  comprendere  come  dopo  l'orazione 
del  Vimercate  fu  sciolta  affatto.  Ma  i  documenti  da  noi  veduti,  e 
citati  in  parte  anche  dal  Sickel  (4),    ci    dimostrano    che   in    quella 

(1)  Faceva  parte  del  collegio  de'  dottori  (giureconsulti),  ed  abitava  proba- 
bilmente a  porta  Comacina  ;  cfr.  più  avanti. 

(2)  Soldo,  loc.  cit.  ;  il  Gagnola,  op,  cit.,  p.  126,  dice  solo  :  "  con  ca- 
"  valli  e  fanti  „.  E  lo  Sforza  stesso,  nelle  sue  «  istruzioni  »  all'Arcimboldo,  che 
vedremo  (in  data  Piacenza,  24  ottobre  1481),  afferma  che  erano  50,  per  di  più 
«  disarmati  ». 

(3)  Uno  de'  primi  popolani  ad  acclamarlo  fu,  come  diremo  più  avanti,  un 
certo  Jacopo  del  Palazzo,  detto  il  «  Casamatta  »,  il  quale  venne,  per  questo  ed 
altri  suoi  servigi,  ricompensato  in  seguito  dalla  duchessa  e  dal  duca  ;  cfr.  cap.  III. 

(4)  Sickel,  op.  cit,  p.  214,  nota  5. 


331 

seduta  stessa,  o  in  un'altra  tenuta  nel  pomeriggio,  furono  trattati 
altri  argomenti  non  meno  importanti  e  vitali  per  la  città.  Lo  storico 
sforzesco,  senza  dirlo  in  modo  assoluto,  fa  capire  che  in  Milano 
c'era  tuttavia  una  frazione,  benché  piccola,  la  quale  voleva  salva- 
guardare i  diritti  della  abolita  repubblica,  pur  riconoscendo  in  mas- 
sima le  benemerenze  del  conte  Francesco.  Questa  frazione,  come 
abbiam  detto,  era  capitanata  dal  Triulzi.  Se  così  non  fosse,  non 
si  potrebbe  spiegare  il  fatto  che  egli  si  appostò,  [insieme  coi  suoi 
seguaci,  a  porta  Nuova  e  lì  impose  allo  Sforza,  che  stava  per  ol- 
trepassarla, l'accettazione  di  alcuni  «  capitoli  ».  Bene  è  vero  che 
il  Simonetta  aggiunge,  essere  poi  lo  Sforza  riuscito  ad  entrare  in 
città,  «  omissis  civium  postulatis  »  (i);  ma  ciò  non  nega  che  essi 
furono  effettivamente  compilati  e  discussi.  Lo  dimostra,  se  non  ci 
fosse  altro,  il  documento  edito  la  prima  volta  dal  Sickel  (2);  e 
sebbene  esso  porti  la  data  del  26  febbraio,  un  altro  documento, 
che  verremo  tosto  ad  esaminare  (3),  ci  proverà  in  modo  non  dubbio 
che  la  famosa  «  capitolazione  di  Milano  »  era  stata  preparata,  in 
tutti  i  suoi  minuti  particolari,  fin  dal  giorno  precedente. 

Fu  sempre  asserito  che  Io  Sforza  ebbe  il  dominio  del  ducato 
milanese  per  «  libera  elezione  di  cittadini  »  ;  questo  è  vero,  e 
si  trova  confermato  in  forma  solenne  anche  in  un  atto  dello  stesso 
duca,  cui  più  innanzi  avremo  occasione  di  studiare  (4).  Ma  dal  dir 
ciò,  e  noi  sappiamo  già  in  quale  senso,  al  sostenere,    come   fa   il 


(i)  Simonetta,  op.  cit.,  p.  601. 

(2)  È  il  doc.  XXII,  già  ricordato.  A  questo  proposito  ci  piace  di  far  no- 
tare che  il  Bianchi-Gicvini,  mentre  riassume  largamente  tale  documento  (op.  cit., 
pp.  163-66),  osserva  in  appendice  {Nota  sulla  capitoìaiione  di  Milano^  pp.  195-96) 
che  ne  ha  sott'occhio  due  copie,  Tuna  ricavata  dal  Reg.  G,  esistito  altre  volte 
nell'Aich.  civico  del  Broletto  (è  quella  studiata  dal  S.,  ora  nell'Arch.  civico  sto- 
rico di  Milano,  Dicasteri,  n.  4),  l'altra  posseduta  dall'Ambrosiana  nel  voi.  I  delle 
Miscellanee  Marelliane,  perfettamente  conformi,  a  rogito  del  notaio  Jacopo  de'  Pe- 
rego.  La  deduzione  però,  che  ne  fa  l'A.  (p.  197),  è  inesalta. 

(3)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Potenze  sovrane,  c?,rt.  II,  fase.  II.  Porta  la 
data  dell'  II  marzo  1450,  e  in  parte  fu  pubblicato  dal  Formentini  (op.  cit.,  pp.  182- 
192),  dimostrando  tuttavia  di  averlo  poco  compreso.  È,  come  vedremo,  il  rias- 
sunto di  tutti  gli  atti  relativi  alla  capitolazione  della  città  e  investitura  del  nuovo 
duca.  Altre  copie  di  tale  documento  si  trovano  e  presso  l'Arch.  civico  storico  e 
presso  la  Trivulziana  ;  cfr.  doc.  IV. 

(4)  Le  «  istuizfoni  all'Arcimboldo  »  già  citate. 


332  ALESSANDRO    COLOMBO 

Bertolini  (i),  che  «  la  resa  fu  di  natura  affatto  incondizionata  », 
corre  un  po'  di  differenza.  Se  egli  infatti  si  fosse  fermato  a  consi- 
derare con  più  attenzione  i  tre  documenti  citati  dal  Sickel,  a  com- 
plemento di  quello  del  26  febbraio,  e  avesse  avuto  modo  di  vederli 
nella  loro  forma  integrale,  non  che  di  studiarne  qualche  altro,  forse 
la  sua  conclusione  (che  in  fondo  è  quella  del  S.  stesso)  sarebbe 
stata  alquanto  diversa,  o  per  lo  meno  avrebbe  compreso  che 
r  «  affare  della  resa  »  ebbe  una  importanza  maggiore  di  quella  che 
si  possa  imaginare,  e  che,  trascinato  avanti  per  parecchio  tempo, 
fu  in  ultima  analisi  la  vera  cagione  della  lunga  proroga  data  al 
solenne  ingresso  dello  Sforza  in  Milano,  e  alla  conseguente  formale 
investitura  del  ducato  milanese  (2).  Ma  non  precorriamo  gli  avve- 
nimenti. 

Da  quanto  si  legge  nel  principio  dell' istrumento  11  marzo  1450, 
a  rogito  de'  notai  milanesi  Jacopo  de'  Perego  e  Damiano  de'  Mar- 
liano,  appare  che,  dopo  essere  stato  riconosciuto  lo  Sforza,  fra"  i 
varii  pretendenti  al  trono  duchesco,  l'unico  degno  di  salirvi,  «  unicus 
«  sapientissimus  princeps  Franciscus  Sfortia  visus  est  omnibus 
«  dignus,  ad  quem  tota  regendi  summa  deferreretur  »,  esponendo- 
sene in  breve  i  motivi  (3);  ecco  così  confermata  la  veridicità  del- 
l'assemblea descritta  dal  Simonetta;  tutti  i  «  primari  cittadini  »  e 
i  u  popolari  »  si  riunirono  nelle  loro  singole  porte  e  parocchie  per 
discutere,  «  sponte,  libere,  omni  impressione  cessante  »,  degli  affari 
e  avvenimenti  della  giornata.  Ciò  avvenne  senza  dubbio  nel  po- 
meriggio del  25  (4),  giusta  il  concerto  preso  avanti  si  sciogliesse 
l'adunanza  del  mattino;  e  mano  mano  che  ogni  consiglio  particolare 


(i)  Bertolini,  op.  cit.,  pp.  4S-46. 

(2)  Non  si  devono  però  trascurare  le  ragioni  di  alta  politica  e  la  neces- 
sità, per  parte  dello  Sforza,  di  premunirsi  da  qualsiasi  improvviso  attacco  de'  ve- 
neziani. 

(5)  Eccoli  :  la  donazione  del  defunto  duca  (cfr.  a  proposito  quanto  scri- 
vemmo nel  nostro  lavoro  Vigevano,  ecc.,  cap  I);  la  fama  guerresca  del  conte 
Francesco  ;  la  reverenza  verso  la  di  lui  moglie  Bianca  Maria,  già  solennemente 
legittimata  dal  padre  Filippo  Maria. 

(4)  Così  risulta  anche  dalle  prime  parole  della  proposta  prima  (o  interro- 
gazione) rivolta  al  popolo,  adunato  in  generale  comizio  il  detto  giorno  11  marzo, 
dal  presidente  Guarnerio  da  Castiglione:  «  Primo,  videlicet  attento  quod  pridie 
«  mensis  preteriti  vigesimo  sexto...  »  ;  dove  il  Formentini  (op.  cit ,  p.  184),  non 
sappiamo  perchè,  legge  per  die  anziché  pridie. 


l'ingresso   di   FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,   ECC. 


333 


o  di  porta  era  riuscito  a  mettersi  d'accordo  ne'  punti  principali, 
sempre  secondo  l'intesa,  si  trasportò  in  massa,  per  l'assemblea  ge- 
nerale, alla  solita  chiesa  di  Santa  Maria  alla  Scala.  Il  nostro  do- 
cumento dice  che  anche  questa  riuscì  numerosissima:  «  conuene- 
u  runt  in  magno  numero  »;  e  subito  procedette  alla  nomina  di  24 
fra  i  più  cospicui  cittadini,  quattro  cioè  per  ogni  porta,  deputan- 
doli espressamente  «  ad  prouidendum  Statui  et  Ciuitati  et  ad  ca- 
u  pitulandum  cum....  Ill.'no  domino  Francisco  Sfortia  »,  munendoli 
de'  necessari  poteri,  e  per  di  più  dando  loro,  ove  lo  avessero  cre- 
duto necessario,  facoltà  di  farsi  per  ciò  sostituire  da  sei  cittadini 
scelti  nel  proprio  seno,  uno  per  porta.  I  24  eletti  furono  appunto 
i  seguenti: 


Pietro  Cotta 
Bartolomeo  Morone 
Franceschino  di  Castel  S.  Pietro 
Cristoforo  Pugnano 

Guarnerio  da  Castiglione 
Jacopo  d*Angera 
Giovanni  Corio 
Francesco  Meravigli 

Ambrogio  de    Clivio 
Tommaso  Amicono 
Bartolomeo  Gallar  ano 
Simone  di  Abbiate 

Antonio  de   Pozzi 
Antonio  de    Tr inizio 
Bartolomeo   Visconti 
Giovanni  de  Pietrasanta 

Giorgio  Piatti 
Lanzalotto  Grotti 
Gaspare  del  Conte 
Giovanni  Stampa 

Dott.  Jacopo  de'  Dugnano 
Dott.  Stefano  dt  Bossi 
Dott.  Ambrogio  de  Pagani 
Dott.  Leonardo  Gariboldo 


per  porta  Nuova 


per  porta  Vercellina 


per  porta  Orientale 


per  porta  Romana 


per  porta  Ticinese 


per  porta  Cumana 


Costoro  seduta  stante,  dietro  invito  anche  del  popolo  e  de'  cittadini 
(nobili),  deputarono  «  ad  omnia  predicta  peragenda  n    quattro  dei 


334  ALESSANDRO   COLOMBO 

propri,  il  Castiglione,  il  Pagnano,  il  Pietrasanta  e  il  Cretti,  e  due 
altri  scelti  fuori,  Melchiorre  de'  Marliano  e  Giovanni  Antonio  da  Vi- 
mercate. 

Ed  eccoci  oramai  al  nocciolo  della  questione.  Che  cosa  fecero 
la  «  giunta  de'  24  »  e  la  «  deputazione  de'  6  »  ?  Quanto  dice  al 
riguardo  il  Sickel  (i),  e  per  conseguenza  ripete  il  Bertolini  (2), 
non  ci  sembra  troppo  esatto.  Noi  qui  ci  troviamo  di  fronte  a  una 
serie  di  documenti  importantissimi,  parte  editi  e  parte  non,  della 
cui  autenticità  non  è  lecito  dubitare.  L'istrumento  dell'i i  marzo 
poi,  che  li  dovrebbe  riassumere  e  spiegare,  lascia  apparentemente 
qualche  lacuna,  ne  cita  qualche  altro  che  non  fu  possibile- rinve- 
nire, e  non  fa  parola  di  alcuna  opposizione  sorta  dentro  o  fuori 
del  Generale  Consiglio.  Non  sarebbe  adunque  vero  il  fatto  di  Am- 
brogio Triulzi  a  porta  Nuova?  E  allora  come  si  spiega  che  egli  fu 
relegato  «  in  perpetuum  »  dallo  Sforza  in  una  sua  villa?  (3).  A 
tutte  queste  domande  e  possibili  contraddizioni  vediamo  di  rispon- 
dere con  ordine. 

Anzitutto  è  certo  che  i  24  della  «  giunta  »  sopracitata,  e  in 
modo  particolare  i  6  «  deputati  »,  ebbero  dal  Consiglio  Generale, 
che  li  nominò  il  25  febbraio,  ordini  precisi,  se  non  addirittura  pe- 
rentorii.  Lo  dice  il  nostro  istrumento:  «  ....  eligerunt  (i  24  cittadini) 
«  et  deputauerunt  cum  potestate  et  mandato  et  commissione  sub- 
«  stituendi....  sex  ex  ipsis  uiginti  quatuor  ciuibus,  et  omnem  su- 
u  biectionem  et  recognitionem  et  fidelitatem  faciendi,  et  cum  pieno 
u  arbitrio  concludendi  cum  malori  uel  minori  capitulorum  parte, 
a  uel  etiani  sine  capitulis,  remittentes  omnia  ad  arbitrium  et  de- 
«  liberationem  prefati  d.  Ducis  »  (4).  Ed  essi  si  misero  subito 
al  lavoro.  Furono  concordati  in  massima  i  capitoli  della  resa  (in 
numero  di  29);  ed  avuto  ampio  mandato  di  procura  con  atto 
steso  dal  notaio  di  Milano    Ambrogio    de'  Gera   addì  26  febbraio 


(i)  Sickel,  op.  cit.,  pp.  215-16. 

(2)  Bertolini,  op.  cit,  pp.  46-47. 

(3;  Simonetta,  op.  cit.,  p.  604;  Couio,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  181. 

(4)  Il  Sickel  e  il  Bertolini  vorrebbero,  che  tale  facoltà  fosse  stata  loro  con- 
cessa la  seconda  volta  che  si  recarono  a  Vimercate  ;  ma  a  noi  pare  che  non  sia 
cosi,  almeno  dall'attenta  lettura  fatta  dell'  istrumento  1 1  marzo,  e  in  modo  par- 
ticolare del  primo  quesito  già  citato  e  proposto  dal  Castiglione,  dove  appunto  si 
trovano  tali  parole. 


L  INGRESSO    DI   FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  335 

1450  (i),  i  sei  deputati  si  recarono,  in  questo  stesso  giorno  e  di  buon 
mattino,  al  campo  dello  Sforza  a  Vimercate,  per  esporgli  e  fargli  ac- 
cettare le  condizioni,  dietro  le  quali  la  città  era  disposta  ad  arr^r). 
dersi.  Notiamo  per  incidenza  che,  fra  i  24  della  giunta,  era  il  nipote 
di  Ambrogio  Triulzi,  Antonio,  e  che  l'altro  suo  parente,  il  Marliano, 
faceva  parte  de'  sei.  Ci  viene  pertanto  il  dubbio,  che  quel  fiero  re- 
pubblicano abbia  potuto  aver  da  loro  copia  o  per  lo  meno  notizia 
de'  capitoli  che  si  preparavano,  e  che,  dubitando  dell'accettazione 
de'  medesimi  da  parte  del  Conte,  si  sia  riservato  di  far  egli,  per 
così  dire,  un  colpo  di  mano.  In  modo  diverso  non  si  può  spiegare 
il  racconto  del  Simonetta;  il  quale,  del  resto,  tace  affatto  della 
conferenza  avvenuta,  la  mattina  del  26,  tra  il  proprio  signore  e  i 
sei  delegati  milanesi.  Giunti  adunque  costoro  a  Vimercate  e  ammessi 
alla  presenza  del  conte,  gli  lessero  i  famosi  capitoli;  ed  egli,  in- 
deciso sul  da  fare,  né  volendo  d'altra  parte  opporre  un  formale 
rifiuto,  scelse  una  via  di  mezzo:  dichiarò,  cioè,  di  accettarli  in  mas- 
sima, ma  volle  ad  ognuno  di  essi,  particolarmente,  dare  la  propria 
risposta.  Non  ne  risultò  pertanto  un  atto  definitivo,  ed  è  a  ritenersi 
che  le  risposte  stesse  siano  state  scritte  sul  foglio  medesimo  portato 
da'  delegati  di  Milano  (2);  tuttavia  questi  se  ne  mostrarono  sod- 
disfatti, e  valendosi  forse  de'  pieni  poteri  loro  accordati  da'  proprii 
concittadini,  nel  partirsene,  assicurarono  lo  Sforza  che  i  capitoli, 
così  com'erano  stati  «  promessi,  jurati,  conclusi  »  (ma  non  ancora 
«  firmati  »),  sarebbero  riusciti  di  pieno  aggradimento  ai  milanesi, 
e  lo  invitarono  senz'altro  a  prender  possesso  del  nuovo  dominio  (3). 
Licenziati  i  delegati,  lo  Sforza  adunò  subito  il  consiglio  dei 
generali;  e,  come  già  sappiamo,  dopo  aver  esposto  in  breve  la  si- 
tuazione e  udito,  secondo  era  il  suo  costume,  il  loro  parere,  noti- 
ficò che  nella  giornata  stessa  sarebbe  partito  alla  volta  di  Milano, 


(i)  Non  ci  fu  possibile  rinvenire  tale  documento,  cosi  solennemente  ricor- 
dato dal  Castiglione.  Un  altro  identico,  sotto  la  data  però  del  28  febbraio  e 
dello  stesso  notaio,  lo  vedremo  più  avanti  (cfr.  doc.  II). 

(2)  Questo  dovea  essere  stato  steso  e  autenticato  dal  notaio  milanese  Ja- 
copo de'  Perego,  come  appare  del  resto  chiaramente  dal  doc.  XXII  del  Sickel  ; 
e  che  non  fosse  definitivo,  lo  prova  la  mancanza  in  fine  delle  firme  de'  rispet- 
tivi contraenti  e  testimoni. 

(3)  Arguiamo  che  così  abbiano  fatto,  perchè  tale  fu  pure  l' istruzione  con- 
tenuta nella  procura  già  citata  del  28  febbraio,  e  che  vedremo  più  avanti. 


33^  ALESSANDRO   COLOMBO 

per  inaugurarvi  il  nuovo  governo.  Ed  invitò  ad  accompagnarlo  lo 
stesso  Gonzaga. 

Intanto  i  nostri  delegati  erano  di  ritorno  alla  città,  attesi  na- 
turalmente con  ansia;  non  possiamo  dire  con  sicurezza  come  sia 
stato  accolto  l'esito  della  loro  ambasceria:  certo  alla  frazione  re- 
pubblicana dispiacque  il  fatto,  che  i  capitoli  non  fossero  stati  accolti 
e  firmati  nella  loro  integrità  (i);  ecco  la  ragione  del  colpo  di  testa 
di  Ambrogio  Triulzio.  Ad  ogni  modo  nell'adunanza  plenaria,  che 
si  tenne  tosto  nella  solita  chiesa  di  Santa  Maria  alla  Scala,  i  de- 
legati stessi,  dopo  aver  riferito  della  loro  missione,  ordinarono 
u  portas  ciuitatis  aperirì,  et  prefato  Ill."^o  Domino  Francisco  Sfortie 
«  patentes  fieri  ».  La  proposta  fu  naturalmente  approvata  all'una- 
nimità, dentro  e  fuori  del  consiglio;  anzi  il  nostro  istrumento  del- 
l'i i  marzo  fa  capire,  che  la  cittadinanza  tutta,  per  questo  lieto  fatto^ 
si  abbandonò  ad  immense  dimostrazioni  di  gioia:  lo  spauracchio 
terribile  della  carestia  era  ormai  scongiurato.  Così  lo  Sforza  fu 
proclamato  e  riconosciuto  «  duca  di  Milano  »  ;  e  perchè  il  prossimo 
ricevimento  di  lui  avesse  a  riuscire  più  solenne,  «  bona  habita  inter 
«  nobiles  et  ciues  ac  uniuersum  populum  ac  matura  deliberatione  », 
si  stabilì  di  andargli  incontro  in  massa  e  di  far  sonare  al  suo  ar- 
rivo tutte  le  campane  della  città.  Il  noto  documento  continua  nar- 
rando che,  dopo  le  accoglienze  entusiastiche  della  folla,  che  accom- 
pagnò il  novello  duca,  «  cum  maxima  illaritate  et  incredibili  letitia  », 
da  porta  Nuova  sino  alla  chiesa  Maggiore  (Duomo),  egli  fu  investito 
della  sovrana  dignità  «  cum  reseruatione  et  sine  preiuditio  cuius- 
«  libet  juris  »  (2),  Queste  'parole  hanno  per  noi  una  grande  im- 
portanza; tanto  più  che  subito  dopo  si  aggiunge,  essersi  il  Consi- 
glio Generale  nuovamente  adunato  per  decidere  sulla  definitiva 
traslazione  della  podestà  ducale,  e  aver  lo  Sforza,  «  statim  »,  ab- 
bandonata la  città,  «  ut  liberalioribus  animis  hec  magna  res  per- 
u  ficeretur,  et  omnium  ciuium  pienissimo  consensu  concludere- 
u  tur  »,  lasciando  in  pari  tempo  ordine  di  fargli  sapere  a  Vimer- 
cate,  u  quid  ciues  mediolanenses  et  populares  iterum  statuerent,  et 

(i)  I  contrari  al  Conte  dovevano  essere  tuttavia  pochi,  se  è  vero  quanto  si 
legge  nelle  istruzioni  sue  all'Arcimboldo,  del  24  ottobre  145 1:  «  Et  che  questo 
«  fia  uero,  che  le  uoluntà  de  tucti  (milanesi),  excepti  alcuni  pochissimi,  corressino 
«  in  Noy...  ». 

(2)  SiCKEL,  op.  cit.,  p.  216. 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  337 

«  concorditer  matura  discussione  deliberarent  ».  Che  cosa  era  av- 
venuto? E  perchè  s'insiste  tanto  sopra  questo  «  completo  ac- 
li  cordo  »  della  cittadinanza?  Ecco  come  presumibilmente  si  pos- 
sono spiegare  i  fatti. 

Che  alla  frazione  repubblicana,  rappresentata  ormai  dal  Triul- 
zio,  dall'Appiano  e  dall'Ossona  (questi  due  ultimi  ex-capitani  e  di- 
fensori della  libertà),  non  fosse  piaciuto  il  modo  con  cui  erano  stati 
concordati  i  capitoli  della  resa,  lo  abbiamo  già  detto;  che  essa  poi 
abbia  cercato  di  far  sorgere  in  proposito  qualche  tumulto  nella 
città,  è  facile  dedurlo  dal  racconto  del  Simonetta  (i),  il  quale  ap- 
punto dice  che  il  Vimercate,  intuendo  il  pericolo  che  il  popolo 
«  volubile  w  avesse  a  cambiar  d'opinione,  si  affrettò  ad  andare  in- 
contro allo  Sforza,  per  consigliarlo  a  non  indugiare.  Né  il  timore 
del  Vimercate  era  senza  fondamento.  Giunto  infatti  a  porta  Nuova, 
che  pareva  la  più  sicura,  il  conte  Francesco  la  trovò,  con  sua  ma- 
raviglia, chiusa  e  ostruita  da  macerie  e  col  ponte  alzato;  ma  ciò 
che  fece  ben  tosto  mutare  in  ira  la  sua  maraviglia,  si  fu  di  vedersi 
innanzi  il  Tr.iulzio,  il  quale,  sostenuto  da'  suoi  seguaci,  pretendeva 
firmasse  integralmente  i  capitoli,  non  ostante  quanto  era  stato  sta- 
bilito co'  delegati  milanesi  il  mattino  stesso.  Era  questo  un  buon 
motivo  per  mandar  a  monte  ogni  trattativa;  e  senza  dubbio,  ubbi- 
dendo al  primo  impulso,  lo  avrebbe  fatto  lo  Sforza,  ove  non  fossero 
subito  intervenute  l'opera  pacificatrice  del  Vimercate  e  la  piena  di- 
sapprovazione da  parte  de'  cittadini,  affollati  dentro  e  fuori  della 
porta,  all'atto  inconsulto  del  Triulzio.  Tuttavia  lo  spiacevole  inci- 
dente lasciò  nell'animo  del  superbo  condottiere  della  freddezza, 
cui  non  valse  a  far  scomparire  del  tutto  la  calorosa  e  spontanea 
accoglienza  che  ebbe  poi,  entrato  in  città  (2);  e  come  non  la  per- 

(i)  Simonetta,  op.  cit.,  p.  601.  Il  Corio,  op.  cit.,  Ili,  p.  179,  scrive  pre- 
cisamente così  :  et  ...  non  essendovi  chi  comandasse,  v'era  pericolo  per  l'audacia 
«  di  alcuni  ai  quali  era  molesta  quella  mutazione  ». 

(2)  Non  sappiamo  quanta  fede  meriti  l'asserzione  del  Simonetta  (ripetuta 
testualmente  dal  Corio  e  dagli  altri  storici),  non  aver  cioè  lo  Sforza  potuto 
smontar  da  cavallo  per  la  grande  ressa  che  avea  intorno,  e,  portato  quasi  a  braccia 
dalla  moltitudine,  lui  e  il  suo  cavallo,  per  un  buon  tratto  di  strada,  essere  in  tal 
modo  entrato  in  Duomo.  Certo  che  la  dimostrazione  ricevuta  allora  da'  milanesi 
fu  assai  grandiosa  e  commovente  ;  lo  conferma  non  solo  il  nostro  istrumento,  ma 
anco  le  già  citate  istruzioni  del  24  ottobre  145 1  :  «  ...  quando  Noi  la  prima 
«  uolta  intrassimo  in  milano  per  porta  noua,  gli  intrassimo  senza  arme  :  et  non 


33^  ALESSANDRO   COLOMBO 

donò  a  quelli,  che  ne  erano  stati  gli  autori  (i),  così  volle  si  rifa- 
cessero i  capitoli  della  resa,  si  lasciasse  a  lui  pieno  potere  di  ac- 
cettarli u  in  totum  et  prò  parte  >»  e,  venendo  per  trasferirgli  il 
dominio,  i  deputati  stessi  prestassero  atto  di  sottomissione   e  giu- 


«  haueuamo  oltra  ad  L.ta  persone  de  nostre  cum  Noy  disarmate,  et  se  miserno 
«  in  mezo  de  persone  circa  L."i  et  in  effecto  de  tucto  lo  popolo,  tra  li  quali 
«  infiniti  erano  armati,  quali  ne  compagnorono  fino  ala  Ecclesia  mazore,  cridando 
«  quodammodo  :  osanna  in  excelsis,  per  tale  modo  che  niuno  de  nostri  ne  era 
«  presso  ad  L  braza:  et  de  certo  ne  toccarono  la  mano  de  li  homini  X.m  et  più, 
«  et  non  solamente  li  homeni,  ma  infinite  notabile  donne...  ». 
(i)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Re^.  due,  Framm.,  1420-^2  : 


Modoetie,  die  XXo  Marti]  14^0. 
Scriptum  fuit  Bolognino  prò  infrascriptis  etc. 

D.  Gabriel  de  Brena 
Johanne[s]  de  Suyco 

Stefanus  Rabbia  )    in  Castro  papié 

Ambrosius  machassola 
Antonitis  de  cornile 

Johannes  de  assona  ) 

Michael  de  Jncino  >   in  Castro  Modoetie. 

Johannes  de  Appiano     ) 

Da  questa  semplice  nota,  diretta  a  Bolognino  de  Attendoli,  castellano  di  Pavia, 
si  apprende  che  otto  de'  dodici  componenti  l'ultimo  magistrato  della  libertà 
furono  imprigionati  il  20  marzo  1450,  i  primi  cinque  in  Pavia,  gli  altri  tre 
in  Monza.  Quanto  a  Pier  Candido  Decembrio,  che  il  Sassi  [Historia  typ^ 
lift,  tnediol.,  a.  1488,  in  Argellati,  Biblioteca  script,  mediol,  I,  cccv)  ci  fa  sa- 
pere essere  fuggito  a  Roma,  «  paternis  omnibus  bonis  exutus  »,  e  là  poi  beni- 
gnamente accolto  da  papa  Niccolò  V,  il  Gabotto  {^attività,  Qcc.y  loc.  cit.)  ri- 
tiene «  assolutamente  infondato  il  giudizio  »  che  egli  abbia  lasciato  la  città 
«  per  isfuggire  alla  disgrazia  e  forse  alla  vendetta  ».  Già  abbiamo  visto  come 
Ambrogio  Triulzi  venne  relegato  in  una  sua  villa;  egli  non  era  però  dei 
difensori  e  capitani  della  libertà.  Piuttosto  pare  vi  appartenessero  quegli  altri 
quattro,  che  il  Magenta,  I  Visconti  e  gli  Sforma  nel  castello  di  Pavia,  voi.  I, 
p.  446,  ricorda  tra  i  43  confinati  dal  duca  e  rinchiusi  in  quel  castello:  Agostino 
di  Cisate,  Pietro  Regna,  Giovanni  da  Birago  e  Onofrio  RulTaldo.  Giovanni  da 
Sorico  (il  nostro  documento  dice  a  de  Suyco  »)  morì  in  carcere  (Magenta,  ibid.), 
e  Antonio  da  Vergo  (cosi  scrive  il  Magenta)  è  certamente  il  nostro  Antonio  del 
Conte.  Quanto  all'Ossona  e  all'x\ppiano,  che  il  Giulini,  op.  cit.,  voi,  VI,  p.  470, 
dice  «  chiusi  in  carcere,  dalla  quale  poi  non  so  quando  vennero  liberati  »,  il 
Ghikzoni,  Giov.  Ossona  e  Giov.  Appiani  nella  racchetta  di  Mon:(a,   in  quest'or- 


l'ingresso   di   FRANCESCO   SFORZA   IN   MILANO,    ECC.  339 

ramento  di  fedeltà  (i).  Un'ora  dopo  circa  (2),  e  cioè  alle  21  (3),  la- 
sciava Milano  e  si  recava  nuovamente  al  campo. 

Quello  che  abbia  fatto  il  nuovo  duca,  in  codesta  sua  prima  e 
breve  permanenza  nella  nostra  città,  non  è  possibile  dire  con  cer- 
tezza (4),  Il  Simonetta  (5)  racconta  che,  dopo  essere  entrato  nel 
massimo  tempio  a  ringraziare  Dio  e  la  Vergine  Madre,  si  recò 
u  ad  Viridarium  »  (Verziere),  sostando  alquanto,  ma  senza  scender 
di  cavallo,  dinanzi  alla  casa  de'  Marliani  (6);  che  quivi  si  rifocillò 
in  fretta;  e,  nominato  «  governatore  interinale  »  di  Milano  («  ad 
«  suum  usque  reditum  »)  Carlo  Gonzaga,  e  impartiti  a  lui  gli  ordini 
principali  e  più  pressanti,  uscì  di  porta  Orientale  per  far  ritorno 
al  campo.  Ma  quali  siano  questi  ordini  non  dicono  i  documenti  ; 
certamente  essi  furono  dati  a  viva  voce  e,  oltre  alla  famosa  re- 
visione de'  capitoli  della  resa,  dovevano  riguardare  la  nomina  del 
podestà,  del  vicario  e  de'  XII  di  Provvisione,  la  riorganizzazione 
dell'amministrazione  del  comune,  la  sicurezza  e  l'igiene  pubblica, 
la  punizione  de'  colpevoli,  la  libera  importazione  di  vettovaglie  e 
distribuzione  di  soccorsi  ai  più  bisognosi  (7).  Quanto  alla  famiglia 

chivio,  V,  1878,  pp.  205-27,  dimostra,  contrariamente  a  quanto  affermò  il  Peluso, 
essere  cioè  stati  liberati  dopo  pochi  giorni,  che  il  primo  venne  ucciso  in  prigione 
e  il  secondo  non  ne  fu  liberato  che  alla  fine  della  guerra  con  Venezia.  Per  la 
storia  ricordiamo,  che  dopo  il  20  marzo  lo  Sforza  fece  ancora  rinchiudere  in 
Pavia  Giacomino  da  Villano  va,  Cigolino  da  Bescapè,  e  1'  11  dicembre  1450  la 
moglie  e  tre  figlie  di  Innocenzo  Cotta,  a  principalisssimo  suo  nemico  »  (Ma- 
genta, loc.  cit.  e  voi.  II,  pp.  224-25,  doc.  n.  CCLI).  Erano  pure  allora  sotto 
custodia  del  Bolognino  il  marchese  Guglielmo  di  Monferrato  e  Antonio  Centi- 
glia,  marchese  di  Cotrone  e  conte  di  Veutimiglia,  de'  quali  già  abbiamo  discorso, 
nel  cap.  I. 

(i)  Cosi  appare  anche  dall'atto  o  mandato  di  procura  del  28  febbraio,  che 
vedremo. 

(2)  Soldo,  loc.  cit.  :  «  E  questo  fu  a  dì  XXVI  di  febbraio  1450,  e  stette 
«  dentro  forsi  un  ora...  ». 

(3)  Lo  Sforza  entrò  in  Milano,  come  abbiam  detto,  alle  ore  venti. 

(4)  In  memoria  di  questo  primo  ingresso  pare  siasi  fatta,  addi  i.**  marzo, 
una  solenne  processione  per  le  vie  della  città,  parate  a  festa  ne'  luoghi  più  im- 
portanti, col  trasporto  delle  sacre  rehquie  dalla  cattedrale.  Vedine  le  spese  rela- 
tive ne'  più  volte  citati  Ann.  della  Fabh.  del  Duomo,  voi.  VIII,  p.  72  (docc.  sotto 
le  date  3,  7,  12  del  detto  mese  di  marzo). 

(5)  Simonetta,  op.  cit.,  p.  602. 

(6)  Cfr.  CoRio,  op.  cit.,  voi.  III,  p.  193,  note. 

(7)  CoRio,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  180. 


34^  •  ALESSANDRO    COLOMBO 

dell'assassinato  Venier,  il  Sanuto  (i)  scrive  che  lo  Sforza,  appena 
entrato  in  Milano,  «  liberò  tutti  que'  Veneziani  e  que'  della  famiglia 
u  deirOrator  nostro,  perchè  desiderava  d'esser  benevolo  colla  Si- 
it  gnoria  nostra,  conoscendo  la  nostra  gran  possanza...  ». 

Noi  conosciamo  indirettamente,  e  cioè  per  mezzo  del  noto 
istrumento  dell' ii  marzo,  che  il  cavaliere  Biagio  de  Assareto  fu 
eletto  a  podestà  di  Milano,  e  a  suo  vicario  il  dottore  Gabriele  da- 
Vimercate;  non  sono  però  ricordati  i  nomi  de'  XII  di  Provvisione, 
mentre  si  menzionano  quelli  degli  Anziani  delle  porte;  rimasero 
ancora  in  carica,  come  era  del  resto  naturale,  i  24  della  «  giunta  », 
Conosciamo  pure  i  nomi  di  sei  «  trombetti  «t  del  comune  (2).  Un 
documento  poi  del  28  febbraio  1450,  edito  dal  Morbio  (3),  in  cui 
si  ordina  «  che  ciascaduno  de  li  olim  capitanei  et  defensori  de  la 


(i)  Sanuto,  op.  e  loc.  cit.  Un  Giovanni  Basilasco,  venuto  a  Milano  al 
seguito  del  Venier,  vi  appare  però  ancora  prigioniero  nel  giugno  1450;  cfr.  lettera 
23  giugno  1450  allo  Sforza  degli  oratori  fiorentini  a  Venezia,  come  si  dirà  più 
innanzi. 

(2)  Con  lettera  da  Monza,  19  marzo  1450  (Arch.  civico  storico  di  Milano, 
Registro  lettere  ducali^  fol.  5),  dietro  richiesta  del  vicario  e  de'  XII  di  provisione, 
lo  Sforza  conferma  in  carica  i  sei  tubatori  del  comune,  già  esistenti  :  Giovanni 
de  Omate,  Giorgio  de'  Rolandi,  Beltramo  del  Borgo,  Ambrogio  de'  Lattarella, 
Giacomino  da  Reggio  e  Antonio  de  Omate.  Ecco  la  lettera,  nella  sua  integrità: 

«  Franciscus  Sforti  a  Vicecomes  Dux  Mediolani  etc.  Magnifici  dilecti  nostri. 
«  Accepimus  litteras  vestras,  intelligimusque  quid  per  ipsas  ad  nos  scribitis  de 
«  suffìtientia  illorum  sex  tubetarum,  quos  dictis  litteris  vestris  inclusa  cedula  de- 
«  scriptis  habuimus,  quorum  hec  sunt  nomina  ;  primo,  Johannes  de  homate, 
<(  Georgius  de  rolandis,  Beltramus  de  Burgo,  Ambrosius  de  lactarella,  Jacobinus 
«  de  Regio  et  Autonius  de  homate.  Attendenteque  quam  stricte  prò  eorum  con- 
«  firmatione  ad  nos  scribitis,  et  nobis  persuadentes  ipsos  sex,  prout  scripsistis 
«  dicto  tubarie  communi  huius  nostri  offitij,  idoneos  esse  et  suffitientes,  con- 
«  tentamur  suprascriptos  sex  ad  dictum  tubarie  offitium  ab  hodierna  die  in  antea 
«  confirmatos  esse.  Et  si  opus  est  de  nouo  ipsos  elligimus  et  in  dicto  offitio 
<(  confirraamus,  prout  hactenus  dicto  prefuerunt  offitio. 

«   Dat.  in  castro  terre  nostre  Modoetie,  die  XVIIJJ."  Marti]  MCCCCL.o 

«    ClCHUS   ». 

A  tergo:  «  Magnificis  Dillectis  nostris  Vicario  et  XIJ  promixionis  Commu- 
«  nitatis  inclite  urbis  nostre  Mediolani  ». 

(3)  C.  Mori  IO,  Codice  Visconteo- Sfor^^esco  (voi.  VI  della  Storia  de'  muni- 
cipi italiani),  Milano,  Manini,  1846,  pp.  335-37,  doc.  n.  CXL. 


l'ingresso   di  FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  34I 

«  libertade  »  si  abbia  a  presentare,  per  le  ore  20,  al  Gonzaga  nella 
sua  sede  alFArengo,  «  che  questo  è  per  importantissima  casone  », 
concedendo  perciò  speciale  salvacondotto  e  dichiarando  ribelli  co- 
loro, che  avessero  osato  rifiutarsi,  o  altrimenti  impedito  a'  detti  Ca- 
pitani e  difensori  di  ottemperare  al  comando,  ci  prova  come  il 
nuovo  governatore  di  Milano  pensò  subito  a  liberare  la  città  degli 
elementi  di  possibile  futuro  disordine.  E  in  qual  modo  infine  lo 
Sforza  abbia  provveduto  a  far  cessare  la  carestia,  che  è  in  altri 
termini  il  substrato  di  ogni  rivolta,  vedremo  da  sue  lettere  auten- 
tiche, in  gran  parte  ancora  inedite. 

Intanto  sarà  bene  conoscere  l'ultima  fase  della  importante  que- 
stione de'  capitoli  della  resa  e  del  trasferimento  del  ducale  dominio. 
Non  è  provato  che  i  sei  deputati,  de'  quali  conosciamo  i  nomi,  ab- 
biano seguito  il  novello  duca  a  Vimercate,  quantunque  una  frase 
del  nostro  istrumento  lo  possa  far  credere  (i);  è  certo  però  che 
essi ,  accresciuti  di  numero  e  muniti  di  pieni  poteri  (2),  si  reca- 
rono al  campo  sforzesco  il  28  febbraio,  portando  seco  una  copia 
de'  famosi  capitoli  del  26.  Questi  furono,  in  quello  stesso  giorno, . 
definitivamente  concretati  e  giurati  (3);  ma  l'atto  formale  e  solenne 
di  traslazione  del  dominio  milanese  non  fu  steso  che  tre  giorni 
dopo  (3  marzo),  nella  casa  del  conte  Giovanni  Corio  (4)  a  Vimer- 


(i)  «...  omnes  ciues  et  populares  Mediolanenses,  et  uiginti  qùatuor  de- 
ce putati  magna  sollicitudine  institerunt,  decreuerunt  et  iusserunt,  quod  illi  sex 
«  elccti...  prefatum  111  um  Dominum  Franciscum  Sfortiam  sequerentur...  w.  Di 
questo  parere  pare  sia  il  Bertolini  (op.  e  loc.  cit.),  informandosi  naturalmente  al 
Sickel. 

(2)  Doc.  II.  Copia  autentica  in  cod.  1292  {Miscellanea  storica,  Repubblica 
Ambrosiana^  doc.  I)  della  biblioteca  Trivulziana.  Il  nuovo  aggiunto  è  Graziano 
de'  Trincheri  ;  ma  egli  non  compare  nell'atto  del  3  marzo. 

(3)  Sono  editi  dal  Formentini,  op.  cit.,  doc.  n.  XXV,  pp.  178-82,  però 
con  la  data  erronea  del  27  febbraio,  sabbato.  Li  citò  il  Sickel,  ed  esattamente 
sotto  il  giorno  di  sabbato  28  febbraio,  alla  nota  3  della  p.  214.  Quest'ultimo 
osserva  che  anche  questi  capitoli  si  trovano  in  originali  all'Arch.  civico  di  Mi- 
lano ;  noi  però  non  ve  li  abbiamo  più  trovati.  L'edizione  del  Formentini  è  in 
tutto  conforme  al  doc.  XXII  del  Sickel,  naturalmente  senza  le  risposte  del  duca, 
e  ccn  qualche  variante  nella  lezione.  Una  copia  di  tali  capitoli  esiste  tuttavia, 
inserta  nell'  istrumento  del  3  marzo  ;  ma  da  essa  appare  che  il  numero  di  essi 
da  29  venne  ridotto  a  28. 

(4)  Uno  de'  ventiquattio  ddla  giunta,  eletto  per  porta  Vercellina. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXIT,  Fase.  VI.  22 


34^  ALESSANDRO   COLOMBO 

cate,    per   mano  del  notaio   Domenico    de'  Marliani  (i).    È    prezzo 
dell'opera  considerarne  brevemente  il  contenuto. 

Ammessi  alla  presenza  dello  Sforza,  i  delegati  di  Milano,  dopo 
le  solite  formalità,  gli  presentarono  i  capitoli  modificati  del  28  feb- 
braio (2),  lasciandogli  ancora  «  pieno  arbitrio  »  di  riformarli,  di- 
minuirli o  cassarli  «  in  totum  vel  prò  parte  w,  secondo  le  istruzioni 
espressamente  ricevute  dalla  «  giunta  »  e  dal  Consiglio  Generale  (3)  ; 
giurarono  quindi  nelle  sue  mani  e  sulle  sacre  scritture  eterna  fe- 
deltà e  sudditanza  a  lui  e  a'  suoi  eredi  e  discendenti;  gli  promisero 
infine  che,  «  in  alia  solemni  congregatione  ciuium  et  populi  », 
avrebbero  fatto  proclamare  sul  suo  nome  «  translationem  domini i 
«  et  ducatus  et  pertinentiarum  in  ampliori  forma  j  uri  dica  ».  Ciò 
avvenne,  come  vedremo,  sette  giorni  più  tardi  (4);  intanto,  per 
conto  proprio  e  de'  24  che  rappresentavano,  lo  proclamarono  e  ri- 
conobbero legittimo  M  nuovo  signore  e  duca  w  (5). 


(i)  Doc.  III.  Copia  cartacea  autentica,  estratta  dagli  originali  dal  dottor 
Antonio  Verga,  notaio  collegiato  di  Milano,  il  giorno  17  luglio  1759;  Archivio 
civico  storico  di  Milano,  Dicasteri,  cartella  n.  4.  —  Ne  ha  dato  notizia,  non  che 
un  estratto,  il  Verri,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  36  ;  lo  ricorda  pure  il  Rosmini,  op.  cit., 
voi.  II,  p.  452;  e  nella  solita  nota  3  a  p.  214  il  Sickel.  Lo  citano  pure  il  Ru- 
BiERi,  loc.  cit,  e  il  Cipolla,  Signorie,  Milano,  188 r,  p.  439;  è  indirettamente 
impugnato  dal  Bertolini,  loc.  cit.  Altra  copia  autentica  di  questo  istrumento 
ved.  nel  codice  1292,  doc.  II  della  Miscellanea  qcc.  cit.,  esistente  nella  Trivul- 
ziana. 

(2)  Il  capitolo  ommesso  è  1'  ultimo  (XXIX),  riguardante  precisamente  la 
successione  al  ducato,  reso  ormai  inutile,  perchè  implicitamente  contenuto  nel 
giuramento  fatto  da'  sei  deputati.  Le  risposte  («  tenor  responsionum  »)  del  conte 
Francesco  sono  messe  tutte  dopo  il  «  tenor  capitulorum   ». 

(3)  Le  precise  parole  sono  anche  citate  dal  Sickel,  op.  cit.,  p.  214  ;  non 
comprendiamo  quindi  perchè  il  Bertolini,  op.  cit.,  pp.  46-47,  dica  che  i  sei 
deputati  a  valicarono  i  termini  della  potestà  loro  assegnata  »  (ved.  nostra 
nota  4  a  p.  334). 

(4)  Cfr.  doc.  IV.  Affatto  insussistente  ci  sembra  l' affermazione  del  re- 
censore dell'opera  del  Formentini  (in  La  vita  nova,  a.  II,  1877,  voi.  II,  p.  159, 
in  nota,  alla  rubrica  Libri  milanesi,  e  firmato  A.  S.),  non  aver  fatto  «  questo 
ce  plebiscito....  che  sanzionare  la  violenza  de'  fatti  compiuti,  perchè  fu  indetto  il 
«  giorno  II  marzo,  mentre  lo  Sforza,  procedendo  a  la  italiana  *e  no  hiuendo 
«  più  conscientia,  che  l'altri  pari  soy'  (come  gli  consigliava  Cosimo  de'  Medici), 
a  avea  già  occupata  la  città  il  27  febbraio  (sic)  ». 

fS)  È  nella  «  Minutta  seu  Tessera  »,  aggiunta  all' istrumento  del  3  marzo, 
e  sotto  la  data  medesima. 


l'ingresso   di   FRANCESCO   SFORZA   IN   MILANO,   ECC.  343* 

Compiuta  per  tal  modo  la  delicata  missione,  i  sei  fecero  ritorno 
a  Milano  e  riferirono  ogni  cosa  a'  colleghi  della  Giunta.  Ma  per- 
chè l'opera  loro  avesse  a  sortire  pieno  effetto,  mancava  ancora  la 
solenne  approvazione  del  popolo,  riunito  in  generale  assemblea; 
questa  si  ebbe  appunto,  come  abbiam  detto,  Tu  marzo  (i).  Quanto 
avvenne  in  codesta  memorabile  seduta  è  già  noto,  avendolo  altri 
prima  di  noi  sommariamente  esposto  (2);  converrà  pertanto  che 
noi  ci  limitiamo  a  ricordarne  i  punti  principali. 

Con  «  grida  »  pubblicata  il  mattino  deirii,  e  fatta  proclamare 
da'  soliti  banditori  (3)  in  tutte  le  piazze  e  carrobii  d'uso,  il  podestà, 
il  vicario,  i  XII  di  Provvisione  e  i  XXIV  della  Giunta  invitarono, 
«  per  l'ora  decimanona  »  di  quello  stesso  giorno,  tutti  i  capi-famiglia 
a  riunirsi  «  honestamente  et  senza  alcuno  strepito  in  la  corte  grande 
il  anteriore  sita  su  la  Piazza  del  Arengo  »,  per  trattare  e  discutere 
H  modestamente  »  di  cose  pertinenti  alla  città,  e  in  modo  partico- 
lare «  circa  la  translatione  del  ducato  et  del  dominio  de  Milano  »  (4). 
L'assemblea  fu  difatti  tenuta  all'ora  stabilita  e  riuscì,  com'era  facile 


(i)  Doc.  IV.  Si  trova  parzialmente  e  malamente  pubblicato  dal  Formen- 
TiNi,  op.  cit.,  doc.  XXVI,  pp.  182-92  ;  questi  anzi  lo  confonde  con  V  istru- 
mento  del  successivo  22  marzo,  facendone  un  tutto  solo  :  il  che  non  è  punto 
vero.  Lo  ricorda  il  Sickel,  op.  e  loc.  cit,  nota  3,  e  ne  dà  l'inizio:  «  Imbre- 
c(  matura  Damiano  de  Marliano  etc.  d.  d.  ir  Martij  1450  »  ;  fu  da  luì  veduto 
nell'Arch.  notarile,  ne'  rogiti  del  notaio  camerale  Jacopo  de'  Perego.  Una  copia 
in  pergamena,  redatta  nel  1758  e  collazionata  con  l'originale,  si  trova  nell'Ar- 
chivio di  Stato  di  Milano,  Potenie  estere  ;  contiene  anche  l'atto  del  22  marzo. 
Altra  copia  autentica  esiste  nel  cod.  1292,  doc.  Ili  della  Trivulziana  ;  e  una  terza 
nell'Arch.  civico  storico,  sede  cit.  Dicasteri,  in  seguito  all'  istrumento  del  5  marzo, 
estratta  e  collazionata  ecc.  nel  1759  dallo  stesso  notaio  Antonio  Verga.  Un 
estratto  dell' istrumento  11  marzo  si  trova  pure  nella  sede  Potenie  sovrane  del  ci- 
tato Arch.  di  Stato  (copia  cartacea  non  autentica).  Noi  riproduciamo  la  copia 
autentica  del  1758,  e  naturalmente  solo  quella  parte  non  pubblicata  dal  Formen- 
tini.  Avvertasi  ancora,  che  il  Simonetta  non  accenna  punto  né  a  questo  né  agli 
altri  documenti  del  26  e  28  febbraio  e  3  marzo  ;  ma  si  limita  solo  a  osservare 
(p.  604),  che  le  cose  di  Milano  non  si  accordarono  tosto  facilmente,  per  cui  lo 
Sforza  dovette  rimandare  l'ingresso  solenne  «  a  più  tardi  ».  Il  Cipolla,  op.  cit., 
pp.  430-51,  chiama  questa  dell'i i  marzo  1450  «  un'altra  solenne  finzione!  ». 

(2)  FORMENTINI,   op.    cit.,     pp.     JO-J2:   RUBIERI,  Op.    cit.,    VOl.    II.    pp.   2I7-I9. 

(3)  I  fratelli  Antonio  e  Matteo  de  Arezio;  essi  non  sono  citati  nella  lettera 
ducale  del  19  marzo  1450. 

(4)  Detta  grida  è  pure  riportata  a  parte  dal  Formentini,  op.  cit.,  pp.  69-70  ; 
trovasi  inserta  nel  documento  dell' 11  marzo  1450. 


344  ALESSANDRO  COLOMBO   -  L*  INGRESSO,   ECC. 

a  prevedersi,  numerosissima.  Ad  unanimità  fu  chiamato  a  presie- 
derla il  Castiglione;  ed  egli,  spiegati  brevemente  lo  scopo  e  la 
importanza  del  comizio,  mise  in  votazione  sette  quesiti  da  lui  stesso 
composti,  che  riassumevano  in  parte  le  deliberazioni  già  prese,  in 
parte  ne  presentavano  delle  nuove  (i).  Chiese  pure  un  credito  di 
mille  e  cinquecento  ducati,  per  far  fronte  alle  spese  della  incoro- 
nazione e  per  l'acquisto,  degli  oggetti  necessari:  carro  trionfale 
con  baldacchino,  manto,  vessillo,  chiavi,  ecc.  Tutto  fu  approvato. 
E,  seduta  stante,  furono  eletti  i  sette  cittadini  che  dovevano,  con- 
segnare le  ducali  insegne  (2),  i  dodici  (due  per  porta)  che  dovevano 
presentare  le  chiavi  (3),  e  gli  altri  dodici  che  dovevano  prestar 
giuramento  (4),  stabilendone  eziandio  la  formula.  Le  ultime  dispo- 
sizioni per  il  solenne  ingresso  furono  rimandate  ad  altra  adunanza, 
dovendosi  nel  frattempo  udire  le  ulteriori  volontà  del  duca.  E  in- 
tanto di  quello,  che  era  stato  deciso  e  solennemente  concesso,  fu 
subito  redatto  formale  istrumento  per  mano  de'  notai  Jacopo  de'  Pe- 
rego  e  Damiano  de'  Marliani,  alla  presenza  de'  pronotarii  e  testi- 
monii  voluti  e  richiesti. 

(Continua)  Alessandro  Colombo. 


(i)  Detti  quesiti  sono  riassunti  dal  Formentini,  op.  e  loc.  cit.,  e  dal  Rubieri, 
op.  cit,  voi.  II,  pp.  220-21  ;  però  quest'ultimo  sbaglia  quando  afferma,  che  il  po- 
polo milanese  stabilì  (quesito  IV)  dover  la  successione  al  ducato  spettare  unica- 
mente a'  figli  maschi  e  legittimi.  Giacché  basta  leggere  con  attenzione  il  nostro 
documento  (parte  edita  dal  Formentini),  non  che  la  formula  del  giuramento,  per 
persuadersi  come  in  linea  di  diritto  non  fossero  escluse  anco  le  femmine, 

(2)  Sono  i  seguenti;  Oldrado  de'  Lampugnano,  conte  Filippo  Borromeo, 
Pietro  Visconti,  .Gaspare  da  Vimercate,  Antonio  de'  Triulzio,  Melchiorre  de'  Mar- 
liano,  Pietro  Pusterla.  Le  ducali  insegne  erano  :  la  clamide,  il  bavero,  il  berretto, 
lo  scettro,  lo  stendardo  o  vessillo,  il  sigillo  e  la  spada. 

(3)  Sono:  Francescano  di  Castel  S.  Pietro  e  Cristoforo  Pagnano  (per  porta 
Nuova),  Guglielmo  de'  Marliano  e  Ambrogio  Cotta  (Orientale),  Antonio  Porro  e 
Francesco  Surigono  (Romana),  Biasolo  de'  Cusano  e  Leone  Beacqua  (Vercellina), 
Ambrogio  Gagnola  e  Varisino  da  Landriano  (Cumana),  Giovanni  Stampa  e  Ar- 
rigolo  da  Arconate  (Ticinese). 

(4)  Eccone  i  nomi:  il  dott.  Scipione  de'  Casate  e  il  causidico  Antonio  de' 
Grassi  (Nuova),  Tommaso  Amicono  e  Giovanni  de'  Raude  (Orientale),  Luigi  Mo- 
neta e  Luigi  de'  Pietrasanta  (Romana),  Gaspare  del  Conte  e  Ambrogio  de'  Grassi 
(Ticinese),  Niccolò  de'  Meravigli  e  il  milite  Francesco  de'  Fossato  (Vercellina), 
Bartolomeo  da  Vimercate  e  Giovanni  Stefano  de'  Casate  (Cumana^. 


VARIETÀ 


Due  documenti  inediti 
riguardanti  beni  allodiali  di  laici  milanesi 


Ei  secoli  scorsi,  quando  ancora  le  preziose  pergamene 
erano  conservate  negli  archivi  dei  monasteri,  là  dove  le 
tradizioni  locali  facilmente  potevano  commentarle,  gli  eru- 
diti prendevano  volontieri  la  strada  dei  chiostri.  Vi  tro- 
vavano maggior  ordine  ed  abbondanza  nelle  carte,  un'accoglienza 
abitualmente  più  benigna  e,  non  di  rado,  la  collaborazione  dei  mo- 
naci stessi,  conoscitori  esperti  dei  ricchi  depositi  loro  affidati.  A 
partire  dalla  fine  del  sec.  XVIII,  ai  frati  furono  tolti  i  loro  archivi, 
quasi  senza  eccezione,  e,  poiché  parliamo  di  Milano,  si  vennero  accu- 
mulando, come  ognun  sa,  nel  nostro  Archivio  di  Stato,  costituen- 
dovi r  imponente  doviziosissima  raccolta  del  fondo  di  religione. 
Mancato  ormai  il  prezioso  e  simpatico  nesso  fra  la  sede  ed  i  docu- 
menti, permane  il  vantaggio  inestimabile  di  una  certa  selezione,  in 
base  a  criteri  topografici  ed  anche  cronologici.  Si  è  aggiunta  la 
agevolezza  che  viene  allo  studioso  dal  soccorso  illuminato  e  cor- 
tese degli  egregi  cittadini  preposti  alla  direzione  dell'Archivio, 
primo  fra  questi  il  dotto  e  lacrimato  conte  Ippolito  Malaguzzi- Valeri, 
teste  scomparso  così  crudelmente. 

Nasce  da  tutto  ciò  la  conseguenza  che  quasi  ogni  ricercatore 
delle  nostre  più  antiche  memorie,  dal  conte  Giulini  al  consigliere 
Discaro,  abbia  ristretto  la  sua  documentazione  nel  campo  un  poco 
chiuso,  sebbene  vastissimo,  delle  carte  riguardanti  corpi  ecclesiastici, 
anzi  più  precisamente,  corpi  regolari.  Sta  bene  che  ai  monasteri  siano 


346  VARIETÀ 

pervenuti  non  pochi  documenti  di  origine  laica  ;  gli  effetti  dell'ac- 
cennato carattere,  delle  fonti  d'archivio  più  spesso  e  volentieri  com- 
pulsate, non  è  per  questo  meno  visibile.  Per  citare  un  solo  auto- 
revole esempio,  ricorderò  che  il  Lattes,  studiando  il  nostro  diritto 
con  metodo  così  rigoroso  e  fecondo  (i),  ebbe  spesso  ad  accorgersi 
dei  limiti  impostigli  dalla  natura  ecclesiastica  dei  documenti,  quando 
voleva  raffrontare  alle  raccolte  di  leggi  e  consuetudini,  saggi  della 
loro  applicazione  quotidiana. 

Gli  archivi  delle  famiglie  più  antiche  e  cospicue,  se  si  possono 
con  certezza  ritenere  molto  meno  ricchi  di  quelli  degli  ordini  reli- 
giosi, sono  tuttora  lasciati  in  un  canto.  Ed  è  sorprendente  come 
questa  regola,  dal  Giulini  in  poi,  sia  stata  scrupolosamente  osser- 
vata. È  sola  bella  eccezione  il  compianto  don  Felice  Calvi,  che  però 
ebbe  scopi  specialmente  genealogici  e  preferì  rievocare  le  epoche 
seguenti  alla  rinascenza. 

Ho  creduto  opportuno  di  scostarmi  in  questo  punto  dall'esem- 
pio di  maestri  venerati,  traendo  impulso  dalla  liberalità  intelligente 
di  non  pochi  proprietari  di  carte  antiche  interessanti  per  la  storia 
lombarda.  La  dispersione  dolorosa  di  molti  archivi,  le  loro  imprevedi- 
bili e  strane  fortune  e  peregrinazioni,  il  continuo  sospetto  di  falsi- 
ficazioni del  seicento,  alle  quali  la  vanità  offriva  troppo  facile  esca, 
infine  il  carattere  prevalentemente  patrimoniale  delle  classificazioni, 
là  dove  esse  esistano,  ostacolano  ad  ogni  passo  il  cammino  in  simile 
impresa.  Quale  saggio  del  contributo  che  si  può  sperare  per  la  sto- 
ria, sovrattutto  degli  istituti  e  dei  rapporti  economici,  da  uno  spo- 
glio paziente  degli  archivi  privati,  ardisco  ora  offrire  ai  lettori  di 
quest'Archivio  il  testo  di  due  carte  inedite,  l'una  del  sec.  XII,  l'altra 
del  XIII,  appartenenti  entrambe  alla  famiglia  Arese. 

Il  Giulini  nel  lib.  LIX  delle  Memorie^  riferendosi  all'anno  1301, 
lumeggia  coll'aiuto  di  una  carta  proveniente  dall'archivio  di  Santa 
Margherita,  la  figura  di  Ricardo  da  Aresio,  giudice  della  nuova  cre- 
denza di  Sant'Ambrogio,  assunto  col  capitano  del  popolo  e  pochi 
altri  ad  una  sorta  di  dittatura  per  volere  e  nell'interesse  di  Matteo 
Visconti.  Non  ostante  il  carattere  popolare  della  carica  di  cui  ve- 
diamo investito  questo  suo  illustre  rappresentante,  la  famiglia  Arese 
va  annoverata  fra  le  feudali.  Più  volte  nelle  antiche  carte  vediamo 
anzi  scritto  de'  Capitani  da  Arese,  secondo  lo  stile  delle  maggiori 
schiatte  del  contado. 


(i)  Ved.  A.  Lattes,  Il  diritto  consuetudinario  delle  città  lombarde,  Milano, 
?,  cap.  IX,  §  41. 


VARIETÀ  347 

5arebbe  ozioso  il  voler  qui  ricordare  le  glorie  e  le  ricchezze 
do?la  famiglia  che  ebbe  il  massimo  lustro  dal  celebre  Presidente  del 
Senato.  È  pure  noto  come  gran  parte  dei  beni  cospicui  degli  Arese 
sia  passata  col  nome  in  casa  Borromeo,  e  per  il  tramite  di  un  ramo 
ora  estinto  dei  Visconti,  in  casa  Litta.  È  verosimile  che  una  sezione 
dell'  archivio  abbia  accompagnato  così  vistosi  gruzzoli  nelle  loro 
migrazioni.  Ciò  si  potrà  probabilmente  un  giorno  controllare;  per 
altro  non  mi  è  stato  fin  qui  possibile  farlo. 

Il  ramo  superstite  di  casa  Arese,  che  assunse  nel  sec.  XVIII  in 
seguito  ad  eredità  anche  il  nome  della  famiglia  Lucini,  conservò  in 
ogni  modo  ricchi  depositi  di  documenti.  Questi  furono,  credo  poco 
dopo  la  rivoluzione  francese,  ripartiti  in  numerose  divisioni  e  suddivi- 
si oni  fra  le  quali  non  è  difficile  orientarsi,  grazie  alle  rubriche  di 
un  indice  minuzioso.  Tutto  l'Archivio  è  diviso  in  quattro  regioni 
ed  in  più  di  un  centinaio  di  caselli  che  sono  effettivamente  riparti 
chiusi  da  corrispondenti  porticine  di  grandi  armadi.  La  numerazione 
dei  caselli  è  proseguita,  senza  interruzione  dall'una  e  dall'altra  re- 
gione; quella  per  cartelle  invece  è  interna  ad  ogni  singolo  casello. 
Le  posizioni  contenute  nelle  cartelle  furono  pure  controdistinte  ed 
elencate,  ma  non  credo  opportuno  descrivere  i  criteri  di  quest'ul- 
tima classificazione,  tanto  più  che  riscontrai  continue  trasposizioni 
nella  serie  dei  gruppi  di  documenti  contenuti  in  ciascuna  car- 
tella. 

Il  Sitoni  di  Scozia  esaminò  a  suo  tempo  l'Archivio  Arese,  e 
varie  annotazioni  della  sua  caratteristica  scrittura,  che  arieggia  lo 
stampatello,  si  ritrovano  in  margine  alle  carte.  Gli  fu,  fra  l'altro, 
sottoposto  un  elenco  di  documenti  fra  i  più  insigni  dell'Archivio, 
sui  quali  credo  si  volesse  basare  qualche  domanda  d'ascrizione  al 
Collegio  dei  nobili  giureconsulti.  L'esperto  denunciatore  delle  fal- 
sificazioni, insinuatesi  perfino  fra  le  carte  delle  più  antiche  famiglie 
patrizie,  additò  come  sospetti  due  documenti,  l'uno  del  1323,  l'altro 
del  1335.  L'aver  superato  la  prova  dell'accurata  inquisizione  sito- 
niana  è  già  per  sé  una  garanzia  dell'  autenticità  degli  altri  docu- 
menti fra  i  quali  sono  quelli  che  mi  accingo  a  pubblicare.  Un  mi- 
nuto esame  mi  convinse  in  ogni  modo  che  le  due  carte  potevano 
essere  senza  timore  considerate  genuine;  ed  a  tale  conclusione  mi 
arrestai  soprattutto  dopo  che  il  compianto  conte  Malaguzzi  Valeri 
le  ebbe  osservate  dichiarandole  immuni  da  ogni  sospetto  di  falso. 

Sgombrato  il  terreno  da  questi  timori,  resi  naturali  da  dolorose 
constatazioni  fatte  in  altri  casi  e  dal   trovar  traccia  di   riserve  del 
Sitoni  per  carte  del  medesimo  Archivio,   possiamo  ormai  passare 
allo  studio  dei  singoli  documenti. 


348  VARIETÀ 


L'otto  dicembre  1185  indizione  quarta,  Monferrado  ed  Ugo  de  Aliate^ 
agenti  anche  per  conto  di  Pietro  de  Aliate,  tutti  quanti  cittadini  milanesi 
e  residenti  in  Milano,  danno  in  afiStto  per  massaritium  a  Pietro  de  Bel- 
luno la  loro  tenuta  nel  territorio  di  Casorate. 

L'atto  fu  steso  in  Milano  dal  notaio  Anselmo  Samaruga. 

Questa  piccola  pergamena,  piuttosto  ben  conservata,  si  trova 
neirArchivio  Arese,  regione  III,  casello  88,  cartella  B.  La  regione 
terza  abbraccia  carte  sin  qui  conservate  in  Milano  nel  palazzo  degli 
Arese  in  Porta  Orientale,  ma  che  saranno  presto  riunite  al  resto 
dell'Archivio  in  Osnago  di  Brianza. 

(S.  T.)  Anno  dominice  incarnationis  millesimo  centesimo  octuagesimo 
quinto,  octavo  die  decembris  indictione  quarta.  Investiverunt  per  massa- 
ritium ad  benefatiendum,  monferradus  et  ugo  qui  dicuntur  de  aliate,  ad 
eorum  partes,  et  ad  partem  petri  de  aliate,  omnes  civis  mediolani,  pe- 
trum  qui  dicitur  de  bellano,  nominative  de  tota  terra  eorum  de  loco  seu 
de  territorio  de  Casorate,  ad  fictum  omni  anno  reddendum  ad  domum 
habitationis  eorum  de  mediolano  tractum,  et  consignatum  ad  mensuram 
mediolani,  stera  viginti  biave  mediem  sicalis  et  mediem  milj,  sicalem  de- 
beant  trahere,  et  consignare  in  omni  sanato  petro  et  milium  in  omni 
sanato  michaello,  et  debeat  esse  bona  biava  et  bella  in  estimo  honorum 
hominum,  si  discordia  inde  esset,  et  prò  iamscripto  fleto  dando  ut  supra 
legitur,  iamscriptis  petrus  guadiam  dedit,  et  omnia  bona  sua  pignori  obli- 
gavit,  iamscriptis  monferrado  et  ugoni,  ad  eorum  partes,  et  ad  partem 
iamscripti  petri,  et  restituendi  omnes  expensas  quas  fecerint,  prò  iam- 
scripto fleto  exigendo  uno  quoque  termine  transacto;  quia  sic  intereos 
conventum  aetum  in  iamscripta  civitate. 

(S.  M.)  Signum  manum  iamscriptorum  monferradi,  ugonis  atque  petri 
qui  hanc  cartam  fieri  rogaverunt;  ut  supra. 

(S.  M.)  Signum  manum  gairardi  de  arexio,  atque  amizonis  prebel- 
lonj  testium. 

(S.  T.)  Ego  anselmus  qui  dicor  Samaruga  notarius  tradidi  et  scripsi. 

Mi  pare  non  vi  possa  esser  dubbio  nella  identificazione  della 
terra  di  Casorate  noto  capo-pieve  sui  confini  del  milanese  e  del  pa- 
vese. Per  i  tempi  più  antichi  è  costante  l'aggiudicazione  al  territorio 
milanese.  Il  Giulini  nella  «  dichiarazione  della  carta  corografica  » 
pone  Casorate  e  la  sua  pieve  nel  contado  della  Burgaria,  riferen- 
dosi, secondo  è  noto,  al  sec.  XII,  al  quale  appartiene  il  nostro  do- 


VARIETÀ  349 

cumento.  Invece  il  Riboldi,  nel  suo  recente  studio  intorno  ai  contadi 
rurali  del  milanese  (i),  ritiene  non  provato  il  fatto  che  Casorate  abbia 
fatto  parte  della  Burgaria. 

Più  tardi  e  definitivamente  prevalse  l'attribuzione  al  territorio 
di  Pavia,  sì  che  il  Benalio  nel  suo  elenco  dei  feudi  scrive  senza 
esitazione  di  Casorate:  «  in  principatu  papiae  »  (2).  Il  medesimo 
Benalio  registra  T  infeudazione  «  Casorati  in  campanea  suprana  » 
al  vescovo  di  Pavia  per  antichissima  concessione  dell'imperatore 
Ottone  rimontante  al  977.  L'esistenza  di  questi  diritti  feudali  del- 
l'episcopato pavese  conferma  il  carattere  allodiale  dei  possessi  dai 
de  Aliate  dati  in  affitto  coU'atto  a  cui  si  s-riferisce  la  nostra  carta. 
I  beni  dei  de  Aliate  in  quel  territorio  dovevano  essere  numerosi 
ed  in  loro  proprietà  da  lunga  data.  I  manoscritti  Puricelliani  del- 
l'Ambrosiana hanno  conservato  il  testo  d'una  specie  di  donazione 
onerosa  (cioè  connessa  con  launeghild)  il  cui  originale  perì  nel- 
l'incendio del  monastero  di  Morimondo,  secondo  narra  il  Giulini 
nel  lib.  XXXV  delle  Memorie.  Tale  contratto  riguarda  beni  posti 
in  Coronago,  luogo  della  medesima  pieve  di  Casorate,  che  fu- 
rono donati  da  Bernardo  de  Aliate,  con  atto  compiuto  in  Milano 
al  principio  del  1136,  a  Prevede  da  Ozeno.  Quest'ultimo  ridonò 
senz'  altro  le  terre  ai  monaci  cistercensi,  che  lo  ricompensarono 
questa  volta  con  così  vistoso  launeghild  in  moneta  sonante  da  far 
subodorare  in  quella  serie  di  atti  nient'  altro  che  una  vendita  lar- 
vata. Ho  voluto  richiamare  questo  precedente  anche  perchè  dalla 
esistenza  di  antiche  tenute  dei  de  Aliate  nei  pressi  di  Casorate  in 
il  campanea  suprana  »,  ora  Casorate  Primo,  viene  definitivamente 
escluso  ogni  pericolo,  già  evitato  dalla  notorietà  assolutamente  pre- 
valente della  terra  capo-pieve,  che  il  documento  del  1185  si  rife- 
risca a  quell'altro  Casorate,  immemorabile  possesso  feudale  dei  Vi- 
sconti con  tutta  la  pieve  di  Somma. 

Nella  ripartizione  delle  maggiori  famiglie  milanesi,  secondo  i 
celebri  quattro  gruppi  che  coesistettero  quasi  altrettante  città  nella 
nostra  Milano  del  XII  e  XIII  secolo,  il  Fiamma  [Cronicon  majus) 
segnala  per  i  primi  i  de  Aliate,  quando  viene  ad  enumerare  le  fa- 
miglie della  Motta.  L'appartenenza  a  questa  classe  cospicua,  vero 
germe  del  patriziato  cittadino,  bene  si  armonizza  colla  dimora  sta- 
bile in  Milano  che  risulta  dal  nostro  documento  ed  anche  da  quello 


(i)  Cfr.  quest'Archivio,  XXXI,  1904,  i,  p.  277.. 

(2)  Elmchus  familiarum  in  Mediolani  dominio  feudis,  jurisdìctionihus  titulisque 
insignium,  Colligente  I.  C.  don  Josepho  Benalio,  Mediolani,  MDCCXIV,  typis 
M.  A.  P.  Malatestae. 


350  VARIETÀ 

di  cinquant'  anni  più  antico  tramandatoci  dal  Puricelli.  Si  osservi 
che,  come  in  altri  documenti  lombardi,  il  locatore  è  obbligato  a  ter- 
mine del  contratto  del  1185  a  recare  l'importo  dell'affitto  annuale 
del  loro  fondo  ai  de  Aliate  «  ad  domum  habitationis  eorum  de  Me- 
u  diolano  ».  Questo  potrebbe  riferirsi  sia  alla  mancanza  di  una  casa 
padronale  nella  tenuta  di  Casorate  sia  anche  a  negozi  in  cereali 
ai  quali  sappiamo  non  esser  stati  punto  estranei  altri  cittadini  della 
Motta.  Quanto  alla  collocazione  di  queste  case  dei  de  Aliate,  una 
semplice  induzione  si  può  trarre  dal  fatto  che  nel  1266  dodici  mem- 
bri di  questa  famiglia  prestarono  il  giuramento  di  obbedienza  alla 
Santa  Sede  come  membi»  della  parrocchia  di  Santa  Maria  Beltrade 
in  Porta  Romana.  Essi  furono:  «  Domnus  Albertus  »,  «  Ser  Burba  », 
Guido,  Venturino,  Benzius,  Antonio,  Gallino,  Manfredo,  Juanus, 
Roberto,  Pietro  e  Nicoloso,  tutti  de  Aliate  (i).  Gli  ottantanni  che 
passarono  dal  1185  al  1266  non  sono  sufficienti  per  togliere  valore 
a  tale  avvicinamento,  ove  si  osservi  che,  cento  e  più  anni  dopo,  e 
precisamente  nel  1388,  Stefano  de  Aliate  era  eletto  nel  consiglio 
dei  novecento  come  uno  dei  rappresentanti  della  medesima  parroc- 
chia di  Santa  Maria  Beltrade  ed  un  altro  de  Aliate  per  quella  vi- 
cina di  San  Nazaro  in  Brolio  (2),  il  che  prova  la  persistenza  della 
dimora  della  famiglia  in  Porta  Romana.  Nell'anno  1224  Monferrado 
de  Aliate  era  uno  dei  consoli  di  Milano,  molto  verosimilmente  lo 
stesso  che  interviene  nell'atto  da  noi  illustrato;  ma  nessun  cittadino 
di  tal  cognome  fu  da  me  mai  visto  ricordato  che  recasse  il  pre- 
nome di  Ugo.  Pietro  de  Aliate,  nel  cui  nome  agiscono  gli  altri 
due  suoi  parenti,  fu  verosimilmente  quel  medesimo  ricordato  dal 
Fiamma  come  console  dei  mercanti  di  Milano  nel  11 72.  E,  poiché  le 
consuetudini  del  nostro  comune  espressamente  dichiaravano  che  i 
consoli  dei  mercanti  «  nec  impediantur,  quin  possint  consulatum 
«  comunis,  vel  iustitiae,  vel  aliud  officium  civitatis  Mediolani  ha- 
«  bere  »,  nulla  esclude  che  al  nostro  Pietro  si  riferisca  il  passo  dei 
Corio  là  dove  parla  del  1196  e  scrive:  «  Consuli  de  iusticia  furono 
u  Baldizone  Stampa:  Codeghino  Mainerio:  Laurentio  Corbo:  Petro 
«  de  Aliate  et  Ugo  de  Casteniago  »  (3).  Ma  non  saprei  se  sia  pru- 


(i)  Ved.  l'elenco  pubblicato  dal  dott.  A.  Ratti,  A  Milano  nel  1266,  in  Memorie 
del  R,  Istituto  Lombardo  di  Scien:^e  e  lettere,  voi.  XXI,  XII  della  serie  III,  1902,  p.  221. 

(2)  Secondo  risulta  dal  registro  delle  Provvisioni  del  nostro  Archivio  civico, 
ora  trasportato  in  Castello. 

(3)  Bernardini  Corii  viri  dar  issimi  mediolanensis  patria  historia,  Mediolani, 
apud  A.  Minutianum  MDIII. 


VARIETÀ  351 

dente  l'identificazione  con  Pietro,  uno  dei  quattro  fratelli  de  Aliate 
gran  fautori  di  Ottone  IV,  da  lui  creati  conti  palatini  ed  insigniti 
di  molti  privilegi.  E  già  ragione  a  dubitarne  il  vedere  accanto  al 
nome  di  Pietro  differenti  nomi  di  agnati  nelle  due  diverse  congiun- 
ture, della  locazione  del  1185  e  delle  concessioni  imperiali  del  1209, 
che  pure  presentano  entrambe  membri  della  stessa  famiglia  .rag- 
gruppati da  comunanza  d'interessi.  Il  Pietro  de  Aliate  poi,  che  ebbe 
una  sorta  di  podesteria  nel  1225,  è  citato  dal  Corio  e  dal  Giulini 
col  nome  di  Pietro  Cano  e  deve  quindi  ritenersi  senz'  altro  una 
persona  diversa  da  quel  cittadino  nel  cui  nome  stipulavano  nel  1185 
i  di  lui  agnati  Monferrado  ed  Ugo. 

Se  la  famiglia  de  Aliate  ci  appare  chiara  per  possessi  ed  uffici 
affidati  a'  suoi  membri,  una  vera  incognita  è,  per  lo  meno  per  chi 
scrive,  u  il  Petrus  qui  dicitur  de  Sellano  »  a  cui  si  dà  in  affitto  da 
quei  cittadini  milanesi,  «  tota  terra  eorum  de  loco  seu  de  territorio 
«  de  Casorate  ». 

Uno  dei  due  testimoni  che  compaiono  nell'atto  è  Gairardo  de 
Arexio.  La  famiglia  milanese  che  conservò  questa  carta  può  valer- 
sene a  dare  notizie  sicure  de*  suoi  maggiori  per  un  tempo  assai 
più  antico  di  quello  nel  quale  si  poneva  sin  qui  dagli  storici  l'ap- 
parire di  quei  capitani  nella  storia  della  nostra  città.  Non  sarà  inu- 
tile il  ricordare  qui  che  il  primo  da  Arese  citato  in  quelle  Memorie 
del  Giulini,  che  sono  la  consueta  miniera  onde  si  estraggono  le  no- 
tizie sulle  antiche  famiglie  milanesi,  è  Riccardo,  già  da  me  ricor- 
dato come  giudice  della  Credenza  di  Sant'Ambrogio  all'aprirsi  del 
quattordicesimo  secolo.  Il  nome  dell'altro  testimonio  si  leggerebbe, 
nel  testo  dell'Archivio  Arese,  Amizone  Prebellone.  Ma,  data  la  no- 
vità di  un  tale  cognome,  mi  si  permetta  la  congettura  che  debba 
correggersi  in  quello  dei  Prealloni,  noti  dal  secolo  dodicesimo  e 
pure  membri  della  Motta, 

Anselmo  Samaruga  fu  infine  il  notaio  che  stese  l'atto  di  loca- 
zione da  noi  commentato.  Non  ho  mai  visto  citato  il  nome  di  que- 
sta famiglia  in  atti  del  sec.  XII,  bensì  nel  secolo  seguente.  Da  un 
istromento,*  veduto  dal  Giulini  nell'Archivio  della  basilica  di  San 
Giovanni  in  Monza  (i),  è  ricordato  un  «  dominus  Tomasus  Sama- 
«  ruga  »,  console  di  giustizia  del  comune  di  Milano  nell'anno  1283. 
Nell'elenco  dei  milanesi  che  giurarono  parecchi  anni  prima  (1266) 
M  stare  mandatis  summi  pontificis  et  romanae  ecclesiae  »  (2),  trovo 


(i)  Ved.  Giulini,  Memorie^  aggiunte  al  lib.  LVII. 

(2)  Ved.  la  pubblicazione  già   citata  del  dott.  A.  Ratti,  p.  213. 


i 


352  VARIETÀ 

due  Samaruga  abitanti,  come  i  loro  clienti  de  Aliate,  in  Porta  Ro- 
mana. Jacopo  è  anzi  egli  pure  parrocchiano  di  Santa  Maria  Bel- 
trade,  mentre  Cristofano  lo  è  di  San  Calimero. 

Se  per  un  lato  è  interessante  ed  utile  il  prender  le  mosse  dal 
nostro  documento  per  tentare  di  ricostruire,  nell'oscurità  ancor 
molto  inesplorata  del  sec.  XII,  qualche  abbozzo  biografico,  mag- 
gior importanza  ha  poi  lo  studio  degli  istituti  giuridici  e  sociali 
sui  quali  s' impernia  l'atto  rogato  da  Anselmo  Samaruga.  Per  ob- 
bligo di  brevità  mi  contenterò    di  alcune    osservazioni   successive. 

«  Massaritium  »  secondo  il  du  Gange  (i)  sarebbe  il  fondo  del  Mas- 
saro. Anche  il  Seregni  (2)  conclude  che  «  massaritium  "  è  identico  a 
u  mansus  ».  Per  altro  la  frase:  «  Investiverunt  per  massaritium  »  sem- 
bra piuttosto  alludere  al  contratto  massaritico.  Si  noti  pure  l'espres- 
sione dell'investitura  «  ad  benefatiendum  »,  che,  secondo  una  norma 
costante  nelle  consuetudini  milanesi,  ribadisce  l'obbhgo  per  il  colono 
di  curare  e  migliorare  il  fondo. 

A  differenza  di  molti  altri  casi  i  tre  consorti  de  Aliate  non 
danno  in  affitto  un  podere  di  area  determinata,  ma  bensì  «  tutta  la 
u  loro  terra  nel  luogo  e  nel  territorio  di  Casorate  ».  Infatti  man- 
cano le  consuete  indicazioni  delle  coerenze. 

L'affitto  in  natura  deve  essere  calcolato  secondo  la  misura  mi- 
lanese. Anche  qui  il  cittadino  impone  le  sue  misure  ai  rustici,  ed 
invero  non  è  una  disposizione  superflua.  Piccole  terre  avevano  ap- 
punto in  quello  scorcio  di  secolo  loro  misure  particolari,  come  Aro- 
sio,  il  cui  staio  equivaleva  ad  otto  undicesimi  di  quello  di  Milano  (3). 
Casorate  era  poi  sui  confini  del  pavese  e  del  milanese,  feudo  del 
vescovo  di  Pavia  e  parte  invece  dell'archidiocesi  di  Milano,  sì  che 
taluno  la  giudicava  una  terra  immune  dalla  giurisdizione  dei  due 
capoluoghi  al  pari  di  Morimondo  (4). 

Il  locatario  deve  dunque  consegnare  venti  stala  all'anno  in  ce- 
reali, giacché  la  «  biava  »  è  qualsiasi  specie  di  grano,  e  dovevano  es- 
sere nel  caso  indicato  una  metà  («  mediem  »  sta  forse  per  «  medieta- 
«  tem  »»)  in  segale  ed  un'altra  metà  in  miglio.  Sarebbe  inùtile  che  m'in- 


(i)  Caroli  du  Fresne  domini  du  Gange,  Glossarium  ad  scripiores  mediac 
et  infimae  latinitatis,  Francoforte  a.  M.,  Zunner,  1710,  s.  y. 

(2)  G.  Seregni,  La  popola^iom  agricola  della  Lombardia  nell'età  barbarica^ 
Milano,  Rivara,  1895. 

(3)  G.  Seregni,  Del  luogo  di  Arosio  e  de*  suoi  statuti  nei  secoli  XII  e  XIII, 
Torino,  Paravia,  1902,  §  4,  p.  17. 

(4)  Grande  illustrazione  del  Lombardo- Veneto.  Milano,  1857,  voi.  I,  Pavia  e 
sua  provincia  per  L.  Gualtieri  conte  di  Brenna. 


VARIETÀ  •  355 

dugiassi  a  rammentare  la  grande  diffusione  di  queste  culture,  surro- 
gatrici  del  vero  e  proprio  grano,  nel  medio  evo  (i).  Piuttosto  devono 
osservarsi  le  date  prescritte  per  la  consegna  che  anticipano  alquanto 
sulle  consuete  ;  la  segale  dev'essere  consegnata  al  domicilio  del  loca- 
tore in  Milano  per  San  Pietro  (29  giugno)  invece  che  per  San  Lo- 
renzo (io  agosto)  ed  il  miglio  per  San  Michele  (29  settembre)  e  non 
nel  solito  San  Martino  (11  novembre)  (2). 

Il  patto  •  di  locazione  stabilisce  che,  in  caso  di  disparere,  riguar- 
dante la  qualità  dei  grani  consegnati,  si  ricorra  ai  «  boni  homines  w. 
Non  credo  però  che  con  tal  nome  si  vogliano  indicare  quelle  spe- 
ciali magistrature  chiamate  dei  «  boni  homines  »»  o  dei  probiviri,  nelle 
quali  il  Rosa  (3)  addita  uno  degli  istituti  primitivi  del  comune.  Piut- 
tosto penso  ad  un  ricorso  a  giudizio  di  arbitri,  affine  a  queir«  ar- 
«  bitrium  boni  viri  »,  di  cui  parlano  le  consuetudini  bergamasche. 

Il  conduttore  delle  terre  di  Casorate  «  guadiam  dedit  »,  secondo 
la  formola  consacrata,  ai  de  Aliate  locatori.  È  tanto  più  certo  che 
nel  caso  pratico,  come  del  resto  ormai  quasi  sempre  in  Lombardia 
nel  sec.  XII,  la  guadia  era  ridotta  ad  una  pura  e  semplice  presta- 
zione simbohca,  in  quanto  che,  secondo  vedremo,  si  tratta  più.  in- 
nanzi di  una  obbligazione  pignoratizia.  Alla  guadia,  come  è  noto, 
non  erano  tenuti  i  nobili.  Il  vedere  che  Pietro  de  Bellano  la  pre- 
sta e  che  non  presenta  invece  fideiussori  conferma  l'ipotesi  che  il 
conduttore  dei  fondi  dei  de  Aliate  fosse  un  semplice  rustico,  indi- 
cante col  cognome  la  provenienza  e  non  una  proprietà  né  tanto 
meno  un  diritto  feudale.  Il  de  Bellano  doveva  però  essere  agiato 
e  solvibile,  se  poteva  porre  in  pegno  tutti  i  suoi  beni  vincolandosi 
al  risarcimento  delle  spese  che  potessero  incombere  ai  de  Aliate 
per  esigere  l'affitto.  Il  testo  parla  solo  del  risarcimento  in  caso  di 
mora  e  non  di  decadenza  del  conduttore  moroso  dalla  locazione, 
mentre  di  solito,  giusta  la  consuetudine  milanese,  questo  tratta- 
mento spettava  ai  livellari  meglio  che  ai  locatari  (4).  Però  basta  a 


(i)  Il  Darmstadter,  Das  Reichsgut  in  der  Lomhardei  und  Piemonte  Strassburg, 
Trùbner,  1896,  p.  309,  giunge  dallo  studio  di  52  corti  a  stabilire  per  un  tempo  poco 
discosto  da  quello  di  cui  parliamo  la  seguente  propozione  nelle  colture  :  la  segale 
rappresentava  il  40  per  cento  ;  il  frumento  il  22  per  cento  ;  il  miglio  il  14  ^'/g. 

(2)  Si  confronti  con  G.  Seregni,  La  popola:(tone  agricola  della  Lombardia 
nell'età  barbarica  già  citata.  S.  Michele  era  già  nel  1103  per  i  Casoratesi  data 
del  pagamento  del  canone  al  vescovo  di  Pavia  (cfr.  Robolini,  Notizie  apparte- 
nenti alla  storia  della  sua  patria^  voi.  Ili,  §  14). 

(3)  G.  Rosa,  Feudi  e  Comuni,  Brescia,  1876,  p.  215.         ,  (     v 

(4)  A.  Lattes,  op.  cit.,  cap.  IX,  §  41. 


354  VARIETÀ 

termine  del  contratto  del  1185  il  lasciar  passare  un  solo  termine 
per  trovarsi  in  mora,  laddove  tale  conseguenza  non  si  avvera  gene- 
ralmente a  danno  del  locatario  se  non  dopo  un  tempo  più  lungo. 
L*atto  si  chiude  colle  sottoscrizioni  dei  tre  de  Aliate,  anche  del 
Pietro  non  comparso  nella  conclusione  del  patto,  ciò  che  prova  an- 
cor una  volta  come  non  si  richiedesse  che  il  «  signum  manus  »  fosse 
autografo.  Del  resto  tali  «  signa  »  sono  costituiti,  nella  carta  dell'Ar- 
chivio Arese  come  in  tante  altre,  da  quelle  croci  aggraticciate  che 
tradiscono  senz'altro  la  mano  del  redattore.  L'assenza  della  sotto- 
scrizione di  Pietro  de  Bellano,  dal  quale  non  partì  la  rogazione, 
è  perfettamente  conforme  alla  norma  posta  in  sodo  dal  Paoli  (i) 
per  questo  tempo  e  per  le  carte  lombarde. 


IL 


Il  3  settembre  1261  nell'indizione  quinta,  in  giorno  di  sabato,  Rog- 
gero Streparave,  "  Servitor  comunitatis  Mediolani  „,  per  mandato  conso- 
lare, investì  del  possesso  di  beni  in  Castano  Alberto  Cane. 

L'atto  fu  rogato  in  Castano  da  un  notaio  locale. 

Fonte:  Pergam.  dell' Arch.  Arese,  regione  III,  casello  LXXXVIII, 
cartella  B.  La  carta  è  in  più  punti  deteriorata  e  di  difficile  lettura, 

(S.  T.)  anno  dominice  Incarnationis  millesimo  ducentesimo  sexa- 
gesimo  primo,  indictione  quinta,  die  sabati  tertio,  die  septembris  Ruge- 
rius  streparave  servitor  comunitatis  mediollani  ^stcj  ex  mandato  domini 
gaidardi  de  airexio  (?),  consulis  mediolani,  ut  prescriptum  ostendebat 
dedit  corporallem  {sic)  possessionem  et  tenutam  alberto  cani  de  loco 
noxate  omnium  honorum  martini  falcis  filli  quondam  anselmi,  falcis  de 
loco  castano.  Et  spetialiter  de  sedimine  uno  iacente  in  loco  castani  cum 
omnibus  eius  hedifitiis,  cui  est  a  mane  guiilelmi  ferarii,  a  meridie  he- 
redum  quondam  Jacobi  gate  a  meridie  (?)  infrascriptorum  heredum  et 
in  parte  heredum,  quondam  anselmi  zare  a  sero  heredum  illius  quon- 
dam anselmi  a  monte  via,  secundum  quod  continetur  in  carta...,  posses- 
sionis  sibi  cesse  per  ipsum  consulem,  et  firmatam  per  petrum  mala- 
strenam  et  albertum  mironum  sindicos  et  consules,  et  traditam  per 
mapheum  pichetum  notarium,  et  scriptam  per  oliverium  de  figania, 
notarium.  Ita  quod  ulterius  dictus  albertus  possessor  sit  et  omnium 
honorum  infrascripti  martini,  et  spetialiter  infrascripti  sedimìni  de ... . 
actum  in  ipso  sedimine. 

(i)  C.  Paoli,  Programma  scolastico  di  paleografia  latina  e  di  diplomatica^ 
Firenze,  1898,  voi.  III,  disp.  I,  p.  130. 


VARIETÀ  355 

Interfuerunt  testes  zanebellus  filius  quondam  ottobonis  parate,  et 
mutius  filius  quondam  obizonis  de  anrixio  et  martinus  filius  quondam 
alberti  pici,  omnes  de  loco  castano.  Ego  guidotus  filius  quondam  otto- 
belli  de  Jan ....  (?)  notarius  de  loco  castano,  tradidi  et  scripsi. 

I  beni  che  da  Martino  Falcio  del  fu  Anselmo  passarono  ad 
Alberto  Cane  e  dei  quali  il  console  concesse  il  possesso  al  detto 
Alberto,  a  tenore  della  carta  ora  presa  in  esame,  erano  situati  nel 
paese  di  Castano.  Il  Giulini  (i)  ed  il  Bombognini  (2)  ci  additano 
Castano  infeudato  nel  XII  secolo  al  conte  di  Biandrate  ed  al  prin- 
cipio del  XIV  air  arcivescovo  di  Milano.  Ma  non  trovo  ricordato 
chi  fosse  il  signore  feudale  della  terra  nel  1261,  anno  in  cui  fu 
redatto  il  nostro  documento.  In  ogni  modo  non  vi  è  traccia  in 
quest'  ultimo  di  riferimento  a  diritti  di  tale  natura. 

Poiché  i  fatti  dei  quali  la  nostra  carta  è  l'eco  si  svolgono  so- 
pratutto a  Castano  e  di  quella  terra  sono  molte  delle  persone  citate, 
non  mi  è  stato  purtroppo  possibile  di  rintracciare  veruna  notizia 
riguardante  parecchi  di  quei  castanesi.  Non  pochi  cittadini  di  Mi- 
lano compajono  però  nel  documento,  a  cominciare  da  quel  console 
Gaidardo  il  cui  cognome  mi  pare  si  possa  leggere  de  Airexio,  te- 
nuto anche  conto  della  sede  della  pergamena,  senza  permettere 
nondimeno  un'assoluta  certezza  nella  lettura.  Alberto  Cane,  l'inve- 
stito del  possesso  dal  decreto  consolare,  è  detto  di  Nosate,  Jterra 
della  Pieve  di  Dairago,  non  lungi  da  Castano. 

Ma  la  famiglia  dei  Cani  era,  a  quei  tempi,  fra  le  più  chiare 
di  Milano.  Il  Giulini,  sulle  traccie  delle  carte  Sormani,  parla  di  un 
Adamo  Cane  diacono  della  nostra  Metropolitana  morto  nel  1080(3). 
Dei  Cani  era  prima  del  1133  il  feudo  di  Arosio  venduto  in  tale 
anno  da  Pietro  Cane  al  Monastero  Maggiore  di  Milano  (4).  La  casa 
dei  Cane  in  Milano  stava  in  Porta  Comasina  ed  ebbe  una  melan- 
conica celebrità  quando  nel  1160  vi  si  appiccò  un  terribile  incendio 
che  devastò  gran  parte  della  città  (5). 

Nel  1266  Guifredotus  Canis  abitava  in  Parrocchia  di  San  Ste- 
fano ad    nuxiam  in    Porta  Nuova  (6).  Un    documento    del    1280    è 


(i)  Memorie  spettanti^  ecc.,  libri  XLIV  e  LX. 

(2)  A  Francesco  Maria  Bombognini  rimonta,  secondo  Dozio,  Noti:(ie  di  Vi- 
mercate  e  sua  pieve,  p.'  130^  la  paternità  del  libro  Antiquario  della  diocesi  di  Mi- 
lano (Veladini,  1790). 

(3)  Giulini,  op.  cit.,  lìb.  XXVI. 

(4)  G.  Seregni,  Del  luogo  di  Arosio^  tcc.^  §1. 

(5)  GiuLTNi,  op.  cit.,  lib.  XLI. 

(6)  A.  Ratti,  op.  cit,  p.  220. 


35^  VARIETÀ 

rogato  per  cura  di  due  notai,  membri  entrambi  della  cospicua  fa- 
miglia, alla  quale  apparteneva  l'Alberto  che  aveva  dei  beni  in  Ca- 
stano ed  in  Nosate.  L' uno  di  questi  notai  è  detto  regio  ed  è 
Guidotus,  r  altro,  sottoscritto  come  secondo  nel  documento,  Reso- 
natus  (i).  11  nome  dei  Cani  figura  infine  nella  celebre  matricola  degli 
ordinari. 

Quanto  a  quel  Ruggero  Streparava  che  è  detto  nella  nostra 
carta  funzionario  comunale,  «  servitor  comunitatis  »,  il  suo  cognome 
è  probabilmente  lo  stesso  di  quello  del  «  Marchixius  Screparave 
«  filius  quondam  Alberti  Portae  Ticinensis  »,che  è  testimonio  alla 
conclusione  di  una  lega  fra  il  comune  di  Milano  e  quello  di  Vige- 
vano nel  1277,  secondo  narra  il  Colombo  (2).  Questi  servitori  del 
comune,  giusta  V  antica  consuetudine,  erano  sovente  membri  d' il- 
lustri famiglie,  come  ben  rileva  il  Giulini  nel  lib.  XXXVI  delle 
Memorie. 

Uno  dei  vicini  di  Alberto  Cane  nel  suo  nuovo  possesso  di 
Castano  era  Guglielmo  Ferrano.  Questi  potrebbe  essere  benissimo, 
come  il  Cane,  proprietario  in  Castano  e  milanese.  Senza  parlare 
dei  parecchi  chiari  cittadini  di  tal  nome  che  in  quei  tempi  sono 
ricordati  in  atti  monzesi  e  che  sembrano  aver  piuttosto  appartenuto 
a  quella  cittadinanza  che  alla  nostra  (3),  troviamo  un  Petrus  Fe- 
rarius  che  nel  1262  il  primo  di  maggio,  neppur  un  anno  dalla  data 
-del  nostro  documento,  aderiva  allo  statuto  della  Braida  di  Monte 
Volpe  neir  antico  nostro  suburbio  (4).  E  nell'elenco  più  volte  ci- 
tato, pubblicato  dal  Ratti,  vedo  sottoscritti  otto  cittadini  di  tal 
cognome  abitanti  tutti  in  Porta  Romana,  Boninus,  Mutius  e  Pe- 
trazollus  Ferrarius  della  Parrocchia  di  S.  Maria  Beltrade,  Johannes 
e  Guiscardus  di  San  Calimero,  Fatius  di  San  Giovanni  in  Conca, 
Gasparinus  e  Petrus  di  San  Vittore  in  Porta  Romana. 

11  titolo  del  possesso  al  quale  accenna  il  documento  rogato  in 
Castano  sembra  essere  stato  costituito  da  un  atto  di  consoli  mila- 
nesi. Si  fanno  i  nomi,  accanto  al  sopra  citato  Gaidardo,  di  Pietro 
Malastrena  e  di   Alberto  Mirone,  «  sindici  et  consules  ".   Or  sono 


(i)  L.  Osio,  Documenti  diplomatici,   voi.  I,  n.  XXIV,  Milano,  Bernardoni, 
1864. 

(2)  A.  Colombo,  Di  una  alleanza  tra  Milano  e  Vigevano  nel  12^]^,  in  questo 
Archivio,  XXVIII,  1901,  11,  p.  380. 

(3)  V.  A.  F.  Frisi,  Memorie  storiche  di  Mon^a  e  sua  corte,   to.  II,   numeri 
LXXXI-CLVI-CLXXVIII  del  cod.  diplomatico  monzese. 

(4)  V.  G.  Discaro,   La   compagnia  della  Braida,   ecc.,   in   quest'  Archivio, 
XXIX,  1902,  T,  p.  26  sgg. 


VA^^ET^  357 

queste  due  note  famiglie  milanesi.  Faxollus  Mironus  fu  ambascia- 
tore di  Milano  a  Como  nel  1259  (i).  I  Malastrena  poi  furono  una 
vetusta  famiglia  di  valvassori,  secondo  V  esplicita  affermazione  di 
un  documento  deU'  archivio  della  Cattedrale  di  Bergamo  che  ri- 
guarda il  1130.  Un  Malastrena  era  in  tale  anno  console  di  Milano, 
ma  già  nel  11 17  lo  era  stato  Ariprando  Malastrena  (2).  Ed  il  nome 
di  quei  valvassori  ricorre  molto  spesso  nelle  antiche  carte,  sovra- 
tutto  in  quelle  della  prima  metà  del  sec.  XII,  si  che  questo  docu- 
mento del  XIII  secolo  è  un'interessante  testimonianza  del  fiorire 
della  nobile  famiglia  in  un'epoca  alquanto  più  tarda. 

L'atto  rogato  in  Castano  da  Guidotto  notaio  riguarda  la  giuri- 
sdizione dei  consoli  della  repubblica.  Non  è  ben  noto  quali  fossero 
nella  seconda  metà  del  sec.  XIII  i  limiti  della  competenza  rispet- 
tiva del  podestà,  dei  consoli  della  repubblica  e  di  quelli  di  giu- 
stizia. Dal  documento  preso  in  esame  risulterebbe  che  procedimenti 
esecutivi,  quali  sembrano  l'immissione  in  possesso  per  ministero 
<ii  una  sorta  di  usciere  (il  servitore  del  comune)  in  base  a  pre- 
scriptum consolare  ed  il  titolo  del  possesso,  «  carta  cessa  per  ipsum 
«  consulem  w,  spettavano  tuttora  per  le  cause  civili  al  console 
della  repubblica.  Invero  una  serie  di  provvedimenti  successivi  presi 
tutti  dall'  autorità  consolare,  a  richiesta  dell'Alberto  Cane,  appare 
l'antecedente  giuridico  dell'eifettivo  passaggio  dei  beni  del  Martino 
Falcio,  verosimilmente  convenuto  in  una  causa  civile,  nelle  mani 
dell'attore.  E  sono  nel  nostro  caso:  la  «  carta  possessionis  •>•)  data  da 
consoli  con  intervento  di  notai;  il  «  prescriptum  »  del  console  ed  in- 
fine r  immissione  nel  possesso  materiale  operata  dal  «  servitor  co- 
u  munitatis  mediolani  n  per  mandato  del  console.  Si  vede  bene  che 
anche  nel  territorio  di  Castano  il  potere  giudiziario  dei  consol 
milanesi  si  svolgeva  liberamente  sino  alle  ultime  sue  conseguenze 
Nel  nostro  atto,  sebbene  datato  da  Castano  e  non  ostante  il  domi 
cilio  laggiù  radicato  del  convenuto,  i  magistrati  locali  non  com 
paiono.  Forse  ricorre  il  caso  di  quei  consoli  rurali  che  potevano 
giudicare  fino  alla  somma  di  venti  soldi  (3);  giacché  con  ogni  ve- 
rosimiglianza il  valore  dei  beni  trasmessi  ad  Alberto  Cane  doveva 
essere  rilevante.  L' atto  accenna  in  modo  speciale  ad  una  parte 
della  tenuta,  a  quell'area  «  sedimen  »  di  cui  sono  indicate  le  coerenze 
€  ricordati  gli  hedifitii.  Forse  era  il  nucleo  principale  dei  beni  già 


(i)  I.  Ghiron,  La  creden^^a  dì  S.  Ambrogio,  in  quesVArchivio,  IV,    p.  ili. 

(2)  GiuLiNi,  op.  cit.,  lìb.  XXXI. 

(3)  Ibid.,  op.  cit.,  lib.  XLIX. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase  VI,  23 


358  VARIETÀ 

di  Martino  Falcio;  forse  era  l'oggetto  di    una  contestazione    parti- 
colare. 

È  questo  un  punto  che  rimane  non  definito  con  certezza,  come 
pure  parecchi  uomini  di  Castano  intervenuti  nella  definizione  della 
contesa  sono,  almeno  per  me,  degli  ignoti.  Nondimeno  il  docu- 
mento rogato  dal  notaio  Guidotto,  appunto  uno  di  codesti  scono- 
sciuti, getta  luce  sulle  forme  e  sui  limiti  della  giurisdizione  con- 
solare. 

Giuseppe  Gallavresi. 


VARIETÀ  359 


Le  ville  del  Petrarca  nel  Milanese. 


• 

'occasione  di  queste  note  mi  fu  data  dal  lavoro  del  si- 
gnor Ambrogio  Annoni  //  Petrarca  in  villa,  comparso 
nella  raccolta  F.  Petrarca  e  la  Lombardia,  edita  per  cura 
della  benemerita  nostra  Società  Storica.  In  quel  prege- 
vole studio  l'Annoni,  confortando  con  indizi  nuovi  i  vecchi  argo- 
menti del  Bellani,  rivendica  pienamente  a  Garegnano  Milanese 
(presso  la  celebre  Certosa)  l'onore  che  ingiustamente  gli  vorrebbe 
rapire  la  cascina  Interno  (fuori  di  porta  Magenta)  d'avere  ospitato 
nei  mesi  estivi  il  Petrarca,  quand'era  a  Milano.  Tuttavia  mi  sembra 
che  alcune  conclusioni  dell'egregio  autore  debbano  essere  rettificate 
e  alcune  altre  osservazioni  aggiunte,  se  vogliamo  formarci  un  più 
adequato  e  giusto  concetto  della  villeggiatura  petrarchesca  nel  Mi- 
lanese: rettificazioni  e  osservazioni  che  spero  incontreranno  il  fa- 
vore degli  studiosi  di  tale  interessante  argomento. 

I. 

Un  pregiudizio  assai  diffuso  e  che  molto  facilmente,  quasi 
senza  che  lo  si  avverta,  finisce  per  annidarsi  nella  mente  di  chi 
studia  il  Petrarca  in  villa  nel  Milanese,  è  che  il  Petrarca  vi  pos- 
sedesse una  fissa  e  sua  propria  villeggiatura;  quindi  è  che  finora 
vediamo  gli  studiosi  limitarsi  nelle  ricerche  loro  ad  una  sola  e 
determinata  località:  per  gli  uni  il  Petrarca  in  villa  è  alla  cascina 
Interno,  per  gli  altri  il  Petrarca  in  villa  è  a  Garegnano.  Ma  niente 
di  più  pernicioso  d'un  t^le  pregiudizio;  onde  sarebbe  stato  oppor- 
tuno assai  che  l'Annoni  avesse  premesso  al  suo  studio  l'avvertenza 
che  il  Petrarca  non  possedette  mai  né  una  casa  in  Milano  né  una 
villa  nel  Milanese,  bensì  soltanto  come  temporaneo  ospite  abitò. 
Se  infatti  sua  deve  dirsi  la  casa  di  Valchiusa  e  di  Parma,  suoi  i 
beni  di  Padova  e  di  Arquà,  delle  quali  proprietà  appunto  fa  men- 
zione il  Poeta  e  liberamente  dispone  nel  suo  testamento  del  1370  (i); 
nulla  di  tutto  ciò  abbiamo  durante  il  quasi  decennale  suo  soggiorno 
a  Milano.    Qui  non    investiture  di  benefici    canonicali  o  prebende; 

(i)  Testamentum,  in  Epist.  d$  reb.  familiar., ediz.  Fracassetti,  to.  Ili,  p.  5 37  sg^. 


360  VARIETÀ 

qui  non  donazioni  di  signori;  non  compere  personali  di  case  o 
poderi.  A  Milano  il  Petrarca  non  fu  che  l'ospite  dei  Visconti  e, 
non  che  pensare  a  procacciarvisi  stabile  dimora,  egli  sempre  vi  si 
considerò  come  di  passaggio  e  giudicò  provvisorio  il  suo  abitare 
fra  noi  (i);  quindi  è  che  nel  1353  Giovanni  Visconti,  al  suo  rifiuto 
di  alloggiare  in  corte,  gli  procura  ospitalità  presso  i  monaci  di 
Sant'Ambrogio  in  una  casetta  adiacente  al  convento  (2);  e  nel  1359, 
divenutagli  incomoda  quell'abitazione,  il  Petrarca  prende  ospita- 
lità nel  convento  dei  benedettini  di  San  Simpliciano  fuor  dalle 
mura,  donde  per  breve  tempo  sul  finire  del  1360  ritorna  a  San- 
t'Ambrogio, per  quindi  ridursi,  negli  ultimi  mesi  di  suo  soggiorno 
in  Milano,  in  un'  ignota  casetta  più  vicina  al  centro  della  città.  Né 
più  che  ospite  altrui  soggiornò  in  quel  tempo  il  Petrarca  nella 
campagna  milanese.  Nel  1353  egli  passò  parte  dell'ottobre  nel  ca- 
stello visconteo  di  San  Colombano:  nel  novembre  di  quello  stesso 
anno  lo  troviamo  in  quello  di  Monza  (3).  In  seguito  però,  per  al- 
quanti autunni,  le  sempre  crescenti  brighe  che  provenivangli  dalla 
corte,  lo  tennero  occupato  (così  almeno  ci  è  dato  di  rilevare  dalle 
sue  lettere)  (4)  o  in  città,  o  fuori  aJGfatto  del  Milanese  in  viaggi 
d'ambasceria;  finche  nell'agosto  del  1357,  infiacchitagli  da  ostinate 
febbri  la  cagionevole  salute  (5),  desideroso  di  ridarsi  alla  quiete 
dei  suoi  studi  nella  campestre  solitudine,  si  ritirò  presso  i  monaci 
della  certosa  di  Garegnano,  dove,  non  credendo  conveniente  di 
soggiornare  nel  convento  stesso,  abitò  un  casino  adiacente  a  quella 
celebre  badia.  E  qui  passò  dilettevolmente  anche  il  settembre  di 
quell'anno  1357  (6). 

Questa  villa  di  Garegnano,  certo  non  sua,  non  può  neppure 
dirsi  la  villa  petrarchesca  «  per  eccellenza  »i.  Non  v'ha  dubbio  che 
a  crearle  tanta  rinomanza  valse  assai  la  particolareggiata  e  poetica 
descrizione  che  il  Petrarca  ci  ha  lasciato,  a  preferenza  di  altri 
luoghi  da  lui  visitati  ed  abitati,  dei  quali  neppure  il  nome  ci  volle 


(i)  Ciò  risulta  da  numerosi  passi  dell'epistolario,  p.  es.,  Famil,  XVI,  11; 
XIX,  16;   Varie,  25,  35  ;  Senili,  1,  2,  ecc. 

(2)  La  prossimità  della  casetta  alla  basilica  ;  l' intervenir  in  coro  per  la  re- 
cita delle  ore  canoniche  ;  l'abitare  talvolta  camere  dello  stesso  convento  (cfr.  Fa- 
mil, XVI,  12  ;  XIX,  6)  ce  ne  persuadono. 

(3)  Famil,  XVII,  5  e  XVII,  i. 

(4)  Cfr.  Famil,  XVII,  10  ;  XIX,  i  ;  12  e  14  j  Varie,  6  ;  Senili,  III,  i  e 
XVII,  2. 

(5)  Varie,  22. 

(6)  Famil,  XVI,  12  e  XIX,  6. 


VARIETÀ  361 

ricordare  nelle  sue  lettere;  come  anche  non  piccola  parte  vi  ebbe 
la  tradizione  umanistica  del  «  Linterno  »  petrarchesco,  tradizione 
che  oggi  incontra  fieri  e  valenti  oppositori,  tra  cui  lo  stesso  An- 
noni.  Ma,  se  noi  consultiamo  V  abbondante  suo  epistolario  (quasi 
unica  fonte  per  questo  periodo  di  vita  milanese  del  Petrarca),  do- 
vremo convenire  che  anche  questa  località  di  Garegnano  non  fu 
per  lui  che  di  ben  temporanea  e  provvisoria  dimora,  non  avendosi 
più  altra  testimonianza,  che  ci  provi  d'avervi  egli  soggiornato  più 
o  meno  a  lungo  oltre  l'agosto  e  il  settembre  del  1357,  se  pur  non 
voghamo  identificare  con  Garegnano  quell'  «  in  mediolanensi  rure  », 
dove  dieci  anni  appresso,  nel  1367,  riceveva  reduce  di  Francia 
l'amico  Stefano  Colonna,  prevosto  di  Saint-Omer  (i).  Invece  le  let- 
tere del  Petrarca  accennano  ad  altri  luoghi  dove  egli  usò  villeg- 
giare dopo  il  1357:  così  che,  più  che  non  la  ricerca  della  imma- 
ginaria «  villa  del  Petrarca  »,  interessa  conoscere  le  villereccie 
località,  in  cui  egli  recossi  nelle  estive  ed  autunnali  stagioni  da  lui 
trascorse  sul  Milanese. 

Ed  ecco  appunto  una  di  queste  località  non  lungi  dalle  sponde 
dell'Adda.  Verso  la  fine  del  suo  lavoro  l'Annoni,  avvertendo  di 
toccare  una  questione  sfuggita  alle  indagini  dei  più,  esamina  il 
passo  d'  una  lettera  a  Neri  Morando,  che  dice  ;  «  ruri  habito  haud 
«  procul  Abduae  amnis  ripa  »  (2);  e  comincia  dal  notare  che  questa 
lettera  petrarchesca  «  per  ragioni  di  analogie  e  di  raffronti  si  rife- 
«  risce  all'autunno  del  1358,  stagione  dal  Petrarca  passata,  come  è 
«  noto,  nella  sua  villa  presso  Milano  ».  Ora  osservo  che  è  tutt'al- 
tro  che  noto  aver  passato  l' autunno  del  1358  il  Petrarca  nella 
campagna  presso  Milano.  Da  che  lo  desume  l'Annoni?  Non  certa- 
mente dalle  lettere  del  Petrarca,  delle  quali  poche  sono  quelle  che 
con  sicurezza  si  possono  assegnare  all'anno  1358  e  tutte  poi  recano 
l'indicazione  «  Mediolani  »,  e  nessun  indizio  d'essere  state  scritte 
in  villa:  né,  ch'io  mi  sappia,  altro  documento  sta  a  suff"ragare  sif- 
fatta ipotesi.  Inesatto  è  anche  il  dire  u  nella  sua  villa  »,  quasi  che 
una  villa  possedesse  il  Petrarca,  0  vi  fosse  una  villa  che  per  ec- 
cellenza si  potesse  chiamare  petrarchesca.  Ma  più  grave  inesattezza 
è  l'avere  attribuito  al  1358  (come  erroneamente  asserisce  anche  il 
Fracassetti  nella  sua  Cronologia  comparata)  la  lettera  al  Morando. 
Ragioni  appunto  di  analogie  e  di  raffronti  ci  obbligano  invece  ad 
assegnare  a  questa  lettera  l'anno  1359. 


(i)  Senili,  IX,  2. 
(2)  Famil,  XXI,  io. 


362  VARIETÀ 

Già  la  stessa  sua  collocazione  nei  codici  tra  un  gruppo  di 
numerose  lettere  che  evidentemente  appartengono  al  1359  doveva 
rendere  sospetta  assai  la  data  1358.  Così  la  lettera  che  imme- 
diatamente la  precede,  affermando  che  «  iam  mihi  septimus  sin  e 
«  te  in  hac  regia  urbe  annus  agitur  »,  essendo  il  Petrarca  ve- 
nuto da  Avignone  a  Milano  nel  1353 ,  mostra  di  essere  stata 
scritta  nel  1359  :  tra  quelle  che  seguono,  la  XIV  reca  il  mede- 
simo riferimento  cronologico,  «  ubi  mihi  iam,  septimus  annus 
«  agebatur  ».  Ma  più  diretto  argomento  possiamo  ricavare  in  pro- 
posito dal  contenuto  stesso  della  lettera  in  questione.  Infatti  in 
essa  il  Petrarca  informa  1'  amico  Morando  che  un  grosso  volume 
d'  opere  ciceroniane  cadendogli  ripetutamente  addosso  avevagli 
gravemente  offesa  la  gamba  sinistra  (i):  ora  questa  medesima  av- 
ventura è  da  lui  ricordata  in  altra  lettera  scritta  al  Boccaccio 
nel  1360  (2),  ed  egli  gliene  parla  come  di  cosa  successagli  l'anno 
antecedente:  «  parum  deerat  anni  circulo,  »  etc.  Bisogna  quindi 
conchiudere  che  la  lettera  al  Morando  sia  stata  scritta  nel  1359 
e  che  perciò  ai  15  di  ottobre  di  quell'anno  «  idibus  octobris  nocte 
«  media  »,  egli  si  trovava  a  villeggiare  «  haud  procul  Abduae 
u  amnis  ripa  ». 

Ma  qui  TAnnoni,  troppo  preoccupato  della  località  di  Gare- 
gnano,  s'allontana  ancora  più  dal  vero.  Confrontando  egli  infatti 
questo  passo,  come  ci  è  dato  comunemente  dalle  stampe  e  quale 
invece  trovasi  trascrìtto  nei  codici  più  autorevoli ,  ne  deduce 
essere  affatto  arbitraria  ed  infondata  quella  vulgata  lezione  di 
«  Abduae  »,  sostituita  a  quella  di  «  ardue  »  dei  codici:  ma  siccome 
letto  così  il  passo  diventa  inintelligibile,  così  egli  finisce  per  'ri- 
pudiare anche  la  lezione  dei  codici  per  tener  buona  la  lezione  che 
unica  ci  porge  l'edizione  lionese  del  1601,  nella  quale  «  ardue  », 
diventato  aggettivo,  concorda  non  con  «  amnis  »  ma  con  «  ripa  »  ; 
e  legge:  «  ruri  habito  haud  procul  ab  ardua  amnis  ripa  ».  Quindi 
alterando  il  naturale  significato  di  «  amnis  »  fino  ad  applicarlo^ 
non  che  all'  Olona,  ad  uno  qualunque  dei  numerosi  canali  o  fos- 
sati che  nella  campagna  di  Garegnano  solcano  in  mille  guisa  e  tra 


(i)  Da  questa  lettera  appunto  apprendiamo  essere  la  gamba  sinistra  quella 
che  già  altra  volta  (certamente  nel  1344)  gli  era  stata  offesa. 

(2)  Varie,  25.  Che  questa  lettera  sia  del  1360  è  provato:  i.°  dall'accenno 
alla  visita  del  Boccaccio  a  Milano  a  anno  altero  »,  cioè  del  1359;  2°  dal  dirsi 
passati  trent'anni  dalla  gita  a  Lombez  con  Giacomo  Colonna,  che  fu  del  1330 
(cfr.  Fami!.,  l,  5)  ;  5.°  dal  riferimento  alla  morte  del  Colonna  come  avvenuta 
19  anni  prima,  e  fu  nel  1341  (cfr.  FatniL,  IV,  12). 


VARIETÀ  363 

alte  rive  il  terreno,  spiega  il  «  ruri  »  (dove  il  Petrarca  scriveva 
al  Morando  di  abitare)  per  la  villa  di  Garegnano.  Certamente 
se  l'Annoni  avesse  avuto  in  tempo  notizia  della  constatazione  del 
dott.  Sabbadini  (comparsa  invece  assai  più  tardi  nel  Giornale 
storico  della  leti,  ital.,.wo\.  XLV,  p.  168)  dell'uso  di  Ardua  invece  di 
Abdua  in  una  delle  postille  autografe  del  celebre  Virgilius  Pe- 
trarcae  dell'Ambrosiana,  egli  avrebbe  risparmiato  tante  fatiche  nel- 
r  interpretazione  di  quel  passo  della  lettera  al  Morando,  e  si  sa- 
rebbe persuaso  essere  più  che  legittima  la  vulgata  lezione  ripudiata 
e  perciò  trattarsi  veramente  d'una  località  presso  l'Adda;  tanto  più 
che  questa  medesima  locuzione  «  haud  procul  Abduae  amnis  ripa  » 
con  leggiera  variazione  ricorre  in  altra  lettera  scritta  di  quei  giorni 
medesimi  al  Boccaccio  e  per  la  quale,  con  opportuni  raffronti, 
resta  affatto  esclusa  la  località  di  Garegnano.  Scriveva  infatti  al  Boc- 
caccio (i):  «  Novissime....  circa  kalendas  octobris....  Abduae  amnis 
«  ad  ripam  veni.  His  enim  locis  hoc  tempore  solitudo  mea  est  ». 
Ma  determiniamo  anzi  tutto  1'  anno  di  questa  lettera.  Il  Boc- 
caccio aveva  visitato  il  Petrarca  a  Milano  sul  principio  del  1359 
e  il  Petrarca  ricorda  nella  lettera  la  partenza  di  lui  come  affatto 
recente:  «  statim  te  digresso  (incomincia  appunto  la  lettera)  etsi 
«  abitu  tuo  angerer,  »  etc;  e  poiché  egli  narra  che  impedito  dai 
casi  di  guerra  che  affliggevano  i  dintorni  di  Milano,  dovette  sospen- 
dere la  sua  villeggiatura  dal  luglio  alla  fine  di  settembre,  e  che 
ora  da  otto  giorni  trovasi  in  villa  ed  è  «  Abduae  amnis  ad  ripam  »  ; 
così  diremo  scritta  la  lettera  nel  1359  e  perciò  scritta  di  quei  giorni 
stessi  in  cui  scriveva  al  Morando  la  lettera  più  sopra  esaminata. 
Ora  si  osservi  come  il  Petrarca  faccia  notare  all'  amico  Boccaccio 
la  «  novità  »  del  suo  villereccio  soggiorno:  «  his  enim  locis  hoc 
«  tempore  solitudo  mea  est  »  ;  indicazione  che  non  avrebbe  alcuna 
ragione  di  essere  se  ancora  si  trattasse  della  località  di  Garegnano, 
sua  pretesa  ordinaria  villeggiatura  e  della  quale  più  che  informato 
già  sarebbe  stato  il  Boccaccio  nei  lunghi  ed  affettuosi  colloqui  avuti 
col  Petrarca  durante  la  sua  permanenza  nella  casa  di  lui  a  Milano. 
Dalle  rive  dell'Adda  dunque,  dove  da  otto  giorni  trovavasi  («  hic 
«  vero  iam  mihi  dies  octavus  agitur  »),  scriveva  ai  primi  di  ottobre 
di  quel  1359  al  Boccaccio;  e  ai  15  di  quello  stesso  mese  («  idibus 
«  octobris  nocte  media  >»)  al  Morando,  al  quale  inviava  ben  tosto 
una  seconda  lettera  «  scripta  rurali  calamo  idibus  octobris  ante 
«  lucem  »  (ossia  poche  ore  dopo  quella  prima  lettera),  sulla  quale 


(i)  Famil,  XXII,  2. 


364  V-ÀlliÈfÀ 

mi  piace  di  fermare  Tattenziotie  del  lettore.  Quésta  seconda  lettera 
al  Morando  non  è  che  una  continuazióne  della  precedente:  «  lam 
«  satis  (incomincia  infatti)  rerum  mearum  minutias  legisti:  satis 
u  Ciceroniani  vulneris  processit  historia  »  (i):  ora  in  essa  ap- 
punto possiamo  trovare  i  più  iiidiscutibili  argomenti  della  loca- 
lità abitata  dal  Petrarca  sulle  rive  dell'Adda  nell'autunno  del  1359. 
Scrive  il  Petrarca  che  dalla  sua  villa  ha  continuamente  sott'occhio 
là  veduta  di  Bergamo  («  est  hic  semper  in  oculis  Pergamum  Italiae 
a  alpina  urbs  »),  e  narra  uria  gita  fattavi  agli  11  di  ottobre  per 
accontentare  uri  suo  entusiàstico  ammiratore,  Enrico  Capra:  e  ri- 
corda appunto  la  prossimità  della  sua  villa,  il  breve  e  facile  per- 
corso (e  sì  eh'  era  recente  dalla  ferita  alla  gamba)  sì  da  non  ac- 
corgersi quasi  del  cammino:  «  hoc  éius  desiderium  non  absque 
«  difficultate  aliquot  iam  per  annos  tràxeram.  Nunc  tandem  et  vici- 
u  nitate  loci. ..  veni  ergo  Pergamum. ..  planutn  iter  et  breve  non 
«  sentientes  egimus....  Die  proximo....  abii  et  sub  noctem  ipse  rus 
«  redii  ».  Qualunque  brutta  sorpresa  ancor  ci  possano  apparec- 
chiare le  quasi  sempre  scorrette  lezioni  dei  codici,  questa  di  certo 
oramai  non  ci  potranno  fare  d' inchiudere  nel  panorama  di  Gare- 
gnano  Milanese  (per  quanto  «  àmoenissimum  diversorium  »  e  «  in 
M  planitie  elevatum  »  lo  dica  il  Petrarca)  anche  la  veduta  della  città 
di  Bergamo,   né  di  tarito  raccorciarne  la  strada  che   vi  conduce. 

Dalla  fine  dunque  del  settembre  alla  metà  di  ottobre  del  1359 
il  Petrarca  era  in  villeggiatura  sulle  rive  dell'Adda. 

Io  non  so  se  in  qualche  più  riposto  documento  d'archivio, 
sinora  sfuggito  alle  nostre  ricerche,  conservi  ancora  Bergamo  me- 
moria della  preziosa  visita  fattale  dal  Poeta  e  delle  solenni  acco- 
glienze che  il  Petrarca  non  dimenticò  di  ricordare  in  quella  sua 
lettera.  Questo  soltanto  io  so  che  ogni  ricerca  da  me  fatta  per 
stabilire  la  precisa  località  abitata  da  lui  in  quell'  autunno  riuscì 
vana:  tutto  sta  a  vedere  di  chi  allora  fu  ospite  il  Petrarca.  Se 
dell'arcivescovo  di  Milano,  vanterebbero  allora  diritto  i  luoghi  del- 
l' una  e  1'  altra  riva  dell'Adda  da  Brivió  a  Cavenago  e  la  villa  d  i 
Groppello,  che  èrano  sotto  l'immediata  di  lui  giurisdizione.  Se 
ospite  dei  Visconti,  potrebbe  essere  alcuno  dei  loro  castelli,  come 
Trezzo,  Cassano  o  Vaprio:  se  del  moriaàtero  di  Sant'Ambrogio 
del  quale  il  Petrarca  era  ospite  in  città,  sappiamo  che  Inzago  ad 
esso  apparteneva:  a  Tré  viglio  aveva  bérti  e  case  quel  ìrionastero 
benedettino  di  San  Siriipliciano  fuor  delle  mura,  riel  quale  appunto 
un  mese  appresso  trasferiva  il  Petrarca  da  Sant'Ambrogio  il   suo 

(i)  Pamil,  XXI,  II. 


VARIETÀ  365 

domicilio.  Dimorare  presso  case  di  religiosi  fu  sempre  preferenza 
del  Petrarca:  presso  i  cisterciensi  di  Sant'Ambrogio,  presso  i  be- 
nedettini di  San  Simpliciano,  presso  i  certosini  di  Garegnano,  presso 
i  vallombrosiani  di  Arquà.  Ma,  come  si  vede,  si  è  nel  campo  delle 
congetture,  dove,  almeno  per  ora,  è  impossibile  formulare  con  cer- 
tezza un'opinione:  il  che  però  non  toglie  che  oramai  più  non  si 
possa  dubitare  avere  il  Petrarca  villeggiato  in  qualche  località 
presso  le  rive  dell'Adda,  durante  il  tempo  di  suo  soggiorno  nel 
Milanese. 

II. 

Un  altro  passo  interessante  assai  per  la  questione  della  vil- 
leggiatura del  Petrarca  nel  Milanese  è  quello  che  ci  è  dato  da  una 
lettera  di  lui  al  Moggio,  scritta  da  Pavia  (i).  Su  di  questo  passo 
ha  insistito  anche  l'Annoni,  ma  solo  per  farsene  argomento  contro 
la  volgare  tradizione  del  «  Linterno  »  petrarchesco  e  senza  tentare 
alcuna  locale  identificazione,  a  meno  che  non  si  voglia  credere 
che  egli  identificasse  ancora  il  luogo  villereccio  indicato  dal  Pe- 
trarca col  rivendicato  Garegnano.  Ecco  le  parole  della  lettera,  quali 
l'Annoni  fece  riscontrare  direttamente  sull'autografo  della  Lauren- 
ziana  :  «  Aliquot  dies  si  dabitur  tranquillos  rure  acturus  cuius  ety- 
«  mologiam  tibi  committo.  ,Ego  quidem....  fernum  dicere  solco, 
u  paratus  tamen  in  hoc  te  ut  in  multis  sequi.  Utinam  vero  tibi 
«  possem  ostendere  Helicona  alterum  quem  tibi  et  Musis  Euganeo 
"  in  colle  congessi  ».  E  questo  il  passo  famoso,  dove  il  Fracassetti 
lesse  la  parola  «  Linternum  »,  ma  dove,  secondo  l'Annoni,  altro 
non  può  leggersi  che  un  frammentario  «  fernum  »,  che  molto  pro- 
babilmente, compiendo  le  lettere  corrose  da  una  sciagurata  piega- 
tura del  foglio,  è  a  leggersi  «  Infernum  »,  «  denominazione  più 
u  modesta  ma  vera  e  non  meno  suggestiva,  poiché  a  noi  sfugge 
«la  particolare  ragione  che  indusse  il  Poeta  a  chiamarla  così». 

Qual'era  la  località  a  cui  il  Petrarca  alludeva  con  quel  «  rure 
«  acturus  »  e  dove  invitava  l'amico  Moggio? 

Vediamo  però  prima  di  stabilire  l'anno,  in  cui  fu  scritta  la  lettera 
al  Moggio  con  la  data  «  Papiae  20  junii  ad  vesperam -raptim  :  »  e  mi 
sembra,  col  Fracassetti,  di  poter  ritenere  come  tale  l'anno  1360.  In- 
fatti quel  u  20  giugno  »  non  può  essere  del  1362  o  di  anno  posteriore 

(i)  Varie,  46.  Devo  al  signor  Annoni  se  qui  posso  correggere  una  errata 
interpretazione  del  a  Linterno  »  da  me  fatta  nel  mio  recente  opuscolo:  //  sog- 
giorno di  F.  P.  in  Milano,  Monza,  Artigianelli,  1904. 


366  VARIETÀ 

perchè  tra  il  giugno  e  l'ottobre  di  quell'anno  1362  morì  quell'Azze 
signore  di  Correggio  che  nella  lettera  è  nominato  come  vivo.  Nep- 
pure si  può  pensare  al  giugno  del  1361,  quando  la  peste  altamente 
infieriva  nel  Milanese  e  perciò  era  resa  impossibile  affatto  ogni 
speranza  di  lieta  e  tranquilla  villeggiatura  con  l'amico:  inoltre  di 
quei  giorni  il  Petrarca  aveva  forse  già  abbandonata  per  sempre  la 
sua  dimora  di  Milano.  D'altra  parte  Azzo  di  Correggio  inimicatosi 
coi  Visconti  nel  1354  non  si  riconciliò  con  loro  (per  mezzo  special- 
mente del  Petrarca)  che  dopo  il  1358,  e  nella  lettera  si  annuncia 
una  prossima  di  lui  visita  alla  corte  viscontea.  Pavia  poi,  donde  è 
scritta  la  lettera,  ribellatasi  ai  Visconti  nel  1356,  non  ritornò  in  loro 
soggezione  che  nel  novembre  del  1359.  Non  resta  pertanto  che  da 
assegnare  a  quel  «  20  junii  »  l'anno  1360.  Ora  nell'autunno  di  questo 
anno  1360  noi  non  possiamo  sapere  dove  avesse  villeggiato  il 
Poeta,  se  pure  con  tale  anno  non  cominciarono  le  sue  visite  al 
castello  di  Pavia,  dove  poi  periodicamente  fino  al  1369  venne  a 
passare  gran  parte  delle  estive  stagioni  presso  Galeazzo,  anche 
dopo  che  nel  i-^ói  lasciò  per  sempre  Milano.  Né  le  lettere  che  di 
lui  abbiamo,  le  quali  con  certezza  si  possono  assegnare  al  1360  (i), 
gettano  luce  in  proposito:  da  Milano  scriveva  il  25  giugno  al  car- 
dinale Talleyrand  («  Mediolani,  VII  kal.  julii  »)  e  il  9  agosto  al 
vescovo  di  Cavaillon  («  Mediolani  V  idus  augusti  w);  il  17  di  agosto 
pur  da  Milano  («  Mediolani  XVI  kalendas  septembris  »),  quantun- 
que la  lettera  rechi  nel  corpo  l' indicazione  «  in  extremo  civitatis 
u  olim  nunc  iuxta  civitatem  habito  «,  ossia  al  monastero  di  S.  Sim- 
pliciano «  extra  muros  »  ;  il  18  di  agosto  al  Boccaccio  («  Medio- 
«  lani  XV  kal.  septembris  w).  Più  incerta  è  il' indicazione  della 
lettera  ad -Omero  del  9  ottobre  «  apud  superos:  medio  amnium 
«  clarissimorum  Padi,  Ticini,  Abduae  aliorumque  unde  quidam  Me- 
«  diolanum  dici  volunt  VII  idus  octobris  anno  aetatis  ultimae  mil- 
«  lesimo  trecentesimo  sexagesimo  ».  Da  Milano  («  Mediolani  VII 
«  kalendas  novembris  »»)  scriveva  pure  il  26  ottobre  al  medico 
Albertino  da  Canobio,  al  quale  esprimeva  il  dolore  per  il  furto 
fattogli  dai  servi  che  a  mala  pena  rispettarongli  la  persona,  e  le 
tristi  condizioni  del  Milanese  minacciato  da  ogni  parte  dalla  peste. 
Per  tutto  ciò,  *  siccome  anche  la  progettata  visita  dell'amico  Moggio 
non  ebbe  poi  luogo,  non  sarei  lontano  dal  credere  che  il  Petrarca 
non  si  fosse  in  quell'anno  allontanato  da  Milano  se  non  per  recarsi 
sulla  fine  del  dice  mbre  a  Parigi,  legazione  dalla  quale  fu  di  ritorno 


(1;  Famil.,  XXII,  5,  6  e  12;  :XXIV,  12;  Varie,  25,  26. 


VARIETÀ  367 

nel  febbraio  del  1361.  Checché  però  ne  sia  di  ciò,  resta  pur  sempre 
a  ricercare  a  quale  campestre  ritiro  avesse  nel  giugno  invitato  il 
Moggio  e  perchè  lo  si  chiamasse  «  Infernum  ». 

Questo  nome  di  «  Infernum  »  può  tanto  significare  in  senso 
materiale  luogo  più  basso  in  confronto  di  altro  superiore,  quanto 
in  senso  metaforico  luogo  per  eccellenza  di  dolori  e  di  tormenti. 
Nel  primo  senso  numerose  sono  le  località  dell'agro  milanese  che 
hanno  siffatta  denominazione,  tra  cui  quella  stessa  «  cascina  Interno  » 
fuor  di  porta  Magenta,  che  nelle  antiche  mappe,  riscontrate  dal- 
l'Annoni,  è  chiamata  «  Inferno  »:  ma  in  tale  significato  è  affatto 
da  escludersi  Garegnano  «  in  planitie  elevatum  ».  Ora  si  osservi 
che  il  Petrarca  non  dice  che  «  Infernum  »  si  chiamasse  la  ville- 
reccia località  da  lui  accennata,  ma  che  con  tal  nome  egli  soleva 
denominarla,  «  ego  quidem....  dicere  solco  »:  cosa  che  fa  sorgere 
il  dubbio  se  sarà  buona  via,  per  sciogliere  la  questione,  il  ricer- 
care nella  toponomastica  antica  o  moderna  dell'agro  milanese  una 
località  il  cui  nome  sia  più  o  meno  assomigliante  a  «  Inferno  »  ; 
perchè  assai  facilmente,  o  tratterebbesi  di  fortuita  coincidenza,  o 
di  posteriore  adattamento  in  omaggio  alla  tradizione  petrarchesca. 
Ma  intanto  sorge  altresì  il  dubbio  che  la  voce  «  Infernum  »  usata 
dal  Petrarca  non  sia  a  prendersi  in  quel  primo  significato  materiale 
di  «  luogo  basso  »  :  dubbio  che  diventa  più  forte,  quando  si  rifletta 
che  in  caso  diverso  si  sarebbe  burlato  dell'amico  sottoponendo  al 
suo  acume  di  dotto  grammatico  un  significato  tanto  ovvio  e  na- 
turale: «  cuius  etymologiam  tibi  committo  »,  quasi  dicesse  d'indo- 
vinare perchè  mai  così  egli  solesse  chiamare  quella  villeggiatura. 
Dubbio  che  finisce  per  radicarsi  totalmente,  allora  che  leggiamo 
essere  egli  pronto  a  mutare  quel  soprannome,  quando  così  paresse 
all'amico,  «  paratus  tamen  in  hoc  te  ut  in  multis  sequi  »  ;  essendo 
che  ciò  che  naturalmente  è  in  basso,  piaccia  o  non  piaccia,  non 
potrà  mai  dirsi  diversamente  collocato.  Si  avverta  poi  alla  vicina 
contrapposizione  ad  «  Infernum  »  di  Helicona  («  utinam  vero  tibi 
u  possem  ostendere  Helicona  alterum,  »  etc.)  :  e  scrive  «  Helicona 
«  alterum  »,  con  la  quale  espressione  lascia  chiaramente  intendere 
che  il  luogo,  da  lui  pur  soprannominato  (per  sue  particolari  ra- 
gioni che  lascia  all'amico  da  indovinare,  «  ego  quidem....  dicere 
«  soleo....  cuius  etymologiam  tibi  committo  »)  Inferno,  è  non  meno 
in  realtà  Elicona,  di  quello  sui  colli  Euganei:  espressione  che  pie- 
namente si  rischiara  con  l'altra  da  lui  usata  scrivendo  pochi  mesi 
prima,  nel  1359,  all'  amico  Francesco  Nelli  d'  aver  nel  Milanese  a 
sua  disposizione  non  uno  ma  parecchi  «  eliconii  ritiri  »,  nella  cui 
rusticana   libertà  poteva  rifarsi   dai  disagi  della  vita   cortigiana  e 


368  VARIETÀ 

cittadina,  «  dum  procul  ab  hominum  turbis  sum  in  alterutro  Heli- 
«  cone  nostro  »  (i).  Per  tutte  queste  ragioni  mi  sembra  doversi 
ritenere  che  la  denominazione  «  Infernum  »  si  debba  prendere  in 
senso  metaforico  e  non  topografico,  e  che  ritragga  la  sua  origine 
da  casi  particolari  ivi  occorsi  al  Poeta,  i  quali  gliene  avessero 
funestata  la  memoria:  la  venuta  dell'ospite  amico,  da  lui  tanto 
desiderata,  avrebbe  finito  per  riabilitare,  dirò  così,  a' suoi  occhi 
quel  luogo,  imparadisandolo,  siccome  egli  stesso  scriveva  di  non 
dubitarne.  Se  è  così,  il  nostro  pensiero  non  può  a  meno  di  ricor- 
rere a  queir  ignota  località  sulle  amene  sponde  dell'Adda,  dove  il 
Petrarca  aveva  villeggiato  nell'  estremo  autunno  dell'  antecedente 
anno  1359.  Ben  si  poteva  da  lui  chiamare,  più  che  «  Elicona  w^ 
«  Inferno  »  quel  luogo  di  cui  ignoriamo  il  vero  nome.  Dapprima 
i  continui  rivolgimenti  guerreschi,  che,  come  gli  avevano  fatto 
differire  la  villeggiatura  dal  luglio  alla  fine  del  settembre,  non 
avranno  mancato  di  sturbarne  la  tranquillità:  poi  le  dirotte  e  con- 
tinue pioggie  che,  annunciando  un  inverno  anticipato,  gli  vennero 
a  guastare  quel  breve  soggiorno:  infine  la  ripetuta  caduta  del  vo- 
lume ciceroniano  che  avevagli  prodotta  quella  incresciosa  ferita 
alla  gamba,  della  quale  ancora  in  quell'anno  che  scriveva  al  Moggio, 
sentiva  le  dolorose  e  gravi  conseguenze.  Pareva  proprio  che  il 
fato  (oggi  forse  diremmo  la  iettatura)  avesse  preso  il  barbaro 
gusto  di  venirlo  a  perseguitare  in  quel  luogo  da  lui  scelto  per  sua 
quiete  e  felicità;  quel  fato,  nel  quale  confessa  di  essere  quasi 
costretto  a  credere  (2). 

Così  mi  parrebbe  potersi  spiegare  quella  misteriosa  e  sugge- 
stiva denominazione  di  «  Infernum  »  usata  dal  Petrarca  per  una 
delle  sue  villeggiature  nel  Milanese  e  di  avere,  in  base  ai  dati  del 
suo  epistolario,  indagato  la  particolare  ragione  che  indusse  il  Poeta 
a  chiamarlo  così.  O  forse  meglio  dirò  d'aver  così  tentato  una  pro- 
babile spiegazione  d'  un  passo  petrarchesco,  in  attesa  che  altri  su 
più  espliciti  documenti  ne  proponga  una  migliore. 

Con  tutto  ciò  son  ben  lontano  dal  voler  presumere  di  limitare 
ai  luoghi  qui  citati  (San  Colombano,  Monza,  Garegnano  e  le  rive 
dell'Adda)  le  località  abitate  dal  Poeta  nei  suoi  estivi  soggiorni 
sul  Milanese:  questi  sono  i  luoghi  ai  quali  egli  espressamente 
accenna  nel  suo  epistolario;  persuaso  che  e  più  numerosi  e  più 
svariati  siano  -stati  gli  ameni  villerecci  ritiri,  ai  quali  il  Poeta  chiese, 


it)  Family  XXI,  12. 
,(2)  I^id.,  XII,  2  e  J^ 


2  e  XXI,,  10. 


VARIETÀ  369 

ospite  desiderato,  più  o  meno  a  lungo,  tranquillità  e  ristoro  nel 
suo  soggiorno  fra  noi;  se  vere  dobbiamo  dire  le  parole  da  lui 
scritte  di  quel  tempo  all'amato  discepolo  Agapito  Colonna:  «  ego 
u  tamen  adhuc  Ambrosii  hospes  sum  et  in  extremo  civitatis  angulo, 
«  saepe  etiam  rure  abditus  quid  àgat  urbs  nescio  »  (i).  Una  cosa 
particolarmente  ci  importava  di  far  rilevare  che  cioè  il  «  Petrarca 
«  in  villa  »  non  è  soltanto  a  ricercarsi  a  Garegnano,  bensì  in  altre 
località  che  con  non  minor  fondamento  sono  a  dirsi  «  le  ville  del 

^^  Petrarca  nel  Milanese  ». 

Emilio  Galli. 

(i)  Fatnil,  XX,  8. 


370  VARIETÀ 


Elisabetta  Cristina  di  Wolfenbùttel  a  Brescia 

(1708). 


I. 


OLGENDO  ormai  le  sorti  della  guerra  favorevoli  alle  armi 
della  lega,  Carlo  III  re  di  Spagna,  col  qual  titolo  era 
chiamato  l'arciduca  d'Austria  che  fu  poi  imperatore,  fissò 
le  sue  nozze  con  la  principessa  Elisabetta  Cristina  di 
Wolfenbùttel,  la  quale  partì  quindi  da  Vienna  per  raggiungere  a 
Barcellona  il  regale  consorte.  E  dovendo  essa  passare  nel  suo 
viaggio  pel  territorio  della  repubblica  veneta,  il  Senato,  pur  non 
consentendo  a  considerarla  come  regina,  diede  ordine  al  Provve- 
ditore generale  Daniele  Dolfino,  perchè  fosse  ricevuta  e  trattata 
con  lo  sfarzo  conveniente  all'  alto  suo  grado  ed  al  decoro  della 
Serenissima. 

E  le  accoglienze  furono  davvero  fastose,  specialmente  a  Bre- 
scia dove  la  regal  donna  si  fermò  due  giorni.  Delle  feste  che  quivi 
si  fecero  ci  lasciarono  un  breve  ricordo  i  due  diaristi  Bianchi  e 
Cazzago  (i)  e  un  racconto  assai  particolareggiato  se  ne  trova  in 
un  manoscritto  inedito  della  Queriniana  (2).  L'  autore  è  anonimo, 
ma  appartenne  evidentemente  alla  nobiltà  bresciana  e  fu  testimonio 
oculare  delle  feste  che  descrisse  con  lo  stile  enfatico  e  tronfio  del 
suo  tempo,  senza  tuttavia  alterare  la  sostanza  dei  fatti,  come  ap- 
parisce confrontando  con  esso  il  racconto  dei  due  diaristi. 

Il  passaggio  di  una  sovrana  non  era  per  verità  una  cosa  nuova 
per  Brescia,  la  quale  poteva  vantarsi  di  avere  accolto  entro  le  mura 

(i)  BfANCHi,  Diario,  in  cod.  Querin.-Ducos,  45  t.,  p.  lOj  e  Cazzago,  Cro- 
naca .di  Brescia,  in  cod.  Querin.,  C.  I,  i,  p.  61. 

(2)  Cod.  Ducos,  94.  Il  titolo  è  il  seguente  :  ijo8  \  Elisabetta  Cristina  \  Prin- 
cipessa di  Wolfenbùttel  \  Destinata  sposa  a  |  Carlo  ter^o  \  Re  delle  Spagne  \  Nel 
suo  viaggio  da  \  Vienna  a  Barcellona  \  passa  ed  alloggia  sopra  lo  stato  veneto  \  nel 
Maggio  l'joS.  Il  ms.  cartaceo  è  una  copia.  Un  altro  esemplare  con  qualche  va- 
riante doveva  trovarsi,  come  dichiara  egli  stesso,  nelle  Miscellanee  dell'autore. 
Inoltre  una  copia  era  stata  preparata  per  il  signor  Antonio  Nani,  capitano  in  quel 
tempo  a  Brescia,  ma  non  gli  fu  consegnata. 


I 


VARIETÀ  371 

parecchie  volte  donne  di  sangue  regio,  dalla  regina  Caterina  Cor- 
naro  (i)  air  imperatrice  Maria  Teresa  (2);  ma  la  principessa  Cri- 
stina veniva  in  Brescia  quando  la  città  cominciava  appena  a  riaversi 
dai  gravi  danni  della  guerra  di  successione  subiti  più  per  opera 
dei  francesi  che  degli  spagnuoli  (3),  quando,  come  si  è  già  avver- 
tito, pareva  ormai  assicurato  il  trono  spagnuolo  a  Carlo  III,  onde 
si  comprende  come  popolo  e  nobiltà  corressero  tanto  più  volentieri 
incontro  alla  giovane  sposa,  gareggiando  col  senato  nello  sfarzo  e 
nella  pompa  del  ricevimento.  E  appunto  nella  descrizione  della 
fastosa  accoglienza  consiste  l'importanza  dello  scritto  del  nostro 
anonimo.  La  nobiltà  delle  piccole  città  trascinava  difatti  allora  la 
sua  vita  unicamente  nello  sfoggio  delle  avite  ricchezze  e  nelle  me- 
schine gare  di  precedenza  ;  e  poiché  per  la  misera  condizione  del 
popolo  la  vita  della  città  stessa  sembrava  confondersi  con  quella 
della  nobiltà  e  compendiarsi  in  essa,  così  crediamo  che  la  descri- 
zione di  queste  parate  giovi  non  solo  alla  storia  del  costume,  ma 
anche  a  quella  della  vita  cittadina.  Perciò  non  ci  sembra  inoppor- 
tuno riassumere  in  larga  parte  e  trascrivere  nei  suoi  passi  più 
notevoli  il  racconto  del  nostro  anonimo. 


II. 


La  regina  partì  da  Vienna  il  24  aprile,  affidata  dall'impera- 
tore al  duca  di  Lorena,  arcivescovo  d'Osnabrugg  e  vescovo  d'Ol- 
miitz,  figlio  del  duca  Carlo  V  di  Lorena,  cognato  dell'  imperatore, 
che  «  con  titolo  e  dignità  ed  autorità  di  assistente  ed  aio  doveva 
«  seguirla  fino  all'imbarco  e  poi  fino  a  Barcellona  ».  La  accompagna- 

(i)  La  regina  venne  a  Brescia  nel  1497,  ed  ebbe  accoglienze  solenni  che 
furono  descritte  da  Marin  Sanudo,  nei  suoi  Diarii.  Cfr.  anche  (\\iQsl^ Archivio, 
XV,  1888,  p.  52. 

(2)  Altre  principesse  vennero  a  Brescia  nel  secolo  XVII  :  Maria  Anna, 
quando  nel  1649  andò  sposa  di  Filippo  IV,  re  di  Spagna  (ved.  C.  Cantù,  la 
pompa  della  solenne  entrata  fatta  in  Milano,  in  (\\itsx'' Archivio^  XIV,  1887,  p.  346) 
e  fu  in  questa  circostanza,  che  avendo  i  Bresciani  offerto  alla  regina  delle  calze 
di  seta,  l' industria  della  quale  era  allora  fiorentissima,  si  sentirono  rispondere 
bruscamente  dal  duca  di  Maqueda,  maggiordomo  di  Maria  Anna,  che  le  regine 
di  Spagna  non  hanno  gambe.  Nel  1666  prese  alloggio  in  città  la  figlia  di  lei 
Maria  Teresa,  quando  da  Madrid  andò  a  Vienna  sposa  dell'imperatore  Leopoldo  I. 

(3)  Il  Cazzago  nella  Cronaca  citata  scrive  difitti  che  «  gli  Spagnuoli  furono 
«  sempre  onoratissimi  nei  loro  accampamenti,  pagavano  tutti  e  nel  verno  si  ri- 
«  tiravano  nel  Milanese  ».  Vedi  anche  Odo.^ici,  Storie  bresciane,  voi.  IX,  p.  314. 


372  VARIETÀ 

vano  pure  il  conte  di  Mollard,  cavallerizzo  maggiore  di  S.  M.,  il 
conte  di  Voltzia  (i)  cavaliere  delle  Camere  e  commissario  alle  prov- 
visioni, il  conte  di  Galles,  cavaliere  spagnuolo,  la  principessa  di 
Liechtenstein,  la  contessa  di  Otting,  maggiordoma  maggiore,  la 
contessa  di  Infeld,  dama  d'onore  con  un  suo  figliuolo,  la  principessa 
Carlina,  figlia  di  Liechtenstein,  e  la  seguiva  un  numeroso  corteo  di 
dame,  di  cavalieri,  di  servi,  nel  quale  si  notavano  il  confessore,  il 
medico,  il  chirurgo,  lo  speziale,  il  cuoco,  il  calzolaio,  la  lavandaia 
e  la  nana  di  conversazione,  addetti  specialmente  alla  persona  della 
regina  insieme  con  quelli  per  la  corte,  con  uno  sciame  di  camerieri, 
di  lacchè,  di  cocchieri,  tanto  da  superare  il  centinaio.  11  24  di 
maggio  il  corteo  giungeva  al  confine  veneto,  dove  trovavasi  pronto 
a  ricevere  l'augusta  signora  il  Provveditore  generale  di  terraferma 
Daniele  Dolfino,  il  quale  aveva  già  preso  tutte  le  disposizioni  per- 
chè il  ricevimento  fosse  degno  di  lei  e  della  Repubblica.  Volendo 
che  nel  suo  corteo  si  trovassero  notabili  veneti  e  bresciani,  aveva 
mandato  al  suo  confidente  Antonio  Preti  tante  lettere  di  invito 
senza  indirizzo  con  ordine  di  recapitarle  a  chi  credesse  meglio. 
Ma  il  Preti  nel  mandare  tali  lettere  soggiungeva  a  voce  che  «  si 
«  ricercavano  almeno  due  mute  d'  abiti,  uno  da  campagna,  1'  altro 
«  sontuoso  da  città;  quattro  servidori,  cioè  un  cameriere,  due  lac- 
«  che  ed  uno  stalliere;  tre  cavalli,  uno  per  il  cameriere,  l'altro  per 
u  il  padrone  (e  questo  riccamente  guarnito),  con  uno  a  mano  dello 
n  stalliere  e  questo  pure  a  cavallo;  tre  livree  da  città,  tre  da  cam- 
ii  pagna.  Niuno  accettò  l'invito;  chi  si  scusò  per  aff'ari,  chi  per 
«  esser  figliuolo  di  famiglia....,  alcuni  dissero  assolutamente  di  no  e 
«  due  soli  risposero:  se  gli  altri  tutti  invitati  verranno,  verranno  an- 
«  ch'essi.  Laonde  vedendo  il  Preti  la  resistenza  pregò  quelU  ai  quali 
«  avea  a  consegnare  le  lettere  a  non  rispondere  al  Dolfino,  mentre 
«  egli  avrebbe  imposto  per  tutti....  »  (2). 

Riuscirono  meglio  al  Dolfino  i  provvedimenti  presi  per  ordinare 
il  suo  equipaggio  in  modo  che  «  risplendesse  in  esso  e  la  grande2;za 


(i)  Così  scrive  l'A.,  ma  forse  volle  scrivere  Wollstein? 

(2)  L'A.  adduce  come  spiegazione  dell'assenza  dei  nobili  bresciani  dal  corteo 
il  fatto  seguente  :  «  Divulgava  il  Preti  come  non  ci  sarebbe  stata  distinzione  né 
«  superiorità  né  inferiorità  tra  nobili  veneti  e  nobili  dello  stato,  ma  tutti  trat- 
<(  tati  con  uniforme  parità,  e  interpellato  poi  se  si  esibiva  mallevadore,  rispose  di 
«  no.  Laonde  tutti  ricusarono,  addolorati  da  quanto  era  accaduto  in  Verona  nel 
«  passaggio  dell'imperatore  regnante.  Allora  pure  si  diede  tale  intenzione,  ma 
«  non  fu  adempiuta,  sicché  alcuni  cavalieri  di  terraferma  bel  bello  si  ritirarono 
«  nell'atto  del  corteggio  ». 


VARIETÀ  373 

«  del  principe  ed  il  proprio  decoro....  Scelti  però  otto  cavalieri  gio- 

«  vani  di  indole  generosa  e  di  costumi  senza  neo,  d'aspetto  dotati, 

«  con  titolo  di  paggi  ebbero  i  vestiti  oltremodo  ricchi   e   gai   e  di 

«  buon   gusto,  perchè  se  riguardiamo  il  soprabito,    appena  poteva 

«  scorgersi  il  veluto  cremesino,  tanto  era  coperto  di  belle  liste  d'oro  e 

«  il  sottabito  rintuzzare  la  vista  coi  tanti  raggi  tramandati  dal  drappo 

«  all'ultima  moda  di  ganzo  [broccato]  d'oro  e  tutto  corrispondeva  il 

n  rimanente.    Poco    dissimile  era  lo  sfoggio  da  campagna,    perchè 

«  sopra  fino  scarlatto  strisciavano  in  copia  merli  d'oro  e  la  sotto- 

«  velada  di  stoffa    non  invidiava    la  mostra  di  un    vago  giardino. 

u  Copriva  i  staffieri  un  panno  pure  cremisino  a  dupplicate  larghe 

«  trine  d'oro  e  li  dodici   alabardieri  (marca  questa    speciosa  e   di- 

u  stintiva  della  generalizia  dignità),  indossavano  sopratutto,  dirolla, 

«  lucerna,  colobio  o  volgarmente  casacca  senza   maniche,  lunga  a 

«  mezza    gamba  e  di  larghe  falde,  in   cui  parte  a  destra,  parte   a 

«  sinistra,  effigiato  con  ago  e  ricamo  d'oro  risaltava  il  blason  Dol- 

«  fino.  Portavano  questi  sopra  la  spalla  dodici  ben  travagliate  ala- 

«  barde  da  intagli  ed  oro  lucenti.    Qui   non  pongo  a  numero   otto 

«  snelli  lacchè,  molti  palafrenieri  conducenti  a  mano  addobbati  ca- 

«  valli,  né  altra  gente  bisognosa  al  pronto  ed  immediato  servizio  »». 


III. 


Intanto  giungeva  a  Brescia  il  Quartier  Mastro  per  esaminare  i 
preparativi  fatti  nel  palazzo  che  doveva  ospitare  la  regina.  Udiamo 
il  nostro  anonimo: 

Precorse  Tarrivo  della  Corte...  a  stabilire  le  posate,  a  disegnare  le 
stanze,  a  prefiggere  il  numero  d'uomini  e  d'animali  acciò  ogni  condi- 
zione ritrovasse  pronto  il  conveniente  trattamento.  Nulla  ebbe  a  mu- 
tare in  città  nel  quarto  assegnato  alla  sua  Sovrana,  anzi  ammironne  la 
struttura,  gli  addobbi,  la  ricchezza.  Chi  è  pratico  di  Broletto  (i)  sa  quanto 


(i)  Il  VM.^'armi,  Il  palalo  di  Broletto  in  Brescia,  in  questMrcH-y/o,  XXIII, 
1896,  II,  p.  181,  non  ci  dà  nessuna  descrizione  dell'interno  del  palazzo  in 
questo  tempo.  Dice  solo  che  per  «  avere  un'  idea  della  ricchezza  in  argenterie, 
«  in  stoviglie  ed  in  addobbi  degli  appartamenti  del  Podestà  e  del  Capitano 
«  Grande....  basta  leggere  alcune  descrizioni  che  il  cronista  Bianchi  ci  ha  copiato 
«  nel  suo  Diario  pel  ricevimento  di  principi  o  di  ambasciatori  che  venivano  da 
«  Venezia  »;  e  riporta  in  nota  qualche  passo  del  Diario,  nel  quale  però  non  si 
fa  alcun  cenno  dell'ordinamento  interno  del  palazzo;  tanto  più  quindi  parmi 
utile  trascrivere  integralmente  questa  parte  del  racconto  del  nostro  anonimo. 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VI.  24 


374  VARIETÀ 

sia  maestoso  tale  recìnto,  soggiorno  continuo  dei  rappresentanti  la  ve- 
neta autorità.  Ampio  scalone  dà  V  ingresso  alle  parti  superiori,  a  sini- 
stra abita  con  la  Curia  l'Ecc.  Podestà  (di  presente  il  signor  Gabriel  Emo); 
sale  capaci,  doppie  fughe  di  stanze  sempre  da  ricchi  arredi  vestite  con 
altre  camare  per  il  nobile  e  basso  serviggio  compongono  questo  fianco; 
a  destra  l'appartamento.  Egli  è  più  sontuoso  nella  fabbrica,  più  allegro  di 
sito,  più  copioso  di  stanze  ben  ripartite  e  del  soggiorno  dell' Ecc.  sig.  An- 
tonio Nani  con  la  carica  cospicua  di  Capitanio  rendesi  ora  più  illustre.... 
S'entra  in  questo,  dopo  asceso  lo  scalone,  per  due  ampie  sale  dipinte 
tutte  a  fresco,  incontrasi  a  linea  diritta  tre  stanze,  indi  una  più  piccola 
e  sovrasta  all'altra  due  gradini,  da  cui  si  sbocca  nel  pensile  giardino, 
ove  vaga  fontana  con  sottoposta  peschiera  ed  altre  distribuite  in  quel- 
l'ameno quadrato  gettano  l'acque  fresche  e  cristalline  e  queste  ben  da 
lungi  vengono  inchiuse  per  tubi  sotterranei  dal  continuo  artificioso  moto 
di  macchina  versatile.  Dal  giardino  si  scopre  gran  parte  della  città, 
terminando  a  monte  la  vista  nel  prospetto  del  forte  castello.  A  fianco 
quattro  altre  stanze  con  mezzadri  gabinetti  servono  ordinariamente  per 
il  gineceo,  senza  numerarne  parecchie  tutte  civili  ripartite  a  ben  intesa 
proporzione.  Dalla  seconda  volgendo  a  sinistra  s'apre  un'  alta  e  vasta 
loggia  o  galeria  a  balaustri  di  marmo  e  corrisponde  nel  pubblico  cor- 
tile; in  questo  zampilla  una  deliziosa  fonte  e  a  capo  altre  camere  as- 
segnate per  lo  più  a  forestieri  di  rango.  Quasi  a  mezzo  della  loggia 
s'entra  nell'anticamera,  da  questa  in  quella  d'audienza;  indi  una  rin- 
ghiera di  ferro  circonda  il  cortile  interiore  e  dà  l'ingresso  nella  capella 
e  in  altri  luoghi  coperti  e  scoperti.  Il  bassopiano  viene  tramezzato  e 
distinto  da  quei  tanti  siti  di  cucine,  dispense,  cantine,  stalle,  rimesse  di 
cocchi  o  di  altri  bisognevoli  ed  opportuni.... 

S.  E.  il  sig.'  Capitanio  nulla  ebbe  da  aggiungere  ad  abbellimento 
al  suo  quarto,  in  cui  doveva  alloggiare  e  pernottare  la  Principessa, 
perchè  nel  suo  primo  ingresso  alla  carica....  spiccavano  gli  addobbi  negli 
argenti  e  dì  quanto  altro  vanno  adorne  le  stanze.  A  questo  passo  di 
bona  voglia  tralascio  l'intera  minuta  descrizione  dellì  veluti  e  fiori,  delli 
damaschi  cremesi,  degli  arazzi,  delli  tappeti  persiani,  da  cui  vestite  le 
mura  e  coperte  parimenti  attraeano  l'occhio  ammiratore.  Mi  dispenso 
dalla  specificazione  di  lampade  di  cristallo  pendenti  da  vòlti  e  soffitti, 
dì  lampadari  d'argento  attaccati  alle  muraglie,  parte  sostenenti  una, 
parte  tre  candele  di  cera  per  ognuno,  di  gran  vasi  d'argento,  di  specchi 
superbi,  di  sedie  e  tavole  alla  cinese  con  nobile  lavoro  travagliate  e 
nei  quali  l'arte  supera  la  materia.  Né  meno  numero  stipi  intagliati  ed 
indorati,  e....  porcellane  fine,  chiccare  del  Giappone  e  Cina,  legate  in  oro, 
vasi  d'agata  e  mille  altre  galanterie  di  filagrana,  e  per  terminare,  nulla 
mancava  di  grande  e  sontuoso. 

La  seconda  delle  camere,  dopo  passate  le  due  sale,  fu  intradistinta 
perchè  destinata  al  ricevimento  degli  Ambasciatori  e  dei  Principi  nel 
ricevere  dalla  Principessa  le  audienze  ed  ove  Ella  udì  la  messa,  ove 
mangiò.  S'  alzava  in  essa  il  baldacchino  di  velluto  a  un  solo  gradino  e 


VARIETÀ  375 

sotto  una  ricchissima  sedia  di  ganzo;  né  in  questa  né  in  altre  stanze 
di  quella  fuga  si  contavano  sedie;  obligato  ognuno  a  starsene  in  piedi. 
E  la  piccola  contigua  al  giardino,  nella  cui  volta  spiccano  insigni  pitture 
del  nostro  famoso  Lattanzio  Gambara,  fu  l'amena  cella  in  cui  al  dolce 
mormorio  delle  acque  cadenti  prese  riposo  la  donzella  reale.... 

Ebbe  finalmente  il  Capitano  l' incarico  di  provvedere  al  più  ma- 
gnifico trattamento,  il  che  egli  fece  sia  coU'assegnare  diverse  cu- 
cine secondo  il  grado  delle  persone,  sia  con  la  ricerca  dei  viveri, 
alquanto  difficile,  perchè  la  stagione  non  offriva  che  fragole  e  poche 
cerase  non  ben  mature,  mentre  v'era  penuria  di  neve  e  di  ghiaccio 
per  la  grande  mitezza  dell'inverno  precedente. 

A  rendere  più  importante  il  ricevimento  che  si  preparava  alla 
regina,  giungevano  poi  in  Brescia  anche  il  duca  di  Parma,  Fran- 
cesco I,  ed  il  granduca  di  Toscana,  Gian  Gastone,  i  quali  furono 
pure  onorevolmente  accolti  ed  ospitati  in  case  di  patrizi  bresciani, 
sebbene  il  granduca  dichiarasse  di  voler  serbare  l'assoluto  incognito. 


IV. 


Intanto  la  regina,  ricevuta  solennemente  dal  Dolfino  a  Busso- 
lengo,  si  dirigeva  verso  Brescia,  sostando  alquanto  a  Ponte  S.  Marco 
in  casa  del  conte  Annibale  Pro  vaglio  per  sottrarsi  al  gran  caldo 
del  meriggio  (i).  La  breve  sosta  ritardava  però  l'arrivo  del  corteo 
in  città,  la  quale  dimostrava  già  l'impazienza  di  vedere  il  grande 
spettacolo.  E  appunto  perchè  l'effetto  non  venisse  scemato  dalle 
tenebre,  furono  attaccate  ai  muri  e  piantate  in  terra  delle  spesse 
lumiere  e  per  cura  dei  cittadini  vennero  illuminate  con  torcie  e 
candele  le  porte  e  le  finestre  delle  case,  le  quali  erano  pure  state 
convenientemente  addobbate.  Finalmente,  dopo  tanto  lunga  attesa 
arrivò  il  corteo,  ed  ecco  come  ne  descrive  l' ingresso  in  città  il 
nostro  anonimo  : 

Tutte  le  finestre  e  pergoli  addobbati  da  fini  tappeti  e  sete  erano 
per  così  dire  carri  di  trionfo  del  Dio  d'amore,  in   cui  sedeva  la    beltà. 


(i)  A  Fonte  S.  Marco  la  regina  «  ebbe  un  piacere  innocente  quando  il  «  no- 
«  stro  popolo  al  suono  di  due  violini  toccati  da  Giuseppe  e  Gio.  Battista  Padua, 
«  padre  e  figliuolo,  nativi  della  terra  di  Calcinato,  tessè  belle  danze  alla  sua  foggia 
«  campestre  »,  tanto  che  la  regina  ne  ordinò  la  continuazione  e  donò  dieci  on- 
gari  ai  suonatori  (Racconto  dell'A.). 


376  VARIETÀ 

la  venustà,  il  brio  di  tante  dame  e  forestiere  e  patrizie,  impegnate  in 
quel  giorno  e  nei  seguenti  alla  più  ricca  e  bizzarra  comparsa.  Cava- 
lieri delle  circonvicine  città,  particolarmente  del  Ducato  di  Milano  e 
nostro  a  tutta  gala  e  sontuosamente  abbigliati  non  capivano  sopra  le 
porte.... 

Udissi  finalmente  il  primo  saluto  a  palla  dal  castello,  quando  dopo 
dato  il  concertato  segno  con  una  fogata  dalla  torre  della  chiesa  di 
S.  Francesco  da  Paola  (i)  fuori  delle  mura  scoprì  la  regia  carrozza 
lontana  mezzo  miglio.  Seguitò  la  fortezza  con  trenta  tiri  d^artiglieria  e 
da'  terrapieni  della  città  ove  pure  erano  all'ordine  i  bronzi  fu  corrisposto 
a  vicenda  e  tanto  si  pratticò  all'entrar  nelle  porte  e  nello  smontare  a 
palazzo.  Due  interi  reggimenti  oltre  al  solito  presidio  furono  giorni 
avanti  introdotti  in  città  e  questi  a  destra  ed  a  sinistra  dalla  porta  di 
Torrelunga  schierati,  oltre  nova  milizia  sopra  la  gran  piazza  del  Domo 
fecero  echo  coi  loro  moschetti  alla  gioia  ed  all'arrivo.  In  vicinanza  della 
città  stavano  disposti  tre  squadroni  di  cavalleria,  il  primo  del  colonnello 
di  dragoni  conte  Giov.  fermo  a  sinistra  della  strada,  il  secondo  di  co- 
razze del  col.  conte  Girolamo  Tadino,  il  terzo  dei  croati  del  col.  conte 
Alvise  Butrovich.  Tutti  questi  venerarono  l'arrivo  della  principessa  col 
suono  di  tutti  i  loro  militari  istromenti,  a  quelli  corrispondendo  i  con- 
certi d'obice  dei  Reggimenti  d' infanteria  rendevano  strepitosa  ed  as- 
sieme grata  armonia.... 

Dopo  quattro  cocchi  apparve  quello  in  cui  risplendeva  l'oggetto  di 
tutti  gli  sguardi.  Sedea  la  bella  Dea  di  Gnido  in  quel  volto  in  cui  la 
maestà  e  la  modestia  avevano  il  suo  trono....  La  fronte  della  reale  don- 
zella era  un  cielo,  ma  non  irato,  dai  cui  occhi  si  vibravano  lampi  di  pace 
e  questi  soh  (senza  il  serviggio  di  ventiquattro  grossi  doppieri  portati 
a  canto  del  cocchio  da  soldati  schiavoni  vestiti  a  livrea  con  aironi  d'ar- 
gento sopra  le  berette,  usciti  un  miglio  fuor  della  città)  avrebbero  reso 
la  notte  uno  splendidissimo  giorno.  Ella  tutto  riso,  tutta  rose,  or  da  una 
parte  or  dall'altra  affacciavasi  dal  cocchio,  quasi  corrispondendo  a  pro- 
fondi inchini  del  popolo  affollato.  Sei  staffieri  a  capo  scoperto  tenevano 
sempre  la  mano  pronta  a  trattenere  anche  una  piccola  scossa  del  carro. 
La  contessa  d'Otting  maggiordoma  sedeale  in  faccia.  Venticinque  arcieri 
a  cavallo  a  sabla  nuda  seguivano  di  guardia,  indi  altre  sei  carrozze  chiu- 
sero il  suo  treno  senza  numerare  paggi,  parafrenieri.  Con  tal  ordine 
entrò  dalle  porte  di  Torrelunga  in  città,  rivolto  a  mano  sinistra  su  la 
piazza  di  Sant'Eufemia,  diritto  verso  S.  Barnaba  fino  alla  contrada  del 
Pie  del  Dosso  e  salito  quel  dolce  promontorio  s'avviò  dal  Vescovado 
dietro  al  coro  del  novo  Domo  sopra  la  piazza  del  Domo....  Inchinata 
dal  conte  Cahno  ascese  lo  scalone  maestoso  appoggiata  al  braccio  del 
conte  di  Molart,...  camminando  avanti  il  Principe  di  Lorena  e  ritirossi 
nel  suo  appartamento.... 


(i)  Piccola  frazione,  distante  circa  un  miglio  da  Brescia. 


VARIETÀ  377 

Intanto  a  Torrelunga  seguiva  la  mostra  del  Provveditore  ge- 
nerale. 

Al  festivo  suono  di  quattro  trombe  fu  calato  il  sipario.  Numerosa 
l'antiguardia  a  cavallo  di  due  compagnie,  una  di  croati  del  colonnello 
Butrovich;  l'altra  di  corazze  dal  conte  Girolamo  Porto  da  Parma  rosso 
coperta,  spada  alla  mano,  coi  suoi  timballi  battuti  da  un  moro;  molti 
staffieri  con  otto  paggi  pure  a  cavallo  ricchi  negli  abiti  fecero  il  pro- 
logo. Egli  in  cocchio  dì  tiro  a  sei,  vestito  a  tutto  cremisi,  scarpe  e  cap- 
pello, consuetudine  e  distinzione  questa  di  generalitia  veneta  autorità, 
servito  da  dodici  altri  schiavoni  con  torcie,  otto  lacchè  e  buon  numero 
di  staffieri,  compì  il  primo  atto.  Il  secondo  fu  rappresentato  da  sette 
carrozze  a  sei  di  sua  livrea  e  da  sette  altre  pure  a  sei,  tutte  colme  di 
cavalieri  di  suo  corteggio.  Terminò  il  terzo  ed  ultimo  nella  retroguardia 
di  due  compagnie  di  cappelletti  e  due  di  corazze  a  cavallo  con  ferro 
lucente  in  pugno.  Tale  folta  e  svelta  comitiva  non  entrò  in  Broletto, 
ma  giunta  su  la  piazza  del  Domo  seguitò  il  capo  al  suo  destinato  al- 
loggio, in  cui  dopo  aver  cenato  a  laute  mense,  la  gente  nobile  e  civile 
si  ridusse  a  riposi  in  varie  vicine  case  preparate.... 

E  per  quel  giorno  finì  così. 


V. 


La  mattina  successiva  il  popolo,  riavutosi  dallo  sbigottimento 
di  una  scossa  di  terremoto  (i),  affollossi  in  piazza  per  vedere  la 
regina  che  doveva  andare  alla  messa,  mentre  la  più  scelta  nobiltà 
recavasi  a  palazzo  per  far  ala  al  passaggio  della  regina  e  le  dame, 
alzatesi  pure  di  buon  mattino,  prendevano  frettolose  posto  nella 
cattedrale.  E  fu  qui  che  in  mezzo  a  tanto  sfarzo  di  abiti  si  distin- 
sero molti  patrizi  milanesi,  tra  cui  quattro  grandi  di  Spagna,  don 
Annibale,  visconte  generale  delle  armi  di  S.  M.  Cesarea,  e  suo  fra- 
tello, gran  cancelliere,  venuti  quali  sudditi  a  rendere  il  dovuto  vas- 
sallaggio alla  loro  sovrana.  Questa  «  uscì  dalle  stanze,  alta  nella 
«  statura,  maestosa  in  fronte,  ridente  in  bocca;  vestiva  alla  moda 
u  un  drappo  color  di  rosa  con  poca  tessitura  a  fiori  d'oro  appro- 
«  priato  per  la  stagione  cocente,  grosse  bianche  perle  cingevano  il 
«  collo  di  neve  e  nei  capelli  sopra  la  fronte  da  industre  mano  biz- 

(i)  L'A.  attribuisce  la  scossa  di  terremoto  nientemeno  che  alla  paura  della 
terra  per  la  corsa  vertiginosa  del  sole  il  quale  era  smanioso  di  ricomparire  sul 
nostro  emisfero  a  contemplare  la  bellezza  della  nostra  regina  e  la  pompa  solenne 
di  quelle  feste! 


378  VARIETÀ 

«  zarramente  increspati  serpeggiavano  diamanti  e  rubini  con  vago 
u  innesto  armonizzati....  Al  primo  spuntar  nella  gran  sala  tutta  la 
«  nobiltà  profondamente  inchinossi  e  la  milanese  schierossi  in  su- 
«  perba  gala  e  andóle  avanti  facendole  corte.  Questo  fu  uno  de'  rari 
u  spettacoli  ;  osservar  duecento  e  più  parrucche  di  cipria  polve 
«  asperse  con  quanto  di  gaio  seppe  modellar  il  fasto,  con  quanto 
«  di  puro  sangue  seppero  tramandar  gli  antenati,  con  quanto  di 
«  fine  educazione  procurarono  instillare  i  genitori  unito  in  suddita 
<•  leale  colleganza  pronto  agli  ossequii  della  sua  regnante  signora  ». 
La  regina  andò  in  Duomo,  assistette  alla  messa  stando  sempre  in 
ginocchio  durante  la  cerimonia,  che  l'A.  descrive  pur  minutamente 
quindi  tutti  andarono  a  pranzo. 

Nel  quartiere  pretorio  le  stanze  e  le  tavole  erano  state  distri- 
buite quali  con  più  posate,  quali  con  meno,  secondo  il  grado  dei 
banchettanti. 

Là  una  per  i  cavalieri  delle  chiavi  d'oro,  là  una  pei  gentiluomini 
di  camera,  qua  quella  dei  cappellani,  confessori,  paggi,  colà  quella  degli 
aiutanti  a  quartier  mastro,  di  là  l'altra  dei  medici,  chirurghi,  speziali.... 
Imbandite  erano  le  tavole  con  tutto  il  decoro  e  lautezza,  e  quanto  o  la 
stagione  contribuiva  o  le  dispense  più  riservate  votavano  o  il  nostro  o 
l'altrui  clima  produceva,  tutto  qui  era  adunato  nell'  impegno  pubblico 
della  dovuta  magnificenza.  Vini  del  paese  e  dei  contorni  e  di  quante 
altre  sorti  con  navi  giungono  a  Venezia  qui  si  versavano  con  tutto  il 
diletto  ai  signori  tedeschi.  Abbondarono  a  dovizia  le  dolci  manipola- 
zioni e  li  canditi  e  le  confetture  in  quantità  condotte  dalle  venete  la- 
gune.... Anche  il  copioso  serviggio  d'argento....  augmentava  la  splen- 
didezza del  Senato.  Qui  non  esprimo  numerose  casse  ripiene  di  zuccari, 
di  varia  e  candida  cera,  altre  di  fini  cristalli  per  uso  della  mensa,  altre 
di  più  squisiti  aromati.  Chi  bramava  rosolini,  chioccolatte,  caffè,  thè, 
acque  ghiacciate,  sorbetti....  era  pienamente  soddisfatto.  A  contentare  poi 
il  basso  serviggio,  arcieri,  cocchieri,  staffieri,  soldati,  ogni  altro  servente, 
lunghe  file  di  tavole  erano  disposte  e  nel  cortile  interiore  prefettizio 
ove  fumavano  i  cibi  e  sotto  logge....  colà  si  saziava  la  turba  assistita 
da  più  persone  a  questo  solo  effetto  trascelte. 

Nel  pomeriggio  dello  stesso  giorno  la  regina  ricevette  le  prin- 
cipali autorità  e  le  rappresentanze  che  erano  state  mandate  dalle 
varie  città.  Ed  il  ricevimento  diede  occasione  a  nuovo  sfarzo  di 
equipaggi,  di  livree  e  di  sontuosi  vestiarii  : 

La  prima  [udienza]  com'era  dovere,  fu  conceduta  al  Rappresentante 
della  Serenissima  Veneta  Repubblica.  Sonate  le  ore  ventuna  mandò  la 
Principessa  due  sue  carrozze  e  nella  prima  un  cavaliere  dal  titolo  di  ca- 
meriere dalle  chiavi  d'oro  a  levar  dal  suo  palazzo  il  sig.  Provveditor  gè- 


VARIETÀ  3 

nerale,  l'altra  era  vota...  [Discesero  entrambi  dal  palazzo,  il  sontuoso  treno 
generalizie  sfilò  direttamente  da  Via  del  Fiume  per  S.  Antonio  e  Piazza 
del  Duomo  fino  al  Broletto,  cosi  composto]:  Due  trombe  a  cavallo  avvi- 
savano la  venuta.  Ventiquattro  corazze  ben  montate  a  cavallo  di  van- 
guardia, trenta  staffieri  Dolfini  a  destra,  trenta  soldati  a  piedi  di  uni- 
forme panno  rosso  vestiti  con  moschetti  in  ispalla  a  sinistra.  La  prima 
carrozza  era  quella  della  regina  in  cui  sedeva  il  Delfino  solo,  nella  parte 
superiore,  con  abito,  cappello  e  scarpe  rosse,  con  bottoniera  e  grossi  dia- 
manti alla  velada  e  con  cintiglio  parimente  folgoreggiante  a  gioie  attorno 
al  cappello.  In  sua  compagnia  il  cavaliere  di  corte  pur  solo  nel  sedile 
inferiore.  Era  circondato  il  cocchio  da  otto  cavalieri,  paggi  a  piedi,  da 
otto  lacchè  e  poi  da  quattro  staffieri  di  corte  tedeschi.  La  seconda  car- 
rozza era  quella  del  Generale,  tutta  intagliata  e  messa  a  oro  con  cielo 
dentro  e  fuori  di  veluto  cremisino  e  nell'esterno  con  alto  ricamo  d'oro 
spiccava  lo  stemma  Delfino;  questa  era  vota  e  la  guardavano  quattro 
corazze  a  cavallo.  Seguivano  sette  cocchi  con  livrea  generalizia  ed 
altri  sei  con  divise  varie  e  questi  tutti  a  tiro  sei  ;  si  aggiunsero  quattro 
cocchi  bresciani  a  due  e  in  qualsivoglia  erano  generali  della  Serenissima, 
cavalieri  sì  nobili  veneti  sì  dello  Stato.  Chiudeva  la  ricca,  maestosa  e 
degna  comparsa  la  seconda  regia  carrozza  a  sei,  in  cui  ninno  sedeva. 
La  quantità  promiscua  dei  staffieri  e  lacchè....  ognuno  se  le  idei. 

Ricevuto  ai  piedi  dello  scalone  ed  accompagnato  coi  dovuti 
onori  entrò  nella  camera  degli  specchi  dove,  ritta  in  piedi  sotto  un 
baldacchino,  stava  la  regina,  alla  quale  espose  i  voti  del  Senato.  La 
breve  dimora  di  lui  a  palazzo  diede  agio  al  duca  di  Parma  ed  al 
granduca  di  Toscana,  Gastone,  eli  recarsi  con  speciale  ricco  corteo 
a  rendere  omaggio  alla  regina,  la  quale  trattenne  però  più  a  lungo 
presso  di  sé  il  granduca.  Essendo  già  tardi,  fu  rimandato  al  giorno 
successivo  il  ricevimento  della  nobiltà.  Ma  prima  che  questa  fosse 
ammessa  alla  visita  reale,  il  Provveditore  faceva  presentare  alla 
regina  da  60  sue  livree  il  regalo  inviato  dal  Senato  consistente  in 
cristalli,  lavoro  e  merce  peculiare  di  Venezia,  u  Su  sessanta  bacili 
«  o  vimini  capivano  i  cristalli  dei  quali  formavasi  un  copioso  ser- 
«  vizio  di  tavola  ...  Ogni  pezzo  ....  era  lavorato  a  filagrana  e  però 
«  della  più  singola  e  celebre  estimazione.  Tutto  con  ordine  vago  era 
«  distribuito  a  proporzione  sopra  bacili  seminati  di  frutti  e  fiori  pur 
«  di  cristallo  al  naturale,  non  solo,  ma  di  quantità  di  frutti  e  fiori 
«  intessuti  con  tutta  imitazione  della  natura  dalle  delicate  mani  delle 
«  sacre  vestali  a  Vicenza  a  Venezia  furono  mandate  anche  confet- 
«  ture  o  cere  da  essere  riposte  in  ventiquattro  ceste,  dodici  per  parte, 
u  da  servire  per  il  regalo  pubblico  alla  sposa,  ma  non  le  furono 
u  fatte  vedere,  onde  parendole  che  il  regalo  fosse  inferiore  a  quello 
«  presentato  all'  imperatrice  regnante,  sdegnosetta  non  volle  ricevere 


380  VARIETÀ 

«  nemmeno  i  cristalli,  che  rimasero  così  abbandonati.  »  Debolezze 
femminili  ! 

Intanto  dalle  varie  parti  della  città  dirigevansi  al  Broletto  i 
nobili  milanesi  coi  rappresentanti  delle  città  lombarde  e  del  ducato. 

Milano  aveva  mandato  dodici  dei  suoi  pila  cospicui  personaggi; 
r  insigne  collegio  dei  giudici  e  cavalieri  e  conti  di  Milano  pure  se  ne 
scelse  per  la  particolare  sua  copiosa  adunanza.  Da  Pavia,  quattro,  da 
Cremona,  cinque,  da  Lodi,  da  Mortara,  Alessandria,  Como,  Valenza, 
Tortona,  Vigevano,  quattro  pure  per  ognuna  di  queste  città  si  spicca- 
rono. Ogni  ambasciatore  s' aveva  scelto  un  camerata  almeno  di  pari 
rango  ed  altri  volontari  si  aggiunsero  finché  si  accrebbe  al  doppio  e 
più  la  strepitosa  comparsa.  Chi  nella  sua  patria  aveva  posto  di  sena- 
tore, di  questore,  di  giudice  o  ascritto  a  qualche  magistrato  vestiva  la 
toga,  il  rimanente  con  la  spada.  Secondo  l'ordine  stabilito  per  la  pre- 
cedenza ascesero  lo  scalone,  si  divisero  per  gruppi  nella  gran  sala, 
donde  a  parte  a  parte  entrarono  nella  camera  degli  specchi  a  rendere 
l'omaggio  di  loro  sudditanza  e  lealtà  alla  propria  Sovrana,  sedente  sotto 
il  baldacchino  con  breve  umilissima  esposizione  corrisposta  con  aggra- 
dimento compendiato  con  poche  parole.... 

A  più  gradito  divertimento  s'apprestavano  frattanto  le  dame  e 
cavalieri.  Nel  cortile  del  Broletto  s'era  improvvisato  un  giardino 
adorno  di  vasi  di  acacie  fiorenti,  di  statue  di  deità,  con  tutto  at- 
torno un'  infinità  di  cera  che  dava  risalto  alla  magnificenza.  E  qui 
fu  eseguita  una  serenata  immaginata  e  diretta  dal  cavaliere  Fau- 
stino Avogadro  ed  eseguita  da  un  coro  di  trenta  musici  e  settanta 
suonatori  di  vari  strumenti  parte  di  Brescia  e  parte  fatti  venire 
dalle  vicine  contrade.  I  versi  erano  del  poeta  bresciano,  Gio.  Bat- 
tista Bottalicio,  e  la  musica  di  Luigi  Manzo,  da  poco  tempo  ritornato 
dall'  Inghilterra  e  dalla  Germania.  La  regina,  a  cui  la  serenata  era 
dedicata,  annuì  a  rendere  quasi  vanaglorioso,  dice  l'anonimo,  il  di- 
vertimento con  la  sua  presenza.  Servita  dal  principe  di  Lorena  e  da 
sue  damigelle  e  cavalieri  comparve  nel  mezzo  dell'alta  loggia,  se- 
dendole accanto  su  una  sedia  più  bassa  e  di  paglia  il  Provve- 
ditore. 

Sfavillavano  intanto  i  doppieri  a  dovizia  distribuiti  nelle  stanze, 
nelle  sale,  nella  galleria,  nel  finto  giardino  del  cortile  e  in  ogni  angolo 
e  al  rimbombo  sonoro  e  strepitoso  di  quattro  trombe,  di  quattro  obici 
fu  salutato  Tarrivo  della  reggia  donzella;  indi  il  coro  di  trenta  musici 
e  settanta  suonatori  di  vari  strumenti  principiò  alla  prima  di  notte  e 
applauso  festoso  e  per  cinque  intieri  quarti  d'ora  o  risuonò  a  ripieno  (?) 
l'armonia  o  le  voci  di  eletti  cantori  a  vicenda  riscossero  un'estatica  am- 
mirazione. 


VARIETÀ  381 


VI. 


Il  29  maggio  la  regina  lasciò  Brescia  con  la  stessa  pompa  con 
cui  v'era  entrata,  salutata  dai  tiri  d'artiglieria  dal  castello  «  e  dalle 
«  milizie  spallierate  sopra  le  mura  della  città  coi  moschetti  a  palle 
«  e  alcuni  falconetti  ».  S'era  stabilito  di  fare  una  sola  tappa  da  Bre- 
scia a  Palazzolo,  ed  il  Quartier  Mastro  erasi  già  recato  giorni  avanti 
colà  a  destinar  gli  alloggi  e  misurar  le  strade,  ma  la  regina  non  volle 
saperne  di  fare  18  miglia  di  strada  fra  tanta  polvere,  onde  fu  deciso 
di  preparare  il  pranzo  ad  Ospedaletto,  facendosi  però  comprendere 
alla  augusta  signora  che  colà  non  vi  era  cosa  alcuna  all'ordine.  Tut- 
tavia il  conte  Orazio  Calini,  avvertito  di  spedire  tutto  quanto  si  do- 
veva consumare,  eseguì  l'ordine  tra  la  notte  e  la  mattina.  Dal  canto 
suo  il  nobile  Lelio  Cavallo,  che  aveva  la  direzione  del  ricevimento 
ad  Ospitaletto,  supplì  con  avvedutezza  alla  mancanza  di  grosse  prov- 
visioni, che  dovevano  essere  mandate  da  Brescia,  tantoché  la  regina 
si  mostrò  molto  soddisfatta  e  fece  regalare  il  Cavallo  di  due  can- 
delabri d'argento  lavorato  a  vite  d'oncie  sessanta.  A  Palazzolo  pure 
nulla  mancò  per  opera  del  conte  Orazio  Calini,  il  quale  «  provvide 
«  del  più  prezioso  pesce  dei  nostri  laghi  e  fiumi,  che  con  sommo 
«  diletto  e  sazietà  gustarono  gli  esteri  ».  Da  Palazzolo  proseguì  il 
corteo  fino  ad  Urgnano,  castello  del  Bergamasco,  dove  la  regina 
sostò  presso  il  conte  Giovanni  Albano  e  si  divertì  e  quasi  direi  do- 
mesticamente con  alcune  dame  colà  accorse  e  massimamente  ebbe 
piacere  di  parlar  francese  con  la  contessa  N.  Vertua,  versata  in 
tal  linguaggio.  Giunti  al  Serio,  e  scandagliato  il  fondo,  fu  permesso 
alle  carrozze  e  cavalli  il  passaggio  del  fiume  ;  essendosi  schierati 
poi  più  di  50  carri  coperti  di  tavole  nelle  acque  a  facilitare  il  tran- 
sito ai  fanti. 

A  Ceserano,  ultima  terra  del  veneto,  e  precisamente  nel  luogo 
chiamato  Fosso  Bergamasco,  al  margine  veneto,  il  Provveditore 
generale,  che  aveva  sempre  seguito  il  corteo  regale,  si  congedò  so- 
lennemente dalla  regina.  Presentato  dal  conte  Mollart,  egli  si  accostò 
alla  carrozza  di  Cristina,  la  quale  nel  vederlo  «  s'alzò  quanto  con- 
«  cedeva  l'altezza  del  cocchio  ed  in  maniera  però  anche  più  obbli- 
«  gante  di  quello  usato  nel  primo  incontro  ».  Fatti  i  complimenti, 
essa  uscì  dal  confine  accolta  da  salve  di  moschetterie.  Tragittò 
l'Adda  e  il  sovrapposto  canale  navigabile,  poi,  riposatasi  a  Vaprio,  si 
diresse  a  Milano,  dove  arrivò  incognita,  sotto  un  diluvio  di  pioggia, 
serbando  l'ingresso  solenne  ad  altro  giorno. 


382  VARIETÀ 

Come  poi  fosse  ricevuta  in  Milano  fu  già  ampiamente  narrato 
dal  Calvi  (i)  e  dal  De  Castro  (2). 

Agostino  Zanelli. 


(1)  Calvi,  //  patriiiato  milanese,  Milano,  Mosconi,  1875,  p.  249  sgg. 

(2)  De  Castro,  Milano  nel  settecento,  Milano,  Dumolard,  1887,  p,  57.  Note- 
vole pure  è  il  racconto  del  soggiorno  di  Elisabetta  nel  convento  dei  Cistercensi  in 
Parabiago  pubblicato  dal  Giulini  in  quest^ Archivio,  XXVIII,  1901,  i,  pp.  353-362. 


BIBLIOGRAFIA 


Alberto  Pisani-Dossi,  Verdesiacum,  Pavia,  tip.  succ.  Fusi,  1905,  in-8, 
pp.  26,  con  2  tav.  (Estr.  dal  Bollettino  della  Società  Pavese  di  storia 
patria). 

Appassionatissimo  ricercatore  di  antichità,  il  dotto  autore  dei  pre- 
sente libretto,  ha  avuto  una  ventura  assai  preziosa  e  ben  meritata, 
quella  di  rintracciare  le  vestigia  di  una  terricciuola  dell'  agro  milanese, 
scomparsa  da  secoli  e  completamente  dimenticata.  Verdezago  (rom. 
Verdesiacum)  era  un  pago  romano,  esistente  nel  territorio  d'Albai- 
rate  e  precisamente  nel  punto  intermedio  fra  questo  villaggio  e  quello 
di  Cisliano.  Dell'età  più  antica  non  esistono  ricordi  ;  ma  nell'alto  medio 
evo  il  casale  era  tuttavia  popolato;  e  ne  parlano  più  documenti  notariH 
dei  secoli  XI  e  XII,  dove  è  fatta  anzi  memoria  della  cappella  di  S.  Fau- 
stino ivi  edificata.  Però  sul  finire  del  mille  e  cento  il  luogo  era  già  de- 
serto d'abitatori.  Una  pergamena  del  1170,  accennando  ad  una  lite  insorta 
tra  il  prete  della  chiesa  di  Cisliano  e  l'abbate  di  S.  Vittore  di  Milano 
circa  la  chiesetta  di  S.  Faustino,  dice  che  questa  sorgeva  "  ubi  quondam 
"  dicebatur  Verdezagum  „. 

Gli  scavi  tentati  dal  Pisani-Dossi  gli  hanno  dato  modo  di  richiamare 
all'aperto  molti  notevoli  avanzi  dello  scomparso  casale.  Egli  ha  rinve- 
nuta nel  1903  la  necropoli  di  Verdezago  e  vi  ha  raccolto  vasi  di  terra, 
di  vetro,  oggetti  di  ferro,  monete,  ecc.  Inoltre  ha  potuto  ritrovare  le 
tracce  d*  una  chiesetta  absidale,  perfettamente  orientata,  che  è  certo  la 
cappella  di  S.  Faustmo,  di  cui  parlano  i  documenti.  Ma  se  il  villaggio 
de' morti  si  è  così  rivelato,  non  ancora  è  stato  ritrovato  quello  de' vivi. 
All'intelligente  sagacia  del  Pisani-Dossi  però  anche  questo  non  rimarrà, 
speriamo,  troppo  a  lungo  irreperibile. 

Ringraziamo  intanto  il  colto  gentiluomo  d'avere  arricchito  di  dati 
nuovi  con  questo  pregevole  contributo,  la  storia  della  campagna  milanese. 


Dott.  Giuseppe  Boni,  Saw  Bernardino  da  Siena  a  Pavia,  Pavia,  tip.  succes- 
sori Fusi,  1904,  in-i6,  pp.  24. 

Questa  breve  narrazione  della  vita  del  Santo,  composta  con  intento 
religioso,  non  reca  documenti  nuovi.  L'autore  considera  l'attività  dimo- 


384  BIBLIOGRAFIA 

strata  da  S.  Bernardino  in  Pavia  nel  diffondere  la  devozione  al  nome 
di  Gesù,  diffusione  di  cui  resterebbero  tracce  nel  simbolo  imposto  ad 
alcune  case  della  città.  Rammenta  il  particolare  culto  che  questo  santo 
ebbe  in  Pavia,  sicché  in  suo  onore  fu  fatto  eseguire  nel  1462  dal  pit- 
tore Vincenzo  Poppa,  nella  chiesa  del  Carmine,  un  dipinto,  che  poi  scom- 
parve sotto  gì' intonachi  posteriori. 

Il  B.  ricorda  anche  le  relique  del  santo  conservate  nella  cappella 
del  castello  di  Pavia  e  trasportate  il  2  settembre  1499  alla  cattedrale. 
V'erano  la  papahna  e  gli  occhiali.  Possiamo  aggiungere  che  ai  30  maggio 
ed  al  i.°  giugno  1469  "  la  barecta  et  li  ochiali  de  sancto  Bernardino, 
"  el  brazo  de  sancta  Maria  Magdalena  et  de  san  Jacomo  „  venivano 
portati  dal  cappellano  ducale  maestro  Alberto  Guidoboni  ad  Abbiate- 
grasso  per  il  parto  di  Bona  di  Savoja  (i;.  A  migliaia,  a  migliaia  accor- 
revano gli  spettatori  a  Brescia  il  14  febbraio  1451  per  vedere  la  berretta 
di  S.  Bernardino,  che  Giovanni  da  Capistrano,  iì  taumaturgo,  l'amico 
e  il  successore  del  senese,  usava  nelle  sue  miracolose  prediche  (2). 

Il  dott.  Boni  a  p.  II  del  suo  lavoro  accenna  alle  relazioni  di  S.  Ber- 
nardino con  il  duca  di  Milano,  F.  M.  Visconti,  sul  principio  non  troppo 
cordiali,  E  qui  notiamo,  non  per  Pavia  però,  che  già  il  Giulini  [Memorie, 
voi.  VI,  p.  403,  2.a  ediz.)  ha  ricordato  i  processi  nella  causa  di  S.  Ber- 
nardino con  Amedeo  da  Lodi,  maestro  d'abbaco  in  Milano,  infetto  di 
eresia.  Nell'Archivio  trivulziano,  è  bene  lo  si  sappia  per  la  storia  ap- 
punto dell'eresia  in  Italia,  giacciono  i  documenti  interessanti  al  propo- 
sito, con  le  difese  giuridiche  in  memoria  del  Santo  (1428-1446)  (3). 

Altri  storici  (ad  es.  il  Rosmini)  ricordarono  il  poco  favore  dimo- 
strato dal  Filelfo  e  già  dal  Biglia,  il  cronista  milanese,  pel  modo  di  pre- 
dicare del  senese.  A  S,  Bernardino  in  Milano  accenna  anche  il  Bandello 
nelle  sue  Novelle,  voi.  Ili,  novella  53.*^  (4).    Non  è  qui  il  posto    di  elen- 


(i)  Cfr.  lettere  di  quelle  date  di  Giovanni  Attendoli  al  duca  dì  Milano, 
Arch.  di  Stato  di  Milano  (Carteggio  sforzesco).  Ai  25  luglio,  come  da  lettera  del 
castellano  di  Pavia,  Gandolfo  da  Bologna,  venivano  ricollocate  in  cappella.  Cfr. 
anche  c^o.sl'' Archivio,  III,  1876,  p.  558,  e  per  le  reliquie  in  Pavia,  oltre  il  Gualla 
e  gli  altri  autori  citati  dal  Boni  nel  suo  opuscolo,  cfr.  Magenta,  Castello  di 
Pavia,  voi.  I,  p.  569;  D'Adda,  Ricerche,  tee,  pp.  109-10  e  suppl.  p.  25  ;  Boll,  sto- 
rico della  Svili.  Ital,  1887,  p.  215;  Moiraghi,  Torquato  Tasso  a  Pavia, 'Pavia, 
1895-96,  p.   156  sgg. 

(2)  Za  NELLI,  Predicatori  a  Brescia  nel  quattrocento,  in  quest'Archivio,  XV, 
1901,  I,  p.  105. 

(3)  Ai  16  dicembre  1426  Amadeo  da  Landò  aveva  ottenuto  la  cittadinanza 
milanese  (Arch.  di  Stato  di  Milano,  Reg.  Panigarola,  e.  82  t.). 

(4)  È  la  novella  dal  titolo  :  «  Tomasone  Grasso  usurajo  grandissimo  fa  pre- 
ce dicare  contro  gli  usurai  per  restar  egli  solo  a  prestar  usura  in  Milano  ».  Il  Grassi 
si  sarebbe  convertito,  restituendo  il  mal  tolto  e  lasciando  «  tante  elemosine  e 
«  tante  cose  pie,  che  tutto  il  di  in  Milano  si   fanno  ».    Trattasi  del   fondatore 


BIBLIOGRAFIA  385 

care  i  recenti  biografi  del  Santo  :  basti  aggiungere  che  la  fonte  princi- 
pale della  sua  vita,  la  biografia  di  Leonardo  Benvoglienti,  quella  che 
somministrò  tutti  i  materiali  per  ricostruirne  la  storia  nei  suoi  primi 
anni,  e  che  era  finora  rimasta  inedita,   venne   pubblicata  dal  p.  F.  van 

Ortroy  negli  Analecta  BoUandiana. 

E.  M. 


Carlo  Battisti,    La    traduzione  dialettale  della  '  Catinia  '  di  Sicco  Po- 
lenton.  In  Archivio  Trentino,  a.  XIX,  fase.  II,  1904-1905. 

Il  Segarizzi  pubblicò  a  Bergamo  nel  1899  la  sua  opera  premiata 
La  '  Catinia%  le  Orazioni  e  le  Epistole  di  Sicco  Polenton.  Nell'introduzione 
il  Segarizzi  trattò  diffusamente  non  solo  della  Catinia  latina,  ma  anche 
della  traduzione  trentina,  che  è  la  prima  opera  letteraria  che  vanti  la 
stampa  trentina  (1482).  Scopo  della  pubblicazione  del  Battisti  non  è  ora 
soltanto  di  presentare  agli  studiosi  una  ristampa  dell'interessante  "  lu- 
"  sus  „  del  Polenton,  ma  anche  di  stabilire  il  dialetto  della  traduzione 
e,  possibilmente,  di  localizzarlo. 

A  titolo  di  curiosità  notiamo  che  protagonista  nella  commedia  "  no- 
"  minada  Catinia  dali  Catini  „  figura  "  Catinio  homo  da  Como,  quale 
"  se  domanda  Catinio  da  li  catini,  li  quali  lui  portava  e  vendeva;  questo 
"  medemo  se  appella  etiam  da  lui  Comano  et  benché  meglio,  secondo 
"  la  rectitudine  de  la  latinitade  e  de  la  auctoritade  talliana  de  li  altri, 
"  dovea  fir  dito  Comenseno,  perchè  eli  era  de  la  cita  de  Como  „. 


C.  Foligno,  Un  poemetto  in  lode  di  Lodovico  il  Moro,  Milano,  tip.  Ca- 
priolo e  Massimino,  1905,  in-8,  pp.  23.  (Edizione  di  50  esemplari 
numerati  per  le  nozze  d'argento  Pirelli-Sormani). 

In  quest'elegante  libretto,  stampato  con  cura  su  carta  tinta,  inqua- 
drata in  rosso,  il  nostro  consocio  dott.  Cesare  Foligno  ha  voluto  mettere 
alla  luce  un  saggio  delle  ricerche  che,  come  risulta  da  quanto  viene 
comunicato  ai  colleghi  in  questo  medesimo  fascicolo  àtìV Archivio,  ha 
con  tanta  attività  e  non  senza  fortuna  intraprese  nel  Museo  Britannico. 
Tra  i  codici  Addizionali  di  quel  ricco  deposito,  egli  si  è  imbattuto  in 
un  ms.,  indubbiamente  appartenuto  un    tempo  alla   libreria  Visconteo- 


delle  scuole  Grassi,  pure  Tommaso  di  nome?...  Forse  piuttosto  di  un  altro  suo 
omònimo,  morto  nell'estate  del  145 1,  e  uomo  danaroso,  a  detta  dal  duca  Fran- 
cesco Sforza,  che  con  sua  lettera  del  2  agosto  di  quell'anno  raccomandava  al  suo 
fido  conte  Gaspare  da  Vimercate  di  trovar  modo  di  aiutarsi  co'  denari  lasciati 
indietro  dal  defunto  milanese  (Arch.  di  Stato  di  Milano,  Missive,   n.  6,  fol.  89). 


386  BIBLIOGRAFIA 

sforzesca  di  Pavia,  che  racchiude  un'operetta  poetica  di  Bernardino 
de'  Capitanei  da  Landriano  nobile  milanese.  È  dessa  intitolata  De  la 
felicitade  de  Ludovico  Maria  Sforcia,  ed  in  sedici  capitoli  in  terza  rima, 
preceduti  e  seguiti  da  alcuni  componimenti  lirici,  esalta  alle  stelle  il 
potente  principe  milanese.  Ignoto  era  sin  qui  il  poeta  ed  ignota  l'opera 
sua,  sicché  gli  studiosi  di  cose  lombarde  saranno  grati  al  ricercatore 
di  avere  riunito  qualche  notizia  sull*  uno  e  messi  a  stampa  il  proemio 
e  il  primo  capitolo  dell*  altra.  Certo  dal  saggio  niuno  prenderà  argo- 
mento a  ritenere  che  il  Da  Landriano  fosse  un  vero  poeta;  ma  tra  i 
moltissimi  che  negli  ultimi  anni  del  sec.  XV  intesserono  adulazioni  ri- 
mate al  Moro,  egli  pure  può  trovare  posto,  senza  troppo  arrossire. 


Dott.  Achille  Bertarelli,  Spiegazione  e  stato  numerico  delle  [sue']  rac- 
colte al  i.o  gennaio  190J,  Milano,  tip.  U.  Allegretti,  1905,  in-8. 
pp.  19. 

—  La  via  Monte  Napoleone  nella  Milano  vecchia,  Inaugurandosi  la  nuova 
sede  del  Touring  Club  Italiano,  Milano,  tip.  U.  Allegretti,  1905,  in-8, 
pp.  42. 

Ecco  due  opuscoli  che  niuno  vorrà  certo  accusarci  di  definire  in 
maniera  esagerata,  se  li  chiameremo  veri  gioielli  tipografici.  In  entrambi 
la  valentia  ben  conosciuta  del  tipografo,  diretta  sagacemente  e  regolata 
dal  gusto  e  dalla  dottrina  dell'Autore,  ha  fatto  di  sé  bellissima  prova. 
Il  primo  tra  i  due  racchiude,  come  il  titolo  spiega,  un  catalogo  sommario 
di  tutte  le  stampe  che  il  Bertarelli  é  venuto  mettendo  insieme  in  mol- 
t*  anni  d' assidua  ed  amorosa  ricerca.  Le  cifre  appaiono  oramai  quasi 
fantastiche;  le  stampe  storiche  toccano  il  numero  di  17408  e  tra  esse 
ben  4748  illustrano  la  città  nostra,  specialmente  in  rapporto  alla  topo- 
grafia ed  alla  storia  del  costume.  Le  stampe  riguardanti  altre  città  ita- 
liane son  2721.  Quelle  relative  a  Napoleone  I  1649.  ^^  caricature,  che 
riflettono  le  vicende  politiche  dalla  fine  del  sec.  XVIII  al  1870,  assom- 
mano a  400.  A  200  salgono  le  stampe  che  concernono  il  risorgimento 
nazionale;  i  fogli  volanti  di  poesie,  relazioni,  ecc.,  raggiungono  le  685. 
Una  seconda  categoria  comprende  gli  "  usi  e  costumi  „  e  sono  in  tutto 
7726  pezzi;  una  terza  il  "  teatro  „  ed  i  numeri  ammontano  a  5748.  La 
quarta  categoria,  destinata  alla  "  letteratura  ed  iconografia  popolare  „ 
vanta  3267  numeri;  la  quinta  ("  mezzi  di  trasporto  „)  sale  a  1366  nu- 
meri. "  Le  arti  ed  i  mestieri  „  formano  la  VI  classe,  ricca  di  numeri  3580; 
la  VII  è  costituita  da  piccole  stampe  "  di  soggetto  personale  „;  e 
sono  7898.  La  VIII  classe  comprende  "  la  ornamentazione  del  libro  e 
"  le  carte  colorate  „;  (n.  7703);  la  IX  i  "  documenti  per  la  storia  della 
"  litografia  „  tra  noi  (n.  687).  La  X  una  collezione  Bodoniana.  Son  in 
tutto  numeri  53801  !  E  nella  sua  massima  parte  questo  prezioso  materiale 
passerà  in  un  avvenire,  che  ci  auguriamo  ancora  molto   ma  molto  lon- 


I 


BIBLIOGRAFIA  387 

tano,  alla  biblioteca  di  Brera.  Così  ha  deliberato  il  liberale  raccoglitore, 
che  del  suo  fermo  proposito  dà  nuova  e  pubblica  attestazione  nella  de- 
dica del  suo  Hbretto.  Ma  agli  studiosi  anche  ora  l'inesauribile  cortesia 
del  Bertarelli  riesce  sempre  larga  d'aiuto. 

Quali  e  quante  siano  le  curiosità,  ed  insieme  anche  i  veri  cimeli 
storico-artistici,  accumulate  dal  nostro  ottimo  amico  e  collega,  si  può 
facilmente  rilevare  dalle  belle  pubblicazioni  che  egli  è  venuto  facendo 
in  questi  ultimi  anni;  ma  se  ulteriori  prove  fossero  opportune,  sarebbe 
facil  cosa  additarle  nel  secondo  dei  due  opuscoli  da  noi  registrati  in 
fronte  a  quest'articolo.  Lo  scritto  dedicato  ad  illustrare  le  vicende  della 
via  che,  correndo  Tanno  1804,  assunse  il  nome  di  "  Contrada  del  Monte 
"  Napoleone  „ ,  nome  toltole  dall'  intolleranza  austriaca  e  restituitole 
nel  i86o,  dimostra  ad  esuberanza  quale  magnifico  corredo  di  documenti 
grafici  intorno  al  vecchio  Milano  possegga  il  dott.  Bertarelli.  Egli  ha 
saputo  in  poche  pagine  tratteggiar  con  sicura  e  vivace  dottrina  le  varie 
trasformazioni  della  parte  della  città,  ove  la  via  corre  oggidì;  forse  la 
via  in  tempi  remotissimi  precedette  la  costruzione  della  cinta  romana  ; 
certo  fu,  nel  medio  evo,  strada  esterna,  nella  quale  si  entrava  dalla 
contrada  di  S.  Vittore  e  Quaranta  Martiri  (ora  P.  Verri),  per  una  Pu- 
sterla  detta  di  Porta  Nuova,  che  aveva  di  fronte  la  chiesa  di  S.  Andrea. 
Dallo  studio  di  questi  ed  altri  dati  topografici  l'A.  è  portato  a  concludere 
che  già  nel  sec.  XIII  il  Monte  Napoleone  era  tracciato  com'appare  oggidì. 

Noi  non  possiamo  seguire  a  lungo  il  Bertarelli  nella  sua  attraente 
narrazione  delle  vicende  della  strada  nei  secoli  successivi.  Solo  diremo 
come  in  una  Pianta  di  Milano,  pubblicata  a  Venezia  nel  1569  e  fin  qui 
sconosciuta  a  tutti  gli  studiosi  di  cartografia  milanese,  l'A.  abbia  rin- 
venuto indicato  un  particolare  curioso  :  vale  a  dire  che  la  via  vi  risulta 
percorsa  per  tutta  la  sua  lunghezza  da  un  canale.  È  questo  il  Seveso, 
il  quale,  per  quanto  sembra,  rimase  scoperto,  certo  con  poco  vantaggio 
dell'igiene,  fin  alla  metà  del  cinquecento;  la  pianta  dunque  deve  esser 
stata  compilata  sopra  un'  altra  più  antica  sfuggita  finora  alle  ricerche, 
ma  che  si  riuscirà  una  volta  o  l'altra  a  scovare  (i). 


(i)  L'interessante  scoperta  del  Bertarelli  toglie  irremissibilmente  il  vanto 
di  essere  le  più  antiche  carte  topografiche  di  Milano  alle  due  che  prima  d'ora 
se  lo  disputavano,  vale  a  dire  a  quella  pubblicata  a  Colonia  nel  1572  dal  Ho- 
[genberg  e  all'altra  impressa  a  Roma  nel  1575  da  Antonio  Lafreri.  Siccome  le  due 
itavole  sono  l'una  riproduzione  dell'altra,  cosi  era  sorta  la  questione  quale  delle 
^due  dovesse  ritenersi  l'originale.  Il  Bertarelli  per  suo  conto  è  d'avviso  che  non 
sia  il  caso  di  parlare  d'originalità  né  per  V  una  né  per  l'altra  ;  ma  che  entrambe 
jiano  copie  di  un  tipo  preesistente,  eseguito  a  Milano. 

Non  veggo   perchè,  allegando  le   rozze  piante   iconografiche  di  Milano  del 
[sec.  XV,  edite  dal  dott.    Ratti,  il  B.  passi   sotto  silenzio   quella   rozzissima   ma 
f^iù  antica  introdotta  da  Galvano  Fiamma  nel  cod.   ambrosiano   delle  sue   Cro- 
niche. È  questa  senza  verun  dubbio  il  più  antico  documento  cartografico  milanese 
Ich'oggi  esista. 


388  BIBLIOGRAFIA 

Il  libro  del  Bertarelli,  oltre  ad  essere  adorno  d'una  nitida  riprodu- 
zione della  Pianta  di  Milano  or  citata,  reca  altre  belle  illustrazioni  tratte 
da  vecchie  incisioni  e  ritratti.  Esso  è  insomma  un  saggio  veramente 
riuscito  di  illustrazione  topografica  milanese,  promettitore  di  un  libro 
che,  quando  fosse  compiuto,  riuscirebbe  di  utilità  grandissima  per  gli 
studiosi.  Vorrà  il  dott.  Bertarelli  continuare  nella  bella  impresa  per  la 
quale  possiede  tutti  i  requisiti  necessari?  Noi  ce  T  auguriamo  di  gran 
cuore,  e  nell'augurio  ci  saranno  certo  compagni  quanti  amano  nel  pre- 
sente rivolgimento  di  cose,  di  usanze,  di  vita,  fermare  i  tratti  fuggenti 

del  passato  che  perisce. 

F.  N. 


La  collezione  Giorgio  Mylius  di  battenti  in  ferro  e  bronzo;  20  tavole  in 
eliotipia  con  prefazione  di  Andrea  Balletti,  Milano,  1905,  in  folio. 
(Ediz.  di  loo  esemplari). 

Attraversiamo  veramente  un  tempo  in  cui  è  giunta  a  sommo  grado 
la  passione  di  formare  collezioni  ;  ma  tra  le  altre  questa  spicca  per  un 
carattere  suo  proprio.  Nelle  venti  magnifiche  tavole  eliotipiche  di  cui 
consta  il  volume  ci  si  apre  innanzi  un  campo  a  cui  pochi  forse  avevano 
prestato  prima  d'ora  attenzione:  i  nostri  maggiori  con  squisito  senso 
d'armonia  sapevano  trasformare  in  mirabili  opere  d'arte  gli  oggetti  più 
umili,  pili  semplici  ;  ed  il  genio  spontaneo  d'un  oscuro  artefice  abbelliva 
di  forme  nuove  tutto  ciò  a  cui  ponesse  mano.  E  mentre  il  falegname 
istoriava  di  squisiti  intagli  le  porte  d'un  palazzo,  il  fabbro  s' affrettava 
ad  arricchirle  di  battenti  in  ferro  o  in  bronzo. 

L'evolversi  del  sentimento  d'arte,  le  differenze  profonde  del  gusto 
nei  tempi  o  nelle  razze  diverse,  si  possono  appunto  piacevolmente  se- 
guire, sfogliando  le  riproduzioni  della  ricca  raccolta  di  battenti  formata 
da  Federico  Mylius  e  continuata  dal  suo  egregio  figliuolo. 

I  secoli  più  antichi  preferirono  quasi  esclusivamente  il  ferro,  fino  al 
tramonto  del  sec.  XV;  e  dai  più  semplici  si  arriva  con  l'andar  degli  anni 
ad  esemplari  in  cui  volontieri  si  riconoscerebbe  la  mano  d'un  Giambo- 
logna,  o  d'un  aUievo  del  Sansovino  :  più  tardi  il  metallo  sembra  torcersi 
o  gonfiarsi,  conservando  a  volte  anche  nelle  strane  curvature  una  certa 
nobiltà  di  linee;  il  sec.  XVIII  dà  anche  ai  battenti  il  suo  carattere  di  fra- 
gilità e  di  ricercatezza  fredda. 

Lo  scopo  del  battente  impose  sempre  una  certa  limitazione  alla  fan- 
tasia degli  artefici:  il  battente  è  grande  a  volte  e  a  volte  minuscolo; 
ma  vi  predomina  la  foggia  a  martello,  cui  contendono  il  campo  i  draghi, 
le  iniziali,  gli  anelli,  e  più  raramente  gli  stemmi.  Tra  i  molti  esemplari 
della  collezione  in  cui  si  riconosce  la  mano  di  artefici  sottili,  è  assai 
infrequente  trovare  una  firma,  si  che  pocki  nomi  ci  si  fanno  innanzi; 
un  Salio,  un  Larducci,  un  Bertanelli,  un  Clementi  di  Reggio,  uno  Spani. 
In  complesso  l'opera  è  davvero  interessante  e  illumina  un  piccolo  ma 
curioso  lato  della  vita  artistica  dei  nostri  padri. 


BOLLETTINO  DI  BIBLIOGRAFIA  STORICA  LOMBARDA 
(dicembre  1904  -  giugno  ipoj) 


I  libri  segnati  con  asterisco  pervennero  alla  Biblioteca  Sociale. 

ACCÀSCINA  (C).  II  libro  d'oro  della  duchessa  Bona  (Con  ili.).  —  Secolo  XX, 
dicembre  1904. 

ALLAIN  (E.).  Brevi  notizie  su  'Plinio  il  giovane  (trad.  dal  francese  di 
E.  Mannucci).  Città  di  Castello,  S.  Lapi,  1904,  in-8,  pp.  x-ii8. 

—  Pline  le  jeune  et  ses  héritiers.  Addenda,  décembre  1904.  Paris,  Fon- 
te moing  éditeur. 

*AMBROSOLI  (S.).  La  zecca  di  Cantù  e  un  codice  della  Trivulziana  (fig.). 
—  Rivista  italiana  di  numismatica,  a.  XVII,  1904,  fase.  IV. 

* —  Seconda  aggiunta  alle  medaglie  del  Volta.  —  Rivista  italiana  di  nu- 
mismatica, fase.  IV,  1904,  pp.  602-603. 

ANDRICH  (G.).  Intorno  alle  origini  del  comune  in  Italia.  —  Rivista  ita- 
liana di  sociologia,  dicembre  1904. 

ANNONI  (A.).  Una  villa  della  fine  del  seicento  (La  villa  Litta  Modignani 
ad  Affori  presso  Milano).  —  Il  Buon  Cuore,  n.  52  (Numero  di  Na- 
tale, 1904). 

"" Annuario  della  R.  Accademia  scientifico-letteraria  per  l'anno  scolastico  1904- 
1905,  in-8,  Milano,  1905. 

NovATi  (F.).  Parole  dette  il  giorno  dell'  inaugurazione  dell'anno  scola- 
stico (5  novembre  1904).  —  Oberziner  (G.).  Le  origini  del  Cristianesimo 
nella  critica  e  nella  ipercritica.  Discorso  inaugurale.  —  Pubblicazioni  dei 
professori  durante  il  1904.  —  Programmi  e  orari  per  Tanno  scolastico. 

"Archivio  storico  per  la  città  e  comuni  del  circondario  di  Lodi.  Anno  XXIII, 
1904,  fase.  IV.  Lodi,  tip.  Quirico  &  Camagni. 

GoRLA  (L.).  Ospedali  Lodigiani  :  Ospitale  Fissiraga.  —  Agnelli  (G.). 
Il  generale  marchese  Annibale  Sommariva  [dalla  GaT^^etta  di  Lodi  del  19  set- 

Arch.  Stor.  Lomb.^  Anno  XXXII,  Fase.  VI.  25 


390  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

tembre  1829].  —  Lo  stesso.  Scavi  a  Graffignana  ;  Cose  d'arte  e  d'altro 
[Affresco  attribuito  al  Mantegna  donato  al  Museo  di  Lodi.  —  Esemplare 
delle  Notti  romane  di  A.  Verri,  con  dedica  del  Gonfalonieri  dal  castello  di 
Gradisca  al  compagno  di  prigione  Felice  Foresti,  nella   Biblioteca  di  Lodi]. 

—  La  viabilità  nel  Lodigiano  nel  secolo  XV  [cont.  ved.  num.  prec.  Dal- 
V Itinerario  Vignatense  alla  Braidense].  —  Indice  decennale  i89$-i^04. 

ARIAS  (G.).  Il  sistema  della  costituzione  economica  e  sociale  italiana  nel- 
l'età dei  comuni.  Torino-Roma,  casa  editrice  nazionale,  1905,  in-8, 
pp.  560  ("  Biblioteca  di  scienze  sociali  e  politiche  „,  n.  48). 

*Atti  e  Memorie  della  R.  Accademia  Virgiliana  di  Mantova.  Biennio  accademico 
1903-904.  Mantova,  stab.  Mondovi,  1904,  in-8,  pp.  xxxviiij-281. 

Lucchini  (L.).  Il  Panteon  dei  principi  Gonzaga  in  S.  Martino  dell'Ar- 
gine. —  Carreri  (F.).  Pietole,  Formicada  e  il  fossato  di  Virgilio.  —  Piz- 
ziNi  (A.).  Niccolò  Tommaseo.  —  Dall'Acqua  (A.  C.).  L'arte  del  quattro- 
cento a  Venezia.  —  Intra  (G.  B.).  Del  codice  Capilupiano  contenente  i  Trionfi 
di  Francesco  Petrarca.  —  Patuzzi  (L  ).  Sul  canto  di  Ugolino.  —  Richter  (V.). 
Vittorio  Alfieri.  —  Rambaldi  (P.  L  ).  Il  canto  XX  àéiVInferno. 

AUVRAY  (L.).  Inventaire  de  la  coUection  Custodi  (Autographes,  pièces 
imprimées  et  autres  documents  biographiques)  conservée  à  la  Bi- 
bliothèque  Nationale,  s"  article  [Macchi-Reina].  —  Bulletin  Italien 
(Annales  de  la  Faculté  des  lettres  de  Bordeaux)  to.  V,  n.  i,  1905, 
pp.  73-89. 

AVANCINI  (A.).  Da  Magenta  a  Solferino  (Polvere  ed  ombra).  Romanzo 
storico.  Appendici  alla  Gazzetta  del  Popolo  di  Torino,  n.  92,  2  aprile 
1905,  prec.  e  sgg. 

AVIGLIANO  (E.).  Il  paesaggio  in  quattro  poeti  (Virgilio,  Petrarca,  Tasso, 
Leopardi).  Napoli,  tip.  Festa,  1904,  in-8,  pp.  60. 

*  BABUT  (E.).  La  date  du  Concile  de  Turin  et  le  développement  de  l'auto- 

rité  pontificale  au  V*  siècle.  Réponse  à  mons.  Duchesne  et  à  M.  Pfister. 

—  Revue  Historique,  maggio-giugno,  1905. 

11  vescovo  di  Milano  presidente  e  convocatore  del  concilio  (417). 

*  BALLETTI  (A.).  La  collezione  Giorgio  Mylius  di  battenti  in  ferro  ed  in 

bronzo  :  note  illustrative.  Milano,  tip.  U.  Allegretti,  1905,  fol.,  pp.  15, 
con  20  tav. 

Cfr.  i  cenni  bibliografici  in  qvLtst' Archivio. 

BARATTA  (M.).  Curiosità  vinciane.  Torino,  fratelli  Bocca  edit.  (tip.  Vin- 
cenzo Bona),  1905,  in-8  fig.,  pp.  206. 

I.  Perchè  Leonardo  da  Vinci  scriveva  a  rovescio.  —  II.  Leonardo  da 
Vinci  enigmofilo.  —  III.  Leonardo  da  Vinci  nella  invenzione  dei  palombari 
e  degli  apparecchi  di  salvataggio  marittimi.  —  Piccola  biblioteca  di  scienze 
moderne,  n.  103. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  39I 

BARBAVARA  (G.  C).  Il  convento  di  S.  M.  delle  Grazie  in  Varallo.  —  // 
Piemonte,  a.  II,  n.  32,  1904. 

BARBIERA  (R.).  Verso  l' ideale  :  profili  di  letteratura  e  d'arte,  con  pagine 
inedite  di:  Adelaide  Ristori,  Domenico  Morelli^  Tranquillo  Cremona^ 
Giuseppe  Revere,  Mosè  Bianchi,  Giovanni  Prati,  Emilio  Praga^  Ar- 
rigo Botto,  Giovanni  Verga,  Ada  Negri,  Emilio  Zola.  Milano,  libreria 
editr.  nazionale,  1905,  in-i6,  pp.  436. 

'^BARBIERI  (sac.  C).  L'Immacolata  a  Vigevano,  —  Rivista  di  scienze  sto- 
riche, marzo  1905. 

BASERGA  (sac.  dott.  G.).  Note  di  storia  Vallintelvese,  —  La  Valle  Intelvi 
di  Como,  a.  IMII,  1904-1905,  nn.  59,  63,  65,  67,  69,  73,  75,  77,  80,  85, 
87,  90. 

XXIX.  Feudi   e  contee  in  Valle  :  I  Camuzii.  —   XXX.  I  Rusca.  — 

XXXI.  Gli  ultimi   conri  e  feudatarj.   I   Marliani    e   i   Riva   Andreotti.  — 

XXXII.  La  Valle  sotto  i  duchi  Visconti.  —  XXXIII.  Gli  Sforza.  — 
XXXIV.  Le  condizioni  della  Valle  sotto  i  duchi  di  Milano.  —  XXXV.  Me- 
morie sulla  peste  in  Valle.  —  XXXVI.  Ancora  sulla  peste;  memorie  e 
leggende.  —  XXXVII.  Guelfi  e  Ghibellini  in  Valle.  —  XXXVIII-XL.  Ori- 
gine delle  parrocchie. 

"^BAUDI  DI  VESIVIE(B.).  L'origine  romana  del  comitato  langobardo  e  franco. 
Comunicazione.  —  Atti  Congresso  storico  internazionale,  voi.  IX, 
pp.  231-327. 

Una  prima  edizione  della  presente  memoria  trovasi  in  Boll.  stor.  subal- 
pino^ VII,  n.  5,  1903,  ma  con  documentazione  molto  meno  sviluppata. 

BAZETTA  (dott.  N.).  Storia  della  città  di  Domodossola  dall'era  romana 
all'apertura  del  traforo  del  Sempione.  Appendice  della  Libertà  di 
Domodossola,  nn.  6,  7,  febbraio  1905  e  sgg. 

BEKK  (A.).  Baiern,  Gothen  und  Langobarden.  Beitrag  zur  Lòsung  der 
Bajuvarenfrage.  Salzburg,  E.  HoUrigl,  1904,  in-8,  pp.  35. 

BELLODI  (R.).  La  casa  di  Giovanni  Boniforti  a  Mantova.  —  Arte  italiana 
decorativa,  a.  XIII,  1904,  pp.  32  sg. 

*BELTRAIVII  (A.).  Quale  delle  due  lezioni  Mella  (Mela)  o  Melo  (Mello)  sia 
da  preferire  in  Catullo  (e.  LXVII,  v.  33).  —  Atti  Congresso  storico 
internazionale,  voi.  II  (Roma,  1905). 

Conchiude  in  favore  di  Melo,  che  secondo  ogni  verosimiglianza  sarebbe 
l'odierno  Garza  presso  le  mura  di  Brescia. 

BELTRAMI  (arch.  L.).  Die  Certosa  von  Pavia.  Mailand,  U.  Hoepli  edit., 
(Druck  von  U.  Allegretti),  1905,   in-i6  fig.,  p.  viij-175,  con  12  tav. 


392  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

BELTRAMi  (arch.  L.).  Bramante  e  la  sistemazione  del  Tevere.  —  Nuova 
Antologia,  fase.  CXIV. 

—  Cose  d'arte.  —  Gazzetta  Ticinese  di  Lugano,  n.  del  21  novembre  1904. 

Interessante  lettera  del  B.  al  pittore  Luigi  Rossi  (12  novembre  1904) 
intorno  all'antica  artistica  casettina  di  proprietà  ing.  Lucchini  situata  nel 
nuovo  corso  Pestalozzi  in  Lugano. 

I  musei  e   la    cleptomania    artistica   (Con  ili.).    —   La  Lettura,   gen- 
naio 1905. 
I  "  rebus  „  di  Leonardo.  —  Corriere  della  Sera,  15  febbraio  1905. 

—  La  basilica  ambrosiana  primitiva  e  la  ricostruzione  compiuta  nel  se- 

colo X.  2.'  edizione  illustrata.  Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Cogliati,  1905, 
in-4  fig.,  pp.  57.  [v.  Ricci], 

*BERTARELLI  (dott.  A.).  La  via  Monte  Napoleone  nella  Milano  Vecchia, 
inaugurandosi  la  nuova  sede  del  Touring  Club  Italiano.  Milano, 
tip.  U.  Allegretti,  1904,  in  8  fig.,  pp.  42,  con  tav. 

* —  Spiegazione  e  stato  numerico  delle  raccolte  del  dott.  Achille  Ber- 
tarelli  al  i.°  gennaio  1905.  Milano,  tip.  U.  Allegretti,  1905,  in-8,  pp.  19. 

BERTOGLiO  PISANI  (N.).  Trovamenti  e  scavi  nel  circondario  di  Abbiate- 
grasso.  —  Arte  e  Storia,  nn.  3-4,  1905. 

*  BERTONI  (G.).  Un  rimaneggiamento  toscano  del  "Libro  „  di  UgU9on  da 

Laodho.  —  Studi  Medievali,  a.  I,  fase.  II  (1905). 

BiAGINI  (R.).  Sull'interpretazione  d'un  luogo  di  Ovidio  e  di  Virgilio  — 
Rendiconto  delle  tornate  e  dei  lavori  dell'Accademia  di  archeologia  e 
lettere  di  Napoli.  Nuova  serie,  a.  XVIII,  1904, 

BODENHAUSEN  (Baronin  von).  Eine  Heldin  des  XV'^  Jahrhunderts  :  Cathe- 
rina  Sforza.  —  Nord  und  Siid,  Bd.  XCIX. 

BODONI  (G.  B.).  Lettere,  prefazione  per  una  sua  edizione  della  "  Geru- 
salemme Liberata  „  e  lettere  di  Lodovico  Savioli  a  G.  B.  Bodoni, 
pubblicate  da  Zamorani  e  Albertazzi.  Bologna,  stab.  tip.  Zamorani 
&  Albertazzi,  1904,  fol.,  pp.  28,  con  ritr. 

BOERI  (A.).  A,  Manzoni  contro  P.  Giannone  e  l'Antologia  critica  del  Mo- 
randi.  —  Biblioteca  delle  scuole  italiane,  a.  X,  n.  16. 

A  giustificazione  dello  storico  napoletano  accusato  di  plagio. 

*  Bollettino  di  numismatica  e  di  arte  della  medaglia.  Anno  III,  1905,  in-8  gr. 

Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Cogliati. 

N.  I.  Monti  (P.)  &  Laffranchi  (L.).  Non  Tarraco,  ma  sempre  Tici- 
num  e  MedioJanum. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  39^ 

M  2.  GiORCELLi  (G.).  Una  nuova  zecca  piemontese  medioevale  scono- 
sciuta [zecca  di  Dego].  —  Ricci  (S.).  La  nuova  zecca  di   Dego  (Ponzone). 

—  Medaglia  della  Banca  Popolare  di  Milano.  —  Medaglia  annuale  verdiana. 

N.  j.  Perini  (Q).  Il  ripostiglio  di  Carribollo  (presso  Marostica)  [grosso 
di  Brescia  coi  tre  santi]. 

N.  4.  Perini  (Q,).  Il  ripostiglio  di  Carribollo  [tirolino  di  Mantova 
dei  Bonacolsi]. 

*  Bollettino  della  Società  Pavese  di  storia  patria.  Anno  IV,  fase.  IV,  e  anno  V, 

fase.  I,  in-8  gr.  Pavia,  tip.  succ.  Fusi,  1904-1905. 

Fase.  IV,  1904.  CosTANzi  (V.).  La  rivolta  di  Pavia  e  la  catastrofe  di 
Stilicone.  —  Gorra  (E.).  Il  nome  di  Pavia,  —  Vidari  (G.J.  Gerolamo 
Cardano  (Conferenza).  —  Boffi  (A.).  &  Pezza  (F.).  Diplomi  inediti  di 
Carlo  V  e  degli  Sforza  isopra  il  dazio  di  Mortara.  —  Recensioni  :  Majocchi, 
di  Malaguzzi,  Gio.  Antonio  Amadeo.  —  "Bollettino  hihliograflco.  —  Recenti 
pnbblica:(ioni. 

Fase.  /,  190/.  Levi  (E.).  Una  contesa  di  precedenza  tra  Cremona  e 
Pavia  nei  secoli  XVI,  XVII  e  XVIII  [Continuazione].  —  Rota  (E.).  Sopra 
un  tentativo  d'industria  serica  in  Pavia  nel  secolo  XVI.  —  Bustico  (G.).  I 
teatri  musicali  di  Pavia.  I.  Il  teatro  Fraschini,  177  5-1900  [Coniinuaiione^ 
anni  1851-1900].  —  Pisani-Dossi  (A.).  Verdesiacum  (con  ili.).  —  Ram- 
POLDI  (R.).  Intorno  al  significato  del  vocabolo  storico  «  Regisole  ».  —  Re- 
censioni. —  Bollettino  bibliografico.  —  Noti'^ie  ed  appunti  [tombe  romane  di 
età   tarda   in    Pavia].  —  Necrologio.  —  Atti  della  Società. 

*  Bollettino  della  Società  per  gli  studj   di    storia  patria  nel  Tortonese.  In-8. 

Tortona,  tip.  libr.  Rossi,  1904-1905. 

Fase.  VI.  Cereti  (P.  E.).  L'assedio  di  Tortona  nel  1745.  Diario  di 
Carlo  Fulchignone  (con  i  pianta).  —  Sant'Ambrogio  (D.).  Una  pala  d'altare 
tortonese  in  Pavia. 

Fase.  VII.  —  Gabotto  (F.).  Del  reggimento  e  dei  rivolgimenti  interni 
di  Tortona  dal  1156  al   1215.  —  Abba   (G.  C).  Alberti  Leardi  (con  ili.). 

—  Torelli  (E.).  Desaix  nel  Tortonese  alla  vigilia  di  Marengo.  —  Recensioni. 

—  Noti:^ie. 

*  Bollettino  storico  della   Svizzera  Italiana.   Anno  XXVI-XXVII,  1904-1905. 

Bellinzona,  tip.  Colombi. 

igo4y  nn.  ii'i2.  Ancora  artisti  del  lago  di  Lugano  (A  Pontremoli,  Pe- 
rugia, Torino,  Posen,  Como,  Genova  e  Bellagio).  —  Un  de  Sacco  podestà 
di  Como,  le  Umiliate  di  Locamo  ed  il  vecchio  ponte  di  Roveredo.  —  Per 
la  facciata  di  S.  Lorenzo  di  Lugano  [1517-1593]-  —  Catalogo  dei  documenti 
per  l'istoria  della  prefeitura  di  Mendrisio  e  pieve  di  Balerna  dell'anno  1500 
circa  all'anno  1800  tratti  dall'Archivio  in  Mendrisio  [Cont.  anni  1651-1781  e 
1 507-1 566J.  —  Un  bleniese  principe  abate  di  Disentis  [l'abate    Colombano 


394  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

Sozzi,  eletto  nel  1764,  e  in  relazione  col  conte  di  Firmian  in  Milano,  quale 
rappresentante  del  partito  austriaco  nei  Grigioni].  —  Il  Petrarca  e  la  Sviz- 
zera [A  proposito  delle  pubblicazioni  Novati  e  Rossi].  —  Varietà  :  Violazione 
di  confine  a  Chiasso  (1763);  I  Tondù  di  Centovalli  (a  Piacenza)  —  Cro- 
naca. —  Bollettino  bibliografico. 

190$,  nn.  7-5.  Balli  (G.).  Sulla  storia  del  regime  matrimoniale  nel  Ti- 
cino. —  PiLOT  (A.).  Due  documenti  vernacoli  inediti  in  proposito  della  Lega 
tra  Venezia  e  i  Grigioni  nel  1603.  —  A  Bellinzona  nel  1477  (documenti 
sforzeschi).  —  Fra  i  monti  della  Mesolcina  [il  p.  gesuita  Lana  a  Mesocco 
nel  1729  ;  il  Beccaria  ed  il  Trontano,  protestanti  in  Mesolcina].  —  Appunti 
di  storia  ossolana  (secoli  XIV-XVII).  —  Varietà  :  La  famiglia  Molo  origi- 
naria del  lago  di  Como;  Motti  e  versetti.  —  Catalogo  dei  documenti  per 
la  storia  di  Mendrisio.  —  Cronaca.  —  Bollettino  bibliografico. 

BONER  (E.  G.).  La  poesia  del  Natale.  Immediatamente  prima  e  dopo  il 
Manzoni.  —  Natura  ed  Arte,  i.°  gennaio  1905. 

*  BONI  (dott.  G.).  S.  Bernardino  da  Siena  a  Pavia.  Pavia,  tip.  succ.  Fusi, 

1904,  in-i6,  pp.  24. 

Cfr.  i  Cenni  bibliografici  in  questo  fascicolo  dell'Archivio. 

BONNAL  (general  H.).  Le  Haut  Commandement  frangais  au  début  de 
chacune  des  guerres  de  1859  et  de  1870.  La  manoeuvre  de  Magenta. 
Le  désastre  de  Metz.  In-8  gr.  Paris,  édit.  "  Revue  des  idées  „,  1905. 

*  Borromeo.   —  VAN  ORTROY  (F.).  Recensioni  di  Cartono,  Un  gran  rifor- 

matore del  secolo  XVI  e  di  Locatelli,  Il  4  novembre  1603  e  1604.  — 
Analecta  Bollandiana,  to.  XXIV,  fase.  III  (1905),  pp.  314-316. 

Con  parecchi  appunti.  —  Ivi  pure  recensioni  degli  scritti  di  Felician- 
geli,  Sulla  monacazione  di  Sveva  Montefeltro  Sforza,  signora  di  Pesaro,  di 
Bruitone  e  Dell'Acqua,  I  Ghislieri  e  Di  San  Pio  V  papa. 

BOSELLI  (A.).  Pellico  e  Manzoni.  —  Per  l'Arte,  a.  XVI,  n.  12. 
BOSSCHA  (J.).  Correspondance  de  A.  Volta  et  de  M.  van  Marum.  Leyde, 
Sijthoff,  1904,  in-8,  pp.  xx-202  et  pi. 

*BOTTEGHI  (L.  A.).  Ezzelino  e  reiezione  del  vescovo  in  Padova  nel  se- 
colo XIII.  —  Aiti  e  Memorie  della  R.  Accademia  delle  scienze  di  Pa- 
dova. Nuova  serie,  voi.  XX  (1904). 

BOUCHOT  (H.).  Les  primitifs  frangais,  1292-1500,  complément  documen- 
taire  au  Catalogne  officiel  de  l'Exposition,  in-i6.  Paris,  librairie  de 
l'art  ancien,  1904. 

Cfr.  il  capitolo  sulVOuvraige  de  Lombardie. 

—  l  primitivi  francesi:  "  L'Ouvrage  de  Lombardie  „,  con  5  ili.,  e  una 
tav.  -  L'Arte,  a.  Vili,  fase.  I. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  395 

*  BOURGIN  (G.).  La  surveillance  des  émigrés  fran9ais  dans  les  États  pon- 

tificaux  en  1793.  —  Revue  Historique^  1904,  to.  LXXXV,  pp.  285-287. 
Pubblica  una  lettera  di  denuncia  indirizzata  dal  conte  A.  Greppi  al  car- 
dinale Zelada  contro  un  prete  francese. 

BRAUSE-MANSFELD  (A.).  Feld-Noth  und  Belagerungsmiinzen  von  England 
Frankreich,  Holland,  Italien,  Spanien.  II.  Berlin,  Stargardt,  1904,  fol, 
pp.  VI11-81  e  38  tav. 

BRESCIANO  (G.).  Ricerche  bibliografiche  :  II.  Altre  edizioni  napoletane  di 
ignoti  tipografi  del  secolo  XVI.  —  Revue  des  bibliothèques,  XIV, 
nn.  1-4,  1904. 

La  prima  è  un  opuscolo  dettato  dal  celebre  filosofo,  matematico  e  me- 
dico Agostino  Nifo  da  Sessa,  Ai  Apolelesmata  Ptolemaei  Eruditiones  finora 
l'unica  produzione  tipografica  dello  stampatore  Pietro  Maria  De  Richis  da 
Pavia  (1513). 

BROGNOLIGO  (G.).  Studi  di  storia  letteraria.  Roma-Milano,  Albrighi  Se- 
gati &  C.,  1904,  in-i6. 

5.  Ivanhoe  e  i  Lombardi  alla  prima  Crociata  [studio  che  tende  a  dimo- 
strare che  tra  il  romanzo  dello  Scott  e  il  poema  del  Grossi  somiglianze 
non  se  ne  possono  additare,  cfr.  Giornale  Storico,  fase.  134-155,  p.  409]. 

Bucato.  —  Zanetto  Bugatto.  —  Revue  Archéologique^  novembre-dicembre 
1904,  pp.  421-22  [cfr.  Seidlitz], 

Pittore  ritrattista  alla  corte  sforzesca. 

BURCHARD-BÉLAVARY  (capitaine).  Eistoire  du  5.^  bataillon  de  chasseurs 
(Algerie,  Crimea,  Italie,  Metz).  Récits  dédiés  aux  chasseurs  du  ba- 
taillon. Limoges-Paris,  Charles-La vauzelle,  1904,  in-i6,  pp.  251. 

*  BUTTI  (A.)   Spigolature  d'archivio  intorno  a  Francesco  Albergati  (1728- 

1804).  —  Giornale  storico  della  letteratura  italiana,  fase.   133  (1905). 

Relazioni  tra  l'Albergati  revisore  delle  stampe  e  dei  libri,  e  la  repub- 
blica italiana,  secondo  documenti  dell'Archivio  di  stato  milanese. 

BUTTURINI  (M.).  Nell'anniversario  della  morte  di  Luigi  Arrigoni,  bibliofilo 
milanese.  Salò,  P.  Veludari,  1905. 

BUZZETTI  (P.).  Regesto  per  documenti  di  Moltrasio.  Como,  tip.  coope- 
rativa co  mense,  1904. 

*Caccia-Dominioni.  —  Necrologia  della  contessa  Maria-Teresa  Caccia- 
Dominioni  nata  Brambilla  di  Civesio.  —  Giornale  araldico-genealogico, 
n.  I,  1905. 

Con  appunti  per  la  genealogia  dei  Caccia-Dominioni,  diramazione  del- 
l'antico casato  novarese  dei  Caccia  e  dei  Brambilla,  originari  della  valle 
Brambilla,  nel  Bergamasco. 


396  BOLLETTIiNO   BIBLIOGRAFICO 

CACCIARI  (L.  B.).  Compendio  della  vita  di  S.  Alessandro  Sauli.  Napoli, 
D'Auria,  1904,  in-8,  pp.  246. 

CADOLINI  (G.).  Una  fuga  ai  tempi  del  governo  militare  austriaco.  — 
Nuova  Antologia^  16  febbraio  1905. 

CADORNA  (ten.  gen.  L.).  Il  generale  Raffaele  Cadorna  nelle  memorie  ine- 
dite del  generale  Angioletti.  Appunti.  —  Nuova  Antologia,  16  aprile 
1905. 

CAGNOLA  (G.).  A  proposito  di  un  ritratto  di  Bernardino  de'  Conti  (ili.). 
Rassegna  d'Arte^  aprile  1905. 

—  Intorno  a  Francesco  Napoletano  [allievo  di  Leonardo  da  Vinci].  — 
Rassegna  d'Arte,  giugno  1905. 

*  CALDANA  (G.).  Le  inedite  Elegie  erotiche  di  Cesare  Rovidio.  —  L'Ateneo 
Veneto^  gennaio-febbraio  1905. 

Il  poeta  Rovidio,  che  è  milanese,  visse  nella  seconda  metà  del  secolo  XVI 
e  i  suoi  versi  latini  si  leggono  in  un  codice  dell'Ambrosiana. 

CALMETTE  (J.).  Contribution  à  la  critique  des  mémoires  de  Commynes. 
Les  ambassades  en  Espagne  et  la  mort  de  D.  Juan  de  Castille  en 
1497.  —  Moyen-Age,  mai-juin  1904. 

CALZINI  (E.).  A  proposito  delle  due  statue  :  "  Il  Cupido  di  Michelangelo  „ 
e  la  "  Venere  Antica  „  passate  dalla  corte  di  Urbino  a  quella  di 
Mantova.  —  Rassegna  bibliografica  delVarte  italiana,  a.  Vili,  fasci- 
coli III-IV,  1905. 

CAMETTI  (A.).  Donizetti  a  Roma.  Con  lettere  e  documenti  inediti.  — 
Rivista  musicale  italiana,  fase.  I,  1905  e  prec. 

CAMPANI  (A.).  Bianca  Milesi-Mojon.  Dalla  "  Notice  Biographique  „  d'Érjnle 
Souvestre,  tradotta  e  integrata  con  nuovi  documenti.  —  Rassegna 
Nazionale,  1°  aprile,  i.°  maggio  1905  e  sgg.' 

CAMPORI  (M.).  Epistolario  di  L.  A.  Muratori.  Voi.  VIII  (1734-1737).  Mo- 
dena, Società  tipografica  modenese,  1905,  in-8,  pp.  600. 

Cane.  —  La  fortuna  di  Facino  Cane.  —  Rivista  di  fanteria,  novembre- 
dicembre  1904. 

*CANTOR  (M.).  Hieronymus  Cardanus.  Ein  wissenchaftliches  Lebensbild 
aus  dem  XVI  Jahrhunderte.  —  Atti  Congresso  storico  internazionale, 
voi.  XII,  1904. 

Capitanio.  —  Scritti  spirituali  della  venerabile  Bartolomea  Capitanio. 
Voi.  II.  (Pratiche  di  pietà),  in-8.  Modena,  tip.  pont.  dell'Immacolata 
Concezione,  1904. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  397 

*CARBONELLI  (G.).  La  Cronaca  chirurgica  dell'assedio  di  Casale  (1628- 
1629)  di  Horatio  Polino,  chirurgo  (Con  ili.).  —  Bollettino  storico-bi- 
bliografico subalpino f  a.  IX,  nn.  3-4  (1904). 

Curiosa  cronaca  chirurgica,  più  unica  che  rara,  importante  per  la  storia 
della  chirurgia  per  il  fatto,  oltre  gli  altri,  che  è  uno  dei  primi  tentativi  di 
fare  la  storia  clinica  del  ferito  più  colla  rappresentazione  figurata,  che  non 
colla  descrizione  grafica. 

CARDUCCI  (G.).  Opere.  Voi.  XV  (Su  Lodovico  Ariosto  e  Torquato  Tasso  : 
studi).  Bologna,  tip.  N.  Zanichelli,  1905,  in-i6. 

—  Prose,  MDCCCLIX-MCMin.  In-8.  Bologna,  tip.  N.  Zanichelli,  1905. 

13.  Il  secondo  centenario  di  L.  A.  Muratori  (1872).  14.  A  proposito  di 
alcuni  giudizi  su  Alessandro  Manzoni  (1873).  29.  Il  Petrarca  alpinista  (1882), 
35.  Per  la  inaugurazione  di  un  monumento  a  Virgilio  in  Pietole  (1884). 
44.  Il  discorso  di  Lecco  (1891).  57.  Dello  svolgimento  dell'ode  in  Italia  (1902). 

CAROTTI  (G.).  Il  candelabro  di  bronzo  detto  1'  "  Albero  „  nel  Duomo  di 
Milano  (Con  dettagli  e  figure).  —  Arte  italiana  decorativa^  a.  XIII, 
1904,  n.  9. 

—  Corriere  di  Lombardia.  —  L'Arte,  a.  VIII,  1905,  fase.  I. 

Ricca  decorazione  plastica  della  vòlta  d'una  sala  del  palazzo  Marino  in 
Milano.  —  Una  nuova  raccolta  d'opere  d'arte  [raccolta  Grandi].  —  Un  af- 
fresco del  XV  secolo  riapparso  nel  palazzo  vescovile  di  Como.  —  Asta  di 
quadri  antichi  [Genolini]. 

*CARRERI  (prof.  F.  C).  Studj  Virgiliani:  Il  paese  del  Poeta  [Pietole].  — 
Erudizione  e  Belle  Arti,  a.  II.  Nuova  serie,  fase.  III-IV  (1905). 

* —  La  famiglia  Ripari,  patrizia  cremonese.  —  Giornale  araldica-genea- 
logico, a.  XXVllI.  Numero  supplementare  (1904). 

* —  Di  alcune  Torri  di  Mantova  e  di  certi  aggruppamenti  feudali  e  al- 
lodiali nelle  città  e  campagne  lombarde.  Nota  storico-giuridica.  Man- 
tova, Mondovi,  1905,  in-8  gr.,  pp.  22. 

* —  Alcuni  diplomi  della  casa  Castaldi.  —  Giornale  araldica-genealogico- 
diplomitico,  febbraio-marzo  1905. 

Diplomi  imperiali  degli  anni  1528-15 71  a  favore  di  G.  B.  Castaldo, 
noto  guerriero  al  soldo  spagnolo  nelle  guerre  di  Lombardia,  e  de'  suoi  suc- 
cessori marchesi  di  Cassano  e  conti  di  Piadena,  Calvatone  e  Spineda. 

CARTWRIGHT  JULIA  (Mrs.  Henry  Ady).  Beatrice  d'Este,  duchess  of  Milan, 
1475-1497.  A  Study  of  the  Renaissance,  in-8  ili.  London,  Dent,  1905. 

Catalogo  delle  opere  araldiche,  genealogiche,  biografiche  e  storiche,  ma- 
noscritte e  stampate,  componenti  l'Archivio    araldico    Vallardi   fon- 


398  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

dato  dalla  nobile  famiglia  Bonacina  ed  ampliato  dalle  riunite  biblio- 
teche araldiche  Bianchi,  Vallardi,  Tenenti,  Tettoni  e  Litta.  Milano, 
tip.  A.  Vallardi  edit.,  1905,  in-8,  p.  35. 

Catalogo  illustrato  della  sezione  Arte  Sacra  nella  Rotonda  o  Duomo 
Vecchio  (Esposizione  bresciana  1904).  Brescia,  tip.-lit.  editr.  F.  Apol- 
lonio, 1904,  in-8  fig.,  pp.  126. 

Catalogo  dei  duplicati  da  alienare  (Biblioteca  Comunale  di  Crema). 
Crema,  tip.  V.  Moretti,  1905,  in-8,  pp.  40. 

CAVAGNA  SANGIULIANI  (A.).  H  chiostro  di  Piona  e  l'urgenza  di  restau- 
rarlo. —  Provincia  di  Como^  io  ottobre  1904. 

—  V.  Rivista  Archeologica. 

*CERiOLI  (A.).  Su  di  un  monumento  inedito  alla  B.  Guarisca  Arrigoni 
nella  Valle  Malaspina  di  Canneto  Pavese  con  cenni  storici  su  Val 
Taleggio  (Descrizione,  esame,  documenti).  —  Rivista  di  Storia  di  Ales- 
sandria, ottobre-dicembre  1904,  con  tav. 

—  L'arca  di  S.  Contardo  d'  Este,  protettore  di  Broni  e  comprotettore  di 

Modena  :  notizie  e  documenti.  Broni,  tip.  E.  Corbellini,  1904,  in-8, 
p.  20,  con  tav. 

CHATELAIN  (E.).  Les  palimpsestes  latins.  —  Annuaire  de  rÈcole  des  hautes 
études^  1904. 

Tra  le  principali  biblioteche  d'Europa  che  conservano  dei  palimsesti 
latini  è  annoverata  l'Ambrosiana  che  vanta  un  trattato  teologico  ariano  (in 
parte)  e  le  Recognitiones  di  papa  Clemente  (secolo  VII). 

CHIATTONE  (D.).  Gli  studenti  "  costipati  „  del  1821  [con  due  lettere  del 
De  Cardenas  al  Confai onieri].  —  Il  primo  costituto  del  Saluzzese. 
Ingenuità  tragiche  di  cospiratori  :  Foresti,  Maroncelli  e  Gonfalonieri 
alla  luce  dei  nuovi  documenti.  —  //  Piemonte,  a.  II,  n.  23,  nn.  5-6, 
nn.  49-51  (1904). 

CHILESOTTI  (O.).  Francesco  da  Milano.  Leipzig,  1903. 

GIACCIO  (L.).  Gian  Martino  Spanzotti  da  Casale,  pittore  fiorito  fra  il 
1481  ed  il  1524.  —  L'Arte^  to.  VII,  1904,  pp.  441-57. 

Lo  Spanzotti  è  il  maestro  del  Soddoma,  e  milanese  d'origine. 

GIAN  (V.).  Un  nuovo  trionfo  d'amore  di  Gianfrancesco  Puteolano.  Pisa, 
tip.  succ.  Nistri,  1904,  in-8,  pp.  29  (Nozze  D^Ancona-Cardoso). 

Due  capitoli  ternari  del  Puteolano,  parmigiano  e  poeta  alla  corte  sfor- 
zesca, tratti  da  un  codice  della  Marciana  e  derivanti  dai  Trionfi  petrarcheschi. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  399 

CICCHITELLI  (VJ.  Sulle  opere  poetiche  di  Marco  Girolamo  Vida.  Napoli 
Pierro,  1904. 

CINQUINI  (A.).  Spigolature  da  codici  manoscritti  del  secolo  XV  :  I  poeti 
latini  alla  corte  di  Francesco  Sforza  [Pier  Candido  Decembrio,  Giorgio 
Valagussa,  Gio.  Antonio  Vimercati  ed  Angelo  Crivelli],  —  Classici 
e  neo-lafini  (foglio  bimestrale,  diretto  dal  prof.  Silvio  Pellini),  di 
Aosta,  a.  I,  n.  i,  1905. 

—  Spigolature  fra  gli  umanisti  del  secolo  XV.  Callimaco  Siculo.  Roma, 

Miscellanea  di  storia  e  coltura  ecclesiastica,  1905,  in-8,  pp.  14. 

Panegirista  del  maresciallo  Gian  Giacomo  Trivulzio. 

*  CIPOLLA  (C).  Il  conte  Loisio  di  S.  Bonifacio  podestà  di  Piacenza  nel 
1277.  —  Atti  R.  Istituto  Veneto,  to.  LXIV,  parte  II. 

Loisio  da  San  Bonifacio,  capo  del  partito  guelfo  in  Verona,  fu  man- 
dato definitivamente  in  esilio,  poco  dopo  che  su  quella  città  si  era  stabilito 
il  dominio  di  Mastino  della  Scala.  La  serie  dei  bandi  pronunciati  contro  di 
lui,  quale  sta  riferita  nelle  cronache,  lascia  luogo  a  dubbi,  che  il  Cipolla 
cerca  di  chiarire.  Cacciato  da  Verona,  Loisio  vagò  di  città  in  città.  Nel  1277 
fu  podestà  di  Piacenza  e  in  tale  qualità  giudicò  di  una  causa  fra  quella  città 
ed  il  monastero  di  S.  Giulia  di  Brescia.  Morì  podestà  di  Reggio  nel  1285. 

—  Notizie  e  documenti  sulla  storia  artistica  della  Basilica  di  S.  Colom- 

bano di  Bobbio  nell'età  della  rinascenza.  Roma-Milano,  Danesi-Hoepli 
edit.,  1904. 

CLEMENTI  (G.).  Il  B.  Venturino  da  Bergamo  dell'Ordine  de'  Predicatori 
(i  304-1346).  Roma,  Pustet,  1904,  in-8,  pp.  xxxii-479-149. 

Codice  diplomatico  dell'Università  di  Pavia,  raccolto  ed  ordinato  dal 
sac.  prof.  Rodoljo  Majocchi.  Voi.  1 :  1361-1400  (Società  Pavese  di 
storia  patria).  Pavia,  tip.  succ.  Fusi,  1905,  in-4,  p.  473. 

COLASANTI  (A.).  Gli  artisti  nella  poesia  del  Rinascimento.  Fonti  poetiche 
per  la  storia  dell'arte  italiana.  Saggio  di  bibliografia  delle  fonti  poe- 
tiche per  la  storia  dell'arte  italiana.  —  Repertorium  fiìr  Kunstwis- 
senschaft,  Bd.  XXVII,  1904,  pp.  193  sgg. 

*COLiNI  (prof.  G.  A.).  Relazione  sul  tema:  Determinare  in  quali  regioni 
italiane  si  abbiano  prove  certe  di  una  civiltà  della  pura  età  del 
bronzo,  e  se  per  ognuna  di  esse  debba  ammettersi  che  tale  civiltà 
avesse  una  sola  origine  e  si  svolgesse  nel  medesimo  tempo.  —  Aiti 
Congresso  internazionale  di  scienze  storiche,  voi.  V  (Roma,  1904). 

Completo  quadro  delle  popolazioni  che  abitavano  il  nostro  paese  all'epoca 
del  bronzo,  la  cui  civiltà  è  rappresentata  dai  resti  raccolti  nelle  palafitte 
lacustri  delle  Prealpi,   nelle  terremare   della  valle  del  Po,  e  nelle  grotte   e 


400  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

nelle  stazioni  di  capannicoli  di  diverse  regioni  d'Italia.  Da  questo  esame 
si  desume  trattarsi  di  una  civiltà  che  ebbe  indubbiamente  una  origine  unica, 
svoltasi  contemporaneamente  alla  così  detta  civiltà  micenea. 

La  provenienza  della  civiltà  della  pura  età  del  bronzo  è  orientale,  ben- 
ché sia  giunta  per  vie  diverse  nell'  Italia  del  Nord  e  nella  Sicilia  ;  cioè  per 
vie  terrestri  nell'  Italia  settentrionale  e  per  vie  marittime  in  Sicilia. 

*  COLOMBO  (A.).  Ludovico  il  Moro  e  la  Francia  secondo  un  frammento  di 

cronaca  contemporanea,  —  Bolletiino  storico  bibliografico  subalpino^ 
a.  IX,  nn.  5-6  (1905). 

COLOMBO  (dott.  F.).  Appunti  sulla  vita  di  Temistocle  Arpesani,  con  pre- 
.    fazione   e    note    del    dott.    Lodovico    Corto.  Milano,  tip.    A.  Restelli,. 
1904,  in-8,  pp.  21. 

COMANDINI  (A.).  L'Italia  nei  Cento  Anni  del  secolo  XIX  giorno  per 
giorno  illustrata.  Dispense  44.*^  e  45.*,  in-i6  ili.  Milano,  A.  Vallardi 
edit,  1905. 

Cronaca  storico-aneddotica  dal  21  gennaio  al  i.°  ottobre  1847,  cioè 
dall'ascensione  di  Francesco  V  al  ducato  di  Modena  all'  ingresso  in  Milano 
dell'arcivescovo  Romilli.  Tra  le  illustrazioni  in  pagina  intera  notiamo  :  pi- 
roscafo rimorchiatore  Pio  IX  per  la  navigazione  sul  Po,  piazza  Fontana  in 
Milano.  Tra  le  illustrazioni  intercalate  nel  testo:  moneta  da  5  cent,  pel 
Regno  Lombardo-Veneto,  il  porto  di  Como  dipinto  da  Inganni,  porta  Mi- 
lano a  Pavia,  archi  dedicati  a  S.  Ambrogio,  a  S.  Caldino  e  a  S.  Carlo  in 
Milano  per  l' ingresso  dell'arcivescovo  Romilli,  piazza  Fontana  illuminata  a 
gas  e  stemma  dell'arcivescovo  Romilli.  Tra  i  ritratti:  Acerbi  Giuseppe,  Ca- 
stiglioni  Paola,  Confalonieri  Federico,  Gaysruck  Gaetano,  Lena  Perpenti 
Candida  e  Ferrarlo  Giulio. 

*  Commentari  dell'Ateneo  di  scienze,  lettere  ed  arti  in  Brescia  per  l'anno  T904, 

in-8.  Brescia,  tip,  Apollonio,  1904.  « 

Penargli  (G.).  Discorso  inaugurale  del  nuovo  anno  accademico,  Giu- 
seppe Zanardelli  e  l'Ateneo.  —  Cacciamali  (G.  B.).  Studio  geologico  della 
regione  Botticino-Serle-Gavardo.  —  Corniani  (ing.  G.).  La  navigazione  in- 
terna ed  il  porto  di  Brescia.  —  Glissenti  (avv.  F.).  Teodoro  Mommsen  a 
Brescia.  —  Da  Como  (U.).  Alcuni  autografi  di  Pietro  Giordani.  —  Cac- 
ciAMALi  (prof.  G.  B.)  Le  sorgenti  dei  dintorni  di  Brescia. 

Congrega  (La  veneranda)  della  carità  apostolica  di  Brescia  :  [cenni  sto- 
rici dalla  fondazione  al  1903J  in  occasione  dell'  Esposizione  di  Bre- 
scia, 1904.  Brescia,  tip.  pio  istituto  Pavoni,  1904,  in-4  fìg.,  pp.  vij-79, 
con  ritr.  e  io  tav. 

CONTESSA  (C).  Una  breve  relazione  -sulla  corte  di  Francia  nel  1682  e 
alcune    sulla   polizia    estera  degli   Inquisitori    di    Venezia.  Torino 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  4OI 

tip.  degli    Artigianelli,  1904,    in-8,    pp.   32   (Nozze   Dalla  Santa- Val- 
secchi). 

La  Relazione  è  del  marchese  Michele  Sagraraoso  di  Verona,  inviato  a 
Parigi  dal  duca  di  Mantova  coli*  incarico  di  complimentare  il  re  di  Francia 
per  la  nascita  del  duca  di  Borgogna  (cfr.  i  cenni  in  Nuovo  Archivio  Veneto^ 
to.  Vili,  fase.  II,  1905,  p.  596). 

*CONWAY  (R.  Seymour).  I  due  strati  nella  popolazione  indo-europea  del- 
l' Italia  antica.  —  Atti  Congresso  storico  internazionale,  voi.  II,  1905. 

Il  C.  tenta  distinguere  le  primitive  razze  indo-europee  dell'  Italia  per 
mezzo  dei  differenti  suffissi  da  esse  usati  nella  formazione  dei  nomi  etnici, 
emettendo  l'ipotesi  che  i  popoli  in  -  CO  appartengono  all'età  del  bronzo  e 
quelli  in  -  NO  rappresentino  l'età  del  ferro. 

*  CORTI  (G.).  La  famiglia  Della  Croce  di  Milano.  —  Giornale  araldico-ge- 

nealogico-diplomatico,  febbraio-marzo  1905 

*  COSTA  (E.).  Gerolamo  Cardano  allo  studio  di  Bologna.  —  Archivio  sto- 

rico italiano,  fase.  II,  1905. 

Da  nuovi  documenti  tratti  dall'Archivio  di  Stato  di  Bologna. 

COZZA  LUZI  (G.)  I  grandi  lavori  del  cardinale  Angelo  Mai.  —  Bessarione^ 
gennaio-febbraio  1905  e  prec, 

CRAVENNA  BRIGOLA  (M).  Cesare  Cantù  quale  educatore.  —  1/ Azione  Mu- 
liebre di  Milano,  febbraio-aprile  1905. 

CRISPOLTI  (F.).  Le  rivelazioni  dei  "  Brani  inediti  „  sul   Manzoni  storio- 
grafo. —  //  Momento  di  Torino,  26  e  30  novembre  1904. 

Cfr.  gli  Appunti  in  Gior.  star,  della  leti,  ital,,  fase.  134-35.  P*  4^0- 

*CRISTOFOLINI  (C).  Sub  Julio.  -    Atti   L   R.  Accademia   degli  Agiati  di 
Rovereto,  luglio-dicembre  1904. 

Nota  esegetica  a  proposito  dell'anacronismo  in  cui  Dante  sarebbe  ca- 
duto ponendo  dopo  il  60  i  natali  di  Virgilio,  che  aveva  undici  anni,  quando 
Cesare  fu  assunto  al  consolato,  ed  era  entrato  nel  quinto  lustro  al  tempo 
della  dittatura. 

*CRIVELLUCCI  (A.).  Les  évèches  d'Italie  et  l'invasion  Lombarde.  —  Studi 
Storici,  voi.  XIII,  fase.  III  (1905). 

*  Crollalanza.  —  Necrologio  del  cav.  Goffredo  di  Crollalanza.  —  Gior- 

nale araldica-genealogico,  n.  i,  1905. 

Con  notizie  per  la  genealogia  dei  Crollalanza,  famiglia  originaria  di 
Chiavenna. 


402  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

CUCCURULLO  (L.).  Di  una  probabile  fonte  dei  "  Sepolcri  „  foscoliani.  — 
Biblioteca  delle  scuole  italiane,  a.  XI,  n.  i. 

Parrebbe  lo  scritto  del  conte  Luigi  Lambertenghi  "  Sull'origine  e  sul 
luogo  delle  sepolture  „  edito  nel  periodico  II  Caj'é  (vedi  rettificazione  di 
V.  Ciati  nel  n.  5  della  Biblioteca). 

CUGNAC  (C*  de).  La  campagne  de  Marengo.  Paris,  Chapelot,  1904,  in-8, 
pp.  252  et  fìg. 

DALBONO  (E.).  Eleuterio  Pagliano  :  commemorazione.  —  Rendiconti  delle 
tornate  e  dei  lavori  dell'  Accademia  di  archeologia  e  belle  arti  di  Na- 
poli. Nuova  serie,  a.  XVIII,  1904. 

*  DALLA  SANTA  (G.).  Un  episodio  della  vita  universitaria  di  Giasone  del 

Majmo.  Venezia,  Visentin!,  1904,  in-8,  pp.  16   (Estr.    dal  Nuovo   Ar- 
chivio Veneto.  Nuova  serie,  to.  Vili,  parte  II). 

Documenti  del  1488  e  del  1496  relativi  ai  rapporti  di  Giasone  del 
Maino  con  la  repubblica  di  Venezia  riguardo  al  suo  insegnamento  in  Padova, 
quando  lasciò  quell'Università  nel  1488  e  vi  tornò  nel  1496. 

D'ANCONA  (A.).  Esilio  e  carcerazione  di  Pietro  Giordani.  (Nuovi  documenti 
da  archivi  e  biblioteche).  —  Nuova  Antologia,  16  marzo  e  i.°  aprile 
1905. 

—  Petrarca,  Galilei,  Leonardo,  Mazzini  e  la  Crusca  nelle  Edizioni  Na- 
zionali. —  Giornale  d'Italia,  17  agosto  1904. 

DAROWSKI  (C).  Bona  Sforza.  Rzym  [Roma],  tip.  Forzani  &  C,  1904,  in-i6, 
pp.  230,  con  4  ritr.  e  tav. 

*  DAVARi  (S.).  Descrizione  dello  storico  palazzo  del  Te  di  Mantova.  Illu- 

strata da  22  fotoincisioni.  Mantova,  Eredi  Segna,  1905,  in-8,  pp.  65. 

DE  CHIARA  (S.).  I  "  brani  inediti  „  dei  Promessi  Sposi.  —  L'Italia  Mo- 
derna, fase.  IX,  1904. 

DELARUELLE  (L.).  Un  professeur  italien  :  étude  sur  le  séjour  à  Milan  d'Aulo 
Giano  Parrasio.  —  Mélanges  de  philologie  in  onore  di  F.  Brunot. 

È  la  memoria  edita  nel  nostro  Archivio  (fase,  di  gennaio-marzo  1905). 

DEL  BALZO  (C).  L'Italia  nella  letteratura  francese  dalla  caduta  dell'im- 
pero romano  alla  morte  di  Enrico  IV.  Torino-Roma,  casa  editrice 
nazionale,  1905,  in-8,  pp.  416. 

*  de' MARCHI  (A.j.  Di  un  sarcofago  scoperto  a  Lambrate  (con  una  tav.). 

—  Rendiconti  Istituto  Lombardo^  serie  II,  voi.  XXXVIII,  fase.  VIII-IX 
(1905)- 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  •  403 

DE  MARTINO  (F.).  Ordine  del  Redentore.  —  Rivista  del  Collegio  Araldico^ 
a.  Ili,  n.  2,  1905. 

Fondato  dal  duca  Vincenzo  I  Gonzaga  di  Mantova  nel  1607. 

DE  NARDI  (P.).  Studi  antropologici  su  Rosmini,  Gioberti  e  Manzoni.  Forlì, 
tip.  Sociale,  1904,  in-8,  pp.  no. 

DETLEFSEN  (D.).  Die  geographischen  Biicher  (II,  242-vi  Schluss)  der  Na- 

turalis  Historia  des  C.  Plinius   Secundus   mit  vollstàndingem   kriti- 

schen  Apparat  herausgegeben.  Berlin,  Weidmann,  1905,  in-8,  pp.  xxii- 

282  ["  Quellen  und  Forschungen  zur  alten  Geschichte  und  Geogra- 

.  phie  „  di   W.  Sieglin]. 

*DE  TONI  (G.  B.)  &  SOLMI  (E.).  Intorno  all'andata  di  Leonardo  da  Vinci 
in  Francia.  —  Atii  R.  Istituto  Veneto  di  scienze  e  lettere,  to.  LXIV, 
disp.  3.*  (1905). 

DITO  (dott.  O.).  Massoneria,  Carboneria  ed  altre  Società  segrete  nella 
Storia  del  Risorgimento  italiano.  Torino-Roma,  casa  editrice  nazio- 
nale, 1905,  in-8,  pp.  450  ("  Biblioteca  Storica  „,  n.  119). 

DOIZÉ  (J.).  Le  ròle  politique  et  social  de  Saint  Grégoire  le  Grand  pen- 
dant les  guerres  lombardes.  —  Etudes  publiées  par  des  frères  de  la 
Compagnie  de  Jesus,  20  aprile  1904. 

*  DONATI  (T.).  I  Francesi  a  Parma  dal  1796  al  181 4  e  la  satira  d'un  prete 
parmigiano.  —  Rivista  di  scienze  storiche,  dicembre  1904. 

DoNizETTi.  —  Gaetano  Donizetti  e  il  "  Don  Pasquale  „.  —  Musica  e  Mu- 
sicisti, n.  I,  1905  [v.  Cametti\. 

*DRIAULT  (E.).  Napoléon  l"""  et  l'Italie.  lèrepartie:  Bonaparte  et  la  répu- 
blique  cisalpine.  I.  Marengo.  —  Revue  Historique,  maggio-giugno  1905 
[continua], 

DUBAI L-ROY.  La  défense  du  chàteau  de  Milan  en  1799  par  le  chef  de 
bataillon  Béchaud.  —  Bulletin  de  la  Société  belfortaine  d'émulation, 
1904  (Belfort). 

Il  D.  pubblica  integralmente  le  risposte  del  capo  battaglione  Béchaud 
(più  tardi  generale)  per  giustificarsi  d'aver  reso  il  castello  di  Milano  la  di 
cui  difesa  gli  era  stata  affidata  senza  materiale  sufficiente. 

DUBOIS  (A.).  Saint  Alexandre  Sauli,  barnabite.  In-8.  Paris,  libr.  Saint- 
Paul,  1905.  • 

DUHEM  (P.).  Albert  de  Saxe  et  Léonard  de  Vinci.  —  Bulletin  Italien^ 
to.  V,  n.  T,  gennaio-marzo  1905. 

Gli  scritti  scolastici  di  Alberto  di  Sassonia  furono  fonti  intellettuali  per 
Leonardo. 


404  ♦  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

Duomo  di  Milano.  —  La  riforma  della  facciata  del  Duomo  di  Milano.  — 
//  Politecnico,  ottobre  1904. 

—  Ornamenti  nelle  erme  dei  Dottori  della  chiesa  reggenti  il  pulpito  me- 

ridionale del  Duomo  di  Milano.  —  Pulpito  meridionale  nel  Duomo 
di  Milano  opera  di  Francesco  Brambilla,  anno  1599.  —  Arte  ita- 
liana decorativa,  a.  XIV,  n.  2,  1905. 

—  V.  Sant'Ambrogio. 

ECIDI  (E.).  Briciole  castiglionesche.  Viterbo,  tip.  sociale  Agnesotti  &  C, 
1904,  in-8,  pp.  18. 

ELIA  (A.).  Ricordi  di  un  garibaldino  dal  1847-48  al  1900.  Roma,  lit.  del 
Genio  civile,  1904,  in- 16,  pp.  ix-306  e  476. 

*  ERRERÀ  (C).  Lago  di  Mezzola  e   lago  di   Como.  —  Bollettino  della  So- 

cietà geografica  italiana,  febbraio  1905. 

EVELYN.  Leonardo  da  Vinci.  —  Rivista  per  le  Signorine,   gennaio   1905. 

—  Il  Sodoma  nell'arte  senese.  -  Cronache  della  civiltà  elleno-latina  (Roma) 

a.  Ili,  n.  6,  T904. 

F.  Una  nuova  opera  su  Leonardo  da  Vinci.  —  Rassegna  Nazionale, 
16  dicembre  1904. 

FABRICZY  (C.  von).  Die  Bliite  der  Sticherei  und  Teppichvv^eberei  in 
Mailand.  —  Die  Baugeschichte  von  S.  Sebastiano  in  Mantua.  —  Ein 
neues  Basrelief  von  Gio.  Antonio  Omodeo.  —  Ein  Brief  Antonio 
Averulinos.  —  Ein  neues  Werk  lombardischer  Holzskulptur.  —  Re- 
pertorium  fiir  Kunstwissenschaft,  Bd.  XXVII,  pp.  84,  188,  378. 

—  Italian  medals.  London,  Duckworth,  1904,  in-4,  pp.  232  e  41  tav. 

FABRY  (G.).  Histoire  de  la  campagne  de  1796  en  Italie,  publiée  sous  la 
direction  de  la  section  historique  de  l'état-major  de  l'armée.  Docu- 
ments  annexes.  Supplément.  Paris,  Chapelot,  1905,  2  volumi  in-8, 
pp.  805-120. 

FASOLI  (sac.  A.).  Domaso.  Monografia.  Como,  tip.  casa  Divina  Provvi- 
denza, 1904. 

*  FA  VARO  (A.).  Bonaventura  Cavalieri  e   la   quadratura  della  spirale.  — 

Rendiconti  Istituto  Lombardo,  serie  II,  voi.  XXXVIII,  fase.  V-VI  (1905). 

Agg.  pel  Cavalièri  l'altra  interessante  memoria  del  Favaro  :  Cesare  Mar- 
sili  e  la  successione  di  Gio.  Antonio  Magini  nella  lettura  di  matematica 
dello  studio  di  Bologna  in  Atti  e  Memorie  della  R.  Deputa:(ione  di  storia 
patria  di  Bologna,  luglio-dicembre  1904. 

FECCHiO  (L.),  Notizie  storico-religiose  di  Gravedona.  —  Como,  ^S^d' 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  4O5 

FERRARI  (G.).  Visioni  italiche,  con  illustrazioni  da  dipinti  e  disegni  ori- 
ginali dell'autore,  in-4  fig.  Milano,  U.  Hoepli,  1904. 

7.  Dove  fu  composta  la  bandiera  d' Italia.  8.  Intorno  a  Milano. 

*  FERRETTO  (A.).  Contributo  alle  relazioni    tra    Genova    e  i  Visconti  nel 

secolo    XIV.    —    Giornale   storico   e   letterario    della    Liguria,    a.    V, 
fase.  IX-XII,  1904. 

Il  contratto  nuziale  d'Isabella  Fieschi  con  Luchino  Visconti. 

*FESTI  (conte  C).  D'una  pergamena  trentina  del  134 1  esistente  nella 
Biblioteca  comunale  di  Pavia.  —  Tridentum,  a.  VII,  fase.  V  (1904). 

FILALETE.  Il  presunto  sarcofago  di  Flavio  Stilicone  in  Milano.  —  Ras- 
segna Nazionale^  iP  marzo  1905. 

FILIPPINI-LERA  (A.).  Il  concetto  della  folla  nei  "  Promessi  Sposi  „.  — 
Rassegna  Pugliese,  a.  XXI,  nn,  7-B. 

*  FOLIGNO  (C).  Un  poemetto  in  lode  di  Lodovico  il  Moro.  Milano,  tip.  Ca- 

priolo &  Massimino,  1905,  in-8,  pp.  23  (Per  nozze  d'argento  Pirelli- 
Sormani,  5  maggio  1880-1905). 

Cfr.  i  Cenni  bibliografici  in  quQsi' Archivio, 

FORNARI  (P.).  Il  cristianesimo  per  l'arte  :  parole  inaugurandosi  la  collo- 
cazione in  Gattico  d'una  terracotta  (copia)  di  Luca  Della  Robbia. 
Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Cogliati,  1904,  in-8  fig.,  pp.  19. 

FORTI  (D.).  Il  carattere  del  Parini  desunto  dalle  sue  Odi.  Venezia,  stab. 
tip.-lit.  G.  Draghi,  1904,  in-8,  pp.  8. 

*FOURNIER  (A.).  Zur  Textkritik  der  Korrespondenz  Napoleons  I.  —  Ar- 
chiv  fur  oesterreichische  Gesc  Ine  lite,  voi.  93.°,  parte  I  (1905). 

Delle  91  lettere  di  Napoleone  esaminate  dal  Fournier,  già  edite  ed 
anche  contenute  nella  raccolta  viennese  dell'Archivio  di  Stato  di  Vienna, 
rilevansi  e  confrontansi  i  testi  di  quelle  in  data  Milano,  23  maggio  1805, 
6  giugno  1805  (con  tavola  in  eliotipia),  e  Mantova  14  giugno  e  19  giugno 
1805. 

*  FRANCHI  (ing.  S.).  I  giacimenti  alpini  ed    appenninici   di   roccie  giadei- 

tiche  ed  i  manufatti  di  alcune   stazioni    neolitiche   italiane.    —    Atti 
Congresso  storico  internazionale,  voi.  V  (Archeologia),  1904. 

FRANGI  (M.).  La  casa  degli  eroi  a  Groppello  :  [versi].  Pavia,  stab.  tip.- 
lit.  succ.  Marelli,  1904,  in- 16,  pp.  19. 

*FRANGIOIA  (L.).  L'educazione  mentale  in  Plinio  il  Giovine.  Parte  II.  Plinio 
e  gli  studiosi  del  tempo  suo.  Parte  III.  Che  cosa  studiava  Plinio 
il  Giovine.  —  Rivista  di  scienze  storiche,  dicembre  1904  e  febbraio- 
marzo  1905. 

Arch.  Sior.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase   VI.  26 


406  BOLLETTINO    BIBL'OGRAFICO 

*  FRATI  (L.).  I  Bentivoglio  nella  poesia  contemporanea.   —    Giornale  sto- 

rico della  letteratura  italiana,  fase.  133  (1905). 

Epitaffi  latini  di  Mario  Filelfo  per  la  morte  di  Sante  Bentivoglio,  marito 
di  Ginevra  Sforza  [1465).  Sonetto  di  Andrea  Magnani  nel  1493  a  Giovanni  II 
Bentivoglio  quando  fu  eletto  capitano  generale  delle  genti  d'arme  che  Lo- 
dovico il  Moro  teneva  al  di  qua  dal  Po.  Componimenti  in  morte  di  Ginevra 
Sforza  (1507). 

*  FROVA  (A.).  Santa  Maria  della  Pace.  —  La  Perseveranza,  22  dicembre 

1904. 

Agg.  Gli  articoli  di  F.  Malagui:^i- Valeri  nel  Marzocco,  n.  i,  1905  e  di 
P.  Ruggero  Radice  neìVOsservaton  Cattolico,  21  gennaio  1905. 

FRY  (G.).  The  Warnishes  of  the  Italian  Violin  Makers  of  the  ló.th,  i-y.th 
and  i8.th  Centuries,  and  their  Jnfluence  on  Tone,  in-8.  London,  Ste- 
vens  and  Sons. 

6.  P.  V.  Santorre  di  Santarosa  nella  storia  piemontese.  —  Rassegna  Na- 
zionale, i.o  gennaio  1905  sgg. 

GABOTTO  (F.).  Un  pronostico  di  Antonio  d' Inghilterra  pel  1464.  -  Bi- 
blioteca delle  scuole  italiane,  a.  X,  n.  20. 

Cfr.  i  Cenni  bibliografici  in  Bollettino  storico  pavese,  fase.  I,  1905,  p.  119. 

• —  Del  reggimento  e  dei  rivolgimenti  interni  di  Tortona  dal  1156  al 
1213.  —  Bollettino  della  Società  per  gli  studi  di  storia  nel  Tortonese, 
fase.  VII,  1905. 

* —  Intorno  alle  vere  origini  comunali.  — Archivio  storico  italiano,  disp.  i.*, 
1905. 

Non  possiamo  sottoscrivere  a  quanto  del  comune  di  Milano  e  di  quello 
di  Como  vien  affermato  a  pp.  72,  75-76. 

GABRIELLI  (A.).  "  Leonardo  da  Vinci  „  di  Edoardo  Schuré.  —  Fan f ulta 
della  domenica,  n.  14,  1905. 

GALANTE  (A.).  Il  diritto  di  patronato  ed  i  documenti  longobardi.  —  Studi 
di  diritto  romano  pubblicati  in  onore  di  Vittorio  Scialoja  (Milano, 
U.  Hoepli,  1905). 

*GALLAVRESI  (G.).  Le  prince  de  Talleyrand  et  le  cardinal  Consalvi. 
Une  page  peu  connue  de  Fhistoire  du  Congrès  de  Vienne.  —  Revue 
des  questions  historiques,  i.°  gennaio  1905. 

—  Il  principe  di  Talleyrand  e  gli  aftari  d' Italia  al  Congresso  di  Vienna. 
—  Rassegna  Nazionale,  i.°  aprile  1905. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  4O7 

GARNETT  (R.).  Italian  villas  and  their  gardens.  With  ili.   London. 

Oggetto  di  particolare  studio  sono,  tra  altre,  la  villa  Serbelloni,  la  villa 
d'Este  e  i  giardini  Borromeo  dell'Isola  Bella. 

*GHENO  (A.).  Lo  stemma  di  Ezzelino  III  da  Romano  (quesito  araldico). 
—  Rivista  del  Collegio  Araldico  di  Roma,  a.  II,  n.  8,  agosto  1904. 

GIANI  (M.  A.).  Di  Gian  Carlo  Passeroni  e  di  alcuni  riscontri  fra  il  *  Ci- 
cerone „  e  il  "  Giorno  „.  Tortona,  tip.   S.  Rossi,   1904,  in-4,  pp.  61. 

GIORDANO  (C).  Un  melodramma  sconosciuto  di  Giovanni  Prati.  Napoli, 
tip.  Melfi  &  Joele,  1904,  in-8,  pp.  40. 

Giuditta  di  Kent  che,  stampato  a  Milano  dal  Ricordi  senza  data  e  mu- 
sicato da  Angelo  Villanis,  venne  rappresentato  per  la  prima  volta  al  Teatro 
Regio  di  Torino  nel  1856. 

GIOVANETTI  (A.).  Renzo  e  Lucia,  romanzo;  seguito  ai  "  Promessi  Sposi  „ 
di  A.  Manzoni.  Milano,  P.  Carrara,  1905  (a  dispense). 

Giovanni  (Il  beato)  da  Vercelli,  sesto  maestro  generale  dell'Ordine  dei 
Predicatori:  ricordo  delle  feste  celebrate  nella  basilica  di  S.  Dome- 
nico di  Bologna  nei  giorni  4-6  novembre  1904.  Bologna,  tip.  Arci- 
vescovile, 1904,  in-8,  pp.  48,  con  tav. 

GIOVANNINI  (prof.  A.).  Carlo  Cattaneo,  economista.  Bologna,  tip.  N.  Zani- 
chelli, 1905,  in-8,  pp   290. 

GNECCHI  (E.).  Mesocco  e  Roveredo.  —  Rassegna  Numismatica  di  Orbe- 
tello,  n.  4,  luglio  1904. 

GNECCHI  (F.).  Filippo  triplo  di  Antonio  Gaetano  Trivulzio  (Con  fotoinci- 
sione). In  Nu  nis:natic  Circular  (Spink  &  son's  monthly),  voi.  XII, 
nn.  134-144,  1904. 

GORI  (A.).  11  Risorgimento  italiano,  1849-1870  {fmé).  —  Storia  politica 
d'Italia,  scritta  da  una  società  di  professori,  fase.  118-119  (Milano, 
Vallardi  edit.,  1905). 

GOSCHE  (A.).  Mailand.  Leipzig,  Seemann,  1904,  in-8  ili.,  pp.  222  ["  Be- 
riihmte  Kunststàtten  „,  27]. 

GOVONE.  —  General  Govone.  Mémoires  (1848- 1870)  mis  en  ordre  et  publiés 
par  son  fils  le  chevalier  U.  Govone.  Trad.  de  l'italien  par  le  com- 
mandant  M.  H.  Weil,  in-8.  Paris,  Fontemoing,  1905. 

GRAND-CARTERET  (J.).  La  Montagne  à  travers  les  àges.  Róle  joué  par 
elle.  Fagon  dont  elle  a  été  vue.  Tome  II.  Moutiers,  Francois  Du- 
cloz,  1904,  in-4,  PP-  vi-495,  ili» 

In  questo  2,"  volume  studia  la  montagna  nel  pensiero  letterario  ed  ar- 
tistico del  sec.  XIX  rappresentati  dai  principali  scrittori  ed  artisti  francesi 
ed  esteri. 


408  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

ORAZIANI  (Ernesto)  [NIZIAGAR  (Nestore)].  Brescia  nella  storia  delle  armi. 
Brescia,  tip.  della  Provincia^  1904,  in-8  fig.,  pp.  56. 

GRENAT  (chanoine  P.  A.).  Histoire  moderne  du  Valais  de  1536  à  1815* 
Publiée  par  les  soins  de  Joseph  de  Lavalloy,  avocat  à  Sion.  Genève, 
Victor  Pasche  (1904),  in-8  gr,  pp.  xii-647  ^^  ili- 

*  GRILLO  (G.).  Varianti  indedite  all'opera  "  Monete  di  Milano  „  del  fra- 

telli Gnecchi  appartenenti  alla  collezione  Guglielmo  Grillo  di  Milano 
{cont.  e  fine).  —  Bollettino  di  Numismatica,  a.  II,  n.  12,  1904. 

Monete  milanesi  da  Filippo  V  a  Maria  Teresa. 

GUALTIERI  (L.).  L' Innominato  ;  racconto  del  secolo  XVI  per  commento 
ai  "  Promessi  Sposi  „  di  Alessandro  Manzoni.  Decima  ristampa  il- 
lustrata, riveduta  dall'autore.  Milano,  P.  Carrara  edit.,  1905,  in-i6  fig., 
2  voli.,  pp.  566. 

*  GUASTALLA  (dott.  C,  W.).  La  navigazione  interna   nella  valle   padana. 

Appunti.  —  Bollettino  della  Società  geografica  italiana^  maggio  1905. 

GUERRINI  (D.).  Buoni  vecchi  maestri  italiani  di  milizia  e  di  guerra,  sunti 
e  note.  I.  La  guerra  d'assedio  di  Gabriele  Busca  [milanese],  1580. 
Ravenna,  La  Rivista  di  fanteria  editrice,  1903,  in-8,  pp.  80. 

Cfr.  il  cenno  in  Arch.  stor.  ita!.,  fase.  IV,  1904,  p.  510-11. 

''^  GUERRINI  (sac.  P.).  11  primo  tipografo  bresciano  [Tommaso  Ferrando, 
1472],  —  Rivista  di  scienze  storiche,  febbraio  1905. 

GUIDINI  (arch.  A.).  11  tempio  di  Santa  Croce  in  Riva  San  Vitale:  studio 
delle  ragioni  dell'arte  e  del  diritto  con  progetto  di  restauro  allegato. 
Milano,  stab.  tip.  fratelli  Treyes,  1905,  in-4  fig.,  pp.  77,  con  3  tav. 

Del  .tempio  di  S.  Croce  fatto  innalzare  dalla  famiglia  del  vescovo  Ber- 
nardino della  Croce  è  autore  il  Pellegrini,  e  contiene  affreschi  dei  Procac- 
cini e  del  Morazzone. 

GUiLLOT  (G.).  L'arbre  de  la  Vierge,  chandelier  pascal  à  la  cathédrale 
de  Milan.  —  Vie  de  la  Paroisse,  aprile  1905. 

GUSSALLI  (E.).  L'opera  del  Battaggio  nella  chiesa  di  Santa  Maria  di 
Crema  (con  8  ine).  —  Rassegna  d'Arte,  febbraio  1905. 

*  GUTERBOCK  (F.).  Eine  zeitgenòssische  Biographie  Friedrichs  II,  das  ver- 

lorene  Geschichtswerk    Mainardinos.  —  Neues   Archiv,   voi.   XXX, 
fase.  I. 

Una  biografia  contemporanea  di  Federico  II,  opera  perduta  di  Mainar- 
dino  d'Imola.  Ne  ritrova  le  traccie  nel  Compendio  della  historia  del  regno 
di  Napoli  di  Pandolfo  Collenuccio  e  nella  Historia  di  Milano  di  Tristano 
Calco. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  409 

HALXIN  (L.).  Annibal  dans  les  Alpes.  —  Bnlletin  bibliographique  et  pé- 
dagogique,  a.  IX,  n.  i. 

Si  occupa  della  questione  sul  passaggio  di  Annibale  attraverso  le  Alpi, 
e  propriamente  dei  lavori  dell' Azan  e  del  Montanari.  Conclude  molto  scet- 
ticamente, che  in  tali  questioni,  e  nello  stato  attuale,  «  est  le  plus  sage  re- 
«  noncer  à  vouloir  coùte  que  coùte  trouver  le  mot  de  l'enigme  »  (cfr.  Ki- 
vista  di  storta  antica,  a.  IX,  n.  3,  p.  500). 

HANOTAUX  (G.).  Histoire  du  cardinal  de  Richelieu.  Tome  II,  partie  II  : 
Richelieu  rebelle  ;  la  crise  européenne  de  1621  ;  Richelieu  cardinal 
et  premier  ministre,  1617-1624.  Paris,  Firmin-Didot  &  C,  1904. 

HARTIVIA^N  (L.  M.).  Zur  Wirtschaftsgeschichte  Italiens  im  fnihen  Mitte- 
talter.  Analekten,  in-8.  Gotha,  Perthes,  1904. 

2.  Per  la  storia  delle  corporazioni  d*arti  e  mestieri  nel  primo  medio 
evo.  5.  L'amministrazione  del  convento  di  Bobbio  nel  IX  secolo.  4.  Co- 
macchio  ed  il  commercio  del  Po. 

HAUSER  (H.).  De  quelques  sources  de  l'histoire  des  guerres  d'Italie.  — 
Revue  d'histoire  moderne  et  contemporaine,  tome  VI,  febbraio  1905. 

Il  Vtrgier  d'honneur,  le  plaquettes  originali  del  regno  di  Carlo  VIII  e 
i  Diari  di  Marin  Sanuto. 

^HELLMANN  (S.).  Die  Bremenser  Handschrift  von  des  Paulus  Diaconus 
Liber  de  episcopis  Mettensibus.  —  Neues  Archiv,  voi.  XXX,  fase.  II 
(1905). 

HOBART  CUST  (R.  H.).  Il  primo  maestro  del  Sodoma.  —  Arte  antica  se- 
nese. Siena.  1904,  pp.  123-139. 

Notizie  di  Martino  Spanzotti  e  della  sua  famiglia. 

*HOLDER-EGGER  (O.).  Italienische  Prophetien  des  13.  Jahrhunderts.  — 
Neues  Archiv,  a.  XXX,  n.  2,  1905. 

L'H.-E.  pubblica  e  commenta  il  vaticinio  in  versi  attribuito  a  Michele 
Scoto  riflettente  la  seconda  Lega  Lombarda  [«  Futura  presagia  Lombardie, 
a  Tuscie,  Romagnole  et  aliarum  partium  per  magistrum  Michaelem  Scotum 
«  declarata  »  1259].  —  Communica  altri  versi  profetici  che  toccano  a  Bre- 
scia ed  alla  caduta  di  Ezzelino  da  Romano  alla  battaglia   di   Cassano  1259. 

HUFFER  (H.).  Der  Krieg  des  Jahres  1799  und  die  zweite  Koalition.  II. 
Gotha,  Perthes,  1905,  in-8,  pp.  xii-384  &  ili. 

L'autore  è  morto  il  15  marzo  scorso  a  Bonn,  in  età  di  74  anni. 

IMESCH  (D.).    Zur   Geschichte   des    Simplonpasses.  (Hrgegb.    bei  Anlass 
der  Jahresversammlung  des  Schweizer.  Forstvereins  in  Brieg,  Sep- 
tember  1904).  Brig,  Tscherig,  u.  Tròndle,  1904,  in-8,  pp.  11- 16. 
Per  la  storia  del  passo  del  Sempione. 


I 


410  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

INTRA  (G.  B.).  La  biografia  di  una  Santa  mantovana  (Osanna  Andreasi). 
—  Arie  e  Storia,  nn.  222 3,  1904 

Italien-Gallerìe.  Kunstwanderungen  durch  ganz  Italien.  2000  Bilder  in  Pho- 
to typ.  u.  Heliogravure  der  beriihmtesten  Werke  der  Malerei,  Skulptur 
u.  Architektur,  italien.  Landschafts- Bilder  und  Volks-Typen.  T.  l. 
Oberitalien.  Berlin,  Preuss'  Institut   Graphik,    1904,  in-4,   pp.  iv-192. 

Escursioni  d'arte  attraverso  tutta  l'Italia.  2000  quadri  in  foto  e  eliotipia 
delle  migliori  opere  di  pittura,  architettura  e  paesaggio  italiani.  Voi.  1. 
L'Alta  Italia. 

JOURDAIN  (M.).  The  lace  collection  of  Mr.  Arthur  Blackborne.  Part  I\^: 
Milanese  Laces.  —    The  Burlington  Magazine,  febbraio  1905. 

KÀLIN  (J.).  Franz  Guillimann,  ein  Freiburger  Historiker  von  der  Wende 
des  XVl  Jahrhunderts.  —  Freiburger  Geschichtsblàtter  di  Friborgo 
(Svizzera),  a.  XI,  1904. 

Cfr.  il  cap.  III  :  Il  Guillimann  in  servigio  delVarnhasciata  di  Spagna  a 
Lucerna,  quale  segretario  del  conte  Alfonso  Casati.  Sue  relazioni  con  il  car- 
dinale Federico  Borromeo  e  coi  tipografi  milanesi  per  la  stampa  dei  suoi 
panegirici  di  casa  d'Austria. 

KIHN  (H.).  Patrologie.  I  Band:  Von  den  Zeiten  der  Apostel  bis  zum  To- 
leranzedikt  von  Mailand  (313).  Padeborn,  F.  Schòningh,  1904,  in-8, 
pp.  X-413. 

KONT  (J.).  Gyulaì.  —  Revtie  d'Europe  et  des  Colonies,  aprile  1905. 

*L  A.  Fragments  d'un  manuscrit  du  "  Canzoniere  „  de  Pétrarque.  — 
Biblioihèque  de  l' Ecole  des  chartes,  LXV,  4. 

Da  notizia  di  due  foglietti  membranacei  di  rime  petrarchesche  inseriti 
tra  le  carte  del  barone  Custodi  nella  Nazionale  parigina. 

LACEEN  (àbbé  J).  Usuriers  et  Lombards  dans  le  Brabant,  au  XV*'  siede. 
Biilleiin  de  VAcadémie  Royale  d'archeologie  de  Belgique,  1904. 

LADA  (I.).  Leonardo  da  Vinci.  —  Bibliothka  JVarszawska,  febbraio   1905. 

*  LASCHI  (avv.  R.).  Pene  e  carceri  nella  storia  di  Verona.  —  Atti  Istituto 

Veneto,  to.  LXIV,  disp.  i.* 

Cfr.  il  cap.  VI  Visconti  e  Carraresi. 

*LATTES  (A.).  Gli  statuti  del  bacino  luganese  nella  storia  del  diritto  ita- 
liano. —  Rendiconti  Istituto  Lombardo,  serie  II,  voi.  XXXVIII,  fasci 
coli  V-VI  (1905). 

•  LATTES  (E  ).  Di  una  iscrizione  anteromana  trovata  a  Carcegna  sul  lago 

d'Orta.  —  Aiti  R.  Accademia  delle  scienze  di   Torino,  voi.   XXXIX, 
disp.  7.* 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  4II 

LAURENCIE  (E.  de  la).  Claudio  Monteverdi.  —  Occidente  marzo  1905. 

LEICHT  (P.  S).  Studi  e  frammenti.  Udine,  tip.  del  Bianco,  1904. 

I.  Ricerche  sulI'Arimannia.  2.  La  chiesa  d' Aquile ja  e  l'impero.  5.  Due 
•    documenti  eceliniani  inediti. 

Leonardo  da  Vinci.  —  V.  Baratta,  Belirami,  Gagnola,  U Ancona,  De  Toni, 
Duhem,  Evelyn,  F.,  Gabrielli,  Lada,  Melarti,  Monneret,  Pi,  San f  Am- 
brogio, Schuréf  Solmi. 

Lettere  (Dieci)  inedite  d'uomini  illustri  a  Giuseppe  Saleri,  giureconsulto 
e  filantropo  bresciano,  pubblicate  a  cura  di  Gaetano  Fornasini.  Bre- 
scia, stamp.  A.  Canossi  &  C,  1904,  in-4,  pp.  xxx,  con  ritr. 

LEVI  (P.).  Mosè  Bianchi  inedito.  —  La  Lettura,  febbraio  1905. 

USIO  (G.).  Rarità  ariostesche  ed  autografi  ariosteschi.  —  Nozze  Scherillo- 
Negri  (Milano,  U.  Hoepli,  1904). 

Gli  autografi  sono  due  foglietti  serbati  nell'Ambrosiana,  che  vengono 
qui  fac-similati,  e  secondo  il  Lisio  sarebbero  stati  sottratti  alle  carte  ferraresi, 
di  cui  diede  di  recente  la  riproduzione  Giuseppe  Agnelli. 

LOGAN  (M.).  A  picture  by  Butinone  in  the  Louvre  (Avec  i  pi.).  —  Revue 
Archéologique,  mai-juin  1905. 

Lombardi  (I)  alla  prima  crociata:  dramma  lirico  in  quattro  atti,  già  ri- 
dotto e  compendiato  ad  uso  del  Collegio  S.  Francesco  in  Lodi  pel 
carnevale  dell'anno  1900.  Musica  di  G.  Verdi.  Milano,  scuola  tip.  Ar- 
tigianelli, 1905,  in- 16,  pp.  31. 

Lombardia.  —  Sull'ordinamento  militare  dei  comuni  italiani  nel  tempo 
delle  leghe  lombarde.  —  Un  fatto  d'armi  alle  porte  d'Alessandria. 
Rivista  di  fanteria,  novembre-dicembre  1904. 

LOMBARDO  (dott.  G.  M.).  Bianca  Milesi,  con  documenti  inediti.  Firenze, 
B.  Seeber,  1905,  in-8,  pp.  79.  ["  Piccola  collana  del  Risorgimento 
italiano  „,  n.  i]  (i). 

LUCCHINI  (can.  L.).  La  seconda  Lega  Lombarda  rinnovata  in  Mosio  Man- 
tovano. Mantova,  Mondovi,  1905,  in-8,  pp.  12. 

—  Commentario  ai  "  Promessi  Sposi  „.  2.*  edizione.  Lecco,  tip.  Arcive- 
scovile, 1905,  in-8,  pp.  134. 


(i)  A  proposito  di  questa  pubblicazione  riceviamo  dalla  signora  prof  Maria 
Luisa  Alessi  il  n.  92,  2  aprile  1905,  della  Gaietta  del  Popolo  di  Torino,  in  cui  è 
contenuta  una  di  lei  lettera  alla  redazione  di  quel  giornale  per  far  rilevare  l'enor- 
mità del  plagio  del  dott.  Giacomo  Maria  Lombardo  che  avrebbe  pubblicato  col 
suo  nome  la  memoria  della  signora  Alessi  sulla  Milesi. 


412  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

LUMBROSO  (A.).  Il  processo  deirammiraglio  Di  Persano,  con  una  prefa- 
zione ed  un'  appendice  di  documenti  inediti  sulla  campagna  navale 
di  Lissa  (1866).  Con  ritr.  e  ili.,  in-4.  Roma,  Bocca,   1905. 

LUZIO  (A.).  Costanza  Arconati.  —  Il  palazzo  del  Te  a  Mantova  [a  pro- 
posito del  lavoro  del  Davari].  —  La  Commissione  d'Este  (1850-1856). 

—  Le  memorie  del  giudice  istruttore  nei   processi   d'Este.    —   Cor- 
riere della  Sera,  15  gennaio,  5,  12  febbraio  e  20  marzo  1905. 

—  Epistolario  Verdiano.  —  Persano  e  Tegetthofif.  —  La  Lettura,  marzo 

e  maggio  4905. 

MAGISTRETTI  (M.).  Il  dogma  dell'Immacolata  nella   liturgia  ambrosiana. 

—  Scuola  Cattolica,  dicembre  1904  [v.  Manuale]. 

—  Le  vesti  ecclesiastiche  in  Milano.  2.*  edizione    illustrata    con   tavole 

in  eliotipia  e  fac-simile  in  cromotipia.  Milano,   tip.  editr.  L.    F.   Co- 
gliati,  1905,  in-4,  pp.  83. 

MAGISTRETTI  (P.).  Da  Casargo  .a  Betlemme.  —  //  Buon  Cuore,  n.  52  (Na- 
tale) 1904. 

Piacevole  articolo  infiorato  da  riflessioni  antiquarie  sulla  Valsassina.  Il 
M.,  ricordando  il  p.  de  Orchi  ed  altri  del  suo  stampo,  esamina  il  discorso  : 
//  Bambino  Divino  composto  e  predicato  in  Betlhemme  di  Terra  Santa  il 
giorno  di  Natale,  dal  R.  D.  Giuseppe  Mandolino  da  Casargo,  predicatore  dei 
Minori  Osservanti  Reformati  {Milano,  Monza,  1659).  Un'aggiunta  alla 
BibUotheca  geographica  Palaestinae  del  Ròhricht. 

*  MAGNI  (dott.  A.).  I  così  detti  "  massi-avelli  „  della  provincia  di  Como. 

—  Atti  Congresso   internazionale   di  scienze  storiche,  voi.    V    (Roma, 
1904),  e  ili. 

"AIAJOCCHI  (R.).  Lo  Scisma  d'Occidente  e  Gian  Galeazzo  Visconti.  —  Ri- 
vista di  scienze  storiche,  marzo  1905. 
*—  Per  l'Immacolata.  —  Rivista  di  scienze  storiche,  dicembre  1904,  con  ili. 
L' Immacolata  e  Pavia.  —  L' Immacolata  e  i  Carmelitani. 

—  V.  Codice,  Rivista. 

MALAGUZZI-VALERI  (F.).  Gio.  Antonio  Amadeo,  scultore  e  architetto  lom- 
bardo (1477-1522).  Bergamo,  Istituto  italiano  d'arti  grafiche  edit,  1904, 
in-8  fig.,  pp.  351. 

—  Arte  retrospettiva.  La  rinascenza  artistica  sul  lago  di  Como.  —  Km- 

porium,  novembre  1904  (35  ili.). 

—  Il  maestro  della  pala    sforzesca    (Con   6    ine).   —   Rassegna   d'Arte, 

.marzo  1905. 

La  nota  pala  coi  ritratti  di  Lodovico  e  Beatrice  Sforza,  nella  Pinacoteca 
di  Brera,  e  già  a  S.  Ambrogio  ad  Kemus. 

—  Maestri  minori  lombardi.  I.  I  seguaci  del  Bergognone    (Con    io  ine). 

—  Rassegna  d'Arte,  giugno  1905. 


BOLLETTINO    BIIÌLIOGKAFICO  413 

*  MANGI  AGALLI  (prof.  L.).  Commemorazione  di  Edoardo  Porro.  —  Rendi- 
conti Istituto  Lombardo,  serie  II,  voi.  XXXVIII,  fase.  I  (1905). 

MANGINI  (A.).  F.  D.  Guerrazzi.  Cenni  e  ricordi  di  sei  scritti  pubblicati 
in  appendice,  in-8.  Livorno,  Giusti,  1904. 

La  Lettura  a  Cesare  Cantii,  scritta  sul  finire  del  1868,  fu  già  pubblicata 
nella  Rivista  d'Italia  (15  gennaio  1900)  dal  Fiorini.  Il  Cantù  si  era  rivolto 
amichevolmente  al  Guerrazzi  per  domandargli  la  causa  della  noncuranza  del 
governo  italiano  verso  di  loro,  ed  il  Livornese  rispondeva  liberamente  : 
«  perchè  voi  siete  rimasto  troppo  addietro,  e  me  giudicano  trascorso  troppo 
«  avanti  »;  e  soggiungeva  che  a  lui  aveva  nociuto  «  l'orgoglio  soverchio, 
«  la  selvatica  sincerità,  la  inclinazione  al  sarcasmo,  la  mania  di  fare  il  cen- 
«  sore  acerbo  ed  aspro  in  tempi  corrottissimi  ». 

L'ultimo  scritto  :  Figlio  unico  di  madre  vedova,  assai  povero  d' intreccio, 
è  tra  le  ultime  cose  del  Guerrazzi.  Vi  ricorre  lo  stesso  motivo  patriottico  : 
un  padre  generoso  si  getta  nell'Adda,  perchè  l'unico  suo  figlio,  italiano, 
chiamato  alla  leva  dall'Austria,  non  sia  fra  i  soldati  dell'oppressore  (cfr. 
E.  Michel,  Nel  primo  centenario  della  nascita  di  F.  D.  Guerrani,  in  Ar- 
chivio storico  italiano,  disp.  2.»,  1905,  p.  503). 

MANTOVANI  (D,).  Uno  scritto  ignoto  di  Alessandro  Manzoni.  —  La  Stampa 
di  Torino,  16  febbraio  1905. 

Pubblica  i  tratti  più  importanti  di  uno  scritto  del  Manzoni  vecchissimo, 
nel  quale  egli  si  propone  di  trattare  della  indipendenza  d'Italia  mostrando 
la  parte  che  vi  ebbe  il  Piemonte  (cfr.  Giornale  Storico,   fase.    134,  p.  460). 

Manuale  ambrosianum  ex-codice  saec.  XI  olim  in  usum  canonicae  Vallis 
Travaliae  in  duas  partes  distinctum  edidit  doct.  Marcus  Magistretti. 
Mediolani,  apud  Ulricum  Hoepli  (ex  typ.  Humberti  Allegretti),  1905. 
in-8,  2  voli.  (pp.  202-503).  (Monumenta  veteris  liturgiae  ambrosianae). 

MANZONI  (A.).  Saggio  di  versioni  latine  di  mons.  Francesco  Niola,  dal- 
l'uso moderno  sui  "  Promessi  Sposi  „  del  Manzoni.  Gaeta,  tip.  editr,, 
$alemme,  1904,  in- 16,  pp.  99. 

—  Tragedie  e  poesie.  Milano,  casa  editr.  P.  Carrara,  1904  in- 16,  pp.  263. 

—  V.  Boeri,  Boner,  Boselli,   Carducci,    Crispolti,   De    Chiara,  De   Nardi, 

Filippini,  Giovanetti,  Gualtieri,  Lucchini,  Mantovani,  Micheli,  Negri, 
Picotti,  Renier,  Righighi,  Rondani,  Rosso,  Spencer,  Trischetta,  Valgi- 
migli. 

MARCHESI  (G.  B.).  Mode  e  costumanze  femminili  del  quattrocento  da  un 
serventese  inedito.  —  Nozze  Scherillo- Negri  (Milano,  U.  Hoepli,  1904). 
11,  serventese,  importante  per  la  storia  del  costume,  è  tolto  da  un  nis. 
privato  milanese. 

MARCHETTI  (L.).  Pel  centenario  del  secondo  Regno  d'Italia  (1805-1905). 
—  Strenna  dell* Alto  Adige,  Trento,  1905. 


414  BJLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

MARKL  (A.).  Weder  Mediolanum,  noch  Ticinum,  sondern  Tarraco.  — 
—  Monaisblatt  der  niimismaiisclien  Gesellschaft  in   Wien,  1904. 

Né  Milano,  né  Ticino,  ma  Tarraco  (cfr.  gli  appunti  di  Francesco  Gnecchi 
in  Rivista  italiana  di  numismatica,  fase.  IV,  1904,  p-  555J. 

MARCHIORO  (avv.  G.).  Teorie  e  riforme  economiche  ed  amministrative 
nella  Lombardia  del  sec.  XVIII.  Città  di  Castello,  S.  Lapi,  1904, 
in-8,  pp.  141. 

MASSARA  (A.).  L'iconografia  di  Maria  Vergine  nell'arte  novarese.  Novara, 
Miglio,  1904,  in-8  fig.,  pp.  79. 

Quest'opuscolo  è  il  a  Catalogo  delle  opere  artistiche  della  diocesi  di 
Novara  rappresentate  all'Esposizione  intemazionale  Mariana  in  Roma  nel 
Palazzo  Lateranense  (1904-1905)  »  preceduto  da  un  interessante  studio  storico- 
iconografico  (con  227  numeri).  Un  altro  simile  studio  ha  pubblicato  separa- 
tamente il  Massara  col  titolo  :  La  Madonna  nella  tradizione  e  nell'arte  nova- 
rese (Bosa,  tip.  Vescovile,  1904,  in-8,  pp.  15). 

—  Il  battistero  e  il  Duomo  antico  di  Novara.  —  Jl  Piemonte^  a.  II,  nn.  8-9, 

1904. 

—  Usi  nuziali  dell'agro  novarese  d'una   volta   e    d'adesso.    —    Archivio 

per  lo  siudio  delle  tradizioni  popolari,  voi.  XXII,  fase.  Ili,  1905  {conti- 
nuazione e  fine). 

MASSARANI  (T.).  Le  ville  Crespi.  Milano,  Menotti  Bassani  &  C,  1905, 
in-8,  pp.  32  e  20  ili. 

''MAZZI  (A.).  Il  Beato  Venturino  da  Bergamo.  Bergamo,  tip.  Bolis,  1905, 
in-8  gr,  pp.  86. 

MAZZINI  (G.).  Lettera  inedita  ad  Anselmo  Guerrieri-Gonzaga.  —  Giornale 
d'Italia^  1905,  n.  16. 

MAZZONI  (G.).  Glorie  e  memorie  dell'arte  e  della  civiltà  d' Italia.  Firenze. 
Alfani  &  Venturi,  1905. 

8.  Giuseppe  Parini.  9.  La  poesia  patriottica  e  G.  Berchet.  io.  L'Italia 
dolente  e-éperante.  11.  Il  teatro  fra  il  1849  e  il  1861. 

MELANI  (A.).  Camini  artistici  d' Italia.  —  Secolo  XX,  gennaio  1904. 
Camino  Pedoni  a  Cremona. 

—  In  proposito  del  coro  di  S.  Ambrogio   a  Milano.    —     Arte   e   Storia, 

nn.  9-10,  1905. 

Indica  la  somiglianza  di  questo  coro  con  un  simile  monumento  in  San 
Giovanni  ad  Asti,  del  pavese  Baldino  di  Surso. 

—  Sul  Cenacolo  di  Leonardo.  —  //  Campo  di  Torino,  29  gennaio  1905. 


BOLLETTINO    lilBLIOGRAFICO  4I5 

Memorie  storiche  del  santuario  della  B.  V.  della  .Misericordia  di  Castel- 
leone  (diocesi  di  Cremona).  Milano,  tip.  S.  Lega  Eucaristica,  1904, 
in-24,  pp.  94. 

*MENESTRINA  (F.).  Bernardo  Clesio  e  i  restauri  del  palazzo  di  Cavalese. 

—  Tridentum,  a.  VII,  fase.  Ili  (1904). 

Restauri  eseguiti  negli  anni  15  57-1 5 39  da  Andrea  Crivelli  tiì  Alessandro 
Longhi  :  il  primo,  malgrado  sia  dotto  cittadino  trentino,  probabilmente  mi- 
lanese ;  figlio  di  padre  comasco  il  secondo  (cfr.  anche  Archivio  Trentino, 
a.  XIX,  fase.  II,  p.  259). 

MICHELI  (DE)  (sac.  R.).  Memorie  biografiche  del  sac.  Tito  Rampone,  della 
Congregazione  degli  Oblati  dei  SS.  Ambrogio  e  Carlo,  coadiutore 
della  parrocchia  del  Duomo  in  Monza.  2,*  edizione.  Milano,  scuola 
tip.  Salesiana,  1905,  in- 16,  pp.  xv,  con  ritr.  e  7  tav. 

MICHELI  (P.).  F.  D.  Guerrazzi.  Conferenza,  in-8.  Milano,  società  tip.  edi- 
trice popolare,  1904  (Estr.  dalla   Fi/«  Internazionale). 

Il  M.  mette  a  confronto  alcuni  concetti  simili  del  Leopardi,  del  Man- 
zoni e  del  Guerrazzi  e  dimostra  come  nei  Promessi  Sposi  il  pessimismo 
prese  forma  di  rassegnazione  religiosa,  nelle  Operette  morali  del  Leopardi 
divenne  rassegnazione  stoica,  e  nel  romanzo  del  Guerrazzi  divampò  in  ri- 
bellione feroce. 

MICUCCHI  (R.).  Tommaso   Morroni  da  Rieti.  Rieti,  Trinchi,  1904. 
Noto  umanista  alla  corte  visconteo-sforzesca. 

MIGEON  (G.).  La  coUection  Chabrière-Arlès.  —  Les  Aris,  marzo   [905. 

Con  riproduzione  di  un  Angelo,  marmo  di  scuola  lombarda,  del  sec.  XVI, 

Milano  Scelta.  Guida  della  società  milanese,  1905.  Milano,  società  edi- 
trice della  Milano  Scelta,  1905,  in-8,  pp.  368  (204). 

Milano.  —  La  cappella  della  Sacra  Famiglia  nella  chiesa  di  S.  Maria 
del  Carmine  in  Milano.  Architetto  Egidio  Mazzucchelli  (Con  ili.  e  tav.). 

—  Edilizia  Moderna,  gennaio  1905. 

*MINI  (G.).  Le  famiglie  GiuHanini  e  Ronconi-Albonetti.  —  Giornale  Aral- 
dico. Nuova  serie,  a.  IX,  supplemento  1904. 

Provenienti  i  Giulianini  da  Milano,  venuti  in  Romagna  nel  1400,  ne 
segue  brevemente  le  vicende  fino  al  sec.  XIX. 

MITTELSTAEDT  (A.).  Der  Krieg  von  1859,  Bismarck  und  die  òfifentliche 
Meinung  in  Deutschland.  Stuttgart,  Cotta.  1904,  in-8,  pp.  x-184. 

La  guerra  del  1859,  Bismarck  e  l'opinione  pubblica  in  Germania. 


4l6  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

*MODESTOV  (B.).  In  che  stadio  si  trovi  oggi  la  questione  etrusca.  —  Atti 
Congresso  storico  internazionale y  voi.  II,  1905. 

La  conclusione  alla  quale  egli  arriva,  dopo  aver  fatta  la  storia  della 
questione  stessa,  si  è  che  gli  Etruschi  sono  un  popolo  dell'Asia  Minore. 
Nessuna  provenienza  alpina  degli  Etruschi, 

MOUNIER  (A.).  Les  sources  de  l'histoire  de  France.  P^  partie:  Des  ori- 
gines  à  1494.  Fase.  V.  Les  Valois,  1461-1494,  in-8.  Paris,  Picard,  1905. 

5.  De  la  mort  du  Téméraire  à  celle  de  Louis  XI  (1477-1483).  — 
Charles  VIIL  Chroniques  et  documents  fran(;ais.  —  Charles  Vili.  Textes 
documents  étrangers.  —  Charles  Vili.  Détails  de  l'histoire.  (È  in  prepara- 
zione la  2.*  parte  ;  L&  XVI  siede,  14^4-1610  _par  Henri  Hauser). 

MOLTEDO  (F.  T.  B.).  Vita  di  S.  Alessandro  Sauli  della  Congregazione  dei 
Barnabiti,  vescovo  di  Aleria,  poi  di  Pavia.  Napoli,  D'Auria,  1904, 
in-8,  pp.  536. 

Cfr.  la  recensione  del  prof.  Valle  in  Rivista  di  sciente  storiche  di  Pavia, 
fase.  IV,  1905, 

MOMMSEN  (T.).  Gesammelte  Schriften.  I  Ahtheììung: /uristische  Schriften. 
I  Band.  Berlin,  Weidmanasche  Buchhandlung,  1905,  in-8. 

In  questo  volume  è  contenuto  un  commentario  stampato  la  prima  volta 
nei  Jàhrhùcher  des  gemeinen  Rechts  il  (1858)  sulla  legge  relativa  ali  ordina- 
mento della  Gallia  Cisalpina. 

*  MONETA  (E.  T.).  Le  guerre,  le  insurrezioni  e   la  pace   nel   secolo   deci- 

monono :  compendio  storico  e  considerazioni.  Voi.  II.  Milano,  presso 
la  Vita  Internazionale,  1905,  in-8,  pp.  350. 

Compendio  storico  del  fortunoso  decennio  1 849-1 859. 

MONNERET  DE  VILLARD  (U.).  Per  Leonardo  da  Vinci.  —  Arte  e  Storia, 
nn.  24-25,  1905. 

Dimostra  che  sarebbe  utile  creare. nelle  sale  presso  il  Cenacolo  un  Museo 
Vinciano. 

*MONTI  (S).  Il  comune  di  Como  nel  medio  evo.  Seguito  alle  dissertazioni 
Como  Romana.  —  Como  nell'  invasione  dei  Barbari.  —  La  chiesa 
comasca.  Como,  tip.  editr.  Ostinelli,  1905,  in- 16,  pp.  87. 

*  Monti.  —  Necrologia   del   barone  Silvio   Monti,  patrizio  bresciano.  — 

Giornale  araldico-genealogico,  febbraio-marzo  1905,  p.  58. 

Con  notizie  intorno  alla  famiglia  Monti,  una  delle  più  antiche  del  pa- 
triziato bresciano  e  della  quale  fu  vera  illustrazione  il  colonnello  Alessandro 
Monti,  capo  della  legione  italiana  in  Ungheria  nel  1849. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  4I7 

MORANDO  (G.).  Esame  critico  delle  XL  proposizioni  rosminiane  condan- 
nate dalla  S.  R.  U.  Inquisizione  :  studi  filosofico-teologici  di  un  laico 
nel  50.0  anniversario  dalla  morte  di  Antonio  Rosmini.  1855- 1905. 
Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Cogliati,  1905,  in-8,  pp.  cxxxvij-993. 

^MORELLINI  (D.).  Un  "  faceto  accidente  „  che  fa  riscontro  al  tragico 
duello  di  Lodovico.  —  Giornale  storico  della  letteratura  italiana,  fa- 
scicolo 134-135  (1905),  PP-  455-56. 

È  il  Bandello  il  quale,  colla  consueta  spigliatezza  delle  sue  delicatorie, 
narra  un  comico  incontro  avvenuto  nella  città  di  Mantova  fra  il  1521  ed 
il  1525. 

•MORI  (A.).  Studi,  trattative  e  proposte  per  la  costruzione  di  una  carta 
geografica  della  Toscana  nella  seconda  metà  del  secolo  XVIIl.  — 
Archivio  storico  italiano,  disp.  2.»,  1905. 

Anche  il  p.  Boscovich  aveva  esposto  un  proprio  piano  per  la  costruzione 
della  Carta  della  Toscana  (cfr.  p.  401). 

MORICI  (M.).  Sulla  visita  di  R.  Boscovich  &  C.  Maire  a  Monterubbiano 
(^752).  —  Bollettino  storico  monterubbianese,  a.  II,  n.  13,  1904. 

MOTTA  (E.).  Personaggi  celebri  attraverso  il  Sempione.  —  La  Libertà 
di  Domodossola,  n.  6,  1905. 

Riproduzione  di  parte  di  un  articolo  già  edito  nel  Boll.  stor.  della  Svi:^- 
\era  Italiana,  a.  1900. 

*  MULLER  (C).  Spigolature  di  storia  intrese  :  Tumulti  contro  le  sbianche 
nel  1758.  Intra,  tip.  Intrese,  1905,  in-8  gr.,  pp.  20  (Estr.  dal  giornale 
La   Vedetta,  aprile  1905). 

MUNOZ  (A.).  Mobilio  artistico  del  Rinascimento  italiano.  —  Natura  ed 
Arte,  15  febbraio  1905. 

Con  esempi  di  cassoni  e  sedie  del  sec.  XVI  nel  Museo  civico  di  Milano. 

Museo  Artistico  Poldi-Pezzoli,  via  Morone,  io,  Milano.  Catalogo  MCMV. 
Milano,  tip.  C.  Crespi,  in-8,  pp.  viii-120. 

N.  (F.).  Napoli  descritta  da  Bernardo  Tasso.  —  Napoli  Nobilissima^ 
XIII,  II. 

Napoleone  1  a  Milano  (I  primi  giorni.  Tra  feste  o  ricevimenti.  "  Re 
d'Italia  „).  —   Corriere  della  Sera,  18,  21  e  26  maggio  1905. 

NATALI  (prof.  G.).  A  Bastone  Pedagogo.  Noterella  pariniana.  Messina, 
tip.  A,  Trimarchi,  1904. 


4l8  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

Necrologie  di  Alfonso  Garovaglio,  prof.  Leopoldo  Maggi  di  Pavia  e 
sac.  Luigi  Ruzzenenti  di  Asola.  —  Bulleftino  di  Paletnologia  italiana, 
1905»  PP-  82-84. 

Coll'elenco  delle  loro  pubblicazioni  di  paletnologia  lombarda. 

NEGRI  prof.  (G.).  Commenti  critici  estetici  e  biblici  sui  "  Promessi  Sposi  „ 
di  Alessandro  Manzoni  :  premessovi  uno  studio  su  l'opinione  del 
Manzoni  e  quella  del  Fogazzaro  intorno  all'amore.  Milano,  scuola 
tip.  Salesiana,  1905,  3  voi.  in-8,  pp.  700  complessivamente. 

*NER1  (F.).  La  tragedia  italiana  del  cinquecento,  in-4.  Firenze,  tip.  Gal 
letti  &  Cocci,  1904  ("  Pubblicazioni  R.  Istituto  di  studi  superiori  „). 

Introduzione.  Le  tragedie  in  rima  {La  Sofonisha  di  Galeotto  del  Car- 
retto]. —  Giovan  Giorgio  Trissino  e  i  Fiorentini  grecheggianti  {La  Ro' 
smunda  del  Rucellai].  —  Diffusione  della  tragedia  \VAstianaUe  e  V Altea  di 
Bongianni  Grattarolo  di  Salò;  Rosimonda  regina  di  Antonio  Cavalierino  mo- 
denese; Libero  arbitrio  del  bassanese  Francesco  Negri,  edita  a  Foschia vo 
nel  1546].  —  Le  tendenze  vincitrici  [Calestri  di  Carlo  Turco,  d'Asola  sul 
Bresciano;  //  Torrismondo  di  T.  Tasso];  —  «Il  Teatro».  La  rappresenta- 
zione delle  tragedie.  [Alla  corte  di  Mantova]. 

NOGARA  (B.).  Per  la  cessione  di  Vercelli  al  duca  Amedeo  Vili  di  Sa- 
voja.  —  Classici  e  Neo-Latini  di  Aosta,  a.  I,  n.  i,  1905. 

Con  atto  stipulato  in  Torino  ai  2  dicembre  1427  Filippo  Maria  Visconti 
otteneva  la  mano  di  Maria,,  figlia  di  Amedeo  Vili  di  Savoja  e  cedeva  in 
cambio  alla  casa  di  Savoja  il  domìnio  di  Vercelli.  Questo  avvenimento, 
che  consacrò  per  sempre  l' unione  di  Vercelli  al  Piemonte,  forma  1'  argo- 
mento di  una  composizione  poetica  anonima  in  venticinque  rozzi  esametri 
latini,  inediti,  che  il  Nogara  qui  pubblica,  togliendoli  dal  codice  Vaticano 
latino  1649. 

Notizie  biografiche  sul  dottor  Francesco  Tadini,  Novara,  tip.  Gaddi, 
1905,  in-8,  pp.  12. 

Il  Tadini  fu  carbonaro  e  per  aver  cospirato  si  ebbe  nel  1821  una  con- 
danna a  morte,  a  cui  si  sottrasse  con  la  fuga. 

NOVARA  (A.).  Giovanni  Torti.  -  Rivista  Ligure,  XXVI,  5. 

*  NOVATI  (F.).  Attraverso  il  medio  evo  :  studi  e  ricerche.  Bari,  G.  Laterza 
edit.,  1905,  in-8,  pp.  410. 

I.  Un  poema  francescano  del  dugento.  —  II.  Il  lombardo  e  la  lumaca. 

—  III.  Il  passato  di  Mefistofele.  —  VI.  Il  frammento   Pappafava .   —  V.  I 
detti  d'amore  di  una  contessa  pisana.  —  VI.  I  codici  francesi  dei  Gonzaga. 

—  VII.  Le  poesie  sulla  natura  delle  frutta   e   i   canterini    di    Firenze.    — 
Vili.  Una  vecchia  canzone  a  ballo  (Madonna  PoUajola). 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  4X9 

OMONT  (H.).  Voyage  littéraire  de  Paris  à  Rome  en  1698.  —  Revue  des 
bibliothèques,  gennaio-aprile  1904. 

Note  di  don  Paolo  Brios,  compagno  del  Montfaucon.    Per  il  loro  sog- 
giorno a  Pavia  ed  a  Milano,  cfr.  pp.  17-19. 

ORIOLI  (dott.  P.).  Il  lateral  sangue  in  correlazione  alla  storia  di  Mantova 
Palermo,  tip.  Pontificia,  1904,  ini6,  pp.  53. 

OUROUSSOW  (princesse  M.).  Gaudenzio  Ferrari  à  Varallo  et  Saronno. 
Esquisse  d'art.  Paris,  Fischbacher,  1905,  in-8,  pp.  49  et  7  ili.  [vedi 
Rov.igli]. 

P.  (A.).  Dell'incisore  Pietro  Anderloni.  —  //  Piemonte,  a.   II,  n.  7,  1904. 

A  proposito  del  volume  del  consocio  E.  Anderloni  sull'artista  milanese 
nato  nel  1785. 

*  PALMIERI  (A.).  Dell'ufficio  della  Saltaria  specialmente   nel  periodo  pre- 

comunale, —  Atti  e  Memorie  R.  Deputazione    di   storia  patria  per  la 
Romagna,  luglio-dicembre  1904. 

PAPALARDO  (S.  M.).  San  Carlo  Borromeo,  studio  psicologico.  Palermo, 
A.  Reber,  1905,  in-8,  pp.  230. 

PARI  BENI  (R.).  Fibula  di  bronzo  placcata  in  oro  della  palafitta  di  Pe- 
schiera. —  Bullettino  di  paletnologia  italiana,    1904,  p.  29. 

PARINI  (G.).  La  caduta  :  ode  annotata  da  Domenico  Scipioni.  Roma,  tip. 
Forzani  &  C.  1904,  in-8,  pp.  19. 

—  Oeuvres  choisies  traduites  pour  la  première  Ibis  en  langue  frangaise 

par  le  prof.  Th.  Feriaud.  Voi.  Ili  (Prose).    Paris,    Boyveau   et   Che- 
villet  édit   (Savone,  impr.  Peluff'o  et  Ferro),  1904,  in-i6,  pp.  131. 

—  V.  Forti,  Mazzoni,  Natali,  Pasini. 

*  PASCAL  (C).  Un  carme  di  Venanzio  e  uno  di  Prudenzio  [cod.  Ambro- 

siano, F.  60,  sup.i,  sec.  X]-  —  Bollettino   di  filologia   classica,   gen- 
naio 1905. 

PASINI  (F.).  Nova  Montiana,  con  un  poemetto  e  undici  lettere  inedite. 
(2.*^  edizione  riveduta  ed  ampliata).  Capodistria,  tip.  Cobol  &  Priora, 
1905,  in-8,  pp.  45. 

—  Il  Parini  e  Gian  Rinaldo  Carli.  —  Rivista  d'Italia,  febbraio  1905. 

PASSERONI  (Giancarlo).  Lettere  a  Flaminio  Scarselli,  dagli  autografi  che 
si  conservano  nella  Biblioteca  dell'  Università  di  Bologna,  pubblicate 
per  cura  di  Rinaldo  Sperati.  Bologna,  tip.  Zamorani  &  Albertazzi, 
1904,  in-8,  pp.  19. 


420  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

PATRICOLO  (A.).  Il  palazzo  ducale  di  Mantova.  —  Arie  italiana  decorativa^ 
a.  XIII,  1904,  p.  93  sg. 

PEDRAGLIO  (C.  L.).  Silvio  Pellico:  cenni  biografici,  con  un'appendice   di 
documenti  inediti.  Como,  V.  Omarini  edit.,  1904,  in-8,  pp,  222. 
Cfr.  Giorn.  stor.  della  lett.  ital,  fase.  154-135,  p.  429. 

PELiSSIER  (L.  G.).  Documenta  sur  les  relations  de  Tempereur  Maxi- 
milien  et  de  Ludovic  Sforza  en  l'année  1499.  —  Revue  des  langues 
romaines,  marzo-aprile  1905  e  prec. 

PELLANDINI  (V.).  Usi  e  costumi  di  Bedano  [nel  Luganese].  —  Archives 
Stiisses  des  traditions  popidaires,  a.  Vili,  fase.  IV,  1904. 

*PELLATI  (ing.  N.).  Contribuzioni  alla  storia  della  cartografia  geologica 
in  Italia.  —  Aiti  Congresso  Internazionale  di  scienze  storiche^  voi.  X, 
1904. 

A  p.  138  sgg.  Elenco  cronologico  delle  carte  geologiche  e  minerarie  ri- 
guardanti l'Italia  o  parti  di  essa  eseguite  a  tutto  il  1^02  [a  pp.  145-49  Lom- 
bardia e   Veneto  1822-1902]. 

PELLICO  (S.).  Le  mie  prigioni.  Nuova  edizione  illustrata  con  uno  studio 
biografico  e  note  storiche  al  testo  del  dott.  Federico  Ravello.  To- 
rino, libr.  S.  Giovanni  Evangelista,  1905. 

—  V.  Boselli,  Chiaitone,  Pedraglio,  Rinieri,   Walsh. 

V.  Bollettino  storico  bibliografico  subalpino,  a.  IX,  fase.  III-IV  (1904), 
pp.  288-290  per  altre  numerose  pubblicazioni  sul  Pellico. 

PFISTER  (A.).  Beziehungen  der  Familie  von  Salis  im  Ausland.  —  Rhàtia, 
a.  I,  n.  3,  1904. 

Relazioni  della  famiglia  Salis  all'estero. 

*  PICCIONI  (L,).  A  proposito  del  Monti  abate  e  cittadino,  spigolature  d'ar- 

chivio. —  La  Romagna,  a.  I,  n.  3,  1904. 

PICOTTI  (G.  B.).  A  proposito  dei  Brani  inediti  dei  "  Promessi  Sposi  „. 
—  Fanfulla  della  domenica^  n.  16,  1905. 

PIGORINI  (L.).  Caverne  del  Bresciano,  antichità  primitive  di  Brescia.  — 
Bulletiino  di  paletnologia  italiana,  1904,  pp.  80-81. 

—  Tombe  della  prima  età  del  ferro  in  Vergosà;  Museo  Ponti  nell'Isola 

Virginia;  Tombe  preromane  in  Bellinzona.  [Dalla  Rivista  Archeolo- 
gica di  Como].  —   Bulletiino  di  paletnologia  italiana,  1905,  pp.  75-76. 

*  PISANI  DOSSI  (A.).  Verdesiacum  {Esiv.  àa\.  Bollettino  della  Società  Pavese 

di  storia  patria).  Pavia,  tip.  succ.  Fusi,  1905,  in-8  gr.  ili.,  pp.  26. 

Cfr.  i  Cenni  bibliografici  in  quosx^ Archivio» 


j 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO  421 

PIVANO  (S.).  I  contratti  agrari  in  Italia  nell'alto  medio  evo.  Torino, 
Unione  tipografico-editrice,  1904,  in-8,  pp.  xv-338. 

PI  Y  MARGALL  (F.).  Leonardo  da  Vinci.  —  Cronache  della  civiltà  elleno- 
latina  (Roma),  II,  19-23,  1904. 

Tradotto  dall'opera  spagnuola  sulla  storia  della  pittura. 

PLINIUS  des  Jiingeren  Briefe.  Hrsgegb.  und  erklàrt  von  R,  C.  Kuktda, 
Wien,  Gràser  &  C.°,  1904,  in-8,  pp.  x-95  &  xii-ii8  ["  Meisterwerke 
der  Griechen  und  Ròmer  in  kommentierten  Ausgaben  „  IX]. 

—  V.  Allain,  Detlefsen,  Frangioja. 

*POSTINGER  (C.  T.).  L'amicizia  di  dementino  Vannetti  col  fiorentino  Gio- 
vanni Fabbroni.  —  Aiti  I.  R.  Accademia  degli  Agiati  di  Rovereto, 
luglio-dicembre  1904. 

Cfr.  gli  Appunti  in  c^ost^ Archivio. 

PRATESI  (M.).  Figure  e  paesi  d'Italia.  Torino-Roma,  casa  editrice  na- 
zionale, 1905,  in-8. 

La  villa  di  Massimo  d'Azeglio. 

PRATI  (G.).  Per  il  varamento  di  uno  dei  primi  piroscafi  sul  lago  di  Garda. 
Riproduzione  di  una  poesia  del  1844.  In  strenna  deìVEco  del  Baldo 
(Riva,  tip.  Miori,  1905). 

PREMOLI  (p.  O,).  Vita  illustrata  di  S.  Alessandro  Sauli  barnabita  vescovo 
prima  di  Aleria  poi  di  Pavia.  Milano,  tip.  Bertarelli,  1904»  in-i6, 
pp.  78  con  fig.  [v.  Rivista]. 

* —  Domenico  Sauli.  (Estr.  dalla  Rivista  di  scienze  storiche,  a.  1905). 
Pavia,  tip.  Rossetti,  1905,  in-8,  pp.  23. 

RAND  (E.  K.).  On  the  Composition  of  Boethius  Consolatio    philosophiae. 

—  Harvard  Studies  in  classical  Philology,  voi.  XV  (Harvard  Univer- 
sity, Cambridge,  Massachussetts). 

*  RASI  (P.)-  Di  alcune  particolarità  nel  metro  eroico  e  lirico  di  S.  Ennodio. 

—  Rendiconti  Istituto  Lombardo,  serie  II,  voi.  XXXVII,  fase.  XVIII 
(1905)- 

RAVAGLI  (F.).  Per  gli  aff'reschi  di  Gaudenzio  Ferrari  nel  santuario  di  Sa- 
ronno.  —  Erudizione  e  belle  arti.  Nuova  serie,  serie  I,  94  (Carpi,  1904 
[v.  Oursovi)]. 

*  RENDA  (U.).  Il  Torrismondo  di  T.  Tasso  e  l'arte  tragica  nel  cinquecento. 

—  Rivista  Abruzzese,  XX,  2. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VI.  27 


422  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

RENIER  (R.).  Il  Tasso  in  Germania.  —  Fanfulla  della  domenica,  XXV\  n.  45. 

A  proposito  del  libro  della  signora  Edwige  Wagner  Tasso  daheim  und 
in  Deutschland  (Berlino^  Rosenbaum,  1905). 

—  I  Promessi  Sposi  in  formazione.  —  Fanfulla  della  domenica,  XXVII, 
nn.  3-5  (1905). 

Tratta  della  Monaca  di  Monza,  dell'  Innominato  e  di  vari  episodi  mi- 
nori, seguendo  i  procedimenti  artistici  manzoniani  rivelati  dai  Brani  inediti 
del  romanzo  fatti  conoscere  dallo  Sforza. 

RESPINI  (G.)  &  TARTINI  (R.).  Storia  politica  del  Cantone  Ticino.  Parte  I. 
Origine  ed  indole  dei  partiti  1798-1841,  in-8.  Locamo,  tip.  Artistica, 
1904. 

*REZZONICO  (dott.  A.).  Una  pagina  di  storia.  Milano,  scuola  tip.  Figli 
della  Provvidenza,  1904,  in-8,  pp.  26  e  ritr. 

Ricordo  del  conte  Federico  Gonfalonieri. 

RICCI  (C.).  Gli  affreschi  del  Bramante  nella  R.  Pinacoteca  di  Brera  e 
un'appendice  di  Luca  Beltrami  su  la  sala  dei  maestri  d'arme.  Mi- 
lano, tip.  editr.  L.  F.  Cogliati,  1905,  in-8  fig.,  pp.  86. 

Ricordo  di  Bobbio.  Bobbio,  società  tip.,  1904,  in-i6  obi.,  pp.  8,  con  22  tav. 

RIGHIGHI  (D.).  I  protagonisti  dei  "  Promessi  Sposi  „,  con  un'appendice 
bibliografica.  Messina,  1904,  in- 16,  pp.  150. 

RINiERI  (L).  Gli  Archivi  imperiali  di  Vienna.  Una  visita  allo  Spielberg. 
—  Civiltà  Cattolica,  4  febbraio  1905. 

RIVALTA  (E.).  Notizia  letteraria.  "  Studi  su  Lodovico  Ariosto  e  Torquato 
Tasso  •„  di  Giosuè  Carducci.  —  Nuova  Antologia,  i.°  aprile  1905. 

*  Rivista  archeologica  lombarda.  Periodico  trimestrale  illustrato  di  archeo- 
logia e  d'arte.  Anno  I,  fase.  MI,  in-8  gr.  Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Co- 
gliati, 1905. 

Fas^.  I,  La  Direzione.  Prefazione.  —  Ricci  (S.),  Il  programma  della  Dire- 
zione. —  Lo  STtsso.  Gli  scavi  alla  Gallizia  presso  Turbigo  (con  ili.).  —  La  ne- 
cropoli di  Ferdesiacum.  —  L'attività  della  Società  archeologica  comense.  — 
Agnelli  (G.).  Scavi  a  Graffignana  (Lodi).  —  La  Direzione.  La  chiesa  di  Santa 
Maria  della  Pace  in  Milano  (con  ili.).  —  Sant'Ambrogio  (D.).  Il  Priorato  di 
S.  Nicolò  in  Piona  sul  lago  di  Como.  —  Legislazione  antiquaria.  —  Noti- 
liario  archeologico  dell'Alta  Itatia  (Collezione  Giulietti  a  Casteggio;  Anti- 
chità di  Castelletto-Stura;  Il  teatro  di  Verona).  —  Noti:(iario  archeologico 
generale.  Notizie  varie  (Dono  di  S.  M.  il  Re  alla  Gipsoteca  d'arte  in  Milano  ; 
Per  una  Raccolta  Vinciana;  Abside  frescata  nel  palazzo  episcopale  di  Como). 


I 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  423 

Bibliografia  (Il  chiostro  di  Piona,  di  A.  Cavagna-Sangiuliani).  —  Necrologio. 
—  Periodici  lombardi  di  archeologia,  d'arte  e  di  discipline  storiche  affini.  — 
Orario  d'entrata  ai  monumenti,  musei,  ecc.,  di  Milano  e  dintorni. 

Fase.  IL  Ricci  (S.).  Il  sarcofago  di  Lambrate  (con  8  ili.).  —  Notizie 
varie  di  archeologia  e  d'arte.  —  Bibliografia  [Frova  dott.  A.  Recensione  di 
Ricci-Gentile,  Archeologia  e  storia  dell'arte  greca].  —  Doni  alla  Gipsoteca 
d'arte. 

*  Rivista  archeologica  delia  provincia  ed  antica  diocesi  di  Como.  Fase  50.'', 

in-8  gr.  ili.  Milano,  tip.  editr.,  F.  L.  Cogliati,  1905. 

Cavagna-Sangiuliani  (A).  Le  chiese  e  il  chiostro  di  Piona  (con  ili. 
e  tav.).  —  GiussANi  (A.).  Un'  iscrizione  poco  nota  del  territorio  comasco 
[che  si  conserva  a  Lurate-Abate,  e  documento  della  lotta  combattuta  sul 
declinare  del  sec.  XIII  ira  Torriani  e  Visconti].  —  Sant'Ambrogio  (D.). 
Scoperta  di  un  affresco  nel  vescovado  di  Como  [del  periodo  del  vescovo 
Gerardo  da  Landriano,  1438-1445].  —  Magni  (dott.  A.).  Notizie  archeolo- 
giche: Legislazione  e  risvegUo  scientifico;  Società  consorella  nella  Svizzera 
ed  i  monumenti  del  Ticino  ;  Le  palafitte  ed  il  Museo  dell'Isola  Virginia  sul 
lago  di  Varese;  Ancora  tombe  dell'  età  del  ferro  a  S.  Fermo;  Tombe  di 
epoca  incerta  nel  Canton  Ticino  ;  Scoperta  di  tombe  antiche  in  Bellinzona  ; 
Iscrizione  romana  di  recente  scoperta  (a  Venegono  Inferiore);  Frammenti 
di  iscrizioni  romane  in  Como;  Tombe  cristiane  a  Vezio  (Luganese);  Teso- 
retto  di  monete  d'oro  a  Cantù;  Un  affresco  del  1473  in  Cermenate;  Un 
socio  comasco  in  Egitto;  Doni  pervenuti  ai  Museo  di  Como.  —  Necrolo- 
gio: Il  conte  Emilio  Barbiano  di  Belgioioso;  Il  dott.  cav.  Alfonso  Garova- 
glio.  —  Atti  della  Società  archeologica  Comense.  —  Gita  sociale  sul  Lario, 
5  ottobre  1904.  —  Elenco  dei  Soci.  —  Riviste  in  cambio  (spogli).  —  Bol- 
lettino bibliografico.  —  Rivista  archeologica  lombarda  (annuncio). 

*  Rivista  di  scienze  storiche.  Pubblicazione  mensile  diretta  dal  sac.  dottor 

Rodolfo  Maf occhi.  A.  II,  fase.  IV,  in-8  gr.  ili.  Pavia,  tip.  C.  Rossetti, 
30  aprile  1905. 

Fascicolo  intieramente  consacrato  a  S.  Alessandro  Sauli,  la  di  cui  ca- 
nonizzazione Pavia  solennemente  festeggiava  nel  maggio  p.  p.  Cor  tiene: 
Ciceri  (F.).  S.  Alessandro  Sauli.  —  Majogchi  (R.).  Sunto  di  sei  discorsi 
sull'  Eucaristia  di  S.  Alessandro  Sauli.  —  Lo  stesso.  Documenti  inediti  ri- 
guardanti S.  Alessandro  Sauli.  —  Premoli  (p.  O.),  Domenico  Sauli.  —  Recen- 
sioni, di  Moltedo,  Vita  di  S.  Alessandro  Sauli  (sac.  prof  L,  Valle). 

*  RIZZOLI  (L.).  Monete  inedite  della  Raccolta    de    Lazara    di    Padova.  — 

Rivista  iialiana  di  numismatica,  fase,  I,  1905. 

Castiglione  delle  Stiviere  (Ferdinando  I  Gonzaga,  1616-1780).  —  Bo:^- 
:(o/o  (Scipione  Gonzaga,  1609-1871). — Solferino  (Carlo  Gonzaga,  1637-1680). 

Roba   di    storia   e  d'arte  uscita  da   uno   studio   di   Roma.  Dispensa  3.* 
(15  marzo  1905),  in-8.  Pistoia,  tip.  Fiori,  1905). 

3.  Di  alcuni  meno  recenti  scrittori  di  casa  Borgia  (Caccia,  Bianchi- 
Giovini,  Muratori,  tee). 


424  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

ROBERTI  (M.).  Dei  beni  appartenenti  alle  città  dell'Italia  settentrionale 
dalle  invasioni  barbariche  al  sorgere  dei  comuni  :  appunti  e  ricerche. 
—  Archivio  Giuridico,  XI,  i  (1903). 

RODRIGUEZ  VILLA  (A.).  Ambrosio  Spinola,  primer  Marqués  de  los  Bal- 
bases,  ensayo  biografico.  Madrid,  Est.  tip.  de  Fortanet,  1905,  in-4, 
pp.  770  e  ritr. 

Lo  Spinola  fu  governatore  di  Milano  1629-1630. 

*  —  El  emperador  Carlos  V  y  su  corte  (1522-1539).  —  Boletin  de  la  Real 

Academia  de  la  Historia,  marzo  1905  {coni,}. 

RODOCANACHI  (F.).  Les  Nonnes  en  ItaHe  du  XIV«  au  XVIIP  siede.  — 
Bulletin  Italien,  to.  V,  n.  i,  1905. 

Con  esempi  per  la  Lombardia. 

ROLLONE  (L.).  La  provincia  di  Milano.  Torino,  Paravia,  1905,  in-i6  fig., 
pp.  48  e  6  carte. 

RONDANI  (A.).  La  logica  di  don  Abbondio.  —  lialia  Moderna,  marzo  1904. 

Studio  psicologico  ragguardevole,  secondo  il  Giornale  Storico  (fase.  133.°, 
p.  182). 

RÒSCH  (A.).  Das  Kirchenrecht  im  Zeitalter  der  Aufklàrung.  II  Der  Jose- 
phinismus.  —  Archiv  fiir  katholisches  Rechi,  1904,  voi.  LXXXIV. 

ROSSO  (F.).  Una  visita  alla  casa  di  Alessandro  Manzoni.  —  //  Piemonte, 
a.  II,  n.  6,  1904. 

RUSSEL  SELMES.  Moretto.  The  Raphael  of  Brescia.  —  Catholic  World, 
gennaio  1905. 

SABBADINI  (R.).  Ugolino  Pisani.  —  Nozze  Se herillo- Negri.  (Milano,  Hoepli, 
1904). 

Notizie  di  questo  bizzarro  poeta,  giurista  e  commediografo  del  quat- 
trocento, dedotte  da  certe  sue  note  del  n:s.  F.  141  sup.  dell'Ambrosiana. 

*  —  Dal  "  Virgilius  Petrarcae  „  dell'Ambrosiana.  —  Giornale  storico  della 

letteratura  italiana,  fase.  133  (1905). 

Con  la  consueta  diligenza  il  Sabbadini  è  ritornato  a  spigolare  in  quel 
campo  pur  così  mietuto  che  è  il  Virgilius  ambrosiano  del  Petrarca.  Dalle 
conclusioni  rileviamo  quella,  che  da  una  più  attenta  lettura  di  uno  scolio 
a  f.  28  V.  risulta  provato  come  il  Petrarca  chiamasse  Ardua  il  fiume  Adda. 
{Bollettino  di  filologia  classica,  a.  XI,  n.  io,  1905,  p.  256). 

* —  Frammento  di  grammatica  latino-bergamasca.  —  Studi  Medievali, 
a.  I,  n.  2  (1905)- 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO  425 

Saggio  di  miniature  del  secolo  XV  illustranti  il  canzoniere  petrarchesco 
per  il  prof.  P.  M.  :  un  qualche  contributo  artistico  della  Queriniana 
di  Brescia  nel  VI  centenario  della  nascita  di  Francesco  Petrarca. 
Brescia,  tip.  A.  Canossi  &  C,  1904,  in-8  fig.,  pp.  44. 

SALVIONI  (prof.  C).  Poesie  in  dialetto  di  Cavergno  (Valmaggia).  —  Ar- 
chivio glottologico  italiano,  voi.  XVI,  p.  549  sgg. 

*8ANT'AMBR0GI0  (D.).  Il  chiostro  di  Piona  sul  lago  di  Como.  —  Sul  sar- 
cofago scoperto  in  Lambrate  nel  marzo  1905.  —  Lega  Lombarda, 
I.'  gennaio,  2  e  8  aprile  1905. 

*  --  La  Madonna  della  rosa  nel  Duomo  di  Milano .  —  Sulla  facciata  del 
Duomo  di  Milano.  —  Di  due  altri  bassorilievi  dell' Amodeo  a  Torre 
de*  Picenardi.  —  L'oratorio  di  S.  Stefano  a  Lentate  sul  Seveso.  — 
Lega  Lombarda,  8  settembre  e  14  ottobre  ;  24  settembre  ;  4  dicembre 
1904. 

* —  La  Madonna  dell'abito  a  spighe  e  l'effigie  di  Catterina  Visconti.  — 
Lega  Lombarda,  n.  231,  1904. 

—  I  resti  di  una  villa  suburbana  sforzesca.  —  Lega  Lombarda,  12  feb- 

braio 1905. 

Ritiene  fosse  quella  del  poeta  Gaspare  Visconti. 

—  Nel  Museo  di  Porta  Giovia.  La  croce  gemmata  dei  Barbarigo  a  Mi- 

lano. —  La  scacchiera  di  uno  spadaccino  del  XVII  secolo.  —  Arte 
e  Storia,  nn.  3-4  e  7-8,  1905. 

—  Sull'interpretazione  di  un  passo  del  codice  Atlantico  riferentesi  alla 

Valsassina.  —  Arte  e  Storia,  20  novembre  1904. 

—  Una  statua  dello  scultore  casalese  Ambrogio  Volpi  del  1563  raffron- 

tata con  altra  del  Busti.  —  Frammento  scultorio  di  un  presepio  del 
Rinascimento  lombardo  in  Belgiojoso.  —  Il  coro  presbiterale  della 
Basilica  Ambrosiana.  —  //  Politecnico,  dicembre  1904  e  gennaio- 
marzo   1905.. 

—  L*  ipogeo  e  il  sarcofago  romano  di  Lambrate,  del  IV  secolo.  -—  Il  Po- 

litecnico, aprile  1905. 

Cfr.  anche  Rivista  di  sciente  storiche^  aprile  1905. 

*^  Sull'iconografìa  della  Vergine  nella  Certosa  di  Pavia  (cont.).  —  Ri- 
vista di  scienze  storiche,  dicembre  1904. 

* —  Sopra  una  singolare  sentenza  latina  di  Leonardo  da  Vinci.  —  Ri- 
vista di  scienze  storiche,  gennaio  1905. 

È  quella:  Decipimur  votis,   tempori  fallimur;  mos  deridet  curas  ;    auxia 
vita  nihil  che  leggesi  a  p.  298  della  nota  opera  del  Richter. 

—  La  chiesa  a  due  absidi  contrapposte  di  S.  Pietro  al  Monte  presso  Gi- 

vate. —  Sulla  facciata  del  Duomo  di  Milano.  —  Monitore  Tecnico, 
30  agosto  e  30  novembre  1904. 


420  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

*  SANT'AMBROGIO  (D.).  Un  camino  collo  stemma  dei  Brebbia  già  in  Milano 

nel  convento  di  S.  Maria  della  Pace  (con  ine).  —  Rassegna  d'Arte^ 
febbraio  1905. 

—  Un  quesito  leonardesco,  —  Natura  ed  Arte,  i."  ottobre  1904. 

SARTORI  TREVES  (P.).  Una  umanista  bresciana  del  secolo  XV  [Laura  De 
Cereto],  Brescia,  tip.  editr.  F.  Apollonio,  1904,  in-8,  pp.  67. 

Sacchi.  —  La  solennelle  canonisation  des  bienheureux  Alexandre  Sauli 
et  Gerard  Majella,  —  Rome,  8  gennaio  1905. 

Sauli  S.  Alessandro.  —  V.  Cacciari,  Moltedo,  Premoli,  Rivista,  Tran- 
quillino. 

*  SAVIO  (F.)  La  "  Datiana  Historia  „  o  Vite  dei  primi  vescovi  di  Milano 

ed  altre  opere  presunte  di  Landolfo  seniore  {Coni,  e  fine).  —  Rivista 
di  scienze  storiche,  dicembre  1904. 

Autorità  storica  di  Landolfo  specialmente  nella  Datiana  Historia.  — 
Metodo  seguito  da  Landolfo  nelle  sue  opere. 

SAV0R6NAN  (F.).  Carlo  Cattaneo  e  la  sociologia.  —  Rivista  italiana  di 
sociologia,  dicembre  1904. 

SCARANO  (N.).  Saggi  danteschi,  in- 16.  Livorno,  R.  Giusti  edit.,  1905. 
3.  Perchè  Dante  non  salva  Virgilio.  11.  Il  lombardo  di  Virgilio. 

*SCHIESS  (T.).  BuUingers  Korrespondenz  mit  den  Graubundern.  1  Theil, 
Januar  1533  -  Aprii  1557.  Basel,  Basler  Buch  &  Antiquariatshand- 
lung,  1904,  in-8  gr.,  pp.  xci-482.  ["  Quellen  zur  Schweizer  Geschichte  „, 
XXIII  Bd]. 

Più  che  corrispondenza  del  Bullinger  coi  Grigionesi,  si  doveva  scrivere 
corrispondenza  coi  riformatori  italiani  rifugiati  nei  Grigioni.  Difatti  abbiamo 
le  lettere  di  Vincenzo  Maggi,  di  Brescia,  Pietro  Parisòtto,  di  Bergamo, 
Francesco  Negri,  di  Bassano,  Agostino  Mainardi,  di  Saluzzo,  Camillo  Renato, 
siciliano,  Bartolomeo  Maturo,  di  Cremona,  Pier  Paolo  Vergerlo,  di  Capodi- 
stria,  Celso  Martinengo,  di  Brescia,  Paolo  Gadio,  di  Cremona,  Bartolomeo 
Paravicini,  di  Caspano,  Giovanni  Pontisella,  di  Vicosoprano,  Giulio  da  Mi- 
lano, Giovanni  Beccaria  (il  noto  riformatore  in  Locamo). 

SCHUBRING  (P.).  Mailand  und  die  Certosa  di  Pavia.  Stuttgart,  Union, 
1904,  in-8,  pp.  x-382  e  248  fig. 

SCHULTEN  (A.).  Italische  Namen  und  Stàmme  III.  —  Beitrdge  zur  alien 
Geschichte  Bd.  Ili  (Leipzig,  Dieterich). 

SCHUPFER  (F.).  Manuale  di  storia  del  diritto  italiano  ;  le  fonti,  leggi  e 
scienze.  3.*  edizione.  Città  di  Castello,  S.  Lapi,  1904,  in.8,  pp.  vm-772. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  4^7 

SCHURE  (E.).  Léonard  de  Vinci,  drame  en  cinq  actes.  Paris,  Perrin,  1905, 
in- 16,  pp.  260. 

*SCHWALM  (J.).  Nachlese  zu  fraheren  Reiseberichten,  1904.  —  Neues  Ar- 
chiv,  voi.  XXX,  fase.  II  (1905). 

III.  Cremona.  Le  sentenze  1311-1312  di  Enrico  VII,  contro  Brescia  e 
contro  Lucca,  trasuntate  nel  1339  e  nel  1347.  2.  I  privilegi  di  Lodovico 
il  Bavaro  del  21  giugno  1329. 

ScROSATi.  —  Un  decoratore  di  sessant*anni  addietro.  Con  ili.  —  Arte  de- 
corativa italiana f  a.  XIII,  1904,  p.  25  sg. 

Luigi  Scrosati  (1 814-1869)  che  lasciò  molte  opere  in  Milano  e  in  Lom- 
bardia. 

*SEGARIZZI  (A.).  Jacopo  Languschi,  rimatore  veneziano   del   secolo  XV. 
—  Atti  Accademia  degli  Agiati  di  Rovereto,  luglio-dicembre  1904. 

Il  4  ottobre  1409  si  trova  la  prima  volta  a  Venezia  come  notaio  «  Ja- 
«  copo  de  Languschi  da  Venezia  del  fu  Giovanni  da  Pavia  ».  E  di  lui, 
certo  appartenente  al  celebre  casato  dei  Langosco,  ragiona  il  Segarizzi  come 
notaio,  oratore  al  papa  e  poeta;  a  giudicare  il  suo  valore  poetico  riporta 
due  sonetd,  naturalmente  d' imitazione  petrarcliesca. 

*  —  Breve  descrittione  della  navigatione  proposta  et   inventata   da  Ga- 

briele Bertazzolo  da  Venetia  per  sino  a  Riva  di  Trento  (1623),  pub- 
blicata da  A.  Segarizzi.  —  L'Ateneo  Veneto,  marzo-aprile  1905. 

Ingegno  multiforme,  il  mantovano  Gabriele  Bertazzolo  compose  un 
dramma,  Gon:^aga,  e  con  miglior  fortuna  dedicò  la  propria  attività  alla  car- 
tografìa ed  all'  idraulica,  riuscendo  in  questa  eccellente,  come  fa  prova  il 
suo  maggior  lavoro,  il  Sostegno  di  Governalo, 

*  —  Un  poeta  feltrino  del  secolo  XV  (Giovanni  Lorenzo  Regini).  —  Atti 

dell'Accademia  scientifica  venetO-trentino-istriana.   Nuova   serie,    a.   I, 
fase.  I  (1904-1905). 

Alcuni  carmi  furono  scritti  a  Milano,  dove  il  Regini  dev'esser  stato 
qualche  tempo  come  segretario.  Da  Milano  egli  accompagna  con  una  lettera 
a  Carlo  Gonzaga  due  carmi  in  onore  della  moglie  di  codesto  principe,  Mad- 
dalena, e  par  verosimile  che  di  quel  soggiorno  siano  frutto  le  poesie  latine 
ed  italiane  ch'ei  dedicò  ai  segretari  del  Visconti  Domenico  Feruffino  e  Mar- 
colino Barbavara,  a  vari  membri  della  famiglia  milanese  Olgiati,  all'oratore 
e  poeta  Ambrogio  Crivelli,  a  Luchino  Balbo  pavese,  a  Eliseo  Manna  cre- 
monese, nonché  i  sonetti  e  le  canzoni  in  lode  della  virtù  e  delle  bellezze 
di  varie  donne  di  Milano  e  di  Pavia  da  lui  amate,  e  di  Elena  da  Pavia  per 
la  quale  folleggiava  Giacomo  Contrari  da  Ferrara. 

Sono  invece  del  tempo  in  cui  il  Regini  era  cancelliere  a  Ragusa  le  poesie 
scambiate  coi  cremonesi  Bartolomeo  e  Giovanni  Sfondrati,   Egidio  da  Cre- 


I 


428  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

mona,  cancellieri  a  Ragusa,  dove  forte  amicizia  li  unì  al  nostro  poeta  ;  con 
Stefano  Fieschi,  soncinese,  quando  andò  maestro  a  Ragusa  nel  1444. 

In  un  tempo,  che  non  si  può  determinare,  fu  il  Regini  a  Milano:  il 
Segarizzi  crede  prima  di  andare  come  cancelliere  a  Ragusa  dove  era  già 
nel  143$,  certo  nel  1444. 

Si  conosce  un  altro  poeta  della  famiglia  Regini,  Andrea  di  nome  ed 
il  S.  riporta  i  versi  da  lui  dettati  per  Francesco  Sforza,  allora  che  era  ca- 
pitano dei  Veneziani  (1440). 

*  SEGRE  (A.).  I  prodromi  della  ritirata  di  Carlo  Vili,  re  di  Francia,  da 
Napoli.  Saggio  sulle  relazioni  tra  Venezia,  Milano  e  Roma  durante 
la  primavera  del  1495  {Cont.  e  fine).  —  Archivio  storico  italiano, 
fase.  IV,  1904. 

—  Sul  richiamo  di  D,  Ferrante  Gonzaga  dal  governo  di  Milano  e  sue  con- 

seguenze. —  Memorie  R.  Accademia  delle  scienze  di  Torino,  voi.  LIV, 
anno  1 903-1904. 

SEIDLITZ  (W.  von).  Encore  Zanetto  Bugatto.  —  Chronique  des  arts,  n.  4, 
1905. 

Sfondrati.  —  Kardinal  Còlestin  Sfondrati,  Furstabt  des  Benediktiners- 
tiftes  S.*  Gallen.  t  1696.  Seine  Marienverehrung  und  Beziehung  zur 
marianischen  Kongregatiom  —  Canisius  Stimmen,  fase.  IV- V  (1903). 

SICCA  (O.).  Sul  "  Marco  Visconti  „  di  T.  Grossi  :  brevi  osservazioni. 
Napoli,  stab.  tip.  F.  Lubrano,  1904,  in-8,  pp.  16. 

*SIGHINOLFI  (L.).  Sulla  lega  dell'argento  e  gli  statuti  degli  orefici  di  Bo- 
logna durante  la  signoria  di  Giovanni  da  Oleggio.  —  A/ti  e  Memorie 
R.  Deputazione  di  storia  patria  per  le  Provincie  di  Romagna,  luglio- 
dicembre  1904. 

—  La  signoria  di  Giovanni  da  Oleggio  in  Bologna  (1355- 1360).  Bologna, 

tip.  N.  Zanichelli,  1905,  in-8,  pp.  iv-423  ("  Biblioteca  storica  bolo- 
gnese „,  n.  IO). 

SiMIONi  (dott.  A.).  Un  castello  della  Marca  Trivigiana  e  un  passo  dan- 
tesco. Perugia,  Unione  tip.  cooperativa,  1904,  in-8,  pp.  30. 

Il  passo  cui  lo  studio  si  riferisce  è  il  verso  54  del  IX  canto  del  Para- 
diso :  dove  Cunizza  da  Romano  fa  il  nome  di  una  prigione  chiamata  Malta. 
(Cfr.  Nuovo  Archivio  Veneto,  to.  VIII,  parte  II,  p.  397). 

SOLERTI  (A.).  Un  balletto  musicato  da  Claudio  Monteverde  sconosciuto 
a*  suoi  biografi.  —  Rivista  musicale  italiana,  1904,  pp   24  sgg. 

SOLMI  (A.).  Sulla  storia  economica  d'Italia  nell'alto  medio  evo.  —  Ri- 
vista italiana  di  sociologia,  gennaio-febbraio  1905. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  429 

SOLIMI  (E.).  Nuovi  studi  sulla  filosofia  naturale  di  Leonardo  da  Vinci.  Il 
metodo  sperimentale,  l'astronomia,  la  teoria  della  visione.  Modena, 
G.  T.  Vincenzi,  1905,  in-8,  pp.  230  [v.  De  Toni], 

*SOMIGL|ANA  (prof.  C).  Notizie  sulla  letteratura  voltiana.  —  Atti  Con- 
gresso storico  internazionale f  voi.  XII,  1904. 

*  SPADOLINI  (E.).  Nerone  ad  Ancona  secondo  Mario  Filelfo.  —  Le  Marcite, 

IV,  6. 

SPENCER  KENNARD  (G.).  Romanzi  e  romanzieri  italiani.  2  voi.  in-8  gr. 
Firenze,  Barbèra,  1904. 

Si  occupa  del  Manzoni,  del  Grossi  e  del  Nievo.  (Cfr.  Giornale  Storico, 
fase.  134-135,  PP-  435-36). 

STETTNER  (T.).  Eine  Fahrt  mit  dem  Lindauer  Boten  nach  Mailand,  1627. 
—  Das  Bayerland  di  Monaco  (R.  Oldenbourg),  nn.  12  &  13,  a.  XVI, 
1905. 

Un  viaggio  col  corriere  di  Lindau  a  Milano,  nel  1627. 

STIAVELLI  (G.).  Ricordi  d'altri  uomini  e  d'altri  tempi  [Giovanni  Visconti 
Venosta].  Frascati,  stab.  tip.  italiano,  1905,  in-i6,  p.  13,  con  ritr. 

Stimulus  Amoris,  Fr.  Jacobi  Mediolaniensis.  Canticum  pauperis,  Fr.  Joan- 
nis  Peckam,  sec.  codices  mss.  edita  a  PP.  Collegii  S.  Bonaventurae. 
Quaracchi,  impr,  du  collège  S.  Bonaventure,  1905,  in-i6,  pp.  xx-205 
("  Bibliothecae  franciscana  ascetica  medi  aevii  „  to.  IV). 

STORK  (W.).  Italien  und  die  italienische  Schweiz,  von  Luzern  bis  Neapel, 
von  Nizza  bis  Venedig.  Dessau,  Huber,  1904,  in-8,  pp.  247  e  fig. 

SUIDA  (W.).  Bemerkungen  iiber  einige  Meisterwerke  I.  Andrea  Mantegna. 
Zeitschrift  fiir  bildende  Kunst,  aprile  1905. 

Sunto  storico  della  brigata  Pinerolo,  dal  1672  al  1903,  pubblicato  inau- 
gurando il  monumento  ai  caduti  del  13.°  e  14.°  reggimento  fanteria 
alla  battaglia  di  S.  Martino.  Padova,  stab.  tip.  L.  Crescini  &  C.^ 
1904,  in-8,  pp.  63. 

SUSTA  (J.).  Die  Ròmische  Curie  und  das  Concil  von  Trient  unter  Pius  IV. 
Actenstiicke  zur  Geschichte  des  Concils  von  Trient.  Im  Auftrage  der 
Histor.  Commission  der  Kaiserl.  Akademie  der  Wissenschaften  bear- 
beitet.  I  Bd.  Wien,  Alfred  Hòlder,  1904,  in-8,  pp.  xcii-370. 

La  curia  romana  ed  il  concilio  di  Trento  sotto  papa  Pio  IV.  Documenti 
per  la  storia  del  concilio  tridentino. 

*  TACCHI  VENTURI  (P.  S.  J.).  Per  la  storia  della  Chiesa  Nuova  e  delle  re- 

lazioni tra  San  Filippo  Neri  ed  Anna  Borromeo  nei  Colonna.  —  Ar- 
chivio della  R.  Società  Romana  di  storia  patria,  voi.  XXVII,  fase.  Ili- IV 
(1904). 


430  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

TAMASSIA  (N.).  La  defensio  nei  documenti  medievali  italiani.  —  Archivk 
Giuridico,  serie  Ili,  a.  I,  n.  3,  1904. 

TARGIONI-TOZZETTI  (G.).  Sordello  e  l'invettiva  all'Italia  nel  canto  VI  del 
"  Purgatorio  „.  —  Annali  dei  RR.  Istituti  tecnico  e  nautico  di  Livorno, 
serie  IV,  voi.  MII  (1900-1904). 

TENCAJOLI  (O.).  Une  visite  à  Vezia.  —  Bulletin  Polonais,  n.  191,  juin 
1904.  Paris. 

È  riportata  l'iscrizione  dettata  dal  Boito,  e  posta  sul  loculo,  già  occu- 
pato dall'  urna  contenente  il  cuore  di  Kosciuszko  nella  cappella  Morosini  a 
Vezia,  presso  Lugano.  Il  cuore  dell'  eroe  polacco  venne  trasportato  a  Rap- 
perswyl  nel  1895. 

—  Correspondance  de  Milan.  —  Bulletin  Polonais,  n.  196,  novembre  1904. 

Il  T.  pubblica  una  lettera  inedita  in  italiano  del  re  di  Polonia  La- 
dislao IV,  in  data  3  maggio  1640,  diretta  a  mons.  Onorato  Visconti  di 
Saliceto  in  cui  lo  ringrazia  del  quadro  V Europa  ài  Guido  Reni,  statogli  in- 
viato da  esso  monsignore.  Il  Visconti  era  stato  nunzio  in  Polonia  dal  1650 
al  1636. 

TER  HAAR  (F.).  Ven.  Innocenti!  PP.  XI  de  probabilismo,  decreti,  historia 
et  vindiciae  etc.  Bari,  Laterza,  1905,  in-8,  pp.  viii  166. 

TESSELS  (F.).  Le  Ròle  de  S.  Charles  Borromée  dans  la  réforme  catho- 
lique  opérée  par  le  concile  de  Trente.  —  Annuaire  de  l'Université 
de  Louvain,  prò  1904. 

TONNI-BAZZA  (V.).  Un  matematico  del  XV  secolo.  —  Rivista  d'Italia, 
VII,  6,  1904. 

Nicolò  Tartaglia  (1500-15  57). 

* —  Frammenti  di  nuove  ricerche  intomo  a  Nicolò  Tartaglia.  —  Atti 
Congresso  storico  internazionale,  voi.  XII,  1904. 

*  TONONI  (G.).  Relazioni  di  Tedaldo  Visconti  (Gregorio  X)  coli' Inghilterra 
1259- 1271.  —  Archivio  storico  per  le  Provincie  parmensi.  Nuova  serie, 
voi.  II  (1905). 

TRAHEY  (I.  I.).  De  sermone  Ennodiano.  Dissertazione  inaugurale,  in-12, 
pp.  200  (Nostrae  Dominae  Indiana,  typ.  Uni  versi  tatis). 

TRANOUILLINO  (F.  M.).  Vita  di  S.  Alessandro  Sauli  della  Congregazione 
dei  Barnabiti,  vescovo  di  Aleria,  poi  di  Pavia.  Napoli,  D'Auria,  1904, 
in-8,  pp.  356. 


BOLLETTINO    BIBLIOGRAEIO  43I 

TRISCHITTA  (G.).  Studi  di  varia  letteratura.  Voi.  I,  in-i6.  Messina,  V.  Mu- 
glia edit.,  1905. 

4.  Una  pagina  difettosa  nei  Promessi  Sposi. 

*V.  (L.).  Di  un  antico  libro  pavese  che  si  credeva  perduto.  — Rivista  di 
scienze  storiche,  febbraio  1905. 

Il  Legendarium  Sanctorum  diversorum,  precipue  ilìorum  quorum  cor  por  a 
in  ecclesia  monasterii  S.  Felicis  {Papié)  requtescant. 

VALGIMIGLI  (M.).  Di  alcuni  criteri  d'arte  onde  il  Manzoni  rifece  i  "  Pro- 
messi Sposi  „.  —  Natura  ed  Arte,  15  maggio  1905. 

VANSON  (general).  Crimée,  Italie,  Mexique.  Lettres  de  campagnes,  1834- 
1867,  in  8.  Paris,  Berger-Levrault,  1905. 

*VATASSO  (M.).  Contributo  alla  storia  della  poesia  ritmica  latina  me- 
dievale. —  Studi  Medievali,  a.  I,  fase.  I. 

Il  V.  pubblica,  tolte  dal  cod.  vaticano  3251  cinque  poesie  di  genere 
goliardico  del  XII  secolo  e  vorrebbe  provare  che  l'Alta  Italia,  in  ispecie 
la  regione  tra  Lodi  e  Novara,  che  egli  prova  patria  del  manoscritto,  abbia 
preso  parte  a  quest'  indirizzo  intellettuale. 

VELTZÉ.  Aus  den  Tagen  von  Pordenone  und  Sacile,  Die  òsterreichische 
Offensive  in  Italien  1809.  —  Mitteilungen  des  k.  und  k.  Kriegsarchivs, 
serie  III,  voi.  III  (1904). 

VENTURI  (G.  A.).  Una  lettera  di  Alberto  Cavalletto.  —  Nozze  Scherillo- 
Negri  (Milano,  U.  Hoepli,  1904). 

Scritta  dal  carcere  mantovano,  il  25  febbraio  1853,  sotto  l'imminente 
pericolo  del  patibolo. 

Verdi.  —  GARIBALDI  (F.  T.).  Giuseppe  Verdi  nella  vita  e  nell'arte.  Fi- 
renze, R.  Bemporad,  1905. 

Agg.  l'articolo  di  G.  Senigaglia.  Una  curiosa  polemica  tra  Guerrazzi  e 
Verdi  nel  volumetto  In  memoria  di  Francesco  Domenico  Giuseppe.  (Prato, 
Passerini,  1904).  [V.  anche  Lu:(io']. 

VIGONI  (P.).  Alfonso  Garovaglio,  necrologia.  —  Società  italiana  di  esplo- 
razioni geografiche  e  commerciali,  n.  6,  1905. 

VILLADA  (P.).  El  decreto  de  Innocente  XI  sobre  el  probabilismo.  — 
Razon  y  Fé,  febbraio,  1905. 

VILLARI  (P.)  Le  invasioni  barbariche  in  Italia.  2.»  edizione.  Milano, 
U.  Hoepli,  1905,  in-i6,  pp.  xv-490,  con  3  tav. 

I.  Dalla  decadenza  dell'impero  romano  fino  ad  Odoacre.  2.  Goti  e  Bi- 
zantini. 3.  I  Longobardi.  4.  I  Franchi  e  la  caduta  del  regno  longobardo. 


Il 


432  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

VINCENT  (A.).  A  propos  du  Virgile  de  Jean  Reinhart  Griininger,  Stra- 
sbourg 1502.  —  Revtie  des  bibliothèques  et  archives  de  Belgigue,  to.  11^ 
1904,  pp.  1 17-123. 

Virgilio.  —  V.  Atti^  Avigliano,  Biagini,  Carducci,  Carreri,  Cristofolini^ 
Sabbadini,  Scarano,   Vincent. 

VITTADINI  (G.  B.).  Scritti  d'arte,  pubblicati  da  G,  Sessa  in  memoria  di 
G.  B.  Vittadini,  31  marzo  1905.  Milano,  stab.  tip.  Menotti  Bassani  &  C, 
in-4,  pp.  90  (6),  con  ritr.  e  tav. 

VOLPE  (G.).  Questioni  fondamentali  sulPorigine  e  svolgimento  dei  Co- 
muni Italiani  (secoli  X-XIV).  Pisa,  Nistri,  1904,  in-8,  pp.  41. 

È  la  prefazione  di  un  lavoro  che  l'A.  spera  di  pubblicare,  fra  non  molto, 
suU'  a  Origine  e  svolgimento  dei  canoni  medievali  nell'  Italia  Longobarda 
(sec.  X-XIV)  »,  lavoro  che  riuscirà  senza  dubbio  di  somma  importanza  per 
la  storia  della  vita  pubblica  italiana,  in  quel  lungo  periodo  di  tre  secoli,  nei 
quali  collimano  insieme  e  si  fondono  tanti  e  diversi  elementi. 

* —  Lambardi  e  Romani  nelle  campagne  e  nelle  città.  Per  la  storia  delle 
classi  sociali  della  Nazione  e  del  Rinascimento  italiano  (secoli  XI-XV). 
(Cont.).  —  Studi  Storici,  voi.  Vili,  fase.  II-III  (1904-1905). 

VOLPICELLA  (L.).  Una  chiave  di  cifra  del  secolo  XV  nell'Archivio  di  Na- 
poli. —  Rivista  delle  biblioteche  e  degli  archivi,  novembre-dicembre  1904. 

Interessante  cifrario  servito  ai  Rossi  di  Parma  e  che  offre  molti  nomi 
di  personaggi  politici  del  ducato  sforzesco  dell'ultimo  trentennio  del  quat- 
trocento. Vi  rileviamo  ad  esempio  : 

Dux  Mediolani  ;  Instabilis.  —  messer  ludovico  (il  Moro)  :  nihil.  —  Madona  (Bona 
di  Milano):  malhora.  —  Il  Trivultio  :  Tre  forche.  —  Jo.  Bournaée  (Borromeo)  :  El  pele^ 
grino.  —  petro  Pusterla  :  Fabulator.  —  Petro  Landriano  :  Pavo.  —  Monsg.  Ascanio 
(Sforza):  Calabrese.  —  messer  Philippe  Sforza:  testa  mata.  —  Bartolomé  Calcho  :  in- 
grato. —  El  castellano  de  Milano:  cadaver.  —  D.  Ambroxina  (Borromeo  de'  Rossi): 
stabile.  —  Signore  Roberto  (Sanseverino)  :  tu  scis.  —  Fracasso  (Sanseverino)  :  Yris.  — 
Johanne  francesco  fratello  (Sanseverino):  Invidia.  —Antonio  Maria  (Sanseverino)  :  T)i- 
lecius.  —  Galeaz  (Sanseverino  oppure  da  Correggio)  :  passio.  —  Milano  :  phano.  — 
Lode:  magna.  —  Pavia:  numquam  pia.  —  Marchio  Mantue  :  Delphino.  —  Picighitono  : 
pane.  —  Trezo  :  tri.  —  Signore  Gonstanzo  (Sforza):  5/ //a  (Scilla).  —Pesaro:  Caribdi. 

VOLTA.  Letteratura  voltiana.  —  L'Elettricista  di  Roma,  nn.  1-2,  1904. 
—  V.  Ambrosoli,  Bosscha. 

VOLTELINI  (H.  von).  Die  àltesten  Pfandleihbanken  und  Lombardenprivi- 
legien  Tirols.  Innsbruck,  Wagner.  1904,  in-8,  pp.  70  (Extr.  Beitrdge 
zur  Rechtsgeschichte  Tirols). 

I  più  antichi  banchi  di  pegno  e  privilegi  dei  Lombardi  nel  Tirolo. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  433 

WAGNER  (H.).  Tasso  daheim  und  in  Deutschland.  Einwirkungen  Italiens 
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pp.  vii-404  [v.  Remer]. 

WALSH  (I.  I.).  Silvio  Pellico.  —  Catholic  World,  febbraio,  1905. 

WESTBERG  (F.).  Wanderungen  der  Langobarden.  —  Mémoires  de  l'Aca- 
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WYZEVA  (T.  de).  La  fille  du  poète  Vincenzo  Monti.  —  Revues  des  deux 
mondes,  XXIII,  4. 

ZANAROELLi  (G.).  Notizie  naturali^  industriali  ed  artistiche  della  provincia 
di  Brescia  :  lettere  pubblicate  nel  1857  sul  giornale  //  Crepuscolo,  — 
Prefazione  dell'on.  aw.  Massimo  Bonardi,  —  Discorso  di  S.  E.  il 
ministro  Luigi  Rava  (A  proposito  dell'  Esposizione  bresciana).  Bre- 
scia, Unione,  tip.-lit.  bresciana,  1904,  in-8,  pp.  461. 

ZANELLI  (A.).  I  pubblici  orologi  a  Brescia  nel  secolo  XV.  Brescia,  Ca- 
nossi,   1904,  in-8,  pp.  4. 

*ZUCCANTE  (G.).  Commemorazione  di  Gaetano  Negri.  —  Rendiconti  Isti- 
tuto Lombardo,  serie  II,  voi.  XXXVIII,  fase.  I  (1905). 

—  Fra  il  pensiero  antico  e  il  moderno,  in-i6.  Milano,  U.  Hoepli,  1905. 

14.  Gli  Ultimi  Saggi  di  Gaetano  Negri. 


APPUNTI  E  NOTIZIE 


j^%  Intorno  al  sarcofago  di  Lambrate.  —  Di  questo  sarcofago  s'è 
già  tanto  parlato,  ch'esso  ha  ormai  la  propria  bibliografia,  ma  anche 
V Archivio  non  vuol  disinteressarsene  e  porta  quindi  ad  essa  il  suo  piccolo 
contributo.  Io  non  ripeterò  quanto  altri  ha  già  detto,  ma  solo  ritornerò  su 
alcune  delle  varie  ipotesi  emesse  e  specialmente  toccherò  dei  confronti 
fatti  con  altri  sarcofagi,  adducendone  uno  nuovo,  che  mi  sembra  il  più 
evidente. 

Anzitutto,  sebbene  io  non  abbia  potuto  vedere  il  luogo  del  rinve- 
nimento, poiché  ero  assente  quando  questo  avvenne  e,  recatomi  colà 
al  mio  ritorno,  vi  trovai  già  sorta  una  casa  e  perduta  ogni  traccia, 
tuttavia  dalle  informazioni  assunte,  dalle  relazioni  e  dai  disegni  pubbli- 
cati, mi  sono  formato  il  concetto  che  il  sarcofago  si  trovasse  in  posto, 
e  che  il  lato  grezzo  aderisse  ancora  alla  stessa  parete  cui  era  stato  ap- 
poggiato in  origine.  Non  mi  riesce  invece  chiara  V  ipotesi  che  si  trat- 
tasse d' un  ipogeo  di  tipo  italico  o  etrusco,  perchè  qui  siamo  in  un 
campo  ben  diverso  e  in  un'epoca  ben  lontana;  malgrado  la  persistenza 
degli  usi  e  delle  tradizioni  funebri,  non  si  può  confondere  un  tardo  ipogeo 
romano,  come  alcuno  tra  quelli  della  via  Appia  o  della  via  Latina, 
con  un'antica  tomba  italica  o  etrusca.  In  quanto  all'esser  stato  il  sar- 
cofago lavorato  in  posto,  non  escludo  tale  possibilità  e  in  ogni  modo 
non  ammetto  come  prova  decisiva  il  non  essersi  trovate  tracce  di  la- 
vorazione. Riguardo  alla  persona  o  alle  persone  sepolte,  io  credo  che 
il  sarcofago  racchiudesse  una  sola  persona,  malgrado  le  grandiose  di- 
mensioni, le  quali  sono  comuni  a  molti  altri  sarcofagi.  E  ciò  credo, 
prima  perchè  lo  scheletro  unico  trovato  nel  sarcofago  sembra  con  tutta 
probabilità  essere  l'originario  per  diversi  dati,  tra  cui  importante  quello 
d'essersi  trovato  il  sarcofago  ermeticamente  chiuso  con  cemento  antico  ; 
poi,  perchè  delle  due  figure  scolpite  negli  archivolti  della  facciata  una 
soltanto  può  essere  con  certezza  il  ritratto  del  defunto,  mentre  nell'altra 
io  vedrei  piuttosto  un  orante  indeterminato,  un  simbolo  accanto  agli 
altri  dello  stesso  sarcofago,  anziché  una  defunta  rappresentata  come 
orante;  e  in  ciò  mi  conferma  anche  la  mancanza  d'un  ritratto  nell'acro- 
terio  sovrastante  all'orante,  che  faccia  riscontro  all'altro,  come  si  vede 
in  altri  sarcofagf!. 


APPUNTI    E    NOTIZIE 


435 


Ma  se  le  figure  della  facciata,  prescindendo  dalla  questione  dei  de- 
funti, non  lasciano  dubbio  sulla  loro  interpretazione,  quelle  dei  lati  mi- 
nori hanno  dato  luogo  a  varie  interpretazioni,  che  io  però  qui  non 
discuterò;  osservo  solamente  che  i  due  oggetti  ai  fianchi  del  Buon  Pa- 
store non  sono  punto  chiari  e  che  il  decidere  se  siano  piuttosto  cornu- 
copie che  alberi,  dipende  in  parte  dal  ritenere  se  questi  oggetti  con 
tutto  lo  sfondo  siano  stati  scalpellati  o  non  finiti;  io  li  credo  non  finiti, 
perchè  l' identica  scabrosità  presentano  anche  i  capitelli  delle  colonnine, 
i  quali  non  avrebbero  avuto  alcuna  ragione  d'essere  scalpellati  in  un 
presunto  rimaneggiamento  del  sarcofago.  Più  probabile  mi  sembra 
quindi  che  il  Buon  Pastore,  che  ad  ogni  costo  si  vuol  considerare  quale 
discendente  diretto  dell'  "  Ermes  criophoros  „,  sia  fiancheggiato  da  due 
alberi,  sebbene  riconosca  esser  questi  raffigurati  in  una  forma  aff'atto 
insolita. 

Più  interessante  è  la  rappresentanza  dell'  altro  lato  e  anche  qui 
non  mancano  le  discordanze.  La  prima  impressione  che  si  riceve  è 
quella  d'una  semplice  scena  di  mestiere;  ma  considerando  l'importanza 
del  sarcofago  ed  esaminando  bene  la  figura  seduta,  la  quale  con  ogni 
probabilità  sta  scrivendo,  si  pensa  ad  un  ricco  negoziante  che  registra 
i  propri  conti  o  fors'anche  fa  testamento.  L'oggetto  appeso  in  alto 
non  sarebbe,  secondo  me,  né  una  sedia  curule,  né  una  cesta  o  altro 
recipiente  coperto  da  un  panno,  ma  piuttosto  una  tunica  o  una  pelle, 
insegna  che  si  potrebbe  conciliare  col  concetto  del  negoziante  arricchi- 
tosi nello  sgrassar  panni  e  pellami. 

Rimarrebbe  l' iscrizione,  ma  questa  è  così  poco  visibile,  eh'  io  la 
chiamerei  quasi  ipotetica,  perché  sfugge  ad  ogni  serio  tentativo  di  let- 
tura, mentre  i  nuovi  lapicidi  di  matita  vi  si  sbizzarriscono  in  vario  modo, 
finché  il  sarcofago  sia  lasciato  esposto  in  loro  balia. 

È  perciò  desiderabile  che  venga  presto  collocato  nel  Museo,  o  in 
altro  luogo  riservato,  e  così  quale  fu  trovato  nella  tomba,  cioè  colla 
sua  costruzione  di  mattoni,  colla  parte  grezza  addossata  alla  parete  e 
col  coperchio  sovrapposto.  Ed  è  pure  desiderabile  che  anche  nel  Museo 
si  sorveglino  meglio  gli  sgorbiatori  e  si  premuniscano  in  qualche  modo 
gli  oggetti  che  più  si  prestano  ad  essere  scarabocchiati,  perché  nem- 
meno qui  essi  sono  immuni  dai  grafomani. 

Ma  veniamo  ai  confronti.  Sono  stati  citati  come  più  simili  al  nostro 
sarcofago  quello  di  Valerio  Petroniano  nel  Museo,  della  cappella  di 
S.  Aquilino  in  S.  Lorenzo,  quelli  di  Modena  e  di  Spalato  e  vagamente 
quelli  di  Ravenna. 

Ora,  tra  i  sarcofagi  di  Ravenna  uno  solo  s'accosta  in  parte  al  no- 
stro, cioè  quello  di  S.  Apollinare  in  Classe  (i),  per  1'  architettura  della 
facciata,  simile  a  quella  del  nostro,  ma  con  capitelli  corinzi  invece  che 
dcripi  e  1'  archivolto  invece  dell'  architrave  nella  porta.  11  più  simile  al 


(i''  C.  Ricci,  Ravenna,  5.*  ediz.,  fig.  no. 


I 


436  APPUNTI   E    NOTIZIE 

nostro,  tra  i  sarcofagi  citati,  è  quello  di  Modena  (i),  non  solo  per  Tar- 
chitettura  della  facciata,  ma  anche  perchè  ha  negli  archivolti  due  figure 
come  il  nostro;  manca  però  del  coperchio  come  quello  di  Valerio  Pe- 
troniano, che  è  inoltre  di  stile  corinzio.  Il  sarcofago  di  S.  Lorenzo  as- 
somiglierebbe nell*architettura,  se  non  fosse  di  stile  corinzio,  e  nel  co- 
perchio, se  non  avesse  gli  acroteri  vuoti;  assai  poco  assomiglia  quello 
di  Spalato  (2). 

Un  sarcofago  che  nessuno  ancora  ha  citato  e  che  invece  mi  ha 
colpito  per  la  sua  identità  col  nostro,  è  quello  romano  nel  cortile  del- 
l' Università  di  Ferrara  (3).  Questo  è  nella  facciata  con  tutti  i  suoi  par- 
ticolari identico  a  quello  di  Modena,  ma  ha  anche  il  coperchio  a  due 
pioventi,  squamato  e  cogli  acroteri  identici  a  quelli  del  monumento  mi- 
lanese, colla  sola  differenza  che  sono  entrambi  occupati  dai  ritratti  dei 
due  defunti,  maschile  e  femminile,  raffigurati  per  intero  nei  due  archi- 
volti sottostanti. 

Il  campo  della  porta  centrale  è  occupato  dall'  iscrizione,  non  leggi- 
bile nella  riproduzione  che  ho  sott'occhio.  Questa  lascia  però  scorgere 
in  parte  anche  un  lato  minore  del  sarcofago,  il  quale,  prescindendo  da 
una  figura  che  non  si  può  distinguere  e  da  una  testa  nel  timpano  del 
coperchio,  che  parrebbe  di  Medusa,  presenta  pure  un'  edicoletta  nello 
stile  della  facciata. 

Il  sarcofago  di  Ferrara  si  presenta  con  linee  semplici,  punto  ricer- 
cate e  artisticamente  superiore  al  nostro  nella  parte  scultoria  e  quindi 
più  antico  ;  il  nostro  è  certamente  rozzo,  ma  interessante  archeologica- 
mente per  le  rappresentazioni  e  per  la  provenienza. 

Arturo  Frova. 

/^  Il  comune  di  Treviglio  e  il  monastero  di  S.  Simpliciano.  —  Il 
dott.  Giuseppe  Barelli,  neir illustrare  alcuni  documenti  dell'Archivio 
comunale  di  Treviglio  riflettenti  la  storia  di  quella  città  (4),  accennò 
che  le  ricerche  praticate,  a  sua  richiesta,  nell'Archivio  di  Stato  di  Mi- 
lano ed  in  particolare  nel  fondo  del  monastero  di  S.  Simpliciano,  cui 
un  tempo  Treviglio  fu  soggetto,  non  gU  avevano  fornito  alcun  mate- 
riale. La  ragione  della  mancanza,  in  quel  fondo,  dei  titoli  e  delle  carte 
relative  al  possesso  di  Treviglio,  dovrebbe  essere  la  stessa  per  la 
quale  nell'archivio  del  comune  pervennero  i  più  importanti  tra  i  titoli 
medesimi  (5),  che  furono  trascritti  nei  due   codici   della  Trivulziana  (6) 

(i)  A.  Venturi,  Storia  dell'arte  italiana,  voi.  I,  fig.  217. 

(2)  Ibid.,  voi.  I,  fig.  178. 

(3)  Agnelli,  Ferrara  e  Pomposa,  fig.  6. 

(4)  Arch.  stor.  ital,  serie  V,  to.  XXX,  1902,  pp.  3-70. 

(5)  Ibid.,  doc.  I.  Diploma  di  Enrico  IV,  al  monastero  di  San  Simpliciano 
(1081,  aprile,  14);  doc.  II.  Diploma  di  Lotario  imperatore  al  suddetto  monastero 
(Il 37,  aprile,  5);  doc.  V.  Diploma  di  Federico  Barbarossa  che  conferma  i  due 
precedenti  (11 5  2  ottobre  31). 

(6)  Il  codice  porta  ora  la  segnatura  n.  1507. 


I 


APPUNTI    E    NOIIZIE  437 

e  dell'Archivio  medesimo,  e  dal  Barelli  pubblicati;  la  cessione  che  ad  un 
certo  momento  il  monastero  di  S.  Simpliciano  fece  dei  propri  diritti  su 
Treviglio  al  comune  e  agli  abitanti  di  quel  luogo,  cessione  della  quale 
havvi  traccia  sicura  in  due  documenti  editi  dal  Barelli.  L*  uno  è  il 
diploma  31  marzo  131 1  di  Enrico  VII  che,  prendendo  sotto  la  prote- 
zione dell'impero  il  comune  e  gli  uomini  di  Treviglio,  approvò  e  rati- 
ficò il  contratto  di  compra-vendita  stipulato  da  quel  comune  coli'  ab- 
bate di  S.  Simpliciano,  "  omnemque  liberationem  et  absolutionem  per 
"  ipsum  monasterium  et  per  alios  quorum  intererat,  comuni  et  terre 
•^'  Trevilij  prout  rite  et  provide  sunt  factas  „  (1),  e  concesse  allo  stesso 
comune  il  distretto  e  le  giurisdizioni  col  mero  e  misto  impero.  Il  secondo 
•è  un  diploma  di  Lodovico  il  Bavaro,  in  data  29  luglio  1327,  conforme  al 
precedente  (2).  Si  poteva  credere  che  l'affrancazione  di  Trevigho  dai 
vincoli  di  soggezione  verso  l'abbate  di  S.  Simpliciano  non  risalisse  ad 
età  molto  distante  dalla  data  del  primo  diploma.  Ma  fra  i  documenti 
testé  pubblicati  ne  troviamo  uno  che  precede  di  oltre  un  trentennio  il 
diploma  di  Enrico  VII,  ed  il  suo  contenuto  è  tale  da  escludere  che  in 
quel  tempo  l'abbate  fosse  ancora  investito  del  distretto  su  Treviglio.  L'atto 
reca  la  suppHca  presentata  dal  comune  e  dagli  uomini  del  luogo,  rap- 
presentati da  un  console  e  da  un  procuratore,  al  comune  di  Milano,  di 
elevare  il  luogo  medesimo  alla  dignità  di  borgo  coi  relativi  privilegi  e 
benefici  e  con  un  mercato  settimanale,  e  la  concessione  in  data  25  ot- 
tobre 1279  per  parte  del  comune  di  Milano,  della  grazia  richiesta  (3). 
Nel  contesto  di  quest'atto,  dell'abbate  del  monastero  non  si  fa  alcuna 
menzione.  A  noi  fu  dato  testé  di  rintracciare  la  data  approssimativa  del- 
l'affrancazione di  Treviglio  dalla  soggezione  verso  il  monastero  mila- 
nese, in  una  serie  di  ben  undici  documenti  notarili  del  fondo  di  S,  Sim- 
pliciano, all'Archivio  di  Stato  (4).  Il  carattere  di  questi  documenti,  ove 
l'atto  di  affrancazione  è  richiamato  in  via  incidentale  ed  in  fine  di  cia- 
scuno di  essi,  spiega  come  abbiano  potuto  passare  inosservati  a  chi 
ebbe  a  praticare  in  quel  fondo  le  ricerche  desiderate  dal  Barelli.  GH 
atti  abbracciano  il  periodo  di  quattro  anni  e  mezzo;  dal  3  agosto  1224  al 
13  gennaio  1229.  Contengono  altrettanti  pagamenti  eseguiti  dall'abbate 
di  S.  Simpliciano  per  l'importo  complessivo  di  lire  1579  e  soldi  11,  dei 
terzoli,  a  vari  creditori  di  Lanfranco  Cagalancia  di  Milano,  quale  parte 
del  prezzo  di  una  possessione  nel  territorio  di  Muzano  dal  Cagalancia 
venduta  al  monastero,  con  denari  che  l'abbate  veniva  di  mano  in  mano 
-esigendo  dal  podestà  di  Treviglio  "  ex  pretio  illarum  rerum  et  eorum 
"  iurium  de  quorum  facta  est  datio  et  liberatio  et  iurisremissio  et  finis 
'"  et  refutatio  et  venditio  a  predicto  d.  abbate  in  Petrum   Zaburrum  et 


(i)  Barelli,  op.  e,  loc.  cit.,  doc.  XXII. 

(2)  Ibid.,  doc.  XXVIII. 

(3)  Ibid.,  doc.  XII. 

(4)  Arch.  dipi.,  perg.  fondo  S.  Simpliciano^  fascio  n.  165. 


Ardi.  Star,  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase  VI.  28 


438  APPUNTI    E    NOTIZIE 

'*  Zaburrum  Duronum  tunc  consules  loci  de  Trivillio  et  in  Crottonem 
"  Marchesii,  Petrum  Tavanum,  Ambrosium  Dolionuin,  Ambrosium  Pici- 
"  nonum,  Albertum  Zaburum,  Martinum  advocatum,  Anricum  de  Anricis^ 
"  Johannem  Gavazum,  et  Albertum  de  Pagazano,  vicinos  illius  loci  de 
"  Trivillio  aecipientes  ad  suam  partem  et  ad  partem  comunis  illius  loci 
"  de  Trivillio  et  ad  partem  universorum  hominum  etsingularum  persona- 
"  rum  habitantium  in  isto  loco  et  castro  de  Trevillio  et  in  eius  territorio 
"  seu  finita  tam  illorum  qui  nunc  sunt  quam  illorum  qui  prò  temporibus 
"  erunt  et  nomine  Ecclesie  illius  loci  de  Trivillio  prò  decima  „.Per  quanto 
non  si  specifichi,  eccetto  che  per  la  decima,  il  preciso  oggetto  della  ces- 
sione, si  può  ritenere,  in  base  anche  al  raffronto  coi  due  diplomi  di  En-^ 
fico  VII  e  di  Lodovico  il  Bavaro,  che  il  monastero  si  sia  spogliato  del 
distretto  o  signoratico  sugli  abitanti,  sulla  villa,  sul  castello  e  sul  terri- 
torio, colle  relative  giurisdizioni  e  coi  diritti  di  destinare  il  podestà  del 
luogo,  di  confermare  i  consoli,  i  canevari  e  gli  altri  ufficiali  nominati 
dai  vicini,  d'infliggere  e  percepire  i  banni,  di  appaltare  i  servizi  dei- 
pesi  e  delle  misure  e  del  forno,  colla  regalia  sulle  acque,  acquedotti  e 
molini,  ecc.  La  distinzione  fra  rcs  e  jura  lascia  comprendere  che,  oltre 
ai  diritti  costituenti  l'esplicazione  del  distretto  signorile,  il  monastero 
aveva  ceduto  le  terre  che  vi  possedeva,  i  censi  e  i  fìtti;  compresi  quelli 
sulle  case  del  luogo  e  del  castello,  che,  secondo  il  costume  delle  curie 
signorili  milanesi,  si  costruivano  sopra  area  del  "  domino  „,  il  quale  ne 
concedeva  in  affitto  perpetuo  i  sedimi  ai  singoli  vicini  o  capi  famiglia. 
La  ripartizione  del  pagamento  nel  periodo  di  tre  o  quattro  anni  corri- 
sponde a  quanto  si  soleva  stipulare  nelle  contrattazioni  per  le  quali  si 
rendeva  necessario  l'esborso  di  forti  somme  di  denaro.  Prendendo  per 
norma  i  pagamenti  fatti  nel  1225  (circa  lire  mille),  il  prezzo  totale  della 
cessione,  se  si  effettuò  in  tre  anni  ed  in  rate  eguali,  sarebbe  stata 
di  lire  3000;  se  si  ripartì  in  quattro  anni  di  lire  4000.  La  frase  "  et 
"  per  alios  quorum  intererat  „  dei  due  diplomi,  indicherebbe  che  al- 
l'atto della. cessione  intervennero  insieme  all'abbate  alcuni  vassalli  o 
livellari  del  monastero,  per  la  rinuncia  dei  diritti  ad  essi  spettanti  nella 
curia  di  Treviglio,  dei  quali  erano  stati  investiti  dal  monastero.  Me- 
ritano infine  menzione  i  nomi  dei  podestà  che  ressero  il  luogo  di  Tre- 
viglio nei  quattro  anni  cui  si  riferiscono  i  documenti,  perchè  si  tratta 
di  personaggi  appartenenti  a  due  cospicue  famiglie  cittadine  di  Milano  : 

1.  Danisio  de  Superaqua  (Soriga?)  —  1224,  agosto  6  —  novembre 

2.  Jacobo  de  Superaqua  —  1225,  marzo  25  —  agosto  3 

3.  Acerbo  Marcellino  —  1226,  lugl.  9  —  1227  mag.  27 

4.  Jacobo  de  Superacqua  —  1229,  gennaio  13. 

G.    BlSCARO. 


«  • 


Di  un  libro  di  cucina  bergamasco  del  sec.  xv.  —  Dobbiamo 
alla  amabile  premura  dell'onor.  nostro  consocio  Enrico  Cochin,  deputato 
del  Nord,  alcune  notizie  interessanti  sopra  un  manoscritto  di  provenienza 


APPUNTI    E    NOTIZIE  43^ 

lombarda    conservato   nella   biblioteca  della  città  di  Chalons-sur-Marne, 


che  stimiamo  prezzo  dell*  opera  comunicare  ai  lettori  deW Archivio  (i). 
Si  tratta  d'un  libro  di  cucina,  ricopiato  a  Bergamo  nel  1481,  da  un  tra. 
scrittore  tedesco  di  su  un  esemplare  certamente  assai  più  antico.  Or  com'è 
noto,  siffatti  trattati  gastronomici  e  culinari,  relativamente  assai  nume- 
rosi dopo  l'invenzione  della  stampa  e  soprattutto  hel  Cinquecento  (2)» 
scarseggiano  non  poco  per  i  secoli  antecedenti  (3). 


(i)  Il  ms.  di  cui  ora  veniamo  a  discorrere  non  è  il  solo  di  provenienza 
lombarda  che  quella  biblioteca  racchiuda.  Anche  il  cod.  n.°  258,  ms.  cartaceo  di 
fogli  137,  che  mis.  mm.  288  x  202,  ed  ha  una  rilegatura  moderna,  è  stato 
scritto  in  Pavia  correndo  l'anno  1438  Cosi  dichiarano  le  due  note  finali:  «  Explicit 
«  libar  terrencii.  Scriptus  per  me  Hermannuni  de  Saxonia  sub  anno  domini  MCCCC 
«  XXX  Vili  ».  «  Hunc  therencium  scribi  feci  ego  pelegrinus  de  goth  in  studia 
«  Papiensi  M  CCCC  XXX  octavo.  Et  valet  florenos  renenses  tres  et  unam 
«  quartam  ».  Cfr.  E.  Molinier,  Catalogne  des  tnss.  de  la  hihl.  de  Chalonssur-Marne 
in  Catalogne  gènér.  des  tnss.  des  hihl.  puhl.  de  France,  etc,  to.  Ili,  p.  56. 

(2)  Ved.  per  il  Cinquecento  un  articolo  di  A.  Solerti,  Tavola  e  cucina  nel 
sec.  XVI,  in  Ga^^.  lettor,  di  Torino,  XIV,  1890,  nn.  i,  2,  3,  4.  Ad  un  genere 
alquanto  ibrido,  dove  le  ricette  di  culinaria  vere  e  proprie  si  mescolano  a  dis- 
sertazioni storico -filosofiche,  appartiene  il  libro  di  Bartolomeo  Platina  De  honesict 
volnptate  et  valetudine,  tante  volte  stampato  dal  1475  in  poi  (cfr.  V.  Rossi,, 
N.  L.  Cosmico,  in  Giorn.  stor.  della  leti,  ital,  XIII,  1889,  102  sgg.;  Della  Torre^ 
P.  Marsi  da  Pescina,  Rocca  S.  Casciano,  1903,  p.  104  sgg.  Qualcosa  di  simile 
disegnava  fare,  trattando  De  esculentis  et  poculentis  quae  veniunt  in  mensam  ro- 
mani pontificis,  anche  P.  Giovio;  ma,  deluso  nella  speranza  di  ricavarne  guadagno- 
vistoso,  abbandonò  l' impresa  (cfr.  Giorn.  stor.  della  letter.  ital,  XVII,  1893, 
p.  283). 

(3)  Riunisco  qui  alquanti  dati  sull'argomento,  non  senza  confessare  essermi 
rimasto  per  ora  inaccessibile  il  saggio  di  «  bibliografia  culinaria  »,  apparso  nel 
Giorn.  degli  eruditi  e  dei  curiosi,  a.  Ili,  voi.  IV,  p.  200  e  340;  voi.  V,  p.  iii. 
Invoco  inoltre  il  gentile  aiuto  dei  compagni  di  studio  per  conseguire  nuovi  lumi 
sopra  un  soggetto  del  quale  debbo  più  largamente  occuparmi  altrove.  Di  testi 
latini,  oltreché  il  trattatello  arabo,  voltato  in  latino  da  un  cremonese  dugentista,^ 
di  cui  diedi  già  conto  in  quQsVArch.  (XXVII,  1900,  11,  p.  146),  ed  il  Tacuinum 
sanitatis,  arabo  anch'  esso  d'  origine,  illustrato  dal  Von  Schlosser  e  dal  Delisle, 
non  conosco  che  il  libretto  De  modo  preparandi  et  condiendi  omnia  cibaria  et 
pottis,  che  occupa  lece.  94-98  del  ms.  lat.  7 131  della  Nazionale  di  Parigi,  spet- 
tante, se  non  al  1306,  come  affermò  poco  cautamente  il  Douèt  d'Arcq  nell'ar- 
ticolo sotto  allegato,  certo  alla  prima  metà  del  sec.  XIV.  Un'  operetta  scritta 
originariamente  in  volgare  è  il  trattatello  francese,  che  segue  nel  cod.  parigino 
or  citato  al  latino,  di  cui  si  ha  una  esatta  riproduzione  in  Bihlioth.  de  l'Ecole 
des  Chartes,  XXI  année,  to.  I,  V  sèrie,  1860,  p.  212  sgg.  Il  Douét  d'Arcq,  autore 
della  pubblicazione,  ricorda  altri  due  importanti  libri  congeneri  del  Trecento,  il 
Viandier  del  cuoco  Taillevent  e  Le  menagier  de  Paris  d'autore  anonimo,  del  i393>. 


44©  APPUNTI    E    NOTIZIE 

li  ms.  n.  319  della  biblioteca  di  Ciialons-sur-Marne  è  un  codice  car- 
taceo di  80  fogli:  che  mis.  mm.  154x108,  scritto  calligraficamente  con 
iniziali  colorate.  È  legato  in  pelle  di  scrofa  e  proviene  dalla  biblioteca 
del  fu  signor  Garinet,  dove  recava  il  numero  4741.  Il  nome  del  copista 
e  la  data  si  leggono  a  e.  80  v.:  "  Ad  laudem  eximii  et  omnipotentis  dei 
"  Amen.  Die  vero  18  mensis  decembris  1481  per  me  Reimboldum  Fi- 
"  linger  de  argentina  in  Castro  Bergomensi  „. 

Il  trattatello  comincia  a  e.  i,  preceduto  da  questa  intitolazione:  "  In 
"  nomine  Domini    amen.  Anno    Domini  143..-.  {sic)   die  primo    miii  (i). 


edito  dal  barone  Ger.  Pichon  e  utilizzato  largamente  da  P.  Lackoix,  Moeurs, 
usages  et  costumes  au  moy.  dge,  etc,  Paris,  1872,  Nourriture  et  Cuisine,  p.  1 1 1  sgg.; 
A.  Franklin,  La  vie  privée  d'autrefois,  La  Cuisine,  Paris,  Plon,  1888.  Un 
trattato  catalano  di  culinaria,  che  sembra  spettare  ai  primi  del  Trecento  (e 
precisamente  al  1324)  esiste  in  un  codice  della  biblioteca  di  Valenza,  e  fu  illu- 
strato da  D.  José  Enrique  Serrano  nella  Revista  de  Valencia,  to.  II,  1882,  p.  171  sgg. 
Esso  «  es  appelat  de  sent  Soui  et  feu  lo  eli  dieta  un  ben  home  e  fort  bon 
«  coch,  lo  qual  coch  stuve  ab  lo  rey  d'Anglaterra  :  e  lo  coch  lo  ffeu  ab  consell 
«  d'un  Pere  Felip,  scuder  del  dit  senyor  rey  ».  Un  secondo  ms.  di  questo  libro 
conservavasi  un  tempo  a  Barcellona:  cfr.  A.  Morel-Fatio,  Rapp.  sur  une  miss, 
phiìolog.  à  Vaìence,  in  Bihl.  de  VEc.  des  Chart.,  XLV,  1884,  p.  627.  Infine  un 
trattatello  in  tedesco  De  arte  coquinaria,  messo  insieme  nel  sec.  XV,  sta  a  e.  83 
a-95  b  del  ms.  della  Imperiale  di  Vienna,  n.  $486.  Cfr.  Tabulae  codd.  wss...., 
in  Bibl.  Pai.   Vindoh.  asservat.,  Vindobonae,  1870,  voi.  IV,  p.  133. 

Per  quanto  spetta  all'  Italia,  i  testi  volgari,  già  usciti  alle  stampe,  sono  in 
numero  di  quattro,  dei  quali  due  soli  interi.  Apre  la  schiera  //  libro  della  cucina 
del  sec.  XIV,  «  testo  di  lingua  non  mai  fin  qui  stampato  »,  che  Fr.  Zambrini 
pubblicò  nella  Scelta  di  curiosità  letterarie,  disp.  40.*,  Bologna,  1863.  Il  cod. 
dell'  Universitaria  di  Bologna,  di  cui  lo  Zambrini  si  valse  per  la  sua  poco 
felice  edizione,  racchiudeva  un  altro  trattatello  di  uguale  natura,  però  frammen- 
tario, che  rinvenne  parecchi  anni  dopo  un  editore  in  O.  Guerrini  {Framm. 
di  un  libro  di  cucina  del  sec.  XIV,  Bologna,  Zanichelli,  1887,  Nozze  Carducci - 
Gnaccarini).  A  sua  volta  S.  Morpurgo  rinvenne  nel  cod.  Riccard.  107 1  e  die 
fuori  per  Nozze  Franchetti-Enriques,  cinquantasette  Ricette  d' un  libro  di  cucina 
del  buon  secolo  della  lingua,  Bologna,  1890.  Finalmente  nel  1899  il  dott.  Ludo- 
vico Frati  stampò  nella  Raccolta  di  rarità  storiche  e  letterarie,  diretta  da  G.  L. 
Passerini  (disp.  2.^,  Livorno,  Giusti)  un  Libro  di  cucina  del  sec.  XIV,  d'origine 
settentrionale  (cfr.  Giorn.  star,  della  leti,  ital,  XXXVI,  240),  rinvenuto  nel  cod.  225 
della  Casanatense.  Che  fra  questi  libri  volgari  intercedano  relazioni  molto  strette 
ha  già  accennato  il  Frati;  ed  a  noi  sembra  probabile  che  derivino  tutti  quanti 
da  un  solo  originale,  forse  scritto  in  latino,  col  quale  il  testo  conservatoci  nel 
cod,  di  Chalons,  ebbe  per  avventura  intimi  rapporti.  Ma  di  ciò  a  miglior  tempo. 

(i)  Evidentemente  il  copista  ha  riprodotto  qui  la  rubrica  del  suo  esemplare, 
che  risaliva  ad  una  cinquantina  d'anni  prima.  Il  testo  però  può  senza  difficoltà 
stimarsi  più  antico. 


APPUNTI    E    NOTIZIE  44I 

"  Hic  est  liber  coquinarum  bonarum  prò  conservatione  corporis  in  bona 
"  sanitate  et  in  bono  appetitu  et  gustu  secundum  tempus  de  omn  bus  vi- 
"  vandis  prò  corpore  tantum.  Sed  prò  anima  requirantur  religiosi,  boni 
"  fideles,  theolici  (sic),  confessores,  lieremite  et  alii  boni  viri  vitam  do- 
"  mini  nostri  Jliesu  cristi  et  beati  francisci  et  benedicti,  augustini,  do- 
"  minici,  ambrosii,  et  gregorii  pape  sequentes.  compositus  et  scriptus 
"  per  me  N.  medicum  de  Assisio  „  (i). 

A  questo  curioso  preamboletto,  dove  si  mescono  così  amenamente 
le  cose  sacre  e  le  profane,  segue  il  primo  paragrafo  dell'opera  ;  "  Et 
"  primo  de  herbis  bonis  odoriferis  actis  (sic)  ad  coquinandum  „.  A  que- 
st'elenco ne  succede  un  secondo  "  De  fructibus  „,  seguito  (e.  2  v.)  dal- 
renumerazione  delle  spezie  ("  De  speciebus  „).  Poscia  tiene  dietro  un 
indice  generale  delle  ricette  culinarie,  date  nell'opera,  con  i  debiti  rinvìi 
alle  pagine  corrispondenti  del  ms.  Quest'  indice  molto  copioso  comprende 
tre  carte  (2  r.  •  5  t.). 

Sarebbe  naturalmente  fuori  di  luogo  riferir  qui  per  esteso  l'indice 
del  libro;  staremo  dunque  paghi  a  trascrivere  un  certo  numero  di  pa- 
ragrafi, per  porgere  ai  lettori  un  concetto  della  cucina  grata  ai  robusti 
stomachi  dei  nostri  avi. 

1.  De  modo  faciendi  brodium  granatum  (2). 
Recipe  pullos  bene  preparatos  et  bene  pilatos,  etc. 

2.  De  modo  faciendi  brodium  appetitivum. 
Recipe  pullos  preparatos  ut  supra  et  incisos  per   quartum   et  suf- 

frige  cum  lardone  etc. 

3.  De  modo  faciendi  alium  brodium  similem, 

4.  De  modo  faciendi  brodium  teuthonicum, 

5.  De  brodio  saporito  prò  carnibus. 
Recipe  capones  grassos  vel  gallinas  vel  paparos  vel  anseres.... 

6.  De  brodio  saporito  prò  piscibus. 
Recipe  pisces    preparatos    ut  decet  et  bene    lotos  et    frige   in  oleo 

abundanter.... 

7.  De  suppa  saporita  prò  paparo. 

8.  De  suppa  saporita  prò  avibus. 

9.  De  gelatina  prò  carnibus. 
Recipe  carnes  bene  lotas  et  preparatas  et  decoque  in  aqua  et  aceto.... 

10.  De  modo  faciendi  gelatinam  prò  piscibus. 
Recipe  vinum  bonum.... 

11.  De  modo  faciendi  gelatinam  prò  carnibus  aliis. 

12.  De  gelatina  piscium  alio  modp. 

t     13.  De  modo  preparandi  far  de  albese. 

Recipe  far  bene  lotum  et  bene  preparatum  et  fac  parum   bulire  in 
aquam.... 


i)  Cfr.  Catal.  génér.  cit.,  to.  Ili,  p.  64. 
2)  Cfr.  Zambrini,  op.  cit.,  p.  27. 


442  APrUxX'II    E    NOTI/ilK 

14.  De  modo  faciendi  far  de  spelta  vel  de  ordeo  (1). 

15.  De  modo  faciendi  gramitiam. 

Recipe  lac  ovile  et  distemperatum  ovis  debactendo  fortiter  et  pone 
lardonem.... 

16.  De  modo  faciendi  granaios  (?) 

Recipe  cicera  alba  mollificata  in  aqua.... 

17.  De  modo  faciendi  gramitiam. 

Recipe  farinam  et  incorporatum  ovis,... 

18.  De  modo  faciendi  guandos  (2). 

Recipe  nepitam  bene  pistatam  cum  sale  et  incorporatum  farin;!.... 

19.  De  modo  faciendi  Stimach  (3). 

Recipe  Suniach  libram  I  et  pista  fortiter.... 

20.  De  modo  faciendi  lemoniam  (4). 

Recipe  carnes  puliorum  preparatas  suffrictus  [sic).... 

21.  De  modo  faciendi  Vomaniam  (5). 

22.  De  modo  faciendi  lasangnas. 

Recipe  brodium  carnium.... 

23.  De  modo  preparandi  capriolis  {sic)  vitis  (6). 

Alla  fine  si  legge:  "  et  simile  potest  fieri  de  porcellanis  „. 

24.  De  modo  preparandi  cucurbitas. 

25.  De  modo  faciendi  salsam  prò  carnibus  castratinis  vel  porcinis. 

Seguono  tre  pagine  contenenti  diverse  ricette  di  salse,  le  quali  co- 
minciano tutte  colle  parole:  "  Item  alia  salsa  bona  „.  Indi  ripigliano 
altre  ricette  per  vivande: 

26.  De  cofypo  puliorum  (7). 

27.  De  gallina  piena. 

Recipe  gallinam  dipilatam  preparatam  et  conciam  bene. 

28.  De  gallina  fermentata. 

Recipe  furmentum  bene  albatum.. . 

29.  De  pullis  grafinatis. 

30.  De  modo  preparandi  paparnm  arrostitum. 

Le  istruzioni  procedono  così  sino  alla  fine,  indicando  piatti  assai 
semplici  e  insieme  con  essi  vivande  di  cucinatura  più  complicata.  No- 
tevoli soprattutto  i  ragguagli  intorno  al  modo  di  preparare  i  pasticci 
{pastelli)  di  carne,  con  formaggio,  senza  formaggio,  ecc.  Particolari  rac- 

(i)  Zambrini,  op.  cit.,  p.  71. 

(2)  Ibid.,  op.  cit.,  p.  37:  a  De' guanti  cioè  ravioli  ». 

(3)  Ibid.,  op.  cit.,  p.  44;  Frati,  op.  cit.,  p.  28. 

(4)  Ibid.,  op.  cit.,  p.  44;  Frati,  op.  cit.,  p.  63.    . 

(5)  Ibid.,  op.  cit.,  p.  45. 

(6)  Cfr.  Frati,  op.  cit.,  p.  13  :  «  Cime  de  vite  ». 
{7)  Cfr.  Zambrin'i,  op.  cit.,  p.  63. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  443 

-comandazioni  sono  poi  fatte  per  quel  che  concerne  i  grandi  pasticci 
destinati  ai  banchetti  solenni,  prò  ludo  et  festo.  A  chiuder  questi  brevi 
cenni  riferiremo  in  parte  la  ricetta  per  i  pasticci  ripieni  d'uccelli  vivi 
{De  modo  faciendi  pastellos  de  avibus  viyis)  (i).  L'Autore  spiega  come  si 
debba  praticare  un  foro  nella  crosta  del  pasticcio:  "  Per  illud  foramen 
"  mitte  aves  vivos  cum  alis  aliquantulum  tonsis,  ne  possint  subito  nimis 
"  volare  et  hoc  prò  habendo  maiorem  festum  tempore  discoperture 
^'  pastelli  et  aves  volent  et  saltent  huc  illuc  per  mensas  et  salam  „.  Un 
pas  iccio  così  condizionato  doveva  esser  apportato  con  gran  pompa 
dinanzi  ai  convitati:  "  Ut  portetur  in  sala  pompose  cum  iochis  et  instru- 
^'  mentis  coram  dominis  et  dominabus  circa  salam  et  mensas  et  in  loco 
-"  nobiliori  disponatur  „. 

F.  N. 

/^  Un  trattatello  medico  per  Sforzino  Sforza.  —  L'egregio  no- 
stro consigliere  di  Presidenza  avv.  Emilio  Seletti  possiede  oltre  alle  sue 
ben  note  e  ricche  collezioni  archeologiche,  di  ritratti  e  di  autografi,  anche 
una  raccoltina,  non  copiosa,  ma  pur  sempre  pregevole  di  manoscritti. 
Nell'attesa  che  il  cortese  suo  possessore  ne  voglia  comunicare  l'elenco 
ai  lettori  deW Archivio,  segnaliamo  noi  oggi  l'acquisto  da  lui  recentemente 
fatto  a  Roma  (asta  Luzietti)  di  un  interessante  codicetto  sforzesco. 

Trattasi  di  un  Consilium  ordinatutn  prò  salute  generosi  adolescentis 
Sforzini  Sforzie  RevJ^i  in  Christo  patris  et  Domini  Domini  Ascanij  Sfor- 
zie  Vicecomitis  Cardinalis  nepotis.  Il  trattatello,  dettato  per  liberare 
Sforzino  dal  flusso  catarrale  da  cui  sembra  fosse  affetto,  è  opera  di  un 
ben  noto  medico  veronese,  \naestro  Gabriele  de'  Zerbi,  che  lo  scrisse, 
come  consta  dalla  soscrizione  finale,  agli  idi  di  marzo  dell'  anno  i486, 
in  Roma  e  per  incarico  del\card.  Ascanio  Sforza,  zio  di  Sforzino.  II 
codicetto  membranaceo,  di  carte  12,  mm.  130  x  195,  con  titolo,  rubriche 
ed  explicit  in  rosso  ed  iniziali  a  colori,  e  la  prima  miniata,  disgraziata- 
mente è  assai  guasto  dall'  umidità  patita,  sicché  in  alcuni  luoghi  il  testo 
è  cancellato  o  pressoché  illeggibile.  Non  entreremo  nell*  esame  del  suo 
contenuto:  basti  a  farsene  un'idea,  riprodurre  i  titoli  dei  diversi  paragrafi 
e  cioè  "  de  aere  „,  "  de  exercitio  „,  "  de  quiete  „,  "  de  balneo  „,  "  de 
"  vigilia  „,  "  de  passionibus  anime  „,  "  de  coytu  „,  "  de  repletione  „, 
"  de  inanitione  „,  "  de  cibo  „,  "  de  pane  „,  "  de  carnibus  „,  "  de  lacte 
''  et  lacticinijs  „,  "  de  ovis  „,  "  de  herbis  „,  "  de  radicibus  et  acrumi- 
"  nibus  „,  "  de  aspar^gis  „,  "  de  leguminibus  „,  "  de  ferculis  „,  "  de 
"  piscibus  „,  "  de  testudine  „,  "  de  oleo  „,  "  de  conditis  „,  "  de  aro- 
"  matibus  „,  "  de  confectionibus  „,  "  de  fructibus  „  e  "  de  potu  „;  una 
miscellanea  cavata  da  Galeno  e  da  altri  autori  classici. 

Chi  fosse  il  medico  Zerbi  ce  lo  dicono  gli  storici  della  medicina  e 
di  Verona,  e  meglio  d'ogni  altro  il  Giuliari  che  nella  sua  Letteratura 
veronese  al  cadere  del  sec,  XV  (Bologna,    1876,    pp.    112,    152    e    356-59) 

^i)  Cfr.  Zambrini,  op.  cit.,  p.  58. 


444  APPUNTI   E    NOTIZIE 

ne  ha  descritto  le  diverse  opere  mediche  e  filosofiche  a  stampa  (fra 
le  quali  non  figura  il  nostro  Consìliunì)  e  narrata  la  vita  crudamente 
chiusasi  nel  1505.  Pubblicò  per  primo  le  Quaestiones  metaphysicae  uscite 
in  Bologna  nel  1482,  e  la  Vaticana  ne  ;  possiede  uno  splendido  esem- 
plare in  pergamena,  con  miniatura  che  rappresenta  1'  autore  offerente 
il  suo  libro  al  pontefice  Sisto  IV:  nell'Angelica  altro  esemplare  con 
postille  mss.  Seguono  la  Gerontocomia  (Roma  1489 1  intitolata  a  papa 
Innocenzo  Vili,  le  Cautelae  medicorum  (1495  e  ristampate  più  volte)  e 
il  Liber  anatomiae  corporis  humani  (Venezia  1502;  con  numerose  suc- 
cessive ristampe).  Per  quest*  ultimo  lavoro,  il  più  importante,  il  Zerbi 
vien  proclamato  dallo  Sprengel  e  dal  Cervetto  nelle  loro  opere  di  storia 
medica  "  il  più  antico  anatomico  del  suo  secolo  „,  ed  "  uno  dei  rige- 
"  neratori  della  scienza...,  da  porsi  allato  al  Mondino  „.  Fu  professore 
nello  studio  di  Padova  (1472);  dopo  due  corsi  triennali  se  ne  andò  a 
Bologna,  rimanendovi  sino  al  1453,  e  di  là  si  condusse  a  Roma,  dove 
soggiornò  parecchi  anni,  esercitando  l'arte,  per  la  quale  ebbe  ad  entrare 
anche  nelle  grazie  del  cardinal  Ascanio  Sforza,  che  gli  affidava  la  sa- 
lute del  proprio  nipote.  Richiamato  dopo  il  1492  dal  veneto  senato  alla  cat- 
tedra di  medicina  teorica  ordinaria  in  Padova,  vi  ritornò  professandovi 
sino  al  1505,  quando  s'ebbe  da  Andrea  Gritti,  console  allora  a  Costanti- 
nopoli, e  poi  doge,  quella  malaugurata  chiamata  che  gli  costò  la  vita,  nel 
barbaro  modo  narrato  da  Pier  Valeriano  nel  noto  suo  libro  Della  infe- 
licità dei  letterati.  Un  ricco  turco,  caduto  gravemente  ammalato,  avrebbe 
richiesto  a  calde  istanze  per  interposizione  di  Andrea  Gritti  il  sapiente 
soccorso  di  un  medico  italiano:  esitando  parecchi  nell'accettare  l'invito, 
il  nostro  Zerbi  moveasi  all'ardua  impresa,  felicemente  riuscendo  nella 
cura;  sanato  l'infermo,  colmo  di  ricchi  doni,  era  sul  ritorno  alla  patria,, 
già  presso  al  confine  veneto  pervenuto,  quando  nel  frattempo  quel  turco, 
in  causa  di  nuove  sregolatezze,  ebbe  a  ricadere  e  in  pochi  giorni  a 
morire:  ed  ecco  i  figliuoli,  sotto  pretesto  di  vendicare  il  padre,  quasi 
avvelenato  dal  medico  italiano,  o  piuttosto  per  cupidigia  di  riprendersi 
i  doni  a  lui  fatti,  spedire  pronti  emissari  dietro  lui,  i  quali,  raggiuntola 
e  preso,  lo  segarono  vivo  fra  due  tavole. 

Sforzino  Sforza  pel  quale  il  Zerbi  dettava  il  suo  Consiliutn  nel  i486 
è  ricordato  dal.  Litta  nelle  Famiglie  celebri  Italiane  (Famiglia  Sforza,. 
tav.  I)  e  più  recentemente  dallo  Sforza  nella  sua  Storia  di  Pontremoli 
(voi.  II,  pp.  107  sgg.).  Figlio  naturale  di  Francesco  di  Bosio  Sforza, 
venne  legittimato  da  papa  Alessandro  VI  nel  1493.  Cinque  anni  appresso 
il  card.  Ascanio  Sforza  gli  cedette  il  principato  di  Carbonara,  di  cui  era 
stato    investito    dagli   Aragonesi  (i).    Imprigionato    che   fu   Lodovico  il 

(i)  Si  sa  che  i  primi  sospetti  dell'  uccisione  del  duca  di  Gandia  nel  1497 
caddero  sugli  Orsini  e  sul  cardinale  Ascanio  Sforza,  né  si  tacque  il  nome  di 
Sforzino,  che  a  stare  all'  interessante  lettera  16  settembre  1497  ^^Uo  Scalona  al 
marchese  di  Mantova,  pubblicata  da  Luzio  e  Renier  vl^V Archivio  di  storia  pa- 
tria di  Roma  (XI,  1888,  p.  302)  «  questa  quadragesima  passata  [ha]  facto  ama- 
«  zare  uno  signore  spagnolo  in  casa  de  una  femina  cortesana  ». 


APPUNTI    E    NOTIZIE  445 

Moro,  riparò  in  Germania,  e  militò  sotto  le  insegne  imperiali.  Ricuperati 
gli  stati  milanesi  dagli  Sforzeschi,  fu  alla  corte  del  duca  Francesco  II 
che  lo  spedì  a  prendere  possesso  di  Pontremoli,  quando  i  Francesi  fu- 
rono sconfitti,  e  quindi  lo  creò  governatore  della  Lunigiana  sforzesca. 
Era  amantissimo  della  poesia  ed  alcuni  de*  suoi  componimenti  furono 
pubblicati  dall'Affò  {Scrittori  parmigiani,  III,  178).  Morì  a  Lodi  il  9  ot- 
tobre 1526  e  fu  sepolto  a  Parma  nella  chiesa  della  Steccata:  del  suo  te- 
stamento, con  cui  istituì  erede  universale  il  duca  di  Milano,  e  del  suo 
sepolcro  discorre  il  Ronchini  nelle  sue  memorie  sulla  Steccata  di  Parma 
negli  Atti  e  Memorie  della  R.  Deput.  di  storia  patria  per  le  Provincie  mo- 
denesi e  parmensi,  I,  p.  186  sgg.  E.  M. 

^*^  Recenti  restauri  in  S.  Abbondio  a  Cremona.  —  La  chiesa  di 
S.  Abbondio,  già  annessa  ad  un  monastero  antichissimo,  che  dai  Bene- 
dettini passò  agli  Umiliati,  da  questi  ai  Teatini  ed  ai  Frati  minimi  di 
S.  Francesco  di  Paola,  finché  nel  1798  fu  soppresso  ed  in  parte  distrutto, 
è  uno  dei  templi  più  ragguardevoli  per  artistiche  memorie  che  possegga 
Cremona,  la  quale  pur  ne  vanta,  com'è  noto,  moltissimi.  Venuta  nelle 
mani  dei  Teatini,  essa  fu  negli  ultimi  anni  del  Cinquecento  rifatta  cosi- 
che  la  vecchia  costruzione  venne  quasi  ravvolta  dalla  nuova:  nella  cu- 
pola poi  e  sulla  volta  si  deliberò  di  raffigurare  le  glorie  della  Vergine,, 
e  l'incarico  fu  dato  a  Giulio  Campi.  Ma,  morto  costui  prima  d'aver 
messo  mano  al  lavoro,  l'ufficio  di  frescare  il  tempio  restò  a  G.  B.  Trotti, 
detto  il  Malossì,  suo  scolaro,  ed  a  Orazio  Sammacchino,  bolognese. 

Entrambi  questi  artisti  compierono  con  amore  l'opera  loro  affidata, 
ed  i  freschi  di  S.  Abbondio  suscitarono  per  secoli  l'ammirazione  dei  cono- 
scitori. Però  da  qualche  tempo  essi  erano  ridotti  in  pessime  condizioni 
vuoi  per  la  cattiva  condizione  della  volta,  vuoi  per  la  polvere  ed  il  fumo. 
Preoccupate  di  ciò,  le  autorità  ecclesiastiche  col  consenso  e  l'appoggio 
della  Commissione  conservatrice  dei  monumenti,  deliberarono  di  far 
eseguire  que' restauri  che  apparivano  indispensabili.  Ed  oggi  difatti  i  bei- 
freschi  cinquecentisti  hanno  ripreso  novella  vita  grazie  ad  una  intelli- 
gente e  cauta  ripulitura,  e  dalla  cupola  gli  audaci  scorci  del  Malossi 
appaiono  più  che  mai  degni  d'ammirazione. 

Del  lieto  avvenimento  si  è  voluto  serbare  ricordo  in  un  numero 
unico  dedicato  a  S.  E.  Geremia  Bonomelli,  vescovo  di  Cremona,  "  per 
"  memoria  del  prossimo  suo  giubileo  sacerdotale  „.  Il  numero  assai  bene 
stampato  dallo  Stab.  tipo-litografico  A.  Manfredi,  oltreché  del  ritratto- 
dell'eminente  prelato,  va  adorno  di  alcune  riproduzioni  di  opere  d'arte 
di  cui  S.  Abbondio  è  ricco.  Notiamo  così  la  bella  pala  d'altare,  eseguita 
originariamente  da  Giulio  Campi,  nel  1527,  per  la  chiesa  di  S.  Nazaro 
e  Celso,  dove  é  rappresentata  la  Vergine  in  trono  col  divin  figlio  in 
grembo,  fiancheggiata  da  due  santi  titolari. 

^""^  La  "  Relazione  di  Milano  „  del  Leoni  ed  altri  documenti  lom- 
bardi donati  alla  Società  Storica  Lombarda.   —    L'egregio  consocio- 


446  APPUNTI    E    NOTIZIE 

dott.  Achille  Bertarelii,  già  benemerito  per  precedenti  doni,  ha  voluto 
arricchire  la  biblioteca  sociale  con  un  nuovo  contributo  di  antiche 
stampe  e  gride  milanesi,  aggiungendo  il  dono  di  un  manoscritto,  che 
sotto  molti  aspetti  è  importante  per  la  storia  lombarda.  Trattasi  della 
Relazione  di  Milano  ij^o  et  suo  stalo,  del  signor  Gio.  Battista  Leoni,  Il 
Ranke  {Die  Osmanen,  Berlin,  1857,  p.  343  sgg.),  si  valse  largamente  di 
questa  Relazione,  ch'egli  dice  stesa  nel  1589,  ed  i  diversi  brani  da  lui 
riportati  ad  illustrazione  del  capitolo  consacrato  al  dominio  spagnolo  in 
Milano,  concordano  col  testo  offerto  dal  dott.  Bertarelli:  che  però  essa 
sia  alle  stampe  per  intiero  non  ci  consta  e  forse  varrebbe  la  pena  di 
pubblicarla  tutta  quanta. 

Giova  peraltro  avvertire  che  un  altro  testo  si  ritrova  in  Trivulziana, 
ma  non  reca  il  nome  dell'autore  ed  alla  chiusa  è  altresì  mancante  (i). 
È  il  testo  che  l'Alberi  inseri  nella  sua  nota  collezione  delle  Relazioni  degli 
ambasciatori  veneti  al  senato  (serie  II,  voi.  II,  Firenze  1841,  p.  465  sgg.); 
ma  a  sua  volta  egh  omise  la  prima  parte,  "  una  digressione  storica 
"  poco  importante,  colla  quale  incomincia  questa  relazione  „.  Ma  s'egli 
almeno  attentamente  l'avesse  esaminata,  avrebbe  riscontrato  che  è  in- 
dirizzata a  "  Sua  Altezza  „  ossia  al  duca  di  Savoja  ;  sicché  dunque  va 
esclusa  (come  egli  ammette  per  altro  ragionamento)  dalla  serie  delle 
relazioni  venete. 

Senza  il  nome  del  Leoni  (2),  e  come  esistente  fra  i  mss.  Foscarini 
a  Vienna,  questa  medesima  Relazione  è  ricordata  dal  Predari  {Biblio- 
grafia milanese,  p.  565),  che  aggiunge  avere  essa  qualche  analogia  con 
un'altra  Relazione  di  Milano  del  cav.  Guerrini,  pure  fra  i  codd.  fosca- 
riniani. 

Il  codice  Bertarelli,  in-folio,  cartaceo,  del  sec.  XVII,  che  a  carte  2-40, 
contiene  la  Relazione  del  Leoni,  reca  ancora  una  Relatione  del  re  di 
Francia,  un  Discorso  sopra  il  re  di  Navarra  ed  una  Supplica  de*  Ghi- 
sardi.DaUsi  calligrafia  e  dall'inchiostro  a  base  corrodente,  questo  volume 
tosto  appare  del  gruppo  delle  numerose  Relazioni  che  si  ritrovano  nelle 
diverse  biblioteche  di  Europa.  Né  noi  entreremo  oggi  a  trattarne  con 
altri  particolari,  bastandoci  d'aver  segnalato  agli  studiosi  questo  codice, 
prezioso  davvero  per  Milano;  e  rinnovando  il  voto  che,  stante  le  lacune, 
le  varianti  nel  codice  trivulziano  ed  anche  l'omissione  già  riscontrata 
nell'edizione  Alberi,  se  ne  procuri  una  lezione  esatta. 

Tanto  più  che  le  Relazioni  di  Milano  del  Cinquecento  non  sono 
molte.  Notiamo  quelle  degli    ambasci^atori  veneti  Caroldo  (1520),    Basa- 


(i)  Mancanvi  le  carte  37-40  del  codice  Bertarelli,  importanti  pel  giudizio 
sul  duca  di  Terranova  e  sulla  «  dispositione  de'  popoli  verso  il  loro  principe  ». 

(2)  Del  Leoni,  sul  quale,  salvo  errore,  mancano  dati  biografici,  sono  a 
-stampa  le  Considerationi  sopra  Vhistoria  d'Italia  d&l  Guicciardini^  in-8,  Venezia, 
■Ciotti,  1600;  ed  anche  in  aggiunta  all'edizione  della  storia  medesima,  del  1645, 
-s.  luogo  (ma  Ginevra). 


APPUNTI    K    NOTIZIE  447 

-donna  (1533),  Novelli  (1553),  Mazza  (1565)  e  Anselmi  (1587),  edile  ap- 
punto dall'Alberi  (i),  e  quella  del  Guarini,  oratore  del  duca  Alfonso  di 
Ferrara,  pubblicata  dal  Tabarrini  (2).  Di  anonimo  è  la  Relatione  et  in- 
struttione  per  lo  stato  di  Milano  contenuta  nel  Tesoro  politico,  Colo- 
nia 1598  (3),  e  che  dal  suo  contesto  sembra  diretta  al  nuovo  governatore 
nel  1555  D.  Gomez  Suarez  de  Figueroa,  da  personaggio  che  dal  1549 
fino  al  1554  fu  addetto  alla  cancelleria  del  suo  predecessore  Ferrante 
Gonzaga. 


Altri  soci  che  accrebbero  in  questi  ultimi  mesi  la  biblioteca  con 
opuscoli  e  libri  sono  i  signori  rag.  E.  Ghisi  e  dott.  cav.  G,  Vergani.  A 
quest'ultimo  dobbiam  Tomaggio  di  una  miscellanea  di  carte  manoscritte 
e  a  stampa,  riferentisi  a  famiglie,  località  e  chiese  dell'antico  ducato  mila- 
nese, per  i  secoli  XVLXVIIII. 

Vi  sono  documenti  per  i  marchesi  Corbella  (inerenti  al  loro  feudo 
di  Affori),  per  i  Gagnola  (con  schema  genealogico),  per  i  Toscani  (carte 
diverse  e  alcune  riferentisi  all'erezione  fatta  da  Lodovico  Taverna  il 
29  novembre  1548  di  una  cappella  sotto  il  titolo  di  S.  Maria  dell'As- 
sunzione nella  chiesa  di  S.  Fedele  di  Milano  all'altare  detto  dei  Toscani 
ed  al  suo  trasferimento  nella  chiesa  di  S.  Marco  in  seguito  alla  demo- 
lizione di  detta  chiesa  di  S.  Fedele  per  la  costruzione  della  nuova  per 
parte  dei  Gesuiti),  per  i  conti  Simonetta,  ed  i  marchesi  Visconti  d'Ara- 
gona, signori  di  Oleggio,  Invorio  ed  Ornavasso. 

Ve  ne  sono  altresì  che  riguardano  le  terre  di  Arona,  Affori,  Bruz- 
zano,  Castelletto  Ticino,  Oleggio  Castello,  Seregno,  Settimo  e  Somma. 
Altre  carte  riguardano  le  chiese  milanesi  di  S.  Giovanni  sul  Muro  (elenco 
dei  documenti  concernenti  alla  soppressa  parrocchia),  di  S.  Giorgio  in 
Palazzo  (cappellania  all'altare  di  S.  Teodoro),  S.  Paolo  in  Compilo 
(conti  della  Scuola  del  SS.*'""),  della  Metropolitana  e  Curia  Arcivescovile 
(beneficio  in  Duomo  concesso  a  Carlo  Gerolamo  Lampugnani  1669,  e 
successione  ereditaria  del  canonico  ordinario  Carlo  Bozzolo  1691),  e  dei 
monasteri  di  S.  Marco  (Agostiniani),  S.  Michele  al  Dosso,  del  Lentasio 
e  di  Cantù,  pieve  di  Galliano. 

Notiamo  ancora  la  copia  del  testamento  del  cardinale  Pietro  Otto- 
boni  (4  maggio  1731)^  con  disposizione  a  favore  del  chierico  Orazio 
Marangoni,  romano,  dei  beni  ecclesiastici  della  prevostura  di  Carugate 
e  Chiaravalle.  E.  M. 

(i)  Relaiioni  cit.,  serie  II,  to.  II  e  V  1841  e  1858,  duella  del  Caroldo  già 
editi,  attribuendola  erroneamente  a  Luigi  Marini,  dal  Rosmini  {Quattro  Opuscoli 
del  sec.  XVI,  Milano,  1819).  L'altra  del  Novelli  sta  anche  in  Cantù,  Scorsa  di 
un  Lombardo  negli  Archìvj  di  VeneT^ìa,  Milano,  1856,  p.  41  sgg. 

(2)  In  Arch.  stor.  italiano^  s.  Ili,  to.  V,  p.  II,  1867. 

(3)  Anche  nell'edizione  milanese  del  T/j^ioro />o///i cu  (Milano,  Bordone,  1600, 
;parte  .1,  pp.  319-356).  Un  brano  è  riportato  in  ({Utsi' Archivio^  1886,  p.  603. 


448  APPUNTI    E    NOTIZIE 

^\  Lettere  di  cardinali  lombardi  de'  secoli  xvi  e  xvii.  —  Esiste 
nel  fondo  italiano  della  Nazionale  di  Parigi  una  raccolta  molto  rag- 
guardevole di  lettere  di  cardinali  messa  insieme  nel  sec.  XVII  dal  pre- 
sidente Achilie  III  de  Harlay:  rimasta  sin  qui  quasi  sconosciuta,  essa 
vien  oggi  minuziosamente  descritta  da  quel  valente  bibliografo  che  è 
L.  Auvray  (i).  La  raccolta,  intitolata:  Lettres  de  cardinaux  de  toutes- 
sortes  de  nations  rangées  par  ordre  alphabétique,  racchiude  circa  tre- 
cento documenti,  emananti  da  più  di  centoventi  cardinali  del  sec.  XVI 
o  della  prima  metà  del  sec.  XVI.  Tra  essi  un  numero  considerevole  è 
d' italiani,  e  tra  gli  italiani  non  mancano  i  lombardi  di  origine  o  rivestiti 
di  uffici  in  Lombardia,  dei  quali  crediamo  utile  indicar  qui  i  nomi  in 
ordine  alfabetico:  Alciati  Francesco,  Arigoni  Pompeo,  Campora  Pietro 
(vescovo  di  Cremona,  1621-1643);  Gallio  Tolomeo  (il  cardinal  di  Como),, 
Gambara  Gian  Fr.,  Gonzaga  Giov.  Vincenzo,  Gonzaga  Ferdinando,, 
Gonzaga  Ercole,  Morone,  Serbelloni  Giov.  Maria,  Sforza  Francesco, 
Trivulzi  Teodoro,  Vidone  Gerolamo. 

^^^  Pubblicazioni  del  principe  di  Essling.  —  Grazie  alla  liberale 
cortesia  d'un  nuovo  ed  illustre  nostro  consocio,  il  principe  d'Essling  (2)^ 
la  biblioteca  sociale  si  è  arricchita  di  alcuni  volumi  veramente  preziosi 
vuoi  per  il  loro  interesse  storico-bibliografico  vuoi  per  l'eleganza  e  la 
sontuosità  deir  impressione,  cheli  rendono  veri  monumenti  artistici.  Vo- 
gliamo parlare  delle  due  opere,  già  tanto  e  tanto  favorevolmente  note 
agli  studiosi,  Les  Missels  imprimés  à  Venise  de  1481  à  1600  (Paris, 
Rothschild,  1896)  ed  il  Pétrarque  (Paris,  Petit,  1902);  fatiche  entrambe 
del  nobilissimo  bibliografo,  che  per  la  seconda  ebbe,  com'  è  risaputo,, 
a  collaboratore  Eugenio  Miintz.  L'uno  e  l' altro  di  questi  libri,  arric- 
chiti d'una  serie,  splendida  veramente,  di  riproduzioni,  sono  troppo 
apprezzate  da  quanti  s' interessano  agli  studi  sul  Rinascimento  italiano^ 
perchè  occorra  tenerne  più  lungo  discorso:  basti  dunque  averne  qui 
rammentato  il  felice  acquisto,  che  arreca  pregio  nuovo  alla  collezione,. 
già  ragguardevole  della  Società  Storica,  di  libri  artistici  ed  illustrati. 

* ^  Progetto  di  navigazione  fluviale  in  Lombardia  nel  Seicento.  — 
Gabriele  Bertazzolo,  mantovano,  ingegno  proteiforme,  che  dedicò  sugli 
inizi  del  sec.  XVII  la  sua  attività  alla  cartografia  ed  all'idraulica,  nella 
qual'ultima  riuscì  eccellente  (sua  opera  è  il  "  sostegno  „  famoso  di  Gover- 
nolo)  aveva  offerto  nel  1623  alla  Signoria  di  Venezia  un  progetto  di  na- 
vigazione fluviale,  atto  a  congiungere  i  possedimenti  della  Serenissima 

(i)  L.  Auvray,  Inventaire  d'une  collection  de  lettres  de  cardinaux  des  XVI 
et  XVII  siècUs,  Paris,  1905,  pp.  21    (Estr.   dalla   Revue  d'histoire   diplomatiqué). 

(2)  Il  principe  d' Essling  ha  pure  fatto  omaggio  alla  Società  dell'  ultima 
suo  importantissimo  lavoro,  Le  premier  livre  xylographique  italien  imprimé  à 
Venise  vers  i4$o,  Paris,  1903. 


APPUNTI    E    NOTIZIE  449 

con  la  Lombardia  medianti  l'Adige  e  il  Mincio.  L'impresa  ardita  sarebbe 
forse  stata  effettuata,  poiché  erano  in  ballo  interessi  importantissimi 
per  la  Dominante,  se  la  morte  immatura  del  "  prefetto  delle  acque  nello 
"  Stato  di  Mantova  „  (tale  era  la  carica  del  Bertazzolo),  non  fosse  ve- 
nuta a  turbare  le  trattative  già  in  corso  tra  Venezia  ed  il  duca  di 
Mantova,  le  quali  d'allora  in  poi  si  prolungarono  per  molt'anni  ancora, 
senza  venire  ad  alcuna  conclusione.  Il  dott.  A.  Segarizzi,  avendo  testé 
rinvenuto  nell'Archivio  di  Stato  di  Venezia  la  relazione  originale  pre- 
sentata dal  Bertazzolo  alla  Signoria  veneta,  ha  stimato  utile  darla  in- 
tera alla  luce  (i);  e  difatti  ora  che  fervono  di  bel  nuovo  gli  studi  per 
rimetter  tra  noi  in  onore  la  navigazione  fluviale,  il  curioso  documento 
potrà  esser  letto  da  molti  con  utilità  e  con  piacere.  Secondo  il  Bertazzolo, 
"  per  fabricare  la  navigatione  de  Venetia  nelle  parti  superiori  di  Lom 
^'  bardia  „,  conveniva  scendere  da  Venezia  per  l'Adige  sino  a  Legnago, 
quindi  uscire  dal  detto  fiume,  e  mediante  una  fossa  morta  nonché  il 
•Cavo  nuovo  della  Nichesola  passare  nel  Tartaro;  poi,  staccandosi  dalla 
Fossetta  Mantovana  a  Torre  Rotta,  spingersi  al  lago  Derotto  e  di  là, 
approfittando  del  colatore  Fissero,  salire  sino  a  Governolo  sul  Mincio. 
Di  qui  potevasi  da  un  lato  per  il  "  sostegno  „  entrare  nel  Po  e  quindi 
andare  in  tutta  la  Lombardia  superiore;  dall'altra  giungere  a  Man- 
tova. 

^\  Il  Fabbroni  ed  il  Pananti  a  Milano.  —  All'amicizia  di  demen- 
tino Vannetti  con  Giovanni  Fabbroni  ha  consacrato  un'  interessante 
memoria  il  Postinger  (ofr.  Atti  della  I.  R.  Accademia  degli  Agiati 
di  Rovereto,  luglio-dicembre  1904).  Il  Fabbroni  non  aveva  che  22  anni 
quando  si  recò  a  Rovereto  con  Felice  Fontana  (il  matematico  valente, 
più  tardi  professore  a  Pavia),  al  quale  il  granduca  Leopoldo  di  To- 
scana (2)  lo  aveva  dato  in  aiuto  e  compagno  per  i  viaggi  scientifici  in 
Lombardia,  nella  Svizzera,  nella  Francia  e  nell'Inghilterra.  Quasi  tre 
inesi  stette  il  Fabbroni  a  Rovereto,  cioè  dall'agosto  all'ottobre  del  1775. 
Nel  novembre  si  trattenne  a  Milano  e  sono  interessanti  le  sue  let- 
tere dei  4  e  29  novembre  1755  scritte  dalla  nostra  città  e  quella  del 
27  dicembre  1775  da  Ginevra,  in  cui  il  Fabbroni  descrive  la  città  di 
Milano  d'allora,  né  parla  bene,  tutt'altro,  delle  donne  milanesi,  mentre 
loda  quelle  del  Trentino  e  le  ginevrine! 

In  altre  sue,  scritte  da  Parigi  ricorda  gì'  incontri  fattivi  colla  con- 
tessa Grismondi,  col  padre  Boscovich  e  con  Giuseppe  II. 


(i)  A.  Segarizzi,  Breve  descrittìone  della  Navigatione  proposta  et  inventata 
■da  Gabriele  Bertanolo,  ecc.,  Venezia,  1905. 

(2)  È  ai  più  noto  il  Viaggio  per  l'Alta  Italia  del  Ser.  Principe  di  Toscana 
poi  Grandma  Cosimo  III  descritto  da  Filippo  Piiiichi  (Firenze,  Magheri,  1828), 
Ai  23  giugno  1664  il  principe  ventenne  era  a  Milano. 


45^'  APPUNTI    E    NOTIZIE 


Alcune  lettere  di  Filippo  Pananti  al  cav.  Luigi  Angiolini,  diplo- 
matico toscano,  che  B.  Romano  pubblicò  nel  fascicolo  di  gennaio- 
marzo  1905  del  sempre  interessante  Giornale  storico  letterario  della  Li- 
guria, oltre  rivelarci  lo  spirito  irrequieto  dello  scrittore  toscano,  ci 
dicono  la  parte  attiva  ch'egli  prese  alla  vita  politica  della  Toscana 
prima  della  reazione,  la  ragione  del  suo  allontanamento  da  Firenze  e 
determinano  le  date  della  sua  partenza  da  Firenze  e  da  Parigi,  di  dove 
si  recò  al  Collegio  di  Sorèze.  Il  Pananti  sullo  scorcio  dell'  ottobre 
del  1796,  partì  colla  Luisa  Dini,  che  si  era  separata  dal  marito  (i),  e 
con  molti  altri  per  Milano,  dove  condusse  una  vita  gaudente  e  spen- 
sierata. "  Madama  e  compagni  „,  scriveva  il  Dini  da  Firenze  ai  17  di- 
cembre 1796,  "  sono  attualmente  a  Milano  e  si  vedono  frequentemente 
"  ai  passeggi  ed  al  teatro....  „  (2). 

^%  Nuovi  periodici,  —  Ci  piace  segnalare  all'attenzione  benevola 
degli  studiosi  della  storia  italiana  tre  nuove  riviste  testé  sorte.  La  prima 
è  il  Bullettino  critico  di  cose  francescane,  che  si  pubblica  a  Firenze  presso 
il  libraio  Frane.  Lumachi,  in  fascicoli  trimestrali  di  oltre  48  pagine  in-8. 
Lo  dirige  il  sig.  Luigi  Suttina,  giovine  valente  ed  attivo;  tra  i  collabo- 
ratori ritroviamo  i  nomi  di  studiosi  reputati,  quali  M.  Barbi,  E.  Cochin, 
U.  Cosmo,  I.  Della  Giovanna,  F.  Flamini,  F.  Nevati,  G.  E.  Parodi,  F. 
Sabatier,  F.  Tocco,  ecc.  Il  primo  fascicolo,  da  poco  uscito  alla  luce,  dà 
liete  promesse  per  l'avvenire.  Oltre  ad  un  programma  in  cui  sono  chia- 
ramente esposti  gli  intenti  del  periodico,  vi  rinveniamo  un  articolo  del 
De  Kerval,  Les  sources  de  Vhistoire  de  SJ  Francois  d'Assise,  un  altro  del 
Sabat  er,  A  propos  de  la  visite  de  Jacqueline  de  Settesoli  à  S.t  Frangois, 
delle  conmnicazioni  da  mss.  del  Suuina,  del  Manzoni,  del  Little,  più  una 
copiosa  bibliografia  francescana. 

Abbiano  il  secondo  luogo  le  Memorie  storiche  cividalesi,  Bullettino 
del  R.  Museo  di  Cividale,  le  quali  hanno  cominciato  a  comparire  in  Ci- 
vidale,  sotto  la  direzione  dei  signori  G.  Fogolari,  P.  S.  Leicht  e  L.  Sut- 
tina. Queste  Memorie,  che  usciranno  in  fascicoli  di  32  pagine  in-8  gr., 
ogni  trimestre,  si  propongono  di  raccogliere  ed  ordinare  tutto  il  mate- 
riale storico  ancora  esistente  in  «quella  vetusta  città  friulana,   che  vide 


(i)  Agostino  Dini,  democratico,  che  fu  poi,  ne)  1799,  segretario  della  prima 
municipalità  di  Firenze. 

(2)  Altri  illustri  Toscani  capitarono  a  Milano.  Basti  pel  Seicento  ricordare  il 
Redi  ed  il  Bracciolini.  Del  primo  è  noto  il  brindisi  :  «  Milano  viva  e  viva  Napoli, 
«  Che  produce  certi  grappoli  »  ;  del  soggiorno  del  secondo  a  Milano  s'  occupò, 
anni  sono,  il  Flamini,  F.  Bracciolini  a  Milano^  Pisa,  1894,  nozze  Gigliotti- 
Michelagnoli. 


APPU.NTI    E    NOTIZIE  45!' 

i  primi  duchi  langobardi  assidera  nell'Italia  il  loro  dominio.  Nel  primo 
fasdcolo,  oltre  ad  interessanti  ricerche  del  Leicht  sopra  un  codice  del 
Museo  Cividalese,  onde  vengono  utili  materiali  per  la  storia  alla  glossa 
al  Decreto  di  Graziano,  si  hanno  articoli  del  Fogolari  e  dello  Zanutto; 
il  primo,  ora  direttore  del  R.  Museo,  ci  parla  degli  scavi  fatti  in  Civi- 
dale  per  rintracciarvi  antichità  medievali,  l'altro  illustra  con  erudi- 
zione un  episodio  delle  guerre  di  cui  fu  teatro  il  Friuli  negli  ultimi  lustri 
del  sec.  XIV,  toccando  più  particolarmente  della  parte  che  vi  rappre- 
sentarono i  Savorgnan. 

Non  minor  lode  del  tentativo  fattosi  a  Cividale,  merita  quello  che 
il  signor  Pio  Pecchiai  ha  intrapreso  a  Pisa,  fondando  una  Miscellanea  di 
erudizione,  della  quale  sono  già  impressi  due  fascicoli.  11  Pecchiai  si 
propone  degli  scopi  forse  alquanto  vaghi,  chi  legga  il  programma,  giac- 
ché non  è  possibile  oggi^  in  tanto  frazionarsi  e  suddividersi  di  ricerche, 
farsi  avanti  con  disegni  altrettanto  grandiosi  quanto  fantastici,  come 
son  quelli  contenuti  in  certi  periodi  carducciani,  che  il  direttore  della 
nuova  rivista  riferisce  per  la  millesima  volta.  Ma  dopo  aver  pagato  il 
suo  tributo  ad  una  rettorica  alquanto  stantìa,  il  Pecchiai  finisce  col 
conchiudere  che  sarà  soprattutto  Pisa  che  darà  il  maggior  contributo- 
alla  sua  pubblicazione;  e  difatti  quel  che  di  buono  v'ha  in  questa  (e  ve 
n'ha  già  parecchio)  deriva  dagli  archivi  pochissimo  esplorati  di  quel- 
l'insigne città.  Perchè  dunque  non  avere  semplicemente  e  tranquilla- 
mente intitolato  il  nuovo  periodico  Miscellanea  di  erudizione  pisana? 

Buoni  (abbiamo  detto)  sono  taluni  articoli  del  primo  numero  della 
Miscellanea,  come  quello  di  C.  Fedeli  su  L'Archivio  della  cappella  di 
musica  della  primaziale  pisana  nel  sec.  XVI  e  XVil;  e  migliori  quelli 
del  secondo,  ove  oltre  ad  un  elegante  excursus  storico-letterario  di  V.  Gian, . 
si  ha  un  bel  gruzzolo  di  documenti  concernenti  a  Giovanni  Pisano  e  ad 
altri  "  magistri  lapidum  „  della  città  di  Pisa,  esumati  dal  Pecchiai  e 
dal  Barsotti. 

^%  È  annunciata  la  imminente  pubblicazione  a  cura  di  Giulio  Fraikin. 
della  Nonciature  de  France,  de  la  baiatile  de  Pavie  à  la  mori  de  Clé- 
meni  VII,  primo  lavoro  di  una  serie  che  comprenderà  tutte  le  nunzia- 
ture di  Francia  nei  sec.  XVI  e  che  sarà  edita  per  cura  della  Sociéte 
des  archives  religieuses  de  la  France.  L'opera  del  Fraikin  comprenderà 
due  volumi.  Il  periodo  studiato  abbraccia  le  nunziature  di  Roberto  Ac- 
ciajoli,  del  cardinale  Giovanni  Salviati  e  di  Cesare  Trivulzio. 

^^  Museo  della  Scala.  —  Milano  si  appresta  nel  venturo  anno  a 
salutare  il  traforo  del  Sempione  con  una  grande  Esposizione  interna- 
zionale, atta  a  richiamare  buon  numero  di  forastieri  fra  le   sue    mura. 

La  Delegazione  del  corpo  dei  palchettisti  del  Teatro  della  Scala 
intende  di  organizzare  per  quell'  epoca  il  Museo  della  Scala/  offrendo 
così  a  tutti  coloro  che  visiteranno  i  monumenti  della  città,  e  fra  questi 
anche  il  nostro  massimo  teatro,  l'occasione  di    poter   vedere   riuniti  e 


45^  APPUNTI    E    NOTIZIK 

coordinati  i  ricordi  e  gli  oggetti  intesi  a  ricostruire  la  storia  di  questo 
tempio  dell'arte;  per  modo  che  oltre  le  memorie  degli  artisti  passati  e 
presenti,  anche  tutte  le  innovazioni,  tutti  i  perfezionamenti  del  mate- 
riale scenico  abbiano  a  trovare  la  loro  esplicazione. 

Con  apposita  circolare  del  maggio  la  Delegazione  invoca  l'aiuto  di 
<iuanti  nutrono  amore  all'arte  ed  alle  sue  gloriose  tradizioni  e  alla  storia 
del  suo  maggior  teatro,  onde  poter  raccogliere  piià  abbondante  materia, 
a  complemento  del  patrimonio  d'arte  che  l'archivio  della  Scala  già  for- 
nisce. Non  dubitiamo  che  il  progetto  verrà  accolto  con  favore,  sì  che 
il  Museo  stesso  possa  assurgere  a  vera  importanza  storica  ed  educativa. 

^\  Bolle  pontificie.  —  L' Omont  pubblica  nella  Bibliothéque  de 
i' Ecole  des  chartes  (settembre-dicembre  1904)  il  catalogo  delle  Bulles  pon- 
-iificales  sur  papyrus^  IX-XI  siecles,  le  bolle  pontificie  più  antiche,  i 
cui  originali  sono  ancora  conservati:  esse  non  rimontano  oltre  il  prin- 
cipio del  sec.  IX,  mentre  di  quelle  dell'ottavo  secolo  non  si  hanno  che 
copie  antiche,  non  originali.  Tutte  queste  bolle  ci  sono  pervenute  tra- 
scritte su  grandi  fogli  di  papiro,  misuranti  uno  o  più  metri  di  lunghezza, 
all'imitazione  senza  dubbio  dei  diplomi  imperiali,  seguendo  un  uso  tolto 
a  prestito  dalla  corte  di  Bisanzio  e  che  sembra  siasi  perpetuato  nella  can- 
celleria pontificia  fino  ai  primi  anni  dell' XI  secolo.  Per  dare  un'idea 
della  loro  rarità,  basti  dire  che  non  se  ne  conservano  attualmente,  tra 
intiere  o  quasi  intiere,  che  23  (i)  :  io  in  Spagna,  3  in  Italia  e  2  in  Germania. 
In  ordine  cronologico,  la  prnna  è  di  Pasquale  I  dell'a.  819  e  conservata 
in  Ravenna;  la  diciannovesima,  di  Giovanni  XVIII  dell'a,  1004,  è  a 
Bergamo. 

Della  bolla  di  Giovanni  XVIII  per  la  chiesa  d'Isernia,  ottobre  1004, 
Regesta  n.  3942  {Hist.  Jahrbuchy  n.  15),  conservata  nella  biblioteca  ci- 
vica di  Bergamo  (m.  1,52X0527)  vi  sono  facsimili  in  Marini,  Papiri, 
n.  XL,  tav.  I  e  Pflug-Harttung,  Specimina,  tav.  9.  Edita  è  in  Lupi,  Cod. 
dipi.  Bergotn.  I,  762,  Marini,  n.  XL,  pp.  63  e  237  e  Migne,  CXXXIX,  1480. 

*^  Opere  di  Francesco  Petrarca  e  di  Leonardo  da  Vinci.  —  In 
conformità  di  quanto  stabilisce  l'art.  3  della  legge  11  luglio  1904  il  mi- 
nistro della  P.  I.  ha  chiamato  con  decreto  reale  in  data  8  dicembre  1904 
a  far  parte  della  commissione  reale  per  l'edizione  critica  delle  opere  di 
F.  Petrarca  i  professori  G.  Mazzoni,  F.  Nevati,  P.  Rajna,  R.  Sabbadini, 
B.  Zumbini,  eleggendo  a  loro  segretario  il  prof.  E.  Sicardi. 

La  commissione  si  è  già  riunita  a  Roma  nell'inverno  di  quest'anno 
ed  ha  iniziato  i  propri  lavori  deliberando  di  portar  innanzi  tutto  la  sua 
attenzione  sopra  due  gruppi  delle  opere  latine  del  Petrarca:  le  poetiche 

(i)  Si  conserva  nell'Archivio  della  Basilica  di  Monza  un  piccolo  frammento 
di  io  linee  di  una  lettera  di  papa  Gregorio  I  alla  regina  Teodolinda  (Marini, 
Papiri,  p.  89,  n.  LUI  e  p,  242). 


APPUNTI   E    NOTIZIE  453 

«  Tepistolario.  Delle  opere  poetiche  si  occupano  di  preferenza  i  com- 
missari residenti  a  Firenze,  quelli  milanesi  hanno  più  specialmente  ri- 
volto le  proprie  cure  alla  vagheggiata  ristampa  del  grande  epistolario 
petrarchesco,  associandosi  il  prof.  V.  Rossi  della  R.  Università  di  Pavia. 


Con  altro  decreto  reale  del  5  marzo  scorso  è  stata  nominata  la  com- 
missione speciale  allo  scopo  di  regolare  e  sorvegliare  i  lavori  per  prepa- 
rare ed  eseguire  la  pubblicazione  degli  scritti  di  Leonardo  da  Vinci,  come 
^ià  si  fece  per  le  opere  di  Galileo.  Per  questa  edizione  di  grande  interesse 
nazionale,  è  stato  inscritto  nel  bilancio  del  ministero  della  P.  I.  un  ap- 
posito fondo.  A  far  parte  della  commissione  sono  stati  chiamati  i  pro- 
fessori Blaserna  comm.  Pietro,  Beltrami  arch.  sen.  Luca  e  Piumati  Gio- 
vanni, 

/^  Pubblicazioni  storiche  premiate.  —  L'Accademia  delle  Scienze 
"di  Torino,  nella  sua  adunanza  del  22  gennaio  scorso,  procedette  al  con- 
ferimento del  premio  Gautieri  per  la  migliore  opera  di  Storia  politica 
e  civile  in  senso  lato  pubblicata  in  italiano  da  autore  italiano  negli 
anni  1901-1903.  Valendosi  della  facoltà  concessale  dal  regolamento,  essa 
ha  diviso  il  premio  in  due  parti  uguali  fra  i  professori  Giacinto  Romano 
per  l'opera  "  Niccolò  Spinelli,  da  Giovinazzo,  diplomatico  del  sec.  XIV, 
Ts^apoli,  1902,  e  Angelo  Colini  per  l'opera  11  Sepolcreto  di  Remedello  nel 
bresciano  e  il  periodo  enolitico  in  Italia  stampata  nel  Bullettino  di  palet- 
nologia italiana. 

^%  Come  complemento  alla  nuova  edizione  degli  Scriptores  del  Mu- 
ratori, la  casa  editrice  Lapi,  o  meglio,  i  professori  Fiorini  e  Serafini  hanno 
iniziata  la  pubblicazione  di  un  Bullettino  analogo  al  Neues  Archiv  di 
Hannover;  eglino  si  propongono  di  farvi  conoscere,  man  mano,  i  risul- 
tati degli  studi  preparatori  per  le  varie  edizioni  e  di  informare  delle  que- 
stioni, anche  minime,  concernenti  i  testi  pubblicati  o  da  pubblicarsi.  Di 
questo  Bullettino y  per  il  quale  si  è  risuscitato  il  titolo  di  Archivio  Mu- 
ratoriano,  sono  uscite  le  due  prime  dispense. 

/^  Ruggero  Battistella  continua  nel  Nuovo  Archivio  Veneto  (to.  Vili, 
parte  I,  p.  111),  i  suoi  interessanti  studi  sul  comune  di  Treviso  e  la  ca- 
valleria. Trattando  della  Loggia  militare,  dove  i  cavalieri  convenivano 
a  giuochi  e  a  feste  in  privato  ritrovo  ;  loggia,  della  quale  recenti  studi 
€  recenti  polemiche  rivelarono  le  ricchezze  d'arte,  ricorda  che  le  cro- 
nache locali  ne  fanno  risalire  l'erezione  al  1195,  sotto  il  podestà  Gigio 
Burro,  milanese. 

/^  L'editore  U.  Hoepli  ha  cominciato  la  pubblicazione  a  fac-simile 
dei  mss.  che  si  conservano    a  Roma   nella  Vaticana    ed  a    Milano  nel- 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VI.  29 


454  APPUNTI   E    NOTIZIE 

l*Ambrosiana.  Tra  i  volumi  in  preparazione  citiamo:  Il  rotolo  di  Giosuè 
(cod.  Vaticano  Palatino,  gr.  431,  6  volumi);  Le  miniature  della  topografia 
cristiana  di  Oosma  Indicopleuste  (cod.  Vatic,  gr.  699,  7  voi.)  Il  mede- 
simo editore  pubblicherà  Gli  affreschi  della  sala  delle  nozze  Aldobran- 
dini  nella  biblioteca  Vaticana  (2  voi.)  e  /  mosaici  antichi  del  palazzo 
Vaticano  e  Lateranense,  ambedue  con  introduzioni  del  nostro  egregio 
consocio  dott.  B.  Nogara. 

*^  L'editore  Beck,  di  Monaco,  annuncia  la  pubblicazione,  diretta 
dal  Traube,  intitolata  Quellen  und  Untersuchungen  zur  lateinischen  Phi- 
Mogie  des  Mittelalters,  Tra  gli  studi  preannunciati  pel  i.°  volume  notiamo 
quelli  di  E.  Rand,  Giovanni  Scoto  e  Remigio  di  Auxerre,  quali  esposi- 
tori di  Boezio  e  di  K.  Neff,  edizione  critica  e  commentata  delle  poesie 
di  Paolo  Diacono. 

/^  Errata-corrige.  —  Avvertesi,  per  norma  degli  studiosi,  che 
nella  Meridiana  del  XII  secolo,  di  cui  a  p.  213  del  I  fascicolo  del  cor- 
rente anno,  in  luogo  della  sigla  riferentesi  alla  linea  equinoziale,  leg- 
gonsi,  come  dal  calco  stato  testé  fatto,  le  lettere  alfa  ed  omega,  meglio 
accordantisi  coir  intermedio  monogramma  del  Cristo. 


ELENCO  DEI  SOCI" 

DELLA  SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA 

(giugno  1905) 


Patrono 
S.  M.  IL  RE. 

Presidenza 


NovATi  dott.  prof.  Francesco  . 
Greppi  nob.  avv.  Emanuele 
Visconti  march,  cav.  Carlo  Ermes 
Ambrosoli  dott.  cav.  Solone   . 
S ELETTI  avv.  cav.  Emilio  . 
Ratti  sac.  dott.  Achille  . 
Calligaris  prof.  Giuseppe 
Motta  ing,  Emilio     . 
BoGNETTi  dott.  Giovanni   . 
Sanvisenti  dott.  Bernardo 


Presidente 
Vice-Presiden  te 

Consigliere 


Segretario 
Vice-SegretariO' 
Bibliotecario 


S.  M.  IL  RE  VITTORIO  EMANUELE  III 

S.  M.  LA  REGINA  ELENA 

S.  M.  LA  REGINA  MADRE  MARGHERITA. 


(*)  I  segnati  con  un  asterisco  sono  soci  fondatori. 

{*"')  I  segnati  con  due  asterischi  sono  soci  perpetui. 

Il  numero  in  fianco  al  nome  del  socio  indica  l'anno  d'iscrizione  alla  Società. 


50                                                         ELENCO    DEI    SOCI 

Adamoli  mg.  Giulio,  senatore  de 

l 

Regno 

.     1888 

Besozzo  (Varese) 

Lodi,  Biblioteca  Comunale 

Agnelli  prof.  Giovanni   .     .     . 

1895 

Albertoni  nob.  Muzio  Luigi    . 

1900 

Milano,  via  s.  Damiano^  22 

Albuzzi  sac.  Luigi .... 

1898 
1888 

„        Can.  di  s.  M.  Segreta 
„         via  MonfebellOy  14 

Ambrosoli  dott.  cav.  Solone 

Ancona  dott.  Annibale   .     .     . 

1901 

Precotto  (Milano) 

Anderloni  Emilio    . 

1903 

1901 

.     1882 

Milano,  via  Nifoue    21 

Annoni  Ambrogio  .... 

Affori 

Bagatti-Valsecchi  bar.  Fausto 

Milano,  via  Gesti,  / 

Bagatii-Valsecchi  bar.  Giuseppe 

.     1882 

„     Gesù,  j 

Barbò  nob.  ing.  Lodovico  .     . 

.     1884 

„     Burini,  17 

Barofììo  dall'Aglio  bar.  Giuseppe 

'     1905 

„        corso  Magenta,  44 

Bazzero  avv.  cav.  Carlo     .     . 

1882 

„        via  Corani,  4 

Belinzaghi  Bianca 

1905 

„           „     Cernaia,  j 

Bellini  avv.  cav.  Giuseppe 

1886 

„     Torino,  68 

Benaglia  avv.  comm.  Demetrio 

1885 

„    s.  Spirito,  24 

Benzoni  march.  Baldassare     . 

•     1894 

Mantova 

Berenzi  prof.  mons.  Angelo    . 

.     1898 

Cremona,  Liceo  Vescovile 

Bertarelli  dott.  Achille  .     .     . 

1900 

Milano,  via  s.  Barnaba,  18 

Besozzi  conte  cav.    dott.    Paolo 

consigliere  di  Prefettura 

■     1874 

Como,  via  A.   Volta,  ij 

Besozzi-Visconti  nob.   cav.  Fran 

Cesco,  R.  Sotto  Prefetto     . 

.     1902 

Tortona 

Bianchi  dott.  sac.  Alessandro 

.     1900 

Milano,  via  Moneta,  i 

Bianchi  ing.  Guido     .... 

.     1900 
)     1893 

„         Foro  Bonaparte,  63 
„        via  Pesce,  18 

Bignami  Sormani  ing.  cav.  Emilie 

Biraghi  ing.  Pietro      .... 

1901 
1904 

„           „     A.  Manzoni,  43 
„         corso  Garibaldi,  123 

Biscaro  dott.  cav.  Gerolamo  . 

Bognetti  dott.  prof.  Giovanni. 

1900 

„        via  Monte  NapoL,  21 

Boito  arch,  comm.  Camillo     . 

.     1888 

„           „     Princ.  Amedeo,  i 

Bolter  rag.  cav.  Gaetano    .     . 

1897 

„     Monte  NapoL,  18 

Bonelli  dott.  Giuseppe    .     .     . 

.     1901 

„    s.  Gregorio,  6 

Bonfiglioli  dott.  Giorgio.     .     . 

1903 

Chiavari,  Liceo  pareggiato 

Bonomelli    mons.    Geremia ,    ve 

scovo  di  Cremona      .     .     . 

.     1905 

Cremona 

Borghi  ing.  comm.  Fedele.     .     . 

1901 

Milano,  via  Paleocapa,  4 

Borromeo  conte  Febo      .     .     . 

1900 

„           „     A.  Manzoni,  41 

Borromeo  conte  Guido   .     .     . 

1902 

„        piazza  Borromeo,  io 

Borromeo  Arese  contessa  Elisa 

1874 

„              „       Borromeo,  io 

Borsani  dott.  Gaetano     .     .     . 

190 1 

„        via  3.  M.  alla  Porta,  p 

Bottini  prof.  Pietro 

1897 
1903 
1897 
1897 

„    Giulini,  7 
Parigi,  rue  Mozart,  123 
Milano,  via  Carlo  Cattaneo,  i 
„        piazza  Castello,  22 

Bouvier  prof.  Felice   .... 

Bozzi  rag.  Marcello    .... 

Bozzoni  cav.  Francesco  .... 

Brambilla  prof.  dott.  Giovanni,  ar 

ciprete  

1900 

Gingia  de'  Botti  (Cremona) 

ELENCO    DEI    SOCI 


457 


Brambilla  dott.  Giuseppe  .  . 
Brambilla    Carminati    avv.    cav 

Giosuè 

Buttat'ava-Valentini  nob.  Giusep 

pina 

Butti  prof.  Attilio 

Butturini  prof.  cav.  Mattia 
Buzzati  prof.  cav.  Giulio  Cesare 
Gagnola  nob.  avv.  Costanzo   . 
Gagnola  nob.  Guido    .     . 
Cagnoni  Gian  Franco 
Cairati  ing.  cav.  Michele 
Calligaris  prof,  Giuseppe 
Calvi  nob.  dott.  Gerolamo 
Cambiasi  comm.  Pompeo 
Camozzi  Verteva  conte  Giambat 

tista,  senatore  del  Regno  . 
Campi  avv.   Emilio^  deputato  al 

Parlamento  .... 
Capasso    prof.    Gaetano,  preside 

del  R.  Liceo  Manzoni 
Caporali  dott.  Vincenzo. 
Cappelli  dott.  Adriano,  direttore 

del  R.  Archivio  di  Stato   . 
Cardani  rag.  cav.  Paolo      .     . 
Carena  conte  Gian  Giuseppe. 
Camelli  comm.  Ambrogio  . 
Carotti  dott.  cav.  Giulio      ,     . 

Carozzi  ing.  Luigi 

Casanova  Giuseppe  .... 
Casati  conte  Gabrio  .... 
Casnati  dott.  Giovanni  .  .  . 
Castelbarco    Albani    principessa 

Maria 

Castelli  dott.  Franco  .... 
Cavagna  Sangiuliani  conte  comm 

Antonio 

Cesa-Bianchi  ing,  arch.  Paolo 
Chiattone  prof.  Domenico  .  . 
Gian  dott.  prof.  Vittorio  .  . 
Cicogna  conte  Giampietro  .  . 
Cicogna  conte  Mario  .  .  . 
Cipolla  conte  prof.  Carlo  . 
Circolo  Filologico  Milanese 
Clerici  ing.  Carlo  .... 
Cochin  Enrico,  deputato  alla  Ca 

mera , 


1905    Milano,  via  Torino^  ji 
1902    Monza,  via  Carlo  Alberto 


1904 

Milano, 

via  Rugabella,  io 

1894 

w 

R.  Liceo  Beccaria 

1883 

Salò 

1900 

Milano, 

via  s.  Marco,  12 

I90I 

»> 

corso  P.   Vittoria^  12. 

1896 

w 

via  Cusani,  j 

190 1 

n 

„     Cusani,  16 

1885 

» 

„     Spiga,  21 

1897 

n 

„     Moscova,  ji 

1894 

» 

„     Bass.  Porrone,  2 

1885 

1} 

„     s.  Damiano,  44 

1878 

Bergamo 

1902    Milano,  via  V.  Monti,  2j 


1902 

„     F.lli  Ruffini,  II 

1889 

„     Torino,  29 

1892 

Parma 

t888 

Milano,  via  Boccaccio,  23 

1899 

„           „     Cappuccio,  21 

1901 

„     Cernaia,  j 

1883 

„           „     Solferino,  22 

1902 

„          „     Monte  NapoL,  21 

1886 

„         vicolo  Pusterla,  i 

1881 

„        corso  Venezia,  24 

1901 

„        via  Princ.  Amedeo,  11 

1904 

„          „     Princ.  Amedeo,  6 

1902 

„          „     Meravigli,  12 

1893 

Pavia,  via  S.  Capsoni,  io 

1879 

Milano,  via  Arcivescovado,  r 

1904 

Saluzzo 

1900 

Pisa,  R.  Università 

1874 

Milano,  via  Monforte,  2/ 

1902 

„     Monforte,  23 

1900 

Torino,  via  Sacchi,  4 

1904 

Milano,  via  Silvio   Pellico,  12 

1904 

Milano,  via  Monforte,  48 

1904    Parigi,  Avenue  Montaigne,  j 


458 


ELENCO   DEI    SOCI 


Colombo  prof.  Alessandro  .     .     .  1903  Vigevano 

Colombo  prof.  Elia 1893  Milano,  corso  Garibaldi,  ij 

Colombo    Guido ,    archivista    di 

Stato 1886  „        via  s.  Maurilio,  20 

Colombo  sac.  dott.  Mansueto      .  1903  Gorla  Minore 

Comi  ing.  cav.  Antonio  ....  1904  M.vla.'so^  Bastioni  P.  Vittoria,  j 

Conti  dott.  Emilio 1878  „        via  Monforte^  26 

Conti  ing.  Ettore    ......  1903  „           „     Cappuccio,  14 

Conti  Maggi  Luisa 1898  „          „     Gesù,  3 

Corbella  can.  cav.  Pompeo     .     .  1901  „        piazza  s.  Ambrogio,  16 
Corbetta  rag.  cav.  Enea      .     .     .  1902  Monza,  piazza  Mercato 
Cornaggia-Medici    march.    Carlo 
Ottavio,    deputato    al    Parla- 
mento      1899  Milano,  via  Cappuccio^  21 

Cremona  (Municipio  della  città  di)  Cremona 

Crespi  comm.  Cristoforo     .     .    .  1888  Milano,  via  Borgonuovo,  18 

Crespi  Mario.     .......  1904  „           „     Pietro  Verri,  12 

D'Ancona  prof.  Alessandro,  sena- 
tore del  Regno 1901  Pisa,  Palazzo  Nissim 

Da  Ponte  nob.  cav.  Pietro      .     .  1874  Brescia 
De  Angeli  comm.  Ernesto,  sena- 
tore del  Regno.     .     .     .     .  1898  Milano,  corso  Vercelli,  iji 

Decio  dott.  Carlo 1900  „         via  Passarella,  io 

De  Francisci  P.  E 1903  „           „     s.  Maria  Valle,  7 

De  Herra  nob.  avv.  Cesare    .    .  1892  „          „     Gesti,  7 
De  Leva  nob.   avv.    cav.  Massi- 
miliano    1892  „         corso  s.  Celso,  2 

Del  Mayno  nob.  Cesare.     .     .     .  1895  »         Foro  Bonaparte,  21 

De  Marchi  dott.  Marco   ....  1903  „         via  Borgonuovo,  2j 

De  Si  moni  ing.  Giovanni    .     .    .  1888  „           „     s.  Gerolamo,  J2 
Dossi  sac.  Rodolfo,   preposto  di 

S.  Francesco  da  Paola  .     .     .  1904  „         Can.  di  s.  Frane,  da  P. 

Doniselli  dott.  Alfredo    ....  1895  „         via  Monte  Napol.,  22 

Pacchi  Nino 1901  „           „     Monforte,  34 

Fé  d'Ostiani  conte  mons.  Fran- 
cesco Luigi 1877  Brescia 

Ferrari  dott.  prof.  Vittorio      .     .  1900  Milano,  via  Borgonuovo,  2} 

Fogolari  dott.  Gino 1900  Cividale,  Museo  Archeologico 

Foligno  dott.  Cesare 1900  Milano,  piazza  P.  Ferrari,  io 

Fontana   avv.  comm.  Leone,  se- 
natore del  Regno  (Eredi)  .     .  1877  -Torino,  piazza   Vitt.  Em.,  12 

Fossati  prof.  Felice 1903  Vigevano 

Foucault  di  Daugnon  conte  Fran- 
cesco   1879  Crema,  piazza  Fran.  Grassi 

Franchetti  nob.  Costantino      .     .  1901  Milano,  via  s.  Paolo,  22 

Frisiani  nob.  dott.  Carlo     .     .  1890  „        piazza  s.  Ambrogio,  2 


ELENCO    DEI   SOCI 


459 


Frizzi  dott.  cav.  Lazzaro     .     .     . 

Frova  dott.  Arturo 

Fumagalli  Carlo     ...... 

Fumagalli    prof.    cav.    Giuseppe, 

bibliotec.-capo  della  Braidense 
Gabba  avv.  comm.  Bassano  .  . 
Gaffuri  ing.  cav.  Paolo  .  .  . 
Gallarati  Giuseppe,  archivista  di 

Stato 

Gallarati  Scotti  nob.   dott.  Tom 


maso 

Gallavresi  dott.  Giuseppe  . 
Galli  sac.  prof.  Emilio  .  .  . 
Galli  dott.  prof.  Ettore  .  .  , 
^  Gatti  dott.  cav.  Francesco  .  . 
Gavazzi  cav.  Giuseppe  .  .  . 
Gazzola  sac.  Pietro,  preposto  di 

S.  Alessandro 

Gerosa  maestro  Romeo.     . 
Ghiotti-Casnedi  Luisa     .     .     , 
Ghisalberti  Annibale  ...     . 

Ghisi  rag.  Enrico 

Giachi  arch.  cav.  Giovanni 
Giacosa  comm.  Giuseppe   .     . 
Giardini  sac.  dott.  Ottavio.     . 
Giovanelli  cav.  Enrico,  segretario 

capo  del  R.  Economato  dei  Be 

nefici  vacanti  in  Lombardia 
Giulini  nob.  Alessandro      .    . 
Gnecchi  cav.  uff.  Ercole.     .     . 
Gnecchi  comm.  Francesco  .     . 
Gonzaga  principe  Ferrante     . 

Gori  conte  Pietro 

Grassi  avv.  Virgilio   .... 

*  Greppi  nob.  Alessandro  .  . 
Greppi  nob.  Antonio  .... 
Greppi  nob.  avv.  Emanuele    . 

*  Greppi   conte   comm.    Giuseppe 

senatore  del  Regno  .  .  . 
Greppi  nob.  Lorenzo  .... 
Greppi  nob.  Marco  .... 
Guerrieri  Gonzaga  march.  Carlo 

senatore  del  Regno  .     .     . 

Guidi  Agostino 

Guidoni  cav.  Giacomo  .  .  . 
Hoepli  comm.  dott.  Ulrico,     . 


1874  Milano,  via  Monte  di  Pietà,  18 
1902  „        piazza  Borromeo,  7 

1892  Monza,  Casa  Fumagalli 

1897  Milano,  via  Anmmciata,  4 
1882  „  „     5.  Andrea,  2 

1900  Bergamo,  via  s.  Lazzaro,  i 

1886  Milano,  via  Cerva,  38 


1904 

w 

„     A,  Manzoni,  jo 

1900 

w 

„     Manin,  ij 

I90I 

GoRLA  Minore,   Coli.  Rotondi 

1900 

Cremona^  via  Palestro,  24 

1889 

Milano, 

piazza  P.  Ferrari,  io 

1889 

» 

via  Cusani,  14 

1903 

» 

Can.  di  s.  Alessandro 

1902 

Monza, 

via  Frisi,  4 

1888 

Milano, 

via  Pantano,  9 

1900 

n 

piazza  Mentana,  3 

1897 

)t 

via  Ausonio,  8 

1879 

V 

„     s.  Raffaele,  3 

190 1 

V 

piazza  Castello,  16 

1903 

lì 

via  s.  Andrea,  3 

1902 

ìj 

corso  P.   Vittoria,  49 

1893 

» 

„       Magenta,  42 

1878 

» 

via  Gesti,  8 

1878 

V 

»    Filodrammat.,  io 

1878 

Mantova 

1885 

Milano, 

via  Spiga,  I 

1902 

1} 

„     Clerici,  7 

1873 

w 

„     5.  Antonio,  12 

1892 

V 

„     s.  Maurilio,  ip 

1882 

V 

„    s.  Antonio,  12 

1873 

V 

„     s.  Antonio,  12 

1874 

V 

„     s.  Antonio,  12 

190 1 

M 

„     Monte  di  Pietà,  11 

1874 

Roma,  via  Veneto,  ktf.  D 

1874 

Rho,  via  Moroni,  4 

1902 

Monza, 

corso  Milano, 

1900 

Milano, 

via  XX  settembre,  2 

460 


ELENCO    DEI    SOCI 


**  Hortis  Attilio 

Intra  prof.  cav.  Giambattista  . 
Isambert  dott.  Gastone  .  .  . 
Isimbardi  march.  Luigi  .  .  . 
Jacobovits  comms  Rodolfo  Rémy 
Jacini  nob.  Stefano  .... 
Johnson  comm.  Federico     .     . 

*  Labus  avv.  comm.  Stefano     . 
Landriani  Martini  contessa  Anto 

nietta 

Lanzani  dott.  prof.  Francesco 

Lanzoni  Giuseppe  

Lattes  dott.  prof.  Alessandro 
'*  Lattes  prof.    comm.    Elia  (socio 

benemerito) 

'*  Leone  not.  cav.  uff.  Camillo  . 
Linati  ing.  arch.  cav.  Eugenio 
Lisio  prof.  Giuseppe  .... 
'  Litta-Modignani  nob.  Alessandro 

Lumbroso  bar.  Alberto  .    .    . 

'  Lurani  Cernuschi  conte  Francesco 

Luzio  dott.  Alessandro,  direttore 

del  R.  Archivio  di  Stato  . 
Magistretti  can.  dott.  Marco  . 
Magistretti  prof.  Piero  .  .  . 
Magni  dott.  cav.  Antonio  .  . 
Magnocavallo  dott.  cav.  Arturo 
Majnoni  d'Intignano  march,  arch 

Achille 

Maj occhi  prof.  sac.  Rodolfo,  con 

servatore  del  Museo  Civico 
Malaguzzi  Valeri  conte  Francesco 
Mangiagalli  prof.  Luigi,  senatore 

del  Regno 

Mannati  Vigoni  nob.  Teresa  . 
Mapelli  nob.  Gerolamo  .  .  . 
Maraini  ing.  commen.   Clemente 

(Eredi) . 

,    Marietti  dott.  Antonio    ,     .     . 
Marietti  dott.  Giuseppe  .    .     . 

*  Massarani  dott.  comm.  Tulio,  se 

natore  del  Regno  .... 
Massena  principe  d' Essling   . 
Mazzatinti  dott.  prof.  Giuseppe 
Mazzi  prof.  cav.  Angelo     .     . 
Melzi  nob.  Lodovico  .... 


1874  Trieste,  Biblioteca   Comunale 

1874  Mantova 

1904  Parigi,  me  de  Naples,  4 

1901  Milano,  via  MonforU,  ^/ 
19^2  „  „     Leopardi,  2 

1904  „  „     Lauro,  j 

1905  „         corso  P.  Nuova,  ij 
1873  j,        via  s.  Andrea,  8 

1904  Sovico-Lambro  (Milano) 

1878  Como 
1894  Mantova 

1900  ToRiNO)  via  Viti.  Amedeo  II,  16 

1897  Milano,  via  Princ.  Umberto,  28 

1877  Vercelli,  via  della  Torre,  12 

1879  Camerlata  (Como) 

1903  Milano,  via  Leopardi^  28 

1901  „  „     Burini,  i; 

1901  Frascati  (Roma) 

1884  Milano,  via  Lanzone,  2 

1900  Mantova 

1896  Milano,  via  Arcivescovado,  i& 
1882  „         corso  s.  CelsOy  i^ 

1900  „        via  Borgonuovo,  20 

19QI  Roma,  Ministero  P.  /.,  Divis.j.^ 

1902  Milano,  Palazzo  Reale 

1896  Pavia 

1900  Milano,  Palazzo  di  Brera 


1902 
1905 
i8q8 


via  Asole,  4 
„     Fatebene/rat.f  21 
„     Borromei,  2 


1901  Roma,  via  Balbo,  11 

1895  Milano,  via  Borgospesso,  21 

1892  „        piazza  s.  Sepolcro,  j 

1873  „         via  Nerino,  4 
1904  Parigi,  rue  Jean  Goujon,  8 
1883  Forlì,  R.  Liceo 

1901  Bergamo,  Biblioteca  Comunale 

1874  lyliLANO,  corso  P.  Romana,  80 


ELENCO   DEI    SOCI 


46IL 


di 


Meroni  can.  Venanzio 

Mina  ing.  Enrico     .... 

Moretti  prof.  arch.  Gaetano 

Motta  ing.  Emilio   .... 

Mùller  Carlo  ...... 

Mylius  cav.  uff.  Giorgio 

Nava  ing.  arch.  cav.  Cesare 

Nava  sac.  Edoardo,  preposto 
S.  Fedele .     .    .    *    .     . 

Nazzari  Andrea 

Nervegna  cav,  Giuseppe,  console 
di  Germania 

Nizzoli  dott.  Alessandro 

Nogara  dott.  Bartolomeo    ,. 

Nogara  mons.  Bernardino  . 

Noseda  cav.  Aldo  ►     .     .     . 

Novati  dott.  prof.  Francesco 

Oberziner  prof.  Giovanni    . 

Odazio  conte  ing.  Ernesto . 

Oldrini  dott.  Ambrogio  .     . 

Orano  prof.  avv.  Domenico 

Orsenigo  sac.  Cesare.     .     . 

Ostinelli  Giuseppe  .... 

Paleari  avv.  Giovanni    .     . 

Pélissier  prof.  Leone  G.     . 

Pellegrini  dott.  sac.  Carlo  . 

Pennati  avv.  Oreste   .     .     . 

Pensa  avv.  Giovanni  .     .     . 

Pestalozza  nob.  dott.  Uberto 

Petraglione  prof.  Giuseppe 

Pietrasanta  prof.  Pagano    . 

Pio  di  Savoia  principe  Giovanni 

Pirelli  comm.  ing.  G.  B.     .     .     . 

Pisani  Dossi  nob.  comm.  Alberto 

Ponti  comm.  Ettore,  senatore  del 
Regno    .    .     

Premoli  padre  Orazio     .     .     .     . 

Prinetti    comm.    Carlo,   senatore 
del  Regno 

Pullé  conte  comm.  Leopoldo,  se- 
natore del  Regno 

Quirici  ing.  Carlo 

Racca  prof.  Matteo 

Ramazzini  dott.  Amilcare  .     .     . 

Rambaldi  prol.  Pier  Liberale     . 

Ratti  dott.  sac.  Achille  .... 


1901  Milano,  via  s.  Fedele^  4 

1902  Monza,  via  A.  Manzoni^  16 
1892  Milano,  Palazzo  di  Brera 
1879  „        via  P.   Vittoria^  jj 
1902  Intra 

1905  Milano,  via  Montebello^  J2 
1900  „  „     s.  Eufemia^  ig 


1904 

11 

Can.  dt  s.  redele 

1874 

Brescia 

1875 

Brindisi 

1878 

Pegognaga  (Mantova) 

1896 

Roma,  salita  di  s.  Onofrio,  jy 

1904 

Milano, 

via  A.  Manzoni,  io 

1900 

„ 

corso  P.  Romana,  9 

1879 

11 

via  Borgonuovo,  18 

1903 

11 

R.  Accad.  scient»  letter. 

1896 

11 

corso  P.  Nuova,  g 

1903 

„ 

„      Genova,  j/ 

I90I 

Roma,  via  Banco  s.  Spiri to^  jo 

1904 

Milano, 

via  s.  Fedele,  4 

1904 

11 

„     Brera,  ig 

1903 

» 

„     s.  M.  alla  Porta,  i 

1900 

Montpellier,  Università 

1893 

Milano, 

Can.  di  s.  Calimero 

1902 

Monza, 

via  Italia 

1904 

Milano, 

via  Vittoria,  4y 

1904 

» 

piazza  s.  Sepolcro,  i 

1905 

it 

via  s.  Calocero,  ji 

1890 

» 

„     Boccaccio,  2j 

1884 

n 

„     Borgonuovo,  11 

1903 

li 

„     Ponte  Seveso,   79 

1896 

» 

„     Brera,  11 

1873 

» 

„     Bigli,  21 

1905 

» 

.,     Commenda,  j 

1873  „  „     Amedei,  8 

1873  „  „     Brera,  19 

1902  Monza,  Borgo  Lecco 

1902  Milano,  via  C.  Correnti,  ij 

1879  Modena,  contrada  Ganaceto,  4j: 

1901  Firenze,  R.  Istituto  Tecnico 

1895  Milano,  via  Moneta,  i 


402 


ELENCO    DEI    SOCI 


Redaelli  dott.  Carlo   .         ...     .  1898 

Regazzoni  cav.  Cesare    ....  1874 

Renier  prof.  comm.  uff.  Rodolfo  1890 

Riboldi  dott.  Ezio 1901 

Ricci  dott.  cav.  Corrado     .     .     .  1902 

Ricci  prof.  dott.  Serafino    .         .  1898 

Richard  arch.  Giulio  F.      ...  1905 

Riva  prof.  dott.  Giuseppe  .     .     .  1898 

Rocca  prof.  sac.  Luigi    ....  1900 

Rocca-Saporiti  march.  Marcello  .  1882 

Rognoni  aw.  Camillo-^  ....  1879 

Rollone  prof.  Luigi 1897 

Romano  dott.  j)rof.  Giacinto  .  1889 

Ronchetti  rag.  Agostino      ...  1893 

Ronchetti  mons.  dott.  C.  M.  .     ,  [901 

Rossi  sac.  prof.  Davide  .    .    .'  ,  1901 

Rossi  dott.  prof.  Vittorio    .    ;    .•  1894 

Rott  dott.  Edoardo     .     .     .     ...  1904 

Rotta  can.  cav.  Paolo     ....  1881 

Ruberti  cav.  Ugo   .     .     .     .     .     .  1899 

Rusconi  avv.  cav.  Rinaldo.     .    .  1889 

Rusconi  sac.  dott.  Pietro    .     .     .  1904 

Sala  Lamberto   .     .     .     .     .     .     .  1904 

Salvadego  nob.  Giuseppe    .     .     .  1874 

Salvioni  prof.  Carlo    .     .     .     .     .  1900 

Sant'Ambrogio  dott.  cav.  Diego.  1895 
Sanvisenti  dott.  Bernardo  .     .     .  1900 
Sassi  de'  Lavizzari  nob.  ing.  Fran- 
cesco     ...    .     .     .     .     .     .  1905 

Savio  sac.  prof.  Fedele  .     .     .     .  1901 

Scherillo  dott.  prof.  Michele  .     .  1900 

^Scotti  bar.  dott.  Cristoforo      .     .  1901 

-Secco  Suardo  conte  avv.  Gerolamo  1899 

Segafredo  prof.  Giacomo    .    .     .  1897 

Segre  prof.  Arturo 1902 

von  Seidlitz  d.'^  Waldemaro,  cons. 

intimo 1903 

Seletti  avv.  cav.  Emilio  ....  1874 

Sepulcri  dott.  Alessandro   .     .     .  1902 

Seregni  prof.  Giovanni  ....  1898 

Sessa  Rodolfo 1902 

Signori  ing.  cav.  Ettore.     ...  1901 

Silvestri  comm.  Giovanni  .         .  1900 

Silvestri  cav.  Emilio 1900 

Silvestri  Volpi  Bianca  Maria.     .  1904 

Simeoni  prof.  Luigi    .    .     .  190 1 


Milano,  via  Cusani,  18 

Cassano  d'Adda 

ToRi.^o,  corso  Viti.  Em.,  90 

ViMERCATE  (Milano) 

Firenze,  R,  Gali,  degli  Uffìzi 

Milano,  via  Statuto,  2y 
„        corso   Venezia,  S2 

Monza,  via  Italia,  io 

Milano,  corso  Magenta,  j 
„  „      Venezia,  j;6 

„         via  Pantano,  tj 
„  „     s.  Gerolamo,  6 

Pavia,  R.  Università 

Milano,  via  s.  Agnese,  4 
„     Ore,  IO 

GoRLA  Minore,  Coli.  Rotondi 

Pavia,  R.  Università 

Parigi,  avenue  du  Trocadero,so 

Milano,  piazza  s.  Ambrogio,  12 

QuisTELLO  (Mantova) 

Novara 

Milano,  via  Burini,  28 

Bergamo,  via  XX  Settembre 

Cavarzere  (Venezia) 

Milano,  via  Solferino,  7 
„         Foro  Bonaparle,  26 
„        via  Annunciata,  8 

„  „     Mon/orte,  jj 

Torino,  via  Arcivescovado,  g 
Milano,  via  Leopardi,  14 
Bergamo 

Milano,  via  Fieno,  3 
Lodi,  R.  Liceo 
Torino,  via  Assietta,  6j 

Dresda,  Cosel-Palais 
Milano,  via  s.  Marta,  ig 
„  „     Borgonuovo,  2j 

„  „     s.  Spirito,  18 

„  „     s.  Spirito,  7 

Cremona,  via  Tribunali,  2 
Milano,  corso   Venezia,  16 
„  „      Venezia,  16 

Milano,  corso  Venezia,  16 
Verona,  R.  Ginnasio 


ELENCO   DEI    SOCI 


463 


*  Sola  conte   comm.    Andrea,    de- 

putato al  Parlamento     . 
Sola  Spech  contessa  Amalia  .     . 
Sommi  Picenardi  nob.  dott.  Gian 

Francesco  

Sommi  Picenardi  march,   comm. 

Guido :     . 

,...  Soragna  Melzi  march.  Luigia  . 
Sormani  Andreani  conte  Lorenzo 
Steffens  dott.  prof.  Francesco     . 

Talamoni  sac.  dott.  prof.  Luigi  . 

*  Taverna    conte    comm.  Rinaldo, 

generale,  senatore  del  Regno 
Thaon  di    Revel   conte    Genova, 
generale,  senatore  del  Regno 
Terruggia  ing.  Amabile.     .     .     . 
Treves  Tedeschi  Virginia  .     .     . 
^  Trivulzio  principe  Luigi  Alberico 
^  Trotti  Bentivoglio  march.  Lodo- 
vico, senatore  del  Regno  .     . 

Venini  Antonio . 

Verga  dott.  prof.  Ettore  .  . 
^  Vergani  dott.  cav.  Giovanni  .  . 
.(^Vigoni  nob.  Giulio,  senatore  del 

Regno    

Vigoni  nob.  comm.  ing.  Giuseppe, 
senatore  del  Regno   .... 
Villa  sac.  dott.  Cherubino  .     .     . 
^*  Villa  Pernice  donna  Rachele 

*  Visconti  march.  Carlo  Ermes 

^  Visconti    di  Modrone  conte  Giu- 
seppe      

Visconti  di  Modrone  conte  Guido 

Carlo 

^  Visconti  di  Saliceto  conte  Alfonso' 

Visconti  Venosta  march.  Emilio, 

senatore  del  Regno  .     . 

*  Visconti  Venosta  nob.  dott.  comm 

Giovanni    

Vitali  sac.  comm.  Luigi.  . 
Vittani  dott.  Giovanni  .  . 
Volta  nob.  aw.  cav.  Zanino 
Weil  comandante  M.  H.  . 
Zanelli-  dott.  prof.  Agostino 
Zanzi  dott.  cav.  Luigi     .     . 


1873 

Milano,  corso  Venezia,  22 

1875 

„        via  Spiga,  2S 

I90I 

„     Cerva,  42 

1874 

Venezia,    Priorato  dell* Ordine 

di  Malta 

1896 

Milano,  via  A.  Manzoni,  40 

1874 

„        corso  P.   Vittoria,  2 

1902 

Friborgo  (Svizzera),  me  Saint 

Pierre,  20 

I90I 

Monza,  Seminario  Arcivescov. 

1873 

Milano,  via  Monte  Napol.,  14 

1890 

„     Cusani,  s 

1900 

„    XX  Settembre,  24 

1905 

„           „     Conservatorio,  g 

1900 

„        piaz  za  s,  Alessandro,  4 

1873 

-.„        via  Bossi,  I 

1897 

„          „    s.  Maurilio,  21 

1895 

„          „     s.  Antonio,  21 

1889 

,,          „     s.  M.  alla  Porta,  i 

1874  M  M     Fatebenefrat.,  21 

1882  „  „     Fatebenefrat.^  21 

1903  GoRLA  Minore,  Coli.  Rotondi 
1895  Milano,  via  Cusani,  i^ 

1873  „  „     Borgomwvo,  j 

1902  „  „     Cerva,  44 

1904  „  „     Cerva,  28 
1904  Cernusco  sul  Naviglio 

1874  Roma,  via  Lucidi 0,  6  --_■ 


1873 

Milano,  via  Morone,  i 

1886 

„     Vivaio,  7 

1902 

„           „      Vittoria,  II 

1878 

Pavia 

1905 

Parigi,  rue  Rabelais,  ) 

1900 

Roma,  via  Cavour,  ijo 

1890 

Varese. 

O  I»  E?  I«  J© 

pervenute  alla  Biblioteca  Sociale  nel  II  trimestre  del  1905 


Annuario  della  R.  Accademia  scientificO'letteraria  per  l'anno  scolastico 
ipo4-ipoj,  Milano,  1905  (d.  d.  R.  Accademia). 

Archivio  di  Stato  in  Lucca.  Regesti.  Voi.  II.  Carteggio  degli  Anziani^ 
Lucca,  tip.  A.  Marchi,  1903  (d.  d.  Arch.  di  Stato  in  Lucca). 

Atti  del  Congresso  internazionale  di  scienze  storiche,  Roma,  aprile  190J. 
Voi.  II  (Storia  antica  e  filologia  classica)  ;  voi.  V  (Archeologia)  ; 
voi.  IX  (Storia  del  diritto);  voi.  XI  (Storia  delle  religioni  e  della 
filosofia);  voL  XII  (Storia  delle  scienze  fisiche,  matematiche,  natu- 
rali e  mediche)  (d.  d.  Comitato  del  Congresso  Storico). 

Bacci  a.,  Lapide  commemorativa  della  fondazione  del  Castellum  a  S.  Lo- 
renzo fuori  le  mura  (Estr.  dal  Nuovo  Bollettino  di  archeologia  cristiana, 
a.  IX,  nn.  1-2)  (d.  d.  s.  Vergani). 

Atti  del  comune  di  Milano,  Annata  1903-1904,  2  voi.,  Milano,  E.  Reggiani, 
1905  (d.  d.  Municipio  di  Milano). 

Bollettino  del  Museo  Civico  di  Bassano,  a.  I  (1904),  a.  II  (1905)  nn.  i  e  2,. 
Bassano,  Pozzato,  1904-1905  (d.  d.  s.  Motta). 

Boni  dott.  G.,  S.  Bernardino  da  Siena  a  Pavia,  Pavia,  Fusi,  1904  (d.  d.  A.). 

Brioschi  arch.  D,,  Intorno  al  restauro  di  Santa  Maria  della  Pace  in  Mi- 
lano {Salone  Perosi),  Milano,  tip.  degli  Ingegneri,  1902  (d.  d.  Società 
liquidatrice  del  Salone  Perosi). 

Canetta  P.,  Cura  della  pellagra  nell'Ospedale  Maggiore  di  Milano,  Mi- 
lano, Civelli,  1888  (d.  d.  s.  Vergani). 

Capasso  B.,  Napoli  greco-romana,  Napoli,  1905  (d.  d.  Società  Napoletana- 
di  storia  patria), 

Carreri,  Di  alcune  torri  di  Mantova  e  di  certi  aggruppamenti  feudali  e 
allodiali  nelle  città  e  campagne  lombarde,  Mantova,  G.  Mondovi,  1905 
(d.  d.  A.). 

Castelfranco  P.,  Bronzi  eccezionali  d'una  tomba  nella  necropoli  di  Go- 
lasecca,  Reggio  Emilia,  tip.  degli  Artigianelli,  1879  (d.  d.  s.  Vergani). 


OPERE    PERVENUTE    ALLA   BIBLIOTECA    SOCIALE  465 

'Catalogo  di  una  scelta  raccolta  di  medaglie  di  varie  epoche  in  vendita  al- 
l'amichevole  coti  i  prezzi  fissati  a  ciascun  numero,  Milano,  tip.  Manini- 
Wiget,  1904  (d.  d.  G.  Sambon). 

Catalogo  di  quadri,  acquarelli,  disegni,  mobili  antichi,  oggetti  diversi  del 
comm,  S.  De  Albertis,  Milano,  G.  Pirola,  1899  (d.  d.  s.  Vergarli). 

Collezione  fiorentina  di  fac-simili  paleografici  greci  e  latini  illustrati  da 
G.  Vitelli  e  C.  Paoli,  fase.  I,  Firenze,  succ.  Le  Monnier,  1884  iS^ 
cambio  di  (\\iQSi' Archivio). 

Defendi  G.,  //  Duomo  di  Milano  per  l'incoronazione  di  S.  M,  I.  R.  A. 
Ferdinando  I,  Milano,  Visaj,  1838  (d.  d.  s.  Bertarelli). 

EssLiNG  (Prince  d')  et  Muntz  E.,  Petrarque.  Ses  études  d'art,  son  influence 
sur  les  artistes,  ses  portraits  et  ceux  de  Laure.  L'illustration  de  ses 
e'crits,  Paris,  Gazeite  des  beaux  arts,  1902, 

—  Le  premier  livre  xylographique  italien  imprimé  à  Venise  vers  14SO, 
Gazette  des  beaux  arts,  1903  (d.  d.  s.  A.). 

FoLTGNO  e,  Un  poemetto  in  lode  di  Lodovico  il  Moro  (Per  nozze  d'argento 
Pirelli-Sormanni),  Milano,  Capriolo  «&  Massimino,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

Grandi  E.,  L'Ospedale  Maggiore  e  il  Pio  Istituto  di  S.  Corona  e  l'Ospedale 
Ciceri  negli  anni  1889-1891,  iSgó-igoo,  Milano,  1894,  1903  (d.  d.  socio 
Vergani). 

Guida  alle  sale  della  Pbiacoteca  nell'I.  R.  palazzo  delle  scienze  e  belle  arti, 
Milano,  Bianchi,  1823  (d.  d.  s.  Bertarelli). 

/;;  morte  del  sac.  don  Luciano  Marzorati,  Milano,  Lombardi,  1894  (dono 
d.  s.  Vergani). 

IsAMBERT  G.,  Les  idécs  socialistes  en  France  de  181S  à  1848,  Paris,  Felix 
Alcan,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

Lattuada  S.,  Descrizione  di  Milano,  Milano,  nella  Regio-Ducal  Corte, 
1737-1738,  4  voi.  (d.  d.  s.  Bertarelli). 

Maffei  a..  L'inaugurazione  del  busto  a  Vincenzo  Monti,  Milano,  Pirola, 
1829  (d.  d.  s.  Bertarelli). 

Maggiora- Vergano,  Sopra  due  nuove  zecche  inedite  al  comm.  F.  Marignoli, 
Asti,  Aluffi,  1873  (d.  d.  s.  Vergani). 

Milano  Scelta.  Guida  della  Società  Milanese  1905,  Milano,  Reggiani,  1905 
(d.  d.  Soc.  editr.  della  Milano  Scelia). 

Molina  F.,  /  Conti  d'Agliate,  commedia  patria  in  tre  atti,  in  prosa,  Mi- 
lano, dai  torchj  di  Giacomo  Pirola,  1805  (d.  d.  s.  Ghisi). 

Monti  S.,  //  comune  di  Como  nel  Medio  Evo,  Como,  Ostinelli,  1905  Cd.  d.  A.). 
Mozzoni  G.,  Note  e  riflessioni  sulla  vita  di  Umberto  I,   Milano,   tip.  Figli 
della  Provvidenza  1903  (d.  d.  s.  Vergani). 


466  OPERE    PERVENUTE    ALLA   BIBLIOTECA    SOCIALE 

MuLLER  C,  Spigolature  di  storia  intrese.  Tumulti  contro  le  sbianche  net 
I7S8,  Intra,  tip,  Intrese,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

Nel  VI  centenario  dalla  nascita  di  Francesco  Petrarca  la  Rappresentanza 
provinciale  di  Padova^  Padova,  tip.  del  Seminario  Vescovile,  1904 
(d.  d.  Bibl.  del  Sem.  Vesc.  di  Padova). 

NovATi  F.,  Attraverso  il  Medio  Evo,  Bari,  Laterza,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

Pernice  A.,  U imperatore  Eraclio»  Saggio  di  storia  bizantina,  Firenze,. 
Galletti  &  Cocci,  1905  (d.  d.  R.  Ist.  Sup.  di  Firenze). 

PiCOTTi  G.  B.,  /  Caminesi  e  la  loro  signoria  in  Treviso  dal  128 j  al  1312^ 
Livorno,  Giusti,  1905  (d.  d.  s.  Novati). 

PiLOT  A.,  La  Sorgonghina  la  Sorgongà,  Arezzo,  tip.  Sinatti,  1905  (dono 
d.  s.  Motta). 

Premoli  O.,  Domenico  Sauli,  Pavia,  Rossetti,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

Rustico  Indovino.  Almanacco,  a.  1866-1839  e  1891-1894.  Milano,  Tambu- 
rini (d.  d.  s.  Ghisi). 

ScHERR  G.,  La  Germania,  2000  anni  di  vita  tedesca,  Milano,  tip.  editrice 
lombarda,  1879  (d.  d.  s.  Ghisi). 

Segarizzi  a.,  Sei  lettere  di  Giovanni  Sobotan,  Mantova,  G.  Mondovì,  1905, 
(d.  d.  s.  Motta). 

Nuove  Riviste  in  cambio  : 

Archivio  storico  Messinese,  Messina. 

Archivio  storico  per  la  Sicilia  Orientale,  Catania. 

Bibliografia  Danfesci.  Rassegna  bibliografica  degli  studi  intorno  a  Dante, 

Firenze. 
Bullettino  critico  di  cose  francescane,  Firenze. 
Bollettino  del  R.  Museo  di  Cividale,  CividaU  del  Friuli. 
Revue  d'histoire  ecclésiastique,  Louvain. 
Rivista  archeologica  lombarda,  Milano. 

2j  giugno  igoj. 

Il  Bibliotecario 
B.  Sanvisentt 


XJVJDIO  JB? 


MEMORIE. 

M.  Roberti  e  L.  Tovini.  La  parte  inedita  del  più  antico  codice 

statutario  bresciano Pcig'       5 

Gerolamo  Discaro.  Note  e  documenti  sahtambrosiani.  Seconda 

serie »        47 

Emanuele  Greppl  Un'opera  inedita  di  Alessandro  Verri  sulla 

Storia  d' Italia         ....,....„        95 

Ezio  RiBOLDi.  Le  sentenze  dei  consoli  di  Milano  nel  secolo  XII      „      229 

Henry  Cochin.  Jean  Galéaz  Visconti  et  le    Comté  de    Vertus 

(avec  deux  planches) ,,281 

Alessandro  Colombo.  L'ingresso  di  Francesco  Sforza  in  Mi- 
lano e  r  inizio  di  un  nuovo  principato         .        .        .        .       „       297 

VARIETÀ. 

Francesco  Malaguzzi- Valeri.  Per  la  storia  artistica  della  chiesa 

di  S.  Satiro  in  Milano  (Spigolature  d'archivio)  .        .        ,  Pag.  140 

Louis  Delaruelle.  Le  séjour  à  Milan  d'Aulo  Giano  Parrasio  „  152 

Giuseppe  Petraglione.  Un'edizione  ufficiale  di  storici  milanesi  „  172^ 
Giuseppe  Gallavresi.  Due  documenti  inediti  riguardanti  beni 

allodiali  di  laici  milanesi .  „  345 

Emilio  Galli.  Le  ville  del  Petrarca  nel  Milanese     .        .        .  „  359 
Agostino  Zanelli.  Elisabetta  Cristina  di  Wolfenbuttel  a  Bre- 
scia (1708) .        .        .  „  370 

BIBLIOGRAFIA. 

Arturo  Frova.   —  Johann  Graus.  S.   Maria   im  Àhrenkleid 

und  die  Madonna  cum  cohazono  vom  Mailànder  Dom      .  Pag,    186 

Giuseppe  Gallavresi.  —  Enrico  Casanova,  Dizionario  feudale 
delle  Provincie  componenti  l'antico  stato  di  Milano  al- 
l'epoca della  cessazione  del  sistema  feudale       .        .        .       „       188 

Giuseppe  Lisio.  —  Giovanni  Visconti  Venosta.  Ricordi  di  gio- 
ventù, cose  vedute  o  sapute  (1847-1860)       .        .        .        .      „       196 

Alberto  Pisani-Dossi.  Verdesiacum „      383 . 


.468  INDICE 

E.  M.  —  Doli.  Giuseppe    Boni.    San    Bernardino    da    Siena   a 

Pavia Pag.    383 

Carlo  Batiisii.  La  traduzione  dialettale  della  'Catinia'  di  Sicco 

Polenton „       385 

C  Foligno   Un  poemetto  in  lode  di  Lodovico  il  Moro      .        .       „        ivi 

F.  N.  —  Doit.  Achille  Bertarelli.  Spiegazione  e  stato  numerico 

delle  [sue]  raccolte  al  i.°  gennaio  1905        .         .        .        .  „  386 
—        —  Lo  stesso.  La  via  Monte  Napoleone  nella  Milano  vec- 
chia    „  ivi 

La  collezione  Giorgio  Myliiis  di  battenti  in  ferro  e  bronzo        .  „  388 

Bollettino  di  Bibliografia    storica   lombarda    (dicembre  1904  - 

giugno  1905) ,,389 

APPUNTI  E  NOTIZIE. 

Appunti:  Eriprando  notaio  milanese  del  sec.  XI.  —  Come  sono 
nati  i  Lombardi  secondo  un  epigramma  francese  del  se- 
colo XI  (F.  N.).  —  Una  meridiana  del  XII  secolo  (Diego 
Sant'Ambrogio).  —  La  badia  di  San  Giovanni  Battista  di 
Vertemate  (D.  S.).  —  Bandiere  dell'armata  d'Italia (1797) 
(Enrico  Ghisi).  —  Notizie  :  Onoranze  centenarie  al  poeta 
Giovanni  Fantoni.  —  Collezioni  di  statuti  italiani  nella 
Biblioteca  del  Senato.  —  Publicazioni  recenti     .        .         .  Pag.    211 

Appunti  :  Intorno  al  sarcofago  di  Lambrate  (Arturo  Frova).  — 
Il  comune  di  Treviglio  e  il  monastero  di  S.  Simpliciano 
(G.  Biscaro).  —  Di  un  libro  di  cucina  bergamasco  del  se- 
colo XV  (F.  N.).  —  Un  trattatello  di  medicina  per  Sforzino 
Sforza  (E.  M.).  —  La  "  Relazione  di  Milano  „  del  Leoni  ed 
altri  documenti  lombardi  donati  alla  Società  Storica  Lom- 
barda (E.  M.).  —  Lettere  di  cardinali  lombardi  de"*  secoli 
XVI  e  XVII.  —  Progetto  di  navigazione  fluviale  in  Lom- 
bardia nel  Seicento.  —  li  Fabbroni  ed  il  Pananti  a  Mi- 
lano. —  Bolle  pontificie.  —  Notizie  :  Recenti  restauri  in 
S.  Abbondio  a  Cremona.  —  Pubblicazioni  del  principe  di 
Essling.  —  Nuovi  periodici  storici.  —  Museo  della  Scala. 
—  Opere  di  F.  Petrarca  e  L.  da  Vinci.  —  Pubblicazioni 
storiche  premiate.  —  Archivio  muratoriano.  —  Pubblica- 
zioni varie.  —  Errata-Corrige „       434 

Elenco  dei  Soci  della  Società  Storica  Lombarda  (giugno  1905)       „      455 

Opere  pervenute  in  dono  alla  Biblioteca    Sociale   nel   I   e    II 

trimestre  del  1905 „  227-464 

Achille  Martelli,  gerenterresponsabile . 

Milano  -  Tip.  L.  F.  Cogliati  -  Corso  P.  Romana,  17. 


ARCHIVIO  STORICO  LOMBARDO 


ARCHIVIO  STORICO 

LOMBARDO 


GIORNALE 


DELLA 


SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA 


SERIE  QUARTA 


VOLUME  IV  —  ANNO  XXXIl 


MILANO 


LIBRERIA 


SEDE  I 

DELLA  SOCIETÀ  |  FRATELLI  BOCCA 

;,  Castello  Sforzesco  j  Corso  Vitt.  Em.,  21 


1905. 


La  proprietà  letteraria  è  riservata  agli  Autori  dei  singoli  scritti 


Milano  -  Tip.  L.  F.  Cogliati  -  Corso  P.  Romana,  17. 


Sul  significato  del  nome  «  Italia  » 

presso    LIutprando,  vescovo    di   Cremona 


L  significato  del  nome  Italia  nel  medio  evo  ha  dato 
luogo  ad  una  serie  di  ricerche  storiche.  Il  Marinelli 
spiegò  le  discordanze  che  s' incontrano  nel  valore  at- 
tribuito a  tale  nome  nel  medio  evo,  ammettendo  l'esi- 
stenza di  un  doppio  significato  di  esso  in  quel  tempo,  cioè  di  un 
significato  geografico  e  nazionale,  più  vasto,  e  di  un  significato 
politico,  più  ristretto,  indicante  talvolta  la  penisola  in  contrapposi- 
zione alle  isole,  od  un  tratto  della  penisola  stessa  in  contrapposto 
ad  altri  (i). 

Quasi  contemporaneamente  il  Cipolla  giunse  ad  un'  identica 
conclusione,  che  cioè  nel  nome  Italia  nel  medio  evo  bisogna  di- 
stinguere il  significato  storico-letterario,  conservato  dalla  tradizione, 
dal  significato  politico,  cioè  pratico,  ch'esso  assume  quando  si  parla 
degli  avvenimenti  politici.  Nel  primo  caso  il  nome  Italia  conservò 
la  larghezza  datagli  dalla  costituzione  amministrativa  di  Augusto; 
nel  secondo  caso  invece  si  trovò  da  prima  rinchiuso  nei  limiti  del 
«  regnum  Italiae  »,  e  poi  andò  sempre  più  restringendosi  verso 
r  Italia  settentrionale,  dove  anzi  in  un  certo  momento  corse  per- 
fino il  pericolo  di  perdersi,  per  essere  sostituito  dal  nome  Lom- 
bardia (2). 


(i)  G.  Marinelli,  Il  nome  d'  u  Italia  »  attraverso  i  secoli^  in  Atti  del  R.  Isti- 
tuto Veneto  di  Scieny^e,  ecc.,  1891-92,  pp.  807  sgg. 

(2)  C.  Cipolla,  //  trattato  «  De  Monarchia  »  di  Dante  Alighieri  e  Vopuscoh 
«  De  potestate  regia  et  papali  »  di  Giovanni  da  Parigi,  in  Memorie  della  R.  Ac- 
cademia delle  Sciente  di  Torino,  serie  II,  to.  XLII,  pp.  325-419,  Torino,   1892. 


O  CARLO    SALSOTTO 

Poco  più  tardi  trattò  la  questione  lo  Schipa,  sostenendo  che 
r  uso  ristretto  del  nome  Italia  in  quei  secoli  è  solo  apparente. 
Per  lui  questo  nome  ebbe  sempre  il  significato  largo  di  Italia  in- 
tiera (i). 

Lo  Schipa  infatti  ritiene  che  il  nome  Italia  non  si  sia  mai  «  vera- 
«  mente  eclissato  ».  Il  trovare  nei  documenti  varie  Italie  dà,  se- 
condo lui,  apparenza,  ma  non  sostanza  air  esistere  di  concetti  re- 
strittivi del  nome;  e  del  fatto,  a  suo  giudizio,  si  può  avere  una 
spiegazione  grammaticale.  Esso  mostra  solo  che  in  quei  secoli  il 
nome  Italia  si  udì  da  per  tutto  nella  penisola,  ma  in  ninna  parte 
posò;  se  questa  o  quella  regione  parve,  di  quando  in  quando, 
chiamata  Italia,  la  ragione  sta  in  questo,  che  tutte  erano  Italia  o 
che  per  tutto  era  Italia.  Trova  quindi  assurda  la  coesistenza  del 
significato  antico  e  «  dei  significati  nuovi  della  stessa  parola,  come 
u  della  grande  Italia  contenente  e  di  quelle  piccole  Italie  conte- 
«  nute   ». 

Lo  Schipa  fonda  la  sua  asserzione  sopra  l'esame  di  numerosi 
documenti  delle  epoche  longobarda  e  carolingia,  occupandosi  poi 
anche  di  uno  storico  di  poco  posteriore,  Liutprando. 

Egli  comincia  col  notare  che  fino  agli  ultimi  tempi  dell'  unità 
politica  del  paese,  sotto  il  dominio  greco,  quando  si  nomina  l'Italia, 
nelle  opere  degli  scrittori,  nelle  corrispondenze  ufficiali,  nei  titoli 
dei  dignitari,  s' intende  l' Italia  antica,  intiera.  La  parte  che  divenne 
poi  paese  dei  Longobardi  finì  coli'  avere,  come  era  naturale,  il 
nome  di  Longobardia.  Ma  accanto  al  regno  longobardo  rimasero  i 
domini  bizantini,  dove  il  nome  Italia  sopravvisse.  Si  ha  infatti  la 
provincia  Itàliae,  retta  dall' s^ap/oc  'iTaAia;:  il  governo  civile  era 
affidato  al  «  praefectus  per  Italiani  »  o  «  praepositus  Italiae  »,  la 
difesa  all'  «  exercitus  Italiae  »  o  «  militia  italica  >».  Questo  nome 
però  fu  usato  anche  per  indicare  l' Italia  intiera,  come  prova  il 
linguaggio  ufficiale  di  esarchi  e  di  pontefici.  «  Quando,  ottenuto 
i<  nel  584  dall'  imperatore  Maurizio  l' aiuto  di  Childeberto  (Paol. 
<<  DiAC,  III,  17),  l'esarca  Smaragdo  scrisse  di  quel  fatto  al  re  franco, 
«  ei  lo  lodò  d'aver  prontamente  inviato  "  florentissimum  Francorum 
«  exercitum  ad  liberationem  Italiae  ",  e  osservò  che,  se  i  duci  di 


(i)  M.  Schifa,  Le  «  Italie  »  del  medio  evo  (Per  la  storia  del  nome  d'Italia), 
in  Archìvio  Storico  per  le  Provincie  napoletane,  anno  XX,  1895,  pp.  395  sgg. 


SUL   SIGNIFICATO   DEL    NOME    «    ITALIA    »,    ECC.  7 

^i  quell'esercito  fossero  stati  meglio  solleciti  dell'impresa,  «  hodie 
«  Italia  a  gente  Longobardorum  infandissima  libera  habuit  reperiri  » 
«  (Bouquet,  IV,  87)  »»  (i).  Parimenti  nell'  epistolario  di  Gregorio 
Magno  s' incontra  spesso  il  nome  Italia,  «  senz'ombra  di  restrizione 
«  del  suo  classico  significato  »»  (2).  La  medesima  cosa  egli  riscontra 
negli  scritti  del  tempo;  e  cita  1'  Anonimo  Ravennate  ed  il  Ltber 
pontificalis.  Di  quello  riporta  il  passo:  «  patria  nobilissima  et  om- 
"  nino  fertilis  quae  dicitur  Italia  »,  cui  circondano  «  eccelsi  monti, 
«  da  alcuni  detti  Titani,  separandola  dalla  Settimania,  dalla  Bor- 
ii  gogna,  ecc.,  e  il  mare  dagli  altri  lati  »  ;  di  questo^  cita,  dalla  vita 
-di  papa  Adriano  (ed.  Duchesne,  p.  488),  l'espressione:  «  Desiderius.... 
«  cupiens...  Romanam  urbem  atque  cunctam  Italiam  sub  sui  regni 
■u  Langobardorum  potestate  subiugare  «.  E  così  conclude  intorno 
a  quest'epoca:  «  I  Bizantini  e  gl'Italiani  sudditi  loro  certamente 
«  salvarono  quel  nome  contro  la  bufera  longobarda;  sicché  potet- 
«  tero  trasmetterlo,  nell'  integrità  della  forma  e  del  valore,  all'  età 
M  che  successe  al  regno  dei  Longobardi  »  (3). 

Ma  anche  nel  regno  longobardo  stesso  lo  Schipa  trova  che  il 
nome  ItaUa  non  venne  mai  meno;  e  cita  a  tale  uopo,  oltre  ad 
espressioni  di  storici,  e  specialmente  di  Paolo  Diacono,  esempì  di 
atti  notarili  e  di  contratti  privati,  dove  incontra  spesso  la  formula: 
u  V  anno  tale  di  regno  di  Ariberto,  di  Liutprando,  di  Desiderio.... 
«  in  Italia  ».  Quanto  al  linguaggio  ufficiale  soggiunge:  «  Lo  stesso 
«  re,  che  non  s' intitola  se  non  re  della  sua  nazione,  sa  e  dice,  in 
«  fronte  alle  sue  leggi,  che  quel  suo  regno  è  '  in  Italia  '  ».  Rotari 
così  comincia  il  prologo  del  proprio  editto:  «  Ego....  Rothari....  rex 
«  gentis  Langobardorum  anno  post  adventum  in  provincia  Italiae 
u  Langobardorum....  septuagesimo  sexto  »;  e,  parlando  de'  suoi 
antecessori,  dice  di  Alboino:  «  exercitum  in  Italia  adduxit  ».  Pa- 
rimenti Adelchi  in  fronte  alle  leggi  scrive  che  Dio  avea  sottomesso 
«  Italiae  regnum  genti  nostrae  Langobardorum  »  (4). 

Venendo  all'epoca  susseguente,  lo  Schipa  nota  che  i  Carolingi 
preferirono  il  nome  di  «  regnum  italicum  »  od  «  Italiae  »,  od  anche 
semplicemente  Italia;  e   cita  il  passo  di  Eginardo,   il  biografo   di 

(i)  Op.  cit.,  p.  406. 

(2)  Op.  e  loc.  cit. 

(3)  Op.  cit.,  p.  408. 

(4)  Op.  cit.,  pp,  409-10. 


8  CARLO   SALSOTTO 

Carlo  Magno,  il  quale  dice  che  «  l'Italia  da  Aosta  fino  alla  Cala- 
«  bria  inferiore,  dove  consta  essere  i  confini  fra'  Greci  e  i  Bene- 
u  ventani,  si  estende  perula  lunghezza  di  più  che  mille  miglia». 
«  (EiNHARDi,  Vita  Caroli,  e.  15)  »  (i).  E  soggiunge  che  i  Carolingi 
si  chiamarono  bensì  «  reges  Francorum  et  Langobardorum,  reges 
u  Francorum  et  Romanorum  atque  Langobardorum  »,  ma  dichia- 
rarono sempre  che  il  loro  regno  longobardo  era  «  in  Italia  ». 

Lo  Schipa  stesso  però  dovette  rilevare  che  in  alcuni  diplorai 
degli  ultimi  Carolingi  il  nome  Italia  assume  un  doppio  significato, 
ora  più  largo,  ora  ristretto  ad  una  sola  parte  della  penisola.  Egli 
riconosce  in  questo  fenomeno  una  contraddizione.  Ma  lo  stesso* 
accade  nelle  opere  di  Liutprando,  che  è  uno  dei  principali  scrit- 
tori del  sec.  X.  E  anche  qui  nota  lo  Schipa  che,  usando  tale  nome 
con  differenti  significati,  lo  storico  si  mostra  in  contraddizione  con 
se  stesso.  Egli  infatti  non  sa  spiegare  altrimenti  come  Liutprando 
parli  talvolta  di  «  un'  Italia  messa  fuori  del  ducato  spoletino,  del 
«  ducato  di  Roma  e  della  Tuscia  {Historia  Ottonis,  9);  come  d'un 
«  popolo  d' Itali  diverso  dai  Tusci,  Volsci,  Camerini,  Spoletini 
«  {Antapodosij  II,  7)  »  (2);  mentre  in  molti  altri  luoghi  dà  al  nome 
Italia  il  suo  significato  intero,  ed  anzi  in  un  punto  (Legatio,  7),. 
sostiene  «  in  base  alla  razza,  alla  lingua,  alla  storia,  1'  unità  del 
«  mezzogiorno  col  resto  d' Italia  »  (3). 

Come  abbiamo  veduto,  lo  Schipa  non  ammette  assolutamente 
r  esistenza  dei  due  significati  diversi  del  nome  Italia,  neppure 
quando  essa  è  evidente  non  solo  in  documenti  del  tempo,  ma  an- 
che nelle  opere  di  qualche  scrittore;  e  in  questi  casi  trova  più 
ragionevole  ammettere  la  contraddizione. 

Ma  a  questi  ragionamenti  dello  Schipa  si  può  muovere  qualche 
obiezione.  È  vero  che  al  tempo  del  dominio  bizantino  per  Italia 
si  intendeva  tutta  quanta  la  penisola;  ma  non  poteva  essere  altri- 
menti, perchè  non  ne  era  avvenuta  ancora  la  divisione.  Così  an- 
che neir  epoca  longobarda  i  Bizantini  continuarono  a  chiamare 
domini  d' ItaUa  quelh  che  essi  possedevano  nella  nostra  penisola, 
perchè   non  avrebbero    potuto    mutar  loro    il    nome.    E   parimenti 


(i)  Op.  cit.  p.  412. 

(2)  Ibid.,  p.  414- 

(3)  Ibid.,  415. 


SUL   SIGNIFICATO   DEL    NOME    «    ITALIA    »,   ECC.  9 

continuarono  a  considerare  sempre  nella  sua  integrità  l' Italia^ 
sebbene  una  parte  di  essa  fosse  caduta  sotto  la  dominazione  dei 
Longobardi  invasori. 

Per  provare  poi  che  neanche  sotto  il  dominio  di  costoro  il 
nome  Italia  si  dileguò,  lo  Schipa  si  fa  forte  della  formula  con  la 
quale  i  loro  re  denominavano  il  proprio  regno.  E  come  avrebbero- 
potuto,  di  grazia,  dire  altrimenti,  se  non  che  erano  venuti  in  Italia 
ed  in  Italia  regnavano?  Solo  coi  Longobardi  infatti  cominciarona 
le  divisioni  della  penisola.  D'altra  parte  perchè  avvenga  un  muta- 
mento nella  toponomastica  d'una  regione  occorre  un  certo  periodo- 
di  tempo;  ecco  perchè  solo  più  tardi,  sotto  gli  ultimi  Carolingi,  si 
hanno  le  prime  prove  dell'esistenza  di  un  concetto  restrittivo  del 
nome  Italia. 

Si  può  inoltre  osservare  che  in  nessuno  dei  luoghi  riportati 
dallo  Schipa  si  parla  di  avvenimenti  politici.  Trattasi  invece  sempre 
di  scritti  d' indole  storica  o  letteraria,  nei  quali  il  nome  Italia  do- 
veva necessariamente  assumere  il  largo  significato  storico,  tradi- 
zionale. Ma  quando  si  tratti  di  avvenimenti  politici,  quando  da 
argomenti  generali  si  scenda  alla  pratica  dei  fatti,  allora  troviamo- 
pure  il  nome  Italia  usato  in  senso  ristretto  per  indicare  non  più 
tutta  la  penisola,  ma  bensì  qualche  parte  di  essa  in  contrapposizione 
alle  altre.  Ed  ecco  spiegata  così  la  pretesa  contraddizione  rilevata 
dallo  Schipa  in  alcuni  diplomi  degli  ultimi  Carolingi  e  negli  scritti 
di  Liutprando. 

Nel  dar  notizia  di  questo  studio  dello  Schipa,  il  Marinelli,, 
riferendosi  al  proprio  lavoro  antecedente,  torna  a  sostenere  la  va- 
lidità della  conclusione  a  cui  era  giunto  (i). 

Parimenti  confutò,  e  più  ampiamente,  l'asserzione  dello  Schipa. 
il  Crivellucci  in  una  recensione  del  lavoro  suddetto,  sostenendo- 
che  nel  medio  evo,  pur  continuandosi  sempre  ad  adoperare  il 
nome  Italia  nel  suo  significato  generale  e  geografico,  compren- 
dente tutta  la  penisola,  esso  fu  anche  talora  adoperato  in  un  si- 
gnificato politico  ristretto  ad  una  sola  parte  della  penisola  stessa  (2). 

Frattanto  aveva  accennato  di  nuovo  a  questo  argomento  il  Ci- 
polla in  un  discorso  tenuto  a  Venezia  il  3  novembre  1895,  col  dire 


(i)  Rivista  geografica  italiana,  voi.  Ili,  1896,  pp.  153-54. 
(2)  Studi  Storici,  voi.  V,  1896,  pp.  272-74. 


JO  CARLO    SALSOTTO 

che  l'esistenza  di  un  uso  ristretto  del  nome  Italia  non  può  far 
credere  che  si  fosse  eclissato  il  concetto  largo  dell'unità  italiana. 
Egli  ripeteva  che,  in  senso  letterario,  anche  in  quei  secoli  per 
Italia  s'intese  tutta  la  penisola,  tanto  che  col  progredire  della  col- 
tura questo  significato  letterario  si  rafforzò,  e  già  in  Ottone  di  Fri- 
singa,  lo  storiografo  di  Federico  Barbarossa,  troviamo  delineata  la 
geografia  d'Italia  appunto  in  questo  senso  (i). 

Replicò  ancora  lo  Schipa,  Insistendo  sull'assurdità  del  doppio 
significato  del  nome  Italia,  e  negando  sempre  l'esistenza  del  nome 
ristretto  ad  una  sola  parte  della  penisola  (2).  In  particolare  egli 
si  ferma  sopra  l'espressione:  «  ducatus  Italiae,  Spoleti  et  Tusciae  », 
che  s' incontra  in  diplomi  di  Carlo  il  Grosso  e  di  Lodovico  di 
Provenza,  e  ch'egli  spiega  come:  «  ducatus  Italiae,  scilicet  Spoleti 
et  Tusciae  ».  E,  come  nell'altro  suo  lavoro  citato  tacciava  dì  con- 
traddizione tanto  questi  diplomi  quanto  Liutprando,  così  in  questo 
nuovo  studio  taccia  di  distrazione  il  Muratori,  perchè  unicamente 
di  qui  desunse  l'esistenza  di  un'  Italia  ducato  fuori  del  «  regnum 
«  Romanorum  et  Longobardorum  »  (Romania  o  dominio  pontificio 
e  Regno  propriamente  detto).  A  tale  proposito  il  nostro  critico 
nota  che  non  si  hanno  notizie  di  tale  ducato  ne  della  famiglia  che 
lo  resse,  mentre  d'  altra  parte  Carlo  il  Grosso  un  anno  prima  di 
-emanare  il  diploma  che  contiene  la  suddetta  espressione  mostrava 
di  non  vedere  soggette  a  se  in  Italia  più  di  quattro  regioni,  dal 
momento  che,  emanando  un  decreto  nell'  881,  ordinava  che  esso 
fosse  osservato  <'  tam  in  Longobardia  quam  in  Romania,  seu  in 
«  Tuscia  e.t  in  Ducatu  Spoletano  ». 

In  questa  replica  dello  Schipa  il  Crivellucci  credette  scorgere 
che  il  critico  napoletano  desse  alla  questione  un  caràttere  un  po' 
personale;  per  ciò  egli  ritenne  di  non  dover  rispondere  ai  suoi 
argomenti  (3). 

Mi  si  permetta  qualche  osservazione. 

È  bensì  vero  che  il  Muratori  mostra   di  credere    all'  esistenza 


(i)  Cipolla,   Verona  e  la  guerra  contro  Federico  Barbarossa,    in  Nuovo  Ar- 
-chivio  Veneto,  to.  X,  par,  II,  1895. 

(2)  Schifa,  Pei  nomi  Calabria,  Sicilia  e  Italia  nel  medio  evo,    in  Atti  della 
Accademia  Pontaniana,  voi.  XXVI,  1896. 

(3)  St7(di  Storici,  cit.,  voi.  V,  pp.  595-96. 


i 


SUL    SIGNIFI'.ATO    DKL    NOME    «    ITALIA    w,    ECC.  TE 

di  un  u  ducato  d'Italia  "  fuori  degli  altri  noti  (i);  ma  questo  non 
dicono  ne  il  Marinelli  ne  il  Crivellucci.  Essi  infatti  rilevano  esclu- 
sivamente la  coesistenza  dei  due  significati  del  nome  Italia,  senza 
dire  affatto  che  vi  fosse  un  ducato  di  tal  nome.  E  ciò  è  detto  da 
entrambi  in  termini  chiarissimi,  che  non  ammettono  dubbio  alcuno. 
Non  si  può  dunque  attribuir  loro  la  supposizione  dell'esistenza  di 
un  ducato  d'Italia:  essi  ritengono  solo,  come  altri,  «  accettabile 
«  l'idea  di  un  doppio  significato  che  tal  nome  (Italia)  potè  allora 
«  avere,  cioè  geografico  e  nazionale  o  più  vasto,  e  politico  o  più 
ti  ristretto  »  (2). 

D'altra  parte  confrontiamo  fra  loro  le  tre  espressioni  che  lo 
Schipa  riporta  dai  diplomi  di  Carlo  il  Grosso  e  di  Ludovico  di 
Provenza.  Vi-  è  evidentemente  relazione  fra  :  «  regnum  Romanorum 
^<  et  Longobardorum  »,  e:  «  tam  in  Longobardia  quam  in  Roma- 
<•  nia,  seu  in  Tuscia  et  in  Ducatu  Spoletano  ».  Ma  relazione  molto 
più  stretta  vi  è  fra  quest'  ultima  espressione  e  1'  altra  :  «  ducatus 
ii  Italiae,  Spoleti  et  Tusciae  ».  Tralasciando  infatti  la  Romania, 
troviamo  nominate,  come  appunto  indica  lo  Schipa,  nel  primo  caso 
tre  regioni,  la  Longobardia,  la  Tuscia  ed  il  Ducato  di  Spoleto, 
ripetute  nell'altra  espressione,  con  la  sola  variante  del  norne  Italia 
invece  di  Longobardia.  Si  potrebbe  quindi  dedurne  che  questi  due 
nomi  in  questo  punto  sono  usati  scambievolmente;  in  tal  modo 
converremo  col  Cipolla,  il  quale  appunto,  come  abbiamo  riferito, 
asserì  che  il  nome  Italia  in  un  certo  momento  corse  il  pericolo  di 
perdersi  per  essere  sostituito  dal  nome  Lombardia  (3), 


(i)  Ciò  è  provato  da  vari  luoghi  delle  sue  opere.  Basterà  citare  i  seguenti. 
Riportando  il  diploma  di  Ludovico  II  dell'  anno  900  (Antiqui tates  Italicae  medii 
aevi,  Dissertano  tertia,  to.  I,  ce.  87-88),  al  quale  appunto  si  riferisce  lo  Schipa, 
egli  vi  fa  seguire,  come  sempre,  un  breve  commento,  dove  si  legge:  «  Admi- 
«  rationem  certe  moveat,  immo  falsi  suspicionem,  intueri,  Ludovicum  nondum 
«  Imperatorem  et  Regem  dumtaxat  Italiae,  seu  Regni  Langobardorum,  auctori- 
«  tatem  suam  proferre  et  in  Regnum  Romanorum.  —  Nam,  quod  tres  tantum 
«  Ducatus  enumeret,  fortassis  id  factum,  eo  quod  Forojulensis  heic  omissus  Be- 
«  rengario  adhuc  obtemperabat.  Ego  rem  eruditis  perpenJendam  relinquo...  »  ; 
e  per  conto  suo  sostiene  solo  l'autenticità  del  diploma. 

Nella  Dissertazione  V  poi  si  legge:  «  Ipsi  Italiae  Reges,  quum  leges  pro- 
le mulgabant  ant  privilegia  largiebantur,  Tusciae  quidem,  Spoleti,  Fori  Julii  sive 
«f  Austriae,  Italiae,  etc,  mentionem  facere  consueverunt  ». 

(2)  Marinelli,  op.  cit.,  p.  154. 

(3)  Cfr.  p.  5  del  presente  lavoro. 


A 


12  CARLO    SALSOTTO 

In  uno  studio  dell'anno  seguente  il  Cipolla  riaffermava  la  sua 
opinione  riguardo  al  significato  del  nome  Italia  nel  medio  evo,  ed 
esprimeva  il  dubbio  che  il  sentimento  della  nazionalità  italiana,  che 
è  manifesto  in  un  dato  punto  del  sec.  XII,  non  comprendesse  in 
sé  tutta  la  nazione  dalle  Alpi  al  Lilibeo  (i). 

Agli  argomenti  del  Cipolla  si  oppose  il  Novati  nelle  note  della 
ristampa  di  un  discorso  tenuto  il  giorno  i6  novembre  1896  per  l'aper- 
tura dell'  anno  scolastico  nella  R.  Accademia  scientifico-letteraria 
di  Milano  (2).  Sostiene  il  Novati  che  il  sentimento  della  naziona- 
lità italiana  non  si  perdette  mai,  perchè  «  il  concetto  tradizionale 
M  dell'unità  conservava  nella  geografia,  nella  lingua,  nella  storia  un. 
«  triplice  inconcusso  fondamento  ».  «  L'essere  la  penisola  politica- 
«  mente  divisa  »,  egli  soggiunge,  riferendosi  specialmente  all'ultima 
studio  citato  del  Cipolla,  «  gravata  da  gioghi  vari  e  pesanti,  doveva 
u  sì  assopire  in  parte  la  coscienza  nazionale,  favorendo  lo  sviluppo 
'<  del  municipalismo  ;  ma  non  soffocarla  a  segno  da  vietare  agli 
«  Italiani  di  riconoscersi  come  provenienti  tutti  da  un  ceppo  mede- 
«  Simo  »  (3). 

Ma  questo  punto  della  contesa  fra  i  due  illustri  professori^ 
oltre  che  riguarda  un'  epoca  posteriore  a  quella  di  cui  è  nostro- 
intendimento  occuparci,  ancora  per  un  altro  rispetto  esce  dai  li- 
miti che  ci  siamo  proposti,  volendo  noi  trattare  solo  dell'esten- 
sione che  ebbe  il  nome  Italia.  E  quanto  all'esistenza  del  doppio 
significato  di  questo  nome,  senza  cercare  se  esso  implichi  o  no  un 
affievolimento  nel  concetto  della  nazionalità  italiana,  vedremo  nelle 
pagine  seguenti  che  è  necessario  ammetterlo,  specialmente  nel  se- 
colo X. 

Del  resto  i  due  dottissimi  critici,  per  il  fatto  che  entrambi  re- 
cano nella  controversia  validi  argomenti  a  sostegno  delle  loro  tesi,, 
conservano  ciascuno  immutata  la  propria  opinione.  Lo  dimostrò 
chiaramente  in  un  nuovo  studio  il  Cipolla,  il  quale,  toccando  in 
un  punto  la  nostra  questione,  rimanda  il  lettore  al  suo  precedente 


(1)  Cipolla,  Per  la  storia  della  Lega  Lombarda  contro  Federico  I,  in  Ren- 
diconti della  R.  Accademia  dei  Lincei,  Classe  di  scienze  morali,  storiche  e  filolo- 
giche, voi.  VI,  1897. 

(2)  Novati,  L'influsso  del  pensiero  latino  sopra  la  civiltà  italiana  del  medio 
evo,  2.*  ediz.,  Milano,  Hoepli,  1899. 

(3)  Op.  cit.,  p.  210. 


SUL   SIGNIFICATO   DEL   NOME    «    ITALIA    »»,   ECC.  I3 

lavoro,  senza  nulla  mutare  di  quanto  aveva  colà  affermato  (i).  Nel 
sostenere  la  sua  tesi,  che  tende  a  negare  che  sia  avvenuta  la  fu- 
sione fra  gli  Italiani  ed  i  barbari  invasori  nei  primi  secoli  del  medio 
evo,  egli  cita  pure  le  opere  di  Liutprando,  e  ne  deduce  che,  trat- 
tandosi di  libri  di  carattere  politico,  il  nome  Italia  in  essi  non  in- 
dica tutta  la  penisola,  ma  solo  la  parte  superiore  di  essa. 

Questo  adunque  è  lo  stato  attuale  della  questione.  Dall'  una 
parte  vari  illustri  storici  riconoscono  il  doppio  significato  che  ebbe 
il  nome  Italia  in  alcuni  secoli  del  medio  evo,  secondo  che  era 
usato  in  un  senso  storico  e  letterario,  oppure  in  senso  politico, 
cioè  pratico;  dall'altra  parte  lo  Schipa  nega  assolutamente  ogni 
concetto  restrittivo  del  nome  Italia,  riconoscendo  una  contraddizione 
nei  singoli  casi  da  lui  notati,  in  cui  questo  nome  indica  evidente- 
mente solo  una  parte  della  nostra  penisola  ;  ed  a  questa  opinione 
si  accosta  in  tesi  generale  il  Novati. 


Dalle  osservazioni  dello  Schipa  e  dalle  obiezioni  mossegli  dal 
Marinelli  e  dal  Crivellucci,  nonché  da  quanto  si  trova  nelle  opere 
del  Cipolla  e  del  Novati  a  questo  riguardo,  è  nata  V  idea  delle 
ricerche  le  quali  verranno  esposte  nelle  pagine  seguenti. 

L'essere  Liutprando  il  principale,  anzi  quasi  1'  unico  scrittore 
del  sec.  X,  che  fu  di  scarsissima  produzione  letteraria,  fa  sì  che 
a  lui  come  fonte  ricorrano  i  critici  della  storia  per  le  questioni 
che  riguardano  tale  epoca.  In  quella  infatti  del  significato  del 
nome  Italia  nel  medio  evo,  e  in  particolare  nel  sec.  X,  abbiamo 
visto  citate  le  opere  di  lui  dal  Cipolla  e  dallo  Schipa,  i  quali  però 
ne  trassero  conclusioni  differenti.  Ma  l' importanza  degli  scritti  di 
Liutprando  (2)  nel  chiarire  tale  quistione  apparirà  ancora  più  grande 
quando  si  pensi  ch'egli  nelle  sue  opere  parla  quasi  esclusivamente 


(i)  Cipolla,  Della  supposta  fusione  degli  Italiani  coi  Germani  nei  primi 
secoli  del  medio  evo,  in  Rendiconti  della  R.  Accademia  dei  Lincei,  Classe  di  scienze 
morali,  storiche  e  filologiche,  serie  V,  voi.  IX,  1900,  V-X. 

(2)  LiUDPRANDi,  Opera  omnia,  ediz,  Dùmmler,  Hannoverae,  1877. 


14  CARLO   SALSOTTO 

delFetà  in  cui  visse.  NeìVAntapodost  infatti,  la  più  lunga  delle  opere 
di  lui,  egli  comincia  il  racconto  degli  avvenimenti  dall'  anno  888 
circa,  e  lo  interrompe  verso  il  950.  Una  parte  quindi  dei  fatti  nar- 
rati sono  contemporanei  allo  storico;  T  altra  parte,  che  forma  la 
materia  dei  primi  tre  libri,  egli  apprese  direttamente  da  testimoni 
viventi  (i).  La  Historia  Ottonis  poi  e  la  Legatio  riguardano  avve- 
nimenti, di  cui  Liutprando  fu  non  solo  testimonio  egli  stesso,  ma 
anche  attore.  Ne  segue  che  i  suoi  scritti  hanno  per  noi  una  gran- 
dissima importanza,  perchè  riferiscono  fedelmente  il  concetto  che 
del  nome  d' Italia  si  aveva  ai  tempi  dello  storico  (2). 


Ne\VAntapo(/ost  s' incontrano  spessissime  volte  i  nomi  Italia, 
Italtenses,  Itali,  Italici.  In  tre  luoghi  questi  nomi  vengono  assolu- 
tamente contrapposti  ad  altri  indicanti  altre  regioni  e  popolazioni 
della  nostra  penisola,  che  pure  facevano  parte  del  «  regnum  Ita- 
u  liae  ».  Questi  passi  furono  dal  Cipolla  riportati  nel  suo  lavoro 
citato,  per  mostrare  come  Liutprando  nella  pratica  dia  al  nome 
Italia  il  significato  d' Italia  superiore  (3). 

Quando  nell'anno  899  gli  Ungheri,  dopo  aver  devastato  già 
varie  regioni  dell'  oriente,  si  affacciarono  ai  confini  settentrionali 
d' Italia,  Berengario  I  si  accinse  ad  affrontarli.  «  Italorum  igitur, 
«  Tuscorum,  Volscorum,  Camerinorum,  Spoletinorum  quosdam  literis, 
u  alios  nuntiis  directis,  omnes  tamen  in  unum  venire  precepit  » 
(Ant.,  II,  9).  Così  alla  seconda  discesa  di  Lodovico  di  Provenza 
contro  Berengario  I  per  istigazione  di  Adelberto  di  Toscana,  il  re 
u  videns....  quod  Hulodoicus  tam  ab  Italiensium  quam  a  Tuscorum 
"  susciperetur  principibus,  Veronam  profectus  est  »  (op.  cit.,  II,  37). 
Ma  anche  di  là  viene   scacciato  da  Lodovico;  dopo  di  che  a  que- 


(i)  Antapodosìy  IV,  i. 

(2)  Per  lo  stesso  motivo,  che  narra  avvenimenti  del  suo  tempo  e  di  cui 
pure  fu  attore  in  non  pìccola  parte,  non  occorre  intorno  a  Liutprando  lo  studio 
delle  fonti,  giacché  egli  non  ebbe  a  ricorrere  a  fonti  scritte,  ed  è  egli  stesso 
fonte  storica.  La  cosa  potrebbe  far  eccezione  per  VAntapodosi,  che  abbraccia  un 
periodo  di  tempo  abbastanza  lungo  ;  ma,  come  abbiamo  visto  or  ora,  1'  autore 
ci  avverte  di  aver  appreso  da  testimoni  viventi  quei  fatti  di  cui  non  fu  testi- 
monio né  attore  egli  stesso. 

(3)  Rendiconti  delia  R.  Accad.  dei  Lincei,  cit,  p.  525. 


SUL   SIGNIFICATO   DEL   NOME    «    ITALIA    »,   ECC.  I5. 

st' ultimo  parve  opportuno,  «  ut  sicut  circumcirca  videret   Italiani, 
«  videret  et  Tusciam  »  (op.  cit.,  II,  38). 

Da  questi  passi  si  scorge  chiaramente  che  per  Liutprando- 
Italta  e  Tuscia,  quando  parla  di  avvenimenti  politici,  erano  due 
regioni  affatto  distinte,  di  cui  la  prima  era  limitata  alla  valle 
del  Po. 

Questa  divisione  delle  terre  del  «  regnum  Italiae  »  ci  richiama 
alla  mente  le  varie  divisioni  territoriali,  che  della  nostra  penisola 
si  fecero  e  durante  l'impero  e  nei  primi  secoli  del  medio  evo. 

Fin  verso  il  290  pare  che  l'Italia  sia  rimasta  sotto  la  giuri- 
sdizione di  un  solo  corrector.  Diocleziano,  dividendo  l' impero  in 
quattro  parti  sotto  due  augusti  e  due  cesari,  diede  anche  alla  pe- 
nisola una  divisione  amministrativa  ben  definita  (i).  Quando  poi 
Costantino  riunì  di  nuovo  V  impero  sotto  il  suo  scettro,  le  quattro 
divisioni  sussistettero,  prendendo  il  nome  di  «  prefetture  »  (pre- 
fettura delle  GalUe,  d' Italia,  d'IUiria,  d'Oriente).  La  prefettura 
d'Italia  comprendeva  tre  «  diocesi  »:  l'Italia,  l'Africa  e  l' Illirico- 
occidentale.  L'Italia  poi  alla  sua  volta  fu  divisa  in  due  «  vicariati  >», 
divisione  che  non  è  certo  se  risalga  o  no  a  Diocleziano.  L'  uno- 
dei  vicariati  aveva  sede  in  Roma  («  vicarius  Urbis  »),  1'  altro  in 
Milano  («  vicarius  Italiae  »),  che  era  pure  sede  del  prefetto  d'Italia. 
Questo  secondo  vicariato  è  quello  che  ci  interessa.  Da  esso  dipen- 
devano r  Italia  settentrionale,  con  la  Rezia  e  le  Alpi  Cozie,  e  la 
media,  ad  eccezione  del  Lazio  e  della  Toscana  (2).  Dunque  già  in 
questa  prima  divisione  la  Tuscia  era  nettamente  distinta  dall'Italia, 
col  qual  nome  si  indicava  appunto  il  vicariato  d'Italia. 

Una  certa  relazione  troviamo  fra  questa  divisione  più  antica 
e  quella  lo'ngobarda.  I  Longobardi  divisero  il  loro  regno  in  tre 
grandi  parti:  Austria  ad  oriente,  dalle  Alpi  Giulie  fino  all'Adda; 
Neustria  ad  occidente,  dall'Adda  alle  Alpi  marittime;  Tuscia  a 
mezzodì.  Anche    in  questa  divisione    troviamo    la  Tuscia   distinta 


(i)  Cipolla,  Della  gmrisdi:^ione  metropolitica  della  Sede  Milanese  nella  re- 
gione X,  Venetia  et  Histria,  in  Ambrosiana,  scritti  vari  pubblicati  nel  XV  centenario- 
dalla  morte  di  S.  Ambrogio,  con  introduzione  di  Andrea  C.  cardinale  Ferrari„ 
arcivescovo  di  Milano,  Milano,  Cogliati,  1897,  p.  24. 

(2)  Ibìb.,  op.  e  loc.  cit. 


t6  CARLO   SALSOTTO 

•dalle  regioni  che  sono  comprese  nella  valle  del  Po.  E,  se  teniamo 
-conto  del  fatto  che  le  due  prime  regioni  corrispondono  appunto 
ad  una  parte  del  territorio  che  costituiva  il  vicariato  d' Italia,  non 
-ci  parrà  strano  che  uno  storico  del  sec.  X  chiami  Italia  quel  ter- 
ritorio e  lo  distingua  dalla  Tuscia,  giacche  egli  non  trovava  altri 
nomi  per  indicare  separatamente  le  due  regioni  dal  punto  di  vista 
geografico. 

Nella  Historia  Ottonis  troviamo  un  altro  accenno  ad  una  dif- 
ferente divisione  della  nostra  penisola. 

Recatosi  Ottone  il  grande  a  Roma  nel  settembre  del  963  per 
frenare  la  scandalosa  condotta  del  papa  Giovanni  XII,  ed  essendo 
-questi  frattanto  fuggito  dalla  città,  l'imperatore  radunò  in  San  Pietro 
un  grande  concilio,  al  quale  presero  parte  vari  arcivescovi  e  molti 
vescovi  «  a  Saxonia,  a  Francia,  ab  Italia,  a  Tuscia,  a  Romanis  » 
{cap.  9).  Tralasciando  i  nomi  Saxonia  e  Francia,  qui  troviamo 
ancora  la  Tuscia  distinta  ddXV  Italia,  oltre  alla  nuova  indicazione 
a  Romanis.  Ma  notiamo  ancora  che,  poco  dopo  le  parole  citate,  è 
inserta,  sempre  a  proposito  delle  pratiche  fatte  in  Roma  da  Ottone 
■contro  papa  Giovanni  XII,  la  lettera  mandata  dal  concilio  al  pon- 
tefice, la  quale  comincia  così:  «  Sùmmo  pontifici  et  universali  papae 
«  domno  Joanni,  Otto  divinae  respectu  clementiae  imperator  augu- 
•«  stus,  cum  archiepiscopis,  episcopis  Liguriae,  Tusciae,  Saxoniae, 
«  Franciae  in  domino  »  (cap.  12).  E  parimenti,  narrando  la  nuova 
adunanza  tenutasi  dopo  giunta  la  risposta  del  papa,  lo  storico  no- 
mina nuovi  prelati  aggiuntisi  agli  altri  «  a  Lotharingia....  ab  Emilia 
M  et  Liguria  »»  (cap.  14). 

In  questi  due  ultimi  passi  non  troviamo  più  il  nome  generico 
Italia  per  indicare  l'Italia  settentrionale,  ma  nomi  speciali,  cioè 
due  volte  il  nome  Liguria  ed  una  volta  sola  quello  di  Emilia, 
nomi  che  non  s' incontrano  in  alcun  altro  luogo  delle  opere  di 
Liutprando.  Essi  però  non  infirmano  punto  la  nostra  idea,  perchè 
Liguria  ed  Emilia  sono  due  provincie  dell*  Italia  (i).  Qui  lo  sto- 


(i)  Cfr.  Paolo  Diacono,  De  rehus  gestis  Langohardorum.  —  Liguria  è  la 
seconda  provincia  d' Italia  ;  comprende  Milano  e  Pavia  e  sì  stende  sino  ai  confini 
■dei  Galli  (II,  15).  Emilia  è  la  decima  provincia.  Cominciando  dalla  Liguria  si 
stende  fra  le  Alpi  Apennine  ed  il  Po  verso  Ravenna.  Sue  città  doviziose  sono: 
Piacenza,  Parma,  Reggio,  Bologna,  Foro  Cornelio,  il  cui  castellb  si  chiama  Imola 
<II,  18). 


SUL   SIGNIFICATO   DEL    NOME    «    ITALIA    »,    ECC.  I7 

?rico  non  fa  che  determinare  con  maggior  precisione  i  luoghi,  no- 
minando le  singole  parti  invece  del  tutto. 

Liutprando  ci  porge  dunque  due  elenchi  di  prelati  i  quali  si 
trovano  in  Roma  con  Ottone  I;  ed  è  notevole  il  fatto  che  di  cia- 
scun prelato,  se  non  dà  sempre  il  nome,  indica  però  sempre  la 
residenza.  Per  ciò  dal  primo  di  essi  si  scorge  quali  città  apparte- 
nessero alV Italia,  quali  alla  Tuscia,  e  quali  siano  da  lui  comprese 
sotto  la  denominazione  a  Romanis;  e  dal  secondo  si  ricavano  pochi 
nomi  di  città  dell'  Emilia  e  della  Liguria,  le  quali  due  regioni 
Liutprando  nomina  separatamente: 

Primo  Elenco. 
ab  Italia  :      Aquileia,  Milano,  Ravenna,  Parma,  Cremona,  Reggio. 

a  Tuscia:  Lucca,  Arezzo,  Pisa,  Siena,  Firenze,  Pistoia,  Came- 
rino, Spoleto. 

a  Romanis:  Albano,  Ostia,  Porto,  Gabio  (ora  Castiglione),  Pre- 
neste  (ora  Palestrina),  Silva  Candida  (i),  Velletri, 
Bleda,  Caere  (ora  Cervetri),  Nepi,  Tivoli,  Forum 
Clodii  (2),  Ferentino,  Norma  (anticamente  Norba), 


(i)  Il  Duchesne  crede  che  questa  sede,  che  appare  per  la  prima  volta  nel 
concilio  dell'anno  501,  sia  la  continuazione  della  sede  di  Loriuni.  I  due  luoghi 
si  trovano  a  sei  km.  di  distanza  l'uno  dall'altro.  Lor'mm  era  una  villa  imperiale, 
celebre  residenza  dell'imperatore  Antonino,  la  prima  stazione  sulla  via  Aurelia: 
ora  su  quel  luogo  sorge  Castel  di  Guido.  Silva  Candida  era  il  punto  della  via 
Cornelia  dove  sorse  il  santuario  delle  sante  Ruffìna  e  Seconda.  (Duchesne,  Le 
sedi' episcopali  nell'antico  ducato  di  Roma,  in  Archivio  della  R.  Società  romana  di 
storia  patria,  voi.  XV,  1892,  fase.  III-IV). 

(2)  L' indicazione  di  Liutprando  è  :  Johannes  Forocludensis.  Il  Dùmmler  vi 
appone  questa  nota:  «  Forum  Claudii  prope  Calinum  olim  situm  ».  Il  Grego- 
rovius,  che  nel  testo  della  sua  storia  riconosce  questa  sede  in  Forum  Claudii, 
aggiungendo  fra  parentesi  :  «  presso  Oriolum  »,  in  una  nota  trova  meraviglioso 
il  perdurare  del  nome  antico  ;  ma  in  un'  aggiunta  del  Borsari  a  questa  nota  si 
legge  non  doversi  intendere  Forum  Claudii,  ma  bensì  Forum  Clodii,  antico  mu- 
nicipio a  nordovest  di  Bracciano,  dove  sorge  ora  San  Liberato  {Storia  della  città 
di  Roma  nel  medio  evo,  Roma,  1900,  voi.  II,  p.  55,  nota  16).  E  sotto  il  nome 
di  Forum  Chdii  è  indicato  dal  Duchesne  (1.  e.)  un  territorio,  che  si  stendeva 
presso  Bracciano,  e  che  fu  sede  vescovile.  Egli  soggiunge  però  che  di  questa 
5ede  si  ha  menzione  solo  dall'anno  313  fino  al  501,  e  opina   che,  per  1' abban- 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VII.  2 


l8  CARLO    SALSOTTO 

Veroli,  Sutri,  Narni,  Sabina,  Gallese,  Faleria  (ora 
Civita  Castellana),  Alatri,  Orte,  Anagni,  Trevi^ 
Terracìna  (cap.  9). 

Secondo  Elenco. 
ab  Emilia  et  Liguria:  Modena,  Tortona,  Piacenza  (eap.  14). 

Comesi  vede,  anche  qui  Liutprando  distingue  nella  pratica  la 
parte  centrale  della  nostra  penisola  da  quella  settentrionale,  dando- 
a  quest'ultima  il  nome  d'Italia. 

Ma  una  differenza  dalle  divisioni  suaccennate,  che  potrebbe 
far  nascere  qualche  dubbio,  è  il  fatto  che  sotto  l'indicazione  ab 
Italia  trovasi  compresa  Ravenna,  la  quale,  può  dirsi,  non  fece  mai 
parte  del  regnum,  e  sotto  l' indicazione  a  Tuscia  trovansi  Spoleto 
e  Camerino.  Ravenna  infatti,  che  al  tempo  della  dominazione  dei 
Bizantini  era  stata  la  loro  capitale,  continuò  nell'epoca  longobarda 
ad  appartenere  ai  Bizantini  stessi  (tolta  la  breve  dominazione  del 
re  Liutprando  (728)  nell'  esarcato)  fino  alla  conquista  dell'  esarcata 
e  della  pentapoli,  fatta  da  Astolfo  (751),  il  quale  però  da  Pipino 
il  Breve,  sceso  per  la  seconda  volta  in  Italia,  fu  nel  756  costretto- 
a  cedere  queste  terre,  che  vennero  date  al  papa.  Così  Spoleto  non 
può  considerarsi  come  parte  della  marca  di  Tuscia.  D' altronde 
Spoleto  e  Camerino  sono  altrove  da  Liutprando  stesso  considerate 
come  luoghi  distinti  dalla  Tuscia  e  dall'  Italia  (i).  Parmi  quindi  di 
dover  riconoscere  che  in  questo  passo  lo  storico  non  fa  conside- 
razioni politiche,  ma  solo  geografiche.  Nel  primo  caso  egli  distingue,, 
come  in  ai-tri  luoghi,  l'Italia  settentrionale  dalla  centrale,  e  giusta- 
mente  comprende  in  quella  anche  Ravenna;  e  nel  secondo  dà  al 
nome  Tuscia  non  già  il  significato  di  «  marca  di  Tuscia  »,  ma  un 
senso  assai  più  largo,  che  abbraccia  una  buona  parte  dell'Italia 
centrale.  Questo  fatto,  oltre  che  nel  passo  citato  di  Liutprando,  si 
nota   pure   nelle  sottoscrizioni    dei  vescovi    che  presero    parte    al 


dono  della  località,  essa  continuasse  nella  sède  di  Manturianum  (ora  Monterano),. 
della  quale  si  ha  menzione  dall'anno  649  fin  verso  la  metà  del  sec.  X.         • 

Accettando  l'opinione  del  Borsari,  che  fece  le  aggiùnte  alle  note  del  Gre- 
gorovius,  opinione  confermata  dalle  ricerche  del  Duchesne,  resta  però  sempre  as. 
spiegarsi  il  perdurare  del  nome  antico  appunto  nel  sec.  X. 

(i)  Cfr.  Antapodosi,  II,  9;  e  a  p.  14  del  presente  lavoro. 


SUL    SIGNIFICATO    DEF,    NOME    «    ITALIA    »,    ECC.  I9 

concilio  di  Sardica  (anno  347).  Anche  colà  trovl(iio  sotto  1'  indi- 
cazione u  ab  Italia  »  segnati  i  vescovi  di  Verona,  Aquileia,  Ra- 
venna, Brescia  e  Milano  (i).  Il  Cipolla  nota  a  questo  riguardo  che 
il  nome  Italia  allude  necessariamente  al  «  vicariato  d'  Italia  ». 

D'altra  parte  si  potrebbe  notare  che  questi  elenchi,  datici  dal 
nostro  storico,  hanno  molta  somiglianza  con  quelli  delle  sottoscri- 
zioni dei  concili  medievali.  In  questi  il  nome  del  prelato  e  della 
sua  sede  è  per  lo  più  accompagnato  dal  nome  della  regione.  Ma 
le  Provincie  ecclesiastiche,  come  nota  il  Cipolla,  non  sempre  cor- 
risposero alle  regioni  civili  (o  almeno  è  cosa  non  provata)  (2)  ;  e 
già  fin  sotto  r  impero,  secondo  il  Duchesne,  occorre  varie  volte 
d'incontrare  la  classificazione  delle  sedi  episcopali  fatta  nel  sud 
d' Italia  «  per  provincie  »  e  nel  nord  invece  avendo  riguardo  alla 
«  diocesi  »  (3).  Orbene,  essendo  la  Chiesa  conservatrice  per  eccel- 
lenza, non  deve  recar  meraviglia  il  fatto  che  anche  nel  sec.  X 
Liutprando,  nell'  indicare  i  prelati  che  presero  parte  ad  un  concilio, 
segua  per  l'indicazione  delle  regioni  la  norma  tenuta  nelle  sotto- 
scrizioni dei  concili,  senza  riguardo  a  divisioni  politiche. 


In  Liutprando  il  nome  Italia  il  più  delle  volte  non  è  contrap- 
posto a  quello  di  Tuscia,  ma  è  sinonimo  di  «  regnum  italicum  », 
e  comprende  quindi  in  se  anche  la  Tuscia  medesima  e  il  ducato 
di  Spoleto. 

Nell'introduzione  dtWAntapodosi,  dove  sono  enumerati  i  più 
importanti  principi  di  quel!'  epoca,  leggiamo  che  «  Berengarius  et 
il  Wido  imperatores  ob  regnum  Italicum  conflictabantur  »  (I,  5);  e 
poco  dopo,  dove  incomincia  il  racconto  degli  avvenimenti  dalla 
morte  di  Carlo  il  Calvo,  lo  storico  torna  a  nominare  i  due  principi 
suddetti  :  «  Cui  [Carlo  il  Calvo]  dum  viveret,  nobiles  duo  ex  Italia 
"  prepotentes  principes  serviebant,  quorum  Wido  alter,  alter  dictus 


(i)  Cipolla,  Dilla  giurisdizione  metropolitica,  qcc.  cit,,  p.  53. 

(2)  Ibid.,  p.  7. 

(3)  Duchesne,  Les  documents  ecclésiastìques  sur  les  divisions  de  V empire  n- 
main  au  quatrième  siede,  in  Mélanges  Graux,  Paris,  188^^. 


m 


30  CARLO   SALSOTTO 

«  est  Berengaiipp  »  (I,  14),  dove  vediamo  compreso  nell'  Italia 
anche  il  ducato  di  Spoleto,  che  appunto  faceva  parte  del  regno 
italico. 

I  due  principi  si  erano  accordati  per  dividersi  le  terre  di  Carlo 
alla  sua  morte,  «  scilicet  ut  Wido  quam  Romanam  dicunt  Franciam, 
«  Berengarius  obtineret  Italiam  »  (I,  14).  Alla  morte  del  re  infatti 
Berengario  «  Italici  regni  suscepit  imperium  »  (I,  15);  ma  Guido, 
deluso  per  l'elezione  di  Oddone  in  Francia,  e  ardente  di  sdegno 
«  tam  ex  Italico  regno...  quam  ex  Francorum  »  (I,  17),  calpesta 
raccordo  pattuito  con  Berengario,  «  Italiamque  concite  ingressus, 
«  Camerinos  atque  Spoletinos  fiducialiter  ut  propinquos  adit  »  (id.  id.); 
e  di  essi  forma  un  esercito,  che  più  sotto  viene  chiamato  «  agmen 
u  Italorum  »  (I,  21),  in  contrapposto  all'esercito  tedesco,  inviato  da 
Arnolfo  di  Carinzia  sotto  il  comando  del  proprio  figlio  Centebaldo, 
in  aiuto  a  Berengario,  che  ne  lo  avea  pregato.  A  nuove  sollecita- 
zioni di  quest'ultimo,  che  gli  promette  «  se  totamque  Italiam  »  (I,  22), 
Arnolfo  in  persona  «  Italiam  adit  »  (id.  id.)  e  prende  ad  incalzare 
Guido  senza  tregua.  Questi  allora  pensa  di  accecare  Berengario, 
«  sicque  securus  Italiam  obtineret  »  (I,  34);  ma  non  riesce  nel  suo 
divisamento,  anzi  con  la  propria  morte  lascia  poco  dopo  libero  il 
campo  a  Berengario,  mentre  Arnolfo,  cui  «  omnes  Italienses  »  ave- 
vano abbandonato  (I,  35),  avea  rivarcato  le  Alpi.  Berengario  dun- 
que si  recò  tosto  a  Pavia,  «  regnumque  potenter  accepit  »  (I,  37). 
Ma  i  fautori  del  morto  Guido,  temendo  la  vendetta  di  lui,  «  et  quia 
«  semper  Italienses  geminis  uti  dominis  volunt  »  (id.  id.),  gli  op- 
pongono il  figUo  di  Guido  stesso  Lamberto,  il  quale,  per  domare 
il  ribelle  Manfredo  di  Milano,  lo  manda  a  morte;  «  quae  res  ter- 
u  rorem  cunctis  Italiensibus  non  minimum  adtulit  »  (1, 38).  A  questa 
ribellione  segue  tosto  quella  di  Adelberto  e  di  Ildebrando,  il  primo 
■dei  quali,  «  illustris  Tuscorum  marchio  »,  era  tanto  potente,  «  ut 
«  Inter  omnes  Italiae  principes  solus  ipse  cognomento  diceretur 
M  Dives  »  (I,  39).  Ucciso  poi  Lamberto  dal  figlio  di  Manfredo,  che 
vendicò  la  morte  del  padre,  Berengario,  rimasto  senza  competitori, 
nuovamente  domina  il  regnum  (I,  42). 

Nel  racconto  dell'impresa  di  Berengario  I  contro  gli  Ungheri  (i), 


(i)  Questi  in  tale  narrazione  sono  detti  anche  «  pagani  »  e  «  idolatres  », 
•e  altrove  «  Turci  »;  e  i  soldati  di  Berengario  sono  chiamati  «  christiani  »  e 
<«  christicolae  ». 


SUL   SIGNIFICATO   DEL   NOME    «    ITALIA    »>,    ECC.  2t 

fra  i  patti  proposti  da  questi  vi  è:  «  se  numquam  amplius  Italiani 
«  ingressuros  »»  (II,  13);  ma,  per  la  sconsideratezza  degli  avversari^ 
gli  Ungheri  riescono  poi  vittoriosi,  accrescendo  così  la  propria 
potenza,  poiché  «  eorum  pars  quedam  Bagoariam,  Sueviam,  Fran- 
«  ciam,  Saxoniam,  quedam  vero  depopularetur  Italiam  »  (II,  15)» 
Più  tardi  gli  Italiensrs  chiamano  Ludovico  di  Provenza  perchè 
tolga  a  Berengario  il  regnum  (II,  32);  e  questi,  per  consiglio  di 
Adelberto  d' Ivrea  «  aliorumque  nonnullorum  Italiensium....  in  Ita- 
«  liam  venit  »  (II,  35).  Ma  Berengario,  facendosi  amico  Adelberto 
di  Toscana,  ottiene  ch'egli  se  ne  torni  tosto  in  Provenza.  Poco 
dopo  però  Ludovico  cala  una  seconda  volta  in  Italia,  chiamatovi, 
tra  gli  altri,  dallo  stesso  Adelberto  di  Toscana,  staccatosi  da  Be- 
rengario per  istigazione  della  moglie  Berta  :  «  Unde  factum  est,  ut 
«  consulto  eodem  Adelberto  marchione,  ceteri  Italienses  principes 
«  propter  eundem  Hulodoicum ,  ut  adveniret ,  transmitterent  »» 
(II,  36). 

Abbiamo  visto  fin  qui  un  buon  numero  di  passi,  dove  il  nome 
Italia  ha  precisamente  l'estensione  di  «  regnum  Italicum  »,  sicché 
per  principi  «  italiani  »  si  intendono  sempre  i  principi  di  tutto  il 
regnum,  compresi  anche  quelli  di  Spoleto  e  di  Toscana. 

Ma,  subito  dopo  il  passo  riportato,  troviamo  quei  due  luoghi, 
già  da  noi  citati,  che  mostrano  V  Italia  nettamente  distinta  dalla 
Tuscia:  «  Videns  itaque  Berengarius  quod  Hulodoicus  tam  ab  Ita- 
ti liensium  quam  a  Tuscorum  susciperetur  principibus,  Veronam 
u  profectus  est  »  (II,  37);  e:  «  His  ita  gestis,  bonum  Hulodoico 
«  est  visum,  ut  sicut  circumcirca  videret  Italiani  videret  et  Tu- 
<•   sciam  •»  (id.,  38). 

Quanto  al  secondo  di  questi  due  passi  si  può  osservare  che 
la  Tuscia  era  divenuta  una  marca  così  potente,  per  opera  sopra 
tutto  di  Adelberto,  che  poteva  ormai  considerarsi  come  uno  stato 
a  parte;  ed  è  nota  la  preponderanza  che  nelle  vicende  di  quei 
tempi  ebbe  sempre  lo  stesso  Adelberto.  D'altra  parte  questa  re- 
gione aveva  il  suo  nome  particolare,  mentre  invece  l'Italia  setten- 
trionale non  aveva  un  nome  unico  che  la  comprendesse  tutta  quanta. 
Lo  storico  quindi,  volendo  indicare  distintamente  le  due  regioni, 
chiama  senz'altro  Italia  quest'ultima,  e  dà  all'altra  il  nome  già 
consacrato  dall'uso. 


22  CARLO   SALSOTTO 

Quanto  al  primo  passo  credo  che  innanzi  tutto  si  debba  in- 
tender bene  il  valore  del  vocabolo  «  principibus  ».  Essendo  questo 
usato  al  plurale  può  intendersi  come  riferito  ai  principi  dell'Italia 
ed  a  quello  di  Tuscia.  Ma,  se  si  tien  conto  del  fatto  che  «  prin- 
«<  ceps  n  non  indica  semplicemente  un  <«  marchio  »,  un  «  comes  », 
ma  spesso  anche  un  vescovo,  a  cagione  della  grande  importanza 
politica  dei  vescovi  in  quei  tempi,  si  potrà  intendere  questa  espres- 
sione come  plurale  sia  in  quanto  si  riferisce  all'Italia,  sia  in  quanto 
si  riferisce  alla  Tuscia  separatamente.  Ciò  premesso,  sappiamo  che, 
secondo  Liutprando,  Ludovico  scese  due  volte  in  Italia,  la  prima 
volta  per  istigazione  di  Adelberto  d'Ivrea  e  di  altri,  la  seconda 
chiamatovi  da  Adelberto  di  Toscana,  che  nella  prima  discesa  di 
lui  si  era  mostrato  partigiano  di  Berengario.  E  in  questo  muta- 
mento forse  egli  era  stato  seguito  dai  vescovi  della  sua  marca.  Be- 
rengario dunque,  come  già  si  era  visto  ostacolato  dagli  altri  «  prin- 
«  cipes  »,  così  si  vide  allora  abbandonato  anche  da  quelli  della 
Tuscia,  per  cui  lo  storico  non  nomina  collettivamente  tutti  i  u  prin- 
«  cipes  »  italiani,  ma  distingue  fra  loro  quelli  di  Tuscia,  che  si 
aggiunsero  più  tardi  agli  altri.  E  a  ciò  egli  fu  indotto,  oltre  che 
da  questo  motivo,  anche  dalle  ragioni  per  cui  nel  medesimo  tempo 
distingueva  la  Tuscia  dal  resto  del  regno. 

Ma  la  distinzione  che  fa  qui  lo  storico  tra  Italia  e  Tuscia  io 
credo  non  sia  che  un'eccezione,  tanto  più  che,  all' infuori  di  questi 
due  passi  strettamente  legati  fra  loro,  essa  non  s'incontra  che  in 
un  altro  luogo,  dove  sono  nominate  le  milizie  di  varie  parti  del 
regno  e  chiamate  «  itahane  »  quelle  dell'Italia  settentrionale  (i). 

Del  resto  poche  righe  dopo  i  due  passi  citati  incontriamo  di 
nuovo  un'espressione,  che  abbraccia  sotto  il  nome  di  «  italiani  »  i 
principi  del  regno,  compreso  Adelberto  di  Toscana.  Ludovico,  ri- 
cevuto con  gran  pompa  a  Lucca  da  Adelberto,  stupisce  della  po- 
tenza e  dello  splendore  di  lui,  sicché  il  principe  stesso  se  ne  ac- 
corge. «  Quod  Berta,  ut  erat  mulier  non  incallida,  audiens,  non 
u  solum  virum  suum  ab  eius  fidelitate  amovit,  veruni  etiam  caeteros 
u  Italiae  principes  ei  infideles  effecit  »  (lì,  39). 

Dall'esame  di  questi  passi  si  può  dunque  riconoscere  che  Liut- 


(i)  Cfr.  p.  14  del  presente  lavoro. 


SUL   SIGNIFICATO    DEL   NOME    «    ITALIA    m,   ECC.  23 

prando  adopera  il  nome  Italia   nei    due    sensi   particolari   indicati 
più  sopra. 

Altri  luoghi  per  noi  degni  di  nota  si  trovano  in  seguito  nel- 
VAntapodosi  stessa. 

Dopo  la  morte  di  Adelberto  di  Toscana  vari  «  principes  Italiae  »> 
si  ribellano  nuovamente  a  Berengario  (II,  57),  rivolgendosi  a  Ro- 
dolfo di  Borgogna.  Questi  si  fa  chiamare  due  volte  prima  di  scen- 
dere n^W Italia;  e  poscia,  accolto  da  tutti,  «  nil  Berengario  ex  omni 
■a  regno  preter  Veronam  dimisit  ;  tenuitque  totum  per  triennium 
«  viriliter  regnum  »>  (II,  64)  ;  e  in  fine,  volendo  tornarsene  nelle 
sue  terre,  propone  ai  principi  di  affidar  loro  il  «  regnum  Italicum  », 
e  gli  <«  Italienses  »  acconsentono  (II,  67).  Tornato  poco  dopo  «  in 
«  Italiani  »,  ed  essendo  frattanto  stato  assassinato  in  Verona  Beren- 
gario, Rodolfo  «  regnum  potenter  obtinuit  »  (III,  8j.  Ma  tosto  gU 
«  Italienses  »  si  dividono  nuovamente,  sicché  una  parte  si  rivolge 
ad  Ugo  di  Provenza,  «  ut  in  Italiam  veniat  regnumque  Rodulfo 
«  auferat  sibique  potenter  obtineat  »  ;  ed  Ugo  accetta  tosto  l'invito, 
come  quello  che  già  da  tempo  andava  maturando  questo  disegno, 
«  si  forte  regnum  posset  obtinere  Italicum  »  (III,  12).  Quando  egli 
sbarca  a  Pisa  per  venir  ad  occupare  il  regnum,  oltre  all'amba- 
sciatore del  papa,  «  adfuerunt  etiam  poene  omnium  Italiensium 
«  nuntii,  qui  hunc,  ut  super  ipsos  regnaret,  modis  omnibus  invita- 
«  bant  »  (III,  17)  ;  dove  l'ultima  parte  del  periodo  mostra  eviden- 
temente che  per  «  Italienses  »  s'intendono  i  «  principes  »  del  regno 
italico.  Nell'anno  946,  essendo  Berengario  II  tornato  dalla  Svevia, 
-dove  si  era  rifugiato  per  sfuggire  alle  minaccie  del  re  Ugo,  il  ve- 
scovo Manasse  di  Milano  «  Italos  omnes  eius  in  auxilium  invitavit  » 
(V,  26);  e  ancora:  «  Is  enim  [Berengario  II]  Italicis  omnibus  prin- 
«  cipabatur  virtute,  rex  vero  Lotharius  solo  nomine  »  (VI,  2).  Non 
v'  ha  dubbio  che  anche  in  questi  ultimi  passi  s' intenda  parlare 
degli  abitanti  del  «  regnum  Italicum  ». 

Vi  è  poi  un  passo  à.t\VAntapodosi,  che  merita  di  essere  stu- 
diato attentamente. 

Descrivendo  le  tristi  condizioni  della  nostra  penisola  al  tempo 
di  Berengario  I,  quando  gli  Ungheri  scorrazzavano  «  totam  per 
u  Italiam  »,  ed  i  Saraceni    di    Frassineto   dilaniavano,    «  quasdam 


24  CARLO    SALSOTTO 

«  summas  Italiae  partes  sibi  vicinas  »»,  spingendosi  tino  ad  Acqui 
(Antap.,  II,  43)  (i),  lo  storico  parla  della  venuta  dei  Saraceni  di 
Africa  :  «  Eodem  tempore  Saraceni  ab  Africa  ratibus  exeuntes,  Ca- 
u  labriam,  Appuliam,  Beneventum,  Romanorum  etiam  poene  omnes 
«  civitates  ita  occupaverunt,  ut  unamquamque  civitatem  mediani 
«  Romani  obtinerent,  mediani  Africani  »  (loc.  cit.,  44)  (2).  È  evi- 
dente che  in  entrambi  i  luoghi  dove  è  nominata  l' Italia  s' intende 
parlare  del  regno  italico. 

Ma  in  seguito,  accennato  brevemente  alle  vessazioni  esercitate 
dai  Saraceni  d'Africa,  lo  storico  esce  in  queste  parole:  «  Quamvis 
«  enim  misera  Italia  multis  Hungariorum  et  ex  Fraxeneto  Sara- 
«  cenorum  cladibus  premeretur,  nullis  tamen  furiis  aut  pestibus- 
u  sicut  ab  Africanis  agitabatur  »  (ibid.).  Qui  parmi  che  il  nome 
Italia  non  abbia  più  il  solito  senso  ristretto  di  regnum.  Innanzi 
tutto  infatti  l'appellativo  «  misera  »  non  potrebbe  riferirsi  solo 
air  Italia  settentrionale,  dal  momento  che  le  miserie  maggiori,  come 
dice  lo  storico  stesso,  toccarono  alla  parte  meridionale.  Inoltre 
sembra  naturale  che  Liutprando,  dopo  aver  parlato  innanzi  dei  mali 
dell'  Italia  settentrionale  e  poi  di  quelli  del  mezzogiorno  della  pe- 
nisola, esclamasse,  quasi  a  modo  di  conclusione:  «  misera  Italia  ",. 
abbracciandola  col  pensiero  tutta  quanta.  Qui  non  parla  più  lo  sto- 
rico, che  analizza  e  determina  le  singole  parti:  qui  è  l'italiano,. 
che  si  commuove  allo  spettacolo  doloroso  delle  tristi  condizioni 
della  sua  terra. 

E  il  medesimo  concetto  ampio  del  nome  Italia  perdura  nel- 
l'espressione che  si  legge  subito  dopo  :  «  Fertur  autem  hac  occa- 
«  sione  ab  Africa  exivisse,  atque  Italiam  adventasse  »  (op.  cit.,  45),. 
dopo  di  cui  lo  storico  spiega  a  modo  suo  l'invasione  dei  Saraceni 
d'Africa. 


(i)  Anche  nell'indice  dei  capitoli,  che  pure  è  opera  dello  storico,  si  legge: 
«  De  Saracenis  de  Fraxeneto,  qui  parteni  Italiae  vastabant  et  usque  Aquas  per- 
«  venerant  »  fp.  26). 

(2)  Con  l'espressione  «  Romanorum  civitates  »  probabilmente  lo  storica 
vuol  indicare  i  possedimenti  che  V  impero  bizantino  aveva  nel  sud  dell'Italia,  iiì 
contrapposizione  alle  terre  occupate  dai  J^ongobardi. 


SUL   SIGNIFICATO   DEL    NOME    «    ITALIA    »,    ECC. 


2S 


Nella  Historia  Ottonis,  all' infuori  del  passo  ricordato  più  sopra^ 
e  che  non  accenna  a  divisione  politica  (i),  il  nome  Italia  non  si 
incontra  che  cinque  volte. 

Narra  lo  storico  che,  mentre  tiranneggiavano  «  in  Italia  »  Beren- 
gario li  e  Adelberto,  contro  di  loro  ricorse  ad  Ottone  di  Sassonia 
il  papa,  inviandogli  due  ambasciatori.  Contemporaneamente  ricor- 
sero a  lui  il  vescovo  di  Milano  e  vari  altri  ottimati  «  ex  Italia  » 
(cap.  i).  Cedendo  alle  preghiere  di  costoro.  Ottone  «  coUectis  co- 
«  piis  Itaham  percitus  venit  »,  e  con  grande  celerità  «  Berengarium 
«  atque  Adelpertum. ..  regno  expulit  »  (cap.  2),  avviandosi  poi  tosta 
verso  Roma,  dove  cinse  la  corona  imperiale. 

E  chiaro  che  qui  il  nome  Italia  ha  il  senso  ristretto  che  già 
conosciamo  ;  come  pure  più  sotto,  dove  lo  storico  nominando  sé 
stesso,  mandato  da  Ottone  come  ambasciatore  a  Roma,  dice: 
«  Liudprandum  ab  Italia  Cremonensem  »  (cap.  7). 

Ma  subito  dopo  si  legge  che,  appena  partito  T  imperatore  da 
Roma,  il  papa  Giovanni  XII,  calpestando  il  giuramento  fatto,  si 
voltò  ad  Adelberto  promettendogli  aiuti  contro  Ottone  e  chiaman- 
dolo in  Roma,  mentre  egli  alla  discesa  del  re  Sassone  si  era  ri> 
fugiato  presso  i  Saraceni  di  Frassineto,  «  omnem  Italiam  dese- 
«  rens  »  (cap.  4). 

Quest'ultima  espressione  potrebbe  far  nascere  il  dubbio  che 
l'aggettivo  «  omnis  »  unito  al  nome  «  Italia  »  dia  a  quest'ultimo 
un  significato  più  largo.  In  altri  luoghi  infatti,  dove  s' incontrano 
espressioni  di  tal  genere,  nessun  aggettivo  accompagna  il  nome 
Italia,  neppur  quando  lo  storico  narra,  come  in  questo  punto,  la 
fuga  di  qualche  principe  dall'  Italia  per  recarsi  in  paesi  oltr'Alpi. 
Così  nel  racconto  della  fuga  di  Berengario  II  minacciato  dal  re  Ugo 
nell'anno  941,  leggiamo  che  egli  «  Italiam  quam  mox  deseruit  », 
riparando  in  Isvevia  {Antap.,  V,  io)  ;  e  così  pure,  quando  Beren- 
gario tornò  in  patria,  «  rex  Hugo...  Italiam  deserere....  cogita vit  » 
per  tornarsene  coi  tesori  in  Provenza  (id  ,  id.,  28)  ;  e  parimenti 
ancora:  «  Tempore  quo  Berengario  ab  Italia  fugiit  »  (id.,  id  ,  18); 


(i)  Cfr.  pp.  16-19  del  presente  lavoro. 


-26  CARLO    SALSOTTO 

•«  Quod  Rodulfus  ut  audivit,  Italiani  dereliquit  »  (id.,  Ili,  i6);  e: 
-«  Arnaldus ...  Italia....  derelicta  »  (id.,  id.,  50).  Io  credo  però  che 
non  vi  siano  ragioni  sufficienti  per  riconoscere  una  differenza  di 
estensione  fra  la  prima  e  le  altre  espressioni.  Molto  probabilmente 
lo  storico  non  ha  voluto  indicare  con  essa  altro  che  il  regno  ita- 
lico, considerandolo  nelle  sue  singole  parti  (i). 

Per  ciò  si  può  concludere  che  anche  nella  Historia  Otionis  Liut- 
prando  dà  al  nome  Italia  il  significato  di  regno  italico. 


E  veniamo  alla  Legatio. 

Il  nostro  storico,  come  è  noto,  va,  ambasciatore  di  Ottone  1, 
a  Costantinopoli,  dove  è  ricevuto  assai  freddamente.  Nel  primo 
colloquio  che  avviene  tra  lui  e  l'imperatore  Niceforo  Foca,  questi 


(i)  Non  altrimenti  debbono  intendersi  vari  altri  passi  in  cui  il  nome  Italia 
è  accompagnato  dall'aggettivo  «  tota  ».  Ripetuta  più  volte  si  trova  l'espressione 
«  totam  per  Italiam  »  riguardo  alle  scorrerie  degli  Ungheri  {Antap.,  II,  42  ; 
III,  2  e  6  ;  e  altrove)  ;  cosi  in  due  luoghi,  parlando  di  Berengario  II,  l'acre 
storico  esce  in  queste  parole  :  «  cuius  inmensitate  tyrannidis  tota  nunc  luget 
«  Italia  »  (Aniap.,  II,  33),  e:  ce  cuius  tyrannide  tota  nunc  luget  Italia  »  (id.,  IV,  8); 
espressioni  che  hanno  pieno  riscontro  in  quella  :  «  nunc  luget  Francia  tota,  Cor- 
«  sica,  Sardinia,  Grecia  et  Italia  »,  che  si  legge  nell'epitafio  di  Berta  (vv.  23-24) 
{cfr.  anche  «  totius  Italiae  principatum  obtinebat  »  (Antap.,  Ili,  7),  riferendosi 
ad  Ermengarda  d' Ivrea,  dopo  la  morte  del  marito  Adelberto).  In  questi  casi  è 
evidente  che  lo  storico  non  vuol  dir  altro  che  tutto  il  regno  italico,  il  regno 
intiero,  nessuna  parte  esclusa. 

Ma  la  medesima  espressione  troviamo  in  un  altro  luogo,  riferita  a  Beren- 
gario I.  Questi,  sconfìtto  da  Guido  di  Spoleto,  per  farsi  amico  e  protettore  Ar- 
nolfo di  Germania,  gli  offre  «  se  totamque  Italiani  »  (op.  cit.;  I,  22).  Nei  passi 
antecedenti  non  vi  è  alcun  dubbio,  perchè  gli  Ungheri  devastarono  bensì  il  regno, 
ma  senza  spingersi  nel  resto  della  penisola  ;  e  quanto  a  Berengario  II  si  parla  di 
un  re  che  è  sovrano  di  fatto  e  fa  piangere  tutti  i  suoi  sudditi,  mentre  la  ca- 
gione di  questo  pianto  non  oltrepassa  i  confini  del  regno.  Nell'ultima  espressione 
invece  si  hanno  parole  di  Berengario  I,  che  non  era  più  re:  egli  promette  ad 
Arnolfo  tutta  l'Italia  per  averla  in  feudo  da  lui.  Mi  pare  quindi  che  si  debba 
■qui,  come  nella  frase  «  Italici  omnes  »,  che  troveremo  in  seguito  nella  Legatio, 
riconoscere  un'  iperbole.  Questa  è  tanto  più  ammissibile,  in  quanto  che  qui  si 
parla  non  in  modo  definito,  in  modo  ristretto,  ma  piuttosto  in  modo  vago,  in- 
determinato. 


SUL   SIGNIFICATO   DEL   NOME    «    ITALIA    »,    ECC.  2^ 

-accusa  Ottone  di  aver  con  la  violenza  occupato  Roma,  commettendo 
crudeltà  contro  molti  Romani,  di  aver  strappato  la  corona  a  Be- 
rengario ed  al  figlio  suo  Adelberto,  e  di  aver  tentato  di  conquistare 
-città  dell'impero,  alludendo  all'impresa  di  Ottone  contro  Bari: 
M  ....  tam  inimica  invasione  Romani  sibi  vindicavit,  Berengario  et 
«  Adelberto  contra  ius  fasque  regnum  abstulit,  Romanorum  alios 
«  gladio,  alios  suspendio  interemit,  oculis  alios  privavit,  exilio  alios 
«  relegavit,  et  imperii  nostri  insuper  civitates  homicidio  aut  incendio 
«  sibi  subdere  temptavit  »  (cap.  4).  All'accusa  riguardo  all'occupa- 
zione di  Roma  risponde  l'ambasciatore  occidentale  aver  Ottone 
liberata  la  città  dalla  tirannide  ripristinando  il  rispetto  dovuto  alla 
Chiesa,  e  prima  conculcato.  Quanto  alla  corona  italica  afferma  : 
u  Palam  est,  quod  Berengarius  et  Adelbertus  sui  milites  effecti, 
a  regnum  Italicum  sceptro  aureo  ex  eius  [Ottone  IJ  manu  su- 
u  sceperant  »  ;  e  soggiunge  che  essi  vennero  meno  in  seguito  alla 
fedeltà  giurata,  per  cui  Ottone  «  iuste  illos,  quasi  desertores  sibique 
«  rebelles,  regno  privavit  »  (cap.  5).  E  ripetendo  Niceforo  l'accusa 
di  aver  portato  le  armi  contro  città  dell'impero,  spezzando  le  re- 
lazioni amichevoli  con  la  sua  corte,  Liutprando  afferma  che  Bari 
appartiene  al  regno  italico:  «  Terram,...  quam  imperii  tui  esse  nar- 
«  ras,  gens  incola  et  lingua  Italici  regni  esse  declarat  »  ;  e  lo  di- 
mostra col  fatto  che  Bari  era  stata  da  Ludovico  II  tolta  ai  Saraceni, 
e  in  seguito  occupata  da  Landolfo  duca  di  Capua  e  di  Benevento, 
dalle  cui  mani  era  passata  in  quelle  dei  Bizantini  al  tempo  del  re 
Ugo;  e  soggiunge  che  in  questa  occasione  l'imperatore  Romano  I 
aveva  comprato  1'  amicizia  del  re,  e  questi  aveva  mandato  a  Co- 
stantinopoli una  propria  figlia  illegittima,  come  sposa  di  Costantino 
nipote  di  Romano  (cap.  7). 

L' ultima  espressione  riferita  dello  storico  e  ambasciatore  va 
intesa  in  questo  senso,  che  Bari  era  una  terra  dipendente  per  ra- 
gioni storiche  dal  regno  italico,  e  non  già  che  ne  facesse  parte 
territorialmente.  L'oratore  occidentale  voleva  opporre  ragioni  di 
fatto  alle  obbiezioni  di  Niceforo,  e  quindi  accampa  i  diritti  che 
Ottone  poteva  avere  su  quella  terra.  Essendo  appartenuta  ai  Lon- 
gobardi, essa  doveva  essere  ritenuta  come  terra  del  regno  italico, 
benché  Liutprando  mostri  sempre  di  considerare  come  tale  solo  il 
regno  dell'epoca  franca,  cioè  quella  parte  dello  stato  longobardo 
•che  avea  riconosciuto  come  re  Carlo  Magno,  e  da  cui  s'era  staccato 


20  CARLO   SALSOTTO 

il  ducato  di  Benevento,  il  cui  duca  avea  preso  di  fronte  a  Carlo 
Magno  il  titolo  di  principe  dei  Longobardi  (i). 

Ma  l'aver  addotto  anche  l'argomento  della  lingua  per  provare 
che  la  terra  di  Bari  apparteneva  al  regno  italico,  potrebbe  indurre 
a  credere  che  qui  lo  storico  allarghi  il  concetto  delVItalia  fino  a 
comprendervi  tutte  le  popolazioni  che  parlavano  la  lingua  latina. 
Qui  forse  non  abbiamo  invece  che  una  contrapposizione  delia  lingua 
latina  alla  greca,  parlata  nell'  impero  d'oriente.  L'ambasciatore  oc- 
cidentale dimostra  che  la  terra  di  Bari  per  ragioni  storiche  appar- 
teneva al  regno  italico,  e  che  d'altra  parte  per  ragioni  linguistiche 
non  poteva  appartenere  all'  impero  bizantino. 

E  che  Liutprando  non  intendesse  affatto  di  considerare  questa 
terra  come  parte  del  regno  italico,  egli  che  usa  scambievolmente 
per  lo  più  questo  nome  e  quello  d' Italia,  appare  dalle  parole  che 
subito  soggiunge  nel  seguito  della  risposta  fatta  a  Niceforo  Foca  : 
«  Et,  ut  considero,  domino  meo  non  gratiam  sed  impotentiani 
«  ascribis,  quod  post  Italiae  seu  Romae  acquisitionem  tot  annis 
u  eam  tibi  dimiserit  »  (id.).  Qui  si  vede  che  l' Italia,  come  appunto 
è  intesa  da  Liutprando  nel  senso  di  regno  italico,  era  già  tutta 
nelle  mani  di  Ottone,  per  cui  la  terra  di  Bari  ne  va  considerata 
come  esclusa  da  lui. 

In  seguito  leggiamo  che  quel  giorno  medesimo  l'ambasciatore 
occidentale  dovette  intervenire  ad  un  banchetto  dato  dall'  impera- 
tore; e  quivi  sentì  vilipendere  l'esercito  e  la  flotta  del  suo  signore,, 
perchè  Niceforo  prese  a  deridere  Ottone  e  i  suoi  ancora  per  la 
fallita  impresa  di  Bari.  Ecco  le  parole  da  lui  poste  in  bocca  a  Ni- 
ceforo: «  Filius  non  abfuit,  uxor  non  defuit;  Saxones,  Sue  vi,  Ba- 
u  goarii.  Italici  omnes  cum  eo  adfuerunt,  et  cum  civitatulam  unam 
u  sibi  resistentem  capere  nescirent,  immo  nequirent,  quomodo  mihi 
«  resistent  venienti?  »  (cap.  ii). 

L'espressione  «  Italici  omnes  »,  che  si  trova  fra  queste  parole 
dell'  imperatore,    parmi  che  possa  avvicinarsi  assai    bene   a  quella 

(i)  A  questo  riguardo  parmi  troppa  l'importanza  che  il  Comani  mostra  di 
dare  a  tale  passo  della  Legatìo,  perchè,  appoggiandosi  su  questo  solo  luogo,  che 
dovrebbe  essere  un'  eccezione  per  la  larghezza  che  esso  dà  al  nome  di  regno- 
italico,  afferma-  che  questo  per  Liutprando  non  è  altro  che  il  regno  dei  Longo- 
bardi (Cfr.  Studi  Storici  cit.,  voi.  X,  p.  231). 


SUL   SIGNIFICATO   DEL    NOME    «    ITALIA    »,   ECC.  29 

«  omnem  Italiam  »,  trovata  nel  cap.  4  della  Historia  Otlonis  {ì). 
Anzi  la  nuova  espressione  potrà  confermare  l'opinióne  da  noi  ma- 
nifestata in  quel  luogo.  Qui  infatti  pare  evidente  che,  anche  accom- 
pagnato dair  aggettivo  «  omnes  »,  il  nome  Italici  non  indichi  se 
non  gli  abitanti  del  regno.  Niceforo  Foca  enumera  i  sudditi  di 
Ottone,  fra  i  quali  gli  Italiani;  e  certo  è  ben  lontano  dal  designare 
tutti  gli  abitanti  della  penisola,  egli  che  nella  penisola  appunto  ha 
■dei  possedimenti,  ai  quali  mostra  di  annettere  molta  importanza. 
Né  potrebbe  ammettersi  che,  esagerando,  l' imperatore  bizantino 
allarghi  il  senso  del  nome  Italia.  Esagerazione  vi  è  nelle  sue  pa- 
role, e  sta  appunto  in  quelT"  omnes»,  ma  solo  in  quanto  che  egli  vuol 
canzonare  l'ambasciatore  occidentale  ricordandogli  che  il  suo  si- 
gnore non  potè  far  capitolare  una  piccola  città,  neppure  opponen- 
dole tutte  quante  le  forze  di  cui  poteva  disporre. 

Del  resto  in  nessuno  dei  luoghi  in  cui  gli  aggettivi  «  omnes  » 
•e  «  cuncti  »  accompagnano  il  nome  Itali,  questo  prende  un  signi- 
ficato più  largo  geograficamente:  in  ciascun  caso  non  vi  è  che  una 
maggiore  intensità  di  significato  (2). 

Poco  dopo  troviamo  un  passo  che  risponde  esattamente  a  quello 
citato  ora.  In  un  colloquio  con  Leone,  fratello  dell'imperatore,  alla 
condizione  che  si  vuol  imporre  ad  Ottone  di  lasciar  libera  Roma, 
Liutprando  risponde  Roma  esser  anzi  stata  liberata  dal  suo  signore. 
E,  riferendosi  alla  pretesa  donazione  di  Costantino,  «  non  in  Italia 
u  solum,  sed  in  omnibus  pene  occidentalibus  regnis  »  (cap.  17), 
soggiunge  che  Ottone  avea  restituito  alla  Chiesa  tutto  ciò  che  nel 
suo  impero  le  apparteneva:  «  Sane  quicquid  in  Italia,  sed  et  in 
•M  Saxonia,  Bagoaria,  omnibus  domini  mei  regnis  est,  quod  ad  apo- 


(i)  Cfr.  p.  25  del  presente  lavoro. 

(2)  Cfr.  :  «  duae  res  terrorem  cunctis  Italiensibus  non  minimum  adtulit  » 
{Antap.,  I,  38)  ;  a  Italicnses  poene  omnes  Hulodoicum....  invitant....  »  (id.,  II,  32); 
•«  Italienses  omnes  ceperunt  inter  se  dissidere  »  (id.,  Ili,  8)  ;  «  Si  Italienses  om- 
«  nes  uno  uti  tantummodo  calcari....  »  (parole  di  Brucardo  a  Rodolfo)  (id.,  id  ,  14); 
«  Adfuerunt  etiam  poene  omnium  Italiensium  nuntii,...  »  (id.,  id.,  17);  «  . . . .  re.K 

«  Hugo  imperio  se  duro  Italicis  cunctis  effecerit  »  (id ,  V,    18)  ;  a omnes 

«  Italos  eius  in  auxilium  invitavit  »  (id.,  id.,  26)  ;  «  Is  enim  Italicis  omnibus 
«  principabatur  virtute,....  »  (id.,  VI,  2). 

E  parimenti:  «  ....  inter  omnes  Italiae  principes...  »  (id.,  I,  39):  «  Cepe- 
«  runt  interea  omnes  Italiae  primates....  »  (id.,  V,  27). 


39  CARLO   SALSOTTO 

n  stolorum  beatorum  ecclesiam  respicit,  sanctissimorum  apostolorun> 
"  vicario  contulit  »  (id.). 

È  naturale  che  qui  lo  storico  per  Italia  intende  quella  parte 
della  penisola  che  apparteneva  ad  Ottone.  Per  altro  riguardo  poi  è 
evidente  che  egli  vuol  qui  contrapporsi  a  ciò  che  già  gli  avea 
detto  l'imperatore  bizantino;  e,  per  sfatarne  gli  argomenti,  usa  il 
medesimo  linguaggio,  contrapponendo  espressione  ad  espressione. 
Ciò  parmi  confermare  l'opinione  che  neanche  nel  passo  precedente 
Liutprando  non  abbia  dell'  Italia  un  concetto  più  vasto  di  quello 
corrispondente  al  regnuin. 

In  altri  due  luoghi,  in  cui  pure  sono  riferiti  discorsi  dei  Bi- 
zantini, che  suonano  offesa  per  gli  occidentali,  ritroviamo  i  nomi 
Italia  ed  Itali. 

Nel  primo  essi  fanno  una  pomposa  minaccia  di  annientare  la 
potenza  di  Ottone:  «  Si  ceperit,  inquiunt,  non  dicimus  Italiam  — 
«  sed  nec  ipsa  capiet  eum,  in  qua  ortus  est,  pauper  et  gunnata, 
«  id  est  pellicea,  Saxonia  —  pecunia  qua  pollemus  omnes  nationes 
"  super  ipsum  invitabimus,  et  quasi  keramicum,  id  est  vas  fictile, 
u  quod  confractum  reformari  nequit,  confringemus  »  (cap.  53).  Nel- 
l'altro passo  i  Bizantini  dichiarano  che  gli  occidentali  sono  in- 
degni di  indossare  vesti  orientali,  e  così  trovano  pretesto  per  car- 
pire allo  sventurato  ambasciatore  quelle  da  lui  acquistate,  nonché 
cinque  preziosissime  porpore,  giudicando  «  indignos  vos  [gli  Ot- 
«  toni]  omnesque  Italos,  Saxones,  Francos,  Bagoarios,  Suevos,  immo 
a  cunctas  nationes,  huiusmodi  veste    ornatos    incedere  »  (cap.   54). 

Nel  prirrio  di  questi  passi  le  parole  messe  in  bocca  ai  Bizan- 
tini sono  un'espressione  esagerata,  direi  grottesca.  In  esse  il  nome 
Italia  è  pronunziato  in  una  condizione  anormale;  si  vede  che  lo 
spirito  di  chi  lo  pronunzia  non  è  rivolto  a  questo  nome  con  pie- 
nezza di  soggettività  :  e  questo  ne  scema  il  valore.  Nel  secondo 
invece  è  evidente  che  col  nome  «  Italos  »  si  accenna  solo  agli  abi- 
tanti del  regno  italico.  Qui  infatti  non  abbiamo  che  una  enumera- 
zione di  terre  carolingie,  situate  fuori  del  dominio  romano  o  bi- 
zantino, e  contrapposte  appunto  a  questo  dominio. 

Finalmente  troviamo  il  nome  Italia  nella  preghiera  che  lo  sto- 
rico fa  perchè  sia  lasciato   «  in  Italiam  cito  advolare   »   (cap.  32), 


SUL   SIGNIFICATO    DEL   NOME    «    ITALIA    »>,    ECC.  ^T 

mentre  era  tenuto  quasi  prigioniero  a  Costantinopoli;  e  neirespres- 
sione:  «  fluviorum  Italiae  rex  »,  a  proposito  del  fiume  Po  (capi- 
tolo 33). 

In  quella  è  evidente  l'accenno  al  regno  italico;  in  questa  può' 
dirsi  lo  stesso,  in  quanto  che  il  Po  è  appunto  il  maggior  fiume 
dell' Italia,  quale  era  intesa  dal  nostro  storico.  Ma  quest'ultima 
espressione  ha  per  noi  un  valore  assai  limitato,  non  essendo  altro 
che  una  delle  molte  reminiscenze  vergiliane,  che  si  trovano  sparse- 
negli  scritti  di  Liutprando  (i). 

Dall'esame  di  tutti  i  passi  della  Legatio  che  contengono  il  nome 
Italia  od  Itali  risulterebbe  dunque  che  anche  in  questo  scritto  lo 
storico  dà  al  nome  Italia  il  senso  di  «  regno  italico  >».  E  se,  come 
abbiamo  veduto,  non  si  può  qualche  volta  determinare  bene  il  va- 
lore ch'egli  attribuisce  a  tale  nome,  questo  deriva  dal  fatto  che  la 
Legatio  è  uno  scritto  d' indole  diversa  dagli  altri  del  medesimo 
autore.  Qui  infatti  non  abbiamo  più  uno  scritto  di  storia  nel  vero 
senso  della  parola,  ma  una  relazione  che  lo  storico  fa  della  pro- 
pria ambasceria  per  giustificare  davanti  agli  Ottoni  ed  ai  posteri 
la  propria  condotta  durante  il  suo  soggiorno  a  Costantinopoli.  E 
siccome  lo  scrittore  usa  qui  uno  stile  vivacissimo,  per  porre  in 
evidenza  le  proprie  qualità  di  ambasciatore  fedele  e  di  oratore  che 
è  preparato  sempre  a  ribattere  le  obbiezioni  altrui,  così  l'operetta 
ha  sopra  tutto  l' indole  di  uno  scritto  letterario. 


Dalle  nostre  ricerche  si  potrà  dunque  giungere  a  questa  con- 
clusione. 

Liutprando  parla  quasi  sempre  di  avvenimenti  politici.  In  questo 
senso  il  significato  più  frequente  ch'egli  dà  al  nome  Itaha  è  quello 
di  «  regno  italico  »,  quale  era  nell'epoca  carolingia.  E,  solo  quando 


(i)  Cfr.   Vergili©,    Georgiche,    I,   482  :    a  Fluviorum   rex  Eridanus  »  ;  ed 
Eneide,  VIII,  77:  «  Corniger  Hesperidum  fluvius  regnator  aquarum  ». 

Questi  luoghi  sono  da  Liutprando  stesso  altrove  riportati  {Antap.,  III,   9).. 


32  CARLO   SALSOTTO   -   SUL   SIGNIFICATO,    ECC. 

la  storia  degli  avvenimenti  politici  lo  costringa  a  distinguere  dal 
resto  del  regno  la  parte  più  settentrionale  di  esso,  allora  dà  esclu- 
sivamente a  quest'ultima  il  nome  d'Italia,  che  viene  così  a  riguar- 
dare press'a  poco  la  valle  del  Po. 

Quando  invece  usa  questo  nome  in  senso  puramente  letterario, 
il  nostro  storico  segue  la  tradizione  che  risale  alla  costituzione 
amministrativa  di  Augusto,  e  secondo  la  quale  per  Italia  s' inten- 
•deva  tutta  quanta  la  nostra  penisola. 

Carlo  Salsotto. 


L'ingresso  di  Francesco  Sforza  in  Milano 

e  l'inizio  di  un  nuovo  principato 


(Cont.  e  fine;  v.  quest'Archivio,  a.  XXXII,  i,  pp.  297-344). 

CAPO  TERZO. 

RAMAI  è  tempo  di  far  ritorno  allo  Sforza  e  di  vedere 
come  egli  abbia  saputo,  con  senno  e  con  fermezza,  pre- 
disporre ogni  cosa  per  il  felice  compimento  di  quel 
grande  fatto  storico  che,  se  non  inaspettatamente,  certo 
d' improvviso  veniva  a  turbare  le  relazioni  diplomatiche  fra  i  vari 
stati  d'allora.  E  qui  sarà  bene  studiare  l'opera  del  duca  Francesco  I 
sotto  i  suoi  tre  aspetti  principali,  politico  cioè,  militare  ed  economico- 
amministrativo.  Quanto  al  primo,  abbiamo  già  detto  qualche  cosa 
a  proposito  delle  lunghe  trattative  corse  per  la  capitolazione  di 
Milano;  ma  non  è  tutto.  Perchè  il  nuovo  acquisto  fosse,  se  non 
valevole,  indisturbato,  occorreva  anche  il  riconoscimento  da  parte 
•degli  altri  governi;  e  se  ciò  era  facile  ottenere  da  quelli,  coi  quali 
lo  Sforza  era  legato  da  amicizia  o  da  trattati,  non  così  da  quelli 
•che,  apertamente  o  di  nascosto,  lo  avevano  sempre  combattuto. 
Inoltre  egli  dovea  sempre  guardarsi  da'  veneziani,  ora  più  che  mai 
irritati,  perchè  si  vedevano  sfuggir  di  mano  la  preda  tanto  agognata. 
Né  lo  lasciavano  riposar  tranquillo  il  pensiero  di  ridurre  ad  unità 
organica  il  suo  vasto  dominio,  la  necessità  di  reintegrarlo  e  ren- 
derlo, come  prima,  potente  e  temuto,  il  bisogno  imperioso  di  ri- 
•condurlo  a  quello  stato  di  pace,  che  da  tanto  tempo  più  non  godeva 
•e  che  è  solo  fattore  di  floridezza  pubblica  e  privata.  Laonde  egli 
fece  bene  a  non  lasciarsi  lusingare  dall'apparente  facile  vittoria;  e 
-comprendendo  come  il  suo  posto,  per  il  momento,  non  fosse  in  Milano 
ma  al  campo,  vi  si  recò  subito,  lasciando  provvisoriamente  in  quella 
•città  un  uomo  di   sua  fiducia,  per  il  disbrigo  degli  affari  urgenti. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase   VII  3 


34  ALESSANDRO   COLOMBO 

II  Simonetta  scrive  che,  appena  giunto  a  Vimercate  (saranno^ 
state  le  ore  23  circa),  lo  Sforza  emanò  «  per  universam  ditionem 
u  suam  n  l'ordine  di  lasciar  entrare  liberamente  in  Milano,  senza 
pagamento  di  dazio,  vettovaglie  d'ogni  genere  (t^;  invece  Cristoforo- 
a  Soldo  (2)  afferma,  che  egli  «  subito  fece  gran  provvigioni  di 
«  mandar  vittuaglie  ».  Qui  ci  troviamo  di  fronte  a  due  categorie 
diverse  di  provvedimenti,  benché  in  fondo  diretti  a  un  medesimo 
scopo  :  quello  di  far  cessare  la  carestia.  E  se  con  la  prima  veniva 
abrogata  la  nomina  dello  Stanga,  della  quale  già  parlammo;  con 
la  seconda  si  sollecitavano  le  città  sorelle  ad  inviare  a  Milano  soc- 
corsi in  danaro,  derrate  o  vesti  da  distribuirsi  a'  poveri.  Ciò  è 
provato  da  una  lettera  in  data  Milano  5  marzo  1450  (3),  con  la  quale 
appunto  il  vicario  de'  XII  di  Provvisione  e  i  sindaci  di  detta  città, 
ringraziano  il  comune  di  Pavia  di  quanto  esso  avea  spedito,  a 
mezzo  de'  propri  delegati  Gerolamo  Mangiaria  e  Baldassare  Ra- 
sini,  per  sollievo  dell'  infelice  e  affamato  loro  popolo.  Il  Simonetta 
infatti  fa  capire  come,  in  questa  circostanza,  Cremona  e  Pavia  si 
distinsero  specialmente  per  pietà  e  filantropismo,  quantunque  forse 
un  po' interessati,  e  aggiunge  che,  nello  spazio  di  tre  giorni,  si 
rivide  1'  abbondanza  e  la  gioia  dove  prima  non  era  che  miseria  e 
desolazione  (4).  Ma  1'  opera  riparatrice  dello  Sforza  non  si  ferm6 
a'  primi  momenti,  né  si  limitò  a'  più  pressanti  bisogni.  E  mentre 
con  decreto  d.  d.  Vimercate,  27  febbraio  '450  (5),  approvava  la 
compra  del  sale,  che  a  suo  nome  avevano  fatto  in  Genova  appositi 
delegati  e  mandatari  (6),  e  senza  dubbio  non  per  uso  esclusivo 
dell'esercito,  addì  8  marzo  concedeva  lettera  di  passo  a  due  lodi- 
giani per  condurre,  «  sine  solutione  »,  due  mila  moggi  di  biada  a 


(i)  Simonetta,  op.  cit.,  p.  602. 

(2)  Soldo,  loc.  cit. 

(3)  È  pubblicata  nella  His torta  di  Antonio  Maria  Spelta,  cittadino  pavese,, 
de'  fatti  notabili  occorsi  nell'universo,  ecc.,  pp.  417-18  (vita  del  69.0  vescovo  di 
Pavia,  Giacomo  Borromeo  I),  Pavia,  Pietro  Bartoli,  1603.  La  cita  il  Cantù  nelle 
sue  annotazioni  al  Corio,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  193. 

(4)  Simonetta,  loc.  cit. 

(5)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Miscellanea  i4)0p ',  la  lettera  è  controfirmata 
«  Johannes  ». 

(6)  Sono  :  Giovanni  Feruffino,  dottore  in  diritto,  ed  Antonio  Guidobono,  del 
quale  già  parlammo  nel  nostro  lavoro  Vigevano  e  la  Rep,  Atnbr.,  ecc.,  cap.  IV; 
l'istrumento  di  compera  fu  steso  dal  notaio  genovese  Girardo  Belvedere. 


I 


L  INGRESSO  DI    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  35 

Milano  dal  bolognese  e  dal  ferrarese  (i),  e,  due  giorni  dopo,  rila- 
sciava altra  analoga  licenza  a  uno  di  Cremona  per  portare,  a  Lodi 
non  che  a  Milano,  500  moggi  di  frumento  e  altrettanti  di  biada  (2). 
Il  17  marzo  infine,  quasi  rinnovando  l'ordine  emanato  al  suo  primo 
ritorno  da  Milano  al  campo  di  Vimercate,  secondo  quanto  narra  il 
Simonetta,  permetteva  a  certo  maestro  Petrino  da  Lodi  di  traspor- 
tare u  libere  sine  solutione  aliqua  »  quella  quantità  di  viveri,  che 
seco  avea  condotto  «  ex  terris  nobis  non  suppositis  »  (3).  Avver- 

(i)  Arch.  cit.,  Reg.  due,  Framm.,  14^0- p: 

«   Vicotnercati  die  VIIJ  Marti}  14^0. 

«  Concessa  fuit  litera  passus  Filipo  de  Sachis  et  Opizino  de  Cademustis  de 
«  laude  conducendi  modios  duos  mille  biadi  ex  bonoaiensi  et  ferrariensi  ad  ci- 
ft  vitatem  Mediolani  sine  solutione  etc.  Valiter  sex  mensibus  ». 

«   ClCHUS   ». 
Di  più  ha  questa  postilla  : 

«  Refecta  est  suprascripta  licentia  sub  die  suprascripto,  et  loco   Filipi  supra- 
«  scripti,  qui  mortuus  est,  positus  fuit  petrus  de  basilicapetri  ». 
Ma  ivi  la  scrittura  appare  di  altra  mano. 

(2)  Arch.  cit.,  Reg.  due,  ecc.  : 

a  Die  X  Mar  ci j  14  )0. 

«  Concessa  fuit  licentia  Francisco  Manello  de  Cremona  ex  agro  Mantuano  et 
«  bononiensi  conducendi  laude,  et  Mediolanum  Modios  frumenti  500.  et  500. 
«  alterius  biadi  sine  solutione  etc. 

«  Dai.  uicimercati. 

«  Facinus  ». 

(3)  Arch.  cit.,  Reg.  due,  tee.  : 

«  Modoetie,  die  ly  Mar  li j  i4)0. 

«  Franciscusfortia  Dux  Mediolani  etc.  Cum  per  alias  nostras  litteras  indultum 
«  et  statutum  sit,  quod  omnes  conducentes,  et  conducere  uolentes  uictualia  de 
«  Terris  et  locis  Nobis  non  suppositis  ad  inclitam  nostrani  mediolani  vrbem,  que 
«  guerrarum  oppressionibus  et  Longa  obsidione  uictualibus  fere  omnibus  dimidata 
«  est,  prò  abundantia  reducenda  fas  omnibus  esset  libere  et  sine  jmpedi- 
«  mento  ad  dictam  mediolani  urbem  conducere  posse.  Quapropter  cum  magister 
«  petrinus  de  laude  conduci  facere  jntendat  nonnullam  uictualium  quantitatem  ad 
«  dictam  nostram  mediolani  urbem  ex  terris  nobis  non.  suppositis,  propterea 
'(  mandamus  omnibus  et  singulis  officialibus  ad  quos  spectat,  vt  dictum  magi- 
«  strum  perinum,  seu  eius  nuncium  harum  delatarum,  cum  omnibus  hiis  quan- 
f(  titatibus  uictualiis,  quas  conduxerit,  libere,  sine  solutione  aliqua  transire  per- 
'(  mictant,  incontrarium  non  obstantìbus  quibuscumque. 

f(  Jo.  DE  Vlesis  ». 


3j6  ALESSANDRO   COLOMBO 

tasi  che  si  avvicinava  l'epoca  del  secondo  e  solenne  ingresso,  e  che 
perciò  molta  gente  dovea  essere  fin  d' allora  affluita  a  Milano. 
L'aver  pertanto  provvisto  a  che  le  defrate,  che  venivano  dal  di 
fuori,  fossero  tuttavia  immuni  da  dogane,  dazi  o  pedaggi,  era  un 
vantaggio  non  lieve,  specie  in  que'  momenti  di  crisi,  per  i  commer- 
cianti e  i  compratori;  e  di  questo  naturalmente  gli  fu  serbata  ri- 
conoscenza. 

Sempre  allo  scopo  di  acquistarsi  popolarità,  ed  anche  per 
compensare,  in  qualche  guisa,  quanti  lo  avevano  favorito  nel- 
l'acquisto del  ducato,  Francesco  Sforza  non  lesinò  nella  concessione 
e  distribuzione  di  titoli  e  di  benefici.  Così  con  la  lettera-patente 
del  i.°  marzo,  d.  d.  Vimercate,  nominava  ufficiale  del  peso  del  sale, 
in  luogo  di  certo  Zanono  de'  Tignosi,  il  cittadino  milanese  Protasio 
de'  Valassina,  «  de  cuius  deuotione,  reuerentia,  fide  et  aff'ectione  in 
u  nos  statumque  nostrum  plenam  habemus  informationem  »  (i).  Già 
accennammo  alla  esenzione  da  certi  pesi  e  carichi  concessa,  con 
altra  lettera-patente  del  i.°  marzo,  ad  Antonino  de' Marliano  e  ai 
suoi  nipoti  detti  «  Vedanini  »,  tutti  di  Milano  ma  abitanti  in  Va- 
rese, per  i  beni  da  loro  posseduti  in  questo  territorio  e  vicariato  (2)  ; 
€  noi  sappiamo  infatti  quanto  i  Marliano  si  siano  adoperati  in  fa- 
vore del  duca.  Addì  5  marzo,  sempre  con  lettera  d.  d.  Vimercate, 
eleggeva  giudice  de'  dazi  di  Milano  Filippo  de  Armenulfi  (3);  il 
6  chiamava  all'  ufficio  delle  vettovaglie,  col  grado  pure  di  giudice, 
Giovanni  de' Carugo  (4);  il  7  nominava  il  noto  Jacopo  de'Perego, 
•causidico  e  notaio  milanese,  «  scriba  della  camera  ducale  »  (5);  l'S 
infine  faceva  Pietro  da  Como  razionatore  dell'  ufficio  comunale 
•della  carta,  in  luogo  di  Ambrogio  de' Vicemali  (6).  Tutte  queste 
lettere  furono,  come  la  prima,  spedite  da  Vimercate.  E  pure  in- 
torno a  questo  tempo  dev'essere  stato  eletto  a  collaterale  del  po- 
destà quel  Mabilio  de'  Filago  (7),  di  cui  esiste  una  supplica  senza 

(i)  Arch.  cit.,  Docum.  diplom.,  Dominio  Sforzesco,  14^.  Per  il  funziona- 
anento  della  direzione  delle  gabelle,  cfr.  Formeniini,  op.  cit.,  p.  75. 

(2)  Ibid.,  Reg.  due,  ecc.,  fascio  n.  19,  fol.  251. 

(3)  Arch.  civ.  stor.  di  Milano,  Registri,  Lettere  ducali ^  14^0-^^,  fol.  2. 

(4)  Ibid.,  fol.  2  V. 

(5)  Ibid.,  fol.  3. 

(6)  Ibid.,  fol.  3  v. 

(7)  Come  risulta  dalla  rubrica  del  cit.  Reg.  Lett.  due,  ecc.,  a  questo  Mabilio 
.de'  Filago,  quale  ufficiale  delle  vettovaglie  in  Milano,  furono  dirette  due  lettere 


l'ingresso   di    FRANCESCO   SFORZA   IN   MILANO,   ECC.  37 

data,  e  diretta  alla  vedova  di  Galeazzo  Maria,  neirArchivio  di  Stato 
di  Milano,  dove  egli  dice  che  a  detta  carica  «  foi  deputato  per  lo 
«  llLn^o  et  Ex.""»  olim  domino  domino  duca  Francisco  socero  hon.»"»» 
«  de  V.  S.  Et  questo  foi  perchè  foi  quello  che  lo  adiuto  intrare 
u  dentro  de  le  porte  de  Milano....  »  (i).  A  proposito  del  primo 
ingresso  vogliamo  ancora  ricordare,  che  uno  de'  primi  ad  acclamare 
il  conte  Francesco  in  tale  circostanza,  non  che  a  disporre  di  tutte 
le  sue  facoltà  e  aderenze  per  la  di  lui  causa,  fu  un  certo  Jacopo 
del  Palazzo,  detto  il  «  Casamatta  »  ;  il  quale  perciò  ebbe  dalla  du- 
chessa Bianca  prima,  e  poscia  dal  duca  in  riconferma,  il  privilegio 
di  fabbricar  pane  di  mistura  e  venderlo  in  tre  luoghi  o  «  poste  »  :  al 
ponte  Vetere  («  vedrum  »),  in  piazza  dell'Arengo  e  a  porta  Orien- 
tale, u  in  loco  sancti  Babilis  »  (2).  Con  lettera  del  io  marzo,  il  duca 


da  Vimercate,  in  data  9610  marzo  ;  esiste  però  soltanto  la  fine  della  seconda 
(foi.  5  ;  il  foi.  4  fu  strappato),  da  cui  appare  che  egli  fu  nominato  a  quel  posto 
per  sei  mesi  e  più,  a  beneplacito  del  duca  ;  la  lettera  è  controfirmata  «  Cichus  ». 

(i)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Potenze  sovrane,  cart.  I,  fascio  i. 

(2)  Arch.  civ.  stor.  di  Milano,  Reg.  Lett.  dtic.^  ecc.,  foi.  6  : 

((  Franciscus  sfortia  Vicecomes  dux  Mediolani  etc.  Papié  Anglerieque  comes 
vt  ac  Cremone  dominus.  Quia  constat  nobis  et  re  ipsa  experti  sumus  Jacobum  de 
«  palati©  nuncupatum  casamatam,  ciueni  nostrum  Mediolani,  qua  die  eius  urbis 
«  dominium  ad  manus  nostras  deuenit,  vnum  ex  primis  et  principalioribus  fuisse, 
«  qui  nomen  nostrum  inuocaret,  et  nedura  facultates  omnes  suas,  verum  etiam 
«  personam  propriam  et  affinium  quorumcumque  suorum  euidentibus  periculis  ac 
«  discriminibus  obiceret,  quo  voti  et  desiderii  nostri  compotes  rederemur,  rem 
«  sane  minus  conuenientem  facere  videremur,  nisi  eidem  prò  talibus  obsequiis 
«  certe  memoratu  dignus  aliqua  ex  parte  rependeremus.  Eidem  itaque  Jacobo 
«  concedendum  duximus,  et  presentium  serie  concedimus  et  impartimur  plenam 
«  licentiam,  arbitrium  et  facultatem  omnimodam  conficiendi,  seu  confici  fatiendi 
«  in  gloriosa  urbe  nostra  mediolani  panem  misture  venalem,  a  stario  insti  tamen 
«  ponderis  et  bene  condicionatum,  iuxta  formam  et  ordines  offitij  prouixionum 
«  eiusdem  nostre  Ciuitatis,  et  secondum  valorem  et  pretium  farine,  quam  sub 
((  palatio  Brolcti  ibidem  vendi  contingit.  Necminus  tenendi  et  per  quemuis  alium 
«  teneri  fatiendi  tres  postas  prò  pane  ipso  vendendo,  videlicet  vnam  super  platea 
«  Arenghi,  vnam  super  ponte  veteri  porte  Cumane,  et  alteram  apud  ecclesiam 
'(  Sancti  Babile  porte  horientalis  eiusdem  nostre  ciuitatis  libere  et  impune,  ac 
((  prò  sue  libito  voluntatis.  Mandantes  magistri»  intratarum  nostrarum,  Vicario 
c<  et  duodecim  prouisionum  Comunis,  ac  Sindicis  ceterisque  officialibus  et  sub- 
«  ditis  ibi  nostris,  quatenus  has  nostras  licentie  ac  dispensationis  literas,  ab  ho- 
«  dierna  die  in  antea  ad  nostrum  usque  beneplacitum  valituras,  firmiter  obseruent 
«  et  fatiant  inuiolabiliter  obseruari,  et  contra  éas  nuUatenus  jntentare  presumant. 


38  ALESSANDRO   COLOMBO 

Stesso  confermava  al  monastero  di  Castellazzo  di  Vigentino  tutte 
le  donazioni  a  questo  fatte  da'  Visconti  (i).  Sotto  la  data  poi  del  12, 
troviamo  la  nomina  di  un  consigliere  ducale  segreto  (2).  Per  guasti 
intervenuti  alla  pergamena,  contenente  la  detta  nomina,  non  abbiamo 
potuto  leggere  il  nome  intero  del  neo-consigliere  ;  ma  il  fatto  che 
ivi  si  dice  chiamarsi  «  Antonio  »  e  appartenere  ad  antica  e  nobile 
stirpe,  ci  fa  dubitare  che  si  accenni  senz'  altro  al  noto  Antonio 
de'  Triulzio  (3).  D'  altra  parte  il  documento  è  notevole,  perchè  ci 
dimostra  che  intorno  a  questo  tempo  il  ducale  consiglio  segreto 
era  già  completamente  costituito  (4),  con  la  speciale  attribuzione  di 


«  Jn  quorum  testimonium  presentes  fieri  et  registrari  Jussimus,  nostrique  Sigilli 
«  munimine  roboiari. 

«  Dai.  Modoetie  die  vigesimo  Martij  MCCCCL. 

((    Jo.    DE   VlESIS    )). 

Tale  lettera  è  preceduta  da  un'altra,  presso  a  poco  identica,  di  Bianca  Maria 
Sforza- Visconti,  d.  d.  Pavia  12  marzo  '450,  che  noi  perciò  ci  dispensiamo  dal 
riportare. 

(i)  Arch.  cit.,  Castellano  di  Vigentino  e  Reg.  Lett.  due,  i462-'j2,    col.  277. 

(2)  Doc.  V.  Copia  pergam.,  mancante  del  sigillo  e  della  firma  del  can- 
•celliere. 

(3)  Lo  ricorda  appunto  come  tale  il  Rosmini,  op.  cit.,  voi.  IV,  doc.  II,  di- 
cendo che  entrò  in  carica  Tu  marzo  '450. 

(4)  Il  Rosmini,  nel  luogo  or  citato,  pubblica  un  elenco,  tratto  dall'Archivio 
pubblico  e  che  ora  in  copia  si  conserva  nella  Trivulziana  («  Copia  di  Ruolo 
«  estratto  dal  Registro  de'  Duchi  di  Milano  intestata  Uffici,  n.  90,  1450  al  1468, 
«  fol.  4  y,),  da  cui  risulta  che  i  seguenti  consiglieri  ebbero  «  litteras  Consilia- 
<(  riatus  datas  in  Vicomercato  die  XXII.  Martij  1550,  valìturas  ad  beneplacitum  »; 
■e  cioè:  D.  Bartolomeo  Visconti  vescovo  di  Novara,  Oldrado  de'  Lampugnano, 
Pietro  Visconti,  Guarnerio  da  Castiglione  (f  maggio  1461),  Franchino  da  Ca- 
stiglione, Angelo  Simonetta.  Questi  però  non  sono  i  primi  nominati;  giacche  il 
Rosmini  ricorda  subito  dopo,  sempre  riferendosi  all'elenco  di  cui  sopra,  che  en- 
trarono nel  consiglio  segreto  l'ii  marzo  '450:  Giovanni  Feruffino  (da  noi  già 
ricordato,  t  18  ottobre  1452),  Niccolò  Arcimboldi  (t  30  aprile  1449)?  Lancel- 
lotto  Grotti,  Pietro  Cotta  (uno  degli  autori  della  sommossa  del  26  febbraio, 
t  gennaio  1466),  Antonio  de'  Triulzio  (il  nostro).  Furono  eletti  consiglieri  dopo 
il  22  marzo:  Boccaccino  de  Alemanni  fiorentino  (14  maggo  '50),  Sceva  da  Corte 
<8  dicembre  '51),  Alberico  Malette  (e8  ottobre  '55),  Arasino  de'  Triulzio  (i.°  gen- 
naio '56)  ;  e  «  prò  honore  tantum  et  dignitate  »  :  Giovanni  da  Tolentino 
{24  agosto  '50),  Carlo  de  Arezio  (28  ottobre  '50),  Ludovico  Petrono  (28  lu- 
glio '50),  Antonio  de  Attendoli  (nel  '52),  Ludovico  de  Bolcus  (^nel  '57),  Pietro 
de  Noseto  (nel  '58)  ed  altri.  —   Del   ducale   consiglio    segreto   parlano  pure  i 


l'ingresso    di    FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  39 

portare  il  proprio  parere  («  opinionem,  sententiam  vocemque  ») 
«negli  affari  più  ardui  e  importanti  dello  stato,  e  con  la  rimunera- 
zione mensile  «  quam  et  prout  alii  Consiliarii  Illustrissimi  [quondam 
^i  bone  memojrie  domini  Ducìs  patris  p[atrie]  percipere  communiter 
«  et  habere  consueuerant  ". 

Accenniamo  di  volo  ad  altre  nomine  e  concessioni  o  conferme 
di  privilegi;  più  tardi  avremo  campo  di  discorrere  del  famoso 
-elenco  de'  «  militi  »  e  "  cavalieri  »  creati  dallo  Sforza,  quasi  a  solenne 
memoria  della  propria  fortunata  conquista  e  a  preparazione  della 
novella  sua  corte  (i).  Con  lettera-patente  del  15  marzo,  d.  d.  Monza, 
istituendo  una  nuova  cappellania  nella  chiesa  di  S.  Francesco  in 
Vimercate,  sotto  il  titolo  di  S.  Giovanni,  ne  nominava  titolare  frate 
Giorgio  de  Amagno,  dell'  ordine  de'  Minori,  con  l' obbligo  della 
messa  quotidiana  (2).  E  pure  con  lettera-patente  del  15  marzo, 
emanata  dalla  stessa  città,  dietro  supplica  di  Giorgio  Resta  per 
parte  de'  nobili  deputati  della  venerabile  chiesa  maggiore  di  Mi- 
lano (Duomo),  confermava  a  questa  tutti  i  privilegi,  grazie  e  con- 
cessióni di  cui  godeva  precedentemente  (3).  Già  fu  ricordata  la 
elezione  a  preposto  della  chiesa  ducale  di  S.  Maria  alla  Scala  del 
nobile  Giovanni  de'  Tradate,  canonico  della  medesima  e  causidico 
della  curia  arcivescovile  di  Milano  (4);  nello  stesso  giorno,  cioè  il 
18  marzo,  e  sempre  con  lettera  da  Monza,  il  duca  dava  ordine  agli 


Formentini  (op.  cit.,  p.  74)  e  il  Rubieri  (op.  cit.,  voi  II,  p.  239),  il  quale  ultimo, 
forse  perchè  non  considerò  a  fondo  tutto  il  documento  edito  dal  Rosmini,  opina 
-erroneamente  che  esso  fu  costituito  solo  intorno  al  22  marzo  '450;  il  Cipolla 
(op.  cit.,  voi.  I,  p.  441)  dice  che  «  doveva  la  sua  origine,  almeno  in  parte,  alla  isti- 
«  tuzione  della  Repubblica  ambrosiana  ».  Notisi  infine  che  i  membri  di  detto 
consiglio  prendevano  il  titolo  di  senatori. 

(i)  Veramente  il  Rosmini  (op.  cit,  voi.  II,  pp.  452-53)  scrive  che,  dopo  il 
3  marzo  '450,  «  il  Principe  elesse  alcuni  personaggi  di  provata  fede,  cosi  Mila- 
«  nesi  che  d'altri  luoghi,  il  cui  numero  fu  in  processo  di  tempo  anche  accre- 
«  sciuto,  e  medesimamente  gli  ufficiali  che  dovevano  formare  la  sua  e  la  Corte 
«  della  Duchessa  sua  moglie,  e  del  suo  primogenito  Galeazzo  Maria  ».  E  in  nota 
rimanda  al  documento  che  già  conosciamo. 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Reg.  due,  ecc.  ;  è  controfirmata  «  Johannes 
«  de  Vlesis  ». 

(3)  Cfr.  Ann.  della  Fabh.  del  Duomo,  voi.  II,  p.  135. 

(4)  Arch.  cit.,  Reg.  cit.;  porta  la  da(ta  di  Monza,  18  marzo  '450,  ed  è  con- 
trofirmata dal  solito  «  Johannes  ».  In  calce  si  leggono  le  seguenti'  parole  :  «  Man- 
4.  dante  domino  ||  Gaspare  de  Vicomercato  —  instante  Antonio  de  guidobonis  ». 


40  ALESSANDRO   COLOMBO 

officiali  di  giustizia  di  coadiuvare  certo  Baldassare  de'  Pessina  nella 
ricerca  de' molti  suoi  debitori,  costringendoli,  ove  fosse  possibile^ 
al  pronto  pagamento  (i):  e  in  luogo  di  Paulello  de  Esculo,  che 
veniva  revocato,  eleggeva  a  podestà  di  Maleto  il  lodigiano  Giorgio 
de'  Bonsignori,  per  mesi  sei  a  cominciare  dal  prossimo  maggio,  e 
con  l'obbligo  di  prestare  prima  giuramento  di  fedeltà  nelle  mani  del 
Referendario  di  Lodi  (2).  Addì  19  marzo,  con  decreto  firmato  an- 
Cora  a  Monza,  concedeva  in  perpetuo  esenzioni  su  tutti  i  beni,  in 
premio  delle  loro  benemerenze,  a'  nobili  fratelli  Caccia  (3)  ;  e  il 
21  successivo,  ma  questa  volta  da  Vimercate,  eguali  prerogative 
rilasciava,  per  la  stessa  causa,  al  cremonese  Giovanni  Filippo 
de'  Migli  e  a'  suoi  figliuoli  (4).  Né  qui  cessarono  le  munificenze 
ducali;  ma  siccome  esse  appaiono  in  parte  posteriori  al  già  citato 
elenco  de'  militi  e  cavalieri  ed  emanate  a  Milano  o  ne'  suoi  din* 
torni,  così  crediamo  opportuno  parlarne  dopo. 

Ed  eccoci  alla  parte  più  scabrosa,  sebbene  apparentemente  più 
nota  (giacché  quivi  non  farebbero  difetto  le  memorie  e  gli  scritti 
de'  contemporanei),  dell'operato  di  Francesco  Sforza  :  intendiamo 
alludere  alla  sua  azione  militare  e  a  quella  politico-diplomatica. 

Ma  prima  di  tutto  sarà  bene  conoscere  una  volta  per  sempre 
il  suo  u  itinerario  »,  che  va  dagli  ultimi  di  febbraio  a  quando  stabilì,, 
in  via  definitiva,  la  propria  corte  in  Milano  (5).  Per  questo  sono 
a  noi  di  grande  giovamento  le  non  poche  lettere  del  duca,  che 
trovammo  ne'  più  volte  citati  Frammenti  di  «  Registri  Ducali  >^ 
(1430-52),  non  che  nel  volume  «  Registri  di  lettere  ducali  w  (1450-55) 
esistente  all'Archivio  civico  storico  di  Milano,  e  che  risalgono  ap- 
punto a  tale  epoca:  alcune  di  esse  furono  già  studiate,  altre  ve- 
dremo in  seguito,  altre  ancora  (e   sono   le   più   numerose)  conten- 

(1)  Arch.  cit.,  Reg.  cit.  ;  è  controfirmata  «  Cichus  ». 

(2)  Ibid ,  Reg.  cit.,  fasci  1445-30,  fol.  246. 

(3)  Ibid.,  Reg.  cit.  e  fasci  citati,  foli.  241-42.  Ne  sono  ricordati  i  nomi: 
Azone  (primogenito),  Jacopo,  Antonio,  Galvaneo,  Matteo,  Lancellotto,  Tommaso 
e  Pallavicino  ;  erano  figli  del  fu  nobile  Giovanni,  castellano  del  Castello  Grande 
dì  Pavia. 

(4)  Ibid.,  Reg.  e  fasci  citati,  fol.  222  v. 

(5)  Di  questa  corte  o  «  famiglia  ducale  »  (ora  si  direbbe  «  casa  civile  e 
militare  »)  avremo  occasione  di  discorrere  in  seguito;  cfr.  per  intanto,  sebbene 
le  notizie  siano  di  data  alquanto  posteriore,  ciò  che  dice   in   proposito   il   For- 

MENTINI,   Op.   cit.,   p.   90   Sgg. 


L  INGRESSO    DI   FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  4I 

gono  semplici  passaporti  o  salvacondotti.  Devono  essere  state  tutte 
quante  stese  nella  così  detta  «  cancelleria  di  corte  »,  la  quale  se- 
guiva sempre  il  principe  (i);  mancano  del  sigillo  perchè,  anziché 
neiroriginale,  ci  sono  pervenute  nella  minuta,  ossia  in  quella  specie 
di  registro,  che  oggi  più  propriamente  si  suddivide  in  «  protocollo  » 
e  «  copia  lettere  »»  (minutario);  le  controfirmano  ora  Cicco  Simo- 
netta, ora  Giovanni  de  Ulesci  ed  ora  Persanete,  cioè  i  tre  cancel- 
lieri addetti  al  servizio  particolare  del  duca.  Dal  loro  complesso 
adunque  risulta,  in  modo  non  dubbio,  che  lo  Sforza  fu  a  Vimer- 
cate  dal  26  febbraio  al  12  marzo  inclusivo;  che  di  qui  si  recò  a 
Monza,  dove  rimase  dal  13  a  tutto  il  20  marzo;  che  dal  21  al  23 
fu  di  nuovo  a  Vimercate  ;  e  che  finalmente,  col  giorno  24,  si  fissò 
a  Milano,  donde  non  si  mosse    più  (2).  Tutti    questi    cambiamenti 

(i)  Sotto  i  Visconti  c'era  anche  la  «  cancelleria  di  stato  »  o  «  curia  »; 
questa  risiedeva  sempre  a  Milano  (cfr.  F.  E.  Comani,  Usi  cancellereschi  viscontei^ 
in  quQst^ Archivio,  XXVII,  1900,  i,  pp.  391-92).  E  che  essa  abbia  subito  fun- 
zionato, sotto  la  interinale  dipendenza  del  Gonzaga,  è  provato,  fra  l'altro,  da  un 
documento  dell'8  marzo  '450,  cui  vedremo,  autenticato  da  Antonio  de'  Pessina, 
«  Cancellarie  secrete  ducalis  Cancellarius  »,  «  iussu  prefati  domini  Caroli  »  [Gon- 
zaga], in  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Doctim.  diplom.,  Dom.  Sfor^.^  14^0. 

(2)  Ecco  gli  ordini,  non  ancora  visti,  emanati  dallo  Sforza  o  scritti  in  nome 
suo  dal  campo  di  Vimercate:  i.**)  2  marzo.  —  Lettera  di  passo  «  in  ampia  forma  », 
valevole  a  beneplacito,  a  Giusto  Robugo  di  Lodi  e  a  tre  suoi  compagni.  Firmato: 
«  Giovanni  de  Ulesi  »  (Reg.  due,  tee,  fol.  235  v.);  2.°)  5  marzo.  — Salvacon- 
dotto a  Giovanni  della  Noce,  «  militi  et  armorum  ductori  »,  di  partire  dilla 
valle  di  Lugano  con  non  più  di  25  persone,  a  piedi  o  a  cavallo,  e  «  ad  ex.tiam 
«  Ducis  ubicumque  fuerit  accedendi  »,  per  ritornare  poi  alla  detta  valle  ;  valide^ 
per  otto  giorni.  Firmato  :  «  Giovanni  de  Ulesi  »  (ibid.,  fol.  221)  ;  3.°)  9  marzo. 

—  Salvacondotto  a  Spagnuolo  armigero  di  recarsi  ovunque  voglia,  e  al  servizio 
di  qualsiasi  capitano  o  condottiere,  con  io  famigli.  Firmato:  «  Giovanni  de 
Ulesi  »  (ibid.,  fol.  221  v.)  ;  4.°)  io  marzo.  —  Salvacondotto  al  marchese  Rolando- 
Pallavicino,  a'  suoi  figli  e  famigliari  di  andare  liberamente,  ecc.  da  qualunque 
parte  «  ad  omnes  ciuitates,  terras,  uillas,  oppida  et  loca  nostra  »  ;  ine.  :  a  Fran- 
«  ciscusforcia  Viceconies  Dux  Mediolani  etc.  ».  Firmato:  «  Cichus  »  (ibid.,  fol.  225); 
5.°)  12  marzo.  —  Salvacondotto  a  Francesco  Squarzafico  d'Alessandria  di  venire 
dallo  Sforza,  e  quivi  dimorare  e  partire  a  suo  beneplacito  ;  e  ciò  dietro  istanza 
di  Andrea  Birago.  Firmato  :  «  Cichus  »  (ibid.,  fol.  223).  —  Da  Monza:  i.°)  13  marzo. 

—  Lettera  di  passo,  valevole  a  beneplacito,  ai  seguenti  cittadini  di  Tortona  :  Pal- 
merio  de  Palenzona,  Nicolao  id.,  Ottaviano  id.,  Amedeo  id.  Firmato  :  a  Cichus  » 
(ibid.,  fol.  225  V.);  2.°)  14  marzo.  —  Lettera  di  passo  e  salvacondotto,  della  du- 
rata di  15  giorni,  ad  Evangelista  de'  Sabelli,  «  nuper  ad  seruitia  domini  con- 
ce ducto  w.  Firmato:  «  Giovanni  de  Ulesi  »  (ibid.,  fol,  222  v.);  3.**)  15   marzo^ 


42  ALESSANDRO   COLOMBO 

<ii  sede  del  quartier  generale  non  implicano  tuttavia  una  generale 
dislocazione  dell'esercito  sforzesco,  almeno  ne'  primi  tempi.  Esso 
si  può  dire  che  sia  rimasto  quasi  sempre  ne'  luoghi  occupati  prima 
del  26  febbraio;  e  solo  quando  il  duca  fu  sicuro  che  gli  ultimi 
reparti  veneziani  aveano  definitivamente  abbandonato  il  territorio 
lombardo  e  la  linea  dell'Adda  (i),  anche  per  far  riposare  le  proprie 


—  Lettera  di  passo  a  Beffino  e  Alberto  de'  Silicornia.  Firmato:  «  Giovanni  » 
(ibid.,  fol.  223  V.);  4.*')  16  marzo.  —  Salvacondotto  ad  Arcita  de'  Tuderto,  ar- 
migero del  conte  Carlo  da  Montone,  di  andare  da  dovunque  a  Milano,  insieme 
con  Donato  di  Lodi  e  Jacopo  di  Legnano,  a  prò  aliquibus  suis  negotiis  pera- 
«  gendis  »  ;  valido  un  mese.  Firmato  :  «  Giovanni  »  (ibid.,  fol.  223  v,);  5."^)  id.  — 
Lettera  di  passo  al  dottor  Franchino  da  Castiglione  per  ritornare  da  Ferrara  a 
Milano,  senza  pagamento  di  dazi,  con  la  sua  famiglia  e  25  servi.  Firmato  : 
«  Giovanni  »  (ibid,,  fol.,  223  v.);  6.°)  17  marzo.  —  Lettera  di  passo  a'  fratelli 
Giovanni,  Giuliano  e  Gaspare  de'  Santo,  di  Trezzo.  Firmato:  «  Giovanni  » 
(ibid.,  fol.  223);  7.°)  Id.  —  Licenza  ad  Enrico  Sentiglies,  germano  del  marchese 
di  Cotrone  (il  Centiglia),  a  stand i  et  commorandi  in  terris  et  locis  domini  ». 
Firmato:  «  Cichus  »  (ibid.,  fol.  223  v.)  ;  8.0)  19  marzo.  —  Lettera  di  passo  a 
Giovanni  e  Jacopo  de  Asti  di  Reggio.  Firmato:  a  Cichus  »  (ibid.,  fol.  223); 
9.°)  20  marzo  (?)  —  Salvacondotto  a  Pietro  Angelo  Provvisionato  di  venire  da 
qualunque  luogo  a  Milano,  e  di  ripartirne  con  due  compagni  ;  valevole  10  giorni. 
Firmato:  a  Giovanni  »  (ibid.,  fol.  225  v.).  —  Di  nuovo  da  Vimercate:  i.°)  23  marzo. 
—  Salvacondotto  e  licenza  a  Gregorio  Graziolo  di  Imola  e  a  Dionigi  di  Capriano, 
vetturale,  di  partire  insieme  o  non  da  Bologna  per  recarsi  a  Ginevra  {Gebenna)  con 
le  loro  merci  e  bestie,  e  di  ritornare  id.  a  Bologna  :  valido  per  un  anno.  Firmato  : 
«  Persanete  »  (ibid.,  fol.  221).  Altri  ordini  vedremo  per  disteso  in  seguito;  cosi 
anco  quelli  d.  d.  Milano,  che  cominciano  appunto  col  giorno  24. 

(i)  Il  Simonetta  riferisce  che,  non  appena  lo  Sforza  giunse  a  Vimercate,  di 
ritorno  da  Milano,  un  messo  di  Roberto  Sanseverino  lo  avvertì  che  il  Malatesta 
e  gli  altri  generali  veneti,  fatti  consapevoli  «  ex  crebra  ignium  significatione  » 
della  resa  di  Milano,  avevano  piìi  che  in  fretta  ripassato  l'Adda,  distruggendo 
perfino  il  ponte,  costrutto  da  loro  stessi  ad  Olginate  (op.  cit.,  p.  602).  Più  tardi, 
quasi  abbandonando  definitivamente  l'impresa  di  Lombardia,  lasciate  a  alle  stanze  » 
nel  bresciano,  nel  bergamasco  e  nel  veronese  le  truppe  del  Piccinino  (passato  al 
servizio  della  Serenissima  con  uno  stipendio  di  10.000  ducati  al  mese;  Soldo, 
p.  863)  e  degli  altri  contestabili,  il  Malatesta  ritornò  nell'Emilia  e  nel  Piceno 
(Simonetta,  op.  cit.,  p.  603);  il  Corio,  (voi.  III,  p.  181)  dice  a  in  Romagna  e 
«  nella  Marca  ».  Dal  racconto  simonettiano  appare  che  questa  dislocazione  del- 
l'esercito veneto,  alla  quale  corrispose  un'altra  dell'esercito  sforzesco  sulla  riva 
destra  dell'Adda,  avvenne  poco  prima  che  il  duca  di  Milano  si  portasse  a  Monza, 
cioè  avanti  il  1 3  marzo.  Cristoforo  a  Soldo  invece,  che  di  questi  movimenti  dei 
generali  veneziani,  agli  ordini  del  Malatesta,  ci  ha  lasciato  una  particolareggiata 
-descrizione,  dice  che  «  le  genti  della  Signoria  »,  passato  l'Adda  il  26  febbraio,  si 


L  INGRESSO    DI   FRANCESCO   SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  43 

truppe,  stanche  delle  fatiche  della  lunga  guerra,  permise  loro  di 
prendere  i  così  detti  «  quartieri  d'inverno  »,  dando  però  ordini 
severi  affinchè  fossero  rispettate  le  proprietà  de'  privati  e  non  si 
facesse  troppo  sentire,  a'  singoli  comuni,  il  gravame  degli  alloggi 
militari  (i).  Più  tardi,  e  cioè  quando   si    avvicinò    il    momento  del 

fermarono  nel  bergamasco  a  perfino  che  il  Conte  ebbe  mandati  i  suoi  alle  stanze  », 
«  che  solo  allora,  cioè  nella  settimana  santa,  «  che  fu  a  dì  III  d'aprile  1450  », 
vennero  a  più  comodi  quartieri  nel  bresciano,  nel  veronese  e  nel  vicentino, 
rimanendo  poche  forze  nel  bergamasco  e  a  Ghiaradadda  (op.  cit.,  pp.  863-64). 
Dove  fosse  il  Malatesta,  egli  non  dice  precisamente  ;  dal  suo  racconto,  però,  ri- 
sulta che  non  si  era  ancor  mosso  dal  grosso  dell'esercito,  risiedente  nel  bresciano 
€  costituito  appunto  da'  soldati  del  Colleoni,  del  Piccinino,  di  Gentile  da  Leo- 
nessa, di  Cesare  Martinengo,  di  Guido  Rangone,  di  Matteo  da  Capua,  di  An- 
tonio Nardo  e  Corrado  del  Viano.  Invece  erano  stati  mandati  nel  veronese  e  nel 
vicentino  Cristoforo  da  Tolentino,  Bertoldo  Marchese,  Colla  di  Sant'Agata,  Ro- 
berto da  Montalbotto,  Giovanni  Conte  e  Jacopo  Catalano  :  tutti  conestabili  di 
cavalleria.  Nel  bergamasco  eransi  fermati  Ludovico  Malvezzo,  Tiberto  Brandolino, 
Giovanni  Villano  e  Guido  Benzone,  oltre  a  circa  5000  fanti.  Prima  di  chiudere 
questa  nota,  ci  piace  di  ricordare  due  salvacondotti,  concessi  dallo  Sforza,  l'uno 
d.  d.  Vimercate  9  marzo  a  Pandolfo  da  Fano,  famigliare  di  Sigismondo  Malatesta, 
per  recarsi  con  due  «  soci  »  da  Martinengo  a  Vimercate  per  il  ponte  di  Cassano, 
«  quindi  a  Milano,  ma  senza  i  «  soci  »,  e  ripartirne  «  cum  tribus  elmectis  et 
«  nonnullis  petijs  armorum  »  per  far  ritorno  dal  Malatesta  (  valido  per  6  giorni  ; 
firmato  :  «  Persanete  »,  in  Re^.  cit.,  fol.  221  v.)  ;  e  l'altro  d.  d.  Monza  19  marzo 
a  Giovanni  Piccinino  da  Bergamo,  «  sociah  M.ci  Bartholomei  de  Culionibus  », 
per  venire  da  qualsiasi  parte  a  San  Colombano  con  un  servo,  armi  e  robe  (valido 
per  un  mese  ;  firmato  :  «  Giovanni  »,  in  Reg.  ecc.,  fol.  223).  Un  cenno  poi 
p  sulle  mosse  de'  veneti  al  di  là  dell'Adda  trovasi  nella  seguente  lettera  da  Lodi, 
18  marzo,  di  certo  Foschino  a  certo  Donato  (Arch.  cit.,  Docum,  diplom.,  Dominio 
Sfor^,,  I4S0)  : 

«  Memoria  sia  uoi  Donato,  de  dire  alo  nostro  lU.mo  S.  comò  hozi  è  uenuto 
«  Messer  Jacomo  Antonio  mircelo  al  luocho  de  Cereto,  et  ha  lasato  in  esso 
«  luocho  ZuHano  de  fanno  [Fano]  cum  fanti  circha  sixanta,  e  mostra  de  uolere 
«  far  fare  forte,  e  metegli  gente  assay. 

«  Item  ha  diete  uno  famiglo  de  petro  Sacho  asay  inteligente,  quale  mandò 
"«  dicto  petro  de  là,  per  cerchare  uno  canaio  da  zostrare  per  la  festa  ». 

Della  occupazione  e  fortificazione  di  Ceretto,  come  di  altri  luoghi  del  mi- 
lanese, per  parte  de'  veneziani,  avremo  modo  di  parlare  nel  cap.  IV,  a  proposito 
delle  trattative  corse  nel  giugno  '450  tra  la  Serenissima  e  il  duca  di  Milano. 

(i)  Il  Simonetta  (op.  cit.,  p.  603)  fa  sapere  che  lo  Sforza  aveva  divisato  di 
■dividere  il  proprio  esercito  «  in  omnes  ciuitatum  fines  »  ;  la  frase  non  è  troppo 
<:hiara,  giacché  potrebbe  intendersi  anco  per  le  città  di  confine.  Quanto  all'ordine 
di  non  mutare  alloggiamenti  né  di  recar  danno  o  peso  con  questi  alle  popola- 
zioni, si  possono  consultare  con  profitto  le  seguenti  due  lettere,  l'una  del  1 5  marzo. 


44  ALESSANDRO   COLOMBO 

solenne  ingresso,  pare  che  abbia  accresciuto  le  forze,  che  teneva 
sotto  il  suo  diretto  comando:  così  almeno  si  rileva  dalle  nuove  e 
pressanti  richieste  di  viveri  e  di  foraggi  (i). 


scritta  da  Lodi  e  diretta  al  podestà  e  agli  uomini  di  Glarole  (?),  l'altra  del  19. 
successivo,  inviata  da  Jacomaccio  da  Salerno  al  suo  signore,  in  risposta  a  recenti 
istruzioni  da  lui  ricevute.  Notisi,  che  la  lettera  del  13  è  firmata  «  Cichus  »  ;  lo 
che  può  far  credere  che  il  duca,  partendo  da  Vimercate,  fu  per  qualche  giorna 
a  Lodi.  Dalla  lettera  poi  di  Jacomaccio,  il  quale  si  trovava  in  Val  Ganna,  risulta 
in  modo  chiaro  che  si  attendeva  da  un  momento  all'altro  l'ordine  di  un  par- 
ziale concentramento.  Ecco,  nel  loro  testo  completo,  i  due  notevoli  documenti  : 
i.")  Arch.  cit.,  Reg.  eh.,  ecc. 

a  Potestati  et  hominibus  glarolarum 

«  Dux  Mediolani  etc. 

«  Dilecti  nostri.  Respondendo  ad  quanto  ne  ha  dicto  misser  Sceua  nostro- 
<i  per  vostra  parte,  uè  dicimo  nostra  intentione  è  che  li  non  uenga  ad  allogiare 
c(  altri  soldati,  corno  quili  de  fiorauante  da  perosa  nostro  conductero,  quali  haueti 
«  al  presente,  et  a  quilli  dati  segondo  l'ordini  usati,  né  ad  altri  respondeti  de 
«  alloggiamento,  né  de  taxa,  dechiarandoui  etiamdio  volimo  a  tal  carigo  siano 
«  obligati  et  astricti  ciascaduno  solito  per  lo  passato  contribuerli  a  simel  cose, 
«  et  così  omnino  obseruati,  auissandoue  questa  biaua  et  frumento,  qual  al  pre- 
ce sente  date  ad  queste  genie,  intendimo  non  la  dati  alloro  per  taxa,  ma  ad  Noy 
«  che  integramente  per  iusto  precio  ui  la  pagarimo. 

«  Dat.  laude  XIIJ  Marctj  14^0.  «  Cichus  ». 

2.°)  Arch.  cit.,  Docum.  diplom.,  Dom.  Sforai.  : 

«  Illustrissime  Princeps  et  Ex.'"*^  D.ne  Domine  mi  singularissime.  Questa- 
«  mattina  ho  uisto  lectera  della  V.  Ex.tia  directiua  ad  Sagramoro  da  panna, 
((  Conte  Johanni  angusarola,  Anguelello  et  mi,  dati  al  dì  de  heri,  per  la  quale  ner 
«  scrivete  che  ciaschuno  ritorni  ai  suoi  allozamenti,  et  così  in  executione  di  quella 
f(  io  in  questo  punto  monto  ad  cauallo  con  tutte  queste  gente  son  qui,  uideli- 
«  cet  quelli  del  s.  Corado,  christofano  da  Cremona,  Luca  schiauo  et  Schara- 
((  muza  da  Loreto  et  Janei,  et  admouendo  per  ritornare  ai  decti  nostri  lozamentì,. 
«  siche  ne  auiso  la  V.  S.,  alla  quale  deuote  me  racomando. 
«  Dat,  In  ualle  gatte,  die  XVIIIJ"  Martij  14^0. 

«  E.  V.  J.  d.  a  Seruus  Fidelissimus  Jacomacius  de 

«  Salerno  ». 

A  tergo  :  «  Illustrissimo  principi  et  excelentissimo  |  domino  domino  meo- 
«  uictorissirao  Domino  Duci  |  Mediolani  etc.  Papié  anglerieque  corniti  ac  Cre- 
«  mone  domino.  |    Per  ufitialem  buUettarum  Mediolani.  cito.  cito,  cito  ». 

Può  anche  interessare  la  lettera  d.  d.  Milano  27  marzo  1450,  firmata  a  Jo- 
«  hannes  »  (Arch.  cit.,  Reg,,  ecc.,  fol,  226  v.),  in  cui  si  ordina  alle  truppe  stan- 
ziate a  Incino,  «  in  partibus  plebis  incini  »,  di  non  recar  danni  o  molestie  alla 
casa,  massari,  fittabili  e  coloni  del  convento  di  S.  Antonio,  né  ai  beni  da'  frati 
stessi  posseduti  «  in  loco  herbe  »  (ad  Erba). 

(i)  Si  veda  per  intanto  la  seguente  lettera  di  passo,  d.  d.  Milano  24  marzo^ 


L  INGRESSO   DI  FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,    ECC.  45 

Esaminati  così  tutti  que'  fatti,  che  potevano  in  certo  qual  modo 
turbare  in  noi  la  visione  precisa  dell'opera  di  Francesco  I  Sforza, 
cediamo  ora  quello  che,  con  vocabolo  forse  non  del  tutto  proprio, 
abbiamo  chiamato  «  azione  politico-diplomatica  »,  e  che  formò  pre- 
■cisamente  la  sua  linea  direttiva  di  condotta.  Giacché,  se  a  lui  pre- 
meva assicurarsi  l'affetto  de'  nuovi  sudditi  con  una  saggia  e  forte 
amministrazione  —  per  questo  appunto  egli,  pur  lasciando  ampi  po- 
teri al  Gonzaga  (i),  amò  qualche  volta  intervenire  di  persona  negli 
affari  di  Milano  (2)  — ,  non  si  illuse  mai  di  poter  con  le  sole  sue  forze 


e  firmata  «  Cichus  »,  valida  per  tre  mesi,    e   rimessa   al    mantovano  Giovanni 
^ella  Strata  (Arch.  cit.,  Reg.,  ecc.): 

«  Die  XXIIIP  Marcii  14^0. 

«  Facte,  et  concese  sunt  litere  Johanni  de  la  strata,  ciui  mantuano,  et  suis 
«  conducendi  a  partibus  inferioribus  et  terris  non  suppositis  ili  '""  d.  d.  nostro  ad 
«  has  partes  modios  mile  bladorum,  videlizet  frumenti,  sicalis  et  milii,  ad  mensu- 
«  ram  mantuanam  uel  cremonensem,  prò  fulcimento  exercitus  et  usu  curie  et 
«  municione  fortiliciorum,  sine  solucione  etc.  Valit.  mensibus  tribus. 

«  Dat.  Medioìani. 

«  ClCHUS   ». 

Non  che  l'altra  lettera  d.  d.  Milano  28  marzo,  firmata  dal  duca  e  diretta  ai 
Maestri  delle  Entrate,  nella  quale,  oltre  al  pieno  soddisfacimento  del  suo  credito 
al  castellano  «  de  uno  di  Castelli  de  Berinzona  »  (Bellinzona),  vuole  a  che  ad 
«  ant."  de  la  chiesa  fazati  dare  et  exbursare  vinti  ducati  d'oro  per  pretio  de  certo 
«  feno  dato  per  luy  ad  Monza,  per  uso  della  corte  nostra....  ».  Detta  lettera, 
controfirmata  «  Cichus  »,  esiste  in  copia  autentica  nell'Arch.  cit.,  sede  Missive 
Ducali,  Registri,  cart.  i,  fascio  2,  fol.  2  v. 

(i)  Abbiamo  già  citato  la  grida  del  28  febbraio,  relativa  agli  ultimi  capitani 
■e  difensori  della  libertà  (edita  dal  Morbio)  ;  con  istrumento  8  marzo,  rogito 
Antonio  Pessina,  il  Gonzaga  stesso  assumeva  al  suo  servizio  l'armigero  Demetrio 
Albanese,  fratello  di  Andrea  (Arch.  cit.,  Docum.  diplom.,  Dom.  Sfor^.,  14^0). 

(2)  Già  riportammo  la  lettera  di  conferma  de'  6  tubatori  del  comune,  d.  d. 
Monza  19  marzo.  —  Dietro  istanza  di  Andrea  Birago,  lo  Sforza  facea  scrivere, 
addi  12  marzo  da  Vimercate,  al  luogotenente  e  capitano  generale  in  Milano,  Carlo 
Gonzaga,  avvertendolo  come  «  prò  presenti  complacuit  Guilelmino  de  Mareliano 
«  (Marliani),  quod  Gabriel  tauerna  morari  et  habitari  possit  libere  et  secure, 
«  prout  facerat  antequam  prelibatus  d.  d.  n.  obtinuisset  dominium  inclite  sue 
«  ciuitatis  Medioìani  ».  Firmato:  «  Cichus  »  (Arch.  cit.,  Reg.^  ecc.,  fol.  223). 
Per  ordine  poi  del  proprio  signore  e  duca  il  Gonzaga,  addì  16  marzo,  disponeva 
che  tutti  i  libri  e  scritture,  «  a  li  dì  passati  asportate  fora  de  la  corte  del  Arengo, 
«  li  quali  solo  aspectano  a  la  camera  de  la  excell.  sua  »,  venissero  consonati  ai 
^magistrati  delle  entrate  ;  e  così  facessero,  nel  termine  di   tre   giorni,  sotto  pena 


46  ALESSANDRO   COLOMBO 

difendere  il  dominio,  che  avea  acquistato  a  prezzo  di  tanti  sagrifici,. 
mentre  perdurava  Tostilità  patente  de'  veneti  e  dell'imperatore,  e 
poco  sicuro  si  sentiva  da  parte  del  pontefice  e  de'  re  di  Francia 
e  di  Napoli.  Quindi  è  che,  appena  giunto  a  Vimercate  il  26  feb- 
braio, dopo  aver  preso  quei  provvedimenti  d'  urgenza  che  cono- 
sciamo, si  affrettò  nella  notte  (così  narra  il  Simonetta)  (i)  a  co- 
municare con  lettere  ai  potentati  italiani,  non  che  a  molti  di  fuori^ 
il  lieto  evento  «  de  parto  Mediolanensi  imperio  »,  sicuro  in  cuor 
suo  che  essi  (cioè  i  nemici)  non  avrebbero  potuto  fare  a  meno  di 
riconoscere  il  fatto  compiuto.  Ci  è  stato  conservato  l'elenco  delle 
«  andate  deno  fare  li  trombecti  delo  111.  S.  Conte  per  portare  la 
«  nouella...  delo  111.  supradicto  Conte  facto  diica  de  Milano  »;  da 
esso  appare  che  la  prima  ad  essere  avvertita  fu  naturalmente  la 
la  moglie  sua  Bianca,  a  Pavia  (2).  In  pari  tempo  brigava  per  otte- 
nere, fin  dove  gli  fosse  possibile,  il  favore  delle  città  e  signorie 
più  vicine,  e  quindi  più  pericolose,  la  dedizione  o  1'  alleanza  di 
quelle,  che  ancora  non  si  erano  date  o  unite  a  lui;  e  trascurando 
in  apparenza  coloro,  i  quali  per  la  lontananza  o  per  altri  motivi 
non  gli  potevano  subito  nuocere,  ne  spiava  però  di  nascosto,  per 
mezzo  de'  fidi  che  teneva  sparsi  dovunque,  ogni  atto,  ogni  pensiero. 
Così  è  che  quasi  nel  medesimo  giorno,  e  non  appena  le  truppe 
venete  ebbero  evacuata  la  Brianza,  le  città  di  Monza,  Como  (3)  e 


di  tre  tratti  di  corda  ed  altre  pene  da  stabilirsi,  que'  privati  die  per  caso  ne 
tenessero  «  presso  di  sé  ».  Pure  in  quel  giorno,  e  sempre  dietro  ordine  del  suo 
principe,  egli  vietava  a  qualunque  persona  di  menar  via  legna  tagliata  da'  bosciii 
di  Cusago,  «  senza  licentia  et  consentimento  de  li  merchadanti  milanesi,  a  li 
«  quali  spectano  diete  legne  per  vigore  de  lo  incanto  suo  »,  sotto  pena  di  12 
ducati  d'oro  e  perdita  di  bestie,  carri,  ecc.  Entrambe  le  gride,  pubblicate  il  mat- 
tino appresso  dal  tubatore  Bertolino  di  Forlì,  sono  edite  dal  Morbio  (op.  cit., 
pp.  536-37;  docc.  CXLI  e  CXLII). 

(i)  Simonetta,  op.  cit.,  p.  602:  «  post  ubi  Vicomercato  ad  multam  noctem 
c(  appulit...  ». 

(2)  De:.  VI. 

(3)  Il  2  marzo  si  rendeva  la  rocca  o  fortezza,  tenuta  già  da  Matrognano 
Corio,  dietro  il  compenso  di  mille  ducati,  da  pagarglisi  sui  primi  redditi  de'  dazi 
di  Como  stessa  ;  cfr.  lettera  dello  Sforza  a'  maestri  delle  entrate,  sotto  quella  data, 
in  Arch.  cit.,  Miss,  due,  Reg.,  ecc.  Da  una  lettera  poi  dì  data  incerta,  ma  ascritta  al 
1453,  contenente  la  supplica  dell'armigero  Barberio  di  Como,  «  cassato  »  (come 
si  diceva)  dalle  squadre  di  Alessandro  Visconte,  risulta  che  detto  Barberio  fu 
(  quello  che  era   cum   lo  Conte  dulce   et  che   se   adoperoe  tanto  in  li  seruitij 


ECC.  47 

Bellinzona  (i),  ultimi  avanzi  della  aurea  repubblica  ambrosiana,  si 
arresero  allo  Sforza:  il  loro  esempio  fu  ben  tosto  seguito  da  altre 
terre;  e  cioè  da  Borgo  Torno  (2)  della  diocesi  comense,  da'  co- 
muni di  Corenno  e  limitrofi  del  lago  di  Lecco  (3),  da  Abbiasca  (4), 
diocesi  milanese,  sui  confini  della  valle  Levantina.  Anche  coi  si^ 
gnori  di  questa,  e  delle  valli  vicine  di  Locamo,  di  Lugano,  ecc., 
il  duca  nostro  cercò  di  venire  a  patti  o  di  migliorare  i  rapporti; 
molto  interessanti  appunto  sono  le  istruzioni,  che  egli  diede  in 
proposito  al  suo  commissario  «  in  partibus  »  di  Lugano,  Ettore  del 
Po  (5).  Ma  di  tali  negoziati,  condotti  alquanto  per  le  lunghe,  avrema 

«  de  la  S.  Vostra,  a  la  quale  feci  dare  cum  la  sua  industria  lo  laco  da  Como^ 
«  ponendosi  ad  grandi  periculi  »  (Arch.  cit.,  sede  Militau,  Guerre,  142^-60,  mi- 
nuta, cart.).  Sulla  resa  di  Como  e  sui  capitoli  firmati  il  4  marzo  tra  i  delegati 
di  detta  città  e  lo  Sforza,  cfr.  Cantù,  Storia  della  città  e  diocesi  di  Como,  Fi- 
renze, 1856,  voi.  I,  p.  311. 

(i)  Cfr.  E.  Motta,  Bellinzona  e  Francesco  1  Sforma,  nel  cit.  Boll.  stor.  della- 
Svili.  Ital,  a.  Ili,  188 1,  pp.  12-17.  1  capitoli  editi  dal  Motta,  firmati  a  Monza- 
(25  in  tutto)  fra  il  duca  di  Milano  e  gli  ambasciatori  di  Bellinzona  Giorgio  Rusca 
e  Giovanni  de  Cuxa,  portano  la  data  del  16  marzo  '450,  ed  esistono  in  copia  cart. 
(minuta)  nell'Arch.  cit ,  sede  Comuni,  Canton  Ticino,  Bellinzona.  Addi  28  marzo  poi,, 
con  sua  lettera  a'  maestri  delle  entrate,  già  ricordata,  lo  Sforza  dava  ordine  che 
((  Francischo  Criuello,  Castellano  de  vno  di  Castelli  de  Berinzona  »,  fosse  sod- 
disfatto di  quanto  diceva  «  douere  hauere  »  (oltre  a  400  ducati)  «  per  lo  suo- 
((  seruitio  del  tempo  passato  »,  e  intanto  ricevesse  in  acconto  100  ducati,  «  me- 
«  dianti  li  quali  se  possa  leuare  da  la  dieta  Rocha  comò  hauemo  ordinato  » 
(Miss,  due,  Reg.,  tcc~).  Come  pare,  il  Crivelli  dovea  essersi  oberato  di  debiti,  e 
i  suoi  creditori,  ove  non  fossero  stati  in  parte  soddisfatti,  gli  impedivano  di  par- 
tire. Ecco  il  perchè  dell'ordine  dello  Sforza. 

(2)  Il  giuramento  dì  fedeltà  fu  prestato  da'  sindaci  e  procuratori  dì  quel, 
comune  il  giorno  20  marzo,  in  Monza.  Arch.  cit.,  Reg.  qcc,  Framm.,  14^0-^2. 

(3)  I  capitoli  furono  presentati  allo  Sforza,  e  concordati  e  giurati  il  24  marzo,, 
in  Milano.  Arch.  cit.,   Tritati,  1428-53. 

(4)  Cfr.  E.  Motta,  op.  e  loc.  cit.,  pp.  41-44. 1  capitoli,  in  numero  di  9,  con  le 
risposte  del  duca,  portano  la  data  del  25  marzo;  ne  esistono  due  copie  cartacee 
all' Arch.  cit.,  sede  Comuni,  Canton   Ticino,  Abbiasca. 

(5)  Portano  la  data  del  27  marzo  '450,  x\rch.  cit.,  Reg.  due,  Framm.,  qcc.i 

«  Die  XXVI J.  Marcii  14^0. 
a  Scriptum  fuit  Hectori  de  pado,  Commissario  in  partibus  vallis  lugani,  in 
«  effectu  quod  non  astringat  infrascripta  loca  ad  prestandum  et  ad  iurandum  sibi 
«  fidelìtatem,  nomine  III.  d.  d.  nostri,  quam  admodum  astringere  et  artari  uisus 
«  est,  ut  per  querimoniam  notificauit  M.  Comes  Franchinus  Ruscha  prelibato  i.  d., 
«  exponens  dieta  locha  esse  sua  et  quamdiu  ipsa  possessisse  :  Sed  potius  intelligat 


48  ALESSANDRO   COLOMBO 

modo  di  parlare  in  seguito,  trattando  dell'  alleanza  fra  il  duca  di 
Milano  e  gli  Svizzeri;  allora  si  vedranno  pure  altre  paci  e  con- 
venzioni non  meno  notevoli. 

Una  lettera  scritta  da  Roma  il  9  marzo  '450,  e  diretta  dal- 
l'agente sforzesco  Vincenzo  Amidano  al  suo  signore,  ci  informa, 
con  la  solita  e  minuta  esattezza  degli  inviati  di  allora,  della  im- 
pressione che  colà  destò  la  notizia  improvvisa  della  resa  di  Milano. 
E  mentre  fa  conoscere  che  il  pontefice,  in  certo  qual  modo,  non 
■era  alieno  di  venire  ad  accordi  col  nuovo  duca,  ci  fornisce  altre 
non  meno  interessanti  notizie  sugli  avvenimenti  generali  d*  Italia, 
cui  in  parte  già  abbiamo  accennato  nel  primo  capitolo.  Comincia 
adunque  il  nostro  oratore  col  dire  che,  giunto  il  giorno  4  in  questa 
città,  secondo  gli  ordini  ricevuti,  egli  si  era  affrettato  a  chiedere 
udienza  dal  papa,  ottenendone  però  risposta  evasiva.  Evidente- 
mente qui  si  allude  alle  pratiche  per  un'intesa  tra  la  Santa  Sede 
e  lo  Sforza,  in  previsione  del  prossimo  acquisto  dell'ex-ducato  vi- 
sconteo: per  questo  motivo  appunto  l'Amidano  era  stato  da  poco 
spedito  a  Roma.  Ma  pervenuta  nel  frattempo,  per  la  via  indiretta 
-di  Firenze  e  di  Ferrara,  «  la  nouella  felicissima  de  la  reductione 
«  de  Milano  ad  la  obedientia  de  la  V.  S.  »,  mentre  ufficialmente 
non  la  si  conosce  ancora,  «  del  che  et  N.  S.  papa  et  s."  cardinali 
«  et  ciascuno  molto  si  merauiglia  »  (i),  egli  si  è  recato  di  nuovo 
da  Sua  Santità,  per  assicurarla  ora  più  che  mai  della  illimitata  de- 
vozione del  suo  principe  ;  e  aggiunge  che  gli  avrebbe  parlato  «  con 
«  più  audacia  »,  se  avesse  già  ricevuto  sue  lettere  al  riguardo. 
Tuttavia,  da  quanto  si  può  comprendere,  «  a  la  S.^*  soa  è  grato 
«  ogni  bene  e  stato  de  la  S.  V.  »,  quantunque,  secondo  il  suo  co- 
stume, non  lo  dia  ancora  a  conoscere  in  modo  palese.  Dando  poi 
notizie  dell' Arcimboldo  e  del  Simonetta,  che  noi  sappiamo  essere 
stati  mandati  a  Napoli  per  istringere  con  quel  re  un'alleanza  contro 
Venezia,  dice  che  solo  il  secondo  era  fino  allora  «  giunto  »  in  quella 
città.  Quanto  all'accordo  così  strombazzato  tra  Alfonso  e  la  Sere- 
nissima, quantunque  ne  siano  giunte  le  voci  anco  a  Roma,  egli  non 

<i  dictus  hector,  si  sic  est  prout  expositum  est;  et  deinde  de  ipsius  rei  ueritate 
«  prelod.  d.  nostrum  suis  literis  reddat  auisatum  ». 

(i)  Noi  sappiamo  però,  dalla  «  nota  de'  messi  »  spediti  il  26  febbraio,  che 
^ra  pure  stato  staccato  quello  che  dovea  recarsi  al  «  Beatissimo  nostro  Papa  » 
-ed  a  diversi  cardinali. 


l'ingresso   di   FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  49 

crede  affatto  che  sia  stato  conchiuso,  perchè  il  papa  e  lo  stesso 
ambasciatore  veneto,  «  secondo  sento,  affermano  non  ne  sapere 
«  niente  »;  tuttavia  non  mancherà  di  informare  in  proposito  il 
proprio  signore,  appena  saprà  qualche  cosa  di  più  certo.  E  intanto, 
a  fine  di  non  indisporre  l'animo  del  pontefice,  gli  raccomanda  di 
non  osteggiare  al  fratello  di  lui  cardinale  la  presa  di  possesso  del 
priorato  di  Campomorto,  avuto  testé  in  commenda  (i). 

Parecchie  importanti  considerazioni  si  possono  dedurre  dalla 
lettera  dell'Amidano.  Anzitutto  la  pretesa  alleanza  tra  Venezia  e 
Napoli,  benché  desiderata  dalla  prima,  era  ben  lungi  dall'  essere 
li  divenuta  un  fatto  compiuto.  Del  resto  se  ne  curava  tanto  poco  lo 
Sforza,  che  egli  si  affrettò,  come  narra  Giovanni  Simonetta  (2),  a 
richiamare  i  propri  ambasciatori,  date  anche  le  eccessive  pretese 
di  re  Alfonso.  Però  non  volle  lasciar  interrotte  le  pratiche  già  così 
bene  iniziate  con  la  Santa  Sede;  e  quale  fu  il  loro  risultato,  ve- 
dremo nel  capo  seguente.  Allora  pure  si  parlerà  de'  passi  da  lui 
fatti  col  re  de'  Romani  Federico  III,  col  re  di  Francia  Carlo  VII 
e,  mediante  il  concorso  del  fedele  suo  alleato  Cosimo  de'  Medici, 
con  gli  stessi  veneziani  e  il  re  di  Napoli. 

Che  il  duca  Francesco  I  avesse  intendimento  di  fare,  il  più 
presto  che  fosse  possibile,  il  suo  ingresso  in  Milano  è  provato, 
oltre  che  dalla  lettera  del  io  marzo  a'  pavesi,  edita  dal  Magenta  (3), 
con  la  quale  appunto  annunciava  loro  da  Vimercate  la  sua  pros- 
sima incoronazione  e  ne  invitava  alle  feste  i  rappresentanti  (4),  da 

(i)  Arch.  cit.,  Potenze  estere,  Roma,  1591-1^5^. 

(2)  SiMOMETTA,  op.  cit.,  p.  603,  Il  re  di  Napoli  pretendeva,  fra  l'altro,  la 
•cessione  di  Panna  e  della  fortezza  di  Pisleone.  Più  tardi  però,  come  vedremo, 
non  si  rifiutò  il  duca  di  Milano  di  intavolare  nuove  trattative  con  lui  a  Ferrara. 

(3)  Magenta,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  223,  doc,  CCL.  La  lettera,  scritta  da  Vi- 
mercate e  controfirmata  «  Andreas  Fulgineus  »,  è  diretta  «  Egregiis  dilectis  no- 
«  stris  Presidentibus  negotiis  Communitatis  Ciuitatis  nostre  Papié  »  ;  esiste  in 
originale  nel  Museo  civico  di  storia  patria  in  Pavia,  palazzo  Malaspina  (già  Ar- 
chivio civico).  Notevoli,  fra  le  altre,  le  seguenti  frasi  :  «  . . .  Qui  quidem  prin- 
«  cìpatus  [di  Milano]  nobis  juie  hereditario  in  successionem  obveniebat  »;  e: 
«...  visum  est  conuenire  nostre  erga  vos  beneuolentie,  ut   veniatis  nostri  eius 

r;  <(  gaudii  participes  de  ipsa  re  vos  certiores  efficere  pariter  et  adhortari  placeat  ad 
«  ipsam  urbem  ad  vigesimumsecundum  diem  presentis,  quo  tante  iocunditatis 
^<c  actum  celebrari  decretum  est.  ». 

(4)  È  naturale  che  ne  abbiano  avuto  l' invito,  con  una  lettera  pressoché  sl- 
amile, anche  le  altre  città  del  ducato  :  questo  dice  chiaramente  il  da  Soldo  (loc.  cit.). 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VII.  4 


50  ALESSANDRO   COLOMBO 

altri  ordini  emanati  in  proposito  a  Milano.  L'annotatore  al  Corio  (i) 
fa  osservare,  che  ne'  registri  della  Fabbrica  del  Duomo  si  trova 
una  ordinazione  del  15  marzo,  affinchè  in  quella  metropolitana  si 
inalzasse  un  trono  per  Francesco  Sforza  e  la  sua  moglie  Bianca 
Maria,  nella  imminenza  della  solennità  ad  essi  dedicata  (2).  Allora 
il  duca  si  trovava  da  qualche  giorno  a  Monza,  dove  si  era  recato 
con  la  sua  corte  per  essere,  come  dice  il  Simonetta  (3),  «  oppidum.... 


Per  quanto  riguarda  il  comune  di  Vigevano,  noi  sappiamo  che  vi  furono  man- 
dati il  nobile  Abramo  Ardici!  e  il  nipote  suo  Cristoforo  ;  cfr.  il  mio  lavoro  : 
Un  dono  de*  vigevanesi  a  Francesco  Sforma  -  inarco  14^0,  in  quest'Archivio,  XXXI^ 
1904,  I,  p.   98  sgg. 

(i)  CoRio,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  194.  Ma  prima  del  Cantù  lo  aveva  detto  il 
GiULiNi,  op.  cit.,  voi.  VI,  p.  470. 

(2)  Negli  Ann.  della  Fabb.  del  Duomo,  ecc.,  pubblicazione  affidata  appunto 
alle  cure  di  Cesare  Cantù,  trovasi  precisamente  a  p.  135  del  voi.  II,  in  data 
«  domenica  1 5   marzo  »,  la  seguente  notizia,  che  riportiamo  : 

«  Preparativi  affinchè  i  principi  possano  assistere 
«  alla  loro  solennità  nel  tempio, 

«  Deliberarono  doversi  costruire  un  rialzo  (tribunale  o  trono)  onorevole^ 
«  idoneo  e  ben  ornato  nella  chiesa,  sul  quale  possano  ascendere  degnamente  il 
«  principe  e  la  duchessa  a  celebrarvi  la  solennità  del  loro  solenne  ingresso  in 
«  Milano,  stabilita  pel  25  marzo  (?),  con  la  spesa  di  fiorini  100  e  anche  mag- 
«  giore  ». 

E  a  p.  72  del  voi.  Vili  (voi.  II  delle  Appendici,  1885),  in  data  27  marzo 
[1450]  : 

«  Magistro  Donato  de  Sirtori  inzignerio  fabricae  et  certis  laboribus  (?)  1.  8 
«  mercede  ipsorum,  qui  laboraverunt  in  construendo  tribunali  ad  portam  eccle- 
«  siae  maioris  Mediolani,  et  ad  deponendum  palios  positos  circumcirca  altare 
«  dictae  ecclesiae  prò  solemnitate  illustrissimi  et  excellentissimi  domini  dom.  no- 
«  stri,  nec  non  illustrissimae  et  excellentissimae  dominae  dom.  nostrae,  et  hoc 
«  quia  laborauerunt  in  nocte  et  in  festo,  1.  2,  s.  14  ». 

C  è  una  evidente  contraddizione  tra  il  primo  e  il  secondo  documento  ; 
giacché,  mentre  in  quello  si  parla  di  un  trono  da  costruirsi  nella  chiesa,  in  questo 
si  dice  che  il  trono  stesso  fu  inalzato  a  ad  portam  ecclesiae  »,  cioè  al  di  fuori. 

I  documenti,  che  vedremo  in  seguito,  ci  proveranno  che  è  da  seguirsi  la  se- 
conda versione. 

(3)  Simonetta,  op.  cit.,  p.  604.  L'A.  aggiunge  che,  durante  la  permanenza 
del  Conte  in  Monza,  questi  ricevette  giornalmente  gran  numero  di  milanesi, 
non  che  di  letterati  e  poeti,  i  quali  gli  recitavano  poesie  ed  orazioni  laudatorie. 

II  GiuLiNi,  op.  cit.,  voi.  VI,  p.  470,  e  dietro  a  lui  l'annotatore  al  Corio,  loc.  cit., 
ricordano  che  I'Argellati  nella  sua  Bibliotheca,  ecc.,  fa  menzione  di  alcune  di 
esse  e  de'  rispettivi  autori. 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA   IN    MILANO,    ECC.  5I 

i<  et  satis  amoenum  et  Mediolano  propinquum  »»;  quivi  pure  era 
giunta  da  Pavia  la  duchessa  col  figlio,  come  dimostra  una  lettera 
del  Baganza  al  referendario  di  Piacenza,  del  17  marzo  (i),  e  più  tardi 
vi  veniva  anche  il  fratello  Alessandro,  signore  di  Parma  (2).  Nello 
stesso  giorno  17  marzo,  per  ordine  dello  Sforza,  si  pubblicava  in 
Milano  la  grida  contenente  «  li  capitoli....  in  la  materia  de  la  giostra 
«  se  debe  fare  a  dì  23  del  presente  »;  uno  di  questi  capitoli 
venne  poscia  modificato  con  altra  grida  del  19  (3),  e  di  nuovo 
messo  in  vigore,  come  prima,  con  una  terza  del  23,  pubblicata  il 
mattino  (4):  riguardava  esso  la  forma  e  la  lunghezza  della  lancia 
da  adoperarsi  dal  giostratore;  anzi  con  l'ultima  grida,  sempre  ema- 
nata per  parte  del  duca,  si  fissava  il  termine  definitivo  per  la  va- 
lidità delle  iscrizioni  (ore  19,  mezzogiorno  circa).  Come  si  vede 
adunque,  se  è  vero  quanto  dicono  il  Simonetta  e  gli  altri  storici, 
che  da  lui  s' informarono,  essere  cioè  stati  indetti  i  festeggiamenti, 
come  tornei  e  pranzi,  solo  dopo  la  solenne  entrata  in  Milano  degli 
Sforza  e  la  loro  consacrazione  ufficiale  nel  massimo  Tempio  della 
città,  l'una  e  l'altra  non  poterono  avvenire  che  prima  del  23  marzo. 
E  difatti  il  duca,  fin  dal  giorno  18,  sollecitava  l' invio  delle  nuove 
vesti,  che  avea  appositamente  ordinate  a  Bologna,  mandandovi  un 
proprio  messo  e  facendo  in  pari  tempo  scrivere  al  bolognese  Ga- 
spare Malvezzo  (5).  Ma  per  fortuna  ci  è  rimasto  il  documento  au- 


(i)  [Arch.  eh.,  Docum.  diplom.,  Dom.  Sforai.,  14^0:  «  Questi  di  pasati, 
«  quando  fuy  dal  Signore,  gè  proferse  duy  venzonj  Je  Vino  de  br.  V  l'uno, 
l'uno  per  la  Signoria  Sua,  l'altro  per  la  111.™^  madona  Biancha....  ». 

(2)  Ibid.,  Alessandro  Sforza  al  fratello  Francesco.  Certo,  fra  le  «  cose 
«  pertinente  a  la  mia  specialità  »,  che  il  Maletta  era  incaricato  di  riferire  al 
duca,  a  nome  del  fratello  Alessandro,  era  anche  quella  di  avvertirlo  del  prossimo 
di  lui  arrivo. 

(3)  Edita  dal  Morbio,  op.  cit.,  p.  538,  doc  CXLIII  ;  quivi  appunto  si  fa 
raccenno  della  grida  del  17. 

(4)  Edita  pure  dal  Morbio,  op.  e  loc.  cit.,  doc.  CXLIV.  Le  lancie  adunque 
per  la  giostra  sarebbero  state  consegnate  dalla  corte,  in  nome  del  duca,  a  ciascun 
combattente  nel  momento  di  entrare  in  campo,  mentre  prima  era  stato  permesso, 
il  porto  di  qualsiasi  lancia,  purché  di  identica  lunghezza  e  munita  del  bollo  de 
maestro  Ambrogio  d'Appiano,  «  lanzero,  su  la  piaza  dell' Arengo,  quale  è  deputato 
«  supra  ciò  »  (grida  del  19  marzo).  Anche  le  selle  dovevano  essere  bollate,  e 
precisamente  dal  maestro  Caldino  da  Trezzo,  «  sellaro...  chi  sta  presso  il  Duomo  » 
(grida  del  23  id.). 

(5)  Arch.  cit.,  Reg.  due,  Framm.,  qcc.  : 


52  ALESSANDRO   COLOMBO 

tentico,  che  fissa  la  famosa  entrata,  con  tutte  le  funzioni  inerenti 
alla  medesima,  «  il  giorno  di  domenica  22  marzo  »  (i);  questa  è 
pure  la  data  ammessa  «  esplicitamente  »  da  Cristoforo  da  Soldo  (2); 
ed  altri  documenti,  che  confermano  il  primo,  abbiamo  ancora  rin- 
venuti nell'archivio  milanese.  Né  vale  l'obiettare  che  il  Simonetta 
propende  per  il  giorno  della  Santissima  Annunciazione,  che  ricorre 
appunto  il  25  del  mese  sopradetto;  giacché,  come  vedremo,  egli 
stesso  si  contraddice,  volendo  enunciare  la  medesima  data  secondo 
il  calendario  romano  (3).  Quanto  infine  al  particolare  della  giostra 
rinviatasi,  con  una  quarta  grida  del  23  marzo,  ore  14  (cioè  alle  8 
circa  del  mattino,  mentre  la  precedente  era  stata  pubblicata  solo 
due  ore  prima),  «  per  più  ornamento  et  integrità  »  ai  giorni  24 
e  25  (4),  basti  pensare  che  lo  Sforza,  appena  compiuta  la  cerimonia 

«  Modoetie  die  XVII J<i  Marti]  14^0. 

«  Facte  fuerunt  littere  passus  Johanni  de  Melzio,  ciui  Mediolani,  ituro  ad 
«  partes  inferiores  causa  exigendi  et  conduci  faciendi  nonnullas  uestes,  res  et  bona 
«  111. mi  domini  ducis  ex  Bononia.  Valitur  duobus  mensibus  proxime  futuris. 

«  Item  scriptum  fuit  SpJi  Gaspari  maluecio,  ciui  Bononie,  quod  ad  predicta 
«  equequenda  (sic)  prefato  Johanni  assista  (sic)  fauoribus,  auxiliis  et  juuaminibus 
«  oportunis. 

« «    ClCHUS   ». 

(i)  Si  trova,  nella  copia  esistente  all'Arch.  di  Stato  di  Milano,  in  unione 
con  l'istrumento  dell'i i  marzo;  per  questo  forse  il  Formentini  (op.  cit.,  p.  72) 
lo  ritenne  una  continuazione  p  meglio  ratifica  di  quella,  e  ne  pubblicò  solo  le 
prime  righe  (p.  192):  nulla  di  più  inesatto.  Una  copia  identica,  estratta  nel  1759 
dal  notaio  Anton  Francesco  Verga,  trovasi  nell'Arch.  civ.  stor.  {Dicasteri,  cart.  IV)  ; 
€  una  terza,  però  detta  sotto  la  data  del  21  marzo,  nel  già  citato  cod.  1292  della 
Trivulziana  (doc.  IV).  Il  Sickel  dimostra  di  non  conoscerlo  affatto;  e  non  lo 
cita  per  conseguenza  neanche  il  Bertolini.  Lo  ricorda  invece  il  Giulini,  voi.  VI, 
p.  472.  Data  la  sua  importanza,  lo  pubblicheremo  integralmente  ;  cfr.  doc.  VII. 

(2)  Soldo,  op.  cit ,  p,  864  :  «  .  .  ordinò  [lo  Sforza]  co'  Milanesi  di  far  l'en- 
«  trata  a  di  XXII.  di  Marzo....  Quando  fu  il  giorno  di  far  l'entrata,  cioè  adì 
«  XXII,  detto  1450,  il  detto  Conte...  ».  Cfr.  anche  la  lettera  d'invito  a' rap- 
presentanti di  Pavia  del  io  marzo  '450,  edita,  come  sappiamo,  dal  Magenta. 

(3)  Difatti  il  Simonetta,  op.  cit.,  p.  604,  dopo  aver  detto  che  lo  Sforza 
stimò  opportuno  rimandare  il  solenne  ingresso  «  ad  sextum  Kalendas  Apriles  » 
(=  27  marzo),  come  per  spiegarne  il  motivo  aggiunge  che  accettò  questa  data 
«  ob  salutarem  Beatae  Virginis  Annunciationem  annua  festivitate  Celebris  ». 

(4)  Vedila  in  Morbio,  op.  cit.,  p.  339,  doc.  CXLV.  Con  essa,  il  termine 
utile  della  iscrizione  è  prorogato  fino  alle  ore  15  del  24;  il  giostratore,  pur  uni- 
formandosi a  tutte  le  prescrizioni  della  grida  precedente  (lancia,  sella  bollata,  ecc.), 
deve  consegnarsi  «  in  su  la  giostra  a  decinoue  hore  del  dì  chel  uorrà  giostrare  ». 


l'ingresso    di   FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  53 

della  sua  proclamazione  a  «  duca  di  Milano  »,  ritornò  a  Vimercate, 
donde  era  partito  il  mattino  del  22,  per  rimanervi  fino  a  tutto  il 
giorno  successivo,  cioè  fino  a  quando  forse  fossero  preparati  i 
suoi  appartamenti  nel  palazzo,  che  già  dovette  abitare  lo  suocero 
defunto  e  che  in  parte  sempre  tenne,  durante  il  tempo  della  re- 
pubblica, la  duchessa  vedova  (r). 


CAPO  QUARTO. 

Come  non  si  può  ammettere  la  data  del  25  marzo,  general- 
mente accolta  dagli  storici  {2),  e  tanto  meno  quella  del  27  (3), 
quantunque  anche  a  noi  sia  apparsa  per  un  momento  la  più  esatta  (4); 
così  non  sembra  del  tutto  attendibile  il  racconto,  che  del  solenne 
ingresso  di  Francesco  Sforza  in  Milano  ci  ha  lasciato  il  Simonetta  (5) 


(i)  Il  duca  Filippo  Maria  abitava  di  solito  nel  castello  di  porta  Giovia,  e 
quivi  anzi  morì.  Però  avea  il  suo  palazzo  in  Milano,  l' Arengo  ;  ma  esso  era  «  in 
a  buona  parte  caduto  »  a'  suoi  tempi  (Giulini,  op.  cit.,  voi.  VI,  p.  482).  Fu 
ristorato  dallo  Sforza,  con  il  concorso  della  Fabbriceria  del  Duomo,  e  vi  abitò 
sempre,  a  detta  del  Giulini  (op.  cit.,  voi.  VI,  pp.  482-85).  E  che  egli  vi  sia  an- 
dato subito,  aggiungiamo  noi,  è  provato  dall' istrumento  del  31  marzo  1450 
(riguardante  i  patti  e  capitoli  tra  lo  Sforza  e  il  Doria),  steso  «  ne  la  corte  de 
«  l'arengho,  caxa  et  habitaculo  del  prefato  S.  »,  come  diremo  a  suo  luogo.  Sul- 
l'«  Arengo  »  cfr.  pure  Felice  Calvi,  //  castello  Vtsconteo-Sfor:(esco  nella  storta 
di  Milano,  Milano,  1894,  pp,  5-6  e  nota  2  a  p.  5. 

(2)  Gagnola,  op.  cit.,  p.'  127  ;  Corio,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  181  ;  Giulini, 
op.  cit.,  voi.  VI,  p.  471  ;  Rosmini,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  453;  Verri,  op.  cit.,  voi.  II, 
p.  56;  RoMANiN,  op.  cit,  voi.  IV,  p.  222;  Ricotti,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  150; 
SicKEL,  op.  cit.,  p.  216  (e  con  lui  il  Bertolini);  Cipolla,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  439  ; 

CUSANI,    op.   cit.,    voi.    I,   pp.  209-10;  RUBIERI,  Op.  cit.,    VOl.   II,    p.    222;   MaGENTA, 

op.  cit.,  voi.  I,  p.  445  (egli  ammette  la  creazione  de'  cavalieri  o  militi  tre  giorni 
innanzi)  ;  Beltrami,  op.  cit.,  p.  59.  Abbiamo  già  ricordato  che  il  .  Ghilini,  An- 
nali d'Alessandria,  all'a.  1450  parla  di  un  solo  ingresso,  che  avvenne  secondo  lui 
il  27  febbraio  (?!);  e  l'autore  dell'ultima  sua  edizione  (1904,  voi.  I,  p.  479), 
il  Bossola,  propende  per  il  solito  25  marzo. 

(3)  FORMENTINI,   op.   cit.,   p.   69. 

(4)  Cfr.  il  mio  lavoro  :  Un  dono  de*  vigevanesi  a  Francesco  I  Sforma,  ecc., 
già  cit.  ;  preghiamo  perciò  il  lettore  a  voler  correggere  colà  il  27  in  un  22,  e  ad 
anticipare  di  alcuni  giorni  l'andata  al  campo  dello  Sforza  da  parte  dell' Ardicii  e 
del  Colli,  per  la  consegna  del  dono  del  bacile  d'argento. 

(5)  Simonetta,  op.  cit.,  pp.  605-08. 


54  ALESSANDRO   COLOMBO 

Converrà  pertanto  riassumere  ciò  che  in  proposito  dice  il  nostro 
istrumento,  e  in  pari  tempo  vederne  le  somiglianze  o  dij0ferenze 
con  la  redazione  simonettiana. 

Anzitutto,  il  biografo  dello  Sforza  lascia  capire  che,  non  ap- 
pena giunse  il  giorno  stabilito,  il  novello  duca  si  recò,  partendo 
da  Monza  (i),  sulla  strada  che  da  Milano  conduce  a  Pavia,  e  di 
buon  mattino  si  fermò  poco  lungi  dal  sobborgo  di  porta  Ticinese; 
quivi  già  lo  attendevano  la  moglie  Bianca  col  figlio  Galeazzo,  il 
fratello  Alessandro,  uno  stuolo  di  oratori  e  di  matrone,  tutti  i  con- 
dottieri e  alcuni  capi  squadra  alla  testa  di  scelte  milizie,  i  più  co- 
spicui cittadini  incaricati  espressamente  di  riceverlo,  il  carro  trionfale 
col  baldacchino  di  seta  bianca  trapunta  d'oro,  e  un'  immensa  folla 
ansiosa  e  festante.  Un  po'  diversa  è  la  versione  lasciataci  dal- 
l' istrumento  del  22  marzo.  Va  da  sé  che,  se  si  dovesse  ammettere 
come  buona  la  data  del  25,  lo  Sforza  non  avrebbe  mai  potuto  par- 
tire da  Monza  o  da  Vimercate,  per  il  fatto  semplicissimo  che,  fin 
dal  giorno  prima,  egli  con  tutta  la  sua  corte  si  trovava  a  Milano, 
e  vi  firmava  decreti  ed  emanava  ordini.  Né  é  ammissibile  che  la 
moglie  sua  e  il  figlio  e  il  fratello  e  i  condottieri  con  parte  delle 
truppe  lo  abbiano  preceduto  in  Milano  stessa,  mentre  egli  vi  sa- 
rebbe giunto  più  tardi  da  solo,  seguito  naturalmente  da'  suoi  fidi 
cavalieri.  E  mentre  é  vero  che  si  fermò  a  porta  Ticinese,  e  di  lì 
poscia  fece  il  suo  ingresso  solenne  (2),  un  documento  di  data  in- 
certa, ma  non  posteriore  al  1452,  ci  prova  che,  anziché  l'aspettato, 
fu  lui  ad  aspettare  «  un  pezo.. .  la  determinata  bora  del  suo  felice 
il  introito  in  questa  sua  inclita  Citade  m,  smontando  alla  casa  del 
guardiano  della  cittadella  di  detta  porta,  Antonio  de'  Buschi  sopran- 
nominato «  Giochino  »  (3).  Il  motivo  di  tale  attesa  è  spiegato  be- 


(i)  Anche  il  Cipolla,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  440,  è  di  questa  opinione. 

(2)  Cfr.  quanto  scrive  al  riguardo  il  Verri,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  36,  nota  2. 

(3)  Arch.  cit.,  Potenze  sovrane,  Milano,  14^0.  È  una  supplica,  che  il  Buschi 
dirige  allo  Sforza,  affinchè  gli  conservi  e  confermi  quell'  ufficio,  che  da  lui  stesso 
avea  ricevuto  in  memoria  del  felice  ingresso  ;  giacché  egli  appunto  «  habita  ne 
((  la  Citadella  de  porta  Ticinese,  et  è  quello  in  cui  casa  essa  vostra  s.  per  sua 
a  humanitade  dismontò,  e  stete  un  pezo  aspectando  la  determinata  hora  del  suo 
«  felice  introito...  ».  Tale  ufficio  consiste  nel  «  dare  il  contrasigno  et  tenire  vna 
a  de  la  giaue  de  la  Gabella  del  Sale  de  Milano  »,  e  lo  ha  avuto  per  due  anni, 
cioè  fino  all'agosto  1452;  per  esso  ha  sborsato  la  somma  di  60  fiorini  alla  ca- 
mera ducale  (una  specie  di  cauzione)  e  riceve  lo  stipendio  mensile  di   4  fiorini, 


L  INGRESSO    DI    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  55 

nissimo  dal  nostro  istrumento.  Quivi  infatti  si  dice  che,  in  esecu- 
zione de'  deliberati  dell'ii  marzo  1450  (i),  i  cittadini  tutti  di  Milano, 
nobili  e  plebei,  si  riunirono  secondo  il  solito  cerimoniale  in  assem- 
blea la  domenica  22  marzo,  per  fissare  le  ultime  modalità  del 
ricevimento;  in  precedenza  si  erano  in  modo  solenne  addobbate 
le  vie  e  gli  edifici  più  notevoli  della  città.  L'  adunanza  si  tenne 
senza  dubbio  nella  nota  chiesa  di  Santa  Maria  alla  Scala;  e  là, 
«  mentre  il  duca  e  la  duchessa  e  il  figlio  Galeazzo  erano  fuori  della 
«  Porta  Ticinese  ad  aspettare  »,  fu  stabilito  in  fretta  l'ordine  di  pre- 
cedenza del  corteo,  che  dovea  muovere  loro  incontro.  Di  una  im- 
portanza grandissima,  come  si  vede,  è  V  accenno  che  il  duca  col 
suo  seguito  si  trovava  alle  porte  di  Milano  nel  momento  stesso, 
in  cui  riunivasi  il  comizio  di  Santa  Maria  della  Scala;  se  è  esatta 
l'affermazione  del  Simonetta,  esservi  egU  giunto  di  buon  mattino, 
noi  abbiamo  una  prova  per  sostenere  che  il  detto  comizio  si  rac- 
colse precisamente  la  mattina  del  22,  giorno  festivo  e  quindi  più 
adatto  per  simili  solennità.  E  che  con  lo  Sforza,  in  quell'occasione, 
oltre  la  sua  corte  fosse  anche  una  parte  rilevante  del  suo  esercito 
€  tutti  i  suoi  generali,  è  dimostrato  e  dalla  lettera  dell'Jacomaccio 
in  data  19  marzo  e  dal  salvacondotto  allo  Strada  del  24  dello  stesso 
mese.  Vediamo  ora  in  breve  l'ordine  del  corteo,  così  come  venne 
deciso  in  quella  memorabile  giornata.  Precedeva  il  clero  in  pompa 
magna  (2);  seguivano  i  conti  (nobiltà);  quindi  i  membri  de' due 
consigli  (3),  il  podestà  colla  sua  corte,  il  vicario  e  i  XII  della 
Provvisione  co'  loro  officiali,  il  rettore  della  città,  i  varii  ordini  di 


che,  benché  misero,  pure  è  a  lui  necessario  per  vivere  «  cum  cinque  suoi  fio- 
((  leti  ».  E  i  maestri  delle  entrate,  con  motivi  ingiusti,  glielo  vogliono  togliere, 
non  restituendogli  nemmeno  la  intera  cauzione  ! 

(1)  Cfr.  doc.  IV. 

(2)  Era  allora  arcivescovo  di  Milano  il  cardinale  Enrico  Rampini  (1443-50), 
uno  di  quelli  che  venne  maggiormente  in  soccorso  del  popolo  milanese  affamato, 
durante  il  blocco  stretto  dal  conte  Francesco  ;  inviso  a  costui,  aveva  però  dovuto 
rifugiarsi  a  Roma,  ove  morì  pochi  mesi  dopo  il  solenne  ingresso  del  nuovo 
duca.  Al  Rampini  successe  sulla  cattedra  di  S.  Ambrogio  Giovanni  III  Visconti 
(1450-53).  Sul  Rampini,  cfr.  la  vita  scrittane  dal  Sassi,  in  Archiepiscoporum  Me- 
diolan.  Series  Htstorico-Chronologica,  cum  ejus   Vita  et  scriptis  per  B.  Oltrocchi. 

(3)  Abbiamo  già  accennato  al  ducale  consiglio  segreto  ;  l'altro  era  quello 
•detto  di  giustizia  (Domini  de  Ducali  Consilio  Justitiae),  composto  di  tre  membri  ; 
cfr.  FORMENTINI,  op.  cit.,  p.   74- 


56  ALESSANDRO   COLOMBO 

magistrati  (i),  i  singoli  collegi  de' Giureconsulti,  de'  Medici,  de'  Cau- 
sidici e  de' Notai,  le  società  o  paratici  (mercanti,  artisti,  ecc.);  e 
infine  tutto  il  popolo  festante.  Secondo  questa  disposizione,  al  suono 
delle  campane  e  degli  altri  istrumenti  musicali,  il  corteo  mosse  da 
piazza  della  Scala  per  recarsi  in  primo  luogo  in  Duomo,  e  poi 
nel  cortile  dell'Arengo;  quivi  furono  levati  il  carro  trionfale,  le 
vestimenta  e  le  altre  insegne  duchesche:  ciò  fatto,  andò  incontro 
al  duca,  alla  duchessa  e  al  figlio,  che  col  seguito  erano  fuori  porta 
Ticinese,  e,  condotto  loro  dinnanzi  «  honorificentissime  »  il  carro, 
li  introdusse  solennemente  e  trionfalmente  in  città.  Il  Simonetta  si 
compiace  di  far  sapere  che  il  duca,  per  modestia,  ricusò  il  carro 
e  il  baldacchino,  dicendo  1'  uno  e  l'altro  una  superstizione  di  re  (2); 
Cristoforo  da  Soldo,  ammettendo  anch'esso  che  «  non  volle  montar 
«  sul  carro  »,  aggiunge:  «  entrò  a  cavallo  egli,  e  Madama  Bianca 
«  sua  donna,...  e  tutti  e  due  vestiti  di  bianco,  mandandosi  innanzi 
u  mille  schioppettieri,  e  poi  dietro  circa  mille  cavalli  con  le  lance 
«  in  mano  »  (3).  Il  nostro  documento  non  rileva  punto  tale  circo- 
stanza. Ma  la  medaglia  commemorativa,  fusa  per  l'occasione  e  pub- 
blicata la  prima  volta  in  fac-simile  dal  Muratori  (4),  ci  proverebbe 
che  egli  rifiutò  bensì  il  carro,  ma  non  il  baldacchino.  In  essa  infatti, 
sul  rovescio,  il  duca  è  rappresentato  a  fianco  di  detto  baldacchino, 
a  cavallo,  in  atto  di  entrare  in  Milano  in  mezzo  al  popolo  festante  e 
baciantegli  le  mani;  intorno  è  la  leggenda:  «  Clementia  et  armis 
«  parta  ».  Sul  diritto  poi  si  vede  la  testa  del  duca  medesimo,  con 
in  giro  la  epigrafe:  «  Franciscus  Sfortia  Vicecomes  Dux  Mediol.  IIII  », 
Neppure  conforme  alla  relazione^  che  noi  possiamo  senz'altro 
chiamare  ufficiale,  è  quella  che  del  seguito  e  fine  della  cerimonia 
ci  dà  lo  storico  dello  Sforza.  Secondo  lui  questi,  in  mezzo  a  una 
grande  ala  di  gente,  si  sarebbe  recato  «  recto  itinere  »  al  Duomo 
e,  indossata  la  bianca  veste  di  seta  scendente  fino  ai  piedi  dinnanzi 


(i)  Cioè  :  i  «  magistri  ititratarum  »  (5  membri),  il  tesoriere  generale,  i  tre 
ordini  di  ragionieri  («  Rationatores  ad  papiri,  ad  expensae  conficiens,  ad  cartam  »), 
il  direttore  del  banco,  la  direzione  delle  gabelle,  ecc.  ;  cfr.  Formentini,  op.  cit., 
pp.  75-76. 

(2)  Simonetta,  op.  cit.,  p.  606. 

(3)  Soldo,  op.  cit.,  p.  864. 

(4)  Muratori,  Antiq.  ItaL  M.  £.,  II,  p.  610  (in  Additamenta  ad  nummos 
Mediolanensium,  n.  XIV).  La  ricorda  anche  il  Giulini,  op.  cit.,  voi.  VI,  p.  471. 


L  INGRESSO    DI    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  57 

alle  porte  di  esso  (i),  vi  sarebbe  tosto  entrato  colla  moglie,  pren- 
dendo posto  con  lei  sul  trono  appositamente  allestito  :  quivi  sarebbe 
avvenuta  la  solenne  sua  proclamazione  a  «  duca  di  Milano  »,  e 
successiva  consacrazione,  e,  dopo  il  bel  discorso  del  Castiglione, 
la  prestazione  del  giuramento  di  fedeltà  da  parte  de'  sindaci  delle 
Porte,  la  consegna  dello  scettro,  della  spada,  dello  stendardo,  delle 
chiavi  e  del  sigillo,  la  nomina  a  «  conte  »  del  suo  primogenito 
Galeazzo  e  del  Vimercate,  la  creazione  di  cento  e  cinquanta  «  mi- 
«  lites  u  (2),  scelti  fra  i  più  illustri  e  benemeriti  cittadini  e  fore- 
stieri. Vediamo  ora  quello  che  dice  il  nostro  documento.  Giunta 
adunque  la  coppia  ducale  nella  piazza  dell'Arengo,  prese  posto 
insieme  al  piccolo  (3)  Galeazzo  sopra  il  palco,  che  per  l'occasione 
era  stato  eretto  «  ante  faciem....  Ecclesie  Maioris  »  (4);  quivi  subito 
salì  il  Castiglione  e,  secondo  il  cerimoniale  prestabilito,  lesse  per 
primo  il  discorso  di  presentazione  de'  novelli  duchi  (5).  Seguirono 
successivamente:  Oldrado  de'  Lampugnano,  che  indossò  al  duca  il 
clamide  di  damasco  bianco  intessuto  di  ermellino;  il  conte  di  Arona 
Filippo  Borromeo,  che  gli  mise  in  collo  il  bavero  o  cappuccio  fatto 
della  stessa  stoffa;  Pietro  Visconti,  che  gli  pose  in  capo  il  ber- 
retto id.;  Gaspare  da  Vimercate,  che  gli  diede  in  mano  lo  scettro; 
Antonio  de'  Triulzio,  che  gli  consegnò  nell'  altra  lo  stendardo  in- 
quartato (aquila  e  drago);  Melchiorre  de'  Marliano  col  sigillo;  Pietro 
de' Pusterla  con  la  spada:  tutti,  nell'atto  di  presentare  al  proprio 
signore  l' oggetto  loro  affidato,  si  inginocchiavano  dinnanzi  a  lui 
«  cum  omni  debita  reuerentia  ».  Vennero  dopo  i  dodici  eletti  delle 


(i)  Il  Da  Soldo,  op.  e  loc.  cit.,  come  si  è  visto,  pone  la  vestizione  del  duca 
e  della  duchessa  avanti  l'entrata  loro  in  città  Gli  altri  storici  e  cronisti,  già  più 
volte  citati,  seguono  più  o  meno  fedelmente  il  testo  sìmonettiano. 

(2)  Il  CoRio,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  185,  scrive  che  ne  furono  creati  solo  50; 
Cristoforo  a  Soldo  (loc.  cit.)  che  ne  «  fece  ben  cento...  di  tutte  le  sue  terre  »; 
e  «  quamplurimos  »  dicono  gli  Annales  Piacentini  (loc.  cit.),  ricordandone  otto^ 
tutti  di  Piacenza,  naturalmente. 

(3)  Avea  allora  sei  anni,  essendo  nato  nel  1444  (24  gennaio),  a  Fermo. 

(4)  Veda  il  lettore,  come  questa  frase  del  nostro  documento  concordi  cod 
quella  contenuta  nella  bolletta  di  pagamento  all'  ing.  Donato  de'  Sirtori,  in  data 
27  marzo  '450,  cui  più  addietro  abbiamo  avuto  occasione  di  riportare  per  intero. 

(5)  Due  furono  veramente  i  discorsi  pronunziati  dal  Castiglione,  in  questa 
memorabile  giornata  ;  ma  quello  che  riporta  il  Ripamonti,  op.  cit.,  dee.  III^ 
lib.  VI,  pp.  409-17,  fu  senza  dubbio  letto  dopo  la  proclamazione  de'  «  militi  ». 


58  ALESSANDRO   COLOMBO 

Porte  per  consegnargli  le  chiavi  della  città;  e  da  ultimo  i  sindaci 
e  procuratori  per  prestargli,  a  nome  dell'  intero  popolo  milanese, 
giuramento  di  fedeltà  e  devozione,  e  formalmente  investirlo  del 
suo  nuovo  dominio,  stabilendone  in  pari  tempo  le  prerogative  e 
regolandone  la  successione,  conforme  quanto  erasi  già  concordato 
nella  generale  assemblea  dello  scorso  11  marzo.  Ciò  fatto,  i  sindaci 
e  procuratori  stessi,  non  che  tutti  i  cittadini  presenti,  ad  altissima 
voce  chiesero  che  il  duca,  «  in  signum,  memoriam  et  perpetuam 
u  famam  tante  celebritatis,  festiuitatis  et  glorie  »,  si  compiacesse 
di  far  creare  milite  il  proprio  figlio  primogenito  e  futuro  erede  del 
trono;  ciò  che  di  buon  grado  egli  accordò,  dandone  ordine  a' militi 
Biagio  de  Assareto,  podestà  di  Milano,  Morello  degli  Scolari  di 
Parma  e  Francesco  de' Fossati,  i  quali  tosto  proclamarono  loro 
collega  Galeazzo,  previe  le  formole  d'  uso,  cingendogli  al  fianco  la 
dorata  spada  e  calzandolo  degli  speroni  d'oro.  Dietro  nuova  istanza 
de' cittadini,  e  per  coonestare  maggiormente  tanta  festa,  il  duca 
Francesco  volle  ancora  che  suo  figlio  e  i  predetti  militi  ne  creas- 
sero altri  allo  stesso  modo;  i  nomi  di  questi,  e  quelli  di  coloro 
ehe  furono  in  predicato  per  i  giorni  a  venire,  sono  stati  conservati 
nel  nostro  istrumento,  dove  pure  li  vide  il  De-Sitoni  (i),  e  corri- 
spondono quasi  in  tutto  e  per  tutto  al  famoso  elenco,  che  il  Cantù, 
nelle  sue  annotazioni  al  Corio  (2),  diceva  di  non  aver  potuto  rin- 
venire, e  che  in  copia  cartacea  si  trova  nell'Archivio  di  Stato  di 
Milano  (3).  Data  l' importanza  di  questo  documento,  il  lettore  ci 
permetterà  che  noi  ci  soffermiamo  alquanto  a  considerarlo.  Anzi- 
tutto esso  è  una  conferma  lampante  della  interpretazione  data  al- 
l'atto del  22  marzo.  Va  dal  22  al  26  di  questo  mese;  e  ivi  si  dice 
appunto  che  in  que'  giorni,  «  de  mandato  Illustrissimi  principis,  et 
u  Excellent."ii  Domini  Domini  Franciscisfortie  Vicecomitis,  ducis 
^<  Mediolani,  etc,  in  sollennitate  apprehensionis  ducatus  sui  »,  fu- 


(i)  JoH.  De  Sitonis  de  Scotta,  Vicecomitum  Burgi  Ratti  Marchiomim,  Ca 
stri  Spìnae,  Brignani  et  Pagatiani  Feudatariorum  Genealogica  Monumenta,  Milano, 
1714,  p.  30  sgg. 

(2)  CoRio,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  194.  Di  uno  solo  il  Cantù  sa  dar  contezza, 
■cioè  di  Giorgio  Aicardi,  detto  Scaramuccia  Visconte.  Dell'elenco  riportato  dal 
Sitoni  diede  pure  notizia  il  Giulini,  op.  cit.,  voi.  VI,  p,  472. 

(3)  Araldica,  Provvid.  Gener.,  14^0-1649.  Il  documento  fu  pubblicato  integral- 
mente da  F.  Calvi^  //  patriziato  milanese,  Milano,  1876,  pp.  461-64. 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  59 

rono  creati  per  mano  del  magnifico  principe  Galeazzo  Maria,  pri- 
mogenito del  duca,  del  marchese  Carlo  de'  Gonzaga  e  degli  spet- 
tabili cavalieri  Biagio  Assareto-Visconti,  Polidoro  de' Baglioni  di 
Perugia,  Pietro  di  Nursia  (Norcia)  e  Francesco  de'  Fossati  di  Milano, 
novantuno  «  comites  et  milites  ».  Addì  22  marzo,  domenica,  se 
ne  nominarono  42:  il  nostro  istrumento,  lasciando  fuori  natural- 
mente Galeazzo  Sforza,  ne  ricorda  solo  39;  il  giorno  dopo  ne  fu- 
rono eletti  23,  il  25  tredici,  il  26  ancora  tredici:  in  tutto  49,  mentre 
il  solito  istrumento  ne  elenca  50  come  creati  «  in  diuersis  aliis 
u  diebus  »  (i).  Qualche  altra  variante  o  aggiunta  ritrovammo  nei 
Registri  ducali,  già  tante  volte  citati  (2).  Anzi  da  questi  risulte- 
rebbe, che  il  4  maggio  1450  in  Milano  ottennero  gli  speroni  d'oro 
il  dottor  fisico  Martino  di  Parma  e  il  signor  Bartolomeo  de'Cor[naz- 
zano]  (3)  pure  di  Parma;  che  «il  successivo  7  maggio  in  Lodi  fu 
insignito  della  dignità  medesima  il  signor  Antonio  de'  Beccaria;  che 
ancora  in  Milano  (il  giorno  preciso  non  è  detto)  fu  creato  milite 
Pietro  Antonio  de  Attendoli  figlio  di  Michele;  che  sempre  in  Mi- 
lano il  17  maggio  venne  la  volta  de'  conti  Giorgio  de  Arcelli  di 
Borgonovo  da  Piacenza  e  Cristoforo  de'Valera;  e  che  infine  addì 


(i)  Lasciando  al  lettore  di  trovare  in  quali  nomi  differenzino  i  due  testi 
a  noi  preme  fargli  subito  conoscere  la  proporzione  che  corre  fra  Milano  e  le 
altre  terre  del  ducato  nella  nomina  de'  «  militi  aurati  »,  cioè  di  esporre  una 
specie  di  statistica.  Ottennero  adunque  la  dignità  di  militi  :  45  milanesi,  7  pia- 
centini (uno,  l' Arcelli  di  Borgonovo,  fu  fatto  dopo  il  26  marzo),  7  pavesi  (più  i, 
dopo  il  26  id.),  5  novaresi,  4  cremonesi,  5  comaschi,  3  lodigiani,  2  parmigiani 
(più  2  dopo  il  26  id.),  2  somagliesi  ;  uno  solo  ne  ebbero  le  città  e  paesi  di  :  Ales- 
sandria (Giovanni  Feruffino),  Bologna  (l'AnguelelIi),  Castellazzo  (Ambrogio  Trotto), 
Corneto  (Antonello  Piccinino),  Ferrara  (N'iccolò  Pendaglia),  Landriano  (Francesco 
da  L.),  Rossano  (Roglerio  da  R.),  Sale  (Gaspare  de'  Trovamaìi),  Salerno  (Jaco- 
maccio  da  S.),  Sannazzaro  (Moretto  da  S.),  Tolentino  (Giovanni  da  T.),  Varena 
•(conte  Balbiano  da  V.),  Verona  (Gerolamo  da  V.). 

(2)  Ricordiamone  alcune:  «  D.  Arasmus  de  Triulcio  »  è  scritto:  a  d.  Ara- 
«  sinus  de  triuulcio  «,  «  D.  Karolus  de  corretto  de  panna  comes  »  diventa 
«.  d.  Carolus  de  corrigia  de  parma  »,  «  D.  Johannes  nardellus  ponzonus  de 
«  Cremona  »  si  semplifica  in  «  d.  Zanardellus  de  ponzonibus  de  Cremona  »  (cfr. 
mio  articolo  in  La  Domenica  del  Corriere,  VI,  1904,  n.  IX,  p.  io:  «  L'origine 
<i  del  nome  Zanardelli  »).  Vi  sono  anche  parecchie  omissioni  :  Ugolotto  Crivelli 
di  Antonio,  Agostino  Beccaria  pavese,  Luigi  Caccia  di  Novara. 

(3)  Si  leggono  solo  le  lettere:  Cor;  ma  è  facile  compire  la  parola. 


6o  ALESSANDRO    COLOMBO 

13  gennaio  1452  in  Lodi  si  acquistò  il  titolo  di  milite  Gaspare  del 
fu  Antonio  de'  Trovamali  di  Sale  (i). 

Dopo  la  proclamazione  de'  primi  39  (o  42)  cavalieri,  il  Casti- 
glione tenne  un  altro  discorso  «  de  laudibus  prefatorum  illustris- 
«  simorum  dominorum  Ducis  et  Ducisse,  eorumque  uirtutibus  ac 
«  mentis  infinitis  »;  quindi  costoro  scesero  dal  palco,  e  insieme 
col  proprio  figliuolo,  seguiti  dal  codazzo  de'  militi  e  degli  altri  di- 
gnitari, entrarono  in  Duomo  per  render  grazie  a  Dio  e  alla  Bea- 
tissima Vergine.  La  cerimonia  si  chiuse  con  una  preghiera  gene- 
rale (Tedeum)y  affinchè  i  novelli  duchi  e  Galeazzo  e  i  discendenti 
fossero  sempre  conservati  all'amore  e  per  la  felicità  del  loro  po- 
polo. Di  ogni  cosa  fu  steso  regolare  atto  il  giorno  medesimo  22 
marzo,  per  mano  de'  notai  Jacopo  de'  Perego  e  Damiano  de'  Mar- 
liani,  sotto  dettatura  del  giureconsulto  Guarnerio  da  Castiglione, 
prima  sopra  il  palco  eretto  dinnanzi  al  Duomo,  e  poscia  all'  aitar 
maggiore  della  chiesa  stessa,  presenti  i  pronotari  Marco  de' Perego 
e  Giovanni  de'  Serturi,  entrambi  di  Milano,  e  i  testimoni  voluti  e 
richiesti  (2). 

Finita  la  cerimonia  civile  e  religiosa,  lo  Sforza  con  la  sua 
corte  e  con  lo  stesso  accompagnamento,  col  quale  era  venuto  la 
mattina  a  Milano,  ritornò  a  Vimercate,  dopo  aver  dato  ordine  di 
rimandare  le  feste,  stabilite  per  il  giorno  23  e  seguenti,  al  24  e 
successivi  (3).  Colà  probabilmente  ricevette  le  prime  congratulazioni 

(i)  Arch.  cit.,  Reg.  due,  ecc.  ; 

«  MCGCCLIJ  die  XIIJ  Januarij  die  Jouis  in  Laude  in    camera  jnferiori 
«  solite  residentie  ducalis. 

«  Creatus  fuit  miles  Gaspar  quondam  Antonii  de  Trouamalis  de  Salis  in 
«  coaspectu  i,  domini  ducis  et  comitis  Galeaz  marie,  comitis  Ludouici  de  Lugo» 
({  D.  Antonello  de  placentia  et  D.  Antonello  piccinino  militibus,  etc.  ». 

(2)  La  copia  da  noi  vista  all' Arch.  di  Stato  di  Milano  fu  estratta  il  7  no- 
vembre 1758  dal  notaio  Pietro  Ortensio  dell'Orto,  del  fu  nob.  Carlo  Giuseppe, 
dall'originale  esistente  ne'  rogiti  del  notaio  camerale  Giacomo  de'  Perego  ;  e  cosi 
pure  l'altro  istrumento,  ad  esso  unito,  dell' 11  marzo.  Doc.  VII. 

(3)  Ciò  si  arguisce  dall'ultima  grida  sulla  giostra:  poiché  è  naturale  che 
questa  formasse  la  parte  principale  e  più  interessante  del  programma.  Dice  il 
Simonetta  (pp,  607-08)  che  i  festeggiamenti  durarono  per  cinque  giorni  ;  e  li  de- 
scrive minutamente.  Lo  stesso  affermano  il  Gagnola  (p.  128)  e  gli  altri  storici 
e  cronisti,  che  si  uniformarono  a  quello;  il  da  Soldo  (loc.  cit.)  li  allunga  di 
altri  sette:  «  Le  feste  furono  grandi,  ben  dodici  giorni,  di  giostre,  bagordi,  dan- 
ce zare,  ballare...  ». 


l'ingresso    di   FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  6l 

officiali  (i).  A  Milano  non  si  fissò  in  modo  definitivo  che  il  24, 
giorno  di  martedì;  e  questo  è  provato,  oltre  che  dal  passaporto 
concesso  allo .  Strada  per  condurre  biade  per  l'esercito,  cui  già  ac- 
cennammo, e  dall'  accettazione  de'  capitoli  presentati  da  Corenno 
(Lecco)  e  comuni  limitrofi  (2),  dalla  lettera  ducale  di  riconferma 
de' beni  e  della  possessione  detta  di  S.  Vittore  di  Monza  a' fratelli 
nobili  Teodoro  e  Luigi  de'  Bossi  (3).  Tale  donativo  appunto  era 
stato  loro  fatto  fin  dall'anno  prima,  mentre  l'esercito  del  conte  era 
contro  Monza,  con  altra  sua  lettera,  munita  del  sigillo  pendente, 
in  data  Moirago  3  marzo  1449.  Ora  a  scanso  di  opposizioni,  e 
perchè  il  donativo  stesso  era  avvenuto  «  antequam  nos  possessionis 


(i)  Il  Simonetta,  op.  cit.,  p.  607,  ricorda  che  la  prima  ambasceria  recatasi 
a  rendergli  omaggio  fu  quella  dell'amica  repubblica  fiorentina;  seguirono  quindi 
le  altre  inviate  dalle  repubbliche  di  Siena,  di  Lucca  e  di  Genova,  da'  minori' 
principi  d'  Italia  e  dal  papa  Nicolò  V.  Ma  non  furono  evidentemente  ricevute  a 
Vimercate  ;  giacché  quella  di  Firenze  non  potè  arrivare  a  destinazione  che  verso 
i  primi  di  maggio.  Sappiamo  infatti  che,  partita  da  Firenze  prima  della  resa  di 
Milano,  allo  scopo  di  stringere  un  accordo  col  conte  Francesco,  essa  si  era  fer- 
mata a  Reggio,  appena  saputo  che  la  città  era  caduta  in  suo  potere,  per  atten- 
dervi nuove  istruzioni  (cfr.  Machiavelli,  Istorie  Fiorentine,  lib.  VI,  capp.  XXIV- 
XXV)  ;  la  componevano  il  figlio  stesso  di  Cosimo,  Piero  de'  Medici,  Neri  di 
Gino  Capponi,  Luca  Pitti  e  Diotisalvi  di  Nerone  di  Nigi.  Alcuni  documenti  poi 
dell' Arch.  di  Stato  fiorentino  ci  provano,  che  non  potè  lasciar  Reggio  prima  del 
26  aprile.  Sono  tre  missive  esistenti  nel  carteggio  de'  Signori,  Legazioni  e  Com- 
missarie,  n.  12,  e.  137  v.,  150  v.  e  153  ;  riguardano  appunto  tale  ambasceria. 
La  prima  contiene  un'  istruzione  in  seguito  alla  deliberazione  presa  il  26  aprile, 
ed  è  indirizzata  agli  ambasciatori  sopradetti,  ordinando  loro  di  mostrare  tutta  la 
amicizia,  ecc.  che  Firenze  ha  per  il  nuovo  duca,  di  presentare  una  pezza  di  broc- 
cato alla  duchessa,  di  raccomandare  •  e  proteggere  i  fiorentini  che  si  trovano  nel 
ducato.  Nella  seconda  la  Signoria  si  mostra  contentissima  delle  accoglienze  rice- 
vute dagli  ambasciatori,  e  comanda  a  Neri  e  a  Piero  di  fermarsi  ancora  presso 
il  duca  per  concludere  «  concordia  »  tra  Venezia  e  Milano,  mentre  ordina  re- 
cisamente agli  altri  di  rimpatriare  «  coi  pifferi  e  trombetti  »  e  con  Angiolo  Ac- 
ciaioli ;  è  in  data  del  21  maggio  1450.  La  terza  infine  è  diretta  al  solo  Neri,  e 
in  essa  si  ripete  di  mettere  in  concordia  le  due  fiere  rivali.  Avremo  occasione 
di  parlare  più  innanzi  di  tali  trattative  tra  Milano  e  Venezia  col  tramite  di  Fi- 
renze ;  qui  intanto  sento  il  dovere  di  ringraziare  pubblicamente  la  gentile  pro- 
fessoressa Ida  Masetti-Bencini,  della  R.  Scuola  Normale  di  Pisa,  la  quale  si  in- 
teressò di  comunicarmi  le  notizie  di  cui  sopra. 

(2)  In  data  appunto  di  Milano  24  marzo  1450,    e   dove  sono  a  notarsi,  in 
fine  ad  ogni  capitolo,  le  risposte  del  duca,  presente. 

(3)  Arch.  cit.,  Reg.  due,  Framm.,  ecc. 


62  ALESSANDRO    COLOMBO 

«  uel  . . .  domimi  huius  nostre  ciuitatis  et  Modoetie  adepti  fuis- 
«  semus  »>,  il  duca,  non  più  conte  soltanto,  fa  la  sopradetta  ricon- 
ferma, dove,  oltre,  all'  incipit  («  Franciscusfortia  Vicecomes  Dux 
«  Mediolani,  etc.  »)  e  alla  datazione  («  Dat.  Mediolani  die  XXIIIJ 
«  Martij  1450  »),  è  notevole  la  firma  tutta  di  pugno  dello  Sforza 
(«  Franciscusfortia  Vice,  manu  propria  »).  La  lettera  è  controse- 
gnata «  Cichus  ».  Il  giorno  dopo  venivano  discussi  ed  accolti,  come 
sappiamo,  i  capitoli  concernenti  il  comune  di  Abbiasca,  il  quale,, 
pur  conservandosi  fedele  a  Milano,  voleva  fosse  riconosciuta  la 
sua  totale  indipendenza  da  Bellinzona;  e  con  lettera  del  25  id.  si 
rilasciava  pure  regolare  passaporto  di  un  mese  a  Pietro  ed  Enrico 
da  Corte,  già  castellano  della  rocca  di  Novi,  per  poter  condurre  o 
far  condurre  «  massaricias,  capsas  et  res  suas  quas  ibi  habebant  » 
a  Rosate  senza  pagamento  di  dazi  (i).  Il  26  id.  si  confermava  al 
nobile  Baldassare  de'  Barzi  la  donazione  a  lui  fatta  antecedente- 
mente dal  duca  Filippo  Maria  Visconti  della  tenuta  di  Grogni- 
torto  (2);  e  nuove  lettere  di  passo  o  salvacondotti  si  concedevano 
in  questo  e  nel  successivo  giorno  (3).  Ma  noi,  anziché  soffermarci 
sulla  parte  interna  o  amministrativa  che  dir  si  voglia  del  governo 
sforzesco  (4),  veniamo  a  quella  che  più  direttamente  interessa  il 
nostro  lavoro;  la  preparazione  politica  e  militare  del  duca  di  Mi- 
lano alla  lotta,  per  lui  inevitabile,  con  la  repubblica  di  Venezia. 

Francesco  I  Sforza,  raggiunta  la  mèta  cotanto  desiderata,  per 
la  quale  aveva  speso  gli  anni  migliori  di  sua  vita  (5),  non  si  trovò 
subito  a  riposare,  come  si  suol  dire,  sugli  allori.  L'anno,  che  segna 
il  primo  del  suo  principato,  e  il  seguente  furono  per  lui  pieni  di 
grande  attività:  la  questione  del  ducato  milanese,  benché  già  risolta 
col  diritto  delle  armi  e  del  possesso  acquisito,  rimaneva  sempre 
diplomaticamente  aperta  (6);  e  di  questa  strana  condizione  di  cose 


(i)  Arch.  cit.,  Reg.  due,  ecc.,  fol,  226. 

(2)  Ibid.,  fol.  229. 

(3)  Un  salvacondotto  il  26  ad  otto  cavallari,  e  quattro  id.    il    27;    in  Re- 
gistri citati,  foli.  225,  226  e  227. 

(4)  Per  ciò  si  può  utilmente  consultare  il  Formhntini,  op.  cit.,   pp.  74-89. 

(5)  Si  trovava  allora  nel  46.°  anno  di  età,    essendo   nato,   com'  è   noto,  in 
S.  Miniato  il  23  luglio  1404. 

(6)  Non  aveano  ancor  deposte  le  loro  pretese  il  re  di  Napoli,  Carlo  VII  di 
Francia  e  Federico  III  re   de'  Romani  ;  quest'ultimo   difatti,  alla  lettera  con  cui 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  63 

non  poteva  non  trarre  profitto  grandissimo  V  astuta  e  irreconcilia- 
bile sua  nemica,  Venezia  (i).  Per  tale  motivo  egli  cercò  di  premu- 
nirsi da  ogni  possibile  eventuale  sorpresa;  e  mentre  nell'  interno 
dava  opera  sollecita  a  rinforzare  il  proprio  dominio,  con  la  riedi- 
ficazione del  castello  di  porta  Giovia  (2)  e  con  una  completa  riforma 


lo  Sforza  gli  dava  la  notizia  dell'acquisto  di  Milano,  rispondeva  il  12  aprile  im- 
ponendogli di  restituire  il  ducato  all'impero  (cfr.  Buser,  op.  cit ,  pp.  48  e  369); 
gli  altri  due  si  contentarono  di  protestare  col  silenzio. 

(i)  Essa  non  rifuggi,  pur  di  sopprimere  ad  ogni  modo  il  proprio  rivale, 
di  ricorrere  anche  al  tradimento.  Il  Buser,  op.  cit.,  pp.  46  e  369,  ricorda  infatti 
che,  ancora  il  23  marzo  (una  prima  volta  fu  il  26  novembre  '449  ;  ibid.,  p,  43X 
il  Consiglio  de'  Dieci  discuteva  la  proposta  di  quel  tale,  che  assicurava  di  aver 
in  mano  il  mezzo  per  far  morire  lo  Sforza.  Noi  crediamo  di  poter  identificare 
questo  tale  in  un  Pietro  Giovanni  da  Camerino,  uomo  d'arme  dello  stesso  Sforza, 
come  risulta  dalla  lettera  che,  addi  25  luglio  '450,  Pietro  da  Foglia  scriveva  da 
Cremona  al  suo  signore  (Arch.  cit.,  Potenie  sovrane,  cart.  II,  fascio  2)  : 

«  Illustrissimo  Signore  mio.  In  questa  bora,  che  è  una  bora  de  nocte,  è 
a  stato  da  me  un  mio  amico,  el  quale  me  dice  hauere  hauuto  da  un  altro  suo 
a  caro  amico,  come  un  pierozohanne  da  camerino,  homodarme  de  la  S.  V.,  è 
«  stato  qui  cercando  una  soa  femena,  el  quale  ha  hauuto  a  dire  eh'  el  à  gran 
«  suspetto  che  la  S.  V.  l'abia,  et  che  non  finerà  may  de  sauere  s'è  vero,  et  che 
«  trouandone  niente  che  per  la  fede  soa  farà  mille  tradimenti  per  amazarve.  Io 
«  inteso  questo  dixi  aquesto  tale  mio  amico,  che  de  questo  non  ne  dicesse  niente 
«  ad  homo  del  mondo,  et  che  questo  medesimo  dicesse  ancora  a  quell'altro  suo 
«  amico,  et  cossi  me  ha  promesso  de  fare.  Io  de  questo  parendome  cosa  de  non 
«  tacerla,  ne  ho  uoluto  dare  aduiso  ad  la  S.  V.  La  quale  prego  me  perdoni  se 
«  gli  ho  dicto  cosa  li  renscrescha,  aduisando  la  S.  V.  che  de  questo  io  non  ne 
«  ho  uoluto  dire  niente  né  ad  Locotenente,  né  ad  persona  ninna,  recomandorae 
«  sempre  ala  S.  V. 

«  Dat.  creinone  die  XXV  Julij  14^0. 

«  Per  lo  Vostro^  Seruitore  Pedro  de 
«  Foglia  ». 

A  tergo  :  «  Illustrissimo  prencipi et  Domino  meo  siagularissimo  [domì]no> 

«  Franciscosfortia  [uicjecomite  Duci  Mediolani  etc.  ». 

(2)  Esso  era  stato  quasi  completamente  distrutto  dopo  la  morte  dell'ultimo 
Visconti.  Lo  Sforza  pensò  subito  a  riedificarlo  ;  e  i  lavori  infatti  vennero  iniziati 
il  13  giugno  1450,  continuando  fino  a  tutto  il  145 1.  Contemporaneamente,  egli 
provvide  anche  alle  fortificazioni  delle  porte  della  città.  Cfr.  Simonetta,  op.  cit., 
p.  608  sgg.  ;  CoRio,  op.  cit.,  voi.  IH,  p.  183  sgg.  ;  Giulini,  op.  cit.,  voi.  VI, 
pp.  480-82  ;  Calvi,  //  Castello,  ecc.,  p.  3  5  e  nota  2  ;  Beltrami,  op.  cit.,  p.  60 
sgg.  La  data  dell'  inizio  ai  lavori  del  castello  è  contenuta  nella  famosa  iscrizione,. 


64  ALESSANDRO  COLOMBO 

dell'esercito  e  dell'armata  (i),  all'esterno  allargava,  il  più  che  fosse 
possibile,  la  sfera  delle  alleanze  e  delle  amicizie. 

Così  è  che  noi  vediamo,  addì  31  marzo  1450,  stringersi  in  Mi- 
lano una  importante  convenzione  fra  lo  Sforza  e  il  cittadino  geno- 
vese Benedetto  d'Oria.  Per  essa  infatti  questi  prometteva  a  quello 
di  aiutarlo  «  ad  ognia  sua  possa  et  cum  ognia  suo  inzegno  » 
neir  acquisto  della  città  di  Genova  e  pertinenze,  protestandogli 
d'ora  innanzi  fedeltà  ed  obbedienza,  e  riconoscendolo  perciò  «  in 
M  suo  vero,  unico  et  legitimo  signore  »;  in  cambio  lo  Sforza  gli 
avrebbe  concesso,  una  volta  ottenuta  Genova,  a  titolo  di  feudo 
nobile  e  gentile  il  vicariato  della  valle  d'Arroscia  con  Pieve  (di 
Teco)  e  Ranzo,  più  il  capitaneato  della  Riviera  di  Ponente  da  Noli 
escluso  fino  a  Ventimiglia,  il  godimento  in  perpetuo  di  Castelfranco 
del  Finale  (che  ora  già  possiede),  una  buona  terra  in  Lombardia 
di  reddito  equivalente  ad  Ovada,  tutte  le  prerogative  e  cariche  già 
godute  in  Genova,  un  comando  di  navi  o  galee,  e  diversi  ufficii  a 
scelta  per  alcuni  suoi  fidi  e  parenti  (2).  Tale  convenzione  era  il 
necessario  complemento  della  pace  ratificata  il  20  febbraio,  cui  già 
accennammo  nel  capo  primo.  Un  po'  più  tardi  troviamo  analoghe 
convenzioni  tra  lo  Sforza  e  gli  Adorni  e  lo  Sforza  e  i  Fregosi; 
trattando  egli  così  a  un  tempo  con  tutte  le  frazioni  di  Genova, 
nemiche  fra  loro  (3).  Nondimeno  con  la  repubblica  genovese,  che 
segretamente  si  apparecchiava  a  dominare,  conservava  ufficialmente 
buoni  rapporti,  riuscendo  a  farla  entrare  nell'  alleanza  contro  Ve- 
nezia (4). 


che  il  Giulini  riportò  per  intero,  dicendo  che  essa  si  trovava  sur  una  lapide 
posta  sulla  porta  della  Rocchetta  ;  noi  l'abbiamo  già  per  incidenza  ricordata  ;  la 
riportò  pure  il  Beltrami  ;  e  il  lettore  può  ancora  vederla  in  quest'Archivio,  nel 
Suppl.  I  alla  serie  III  (1894- 190  3),  p.  42. 

(i)  Cfr.  FoRMENTiNi,  op.  cit.,  al  cap.  «  Milizie  »  ;  e  l'opera  vecchia,  ma  pur 
sempre  buona  e  già  più  volte  citata,  del  Ricotti,  voi.  Ili,  p.  157  sgg. 

(2)  Orig.,  cart.,  con  sigillo  aderente,  in  Arch.  cit.,  Trattati,  1428-^). 

(3)  I  documenti  relativi  si  trovano  all' Arch.  cit.,  Potenti  estere,  Genova, 
mazzo  l.  Nulla  conosce  de'  negoziati  corsi  tra  lo  Sforza  e  Genova  nel  1450  e 
successivi  il  SoRBELLT,  Francesco  Sforma  a  Genova,  Bologna,  1902. 

(4)  Ben  diverso  dal  veneziano,  il  dogato  genovese  era  una  specie  di  «  si- 
«  gnoria  »  ;  e  parecchie  famiglie  ambiziose  cercavano  di  assicurarselo,  anche  con 
l'appoggio  straniero,  per  spadroneggiare  nella  città.  All'  epoca  di  cui  parliamo 
Genova,  tornata  a'  dogi  popolari,  era   contestata   tra    i   Fregosi  e  gli  Adorni  ;  i 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA   IN    MILANO,    ECC.  65 

Di  esito  più  felice,  se  non  di  immediata  utilità,  fu  l'altra  con- 
venzione stretta  in  Lodi,  il  17  aprile  1450,  fra  il  duca  Francesco  I 
e  gli  oratori  de'  confederati  della  Lega  degli  Svizzeri.  A  questo 
proposito  sarà  bene  ricordare  che  fin  dal  1440,  lunedì  21  marzo, 
Filippo  Maria  Visconti  avea  stretto  una  tregua  con  gli  inviati  della 
comunità  di  Uri,  Turgovia,  Lucerna,  Schwyz  e  Unterwalden,  va- 
levole fino  al  primo  venturo  ottobre,  per  la  quale,  smesse  le  reci- 
proche ostilità  e  rappresaglie,  specie  per  affari  commerciali,  le  parti 
contraenti  e  i  rispettivi  sudditi  e  collegati  potevano,  con  sicurezza 
e  impunità,  senza  impedimento  reale  e  personale,  e  con  esenzione 
del  dazio  di  pedaggio,  «  venire,  stare,  morari  et  mercari,  abindeque 
u  discedere  et  redire  iterum,  semel,  pluries,quandocunque  et  quotie- 
u  scunque  voluerint  »  ;  l'accordo  definitivo  si  rimanda,  di  comune  con- 
senso, a  non  più  tardi  dell'ottava  «  pascalis  pentecostes  prox.  fut.  »>  (i). 
E  difatti  l'anno  seguente,  martedì  4  aprile,  in  Lucerna,  nella  solita 
sala  del  Consiglio,  venivano  conchiusi  e  firmati  i  capitoli  di  buona 
e  duratura  pace  fra  gli  ambasciatori  del  Visconti,  Agapito  de'  Lan- 
f ranchi  vicario  generale  e  Cristoforo  Gallina  famigliare  e  commis- 
sario del  duca,  e  quelli  della  comunità  di  Uri,  unitamente  agli  altri 
rappresentanti  della  Lega  degli  Svizzeri  (2).  Ma  sembra  che  i  patti 
del  1441  non  siano  stati  sempre  osservati  alla  lettera,  e  che  anzi 
nuove  e  più  gravi  controversie  siansi  verificate  durante  il  fortunoso 


D'Oria  appartenevano  al  partito  de'  «  nobili  ».  Nel  1450  era  doge  Ludovico  da 
Campofregoso  ;  gli  successe  nel  145 1  Pietro  (cfr.  Giustiniani,  Annali  di  Genoa, 
cart.  CCV,  Genova,  1537;  Canaie,  Istoria  della  Rep.  di  Genova,  Firenze,  1858-64, 
voi.  IV)  ;  e  con  lui  appunto,  il  4  novembre  di  quell'anno,  Milano  e  Firenze 
strinsero  lega,  promettendogli  uno  stipendio  mensile  fisso  (ved.  il  documento  in 
Du  MoNT,  Corps  universel  diplom.,  to.  Ili,  par.  I,  p.  188,  n.  136).  Solo  nel  1464, 
com'  è  noto,  lo  Sforza  riuscì  ad  aver  Genova, 

(i)  Arch.  cit.,  Trattati,  1428-$^.  Notisi  che  gli  inconvenienti  principali  av- 
venivano nelle  valli  Levantina  e  di  Belignì,  e  nel  territorio  di  Bellinzoaa. 

(2)  Arch.  e  sede  citata.  Ecco  il  sunto  de'  singoli  capitoli  :  a)  si  concedono 
3000  ducati  a  quelli  della  Lega  Svizzera  sotto  pignorazione  della  valle  Levantina 
sino  al  fiume  Biaschina,  co'  suoi  diritti  e  pertinenze;  b)  gli  svizzeri  sono  esenti 
da  dazi  e  gabelle  per  le  mercanzie  da  condursi  da  e  a  Milano  ;  e)  quanto  alle 
liti  e  controversie  vertenti  tra  le  varie  parti  della  Lega  i  particolari  di  ogni  parte, 
si  eleggono  due  a  boni  viri  »  dal  duca  e  altri  due  da  quelli  della  Lega,  in  Lu- 
cerna, e  se  ne  stabiliscono  tosto  le  funzioni  e  i  poteri  ;  d)  vi  sono  compresi  anco 
gli  uomini  della  valle  del  Reno  e  di  Cruaglia. 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VII.  5 


66  ALESSANDRO   COLOMBO 

periodo  della  repubblica  ambrosiana;  fatto  sta  che  i  rappresentanti 
della  Lega  predetta,  appena  seppero  dell'acquisto  del  ducato  mi- 
lanese per  parte  di  Francesco  Sforza,  e  delle  buone  disposizioni 
sue  a  loro  riguardo,  si  affrettarono  a  inviargli  propri  oratori  per 
congratularsi  seco  lui  del  recente  successo  (i)  e  per  riannodare, 
come  air  epoca  dell'  ultimo  Visconti,  i  buoni  rapporti  di  vicinanza 
e  di  commercio.  Il  duca  di  Milano,  il  quale  non  desiderava  di  me- 
glio che  di  avere  ora  più  che  mai  favorevole  quella  confinante 
confederazione,  accettò  di  buon  grado  le  proposte  de'  delegati 
svizzeri,  pretendendo  però  che  fosse  estesa  anche  alle  terre  di 
Bellinzona  e  di  Varese  la  facoltà  di  condurre,  senza  pagamento 
di  dazio,  mercanzie  dal  territorio  della  Lega  a  Milano  e  viceversa, 
e  facendo  delle  restrizioni  a  proposito  della  richiesta  fatta  da  quelli 
di  Uri  di  avere  la  valle  Levantina  (2). 

Noi  già  sappiamo  quando  e  per  quale  motivo  lo  Sforza  avea 
fatto  rinchiudere  nel  castello  di  Pavia  Guglielmo  di  Monferrato, 
uno  de'  suoi    luogotenenti,  di  cui    avea  ottenuta  la   fede  col   dono 


(i)  Non  è  dunque  vero,  come  afferma  il  Bertolini,  op.  cit.,  p.  46,  che 
Carlo  VII  re  di  Francia  fu  «  fra  gli  stranieri  il  primo  a  riconoscere  il  nuovo 
«  duca  ». 

(2)  I  capitoli,  colle  risposte  del  duca,  si  trovano  in  minuta  cart.  nell'Arch. 
cit.,  Trattati,  ecc.  Una  nuova  convenzione,  e  questa  volta  a  proposito  della  valle 
Levantina,  dovette  seguire  nel  1458  fra  il  duca  e  gli  svizzeri.  Com'è  noto,  Fi- 
lippo Maria  avea  promesso^  fra  i  patti  del  1441,  di  sborsare  a  quelli  della  Lega 
3000  ducati,  di  cui  1000  subito  e  gli  altri  2000  nel  termine  di  anni  sei  (estensibile 
fino  a  15,  e"  non  oltre,  a  beneplacito  della  Lega  stessa),  offrendo  quale  pegno  e 
garanzia,  fino  a  totale  estinzione  del  debito,  la  propria  valle  Levantina  sino  alla  Bia- 
schina,  con  l'obbligo  però  per  la  Lega  di  conservarla  e  reggerla  bene  e  di  re- 
stituirla in  buono  stato.  Orbene  Francesco  I  Sforza,  volendo  mandare  ad  esecu- 
zione quest'ultimo  patto,  rimasto  in  sospeso  nel  1450  (segno  evidente  ch'egli 
allora  non  avea  avuto  i  mezzi  per  pagare  i  2000  ducati,  e  che  questi  d'altra  parte 
non  si  erano  mai  sborsati)  nomina  suo  agente  e  procuratore  speciale  il  dottor  in 
leggi  Antonio  de'  Besana,  col  mandato  di  offrire  i  2000  ducati,  in  ragione  di 
lire  3  e  soldi  4  imper.  ciascuno,  a  quelli  della  Lega  o  ai  loro  agenti,  e  di  farsi 
da  essi,  secondo  i  capitoli  del  1441,  restituire  a  libere  et  expedite  »  la  valle  Le- 
vantina co'  suoi  diritti  e  pertinenze.  L' istrumento  di  procura  fu  steso  in  Milano, 
addì  31  luglio  1458,  dal  notaio  ducale  Giacomo  de'  Perego,  nella  camera  di  re- 
sidenza del  duca,  situata  nella  curia  dell' Arengo  e  prospiciente  la  chiesa  di  S.  Maria 
Maggiore  (Arch.  cit.,  Trattati,  ecc.).  Manca  il  testo  della  convenzione,  strettasi  senza 
dubbio  a  Lucerna,  e  quindi  non  possiamo  dire  quale  ne  sia  stato  l'esito  definitivo. 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  67 

specioso  di  Alessandria  (i).  Parendogli  ormai  giunta  l' occasione 
propizia  di  riparare  a  quel  fallo,  iniziò  con  lui,  ancora  prigioniero, 
delle  trattative,  le  quali  ebbero  esito  soddisfacente  1*8  maggio,  in 
Lodi  (2).  Guglielmo  infatti  prometteva  al  duca  di  lasciargli  il  pos- 
sesso di  quella  città  e  altre  sue  terre  (Frugarolo,  Castellazzo,  Sa- 
cedo.  Cassine,  Solerò,  Felizzano,  Annono,  Refrancore,  ecc.),  di 
indurre  il  proprio  fratello  Giovanni  a  restituirgli  tutti  i  paesi  che 
già  possedeva  Filippo  Maria  nell'alessandrino  (Quargnento,  Bosco, 
Pavone,  ecc.),  di  non  partirsi  da'  territorii  del  Monferrato  o  del 
milanese  per  il  termine  di  mesi  sei  dall'epoca  della  sua  liberazione, 
e  per  un  anno  di  non  perpetrare  cosa  alcuna  a  di  lui  svantaggio. 
In  compenso  lo  Sforza  concedeva  a  Guglielmo  la  libertà,  alle  con- 
dizioni di  cui  sopra  e  non  appena  avesse  ricevuto  in  suo  nome 
«  la  possessione  et  corporale  tenuta  di  Alessandria  cum  le  forteze 


(i)  Cfr.  Ghilini,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  478  (ediz.  Rossola,  1903).  Insieme  con 
la  città,  lo  Sforza  avea  a  lui  donato  le  terre  ad  essa  contigue,  di  cui  vedi  il 
parziale  elenco  nel  citato  Ghilini. 

(2)  Benvenuto  di  San  Giorgio,  che  pubblica  integralmente  tali  capitoli  (Hist. 
Montisf.,  in  R.  I.  SS.,  to.  XXIII,  pp.  727-29;  ed  a  parte,  sotto  il  titolo  di  Oo- 
nica,  Torino,  1870,  pp.  339-41),  pone  la  data  del  9  maggio,  aggiungendo  che  dessi 
furono  ratificati  ed  approvati  per  pubblico  istrumento,  ricevuto  per  Battista  de* 
Bianchi  di  Bergamo  e  Tommaso  Bracco,  notai  di  Lodi,  il  successivo  26  maggio. 
Nell'Arch.  cit.,  Trattati,  1428-^^,  trovammo,  in  redazione  alquanto  diversa  da 
quella  del  San  Giorgio,  la  minuta  di  tali  capitoli,  guasta  per  di  più  dall'  umido  e 
piena  di  correzioni  ed  aggiunte,  sotto  la  data  dell'8  maggio  ;  e  noi  accettiamo 
questa,  quantunque  alla  stessa  sede  trovisi  un  estratto  del  7.°  capitolo  (nella  no- 
stra minuta  detto  9.°)  con  la  data  9  maggio.  Tale  convenzione  è  pure  ricordata 
dal  Corio  ;  ma  egli  non  dà  la  data  (op.  cit.,  voi.  III,  p.  200).  Il  San  Giorgia 
continua  dicendo  che,  dopo  che  parve  al  duca  di  Milano  di  aver  assicurate  le 
cose  dell'alessandrino  con  tali  capitoli  e  successiva  ratificazione,  mandò  il  fratello 
Corrado  Sforza  con  300  cavalli  e  500  fanti  in  Alessandria  e,  ridottola  in  suo 
potere,  fece  rimettere  in  libertà  Guglielmo.  Il  Ghilini  (voi.  I,  p.  480)  narra  invece 
che  quelli  di  Alessandria,  per  l'odio  che  portavano  ai ,  marchesi  di  Monferrato,. 
«  subito  e  di  buona  voglia  si  diedero  al  duca  Francesco  Sforza  ».  Il  Bossola  os- 
serva però  in  nota  che  ciò  non  è  punto  vero,  e  riporta  una  lettera  del  gover- 
natore Costanzo  di  S.  Damiano  e  degli  anziani  della  città  al  commissario  del 
duca  Giorgio  de  Annono,  in  data  17  maggio  1450  (Arch.  cit ,  Docum.  diplom.y 
Dom.  Sfor^.,  14S0),  con  la  quale  gli  si  richiede  di  rinforzare  le  rocche  e  le  porte 
della  città  «  per  schiuare  scandali  et  moto  de  arme  ».  Le  condizioni  per  la  ces- 
sione di  Alessandria  allo  Sforza  furono  stipulate  in  Milano  il  13  settembre '4  50- 
(vedile  in  appendice  agli  Statuti  di  Alessandria). 


68  ALESSANDRO   COLOMBO 

«  sue  •',  un  annuo  assegno  di  2000  ducati  d'  oro,  il  permesso  di 
tenere  100  lance  in  tempo  di  pace  e  200  in  tempo  di  guerra  da 
usare  in  suo  servigio,  la  propria  protezione  e  difesa  contro  chiunque 
avesse  tentato  offenderlo  o  fargli  ingiuria,  ed  un  eguale  trattamento 
per  i  cittadini  di  Alessandria  e  delle  altre  terre  da  lui  presente- 
mente tenute. 

Questa  volta,  però,  i  calcoli  del  signore  di  Milano  andarono  in 
parte  falliti  e,  anziché  acquistarsi  un  amico  sincero,  ne  perdette 
con  lui  parecchi  altri.  La  evidente  prepotenza  del  duca  avea  infatti 
non  solo  disgustato  chi  in  modo  così  crudele  ne  era  rimasto  col- 
pito, ma  anche  chi  per  parentela  o  per  interessi  si  sentiva  a  lui 
congiunto.  Né  d'altra  parte  Venezia,  la  secolare  nemica  del  Visconti, 
e  quindi  del  suo  erede,  avea  mancato  di  soffiar  nel  fuoco.  Laonde, 
spinto  da  essa,  Guglielmo  si  affrettò,  appena  libero,  a  protestare 
contro  la  manifesta  violenza  a  suo  danno,  dichiarando  che  non 
avrebbe  mai  rinunciato  ad  Alessandria  (i);  e  tanto  disse  e  fece, 
che  riuscì  a  staccare  da  Milano  il  proprio  fratello  Giovanni  e  il 
duca  di  Savoia  (2). 

Intanto  Venezia  e  Napoli,  auspice  il  marchese  Leonello  di 
Ferrara,  desioso  di  ricondurre  la  pace  in  Italia,  erano  riuscite  ad 
accordarsi  (2  luglio  1450)  (3);  e  tale  alleanza  era  stata  preceduta 
di  qualche  giorno  (21  giugno  id.),  da  quella  tra  re  Alfonso  e  la 
Repubblica  di  Firenze  (4).  Qualora  in  una  di  esse  si  fosse  potuto 
far  entrare  anche  lo  Sforza,  lo  scopo  encomiabile  dell'Estense  sa- 

(i)  La  solenne  protesta  di  Guglielmo,  ridotta  in  pubblico  istrumento  il  7  giugno 
1450  in  Trino,  per  mano  di  Eusebio  Guiscardi,  segretario  del  marchese  Giovanni, 
è  pure  integralmente  edita  dal  San  Giorgio,  op.  cit.,  in  R.  I.  SS.,  to.  XXIII, 
pp.  729-30;  ed  a  parte,  Torino,  1780,  pp.  341-42. 

(2)  Secondo  il  Ghilini,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  482,  la  lega  tra  Venezia,  da  una 
parte,  e  Ludovico  di  Savoia  e  Giovanni  IV  di  Monferrato,  dall'altra,  fu  stretta 
nel  dicembre  '450  ;  fu  eletto  generale  di  essa  Guglielmo,  al  quale  i  veneziani 
«  in  ricompensa  de'  suoi  stipendi  promisero  la  città  di  Alessandria  ».  11  San 
Giorgio  (loc.  cit.)  narra  alquanto  diversamente  le  cose,  e  ricorda  l' istrumento  di 
condotta  del  marchese  Guglielmo,  in  data  9  aprile  1450  (rogito  Clemente  Te- 
baldini). 

(3)  Du  MoNT,  op.  e  loc.  cit.,  p.  178,  doc.  n.  127.  I  capitoli  di  detta  pace 
furono  pubblicati  in  Belfiore  e  portati  dall'  Estense,  arbitro  fra  le  due  parti,  al 
re  di  Napoli.  Le  pratiche  erano  incominciate  fin  dal  18  aprile  ;  cfr,  Romanin, 
op.  cit.,  voi.  IV,  p.  223. 

(4)  Du  MoNT,  op,  e  loc.  cit.,  p.  175,  doc.  n.   125. 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,   ECC.  69 

rebbe  stato  perfettamente  raggiunto.  Ma  ben  diversi  erano  i  fini, 
a  cui  miravano  Milano  e  Venezia  (i)  ;  onde  ogni  tentativo  di  ac- 
cordo tra  le  due  rivali  riuscì  affatto  inutile.  Ciò  però  non  toglie 
che  tra  di  loro,  e  per  il  tramite  di  Cosimo  de'  Medici,  siano  corse 
vere  e  proprie  trattative  nel  maggio  e  giugno  1450.  Lo  dice  lo 
stesso  Romanin  (2)  e,  prima  di  lui,  lo  hanno  affermato  altri  storici 
attendibilissimi  (3);  per  parte  nostra,  abbiamo  trovato  in  proposito 
qualche  documento  interessante.  Parlando  della  ambasceria  fioren- 
tina allo  Sforza,  in  una  nota  addietro,  ricordammo  tre  missive  del 
carteggio  de'  Signori,  Legazioni  e  Commissarie,  n.°  12,  esistenti 
nell'Archivio  di  Stato  di  Firenze;  e  in  quella,  che  porta  la  data 
del  21  maggio,  abbiamo  visto  l' ordine  dato  al  Neri  e  a  Piero 
de'  Medici  di  fermarsi  ancora  a  Milano,  per  concludere  «  concordia  » 
tra  questa  città  e  Venezia,  mentre  gli  altri  ambasciatori,  il  Pitti  e 
Diotisalvi,  insieme  con  l'Acciaioli,  furono  invitati  senz'altro  a  rim- 
patriare. Nella  terza  missiva,  diretta  al  solo  Neri,  si  insiste  nuova- 
mente su  tale  «  concordia  »;  poi  più  nulla.  Però  noi  possiamo 
seguire  queste  pratiche  per  altri  documenti  rinvenuti  nell'Archivio 
di  Stato  di  Milano.  Il  primo  è  una  lettera  allo  Sforza  scritta  da 
Venezia,  il  23  giugno,  dagli  oratori  fiorentini  Nerio  di  Gino  Cap- 
poni, Giannozzo  de'  Manetti  e  Piero  di  Cosimo  de'  Medici.  In  essa 
si  raccomanda  al  duca  di  far  uso  d'ora  innanzi  d'  un  cifrario,  di 
cui  gli  inviano  copia,  per  maggior  segretezza  e  sicurtà.  Gli  danno 


(i)  La  repubblica  veneta  non  voleva,  fra  l'altro,  restituire  allo  Sforza  il  ca- 
stello di  Brivio,  posto  sulla  riva  destra  dell'Adda,  né  distruggere  il  ponte  da 
essa  costrutto  a  Rivolta  :  questione  di  vita  o  di  morte  pel  duca  di  Milano  ;  cfr. 
anche  la  lettera  dello  Sforza  ad  Antonio  da  Trezzo,  in  data  25  giugno  1450, 
di  cui  parliamo  più  innanzi. 

(2)  Scrive  il  Romanin,  op.  e  loc.  cit.,  che,  mentre  si  combinava  tra  Ve- 
nezia e  Napoli  di  dividere  la  Lombardia  e  di  restituire  Milano  alla  antica  li- 
bertà, «  in  pari  tempo  trattavasi  anche  con  lo  Sforza,  che  mostrava  inclinare  alla 
«  pace  ». 

(3^  Sanuto,  Diariij  e.  11 38:  «  In  questi  giorni  si  trattò  pace  col  Conte 
«  Francesco  Sforza  Duca  di  Milano  al  presente  chiamato.  E  fu  mandato  per  questo 
((  a  Crema  orator  nostro  Pasquale  Malipiero  ;  dove  vennero  gli  oratori  del  detto 
«  Duca,  ma  nulla  fecero  ».  E  C.  a  Soldo,  loc.  cit.  :  «  Da  poi  il...  conte,  ov- 
«  vero  duca  di  Milano  cercò  la  pace  con  grand' istanza  con  la  Signoria  di  Ve- 
«  nezia...  ».  Cfr.  pure:  Simonetta,  op.  cit.,  p.  610;  Corio,  op.  cit,  voL  III, 
p.  200;  Andrea  Navagero,  Storia  Feneiiana,  in  R.  I.  SS.,  to.  XXIII,  p.  11 14; 
S.  Ammirato,  Istorie  Fiorentine^  lib.  XXII,  Firenze,  1848,  to.  V,  p.  11 1  sg. 


70  ALESSANDRO    COLOMBO 

poi  ampio  ragguaglio  dell'  ultime  conferenze  avute  coi  rappresen- 
tanti della  Serenissima,  sul  tema  della  pace  generale  d'Italia:  come, 
cioè,  abbiano  fatto  loro  chiaramente  comprendere,  che  non  si  può 
conchiudere  un'alleanza  seria  con  Firenze,  senza  che  in  essa  non 
venga  compreso  anche  il  nuovo  signore  di  Milano,  data  la  lunga 
e  provata  amicizia  tra  lui  e  la  propria  città;  come  il  giorno  20 
abbiano  ricevuto  una  prima  risposta,  che  li  lasciò  poco  soddisfatti, 
pretendendo  quelli  che,  per  l'efficacia  di  tale  pace  e  lega,  Firenze 
sola  avesse  a  dare  sicurtà;  come  molto  si  sia  discusso  su  questa 
parola;  e  come  infine,  avendo  i  veneziani  preso  tempo  sino  a  ieri 
per  deliberare,  nulla  ancora  abbiano  deciso,  non  ostante  si  fosse  te- 
nuto consiglio  dalla  sera  stessa  di  ieri  «  insino  a  bore  due  di  nocte  "  : 
però  hanno  soggiunto  che  dentro  «  oggi  il  riaranno  »  (1).  Come  si  vede 
Venezia,  seguendo  la  sua  tradizionale  politica,  cercava  di  tergiver- 
sare. E  che  gli  ambasciatori  fiorentini  fossero  da  poco  giunti  in 
questa  città,  è  provato  da  una  lettera  a  loro  diretta  da  Lodi,  il 
medesimo  giorno  25  di  giugno,  dallo  Sforza;  la  quale  tuttavia  non 
è  una  risposta  alla  precedente,  essendo  questa  pervenuta  in  Lodi, 
ove  si  trovava  il  duca,  solo  il  27  successivo  (2).  In  essa  infatti  egli 
si  compiace  col  Neri  e  col  Medici  del  modo  prudente,  con  cui  sep- 
pero condurre  ogni  pratica  dalla  loro  andata  «  lì  in  Vinetia,  fino 
«  ad  quello  dì  XVIIJ,  che  fo  facta  la  uostra  litera  '»;  e  mentre  li 
esorta  a  tenerlo  sempre  informato  di  quanto  verranno  a  sapere  in 
seguito,  affinchè  possano  meglio  regolarsi  fa  loro  conoscere  a  qual 
punto  si  trovano  le  sue  pratiche  di  pace  con  re  Alfonso,  inviando 
copia  dell'  ultima  lettera,  ricevuta  il  giorno  prima  dal  proprio  ora- 
tore in  Ferrara  Antonio  da  Trezzo,  e  della  risposta  a  lui  spedita 
in  questo  stesso  momento,  dove  fra  1'  altro  gli  ordina  di  tenersi 
sempre  in  comunicazione  con  «  le  Magnificentie  Vostre  »  (3).  Impe- 
rocché il  nostro  principe  non  solo  avea  accettato  di  trattare  diretta- 
mente col  Malipiero  e  col  Marcello,  provveditori  veneziani  in  Crema, 
valendosi  in  pari  tempo  della  mediazione  di  Firenze;  ma  andava 
conducendo  delle  pratiche  con  Fra  Puccio,  inviato  del  re  di  Napoli 


(i)  Arch.  cit.,  Potenze  estere,   Venezia,  1421-^$. 

(2)  In  fine  alla  lettera  sopra  citata   si    leggono  infatti    le    seguenti    parole, 
scritte  d'altra  mano,  ma  dell'epoca  :  «  R  [registrata]  laude,  die  27  Junij  1450  ». 

(3)  Arch,  e  sede  citata  ;  minuta  cartacea,  scritta  di  seguito  alla  lettera  dello 
Sforza  ad  Antonio  da  Trezzo. 


L  INGRESSO    DI    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  7I 

a  Ferrara.  La  lettera,  citata  più  sopra,  di  risposta  al  suo  oratore 
Antonio  da  Trezzo,  del  25  giugno,  lo  prova  in  modo  lampante, 
•come  prova  pure  quali  fossero  le  di  lui  intenzioni  nella  pace  con 
Venezia.  Riassumiamola  brevemente.  Preso  atto  di  quanto  gli  vien 
riferito  intorno  alla  lega  che  si  agita  tra  re  Alfonso  e  i  veneziani, 
lo  Sforza  si  dichiara  ben  contento  di  intendersi  con  quel  re,  es- 
sendo stato  sempre  l'animo  suo  «  inclinato  a  la  pace  »,  e  di  nul- 
l'altro  desideroso  che  di  «  essere  buon  figliolo  de  la  prefata  MM»; 
ma  non  può  accettare  la  condizione,  «  che  la  M.t»  soa  possa  fare 
«  pace  cum  venetiani,  et  Nui  non,  senza  soa  licentia  m  in  quanto 
■che,  oltre  a  essere  menomato  ne'  suoi  diritti,  non  saprebbe  come 
regolar  poi  la  propria  questione  con  Venezia,  la  quale  si  tiene 
tuttavia  le  terre  milanesi  di  Rivolta,  Ceretto,  Brevio  e  Baiedo  nella 
Valsassina,  «  tolte  da  puoy  che  loro  feceno  la  pace  cum  Milanesi  w, 
e  al  cui  possesso  egli  non  può  in  alcun  modo  rinunciare.  Difatti 
aggiunge:  due  sole  sono  le  vie  possibili  per  «  rehauere  queste 
*(  cose  nostre...,  o  per  pace  o  per  guerra  »;  indichino  gli  oratori 
napoletani  il  mezzo  migliore  per  uscirne;  per  parte  sua,  è  sempre 
dispostissimo  a  trattar  di  pace,  purché  non  nel  modo  di  cui  sopra 
e  qualora,  come(.  già  prima,  «  li  signori  fiorentini  siano  in  lo  acordio 
•«  nostro.  »  Nella  parte  segreta  della  lettera,  che  si  trova  in  fine 
€  che  perciò  nell'  originale  è  scritta  in  cifra,  lo  Sforza  spiega  al 
suo  oratore  il  perchè  di  questa  apparente  sua  remissività  verso  il 
re  di  Napoli  :  date  le  difficoltà  già  esistenti  per  un  accordo  sincero 
tra  questi  e  la  repubblica  veneta,  Fra  Puccio,  sentendosi  appog- 
giato da  Milano  e  da  Firenze,  non  mancherà  di  accrescere  le  sue 
pretese  e  di  farsi  «  più  gagliardo  »;  le  trattative  quindi  andranno 
per  le  lunghe;  e  nel  frattempo  chi  non  sa  che,  «  vedendo  Venetiani 
«  questo...,  veneranno  ad  conclusione  cum  li  ambaxatori  fiorentini?  » 
Chiude  la  lettera  raccomandandogli  di  tenersi  in  relazione  con  co- 
storo e  di  avvisarli  di  ogni  novità  «  in  la  pratica  fra  el  Re  et 
«  Venetiani  w;  e  gli  fa  capire  che  non  può  nemmeno  un  istante 
abbandonare  il  suo  posto,  essendo  ivi  la  sua  presenza  sommamente 
necessaria  (i). 

Questo,  e  non  altro,  trovammo  nell'archivio  milanese  riguardo 
alla  entrata  di  Francesco  I  Sforza  nella  pace  generale  d' Italia;  non 

(i)  Arch.  e  sede  citata;  minuta  cartacea,  scritta  nel  fol.  di  cui  alla  nota  pre- 
cedente. 


72 


ALESSANDRO   COLOMBO 


se  ne  fece  nulla,  come  già  abbiamo  detto  :  ma  ancora  il  30  giugno 
egli,  in  una  sua  lettera  in  cifra  a  Cosimo,  esistente  nell'archivio  fio- 
rentino (i),  gli  esponeva  le  sue  vedute  e  le  sue  modeste  aspirazioni. 
Allora  pensò  di  rivolgersi  ad  altra  parte.  E  mentre,  con  l'assoldare 
il  conte  Federico  di  Urbino  (2),  compensava  in  certo  qual  modo 
la  perdita  del  marchese  Guglielmo  di  Monferrato,  apriva,  d'accordo 
naturalmente  con  Firenze,  delle  trattative  col  signore  di  Mantova, 
Ludovico  Gonzaga.  Tale  alleanza  gli  portò,  è  vero,  per  contracolpo 
la  defezione  del  fratello  di  lui  Carlo  (3),  già  suo  luogotenente  e 
capitano  generale;  ma  quah  vantaggi  ebbe  di  poi!  Il  riacquisto  di 
Tortona,  il  passaggio  a'  suoi  stipendi  del  Colleoni  (4)    e,  quel   che 

(i)  È  citata  dal  Rubieri,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  231. 

(2)  Du  MoNT,  op.  e  loc.  cit.,  p.  179,  doc.  n.  128.  I  capitoli  di  confedera- 
zione e  condotta  di  Federico  di  Montefeltro  e  di  Durante,  conte  e  poscia  duca 
di  Urbino,  furono  conchiusi  in  Lodi  il  31  agosto  1450.  Cfr.,  sulle  pratiche  per 
la  condotta,  qcc,^  di  Federico  agli  stipendi  dello  Sforza,  il  recente  studio  di  Luigi 
Rossi,  Federico  da  Montefeltro  condotto  da  Francesco  Sfor:(a,  in  Le  Marche,  V-1905, 
pp.  142-55.  Sopra  detto  conte,  oltre  le  biografie  del  Muzio,  Historia  de'  fatti  di 
Federico^  ecc.,  Venezia,  1605,  e  del  Baldi,  Vita  e  fatti  di  Federico,  ecc.,  Roma,^ 
1824,  vedine  la  vita  scritta  dal  Filelfo,  edita  dal  prof.  Giovanni  Zannoni,  secondo 
il  testo  finora  inedito  nel  cod.  Vaticano-Urbinate  1022,  in  Atti  e  Mem.  della 
R.  Deput.  di  star,  pai.  per  le  prov.  delle  Marche,  voi.  V,  Ancona  1901,  pp.  265-420. 

(5)  Egli  infatti,  appena  avuto  sentore  dell'accordo,  siccome  odiava  il  fratello, 
cui  diceva  «  usurpatore  »,  pensò  di  staccarsi  dal  duca;  ma  questi,  insospettitosene, 
lo  avea  fatto  rinchiudere  in  Rinasco  (15  novembre  '450),  per  liberarlo  più  tardi, 
a  patto  gli  cedesse  Tortona  ;  cfr.  B.  di  San  Giorgio,  p.  726  ;  Soldo,  op.  cit., 
pp.  865-70;  Ricotti,  op.  cit.,  voi.  Ili,  p.  159.  Il  Du  Mont,  op.  e  loc.  cit.,. 
p,  184,  doc.  n.  152,  pubblica  la  «  promissio  per  Carolum  de  Gonzaga  marchionem 
«  Mantuae,  Francisco  Sfortiae  Vicecomiti  Duci  Mediolani  facta,  de  servandis  fi- 
«  nibus  ei  constitutis,  sub  pena  80.  milium  Ducatorum  »,  in  data  17  marzo  1451  ; 
l'atto  è  steso  in  Milano,  nella  casa  del  milite  Francesco  da  Lauduano  (cosi  scrive 
il  Du  Mont  ;  leggi  meglio  :  Landriano),  ove  dimora  presentemente  il  Gonzaga,, 
dal  notaio  Jacopo  da  Perego  :  con  esso  il  Gonzaga  accetta  a  promissiones,  obli- 
«  gationes  et  juramentum  »  presentatigli  in  iscritto  da'  procuratori  del  duca  di 
Milano  Giovanni  de  Amelia  e  Cicco  Simonetta,  secondo  l' istrumento  di  mandato 
del  16  marzo  id,,  a  rogito  del  notaio  Perego  stesso. 

(4)  Egli,  fuggendo  da'  veneziani,  che  avevano  assoldato  Gentile  da  Leonessa, 
si  rifugiò  in  Mantova,  e  di  qui  dallo  Sforza  ;  il  quale  gli  promise,  arridendo  le 
sorti  della  guerra,  una  signoria  di  Bergamo  o  di  Brescia.  La  moglie  e  le  figlie 
del  Colleoni  furono  però  catturate  da'  veneziani.  Cfr.  G,  Rosa,  Bartolomeo  Col- 
leoni da  Bergamo,  in  Arch.  stor.  ital..  Ili  serie,  IV,  1866,  p.  165.  Nonché:  Si- 
monetta, op.  cit.,  p.  611  ;  Soldo,  op.  cit.,  p.  868;  Sanuto,  op.   cit.,   e.  1140; 


L  INGRESSO    DI    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  73 

più  monta,  un  aiuto  non  disprezzabile  alle  porte  stesse  di  Ve- 
nezia. 

Incaricato  di  stringere  e  firmare  i  patti  col  marchese  Gonzaga,^ 
a  nome  del  duca  di  Milano,  furono  il  conte  Galeazzo  d'Arco  e 
Antonio  Guidobono.  Essi  partirono  per  Mantova  dopo  Tu  ottobre  ;^ 
e  notevole  è  la  seguente  dichiarazione,  che  si  trova  in  principio 
del  trattato:  «  ....  ad  celebratione  de  quali  capituli  et  intelligentia  se 
«  peruene  per  lo  p.^o  I.  S.  Duca  cum  lo  p.^o  S.  Messer  lo  Marchese 
u  per  manutentione  del  stato  suo,  per  non  remanere  improuiso  ali 
«  casi  poriano  occorrere,  quantunche  la  intentione  et  volontà  del 
«  prefato  I.  S.  Duca  sia  et  è  de  vivere  in  pace  et  quietamente  cum 
«  cadauno  signore,  potentia  et  signoria,  et  presertim  cum  la  IH."'* 
«  s."^  de  Venezia....  ».  Secondo  il  costume  ormai  invalso  nella 
diplomazia,  queste  parole  si  devono  intendere  appunto  nel  loro 
senso  contrario;  se  vuoi  vivere  in  pace,  dicevano  gli  antichi  romani^ 
preparati  alla  guerra.  E  la  guerra  covava  difatti,  e  minacciava  di 
diventar  terribile  per  tutti,  e  generale  per  l'Italia;  se  non  che  la 
reciproca  paura  (i),  le  speciali  condizioni  di  ogni  stato  (2)  e  il  de- 
siderio di  non  essere  il  primo  a  provocarla  la  ritardarono  ancora 
di  qualche  anno.  De'  sedici  capitoli  conchiusi  tra  Milano  e  Mantova, 
notevoli  sono  i  seguenti:  l'alleanza  politica  sarà  consolidata  col 
matrimonio,  da  celebrarsi  a  suo  tempo,  del  figlio  di  Francesco 
Sforza,  Galeazzo,  con  una  delle  figlie  di  Ludovico  Gonzaga,  Su- 
sanna (3);  il   Gonzaga   stesso   passerà  agli   stipendi   del  duca,   col 

Spino,  Vita  del  Colleoni,  voi.  V,  p.  154;  RicoiTi,  op.  cit.,  voi.  HI,  pp.  159-60. 
Nuovi  documenti  sul  Colleoni  reca  C.  Canetta,  La  pace  di  Lodi  (^  aprile  i4S4)r 
in  Riv.  stor.  itah,  a.  Il,  1885,  p.  562.  Ricordiamo  ancora  che  il  Colleoni  appare, 
quale  teste,  nella  stipulazione  del  trattato  di  alleanza  tra  Milano  e  Firenze,  di 
cui  parleremo  più  avanti. 

(i)  Lo  Sforza  temeva  specialmente  dalla  Francia,  per  i  pretesi  diritti  che 
quel  re  poteva  vantare  sul  Milanese  ;  onde  egli  non  dichiarò  guerra  a  Venezia^ 
fino  a  tanto  che  non  si  vide  sicuro  anche  da  quella  parte. 

(2)  In  Milano  e  nel  ducato  era  scoppiata,  sulla  fine  del  1450,  la  peste;  essa 
infierì  poi  nell'estate  del  '51,  menando  ovunque  grande  strage:  solo  in  quella 
città  infatti  erano  morte  30.000  persone  (cfr.  Simonetta,  op.  cit.,  p.  610;  Corio, 
op.  cit.,  voi.  III,  p.  200),  e  secondo  altri  (SANaro,  Diarii,  e.  1138;  Bossi,  Cro- 
naca, all'anno  1450)  circa  60.000  ! 

(3)  Tale  contratto  di  matrimonio,  o  meglio  fidanzamento,  venne  qualche 
anno  dopo  modificato,  essendo  sopravvenuta  una  deformità  nella  promessa  sposa^ 
e  si  sostituì  a  Susanna  la  seconda  figlia  del  marchese,  Dorotea  (1454).  E  anche 


1 


74  ALESSANDRO    COLOMBO 

titolo  di  «  luogotenente  generale  »  e  l'annua  provvisione  di  30  mila 
■ducati,  a  cominciare  dal  i  aprile  1451;  però  egli  e  il  fratello  suo 
Alessandro  saranno  costretti  a  prestargli  man  forte,  con  proprii 
fanti  e  cavalli,  in  caso  di  guerra  con  i  veneziani,  ricevendo  allora 
una  nuova  provvisione  supplementare;  non  potrà  il  marchese  co- 
minciare o  finire  la  guerra  a  suo  beneplacito  ;  terminata  questa  con 
l'acquisto  delle  città  di  Verona  e  di  Vicenza,  esse  passeranno  sotto 
il  suo  dominio,  rinunciando  alla  predetta  ultima  provvisione.  Negli 
stessi  capitoli  è  pur  contemplato  il  caso,  che  l' altro  fpatello  del 
marchese,  Carlo,  prenda  le  parti  de'  veneziani  :  egli  allora,  perdendo 
in  guerra  le  proprie  terre  del  cremonese  e  del  mantovano,  le  potrà 
riavere  soltanto,  a  pace  conchiusa,  dalle  mani  di  Ludovico.  Infine 
il  duca  promette  al  suo  nuovo  alleato  che  «  farà  ogni  opera  ad 
«  luy  possibile  »,  affinchè  egli  venga  da'  fiorentini  soddisfatto  di 
quanto  ancora  essi  gli  devono  «  per  lo  seruitio  suo  »;  e  lo  lascia 
libero  di  intimar  guerra  a  Venezia  come  vuole,  quindici  giorni 
avanti  la  dichiarazione  delle  ostilità.  L'  atto  definitivo  dev'  essere 
stato  conchiuso  in  Mantova,  non  sappiamo  però  in  qual  giorno  (1). 
Un  mese  dopo,  e  sempre  per  far  vedere  che  egli  in  apparenza 
seguiva  una  linea  pacifica  di  condotta,  Francesco  Sforza  inviava  a 


questo,  verso  la  fine  del  1465,  fu  annullato,  perchè,  accampando  informazioni 
avute,  lo  Sforza,  che  vagheggiava  per  suo  figlio  un  matrimonio  con  la  casa  reale 
"di  Francia,  pretendeva  una  visita  medica,  che  non  venne  concessa.  Cfr.  A.  Dina, 
Qualche  no tt:(ta  su  Dorotea  Coniala,  in  quesV Archivio,  XIV,  1887,  pp.  562-7;  e 
L.  Beltrami,-  U annullamento  del  contratto  di  matrimonio  fra  Galea^io  Maria 
Sforma  e  Dorotea  Gonzaga  (146^),  in  quest'Archivio,  XVI,  1889,  pp.  126-32. 

(i)  Nell'Arch.  di  Stato  di  Milano,  Trattati,  ecc.,  esiste  solo  la  minuta  car- 
tacea, o  meglio  1'  a  abbozzo  »  di  questo  trattato  ;  ed  è  appunto  quello  che  noi 
abbiamo  riassunto.  Nulla  trovasi  al  riguardo  all'Arch.  di  Stato  di  Mantova;  laonde 
pare  che  il  trattato,  se  fu  veramente  concluso  (sul  che  non  dovrebbe  essere  dubbio, 
dal  momento  che  lo  ricorda  anche  il  Conio,  op.  cit ,  voi.  Ili,  p.  200),  dovette 
rimanere  per  lo  meno  «  segreto  ».  Che  poi  Galeazzo  d'Arco  e  Antonio  Guido- 
bono  siansi  recati  a  Mantova,  e  quindi  subito  siano  ritornati  a  Milano  con  le 
risposte  del  marchese,  risulta  da  una  lettera  de'  sopracitati  oratori  al  predetto 
marchese,  in  data  Milano  io  novembre  1450,  nella  quale  essi  gli  partecipano 
avere  riscontrato  nello  Sforza,  loro  signore,  buone  disposizioni  verso  di  lui,  avendo 
accettato  «  cordialmente  h  quanto  gli  significarono  a  suo  nome;  l'assicurano  in- 
fine che  il  matrimonio  si  effettuerà  con  reciproca  soddisfazione  (Arch.  di  Stato  di 
Mantova,  Milano,  14^0,  notizia  comunicatami  gentilmente  dal  direttore  del  pre- 
detto Archivio). 


L  INGRESSO    DI    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  75 

Federico  III  il  proprio  oratore  Sceva  da  Corte  «  ad  petendam 
u  inuestituram  ducatus  »  (i):  un  accordo  infatti,  quantunque  non 
del  tutto  sincero,  si  riusciva  a  firmare  tra  loro  il  io  aprile  1451  (2). 
Nel  luglio  di  questo  anno  poi  si  stringeva  ufficialmente  la  lega 
difensiva  ed  offensiva  tra  Milano  e  Firenze  (3);  e  ad  essa,  come 
abbiam  visto,  aderì  più  tardi  Genova  (4).  Ma  di  maggiore  impor- 
tanza fu  la  entrata  in  codesta  confederazione  (o  lega  di  guerra) 
del  re  di  Francia  Carlo  VII,  dopo  non  brevi  trattative  (5),  e  in  se- 
guito agli  sforzi  dell'  abile  Acciaioli  e  all'  intervento  di  Renato 
d'Angiò,  pretendente  al  trono  di  Napoli  e  Sicilia  (6).  Una  prima  con- 
venzione fu  infatti  firmata  il  21  febbraio  1452  a  Montils-les-Tours  (7)  ; 


(i)  Il  SiCKEL,  op.  cit.,  p.  217,  nota  i,  ricorda  un  «  Mandatum  Ducis  Fran- 
«  cisci  primi  in  Scevam  de  Curte  ad  petendam  investituram  ducatus  a  Ser.mo 
«  Imperatore  Federico,  d.  d.  5  decembris  1450  »;  copia  autentica,  nell'Arch.  ci- 
vico di  Milano  (ora  Arch,  civ.  stor.,  Dicasteri,  4),  entro  quella  de'  capitoli  del 
26  febbraio. 

(2)  BasER^  op.  cit.,  pp.  49  e  369-70.  I  contraenti  furono  lo  stesso  da  Corte 
e,  per  parte  dell'  imperatore,  Enea  Silvio  Piccolomini.  Per  le  trattative  seguenti, 
cfr,  anche  Giampietro,  La  pretesa  dona-^ione  di  Filippo  Maria  Visconti  a  Fran- 
cesco Sforma,  in  (\\iqsI^ Archivio,  III,  1876,  p.  649.  Qualche  notizia  nuova  trovasi 
in  Perrens,  Histoire  de  Florence,  etc,  Paris  1888,  to.  I,  p.   146  sgg. 

(3)  Copia  autent.,  perg.,  in  Arch.  cit.,  Trattati,  ecc.  ;  quivi  pure  si  trova  la 
minuta  cart.,  non  che  altre  due  minute  con  solo  alcuni  capitoli.  La  lega  fu  stretta 
in  Cremona  il  30  luglio.  Xe  parlano:  Simonetta,  op.  cit.,  pp.  6io-ii,-  Decembri, 
Vita  Frane.  Sfori.,  R.  L  SS.,  to.  XX,  p.  1045  i  Sanuto,  Diarii,  e.  11 39;  Ammi- 
rato, op.  e  Ice.  cit.  ;  Machiavelli,  op.  cit.,  voi.  VI,  p.  26  ;  Rosmini,  op.  cit., 
voi.  II,  p.  466.  Dà  un  breve  sunto  del  trattato  stesso  il  Canetta,  op.  cit., 
p.  519;  lo  ricorda  pure  il  PerreT,  Histoire  des  relations  de  la  Franca  avec  Ve- 
nise,  già  cit,,  voi.  I,  p.  221,  citando  in  nota:  a  Bibl.  Nation.  [de  Paris],  ms. 
ital.  1585,  fol.  211  »,  e  rimandando,  oltre  al  Canetta,  che  già  conosciamo,  al 
Beaucourt,  Histoire  de  Charles  VH,  voi.  V,  p.  155,  nota  4. 

(4)  Nell'Arch.  di  Stato  di  Milano,  sede  Trattati,  tee,  trovasi,  in  data  Lodi, 
13  dicembre  1452,  la  nomina  fatta  dal  duca  Francesco  I  Sforza  de' suoi  aderenti 
e  raccomandati  in  seguito  alla  lega  e  confederazione  contratta,  il  4  novembre  '451, 
fra  esso  e  il  signor  Pietro  Campofregosi  doge,  la  comunità  di  Genova  e  quella 
di  Firenze. 

(5)  Cfr.  BusER,  op.  cit.,  pp.  $2-55,  56-60,  372-74;  Desjardins,  Né^ociations  di- 
plomatiques  de  la  France  avec  la  Toscane,  voi.  I,  pp.  82-83  5  PeRREns,  op.  e  loc.  cit.. 

(6)  Cfr.  E.  Colombo,  Re  Renato  alleato  del  duca  Francesco  Sforma  contro  i 
Veneziani,  in  (\vìq^\.'' Archivio,  XXI,   1894,  i-ii,.pp.  79-136  e  361-398. 

(7)  Colombo,  op.  cit.,  p.  82.  Il  documento  (il  cui  originale  trovasi  a  Parigi, 
mentre  in  Milano,  x\rch.  di  Stato,   Trattati,  qcc,   non  esiste  che  una  copia  con- 


76  ALESSANDRO    COLOMBO 

e  per  essa  i  fiorentini  e  lo  Sforza  da  una  parte  promettevano  dì 
appoggiare  i  legittimi  diritti  di  Renato,  dall'altra  il  re  si  impegnava 
di  aiutarli  fino  alla  festa  di  S.  Giovanni  del  1453  contro  tutti,  ec- 
cetto il  papa  e  l' imperatore,  e  di  inviare  in  loro  aiuto  un  principe 
del  sangue  o  un  altro  capitano:  non  si  escludeva  però  la  speranza 
che,  durante  questo  tempo,  ogni  contesa  si  sarebbe  potuta  appia- 
nare. La  stessa  convenzione  venne  poi  prorogata  e  raffermata  da 
altre  ambascerie  (i). 

Ormai  i  due  campi  sono  nettamente  distinti:  parteggiano  per 
Milano,  oltre  Firenze,  gli  Svizzeri  Mantova  Genova  Angiò  e  Francia  ;^ 
per  Venezia,  oltre  Alfonso  di  Napoli,  il  Monferrato  Savoia  Correggio 
e  Siena  (2);  restano  neutrali  il  papa,  l'imperatore   e   Bologna  (3). 

temporanea  in  un  frammento  di  registro)  è  ricordato  dal  Sickel,  op.  cit.,  p.  217, 
nota  2,  e  per  conseguenza  dal  Bertolini,  op  cit.,  pp.  46-47;  ma  con  errore  di 
data:  145 1.  Giacché  i  due  chiarissimi  autori  non  hanno  posto  mente  che,  se- 
condo lo  stile  francese  (sec.  XV),  l'anno  incominciava  in  Francia  dalla  Pasqua  ; 
e  quindi  il  21  febbraio  145 1  del  nostro  documento  è  per  l'Italia  2L  febbraio  1452. 
(i)  Colombo,  op.  cit.,  pp.  106-08,  doc.  II.  1  capitoli  della  lega  furono  stretti 
nel  castello  di  porta  Giovia  in  Milano,  il  3  aprile  1452.  Inutilmente  re  Alfonso 
cercò  di  attraversare  tale  lega,  inducendo  il  re  di  Francia  ad  allearsi  con  lui  : 
di  ciò  anzi  fu  avvertito  lo  Sforza  dal  cardinale  d' Angiò,  con  sua  lettera  d.  d. 
Borges  16  giugno  '452  (Colombo,  op.  cit.,  pp.  10809,  doc.  III).  Cfr.  anche  De- 
CEMBRi,  op.  e  loc.  cit. 

(2)  La  lega  tra  Alfonso  di  Napoli  e  la  repubblica  di  Venezia  era  stata  con- 
chiusa fin  dalla  primavera  del  145 1  (il  Rosmini,  op.  cit,  voi.  II,  p.  466,  dice 
nel  marzo)  ;  Siena  vi  aderì  il  26  marzo  id.  ;  e  il  16  aprile  id.  Luigi  di  Savoia  e 
Giovanni  di  Monferrato  (cfr.  Sanuto,  Diarii,  e.  1140;  Romanin,  op.  cit.,  voi.  IV, 
p.  223  ;  Gabotto,  Lo  stato  sabaudo,  ecc.,  voi.  I,  p.  19,  e  note  i  e  2). 

(3)  In  un  registro  frammentario  (foli,  numerati  :  120-22)  dell' Arch.  di  Stato 
di  Milano,  sede  Trattati,  ecc.,  si  trovano  quattro  documenti  relativi  alla  tentata 
lega  tra  Venezia,  Napoli  e  Bologna.  Riservandoci  di  parlarne  piìi  dififusamente 
altrove,  ci  contentiamo  per  ora  di  darne  un  sunto.  Il  primo  documento,  in  data 
20  dicembre  145 1,  contiene  la  domanda  di  Fra  Puccio,  oratore  del  re  di  Napoli, 
e  di  Pasquale  Malipiero,  oratore  di  Venezia,  alla  comunità  di  Bologna  di  voler 
entrare  nella  loro  lega.. Il  secondo  documento  contiene  copia  delle  lettere  de'  Dieci 
della  Balia  di  Firenze,  in  data  19  dicembre  '451,  alla  comunità  stessa  di  Bologna, 
avendo  essi  subodorato  che  si  cercava  di  farla  partecipe  di  quella  lega.  Il  terzo 
documento,  senza  data,  è  la  risposta  di  Bologna  agli  oratori  napoletano  e  vene- 
ziano, dalla  quale  appare  che  detta  città,  in  caso  di  guerra  tra  Venezia  e  Firenze, 
vuole  assolutamente  mantenersi  neutrale.  E  tale  dichiarazione  è  in  modo  solenne 
riconfermata  nell' istrumento,  rogato  addi  28  dicembre  145 1  (veramente  si  legge 
1452,  ma  «  a  nativitate  Domini  »),  in  Bologna,  dal  notaio  e  cancelliere  de'  se- 
dici riformatori  della  comunità,  Alberto  de'  Parisii  fu  Pietro  (doc.  IV). 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  77 

Un  ultimo  tentativo  di  risolvere  ogni  vertenza,  senza  spargi- 
mento di  sangue  e  turbamento  della  pace  italiana,  era  stato  l'offerta 
di  arbitrato  fatta  dallo  Sforza  al  pontefice,  nell'ottobre  145 1  (i); 
riuscito  vano  anch'  esso,  non  rimase  che  ricorrere  alla  decisione 
delle  armi.    E    le  prime  operazioni  di   guerra    incominciarono   nel 

giugno  1452  (2). 

Alessandro  Colombo. 


DOCUMENTI  (*) 


I. 

Capitoli  per   la    condotta  del    conte   Jacopo    Piccinino 

a'    SOLDI    DELLO    SfORZA. 

Vimercate,  22  febbraio  14S0. 

[Arch.  di  Stato  di  Milano,  Docum.  diplom.,  Repub.  Ambr,,  14^0]. 

1  Questi  sonno  capitoli,  pacti  et  conuentioni  facti,  conclusi  et  sigel- 
lati  fra  lo  III.  S.  conte  Francescosforza  Vesconte  etc.  et  lo  magnifico 
conte  Jacomo  Picinino,  come  appare  qui  de  sotto,  videlicet  : 

Imprimis  el  prefato  111.  S.  Conte  acepta  esso  conte  Jacomo  per  suo 
genero  et  figliolo,  remettendogli  ogni  ingiuria   et   cose   fusseno   seguite 

(i)  Sono  le  famose  «  Istruzioni  a  Niccolò  Arcimboldo  »,  in  data  Piacenza 
24  ottobre  145 1,  le  quali  abbiamo  avuto  occasione  di  ricordare  più  volte;  ne 
parleremo  più  diffusamente  in  un  lavoro  a  parte. 

(2)  RoMANiN,  op.  e  loc.  cit.  :  «  La  guerra  fu  dichiarata  il  16  maggio  1452 
«  dalla  repubblica  e  l'ii  giugno  dal  re...  ».  Il  Cipolla,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  442, 
nota  9,  ricorda  le  lettere  di  sfida  dello  Sforza  a'  condottieri  veneti  e  di  questi  a 
quello,  in  data  del  31  ottobre  e  i.°  novembre  '452,  in  Archivio  Veneto,  to.  XIII, 
p.  218  sgg.  Ma  già  nella  lettera  dello  Sforza  ad  Antonio  da  Trezzo,  del  6  giugno 
'452  (in  regesto  in  quest'Archivio,  XXIV,  1897,  11,  p.  368),  si  fa  a  costui  par- 
tecipazione della  sfida  contro  Venezia. 

(*)  Sento  il  dovere  di  ringraziare  qui  pubblicamente  i  signori  dott.  Gio- 
vanni Vittani  e  Achille  Giussani,  dell'Archivio  di  Stato,  dott.  Ettore  Verga,  del- 
l'Archivio civico  storico,  ing,  Emilio  Motta,  della  biblioteca  Trivulziana,  i  quali 
tutti  mi  furono  larghi  e  cortesi  nella  ricerca  e  comunicazione  de'  documenti  ne- 
cessari alla  presente  Memoria. 

I.  Riproduciamo  la  copia  A,  dando  qui  le  varianti  di  B,  la  quale  cosi  ap- 
punto incomincia  :  Resposte  ale  domande  del  Magnifico  conte  Jacomo  picinino. 
Item  ala  parte.... 


78  ALESSANDRO    COLOMBO 

per  lo  passato,  et  non  volerne  may  per  alcuno  tempo  recognoscere 
cosa  alcuna,  ma  el  tenera  et  hauerà  per  caro  suo  genero,  come  de 
sopra  e  dicto. 

Item  alla  parte  che  1  domanda  esso  conte  Jacomo  la  figliola  d'esso 
I.  S.  Conte  2  et  per  dota  Como  cum  lo  comasche,  responde  el  prefato 
Conte'  che  è^  contento  de  dargli  la  dieta  soa  ^  figliola  et  Como,  come 
el  domanda. 

Item  alla  parte  de  Parma  col  parmesano,  dice  esso  che  non  pò  ^ 
credere  chel  prefato  conte  Jacomo,  uolendolo  ^  per  patre,  come  ^  è  certo 
chel  vole,  chel  debia  volere  chel  se  priui  ^  della  porta  de  Lombardia, 
come  è  Parma,  et  considerato  ancora  che  1"  dalla  M.ta  del  Re  de  Ra- 
gona,  dalla  Segnoria  de  Venexia  et  da  tucti  doy  li  Marchesi  li  è  stata 
domandata,  ali  quali  ^^  luy  non  ha  may  per  ninno  modo  uoluto  con- 
sentire. 

Item  ala  parte  de  Piasenza  col  piasentino,  dice  ^^  esso  Conte  es- 
sere contento  de  dargli  la  cita  de  Piasenza  col  piasentino,  zo  è  quello 
che  di  presenti  responde  et  è  subgietto  ala  cita,  et  ancora  quello  che 
tene  el  Conte  predicto  1'.  Ma  de  Riualta  et  Borgonouo  dice  che  col  tempo 
congruo  gli  darà  fauor  ad  aquistarlo. 

Item  ala  parte  de  quello  se  aquistarà  1*  li  debia  dare  el  terzo, 
exceptuato  Ghiaradadda  et  Crema,  dice  esso  Conte  ^^  essere  contento, 
exceptuandone  ancora  Bressa  col  Bressano^  quale  per  Milanesi  li  fo  i^ 
promesso  per  capitoli  ''',  intendendose  però  della  parte  che  toccarà  ad 
esso  conte  per  respecto  alle  conuentioni  et  capitoli,  ch'elio  ha  con  la 
M.ta  del  Re  de  Ragona. 

Item  a  la  parte  chel  dice,  che  col  tempo  el  satisfaza  d'ogni  denaro, 
che  restasse  ad  hauere  da  Milanesi,    dice    esso    conte  chel  è   contento. 

Item  a  la  parte  chel  dice,  che  ogni  cosa  chel  promettesse  a  quelli  ^^ 
suoy  amici  ^^  de  Milano  che  1'  habia  rato  et  fermo,  dice  esso  conte  chel  è 
contento  ^^,  sperando  chel  debia  promettere  cose  honeste  et  raxoneuole. 

Item  a  la  parte  che  ^^  tucte  le  possessione  et  case,  che  li  fusseno  do- 
nate in  Milano,  siano  sue,  saluo  quelle  deli  Bossi  22^  dandogli  el  contra- 
cambio, dice  esso  Conte  chel  è  contento,  exceptuato  quello  fusse  deli 
Bossi  23. 


I.  B  :  dice  et.  2.  B  :  omette  dalla  parola  d'  esso.  3.  B  :  la  prefata  Ex.  4.  B  v 
son.  5.  B:  mia.  6.  B:  dico  che  non  posso.  7.  B:  tiolendome.S.  B  aggiunge:  credo 
chel  uoglia.  9.  B:  chio  me  priui  dela p.  io.  B  ha  invece:  da  molti  Segno i  me  e 
domandata,  ali  quali...  11.  B:  per  niuno  m.  non  ho  uoluto  e.  12,  B:  dico  essere  e. 
13.  B:  che  tengo  mi;  omettendo  quanto  segue.  14.  B:  aquista.  15.  B:  dico  essere 
e;  e  cosi  sempre  nella  prima  persona  in  tutti  que'  luoghi,  nei  quali  A  porta  la 
lerT^a,  e  che  per  brevità  e  come  facilmente  riconoscibili  si  ometteranno  in  seguito. 
16.  B:  me  tra.  I7.  B:  omette  quanto  segue.  18.  B:  ad  quelli.  19.  B  aggiunge: 
citadini.  20.  B  ha  in  seguito:  dummodo  eh'  elle  siano  cose  iuste  et  raxoneuole.  21.'  B 
aggiunge:  dice  che.  22.  B:  de  Theodoro  Bosso.  23.  B;  in  sopra  linea;  prima  era  stata 
scritto:  de  Luxsino  et  dela  casa  Bossi. 


L  INGRESSO    DI    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  79 

Item  a  la  parte  della  conducta  de  le  looo  lanze  et  ducati  40  per  lanza 
et  deli  mille  fanti  et  ducati  4  per  paga,  dice  esso  Conte  essere  con- 
tento. 

Item  a  la  parte  chel  dice,  che  Hi  daghi  al  presente  ducati  15000,  dice 
esso  Conte  essere  contento  de  darli  ducati  1000  \ 

Item  a  la  parte  chel  dice,  che  tucto  quello  che  luy  prometterà  a  Messer 
Johanne  de  Lanuce  Thabia  rato  et  fermo,  dice  el  predicto  Conte  essere 
contento,  sperando  chel  debia  promettere   cose    honeste  et  raxoneuole. 

Item  a  la  parte  chel  sia  locotenente  delle  terre  et  gente  d'arme  d'esso 
Conte,  dice  chel  è  contento,  reseruato  el  S.  Messer  Charlo,  el  quale  è 
suo  capitano,  eh'  agli  promesso  non  harà  altro  superiore  chel  Conte  \ 

Item  de  quante  paghe  de'  hauere  Tanno  el  conte  Jacomo,  el  Conte 
prefato  lo  remete  a  quello  dirà  Luchino  Palmiro. 

Et  uiceuersa  el  prefato  conte  Jacomo  promete  et  se  obliga  de  re- 
cognoscere  tucte  le  citade  et  terre  et  castelle,  che  esso  ^  Conte  li  darà 
in  feudo  *,  et  farane  la  debita  fidelità. 

Item  ch'ella  ferma  del  prefato  conte  Jacomo  sc  *  intenda  et  duri  uno 
anno  fermo  ^,  et  uno  a  beneplacito,  incomenzando  dal  di  chel  detto  conte 
Jacomo  se  discouererà. 

Item  esso  conte  Jacomo  promette  et  se  obliga,  per  li  presenti  ca- 
pituli  al''  prefato  Conte,  de  descourerirse  ^  dui  di  da  poy  ^  sigellati  che 
seranno  li  presenti  capituli,  et  obedire,  fare  et  exeguire  integramente 
quanto  et  come  per  esso  Conte  1°  o  suo  mandato  li  sera  rechiesto,  or- 
dinato et  comandato,  senza  alcuna  exceptione  né  contradictione,  e  ser- 
uire  al  prefato  Conte  11  fidelmente  et  lialmente  con  tucta  la  sua  compa- 
gnia da  cauallo  et  da  pie,  come  de'  fare  zascuno  ^  fidele  homo  et  sol- 
dato. 

Li  quali  tucti  capituli  forono  facti  et  sigellati  a  Vimercato  ^^^  adi 
XXIJ  de  febraro  1450,  et  per  piij  fermeza  delli  dicti  capituli  et  cose 
supradicte  esso  I.  S.  Conte  li  ha  scripti  tucti  1*  de  soa  propria  mano, 
et  subscripti  pur  de  soa  mano  ^,  et  sigellati  del  suo  ^^  sigeilo. 

Frane iscusfortia  vicecomes  inanu  propria  scripsi  et  subscripsi  i^. 


1.  B:  X.™;  forse  è  piìi  esatto.  2.  B  ha  invece:  Messer  Charlo^  al  quale  io  ho- 
promesso  che  sia  mio  capitano  generale  et  de  non  hauere  altro  superiore  che  tiij. 
Segue  quifidi,  nel  verso,  quanto  in  ^  è  posto  all'ultimo  capitolo.  3.  B  aggiunge: 
/.  5.  4.  B  :  omette  quanto  segue.  5.  B  ha  un  altro  :  se.  6.  B  ha  quindi  :  Inco- 
menzando   dal    di    dela  data  de  li  presenti  capituli,  et  vnaltro  a  beneplacito  desso 

I.  S.  Conte.  7.  B:  a  la  ExM^  del  pr  e  fato  III.  S  conti  Francescosforia  Vesconte  etc. 
de  descourirse...  8.  B    aggiunge:  fra.  9.  B:  che   seranno  s.    lO.  B:  p.    la    s.    sua. 

II.  B  ha  invece:  a  la  prefata  s.  sua  cum  tucta  la  sua  compagnia  d.  e.  et  d.  p. 
fidelmente  et  rectamente,  corno  de  fare...  12.  B:  ciascuno,  13.  B  aggiunge:  done  esso^ 
Conte  allogia.  14.  B:  manca.  15.  B  omette:  et  supscripti...  mano.  16.  B  aggiunge: 
consueto.  17.  B:  manca  l'attestazione  della  firma  del  Conte. 


-8o  ALESSANDRO    COLOMBO 

II. 

La  giunta  de'  xxiv,  eletta  dal  consiglio  generale  di  Mi- 
lano, SCEGLIE  nel  proprio  SENO  UNA   COMMISSIONE   DI   VII, 

CON  l'incarico  di  concretare  presso  il  conte  Fran- 
cesco Sforza  i  capitoli  della  resa  e  l'accettazione 
DEL  NUOVO  DOMINIO  (rogtto  uotaio    Ambrogio  de    Gero), 

Milano,  28  febbraio  14S0. 
[Bibl.  Trivulziana,  cod.  1292,  doc.  I]. 

In  nomine  Domini,  anno  a  natiuitate  eiusdem  millesimo  quadringen- 
tesimo  quinquagesimo,  Indictione  terda  decima,  die  sabbati  ultimo  mensis 
Febru^rii. 

Conuocato  et  congregato  in  domibus  Ecclesie  Domine  S.*  Marie  de 
la  Scala  P.  N.  Mediolani,  premissis  sono  campane  et  aliis  solemnitatibus 
tam  de  iure  quam  de  consuetudine  debitis  et  necessariis,  generali  Con- 
silio infrascriptorum  spectab.  egregiorum  virorum  huius  ili.  et  ex.  ciu." 
Mediolani  electorum  per  spectab.  viros  singularum  portarum  d.«  ciuitatis, 
totam  communitatem  pref.^  ciuitatis  Mediolani  representantium,  et  haben- 
tium  plenissimam  potestatem  ad  infrascripta  omnia  et  singula  gerenda 
faciendaque,  nomine  et  vice  pref.^  communitatis  Mediolani,  cum  ili.  et 
ex."""  D.  D.  Francisco  Sfortia  Vicecomite,  duce  Mediolani  ac  Papié  An- 
glerieque  cernite.  Quorum  nomina  sunt  hec  :  prò  P.  N.  d.  d.  Barthol.^ 
Moronus  legum  doctor,  Johannes  de  Dugnano,  Paulo  (sic)  de  Castilliono 
et  Christoforus  Pagnanus;  prò  P.  O.  dd.  Albertus  de  Marliano,  Jaco- 
binus  de  Olgiate,  Simon  de  Albiate  et  Antonius  de  Curte  ;  prò  P.  R. 
dd.  Ambrosius  de  Trivulzio,  Johannes  de  Petrasancta,  Jacobus  Rauitia 
et  Philippus  Malabarba  ;  prò  P.  T.  dd.  Lanzalottus  de  Crottis,  Gratianus 
de  Tringheriis  legum  doctor,  Gaspar  de  Comite  et  Aloysius  de  la  Turre; 
prò  P.  V.  dd.  Guarnerius  de  Castilliono  utriusque  juris  doctor,  Petrus 
de  Vicecomitibus,  Jacobus  de  Angleria  legum  doctor  et  Franciscus  de 
B'ossato  miles;  et  prò  P.  C.  dd.  Jacobus  de  Dugnano  legum  doctor, 
Laurentius  de  Busto  legum  doctor,  Jacobus  de  Placentia  et  Jo.  Anto- 
nius de  Vicomercato.  In  quo  quidem  Consilio  generali  aderant  pref.* 
omnes  superius  ciues  nominati,  exceptis  prefatis  dominis  Jacobino  de 
Olgiate,  Gratiano  de  Trincheriis  et  Jacobo  de  Placentia,  qui  omnes 
ciues  superius  nominati  sunt  tres  partes  ex  quatuor  partibus  dictorum 
ciuium  electorum  ut  s.*,  et  qui  pref.i  domini  omnes  ibidem  congregati 
et  existentes  ut  s.%  scilicet  suis  nominibus  proprijs  et  nomine  et  uice 
prefatorum  dominorum  Jacobini  de  Olgiate,  Gratiani  Tranquerii  et  Ja- 
cobi  de  Placentia  deficientium  ut  s.*,  et  prefate  totius  communitatis 
Mediolani,  et  qui  omnes  pref.ti  domini  ibidem  congregati  et  existentes 
ut  supra  suis  et  dictis  nominibus  unanimes  et  concordes  et  nemine  eorum 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  8l 

discrepante,  voluntarie,  sponte  et  ex  certa  scientia,  et  non  per  aliquem 
errorem  iuris,  nec  facti  et  alias  omnibus  modo,  jure,  uia  et  forma,  quibus 
melius  potuerunt  et  possunt,  fecerunt  constituerunt  ordinauerunt  et  de- 
putauerunt,  et  faciuiit  constituunt  ordinant  et  deputa tit  spectab.  viros 
et  prefatos  dominos  Guarnerium  de  Castilliono,  Marchionum  de  Marliano, 
Lanzalottum  de  Crottis,  Gratianum  Tranquerium,  Christoforum  de  Pa- 
gnanis,  Jo.  Ant.um  de  Vicomercato  et  Johannem  de  Petra  Sancta,  et 
quemlibet  eorum  presentes  et  acceptantes,  exceptis  d.°  d.  Gratiano  et 
Marchione  de  Marliano  ut  s.',  suos  certos  missos,  nuncios,  sindicos,  man- 
datarios  et  procuratores,  et  quidquid 'melius  dici  et  esse  possunt,  specia- 
liter  ad  procuratorio  nomine  totius  prefate  communitatis  Mediolani  et 
prò  prefata  communitate  eundum  ad  presentiam  prelibati  ill.mi  et  ex.>ni 
d.ni  d.ni  Francisci  Sfortie  Vicecomitis,  presentis  nostri  ducis  Mediolani 
dignissimi,  et  cum  eo  nomine  quo  s.*  capitulandum,  et  capitula  faciendum 
et  celebrandum  quocumque  modo,  jure  et  forma,  quibus  videbitur  et  pla- 
cuerit  pref.°  ill.mo  d.no  nostro  et  dictis  procuratoribus  et  oratoribus. 

Item  ad  transferendum  et  offerendum  dominium  prefate  ciuitatis 
Mediolani  cum  adnexo  eo  totu  ducatu,  et  cum  omnibus  juribus,  pertinen- 
tiis,  honorantiis,  prerogatiuis,  commoditatibus,  utilitatibus,  prerogatiuis, 
juribus  aquarum  omnibus,  regalibus  et  ceteris  onmibus  et  singulis  aliis 
pertinentibus  dictis  communitati  aut  ducatui  etc,  si  talia  forent,  de  quibus 
oporteret  fieri  specialis  mentio,  et  cum  omni  mero  et  mixto  imperio,  et 
omnimoda  ampia  et  amplissima  potestate,  facultate  et  balilla,  in  preli- 
batum  d.num  d.num  Mediolani  ducem  dignissimum  utsA  Item  ad  pre- 
sentandum,  dandum  et  consignandum  prelibato  d.no  d.no  nostro  duci 
cartam  albam  ad  finem  et  effectum,  quod  prelibatus  d.  d.  dux  noster 
possit  et  ualeat,  prout  sibi  uidebitur  et  placuerit,  confirmare  capitula  an- 
tedicta,  et  ea  et  in  eis  contenta,  et  eorum  substantiam  et  eftectum  mu- 
tare et  reformare,  minuere  et  accrescere,  prout  dominationi  sue  melius 
uidebitur  et  placuerit,  in  totum  et  prò  parte,  et  alia  de  nono  facere; 
in  quem  prelibatum  d.num  ili.  et  ex.^um  dd.  totam  et  omnem  spem,  fi- 
duciam  gerunt  et  habent;  et  cui  prelibato  d.no  d.no  et  eius  Domina- 
tioni, in  predictis  omnibus  et  singulis  et  quibuscumque  aliis,  se  etc.  no- 
mine quo  s.*  et  dictam  communitatem  et  ducatum  recomendant.  Et  de 
et  prò  predictis  omnibus  et  singulis  ipsam  communitatem  Mediolani 
obligandum  et  faciendum  et  celebrandum,  et  fieri  et  celebrari  faciendum 
quoscumque  contractum  et  contractus  benevallatum  et  benevallatos,  cum 
quibuscumque  promissionibus,  obligationibus,  protestationibus,  clausulis 
et  solemnitatibus  in  talibus  et  similibus  debitis  et  necessariis,  et  apponi 
solitis  et  consuetis,  tam  de  iure  de  facto  quam  de  consuetudine.  Et  ge- 
neraliter  omnia  et  singula  alia  et  singula  faciendum  et  celebrandum,  in 
pred.is  et  circa  pred.*  necessaria  et  expedientia  et  opportuna  aut  neces- 
saria etiam,  si  talia  forent  que  mandatum  exigerent  speciale  magisque 
speciale,  et  que  facere  possent  prefati  domini  de  dicto  Consilio  generali, 
ibi  congregati  et  existentes  uts.*  nomine  quo  s.*,  et  dieta  tota  commu- 
nitas  si  presentes  essent,  promittentes  prefati  dd.  de  pref.°  Consilio  ge- 

Arch.  Sior.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VII.  6 


82  ALESSANDRO   COLOMBO 

nerali,  ibidem  congregati  et  existentes  ut  s.*,  suis  et  dictis  nominibus^ 
obligando  sese  suis  et  dictis  nominibus,  et  prefatam  communitatem  Me- 
diolani,  et  omnia  eorum  suis  et  dictis  nominibus,  et  prefate  communitatis 
Mediolani  bona  mobilia  et  immobilia  presentia  et  futura,  pignori  mihi 
not."  infrascripto,  persone  publice  stipulanti  et  recipienti  nomine  et  vice^ 
et  ad  partem  et  utilitatem  prelibati  ili. mi  et  ex.mi  dd.  nostri  ducis  Me- 
diolani etc.  et  eius  camere,  se  se  semper  et  omni  tempore  ratum,  gratum 
et  firmum  habituros  quidquid  per  prefatos  mandatarios,  procuratores 
et  syndicos  suos  et  quemlibet  eorum  actum,  dictum,  gestum,  conuentum, 
capituiatum  et  factum  extiterit  in  premissis  et  circa  premissa,  et  quod- 
libet  premissorum  concedentes  et  attribuentes  per  presentes  pref.is  pro- 
curatoribus,  syndicis  et  mandatariis  suis,  et  cuilibet  eorum  plenam,  li- 
beram,  largam,  generalem  et  amplam  ac  amplissimam  potestatem,  bay- 
liam  et  facultatem  ac  mandatum  plenum,  largum  et  generale  pred.a  omnia 
et  singula  faciendi  et  exequendi,  sub  nomine  nostri  altissimi  dei,  eiusque 
matris  beatissime  virginis  Marie,  et  patroni  nostri  doctoris  irreprehen- 
sibilis  divi  Ambrosii,  qui  precibus  et  meritis  bonorum  ciuium  huius  tante 
ciuitatis  Mediolani  nobis  dederunt  in  d.num  et  ducem  nostrum  dignis- 
simum  prelibatum  d.  d.  Franciscum  Sfortiam,  et  ciuitatem  hanc  libera-^ 
uerunt  a  manibus  pravis  (?). 

Respondendo  pref.i  d.  constituentes,  et  quilibet  eorum  suis  et  dictis 
nominibus  uts.a  exceptioni  non  facti  huiusmodi  instrumenti  syndicatus 
et  mandati  taliter  uts.*,  et  predictorum  et  infrascriptorum  omnium  et 
singulorum  non  ita  et  taliter  actorum  et  factorum,  omnique  probationi 
et  defensioni  in  contrarium. 

Et  de  predictis  rogatum  fuit  per  me  not.um  infrascriptum,  ut  pu- 
blicum  conficerem  instrumentum  unum  et  plura  tenoris  eiusdem. 

Actum  in  dictis  domibus  pref.e  ecclesie  d.ne  S.e  Marie  de  la  Scala^ 
site  in  dieta  porta  Nona  Mediolani,  coram  Johanne  de  Gallarato  f.o  d. 
Gabrielis  P.  N.  P.  S.  Petri  ad  Cornaredum  Mediolani,  Bartholomeo  de 
Surrigonibus  f.*  q."»  d.  Arasrai  P.  V.  P.  S.  Mathei  in  Moneta  Mediolani,. 
not.  e  pronot. 

Interfuerunt  ibi  testes  :  Petrus  de  Gallarate  f.u»  d.  Johannis  P.  V.  P. 
monasterii  noni,  d.  Antonius  de  Porris  f.^s  q.«>  d.  Galeaz  P.  N.  P.  S^ 
Andree  ad  murum  ruptum,  et  Johannes  de  Gapanis  f.^  q.™  d.  Stephani 
P.  N.  P.  S.  Bartholomei  intus,  omnes  ciuitatis  Mediolani,  noti,  idonei,, 
uocati  et  rogati  etc  (i). 


(i)  Segue  l'autentica  del  notaio  milanese  Verga  dell'a.  1761. 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC  83 


III. 

La  commissione  eletta  dalla  giunta  de'  xxiv  presenta  al 
CONTE  Francesco  Sforza  i  capitoli  definitivi  della 
RESA  DI  Milano,  e  giura  nelle  sue  mani  fedeltà  e 
sudditanza  {rogito  notaio  Damiano  de  Marliani). 

Vimercaie^  j  marzo  14S0. 
[Arch.  civ.  stor.  di  Milano,  Dicasteri,  cart.  4]. 

Effectus  et  substantia  instrumenti  rogati  in  Vicomercato. 

In  nomine  Domini,  anno  a  natiuitate  ejusdem  millesimo  quadringen- 
tesimo  quinquagesimo,  indictione  tertia  decima,  die  martis  tertio  mensis 
martii. 

Spectabiles  et  notabilissimi  uiri  dominus  Guarnerius  de  Castigliono 
iuris  utriusque  doctor,  Lancelotus  de  Crottis,  Melchior  de  Marliano,  Cri- 
stjphorus  Pagnanus,  Johannes  Antonius  de  Vicomercato  et  Johannes 
de  Petrasancta,  omnes  ciues  et  habitatores  inclite  ciuitatis  Mediolani, 
coque  procuratores,  sindaci,  nuncii,  mandatarii  et  oratores  per  specta- 
biles dominos  Viginti  quattuor  deputatos  ad  Sanctam  Mariam  de  la 
Scala  etc.  creati  electi  et  substituti  solemniter,  cum  libero  et  pienissimo 
mandato^  specialiter  ad  infrascripta  omnia  et  singula  et  alia  peragenda, 
ut  constai  publico  instrumento  procuratorii  seu  mandati  tradito  et  ro- 
gato per (i),  notarium  Mediolani  etc,    nomine  suo   proprio  et 

dictorum  viginti  quattuor,  humiliter,  reuerenter  et  deuote  comparuerunt, 
et  sese  personaliter  presenlauerunt  corani  illustrissimo  et  excellentis- 
simo  principe  domino  Francisco  Sfortia  Vicecomite,  Mediolani  duce  no- 
uello,  sponte,  libere,  sine  metu  ac  letis  animis  die  vigesimo  sexto  prete- 
riti  proxime  mensis  electo,  clamato,  in  ciuitatem  prò  vero  duce  et  do- 
mino Mediolani  etc.  introducto,  et  in  possessionem  inducto  per  omnes 
ciues  et  totum  populum  unanimiter,  nemine  eorum  discrepante  etc,  et 
omnibus  modo,  jure,  via  et  forma,  quibus  melius  potuerant  et  possunt, 
non  per  errorem  aut  improuide,  sed  animo  piene  et  mature  deliberato, 
pienissime  et  efficaciter  transtuleruat  et  transferunt  etc  liberum  ple- 
numque  dominium,  et  ducatum  annexum  coherentem  ciuitati  et  terri- 
torio, in  prefatum  i.  principem  dominum  Fran.cum  Fortiam  {sic)  Viceco- 
mitem  etc  suosque  filios,  heredes  et  successores  in  perpetuum,  et  in 
quoscumque  descendentes  ab  eo,  et  in  filiorum  suorum  descendentes, 
et  quoscumque  successores  et  heredes  ab  ipso  dominos  instituendos,  se- 
cundum  ipsius  domini  Francisci  ordinationem  etc,  libere  et  irreuocabi- 
liter  etc^  cum  mero  et  mixto  imperio  et  omnimoda  superioritate  et  iu- 
risdictione,  cum  omnibus  intratis  ordinariis  et  extraordinariis,  et  cum 
regaliis,  venationibus,  honoribus  et  quibuscumque   ad    plenum  ducatum 

(i)  Lacuna  del  testo  ;  intendi  :  Amhrosium  de  Gera. 


84  ALESSANDRO   COLOMBO 

et  dominium  pertìnentibus  et  spectantibus,  et  cum  potestate  imponendi 
quelibet  onera  ordinaria  et  extraordinaria,  et  edificandi  et  construendi 
quelibet  fortilicia  vetera  vel  noua,  tam  in  ciuitate  quam  in  extra,  mulc- 
tandi,  cohercendi,  puniendi,  donandi,  alienandi,  confirmandi,  reuocandi 
et  quoscumque  alios  actus  conficiendi,  ordines,  statata  et  decreta  insti- 
tuendi,  et  officiales  creandi  et  deputandi,  senatus,  Consilia  tenendi  et 
habendi,  classes,  exercitus,  commeatus  et  huiusmodi  similia  preparandi, 
ordinandi,  manutenendi  et  conseruandi,  etiam  sumptibus  et  expensis 
subditorum,  ciuitatem  patriamque  nostrani  deifendendi,  regendi,  quos- 
cumque inobedientes  aut  rebelles  expellendi  vel  coliercendi.  Et  genera- 
liter  omnia  et  singula,  que  ad  principem  integerrimum  et  verum  ac  ju- 
stuni  ducem  pertinent,  adimplendi  et  exequendi,  etiam  si  talia  forent 
que  spetialem  expressioneni  exigerent  etc,  que  iiic  prò  expressis  et 
nominatis  haberi  debeant,  cum  totali  et  libera  balya,  ac  pienissima  iu- 
risdictione  et  integro  dominio,  in  omnibus  et  singulis  predictis  et  con- 
uexis  et  dependentibus  ab  eis  etc. 

Promittentes  omnia  et  singula,  gesta  et  gerenda  per  ipsum  dominum 
Franciscum  illustrissimum,  semper  et  omni  tempore  habere  rata,  grata, 
firma  et  inconcussa,  et  nullo  unquam  tempore  contrauenire  sub  aliquo 
pretenso,  colore,  nec  ex  aliqna  causa,  que  dici  vel  excogitari  possit  de 
iure  vel  de  facto  cogitata  vel  inexcogitata,  etiamsi  tales  essent,  que  in 
generali  sermone  non  venirent  etc. 

Renuntiantes  omnibus  juribus,  auxiliis,  ordinibus,  decretis  et  quibus- 
cumque  exceptionibus  ac  contradictionibus,  vel  consuetudinibus  et  qui- 
buscumque  allegationibus  et  deffensionibus,  quibus  quouis  modo,  de  jure 
vel  de  facto,  in  contrarium  se  tueri  possent,  etc. 

Et  nomine  dictorum  viginti  quattuor  deputatorum  ad  Sanctam  Ma- 
riam  dela  Scala  ut  supra  produxerunt  certa  capitula  tenoris  infrascripti, 
in  modum  et  formam  carte  albe  remittentes,  et  eorum  efifectum  arbitrio 
et  volontati  ipsius  illustrissimi  domini,  ita  quod  possit  et  cassare  et  mi- 
nuere,  refformare,  auellere  et  in  totum  vel  prò  parte  annullare  dieta 
omnia  et  Singula  capitula,  secundum  beneplacitum  et  voluntatem  ex.i"i 
prefati  domini  nostri  etc. 

MCCCCL  die  sabati  XXVIII  februarii,  infrascripti  sono  li  capituli. . . .  (i). 

Quibus  prefatus  illus.mu»  dominus  noster  dux  nouellus  infrascriptas 
effecit  responsiones. 

Infrascripte  sunt  responsiones  facte  per  illus.mum  dominum  ducem 
Mediolani  etc.  capitulis  porrectis  per  Mediolanenses  etc. 

Ad  primum  intendimus  cuilibet  predictorum (2). 

(1)  Seguono  i  28  capitoli,  in  gran  parte  conformi  a  quelli  editi,  dal  For- 
mentini  sotto  la  data  erronea  del  27  febbraio  '450. 

(2)  Seguono,  successivamente,  le  risposte  ai  28  capitoli  ;  le  quali  il  lettore 
può  vedere,  in  gran  parte  conformi  alla  nostra  copia,  nel  Sigkel,  op.  cit.,  doc.  XXII. 
Qui  soltanto  ci  piace  avvertire  che  la  risposta  al  28.°  capitolo,  anziché  la  sem- 
plice parola  «  placet  »  che  si  legge  nel  Sickel,  è  :  «  [Ad  ultimum]  placet  et  ac- 
«  ceptamus  animo  letissimo  ». 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA   IN    MILANO,    ECC.  85 

Et  ad  majorem  diete  translationis  finnitatem,  predicti  oratores,  pro- 
curatores  et  sindici,  nomine  quo  supra,  tactis  corporaliter  sacro  sanctis 
scripturis,  jurauerunt  ad  sancta  Dei  euangelia  in  manibus  prefati  illus.m* 
d.ni  ducis  nostri,  quod  semper  et  omni  tempore  erunt  excell.®  sue  et 
descendentibus  suis  fideles  et  obbedientes  subditi,  in  omnem  temporis 
et  fortune  euentum  et  in  quemcumque  casum,  nec  ullo  unquam  tempore 
se  retrahent  a  seruitiis,  fidelitate  et  obedientia  prefati  domini  nostri, 
sed  in  ipsius  subiectione  et  deuoctione  perseuerabunt,  etiam  in  qua- 
cumque  conditionis  varietate  et  quidquid  imposterum  emergat,  ipsique 
domino  duci  et  descendentibus  prestabunt  fidelia  Consilia  et  auxilia  re- 
quirenda,  sine  dolo  aut  machinatione,  secundum  datam  ab  eterno  deo 
facultatem  et  potestatem,  nec  contra  personam  aut  statum  prefati  do- 
mini aut  descententium  quicquam  tractabunt  aut  tèntabunt,  nec  tractan- 
tibus  aut  tentantibus  consentient,  sed  potius  contradicent  et  obuiabunt, 
et  si  quid  in  contrarium  senserint,  statim  per  se  aut  per  nuncium  aut 
litteras  propalabu.nt  et  prefato  domino  nuntiabunt,  ordinationes,  litteras 
et  mandata  sua  prò  toto  posse  exequentur  et  adimplebunt,  tam  certa 
regimenta  status,  quam  certa  alia  beneplacita  prefati  i.  d.  ducis  noni,  et 
certa  successionis  in  ipso  ducatu  et  dominio. 

(I)- 

Promittentes  etiam,  quod  in  alia  solemni  congregatione  ciuium  et 
populi,  per  citationes  et  cridas  fienda  in  forma  juridica,  translationem 
dominii  et  ducatus  et  pertinentiarum  in  ampliori  forma  juridica  fieri  et 
statui  procurabunt,  et  operam  dabunt  cum  effectu,  modis  et  formis  pre- 
fato d.no  nostro  gratis  et  acceptis,  tam  in  translatione  quam  in  succes- 
sione, ut  suis  indubitantissimis  juribus  et  titulis  nihil  deesse  possit. 

MCCCCL.  indictione  XIII.  die  martis  tertio  martii. 

Actum  in  Vicomercato  ducatus  Mediolani,  in  domo  magnifici  [Comitis 
Johannis  de  Corio],  cui  ceheret  ab  una  parte  strata,  ab  alia  canonicorum 
Sancte  Marie,  et  ab  aliis  Martinoli  de  Inuitiatis  ciuis  Mediolani. 

Magnifici  dominus  comes  Johannes  fil.  q.™  magnifici  comitis  Jacobi 
de  Corio  habit.  Moduetie,  spectabilis  miles  dominus  Polidorus  de  Ba- 
lionibus  q.™  domini  Pellini  de  Perusio,  ad  presens  locum  tenens  No- 
uarie,  spectabilis  milles  et  doctor  dominus  Petrus  fil.  quondam  Johannis 
de  Tabaldiseis  de  Misera  ad  presens  capit.  Sepri,  spectabilis  milles  et 
juris  utriusque  doctor  dominus  Johannes  domini  Ardizini  de  la  porta 
de  Nouaria. 

Notarii  dominus  Petrus  Georgius  de  Castigliono  fil.  quondam  do- 
mini Marci  ciuis  Mediolani  P.  C.  P.  S.  Thome  in  terra  amara,  et  Hen- 
ricus  de  Munte  fil.  quondam  domini  Princiualli  P.  V.  P.  S.  Johannis 
supra  murum  Mediolani  (2). 

(r)  Seguono  tre  linee  punteggiate,  e  in  margine  si  legge  :  «  Hic  extenditur 
«  tenor  fidelitatis  in  Latiore  forma  ». 

(2)  Segue  la  «  Minutta  »  o  «  Tessera  »,  in  data  j  marzo  1450  e  redatta  nella  so- 
lita casa  del  conte  Giov.  Corio,  nella  quale  i  sei  sopradetti  deputati  fanno  la  so- 


86  ALESSANDRO   COLOMBO 


IV. 

I  CITTADINI  E  IL  POPOLO  DI  MlLANO,  RIUNITI  IN  ASSEMBLEA 
GENERALE,  APPROVANDO  l'oPERATO  DELLA  COMMISSIONE 
de'  vii,  proclamano  SOLENNEMENTE  A  LORO  DUCA  E  SI- 
GNORE IL  CONTE  Francesco  Sforza  e  stabiliscono  le 
prime  modalità  del  solenne  ingresso  [rogito  notai  Ja- 
copo de  Perego  e  Damiano  de'  Marliani). 

Milano,  II  marzo  14SO. 
f  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Potenze  sovrane,  Francesco  I  Sforza]. 

In  nomine  sancte  et  indiuidue  trinitatis  patris  et  filii  et  spiritus 
sancti,  amen,  anno  a  natiuitate  dominica  millesimo  quadringentesimo 
quinquagesimo,  indictione  tertia  decima,  die  mercurii  undecimo  mensis 
martii,  secundum  morem  et  cursum  alme  ciuitatis  Mediolani.  magnopere 
Deus  eternus  totum  mundum  suis  omnibus  perfectum  partibus  inefabili 
prouidentia  creauit.  Inestimabilis  fuit  illa  dei  bonitas,  qua  hominem  pla- 
smauit  ad  eius  imaginem  et  omnibus  abundantem  rebus  in  paradiso  de- 
litiarum  collocauit.  Sed  postea  quam,  propter  infelicem  inobedientiam 
primi  parentis,  totum  genus  humanum  ex  amenitate  in  huius  mundi  spi- 
nas  eiecit  et  damnauit  ad  inferni  penas,  infinita  et  supra  modum  tran- 
suiscerata  fuit  illa  caritas,  qua  deus  pater  deum  filium  redemptorem 
emisit,  quem  mediante  Maria  Virgine  incarnari  uoluit,  pati  tormenta, 
predicare  salutis  unitatem,  subire  mortem  acerbissimam,  resurgere  a 
mortuis  et  ascendere  tandem  in  celum  ad  spem  nobis  uite  reparandam, 
ad  gloriam  sui  immortalis  regni,  si  illam  nostris  mentis  insequemur,  ca- 
pescendam.  Hoc  igitur  exemplari  similitudinarioque  loco,  regnante  ili.™'* 
Philippo  Maria  duce  felicissimo,  ita  legam  claramque  uitam  agebant 
omnes  ciues  mediolanenses,  ita  rerum  omnium  copiis  abundabant,  ut 
omnes  etiam  extere  naciones  hanc  patriam  et  mediolanenses  honora- 
rent  et  colerent,  atque  appellarent  prope  esse  beatos.  At  ubi  clarissimum 
illud  patrie  nostre  lumen  extinctum  est,  pax  omnis  sublata  fuit,  justitia 
sopita^  copie  rerum  ammisse  sunt.  Memoria  tenent  omnes  quanta  fuerit 
postea  sceleratorum  hominum  immoderata  superbia,  cogitationesque  fu- 
turorum  errorum  inique  aut  crudeles.  Fuit  preterea  multitudo  malorum 


leane  traslazione  del  dominio  e  ducato  di  Milano  a  Francesco  Sforza,  approvando 
ogni  diritto  e  privilegio  di  lui,  e  prestando  giuramento  nelle  sue  mani  ;  sono 
presenti  i  pronotarì  Pietro  Giorgio  da  Castiglione  fu  Mario  ed  Enrico  del  Monte 
fu  Princivalle,  e  quali  testi  il  conte  Giov.  Corio  fu  Giacomo,  Polidoro  de'  Ba- 
glioni  di  Perugia,  Pietro  de'  Tebjldeschi  e  Giovanni  della  Porta.  Da  ultimo, 
l'autentica  del  notaio  Anton  Francesco  Verga,  in  data  17  luglio  1759. 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  87 

» 

?ìoiiiinum,  quibus  tanta  seuiendi  potestas  et  licentia  data  erat,  ut  omnes 
boni  potius  de  fuga  quam  de  salute  cogitarent,  cum  nefandissimos  ho- 
inines  rapiendi  cupiditas  inflamaret,  et  sanguinis  effundendi  immoderata 
uoiuptas  excitaret,  iamque  tota  patria  eo  perducta  fuerat,  propter  ciuium 
diuersa  studia  et  priuatas  usque  ad  ciuilia  bella  discordias,  ut  nisi  me- 
diante matrimonio  ili.™*  Blance  Marie,  exemplo  Marie  Virginis,  hic  sa- 
pientissimus  princeps  unicus  e  celo  missus  ad  nos  uenisset,  de  nostris 
omnibus  rebus  priuatis  et  publicis  actum  erat.  Gloriabantur  hostes  et 
emuli  nostri,  quod  hic  Mediolani  principatus,  cum  tam  late  potentiam 
suam  extendisset,  tam  subito  nullis  externis  uiribus,  sed  ciuium  superbia 
intestino  malo  ad  interitum  usque  ueniret,  timentes  antea  fortissima 
bella,  que  prius  Mediolanensium  principibus  et  ducibus  fuerant  maxima 
airtate  confecta,  ut  non  tantum  homines,  sed  et  deos  et  ipsa  numina 
prò  Victoria  pugnasse  credidissent.  Cum  ergo  ciues  nostri  illorum  prin- 
cipam  et  ducum  tanta  uirtute  et  felicitate  gesta  cum  illis  malis,  que 
inortuo  duci  nostro  exardescere  ceperunt,  inter  eos  omnes  compara- 
reiit,  non  minora  culpa  quam  dolore  confundebantur,  quod  miserie  pro- 
prie et  calamitates  publice  rei  fuerint.  Verebantur  enim  non  solum  ad 
sanguinem  et  ad  cedem  excitari,  sed  instantibus  vicinis  ad  ciuitatis 
ruiaam  extendi,  nisi  summa  noni  principis  uirtute  hec  patria  conseruata 
fuisset,  qui  ciuitatem  hanc  eripuit  uelut  ex  aliquo  flagrantissimo  in- 
cendio, nec  passus  est  omnem  ciuitatis  huius  gloriam  interire.  Misit  ergo 
Deus  in  mentem  omnibus  bonis  et  grauibus  ciuibus  huic  tante  rei  finem 
imponere  et  statuere  modum  odiis;  que  res  cum  in  consultationem  op- 
tiinorum  ciuium  deuenisset,  unicus  sapientissimus  princeps  Franciscus 
Sfortia  uisus  est  omnibus  dignus,  ad  quem  tota  regendi  summa  defferre- 
retur.  Mouerunt  certe  prudentissimos  Mediolani  ciues  et  uniuersum  po- 
pulum  illa  clarissima  iura  donationis  defuncti  ducis,  que  ad  hanc  elec- 
tioaem  afferrebantur  ;  impellebantur  etiam  splendore  et  fama  inuictissimi 
et  fortissimi  bellorum  ducis  Sfortie  patris  ;  alliciebantur  etiam  contempla- 
tione  et  reuerentia  ili.™*  domine  Blance  Marie,  filie  unigenite  solemniter 
legiptimate  prefati  quondam  ili. mi  domini  domini  Philippi  Marie,  olim 
ducis  Mediolani,  memorati  ili. mi  domini  Francisci  Sfortie  consortis  optime. 
Sed  cum  omnes  se  se  ad  huius  principis  naturam  diuinas  uirtutes  pul- 
cerimosque  mores  refferebant,  incredibile  est  quanto  ardore  et  affectu 
ducalis  dignitatis  ad  hunc  principem  deferrende  animi  omnium  tene- 
rentur,  cum  nemo  bonus  ciues  esset,  qui  non  hunc  et  ducem  et  dominum 
et  principem  et  patronum  et  patrie  patrem  optaret.  Cum  enim  ante 
oculos  ponerent  quanta  uirtute,  quibus  moribus  etatem  suam  instituerit, 
quanta  felicitate  innumerabiles  uictorias  adeptus  sit,  quanta  integritate  et 
iustitia  rempublicam  regat,  quanta  cantate  et  clementia  subditorum  com- 
iDoda  procuret,  nulla  atnplius  bella  ciuilia,  nullam  seditionem,  nullum 
doinesticum,  nullum  externum  bellum  uerebantur,  quando  quidem  hunc 
in  principem  et  ducem  haberent,  sed  illam  ingentem  bonarum  rerum 
gloriam,  qua  diu  hec  ciuitas  floruit,  omnemque  dignitatem  et  auctori- 
tatem  huius  principis  dominia  uirtute  et  summa  sapientia  reasumere  non 


88  ALESSANDRO    COLOMBO 

dubitabant.  Animaduertentes  itaque  hoc  regnum  non  pati  plures  inter 
eosque  semper  nutriri  zelum  et  discordiam  permortalem,  cum  iustior 
et  proprior  principatus  esse  non  possit,  quam  in  hoc  uno  Francisco 
Sfortia  virtutum  omnium  concursu  integerime  duce,  a  quo  patria  feHcis. 
sime  liberata  fuit  die  jouis  vigesimo  sexto  februarii  proxime  preteriti, 
in  singulis  portis  et  parochiis  congregati  ciues  et  populares,  sponte,  li- 
bere, omni  impressione  cessante,  rebus  et  casibus  discussis,  conuenerunt 
in  magno  numero  ad  Sanctam  Mariam  de  la  Scala,  et  viginti  quatuor 
primarios  et  principaliores  ciues  eligerunt  et  deputauerunt,  uidelicet  prò 
porta  Nona  spectabiles  dominos  Petrum  Cotam,  Bartolomeum  Moronum, 
Francischinum  de  Castro  Sancti  Petri  et  Christophorum  Pagnanum,  prò 
porta  VerceUina  Magnificum  Dominum  Guarnerium  de  Castilliono,  do- 
minum  Jacobum  de  Angleria,  dominum  Johannem  Coyrum  et  dominum 
Franciscum  Mirabilium,  prò  porta  Orientali  spectabiles  dominos  Am- 
brosium  de  Cliuio,  Tomaxium  Amiconum,  Bartolomeum  Gallaranum  et 
Simonem  de  Albiate,  prò  porta  Romana  spectabiles  viros  dominos  An- 
tonium  de  Porris,  Antonium  de  Triulzio,  Bartolomeum  Vicecomitem  et 
Johannem  de  Petra  Sancta,  prò  porta  Ticinensi  spectabiles  dominos 
Georgium  Plattum,  Lanzalottum  Crotum,  Gasparem  de  Comite  et  Joan- 
nem  Stampam,  prò  porta  Cumana  spectabiles  doctores  dominos  Jacobum 
de  Dugnano,  Stephanum  de  Bossiis,  Ambrosium  de  Paganis  et  Leo- 
nardum  Gariboldum,  ad  prouidendum  statui  et  ciuitati,  et  ad  capitu- 
landum  cum  prefato  ili.™"  domino  Francisco  Sfortia,  cum  piena  potestate 
et  balia  transferendi  dominium  et  ducatum  in  eum,  et  introducendi  et 
suscipiendi  in  ciuitatem  Mediolani,  tanquam  uerum  dominum  et  ducem 
optimum,  ac  etiam  cum  potestate  substituendi  et  deputandi  sex  ex  ipsis 
uiginti  quatuor,  uidelicet  unum  prò  porta^  ad  transferendum  dominium 
in  prefatum  Dominum  Franciscum  Sfortiam,  et  ad  prestandum  subiec- 
tionem  et  omnimodam  fidelitatem  et  iuramentum  nere  subiectionis  et 
fidelitatis.  Qui  omnes  uiginti  quatuor,  deputati  cum  consensu  aclamantis 
et  instantis' populi  et  omnium  ciuium,  substituerunt  et  deputauerunt  ad 
omnia  predicta  peragenda  unum  prò  porta,  videlicet  magnificum  dominum 
Guarnerium  de  Castelliono  prò  porta  VerceUina,  Melchionem  de  Mar- 
liano  prò  porta  Orientali,  Christophorum  Pagnanum  prò  porta  Nona, 
Joannem  de  Petra  Sancta  prò  porta  Romana,  dominum  Lancellottum 
Crotum  prò  porta  Ticinensi  et  Joannem  Antonium  de  Vicomercato 
prò  porta  Cumana,  quibus  electis  et  deputatis  prcdicti  uiginti  quatuor» 
inter  quos  conumerabantur  illi  sex,  instantibus  et  sollicitantibus  populo 
et  uniuersis  ciuibus,  portas  ciuitatis  aperiri  et  prefato  ili.™"  domino  Fran- 
cisco Sfortie  patentes  fieri  iusserunt  et  statuerunt,  quem  omnes  ciues 
una  hora,  una  noce,  diuersis  locis  miraculose  clamauerunt,  petierunt, 
elegerunt,  prefecerunt  et  statuerunt  ciuitati  et  ducatui  uerum  et  optimum 
principem  ducem  et  dominum,  exclamantes,  laudantes  et  extollentes  altis 
uocibus  memoratum  ill.mum  principem  et  excell.mum  dominum  Franciscum 
Sfortiam  Vicecomitem,  Papié  comitem  ac  Cremone,  Parme,  Placentie, 
Laude,  Alessandrie  Nouarieque  dominum,  coniugemque  legiptimum  pre- 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  89 

fate  ili."**  domine  domine  Bianche  Marie,  in  ipsius  ciuitatis  et  ducatus 
dominum  et  ducem,  bonaque  habita  inter  nobiles  et  ciues  ac  uniuersum 
populum  ac  matura  deliberatione,  etiam  cum  interuallo  temporis  cater- 
uatim  et  per  uniuersum  populum,  cuiuscumque  gradus  et  dignitatis,  cuius- 
cumque  sexus  et  etatis,  cuiuscumque  status  et  conditionis,  unanimiter 
et  nemine  discrepante  fuit  prefatus  ill.mus  comes  Franciscus  Sfortia^ 
mitis,  inhermis,  totus  placidus,  humanus,  gratus,  pacificus  in  medio  et 
in  uiribus  totius  populi  constitutus  per  portam  Nouam,  pulsantibus  prò 
gaudio  campanis  totius  ciuitatis,  cum  maxima  illaritate  et  incredibili  le- 
titia,  ad  ecclesiam  usque  maiorem  potius  et  uirius  delatusque  comitatus 
in  eumque  tunc  presentem  et  acceptantem,  cum  reseruatione  et  sine 
preiuditio  cuiuslibet  iuris,  in  dominio  et  ducatu  Mediolani,  prelibatis  do- 
minis  Francisco  Sfortiae  et  domine  Bianche  Marie  competentis,  perti- 
nentis  et  spectantis,  quocumque  modo,  titulo,  causa  et  iure  et  eorum 
possessione  seu  quasi,  antedictum  dominium  cum  annexo  ducatu  tran- 
sferentes,  ac  expresse  transtulerunt  decreueruntque,  et  statuerunt  no- 
bilissimi ciues  populares  et  plebei,  legiptime  congregati,  lata  lege  regia 
siue  ducali  in  prefatum  ill.mum  Franciscum  Sfortiam,  eiusque  descen- 
dentes  et  posteros  inperpetuum,  omnem  transferre  potestatem,  dominium 
et  ducatum  annexum,  pure,  irreuocabiliter  et  libere,  totaliter  et  sine  di- 
minutione.  Sed  ut  liberalioribus  animis  hec  magna  res  perficeretur,  et 
omnium  ciuium  pienissimo  consensu  concluderetur,  egressus  est  statim 
ciuitatem  Mediolani  prefatus  ill.mus  dominus  Franciscus  Sfortia  sine  ul- 
lius  morida,  et  ad  Burgum  Vicomercati  se  contulit,  ut  eo  loci  expectaret 
quid  ciues  Mediolanenses  et  populares  iterum  statuerent,  et  concorditer 
matura  discussione  deliberarent  :  qui  omnes  ciues  et  populares  Medio- 
lanenses et  uiginti  quatuor  deputati  magna  sollicitudine  institerunt,  de- 
creuerunt  et  iusserunt,  quod  illi  sex  electi,  videlicet  magnificus  dominus 
Garnerius  de  Castelliono,  dominus  Lancellottus  Crotus,  Mélchion  de 
Marliano,  Christophorus  Pagnanus,  Joannes  Antonius  de  Vicomercato 
et  Joannes  de  Petrasancta,  prefatum  ill.mum  dominum  Franciscum  Sfor- 
tiam  sequerentur  et  ad  locum  Vicomercati  se  conferrent,  cum  pienis- 
simo et  solemni  mandato  transferendi  dominium  et  ducatum,  et  cum  li- 
bera potestate  faciendi  ueram  et  plenam  subiectionem,  et  prestandi 
fidelitatis  juramentum,  et  capitulandi  et  remittendi  capitula  in  totum  et 
prò  parte,  ad  arbitrium  prefati  domini  Francisci  Sfortie,  et  faciendi  pre- 
dieta  omnia  prò  se  et  descendentibus  suis  in  infinitum,  secundum  or- 
dinem  successionis  in  ducatu.  Qui  sex  electi  et  constituti  ut  supra  ad 
locum  Vicomercati  se  transtulerunt,  et  die  martis  tertio  mensis  martij 
presentis  corani  prefato  ili.™"  domino  Francisco  Sfortia  se  se  persona- 
liter  presentarunt,  et  flexis  genibus,  premissis  solemnibus  exordiis,  et 
uice  totius  communitatis  et  populi  Mediolani,  prefatum  ill.mum  dominum 
Franciscum  Sfortiam  in  uerum  dominum,  principem  et  ducem  recogno- 
uerunt  et  acceptauerunt,  et  eidem  reuerenter  et  pienissime  subiectionis 
et  fidelitatis  iuramentum  prestiterunt,  transferendo  dominium,  dalia, 
intratas  ordinarias  et  extraordinarias,  merum  et  mixtum  ìmperium,  om- 


-90  ALESSANDRO    COLOMBO 

nimodam  iurisdictionem  et  quecumque  regalia  in  prefatum  ill.mum  do. 
minum  Franciscum  Sfortiam  et  descendentes  suos,  ita  ut  primogenitus 
admittatur  et  eius  filii  et  successiue  reliqui  descendentes,  sicuti  patet 
instruniento  publico  per  me  damianum  de  Mariano  notarium  rogato  in 
loco,  die  et  anno  suprascriptis.  Quibus  omnibus  peractis,  confectis,  ex  li- 
beralitate  principis  quecumque  omnia  ad  eius  arbitrium  remissa  fuissent, 
reuersi  post  hec  predicti  sex  oratores  et  legati  ad  ciuitatem  Mediolani, 
ciuibus  et  uiginti  quatuor  ciuibus  deputatis  omnia  gesta  retulerunt.  Qui 
ciues  et  deputati,  una  cum  magistratibus  et  offitiis  ciuitatis,  ad  abun- 
dantem  cautelam  et  ad  maiorem  cordium  ostentationem,  prò  fortiori 
robore  premisse  translationis,  quamquam  prius  facta  sufficerent  et  in- 
dubitatissimo  iure  ualerent,  iterum  tamen  et  de  nono  experiri  et  discu- 
tere uoluerunt  omnium  ciuium  et  popularium  nota  et  iuditia,  antequam 
hic  princeps  et  dux  noster  insignia  ducatus  assumerei,  et  antequam  ci- 
Tiitatem  ipsam  secunda  uice  intraret,  ut  totus  mundus  uberiorem  ciuium 
omnium  uoluntatem  intelligeret.  Quo  circa  maxime  de  mandato  et  im- 
positione  infrascriptorum  spectabilium  dominorum  potestatis,  vicarii  et 
duodecim  prouisionis,  ac  uiginti  quatuor  deputatorum  ut  infra,  ut  talis 
electio  ac  dominii  cum  annexo  ducatu  translatio  cum  solemnitate  debita 
x:unctis  fiat  manifesta,  hodie  in  nomine  Altissimi  Dei  nostri,  ac  glorio- 
sissime virginis  Marie  beatissimique  doctoris  Ambrosii,  huius  alme  ci- 
uitatis patroni,  congregati  vniversis  ciuibus  ciuitatis  Mediolani,  uidelicet 
unus  principalium  ex  qualibet  domo,  in  curia  siue  platea  magna  curie 
arenghi  anteriori,  qui  ut  omnes  affirmant  et  attestantur  solemniter  citati 
et  uocati  fuerunt  tribus  modis  et  formis,  simul  et  coniunctim  prò  uali- 
<iiori  solemnitate  et  fìrmiori  robore,  seruatis  tribus  citationibus,  videlicet 
primo  ad  sonum  campane  Broleti  communis  Mediolani,  seruato  more 
qui  seruari  solet  quando  populas  et  universitas  communitaiis  et  populi 
Mediolani  congregatur,  secundo  per  proclamationes  et  cridas  in  singulis 
portarum  carobiis  (i)  ac  plateis  et  locis  consuetis  publice  et  alta  uoce 
factas,  Et  tertio  per  citationem  commissam  per  antianos  parochiarum 
in  singulis  ciuium  domibus  fàctam,  in  forma  subsequenti  et  conformi  pro- 
clamationi  et  cride  predictis,  et  de  quibus  citationibus  et  cridis  facte  suni 
relationes  ut  infra,  videlicet.  MCCCCL.   die    mercurii    vndecimo  mensis 

martii (2). 

Retulerunt  et  dixerunt  Antonius  et  Matheus  fratres  de  Arezio,  ambo 
tubate  communitatis  Mediolan',  se  die  hodie  summo  mane  fecisse  cridam 


(i)  Ci  piace  di  far  notare  al  lettore,  che  la  frase  «  singulis  Portarum  Ca- 
<c  robijs  »  conferma  quanto  il  Manzoni  scriveva,  a  proposito  de'  Carrobi  in  Mi- 
lano, al  cap.  XXXU  de'  suoi  Promessi  Sposi  :  «...  ognuno  di  que'  crocicchi,  o 
«  piazzette,  dove  le  strade  principali  sboccan  ne'  borghi,  e  che  allora  serbavano 
a  l'antico  nome  di  carrobi,  ora  rimasto  a  uno  solo...  ». 

(2)  Comincia  il  primo  passo  riportato  dal  Formentini  :  grida  del  podestà  di 
Milano  per  la  convocazione  dell'assemblea  generale  nella  corte  dell' Arengo. 


l'ingresso    di   FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  9I 

^t  proclamationem  tenoris  suprascripti  ad  scalas  palatii  Broleti  noui  com- 
munis  Mediolani  et  ad  alia  loca,  ubi  cride  et  proclamationes  solent  et 
debent  fieri,  seruatis  in  predictis  ea  que  seruari  debent,  et  quorum  anzea- 
norum  relatio  sequiturin  hac  forma,  videlicet.  MCCCCL.  indictione  XIII.* 
die  mercurii  vndecimo  mensis  martii  in  tertiis.  Coram  predictis  offitia- 
libus  et  uiginti  quatuor  deputatis  et  me  suprascripto  et  infrascripto  Ja- 
cobo  de  Perego,  notarlo  et  stipulante  ut  supra.  Retulerunt  et  dixerunt 
et  guarantauerunt  infrascripti  anziani,  videlicet  Christophorus  de  Gra- 
tianis  dictus  Belotus,  Christophorus  de  Grassis  prò  porta  Nona,  Toma- 
sius  de  Paganis,  Johannes  dictus  Locate  de  Locate  prò  porta  Romana, 
Franciscolus  de  Cagnolis,  Bexana  de  Bexana,  Johannes  de  Mantegatiis 
prò  porta  Ticinensi,  Tomasius  de  Paganis  et  Johannes  Anzianus  prò 
porta  Orientali,  Joannes  de  Canturio,  Morieiolus  de  Morigiis  prò  porta 
Vercellina,  Daniel  Anzianus  et  Belinus  Anzianus  prò  Porta  Cumana,  et 
quilibet  eorum  digne  refferendo,  se  die  hodie  parte  et  precepto  utsupra 
iuisse  de  domo  in  domum  omnium  ciuium  ciuitatis  Mediolani,  digne  rei- 
ferendo,  uidelicet  quilibet  eorum  in  sua  porta  et  dictis  domibus  citasse, 
monuisse  et  requisiuisse  principalem  cuiuslibet  domus  ad  dictas  eorum 
domos,  quos  citatos  prò  malori  parte  personaliter  inuenerunt,  et  si  non 
reperietur  personaliter  r  eperient  de  eorum  familia,  et  ipsis  repertis  au- 
dientibus  et  intelligentibus  iussisse  et  precepisse  in  omnibus  et  per  omnia, 
et  de  nerbo  ad  uerbum,  prò  ut  in  suprascriptis  cridis  fit  mentio.  Postea 
uero  suprascriptis  anno,  indictione  et  die,  coram  prefatis  dominis  pote- 
state,  vicario  et  uiginti  quatuor  deputatis  et  me  Jacobo  de  Perego  no- 
tano utsupra,  stipulante  ut  supra,  retulit  et  dixit  Johannes  de  Carate, 
Custos  Campanilis  Broleti  mediolani (i). 


(i)  Cfr.  continuazione  e  fine  in  Formentini,  op.  cit.,  doc.  26.  Avvertasi 
però  che  l'A.,  mentre  porta  qua  e  là  delle  varianti,  dovute  in  parte  a  cattiva 
interpretazione  del  testo,  non  pubblica  di  seguito  il  documento  integralmente, 
ma  solo  quelle  parti,  che  parevano  interessare  al  suo  scopo.  Così,  mentre  va  a 
capo  dopj  le  parole  :  «  ut  piena  fides  et  attestatio  de  rebus  gestis  haberetur  », 
e,  come  già  osservammo  in  una  nota  al  nostro  testo,  legge  a  per  die  (?)  »  an- 
ziché «  pridie  mensis  preteriti  vigesirao  sexto  »,  omette,  dopo  le  parole  a  rata 
a  et  grata  omni  tempore  habere  et  tenere  »  (fine  del  secondo  passo  riportato 
dal  F.),  un  brano,  reladvamente  non  molto  lungo,  nel  quale  si  dice  che,  per 
nessun  motivo  e  in  nessun  tempo,  si  contravverrà  a  quanto  sopra,  «  attenta  suc- 
«  cessione  prefate  ili.'""  d  ne  d.  Bianche  Marie...  et  diuinis  uirtutibus  et  mentis 
«  prefati  ili. mi  d.ni  Francisci  Sfortie  etc.  ».  Nel  terzo  passo  edito  dal  F.  si  no- 
tano le  seguenti  principali  varianti  :  «  seu  dici  possint  deesse  »  invece  di  cr  pos- 
«  sent  etc.  »  ;  «  ducatum  pertinent  piene,  libere  etc.  »  anziché  a  pertinentìhus 
<(  pure  etc  »;  «  Iure  et  titulo  qui  dici  possint  »  anziché  «  posset  »;  «  utsupra 
«  factam  uelint  etc.  »  anziché  a  facere  etc.  »  ;  «  per  traditionem  sceptri  cassis  (?) 
a  et  clauium  insignium  tradite  etc.  »  anziché  «  sceptri,  ensis  et  clauium  in  si- 
«  gnum  etc.  »  ;  «  clausulas  et  formam  iuramenti  sicut  decenserit  et    opportunum 


92  ALESSANDRO    COLOMBO 

V. 

Il  nobile  Antonio  de'  Triulzio  viene  chiamato  a  far  parte 
del  ducale  consiglio  segreto. 

Vimercate,  12  marzo  14S0. 
[Arch.  cit.,  Diplomi,  sec.  XV,  Milano']. 

Franciscus  Sfortia  Vicecomes,  dux  Mediolaiii  etc,  Papié  Angle- 
rieque  comes ^  Dòmini  in  eligendis  assumendisque    apud  se 

«  quantum  etc.  »  anziché  «  sicut  decens  |  erit...,  quanto  etc.  »  ;  oc  Bianche  Marie 
c<  filiorum  quondam  et  heredum  etc.  »  anziché  ce  filionimque  etc.  ».  Il  F.  omette 
quindi  il  brano  contenente  la  promessa  di  non  contravvenire  a  quanto  sopra,  e 
di  aver  fatto  ogni  cosa  (introduzione  del  novello  duca  di  Milano,  accompagna- 
mento al  Duomo  tee.)  di  pieno  accordo  e  liberamente.  Riportiamo  integralmente, 
perché  l'accenno  del  F.  é  troppo  breve,  la  risposta  al  secondo  quesito  del  Ca- 
stiglione :  «  Ad  secundum  responderunt  quod  declarant  illa  omnia  nera  et  ualida 
«  esse  debere,  et  ex  nero  ciuitatis  et  populi  consensu  gesta  fuisse,  supplente» 
(f  omnes  defectus  solemnitatis  ommisse,  attentis  prefati  domini  Francisci  Sfortie 
«  uirtutibus  et  meritis,  et  attenta  maxime  successione  prefate  ili."**  domine  Bianche 
«  Marie  filie  unigenite  et  solemniter  legitimate  prefati  ill.mì  domini  quondam  ducis 
«  Philippi  Marie,  et  dieta  eius  uera  et  solemni  legitimatione  ac  etiam  predicta 
«  donatione,  et  predictis  omnibus  et  ut  supra,  de  quibus  onmibus  prefati  ciues^ 
(f  et  populus  ad  dictam  interrogationem,  stippulationem  et  requisitionem  ut  supra 
«  protestantur  habuisse  et  habere  plenam  et  ueram  scientiam  et  notitiam  ».  E 
nemmeno  complete  sono,  nel  F.,  le  risposte  al  quarto  e  quinto  quesito.  Omet- 
tiamo, per  brevità,  le  parti  mancanti  ;  ricordiamo  solo  ch'egli  legge  :  «  quo  ad  » 
invece  di  «  quod  »  (risposta  al  quarto  quesito),  e  che  la  risposta  al  quinto  que- 
sito è  messa  dopo  quella  del  sesto.  Incompleta  è  pure  quella  al  settimo  ed  ul- 
timo quesito.  Converrà  che  si  riporti  per  intero  il  passo  relativo  al  dono,  mala- 
mente edito  dal  F.,  e  che  segue  immediatamente  alla  risposta  predetta:  «  Ad 
«  partem  nero  muneris  et  largitionis  prò  honoreficentia  ciuitatis  facienda  li- 
ce bentissime  contentantur  et  consentiunt,  quod  dieta  expensa  liberaliter  fìat,  et 
«  in  ipsum  ill.inum  dominum  nostrum  conuertatur  in  hoc  actu  solemnissimo,  ti- 
«  tulo  donationis,  usque  ad  quantitatem  ducatorum  mille  quingentorum  ut  supra 
a  in  capitulo,  et  ab  ipsis  ciuibus  retrahatur  predicta  expensa  ducatorum  mille 
«  quingentorum  super  illa  assignatione  ducatorum  quinque  prò  centenario  et  aliter 
«  quocumque  modo  ».  Manca  infine  nel  F.  la  chiusa  dell' istrumento :  promessa, 
obbligo,  rinuncia  de'  contraenti  ;  richiesta  de'  notai  e  loro  attestazione  ;  indica- 
zione del  luogo  (corte  dell' Arengo),  de'  pronotari  (Gabriele  de'  Bolgaroni  fu 
Martino,  abitante  a  Porta  Cumana  parrocchia  di  S.  Marcellino,  e  Marco  de'  Pe- 
rego  di  Jacopo)  e  de'  testimoni. 

I.  Indichiamo  co'  puntini  le  lacune  del  testo;  tra  parentesi  quadre  le  parole 
o  le  lettere,  che  facilmente  si  possono  interpretare.  Facile  intanto  è  compire  qui 
la  parte  mancante:  ac  Cnmone  dnus  etc. 


l'ingresso    di    FRANCESCO    SFORZA    IN    MILANO,    ECC.  93 

personis,  quarum  ope  et  opera  gerenda  negocia    melius    dirigantur   ci- 

tiusque    perficiantur,  longe   mag [sjecretis,   et  importantes 

status  sui  re[s]  credant  et  committant.    Cum    enim    a  rectitudine  et  in- 

tegritate  consili  uniuersorum  statuum  summa  depe [qui  prò]- 

mouendi  sunt  viri  sint  non  modo  fideles,  sed  omni  modestia,  continentia, 
equanimitate,  uenusta[te],  grauitate,  autoritate  et  multarum  magnarum- 

que ticie,  qui  principes  deo  et  liominibus  gratos  reddit,  veri 

cultores.  Non  ignorantes  ergo  primum  veteris    stirpis   nobilitatem,  pre- 

-clare  domin rectitudinem,  equitatem,  integritatem    et  hu- 

manarum  rerum,  tam  publicarum   quam  priuatarum,  docilem    experien- 

tiam  spectabilis    Antonii ^  unus  (?)    attendentes   qua   semper 

^rga  nos  obseruantia,  fidei  femore,  constantiaque    mentis   et  animi  ex- 

titerit  ad  nostram    amplitudinem    fouendam,   quibus -    studio 

suis  nobis  fauet,  et  redintegratioTiem  soliditatemque  status  nostri  querit, 

et  totis  exoptat  uiribus,  nihil  prò  se  magis  ferens,  nihil  carius 

[sjudorem.  Pro  quo  etiam,  ut  informati  sumus,   plurimas  graues    atque 

difficiles  inimicitias  subiit,  intestina  odia  et  domesticas  simulta , 

que  priori  propositu  deiici  a  nostra  deuotione  et  perseueranti  in  nos  af- 

fectione  sua.  Quin  quod  semel  animo  concepisset  suo  hoc  ipsum  q .^, 

meritum  iudicauimus  quem  nostri  consiliariatus  dignitate   et  honore  de- 

coremus.  Persuadentes  nobis,  immo  non  dubitantes,  quod  sicut * 

[fjeruenter  fidem  et  deuotionis  exuberanciam  demonstrauit,  ita  eciam  vel 

eo  magis  in  tranquillis  et  sedatis  rebus  nostris,  et  iactis  dominii 5 

{sem]per  et  promptius  ac  uirilius,  prò  nostri  amplitudine  et  gloria,  in- 
genii  vires  et  personam  exercendo,  ut  priorem  illam  deuotionem  in  nos 

non ^.  Quare  tenore  presentium  eundem   Antonium,  de    quo 

illam  plenam  et  amplam  fiduciam  capimus  que   de    viro    nobis   affectis- 

simo  et  deditissimo 7    [p]roprio  in    consiliarium    nostrum  eli- 

gimus^  assumimur,  constituimus  et  deputamus,  cum  auctoritate,  arbitrio 

et  balia  ingrediendi  consilium  nostrum  p ^    ...  [sjandis,  uen- 

tilandis,  discutiendis  et  concludendis  rebus  nostris,  quamtumujs  arduis 
et  importantibus,  interessendi  et  opinionem,  sententiam  vocemque  suam 

in  medi ^  in  curia  faciendi,  agendi,  procurandi,  exequendi  ac 

executioni  mandari  faciendi  que  amplissime  huius  dignitatis  natura  exigit 
et  requirit,  que  ve  faciunt  et  fa  ...."...  i''  futurum  alii  de  Consilio  nostro 
secreto.  Intendentes  eciam  e^Volentes,  quod  a  camera  nostra  percipiat 
illam  mensualem  prouisionem,  quam  et  prout  alii  consiliari!  illustris- 
sim[i] 11    [memojrie  domini    ducis,    patris  patrie,  percipere 


I.  Seguiva  probabilmente:  de  Triuìtio...  2.  Forse,  tra  le  parole  che  seguivano, 
si  deve  mettere  un  opera  od  opere.  3.  Principio  certo  di  un  quod.  4.  Dovea  seguire, 
tra  l'altro,  un  in  antea.  5.  Seguiva  certo  un  nostri.  6.  Forse  un  imminuat?  7.  Forse  : 
nomine  nostro.  8.  Certo  inizio  della  parola  :  prò,  a  cui  seguiva  forse  un  compuìs 
[andis].  9.  Compisci:  [in  medì]um  dicendi,  et  [in  cuna],  io.  Compisci:  [fa\cient... 
in  [ftiturum],  11.  È  facile  co.npire  il  mancante:    quondam  bone. 


94  ALESSANDRO   COLOMBO 

communiter  et  habere  consueuerant,  cum  vtilitatibus  etiam,  honorantijs^ 

prerogatiuis,  commoditatibus    et    emolumentis  huiusmodi   C i 

[di]gnitati  spectantibus  et  pertinentibus,  et  per  alios  utsupra  licite  per- 
ceptis  et  habitis.  Denique  vero  mandantes  illustri    locumtenenti  nostro, 

ceterisque  de  prefato    nostro   Consilio   et    vniuers[itate] ^  ^jjg 

aliis,  ad  quos  spectat  et  spectabit,  quatenus  prenominatum  Antonium  ad 
huiusmodi  consularis  dignitatis  possessionem  ponant,  recipiant,  admittant 
et  inducant,  positu[mque  ma]nuteneaiit,  tueantur  et  defendant,  et  ipsi 
de  Consilio  in  collegam  suum  eum  habeant,  tractent  et  reputent,  magistri 

vero  intratarum  nostrarum    et  ceteri,    ad    quos    spectat '    de 

dictis  prouisione,  commoditatibus  et  honoranciis  cum  integritate  respon- 
deant,  et  faciant  debitis  temporibus  responderi.  In  quorum  testimonium 
presentes  fieri  ac  registrari  iussimus,  nostrique  sigilli  munimine  roborari. 

Dai.  Vicomercati^  die  duodecimo  marcij.  MCCCO  quinquegesimo. 


VI. 
Quattro  trombetti  sforzeschi  sono  spediti  dal  campo  di 

VlMERCATE,    PER    PORTARE    NELLE    CITTÀ    E    CORTI    d'ItALIA 
ED    ESTERE    LA    NUOVA    DELL' ACQUISTO    DI    MlLANO. 

Senza  data  ;  ma  certo  nella  notte  dal  26  al  27  febbraio  14S0. 
[Arch.  cit.,  Miscellanea,  1449-so,  fol.  39]. 

Al  nome  de  dio.  Infrascripte  sono  le  andate  deno  fare  li  trombecti 
delo  ili.  s.  Conte,  per  portare  la  nouella  ali  jnfrascripti  delo  IH.  supra- 
dicto  Conte  facto  duca  de  Milano. 

Andate  de  Filippo  trombecta: 

Madonna  Biancha  —  La  comunità  de  parma  —  El  marchese  de 
Monferrato  —  El  duca  doriens  —  El  marchese  de  Saluza  —  El  duca 
de  Sauoya  —  El  signore  dalphino  —  El  duca  de  Borgonia  —  El  re 
Raynero  —  El  duca  de  borbono  —  El  re  de  franza  —  El  re  de  In- 
ghelterra  —  El  duxe  de  genoua. 

Andate  de  Christoforo  trombecta  : 

Bartholomeo  Culione  —  El  s.  misero  Sigismondo  —  El  conte  Carlo 
de  Montone  —  El  s.  misero  Michele  —  Ruberto  da  Montealbodo  — 
Gentile  —  Misero  Tiberio  —  El  capitani©    et   Potestà  de    Brixia  et  la 

I.  Inizio  della  parola  :  Consiliì.  2.  Compisci  :  de  iure  et  sing[ulis'\.  3.  Com- 
pisci :  et  spectabit. 


L  INGRESSO    DI   FRANCESCO    SFORZA   IN    MILANO,    ECC.  95 

comunità  —  Li  s."  Varchi  —  El  vescouo  de  Trento  —  El  duxe  de  Stor- 
liche  —  Lo  imperatore  —  La  comunitade  da  Lode. 

Andate  de  Fermo  trombecta: 

La  comunità  de  Cremona  —  El  marchese  de  Mantua  —  La  s.ria  de 
Venexia  —  Li  s."  dala  Milandola  —  El  s.  da  Carpe  —  Gh'  s."  de  Cor- 
rezo  —  Pietromaria  rosso  —  Orlando  pelauisino  —  El  s.  misero  Ale- 
xandre sforza  —  Giohanni  Conte  —  Misero  Bertoldo  —  Misero  Jacomo 
Calciano  —  Christoforo  da  Tolentino  —  El  conte  Jacomo  piccinino  — 
Jacomazo  da  Salerno. 

Andate  de  Jacomino  da  Carmignola  trombecta: 

Ferrara  —  Bologna  —  El  re  de  Ragona  —  El  conte  dauersa  — 
El  conte  da  troya  —  El  principe  de  taranto  —  El  s.  Josia  —  El  s.  An- 
tonio caldoro  —  El  conte  de  Loreto  —  El  s.  Raynaldo  vrsino  —  Si- 
monecto  —  La  comunità  de  fiorenza  —  Cosmo  de  Medici  —  Misero 
Anglero  Maioli  —  El  s.  misero  fiderico  —  Misero  Thadeo    da   fauenza 

—  Giohanni  malauolta  —  El  comuno  de  Sena  —  El  beatissimo  no- 
stro papa  —  El  cardinale  de  Columna  —  Monsignor  vicecancellero  — 
Monsignor  Morinense  —  Monsignor  Andaganense  —  Monsignor  Fer- 
mano —  Monsignor  Vrsino  —  Monsignor  de  Sancta  maria  nona  — 
Monsignor  de  Sancto  Apostolo  grecho  —  Monsignor  de  Taranto  summo 
penetenzero  —  El  fratello  del  suprascripto  beatissimo  papa  —  La  co- 
munità de  pontremulo  —  La  comunità  de  Lucha    —    Brazo    da  perosa 

—  La  comunità  de  laquila. 

VIL 

Il  conte  Francesco   Sforza,  insieme   con  la   moglie   e   il 
figlio,    entra  solennemente    in  milano,    e   riceve  dai 

rappresentanti    della    nobiltà  e  del  POPOLO  LE  INSEGNE 
DUCALI    E    IL    GIURAMENTO    DI  FEDELTÀ  {rOgttO  flOtat  JaCOpa 

de  Perego  e  Damiano  de'  Marliani). 

Milano,  22  marzo  14S0. 
[Arch.  cit.,  Potenze  sovrane,  Francesco  I  Sforza"]. 

1 .  .  .  .  suprascriptis  anno,  indictione,  mense,  ac  die  dominico  vige- 
Simo  secundo  presentis  mensis    martii,    de   mandato  et  impositione   ut- 

I.  1450,  marzo.  Tanto  nella  copia  esistente  all'Arch.  di  Stato,  come  in  quella 
della  Trivulziana  (pur  essa  in  data  22  marzo,  e  non  21,  come  porta  l'estensore 
del  Catalogo  de'  documenti  trivuìiiani),  il  presente  documento  è  messo  di  seguito 
a  quello  dell'i i  marzo,  e  ad  esso  unito  con  le  parole:  Postea  nero  [5Uprascriptis..,y 


96  ALESSANDRO  COLOMBO 

supra,  ac  in  executione  preditorum,  predicti  ciues  nobiles,  populares, 
plebei  ac  uniuersi  incole  Mediolanenses  i,  in  predictis  ellectione,  crea- 
tione,  translatione,  iuramentis,  subiectione  ac  fidelitate  per  eos  seu  ma- 
iorem  partem  eorum,  nomine  totius  vniuersitatis,  communitatis  et  ciui- 
tatis  Mediolani  reiteratis  uicibus  factis,  firniatis,  deliberatis  et  inuiolabi- 
liter  conclusis  utsupra,  perseuerantes,  deliberantes  hanc  ac  eorum  et 
totius  communitatis  et  vniuersitatis  et  populi  bonam  mentem  et  uolun- 
tatem,  ac  firmam  deliberationem,  et  predicta  omnia  et  singula  per  eos 
eorumque  nominibus  gesta  utsupra,  palam  et  ostentuosissime  ac  iiono- 
rificentissime  demostrare,  ita  quod  tam  estrinsecus  quam  intrinsecus,  et 
tam  per  uniuersam  orbem  quam  in  hac  alma  ciuitate  Mediolani  et  re- 
gionibus  istis,  predicta  et  infrascripta,  per  eos  volontarie  sponte  ac  li- 
beraliter  prò  eorum  salute  facta,  nota  et  diuulgata  oum  honore  et  ma- 
gnificentia  ac  gloria  ueniant,  statuerunt  in  hac  presenti  die  ^,  iubilantibus 
vniuersis  ciuibus  et  populo,  cum  amenis  campanarum  tuba  diuerso- 
rumque  instrumentorum  sonitibus  ac  cantis,  bene  prius  et  solemniter 
apparatis  illustratisque  ciuitatis  huius  Mediolani  omnibus  locis  illustribus, 
datis  et  conclusis  ordinibus  et  modis  honorificentissimis  seruandis  prò 
decentia,  honore  et  gloria  preseritis  ciuitatis  in  recoligendo,  assotiando, 
introducendo  et  erigendo  prefatos  ill.mos  et  excell."ios  dominos  Franci- 
scum  Sfortiam  Vicecomitem,  ducem  Mediolani  et  utsupra,  et  Blancham 
Mariam  Vicecomitissam,  eius  domini  ducis  consortem,  eorumque  pre- 
clarum  et  illustrem  primogenitum  Galeaz  Vicecomitem  ',  dispositisque 
et  ordinatis  ipsis  omnibus  ciuibus,  populo,  plebeis  et  incolis,  modeste, 
pacifice,  per  ordinem  secundum  uniuscuiusque  dignitatem  et  gradum, 
dum  essent  ipsi  ili. mi  domini  dux  et  ducissa  et  Galeaz  filius  extra  pre- 
dicte  Mediolani  ciuitatis  portam  Ticinensem,  preponentes  uniuersum  Mo- 
diolani  clerum  cum  illustri  et  exoelso  apparatu,  comites  deinde  et  alios 
illustres  et  magnanimos  viros,  subinde  ipsius  ili. ini  domini  ducis  utrumque 
conscilium,  deinde  spectabilem  potestatem  Mediolani  cum  eius  curia,  ac 
spectabilem  vicarium  et  duodecim  prouisionum  communis  Mediolani  cum 
eorum  offitialibus  et  sotiis,  de  inde  rectorem  ciuitatis  ipsius,  postea  per 
ordinem  magistratus  omnes,  dehinc  spectabiles  preclarosque  d.res  collegii 
luris  peritorum  Mediolani,  post  hoc  medicorum  collegium,  post  eos  or- 
natissimorum  et  fidissimorum  causidicorum  et  notariorum  collegium,  su- 
binde mercatorum  nominatissimorum,  de  hinc  aliorum  ciuium,  postea 
artistarum  paraticha  seu  societates,  et  in  fine  populum  vniuersum,  et 
cum  infinitis  letitiis  et  gaudiis,  ut  etiam  ordinata  per  eos  et  nomine 
totius  vniuersitatis,  populi  et  communitatis  sepedicte  Mediolani  ciuitatis 
die  mercurii  vndecimo  presentis  mensis  exequerentur,  se  prius  ad  ma- 
iorem  Mediolani  ecclesiam  ac  arenghi  curiam  congregarunt,    et   ibidem 


I.  Formentini;  mette  qui  un  punto,  e  salta  alle  parole:  Statuerunt  n  hoc 
presenti  die.  2.  Ibid.  :  omette  fino  a:  recoligenio,  assotiando  etc.  3.  Qui  termina 
il  doc.  26,  dal  Formentini  incompletamente  edito. 


l'ingresso    di  FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  97 

leuatis  caro  trionfali,  uestibus  et  insigniis  ducalibus,  aliisque  ad  uerum 
et  indubitatum  ducem  opportunis,  obuiam  prefatis  iH.i^is  dominis  duci  ac 
ducisse  et  filio  accesserunt,  et  ipso  caro  prefatis  ill.mis  domino  ac  do- 
mine et  filio  presentato  extra  dictani  portam  Ticinensem  ejusdem  ci- 
uitatis,  ipsoque  caro  honorificentissime  ante  eos  ducto,  immediate  ipsos 
ill.mos  dominum  Franciscum  Sfortiam  et  dominam  Blancham  Mariam  et 
Galeaz  filium,  iterato,  voluntarie,  sponte  et  ex  certa  scientia  et  cum  in- 
finitis  gaudiis  eos  in  eorum  et  totius  ciuitatis,  et  communitatis,  ac  vni- 
uersitatis  ciuium  et  populi  Mediolani  ueros  ducem  et  ducissam,  et  ita 
comitatos  ad  apparatum  et  munificentissime  exornatum  Tribunal,  con- 
stitutum  ante  faciem  predicte  ecclesie  maioris,  super  platea  arenghi  con- 
sotiarunt,  ibique  consederunt  ipsi  ill.mi  domini  dux,  ducissa,  et  fìlius  Ga- 
leaz, dux  futurus,  releuati  et  eminentes  cunctis  fere  ciuibus,  plebeis  et 
populo  concernentibus,  ibique  predictus  magnificus  dominus  Guarnerius, 
primo  prò  solemni  ordine,  gerendorum  sermonem  et  orationem  habuit, 
et  omnia  perfitienda  distinxit  et  excitauit,  et  successine  infrascripti  spec- 
tabiles  et  magnifici  ciues  mediolanenses,  eorum  nominibus  et  ut  sindici 
€t  procuratores  et  mandatarii  prefate  totius  vniuersitatis,  ciuium  et  po- 
puli et  communitatis  Mediolani,  ad  hec  solemniter  constituti  et  deputati 
utsupra,  in  instrumento  dicto  die  vndecimo  presentis  mensis  confecto 
per  nos  notarios  infrascriptos,  uolentes  exequi,  perficere  et  executioni 
mandare  ordinata,  disposila  et  conclusa  ut  supra  fecerunt,  dixerunt, 
presentauerunt  et  iurauerunt  ac  promiserunt  ut  infra.  Et  primo  magni- 
ficus dominus  Oldradus  de  Lampugnano,  habens  in  eius  manibus  cla- 
midem  unam  damaschini  albissimi,  armelinorum  sufultam,  que  ducalem 
habitum  demonstrabat  et  demonstrat,  eam  clamidem  flexis  genibus  cum 
omni  debita  reuerentia  prefato  domino  duci  presentauit,  et  eum  prefatum 
dominum  ducem  induit  ;  subsequenter  magnificus  Philippus  Bonromeus, 
Arone  comes  etc,  habens  in  eius  manibus  bauerum  seu  ducale  capu- 
zium,  similiter  ex  albissimo  damaschino  armelinorum  sufulto,  contestim 
flexis  genibus,  cum  omni  debita  reuerentia  prefato  domino  duci  presen- 
tauit, et  eum  in  caput  eius  induit;  postea  magnificus  dominus  Petrus 
Vicecomes,  habens  in  eius  manibus  ducalem  biretum,  similiter  dama- 
schino albissimo  armelinorum  sufulto,  contestim  flexis  genibus,  cum 
omni  debita  reuerentia  prefato  domino  duci  presentauit,  et  in  caput  eius 
posuit;  de  hinc  magnificus  Gaspar  de  Vicomercato,  septrum  ducale  in 
manibus  habens,  flexis  genibus,  cum  omni  debita  reuerentia  prefato  do- 
mino duci  presentauit,  et  in  eius  domini  ducis  manibus  tradidit:  de  inde 
spectabilis  Antonius  de  Triuulzio,  habens  in  eius  manibus  ducale  stan- 
dardum  seu  vexillum  cum  aquilis  et  viperibus,  flexis  genibus,  cum  de- 
bita reuerentia  prefato  domino  duci  presentauit,  et  dedit  in  eius  ma- 
nibus ;  postea  spectabilis  Melchion  de  Marliano,  in  eius  manibus  habens 
sigillum  unum,  in  quo  erant  arma  ducalia  insculpta  argenteum  supra 
aureatum,  flexis  genibus,  et  cum  omni  debita  reuerentia  presentauit  et 
dedit;  de  inde  spectabilis  Petrus  de  Pusterla,  in  eius  manibus  habens 
ensem  seu  ducalem  spatam,  flexis  genibus,    et    cum    omni  debita   reue- 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VII.  7 


98  ALESSANDRO    COLOMBO 

rentia  prefato  domino  duci  presentauit  et  dedit,  Postea  predicti  et  in- 
frascripti  alii  spectabiles  ciues,  duo  prò  porta,  uidelicet  prò  porta  Noua 
Francischinus  de  Castro  sancti  Petri  et  Christophorus  de  Pagnanis,  prò 
porta  Orientali  Gulielmus  de  Marliano  et  Ambrosius  Gota,  prò  porta 
Romana  Antonius  Porrus  et  Franciscus  Surrigonus,  prò  porta  Vercel- 
lina  Biaxolus  de  Cuxano  et  Leo  de  Beaquis,  prò  porta  Cumana  Am- 
brosius Gagnola  et  Acorsinus  de  Landriano,  prò  porta  Ticinensi  Joannes 
de  Stampis  et  Arigolus  de  Arconate,  habentes  digne  refferendo  in  eorum 
manibus  claues  portarum  diete  ciuitatis  Mediolani,  flexis  genibus,  cum 
omni  debita  reuerentia,  in  signum  suppositionis  et  subiectionis  ut  supra, 
prefato  domino  domino  duci  presentauerunt  et  dederunt  in  eius  manibus, 
et  fortia,  et  dimiserunt  de  inde  predicti  et  infrascripti  alii  spectabiles 
ciues  mediolanenses,  eorum  nominibus  propriis  item  tamquam  sindici  et 
procuratores  et  mandatarii  ut  supra,  et  uts.'  constituti,  flexis  genibus, 
coram  prefato  ill.mo  domino  duce  Mediolani  ac  il). ma  domina  et  (ìlio,  se- 
dentibus  ut  s.%  iurauerunt  et  iurant  et  sacramentarunt  in  eorum  suis  et 
dictis  modis  et  nominibus  quibus  supra  et  omnium  ciuium  et  totius  pò- 
puli,  ad  sancta  Dei  Euangelia  manibus  corporaliter  sacrosanctis  Euan- 
gelijs  tactis  super  quodam  libro  missalli,  quem  prefatus  dominus  dux 
in  eius  tenebat  manibus,  in  hunc  modum,  videlicet  :  Ghe  essi  sindici  et 
procuratori,  a  suo  et  dicto  nome  utsupra,  et  anche  tutti  li  altri  cittadini 
et  populari,  da  mo  inante,  semper  et  continuato  tempore,  serano  fideli 
a  li  prefati  signori  duca  et  madona  ducissa,  et  a  loro  fioli  et  descendenti 
utsupra,  come  deno  essere  li  boni  et  neri  subditi  a  li  sui  signori,  et  che 
per  directo  nec  per  indirecto  tractaranno  ne  consentiranno  ad  alcuna 
cosa,  che  sia  ne  esser  possa  in  preiuditio,  danno,  ne  detrimento  de  li 
prefati  signori  duca  et  madona  ducissa  et  fioli,  et  ut  supra,  ne  stato 
suo  ;  et  se  alcuna  cosa  li  sera  dita  onero  comissa,  ad  ninno  la  manife- 
staranno  in  detrimento,  danno  ne  uergonia  d'  essi  signori  duca  et  ma- 
dona ducissa  o  fioH;  et  che  mai  non  serano  in  conscilio,  auxilio,  fauore 
nel  in  facto,  che  essi  sig.n  perdano  la  ulta  ouer  membro  alcuno,  o  re- 
ceuano  in  la  propria  persona  alcuna  lexione,  iniuria  o  contumelia,  o 
che  perdano  alcuno  honore,  che  da  presente  abbiano,  o  da  qui  inante 
aurano  ;  et  che  se  auerano  alcuna  notitia  nera  de  alcuna  cosa,  che  sia 
ne  esser  possa  in  preiuditio,  danno  o  uergonia,  onero  detrimento  de  la 
propria  persona,  onero  stato  de  li  prefati  signori  duca  et  madona  ducissa 
o  fioli,  li  obuiarano  a  tutta  sua  possanza,  et  statim  la  notificaranno,  et 
non  saranno  ad  niuno  suo  detrimento,  et  sic  successine,  a  li  suoi  fioli, 
legiptimi  nati  et  che  nasceranno  d'  essi,  semper  intendendo  li  loro  pri- 
migeniti  masculi,  e  mancando  quili  le  femine  etc,  et  secondo  se  contene 
in  la  stricta  et  solemnissima  forma  de  fidelitate,  de  nerbo  ad  uerbum» 
Insuper  predicti  sindici  et  procuratores,  superius  nominati  ut  s.*  eorum 
nominibus,  et  totum  populum  et  totum  vniuersitatem  utsupra  represen- 
tantes,  et  una  cum  eis  infinitus  quasi  numerus  ciuium  et  populi  ibi  exi- 
stentium  eorum  nominibus  et  utsupra,  voluntarie  et  ut  supra,  declara- 
uerunt,  concluxerunt  et  ordinauerunt  et  fecerunt,  et  faciunt  et  concludunt, 


l'ingresso   di   FRANCESCO   SFORZA   IN    MILANO,    ECC.  99 

determinant  et  ordinant,  ad  cautelam  ex  abundanti,  et  non  recedendo 
propterea  a  translatione  alias  facta  ut  supra,  transferre  et  presentium 
tenore  potestatem,  liberum  et  plenum  dominium,  et  ducatum  Mediolani 
annexum,  coherentem  ciuitati  et  ducatui  Mediolani,  in  prefatum  ill.mum 
donriinum  Franciscum  Sfortiam,  ducem  Mediolani  ect.,  presentem  et  ac- 
ceptantem,  cum  reseruatione  et  sine  preiuditio  cuiuslibet  iuris,  in  do- 
minio et  ducatu  Mediolani,  prelibatis  dominis  Francisco  Sfortie  et  domine 
Bianche  Marie  competentis,  pertinentis  et  spectantis,  quocumque  modo, 
titulo,  causa  et  iure  et  eorum  possessione  seu  quasi,  et  hoc  cum  mero 
et  mixto  imperio,  et  omnimoda  iurisdictione  et  gladii  potestate  et  re- 
galiis,  cum  omnibus  intratis  ordinariis  et  extraordinariis,  uenationibus, 
honorantiis  et  quibuscumque  ad  dominium  et  ducatum  pertinentibus, 
pure,  libere,  piene  et  realiter  et  sine  exceptione,  et  omnibus  iure,  via  et 
forma,  quibus  melius  et  eflScatius  predicti  ciues  et  populus  et  sindici 
et  ut  supra  potuerunt  et  possunt,  irreuocabiliter  et  sine  diminutione, 
prò  omni  facultate  competenti,  tam  ex  pace  constantie  quam  ex  inue- 
terata  consuetudine,  et  ex  prescriptione  completa,  ac  ex  priuilegiis  do- 
minorum  imperatorum  et  regum  romanorum,  et  alio  quocumque  iure, 
quibus  melius  et  efficatius  ualere  et  tenere  potest.  Et  hec  omnia  et  sin- 
gula  uoluerunt  et  decreuerunt,  et  uolunt  et  decernunt  habere  debere 
uim  legis  seu  priuilegii.  Declarantes  quod  predicta  translatio  dominii  et 
ducatus  ut  supra,  post  mortem  prelibati  ili.mi  domini  domini  ducis  Fran- 
cisci  Sfortie  Vicecomitis,  transeat  et  facta  sit  et  esse  intelligatur  etiam 
in  filios  masculos  legiptimos,  et  quoscumque  descendentes  ex  ipsis  filiis 
prefati  ili. mi  domini  ducis,  et  masculis  defficientibus  etiam  in  feminis  ex 
prelibato  ill.mo  domino  Francisco  Sfortia  et  prefata  ili. ma  domina  Blancha 
Maria  extantes,  aut  nascituros  et  nascituras,  ita  ut  in  ducatu  primoge- 
nitus  succedat,  et  eo  defficiente  descendentes  ex  eo,  quibus  defficientibus 
secundogenitus,  et  successine  reliqui  admittantur,  ita  ut  totale  dominium 
in  prefatum  ill.mum  dominum  Franciscum  Sfortiam  et  descendentes  irre- 
uocabiliter translatum  intelligatur,  ex  hac  populi  translatione  et  ut  supra. 
Quibus  omnibus  et  singulis  ita  peractis,  prefati  sindici  et  procura- 
tores  ac  mandatarii  eorum  nominibus  et  uts.%  ac  dictus  quasi  infinitus 
numerus  populi,  ibidem  cum  maxima  animorum  iocunditate  et  iubilatione 
instanter  et  instantius  clarissimis  et  altissimis  vocibus  petierunt,  requi- 
siuerunt,  institerunt  et  supplicauerunt,  uicibus  repetitis,  a  prefato  ill.mo 
domino  domino  duci  nostro,  quatenus  in  &ignum,  memoriam  et  perpe- 
tuam  famam  tante  celebritatis,  festiuitatis  et  glorie  uelit  excellentieque 
sue  placeat  prefatum  preclarum  et  illustrem  Galeaz  Vicecomitem,  eorum 
dominorum  ducis  et  ducisse  primogenitum,  futurumque  Mediolani  ducem^ 
militem  et  in  militem  creari,  erigi  et  sublimari  facere,  etiam  prò  eorum 
ciuium  et  populi  animorum  beneplacito  et  solamine.  Qui  dictus  dominus 
dux,  ex  sua  innata  gratitudine,  bonìtate  et  clementia,  uolens  ciuibus  et 
eius  populo  moreni  gerere,  hortatus  est  et  iussit  ipsum  Galeaz  primo- 
genitum eius  debere  per  magnificos  milites  dominos  Blaxium  de  Axa- 
reto,  Mediolani  potestatem,  Morellum  de  Scolaribus  de  Parma  et  Fran- 


I 


lOO  ALESSANDRO   COLOMBO 

ciscum  de  Fossato,  militem  et  in  militem  creari  et  erigi:  qui  milites 
sensere  in  presentia  prefatorum  dominorum  ducis  et  ducisse,  et  cum 
eorum  et  utriusque  eoram  licentia  et  parabola,  delato  ipsi  ili."  Galeaz, 
debito  solito  iuramento  et  solemniter  per  eum  prestito  in  manibus  eorum 
dominorum  militum  ut  supra,  et  de  uerbo  ad  uerbum  prò  ut  de  jure  et 
ex  consuetudine  fieri  debet  et  consueuit,  que  nerba  hic  prò  sufficienter 
expressis  habeantur,  eum  militem  et  in  militem  creauerunt,  erexerunt 
et  sublimauerunt,  singendo  eum  deauratum  ensem  seu  spatam,  et  cal- 
ziando  eum  deaurata  calcharia,  cum  pienissima  potestate  aurum  def- 
ferendo,  aliaque  faciendi,  gaudendi  et  potiendi,  prò  ut  gaudent  et  fa- 
ciunt  alii  neri  solemnes  et  recti  milites.  Quibus  ita  peractis,  iterum  ad 
instantiam  predictam,  etiam  ad  euidentium  signum  et  memoriam  om- 
nium predictorum,  et  prò  decentia  magnanimitate  et  gloriam  talis,  tante 
et  inaudite  festiuitatis,  etiam  ad  omnium  ciuitatum  et  terrarum  eius  to- 
tiusque  dominii  honorem,  decentiam,  ornatum  et  gloriam,  prefatus  ill.mus 
dominus  noster  dux  Mediolani  iussit  et  iubet  prefato  prelaro  eius  primo- 
genito, ceterisque  aliis  predictis  militibus,  quatenus  etiam  uelint  infra- 
scriptos  magnificos  viros  in  milites  creare  et  solemniter  erigere.  Qui  pre- 
fatus illustris  dominus  Galeaz  Vicecomes,  primogenitus  ut  supra  miles, 
predictique  alii  milites  ut  supra,  seruatis  seruandis,  et  delatis  eis  in- 
frascriptis  debitis  juramentis,  et  per  eos  solemniter  prestitis  prò  ut  supra, 
et  prò  ut  de  jure  et  ex  consuetudine  fieri  et  iurari  ac  seruari  debet,  et 
que  nerba  hic  habeantur  prò  sufficienter  expressis,  eos  omnes  infra- 
scriptos  et  singulos  eorum  fecerunt,  creauerunt  et  erexerunt  milites  et 
in  milites  eos  et  quemlibet  eorum,  assurgendo  cum  gladie  deaurata  et 
calziando  calcharia  supra  aureata,  cum  baylia,  potestate  et  facultate  aurum 
defFerendi,  et  alia  exercendi,  faciendi  et  disponendi  ac  gaudendi,  prò  ut 
gaudent,  faciunt  et  disponunt  alii  recti  neri  et  indubitati  milites.  Quorum 

militum  nomina  sunt  hec,  videlicet (i). 

Item  infrascripti  in  diuersis  aliis  diebus  sequuntur (2). 

Quibus  omnibus  et  singulis  ita  piene  et  diligenter  et  mature  ac  de- 
liberate et  nemine  discrepante  confectis,  habita  prius  per  prefatum  ma- 
gnificum  militem  et  preclarissimum  doctorem,  ducalem  consciliarium,  do- 
minum  Guarnerium  de  Castilliono,  ornatissima  oratione  de  Laudibus 
prefatorum  illustrissimorum  dominorum  ducis  et  ducisse,  eorumque  uir- 
tutibus  ac  mentis  infinitis,  prefati  ili. mi  domini  dux  et*  ducissa  ac  pre- 
fatus illustris  dominus  Galeaz,  primogenitus  dux  Mediolani  futurus  ut 
supra,  de  dicto  Tribunali  descenderunt,  et  comitati  cum  maximis  letitiis, 
gaudiis,  amenitatibus  et  solemnitatibus  per  prefatos  dominos  milites  ce- 


(i)  Segue  l'elenco  de'  militi  (in  numero  di  39,  omesso  Galeazzo  Sforza), 
creati  il  gi^no  22  marzo,  durante  la  solenne  funzione.  L'ordine  e  la  disposizione 
di  essi  puoi  vedere  in  De  Sitoni,  op.  cit.,  p.  30  sgg. 

(2)  Sono  in  numero  di  50,  cominciando  da  Giovanni  da  Tolentino  e  ter- 
minando con  Nicolò  Pendaglia  di  Ferrara;  cfr.  De  Sitoni,  op.  e  loc.  cit. 


l'ingresso   di   FRANCESCO    SFORZA   IN    MILANO,   ECC.  lOI 

terosque  excell.e  sue  magnificos  et  ill.es  viros,  ac  per  predictos  ciues 
uniuersumque  populum,  ad  altare  maius  intemerate  et  beatissime  domine 
virginis  Marie  prefate  ecclesie  maioris  mediolanensis  ut  supra,  ibidem 
deuotissime  ipsi  ill.mì  domini  dux  et  ducissa,  cum  dicto  eorum  primoge- 
nito domino  Galeaz  ac  predictis  magnificis  dominis  militibus,  ciuibus  et 
vniuerso  populo,  ac  uniuersa  quasi  multitudine,  deo  optimo  maximoque 
ac  predicte  beatissime  virgini  totique  curie  celesti  orauerunt,  egeruntque 
infinitas  gratias  et  immortales  ac  supplices  sunt  precati,  ut  ipsos  ilJ.mos 
principes  dominos  ducem  et  ducissam  et  prefatum  dominum  Galeaz, 
cum  natis  natorum  et  qui  nascentur  ab  eis,  seruent,  custodiant,  tueantur 
et  deffendant  per  infinita  secula  seculorum,  amen.  Et  de  predictis  om- 
nibus et  singulis  predicti  sindici  procuratores  et  mandatari),  suis  et  dictis 
nominibus,  quibus  supra,  et  populus  et  ciues  et  uniuersitas  ut  supra,  et 
prefati  milites  ut  supra  rogauerunt  et  rogant  per  nos  Jacobum  de  Pe- 
rego  et  Damianuni  de  Marliano,  notarios  suprascriptos  et  infrascriptos, 
et  utrumque  nostrum  publicum  confici  debere  instrumentum  unum  et 
plura  unius  eiusdem  tenoris.  Et  hec  omnia  ad  dictamen,  ornatum,  exten- 
tionem  prefati  magnifici  et  preclarissimi  i.  u.  doctoris  domini  Guarnerii 
de  Castilliono. 

Actum  super  dicto  Tribunali,  sito  de  antea  dictam  portam  ecclesie 
domine  sancte  Marie  utsupra,  et  successine  ad  dictum  altare  maius  pre- 
fate ecclesie,  presentibus  pronotariis  Marco  de  Perego,  filio  mei  Jacobi 
de  Perego  notarli  infrascripti,  P.  N.  P.  s.ti  Stephani  ad  Nuxigiam,  et 
Joanne  de  Serturi,  filio  domini  Leonardi,  P.  N.  P.  s.*'  Bartholomei  intus, 
ambobus  ciuitatis  Mediolani  notariis  et  pronotariis. 

Interfuerunt  ibi  testes  :  spectabilis  doctor  d.  Franciscus  Vicecomes, 
filius  domini  Baptiste,  P.  C.  P.  s.ti  Thome  in  terra  mara,  notus  ;  spec- 
tabilis miles  dominus  Franciscus  de  Vsmaldis,  filius  quondam  domini 
Petri,  habitator  ciuitatis  Janue  ;  spectabilis  vir  dominus  Raphael  de  Vi- 
comercato,  filius  spectabilis  legura  doctoris  dominni  Tadioli,  P.  N.  P. 
s.ti  Laurenzoli  in  Torigio,  notus  ;  spectabilis  doctor  dominus  Joannes 
Thomax  Moronus,  filius  magnifici  doctoris  d.  Bartolomei,  P.  N.  P.  s.*^ 
Martini  ad  Nuxigiam  ;  nobilis  vir  dominus  Gabriolus  de  la  Cruce,  filius 
quondam  d.  Ambrosii,  P.  N.  P.  s.*^  Martini  ad  Nuxigiam,  notus;  et  spec- 
tabilis miles  et  i.  u.  doctor  dominus  Galleotus  Ratus,  filius  d.  Joannis 
ciuis  Terdonensis,  omnes  testes  idonei,  uocati  et  rogati  (i). 


(i)  Segue  l'autentica  del  notaio  Pietro  Ortensio  dall'Orto,  addì  7  novembre 
1758.  La  copia  estratta  dal  notaio  Verga,  esistente  nell'Arch.  civ.  stor.,  porta  la 
data  del  17  luglio  1759;  e  cosi  quella  che  trovasi  alla  Trivulziana. 


La  fondazione  del    «  Giornale  Italiano 

e  i  suoi  primi  redattori  (1804-1806) 


lÀ  dal  1796  al  1799  la  grande  rivoluzione,  sì  con  l'azione 
e  sì  con  la  riazione  destate  dalla  tentata  «  democratiz- 
«  zazione  universale  »  (i),  aveva  promosso  di  qua  dal- 
l'Alpi spiriti  nuovi  e  segnate  le  ore  antelucane  del  nostro 
Risorgimento.  11  7  gennaio  1797  il  Congresso  Cispadano,  in  Reggio 
a  città  animatrice  d' Italia  »,  aveva  per  la  prima  volta  affermato,  e 
per  voto  di  rappresentanti  eletti  dal  popolo,  espresso  con  la  parola 
del  già  abate,  allora  cittadino  Gius.  Compagnoni,  il  concetto  uni- 
tario, assumendo  per  emblema  il  tricolore  destinato  a  accompa- 
gnarci al  compimento  dei  destini  nazionali  (2).  Nel  concorso  pub- 
blicato il  IO  marzo  dello  stesso  anno  per  la  proposta  del  miglior 
governo  da  darsi  allo    stato   eretto  in  Lombardia,   Gius.  Fantuzzi, 


d)  Ved.  il  Saggio  storico  sulla  rivoltij^ione  di  Napoli  del  ijg(^  di  V.  Cuoco, 
di  cui  si  discorre  più  oltre,  cap.  II.  L'espressione  ricorre  pure  significativa  in 
L'Italia  durante  Vinvasione  francese  nella  fine  del  secolo  scorso,  secondo  un  car- 
teggio inedito  del  Thiebault,  in  Riv.  stor.  del  Risorg ,  voi.  I,  9-10  dicembre  1896, 
p.  857.  E  corrisponde  difatti  alla  politica  bandita  dal  decreto  19  novembre  1792 
della  repubblica  francese,  promettente  aiuto  a  tutti  i  popoli  che  volessero  ricu- 
perare la  libertà. 

(2)  Ved.  V.  Fiorini,  Chi  inventò  il  tricolore  italiano,  in  Resfo  del  Carlino, 
Bologna,  1891,  nn.  147,  15Ó,  159,  160;  Le  origini  del  tricolore  italiano,  in  Nuova 
Antologia,  a.  XXXII,  1897,  fase.  II,  pp.  239267;  Gli  atti  del  Congresso  Cispadano, 
nella  «  Collezione  storica  del  Risorgimento  »  della  casa  editrice  Dante  Alighieri,  di- 
retta dal  Fiorini  stesso  e  da  T.  Casini;  G.  Carducci,  Perii  tricolore,  studi,  saggi 
e  discorsi,  Opere,  voi.  X,  Bologna,  1898. 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,    ECC.  I03 

C.  Botta  e  Melchiorre  Gioia  avevan  risposto  in  modo  che  già  lascia 
scorgere  il  crepuscolo  mattutino  della  rinnovata  coscienza  italiana. 
Era  asserita  la  repubblica  una  e  indivisibile,  e  il  Gioia  (1767-1829), 
pur  insistendo  di  preferenza  su  '1  concetto  della  libertà,  aveva  ri- 
volto agi'  italiani  parole  che  lo  fecero  degno  d'  esser  riconosciuto 
da  G.  Mazzini  per  suo  antecessore  nel  concetto  unitario  (i).  Sorgeva 
il  teatro  patriottico,  e  si  aprivano  i  circoli  costituzionali  a  radunanze 
di  popolo  che  udirono  i  deliri  di  cattivi  demagoghi  e  ben  anco  la 
eloquenza  di  U.  Foscolo,  Giov.  Fantoni,  Giov.  Pindemonte.  Ed  eran 
pullulati  in  questa  Milano  e  nelle  province,  intorno  all'albero  della 
libertà,  i  giornali  che  parlavano  un  infiammato  linguaggio  tribunizio. 
Insigne  fra  tutti  questi  il  Monitore  Italiano,  nome  e  aggettivo  si- 
gnificativi, del  Foscolo,  del  Gioia,  di  P.  Custodi  e  del  veneto  Bre- 
ganze,  che  apostrofava  cittadini  e  direttorio  e,  mentre  propugnava 
un  indirizzo  fieramente  democratico,  affrontava  italianamente  la  pre- 
potenza francese  e  le  peggiori  scimmie  del  giacobinismo  oltre- 
montano, onde  era  soppresso  al  115.°  numero.  Gli  faceva  riscontro, 
a  Genova,  il  giornale  di  Gaspare  Sauli  pure  informato  a  senti- 
menti di  schietta  italianità  (2j. 

(i)  Ved.  G.  Mazzoni,  Ottocento^  ediz.  Vallardi,  pp.  iiyiy,  G.  Mazzini, 
Scritti  editi  ed  inediti,  voi.  I^  polit.  I,  Roma,  j88i,  p.  82;  F.  Momigliano,  Un 
pubblicista,  economista  e  filosofo  del  periodo  napoleonico,  in  Riv.  di  fi.lol.  e  scienie 
affini,  Padova,  1903-1904,  voli.  I  (n.  2)-II  (n.  2),  specialmente  il  cap.  VI,  p.  141  sgg. 

(2)  Ved.  G.  Fumagalli,  Bibliografia  del  giornalismo  italiano,  in  Riv.  delle 
bibliot.,  voi.  L-LIII,  passim.  Poco  o  nulla  vale  la  Guida  della  stampa  periodica 
4i  N.  Bernardini,  Lecce,  1890.  Per  questo  periodo,  ved.  Momigliano,  op.  cit., 
^ap.  Vili,  p.  323  ;  Mazzoni,  op.  e  loc.  cit.  ;  G.  Roberti,  //  cittadino  A.  Ran:^a, 
in  Misceli,  di  stor.  ital,  to.  XXIX,  Torino,  1892,  pp.  60,  63,  139,  141,  144, 
169,  176-77  ;  G.  Melzi,  F.  Mel^i,  Memorie-documenti,  Milano,  1865,  Introduzione, 
pp.  169-70;  174-76;  L.  CoRio,  I  giornali  della  repubblica  Cisalpina,  in  verità  solo 
intorno  alia  Galletta  Enciclopedica  ;  Cusani,  Storia  di  Milano,  voi.  V  ;  G.  Cal- 
LiGARis,  A  Milano  nel  iy^8,  in  c{\xqs\^ Archivio,  XXV,  1897,  11,  pp.  130-31; 
L,  ViccHi,  V.  Monti,  Le  lettere  e  la  politica  in  Italia  dal  ij^o  al  18^0,  quarto 
estratto,  Fusignano,  1887,  pp.  214,  219,  456,  4^8,  463,  477;  ibid.,  triennio 
1791-1793,  Faenza,  1879,  p.  85  (trascurato  da  G.  Fumagalli,  op.  cit.);  A.  Neri, 
Un  giornalista  della  rivoluzione  genovese  (1797  -  Gaspare  Sauli),  in  Illustra^^ione 
Italiana,  1887,  specialmente  a  p.  176.  Per  i  circoli,  oltre  alle  trattazioni  generali, 
ved.  G.  Mazzoni,  Milano  cento  anni  fa,  in  Nuova  Antologia,  1898,  n.  636.  Pietro 
Custodi,  cittadino  due  volte  imprigionato  nella  prima  Cisalpina,  membro  della 
municipalità  di  Milano,  sez.  I,  nel  1797,  poi  ufficiale  dello  stato  e  barone  nell'era 
più  propriamente    napoleonica   nel    1798,  scrisse  anche  V Amico  della  libertà  ita- 


I04  ATTILIO   BUTTI 

Invero  non  si  era  tardato  a  sentir  le  gravezze  della  repubblica 
madre  e  straniera,  a  soffrire  di  comportamenti  burbanzosi,  vessa- 
tori, ladreschi.  Onde  le  nostre  moltitudini,  da  secoli  addormentate 
nel  servaggio,  non  ebbero  tempo  a  mutar  la  diffidenza  e  V  indiffe- 
renza in  favore  per  i  nuovi  ordinamenti;  che  prima  lasciarono  i  pochi 
illusi  o  infinti  a  far  sogni  e  orge  di  libertà,  e  poi,  anzi  presto,  si 
sentirono  offese  nel  lor  quieto  vivere,  nelle  loro  cose,  negli  oggetti 
della  loro  venerazione,  covarono  il  rancore  e  indi  a  poco  prorup- 
pero in  feroci  insorgenze.  Venne  dall'  una  parte  l'ostilità  delle  turbe 
e  di  quanti  eran  ligi  a'  governi  scacciati,  dall'altra  lo  sdegno  fer- 
mentò a  ribellione  in  ispiriti  schiettamente  repubblicani  e  soprat- 
tutto italiani,  come  il  Gioia,  il  Foscolo,  il  Custodi,  il  Breganze. 
Narra  il  Botta  che  Bologna  era  stata  designata  qual  centro  d'una 
vasta  cospirazione  che  di  là  doveva  stendere  i  raggi  nelle  varie 
parti  d' Italia,  onde  s' intitolò  de'  «  Raggi  »  (i)  :  l'avrebber  capeg- 
giata D.  Pino  e  G.  Lahoz  soldati  della  stessa  rivoluzione.  V'erano, 
nel  seno  della  Cisalpina,  dispotismo  straniero  e  giacobinismo  pazzo 
o  servile,  illusioni  oneste  di  «  magnanimi  pochi  w  e  fremito  d'im- 
pazienza per  amore  o  istinto  d' indipendenza  nazionale  (2). 

Ma,  lasciando  la  feccia  e  gli  uomini  dalle  bas'se  cupidige,  tra 
gli  altri  si  delinearono  in  breve  due  parti  ch'ebbero  mescolanza  di 
errori  e  di  felici  nobili  intuizioni.  Le  due  parti  sembrano  come 
impersonate  nel  Pino  e  nel  Lahoz,  prodi  tutt'  e  due,  quando  si 
trovano  1'  un  contro  l'altro  sotto  le  mura  d'Ancona  nel  '99  (io  ot- 
tobre). Il  primo  vacillò  nell'idea  della  cospirazione,  davanti  alla 
prima  coalizione  monarchica  e  alle  minacce  dell'invasione  austro- 
croata  e  del  ritorno  d'  un  passato  ormai  condannato,  e  tenne  fede, 
almeno  fino  al  '14,  a'  principi  della   rivoluzione  e   alla  bandiera  a 


liana,  stamperia  a  S.  Mattia  alla  Moneta,  di  cui  serbò  alcuni  numeri  il  Marcili 
nel  suo  giornale  ms.  della  repubblica  Cisalpina,  to.  IX.  V Amico,  ecc.  è  altra  cosa 
dagli  Amici  della  libertà  ed  eguaglianza  a  cui  si  riferisce  il  Vicchi,  quarto  estratto,, 
pp.  455-56. 

(i)  A.  Zanolini  invece,  in  A.  Aldini  ed  i  suoi  tempi,  voi.  I,  cap.  XII,  Firenze, 
1864,  riferisce  la  cospirazione  de'  Raggi  al  1801.  Non  cosi  pare  al  più  recente 
biografo  del  Lahoz  ;  ved.  infra.  Cfr.  del  resto  Botta,  Storia  d* Italia,  voi.  XVHI,, 
pp.  632-36. 

(2)  Ved.  A.  Franchetti,  Storia  d'Italia  dal  i^Sg  al  J'j^^,  Milano,  1880, 
pp.  198  sgg.,  374  sgg.  ;  G.  De  Castro,  Milano  e  la  repubblica  Cisalpina,  Mi- 
lano, 1879,  p.  112;  C.  Cantù,  Storia  degl'italiani,  voi.  VI. 


LA  FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,   ECC.  I05 

cui  s'  era  addetto.  L'  altro  piegava  verso  l'Austria  e  i  sanfedisti  ; 
capo  d'  «  insorgenze  w,  faceva,  checché  si  dica  in  contrario  per  spi- 
rito di  parte  (i),  un  tradimento  al  generale  che  gli  aveva  affidate 
le  forze  militari,  per  l' illusione  che  si  potesse  ottener  V  indipen- 
denza nazionale  dall'Austria  e  dal  papato. 

Venezia  era  stata  patteggiata  a  Campoformio,  non  riuscendo 
a  mutarne  il  destino  la  commozione  che  il  Bonaparte  confessò 
d'aver  sentito  per  le  parole  di  Vincenzo  Dandolo  (2);  Genova  era 
repubblica  democratica,  cioè  infranciosata;  a  Napoli  era  sorta  la 
Partenopea;  a  Roma  Pio  VI  aveva  dovuto  far  davvero  il  «  ballo  »» 
che  la  rappresentazione  scenica  di  F.  Salfi  fingeva  nel  teatro  già* 
cobino  di  Milano  (3);  il  «  tirannello  del  Piemonte  ",  denunziato  dal 
Monitore  Cisalpino  (4),  per  i  maneggi  del  Ginguenè  prima  e  di 
L.  Cicognara  poi  (5),  era  stato  scacciato  da'  propri  stati  di  terra 
ferma.  Ma  tutto  ciò  aveva  provocato  là  coalizione  monarchica  e 
fatto  scendere  il  terribile  Souvaroff"  a  emulare  il  Bonaparte  lontano,, 
a  disperdere  i  Francesi  dall'  Italia,  a  schiantar  gli  alberi  della  li- 
bertà e  le  piccole  mal  ferme  repubbliche,  inferocendo  a' suoi  fianchi 
la  riazione,  imperversando  i  volghi  fanatici  che  la  repubblica  aveva 
disturbati  e  punto  persuasi.  Nuovi  peggiori  guai,  nuovi  furti,  questa 
volta  in  nome  de'  re,  del  papa  e  della  Teligione,  come  prima  in  nome 
di  libertà,  fratellanza,  eguaglianza;  nuova  insopportabile  oppressione. 

Il  «  nordico  nembo  »  de'  tredici  mesi ,  per  il  confronto  tra  i 
Francesi  e  i  Tedeschi  e  Russi  in  Lombardia,  eh'  ebbe  poi  rilievo 
disadorno  ma  efficace  dalla  penna  di    M.  Gioia  (6),  rese  più    vivo 

(r)  Si  allude  allo  scritto  //  generale  Laho:^  propugnatore  dell*  indipeftdenia 
italiana^  in  Civiltà  Cattolica,  Firenze,  1904,  quad.  1291,  voi.  II,  specialmente  a 
pp.  59,  299-300,  537;  a  cui  rimando  per  la  bibliografia  anteriore. 

(2)  Zanolini,  op.  cit.,  lib.  II,  cap.  Ili,  p.  60  sg.;  Melzi,  op.  cit.,  voi.  V^ 
p.  147  ;  De  Castro,  op.  cit,  p.  147. 

(3)  E,  Masi,  Il  teatro  giacobino  in  Italia^  in  Studi  sulla  storia  del  teatro  ita- 
liano nel  sec,  XVIII,  Firenze,  1891,  p.  355  sgg. 

(4)  Artic.  di  G.  Compagnoni,  ivi,  1798,  n.  23. 

(5)  La  più  compiuta  esposizione  di  questa  faccenda'  è  in  V.  Malamani^ 
Memorie  del  conte  L.  Cicognara,  Venezia,  1888,  par.  I,  cap.  Vili,  pp.  1 10-16. 

(6)  Si  allude  al  noto  discorso  storico  popolare  del  Gioia  che  appunto  s' intitola 
/  francesi,  i  tedeschi,  i  russi  in  Lombardia,  Milano,  1805,  'lodato  poi  anche,  senza 
che  fosse  nominato  l'autore,  dal  Giornale  Italiano,  1805,  n.  112,  18  settembre, 
supplemento.  Cito  fonti  d' interesse  particolare  per  il  mio  tema  ;  gli  altri,  solo  in 
generale,  ove  presentino  novità  di  concetto  o  mi  paia  di  dover  loro  contraddire. 


I06  ATTILIO   BUTTI 

ne'  patriotti  esuli,  ne'  deportati  al  Cattaro,  tra  i  quali  P.  Moscati  e 
F.  Reina,  illustri  1'  uno  nella  scienza,  1'  altro  nelle  lettere,  tutt'  e 
-due  nella  probità  e  nel  patriottismo,  in  quanti  tremavano  per  sé 
o  per  i  loro,  in  quanti  come  i  torinesi  furono  anche  offesi  per  il 
torto  reso  al  loro  re  dai  finti  amici,  un  più  vivo  amore  a  quella 
poca  di  libertà  che  avevan  per  breve  ora  gustata  in  mezzo  alle 
prepotenze  galliche  e  alle  volgarità  giacobine. 

La  fine  del  primo  periodo  rivoluzionario  era  stato  altresì  ri- 
schiarato da  fiamme  di  eroismo  italiano  a  Napoli  e  a  Genova.  La 
caduta  della  Partenopea  appare,  a  un  secolo  di  distanza,  materia 
degna  di  epica.  Non  diremo  con  altri,  che  in  quella  fiammata  me- 
ramente di  spiriti  repubblicani  fosse  la  prima  affermazione  dell'unità 
italiana  (i),  la  quale  in  certo  grado  s'  era  già  affacciata  prima,  e 
■come  idea  dominatrice,  fede  inconcussa,  programma  supremo  e 
improrogabile,  attendeva  ancora  1'  apostolo  in  G.  Mazzini.  Ma  lo 
spettacolo  di  quell'epopea  in  azione  sublimò  gli  spiriti  de'  patrioti 
italiani  nella  restante  Italia  e  valse  a  cibarli  di  alta  idealità  e  di 
fiducia  nel  destino  della  nostra  gente  capace  di  tanto.  Tale  efficacia 
dovevan  sentire  segnatamente  quanti  patrioti  eran  chiusi  in  Genova 
assediata,  tenuta  dal  Massena,  sotto  il  quale  militava  Ugo  Foscolo, 
poeta,  giornalista,  tribuno  e  soldato  della  repubblica,  in  Genova  ul- 
timo propugnacolo  della  rivoluzione  in  Italia.  E  a  sua  volta  quel 
memorabile  assedio  infiammava  quant'altri  erano  o  fuggiti  in  Francia 
o  celati  in  presenza  delle  vendette  e  soperchierie  de'  sanfedisti  e 
degli  austrocroati.  Allora,  nel  momento  supremo  della  sventura, 
ribalenò  per  un  istante  più  vivida  l' idea  unitaria  nella  petizione 
famosa  degli  esuli  nostri  al  direttorio  francese  che  portava  soscritti 
i  nomi  di  Carlo  Botta  piemontese,  di  Cesare  Paribelli  lombardo 
a'  servigi  della  libertà  partenopea,  e  di  tant'altro  fiore  di  quel  pa- 
triottismo. 


(i)  È  specialmente  affermazione  di  B.  Croce,  Reìa^joni  dei  patriotti  napole- 
tani col  direttorio  e  col  consolato  e  V  idea  dell'unità  italiana  {iy^^-i8oi\  Napoli, 
1902,  voi.  IV,  pp.  65-80.  Vi  inclinava  pure  A.  Franchetti,  Dell'unità  italiana 
nel  '99,  aprile  e  dicembre  1890.  Notevole  che  il  Momigliano,  op.  cit.,  p.  144, 
legge  «  Gioja  »  invece  di  «  Ciaia  »  napoletano,  nella  lettera  del  Botta  al  Fantoni 
a  proposito  di  quelli  che  nel  '99  si  adopravano  in  Francia  per  l'indipendenza 
d' Italia,  a  differenza  di  B.  Croce,  op.  cit.,  p.  77.  Su  '1  giudizio  del  C.  ved,  an- 
cora infra,  in  note. 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE    ITALIANO     »,    ECC.  IO7 

Ed  era  appena  caduta  Genova  quando  le  armi  francesi  ritor- 
navano in  Italia  sotto  il  Bonaparte  che  sapeva  la  vittoria.  Marengo 
assicurava  un'era  nuova,  Lunéville  assicurava  la  vita  a  una  seconda 
Cisalpina  di  più  ampi  confini  che  aveva  ancora  Milano  per  capitale 
e  irradiatrice  di  vita  politica.  E  i  comizi  di  Lione,  rispondendo  al 
voto  concorde  degl'  italiani  là  convenuti  e  già  interpretato  in  versi 
<ia  G.  Pindemonte  (i),  la  canonizzavano  tra  gli  applausi  con  il  nome 
fatidico  di  Italiana  (2). 


II. 


Si  eran  fatte  a  breve  andare  due  diverse  e  grandi  esperienze; 
c'era  ben  ragione  perchè  oramai  con  dirittura  di  mente  si  rifug- 
gisse dalle  due  maniere  di  eccessi. 

La  nuova  repubblica  si  mostrava  presto  diversa  dalla  prima. 
Il  Bonaparte  fin  dal  suo  primo  riapparire  aveva  dato  intonazione 
a  un  tutto  nuovo  corso  di  cose  (3).  La  repubblica  italiana  nasceva 
per  avviarsi,  nella  mente  del  fondatore,  a  regno  d'  Italia,  e  assu- 
meva ufficio  d' instaurazione  conforme  al  mutamento  che  le  cose 
-avevan  ricevuto  di  là  dall'Alpi,  dove  tra  l'antico  regime  e  la  rivo- 
luzione si  era  giunti  alla  resultante  media  del  consolato,  preludio 
dell'  impero,  e  si  era  messo  da  parte  il  disegno  della  democratiz- 
zazione universale.  Si  voleva  riuscire  al  consolidamento  delle  più 
preziose  conquiste  della  rivoluzione  senza  distruggere  dai  fonda- 
menti tutto  il  passato,  trattandolo  anzi  con  spirito  conciliativo:  il 
genio  di  Napoleone  e  de'  suoi  collaboratori,  arbitro  fra  i  due  secoli 
«  r  un   contro  l' altro    armato  »,  doveva   comporre   la  gran    lite   e 


(i)  Ved.  Mazzoni,  op.  cit.,  p,  io. 

(2)  Ved.  Memorie  di  L.  Cicognara,  già  cit.,  par.  I,  cap.  XIV  ;  Boulay  de 
LA  Meurthe,  Documents  sur  la  négociation  du  concordai^  to.  V,  Paris,  1897,  con 
l'attestazione  del  vescovo  di  Cervia.  Ved.  pure  T.  Casini,  Antonio  Codronchi  alla 
€onsulta  di  Lione,  dove  occorre  la  mia  stessa  espressione  in  un  documento  del 
tempo.  Ved.  pure  Zanolini,  op.  cit.,  lib.  I,  cap.  XIII,  e  T.  Casini,  Estratto  di 
un  carteggio  famigliare  e  privato  di  Luigi  Valdrighl,  Modena,  1872.  Ved.  pure 
Marelli^  par,  III,  to.  XXIV,  p.  2[  e  la  circolare,  inserita  ibid.,  p.  54,  del  commis 
^ario  del  governo  presso  i  tribunali  e  giudici  del  dipartimento  d'Olona,  ch'era  il 
tioto  demagogo  Pelegatta. 

(5)  G.  De  Castro,  Storia  d'Italia  dal  ly^^  al  1814,  Milano,  voi.  Vf,  p.  89  sg. 


Io8  ATTILIO   BUTTI 

insieme  dare  un  gran  progresso  e  restituire  uno  stabile  assetto 
sociale.  Il  concordato  colla  chiesa  è  il  maggior  segno  di  tale  con- 
ciliazione e  il  codice  napoleonico  sancisce  in  modo  memorabile  il 
rassodarsi  delle  conquiste  civili. 

In  Italia  gli  ordinamenti  allora  instaurati  ostentavano  pure  ita- 
lianità che  sollevava  gli  spiriti.  Figlio  di  un  fedele  a  un  re  spodestata 
dalle  armi  francesi,  l'autore  dell'  ancor  pregiato  Sommario  della 
storta  d'Italia  (i)  riconosceva  italianità  allo  stato  risorto  tra  noi 
all'aurora  del  sec.  XIX  con  fasti  splendidi  e  alte  promesse;  e  gli 
studi  posteriori  hanno  confermato  il  giudizio  con  maggiori  rilievi 
e  luce  di  documenti  (2). 

Riassunta  la  bandiera  tricolore  decretata  a  Reggio  (3),  sorgeva 
pure  un  esercito  italiano  che  apprendeva  alla  nostra  gioventù  a 
affrontar  animosa  le  prove  sanguinose,  come  ben  presto  si  vide  (4), 
e  contribuiva  talmente  a  formare  il  sentimento  nazionale  che  l'averlo 
voluto  nel  '14  disfare  valse  potentissimamente  a  diffondere  e  scaldar 
l'odio  contro  l'Austria  ritornata  e  peggiorata  (5).  E  da  principio  i 
bei  nomi  che  dettero  autorità  al  governo  qui  istituito,  inspiravano 
affidamento  che  questo  sarebbe  stato  scuola  e  palestra  a  uomini 
di  stato  nostri. 

Si  annunziava  e  iniziava  un  governo  «  riparatore  »,  dacché 
anche  1'  amministrazione  della  seconda  Cisalpina  era  stata  breve, 
ma  non  però  men  tacciata  di  disonestà.  Assistevano  il  nuovo  reg- 
gimento amor  di  libertà,  carità  patria,  probità  e  moderazione.  Perciò 
il  triumvirato    che    per  breve  tempo   era  prevalso  in    mezzo    alla 


(i)  C.  Balbo,  op.  cit.,  lib.  VII,  p.  34. 

(2)  Zanolini,  op.  cit.,  lib.  I,  capp.  XIII-XIV  ;  Malamanf,  op.  cit.,  par.  I, 
cap.  VII,  par.  II,  cap.  XIV;  Momigliano,  op.  cit.,  voi.  XIV,  pp.  100-02.  Altre 
opere  si  citeranno  infra. 

(3)  Ved.  la  Raccolta  delle  leggi,  proclami,  ordini  ed  avvisi  pubblicati  in  Mi- 
lano dal  giorno  15  pratile  anno  Vili  (2  giugno  1800),  Milano,  Veladini,  to.  I,. 
p.  117. 

(4)  Com'  è  noto,  prima  fu  detta  «  legione  italiana  »  ;  noto  è  pure  il  primo 
disegno  di  coscrizione  nostra,  dovuto  a  G.  TeuUiè.  Ved.  Zanolini,  op.  cit.,  cap.  I^ 
specialmente  p.  8.  Su  '1  TeuUiè,  milanese  come  il  Pino,  prima  avvocato  e  poi 
generale  (t  13  giugno  1807)  ved.  C.  Cantù,  in  qutsV Archivio,  XIII,  1886,  p.  151. 

(5)  Ved.  A.  Manzoni,  Epistol,  ediz.  Sforza,  voi.  Il,  p.  401.  Sono  tuttavia 
da  rammentare  anche  le  gravi  difficoltà  opposte  alla  coscrizione  militare  allora 
importata. 


LA   FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,   ECC.  I09 

commissione  di  governo  istituita  dal  Bonaparte  al  suo  primo  ritomo, 
era  stato  messo  da  parte. 

Emersero  allora  principalmente  tre  uomini;  il  patrizio  milanese 
Francesco  Melzi  d' Eril  (i  753-1816)  del  cui  nome  son  piene  le  me- 
morie di  que'  giorni,  e  i  bolognesi  Ferdinando  Marescalchi  (i 764-1816) 
e  Antonio  Aldini  (1755-1826).  Ma  quest'  ultimo,  insigne  giurecon- 
sulto, dopo  la  Cispadana  e  dopo  breve  partecipazione  dell'opera 
legislativa  delle  due  Cisalpine  e  della  repubblica  italiana,  restava 
in  disparte  fino  alla  trasformazione  della  repubblica  in  regno,  quando, 
richiamato  al  governo  da  Napoleone,  ministro  segretario  di  stato 
residente  a  Parigi,  presso  l'imperatore  e  re,  avrebbe  avuto  su  le 
braccia  gli  affari  del  regno  e  avrebbe  d'autorità  pareggiato  l'emulo 
suo  milanese  fatto  cancelliere  del  regno  stesso  e  duca  di  Lodi  (giu- 
gno 1815)  (i).  Dal  1802  a  mezzo  il  1805  l'autorità  era  nel  Mare- 
scalchi ministro  degli  affari  esteri  della  repubblica  residente  a 
Parigi,  e  sopra  tutti  nel  vice-presidente  Melzi:  sotto  di  questo  si 
fermaron  le  basi  e  si  delineò  l' indirizzo  del  nuovo  stato  (2). 

Questo  era  l'uomo  necessario  in  quel  momento,  giovando  a  Na- 
poleone in  Italia  e  all'Italia  in  cospetto  di  Napoleone.  Patrizio  mila- 
nese, ciambellano  di  Maria  Teresa,  grande  di  Spagna,  decurione  mu- 
nicipale, era  stato  un  personaggio  ragguardevole  sotto  l'Austria  ; 
dopo  gli  odi  dei  demagoghi  era  stato  pur  tale,  quanto  volle,  nella 


(i)  Per  l'Aldini  mi  riferisco  all'op.  cit.  di  A.  Zanolini  che  pure  dice,  passim, 
dell'altro  bolognese  Ferdinando  Marescalchi,  che  fu  dopo  il  1814,  aggiungo,  com- 
missario per  gli  stati  di  Maria  Luisa. 

(2)  Oltre  alle  storie  generali,  al  libro  del  Zanolini  ;  alle  Memorie  del  Cico- 
gnara,  par.  I,  capp.  XIV-XV;  a  Momigliano,  op.  cit.,  voi.  XIV,  pp.  100  01  ;  alle 
Memorie  di  G.  Bossi,  in  ({uqsi' Archivio,  per  I.  Ghiron,  V,  p.  276  sg.,  passim  ; 
L.  ViCGHi,  op.  cit.,  quarto  estratto,  pp.  454,  659-60;  ved.  su  l'uomo  illustre  il 
monumento  innalzatogli  dal  pronipote  con  l'ediz.  delle  Memorie-documenti  e  let- 
tere inedite  di  Napoleone  I  e  Beaiiharnais,  Milano,  1865,  2  volumi,  preceduta  da 
un'ampia  introduzione  del  raccoglitore.  La  quale  dava  occasione  a'  due  scritti, 
di  cui  notevole  specialmente  il  secondo  per  il  ritratto  morale  del  M.,  il  carattere 
del  nuovo  stato  e  la  storia  dell'  idea  unitaria,  A.  Macchi,  Scritti  biografici,  Fi- 
renze, 1878,  voi.  I,  pp.  327-407;  G.  Falorsi,  L'epistolario  di  F.  Mel^i  d*  Eril,'m 
Arch.  stor.  ital ,  serie  50.»,  to.  VI,  1880,  Firenze,  pp.  422-456.  Ved.  la  grande 
ammirazione  della  Staèl  per  il  M.  e  la  sua  opera  nel  governo  presso  Ilda  Mo- 
RosiNi,  Lettns  inèdites  de  M.  de  St:  a  V.  Monti,  in  Giorn.  stor.  dilla  lett.  ital., 
voi.  XLVI,  1905,  pp.  17,  57-59.  Ved.  pure  A.  Verri,  Rep.  frane,  Rep.  Cisulp.,  ecc., 
op.  post.,  Milano,  1862,  lib.  IX,  p.  548. 


no  ATTILIO   BUTTI 

Cisalpina;  aveva  difeso  l'interesse  economico  della  Lombardia  au- 
striaca (i);  si  era  impensierito  di  questo  e  del  buon  governo,  quando 
nella  Cisalpina  non  aveva  mano  in  pasta;  era  stato  riconosciuto 
degno  di  presentar  le  chiavi  di  Milano  al  Bonaparte;  era  stato 
subito  pregiato  da  quel  grande  e  rapido  conoscitore  d'uomini.  Aveva 
un  bel  nome  patrizio  e  vi  aggiungeva  valor  di  mente  e  carattere 
morale.  Ed  egli  ben  rappresentava  quello  spirito  di  temperata 
libertà  che  aleggiava  nel  cielo  d'Italia,  su  l'aurora  dell'ottocento, 
e  con  la  sua  assennatezza,  con  la  dignità  e  l'amor  patrio  sembrava 
dar  gli  auspici  al  secolo.  Se  l'opera  del  Murat  in  Milano  e  di  al- 
cuni procaccianti  non  gli  avessero  troppe  volte  fatto  impaccio,  se 
la  disgraziata  rivalità  non  avesse  tolto  a  lui  e  all'Aldini  di  coope- 
rare subito  e  costantemente  insieme,  nessuno  può  dire  quale  solidità 
e  incremento  il  Melzi  avrebbe  saputo  dare  al  nuovo  stato.  Ne  vale 
una  parola  infelice  da  lui  scritta  contro  i  muratiani  durante  la  ca- 
tastrofe napoleonica  per  detrarre  al  merito  del  suo  patriottismo  (2). 
Erano  in  lui  patriottismo  e  lealtà  che  si  dovevan  pure  riconoscere 
dagli  ufficiali  dell'Austria  e  da  chi  illustrò  la  vita  del  suo  emulo  Al- 
dini (3).  Egli  era  ritornato  da  Lione  vice-presidente  della  repubblica 
italiana  con  plauso  e  speranze  universali,  con  plauso  d'uomini  come 
V.  Alfieri  e  U.  Foscolo,  V.  Monti  e  A.  Verri,  B.  Oriani  e  A.  Volta. 
Certo  nemmeno  ora  si  tardò  a  sentir  il  peso  della  repubblica 
madre  spadroneggiante  e  indi  a  poco  quello  del  despotismo  napo- 
leonico. Il  bonapartismo  avrebbe  conculcate  le  nazionalità  in  misura 
non  meno  insolente  di  quello  che  già  aveva  fatto  la  democratizza- 
zione universale.  L' Italia  sentì  che  la  sua  indipendenza  era  troppo 
nominale  e  prorogata  su '1  filo  d'una  promessa  di  eredità  dinastica. 
Ma  intanto  quanti  avviamenti  civili,  quanti  semi  di  nuova  vita 
gittati  a  germogliare  indefettibilmente  lungo  il  secolo,  talché  invano 
vi  sarebbe  passato  sopra  e  indugiato  a  lungo  e  ferocemente  il  nuovo 
«  nordico  nembo  »  disceso  nel  '14!  Armi,  strade ^  canali,  leggi ^ 
finanze,  tribunali,  scuole....  E  quali  splendori  di  coltura   e  di   vita 

(i)  Ved.  A.  Setti,  Una  lettera  inedita  di  F.  M.,  in  qatst' Archivio,  IX,  1882, 
fase.  III. 

(2)  Falorsi,  op.  cit.,  p.  433. 

(3)  Ved.  C.  CanTù,  F.  M.,  ecc.,  in  qa^si^ Archivio,  III,  1876,  p.  323,  che 
riferisce  il  rapporto  del  Sambrunico  incaricato  dal  governo  austriaco  d'esaminare 
le  carte  lasciate  dal  M.,  alla  sua  morte;  e  i  giudizi  del  Zanolimi,  op.  cit.,  passim. 


LA   FONDAZIONE    DEL    «     GIORNALE   ITALIANO    »,   ECC.  Ili 

sociale  segnalavano  quell'alba  di  secolo  e  accompagnavano  i  fulgori 
delle  vittorie  marziali  e  il  consolidamento  dell'  assetto  sociale  le- 
galmente egualitario! 

Il  nuovo  stato  si  conciliava  molto  maggior  numero  di  devoti 
e  di  fautori,  e  guadagnava  i  begl'  ingegni  ;  nel  che,  come  nel  pro- 
muovere la  coltura  e  il  fiorir  delle  arti  e  ricuperarne  i  monumenti,, 
ebbe  il  Melzi  molto  maggior  merito  che  volgarmente  non  sia  noto^ 
per  esser  tutti  i  vanti  assorbiti  nella  dominante  figura  di  Napo- 
leone (i).  Confluirono  alla  repubblica  italiana,  segnatamente  a  Mi- 
lano capitale  morale  ed  effettiva  del  nuovo  stato  che  preludiò  al 
nostro  odierno  regno,  uomini  di  valore  da  ogni  parte  d' Italia,, 
intelletti  baliosi,  e  pur  moltissimi  mediocri  stimolati  dall'ora  pro- 
pizia alla  gara  del  produrre  opere  onorevoli  a  sé,  alla  patria  e  al- 
l' uomo  che  appariva  datore  del  nuovo  ordine  di  cose. 

Eran  qui  poeti  come  il  Monti,  il  Foscolo,  il  Lamberti,  il  Cer- 
retti;  insegnavano  nelle  scuole  di  Brera  il  Lamberti  stesso  e  il 
Valeriani,  dell'Emilia,  e  il  Salfi  calabrese;  sopravviveva,  pensio- 
nato dal  Melzi,  il  Passeroni  ;  erano  nel  teatro  patriottico  il  Bia- 
monti  e  il  Petracchi;  erano  nelle  armi  il  Pino,  il  Teulliè,  il  Mai- 
noni;  era  segretario  del  consiglio  legislativo  il  lughese  Compa- 
gnoni; erano  nella  consulta  il  Cicognara  e  il  Testi  emiliani;  era 
direttor  generale  dell'  istruzione  P.  Moscati  e  segretario  generale^ 
un  tempo  ispettore,  L.  Rossi  reggiano;  passava  per  parecchie  se- 
greterie finanziarie  il  barone  Pietro  Custodi,  continuatore  di  Pietro 
Verri  nella  storia  e  editore  degli  Economisti;  nell'economia  lavo- 
rava il  Gioia  piacentino;  ci  lavoravano  e  insegnavano  artisti  come 
il  Raffaeli  romano  e  l'Appiani  e  il  Bossi  lombardi.  E  Pavia,  sede 
di  rifioriti  studi,  scambiava  ogni  gioi:no  con  la  capitale  coltura  di- 
versa e  ingegni  di  diverse  regioni,  dallo  Zola  e  dal  Tamburini  al 
Cerretti  e  al  Lomonaco,  oltre  ai  professori  di  scienza. 

Milano  era  un  richiamo  a  ogni  angolo  d'Italia;  ci  venivano 
gl'ingegni  attivi  o  vi  contribuivano  con  scritti  o  ne  dipendevano 
per  uffici.  E  questo  accostarsi   e  mescolarsi  dentro  i   confini   della 

(i)  Ved.  CusANi,  Storia  di  Milano,  Milano,  voi.  VI.;  Memorie-documenti, 
introduzione,  pp.  299-300  ;  G.  Bossi,  Notizia  delle  opere  di  disegno  pubblicamente 
esposte,  ecc.,  Milano,  1806,  su  cui  Giornale  Italiano,  1806,  nn.  154,  156,  157,  162; 
ved.  pure  il  mio  lavoretto:  Un  episodio  nella  storia  delle  arti,  ecc.,  in  Bollettino 
della  Società  pavese  di  storia  patria,  voi.  V,  1904,  p.  438  sg. 


112  ATTILIO   BUTTI 

repubblica  e  dentro  le  mura  della  capitale,  in  questa  Milano,  mi- 
luogo della  vita  nazionale  a  que'  giorni  sì  belli  in  confronto  del 
servaggio  anteriore  secolare,  conferiva  efficacemente  a  rinforzar  lo 
spirito  nazionale  italiano  che  doveva  divampare  inestinguibile  a 
mezzo  l'ottocento. 

Vero  è  tuttavia  che  chiara  e  propria  coscienza  nazionale  era 
anche  allora  solo  in  una  parte  non  grande  del  nostro  popolo,  il 
sentimento  unitario  affatto  in  magnanimi  pochi,  fede  unitaria  tale 
da  essere  impostergabile  non  ci  fu  in  nessuno,  fuori  della  tradizione 
letteraria  venuta  a  V.  Alfieri  (i),  prima  di  G.  Mazzini  che  la  tradusse 
immediatamente  giusto  dalla  tradizione  letteraria  e  congiungendo 
al  pensiero  l'azione,  seppe  imbeverne  profondamente  la  nazione 
tutta.  Per  allora  l'idea  dell'indipendenza  era  perseguita  come  pro- 
messa ulteriore,  e  l'idea  unitaria  apparve  solo  a  baleni  vividi  sì, 
ma  oscurati  dopo  il  guizzo,  o  era  implicita  nell'involucro  del  gene- 
rico avanzamento  della  nazione  (2). 

Perciò  quando  la  seconda  repubblica  si  trovò  davanti  al  pro- 
blema del  proprio  assetto,  diversi  erano  su  le  prime  gì'  intendimenti 
e  si  agitavano  i  partiti,  non  mancando  nemmeno  tra  essi  gli  uni- 
tari, e  r  italianità  si  manifestò  con  la  ripetuta  inutile  designazione 
del  Melzi  a  presiedente,  con  il  plauso  dato  al  battesimo  d' italiana 
ricevuto  dalla  repubblica  e  alla  nomina  del  Melzi  stesso  a  vice- 
presidente. Ma  a  un  tempo  i  responsi  dell'oracolo,  del  primo  Con- 
sole che  portò  lui  a  Lione,  in  calesse,  bell'e  fatta  la  costituzione, 
e  volle  esser  lui  presidente,  dissipavan  le  illusioni  troppo  rosee  e 
imponevano  rassegnazione  e  contento  al  men  peggio.  11  Melzi  stesso 
nel  discorso  per  la  costituzione  (1797),  aveva  già  l'animo  conciliato 
a  questo  indirizzo  politico  che  importava  godimento   del  beneficio 

(i)  G.  Mazzoni,  op.  cit.,  p.  io. 

(2)  Ved.  Falorsi,  loc.  cit.,  p.  430;  Momigliano,  op.  cit.,  pp.  135-142,  153. 
Non  si  riferiscono  al  mio  tema  né  E.  Valli,  La  genesi  dell'unità  italiana,  in 
Riv.  del  Risorg.,  voi.  II,  fase.  XII,  pp.  5-29  ;  né  I.  del  Lungo,  ibid.,  in  La  vita 
ital.  nel  Risorg.,  Firenze,  1898.  Vi  ha  solo  relazione  indiretta  e,  dopo  quanto 
scrisse  il  D'Ancona  in  notissime  pagine,  non  reca  novità,  O.  Bulle,  in  Die  ita- 
lienische  Einheitsidee  von  Parini  bis  Man^^oni,  Berlin,  1893.  Anche  il  Croce  in 
fine  di  op.  cit.,  riconosce  il  rapido  tramonto  che  ebbe  l'astro  unitario  in  quel 
tempo.  Dopo  il  '14  tutti  si  acconciarono  al  ripreso  ordine  di  cose,  tolto  il  Melzi 
indi  a  poco  venuto  a  morte  (18 16)  e,  dopo  l'errore  d'un  istante,  il  Foscolo,  un 
poeta. 


LA   FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE  ITALIANO    »,   ECC.  II3 

presente  per  conservar  quante  conquiste  civili  e  egualitarie  era 
possibile,  far  cessar  le  agitazioni,  far  la  chiesa  concorde  e  docile 
allo  stato,  rendere  il  popolo'  grato,  devoto  e  confidente,  destar  le 
energie  nazionali  e  salvare  quanto  d' italianità  era  possibile  in  uno 
stato  grande  e  forte  (i). 

I  tempi  portavano  in  grembo  promesse  e  difficoltà.  Conveniva 
tracheggiare  alla  meglio.  Il  Marescalchi  a  Parigi,  come  poi  l'Aldini, 
doveva  solo  studiarsi  d'andar  a  versi  al  Bonaparte  e  tradurne  le  in- 
tenzioni nelle  relazioni  diplomatiche.  Ma  il  Melzi  in  Italia,  dove  tutto 
€ra  da  fare,  aveva  su  le  spalle  la  responsabilità  di  capo  dello  stato 
visibile  ogni  giorno  e  in  ogni  atto;  a  lui  faceva  capo  il  partito 
«  nazionale  »  nel  quale  eran  pure  degli  spiriti  infiammabili,  ed  egli 
sapeva  in  fine  qual  volontà  vegliava  esigente  a  Parigi,  e  quali  in- 
sidie Austria  e  sanfedisti,  danaro  inglese  e  plebi  abiette  potevan 
preparare.  Fu  un  segno  di  tali  difficoltà,  nel  1802,  l'episodio  della 
generosa  imprudenza  del  poeta  soldato  G.  Ceroni  coinvolgente  il 
consultore  Cicognara,  il  colonnello  Teulliè  e  il  prefetto  Magenta, 
autore  il  primo,  ascoltatori  benevoli  gli  altri  di  versi  italianamente 
ribelli.  Eppure  il  Melzi,  se  non  otteneva  subito  ampie  soddisfazioni, 
ne  procurava  tuttavia  a  breve  andare  il  rialzamento  ne'  pristini 
onori  (2).    E  ben  più   gli  doleva    de'  torbidi  reazionari  di  Bologna 


(i)  Il  discorso  è  nel  voi.  I  di  Memorie-documenti.  Ved.  su  la  moderazione 
della  repubblica  italiana  ZA.NOLiNf,  op.  cit,,  voi.  I,  cap.  XIII,  p.  200  ;  e  su  gl'ideali 
del  Melzi,  oltre  al  Falorsi,  il  Macchi,  op.  cit.,  p.  282,  e  l' introduzione  alle  Me- 
morie-documenti, p.  241,  secondo  una  lettera  del  Melzi  stesso.  Liberale  moderato 
e  assennato  lo  dipingeva  il  Monti  nel  1798  (Leti,  edit.  ed  ined,,  per  A.  Bertoldi 
e  G.  Mazzatinti),  Torino,  1893,  voi.  I,  p.  323. 

(2)  Su  questo  notissimo  episodio,  del  quale  restano  ancora  alcuni  documenti 
nell'Arch.  di  stato  di  Milano,  ved.  Cantù,  Storia  degV  italiani,  loc.  cit.  ;  A.  Bar- 
TOLi,  Memorie  inedite  di  L.  C,  in  Arch.  Veneto^  to.  I,  par.  I,  Venezia,  1871, 
pp.  227-246,  specialmente  p.  240;  Falorsi,  op.  cit.,  specialmente  per  il  «partito 
«  nazionale  »,  pp.  434-39,  e  per  le  pagine  su  '1  Murat,  442  sgg.  :  Malamani,  Me- 
morie^ ecc.,  voi.  II,  capp.  XIV-XVI;  Marelli,  Gior.  stor.  della  repub.  ital.,  ms. 
in  Ambrosiana,  par.  Ili,  to.  XXV,  ce.  60-64,  91-93,  125,  288;  y[.E\Ji\,  Memorie- 
documenti^  voi.  Il,  pp.  128.51;  142,  153,  162,  191,  210-11,  555-56;  CusANi, 
op.  cit.,  voi.  VI,  cap.  XXII,  pp.  106-07,  109-10  ;  Mazzoni,  op.  cit.,  cap.  I,  p.  7, 
cap.  II,  pp.  24-26,  e  per  il  Ceroni,  ved.  pure  dello  stesso  Un  commilitone  di  Ugo 
Foscolo,  in  Atti  R.  Istituto  Veneto,  serie  VII,  to.  IV,  1893,  Venezia.  Ved.  inoltre 
Zanolini,  op.  cit.,  voi.  I,  cap.  XIV,  che  nega,  a  torto,  le  ampie  soddisfazioni 
date  al  Melzi  secondo  l'asserto  del  Giordani. 

Arch   Slor.  Lomb..  Anno  XXXII,  Fase.  VII.  8 


Il4  ATTILIO    BUTTI 

nel  1803,  delle  mene  di  altri  italiani  a  Parigi,  e  delle  discòrdie  tra 
il  general  Triulzi  e  il  general  Pino  quando  il  secondo  fu  sostituito 
per  ministro  della  guerra  al  primo  a  cui  era  stato  poco  prima  su- 
balterno insolente,  e  mentre  esso  il  Melzi  faceva  dell'  ingegno  di 
questo  un  gran  conto,  ma  diffidava  della  sua  disposizione  all'  or- 
dine amministrativo  (i). 

Al  Melzi  toccava  andar  cauto,  aver  prudenza  per  sé  e  per  tutti,. 
e  finché  non  fu  stancato  dalle  invidie  e  dalla  condizione  troppo 
incerta  di  una  politica  pendente  da  voleri  lontani,  con  zelo  e  drit- 
tura  secondo  il  sistema  moderato  sapeva  essere  di  fronte  a  Napo- 
leone r  uomo  della  nazione  e  di  fronte  a  questa  1'  uomo  di  quello. 
Mostrava  alto,  adeguato  concetto  del  momento  storico  già  nel  suo 
«  Proclama  »  del  15  febbraio  1802,  che,  esaltato  con  gratitudine  il  Bo- 
naparte,  indicava  a'  concittadini  quale  meta  da  raggiungere  il  diven- 
tare un  popolo,  stringendo  l'unità  cittadina,  iniziando  una  generale  or- 
ganizzazione, inspirandosi  all'antica  gloria,  all'antico  nostro  primato. 
Doveva  esser  lui  o  il  suo  segretario  consigliere  di  stato  L.  Vaccari 
l'ispiratore  dell'opuscolo  uscito  ne'  primi  del  1803  in  Milano  su  la 
«  Genealogia  della  repubblica  italiana  »  a  conciliar  con  i  disegni 
del  Bonaparte  gì'  interessi  e  le  tendenze  nostre.  N'era  autore  Bar- 
tolomeo Benincasa  modenese,  che  già  nel  regime  antico,  nella  re- 
pubblica di  Venezia,  aveva  reso  servizio  di  confidente  degl'inqui- 
sitori di  stato,  e  che  nel  1798,  come  rappresentante  della  società 
del  Monitore  Cisalpino,  praticava  gli  uffici  del  direttorio.  Neil'  801 
questo  giornale  era  stato  riannunziato  dal  Compagnoni,  eletto  poi 
dal  Melzi  segretario  del  consiglio  legislativo,  e  nel  1803  poteva  il 
costui  compagno  servire  il  governo  con  quell'  opuscolo.  Testimo- 
•  nianza  notevole  del  momento,  tale  opuscolo  combatteva  da  una 
parte  gli  anglofili,  persuadeva  dall'  altra  agli  unitari  che  la  loro 
idea  era  generosa  ma  intempestiva  (2). 

(i)  Su  le  congiure  ved.  Zanolini,  op.  cit.,  voi.  I,  capp.  XIII  e  XIV,  che 
attenua  ad  arte.  A  Parigi  si  agitava  il  principe  di  Moliterno.  In  lib.  II,  p.  16^ 
il  Z.  illustra  le  discordie  tra  il  Breme  ed  il  Guicciardi.  Ved,  pure  Melzi,  Me- 
morie-documenti^ voi,  II,  p.  198,  per  i  partiti,  p.  220  per  le  gare  tra  A.  Tri- 
vulzi  e  D.  Pino.  Su  la  «  disorganizzazione  »  del  ministero  della  guerra  avanti  il 
Pino  e  l'opinione  pubblica  prevenuta  contro  il  Pino,  ved.  Marelli,  op.  cit.^ 
par.  Ili,  to.  XXVIII,  p.  253. 

(2)  Altri  opuscoli  uscirono  nel  1802  a  conforto  del  nascente  stato  ;  notevole 
la  Lettera  di  un  italiano  (il  Pelegatta)  inviata  il  20  febbraio  1S02,   al  cittadina 


LA  FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,    ECC.  II5 

Ma  le  temute  imprudenze,  le  prepotenze  muratiane,  la  rottura 
della  pace  d'Amiens  da  parte  dell'  Inghilterra,  non  avrebber  sof- 
focata la  repubblica  italiana  se  non  fosse  sopravvenuta  l'ambizione 
regale  di  Napoleone.  11  governo  del  Melzi  vi  iniziò  a  ogni  modo 
egregiamente,  quasi  in  ogni  campo,  l'opera  di  ricostituzione,  nella 
quale  entra  pure  la  fondazione  del  Giornale  Italiano,  trascurata  da 
chi  ha  raccolte  del  Melzi  le  onorevoli  memorie. 


III. 


Fin  dai  primordi  della  seconda  Cisalpina  apparivano  documenti 
e  manifesti  pubblici  stampati  dallo  stampatore  Veladini  in  contrada 
S.  Radegonda  in  Milano  che  die  poi  in  luce  in  tre  tomi  la  Raccolta 
delle  leggi,  proclami,  ordini  ed  avvisi  pubblicati  in  Milano  dal  giorno 
I)  pratile  anno  Vili  (2  giugno  1800)  «  epoca  del  ritorno  dell'armata 
«  francese  in  questa  città  »  fino  all'  installazione  del  governo  costi- 
tuzionale che  seguì  il  25  piovoso  dell'anno  I  della  repubblica  ita- 
liana (1802).  E  poco  più  tardi  seguì,  a  mezzo  dello  stesso  Veladini 
la  pubblicazione  d' un  Foglio  officiale  della  repubblica  italiana 
contenente  i  decreti,  avvisi,  proclami,  riguardanti  V amministrazione 
stabilita  con  decreto  25  luglio  1802  inserito,  in  forma  d'avviso  del 
ministro  delle  finanze  Prina,  a  p.  84  del  Foglio  stesso;  il  quale  a 
p.  157  conteneva  pure  la  concessione  della  privativa  di  stampatore 
del  governo  a  favore  di  L.  Veladini.  Indi,  con  decreto  del  27  di- 
cembre 1802,  pubblicato  a  pp.  307-08,  n.  165,  del  Foglio,  in  forma 
d'avviso  del  ministro  dell'  interno  Villa,  firmato  pure  dal  segretario 
generale  Vismara,  la  pubblicazione  ufficiale  veniva  suddivisa  in  un 
Bollettino  contenente  le  leggi  e  i  decreti  relativi  a  esse  leggi  e  un 
Foglio  accogliente  gli  altri  decreti,  proclami  e  avvisi  dell'  ammini- 
strazione. 


F.  M.  presidente  della  repubblica  italiana,  inserita  dal  Marelli,  in  par.  Ili,  to.  XXIV^ 
pp.  37-52,  che  rileva  i  nomi  illustranti  il  governo  cominciando  dal  Melzi.  Nel 
1803,  pare  in  risposta  a'  versi  del  Ceroni,  usciva  dalla  stamperia  del  Genio  tipo- 
grafico il  Ragionamento  sui  destini  della  repubblica  italiana^  forse  per  opera  de- 
Paradisi  e  incarico  del  governo.  Altri  opuscoli  dichiaravano  semplicemente  al 
pubblico  l'organismo  costituzionale,  come  Alcune  osservaiioni  di  un  S.  C.  F.  e  il 
Discorso  di  R.  Marliani. 


Il6  ATTILIO    BUTTI 

Di  direttori  e  redattori  lì  non  si  fa  menzione.  Ma  è  notevole 
che  il  Foglio  consacrava  un  po'  di  spazio  anche  alle  notizie  poli- 
tiche, semplici  e  aride  notizie  comunicate  dal  governo  al  pubblico, 
e  che  con  la  fine  del  1802  veniva  espressamente  tolta  la  qualifica- 
zione di  ufficiale  a  un  altro  giornale  che  fin  allora  aveva  interpretate 
le  intenzioni  del  governo,  con  quel  carattere  che  noi  oggi  diremmo 
ufficioso,  e  che  aveva  sede  nel  negozio  di  Federico  Agnelli  in  con- 
trada S.  Margherita,  n.  1113,  in  Milano.  Era  questo  il  Redattore 
Italiano:  usciva  in  piccolo  formato,  presentava  in  prima  pagina 
decreti  e  leggi,  poi  brevi  e  succinte  notizie  politiche  in  forma  di 
corrispondenza  e,  dietro  a  tutto  ciò,  qualche  volta  offriva  pure 
qualche  breve  recensione,  di  libri  allora  pubblicati  o  qualche  no- 
tizia teatrale  o  di  avvenimenti  cittadini  in  forma  di  articoletti. 

Né  il  Redattore  Italiano,  quando  gli  fu  pubblicamente  denegato 
il  carattere  ufficioso,  cessò  senz'altro;  che  anzi  continuò  come  edi- 
zione dell'Agnelli,  indipendente  dal  governo,  fino  a  tutto  il  1803  (i). 
Senonchè  una  pubblicazione  che  veramente  si  proponesse  di  diri- 
gere la  pubblica  opinione  secondo  la  mente  del  governo,  secondo 
un  alto  e  ampio  disegno  d'  uomini  di  stato,  con  estesa  trattazione 
di  alti  argomenti  di  pubblico  vantaggio  e  con  autorità,  non  e'  era 
ancora,  e  solo  compariva  il  2  gennaio  1804  con  il  titolo  di  G.  1., 
edito  da  Federico  Agnelli  che  quale  editore  lo  off"riva  in  succes- 
sione al  Redattore  cessato  allora.  I  foglietti  pubblici  della  prima 
Cisalpina,  anche  quando  non  er^no  ricettacolo  di  denunzie  indegne 
e  di  bizze  piccine,  avevan  pur  sempre  il  linguaggio  fremente,  le 
frasi  saettate  da  menti  in  subbuglio,  non  le  esposizioni  e  divulga- 
zioni pacate,  meditate  e  serie  d'  un  vero  politico. 

A  dar  vita  a  tale  organo  della  politica  instaurativa  iniziata 
sotto  il  Melzi,  a  educare,  i   cittadini  della    repubblica  italiana   alla 


(i)  Per  trascuratezza  mi  sfuggì  in  nota  a  Una  lettera  ài  V.  Cuoco  al  viceré 
Eugenio^  in  miscellanea  Da  Dante  al  Leopardi,  nozze  Scherillo-Negri,  Milano, 
1904,  p.  533,  la  data  1802  anzi  che  1803.  Noto  che  l'editore  Agnelli  era  fedele 
all'opera  sua  in  servizio  delle  nuove  idee;  perciò  nel  1799  era  dovuto  fuggire 
<ia  Milano  e  la  sua  tipografia  fu  saccheggiata  da'  reazionari  il  25  maggio  ;  ved. 
Marelli,  Giornale  ms.  della  Cisalpina,  voi.  Vili,  p.  5.  Allora  fu  anche  fucilato 
il  gazzettiere  di  Lugano,  ex-parroco  Vanelli.  Ved.  su  la  Galletta  di  Lugano, 
E.  Motta,  in  Boll.  stor.  della  Svi^.  ital.,  voi.  XX,  pp.  46.  L'Agnelli  era  pure 
inscritto  nella  massoneria;  ved.  infra. 


LA   FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    »,    ECC.  II7 

considerazione  elevata,  serena  e  quasi  scientifica,  non  appassionata 
in  altro  che  nell'amor  patrio,  de'  più  alti  problemi  politici,  volse  il 
pensiero  e  l'opera  Vincenzo  Cuoco;  il  quale,  dopo  avere  scambiato 
idee  e  criteri  su'l  proposito  con  il  vice-presidente,  in  conformità 
di  tali  idee  e  criteri  gli  presentava  ufficialmente  un  piano  del  di- 
visato giornale,  ne  otteneva  l'approvazione  e  si  assumeva  per  coo- 
peratori Bartolomeo  Benincasa  e  Giovanni  D'Aniello  (i). 


IV. 


Vincenzo  Cuoco  era  giunto  nella  seconda  Cisalpina  con  la  di- 
scesa del  Bonaparte  che  aveva  sorpresa  e  scacciata  l'Austria  ria- 
dagiata in  Lombardia  assecondando  i  voti  indirizzatigli  dalla  Spagna 
dal  Melzi  appena  che  lo  aveva  saputo  di  ritorno  dall'Egitto,  pronto 
a  iniziare  avvenimenti  ancor  più  grandi  di  quelli  che  s'eran  compiuti 
nel  secolo  antecedente.  Le  pubblicazioni  che  son  venute  bellamente 
crescendo  in  questi  ultimi  anni  intorno  a  lui,  permettono  di  rac* 
cogliere  con  sicurezza  le  notizie  della  vita  anteriore  di  Vincenzo 
Cuoco,  che  qui  giova  esporre  succintamente,  nelle  linee  più  rile- 
vanti al  presente  argomento  (2). 


(i)  Ved,  in  appendice,  docc.  I,  II,  IX.  Rilevo  qui  una  volta  per  sempre 
l'errore  in  cui  è  caduto  L.  Corio,  Milano  durante  il  primo  regno  d'Italia, 
Milano,  1904,  che  attribuisce  al  Gioia,  che  non  ci  ebbe  mai  nulla  che  vedere, 
l'opera  del  Cuoco  nel  Giornale  Italiano,  in  cap.  V,  p.  87,  cap.  VII,  pp,  126-27, 
cap.  XII,  p.  204,  inducendone  giudizi  ingiusti  su  tutt'  e  due  gli  scrittori. 

(2)  Mi  riferisco  a  N.  Ruggieri,  V.  C,  studio  storico  critico,  Rocca  S.  Ca- 
sciano,  1905;  M.  Romano,  Ricerche  su  V.  C,  Isernia,  1904;  i  quali  mi  esonerano, 
in  generale,  dalle  citazioni  della  bibliografia  anteriore.  Indico  per  altro  le  recen- 
sioni al  primo,  di  G.  Roberti,  in  Giorn.  stor.  della  lett.  ital.  voi.  XLII,  p.  190; 
di  S.  Rocco,  in  Rass.  crii,  della  lett.  ital,  voi.  IX,  pp.  1-4,  34-44,  pretensiosa, 
e  di  F.  ToRRACA,  in  Rass.  hihl.  della  lett.  ital.,  voi.  XII,  pp.  4-5-6,  132-35, 
assai  acre.  Su  l'altro  ved.  la  notevole  recensione  di  G.  Gentile,  nella  Critica, 
Napoli,  voi.  III,  1905,  p.  39.  Nel  riassumere  le  notizie  biografiche  del  Rug- 
gieri e  del  Romano  mi  dispenso  dal  richiamarmivi  se  non  in  alcuni  casi  di  di- 
sparere che  rilevi  chiarire.  Mi  richiamo  pure  alla  lettera  autobiografica  del  C.  al 
viceré  Eugenio  pubblicata  da  me  e  già  citata.  Osservo  una  volta  per  sempre  che 
scrivo  Cuoco,  come  ristabihrono  con  retta  ortografia  il  Ruggieri  e  il  Romano; 
cosi  vuole  la  fonetica  de'  dialetti  meridionali  e  cosi  danno  anche  a  me  i  docu- 
menti. Il  ToRRACA,  loc.  cit.,  attribuisce  al  D'ayala  la  trasformazione  del  nome  ; 


fe 


IJ8  ATTILIO    BUTTI 

Nato  il  i.°  Ottobre  1770  a  Civitacampomarano  nel  Molise,  egli 
trascorse  là  la  sua  giovinezza  e,  se  è  un'  esagerazione  quella  di 
G.  Pepe  che  chiamava  Civita  T  «  Atene  cisbifernina  »  e  di  chi  volle 
amplificare  la  magnifica  perifrasi  con  prove  insufficienti,  par  bene 
che  il  Cuoco  vi  ricevesse  ne'  primi  studi  una  buona  preparazione. 
Gli  scritti  suoi  posteriori  mostrano  come  egli  avesse  meditato  su 
le  pagine  del  Machiavelli  e  del  Vico.  Se  del  secondo  non  intese  l'in- 
tera e  vera  grandezza  (i),  ne  apprese  tuttavia  il  concetto  dello  sto- 
rico mutarsi  delle  condizioni  dello  spirito  umano,  che  è  concezione 
fondamentale  per  ischermirsi  da' sistemi  politici  assoluti  e  astratti; 
e  del  Machiavelli  fece  succo  di  pensiero  suo,  per  forma  che,  chi 
legge  attentamente  le  pagine  del  Cuoco,  vi  sente  insinuarsi  il  Ma- 
chiavelli genuino  o  trasformato,  quasi  in  ogni  punto,  in  remini- 
scenze e  indirizzi  logici  e  osservazioni  molteplici,  anche  dove  par- 
rebbe derivare  da  altri  fonti.  Ciò  suol  essere  frutto  di  studi  fatti 
in  solitudine,  non  frastornati  da  attraenze  e  occupazioni  svariate, 
e  nemmeno  da  congerie  di  libri,  ma  condotti  più  tosto  secondo 
l'antica  impresa:  non  multa  sed  multum.  Il  che  doveva  ben  avve- 
nire a  Civita,  avanti  che  il  Cuoco  si  trovasse  nel  vasto  centro  di 
Napoli. 

Nella  qual  città  andò  a  diciasette  anni,  e  trovò  certo  nella  vita 
intellettuale  apportatavi  dal  fiore  della  coltura  di  tutto  il  regno  sti- 
molo e  pascolo  all'  ingegno  forte  e  avido  di  sapere,  aggiungendo 
allora  alla  coltura  che  rimase  sostanziale  nel   suo   spirito,  copiosa 

io  penso  invece  che  sia  un  toscaneggiamento  in  cui  si  trovò  impegnata  V Anto- 
logia di  Firenze,  dopo  che  G.  Gazzeri,  nella  par.  Ili,  voi.  XIII,  fase.  XXXIX, 
pp.  186-87,  1^24,  n'  ebbe  dato  il  primo  cenno  necrolqgico,  sicché  poi  si  man- 
tenne il  mutamento  nella  necrologia  posteriore  e  più  nota  di  G.  Pepe  il  quale  è 
credibile  abbia  scritto  Cuoco  e  non  Coco.  L'avv.  L.  De  Conciliis  ha  ora  dati 
alla  biblioteca  Nazionale  di  Napoli  i  mss.  superstiti  di  V.  C,  di  cui  egli  era 
erede,  nei  quali  non  si  trova  peraltro  alcuna  opera  inedita  completa  (ved.  Sup- 
plem.  alla  Riv.  delle  bibliot.  ed  arch.,  a.  II,  Milano,  1905,  p.  3),  e  l'Accademia 
Pontaniana  di  Napoli  ha  ora  indetto  un  concorso  su  V.  C.  scrittore  politico  in- 
dicando espressamente  che  si  sfruttino  all'uopo  i  mss.  donati  dal  De  Conciliis. 

(i)  Le  esagerazioni  circa  r«  Atene  cisbifernina  »  sono  del  Pepe  e  del  Romano; 
di  quest'ultimo  pure  quelle  riguardanti  le  relazioni  ideali  tra  jl  Vico  e  il  C,  su  '1 
che  ved.  G.  Gentile,  loc.  cit.  Ritorna  dottamente  su  queste  relazioni,  in  un 
opuscolo  uscito  mentre  correggo  le  bozze  del  presente  lavoro,  G.  Ottone,  La 
tesi  vichiana  di  un  antico  primato  italiano  nel  a  Platone  »  di  V.  C,  Possano,  Ros- 
setti, 1905. 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    »,    ECC.  II9 

erudizione.  Gli  giovò  specialmente  ramicizia  e  la  consuetudine  di 
V.  Russo  e  di  M.  Pagano. 

Vi  si  dava  per  istituto  agli  studi  di  legge  e  vi  stava  poi  a  far 
l'avvocato,  coltivando  a  un  tempo  stesso  l'economia,  la  filosofia  e 
la  giurisprudenza  nell'ambiente  ripieno  del  pensiero  del  Vico,  del 
Filangieri,  e,  ancor  più,  del  Genovesi,  del  Galiani  e  del  Giannone. 
Fu  anche  affermato  che  l'avvocatura  esercitasse  con  notevole  for- 
tuna; ma  G.  Pepe  suo  parente,  che  poteva  conoscerlo  meglio  di 
chiunque  altro,  lo  disse  non  dotato  di  grande  facondia.  L'  attesta- 
zione del  Manzoni,  d'  una  grande  efficacia  esercitata  dal  Cuoco  con 
la  parola,  riguardando  evidentemente  la  conversazione  privata,  non 
contrasta,  checché  altri  sostenga  (i),  a  quella  del  Pepe.  Il  Manzoni, 
inoltre,  esprimeva  l' impressione  ricevuta  nell'animo  in  un  periodo 
di  entusiasmo,  essendo  egli,  per  giunta,  più  giovine  del  Cuoco  di 
ben  quindici  anni. 

Quando  sopravvenne  la  rivoluzione,  e  partiti  i  reali  di  Bor- 
bone per  la  Sicilia,  Napoli  fu  abbandonata  materia  di  prova  agl'il- 
lusi filosofi  per  formarne  quella  repubblica  che  sorse  come  un 
anacronismo  fra  i  lazzari  e  le  consuetudini  secolari,  rendendo  più 
che  altrove  mai  visibile  l'abisso  separante  i  pochi  dalla  moltitudine, 
e  quando  vi  imperversarono  le  «  insorgenze  »  dall'  una  parte  e  le 
prepotenze  militari  francesi  dall'altra,  il  Cuoco  non  vi  si  gettò  con 
ardore,  nonostante  l'amicizia  sua  col  Russo  e  col  Pagano  primeg- 
gianti  nel  lavorio  de'  filosofi  repubblicani  al  governo.  Il  suo  nome 
non  appare  nella  Società  patriottica  e  ne*  clubs  de' giacobini;  né 
gli  sono  mai  assegnati  nell'amministrazione  uffici  di  primo  ordine, 
non  ottenendo  egli  nemmeno  il  posto  richiesto  di  commissario  di 
polizia.  È  tuttavia  famosa  la  parte  che  ebbe  nello  svelare  la  con- 
giura borbonica  tramata  da'  Baccher  contro  la  repubblica  parte- 
nopea. Il  desiderio  di  rimuovere  dalla  città  torbidi,  e  pericoli,  più 
che  patriottismo  quale  allora  s' intendeva,  indusse  per  avventura  il 
Cuoco,  amante  del  vivere  ordinato  e  quieto,  a  dar  consiglio  a  Luisa 
Sanfelice  di  denunziare  la  congiura  per  lei  nota.  Così  il  nome  del 
Civitese  e  quello  della  Sanfelice  furono  insieme  riuniti  nella  lode 
di  Eleonora  De  Fonseca  nel  Monitore  Napoletano,  onde  anche  su- 
bito insieme  furon  segnati  alla  vendetta  del  Borbone. 

(i)  Alludo  a  M.  Romano,  op.  cit.,  p.  14. 


I20  ATTILIO   BUTTI 

E  ora  anche  dimostrato  com'egli  s'adoprasse  quale  segretario 
di  Ignazio  Falconieri  nell'organizzazione  del  dipartimento  del  Vol- 
turno. E  sono  dal  Cuoco  stesso  presentati  come  di  quel  tempo,  e 
a  quel  tempo  riferiti  pure  da  recenti  studiosi  (i),  i  suoi  Frammenti 
di  lettere  a  V.  Russo  da  lui  pubblicati  primieramente  in  appendice 
al  Saggio  storico  sulla  rivoluzione  di  Napoli,  La  quale  assegnazione 
cronologica  non  ha  veramente  alcuna  prova  diplomatica,  e  le  ar- 
gomentazioni soggettive  non  hanno  gran  valore.  Ma  checché  sia 
di  ciò,  i  Frammenti  rivelano,  o  prima  o  poi,  una  critica  de'  principi 
e  metodi  legislativi  teoretici  e  astratti  seguiti  nella  costituzione 
della  Partenopea,  e  mostrano  acume  di  mente,  non  ardore  di  pas- 
sione. Chi  era  in  siffatte  condizioni  di  spirito  non  poteva  essere 
uomo  d'azione,  massime  in  tempi  come  quelli.  Se  in  lui  non  era 
la  capacità  di  profondo  e  nuovo  filosofo,  non  e'  erano  tuttavia  le 
qualità  positive  dell'eroe,  dell'  uomo  d' azione  ;  e'  era  bensì  na- 
tura e  abito  critico,  e  stoffa  essenzialmente  di  scrittore  politico. 
Tutto  ciò  doveva  metterlo  a  disagio  nell'  ora  che  volgeva,  e  ciò 
dovevan  pur  sentire  i  partenopei  che  lo  lasciavan  da  parte.  Il  suo 
nome  dimenticava  anche  C.  Paribelli  quando  dall'Abrial  fu  richiesto 
d'  una  hsta  d'  uomini  sicuri,  leali  ed  esperti  da  mettere  a  capo  della 
repubblica  travagliata  (2). 

Ma  il  rosso  del  cielo  ne' tramonti  estivi  del  1799  gareggiava 
con  il  rosso  sanguigno  onde  si  tingeva  la  fine  eroica  della  breve 
repubbhca  su  '1  Sebeto;  e  V.  Cuoco,  arrestato  tra  il  lugho  e  l'agosto, 
chiuso  in  Castelnuovo  e  poi  in  Castel  dell'  Uovo,  dopo  circa  nove 
mesi  di  ansie  spaventose,  a  mala  pena  scampava  al  patibolo  e  alla 
galera,  ottenendo  con  mezzi  non  ben  chiari,  certo  non  eroici,  l'in- 
dulgenza che  tuttavia  gli  lasciò  inflitta  la  proscrizione  per  vent'anni 
e  la  confisca  de' beni.  S'imbarcava  per  la  Francia  e  giungeva  a 
Marsiglia  il  5  maggio  1800  (3).  Allora  avrà  provato  pur  lui  le  ama- 


(i)  Romano,  op.  cit.,  p.  62  sg.  e,  ancora  prima,  Torraca,  loc.  cit. 

(2)  Ved.  Croce,  op.  cit.,  p.  54  sg.,  e  nota  che  questo  silenzio  non  fu  os- 
servato dai  due  biografi.  Le  deficienze  del  C,  come  filosofo  sono  pure  rilevate 
da  G.  Gentile,  loc.  cit.  Ved.  peraltro  il  rilievo  datogli  dallo  stesso  G.  in  rela- 
zione con  i  problemi  della  istruzione  nel  recente  studio  :  //  figlio  di  G.  B.  Vico  e  gli 
ini^i  dell'insegnamento  di  letteratura  italiana  nella  R.  Università  di  Napoli,  Na- 
poli, 1905,  pp.  107,  135-147- 

(3)  Ved.  Croce,  op.  cit.,  pp.  80-98. 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE  ITALIANO    »>,    ECC.  121 

rezze  del  campar  la  vita  a  frusto  a  frusto  che  provarono  i  rifugiati 
italiani  in  Francia,  e  avrà  fors'  anco  ricevuto  i  quindici  soldi  al 
giorno  che  a  questi  dava  il  paese  ospitale.  Secondo  l'attestazione 
d'  una  sua  lettera,  su  le  prime  sarebbe  andato  anche  lui  randagio 
per  le  campagne  della  Provenza  come  toccò  al  Monti,  che  si  sfa-, 
mava,  lungo  la  strada,  di  frutti  cascherecci  (i).  Ma  a  Parigi  il 
Cuoco  sarebbe  poi  vissuto  un  po'  di  tempo  fuor  di  disagio  e  con 
qualche  giocondità. 

La  prodigiosa  ridiscesa  del  Bonaparte  di  qua  dall'Alpi  avviò 
finalmente  anche  il  Civitese,  con  il  corso  degli  altri  fuggiaschi,  a 
riveder  la  cara  Italia  e  le  amate  sponde,  ma  non  senza  guai  nel 
viaggio.  Una  sua  lettera  lascia  intendere  che  ci  si  trovò  alle  prese 
con  i  barbetti  (2),  con  i  valdesi  valligiani  del  Pellice  e  del  Clusone 
fedeli  alla  casa  sabauda,  nonostante  le  battiture  sofferte  ne'  tempi 
della  riazione  cattolica  e  delle  guerre  religiose,  sicché  fu  poi  gran 
cura  del  governo  francese  di  propiziarseli  con  1'  eguaglianza  giu- 
ridica del  culto  sancita  dalla  legge.  In  fine  giunse  anche  il  Cuoco 
a  Milano  dove  traevano  tutti  gli  esuli  e  che  s'apprestava  a  esser 
crogiuolo  di  ben  auspicata  fusione  di  elementi  italiani  d'ogni  parte. 
Già  nella  prima  Cisalpina  vi  avevan  fatto  rumore  parecchi  napo- 
letani tra  i  quaU,  notissimi  nel  giornalismo,  ne'  circoli  costituzionali 
e  nel  corpo  legislativo,  il  Galdi  e  il  Salfi.  Ora  ci  venivano  i  due 
che  avrebbero  illustrata  con  memorie  storiche  la  catastrofe  napo- 
letana a  cui  erano  sfuggiti,  F.  Lomonaco  e  V.  Cuoco. 

Ma  nessuna  opera  segnalava  il  Cuoco  al  suo  primo  ingresso,, 
sicché  forse  si  sarà  dovuto  da  principio  acconciare  a  ricevere  i 
sussidi  che  un  comitato  distribuiva  a'  rifugiati,  divisi  in  romani,, 
napoletani  e  ex-veneti.  Vi  era  giunto  1'  11  dicembre  1800,  e  non 
dovè  esser  costretto  a  lasciar  Milano  per  fissar  stanza  a  Pavia  o 
entrar  nella  milizia,  come  toccava  agli  altri  rifugiati  che  non  erana 


(i)  Per  il  Monti,  ved.  Vicchi,  op.  cit,  quarto  estratto,  p.  715.  Per  gli  altri 
esuli  e  la  loro  riunione  a  Grenoble,  sciolta  da'  francesi  e  biasimata  dal  Serbel- 
loni,  ved.  Melzi,  Memorie-documenti^  voi.  I,  p.  232.  Il  Vicchi,  loc.  cit.,  dice  pure 
dell'associazione  degli  esuli  preludente  all'unità,  ma  non  menziona  il  Cuoco 
(p.   710). 

(2)  Presso  Romano,  op.  cit.,  p.  25,  che  pone  dopo  il  nome  «  barbetti  »  uno 
strano  interrogativo  tra  parentesi.  Il  Lannes  ebbe  gravi  difficoltà  nell'assalire  i 
barbetti  insorti  e  armati  ne'  dintorni  di  Genova  ;  ved.  Vicchi,  op.  e  loc.  cit.,  p.  II2» 


122  ATTILIO    BUTTI 

impiegati  (i),  poiché  egli  un  ufficio  pur  che  fosse,  anche  se  umile 
di  grado  e  di  retribuzione,  l'aveva  ormai  trovato;  quello  di  aggiunto 
al  guardamagazzino  della  municipalità  nell'  allora  battezzato  Foro 
Bonaparte.  Perciò  non  era  nemmeno  costretto  a  ritornar  nel  regno 
<ii  Napoli  come,  provvedendo  loro  il  viatico,  gì'  invitava  il  comi- 
tato de'  sussidi,  con  ripetuti  avvisi,  dopo  la  pace  di  Lunéville  i  cui 
risultati,  si  diceva  nella  lingua  infranciosata  del  tempo  «  vanno  a 
n  sviluppare  gli  attuali  [loro]  destini  ».  «  Quanto  ai  napoletani  »,  si 
-diceva  in  particolare,  «  se  il  corso  delle  vicende  politiche  non  ha 
«  ridonato  alla  loro  patria  quella  forma  di  governo  cui  eglino  ane- 
•«  lavano  e  per  cui  hanno  sofferto,  oggi  non  dipende  che  (ja  loro 
u  di  approfittare  di  un  trattato  solenne  che  ve  li  richiama  »  (2).  Né 
il  Cuoco  obbedì  al  richiamo  ch'era  venuto  a  fare  il  duca  di  Civi- 
tella,  a'  napoletani,  minacciando  una  penale  a'  renitenti  (3). 

Aveva  fatto  lui  allor  allora  un  terribile  processo  a  quella  mo- 
narchia e  al  suo  protettore  Nelson.  Nell'anno  IX  repubblicano,  1801, 
usciva  anonimo  dalla  tipografia  milanese  di  Strada  Nuova  il  Saggio 
storico  sulla  rivoluzione  di  Napoli  del  ij^g,  con  l'epigrafe  cicero- 
niana: «  Caedo  cur  vestram  rempublicam  perdidistis  tam  cito?  », 
e  con  lettera  dedicatoria  a  N.  Q.  Vero  è  che  il  libro  appariva  det- 
tato anche  da  così  acuta,  esatta  e  imparziale  comprensione  del 
vero,  de'  fatti  e  delle  loro  cause,  che  ne  veniVan  simultaneamente 
esaltati  gl'intendimenti  rwDbili  e  l'onesta  condotta  e  svelati  i  gravi  er- 
rori de'  più  eletti  spiriti  operanti  in  que'  fatti  e  infatuati  di  teoriche 
astratte  per  cui  non  tennero  conto  della  realtà  e  costruirono  su  la 
rena  e  peggio,  e  colpiva  tanto  le  iniquità  del  regno  e  de'  suoi 
protettori  inglesi,  quanto  le  prepotenze,  le  vessazioni  e  le  ladrerie 
ordinate  o  permesse  dal  direttorio  di  Francia. 

A  stringere  in  poco  il  molto  che  di  quest'  opera  si  potrebbe 
dire,  essa  va  segnalata  per  detta  indipendenza  di  giudizio  a  cui 
nulla  ostò  l'aver  dovuto  giudicare  severamente  uomini  che  l'autore 
ammirava  e  amava,  elevatezza  di  concezione  che  persegue  ne'  fatti 
spiccioli,  meglio  che  vicende  d' individui,  il  maturar  de'  tempi ,  li- 
bertà da    apriorismi  d' ogni  maniera    e   pur    da    quelli    del    secolo 

(i)  Ved.  la  citata  Raccolta  di  leggi,  tee,  pp.  52,  134,  140,  143,  200.  Per 
l' impiego  del  C,  ved.  Romano,  op.  cit.,  pp.  27.  287. 

(2)  Raccolta  di  leggi,  ecc.,  loc.  cit. 

(3)  Marelli,  Giorn.  della  repuh.  ital.y  voi.  XXV,  p.  94. 


LA    FONDAZIONE    DEL    u    GIORNALE    ITALIANO    »,    ECC.  I23 

■«  filosofo  "  onde  non  può  aver  taccia  di  semplicismo  nell'interpreta- 
zione de'  fenomeni  storici  e  degl'  indirizzi  politici  e  merita  invece 
lode  di  buon  metodo  storico,  quale  non  aveva  il  secolo  ideologo 
nel  concepir  lo  svolgimento  diverso  de'  fatti  umani  benché  a  pos- 
seder della  storia  le  vere  basi  avessero  allora  insegnato  tra  noi  i 
<:olossi  dell'  antiquaria.  A  ogni  tratto  sorge  l'osservazione  dell'  in- 
telletto politico  pasciuta  della  lettura  machiavellica,  senza  peraltro 
alterare  nemmeno  per  questa  la  rappresentazione  de'  fatti.  La  quale 
riesce,  per  la  visione  commossa  che  lo  scrittore  ne  ha,  pur  essendo 
passata  attraverso  alla  temperie  critica  della  sua  mente,  un'  opera 
d'arte  vera  efficace,  a  cui  non  fanno  gravissimo  pregiudizio  gl'ibri- 
dismi di  lingua,  i  napoletanismi  onde  più  propriamente  che  de' tac- 
ciati barbarismi  vi  si  trova  un  buon  dato  (i). 

Ne  balza  fuori  la  figura  d'  un  amator  sincero,  ma  assennato, 
oggi  direbbesi  equilibrato,  della  patria,  della  libertà  e  delle  inno- 
vazioni, che  avrebbe  acconsentito  ad  affrettar  il  passo  alle  riforme 
dacché  la  rivoluzione  aveva  impresso  a  tutto  un  moto  più  celere  ; 
ma  tuttavia  le  avrebbe  volute  non  precipitose  e  ben  radicate  nel- 
l'anima del  popolo,  innestate  a  tale  scopo  su  '1  meglio  del  passato, 
con  adattamento  alle  nostre  condizioni,  all'  indole,  a'  costumi  e  af- 
fetti paesani,  secondo  insomma  la  realtà  delle  cose  la  cui  conside- 
razione é  fondamento  d'  un  pensiero  veramente  politico.  Per  le 
medesime  ragioni  appare  aborrente  dal  farsi  servile  discepolo  degli 
stranieri,  e  dalle  furfanterie  amministrative  si  mostra  fieramente 
•offeso.  Così  lo  spirito  del  Saggio  era  in  pieno  accordo  con  l' in- 
dirizzo delle  cose  italiane  dopo  i  comizi  di  Lione  e,  per  ciò  che 
spettava  al  regime  e  all'  uso  moderato  della  libertà  e  delle  nova- 
zioni, anche  con  quello  delle  cose  francesi  sotto  il  consolato  che 
■del  pari  rinnegava  e  condannava  i  procedimenti  de' Verri  inviatici 
•dal  direttorio.  Anche  il  Cuoco,  come  il  Melzi  e  gli  altri  nostri 
uomini  eminenti,  guardava  al  Bonaparte  come  all'uomo  provvi- 
•denziale  per  noi,  con  speranza  che  dovesse  riunire  a  miglior  sorte 
gV  italiani  o  almeno,  se  il  più  vasto  sistema  politico  da  lui  va- 
gheggiato non  permetteva  tanto  per  ora,  conceder  ad  essi  una 
somma  di  beni  che  li  sollevasse  a  una  nuova  dignità  e  prosperità, 


(i)  Ved.  mia  recensione  a  G.  Ottone,  V,  C.  e  il  risveglio  della  coscienza 
nazionale,  Vigevano,  1903,  in  Giorn.  stor.  della  lett.  Hai,  voi.  XLIV,  1905,  p  240. 


124  ATTILIO    BUTTI 

caparra  di  un  lontano  ancor  più  grande  avvenire.  Sono  ben  questi 
i  pensieri  messi  in  fronte  al  Saggio  nella  dedicatoria  a  N.  Q.  È 
ben  il  Saggio  che  condanna  il  sistema  della  democratizzazione  uni- 
versale che  il  Bonaparte  annunziava  finito  (i);  il  medesimo  libro 
esalta  i  «  talenti  »  del  Bonaparte  (2)  e,  colorendo  il  suo  giudizio 
alla  machiavellica,  ribadisce  la  condanna  di  Venezia  oligarchica  e 
imbelle,  a  Campoformio,  come  meritata  (3),  e  rileva  quale  testimonio 
di  gran  progresso  nelle  opinioni,  l'indifferenza  degl'italiani  davanti 
alla  cessazione  del  potere  papale  in  Roma  (4).  Il  Saggio  deplora 
l'avvilimento,  la  mancanza  di  fiducia  in  sé  stessa,  della  nostra  na- 
zione. E  ben  il  Saggio  che,  notati  gli  estremi  a  cui  eran  giunte  le 
cose  in  Francia  sotto  il  Robespierre,  afferma  che  le  cose  dovevan 
retrocedere  (5),  come  difatti  avvenne,  auspice  il  Bonaparte,  e  sog- 
giunge con  parole  significative  in  brutto  costrutto  napoletano  : 
«  il  sistema  de'  moderati  rimaneva  le  cose  al  loro  stato  naturale  », 
come  a  suo  parere,  che  è  quello  a  puntino  del  Machiavelli,  facevano 
in  Roma  antica  le  parti  politiche  contendenti  saviamente.  Confron- 
tato, secondo  una  concezione  storica  esattamente  mutuata  dal  Ma- 
chiavelli, il  popolo  romano  al  fiorentino  ne' rivolgimenti  politici, 
addita  il  giusto  mezzo  fra  gli  estremi  come  il  punto  d'  equilibrio 
in  cui  riposa  la  felicità  della  nazione  (6).  Pure  rendendo  giustizia 
alla  loro  integrità,  svela  1'  errore  de'  «  patriotti  »  in  quanto  avevan 
confuso  la  legittima  azione  contro  le  ricchezze  usurpate  dal  clero, 
con  la  guerra  alla  religione  della  quale  fa  con  concetti  apparente" 
mente,  ma  non  in  realtà  antimachiavellici,  un'apologia  (7).  Mettono 
pure  d'accordo  il  Cuoco  con  le  idee  del  Bonaparte  la  critica  della 
fraternizzazione  e  delle  sale    patriottiche,  e  la  lode,   per  opposto,. 


(i)  Saggio,  cap.  II. 

(2)  Ibid.,  cap.  IH. 

(3)  Ibid. 

(4)  Ibid. 

(5)  Ibid.,  cap.  XVIII. 

(6)  Ibid.,  e  cap.  XV. 

(7)  Capp.  XXI-XXIV  e  L.  Concordano  anche  nel  concetto  unitario  dello 
stato,  ossia  unione  dei  poteri  (chiesa  e  stato)  quale  1'  intende  G.  Ferrari,  siste- 
maticamente interpretando  la  tradizione  del  pensiero  politico  da  E.  Colonna  e 
Dante  a  G,  Boterò  e  suoi  seguaci,  in  Corso  sugli  scrittori  politici  italiani,  Mi- 
lano, 1862,  lezioni  I-XVII,  specialmente  lez.  IX,  p.  204,  e^ez.  XI,  pp.  212^ 
224-255. 


LA   FONDAZIONE   DEL    «     GIORNALE    ITALIANO    »,   ECC.  I25 

de'  circoli  d' istruzione  per  la  gioventù  per  formar  soldati  e  citta- 
dini, come  s'usava  nell'antica  repubblica  di  Berna  (i).  Interpretava 
egli  il  pensiero  presiedente  al  nuovo  ordine  di  cose,  quando  nel- 
l'esporre  i  disastri  della  Partenopea,  proclamava  la  necessità  delle 
armi,  e  dimostrava  che  l'organizzazione  delle  forze  napoletane 
avrebbe  assicurata  la  vittoria  al  partito  repubblicano  e  la  fortuna 
alla  Francia  in  Italia  di  fronte  agli  austrorussi  (2).  E  meravigliosa- 
mente interpretava  il  sentimento  della  repubblica  italiana  quando 
seguiva  dimostrando  che  era  supremo  interesse  della  Francia  liberar 
tutta  r  Italia,  formarne  un  sol  governo  e  acquistar  così  una  poten- 
tissima alleata;  che  l' Italia  è  più  utile  alla  Francia  amica  che  serva. 
Parole  coteste  che,  a  distanza  di  oltre  a  settant'anni,  N.  Tommaseo 
si  compiaceva  di  trascrivere  a  onor  del  Cuoco,  attestando  la  cara 
memoria  che  di  lui  serbava  l'editore  del  suo  Saggio  ancor  nel  1825-27, 
quando  lo  scrittore  dalmata  visse  pure  a  Milano  (3). 

Non  è  qui  il  luogo  di  dire  della  fortuna  del  Saggio.  Basti  ram- 
mentare che  superò  quella  del  Rapporto  al  cittadino  Carnot  del- 
l'altro napoletano  e  compagno  d'esilio  F.  Lomonaco  (1770-1810), 
uscito  in  luce  poco  prima,  e  che  tutt'e  due  le  opere,  che  s'integrano 
e  lumeggiano  a  vicenda,  furono  subito  tradotte  in  francese  dal  noto 
Barrère,  già  membro  del  comitato  di  salute  pubblica,  poi  nemico 
del  Robespierre  e  sviscerato  bonapartista.  Anche  il  fatto  di  questa 
traduzione  mostra  come  il  Saggio,  nonostante,  anzi  in  grazia  della 
critica  acerba  che  faceva  di  certi  atti  e  uomini  francesi,  non  andava 
contro  gli  umori  predominanti  in  quel  punto  nell'  alta  politica  in 
Francia  e  a  Milano. 


V. 


Le  idee  rilevate  nel  Saggio  s'accordavano  poi  principalmente 
con  quelle  di  F.  Melzi.  Neppur  questo  poteva,  per  la  sua  educa- 
zione e  terapra,  approvare  i  procedimenti    della   rivoluzione    fran- 

(1)  Saggio^  cap.  XL.  Tale  lode  a  Berna  dà  pure  in  Giorn.  Ita/.,  1804,  n.  35, 
21  marzo. 

(2)  Ibid.,  cap.  XXVI,  LUI. 

(3)  In  Arch.  stor.  ital,  serie,  III,  to.  XVIII,  pp.  183-84,  lettera  a  P.  Albino, 
intorno  alle  costui   Vite  di  benemeriti  della  provincia  di  Molise. 


120  ATTILIO   BUTTI 

cese  e  i  suoi  furori  irreligiosi  (i),  e  nella  consuetudine  de' Beccaria 
e  de'  Verri  aveva  pur  amato  la  filosofia  e  desiderato  grandi  miglio- 
ramenti sociali.  Nemmeno  lui  era  proclive  alle  sette,  lui  che  scriveva 
al  viceré  Eugenio  le  amare  parole  del  22  gennaio  1814  contro  la 
massoneria,  tra  i  capi  della  quale  d' altra  parte  non  compare,  a 
Milano,  neppur  il  Cuoco  (2).  Come  questo  insiste  su  la  profonda 
differenza  tra  la  rivoluzione  francese  che  dice  opera  più  propria- 
mente del  popolo  che  della  filosofia,  sorta  spontaneamente,  attiva, 
e  la  nostra  che  fu  importata,  passiva,  e  mostra  che  dalla  rivolu- 
zione francese  doveva  venir  necessariamente  la  guerra;  così  già  il 
Melzi  ne  aveva  a  un  dipresso  giudicato  nel  discorso  per  la  costi- 
tuzione del  1797.  Nel  quale  era  detto  :  «  In  Francia  la  rivoluzione 
«  è  stata  un  bisogno  della  nazione;  ivi  fece  nascer  la  guerra;  la 
«  guerra  sola  ha  portato  fra  noi  la  rivoluzione  :  essa  ci  è  venuta 
u  per  impulso  straniero  ».  Nel  medesimo  discorso  il  Melzi  ci  teneva 
a  rilevar  la  differenza  corrente  tra  noi  e  la  Francia  per  rispetto 
alle  divisioni  e  ai  rapporti  delle  classi  sociali,  biasimava  i  proce- 
dimenti demagogici,  «  la  guerra  ai  ricchi  e  alla  proprietà  ».  Egli  pure 
insisteva  esser  legge  di  tutte  le  nazioni,  indispensabile,  il  sostener 
colle  armi  la  propria  indipendenza,  e  faceva  invito  a  tutti-  i  cit- 
tadini di  qualsiasi  opinione  e  abitudine,  a  partecipar  del  governo, 
lungi  da  quell'esclusioni  che  il  Cuoco  aveva  lamentate  come  gravi 
errori  della  Partenopea.  Pure  il  Melzi  pregiava  r89  e  sentiva  or- 
rore del  '92;  faceva  gran  conto  dell'esperienza  e  dispettava  i  me- 
tafisicanti  della  politica;  scriveva  al  parroco  Magenta  (3)  mostrando 
come  si  dovessero  accordar  sempre  morale  e  dovere  cittadino;  potè 
anche  più  tardi  vantarsi,  dirigendosi  a  Napoleone,  del  proprio  si- 
stema di  moderazione  (4).  Pensava  egli  che  nel  tempo  della  Cisal- 


(i)  Ved.  Falorsi,  op.  cit.,  p.  424. 

(2)  In  verità  non  trovo  i  loro  nomi  neW Estratto  per  i  travagli  della  gran 
^^ff *^  generale,  ecc.,  dove  appaiono  invece  i  Calepio,  Felici,  Costabili,  Alessandri, 
Lechi,  Jourdan.  Massena,  Luosi,  Fenaroli,  D.  Pignatelli  di  Monteleone,  C.  Testi, 
e  fin  il  Caprara  e  Fed.  Agnelli.  II  raro  opuscolo  è  in  misceli,  della  Braidense, 
Gah.  689.  Per  l'Aldini  massone,  ved.  Zanolini,  op.  cit.,  lib.  II,  pp.  213,  219,  223  ; 
per  Monti  massone,  ved.  Vicchi,  op.  cit.,  primo  saggio,  p.  96. 

(3)  Ved.  Melzi,  Memorie-documenti^  voi.  I,  p.  147. 

(4)  Ibid.,  voi.  I,  p.  507.  Per  i  luoghi  non  annotati  mi  riferisco  al  Discorso 
della  costitu:^ione  o  a'  riassunti  del  Falorsi  e  del  Mauri.  Ved.  avanti,  in  §  II,  il 
suo  Proclama,  15  febbraio  1802,  a'  concittadini. 


LA  FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,   ECC.  I27 

pina  s' erano  maturate  e  abbarbicate  tutte  le  opinioni  politiche 
italiane,  ma  tuttavia  avrebbe,  per  le  nostre  condizioni,  preferito 
uno  stato  monarchico  nazionale  al  mostro  della  Cisalpina.  Al  primo 
ricomporsi  dello  stato,  ne'  vari  disegni  intorno  ad  esso,  ripensava 
con  dolore  alle  nostre  invidie  e  gare  municipali,  e  si  sentiva  av- 
verso a  un  grande  spezzamento  d'Italia.  Egli  per  il  primo,  all'arrivo 
del  Bonaparte  dall'  Egitto,  gì'  indirizzava  la  bella  lettera  francese 
nella  lingua  e  italianissima  nella  sostanza  che  lo  invocava  nostro 
liberatore  e  lo  ammoniva  essere  scopo  degno  di  lui  fondere  le 
nostre  popolazioni  tutte  in  una  nazione  perchè  l' Italia  non  dovesse 
essere  campo  predestinato,  dannato,  a  futura  perenne  guerra  tra 
Austria  e  Francia  (i).  E  se  non  osò  formular  netto  e  fermo  l'ideale 
dell'unità  e  indipendenza  politica,  ben  formò  quello  d'un  forte 
nucleo  politico  che  sollevasse  almeno  tutti  gli  animi  da  gretti  spi^ 
riti  regionali  e  fosse  avviamento  a  cose  maggiori. 


VI. 


Il  Cuoco  ebbe  intanto  una  nuova  occasione  d'  acquistar  bene- 
merenza presso  il  governo  italiano.  Eseguì  per  esso  un  lavoro 
utile  e  fortunato,  cioè  le  Osservaziani  sul  dipartimento  dell^ Agogna, 
edite  a  Milano  nel  1802  da  Nobile  e  Tosi  e  riedite  indi  a  pochi 
giorni.  L'opuscolo  serviva  come  relazione  del  commissario  straor- 
dinario mandato  dal  governo  a  quel  dipartimento  e  però  usciva 
con  il  nome  di  questo,  ch'era  Lodovico  Lizzoli  (i 776-1820  circa). 

Il  conte  carrarese  Lizzoli,  fatti  in  gioventù  studi  letterari  e 
giuridici,  era  stato  promotore  (1787)  dell'Accademia  Arnutica  di 
Carrara,  e  aveva  dato  saggi  poetici  incensando,  tra  l'altro,  la  du- 
chessa Maria  Teresa  Cybo  d'Este;  ma  nel  1796  era  passato  a.' pa- 
trioti, era  andato  deputato  al  Congresso  Cispadano  nel  1797,  ed 
era  entrato  nell'amministrazione.  Nominato  nel  '97  dal  Bonaparte 
neir  amministrazione  dipartimentale  delle  Alpi  Apuane,  era  pur 
eletto  nel  corpo  legislativo  cisalpino  tra  li  juniori  (i 797-1798).  Nel 
dipartimento  dell'Agogna  fu  mandato  dopo  1'  800,  e  vi  stette  fino 
a  tutto  il  marzo  1802.  Si  acquistò  lì  la  stima  del  Prina  che  entrava 

(5)  Memorie-documenti,  pp,  216-21. 


128  ATTILIO    BUTTI 

pur  allora  nel  governo  della  repubblica  ed  era  di  quel  dipartimento, 
■e  ottenne  anche  lodi  e  favore  dal  Melzi  (i). 

Le  Osservazioni  pubblicate  con  il  nome  del  Lizzoli,  furono 
pure  oggetto  di  consulti  di  L.  di  Bréme  che  era  pure  di  quei  paesi, 
e  che  pubblicamente  le  considerò  del  pari  come  cosa  del  Lizzoli  (2). 
Ma  i  biografi,  e  esso  medesimo  il  Cuoco,  in  documenti  già  messi 
in  luce,  ristabiliscono  il  vero  contro  erronee  indicazioni  bibliogra- 
fiche. Si  aggiunge  anzi  che  il  Cuoco  ha  il  merito  di  aver  così  pre- 
<:eduto  il  Gioia,  maestro  poi  tra  noi  degli  studi  di  statistica,  che, 
solo  un  anno  dopo  e  più,  faceva  un  simile  lavoro  su  '1  dipartimento 
d'Olona  (3). 

E  forse  per  altra  via  ancora  il  Cuoco  s'era  accostato  agli  uo- 
mini del  governo:  collaborando  nel  menzionato  Redattore  Italiano. 
Difatto  questo,  nel  n.  IX,  25  ventoso,  dell'  anno  IX  repubblicano 
(16  marzo  1801),  recava  un  articoletto  intitolato  Varietà  a  proposito 
del  tomo  III,  uscito  allora  in  luce,  de'  Saggi  Politici  di  M.  Pagano 
con  elogio  dell'autore  scritto  dal  cittadino  Flaminio  Massa,  e  vi  si 
leggono  queste  parole:  «  Platone  avea  appena  traveduta  Atlantide; 
«  Vico  al  pari  di  Colombo  fu  il  primo  a  navigarvi,  ma  dopo  Vico 
«  niun  altro  se  non  che  Pagano  ha  avuto  il  coraggio  di  seguirlo  ». 
Se  queste  parole  si  confrontano  con  quelle  del  Saggio,  nel  capitolo 
■«  Taluni  patrioti  »,  «  Nella  carriera  sublime  della  storia  del  genere 
«  umano  voi  non  rinvenite  che  le  orme  di  Pagano  che  vi  possano 
u  servir  di'  guida  per  raggiungere  i  voli  di  Vico  »,  si  sente  in 
tutt'e  due  i  luoghi,  o  m' inganno,  il  futuro  autore  del  Platone  in 
Italia  che,  giusto  in  questo  libro,  nel  cap.  LXXI,  fa  interpretare 
dal  filosofo  ateniese  la  favola  egizia  intorno  alla  «  vastissima  isola, 
^<  alla  quale  le  antiche  memorie  danno  il  nome  di  Atlantide  »,  ecc. 

Ma  checché    sia  di  ciò,  fu  soprattutto  il  Saggio    che  contribuì 

(i)  Ved.  T.  Casini,  /  deputati  al  Congresso  Cispadano,  in  Riv.  stor.  del 
Risorg.,  voi.  II,  1797,  p.  184.  Le  notizie  gli  sono  date  da  G.  Sforza.  Ma  il 
tempo  esatto  che  il  L.  lasciò  il  dipartimento  dell'Agogna,  lo  determino  se- 
condo un  piccolo  carteggio  dell' Arch.  di  stato  di  Milano,  Corrispondenza  Mel^i^ 
AZ,  54,  lettera  7  aprile  1802,  ringraziamento  al  Melzi.  Le  lodi  sono  in  let- 
tera del  Melzi,  22  marzo  1802,  e  del  Prina,  5  aprile  1802.  G.  Melzi,  in  Me- 
morie-documenti^ pubblicò  una  lettera  del  L.,  togliendole  l'esordio. 

(2)  Ved.  Di:(ionario  biografico  universale,  Firenze,  1840,  sotto  Brente. 

(3)  Su  questo  ci  fu  un  po'  di  polemica  tra  il  Cuoco  e  il  Gioia  ;  ved.  Gior- 
nale Italiano,  nn.  3,  8,  1804. 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    w,    ECC.  I29 

a  farlo  accogliere  quale  degno  interprete  del  governo  italiano, 
siccome  scrisse  G.  Pepe  (i),  errando  tuttavia  nel  lasciar  quasi  in- 
tendere che  il  G.  I.  si  chiamasse  Giornale  Ufficiale  o  fosse  la 
medesima  cosa  che  il  Foglio  o  Bollettino  ufficiali  su  mentovati. 
Ond'è  esatta  la  rettificazione  di  M.  D'Ayala  che  i  recenti  biografi 
ebbero  il  torto  di  volere  alla  lor  volta  correggere. 

Nell'Archivio  di  stato  di  Milano  esiste  il  disegno  o,  com'  egli 
dice,  «  piano  »  del  giornale,  presentato  dal  Cuoco  al  vice-presidente  e 
da  questo  approvato,  che  produco  in  appendice  a  queste  note  (2). 
Secondo  un  tal  piano  il  giornale  del  Cuoco  doveva  formar  la  mente 
della  nazione,  formare  lo  spirito  pubblico,  il  che  importava  soprat- 
tutto inspirare  alla  nazione  stessa  una  giusta  estimazion  di  se  e 
avviare  un  accordo  di  giudizi  su  le  cose  di  maggior  momento.  La 
prima  vuol  esser  ridestata  e  regolata  secondo  una  giusta  vision 
del  vero,  con  la  norma:  né  vani  orgogli,  né  vile  scoramento.  In 
Italia  poi,  più  che  conservarlo,  conveniva  creare  lo  spirito  pub- 
lieo,  ossia  la  coscienza  nazionale,  dopo  più  secoli  che  la  vita  na- 
zionale tra  noi  era  estinta,  e  il  Cuoco  ciò  vede  e  afferma.  Onde 
vuol  giungere  a  questo  fine  richiamando  gì'  italiani  alla  memoria 
del  loro  passato,  mostrando  loro  le  loro  stesse  capacità,  spingen- 
doli a  emulare,  non  a  scimieggiare  gli  stranieri.  Conveniva  in  par- 
ticolar  modo  far  viva  l'attenzione  su  tutte  le  cose  nazionali,  su  le 
cose  di  tutta  Italia  e  d'ogni  ordine,  sforzandosi  di  far  del  giornale 
un  vincolo  d'  unione  per  la  nazione  intera,  un  vincolo  d'  unità  ideale. 
Era  il  programma  di  un'  opera  educativa  lenta  e  vasta  che  aveva 
mire  lontane,  nobiU,  patriottiche,  e  voleva  far  di  Milano  la  «  sede 
«  della  mente  universale  della  nazione  ». 


VII. 


Approvato  il  piano,  che  a  ragione  il  Cuoco  diceva  contener 
idee  dello  stesso  Melzi,  l' iniziatore  del  Giornale  si  sceglieva  pure 
un  collaboratore,  Giovanni  D' Aniello,  che  già  scriveva  nel  Redat- 
tore Italiano  ed  era  pur  lui  un  esule  napoletano. 


(i)  In  Antologia,  voi.  XIV,  1824,  par.  IV,  n.  XL,  p.  loi. 
(2)  Doc.  II. 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VII. 


130  ATTILIO   BUTTI 

Questo  die  l' opera  sua  al  nuovo  giornale  fino  al  principio 
del  1806.  Per  isbrigarmi  subito  di  lui,  del  quale  non  è  possibile 
aver  maggiori  notizie  né,  per  il  suo  scarso  valore,  mette  conto 
cercarne,  dirò  che  i  suoi  articoli  nel  G.  I.  sono  sottoscritti  con  un 
D,  sono  di  argomento  teatrale  e  costituiscono  poco  più  che  note 
di  cronaca.  Egli  ben  si  rivela  nell'articoletto  del  n.  49,  23  aprile  1804, 
sotto  la  rubrica  spettacoli  a  proposito  della  Nùm  pazza  per  amore 
del  Paisiello,  che  vibra  di  care  ricordanze  della  prima  rappresen- 
tazione di  quel  lavoro  nel  teatro  eretto  nei  boschetti  di  S.  Leucio 
durante  V  idillio  tra  il  Borbone  e  la  filosofia.  Inoltre,  come  il  Cuoco 
lo  dice  versato  nel  francese  e  nelF  inglese,  e  un  po'  anche  nel  te- 
desco, è  probabile  che  il  D'Aniello  avesse  anche  parte  nelle  ver- 
sioni da'  giornali  stranieri  eh'  eran  date  nelle  prime  colonne  del 
foglio,  in  forma  di  corrispondenza  da  Londra,  da  Amburgo  e  da 
altre  città.  In  verità  alcuni  napoletanismi,  sparsi  qua  e  là,  le  ap- 
palesano per  fattura  del  Cuoco  o  del  D'Aniello.  Del  resto  gli  ar- 
ticoli che  si  possono  attribuire  a  quest'  ultimo,  sono  assai  rari,  e 
dopo  il  1805  pare  non  ci  scrivesse  più:  la  sua  sigla  scompare. 

Per  la  sua  vita  avventurosa  e  per  la  varia  attività,  benché  di 
secondo  o  terzo  ordine,  assai  più  importa  l' altro  collaboratore, 
indicato  al  Cuoco,  che  prima  non  lo  conosceva  e  poi  ne  fu  con- 
tento, dal  vice-presidente  e  dal  consigliere  segretario  di  stato  L.  Vac- 
cari;  tanto  più  che  le  notizie  intorno  a  lui  si  trovano  con  dif- 
ficoltà e  richiedono,  per  quel  che  si  può,  rettificazioni  e  compimento. 
Egli  era,  come  s'è  detto,  il  conte  modenese  Bartolomeo  Benincasa  (i). 
Nato  il  1746  da  una  nobile  famiglia  oriunda  da  Montegibbio  e  ascritta 


(i)  Intorno  al  B.  abbiamo  le  note  del  Dipon,  biogr.  univers.,  Firenze,  1840, 
voi.  I  ;  della  Nouvelle  hiographie  generale,  ecc.,  Paris,  Dldot,  to.  V,  pp.  3  39-60  ; 
della  Biografia  universale  antica  e  moderna,  Venezia,  1836,  Supplemen.  al  to.  II, 
PP-  499-501»  che  si  copiano  tra  loro,  le  prime  derivando  da  quest'ultima  fonte. 
Più  a  lungo  e  più  direttamente  ne  discorre  AuG.  Bazzoni,  in  Arch.  stor.  itaì ,. 
to.  XVII,  p.  281  e  serie  III,  to.  XVIII,  1873,  p.  34,  Un  confidente  degl'inqui- 
sitori di  stato  di  Venezia,  memorie  e  documenti.  Indico  poi  il  Giorn.  di  erudi:(ione,. 
voi.  IV,  1893,  p.  295,  che  indica  a  sua  volta  le  a  Note  bibliografiche  che  pos- 
a  sono  far  seguito  alla  Biblioteca  tiraboschiana  »  del  Grasulphus,  Modena,  tip.  So- 
ciale, 1876.  Io  ho  coordinate,  comparate  e,  fin  dov'era  possibile,  riscontrate  e 
rettificate  queste  fonti  ;  accennando  le  notizie,  specialmente  bibliografiche.  Per  la 
data  della  nascita  e  della  morte  mi  valgo  della  dichiarazione  di  decesso  ch'è  nel 
registro  dei  morti  di  porta  Orientale,  parrocchia  di  S.  Babila. 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,    ECC.  I3T 

al  patriziato  di  Modena,  e  appunto  dal  conte  don  Luigi  e  da  donna 
Lucrezia  Baggi,  egli  ebbe  molti  fratelli,  uno  ministro  ducale  a  Mi- 
lano, uno  arcivescovo  a  Camerino,  un  altro  vescovo  a  Carpi:  egli 
era  cadetto.  Destinato  al  sacerdozio  era  entrato  a  quattordici  anni 
novizio  nella  Compagnia  di  Gesù,  ma  non  piacendogli  la  carriera 
religiosa,  non  tardò  a  cambiar  strada.  Nel  1765  era  uno  degl'  in- 
gegneri militari  del  duca  di  Modena  col  grado  di  capitano.  Seguì 
poi  il  marchese  di  Montecuccoli,  ministro  ducale  alla  corte  di  Vienna, 
nella  qual  corte  conobbe  il  conte  di  Nemptsch.  Mutabile  di  partiti, 
s' indusse  a  seguir  questo  conte  in  Moravia  come  educatore  dei 
suoi  tre  figli  destinati  alla  milizia  e  al  sacerdozio,  ma  l' indole  sua 
sollazzevole  lo  richiamò  ben  presto  a  Vienna  fra  i  divertimenti  e 
le  avventure.  Se  non  è  una  storiella  del  confidente  ab.  Pedrini  (1), 
una  volta  vi  si  sarebbe  fin  trovato  oggetto  di  rapimento  per  ordine 
di  una  dama.  Ma  a  sua  volta  s' invaghì  della  nobile  francese  Giu- 
seppina Cleves  di  Tillemont,  la  sposò  e  la  portò  a  Modena  per 
darsi  a  una  vita  di  spassi  che  piaceva  anche,  e  troppo,  alla  mo- 
glie, donna  di  carattere  volubile  e  capriccioso,  «diabolica»  la  diceva 
il  Pedrini.  Non  tardò  lo  sposo  a  trovar  in  casa  sua  una  sgradita 
sorpresa:  indispettito  dello  scandalo  che  ne  venne,  abbandonò  per 
sempre  la  città  natale. 

Lo  adescò  Venezia,  sede  del  viver  giocondo  e  degli  sfaccendati, 
adatta  all'oblio  eh' e'  cercava.  Là  strinse  amicizia,  certo  già  nel  1784, 
con  il  general  Giovanni  Durazzo,  ministro  dell'Austria  presso  la 
Serenissima.  E  vi  conobbe  pure  una  dama  che  brillava  per  coltura 
vivacità  intelligenza,  scrittrice  e,  secondo  la  moda,  ostentatrice 
d'amore  all'erudizione  di  qual  si  fosse  genere,  Giustina  Winne, 
figlia  di  un  gentiluomo  inglese,  nata  e  educata  cattolica,  vedova 
del  conte  di  Rosenberg-Orsini  eh'  era  stato  predecessore  del  Du- 
razzo a  Venezia  (2).  Il  confidente  Pedrini  la  dice  povera,  e  lascia 
intendere  che  per  bisogno  di  denaro  poteva  servire  agi'  intrigucci 
politici,  alle  ricerche  degl'  inquisitori  di  stato;  ma  d'altra  parte  at- 
testa che  menava  vita  splendida  e  che  per  coonestare  la  convivenza 
sua  col  Benincasa  lo  faceva  amministrator  de'  suoi  beni.  Il  certo  è 

(i)  xA-ltro  confidente  degl'inquisitori  di  Venezia,  dal  quale  in  parte  derivano 
le  notizie  date  dal  Bazzoni,  op.  cit.,  su  '1  Benincasa. 

(2)  Su  questa  dama  ved.  pure  il  cenno  fuggevole  di  P.  Molmenti,  in  Nuova. 
Antologia,  a.  XXXIX,  1904,  p.  266. 


132  ATTILIO   BUTTI 

che  il  conte  modenese  ebbe  con  questa  dama  galante  relazioni  in- 
time. Il  Pedrini  asserisce  invero  che  dopo  alcuni  anni  il  conte  sazio 
degli  amori  ne  sarebbe  fuggito  in  Inghilterra  dietro  a  un  facoltoso 
inglese,  ma  altri  dice  che  vi  andò  con  la  stessa  Rosenberg  che 
egli  avrebbe  poi  lasciata  là  tornandosene  per  conto  suo  a  Venezia. 
Più  probabilmente  vi  andarono  e  ne  tornarono  insieme.  In  quei 
giorni  essa  pubblicava  a  Londra  in  inglese  e  in  francese,  edizione 
duplice,  quel  libretto  tra  V  autobiografico  e  il  didascalico  galante 
che  con  il  titolo  plurale  di  Opuscoli  morali  e  sentimentali  fu  voltato 
in  italiano  nel  1820  dal  prof.  Giovanni  Barili  (i).  In  queste  pagine, 
accennando  a'  giovani  nati  con  bella  qualità  d' ingegno,  si  compiace 
di  citar  come  esempio  un  B.  che  dice  valentissimo  nel  sonare  il 
clavicembalo  senza  preparazione  di  studi.  I  due  amanti  vissero 
uniti  da  tempo  anteriore  al  1787  fino  al  giugno  1791  quando  Giu- 
stina morì. 

Egli  intanto  s'era  assunto  un  ufficio  poco  decoroso,  quello  di 
confidente  degl'  inquisitori  di  stato  di  Venezia,  già  un  po'  prima 
del  9  aprile  1791,  continuando  a  prestar  questo  servizio  fino  al 
31  ottobre  1792.  Avrebbe  sì  desiderato  d' aver  una  commissione 
puramente  letteraria,  ma  intanto  si  abbassava  a  questa  di  carattere 
poliziesco,  il  che  rende  incredibile  la  storiella  d'  una  lauta  pensione 
lasciatagli  dall'  amante.  Ma  nello  scorcio  del  1792  sarebbe  andato 
in  Inghilterra  come  educatore  d' un  figlio  della  margravia  di  Bran- 
deburgo  Auspach,  il  che,  a  tanta  distanza  di  tempo,  non  può  essere 
attribuito,  come  altri  vuole,  al  desiderio  di  togliersi  da  un  luogo 
di  ormai  dolorosa  memoria  come  Venezia  dov'  era  morta  la  Ro- 
senberg. E  allora  avrebbe  dato  di  quando  in  quando  quelle  capa- 
tine in  Francia  e  in  Germania,  frequentando  i  salotti  parigini,  che 
altri  attesta. 

Ma  le  vittorie  francesi  in  Italia  lo  indussero  a  correr  la  ven- 
tura neir  onde  agitate  di  Milano,  che  attrassero  tant'  altri  nel  me- 
desimo modo  improvvisati  demagoghi  e  patrioti:  periodo  questo, 
ignorato  da'  biografi  del  Benincasa.  11  quale  poteva  sperare  non  di 
trovarvi  pascolo  alla  frivolezza,  ma  più  tosto  di  collocar  1'  opera 
sua.  Il  confidente  degl'  inquisitori  di  Venezia  poteva  prestar  qualche 
servizio  ai  patrioti!  Vero  è  che  nelle  sue  lettere  agi'  inquisitori  si 


(i)  La  versione  italiana  usci  a  Sondrio,  dalla  tip.  Della  Cagnoletta. 


1 


LA   FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    »,    ECC.  I33 

notano  non  solo  pregi  di  forma,  di  pensieri  e  di  coltura  superiori 
allo  stile  di  que'  carteggi ,  ma  anche  ottimo  fiuto  nel  conoscere 
l' influenza  della  carta  stampata  agitante  certe  questioni,  fosse  pure 
per  combattere  le  opinioni  rivoluzionarie.  Inoltre  egli  vi  innalzava 
la  sua  relazione  dal  servizio  di  bassa  polizia  all'  indagine  delle 
correnti  e  induzioni  politiche  tra  i  numerosi  illustri  esuli,  andati 
ospiti  incomodi  a  Venezia.  Ed  era  stato  l'amico  intimo  di  tale  dama 
che  ne'  citati  opuscoli  vuol  presentarsi  per  spirito  forte,  giudica 
benefiche  le  convulsioni  de'  popoli  e  fa  una  novella  di  sentimento 
democratico  egualitario.  L'  ex  confidente  ed  ex  conte  poteva  ora 
come  cittadino  aver  parte  in  un  giornale    persecutore    de'  tiranni. 

Era  questo  il  Monitore  Cisalpino,  annunziato  al  pubblico  con 
un  foglietto  a  stampa  come  successore  del  Monitore  Italiano,  cioè 
del  soppresso  giornale  di  U.  Foscolo,  M.  Gioia,  F.  Breganze,  il  che 
pur  voleva  indicare  l'epigrafe  significativa  dell'avviso;  uno  avulso 
non  deficit  alter.  Il  foglietto  è  firmato  da  Compagnoni  Benincasa 
Massa.  Il  primo  è  il  già  menzionato  abate  lughese  (i 754-1833),  col- 
laboratore letterario  di  F.  Albergati,  giornalista  apolitico  a  Venezia, 
poi  cittadino,  deputato  cispadano,  peroratore  per  la  coccarda  trico- 
lore, poi  ancora  legislatore  e  giornalista  cisalpino,  avviato  a  divenir 
segretario  del  consiglio  legislativo  nella  repubblica  italiana  e  a 
goder  del  grado  di  professore  a  Ferrara  standosene  a  Milano.  Prima 
di  morire,  vivacchiando  ancora  nella  repubblica....  letteraria,  avrebbe 
riassunto  il  titolo  di  abate  (i).  Degli  altri  due,  uno  è  Flaminio 
Massa,  meridionale,  curatore  dell'edizione  di  M.  Pagano,  e  l'altro, 
è  il  nostro  modenese. 

La  pubblicazione  del  Monitore  Cisalpino  incominciò  il  15  fio- 
rile dell'anno  VI  repubblicano,  1798.  Voleva  informarsi    a'  principi 


(i)  Su  '1  Compagaoai  vi  è  la  nota  biografìa  presso  il  Tipaldo,  vi  son  quelle 
de' dizionari  biografici  cit.^per  il  Benincasa.  Aggiungo  l'op.  cit.  del  Fiorini,  su  '1 
Congresso  di  Reggio,  le  Memorie  del  Cicognara,  par.  I,  voi.  XIV,  pp.  228-29. 
Trascurata  è  generalmente  la  parte  che  riguarda  l'opera  sua  nel  Monitore  Cisal- 
pino ;  vi  accenna  T.  Casini,  /  deputati  al  Congresso,  ecc.,  già  cit.,  p.  158.  Per 
il  C.  tornato  abate,  ved.  il  Poligrafo,  1811,  XL,  29  dicembre,  pp.  622-23.  Cfr. 
pure  Mazzoni,  Ottocento,  cap.  Ili,  pp.  152-35.  In  un'anacreontica  del  cittadino 
Toselli,  inserita  in  Marelli,  Giorn.  ms.,  della  Cisalpina^  to.  IX,  1800,  è  ma- 
gnificato come  «  emulator  di  Tullio  »,  e  in  nota  chiamato  «  celebre  in  ogni  sorte 
«  di  letteratura  ». 


134  ATTILIO    DUTTI 

di  libertà  costituzionale  secondo  il  «  piano  »  del  Monitore  Italiano, 
ambiva  a  ottener  il  credito  del  Monitore  Francese  in  Francia  e  si 
proponeva  la  diffusione  de'  lumi,  la  concordia  degli  spiriti  e....  il 
rispetto  verso  il  governo:  «  non  capricci  di  moda,  non  furore  di 
«  setta,  non  invettive,  non  asprezze,  non  odiose  personalità  v.  Il 
giornale  portava  il  motto  tacitiano:  «  Sine  ira  et  studio  quorum 
«  causas  procul  habeo  ».  E  in  verità  d'  esser  sereno  e  giusto  di 
fronte  alle  brutte  questioni  personali,  mostrò  il  Compagnoni  quando 
nel  Monitore  difese  l'opera  del  commissario  Oliva,  in  cui  era  parte 
principale  il  Monti,  dalle  persecuzioni  calunniose  del  ferrarese  Guic- 
cioli  e  del  famigerato  poeta  improvvisatore  Gianni  (i). 

Il  Monitore  Cisalpino,  di  piccol  formato,  era  pieno  il  più  spesso 
delle  minuziose  relazioni  delle  dìspute  accese  nel  corpo  legislativo, 
fatica  specialmente  del  Massa  e  del  Benincasa.  Il  Compagnoni  n'era 
la  colonna.  Egli  vi  scrisse  parecchi  articoletti  notevoli,  una  volta 
delineando  il  tipo  ideale  d'  un  membro  di  Direttorio,  un'altra  volta 
lanciando  un  «  colpo  d'occhio  »  su  '1  mondo  politico  ed  esaltando 
la  pace  di  Campoformio  che  aveva  fondata  la  Cisalpina,  un'altra 
volta  eccitando  i  repubblicani  romani  a  rammentarsi  di  Bruto, 
un'altra  volta  esaltando  i  circoli  costituzionali,  in  un  altro  numero 
ancora  denunziando  il  così  detto  tirannello  di  Torino.  Un  artico- 
letto  anonimo  pungeva  il  Gianni  che,  ammalato  di  febbre....  aristo- 
cratica, non  era  comparso  il  dì  festivo  anniversario  dell'  entrata 
delle  armi  francesi,  a  dir  versi,  come  l'emulo  suo  V.  Monti,  nel  Cir- 
,colo  costituzionale  (2). 

Il  Benincasa  ci  scriveva  brevi  note  di  varietà.  Di  rado  entrò 
nella  politica  come  fece  per  la  «  morte  del  celebre  Wilckes  intre- 
ti  pido  ed  infelice  sostenitore  della  moriente  o  morta  libertà  inglese  », 
€  nella  manifestazion  di  giubilo  per  1'  assunzione  al  direttorio  di 
quell'Adelasio  che  poi,  ne'  tredici  mesi,  s' infamò  di  tradimento.  Ma 
eran  motti  questi,  non  articoli;  come  quando  pubblicò  un  giuoco 
di  parole  su  '1  nome  di  quel  Trouvè  che  avrebbe  in  breve  purgata  e 
imbavagliata  la  Cisalpina.  Di  preferenza  egli  scriveva  di  cose  geo- 
grafiche e  di  curiosità,  su  l'Irlanda,  su  gli  orologi   di   Basilea,   su 


(i)  Ved.  ViccHi,  op.  cit.,  triennio  1794-99,  p.  593  sg. 
(2)  È  strano  come  questo  articoletto  (n.  7,  27  fiorile,  anno  VI)  sia  sfuggito 
al  minuzioso  biografo  di  V.  Monti,  L.   Vicchi. 


LA   FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    »,   ECC.  I35 

rorigine  de' fogli  pubblici  ^/  stmtlia  (ì).  Meglio  serviva  quale  inter- 
mediario tra  governo  e  giornale.  Il  23  messidoro  anno  VI,  il  se- 
gretario generale  Rasori,  ch'era  stato  anco  lui  giornalista,  ordinava 
per  il  ministro  degl'  interni,  un  piccolo  pagamento  al  «  cittadino 
4(  Benincasa  membro  ed  agente  per  la  compagnia  del  Monitor  Ci- 
ti salpino  »,  per  il  i.**  trimestre  d'associazione  a  quattro  copie  del 
giornale.  Ma  il  25  termidoro  dello  stesso  anno  il  Benincasa  propo- 
neva al  ministro  Guicciardi,  amico  del  Melzi  e  pur  lui  moderato, 
r  associazione  a  sessanta  copie  per  lire  millecinquecento  che  fu 
finalmente  conclusa  tra  lui  e  il  Rasori.  Né  dovevano  mancargli 
noie,  come  quando  il  governo  di  Napoli  fece  lagnanze  al  direttorio 
cisalpino  per  un  articoletto  inserito  nel  n.  141  ch'era  stato  comu- 
nicato da  G.  B.  Velo  e  ricavato  dal  Redattore  Ligure.  Una  carta 
d'archivio  attesta  che  il  Benincasa  tentò  anche  di  associare  il  go- 
verno a  cento  copie  senza  riuscirci  (2).  In  fine  1'  ultimo  direttorio 
della  prima  Cisalpina  e  il  diluvio  croato  spensero  il  giornale,  ed 
è  da  credere  che  anche  il  Benincasa  sia  stato  costretto  allora  a 
riparar  in  Francia. 

Di  là  tornò  anche  lui,  con  le  nuove  vittorie  francesi  dell'  800, 
a  Milano,  dove  fu  subito  riannunziato  il  Monitore  Cisalpino  in  nome 
di  «  una  società  di  persone  cognite  al  pubblico  da  lungo  tempo 
«  e  pel  loro  zelo,  e  pei  loro  lumi  in  letteratura  e  in  scienze  ». 
Nella  Società  era  il  Compagnoni  che  doveva  riassumerne  la  dire- 
zione generale,  e  non  par  temerario  il  supporre  che  ci  fosse  pure 
il  Benincasa.  Ma  al  finir  della  Cisalpina  nella  repubblica  itahana 
il  Compagnoni  trovò  conveniente  lasciar  finire  anco  il  giornale  e 
entrar  negli  uffici  sotto  il  Melzi,  e  il  Benincasa  si  faceva  interprete 
del  nuovo  ordine  di  cose  con  1'  opuscolo  mentovato  su  la  stessa 
repubblica  italiana  (3).  Il  che  costituì  certo  un  buon  titolo  presso 
il  governo  del  Melzi  per  esser  designato  a  collaborar  con  V.  Cuoco 
nel  G.  I. 

In  questo  appaiono  articoli  suoi  dal  gennaio  1804  al  marzo  i8o6, 
•e  vogliono  esser  poi  considerati  a  parte,  nell' illustrare  l'opera  del 

(i)  Mi  valgo  della  collezione,  pur  troppo  imperfetta,  dell'Ambrosiana  e  dei 
fogli  d'annunzio  che  sono  in  una  Miscellanea  della  Braidense. 

(2)  Si  raccolgono  questi  dati  da  carte  unite  senza  indicazioni  singole  e  con- 
tinuità in  cartelle  dell' Arch.  di  stato  di  Milano. 

(3)  Ho  citato  l'opuscolo  del  B  piìi  avanti,  §  II. 


136  ATTILIO    BUTTI 

Giornale  in  quel  periodo  di  tempo.  Ma  ne'  primi  del  1806  egli  pub- 
blicava pure  V  Orazio  redivivo  adulando  Napoleone,  e  di  lì  a  poco 
abbandonava  il  Giornale  e  Milano  per  seguir  Vincenzo  Dandolo  in 
Dalmazia. 

È  noto  che  l' insigne  conte  veneziano,  che  aveva  parlato  alto 
e  commovente  al  Bonaparte  nel  '97,  aveva  acquistato  grande  au- 
torità agli  occhi  del  superbo  eroe.  È  risaputo  del  pari  che  parte- 
cipò della  prima  Cisalpina  con  accensione  democratica  e  fu  del 
direttorio,  ma  ebbe  nome  illibato  e  mostrò  poi  patriottismo  insieme 
e  moderazione,  degno  amico  del  Me] zi.  Ora  era  membro  del  Col- 
legio dei  dotti  e  dell'Istituto  Nazionale,  benemerito  per  l'opera  e 
gli  studi  a  incremento  dell'agricoltura  e  dell'ovicultura,  per  cui  è 
tante  volte  lodato  il  G.  I.  e  forse  pure  nel  cap.  VII,  pp.  50-51,  to.  I 
del  Platone  in  Italia  (i).  E  con  decreto  26  aprile  1806  veniva  in- 
viato quale  provveditore  straordinario  nella  Dalmazia  conquistata 
dalle  recenti  vittorie  su  la  seconda  coalizione.  Il  Benincasa  che 
forse  lo  conosceva  già  a  Venezia  e  nella  prima  Cisalpina  e  doveva 
essergli  caro  come  biografo  di  Enrico  Dandolo,  lo  seguiva.  Giun- 
geva «  S.  E.  V.  Dandolo  a  Venezia  con  numeroso  seguito  il  21 
«  giugno  »,  e  poco  dopo  entrava  in  Dalmazia.  Dalla  quale  ritor- 
nava a'  suoi  famosi  ovili  di  Varese  nel  1809,  quando  la  Dalmazia 
fu  riunita  alle  province  illiriche.  Invece  il  Benincasa,  che  nel  1807 
vi  aveva  anche  fondato  //  Regio  Dalmata  (2),  vi  restò  ancora  come 
censore  degli  studi  delle  province  illiriche  fino  oltre  il  18 11  (3). 

Secondo  alcune  biografie,  il  Benincasa  dopo  questo  tempo 
avrebbe  avuto  parte  nella  direzione  del  R.  Teatro,  a  Milano.  Se- 
condo altri,  allora  si  sarebbe  fermato  a  Brescia  attendendo  a  la- 
vori letterari  e  avrebbe  avuto  parte  nella  commissione  per  i  libri 
di  testo  de'  ginnasi  e  licei.  Fu  scritto  anche,  senza  prove,  che  ap- 
partenne alla  massoneria.  Con  ogni  probabilità  si  può  riconoscer 
lui  nel  B....a  che,  sotto  il  titolo  Teatro,  firmava  un  articoletto  agro- 
dolce su  '1  ballo  Prometeo  del  Vigano,  nel  n.  XXVI,  27  giugno 
1813,  del  Poligrafo  che  lo  chiamava  suo  «  collaboratore  ». 

(i)  Ved.  pure  la  biografìa  del  D.,  dettata  dal  Sonzogno,  1820.  L'annunzio 
dell'arrivo  a  Venezia  è  in  Giorn.  Ital.,  1806,  n.  176.  Su  l'accensione  democratica 
del  D.,  nel  1798,  ved.  Lettere  di  V.  Monti,  per  Bertoldi  e  Mazzatinti,  Torino, 
1893,  voi  I,  p.  323. 

(2)  Alcune  biografie  accennano  a  questo  giornale  con  titolo  efrato. 

(3)  Ved.  Poligrajo,  181 1,  n.  XV,  infra. 


LA   FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    »,    ECC.  I37 

Dopo  il  '16,  perduto  ogni  ufficio,  con  il  cader  della  potenza 
napoleonica,  visse  i  tardi  anni  lavorando  in  traduzioni  e  dedican- 
done una  anche  al  nuovo  governator  di  Milano  rifatta  austriaca» 
In  quello  stesso  anno  imprendeva  a  tradurre,  per  Fortunato  Stella, 
il  periodico  Le  Spectateur  ou  Variétés  historiques,  littéraires,  critt- 
qms,  politiqms  et  morales,  pubblicato  a  Parigi  (1814-1818)  dall'esule 
danese  e  famoso  geografo  Malte-Conrad  Brun  (i 775-1826)  che  ora 
vi  manifestava  spiriti  diversi  da  quelli  per  cui,  rivoluzionario,  era 
andato  esule  dalla  patria  sua.  E  il  Benincasa  vi  faceva  pure  lievi 
giunte. 

Ma  dopo  il  '15  non  posso  trovare  altra  notizia  certa  del  Be- 
nincasa fuorché  della  sua  morte,  in  età  di  settant'  anni,  avvenuta, 
per  pleurite,  in  Milano  il  18  febbraio  1816.  I  biografi  che  lo  dicono 
morto  il  1825  furono  tratti  in  errore  da  Franco  Splitz,  che  nella 
«  Rivista  generale  de'  libri  usciti  in  luce  nel  regno  lombardo  du- 
«  rante  l' anno  1825  »  (i),  accenna  per  incidente  a  lui  dicendolo 
«  ora  estinto  ».  Fu  il  Benincasa  un  ingegno  di  coltura  varia,  ver^ 
satile,  acuto,  ma  non  profondo.  Scriveva  con  lo  stile  consueto  alla 
prosa  degli  abati  galanti  e  eruditi  dell'  ultimo  settecento,  general- 
mente corretto,  dinoccolato,  reso  con  il  tempo  più  sostanzioso  e 
conciso  dalla  pratica  giornalistica,  ma  ancora  spesso  sentimentale. 
Nella  sentimentalità  settecentesca  innestò  anzi  il  patetico  che  met- 
teva capo  al  romanticismo  incipiente;  ai  che  parimenti  contribui- 
vano il  contatto  ch'egli  ebbe  con  i  circoli  e  la  letteratura  straniera, 
e  la  conoscenza  del  tedesco  e  dell'  inglese  oltre  che  del  francese. 
Non  lasciò  alcuna  opera  di  grande  estensione,  e  fu  principalmente 
un  traduttore.  Fu  amico  del  Monti  e,  dopo  la  sua  recensione  in 
G.  /.,  1805,  n.  32,  a'  Manuscrils  de  Ms  Necker  publié  par  sa  fille 
Genève,  1804,  accetto  alla  Staél  che  lo  rammentava  nelle  sue  let- 
tere al  Monti  (2). 

Lasciando  da  parte  l'attività  da  lui  data  al  Monitore  Cisalpino^ 
al  G.  I.j  al  Regio  Dalmata,  allo  Spettatore,  e  quella  certo  del  tutto 
secondaria  prestata  al  Poligrafo  lambertiano  e  montiano,  si  possono 
annoverare  come  sue  le  pubblicazioni  seguenti. 

(i)  Milano,  Manini,  1826.  Io  stesso  caddi  in  errore,  annotando  Una  lettera 
di  V.  C.  al  viceré  Eugenio,  qcc,  già  cit.,  prima  d'aver  consultato  il  registro  dei 
morti  di  porta  Orientale,  parrocchia  di  S.  Babila. 

(2)  Ved.  I.  MoRosiNi^  op.  e  loc.  cit.,  pp.  11,  44,  46. 


138  ATTILIO    BUTTI 

Vien  prima  la  «  Descrizione  della  raccolta  di  stampe  di  S.  E. 
u  il  sig.  conte  Jacopo  Durazzo  patrizio  genovese,  ecc.,  ecc.,  esposta 
<<  in  una  dissertazione  sull'arte  dell'  intaglio  a  stampa.  Parma,  dalla 
*i  R.  Stamperia,  MDCCLXXXIV  »,  in-4,  pp.  54,  alle  quali  prece- 
dono sei  carte  non  numerate.  Dopo  l'epigrafe  dedicatoria  al  Du- 
razzo, indirizza  al  medesimo  una  lettera  in  cui  ricorda  l'amichevole 
loro  consuetudine,  chiamandolo  Mecenate  a  un  tempo  e  Varrone. 
Lodate  le  arti  in  generale,  la  pittura  e  l' intaglio  in  particolare, 
racconta  come  il  principe  Alberto  di  Sassonia  nel  1774  avesse 
incorato  al  Durazzo  di  raccoglier  le  stampe  italiane  antiche  e  questo 
in  due  anni  ne  avesse  fatta  una  splendida  raccolta,  ceduta  poi  a 
quel  principe,  e  una  seconda  si  fosse  poi  accinto  a  farne  che  te- 
neva per  conto  proprio.  Questa  appunto  celebra  qui  il  Benincasa, 
con  linee  larghe  ma  vaghe,  e  povere  d' indicazioni,  benché  dica 
di  voler  con  tal  mezzo  offrire  una  storia  universale  della  pittura 
€  de'  pittori. 

Seguono  due  lavoretti  in  francese,  presentati  al  pubblico  come 
•condotti  a  quattro  mani  da  lui  e  dall'amica  sua  contessa  di  Rosen- 
berg, anzi  più  tosto  opera  di  questa,  riserbando  il  Benincasa  a  se 
le  parti  di  editore  e  annotatore.  Alludo  primieramente  alla  tradu- 
zione in  francese  del  Viaggio  in  Dalmazia  di  Alberto,  propriamente 
G.  B.  Fortis  (i 744-1803),  abate  galante  e  letterato,  confidente  di 
dame  (i)  e  pregiato  dai  dotti,  accostatosi  pure  al  movimento  rivo- 
luzionario e  esperto  delle  miserie  dell'  esilio  in  Francia  durante  i 
tredici  mesi,  glorificato  tra  i  morti  recenti  nella  festa  nazionale  di 
Milano  nel  1804.  A.  Bazzoni  riferisce  alla  traduzione  le  lodi  del 
Cesarotti  parlandone  come  di  opera  originale.  Questa  fu  tradotta 
anche  in  tedesco  e  suscitò  contradittori.  La  versione  della  Rosen- 
berg, edita  dal  Benincasa  con  note,  a  Venezia,  il  1788,  prendeva  il 
titolo  dal  popolo  delle  cui  curiosità  vi  si  parla,  Les  Morlacques. 
L'altra,  pubblicazione  dei  due  amanti,  lavoro  originale,  è:  «  Altic- 
M  chiero  par  madame  J.  W.  C.  D.  R.  (Yustina  Winne  comtesse  de 
n  Rosenberg),  à  Padune,  1787  w.  Reca  la  dedica  del  Benincasa  a 
M  Mylord  William  Petty,  marquis  de  Lansdown,  comte  de  Wy- 
M  comb,  ecc.,  membre  du  conseil  prive  de  S.  M.  le  Roi  de  la  Grande 


(i)  Fu  tale  per  la  prima  moglie  del  Cicognara  ;  ved.   Memorie   cit.,  par.  I, 
•cap.  VI,  pp.  74-80. 


LA   FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,    ECC.  I39 

<<  Bretagna,  general  dans  ses  Armées,  etc,  »,  con  data  da  Venezia 
5  agosto  1787  (i).  Il  Benincasa  vi  si  presenta  editore  e  annotatore 
-d' una  descrizione  della  villa  Alticchiero,  su  la  Brenta,  luogo  di 
•delizie  e  adorno  d'arte,  del  senator  veneto  Angelo  Quirini,  che  la 
Rosenberg  avrebbe  condotta  per  compiacere  il  signor  Huber  (Mi- 
chele?) di  Ginevra  che  ne  aveva  fatto  richiesta  al  Quirini.  Il  Huber 
ne  aveva  procurata  una  prima  edizione  di  pochissimi  esemplari,  e 
il  Modenese  a  soddisfar  le  richieste  di  lord  Petty  ne  dava  quest'altra. 
È  difficile  distinguere  quanta  parte  in  questi  lavori  avesse  vera- 
mente ciascuno  dei  due  amanti,  e  se  era  un  po'  il  caso  inverso  di 
-quello  di  L.  F.  Huber,  figlio  di  Michele,  e  dell'  amica,  poi  moglie 
sua.  Teresa  Heine  Forster  nota,  come  si  vedrà,  al  Benincasa. 

Rammentata  la  biografia  di  Enrico  Dandolo  che,  composta  dal 
Modenese,  fu  pubblicata  dal  Pomba  e  dal  Bottàri,  si  può  saltare  al 
«  Saggio  sulla  genealogia  ed  interessi  politici  e  sociali  della  re- 
«  pubblica  italiana  di  Bartolomeo  Benincasa  modenese,  Milano, 
«  Pirotta  e  Maspero,  1803  ».  Nella  prefazione  l'autore  biasima  l'in- 
contentabilità degli  uomini,  evidentemente  perchè  c'erano  de'  più 
-caldi  patrioti  non  troppo  contenti  della  repubblica  italiana.  La  tratta- 
zione dedica  un  primo  capitolo  a  rilevar  la  necessità  delle  rivoluzioni; 
un  secondo  tocca  dell'indole  e  carattere  particolari  della  storia  d'Italia; 
il  terzo  ne  tira  le  conseguenze,  e  anche  il  Benincasa  vi  addita  natu- 
ralmente il  Bonaparte  come  l'uomo  provvidenziale  per  noi.  11  cap.  IV 
discorre  delle  cause  rimote  e  vicine  della  rivoluzione  francese  ;  il  V 
e  il  VI  narrano  le  conseguenze  di  questa  in  Italia  e  il  veni  vidi  vici 
del  Bonaparte.  Il  VII  tratta  del  miglior  governo  e  combatte  le  me- 
tafisicherie che  ingombravano  il  nostro  cammino  da  secoli;  denunzia 
il  X  i  mali  della  provvisorietà  nel  governo;  magnifica  il  XV  il 
Bonaparte  che  è  un  Numa,  uno  Scipione,  un  Cesare,  tutt' insieme; 
il  cap.  XVIII  affronta  i  partiti  e  condanna  prima  di  tutti  quello 
<:he  vagheggiava  un  collegamento  con  l' Inghilterra.  A  cui  segue 
il  XIX  contro  l'intempestività  del  partito  unitario:  «  Una  setta 
«  politica  d'Italiani,  di  cui  non  sono  rei  per  sé  stessi,  ma  inop- 
^<  portuni  e  intempestivi,  perciò  dannosi,  i  principi,  è  quella,  a  cui 

(i)  Correggo  un'altra  papera  sfuggitami  nelle  note  a  Una  lettera  di  V.  C.  al 
viceré  Eugenio,  ecc.,  cit ,  dove  lasciai  passare  AlHchiero  invece  di  Alticchiero.  Su 
i  Morlacchi  c'è  pure  una  noticina  in  Quérard,  France  Littéraire.  La  Descriiione 
della  Raccolta,  ecc.  è  registrata  dal  Graesse  tra  i  libri  rari. 


140  ATTILIO   BUTTI 

«  può  darsi  il  nome  degli  Unitari....  Deve  più  volte  esser  nata  la 
u  grande  idea  nei  cuori  di  patrioti  ambiziosi  rigonfi  e  punti;  ma 
u  perchè  tale  idea  divenga  saggiamente  praticabile,  è  da  replicarsi, 
u  che  vuoisi  gran  favore  di  circostanze  e  lenta  progressione  d'av- 
«  venimenti  ».  Questa  era  per  i  Foscolo,  Ceroni,  Gioia,  Cico- 
gnara....  (i). 

Si  deve  registrare  poi  tra  le  cose  del  Benincasa  il  «  Q.  Orazio 
u  Fiacco  Redivivo  a  Napoleone  il  Grande  Imperator  de'  Francesi 
u  e  Re  d' Italia  »  in-4  gr.,  in  una  delle  belle  edizioni  bodoniane^ 
Parma,  MDCCCVI.  Nella  prefazione  in  francese  il  Benincasa  dice 
a  Napoleone  :  «  Sire,  en  feuilletant  mon  Horace,  je  tombai  par  hazard 
«  sur  l'ode  II  du  livre  IV  et  précisément  sur  ces  vers:  Tum  meae.... 
«  Vocis  accedet  bona  pars....  ».  Di  lì  l'idea  dell'opuscolo:  Orazio 
fu  profeta,  e  Napoleone  non  cede  d' un  punto  ad  Augusto.  Non 
potendo  rievocar  1'  ombra  d'  Orazio,  il  Benincasa  vuol  appropriar- 
sene le  idee  e  le  espressioni  fatidiche  riguardo  a  Napoleone.  E 
questo  insomma  un  centone  di  frasi  oraziane  a  onore  e  gloria  di 
Napoleone  Bonaparte  che  oggidì  a  noi  paiono  spesso  freddure, 
calembours.  Ben  adattati  riescono  i  seguenti  luoghi  :  III,  i,  III,  25, 
HI,  4,  II,  9,  I,  6,  III  e  25  bisj  IV,  2,  IV,  14,  II,  17  e  7,  I,  2,  IV,  14  biSy 
III,  3,  4,  6,  IV,  15,  3,  8,  9,  5,  2,  III,  27,  3,  IV,  3,  III,  4,  IV,  5,  I,  2. 
L'autore  li  aveva  raccozzati  in  Milano  il  14  maggio  1805,  sotto  l'im- 
pressione delle  feste  reali  e  imperiali  e  nemmeno  li  annunziò,  nel 
G,  I.  che  dovè  fare  una  scelta  fra  l' immensa  congerie  delle  prose 
e  de' versi  diluviati  in  quell'occasione. 

Nel  Giornale,  n.  105,  2  settembre  1805,  invece  facendo  recen- 
sione della  Historical  Memoir  a.  crii.  Essay  on  the  Reviev.  f.  the 
Drama  in  Italy,  che  l'inglese  Gius.  Cooper-Walcker,  emulo  del 
Roscoe  nel  culto  della  nostra  letteratura,  aveva  pubblicata  con  il 
nome  arcadico  di  Eubante  Tirinzio  assunto  in  Roma,  ne  dava  un 
estratto  e,  lodandolo,  preannunziava  che  se  n'  era  «  intrapresa  la 
u  traduzione  immediatamente  dall'  originale  che  corredata  di  note 
li  sarebbe  uscita  tra  non  molto  alla  luce  ».  In  verità  uscì  poi  solo^ 
in  un  voi.  in-4.°  gr.,  nel  1810,  quando  doveva  scusarsi  che  non 
poteva,  per  ragioni  di  tempo  e  di  luogo  (era  in  Dalmazia),  far  nulla 


(i)  Oltre  a'  cenni  già  dati  su  gli  Unitari,  ved.  per  le  voci  che  facevano  del 
Cicognara  uno  de'  capi,  le  costui  Memorie,  par.  I,  cap.  VII. 


LA   FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    »,   ECC.  I4I 

più  che  tradurre.  S' intitola  :  «  Memoria  storica  sulla  tragedia  ita- 
u  liana  di  G.  Cooper-Walcker  inglese,  versione  italiana.  Brescia, 
li  N.  Bettoni,  1810  ».  V  incluse  un  giudizio  assai  favorevole  su  le 
tragedie  del  Monti,  e  in  ricambio  il  lambertiano  e  montiano  Poli- 
grafo, n.  XV,  14  luglio  181 1,  p.  233,  gli  lodava  il  lavoro  pre- 
«  gevole  »  e  le  «  poche  ma  utili  postille  dettate  secondo  me- 
«  moria  e  buon  gusto  ».  Il  giudizio  su  le  due  prime  tragedie  del 
Monti  è  invero  notevole  per  l'accostamento  che  già  v'  istituisce  tra 
esse  e  il  dramma  sechspiriano.  Ma  la  Memoria  non  aveva  gran 
fortuna,  onde  faceva  richiamo  ad  essa  il  Gherardini  nello  stesso 
G.  L,  n.  198,  6  luglio  1812,  tolta  occasione  da  una  cattiva  rappre- 
sentazione à.^\V Aristodemo  data  la  sera  antecedente  nel  R.  Teatro 
della  Scala.  Anche  il  Gherardini  chiama  il  Benincasa  «  benemerito 
«  interprete  »  dell'autore  inglese,  fa  sua  Tosservazione  che  il  Monti 
aveva  saputo  neW Aristodemo  commuovere  rappresentando  il  do- 
lore del  protagonista  senza  ricorrere  al  terrore  della  pena,  ma  la- 
menta che  la  versione,  uscita  già  da  un  po',  era  letta  fin  allora 
da  pochi. 

Ed  eccoci  alle  due  pubblicazioni  che  danno  al  Benincasa  certa 
importanza  storica  in  quanto  preludiano  al  romanticismo.  Voglio 
accennare  anzitutto  alle  «  Lettere  di  Yorick  ad  Elisa  e  di  Elisa  a 
ti  Yorick,  dall'  inglese  recate  in  volgare  italiano,  con  note  »,  Mi- 
lano, Baret,  1815,  in-12,  che  incontrarono  qualche  cenno  critico 
dallo  Spettatore  Italiano,  scritto  da  D.  Bertolotti,  in  to.  IV,  p.  97  e 
pp.  101-103,  che  spiacque  al  Benincasa  e  lo  mosse  a  una  Risposta 
€dita  in  un  insipido  opuscoletto  di  dodici  paginette  dallo  stesso 
Baret,  Milano,  1815.  L'altro  lavoro  è  «  Il  Romanziere  inglese  ossia 
u  scelta  di  componimenti  patetici  tratti  da  quella  lingua,  del  conte 
«  Bartolomeo  Benincasa  (Milano,  Baret,  1815)  »,  dedicato  a  S.  E. 
il  maresciallo  conte  di  Bellegarde;  ed  è  notevole  per  aver  data 
la  stura  a  tanti  altri  racconti  patetici  che  in  breve  ci  diluvia- 
rono (i). 

Ma  di  proposito  s'è  lasciato  da  dire  per  ultimo  dell'operosità 
del  Benincasa   nel    tradurre  per  il  teatro.  Tiepido   verso  il  Fede- 


(i)  Al  Romanziere  Inglese  accenna  anche  il   Mazzoni,    Ottocento,   cap.  VII, 
p.  656. 

(2)  Ved.  Giorn.  Ital,  1804,  n.  14,  i.°  febbraio. 


142  ATTILIO   BUTTI 

rici  (i),  sollecito  del  patrio  onor  teatrale  (2),  ammiratore  dell'Al- 
fieri, del  Monti,  del  Goldoni  e  di  Gh.  de  Rossi  (4),  invocatore  della 
buona  commedia  naturale  e  morale,  egli  traduceva,  con  scelta,  dal 
francese  e  dal  tedesco.  Le  sue  versioni  sono  inserite  nelVAnno 
teatrale  che  l'editore  Antonio  Rosa  pubblicava  a  Venezia  a  comin- 
ciar dal  1804,  succedendo  al  Teatro  moderno  applaudito  eh'  era 
giunto  a  sessanta  volumi.  Il  tomo  Vili  dell'  anno  1804  contiene,^ 
tradotta  dal  Benincasa,  la  notissima  Scuola  delle  madri  di  Nivelle 
La  Chaussée,  con  note  su  '1  proprio  modo  di  tradurre.  Il  nostro 
interprete  voleva  rendere  il  pensiero  e  l'espressione  straniera  in 
veste  e  gusto  veramente  italiani,  con  quella  libertà  ch'egli  usa 
anche  nelle  versioni  di  altre  materie:  che  si  può  esser  fedelissimi 
a  un  tempo  e  liberissimi  e  si  deve  portar  tra  noi  il  lavoro  d'  arte 
straniero,  facendolo  italiano,  non  andar  all'estero  a  sostituir  parole 
nostre  alle  forestiere.  Il  tomo  X  del  medesimo  anno  conteneva, 
tra  l'altro.  Il  tesoro,  commedia  del  francese  Andrieux,  dall'intreccio 
leggiero  ma  succoso,  dalla  favola  lieta  ma  onesta.  Il  tomo  IX  del- 
l'anno 1805  presenta  la  commedia  del  francese  Imbert  //  geloso  senza 
amore,  voltata  dal  Benincasa  in  italiano  secondo  la  sua  maniera;  e 
il  XII  dava  tradotto  dallo  stesso  il  dramma  d'intreccio  La  moglie 
di  due  mariti  di  R.  C.  Guilbert-Pixerecourt.  Il  tomo  XII  medesimo 
corredava  poi  invece  di  note  del  Benincasa  lo  Spartaco  del  fran- 
cese Saurin  tradotta  da  Filippo  Merlo  torinese.  Il  che  accadeva 
pure  per  la  Sofonisba,  tragedia  dell'abate  Giuseppe  Luigi  Biamonti, 
contenuta  nel  to.  I  del  1805,  la  più  recente  delle  molte  Sofonisbe 
italiane  e  francesi  comparse  fin  allora,  e  il  conte  modenese  istituiva 
tra  queste  un  confronto  non  privo  d'acume  e  d' informazione.  Ma 
il  medesimo  tomo  I  pubblicava  la  commedia  tedesca  //  viaggio  alla 
città  dell' annoverese  Augusto  Guglielmo  Iffland  (i  759-1814)  noto 
commediografo  e  direttore  del  teatro  di  Berlino;  e  il  secondo  pure 
del  1805  offriva  Tempi  antichi  e  tempi  moderni,  quadro  in  azione, 
de'  costumi  domestici  di  tempi  e  stati  diversi,  dello  stesso  autore  ; 
tradotte  tutt'e  due  dal  Benincasa.  Dal  quale  si  legge  poi  tradotta 
nel  tomo  IV  Guli  o  Gl'indiani  in  Inghilterra,  fortunata  commedia 
dell'autore  tedesco  a  que'  giorni   più   fortunato,    il  weimarese   Au- 


(i)  Ved.  Giorn.  Ital.,,  n.  27,  3  marzo. 
(2)  Ibid.,  1805,  n.  26,  2  marzo. 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,    ECC.  I43 

gusto  Kotzebue  (1761-1819)  ch'ebbe  biasimi  e  frizzi  dal  G.  I.,  quando 
a  sua  volta  fu  giornalista  antifrancese  e  antiitaliano. 

11  Kotzebue,  dopo  l'avvento  della  commedia  lagrimosa,  trovava 
tra  noi  traduttori  di  singoli  lavori,  come,  oltre  il  Benincasa,  Gius. 
Bernardoni,  l'ab.  I.  Pederzoli,  il  cav.  De  Lellis,  S.  Fabbrichesi,  lo 
Schabler,  Pietro  Andolfati.  Pubblicò  poi  un  «  Teatro  di  Kotzebue 
«  completamente  tradotto  e  accomodato  al  gusto  delle  scene  ita- 
M  liane  »,  per  la  penna  di  A.  Gravisi,  la  Società  tipografica  di 
Verona  nel  1825.  E  un  Teatro  di  Kotzebue  ci  dava  ancora  dal  1826 
al  1833  l'editore  Gattei  di  Venezia,  in  più  volumi.  Nella  quale  ultima 
edizione  era  preferita  a  quella  del  Benincasa  la  traduzione  dell' An- 
dolfati. E  la  Biblioteca  Italiana,  nel  1826,  rendendo  conto  delle 
due  edizioni  complete  e  non  partecipando  dell'entusiasmo  per  l'au- 
tore tedesco  che  diceva  più  noto  e  fatto  più  grande  in  Italia  che 
in  Germania,  dichiarava  bensì  le  sue  preferenze  per  la  versione 
del  Gravisi,  ma  non  rammentava  più  nemmeno  il  nome  del  Benin- 
casa. Mi  è  parso  perciò  utile  rifarne  menzione  qui,  dando  fine  alle 
notizie  racimolate  e  rivedute  intorno  al  principal  collaboratore  di 
V.  Cuoco  nella  redazione  del  G.  I.  (i). 


Vili. 


Il  primo  numero  del  G.  I.  venne  in  luce  il  2  gennaio  1804. 
La  pubblicazione  era  da  principio  trisettimanale  e  recava  l'epigrafe 
significativa  :  «  Recte  facta  refert  :  orientia  tempora  notis  Instruit 
«  exemplis...  »,  da  Orazio,  Ep.,  II,  i,  130-31.  Il  4  giugno  1804  comin- 
ciava a  dare  un  supplemento  straordinario  al  n.  67  del  i.°  giugno^ 
offrendo  la  descrizione  della  festa  nazionale  celebrata  in  Milano 
la  domenica,    3  giugno  1804,    anno  III    repubblicano.   Ma    il   n.  36 

(i)  Si  pubblicò  pure  tra  noi  un  Teatro  di  Augusto  Guglielmo  Ipand,  Tre- 
viso, Andreola,  1825,  in  25  tomi,  dove  appaiono  traduttori  Fil.  Casari,  M.  Ar- 
contini,  M.  Cuccetti,  Fel.  Fort.  Chiozzotto  e,  il  più  fecondo,  Guglielmo  Martens 
veneziano.  Accenna  alla  sfuggita  al  Kotzebue  e  all'  Iffland  in  Italia  A.  Galletti, 
L'opera  di  V.  Hugo  nella  letteratura  italiana^  Supplem.  VII  al  Giorn.  stor.  della 
lett.  ital.,  Torino,  1904,  pp.  27,  88,  dicendo,  un  po'  troppo  alla  spiccia,  che  le 
versioni  italiane  paiono  raffazzonate  da  versioni  francesi.  Ciò  è  per  alcune,  ad 
esempio  per  quelle  derivate  dalla  versione  francese  del  Depui  e  del  Saurin,  ma 
il  medesimo  non  pare  per  quelle  di  Filippo  Casari  e  del  Benincasa. 


144  ATTILIO   BUTTI 

del  1805  esprimeva  «  la  soddisfazione  d'annunziare  che  l'eroe  del 
■u  secolo  aveva  fissato  i  destini  nostri  col  dare  al  nostro  paese  la 
«  forma  monarchica  ereditaria,  secondando  in  ciò  i  voti  della  na- 
«  zione  ».  11  31  marzo  era  dal  governo  «  solennemente  annunziata 
4t  la  nostra  gloria,  la  nostra  felicità  w,  e  il  G.  I.  pubblicava  nel 
medesimo  giorno  un  altro  supplemento  straordinario  con  cui  ces- 
sava l'epigrafe  oraziana.  Consona  al  nuovo  indirizzo  politico,  sempre 
più  personale,  dello  stato,  l'epigrafe  del  n.  39,  i.°  aprile  1805,  era 
presa  àdW  Eneide  di  Virgilio,  Vili,  148  sg.:  «  Quin  omnem  He- 
«  speriam  penitus  sua  sub  iuga  mittat.  Et  mare  quod  supra,  teneat, 
«  quodque  alluit  infra.  Accipe,  daque  fidem:  sunt  nobis  fortia  bello 
u  Pectora...,  sunt  animi;  et  rebus  spectata  Juventus  ».  L'  epigrafe 
diventava  più  breve  e  vie  più  concorde  con  1'  indirizzo  personale 
napoleonico  dello  stato  nei  numeri  43-56,  dal  io  aprile  all'i i  mag- 
gio 1805:  «  Res  italas  armis  tuteris,  moribus  ornes;  Legibus 
«  emendes....  »,  Hor.,  Ep.,  11,  i,  1-2.  Parevan  crescere  gli  avvenimenti 
-con  il  montar  su  dell'astro  napoleonico,  e  crescer  gli  affari,  onde  pur 
il  Giornale  dal  n.  55,  5  maggio  1805,  non  manca  più  di  supple- 
menti, con  molto  maggior  fatica  de'  compilatori;  uno  per  ciascun  nu- 
mero. Usciva  così  sei  volte  alla  settimana.  Ma  erano  i  giorni  in 
cui  i  funzionari  dello  stato  giuravan  fedeltà  al  regno,  e  Napoleone 
era  in  viaggio  per  l'Italia,  e  finalmente  entrava  in  Milano  (8  maggio), 
come  annunziava  la  parola  magnificante  del  G.  /.,  nel  supplemento 
al  n.  55.  Fiorivano  spontanee  e  pompose  le  esaltazioni  e  adula- 
zioni sotto  i  fulgori  imperiali  e  reali  splendenti  in  Milano  capitale, 
e  dal  n.  57,  13  maggio,  al  68,  8  giugno  1805,  l'epigrafe  del  G.  L, 
di  nuovo  mutata,  alludeva  alla  presenza  del  gran  sole,  dell'  uomo 
del  secolo,  con  parole  che  sanno  dell'opuscolo  adulatorio  del  Be- 
nincasa,  poiché  orazianamente  diceva:  «  Instar  veris  enim  vultus 
«  ubi  tuus  Affulsit  populo,  gratior  it  dies  Et  soles  melius  nitent  », 
Od,  IV,  v,  6-8.  Intanto  vi  si  pubblicava  il  decreto  del  7  giugno  che  con- 
feriva la  dignità  vicereale  a  Eugenio  di  Beauharnais,  e  quello  del 
9  maggio  onde  il  vice-presidente  della  repubblica  diventava  can- 
celliere generale  del  regno.  E  veniva  impresso  al  Giornale  carat- 
tere più  apertamente  ufficiale.  Il  n.  70,  eseguendo  la  proposta  del 
Cuoco  d' unificar  il  Giornale,  il  Foglio  e  il  Bollettino,  avvertiva  : 
«  Tutti  gli  atti  di  amministrazione  posti  in  questo  foglio  sono  uf- 
«  fidali  ».  E  la  veste,  fatta  più  succinta,  si  liberava  dal  fregio  del- 
l'epigrafe dal  n.  69  innanzi.  Finalmente  il  giornale  diveniva  rego- 


LA   FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,    ECC.  I45 

larmente  quotidiano,  come  preannunziava  il  n.  iii,  i6  settembre  1805, 
in  italiano  e  in  francese,  e  si  metteva  in  atto  il  1°  ottobre  1805. 
Così,  con  il  medesimo  formato,  ch'era  peraltro  il  maggiore  che 
avessero  i  nostri  giornali  politici  d'  allora,  esso  era  giunto  al  suo 
pieno  sviluppo  tecnico,  materiale,  benché  il  suo  organismo  fosse 
ancora  a  un  buon  pezzo  inferiore  alla  complessità  de'  giornali 
odierni. 

Esso  presentava,  durante  la  prima  redazione,  questa  distribu- 
zion  di  materia.  Venivan  prima  le  «  Novelle  politiche  »>,  più  tardi 
dette  «  Nuove  politiche  w,  le  notizie  cioè  della  Francia  e  de'  paesi 
stranieri  all'impero,  desunte  da  giornali,  specialmente  di  Francia 
e  d'Amburgo,  tradotte  dal  Cuoco  o  dal  D'Aniello,  non  firmate  e 
in  forma  di  lettere.  Le  notizie  del  regno  seguivano  in  serie,  nella 
medesima  forma,  con  la  data  di  Milano,  e  delle  altre  città  se  ri- 
guardavan  solennità  civili  delle  province.  Venivan  poi  articoli  che 
noi  diremmo  di  fondo.  Questi  erano  spesso  sotto  il  titolo  «  Politica  » 
o  sotto  il  nome  dello  speciale  argomento  trattato,  aggirandosi  su 
le  relazioni  internazionali  o  i  maggiori  problemi  dello  stato,  molto 
in  su  dalle  cose  di  partito  o  dai  particolari  amministrativi,  trattando 
per  esempio  del  concordato,  dello  stato  politico  dell'  Europa,  del 
senatoconsulto  francese  che  il  15  termidoro  dell'anno  X,  io  mag- 
gio 1804,  fondava  l' impero.  Altre  volte  eran  trattazioni  miranti  a 
formare  la  pubblica  coscienza  traendo  occasione  dalla  recensione 
di  qualche  libro,  o  erano  scorrerie  storiche,  con  il  medesimo  scopo, 
massime  a  proposito  di  fatti,  istituti  o  costumi  nostri,  ad  esempio 
su  '1  regno  d' Italia.  Queste  eran  tutte  cose  del  Cuoco,  che  le  sot- 
toscriveva con  r  iniziale  C.  Seguivano  le  note  di  letteratura,  di- 
varietà, di  belle  arti  e  di  spettacoli.  Le  prime  alle  volte  erano 
articoli  originali,  tal'altra  recensioni  o  semplici  annunzi  tipografici. 
Anche  lì  appare  la  mano  del  Cuoco,  ma  più  spesso  quella  del 
Benincasa  che  si  segnava  B.  B.  e  regnava  poi  quasi  solo  nelle 
varietà,  eh'  erano  il  più  frequentemente  notizie  di  viaggi,  di  paesi 
e  costumi  stranieri.  Sotto  la  rubrica  spettacoli  comparivano  note  di 
cronaca  teatrale  firmate  più  volte  da  D.,  cioè  da  Giovanni  D'Aniello. 
Li  cronaca  spicciola  della  strada  e  de'  chiassetti  non  vi  trovava 
luogo,  se  non  in  caso  eccezionale  che  avesse  una  relazione  con 
l'economia  dello  stato  o  si  prestasse  a  qualche  considerazione  mo- 
rale. Vi  si    pubblicavan  però  le    condanne    inflitte    per    diserzione 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII.  Fase.  VII.  io 


146  ATTILIO   BUTTI 

dalla  coscrizione  militare,  oggetto  di  grandi  pensieri  per  il  governo^ 
La  collaborazione  estranea  a'  redattori  fu  assai  scarsa,  benché  pur 
meriti  un  cenno,  e  era  seguita  dalla  dichiarazione  tra  parentesi  : 
«  articolo  comunicato  ».  Anzi  nel  n.  60,  19  maggio  del  1804,  c'era 
questo  suggello  per  sgannarci:  «  NB.  Gli  estensori  del  G.  I.  non 
M  sono  sempre  autori  d'ogni  articolo  di  quello.  Quando  son  tali,^ 
«  ognun  d'essi  appone  appiè  del  suo  le  proprie  iniziali  ».  Onde,. 
senza  prove  palmari  in  contrario,  non  è  lecito  attribuir  loro  gli 
scritti  anonimi. 

Il  peso  della  compilazione  era  partecipato  dai  tre  redattori; 
tutt'e  tre  eran  chiamati  tali,  ma  in  verità,  secondo  che  lo  conside- 
rava lo  stesso  governo,  il  direttore  era  il  Cuoco.  Del  quale  si  può,^ 
da  talune  note  dell'Archivio  di  stato,  calcolar  lo  stipendio,  ch'era 
di  tremila  secento  lire  all'anno;  ma  non  è  dato  conoscere  quello 
de'  suoi  compagni.  Tutt'e  tre  sino  alla  fine  del  1805  furono  in  con- 
dizione  d'impiegati  dello  stato,  dipendenti  dai  ruoli  del  ministero 
dell'  interno,  secondo  abitudini  comuni  anche  a'  giornalisti  della 
prima  Cisalpina,  quaU  il  Poggi,  il  Lattanzi,  la  Società  del  Monitor 
Cisalpino  (1)  e  il  famigerato  Ranza  quand'  era  a  Marsiglia.  Morto 
il  ministro  Villa  nel  marzo  1804,  gli  era  successo  il  Felici  che  il 
Melzi  (2)  poi  diceva  uom  debole  per  salute  cagionevole.  Colla  fine 
del  1805  era  assunto  al  ministero  dell'interno  Lodovico  di  Bréme 
Arborio  Gattinara  (i  754-1828),  patrizio  e  diplomatico  piemontese,, 
scrittore  di  materia  statistica  e  amministrativa,  passato  nel  1801  al 
bonapartismo,  amico  del  Melzi  che  lo  difendeva  da  taccie  per  un 
errore  giovanile  commesso  nella  Spagna,  discorde  dal  Guicciardi 
capo  della  polizia,  infine  noto  per  la  fina  satira  onde  lo  colpì 
nel  1808  il  Gioia  a  cui  prima  era  stato  amico  e  fautore,  e  caduto 
poi  a  sua  volta  nel  1809,  quando  il  ministero  dell'  interno  passò  a 
L.  Vaccari  (3).  Il  Cuoco  e  i  compagni  furono  adunque  sotto  il  Fe- 

(i)  Anche  questo  ricavo  dalle  note  suddette  dell'Ardi,  di  stato  di  Milano^ 
dove  c'è  pure  una  nota  di  pagamento  a  favore  di  G.  A.  Agnelli,  padre  di  Fe- 
derico, che  stampò  il  Redattore  Cisalpino,  divenuto  come  la  repubblica,  Italiana 
nel  1802.  Per  il  Ranza,  ved.  G.  Roberti^  op.  cit.,  p.  63  ;  donde  traggo  (p.  60),^ 
di  passata  che  il  primo  a  chiamare  un  giornale  suo  Monitore  Italiano  sarebbe 
stato  quel  famoso  giornalista  e  demagogo  vercellese. 

(2)  Memorie-documenti,  voi.  II,  p.  140. 

(3)  Ved.  Momigliano,  op. j:it.,  capp.  XIX-XXI,  pp.  89,  no,  riguardo  al- 
l'ultimo episodio. 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    w,    ECC.  I47 

liei  e  per  breve  ora  in  relazione  col  Bréme,  quanto  al  ministero; 
e  con  L.  Vaccari  quale  consigliere  segretario  di  stato  sotto  la  re- 
pubblica e  sotto  il  viceré. 

Lo  sviluppo  materiale  del  giornale,  cominciando  dal  tempo 
dell'incoronazione,  aveva  spinto  i  redattori,  che  soli  non  avevan 
fruito  delle  larghezze  di  queir  ora,  a  chiedere  una  remunerazione 
del  lavoro  accresciuto.  Non  è  dato  conoscere  come  sia  stata  ac- 
colta l'istanza  (i),  ma  intanto  il  governo  vicereale  preparava  loro 
una  sgradita  sorpresa.  Si  voleva  seguir  più  da  presso  l'uso  di 
Francia,  e  il  mentore  dato  da  Napoleone  al  figliastro  viceré,  il 
lionese  Stefano  Mejan  (i 766-1846),  prima  giornalista  lui  pure,  anzi 
redattore  del  Moniteur,  doveva  preferir  quell'  uso.  Si  volle  così 
scaricare  il  peso  dell'amministrazione  del  giornale  su  l'editore  scio- 
gliendo le  relazioni  tra  redattori  e  governo  (2).  L'editore  diventava 
un  impresario,  un  «  appaltatore  »  ;  i  giornalisti  sarebbero  stati  alla 
costui  mercé,  benché  il  governo  vi  s' ingerisse  ancora,  almeno  per 
qualche  veto  come  toccò  per  un  momento  al  Gherardini  nel  1806  (3). 
La  triade  giornalistica  di  fronte  al  semilicenziamento  ricevuto  in 
fine  del  1805  per  il  tramite  del  ministro  dell'  interno  Felici,  mosse 
istanze  al  segretario  consigliere  di  stato  L.  Vaccari,  e  al  Moscati 
ritenuto  per  uomo  culto  e  valente,  e  il  Cuoco  ebbe  anche  ricorso 
al  viceré  con  una  lettera  eloquente  (4)  eh'  é  un  notevole  brano 
d'  autobiografia,  per  ovviare  al  danno  minacciato  o  averne  com- 
penso: tutto  inutilmente. 

E  la  compagnia  si  disperse.  Dopo  il  primo  trimestre  scompare 
la  sigla  B.  B.,  prima  ancora  manca  la  firma  D.  Del  D'Aniello  si 
perde  ogni  traccia  ulteriore,  il  Benincasa  va  in  Dalmazia  a  cercar 
altra  fortuna.  Resiste  più  a  lungo  il  Cuoco,  il  cui  ultimo  scritto  nel 
G.  1.  appare  nel  n.  214,  2  agosto  1806  e  riguarda  il  quadro  La 
sepoltura  di  Temistocle  di  G.  Bossi,  al  quale,  come  consta  da'  suoi 
carteggi,  il  Cuoco  era,  e  rimase  anche  da  Napoli,  legato  in  grande 
amicizia.  Questo  sperava  e  chiedeva  un  compenso  adeguato  ai 
molteplici  servizi  resi  da  lui  in  quegli  anni  allo  stato.  Dopo  il  suo 

(i)  Ved.  in  append.,  doc.  IX. 

(2)  Ibid.,  X. 

(3)  Nelle  cit.  carte  d'Arch  ,  Componimenti  scientifici^  Giorn.  Ital.,  e.  n.  4518^ 
10  settembre  1806,  firmato  :  «  Repazzini  ». 

(4)  È  la  lettera  da  me  pubblicata  nella  Misceli,  nuziale  già  cit. 


148  ATTILIO   BUTTI 

lavoro  SU  l'Agogna,  gli  era  stato  pure  commesso  dal  vice- presidente, 
su  sua  profferta,  di  fare  una  statistica  generale  della  repubblica 
italiana  e  gliene  aveva  presentato  un  piano.  Ma  il  lavoro  era  stato 
intermesso;  il  mutamento  politico  e  la  guerra  che  condusse  a  Pre- 
sburgo,  doveva  aver  rese  incerte  le  commissioni  e  preoccupati 
altamente  gli  animi.  Alla  statistica  volgeva  pure  il  pensiero  il  vi- 
ceré che  si  faceva  venir  informazioni  di  quanto  se  ne  faceva  in 
Francia,  dall'Aldini  consigliere  segretario  di  stato  residente  presso 
l'imperatore  e  re,  uno  de' migliori  interpreti  di  questo  e  de' meglio 
indirizzatori  delle  cose  italiane  in  quel  tempo.  Il  Cuoco  suggeriva 
che  si  fondasse  un  ufficio  apposta  per  la  statistica  come  1'  aveva 
la  Francia;  ma  forse  gli  uomini  del  governo  pensavano  che  si  ma- 
turavano avvenimenti  per  Napoli  acconci  a  un  buono  e  utile  col- 
locamento del  Cuoco  nella  propria  regione.  Il  Bréme  pensava  a 
istituir  queir  ufficio,  ma  lo  conferiva  poi ,  con  lauto  stipendio,  al 
Gioia  che  in  breve,  guastatosi  con  il  ministro,  ne  fu  spogliato. 
Dell'  ufficio  di  statistica  godè  il  barone  Pietro  Custodi,  «  patriota  » 
intemerato  nella  prima  Cisalpina,  che  come  scrittore  del  Monitore 
Italiano  e  deìVAmico  della  libertà  italiana  provò  le  prigioni  del 
direttorio  e  pur  diffondeva  dal  Tribuno  del  Popolo  dottrine  tem- 
perate, e  fu  poi  insigne  editore  della  classica  raccolta  degli  Eco- 
nomisti Italiani,  segretario  generale  del  ministero  delle  finanze 
nel  181 1,  commissario  straordinario  per  le  requisizioni  dipartimen- 
tali nel  momento  pericoloso  del  regno,  nel  1814  (i). 

Il  Cuoco  non  otteneva  quel  posto  ambito,  ma  il  governo  lo 
tratteneva  nell'aspettazione  pregiando  l'opera  sua  nel  G.  I.  Ed  egli 
intanto  conduceva  a  termine  e  pubblicava  il  3.°  e  ultimo  tomo  del- 
l'altro suo  lavoro  per  cui  ha  nome  nella  storia  letteraria  e  che  uscì 
in  luce,  come  il  Saggio,  a  Milano,  voglio  dire  del  Platone  in  Italia, 
i  cui  due  primi  tomi  erano  editi  fin  dal  1804  da  Agnello  Nobile  e 
il  3.°  usciva  nel  1806  dai  torchi  di  Gio.  Pietro  Giegler. 

Il  libro  non  aveva  incontrato  fortuna  commerciale  nella  prima 
parziale  edizione  sicché  l'autore  si  trovò  nelle  strettezze,  «  in  di- 
«  sborso  »,  egli  dice,  di  quasi  tremila  lire,  e  dovè  farsi  prestar 
dal  governo  una  somma  equivalente  a  due  mesi  del  suo  stipendio, 
di  che  poi  non  potè  risarcir  1'  erario  se  non  per  metà,   detrattagli 

(i)  Ved.  per  il  Cuoco,  in  append.,  docc.  XI,  XII,  XIII  ;  per  il  Custodi, 
ved.  sopra. 


LA    FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    w,    ECC.  I49 

dalle  mesate,  essendogli  condonata  l'altra  per  ordine  del  ministro 
Bréme  (i).  Il  libro  è  intitolato  Platone  in  Italia  «  traduzione  dal 
«  greco  »,  ma  è,  come  si  sa,  un  romanzo  storico  secondo  il  modo 
dell' Anacarsi  del  Barthélemy,  per  la  qual  cosa  rientra  nella  serie 
de'  romanzi  filosofici  fioriti,  o  imbozzacchiti,  nel  sec.  XVIII  anche 
tra  noi  (2).  Preludio  alla  scelta  di  tale  forma  letteraria  da  parte 
del  Cuoco  è  lo  scritto  che,  sotto  il  titolo  «  Varietà  »,  e'  pubblicava 
nei  numeri  9,  io,  11,  gennaio-febbraio  1804  del  G.  I.,  dove  il  di- 
segno parrebbe  vagheggiato  per  una  finta  scorreria  storica  attra- 
verso il  nostro  cinquecento:  «  Un  mio  amico  conserva  il  manoscritto 
«  di  uno  de'  suoi  antenati  che  visse  nel  secolo  di  Leon  X,  con- 
«  versò  con  il  maggior  numero  de'  grandi  uomini  che  fiorivano  in 
«  quel  tempo,  ed  ebbe  parte  in  molti  gravissimi  avvenimenti.  Se 
«  quest'opera  si  pubblicasse,  si  potrebbe  intitolare  Viaggio  in  Italia 
u  nel  secolo  di  Leon  X,  e  sarebbe  egualmente  interessante  del  Viag- 
gi gio  del  giovine  Anacarsi  in  Grecia  ».  Finge  d' ignorare  se  l'amico 
pubblicherà  cotesto  scritto ,  ma  altri  potrebbe  fare  «  un'  opera 
«  di  questo  genere,  che  non  sarebbe  certamente  la  meno  utile  e 
«  per  la  nostra  istruzione  e  per  la  nostra  gloria  ».  Finge  ancora 
di  volerne  riferir  lui  un  «  ragionamento  »  tenuto  a  Firenze  «  con  il 
«  gran  Macchiavelli  (sic)  che  gli  pare  il  miglior  commentario  che 
«  si  possa  desiderare  alle  opere  di  questo  grande  pensatore  ».  Nel 
medesimo  anno  cominciava  invece  la  pubblicazione  del  Platone 
in  Italia,  attuando  lui  il  disegno  suggerito  agli  altri  ;  ma,  memore 
della  sua  erudizione  classica,  parendogli  forse  di  poter  meglio  ma- 
neggiar le  illusioni  fingendo  un'età  storica  men  comunemente  nota 
e  di  potervi  meglio  innestare  anche  un  po'  di  Vico,  sostituì  all'ItaUa 
del  Cinquecento  la  favoleggiata  Italia  pitagorica.  Dalla  prossimità 
di  tempo  tra  l'articoletto  del  giornale  e  la  pubblicazione  del  tomo  I 
del  romanzo,  si  può  indurre  che  a  questo  ci  lavorasse  subito  e 
desse  alla  stampa  di  mano  in  mano  che  ne  stendeva  una  parte. 
La  concezione  del  lavoro,  l' intendimento  e  l'indole  di  esso,  si  ac- 
cordano a  un  tempo  con  questa  procedura,  e  con  la  mancanza  di 
disegno  organico  che  presenta  alla  fine.  Il  lavoro  non  ha  altra  unità 


(i)  Ved.  nota  precedente,  doc.  XIV. 

(2)  Oltre  a'  citati  studiosi  del  Cuoco,  ved.  G.  Marchesi,  Romaniieri  e  ro^ 
manii  italiani  del  settecento,  Bergamo,  1903,  pp.  270-73. 


150  ATTILIO   BUTTI 

organica  che  quella  delle  idee  morali  e  politiche  dell'  autore,  cosa 
diversa  dall'  intelaiatura  d'  un  romanzo. 

Il  Cuoco  finge  che  la  materia  del  suo  libro  sia  tradotta  da  un 
manoscritto  greco  ritrovato  da  un  suo  avo;  piccolo  e  logoro  espe- 
diente che  (ho  da  aggiungerla  a  tante  altre  non  meno  strane  indi- 
cazioni di  fonti?)  sospetto  non  sia  stato  senza  efficacia  su  l'analoga 
finzione  di  A.  Manzoni  per  i  Promessi  Sposi  (i).  Ma  anche  scri- 
vendo al  viceré  Eugenio  conferma  d'  aver  voluto  imitare  il  fortu- 
nato Anacarsi;  eppare  le  ragioni  dell'arte  ci  hanno  una  parte  del 
tutto  secondaria,  solo  in  quanto  l'autore  sperava  con  essa  di  poter 
far  correre  il  libro  più  facilmente.  Il  Platone  non  ha  valor  d'arte, 
e  anche  1'  erudizione  di  storia  e  filologia  antica  vi  sta  quasi  solo 
come  pretesto  e  riempitivo  (2).  Pur  tuttavia  solo  alla  stregua  del- 
l'arte e  dell'erudizione  lo  esamina  nello  stesso  G.  I.,  presente  an- 
cora il  Cuoco  a  Milano,  G.  Gherardini  (3).  Il  quale  lo  loda  anche 
«  per  eleganza  e  purità  di  lingua  w  (e  dire  che  si  suol  citare  la 
prosa  del  Cuoco  come  impura  I),  e  solo  accenna  di  passata  che  gli 
«  anacronismi  "  ci  dovevano  essere  «  ad  arte  ».  Ma  già  A.  Levati 
nel  suo  bel  «  Saggio  sulla  storia  della  lett.  ital.  dei  primi  venti- 
«  cinque  anni  del  sec.  XIX  »  vedeva  bene  che  il  Platone  era  tutto 
un  tessuto  di  allusioni  a  fatti  e  uomini  contemporanei  all'  autore 
il  cui  significato  è  stinto  per  i  posteri  lontani,  ma  doveva  essere 
sufficientemente  chiaro  e  non  privo  d' interesse  quando  il  libro  fu 
pubblicato  (4).  Questo  giudizio  è  confermato  dalle  parole  del  Cuoco 
stesso  che  adduceva  come  servizio  reso  allo  stato  la  composizione 
d'  un  tal  libro  «  diretto  a  formar  la  morale  pubblica  degl'  Italiani 
«  ed  ispirar  loro  spirito  d'  unione,  amor  di  patria  e  amor  della  mi- 
«  lizia  ».  Tali  intendimenti  e  significato  ebbero  in  fine  illustrazione 
dal  recente  studio  di  M.  Romano. 

Sennonché  il  Romano  sembra  esagerare  a  sua  volta  l'influenza 
che  il  Platone  sentì   dal  Vico.  Il  vichianismo  non    vi  è    parte  men 


(i)  Senza  questo  rilievo,  già  accosta  il  Platona  a'  Promessi  Sposi  anche  il 
Levati,  di  cui  infra.  Cfr.  per  fonti  del  Manzoni  in  quest'  invenzione  le  ben  di- 
verse ipotesi  di  A.  Giannini,  in  Roma  Letteraria,  voi.  VII,  p.  17. 

(2)  Così,  preceduto  in  parte  dal  Levati,  ben  lo  giudica  il  Romano,  op.  cit., 
p.  188  sa:. 

(5)  Ved.  nn.  171,  173  ;  20  e  22  giugno  1806. 

(4)  Milano,  Stella,  183 1,  cap.  IV,  pp.  501. 


LA    FONDAZIOiNE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,    ECC.  I5I 

secondaria  che  V  arte  e  V  erudizione,  in  confronto  della  filosofia 
pratica  e  della  politica  che  sono  1'  anima  del  romanzo.  Lo  potrai 
sentire  in  qualche  concezione  di  etnografia  e  in  generale  nelle  que- 
stioni di  erudizione  filosofica  e  archeologica  che  valgono  di  pre- 
testo al  libro,  come  intorno  alle  relazioni  d'origine  tra  le  tradizioni 
greche  e  le  italiche  (passim),  nelle  pagine  su  la  dubitata  storicità 
di  Pitagora,  in  to.  I,  p.  150  sgg.,  intorno  alla  lingua  degli  antichi 
Italici,  in  to.  I,  p.  162  sgg.,  su  Omero  in  Italia,  in  to.  I,  p.  262  sg., 
nel  discorso  di  Clinia  su  l'eloquenza,  in  to.  I,  p.  86  sg.,  su  gli 
antichi  nomi  locali  italici,  in  to.  II,  p.  7,  su  le  tre  età  del  teatro,  in 
to.  II,  p  21,  su  la  storicità  di  Zeleuco,  in  to.  II,  p.  135,  nei  capp.  LXXV 
•e  LXXVI  del  to.  Ili,  sugli  antichi  abitatori  dell'  Italia,  e  in  piccola 
parte  del  LXXVII  su  gli  Etruschi.  Ma  la  parte  sostanziale  delle  dot- 
trine che  sono  scopo  dell'opera,  fanno  capo  al  Machiavelli,  e  non 
solo  nei  capp.  LXIV-LXIX  dedicati  ai  Romani,  dove  sono  illustrati, 
fatti  espliciti  e  condensati  i  giudizi  del  politico  fiorentino  su  le  con- 
tese politiche  che  producono  «  la  morale  di  tutta  la  favola  romana  » 
nel  resultato  della  secessione  plebea,  e  su  la  religione,  nel  qual 
campo  i  Romani  eran  giunti  a  formarsi  una  «  religione  civile  »,  cioè 
inspiratrice  e  sorella  inseparabile  del  patriottismo,  ma  anche  lungo 
tutto  il  libro.  Egli  è  che  nessuno  mai  forse  penetrò  e  si  assimilò 
di  più  lo  spirito  del  Machiavelli,  pure  sviluppandone  le  dottrine  in 
conformità  delle  proprie  condizioni  reali,  e  intorno  a  quel  «  grande 
«  infelice  incompreso  »,  come  lo  chiamò  G.  Mazzini,  si  può  legger 
un  articolo  del  Cuoco  nel  G.  I.  che  mostra  acuta  ed  equa  com- 
prensione, lontana  sì  dai  detrattori  del  preteso  maestro  di  tirannide 
sconcia  e  sì  dagli  esaltatori  d'un  preteso  delatore  dell'iniquità  prin- 
cipesca al  tribunale  de'  popoli  Informato  a  tali  elementi,  il  Platone 
è  in  gran  parte  il  supplemento  della  morale  politica  animatrice  del 
Saggio  e  del  G.  L 

Con  il  romanzo  il  Cuoco  aveva  reso  adunque  un  altro  buon 
servizio,  e  tuttavia  non  otteneva  quel  premio  immediato  che  cer- 
cava qui,  dal  governo  del  regno  d' Italia.  Per  accontentarlo  tem- 
poraneamente avrebbero  voluto  procurargli  de'  profitti  nel  contratto 
con  l'editore  del  giornale,  obbligando  per  rincalzo  i  collegi  d'istru- 
zione ali  'associazione.  Avrebbero  fors'  anco  pensato  a  dargli  un 
posticino  in  un  futuro  riordinamento  della  pubblica  istruzione,  di 
cui  era  direttor  generale  P.  Moscati  e  segretario  generale  L.  Rossi  ; 
il  primo,  giornalista  e  direttore  nella  Cisalpina,  deportato   al   Cat- 


152  ATTILIO   BUTTI 

taro,  ritornato  col  Reina  dopo  Lunéville  come  in  trionfo,  illustre 
nella  medicina  e  nella  metereologia,  presidente  della  Società  del 
teatro  patriottico;  l'altro,  prima  avversario  noioso,  poi  ammira- 
tore di  P.  Giordani,  sollecito  d'aiuti  all'Albergati  vecchio  e  poeta 
pur  lui,  ahimè!  poco  felice,  per  occasione  (i).  Il  Cuoco  intanto 
faceva  altre  pratiche  e,  poiché  aveva  amicizia  con  G.  B.  Giusti, 
da  lui  lodato  nel  Giornale,  che  nelle  comuni  relazioni  con  Bologna 
godeva  a  sua  volta  dell'amicizia  di  A.  Aldini  risalito  in  alto,  cioè 
al  grado  di  segretario  dell'  imperatore  e  re,  dalla  condizion  privata 
a  cui  era  sceso  dopo  la  rivalità  sua  con  il  Melzi,  anche  il  Cuoco, 
come  allora  tutti  i  postulanti,  si  rivolse,  per  mezzo  del  Giusti,  al- 
l'Aldini per  aver  qualche  ufficio  in  alcuno  de'  paesi  caduti  sotto 
l'influenza  di  Napoleone.  Pensò  tra  l'altro  a  una  cattedra  nell'Uni- 
versità di  Cracovia  Ma  ecco  sorgevano  altre  speranze  di  lavoro, 
di  premi,  d'uffici  onorevoli,  con  l'ordinamento  dato  dall'imperatore 
a  Napoli,  ond'  egli,  dacché  qui  non  poteva  attendersi  a  nulla  di 
meglio,  si  accinse  a  lasciar  Milano  e  ritornar  su  '1  Sebeto,  all'aurora 
del  regno  di  Giuseppe  Bonaparte. 

Nel  giugno  1806  faceva  omaggio  al  viceré  de'  volumi  del  Pla- 
tone, per  mezzo  del  ministro  Di  Bréme,  e  otteneva  da  quest'ultimo 
una  commendatizia  (2)  stesa  in  nome  del  viceré  al  ministro  degli 
affari  interni  del  regno  di  Napoli.  Per  mezzo  del  direttor  generale 
dell'  istruzione  Moscati  cercava  pure  d' impedire  un  danno  minac- 
ciato in  quel  punto  alla  sua  proprietà  letteraria;  poiché,  mentr'egli 
si  proponeva  di  fare  una  seconda  edizione  del  Saggio,  altri  a  Na- 
poli voleva  ristampar  la  prima  per  proprio  conto,  somiglianza  di 
caso  veramente  notevole,  anche  per  la  identità  delle  sedi,  con  ciò 
che  toccò  poi  nel  1840  al  suo  amico  Manzoni  per  i  Promessi  Sposi. 
Ma  il  governo  napoleonico  sapeva  imporre  il  rispetto  del  diritto 
privato  anche  dove  c'era  lacuna  di  legge.  11  Moscati  pregava  calo- 


(i)  Ved.  mie  Spigolature  d'archivio  su  F.  Albergati,  estr.  dal  Giorn.  stor.  della 
leti,  ital.,  1903.  Il  Rossi  era  stato  anche,  con  Sisto  Canzoli,  ispettore  dell'istru- 
zione; ved.  Giorn.  Ital.,  varietà,  1804,  n.  23  ;  e  da  uno  stampato  inserito  dal 
Marelli,  in  Giorn.  della  Cisalpina,  to.  I,  p.  29,  appare  anche  firmato  in  un  in- 
vito al  popolo  di  Mantova  a  festeggiare  il  rialzamento  dello  stendardo  della  li- 
bertà (6  pratile,  anno  V).  La  sua  ingerenza  nel  Giorn.  Ital.  appare  ben  anco^ 
dalle  Lettere  di  V,  Monti,  già  cit.,  voi.  I,  p.  386. 

(2)  Ved,  append.,  doc.  XVI. 


LA    FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,    ECC.  I53 

resamente,  allegando  l' interesse  generale  delle  lettere,  il  consigliere 
di  stato  C.  Testi,  ferrarese,  amico  di  A.  Aldini  e  di  L.  Cicognara^ 
incaricato  del  portafoglio  degli  affari  esteri,  d' interporsi  presso  il 
governo  napoletano  affinchè  la  ristampa  del  Saggio  fosse  impedita 
o  almeno  sospesa  finché  il  Cuoco  fosse  giunto  lui  stesso  a  Napoli 
a  far  valere  i  suoi  diritti  o  intendersela  con  lo  stampatore.  E  il 
Testi  pensava  di  non  aver  di  meglio  a  fare  che  trasmettere  la 
stessa  lettera  del  Moscati  (i). 

Ne'  primi  d'agosto  1806  il  Cuoco  abbandonava  definitivamente 
Milano  e  il  G.  I.  a  cui  aveva  dato  tanta  parte  da  potersene  giu- 
stamente considerare  il  fondatore.  11  giornale  continuava  ancora  a 
vivere.  Nel  1806  vi  appar  frequente  la  mano  di  G.  Gherardini,  poi 
per  più  anni  quella  del  lionese  ab.  Guillon,  che  già  s'era  occupato 
di  cose  nostre  scrivendo  a  Parigi,  sotto  gli  auspici  dell'Aldini,  il 
Corriere  d'Italia  pregiato  da  Napoleone  (2).  Ma  questi  non  sapevan 
sfiorare  che  argomenti  letterari  o  di  varietà,  e  per  i  primi  in  qual 
modo  disgraziato!  Non  più  ampie  visioni  politiche,  non  più  la  ge- 
losa italianità  che  nel  primo  periodo  del  G.  I.  soleva  animare 
almeno  le  trattazioni  che  non  toccasser  direttamente  il  sistema 
politico  supremo  e  internazionale  indirizzato  da  Napoleone.  Il  let- 
tore sfoglia  le  pagine  successive  e  ci  sente  l'aridità  o  alle  volte,, 
sotto  la  penna  del  Guillon,  la  sfacciataggine  letteraria,  poi  malin- 
conicamente assiste  al  rapido  mutamento  politico  del  marzo  1814 
che  ha  su  quelle  pagine  un  riflesso  muto  e  freddo.  MegUo  ritornar 
a  leggerne  le  pagine  del  momento  cuochiano  e  fare  una  scorsa 
attraverso  a  quegli  articoli  per  vederne  lo  svolgimento  morale  che 
ebbe  nel  G.  I.  il  piano  del  suo  fondatore  e  riscontrarvi  V  opera 
dello  scrittore  politico  e  il  contributo  letterario. 

Giova  rinfrescar  la  memoria  di  questa  operosità  dell'  insigne 
Molisano  nella  Milano  della  repubblica  italiana  e  del  secondo  regno 
d' Italia,  però  che  vi  fu  poi  a  lungo  dimenticato  o  quasi.  Dopo  che 
G.  Gazzeri  nelV Antologia  del  Vieusseux,  a.  1824,  par.  Ili,  voi.  XIII,. 


(i)  Ved.  append.  docc.  XVII,  XVIII.  Il  Testi  era  stato  pure  ministro  degli 
esteri  nella  prima  Cisalpina,  sotto  il  primo  direttorio,  ved.  Marelli,  Giorn.  ms. 
della  Cisalpina,  to.  I,  14  giugno. 

(2)  Ved.  Zanolini,  op.  cit,,  lib.  II,  p.  135;  Cantù,  F.  Monti  e  V età  che  fu 
sua,  Milano,  1877,  pp.  87,  159;  importante  pure  su  lui  la  lettera  di  Angelo 
Agnelli  a  V.  Monti,  in  Vicchi,  op.  cit..  Saggio,  ecc.  pp.  96  98. 


154  ATTILIO   BUTTI 

fase.  XXXIX,  pp.  186-87,  ^t)be  dato  l'annunzio  della  sua  morte 
(13  dicembre  1823)  associandola  a  quella  di  P.  Moscati  (i),  chia- 
mandolo forse  per  il  primo  Coco  (altrimenti  da  quello  ch'egli  soleva 
firmarsi  e  che  la  fonetica  de'  dialetti  meridionali  richiede),  seguiva 
nel  voi.  XIV,  par.  IV,  n.  XL,  p.  99,  la  famosa  necrologia  scritta 
da  G.  Pepe.  Allora  la  Biblioteca  Italiana  del  1826,  to.  XLI,  p.  86, 
in  uno  sguardo  generale  alla  produzione  letteraria  italiana,  iniziando 
l'anno,  lo  rammemorava  pure  con  due  righe,  dicendolo  generica- 
mente u  versatissimo  in  ogni  genere  di  umano  sapere  ».  Gli  storici 
lombardi  poi  che  narrarono  di  quegli  anni,  tacquero  dell'opera  del 
Cuoco  nel  G,  I.  e  di  questo  stesso  giornale.  11  Cantù  in  V.  Monti 
e  l'età  che  fu  sua,  p.  159,  cap.  Vili,  così  ne  dice  con  generica  con- 
fusione: '<  ....  la  Gazzetta  Ufficiale  dal  1802  al  1806  fu  redatta  da 
<u  Vincenzo  Cuoco,  poi  da  Gio.  Gherardini  fino  al  1815.  Guillon 
*<■  facea  la  parte  letteraria  ». 

Ma  il  medesimo  Cantù  nelle  Reminiscenze  su  A.  Manzoni  ri- 
peteva l'attestazione  del  Tommaseo  quasi  alla  lettera  inserita  nel- 
V Archivio  storico  italiano,  che  nel  gran  lombardo  fosse  rimasta 
cara  memoria  di  V.  Cuoco.  E  ciò  sarebbe  avvenuto,  nonostante 
che  un  altro  rifugiato,  pure  napoletano,  lo  avvisasse  di  star  guar- 
dingo da  lui  come  quello  che  abilmente,  con  assedio  di  parole, 
sapeva  tender  le  reti....  Chi  avrebbe  fatta  una  così  brutta  parte, 
non  è  dato  indovinare;  certo  non  F.  Lomonaco  al  quale  il  Man- 
zoni, amico  e  ammiratore,  indirizzò  un  ben  noto  sonetto  e  che  il 
Cuoco  lodava  nel  giornale.  Ma,  checché  sia  di  ciò,  il  futuro  autore 
de'  Promessi  Sposi  potè  trovarsi  con  V.  Cuoco  entro  il  tempo  corrente 
dal  1800  al  1805,  nel  qual  anno  don  Alessandro  si  trasferì  a  Parigi.  E 
allora  questo  visse  gli  anni  di  sua  età  dal  quindicesimo  al  ventesimo, 
mentre  il  Molisano  arrivò  su  l'Olona  a  trent' anni  compiuti.  Tut- 
tavia il  giovinetto  che,  pur  senza  dar  nulla  alle  stampe,  già  aveva 
composto  de'  bei  versi,  tra  i  quali  il  Trionfo  della  libertà  e  i  «  ser- 
4i  mon  pedestri  »,  era  pregiato,  non  che  dal  Foscolo,  di  sette  anni 
più  anziano,  anche  dal  Monti  vicino  alla  cinquantina  e  già  il- 
lustre. S' intende  così,  che  potesse  avere  già  tant'  autorità  nel- 
l'amicizia e  stima  del  Cuoco  da  valere  a  trattenerlo  da  un'azione 
men  degna,  cioè  dallo  scagliare  una  terribile  frecciata  a  V.  Monti 
nel  tomo  II  del  Platone  in  Italia. 

(i)  Morto  nel  1824. 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    w,    ECC.  I55 

La  cosa  non  avrebbe  fatto  onore  al  Cuoco,  ai  nostri  occhi; 
anzi  tutto  perchè  sarebbe  parsa  intinta  d' invidia;  poi  perchè  noi 
ora  vediamo  come  quasi  tutti  di  quella  generazione  si  siano  accon- 
ciati al  mutar  degli  eventi  dopo  il  '14,  non  molto  altrimenti  da 
quello  che  il  Monti  aveva  fatto  altre  volte,  senza  essere  un  Monti  ; 
inoltre  perchè  nemmeno  il  Cuoco,  pur  non  essendo  il  vile  che  altri 
volle  rappresentarlo  (i),  dimostrò  stoffa  d'eroe;  e  in  fine  perchè 
non  stava  bene  colpire  alle  spalle  un  uomo  lodato  più  volte  pub- 
blicamente, che  è  come  dire  di  fronte.  Queste  lodi  il  Cuoco  aveva 
à  inserite,  scritte  da  lui  o  da  altri,  nel  bel  primo  numero  del 
G.  L,  2  gennaio  1904,  a  proposito  della  versione  montiana  di  Persio; 
altre  magnifiche  del  Benincasa  per  il  Caio  Gracco  lasciava  inserire 
nel  n.  35,  21  marzo  1804.  Egli  stesso  poi  lo  lodava  per  //  cavallo 
alato  di  Arsinoe,  nel  n.  141  del  medesimo  anno,  senza  contare  la 
celebrazione  d'ogni  cosa  che  il  Monti  scrivesse  negli  anni  seguenti, 
fino  ad  accogliere  un  sonetto  del  Bettinelli  che  esalta  nel  Fusigna- 
nese  il  poeta  che  migliora  Dante.  Vero  è,  ad  onore  del  Cuoco,  che 
al  contrario  il  suo  giornale  non  dette  mai  più  che  degli  annunzi 
tipografici,  per  le  pubbljcazioni  che  ancor  facevano  i  due  più  spre- 
gevoli avversari  del  Monti,  il  Gianni  e  il  Lattanzi. 

Sorvoliamo  su  queste  cose,  paghi  al  ricordo  dell'amicizia  dal 
Manzoni  professata  al  Cuoco  come  indice  dell'efficacia  che  questo 
sapeva  esercitar  su  gli  animi.  Ciò  egli  otteneva  con  l'acuto  e  vi- 
vido ingegno,  che,  se  non  era  il  meglio  disposto  all'arte  e  a  con- 
cepimenti originali  di  filosofia,  aveva  invece  singolari  attitudini  alla 
speculazione  politica  più  ampia  e  elevata.  E  questo  aggiunto  alla 
gravità  del  momento  storico  conferisce  la  maggior  importanza  al 
G,  /.,  di  cui  il  Cuoco  fu  il  principal  fondatore    e  il  primo  indiriz- 

zatore. 

Attilio  Butti. 


(i)  Ved.  mie  note  a  Una  lettera^  ecc.,  già   cit.,  a  proposito  delle  accuse  di 
U.  Tria  e  dell'apologia  di  M   Romano. 


156  ATTILIO   BUTTI 


APPENDICE 


Documenti  ricavati  dall'Archivio  di  stato  di  Milano  (0- 

I. 
Dalla  Collezione  degli  Autografi^  n.  6794. 

Cittadino  Vicepresidente, 

Ho  Tonore  di  presentarvi  alcune  idee  su  quel  foglio  di  cui  vi  com- 
piaceste incaricarmi.  Esse  sono,  per  la  maggior  parte,  vostre;  ed  io  non 
ho  fatto  altro  che  riunirle  a  quelle  poche  che  avea  avuta  occasione  di 
concepire,  e  delle  quali  son  contento  poiché  non  discordano  dalle  vostre. 
Ve  le  presento  riunite,  onde  possiate  giudicare  se  mai  io  abbia  ben 
compresi  i  vostri  pensieri,  ed  in  caso  diverso  emendarle. 

Se  queste  idee  meriteranno  il  vostro  compatimento,  dietro  le  vostre 
istruzioni  io  distenderò  un  programma,  e  farò  fare  dall'Agnelli  un  bi-^ 
lancio  per  ciò  che  riguarda  l'amministrazione  economica  del  foglio.  Ma 
prima  è  necessario  ricevere  li  vostri  ordini  sul  numero  di  fogli  che 
vorrete  far  dar  fuori  in  ogni  settimana,  e  che  io,  attesa  l'ampiezza  del 
soggetto,  non  credo  poter  essere  minore  di  tre;  sulla  qualità  della 
carta,  dei  caratteri,  ecc.,  ecc.  Tanto  io  quanto  Agnelli  non  attendiamo^ 
che  gli  ordini  vostri. 

Dovrei  esprimervi  la  mia  riconoscenza;  ma  la  riconoscenza  che  si 
esprime  è  sempre  minore  di  quella  che  si  sente. 

Salute  e  rispetto. 

Milano,  )  agosto  i8oj. 

Vincenzio  {sic)  Cuoco. 

II. 
Piano  del  Giornale  Italiano  allegato  al  documento  I. 

Un  giornale,  destinato  a  formar  lo  spirito  pubblico  di  una  nazione,, 
non  deve  contenere  il  solo  racconto  di  quelle  novità  delle  quali  si  pasce 
la  curiosità  spesso  puerile,  di  coloro  che  non  si  occupano  degli  altri,  se 
non  perchè  poco  possono  occuparsi  di  loro  stessi.  Per  formar  la  mente 

(i)  Ringrazio  gli  egregi  ufficiali  dell'Archivio  per  l'aiuto  sollecito  e  valido 
prestatomi  in  queste  ricerche. 


LA   FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,    ECC.  I57 

de*  lettori  è  necessario  che  l'opera  istessa  abbia  una  mente,  cioè  un  fine 
unico,  e  parti  tutte  corrispondenti  al  fine. 

Lo  spirito  pubblico  di  una  nazione  consta  di  due  parti  principali, 
alle  quali  tutte  le  altre  si  possono  ridurre:  la  prima  è  la  stima  di  noi 
stessi  e  delle  cose  nostre;  la  seconda  è  l'accordo  de' giudizi  di  tutti  su 
quegli  oggetti  che  possono  essere  utili  o  dannosi. 

Alla  stima  di  loro  stessi  e  delle  proprie  cose  debbono  le  grandi 
nazioni  e  quella  energia  per  cui  han  fatte  le  grandi  operazioni;  e  quella 
pazienza  per  cui  han  sopportati  grandi  mali  e  sacrifizi  gravissimi;  e 
quell'affezione  al  proprio  governo,  che  si  raffredda  ed  estingue  dall'idea 
che  esso  non  operi  bene,  o  che  un  altro  operi  meglio;  e  finalmente 
quella  costanza  ne' pensieri ,  ne' disegni  e  nelle  operazioni,  la  quale, 
fondata  sul  rispetto  che  abbiamo  per  i  nostri  maggiori,  può  sola  farci 
ottenere  i  grandissimi  effetti.  Quando  si  analizzano  le  nazioni,  si  trova 
che  i  beni  ed  i  mali,  la  verità  e  gli  errori  sono  misti  egualmente  da 
per  tutto,  e  che  la  differenza  tra  1'  una  e  l'altra  non  dipende  da  altro 
che  dalla  loro  diversa  maniera  di  pensare  e  di  sentire. 

Ma  questa  stima  di  noi  stessi  deve  ottenersi  con  metodi  diversi 
secondo  le  diverse  circostanze  nelle  quali  una  nazione  si  ritrova.  Un 
giornalista  di  Londra  o  di  Parigi  può  mille  volte  al  giorno  ripetere  ai 
suoi  compatrioti:  noi  siamo  grandi.  Egli  sarà  sempre  creduto.  Un  gior- 
nalista italiano,  se  pronunzierà  questa  stessa  proposizione,  desterà  il  riso; 
ed  una  proposizione  di  cui  si  è  riso  una  volta,  dice  Shastersbury  (sic)  (i), 
non  può  produrre  mai  più  verun  buon  effetto. 

Questa  è  stata,  a  creder  mio,  la  ragione  per  cui  inefficaci  sono 
riuscite  tutte  quelle  opere,  delle  quali  ne  abbiamo  avuta  dovizia  negli 
anni  passati,  dirette  a  risveghar  le  menti  degl'italiani.  Troppo  altamente 
si  predicava  in  esse  la  nostra  nuova  grandezza,  ed  intanto  si  trascura- 
vano tutte  le  idee  individuali,  le  quali  avrebbero  dovuto  sostener  questa 
idea  unica  ed  astratta,  che  il  popolo  non  può  mai  comprendere,  ma 
deve  solamente  sentire.  A  traverso  della  pompa  delle  parole  si  trave- 
deva il  declamatore;  si  scovriva  l'  impegno  di  convincere,  che  nelle 
menti  de' più  si  confonde  sempre  coli' impegno  d'ingannare,  e  così  le 
idee  esaltate  di  grandezza  destarono  il  riso;  le  idee  esaltate  di  libertà 
produssero  il  disordine.  È  nella  natura  della  nostra  mente  di  non  am- 
mettere un'  idea,  se  non  sia  preparata  dalle  sue  necessarie  e  quasi  fa- 
tali antecedenti  ;  è  nella  natura  del  nostro  cuore  di  ostinarci  contro 
coloro  i  quali  ci  voghon  persuadere  verità  a  cui  non  siamo  preparati: 


(i)  Anthony  Ashley  Cooper,  Third  Earl  of  Shaftesbury  (1671-1713J,  filo- 
sofo londinese.  Il  C.  ne  scrive  il  nome  più  correttamente  nel  citarne  in  nota 
al  to.  II,  cap.  LVIII,  del  Platone,  le  Ricerche  sulle  virtù  (Inquiry  concerning 
Virtue  or  Merit).  Probabilmente  ne  conosceva  le  versioni  francesi  del  La  Combe. 
Qui  allude  al  Sensus  communis,  an  Essay  on  the  Freedom  of  Witt  and  Humour 
(1709). 


158  ATTILIO   BUTTI 

queste  due  leggi,  trascurate  pur  troppo  nell*  ultimo  decennio,   han  pro- 
dotti tutti  i  mali  che  V  Europa  ha  sofferti. 

Fra  noi  non  si  tratta  di  conservar  lo  spirito  pubblico,  ma  di  crearlo. 
Conviene  avezar  (sic)  le  menti  degl'  italiani  a  pensar  nobilmente,  con- 
durle, quasi  senza  che  se  ne  avvedano,  alle  idee  che  la  loro  nuova 
sorte  richiede  e  far  divenire  cittadini  di  uno  stato  coloro  i  quali  sona 
nati  abitanti  di  una  provincia,  o  di  paesi  anche  più  umili  di  una  pro- 
vincia. Il  dir  loro  voi  siete  grandi  sarebbe  inutile;  senza  dirlo,  convien 
mostrare  quelle  cose  dalle  quali  essi  stessi  possono  incominciare  a 
pensarlo.  A  questo  fine  conducenti  li  seguenti  mezzi: 

i.**  Presentare  al  pubblico  quanto  più  spesso  si  possa  la  memoria 
degh  altri  tempi;  non,  come  talora  si  è  fatto,  sfigurate  e  dirette  a  turbar 
gli  ordini  che  si  avevano,  ma  quali  realmente  sono,  e  per  confermar 
colla  stima  di  noi  stessi  gli  ordini  che  abbiamo.  Chi  oggi  non  è  grande,, 
quasi  diffida  di  poterlo  divenire:  disinganniamolo,  e  ricordiamogli  che 
lo  è  stato  una  volta.  Che  leggiamo  noi  itahani  da  un  secolo  in  qua  ? 
Un  dizionario  di  uomini  illustri,  composto  in  Francia,  in  cui  il  nome  di 
Alessandro  Farnese  occupa  appena  una  mezza  pagina,  e  quasi  dodici 
ne  occupa  quello  di  Alessandro  Biron,  che  tanto  al  Farnese  cedeva. 

2.°  Incominciare  a  misurarci,  almen  col  pensiero,  colle  altre  nazioni. 
Esse  sono  oggi  più  grandi  di  noi:  non  importa:  appariranno  sempre 
tanto  meno  grandi  quanto  più  qi  saranno  vicine,  e  perderanno  quella 
riverenza  che  suole  aversi  per  le  cose  lontane. 

Mille  mali  nel  decennio  scorso  si  sarebbero  evitati,  se  i  governi 
talune  cose  che  si  ammiravano  lontane,  invece  di  coprirle  col  velo  della 
proibizione  che  ne  accresceva  il  desiderio,  avessero  permesso  di  con- 
templarle vicine;  ed  a  me  lo  stato  presente  di  Europa  par  tale  che  se 
le  nazioni  s' incominciano  a  conoscere  a  vicenda,  ciascuna  avrà  più  mo- 
tivi di  consolazione  che  di  emulazione. 

Credo  questi  oggetti  utili  non  solo  a  destar  Tattività,  specialmente 
commerciale,  spesso  indecisa  e  inattiva  per  mancanza  di  cognizione  di 
fatti,  ma  anche  utilissima  a  render  gli  animi  più  docili  agli  ordini  del 
governo.  I  popoli  sono  tanto  difficili  a  maneggiarsi  quanto  più  sono 
ignoranti:  quanto  minore  è  il  numero  delle  idee  che  essi  hanno,  tanto 
più  strani  lor  sembrano  gli  ordini  nuovi.  Così,  per  esempio,  se  si  vo- 
lesse stabilire  un  sistema  di  debito  pubblico  in  una  nazione  che  ancora 
non  ne  abbia,  io  crederei  opportunissimo  preparar  gli  animi  con  di-' 
scussioni  sopra  questo  soggetto,  con  esempì  di  altre  nazioni  che  sen- 
z'alcun  incomodo  hanno  un  credito  estesissimo,  ecc.  Così  si  incomincia 
a  discorrere,  e  coloro  che  discorrono,  o  presto  o  tardi  son  d'accordo; 
mentre  al  contrario  quei  che  taccion  sempre,  se  avvien  che  una  volta 
sian  discordi,  non  si  accorderanno  giammai. 

Osservazioni  fatte  di  tempo  in  tempo  sulle  finanze,  sul  credito,  sulla 
popolazione,  sull'intera  economia  civile  delle  altre  nazioni,  accresce- 
ranno la  stima  di  noi  stessi,  e  prepareranno  gli  animi  alle  operazioni 
del  governo;   perchè  è  impossibile  che  un  governo  il  quale   voglia  far 


LA   FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »,    ECC.  I59 

grandi  cose,  non  sia  costretto  o  presto  o  tardi  ad  imitare  le  operazioni 
di  quegli  altri  che  già  le  han  fatte;  e  queste  riusciranno  allora  non  più. 
nuove  e  non  più  strane,  perchè  troveranno  Io  spirito  pubblico  di  già 
preparato. 

3.°  Una  delle  cose  che,  a  creder  mio,  più  d'ogni  altra  contribuisce 
a  farci  acquistare  stima  di  noi  stessi  è  quella  di  ragionar  frequente- 
mente sulle  operazioni  nostre.  All'uomo,  che  non  ragiona,  manca  sempre 
l'attestato  della  propria  coscienza  di  aver  operato  bene.  Quindi  vili  ri^ 
mangon  sempre  coloro  i  quali,  anche  operando  bene,  ne  ignorano  la 
ragione,  e  noi  italiani  ci  siamo  avviliti  dacché  abbiam  tratte  le  ragioni 
delle  cose  nostre  dai  detti  degli  stranieri.  Delle  cose  nostre  o  non  ne 
abbiamo  parlato,  o  ne  abbiam  parlato  con  insensato  disprezzo  e  con 
più  insensata  lode;  cose  le  quali,  sebbene  opposte,  pure  per  la  natura 
dello  spirito  umano,  che  oscilla  sempre  tra  gli  estremi,  non  [sono]  incon- 
ciliabili tra  loro.  I  greci,  per  esempio,  divennero  più  vani  a  misura  che 
divennero  più  vili;  ed  i  scrittori  dell'epoca  di  Plutarco  sono  assai  più. 
millantatori  di  quelli  coetanei  a  Platone.  Se  incomincieremo  a  riflettere  ; 
se  incomincieremo  a  parlar  della  nostra  agricoltura,  della  nostra  pasto- 
rizia, delle  nostre  belle  arti  con  ragione  e  dignità,  forse  troveremo  mille 
volte  motivi  di  renderci  migliori,  e  non  mai  di  crederci  pessimi,  ed 
otterremo  due  cose  alla  società  utilissime,  la  fiducia  di  esser  buoni  ed 
il  desiderio  di  divenir  ottimi. 

Se  oggi  in  un  foglio  italiano  si  parla  di  un  artista,  non  se  ne  parla 
se  non  con  elogi  smodati.  Si  conosce  alle  prime  linee  che  lo  scrittore 
è  stato  pagato  per  lodare.  Nel  Corriere  Milanese  (i)  si  è  consumata  una 
pagina  per  lodare  un'opera  in  musica  che  al  teatro  era  stata,  non  in- 
giustamente, fischiata;  e  quel  numero,  in  cui  il  giovine  autore  si  egua- 
gliava a  Cimmarosa  {sic)  ed  a  Paisiello,  fu  pubblicato  lo  stesso  giorno 
in  cui  l'opera,  per  la  noia  che  avea  prodotta,  fu  tolta  dalle  scene. 
Ég  Forsi  {sic)  sarò  troppo  severo,  ma  reputo  questi  modi  corrompitori 

^^  dello  spirito  nazionale,  ed  avvilitori  del  vero  merito,  a  cui  che  altra 
rimane  quando  si  è  prostituita  la  lode?  E  qual  mezzo  rimane  al  po- 
polo per  migliorarsi,  quando  il  giudizio  di  coloro  che  dovrebbero  istruirla 
r  inganna? 

Io  credo  che  delle  cose  nostre  convenga  parlarne,  ma  con  più  di- 
gnitosa severità,  rendendo  ragione  e  della  lode  e  del  biasimo,  e  tenen- 


(i)  Era  scritto  dall'abate  Vincenzo  Butti,  di  Valmadrera,  dipartimento  del  Serio,, 
non  senza  emulazione  poi  con  il  Giorn.  Hai.  Vino.  Butti  era  stato  uno  de'  patrioti 
cisalpini  deportati  dall'Austria  ;  v.  estr.  del  Redattore  Cisalpino  inserito  nel  Gior- 
nale ms.  della  Rep.  Cisalp.  del  Marelli,  to.  IX.  A  lui  è  indirizzata  una  lettera, 
del  Monti  che  si  lagna  d'esser  stato  vituperato  dal  Corriere  Milanese  ;  ved.  Lett.  ed, 
e  ined.  di  V.  M.,  a  cura  di  A.  Bertoldi  e  G.  Mazzatinii,  Torino,  1898,  voi.  I, 
p.  387,  dov'è  scritto  Buti  anzi  che  Butti  per  errore  derivato  dalle  Lettere  ined^ 
di  illustri  italy  Verona,  Franchini,  1877. 


l6o  ATTILIO   BUTTI. 

dosi  egualmente  lontani  e  dall'adulazione  e  dall'insulto.  Lo  dirò  io?  Lo 
spirito  di  partito,  che  talora  deturpa  i  pregiudizi  de'  giornalisti  francesi, 
inglesi  e  tedeschi,  sebben  condannabile,  pure  sembrami  meno  dannoso 
di  un'  insulsa  e  non  ragionata  lode,  perchè  quello  invita  il  merito  reale 
ad  una  certa  lotta  che  può  esser  utile,  e  questa  lo  addormenta  e  lo 
scoraggisce.  Quella  lode  solamente  è  utile  agi'  individui  ed  alle  nazioni, 
la  quale,  data  con  sobrietà,  non  tende  a  far  rimaner  gli  uomini  quali 
sono,  ma  bensì  a  farli  diventar  migliori. 

4.'  Tralascio  molte  altre  piccole  osservazioni,  ma  mi  scuserete,  se 
non  posso  trascurare  di  farne  una  che  credo  interessantissima. 

Ogni  stato  ha  un  periodo  da  correre.  Tutte  le  nazioni  piccole  son  de- 
stinate ad  ingrandirsi  o  a  perire.  Quelle  non  periscono,  le  quali  dispon- 
gon  per  tempo  le  loro  menti  all'ampiezza  de' destini  futuri,  onde  quando 
il  corso  degli  avvenimenti  loro  presenti  le  occasioni  opportune,  esse, 
per  mancanza  di  preparazione,  non  si  ritrovano  impotenti.  Questa  è 
stata  la  cagione  della  debolezza  della  Repubblica  de' veneziani,  che  Mac- 
chiavelli  (sic)  chiama  mancanza  di  virtù,  e  che,  usando  la  sua  energica 
espressione,  tagliò  loro  le  gambe  del  salire  al  cielo. 

A  quest'  oggetto  io  credo  utile  presentare  alle  menti  degli  abitanti 
della  repubblica  italiana  tutto  ciò  che  appartiene  all'Italia  intera.  Se 
parlasi  di  uomini  illustri  avezziamoli  (sic)  a  considerar  come  comune  la 
gloria  di  tutti  gli  angoli  d'Italia;  se  parlasi  di  atti  utili,  facciamo  che 
questo  foglio  sia  il  centro  ed  il  deposito  comune  dell'Italia  intera.  Fin  ora 
l'Italia  non  ha  avuto  mai  un  foglio  simile:  tra  le  tante  Iodi  che  voi  me- 
ritate non  sarà  l' ultima  certamente  quella  di  averle  dato  un  punto  di 
riunione  per  tutte  le  idee  che  posson  nascere  nelle  menti  de' suoi  figli. 

Poco  vi  è  da  dire  sulla  seconda  parte  dello  spirito  pubblico,  cioè 
sull'accordo  degli  uomini  nelle  idee  utili.  Basta  presentarle,  presentarle 
con  calore  e  sincerità,  presentarle  spesso,  perchè  tutti  saran  d'accordo. 
È  necessario  che  tutti  gli  uomini  convengano  in  tre  cose:  in  rispettar 
i  governi;  in  rispettar  la  religione,  ed  in  praticar  la  morale;  e  se  tra 
queste  cose  si  potesse  stabilire  una  progressione,  io  non  avrei  veruna 
difficoltà  di  dire,  che  la  corruzione  della  morale  porta  seco  il  disprezzo 
prima  della  religione,  e  poscia  del  governo.  È  natura  dell'  uomo  trascurar 
prima  i  doveri,  indi  conculcar  le  leggi  che  sanciscono  i  doveri,  e  final- 
mente disprezzar  coloro  dai  quali  ci  vengono  le  leggi. 

Or  la  morale  pubblica  non  è  altro  che  l'  amor  dell'  utile  lavoro,  e 
questo  non  si  può  ispirare  più  efficacemente  che  mostrando  i  beni  che 
da  esso  si  possono  sperare,  ed  indicando  tutti  i  mezzi  i  quali  posson 
renderlo  più  utile,  più  nobile,  più  facile,  ed  in  conseguenza  meno  gravoso. 

Tutto  ciò  che  riguarda  le  arti,  sian  utili,  sian  belle,  forma  la  parte 
principale  dell'istruzione  popolare.  Possono  i  popoli  esser  felici  e  vir- 
tuosi ignorando  le  scienze  sublimi  ;  ma  un'  utile  invenzione  in  agricol- 
tura, ma  qualunque  scoverta  tenda  a  render  più  agiata  e  sicura  la 
sussistenza  di  un  maggior  numero  d'individui,  non  si  può  ignorare 
senza  danno  e  della  felicità  e  della  morale,  ed  ha   già  assicurata  gran 


JLA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE   ITALIANO    »»,    ECC.  l6i 

parte  della  pubblica  virtù  colui    che  ha  resa  la  condizion    del  cittadino 
industrioso  più  desiderabile  e  più  agiata. 

Or  raccogliendo  tutte  le  idee  esposte  fin  ora,  credo  che  un  foglio 
periodico,  destinato  a  conseguire  il  fine  proposto,  possa  esser  diviso  in 
quattro  parti. 

La  prima  comprenderà  le  nuove  politiche,  È  necessario  dare  un 
pascolo  alla  curiosità.  Questa  parte,  sebbene  forsi  {sic)  sia  la  meno  in- 
teressante, è  però  quella  che  deve  accreditar  le  altre. 

La  seconda  potrebbe  esser  intitolata  Statistica.  Si  parlerà  in  essa 
dell'economia  politica  delle  altre  nazioni;  si  daranno  notizie  delle  loro 
popolazioni,  commercio,  agricoltura,  arti,  milizia,  finanza,  ecc.;  e  tali 
notizie  non  si  daranno  come  si  soglion  dare  nelle  gazzette  ordinarie, 
ma  avranno  uno  sviluppo  maggiore,  una  maggior  esattezza,  in  modo 
che  possan  servire  ad  una  solida  istruzione. 

Si  parlerà  anche  dell'  economia  della  nazione  nostra.  Il  governo 
indicherà  quando  lo  crederà  necessario,  quegU  oggetti  che  debbono, 
secondo  le  varie  circostanze  de' tempi,  esser  proposti  alla  pubblica 
attenzione. 

La  terza  si  occuperà  di  arti,  o  che  esse  abbiano  per  oggetto  l'utile 
o  il  bello.  Si  daranno  tutte  le  osservazioni  più  importanti,  tutte  le  sco- 
verte che  alla  giornata  si  vanno  facendo  sull'agricoltura,  pastorizia,  ecc.; 
e  si  daranno  gli  estratti  delle  opere  più  utili  su  tali  soggetti. 

Delle  scienze  meramente  teoretiche,  non  si  parlerà  se  non  come 
soggetto  di  nuove  politiche,  per  indicare  qualche  scoverta  interessante, 
la  morte  di  qualche  illustre  letterato,  gli  onori  resi  al  medesimo;  i  premi 
accordati  alle  lettere,  gli  stabilimenti  destinati  a  promuoverli;  le  que- 
stioni proposte  dalle  società  scientifiche,  ecc.  Le  scienze  meramente 
teoretiche  non  possono  essere  mai  soggetto  d' istruzione  popolare.  Fri- 
volissimi per  r  ordinario  sono  tutti  gli  articoli  di  questa  natura  conte- 
nuti in  quasi  tutte  le  gazzette  politiche  di  Europa;  né  possono  esser 
diversamente,  perchè  se  si  voglion  fare  profondi,  riescono,  al  maggior 
numero  de'  lettori,  astrusi  ed  in  conseguenza  noiosi.  Un  giornale  della 
natura  di  quello  di  cui  si  tratta,  si  deve  contentare  d'ispirare  l'amore 
ed  il  rispetto  per  le  scienze:  se  si  vorrà  fare  un  giornale  letterario, 
converrà  farlo  con  principi  ed  economia  diversa. 

La  quarta  parte  porterebbe  il  titolo  di  miscellanea  o  di  varietà;  e 
conterrebbe  talora  de'  discorsi  tendenti  ad  ispirare  la  morale,  V  amor 
della  patria  ed  il  rispetto  alle  leggi  sul  modello  di  quello  dello  Spetta- 
tore inglese;  talora  de' tratti  interessanti  e  nobili  della  storia  d'Italia; 
talora  la  vita  de'  grandi  uomini  italiani,  ecc. 

Tale  è  l'interna  economia  del  foglio.  A  far  che  esso  sia  utile,  con- 
vien  renderlo  quanto  più  si  possa  comune;  ed  a  renderlo  comune  è 
necessario  evitar  talune  cose  e  farne  talune  altre. 

È  necessario  evitar  qualunque  cosa  possa  offender  la  religione,  i 
governi,  i  costumi.  L' immoralità  non  può  esser  mai  per  lungo  tempo 
accetta  al  maggior  numero  degli  uomini  :  i  governi  e  le  religioni  vanno 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXIF,  Fase.  VII.  n 


102  ATTILIO   BUTTI 

rispettate,  perchè  né  mai  con  massime  incendiarie  si  ottenne  la  felicità 
de'  popoli,  né  questa  si  conservò  mai  senza  una  religione. 

È  necessario  dare  a  quella  parte  che  contiene  le  nuove  politiche 
un'  estensione  ed  una  celerità  maggiore  di  quella  che  hanno  gli  altri 
fogli.  Se  questo  foglio  non  contenesse  che  la  sola  parte  istruttiva,  po- 
chissimi vorrebbero  leggerlo;  e  questi  sarebbero  quelli  appunto  che  ne 
avrebbero  meno  bisogno.  A  far  sì  che  lo  leggano  i  moltissimi,  conviene 
allettarli  con  quelle  cose  delle  quali  maggiormente  si  occupano.  Un'as- 
sociazione di  fogli  esteri  numerosa;  e,  se  si  potesse,  una  corrispondenza 
coir  officio  delle  relazioni  estere,  da  cui  si  comunicassero  due  giorni 
prima  quelle  nuove,  che  possono  senza  danno  pubblicarsi,  e  che  si  sa- 
prebbero per  mezzo  degli  altri  fogli  due  giorni  dopo,  servirebbero  ad 
indurre  anche  gli  oziosi  de' caffé  a  leggere  il  foglio  che  si  propone. 

Siccome  per  le  parti  che  riguardano  statistica,  arti  e  varietà,  vi  sarà 
bisogno  di  taluni  giornah  letterari,  e  di  taluni  libri;  così,  ad  oggetto  di 
diminuire  una  spesa  superflua,  le  associazioni  di  questi  tali  giornali  si 
potrebbero  fare  dalla  BibHoteca  di  Brera,  a  cui  sarebbero  utili  e  neces- 
sari, e  da  cui  si  presterebbero  per  qualche  giorno  per  l' uso  de'  giorna- 
listi. Nello  stesso  modo  la  Biblioteca  presterebbe  anche  per  uso  della 
compilazione  quei  libri  dei  quali  si  potesse  aver  bisogno,  non  altrimenti 
che  si  pratica  coi  professori  delle  Università. 

Si  potrebbero  invitare  tutti  gli  uomini  di  lettere  non  solo  della 
repubblica,  ma  anche  del  rimanente  dell'  ItaHa,  a  comunicar  qualche 
articolo  di  economia,  di  arte  o  di  morale.  Questo  invito  riuscirebbe  cara 
ai  letterati,  i  quali  spesso  si  trovano  aver  de'  piccoli  pezzi  non  sufficienti 
a  formare  un  giusto  volume  e  che  perciò  si  perdono  nella  polvere  di 
un  gabinetto;  utile  al  foglio,  perchè  lo  accrediterebbe  presso  più  gran 
numero  di  persone,  e  continuerebbero  ad  accreditarlo  gli  stessi  lette- 
rati; di  gloria  al  governo,  che  formerebbe  in  tal  modo  un  deposito  co- 
mune di  tutte  le  cognizioni  degl'italiani;  e  Milano  diventerebbe  la  sede 
della  mente  universale  della  nazione.  Forse  gli  abitanti  della  Repubbfi 
amplierebbero  la  circonferenza,  e  gli  esteri  troverebbero  un  centro  delle 
loro  idee. 

A  questi  letterati  si  potrebbe  promettere  qualche  mercede,  e  più 
della  mercede  qualche  ricognizione  onorifica  proporzionata  ai  lavori  che 
farebbero.  Così  si  otterrebbe  maggiore  estensione,  maggior  varietà  nelle 
produzioni,  e  maggior  perfezione  di  quella  che  si  potrebbe  sperare  dai 
collaboratori  stabili,  i  quali  esigerebbero  una  spesa  più  che  decupla.  Ri- 
marrebbe così  allora  il  bisogno  di  soli  tre  collaboratori  stabili,  de'  quali 
due  sarebbero  incaricati  di  una  parte  quasi  meccanica,  e  di  un  correttore 
di  stampe.  Accreditato  una  volta  il  foglio  gh  uomini  di  lettere  corre- 
rebbero da  loro  stessi,  e  non  vi  sarebbe  più  bisogno  di   spesa  veruna. 

Allo  stesso  modo  sarebbe  utile,  che  il  governo  invitasse  anche  qual- 
che funzionario  pubblico  a  somministrar  degli  articoli,  i  quali  riuscireb- 
bero sempre  utilissimi  e  per  la  cognizione  pratica  che  essi  hanno  degli 
affari,  e  per  la  dignità  che  dar  potrebbero  al  foglio.   Tanto   gli  uomini 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    »,    ECC.  163 

di  lettere  però,  quanto  i  funzionari  pubblici  non  sarebbero  obbligati  a 
verun  lavoro  determinato  :  e  si  accettarebbe  {sic)  da  essi  tutto  ciò  che 
vorrebbero  quando  e  come  lo  vorrebbero  somministrare. 

Finalmente  è  necessaria  una  decente  libertà.  Se  si  vuole  che  il  foglio 
produca  effetto,  è  necessario  farlo  apparir  quanto  più  si  possa  libero, 
onde  i  suoi  giudizi  ottengano  al  bisogno  fede  maggiore.  Io  dico  decente 
libertà,  e  non  intendo  dire  licenza,  né  sfrenatezza,  né  villania.  Si  po- 
trebbe prendere  per  misura  di  questa  libertà  quella  di  cui  godono  i  fogli 
francesi.  Ma  spesso  nella  revisione  non  si  concede  né  anche  la  decima 
parte.  Così,  per  esempio,  una  volta  sul  Monitore  venne  un  quadro  delle 
finanze  inglesi,  vi  si  riconosceva  sensibilmente  un  errore  di  calcolo^ 
effetto  della  negligenza  del  compilatore:  si  volle  emendare,  ma  non  fu 
permesso.  Che  ne  avvenne?  Nell'ordinario  seguente  il  Monitore  stesso 
emendò  l'errore,  e  diede  un  altro  quadro  tutto  diverso  dal  primo. 

È  stato  talvolta  proibito  di  parlar  di  musica,  e  finanche  d' inserire 
un  articolo  della  decade  filosofica,  in  cui  facevasi  un  paragone  tra  la 
musica  francese  e  V  italiana. 

In  tempo  della  pace  coli*  Inghilterra  era  proibito  di  dire  1'  enorme 
debito  inglese,  e  d'inserire  un  tratto  dell'opera  d' Herreschwand,  opera 
stampata  e  ristampata  ogni  giorno  ed  in  Londra  ed  in  Parigi. 

Ciò  che  era  scritto  in  un  foglio  di  Francia  non  si  permetteva  di 
ripeterlo,  se  non  si  trovava  inserito  anche  nel  Monitore,  ad  onta  che 
tutti  i  fogli  di  Francia  fossero  egualmente  sotto  l'ispezione  del  governo. 

Io  entro  con  pena  nel  racconto  di  queste  minuzie,  e  le  avrei  trala- 
sciate ben  volentieri,  se  esse  non  fussero  {sic)  quelle  dalle  quaU  dipende 
in  gran  parte  il  carattere  d'  un  foglio  periodico,  e  che  possono  poten- 
tissimamente influire  a  renderlo  più  o  meno  comune,  più  o  meno 
utile  (i). 


III. 


Cittadino  ministro, 


Incaricato  di  proporre  al  governo  un  collaboratore  per  il  Giornale 
Italiano,  ho  l'onore  di  proporre  la  persona  di  Giovanni  D'Aniello  na- 
poletano, che  da  tre  anni  si  trova  in  Milano.  L'onestà  de*  suoi  costumi^ 
e  le  disgrazie  che  ha  sofferte  lo  rendono  degno  della  bontà  del  governo. 
Si  aggiunge  a  ciò  che  ha  molta  abilità,  travaglia  da  molti  mesi  alla 
compilazione  del  Redattore  Italiano,  talché  si  trova  istruito  di  quel  mec- 
canismo necessario  in  lavori  di  tale  natura;  e  sa  il  francese  e  l'inglese 


(i)  Pare  inutile  produrre  le  brevissime  note  ufficiali  del  Melzi,  Monza, 
17  agosto,  e  del  consigliere  segretario  di  stato  Vaccari,  20  agosto  1803,  sega, 
n.  6794,  approvanti  il  «  piano  ». 


I 


164  ATTILIO   BUTTI 

benissimo,    e  conosce    anche  un  poco  il  tedesco,    cognizioni    necessarie 
alla  compilazione  di  un    foglio.    Queste  ragioni  han    mosso    me    a  pro- 
porlo; spero    che    queste  istesse  ragioni  basteranno    a  fargli   meritare 
l'approvazione  vostra  e  del  governo. 
Salute  e  rispetto. 

Milano,  30  settembre  i8oj,  anno  li. 

Vincenzo  Cuoco. 


IV. 


Eccellenza, 


V.  E.  sa  che  mi  trovo  impegnato  nell'edizione  di  Platone  in  Italia. 
L'edizione  del  terzo  volume  è  stata  ritardata  un  poco  per  ragioni  di 
economia  privata.  Imperciocché,  sebbene  il  signor  Melzi  fu  generoso 
protettore  dell'opera  medesima,  pure  la  spesa  dell'edizione  è  stata  tanta, 
ed  il  numero  degli  associati  finora  è  stato  sì  piciolo  {sic),  che  io  mi 
trovo  in  disborso  di  poco  men  che  di  tre  mila  lire.  In  tali  circostanze 
a  sollecitarne  l'edizione,  avrei  bisogno  della  summa  (sic)  di  circa  sei  in 
settecento  hre;  ed  ardisco  pregar  V.  E.  perchè  si  compiaccia  farmeli 
antecipare  dal  tesoro  sul  mio  soldo.  L'anticipazione  che  io  chiedo  è  di 
due  mesate.  Mi  obbligo  di  farne  la  restituzione  dal  mese  di  ottobre  in 
poi  alla  ragione  di  lire  cento  al  mese;  non  esclusa  la  condizione  che 
se  avrò  prima  somma  maggiore  a  mia  disposizione  estinguerò  il  debito 
anche  prima  del  tempo  designato.  Spero  che  V.  E.  vorrà  compiacersi 
di  esaudire  questa  mia  preghiera. 

Salute  e  rispetto. 


Milano,  22  aprile  i8oj. 


Vincenzo  Cuoco. 


V. 

(Div.«  IV.  Ministro  dell'interno.  —  Prot.  30  giugno  1805,  n.  7966). 

Eccellenza,     ^ 

Con  vostra  veneratissima  lettera  de' 23  del  corrente,  si  è  ordinato 
che  il  Giornale  Italiano,  attesa  1'  abbondanza  delle  materie  che  offrono 
le  circostanze  presenti,  si  pubblichi  tutti  i  giorni.  L'ordine  si  è  inco- 
minciato ad  eseguire,  e  si  continuerà  con  quell'esattezza  che  per  me  e 
per  i  miei  compagni  si  potrà  maggiore.  Il  giornale  si  pubblicherà  tutti 
i  giorni,  e  da  oggi  in  avanti  alle  sette  della  mattina,  in  esecuzione  di 
altri  ordini  comunicatimi  dal  signor  consigliere  di  stato. 

Intanto  credo  opportuno  farvi  presenti  alcune  osservazioni ,  delle 
quaH  voi  colla   vostra  intelligenza    farete  quell'  uso    che   crederete  mi- 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE    ITALLVNO    »,    ECC.  165 

gliore,  non  pregandovi  io  d'altro  che  di  riputarle,  qualunque  sia  l'uso 
che  vi  piaccia  farne,  come  pruova  dello  zelo  che  ho  per  l'adempimento 
de'  miei  doveri. 

Lo  stampatore  Agnelli  desidera  sapere  se  questo  metodo  di  pub- 
blicare un  numero  al  giorno  sia  provvisorio  o  perpetuo  ;  e  crede  ne- 
cessario saperlo  onde  possa  prendere  quelle  misure  che  saran  neces- 
sarie ad  accrescere  i  caratteri,  i  torchi  ed  i  lavoratori,  perchè  il  servizio 
vada  con  sollecitudine  maggiore.  Ma  siccome  per  tutto  ciò  che  riguarda 
l'economia  della  stampa  lo  stesso  Agnelli  ha  presentata  a  voi  una  lunga 
rimostranza,  così  non  avrei  altro  a  fare  su  di  ciò  che  rimettermi  alla 
medesima.  Io  farò  presente  a  V.  E.  alcuna  altra  osservazione. 

Pubblicandosi  il  Giornale  Ufficiale  in  tutti  i  giorni  la  spesa  della 
stampa  si  accresce  nella  proporzione  di  156  a  365,  il  che  importa  un 
aumento  molto  maggiore  del  doppio.  Se  continuasse  il  sistema  di  tre 
numeri  interi  e  tre  supplementi  per  ogni  settimana  (suppongo  la  do- 
menica vota)  1'  accrescimento  della  spesa  sarebbe  nella  ragione  di  156 
a  234.  Un  accrescimento  di  spesa  è  necessario  e  nella  prima  e  nella 
seconda  ipotesi;  ma  nella  prima  è  molto  maggiore. 

Per  supplire  a  questo  accrescimento  di  spesa  sarebbe  necessario 
un  proporzionale  aumento  nel  prezzo  del  giornale  medesimo.  Ma  questo 
aumento  nel  prezzo  farebbe  naturalmente  diminuire  il  numero  degli 
associati,  e  non  si  otterrebbe  l' intento.  Pare  che  il  prezzo  del  Giornale 
Italiano  o  non  si  debba  accrescere,  o  si  debba  accrescere  sol  di  poco, 
e  non  in  queste  circostanze,  ma  quando  sarà  maggiormente  diffuso. 

Io  ricordo  a  V.  E.  l'esempio  del  Monitore  di  Francia  (i),  al  quale 
un  aumento  di  prezzo  nel  bollo  della  carta  ha  fatto  diminuire  di  piìi 
di  due  terzi  il  numero  degli  associati  che  avea. 

Pure  siccome  è  bene  che  il  Giornale  Italiano,  se  non  ne' primi  tempi, 
il  che  sarebbe  impossibile,  almeno  nel  tratto  successivo,  non  sia  di  peso 
al  governo,  così  credo  che  ad  ottener  ciò  si  possono  praticare  le  se- 
guenti cose  : 

i.o  Invece  di  pubblicare  un  foglio  intero  ogni  giorno,  appena  sa- 
ran cangiate  quelle  circostanze  le  quali  ne  renderebbero  necessari  anche 
due,  si  potrebbe  ritornare  al  sistema  di  pubblicare  in  ogni  settimana 
tre  fogli  interi  ed  altri  tre  supplementi  di  mezzo  foglio  l' uno.  E  tre 
fogli  con  tre  supplementi  sarebbero  più  che  sufficienti,  nel  corso  ordi- 
nario delle  cose,  ad  adempire  i  fini  del  governo,  ed  a  soddisfare  la 
pubblica  curiosità.   In    circostanze  straordinarie  chi  vieta  di  accrescere 


(i)  È  il  noto  Moniteur  Universel,  5  mai  1789,  an.  XII  (1804),  journal 
quotidien,  Paris,  30  voi.  in  fol.  Ma  in  verità  cominciò  solo  dal  24  nov.  1789. 
Nell'anno  IV  poi  si  fece  Vlntroduction  (1788-89)  e  vi  si  aggiunsero  ottantacinque 
numeri  antidatati,  dal  5  maggio  al  23  novembre  1789.  Ved.  la  Bibliografia  delle 
fonti  premessa  a  La  hgislation  de  la  revolution  frangaise  (1789-1804),  essai  d'hi- 
stoire  sociale,  di  Ph.  Sagnac,  Paris,  Hachette,  1898. 


l66  ATTILIO   BUTTI 

il  numero  de'  supplementi,  di  farli  di  un  foglio,  ecc.  ecc.?  Ma  pubblicato 
un  foglio  intero  in  ciascun  giorno  verrà  spesso  il  caso  di  non  aver  che 
dire;  il  foglio  diventerà  interamente  letterario,  quale  è  spesso  spesso  il 
Monitore;  cangerà  interamente  natura,  e  diventerà  inutile  al  fine  che 
si  ha  di  operare  sullo  spirito  pubblico.  Io  ripeto  ciò  che  altre  volte  ho 
avuto  l'onore  di  rassegnarvi:  il  popolo  d'Italia  è  diverso  che  quello  di 
Francia;  legge  meno,  si  occupa  meno  di  alcune  cose;  ed  un  foglio  scritto 
come  lo  sono  spesso  quei  di  Francia  non  interesserebbe  che  pochissimi, 
quei  pochissimi  appunto  che  non  son  popolo.  Il  numero  degli  associati 
diminuirebbe:  il  governo  crescerebbe  le  spese  e  non  otterrebbe  il  fine. 
Ma  di  questa  osservazione  voi,  signore,  ne  farete  uso  quando  lo  cre- 
derete opportuno,  perchè,  lo  ripeto,  nelle  circostanze  attuali  ogni  uomo 
ragionevole  vede  che  non  solamente  un  foglio  al  giorno,  ma  neanche 
due  sarebbero  superflui. 

2.'^  Ammesso  l' inevitabile  aumento  della  spesa,  la  difficoltà  di 
accrescere  il  prezzo  del  giornale,  sarebbe  utile  unire  al  medesimo,  oggi 
dichiarato  solennemente  officiale,  anche  il  Bollettino  delle  Leggi,  il  quale 
sì  potrebbe  pubblicare  due  o  tre  volte  o  anche  quattro  al  mese.  Coloro 
i  quali  sono  associati  al  Giornale  lo  avrebbero  per  un  prezzo  di  un 
quarto  o  di  un  quinto  minore  del  prezzo  che  oggi  è  stabilito  e  the 
continuerebbe  ad  essere  il  prezzo  comune;  e  questa  diminuzione  di 
prezzo  sarebbe  un  incentivo  a  moltissimi  per  associarsi  al  Giornale.  Né 
la  diminuzione  potrebbe  esser  tassata,  di  ingiusta  parzialità,  perchè, 
dichiarato  una  volta  il  Giornale  Italiano  giornale  officiale,  e  dovendo 
contenere  tutti  gli  atti  del  governo,  o  almeno  la  maggior  parte  de' me- 
desimi, una  persona  la  quale  si  trovi  associata  al  medesimo  ha  minor 
bisogno  del  Bollettino  delle  Leggi,  ed  ha  diritto  a  pagarlo  meno.  E  sic- 
come oggi  è  cessato  il  contratto  che  dava  a  Veladini  la  privativa  della 
stampa  del  Bollettino,  così  non  vi  è  ostacolo  che  si  opponga  all'  esecu- 
zione di  questo  progetto,  il  quale,  quando  da  V.  E.  si  trovi  opportuno, 
potrà  estendersi  e  perfezionarsi  in  modo  che  moltissimo  risparmio  possa 
prodursi  in  tutte  le  stampe  nazionali.  Ma  su  di  ciò  io  attendo  gli  ordini 
ulteriori  dell' E.  V. 

3.°  Ardisco  finalmente.  Signore,  raccomandare  alla  giustizia  ed 
alla  generosità  vostra  e  del  governo  e  me  ed  i  miei  compagni,  i  quali 
abbiamo  quasi  triplicata  la  fatica.  Se  voi  credete  che  ciò  sia  un  titolo 
a  poter  meritare  qualche  riconoscenza,  specialmente  in  occasione  tanto 
lieta,  quanto  è  quella  che  ha  data  occasione  al  raddoppiamento  de'  no- 
stri lavori,  potete,  Signore,  esser  sicuro  che  ciò  non  farà  che  accrescere 
quello  zelo  che  fin  ora  {sic)  abbiamo  dimostrato  pel  pubblico  servizio. 
Sono  col  più  profondo  rispetto 

umilissimo  devotissimo  servitore 
Vincenzo  Cuoco. 
Milano,  29  giugno  iSoj. 


LA   FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    »,    ECC.  167 

VI. 

<Div.*  II.  Ministro   dell*  interno.  —  Protocollo    13   agosto  1805,   n.  9991). 
A  S.  E,  il  signor  ministro  dell'interno. 
Eccellenza, 

I  redattori  del  Giornale  officiale  italiano  si  presentano  a  V.  E.  e 
rispettosamente  espongono  quanto  segue. 

Alla  fausta  occasione  della  venuta,  dimora  e  incoronazione  di 
S.  M.  r  Imperatore  in  Re  nostro,  i  suddetti  ebbero  ordine  su  i  primi  di 
maggio  di  aggiugnere  ai  soliti  tre  fogli  ebdomadari  del  giornale  un 
mezzo  foglio  di  supplemento  negli  altri  giorni.  Dopo  tre  settimane,  verso 
la  fine  del  suddetto  mese,  un  nuovo  ordine  ingiunse  loro  di  portare  il 
supplemento  di  mezzo  foglio  a  foglio  intero;  e  sin  d'allora  in  ognuno 
dei  giorni  della  settimana,  compresa  pur  anche  la  domenica,  uscì  intero 
un  giornale.  Venne  così  più  che  raddoppiata  la  loro  fatica,  e  reso  quo- 
tidiano il  loro  servizio,  che  seguon  tuttora  a  indefessamente  prestare. 
Né  solamente  crebbe  il  lavoro  della  compilazione,  ma  crebbe  anche 
r  incomodo  a  segno,  che  talora  si  ebbe  ordine  di  restare  la  notte  in 
requisizione  d*  improvviso  servigio. 

La  pubblica  munificenza  ha  ricompensato  con  gratificazioni  i  servigi 
straordinariamente  resi  a  queir  occasione.  I  soli  redattori  suddetti  nes- 
suna ne  han  ricevuto,  né  per  l'intero  corso  del  precedente  ultimo  anno, 
coni'  erasi  lor  fatto  sperare,  né  per  lo  straordinario  servizio  di  sopra 
esposto. 

Osano  essi  lusingarsi  di  non  meritare  dimenticanza,  sia  per  la  mi- 
sura, sia  per  il  modo,  con  cui  procurano  di  soddisfare  al  dover  loro. 

Milano,  12  agosto  iSoj. 

Vincenzo  Cuoco. 
Bartolomeo  Benincasa. 
Giovanni  Daniello. 

VII. 

Copia  di  lettera  di  V.  Cuoco  al  segretario  di  stato,  autografa  (i). 

Dal  signor  ministro  dell'interno  ricevo  lettera  in  data  de' 30  dello 
scorso,  colla  quale  mi  si  dice  che  tanto  io  quanto  i  miei  compagni  nella 


(i)  È  un  allegato  alla  Lettera  al  viceré  da  me  pubblicata  in  Miscellanea 
Scherillo-Negri,  p.  529.  Tralascio  1'  altro  allegato  citato  nelle  prime  parole  se- 
guenti del  C,  cioè  la  lettera  (Milano,  30  dicembre  1805)  con  cui  il  ministro 
Felici,  secondo  ordini  vicereali,  annunzia  al  C.  che  egli  e  i  suoi  collaboratori 
«  cessano  di  appartenere  ai  ruoli  del  ministero  ». 


l68  ATTILIO    BUTTI 

compilazione  del  Giornale  Italiano  cessiamo  di  esser  dipendenti  da  quel 
ministero;  e  che  ove  occorressero  schiarimenti  per  le  occorrenze  ulte- 
riori mi  dirigessi  a  V.  E. 

Questi  schiarimenti  sono  indispensabili,  perchè  tanto  io  quanto  i 
miei  compagni  non  sappiamo  cosa  fare.  Il  ministro  dell'interno  ci  lascia: 
dalla  vostra  segreteria  non  ci  è  stato  detto  nulla:  Agnelli  non  ci  ha 
parlato  e  solo  ci  ha  mandati  i  fogli  (i).  Ma  questi  fogli  indicano  un  la- 
voro che  si  richiede,  e  non  già  le  condizioni,  i  diritti  e  le  obbligazioni 
del  lavoro  medesimo.  Ho  V  onore  di  prevenirvi  che  ad  onta  di  questa 
incertezza,  la  quale  non  solo  ci  esenterebbe,  ma  impedirebbe  ogni  la- 
voro, tant' io  quanto  i  miei  compagni,  acciò  il  servizio  pubblico  non 
rimanga  attrassato,  abbiamo  prestato  per  oggi  tutto  il  materiale  occor- 
rente per  la  composizione  del  foglio. 

Non  possiamo  credere  che  sia  stata  vostra  intenzione  quella  di  vo- 
lerci, dopo  due  anni  di  servizio,  lasciar  di  adoperarci  senza  neanche 
prevenircene.  Molto  meno  possiamo  credere  che  sia  vostra  intenzione 
metterci  all'arbitrio  di  un  privato,  e  ridurci  alla  condizione  di  mercenari; 
mentre  il  Giornale  Italiano  può  dirsi  interamente  opera  nostra,  perchè 
da  noi  incominciata,  da  noi  proseguita,  da  noi,  qualunque  essa  sia,  ac- 
creditata. La  proprietà  è  certamente  del  governo  ;  ma  osiamo  lusingarci 
che  in  un  governo  giusto  ed  umano,  qual  è  quello  sotto  cui  viviamo, 
l'opera  nostra  merita  qualche  considerazione;  ed  anche  nel  caso  che  il 
giornale  si  voglia  dare  a  cottimo,  crediamo  potere  sperare  di  essere 
intesi,  e  perchè  abbiamo  un  diritto  di  prelazione  per  l'opera  prestata,  e 
perchè  potremmo  forse  offrire  condizioni  piìi  vantaggiose. 

Ma  r  ipotesi  del  cottimo,  qualunque  essa  sia,  non  porta  seco  l'  ar- 
bitrio del  cangiamento  de' compilatori.  Non  lo  porta  di  sua  natura,  perchè 
sono  due  cose  diverse  la  parte  letteraria  e  1'  economia  di  un  giornale» 
Non  lo  porta  l'esempio  dell'  amministrazione  passata,  la  quale  era  in 
sostanza  anch'essa  una  specie  di  cottimo,  ed  intanto  le  due  parti  erano 
interamente  separate.  Né  può  esser  diversamente,  se  il  governo  esige, 
com'è  giusto,  la  responsabilità  de' compilatori.  Imperciocché  se  si  vuole 
che  questi  compilatori  siano  essi  responsabili  degli  articoli,  debbono  essi 
esser  liberi  nella  scelta  de'  medesimi.  Or  liberi  non  possono  essere, 
dipendendo  da  un  altro  che  dispone  degli  articoli  e  degli  autori  degli 
articoli:  e  non  essendo  liberi  come  si  può  pretendere  che  siano  respon- 
sabili? Lungi  dunque  che  il  cottimo  porti  seco  la  necessità  dell'arbitrio 
al  cottimista  di  disporre  de'  compilatori,  molte  ragioni  ne  muovono  a 
credere  il  contrario,  tra  le  quali  ve  ne  sono  due  che  io  credo  fortissime,, 
e  che  ho  l'onore  di  umiliare  a  V.  E. 

La  nomina  de'  compilatori  di  un  giornale  è  parte  integrante  della 
proprietà  del  medesimo.  Difatti  in  tutti  i  giornali  d'Europa,  i  compila- 
tori della  Gazzetta  di  corte  si  nominano  dai  rispettivi  governi.    Se  ciò- 


(i)  I  giornali  esteri  a  cui  il  governo  aveva  associata  la  redazione. 


I 


LA   FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE  ITALIANO    »,   ECC.  169 

non  avviene  in  Francia,  la  ragione  è  perchè  il  Monitore  esisteva  prima 
che  il  governo  lo  dichiarasse  officiale:  esisteva  dunque  un  padrone  di 
quel  giornale  (e  di  fatti  Agasse  non  s*  intitola  Editeur  ma  bensì  pro- 
prietario) ed  il  governo  con  giustizia  ha  rispettata  una  proprietà  ante- 
riore. Ma  il  Giornale  Italiano  è  stato  creato  dal  governo;  il  governo 
n'è  il  solo  ed  il  vero  padrone  ;  al  governo  spetta  il  diritto  di  nominare 
i  compilatori,  sia  che  W  nomini  egli  stesso,  sia  che  indichi  al  conduttore 
quelli  dell'opera  de'  quali  vuole  far  uso;  ed  il  cedere  questo  diritto  al 
conduttore  è  lo  stesso  che  dargli  una  parte  della  proprietà  del  governo. 
E  questi  posti  di  compilatori  sono  sempre  un  fondo  del  governo,  dei 
quah  può  far  uso  per  incoraggiare  o  premiare  qualche  uomo  di  lettere, 
come  si  pratica  in  molti  luoghi  di  Europa,  come  si  praticava  in  Francia 
neir  antico  regime  col  Mercurio  e  colla  Gazzetta  di  Francia^  e  come 
sopra  qualche  foglio  pubblico  si  è  accennato  di  volersi  praticare  di 
nuovo. 

Ho  l'onore  di  umiliarvi  queste  considerazioni  perchè  voi  ne  facciate 
quell'uso  che  nella  vostra  saviezza  crederete  migliori.  Io  ed  i  miei  col- 
leghi speriamo  che  la  giustizia  del  governo  e  la  vostra  non  ci  vorranno, 
dopo  due  anni  di  servizio,  né  trascurare  interamente,  né  lasciarci  in 
balìa  d'  un  privato  del  quale  per  altro  noi  non  abbiamo  di  che  dolerci^ 
e  del  quale  continuiamo  ad  esser  amici;  è  la  natura  della  cosa  che  ci 
move  a  parlare.  È  sempre  un  peggiorare  il  passare  da  una  condizione 
certa  ad  un'  altra  precaria,  ancorché  questa  seconda  possa  essere  pili 
durevole  della  prima.  Offende  ragionevolmente  il  decoro  di  un  uomo 
onesto  quel  sentirsi  dire,  dopo  due  anni  di  servizio,  io  non  vi  conosco, 
un  altro  deciderà  del  vostro  merito. 

In  ogni  caso  io  vi  prego  di  qualche  risposta  non  tanto  per  me 
personalm.ente,  quanto  pel  servizio  pubblico,  affinchè  in  ogni  caso  tan- 
t'io  che  i  miei  compagni  sappiamo  qual  sia  il  dover  nostro. 

(Seguono  un  biglietto  del  C.  all'Agnelli,  3  gennaio,  con  cui  promette  1'  opera  sua  finché  ci 
sia  una  nuova  redazione  e  chiede  termini  di  tempo,  e,  con  la  medesima  data,  la  risposta 
negativa  del  consigliere  segretario  di  stato  Vaccari  al  C). 


Vili. 
Al  sig.  consultore  Moscati,  dirett.  generale  della  pubblica  istruzione, 

S.  A.  I.  il  principe  viceré  mi  ha  fatto  l'alto  onore  di  farmi  comu- 
nicare per  mezzo  di  lei  e  del  sig.  Consigliere  Segretario  di  stato  che 
avrebbe  avuto  piacere  eh'  io  mi  fossi  trattenuto  in  Milano.  In  seguito 
ho  presentato  a  Lei  il  piano  di  un  officio  di  statistica,  organizzato  nel 
modo  che  io  ho  creduto  più  utile  allo  stato  e  più  glorioso  al  governo. 
Ora,  io  la  prego,  sig.  consultore,  di  compiacersi  di  ottenermi  da  S.  A.  L 
una  decisione  al  più  presto  che  sia  possibile.  Per  natura  sarei  lontano 
da  ogni    importunità,  ma  le  circostanze  nelle  quali  mi  trovo    sono   tali 


170 


ATTILIO   BUTTI 


che  io  non  posso  far  di  meno  di  adoprarla,  e  Le  ne  chiedo  perdono 
come  di  cosa  involontaria  ed  indispensabile.  Ella  più  che  ogni  altra 
persona  sa  che  quando  mi  fu  comunicato  V  ordine  di  S.  A.  S.  io  era 
sul  punto  di  partire  per  la  mia  patria,  e  che  avea  date  tutte  le  dispo- 
sizioni e  prese  tutte  le  misure  analoghe  alla  partenza.  L'ordine  ricevuto 
mi  ha  costretto  a  cangiarle,  a  sospenderle,  ed  ora  mi  trovo  in  un'  in- 
<:ertezza  incomodissima  non  sapendo  se  debba  andare  o  restare;  e 
questa  incertezza  è  massima  e  specialmente  per  ciò  che  riguarda  la 
casa  nella  quale  attualmente  mi  ritrovo,  e  che  non  vorrei  ritenere  par- 
tendo, e  non  vorrei  perdere  restando.  11  padrone  mi  sollecita  per  una 
risposta,  ed  io  non  posso  dargliene  di  alcuna  sorte  se  prima  non  è 
■deciso  il  mio  destino.  Se  il  piano  per  la  statistica  non  è  approvato  non 
mancherà  a  S.  A.  S.  modo  di  farmi  provare  la  sua  beneficenza.  In  ogni 
caso,  qualunque  sia  per  essere  la  risoluzione,  La  prego,  sig.  Consultore, 
perchè  sia  quanto  piìi  si  possa  sollecita.  Nel  tempo  stesso  La  prego  a 
voler  scusare  la  mia  importunità,  e  credermi  quale  mi  dichiaro  col  più 
profondo  rispetto  di  V.  E., 


Milano,  21  maggio  1806. 


devot.  obbligai,  serv. 
Vincenzo  Cuoco. 


IX. 
Statistica. 

STUDJ     DI    STATISTICA. 


24  maggio  1806. 


1362. 

CUOCO  VINCENZO. 

■Chiede  che  sia  sollecitata  da  S. 
A.  I.  la  decisione  pelio  stabili- 
mento di  un  ufficio  di  Statistica 
conforme  al  primo  presentato 

OBJET. 

5ur  une  petition  de  M.  Cuoco 
pour  avoir  sa  destination. 


li  24  de  maj. 


A.  S. 


ÌAJ  Cuoco  qui  étoit  redacteur  du  journal  officiel  m'a  presentée  une 
petition  pour  avoir  une  determination  definitive  sur  sa  destination.  V. 
A.  L,  dit-il,  l'honora  de  manifester  une  disposition  favorable  pour  qu'il 
resta  a  Milan  dans  le  tems  ou  il  étoit  dans  l'intention  de  retourner 
chez  lui  et  parla  au  Secretaire  d'état  pour  en  concilier  les  moiens.  On 
ajoute  mème  que  V.  A.  L  ni'avoit  fait  l'honneur  de  dire  qu'elle  m'en 
auroit  parie.  M.""  Cuoco  est  reste  ici  et  desire  savoir  sa  destination,  soit 
pour  s'avvantager  pour  le  logement,  qu'il  étoit  prét  à  abbandoner,  soit 
pour  les  affaires  domestiques  qu'il  a  à  Naples. 


LA    FONDAZIONE   DEL    «    GIORNALE    ITALIANO    »,    ECC.  I7I 

Les  dispositions  favorables  que  V.  A.  I.  a  daigné  manifester  pour 
M/  Cuoco  sont  très  conformes  aux  vues  bienfaisantes  qu'elle  a  con- 
stamment  pour  le  bien  de  notre  pais,  parceque  M/  Cuoco  est  un  homme 
de  merite  sous  touts  les  rapports  de  science  et  de  moralitè,  et  s*il 
m'est  permis  d'avancer  quelque  projet  sur  le  moien  de  le  piacer  au 
moins  provisoiremènt,  je  oserai  proposer  qu'en  le  laissant  à  la  redaction 
du  journal  dont  les  trais  de  compilation  sont  a  present  appuiés  a 
M/  Agnelli,  on  pourroit-lui  assigner  une  somme  sur  les  profits  du 
journal  méme  qui  sont  actuellement,  et  deviendront  de  plus  en  plus 
sùrs  et  considérables  et  qui  apartiennent  au  gouvernement.  Je  croirois 
que  de  mille  et  cinquecents  livres  il  seroit  content.  On  pouroit  après, 
•dans  la  sistemation  de  Tinstruction  publique,  voir  s'il  y  auroit  lieu  de  le 
piacer  autrement. 

Mais  cette  somme  mèm.e  quoique  modique  ne  devroit  etre  ni  don- 
née  gratuitement  ni  tout-a-fait  a  la  charge  des  profits  actuels  du  journal. 

Pour  tirer  parti  des  connoiscences  étendues  que  M.^  Cuoco  a  sur 
la  statistique,  on  pouvroit  le  charger  de  cette  commission  assez  impor- 
tante: il  en  a  presente  un  pian  assez  bien  entendu  dont  on  pourroit  adopter 
pour  à  present  la  partie  qui  ne  demande  pas  des  depenses  considéra- 
bles; et  pour  ce  qui  regarde  l*augmentation  des  profits  du  journal  je 
crois  qu'on  en  ferait  une  assez  considerable  en  ordonnant  que  touts  le 
colleges  d'education  du  Roiaume  tenant  au  dela  de  15  ou  20  eleves  fus- 
sent  obbligés  de  en  prendre  un  exemplaire  et  ceux  qui  en  auront  au 
de  là  de  soixante,  deux  txemplaires. 

Un  tei  ordre  produiroit  l'effet  salutaire  d'accoutoumer  les  éleves 
des  colleges  a  s*informer  des  loix  et  decrets  de  leur  gouvernement  et 
à  connoitre  les  evenements  qui  se  passent  en  Europe  et  leur  inspire- 
roit  le  gout  de  la  lecture  qui  est  tres  limite  au  moins  dans  Tancienne 
Lombardie. 

Si  V.  A.  I.  honore  de  son  approbation  cette  idée  je  ferais  ensuite 
une  circulaire  raisonnée  pour  touts  les  colleges  d'education  sur  cet  objet. 

J'ai  l'honneur  d'etre  avec  le  plus  profond  respect. 


X. 

Ministero  dell'interno.  —  Protocollo  22  giugno  1806,  n.  6751. 

A  S.  E.  il  sig,  ministro  dell'interno  del  regno  d'Italia, 

Debbo  esporre  a  V.  E.  che  per  poter  proseguire  la  stampa  del 
Platone  in  Italia  ricorsi  a  cotesto  ministero  per  un'anticipazione  di  due 
mesate,  le  quali  importavano  seicento  sessantasei  lire  di  Milano,  a  con- 
dizione di  scontarle  alla  ragione  di  cento  lire  il  mese  che  la  tesoreria 
si  sarebbe  ritenute  sul  mio  soldo.  Lo  sconto  incominciò  ad  ottobre  e 
proseguì  fino  a    tutto  dicembre.  Col  mese  di    gennaio  prossimo    cessai 


172  ATTILIO    BUTTI 

di  appartenere  ai  ruoli  di  cotesto  ministero,  cessò  il  mio  soldo,  cessò 
lo  sconto,  ed  io  mi  trovo  ancora  debitore  di  circa  trecento  lire.  Dovendo 
partire  per  ritornare  nella  mia  patria  non  posso  sul  momento  soddisfare 
questo  debito,  come  sarebbe  mio  dovere.  Se  mai  1'  E.  V.  mi  potesse 
ottener  dal  governo  V  assoluzione  di  questo  debito,  sarebbe  questo  un 
nuovo  obbligo  di  riconoscenza  che  a  me  s'imporrebbe  verso  TE.  V.  e 
verso  un  governo  dal  quale  tanti  segni  di  bontà  ho  ricevuti  finora  (i). 
Piaccia  intanto  a  V.  E.  gradire  il  mio  più  profondo  rispetto. 

Vincenzo  Cuoco. 


XI. 

In  carte   segn.    Siudi  di  componimento,    n.  d^'j^Sl-  —    Min.   dell'interno, 
Prot.  22  giugno  1806. 

Eccellenza, 

Ecco  i  volumi  da  presentarsi  a  S.  A.  I.,  e  la  lettera  di  accompa- 
gnamento de'  medesimi.  Io  non  vengo  di  persona  ad  ossequiarla,  perchè 
temo,  da  una  parte,  toglierle  un  tempo  che  è  prezioso,  e  son  sicuro 
dall'altra,  che  V.  E.  non  ha  bisogno  di  nuove  mie  preghiere  per  farmi 
del  bene  se  potrà.  Son  sicuro  che  V.  E.  appoggierà  con  tutta  la  sua 
valevolissima  intercessione  le  mie  preghiere.  Piacciavi  anche,  Signore, 
far  presente  a  S.  A.  che  riceverà  il  terzo  volume  subito  che  sarà  rile- 
gato ;  ho  date  a  tale  oggetto  tutte  le  disposizioni  necessarie.  Questi  due 
trovavansi  già  rilegati  da  molto  tempo:  pe '1  terzo  non  vi  è  stato  finora 
il  tempo  necessario.  Finalmente  prego  l'È.  V.  di  scusare  la  mia  impor- 
tunità ed  esser  certa  della  mia  gratitudine:  la  stessa  di  lei  bontà  che 
le  dà  un  diritto  eterno  alla  seconda  le  impone  l'obbligo  di  perdonarmi 
la  prima:  è  questa  l'obbligazione  che  hanno  tutti  i  grandi  uomini  verso 
i  piccioli.  Sono  intanto  col  più  profondo  rispetto  di  V.  E., 

devot.  obbligai,  serv. 
Vincenzo  Cuoco. 


XII. 

Al  sig.  Vincenzo  Cuoco. 

Ho  la  soddisfazione,  sig.  Cuoco,  di  assicurarlo  che  S,  A.  S,  il  prin- 
cipe vice-re  si  è  degnata  di  accogliere  PofFerta  de' suoi  libri  con   senti- 


(i)  Difatti,  con  data  25  giugno  1806,  il  ministro  Di  Breme  ordina  all'am- 
ministratore Allemagna  di  pagare  al  tesoro,  «  sui  fondi  del  ministero  »,  L.  366,134 
dovute  dal  C. 


LA    FONDAZIONE    DEL    «    GIORNALE  ITALIANO    »,    ECC.  I73 

menti  di  particolare  aggradimento.  Io  vengo  incaricato  dalla  prelodata 
A.  I.  a  manifestargli  il  suo  impegno  a  di  Lei  riguardo,  avendomi  ingiunto 
di  accompagnarla  a  Napoli  con  commendatizia  presso  quel  sig.  Ministro 
degli  affari  interni.... 


(Abbozzo  della  commendatizia"). 

Milano,  21  giugno  1806. 
A  S.  E.  il  sig.  min.  degli  affari  interni  del  regno  di  Napoli. 

Sua  Altezza  il  principe  Eugenio  Napoleone  vice-re  d'Italia  mi  dà 
r  onore  di  accompagnare  a  V.  E.,  sig.  ministro  dell*  interno,  il  latore 
della  presente  sig.  Vincenzo  Cuoco  napoletano,  che  le  sue  particolari 
circostanze  richiamano  a  ripatriare. 

In  nome  della  stessa  prelodata  A.  S.  I.  debbo  rendere  la  più  ampia 
testimonianza  a  questo  degno  soggetto  e  per  la  savia  e  regolare  con- 
dotta che  ha  sempre  tenuto  in  tutto  il  tempo  che  ha  qui  soggiornato, 
e  pe'  suoi  rari  talenti  coi  quali  si  è  distinto  in  servizio  di  questo  governo. 

Colgo  con  vivo  piacere  questa  circostanza  per  ricordare  a  V.  E., 
sig.  Ministro  dell'  interno,  la  prima  conoscenza  che  ho  avuto  l'onore  di 
fare  della  di  Lei  Persona  in  Torino,  e  per  pregarla  ad  aggradire  le  at- 
testazioni della  mia  più  alta  stima  e  considerazione. 

XIII. 
N.  1531,  Prot.  II  giugno  [Direzione  generale  dell'istruzione]. 

Al  sig.  Tosti  consigliere  di  stato  incaricato  del  portaf.  degli  affari  esteri. 

Il  sig.  Vincenzo  Cuoco  autore  di  più  opere  filosofiche  e  politiche 
accolte  dai  dotti  con  generale  applauso,  essendo  avvertito,  che  in  Napoli 
sua  patria  stiasi  ristampando  un  Saggio  da  lui  pubblicato  in  Milano  sulla 
Rivoluzione  di  quel  Regno  nel  1799  rappresenta  a  questa  direzione 
generale  il  notabile  danno  che  da  ciò  gliene  deriverebbe,  nella  circostanza 
massimamente  che  egli  medesimo  è  per  riprodurre  lo  stesso  libro  con 
varie  aggiunte  e  cangiamenti. 

Scorgerà,  signor  Consigliere,  dalla  memoria  che  Le  accompagno  in 
originale,  com'  egli  ragionando  la  cosa,  si  faccia  a  dimostrare,  che  se 
bene  non  possa  a  suo  vantaggio  allegarsi  per  Napoli  la  lettera  della 
legge  che  sanziona  la  proprietà  degli  autori  di  produzioni  d' ingegno, 
la  ragione  però  e  l'equità  reclamano  a  suo  favore,  né  permettono,  che 
l'intrapresa  ristampa  sia  altrimenti  riguardata,  che  come  un  pregiudizio 
portato  a*  suoi  diritti  d'autore. 


174  ATTILIO   BUTTI   -    LA   FONDAZIONE,    ECC. 

Considerato  l'esposto,  ed  il  merito  del  ricorrente  ho  dovuto  sentire 
tutta  la  premura  per  il  buon  esito  della  sua  domanda,  né  ho  potuto  a 
meno  di  non  {sic)  riguardare  il  torto,  che  vorrebbe  farsi  a  questo  scrit- 
tore come  un'offesa,  che  indirettamente  anderebbe  a  colpire  V  interesse 
generale  delle  scienze  e  delle  lettere,  e  de'  buoni  coltivatori  di  esse. 
Affidato  adunque  a  quel  favore  che  ella  non  ha  mai  negato  sì  a  quelle 
che  a  questi,  ho  creduto  conveniente  annuire  alla  rappresentanza  me- 
desima, pregandola  che  si  compiaccia  interporre  gli  opportuni  uffici, 
presso  il  governo  napoletano,  affinchè  o  vengano  contemplate  le  addotte 
ragioni,  o  sia  almeno  sospesa  la  pubblicazione  dell'opera  fino  al  pros- 
simo arrivo  dell'  autore  in  Napoli,  ove  egU  potrà  far  valere  megfio  i 
suoi  diritti,  o  concertarsi  almeno  collo  stampatore. 

Aggradisca,  o  sig.  Consigliere  di  Stato,  le  proteste  della  distinta  mia 
stima  e  considerazione. 

MOSCATI. 

Tosti  (i),  segretario. 

(R^ce^  uto  in  ministero  "  Estero  „,  n.  1369,   Prot.   13   giugno    1806). 

(1)  Per  il  Moscati  v.  trattazione.  Il  Tosti  è  il  noto  scrittore  appartenente 
al  nostro  primo  Romanticismo.  Potrebbe  seguire  una  minuta,  giacente  in  Archi- 
vio, della  nota  del  min.  per  gli  aflari  esteri  del  regno  d'Italia  al  min.  dell'in- 
terno del  regno  di  Napoli,  14  giugno  1806,  che  gli  rimette  la  memoria  del 
sig.  Cuoco,  letterato  che  fa  onore  a  cotesta  sua  patria  a  non  meno  che  al  paese 
«  che  lo  ha  finora  accolto  »,  cioè  l'istanza  trasmessa  dal  Moscati  col.  doc.  XIL 


VARIETÀ 


I  documenti  intorno  alla  chiesa  di  S.  Sigismondo 
di  Rivolta  d'Adda. 


A  chiesa  parrocchiale  di  Rivolta  d'Adda,  quale  riapparve 
or  sono  tre  anni,  spogliata  del  goffo  rivestimento  che  la 
deturpava,  offre  nella  disposizione  delle  tre  navi  in  campi 
quadrati,  nel  sistema  costruttivo  delle  volte  a  crociera,, 
dei  piloni  a  fasci  e  dei  contrafforti,  e  nell'elemento  decorativo  del 
capitelli,  così  stretta  affinità  colla  basilica  di  S.  Ambrogio  da  far 
pensare  che  una  stessa  mente  abbia  presieduto  alla  costruzione 
delle  due  chiese,  o  quanto  meno  che  siano  state  erette  contempo- 
raneamente per  opera  di  maestri  muratori  appartenenti  alla  mede- 
sima corporazione.  A  ragione  l'arch.  Cesare  Nava,  cui  si  deve  la 
scoperta  dèli'  insigne  monumento,  alla  domanda  quale  ne  sia  l'età,, 
rispondeva:  «  ditemi  Tetà  del  nostro  Sant'Ambrogio  ed  io  vi  dirò 
u  quella  della  chiesa  di  Rivolta  »  (i). 

In  uno  studio  condotto  sopra  i  documenti  santambrosiani  ci 
siamo  proposti  di  dimostrare  che  la  basilica  milanese  venne  rico- 
struita nel  periodo  di  tempo  che  decorse  dall'ultima  decade  del 
sec.  XI  alla  metà  del  successivo  (2).  Ma  poiché  non  e'  illudiamo  di 
avere  detta  V  ultima  parola  sulla  grave  questione  che  da  tanta 
tempo  tiene  divisi  i  cultori  degli  studi  archeologici,  i  termini  del 
quesito  si  possono  utilmente  invertire.  Di  qui  l' importanza  che 
assume  nelle  ricerche  sulla  storia  della  basilica  ambrosiana  e,  più 

(i)  Un  monumento  sconosciuto  delV architettura  lombarda,  lettura  fatta  al  Col- 
legio degli  ingegneri  ed  architetti  di  Milano  il  4  maggio  1905  {Atti  del  suddetto 
Collegio,  anno  XXXVI,  fase.  II). 

(2)  Ved.  (^tst^ Archivio,  XXXI,  1904,  11,  pp.  302-359,  e  1905,  XXXII,  i^ 
pp.  47-94. 


176  VARIETÀ     . 

in  generale,  sulle  origini  dell'architettura  romanica  in  Lombardia, 
l'esame  del  materiale  storico  della  chiesa  di  Rivolta,  dal  Nava  ap- 
pena sfiorato  con  riguardo  al  diploma  di  Lucio  II  del  13  aprile  1144; 
esame  che  noi  ci  proponiamo  qui  di  approfondire. 

Il  diploma  di  Lucio  II  si  conosce  da  due  semplici  copie  con- 
servate nell'Archivio  della  parrocchia  di  Rivolta;  la  più  antica  delle 
quali,  a  giudizio  del  Vignati  che  ne  pubblicò  il  testo  (i),  non  do- 
vrebbe essere  anteriore  al  sec.  XVI.  È  diretto  ad  Alberto  pre- 
posto (2)  e  ai  suoi  confratelli  canonici,  che  avevano  abbracciata  la 
vita  regolare  nella  chiesa  dedicata  alla  Vergine  e  a  S.  Sigismondo 
«  apud  oppidum  Ripalte  ».  Il  papa  conferma  i  privilegi  concessi  dai 
suoi  predecessori  Urbano  lì  (1088-1099),  Pasquale  II  (1099-1118),  Ca- 
listo II  (1119-1124),  Innocenzo  II  (1130-1143)  e  Celestino  II  (1143-^144) 
alla  chiesa  che  «  propriis  sumptibus  a  vestris  civibus  aedificata  » 
era  stata  offerta  con  tutti  i  suoi  beni  ad  Urbano  II,  il  quale  l'aveva 
ritenuta  «  in  Beati  Petri  allodium  proprietatemque  ".  I  privilegi 
si  estendevano  a  tutte  le  possessioni  della  chiesa;  comprese  le 
terre  che  «  eiusdem  ecclesiae  fundatores  w  avevano  ad  essa  as- 
segnato, e  comprese  le  chiese  di  S.  Maria  di  Corniano,  di  Santa 
Margherita  di  Pandino  e  di  S.  Michele  e  S.  Stefano  di  Sahceto, 
poste  sotto  la  soggezione  della  canonica.  Il  diploma  rammenta  che 
la  canonica  doveva  ricorrere  al  vescovo  di  Cremona  per  il  crisma, 
gli  oli  santi,  le  ordinazioni  dei  chierici,  ecc.,  ed  era  tenuta  ad  un 
annuo  censo  di  dodici  denari  di  moneta  milanese  al  palazzo  late- 
ranense  (3). 

Il  Vignati  si  mostrò  persuaso  dell'autenticità  del  diploma,  «  per- 
«  che  concorda  coi  documenti  e  colle  memorie  dei  fatti,  dei  privi- 
«  legi  e  dei  possessi  della  chiesa  di  Rivolta  ».  Autentico  lo  ritennero 
pure  Jaffè'(4)  e  il  prof.  Kehr  (5);  tale  in  realtà  è  da  considerarsi, 
nulla  riscontrandosi  nel  suo  contenuto  che  permetta  di  sospettare 
trattarsi  di  un  atto,  non  che  apocrifo,  neppure  alterato  e  manipolato 
per  servire  a  qualche  rivendicazione. 


(i)  Documenti  storici  su  S.  Alberto  Quadrelli,   vescovo  di  Lodi,    Lodi  1856. 

(2)  Anonymi  Laudensis  cont.  Ann.  Laud.,  in  Pertz,  M.  G.  H.,  XVIII,  p.  657. 

(3)  Nel  liher  censuum  Rem.  Eccl.  compilato  nel  11 92  (ediz.  di  P.  Fabre, 
p.  107)  Vecclesia  sancii  Sigismundi  de  Ripa  alta  figura  registrata  come  debitrice 
dell'annuo  censo  di  12  denari,  prima  fra  le  chiese  in  episcopatu  Bergomensi,  indi 
fra  quelle  in  episcopatu  Laudensi.  Lo  stesso  errore,  si  ripete  per  il  monasterium 
de  Dovaria  e  per  la  ecclesia  sancti  Fabiani  cellula  ipsius. 

(4)  Reg.  Pont.,  II,  n.  8570. 

(5)  Da  una  sua  comunicazione  all'arch,  G.  Nava,  loc.  cit.,  p.  22. 


VARIETÀ  177 

11  Nava  argomenta  da  questa  bolla  che,  avendo  Urbano  II 
regnato  sino  al  1088,  almeno  a  quell'epoca  la  chiesa  nella  sua  veste 
attuale  doveva  essere  già  compiuta,  se  essa  fu  donata  con  tutti  i 
suoi  beni  a  quel  pontefice;  né  si  può  escludere  che  fosse  stata 
costrutta  molto  tempo  prima.  Anzitutto  rettifichiamo  le  date.  Urbano 
non  regnò  fino  al  ic88;  cominciò  il  suo  pontificato  in  quell'anno 
(12  marzo),  e  morì  il  29  luglio  1099.  E  assai  probabile  che  Lucio  II, 
quando  spedì  al  preposto  e  ai  canonici  di  Rivolta  la  bolla  che  è 
giunta  sino  a  noi,  avesse  sotto  gli  occhi  i  diplomi  dei  suoi  prede- 
cessori fino  ad  Urbano  II,  o,  se  non  tutti,  almeno  i  più  recenti,  di 
Celestino  II  e  di  Innocenzo  IL  II  primo  in  ordine  di  data  era  quello 
di  Urbano,  sul  quale  dovevano  essere  stati  calcati  gli  altri;  com- 
presi gli  ultimi  due  che  avranno  servito  di  modello  al  diploma 
di  Lucio.  In  questo,  l'accenno  alla  costruzione  della  chiesa,  a  cura  e 
spese  degli  abitanti  di  Rivolta,  appare  strettamente  collegato  col 
ricordo  della  offerta  della  chiesa  e  dei  suoi  beni  a  papa  Urbano; 
il  primo  fatto  viene  addotto  per  dare  ragione  in  qualche  modo  del 
secondo,  ed  induce  il  concetto  della  loro  contemporaneità,  o  quanto 
meno  di  una  relativa  prossimità  di  tempo  tra  la  fondazione  della 
chiesa  e  la  sua  dedica  alla  santa  sede.  Certamente  tale  correlazione 
doveva  fare  capo  al  diploma  di  Urbano  II.  Or  bene;  non  vi  sarebbe 
stata  ragione  di  rammentare  in  questo  primo  atto  e  nei  successivi,  in- 
sieme all'offerta  della  chiesa  al  pontefice,  a  spese  di  chi  era  stata 
costruita,  se  l'edificio  avesse  avuto,  siccome  il  Nava  opina,  circa 
tre  secoli;  «  magnum  aevi  spatium  »,  specialmente  per  un'  epoca 
durante  la  quale  una  fitta  nebbia  di  ignoranza  si  era  diffusa  nelle 
nostre  contrade,  facendo  cessare  quasi  ogni  contatto  col  passato, 
ed  arrestando  lo  sviluppo  della  rinascente  coltura  che  i  primi  ca- 
rolingi avevano  tentato  di  destare  dalle  rovine  della  dominazione 
longobarda. 

Non  solo  il  ravvicinamento,  nel  diploma,  dei  due  fatti,  la  co- 
struzione e  la  dedica  della  chiesa,  fa  pensare  ad  una  correlazione 
dei  fatti  medesimi,  e  alla  loro  contemporaneità;  ma  ci  sembra 
meno  esatta  la  deduzione  ricavatane  dal  Nava,  che  la  chiesa  nella 
sua  veste  attuale  fosse  già  costruita  quando  fu  con  tutti  i  suoi  beni 
donata  ad  Urbano  IL  Nel  1144  Lucio  II  non  poteva  che  parlare 
di  chiesa  «  edificata  »,  se  la  donazione  risaliva  ai  tempi  di  Ur- 
bano. Il  mezzo  secolo  trascorso  dalla  data  del  primo  diploma  sa- 
rebbe stato  più  che  sufficiente  per  portare  a  compimento  la  fabbrica. 
D'altronde  nulla  osta  all'  ipotesi  che  nel  diploma  di  Urbano  fosse 
scritto  «  ecclesia  que  edificatur  ",  o  «  que  incepta  est  propriis  sem- 
«  ptibus,  etc.  ». 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VII.  I2 


178  VARIETÀ 

È  risaputo  che  Urbano  II  fu  in  Lombardia  negli  anni  1095 
e  1096.  Da  Firenze  ove  era  giunto  nel  1.°  febbraio  1095  (i);  lo 
troviamo  a  Cremona  nel  18  dello  stesso  mese  (2).  Da  Cremona  si 
recò  a  Piacenza,  ove  nel  mese  successivo  tenne  un  concilio  per 
sistemare  gli  interessi  della  chiesa,  nella  provincia  milanese,  gra- 
vemente turbati  (3).  In  aprile  era  di  ritorno  a  Cremona  per  incon- 
trarvi re  Corrado  (4).  Dal  6  al  12  maggio  è  accertata  la  sua  pre- 
senza a  Milano  (5);  d'onde  nel  frattempo  fece  un'escursione  a 
Como  (6).  In  giugno  si  trovava  presso  Asti  (7),  diretto  alla  volta 
della  Provenza  e  della  Francia.  Nel  settembre  del  1096  il  pontefice, 
di  ritorno  dalla  Provenza,  passò  ancora  per  Asti  (8),  indi  per  Mor- 
tara  (9)  e  Milano,  dove  predicò  dal  pulpito  di  S.  Tecla  ed  emanò 
«  viva  voce  »  un  decreto  in  una  questione  fra  il  monastero  e  la 
canonica  di  Sant'Ambrogio,  che  spedì  in  iscritto  da  Cremona  il 
giorno  9  ottobre  (io).  In  novembre  era  vicino  a  Lucca  (11),  e  nel 
dicembre  aveva  già  fatto  ritorno  a  Roma  (12).  È  assai  probabile 
che  in  una  delle  tre  andate  a  Cremona  o  dei  due  percorsi  da  quella 
città  a  Piacenza  e  a  Milano,  Urbano  sia  passato  per  Rivolta.  Nulla 
di  più  verosimile  che  in  quell'occasione  egli  o  abbia  posta  la  prima 
pietra  della  nuova  chiesa,  o  ne  abbia  celebrata  la  consacrazione, 
mentre  ne  erano  in  corso  i  lavori;  avendo  nell'uno  o  nell'altro 
caso,  qualche  giorno  dopo,  com'era  costume  della  cancelleria  pon- 
tificia, spedito  un  diploma  alla  canonica  regolare,  costituitasi  per 
il  servizio  della  chiesa,  onde  confermare  l'accettazione  della  offerta 
del  tempio  e  dei  suoi  beni  che  i  fondatori  avevano  fatto  alla  santa 
sede  il  giorno  della  solenne  cerimonia,  e  concedere  al  tempio  e 
alla  canonica  i  diritti  e  i  privilegi  inerenti  alla  loro  immediata  per- 
tinenza alla  chiesa  romana. 

Le  peregrinazioni  del  pontefice  in  quei  due  anni  ci  si  rappre- 


(i)  Jaffé,  n.  5559. 

(2)  Ibid.,  n.  5540. 

(3)  Ibid.,  nn.  5542-5558. 

(4)  Ibid.,  ad  a.  1095,  aprile  15. 

(5)  Ibld.,  ad.  a.   1095,  maggio  6  e  nn.  5564-5568. 

(6)  Ibid.,  n.  5566. 
(y)  Ibid.,  a.  5569. 

(8)  Ibid.,  ad.  a    1096,  settembre  9. 

(9)  Ibid.,  ad.  a.  1096,  settembre  4. 
(io)  Ibid.,  n.  5671. 

(11)  Ibid.,  ad.  a.  1096  novembre. 

(12)  Ibid.  ad.  a.  1096,  dicembre  25. 


VARIETÀ  179 

sentano  come  una  continua  missione  apostolica  per  riaccendere  la 
fede  che  le  lunghe  lotte  della  chiesa  coli' impero  avevano  intiepi- 
dito, per  comporre  i  dissidi  provocati  nelle  singole  diocesi  dallo 
scisma,  ed  eccitare  i  cristiani  a  prendere  la  croce  e  le  armi  per  la 
liberazione  del  santo  sepolcro.  È  accertato  che  nel  1095  egli  con- 
sacrò la  cattedrale  di  Asti  (i);  pare  certo  che  1'  anno  dopo  abbia 
pure  consacrato  la  nuova  chiesa  della  Santa  Croce  di  Mortara, 
presso  la  quale  si  era  allora  costituita  una  canonica  regolare,  che 
divenne  in  progresso  di  tempo  la  matrice  di  una  fra  le  più  im- 
portanti congregazioni  di  canonici  regolari  (2).  Il  Sigonio  afferma 
che  Urbano  II  nel  1095  consacrò  la  chiesa  di  S.  Abbondio  di 
Como  (3).  La  notizia  è  verosimile,  perchè  da  Milano  nel  16  mag- 
gio 1095  il  pontefice  spedì  un  diploma  all'  abate  di  quel  mona- 
stero (4),  e  pochi  giorni  dopo  fu  a  Como,  d'onde  rilasciò  un  diploma 
all'  abate  di  Leno  (5).  Se  scarse  e  in  parte  non  molto  autorevoli 
sono  le  fonti  storiche  intorno  al  soggiorno  di  Urbano  in  Lombardia 
e  ai  singoli  atti  del  suo  ministero  qui  da  esso  compiuti,  abbondanti 
sono  invece  le  memorie  del  suo  soggiorno  nella  Provenza  e  nella 
Francia.  Scorrendo  i  regesti  del  Jaffè,  vi  abbiamo  trovato  notizia 
di  ben  quindici  consacrazioni  di  chiese,  monasteri  ed  altari  (6),  ce- 
lebrate personalmente  dal  pontefice,  e  della  successiva  spedizione 
a  parecchie  fra  le  chiese  da  lui  consacrate,  di  amplissimi  diplomi, 
in  cui  è  fatta  particolare  menzione  della  solenne  cerimonia,  e  del- 
l'offerta della  chiesa  alla  sede  apostolica. 

Fu  recentemente  osservato  che  è  pericoloso  formulare  conclu- 
sioni precise  intorno  all'  epoca  della  costruzione  di  una  chiesa  in 
base  alla  data  della  sua  consacrazione.  La  fabbrica  di  una  catte- 
drale poteva  durare  più  secoli  ed  essere  interrotta  da  lunghe  so- 
spensioni. In  certi  casi  vi  fu  un  notevole'  intervallo  fra  il  compimento 
dell'edificio  e  la  consacrazione.  Più  spesso  si  consacravano  chiese 
non  ancora  compiute.  «  Si  faceva  così  sopratutto,  quando  si  pre- 
«  sentava  l'occasione  di  congiungere  a  questa  cerimonia  il  ricordo 
«  di  un  uomo  illustre.  Questo  succedeva  quando  si  metteva  a  pro- 


(i)  Ughelli,  Hai.  sacra,  voi.  IV,  e.  359. 

(2)  PennotTi,  Storia  dei  Can,  Reg.,  voi.  IT,  cap.  46. 

(3)  Libro  IX,  ediz.  del  1575,  p.  383. 

(4)  Jaffé,  n.  5564. 

(5)  Ibid.,  n.  5566. 

(6)  Ibid.,  sub.  a.  1095,  agosto  5,  18;  nn.  5575,  5576;  ottobre  25;  n.  5604; 
dicembre  29,  31;  pub.  a.  1096,  gennaio  io,  27;  febbraio  io;  n.  5618;  feb- 
braio 26;  marzo  io,  11;  maggio  i,  7,  24;  n.  5649;  giugno  11;  luglio  6;  n.  5660. 


i8o 


VARIETÀ 


«  fitto  il  viaggio  di  un  papa  per  celebrare  la  consacrazione  di  una 
«   chiesa  molto  tempo  prima  ch'essa  fosse  terminata  »  (i). 

Ma  per  trovare  esempi  della  contemporaneità  della  fondazione 
o  della  consacrazione  di  una  chiesa,  colla  sua  offerta  alla  santa 
sede,  non  c'è  bisogno  di  valicare  le  Alpi.  Un  esempio  ce  lo  for- 
nisce la  storia  dello  stesso  borgo  di  Rivolta.  Alla  distanza  di  ap- 
pena un  decennio  dal  passaggio  in  Lombardia,  e  presumibilmente 
anche  per  Rivolta,  di  Urbano  II,  Erminza  ed  altre  pie  donne  ave- 
vano acquistato  presso  il  «  castrum  »  di  Rivolta  un  pezzo  di  terra, 
ove  intrapresero  la  costruzione  di  una  chiesa  e  di  un  monastero 
sotto  l'invocazione  dei  Santi  Ambrogio,  Naborre  e  Felice.  Con  atto 
del  dicembre  tio6,  Erminza  e  le  sue  compagne  si  affrettarono  ad 
offrire  «  ecclesiam  que  incepta  est  »  alla  basilica  romana  dei  Santi 
Pietro  e  Paolo,  obbligandosi  di  pagare  alla  sede  apostolica  l'annuo 
censo  di  12  denari  di  moneta  milanese  (2).  Il  parallelo  colla  vicina 
chiesa  di  S.  Sigismondo  non  potrebbe  essere  più  evidente,  anche 
per  ciò  che  riguarda  l'ammontare  del  censo  (3). 

Giova  inoltre  avvertire  che,  se  si  può  ammettere,  ed  è  anzi 
verosimile,  la  contemporaneità  della  costituzione  della  canonica 
regolare  colla  erezione  della  chiesa  di  S.  Sigismondo  intorno  al  1096, 
tale  contemporaneità  sarebbe  inammissibile  qualora  si  volesse  far 
risalire  la  fondazione  del  tempio  non  che  al  sec.  Vili,  come  si  pre- 
tende, ai  successivi  IX  e  X;  essendo  solo  nell'undecimo,  che  la  vita 
canonica,  introdotta  dapprima  per  il  clero  delle  chiese  cattedrali, 
cominciò  ad  estendersi  al  clero  di  altre  basiliche  cittadine,  e  delle 
chiese  delle  pievi,  dei  borghi  e  di  altri  centri  minori,  assumendo, 
particolarmente  là  dove  la  canonica  si  costituiva  al  servizio  di  una 
nuova  chiesa,  una  regola  o  disciphna  speciale  per  i  chierici  che 
ne  facevano  parte,  distinta  dalle  regole  monastiche  propriamente 
dette  (4).  È  notevole  che  il  più   delle   volte  le  canoniche  regolari 


(i)  I.  A.  BruTatls,  Archeologi  ed  architetti,  in  Napoli  nobilis.,  XIV,  1905,  p.  39. 

(2)  Vignati,  Cod.  dipi,  laud.,  voi.  I,  doc.  n.  56. 

(3)  Col  titolo  di  Ecclesia  Sancii  Ambrosii  de  Ripa  aita  XII  dettar,  la  chiesa 
è  registrata  nel  Liber  censuum  (ed.  cit.,  p.  117)  fra  le  chiese  in  episcopalu  Ber- 
gomensi,  subito  dopo  la  chiesa  di  S.  Sigismondo. 

(4)  Verso  il  II 40  fu  istituita  la  canonica  regolare  di  S.  Maria  di  Crescen- 
zago  (GiULi.M,  ilf(?wom,  ecc.,  2.*  ediz.,  voi.  Ili,  p.  312).  Un'altra  canonica  rego- 
lare venne  fondata  nel  1143  nel  luogo  detto  Domenegasco  presso  Rosate,  ad 
iniziativa  di  Pietro  a  Celanensis  episcopus  »,  il  quale  aveva  ottenuto  licenza 
dall'arcivescovo  Robaldo  «  ecclesiam  construendi  atque  regularem  canonicani  or- 
dinandi in  loco,  etc.  »  ^ibid.,  voi.  Ili,  p.   313). 


VARIETÀ  l8l 

e  le  loro  chiese  non  avevano  ne  avogari,  né  patroni,  ma  erano 
autonome;  salva  la  dipendenza,  nei  rapporti  spirituali,  dall'ordinario 
diocesano.  Questa  autonomia,  se  presentava  il  vantaggio  di  sot- 
trarre la  canonica  alle  angherie  e  alle  prepotenze  dei  sedicenti 
protettori,  non  era  scevra  di  pericoli,  per  la  mancanza  di  qualcuno 
che  fosse  tenuto  in  caso  di  bisogno,  a  fare  scudo  alla  chiesa  e 
ai  suoi  interessi  patrimoniali  contro  gli  attacchi  dei  terzi.  Da  ciò 
le  frequenti  offerte  che  le  canoniche  regolari  facevano  di  sé  stessè 
e  delle  proprie  chiese  alla  sede  apostolica,  per  ottenerne  la  speciale 
protezione  e  lucrare  i  vantaggi  spirituali  e  le  immunità  spettanti 
alla  basilica  romana.  Escluso  che  si  possa  far  risalire  la  istituzione 
della  canonica  regolare  di  Rivolta  molto  più  in  là  della  fine  del 
sec.  XI,  sorge  spontanea  la  domanda  se  sia  verosimile  che  Rivolta, 
piccolo  luogo  della  pieve  di  Arsago,  del  quale  ne'  tempi  anteriori 
ci  é  perfino  ignoto  il  nome,  avesse  prima  della  fondazione  della  ca- 
nonica una  chiesa  quale  é  giunta  fino  a  noi  (i).  La  risposta  nega- 
tiva ilon  può  essere  dubbia,  se  si  considera  che  nel  territorio  delle 
diocesi  lombarde  solo  le  chiese  monastiche  e  quelle  pievane  ave- 
vano importanza.  Le  altre  erano  piccole  cappelle  suddite  delle  pievi, 
senza  fonti  battesimali  e  senza  cimiteri. 

Un  ulteriore  argomento  per  attribuire  la  costruzione  della  chiesa 
di  Rivolta  alla  fine  del  sec.  XI,  ed  escludere  che  si  possa  farla 
risalire  all'ottavo,  al  nono  o  al  decimo,  ci  è  offerto  dalle  condizioni 
politiche  del  territorio  della  Chiara  d'Adda,  di  cui  Rivolta  fa  parte, 
nei  sec.  IX,  X  ed  XI.  Il  Nava,  segnalando  le  affinità,  nella  parte 
decorativa,  della  basilica  milanese  e  della  chiesa  di  Rivolta,  pone 
in  particolare  rilievo  gli  enormi  contrasti  di  gusto,  di  modellazione, 
e  di  fattura  che  si  riscontrano  tra  un  capitello  e  l'  altro,  fra  una 
cornice  e  l' altra  della  seconda  chiesa,  e  che  si  trovano  pure,  in 
proporzioni  forse  alquanto  minori,  nel  S.  Ambrogio;  ed  avverte  la 
profonda  diversità  di  valore  artistico  fra  le  decorazioni  di  Rivolta 
e  quelle  di  S.  Pietro  in  ciel  d'oro  e  di  S.  Michele  di  Pavia  «  Iti 
ti  queste  chiese  le  profilature  delle  basi  di  un  certo  sapore  clas- 
«  sico,  col  toro  inferiore  più  sporgente  del  superiore,  colla  gola 
«  intermedia  assai  pronunciata,  l'uniformità  delle  altezze  dei  ca- 
«  pitelli  e  delle  loro  tavole,  la  relativa  correttezza  del  disegno 
ti  nelle  rappresentazioni  degli  animali  e  della  figura  umana  e  i  forti 


(i)  Il  suo  nome  non  figura  in  un  atto  del  1019  che  contiene  l'enumera- 
zione delle  ville  comprese  nelle  pievi  di  Forno vo,  Arsago  e  Misano  (AsTÌGiA>tó, 
Cod,  dipi,  creinoti.,  voi.  I,  n.  29). 


l82  VARIETÀ 

«  rilievi  ornamentali,  dimostrano  un'arte  già  progredita,  un'arte  in 
«  fiore  ;  e  fanno  presentire  le  finezze  decorative  del  XIII  e  XIV  sec. 
«  A  Rivolta  e  nel  nostro  S.  Ambrogio  invece  nulla  di  tutto  ciò  ». 
Altrove,  ponendo  a  raffronto  la  pianta  della  basilica  milanese  e  della 
chiesa  di  Rivolta  con  quella  delle  chiese  pavesi  (S.  Pietro  in  ciel 
d'oro  e  S.  Teodoro),  osserva  che  nelle  due  prime  le  volte  della 
nave  centrale  e  delle  navi  minori  sono  stabilite  su  dei  campi  qua- 
drati, mentre  in  quelle  pavesi  le  volte  così  della  nave  maggiore 
come  delle  minori  insistono  su  piante  rettangolari.  E  più  innanzi, 
venendo  a  parlare  della  struttura  dei  muri  e  delle  volte,  rileva  che, 
a  Rivolta  le  murature  sono  fatte  col  sistema  tradizionale  lombardo, 
con  questa  importante  caratteristica  che  la  quasi  totalità  del  para- 
mento sia  all'  esterno  che  all'  interno  è  fatto  a  spina  di  pesce, 
r  «  opus  spicatum  »  dei  romani.  Nel  S.  Ambrogio  1'  «  opus  spicatum  » 
si  trova  in  proporzioni  assai  minori,  ma  solo  nell'abside  mag- 
giore, che  si  riconosce  universalmente  essere  della  fine  dell'ot- 
tavo secolo  ;  e  lo  si  riscontra  pure  nel  S.  Eustorgio,  in  S.  Babila, 
nel  S.  Celso,  nel  S.  Calimero,  in  S.  Vincenzo  in  Prato  e  via  via. 
«  Nelle  chiese  pavesi  dell' undecimo  e  del  duodecimo  secolo  1'  «  opus 
«  spicatum  "  non  appare  più  ». 

Il  Nava  si  domanda  se,  quanto  all'  «  opus  spicatum  w  della 
chiesa  di  Rivolta,  si  può  pensare  ad  un  uso  locale,  sapendo  co- 
m'erano allora  organizzate  le  corporazioni  degli  operai  costruttori; 
oppure  se  si  deve  riscontrare  in  quella  disposizione  un  segno  del 
tempo  in  cui  fu  c^ostrutta  la  chiesa.  Senza  dare  al  quesito  una  ri- 
sposta precisa^  egli  crede  tuttavia  di  potere,  anche  pel  confronto 
dei  monumenti  della  regione,  affermare,  che  quella  struttura  è  una 
delle  meno  recenti,  fra  quelle  usate;  ciò  dovrebbe  aggiungere  va- 
lore alla  sua  tesi  sulla  maggiore  antichità  del  monumento. 

Le  vicende  politiche  della  Lombardia  dal  sec.  IX  al  XII,  non 
ci  permettono  di  considerare  possibile  storicamente  un  raggruppa- 
mento delle  chiese  esistenti  in  ciascuna  città  e  nei  rispettivi  terri- 
tori della  regione,  quale  è  stato  tentato  dal  Nava,  se  non  rispetto 
ai  sec.  XI  e  XII.  È  solo  nel  sec.  XI  che,  ridotta  la  sovranità  degli 
imperatori  in  Italia  ad  una  larva,  si  vengono  formando  all'  ombra 
degli  episcopi  e  delle  chiese  matrici,  fra  le  varie  classi  del  laicato 
cittadino,  i  comuni.  È  per  mezzo  del  comune  che  1'  elemento  cor- 
porativo si  svolge  rapidamente  e  riesce  in  breve  ad  esercitare  una 
decisiva  influenza  nello  sviluppo  e  nel  progresso  delle  arti,  comin- 
ciando dall'architettura  chiesastica,  per  il  bisogno  quasi  primordiale 
sentito  dalle  nuove  comunità,  di  provvedere  alle  esigenze  e  al  de- 
coro del  culto  e  alla  venerazione  dei  santi  tutelari. 


VARIETÀ  183 

La  tendenza  che  si  riflette  nell'attività  politica  e  legislativa  del 
comune,  d' imprimere  la  propria  individualità  sopra  ogni  manife- 
stazione della  vita  pubblica  e  privata  del  cittadino  e  del  distrettuale, 
di  considerare  la  città  e  il  distretto  come  un  campo  chiuso  ad  ogni 
azione  od  influenza  estrinseca,  e  di  dirigere  ed  intensificare  le 
energie  collettive  ed  individuali  a  vantaggio  esclusivo  della  comu- 
nità e  dei  singoli  suoi  membri,  che  permette  di  distinguere  dopo 
la  seconda  generazione  i  contratti  di  vendita,  di  matrimonio,  le 
investiture  livellarle  e  feudali,  le  permute,  ecc.,  stipulate  nella  città 
e  nel  territorio  di  Milano  da  quelle  che  si  stipulavano  nella  città 
e  nel  territorio  di  Pavia,  che  spiega  come  a  partire  dalla  seconda 
metà  del  sec.  XI  cessino  quasi  del  tutto  i  matrimoni  fra  persone 
delle  due  città  e  dei  rispettivi  territori,  prima  di  allora  abbastanza 
frequenti,  dà  ragione  altresì  delle  affinità  che  si  riscontrano  negli 
edifici  e  in  particolare  nelle  chiese  costruite  intorno  alla  stessa 
età  nella  medesima  città  e  annesso  territorio,  per  opera  di  ar- 
chitetti e  di  maestri  muratori  locali  appartenenti  a  corporazioni 
saldamente  organizzate;  la  cui  azione  non  poteva  non  determinare 
una  certa  uniformità  nei  sistemi  di  costruzione  e  di  lavorazione  e 
nella  scelta  del  materiale,  e,  in  minori  proporzioni,  anche  nella 
parte  decorativa,  a  scapito  della  iniziativa  individuale. 

11  diploma  di  Lucio  li  prova  che  Rivolta  nella  metà  del  sec.  XII 
apparteneva,  come  appartiene  oggidì,  alla  diocesi  di  Cremona.  Non 
par  dubbio,  che  fino  alla  terza  o  quarta  decade  dell'  undecimo  la 
Chiara  d'Adda,  se  non  proprio  tutta,  almeno  quella  parte  di  essa 
che  è  tuttora  soggetta  alla  giurisdizione  spirituale  del  vescovo  di 
Cremona,  facesse  parte  di  quel  comitato.  Da  un  diploma  del  1047 
di  Enrico  IV,  ad  Ubaldo,  vescovo  di  Cremona,  si  apprende  che 
verso  il  1030,  Galardo,  nipote  dell'arcivescovo  di  Milano  Ariberto 
d' Intimiano,  colla  complicità  di  questo,  aveva  invasa  e  conquistata 
la  corte  e  pieve  di  Arsago,  e  più  tardi  aveva  pure  invasa  e  con- 
quistata quella  limitrofa  di  Misano  (i).  Alla  conquista  a  profitto  dei 
parenti  dell'  arcivescovo,  seguì  il  comune  di  Milano,  che  estese  il 
proprio  distretto  sulla  Chiara  d'Adda,  divenuta  così  il  pomo  della 
discordia  fra  Milano  e  Cremona. 

Gli  sforzi  dei  cremonesi  per  portare  nuovamente  il  confine  del 
proprio  territorio  all'Adda,  riuscirono  sempre  infruttuosi.  Perfino 
quando  Milano  giacque  distrutta,  Arsago  colla  sua  pieve  e  cogli 
altri  paesi  sulla  sinistra  dell'Adda  non  ritornò  e  Cremona,  ma    fu 


(i)  GiULiNi,  voi.  II,  p.  331  e  Muratori,  Ani.  med.  nevi,  voi.  VI,    p.  217. 


184  VARIETÀ 

assegnata  a  Lodi  (i),  che  si  affrettò  a  retrocedere  il  tutto  a  Milano, 
non  appena  questa  risorse  più  gagliarda  che  mai  dalle  rovine. 

Sebbene  ci  manchino  in  proposito  sicure  attestazioni,  si  può 
ritenere  che  Rivolta  nel  sec.  XI  facesse  parte  della  pieve  di  Ar- 
sago,  della  quale  avrà  seguito  le  vicende.  La  sua  soggezione  a  Mi- 
lano nel  1106  è  indirettamente  accertata  dalla  fondazione  di  quel  mo- 
nastero dedicato  ai  santi  tutelari  di  Milano,  Ambrogio,  Naborre  e 
Felice,  del  quale  si  è  discorso  superiormente.  Da  parecchi  docu- 
menti della  metà  del  sec  XII  è  dato  argomentare  che  Rivolta,  a 
differenza  di  Arsago  e  Dovera  (2),  fosse  un  «  castrum  »  soggetto 
direttamente  al  distretto  sovrano  del  comune  di  Milano,  senza  avere 
propri  signori,  investiti  delle  giurisdizioni  e  degli  altri  diritti  co- 
nosciuti sotto  i  nomi  di  «  honor,  districtus,  castellantia,  advoca- 
"  tia,  etc.  »  sul  territorio,  sugli  abitanti,  sul  castello  e  sulle  chiese 
del  luogo.  L'offerta  della  chiesa  di  S.  Sigismondo,  costruita  «  intus 
a  castrum  »,  alla  santa  sede  prova  che  essa  non  aveva  né  patroni, 
ne  avvocati.  Pare  inoltre  che  gran  parte  delle  terre  fossero  pos- 
sedute da  cittadini  di  Milano.  Già  nel  1132  Azone  e  figlio,  «  qui 
u  dicuntur  Grasselli  de  civitate  Mediolani  »,  avevano  venduto  al 
nuovo  monastero  di  S.  Ambrogio  le  terre  da  essi  possedute  nel 
territorio  di  Rivolta  (3).  Nel  1150  un  altro  Grassello  di  Milano, 
essendo  in  procinto  di  partire  in  pellegrinaggio  per  la  Terra  santa, 
offerse  allo  stesso  monastero  tutto  il  suo  patrimonio  (4).  Lo  stesso 
anno  «  in  Ripalta  ante  ecclesiam  S.  Sigismundi  »  ì  consorti  capi- 
tani d' Arsago  addivenivano  ad  un  atto  di  transazione  in  una  lite 
che  era  pendente    avanti  i  consoli  di  Milano;    fra  i  t-estimoni  del- 

(i)  Lo  argomentiamo  i."  da  un  atto  del  3  maggio  1163  portante  l'investi- 
tura livellaria  di  alcune  terre  in  Pandino  concessa  dal  monastero  di  S.  Ambrogio 
di  Rivolta,  «  actum  in  civitate  Laude  »  (Arch.  di  stato  di  Milano,  Pergam.  Mon. 
Magg.)\  2°  da  altro  atto  del  2  luglio  11 74  stipulato  «  in  urbe  Laudis  »,  con  cui 
due  consorti  «  qui  dicuntur  de  Arsago  de  loco  Dovaria  »  confermarono  la  ces- 
sione al  suddetto  monastero  di  una  possessione  in  Pandino  (ibid);  3."  da  una  sen- 
tenza dei  consoli  di  Milano,  del  7  giugno  11 77  in  una  lite  fra  la  badessa  del 
monastero  di  S.  Damiano  di  Dovera  e  i  capitani  d' Arsago  intorno  al  condominio 
del  castello  e  territorio  di  Dovera  ;  in  cui  si  cita  una  sentenza  pronunciata  nella 
stes'a  questione  dai  consoli  di  Lodi  (Arch.  cit.,  Pergam.  miscellanee  non  ordinate). 

(2)  Alcuni  documenti  provano  che  i  capitani  d' Arsago,  oltre  il  possesso  del 
capo-pieve  (Arsago),  avevano  il  condominio,  col  monastero  di  S.  Damiano,  della 
corte  di  Dovera,  e,  col  monastero  di  S.  Ambrogio  di  Rivolta,  della  corte  di 
Pandino. 

(3)  Vignati,  op.  cit.,  voi.  I,  doc.  n.  95. 

(4)  Ibid.,  n.  139. 


VARIETÀ  185 

l'atto  trovasi  un  «  Lanfrancus  de  Curte  de  Mediolano  »>  (i).  In  fine, 
sotto  la  data  del  1153  havvi  una  sentenza  resa  da  due  abitanti  di 
Rivolta,  quali  arbitri  in  una  causa  fra  il  monastero  di  S.  Ambrogio 
ed  un  altro  vicino  del  luogo  (2). 

Probabilmente  il  «  castrum  »  di  Rivolta  era  stato  costruito 
dai  milanesi  perchè  servisse  da  baluardo  e  da  sentinella  avanzata, 
per  difendere  la  Ghiara  d'Adda  dalle  incursioni  dei  cremonesi, 
spesso  alleati  ai  bergamaschi  e  ai  lodigiani  (3).  Di  qui  la  fonda- 
zione verso  il  1096  di  una  chiesa  e  di  una  canonica  regolare  nel- 
r  interno  della  fortezza,  onde  propiziare  la  divinità  alla  sua  difesa 
e  conservazione;  dovuta  all'  iniziativa  e  alle  offerte,  oltre  che  degli 
abitanti  del  luogo,  dei  cittadini  milanesi,  che  vi  possedevano  la 
maggior  parte  delle  terre  e  che  avranno  colà  destinati  alcuni 
maestri  da  muro  e  lapicidi  appartenenti  alle  stesse  corporazioni 
delle  quali  facevano  parte  i  muratori  e  i  lapicidi  adibiti  ai  lavori 
della  basilica  di  S.  Ambrogio  e  di  altri  templi  della  città. 

Gerolamo  Biscaro. 


DOCUMENTO 


Lucio   li  conferma  i  diritti  e  i  privilegi  spettanti  alla 

CHIESA    E    ALLA   CANONICA    REGOLARE    DI    RlVOLTA    d'AdDA. 

II 44,  aprile  jj. 

Lucius  episcopus  servus  servorum  Dei.  Dilectis  filiis  Alberto  Prae- 
posito  et  eius  fratribus  in  Ecclesia  Dei  Sanctae  Genitricis  Mariae  et 
Sancti  Sigismundi  apud  Oppidurn  Ripaltae  regularem  vitani  professis 
tam  praesentibus  quani  futuris  in  perpetuum,  Piae  postulatio  voluntatis 


(i)  Cod.  dipi,  iella  Re^ia,  doc.  n.  107,  in  Pertod.  Soc.  Stor.  Coni.,  voi.  IV. 

(2)  Vignati,  op.  cit.,  voi.  I,  doc.  n.  150. 

(5)  Nell'ottobre  11 59  il  castello  di  Rivolta  servì  di  punto  di  appoggio  ai 
milanesi  che  erano  a  guardia  del  ponte  sulI'Adda  a  Pontirolo,  in  una  fazione 
contro  i  lodigiani.  Costoro  avevano  posto  il  campo  dinanzi  a  Rivolta  ove  i 
milanesi  avevano  fatto  capo;  ma  dovettero  ritirarsi  «  quia  castrum  Ripalte  erat 
a  eis  ad  tutelani  »  (O.  Morena,  Chroti.,  in  Pertz,  M.  G.  K,  XVIII,  p.  629). 


l86  VARIETÀ 

debet  effectu  prosequente  compleri,  ut  devotionis  sinceritas  laudabiliter 
enitescat,  et  utilitas  postulata  vires  indubitanter  assumat.  Proinde,  di- 
lecti  in  Domino  filii,  vestris  rationabilibus  postulationibus  clementer 
annuimus  et  praedecessorum  nostrorum  felìcis  memoriae  Urbani,  Pa- 
schalis,  Calisti,  Innocentii,  Coelestini  romanorum  pontificum  vestigiis 
inhaerentes  ecclesiam  Beatae  Genitricis  Dei  Mariae  et  Sanati  Sigi- 
smundi,  in  quo  divino  vacatis  servitio,  ad  Beati  Petri  tutelam,  et  domi- 
nium  pertinere  Apostolicae  sedis  privilegio  communivimus,  quae  nimirum 
prout  eorundem  praedecessorum  nostrorum  privilegiis  continetur  pro- 
priis  sumptibus  a  vestris  est  civibus  aedificata  et  sanctae  recordationis 
Urbano  papae  cum  universis  possessionibus  suis  oblata,  et  ab  eodeni 
in  perpetuum  in  Beati  Petri  allodium ,  proprietatemque  susceptam. 
Eamdem  igitur  Ecclesiam  praesentis  privilegii  pagina  munientes  statui- 
mus  vitae  canonicae  Clericos  omni  tempore  illic  permanere,  et  universa 
bona,  sive  possessiones,  quae  de  iure  suo  eiusdem  Ecclesiae  fundatores, 
sive  alii  quilibet  tradiderunt,  seu  in  futuris  concessione  pontificum,  libe- 
ralitate  principum,  oblatione  fidelium,  aut  aliis  iustis  modis  tradita,  vel 
acquisita  fuerint,  firma  et  illibata  vobis  vestrisque  successoribus  perma- 
nere, in  quibus,  hae  propriis  visa  sunt  exprimenda  vocabulis,  Ecclesiam 
videlicet  Santae  Mariae  de  Corniano,  Ecclesiam  Sanctae  Margaritae  de 
Pandino,  Ecclesiam  Sancii  Michaelis,  et  Sancii  Stephani  de  Saliceto,  cum 
omnibus  ad  eas  pertinentibus.  Obeunte  te  ejusdem  loci  Praeposito,  vel  tuo- 
rum  quorumque  successorum  nullus  ibi  qualibet  subreptionis  aslutia  seu 
violentia  praeponatur,  nisi  quem  fratres  communi  consensu  vel  fratrum 
pars  consilii  sanioris  secundum  Dei  timorem  providerint  regulariter  eli- 
gendum,  Chrisma,  oleum  sanctum,  consacrationes  altarium  sive  basi- 
licarum,  ordinaiiones  clericorum,  qui  ad  sacros  ordines  sunt  promo- 
vendi, a  Cremonensi  accipietis  episcopo,  si  quidem  catholicus  fuerit,  et 
gratiam  Apostolicae  sedis  habuerit  et  si  ea  gratis  et  sine  pravitate 
voluerit  exhibere.  Alioquin  liceat  vobis  catholicum  quem  malueritis  adire 
antistitem  et  ab  eo  consecrationum  sacramenta  suscipere.  Alioquin  ipsi 
liceat  eamdem  Ecclesiam  praegravare,  aut  exactionem  vel  consuetudinem 
aliquam,  quae  libertati  et  quieti  regularis  vitae  noceat  (?)  fratribus  illic 
viventibus  irrogare.  Decernimus  igitur  ut  nulli  omnino  hominum  liceat 
eamdem  Ecclesiam  temere  perturbare,  aut  eius  possessiones  auferre, 
vel  oblatas  retinere,  minuere,  vel  temerariis  exactionibus  fatigare,  sed 
omnia  integre  conserventur,  eorum  prò  quorum  substentatione  et  gu- 
fa rnatione  concessa  sunt,  usibus  proftilura,  salva  in  omnibus  Aposto- 
licae sedis  auctoritate;  sane  laborum  vestrorum  decimas,  quas  propriis 
manibus  aut  sumptibus  excoletis,  nullus  a  vobis  exigere  praesumat.  Ad 
inditium  autem  perceptae  huius  Romanae  Ecclesiae  libertatis  duodecim 
Mediolanensis  monetae  nummos  per  annos  singulos  Lateranensi  Palatio 
persolvetis.  Si  quae  igitur  in  futurum  ecclesiastica,  secularisve  persona 
hanc  nostram  constitulionis  paginam  sciens,  centra  eam  venire  tenta- 
verit  temere,  secundo,  terliove  commonita,  si  non  satisfactione  congrua 
emendaverit,  potestatis,    honorisque  sui  dignitate    careat,    reamque  se 


VARIETÀ  187 

divino  iudicio  existere  de  perpetrata  iniquitate  cognoscat,  et  a  sanctis- 
simo  corpore  et  sanguine  Dei  et  Domini  Redemptoris  nostri  Jesu  Christi 
aliena  fiat,  atque  in  extremo  disamine  (sic)  districtae  ultioni  subjaceat, 
Cunctis  autem  eidem  loco  justa  servantibus  sit  pax  Domini  nostri  Jesu 
Christi,  quatenus  et  hic  fructum  bonae  actionis  percipiant,  et  apud  dis- 
trictum  judicem  praemia  aeternae  pacis  inveniant.  Amen.  Amen.  Amen. 

Ego  Lucius  Catholicae  Ecclesiae  Episcopus. 

Datum  Laterani  per  manum  Baronis  Capellani  et  Scriptoris.  Idibus 
Aprilis  Indictione  Vili.  Incarnationis  Dominicae  anno  1144.  Pontificatus 
vero  Domini  Lucii  II  Papae  anno  primo. 


l88  VARIETÀ 


Per  la  storia  degli  schiavi  orientali 
in  Milano. 


L  commercio  degli  schiavi  in  Italia  nel  basso  medio  evo 
non  è  noto  da  molto  tempo:  quando  il  Cibrario,  il  Par- 
dessus, il  Cantù,  ed  altri  moderni,  con  qualche  vago  ac- 
cenno, lo  segnalarono,  parve  cosa  inaudita  :  ancora  nel 
1851  si  stampava  in  Mantova  un  istrumento  di  vendita  d'una  schiav^^, 
del  sec.  XV,  come  rarissimo  e  forse  unico  esempio  di  tali  con- 
tratti. Più  tardi  il  Bonaini  ne  additò  qualche  altro  del  sec.  XIV  (i), 
ma  fu  solo  in  seguito  al  riordinamento  dell'Archivio  notarile  di 
Venezia  che  V.  Lazzari,  scoperto  un  gran  numero  di  documenti 
di  quel  genere,  potè  considerare  sotto  i  suoi  principali  aspetti  il 
traffico  degli  schiavi  e  la  loro  condizione  nella  vita  privata  dei 
secc.  XII-XVl  (2j.  Due  anni  dopo  lo  Zamboni  nel  suo  libro  Gli  Ez- 
zelini.  Dante  e  gli  schiavi  (Vienna,  1864)  raccolse  faticosamente  i 
fatti  in  altri  libri  dispersi,  non  senza  aggiungerne  d'  ignorati;  il 
Cecchetti  gli  .tenne  dietro  poco  portando  di  nuovo  alla  conoscenza 
dell'argomento  ma  ben  facendone  rilevare  l' importanza  (3)  e,  meglio 
di  lui,  il  Bongi  allargò  le  indagini  sulle  fonti  lucchesi  e  tracciò  le 
linee  generali  d'  una  storia  della  schiavitù  in  Italia  (4).  Da  ultimo 
lo  Zanelli  fece  tesoro  dei  copiosi  documenti  fiorentini  (5),  l'Avolis 
dei  siciliani  (6),  il  Luzio  e  il  Renier  studiarono  i  mantovani  (7), 
ed  oramai  si  può  dire  che  i  materiali  abbondino  per  chi  volesse 
tentare  un  lavoro  di  sintesi. 


(i)  Ricordi   di  cose  famigliari  di  Meliadus  BaUiccione  de'  Casaìberti  pisano, 
in  ,Arch.  star,  ital,  serie  I,  voi.  Vili,  pp.  50,  60,  61,  63. 

(2)  Del  traffico  e  della  condizione  degli  schiavi  in  Vene:^ia  nei  tempi  di  me:(^o, 
in  Mise,  di  stor.  ital,  Torino,  1862,  voi.  I,  pp.  463-502. 

•  (3)  Della  necessità  della  conservaiione  degli  archivi  notarili  d^  Italia,  in  Atti 
del  R.  Istituto  veneto  di  scienie,  lett.  ed  arti,  1867,  pp.  2,  21  dell'estratto. 

(4)  Le  schiave  orientali  in  Italia,  in  Nuova  Antologia,  giugno  1866. 

(5)  Le  schiave  orientali  a  Firenx^e  nei  secc,  XIV,  XV,  Roma,  1886. 

(6)  Per  la  schiavitù  privata  in  Sicilia,  Firenze,  1888. 

(7)  Nuova  Antologia,  settembre,  i89r. 


VARIETÀ  189 

I  risultati  principali  di  tutti  questi  studi  possono  ridursi  ai 
seguenti: 

II  commercio  degli  schiavi  in  Italia,  nei  secc.  XIV,  XV,  XVI  è 
costituito  esclusivamente  di  schiavi  orientali  importati  come  un'altra 
mercanzia  qualunque  nei  nostri  scali  marittimi,  e  specialmente  in 
Venezia.  Non  ha  quindi  nulla  a  fare  colla  schiavitù  paesana  del 
r  alto  medio  evo,  quasi  dovunque  scomparsa  fra  gli  ultimi  anni 
del  XIII  e  i  primi  del  XIV  secolo  (i).  • 

Questa  nuova  forma  di  schiavitù  fu  non  solo  tollerata,  ma  ri- 
conosciuta e  disciplinata  dalla  legge  nelle  città  dove  più  si  diffuse, 
Venezia,  Genova,  Lucca,  Firenze,  Napoli:  in  base  al  concetto,  non 
rigettato  né  pur  dalla  chiesa,  che  il  paganesimo  degli  schiavi  ne 
giustificasse  il  traffico,  perchè  il  peccato  originale  avesse  annullato 
la  libertà  naturale  dell'  uomo  e  la  servitù  fosse  giusta  condanna 
degli  infedeli.  Il  che  per  altro  non  impediva  s' importassero,  seb- 
bene in  minor  copia,  schiave  anche  da  paesi  cristiani,  da  Costan- 
tinopoli per  esempio:  e  in  questo  caso  il  pretesto  che  si  cambiasse 
in  meglio  la  loro  posizione  valeva  a  giustificar  l'abuso. 

Tra  gli  schiavi  importati  le  donne  erano  in  grande  preponde- 
ranza: adoperate  nella  vita  domestica  come  serve,  o  balie,  o  con- 
cubine. Il  loro  trattamento,  salve  poche  eccezioni,  era  assai  mite: 
frequentissime  le  emancipazioni,  specialmente  alla  morte  dei  pro- 
prietari, che  con  quell'atto  intendevano  rendersi  benemeriti  verso  Dio. 

La  tratta  degli  schiavi  raggiunse  il  suo  maggior  sviluppo  dalla 
metà  del  sec.  XIV  alla  metà  del  XV  :  poi  cominciò  a  declinare  se- 
guendo la  sorte  degli  altri  traffici  in  Oriente,  quantunque  s'incon- 
trino schiavi  alla  fine  del  sec.  XVI  e  perfino  sui  primi   del  XVII. 

Venezia  può  considerarsi  il  mercato  principale  che  provvedeva 
di  siffatta  mercanzia  le  altre  città  italiane. 


Se  per  il  Veneto,  per  la  Toscana,  per  la  Liguria  e  per  l'Italia 
meridionale  oramai  le  notizie  abbondano,  poco  o  nulla  si  potè 
rintracciare  per  la  Lombardia.  I  nostri  statuti  milanesi  non  hanno 
pur  r  ombra  di  disposizioni  legislative  o  regolamentari  per  questa 
nuova  popolazione  esotica  (2),  e  questo  è  un   buon  argomento,  se 

(i)  È  curioso  come,  dopo  tante  indagini,  studiosi,  anche  valenti,  non  pensino 
a  fare  questa  distinzione  essenziale.  Cfr.  quest* Archivio j  XXX,  1903,  11,   p.  491. 

(2)  Negli  statuti  del  1498- 1502  sono  alcuni  capitoli  con  regolamenti  disci- 
plinari pei  «  famuli  »  e  i  «  domicelli  »,  ma  si  tratta  di   domestici  salariati.  II 


I 


190  VARIETÀ 

non  per  escluderlo,  almeno,  per  ritenere  che  qui  essa  non  fosse 
punto  numerosa,  perchè  dove  lo  era  la  legge  sentì  ben  presto  il 
bisogno  e  il  dovere  d'intervenire.  A  questa  ipotesi,  ci  indurranno 
taluni  indizi,  che  qui  raggrupperemo,  e  meglio,  il  documento  che 
diamo  alla  luce. 

In  una  città  lombarda  assai  vicina  a  Milano,  a  Pavia,  il  traffico 
degli  schiavi  è  in  certo  modo  attestato  dalla  vendita  di  una  schiava 
fatta  da  un  lucchese  a  un  "pavese  nel  1398  (i).  In  una  pergamena 
dell'Archivio  Arconati  Visconti  si  parla  d'  una  schiava  tartara  di 
diciannove  anni  venduta  nel  1434  dal  nobile  Giacomino,  figlio  di 
Luchino  de  Billiis,  di  Milano,  al  nobile  Giovanni  da  Castelletto, 
pur  di  Milano,  per  cinquantotto  ducati  d'oro  (2).  Nel  testamento  di 
Pietro  Ugleimer,  libraio  tedesco  in  Milano  (16  die.  1487),  troviamo 
ch'egli  affranca  due  schiavi  da  lui  comprati  in  tempi  passati,  a 
patto  che  servano  la  moglie  di  lui,  dopo  la  morte  della  quale  ri- 
ceveranno duecento  ducati  di  regalo  per  uno.  L'  Ugleimer  era  ve- 
nuto a  stabilirsi  a  Milano  da  Venezia  col  socio  Nicola  Jenson  ed 
è  probabile  quindi  che  colà  li  abbia  comperati  (3).  Un  anno  dopo 
Isabella  d'Aragona,  venendo  a  Milano  sposa  a  Gian  Galeazzo 
Sforza,  menò  con  sé  tre  schiave  bianche,  sette  negre  e  tre  schiavi 
neri:  anche  questi  furono  acquistati  probabilmente  nel  regno  (4).  Più 
importante  è  la  notizia  che  ci  dà  un  novelliere,  che  in  talune  cose 
ha  valor  di  storico,  il  Bandello.  Parlando  della  severità  da  usarsi 
verso  i  figliuoli  e  verso  i  servi,  dice:  «  con  i  mori  poi,  o  schiavi 
ti  comprati,  si  faccia  il  medesimo,  perciò  che  sono  di  pessima  na- 
«  tura.  Il  che  esser  vero  ci  dimostrò  a  questi  dì  passati  il  moro 
«  di  monsignor  Di  Negri,  abate  di  S.  Simpliciano,  il  quale,  avendo 

Carparli,  nelle  sue  glosse,  al  capo  90  del  libro  I,  dove  è  prescritto  che  il  ven- 
ditore non  possa,  ad  istanza  del  compratore,  far  testimonio  in  causa  delia  roba 
venduta,  si  diffonde  a  determinare  le  persone  che  non  possono  far  testimonio 
e  ci  mette  anche  il  «  servus  »,  ma  come  sfoggio  di  sua  erudizione,  citando  altri 
autori,  mentre  il  «  servus  »  non  ha  niente  a  che  fare  col  testo  dello  statuto  (Edi- 
zione bidelliana  di  Milano,  1616). 

(i)  ViDARi,  Frammenti  cronistorici  dell'agro  ticinese^  Pavia,  1891.  Cfr.  que- 
sx' Archivio,  XVII 1,  p.  726. 

(2)  Membrana  novissima  Mediolani  inventa  in  veteri  insìgnique  Archivio  III. 
T)ni  Marchionis  Jos.  Arconati  Ficecomitis,  quae,  declarante  Jo.  Zucchetti,  evtilga- 
tur  ad  probandum  captivitatem  in  Italia  perdurasse  saltem  ad  annum  MCCCCXXXIF, 
Mediolani,  Boniardi  Pogliani,  1869.  (Lo  Zucchetti  cascava  dalle  nuvole  dopo  i 
lavori  del  Lazzari  e  del  Bongi  !) 

(3)  Motta,  in  Boll.  stor.  della  Svi:^^.  itah,  1886,  p.  171. 

(4)  Ibid.,  loc.  cit. 


VARIETÀ  191 

«  ricevuto  un  bufFettone  da  esso  abate,  la  seguente  notte  gli  segò 
«  le  vene  della  gola  e  l'ancise,  et  era  stato  seco  più  di  trent'anni. 
«  E  quando  il  perfido  moro  fu  su  il  Broletto  vecchio  di  Milano 
u  menato  per  farne  pubblica  giustizia,  egli  ridendo  barbaramente 
«  diceva:  "  squartatimi  e  fatemi  peggio  che  sapete,  che  se  io  ho 
«  avuto  uno  schiaffo,  io  me  ne  sono  altamente  vendicato  „  (i)  ». 
E  di  qualche  rilievo  pel  nostro  argomento  è  pur  la  dedica  di  questa 
novella  ventunesima,  la  quale  tratta  appunto  i  casi  d'uno  schiavo, 
fatta  ad  un  signore  napoletano  con  queste  parole:  «  sapendo  che 
«  voi  signori  napoletani  massimamente  vi  dilettate  di  tenere  schiavi  »; 
parole  che  sembran  quasi  sottintendere  non  essere  in  Milano  tal 
diletto  come  laggiù  sentito  ;  mentre,  per  contrario,  il  Muralto,  cro- 
nista contemporaneo,  afferma  che  di  quel  tempo  numerosi  erano  i 
servi  di  razza  nera,  almeno  presso  i  cortigiani,  in  omaggio  al  so- 
pranome del  duca  :  «  eo  tempore  in  ducatu  hi  mauri,  seu  gens 
«  nigritarum,  ita  creverant,  ut  nullus  esset  aulicus  qui  unum  eidem 
«  servientem  non  haberet;  eo  quod  Ludovicus  Sfortia,  Mediolani 
«  Dux,  se  cognominari  fecerat  Maurum.  Melius  enim  fuisset  si 
u  christianus  nuncupatus  fuisset  »»  (2).  Il  Morbio,  nella  sua  Francia 
e  Italia,  ci  parla  d'uno  schiavo  d'un  principe  Luigi,  abbruciato  vivo 
per  delitto  contro  natura,  nel  1572  e  d'un  altro  schiavo  turco  del 
conte  Gerolamo  Simonetta;  notizie  assai  notevoli  per  l'età  recente 
alla  quale  si  riferiscono  (3). 

A  questi  sparsi  accenni  altri  son  venuti  ultimamente  ad  ag- 
giungersi coi  contratti  del  ricco  mercante  milanese  Marcolo  Carelli, 
segnalati,  or  fa  un  anno,  dall'avvocato  Carlo  Romussi  (4).  Nell'Ar- 
chivio della  Fabbrica  del  Duomo,  testé  completamente  riordinato, 
una  cartella  è  dedicata  al  magnifico  benefattore  della  cattedrale, 
morto  in  Venezia  nel  1394.  Essa  cartella  contiene,  oltre  il  testa- 
mento, rogato  il  4  novembre  1393  dal  notaio  Pietrinolo  da  Ven- 
zago,  e  r  inventario  delle  suppellettili  ritrovate  nella  casa  Carelli 
in  Milano,  in  porta  Orientale,  parrocchia  di    S.   Babila  intus  (5),   i 


(i)  Par.  Ili,  novella  21  (Londra,  1791). 

(2)  Annalia,  Mediolani,  1861,  p.  59,  Cfr.  (\\xqs\} Archivio^  XXXI,  1904,  i,  p.  461. 

(3)  Milano,  1873,  p    268. 

(4)  Nel  Secolo  Illustrato ,  gennaio-febbraio  1903. 

(5)  Interessante  per  la  storia  del  costume.  Dirò  qui,  per  incidenza,  che  per 
siffatto  argomento  l'Archivio  del  Duomo  è  una  miniera.  Frequentissimi  sono  gli 
inventari  dal  sec.  XIV  al  XVI,  ma  fonti  di  gran  lunga  più  ricche  sono  i  nu- 
merosi registri  «  oblationum  et  patariae  »  cogli  elenchi  particolareggiati  di  tutti 
gli  oggetti  di  vestiario,  di  biancheria  e  d'oreficeria  offerti  dalla  cittadinanza  alla 


192  VARIETÀ 

*Suoi  contratti  mercantili,  toccanti  generi  svari atissimi  (i)  e  tra  gli 
altri  cinque  acquisti  di  schiavi  fatti  in  Venezia,  dov'egli  pur  soleva 
dimorare  e  aveva  casa  nel  confine  dì  S.  Sofia  (1367),  in  quello  di 
S.  Felice  (1369)  e  in  quello  di  S.  Eustachio  (1371).  E  sono  pre- 
cisamente: 

1°  1367,  i.°  dicembre.  Acquisto  da  Donato  Encio  di  una 
schiava  tartara  di  circa  ventiquattro  anni,  chiamata  Tollomellich, 
ma  da  chiamarsi  al  battesimo  Cristina,  per  ducati  d'oro  23  112(2). 
Rogato  Donato  Andrea  de  Zandeguiliis,  notaio  di  Venezia. 

2.**  1373,  25  maggio.  Acquisto  da  Dino  Filatorio  di  una  schiava 
greca  di  circa  ventidue  anni  chiamata  al  battesimo  Maria,  per  29 
ducati  d'oro.  Medesimo  notaio. 

3  °  ^377>  4  niaggio  Acquisto  da  Marco  Savojno  di  una  schiava 
tartara  d'anni  ventotto  chiamata  al  battesimo  Bona,  per  26  ducati. 
Rogato  Antonio  de  Bursariis,  notaio  di  Venezia. 

4-*'  1377,  22  maggio.  Acquisto  da  Paolo  de  Laurentiis  di  una 
schiava  tartara  di  anni  diciotto,  battezzata  col  nome  di  Caterina, 
per  32  ducati.  Rogato  Marco  de  Raschanellis. 

Fabbrica  a  partire  dal  1386,  e  rivenduti  nella  bottega  «  a  pataria  »,  che  la  Fab- 
brica teneva  a  quest'  uopo.  Quello  che  ne  fu  pubblicato  nell'appendice  agli  Annali 
non  è  che  piccolissimo  saggio.  Dedico  questa  noticina  al  chiar.mo  Marzi  che 
lavora  ad  una  bibliografia  generale  del  costume  italiano. 

(i)  Arch.  del  Duomo,  VII,  3.  La  classe  VII,  Eredità,  comprende  le  carte 
private  dei  cittadini  che  hanno  lasciato  le  loro  sostanze  alla  Fabbrica:  è  un  de- 
posito di  prim'ordine  per  chi  si  occupi  di  storia  del  commercio,  dell'agricoltura, 
delle  istituzioni  civili.  Vi  sono  contratti  d'  ogni  genere,  patti  e  libri  d'  ammini- 
strazione di  società  commerciali,  sentenze  dei  consoli  dei  mercanti  e  dei  vari 
giudici  aggregati  alla  curia  del  podestà  :  sentenze  arbitrali  su  questioni  svariatis- 
sime.  S' integra  questa  con  l'altra  classe  delle  Case  in  Milano,  una  serie  che  dal 
sec.  XIII  viene  continua  fino  ai  nostri  giorni  e  contiene  migliaia  d'istrumenti  origi- 
nali, preziosi  pei  suaccennati  argomenti,  oltreché  per  la  topografia  storica  di  Milano. 

{2)  Gli  schiavi  tartari  erano  i  più.  La  parola  è  presa  però  in  senso  latissimo 
e  molto  indeterminato.  (Lazzari,  op.  cit.,  p.  469).  Chi  vendeva  urio  schiavo 
pagano  spesso  imponeva  al  compratore  il  nome  cristiano  che  avrebbe  dovuto 
portare  dopo  il  battesimo  (op.  cit.,  p.  474).  Il  prezzo  per  uno  schiavo  di  ven- 
tiquattr'anni  appare  assai  mite  :  ordinariamente  dice  il  Lazzari  si  aggirava  intorno 
ai  50  ducad,  salvo  il  caso  che  la  schiava  avesse  qualche  particolare  abilità,  onde 
il  valore  venisse  accresciuto.  È  però  da  notare  che  1'  aver  figliato  valeva  a  de- 
prezzare di  molto  la  schiava,  e  ciò  a  Venezia  ed  altrove  per  disposizione  di 
legge.  Anche  per  le  altre  schiave  il  Carelli  non  ha  speso  più  di  32  ducati,  e 
forse  i  prezzi  andarono  aumentando  nel  corso  del  secolo  XV,  quando  quella 
mercanzia  cominciò  a  scarseggiare,  tanto  che  il  governo  di  Venezia  ne  lamentava 
la  deficienza  (Lazzari,  op.  cit.,  p.  ^81). 


VARIETÀ  193 

5.0  1378,  17  febbraio.  Acquisto  da  Bartolomeo  de  Justisd*una 
schiava  e  d'  uno  schiavo,  nomato  Radich,  madre  e  figlio,  la  prima 
d'anni  trenta,  il  secondo  di  circa  otto,  per  40  ducati  d'oro.  Rogato 
Antonio  de  Bursariis. 

Queste  schiave  furon  tutte  comperate  in  Venezia  e  noi  non 
possiamo  dire  se  il  Carelli  le  tenesse  per  serve,  com'era  costume, 
ripartendole  nelle  sue  case  di  Venezia  e  di  Milano,  oppure  se  e 
dove  ne  facesse  traffico,  ò  ancora  se  sian  da  identificare  con  quelle 
fanciulle  che,  sembra,  mantenesse  presso  di  se  per  maritarle  con 
dote  da  lui  fornita  (i). 

In  conclusione  quel  poco  che  fin'  ora  s'  è  riusciti  a  racimolare 
su  questo  argomento  (2)  prova  che  non  mancarono,  fino  al  cader 
del  sec.  XVI,  schiavi  in  Milano,  ma  non  che  qui  se  ne  esercitasse 
il  commercio.  Epperò  sotto  quest'  ultimo  riguardo  è  interessante  il 
documento  che  pubblichiamo  dove  si  parla  d'  uno  schiavo  venduto 
proprio  in  Milano  ad  un  milanese,  quantunque  da  un  mercante 
suddito  della  repubblica  di  Venezia. 

E  innanzi  tutto  ci  interessa  per  la  persona  del  compratore.  Si 
tratta  del  magnifico  e  generoso  cavaliere  Gaspare  Ambrogio  Vi- 
sconti, figlio  del  quondam  magnifico  cavaliere  Gaspare,  nel  quale 
ravvisiamo  il  poeta,  amico  e  consigliere  di  Lodovico  il  Moro,  l'autore 
del  poema  Di  Paulo  e  Daria  amanti,  con  tanta  dottrina  illustrato, 
su  questo  medesimo  Archivio,  dal  prof.  R.  Renier.  Il  nostro  con- 
tratto si  trova  nell'Archivio  del  Duomo,  insieme  a  parecchi  altri 
documenti  che  forniscono  qualche  dato  rilevante  per  la  vita  di  lui. 
V'è  il  testamento  del  padre  Gaspare,  consigliere  ducale,  figlio  di 
Pietro  altro  consigliere,  il  quale  morì  nel  1462,  lasciando  il  nostro 
ancor  bambino  sotto  la  tutela  della  madre  Margherita  Alzati,  o 
quando  questa  non  volesse  o  non  potesse  accettare,  sotto  quella 
del  proprio  fratello  Giampietro;  quest'  ultimo  assunse  infatti  l'am- 
ministrazione della  sostanza.  V'è  un  curioso  istrumento  originale, 
in  pergamena,  fregiato  in  margine  d'un  elegante  biscione  visconteo, 
rogato  dal  notaio  G.  Antonio  de  Girardis,  consiglier  ducale,  nella 
casa  di  Cicco  Simonetta,  porta  Cumana,  parrocchia  S.  Tommaso 
in  terra  mara  «  in    sala  superiori  sibillarum    »;    istrumento   (1472, 

(i)  Boiro,  //  Duomo  di  Milano,  p.  127.  Cfr.  Annali  'della  Fabbrica  del 
Duomo,  voi.  I,  p.  91. 

(2)  Ne  è  da  sperare  che  molto  dì  più  sia  per  venire  alla  luce.  Il  Motta  ha, 
con  la  sua  diligenza  e  pazienza,  dedicato  anni  di  studio  al  carteggio  sforzesco, 
che,  si  può  dire,  non  ha  più  segreti  per  lui  ;  e  non  v'  ha  trovato  menzione  di 
schiavi  ;  e  pur  quella  sarebbe  stata  la  sede  più  opportuna  per  notizie  di,  questo  genere. 

Ardi.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXI F,  Fase.  VII.  13 


194  VARIETÀ 

IO  aprile),  col  quale  il  primo  segretario  del  duca  e  la  moglie  Elisa- 
betta Visconti,  per  stringere  vie  più  i  legami  d'antica  amicizia  con 
Gian  Pietro  Visconti,  promettono  di  dare  in  isposa  al  nipote  di 
lui,  Ambrogio,  il  nostro  (i),  la  loro  figliuola  Cecilia,  non  appena  i 
due  fanciulli  abbian  raggiunta  l'età  legittima,  e  Giampietro  dal  canto 
suo  solennemente  s'impegna  alla  effettuazione  di  questo  matrimo- 
nio in  tempo  opportuno.  I  patti  furono  in  tutto  osservati.  Vi  sono 
lunghi  atti  di  causa  (1487-1489)  davanti  ad  un  arbitro,  Battista  Vi- 
sconti, tra  Gaspare  Ambrogio  e  i  cugini  Giovanni  e  Filippo,  figli 
d' un  fratello  del  defunto  Gaspare,  i  quali  pretendevano  1'  eredità 
lasciata  dallo  zio  C-iiampietro,  morto  nel  i486  o  poco  prima.  In 
questi  atti  troviamo  la  conferma  di  quanto,  da  fonti  indirette,  aveva 
in  parte  ricavato  il  Renier.  Giampietro  aveva  amministrato  male 
il  patrimonio  del  pupillo,  senza  renderne  mai  conto  e  senza  neppur 
tener  libri:  cosicché  Gaspare  Ambrogio  gli  aveva  intentata  una 
causa  la  quale  stava  per  finire  con  un  compromesso  amichevole, 
quando  lo    zio  venne  a  morte  (2).    Entrato  in    pieno    possesso  del 

(i)  In  questo  documento,  come  pure  nel  testamento  paterno,  è  chiamato 
solo  Ambrogio:  negli  altri  coi  due  nomi.  La  spiegazione  ce  la  dà  il  Morigia,  il 
quale  {Nobiltà  di  Milano,  Milano,  16 19),  dice  che  il  primo  suo  nome  fu  Am- 
brogio e  fu,  per  ordine  del  duca,  chiamato  Gaspare  Ambrogio.  Forse  ciò  volle 
il  duca  per  ricordo  di  Gaspare  antico  amico  e  consigliere  di  casa  Sforza. 

(2)  I  dati  che  mi  forniscono  i  succitati  atti  di  causa  mi  fanno  dubitare  del- 
l'esattezza, su  questo  punto,  dell*alberetto  dato  dal  Litta,  e  riportato  dal  Renier  : 

Pietro 
I 


I  I  I  I  I  I 

Gaspare  Gian  Francesco        Paolo        Gian  Agostino        Lucia        Gian  Pietro 

'  I 

Gaspare  Ambrogio  Gaspare 

Qjai  si  farebbe  Giampietro  padre  d'un  Gaspare,  mentre  negli  atti  si  dice  espli- 
citamente ch'egli  morì  senza  figli  legittimi,  solo  «  relictis  quibusdam  filiabus  », 
il  che  appunto  die  luogo  alla  causa,  pretendendone  i  cugini  l'eredità,  in  vigore 
di  certe  disposizioni  del  testamento  dell'avo.  Quegli  atti  dicono  pure  che  il  vec- 
chio Pietro,  morendo,  lasciò  solo  due  figH,  e  i  figliuoli  di  Gian  Agostino,  altro 
figlio  premortogli.  Ma  gli  altri  dati  dal  Litta  potranno  essere  anch'essi  premorti. 
L'alberello  andrebbe  così  ricostrutto: 

Pietro 
morto  nel  1461 


I  I  I 

Gaspare  Giampietro  Gian  Agostino 

morto  nel  1462  morto  circa  il  i486  premorto 

Gaspare  Ambrogio  1  j  ^ 

morto  1499  Ottino  Giovanni        Filippo 

f  avanti  1487. 


VARIETÀ  195 

proprio  avere  e  di  quello  dello  zio,  che  V  anno  dopo  gli  venne 
conteso  e  dimezzato  dai  cugini,  il  nostro  volle,  si  direbbe,  inaugu- 
rare il  lieto  avvenimento  colla  compera  di  uno  schiavo. 

Ma  allo  schiavo  appunto  ritorniamo.  L'etiope  Dionisio,  prove- 
niente dal  mercato  di  Tunisi  e  venduto  al  Visconti,  è  in  età  di 
quattro  anni  e  rappresenta,  si  può  dire,  un  caso  raro  se  non  unico  : 
il  Lazzari  che  ha  spogliato  gran  numero  di  siffatti  istrumenti  ha 
incontrato  pochissimi  fanciulli  e  nessuno  d'età  inferiore  ai  cinque 
anni.  La  proprietà  di  uno  schiavo  era  sottoposta  alle  norme  e  alle 
vicende  di  qualunque  altra  proprietà  e  per  questo  la  vendita  si 
faceva  con  atti  pubblici  stesi  con  tutte  le  formole  solite  ad  adope- 
rarsi nelle  altre  obbligazioni  civili;  il  nostro  però  sembra  avere 
una  maggiore  solennità  e  maggior  numero  e  ampiezza  di  formole 
che  non  si  riscontri  nei  contratti  molto  semplici  di  Marco  Carelli  e  in 
quelli  esaminati  dal  Lazzari  e  dagli  altri  citati  autori:  la  condizione 
servile  del  fanciullo  è  attestata  con  giuramento  del  venditore,  sul 
Vangelo,  e  quasi  saremmo  tentati  di  supporre  che,  per  non  essere 
tali  contratti  comuni  in  Milano  come  in  quelle  città,  il  compratore 
abbia  voluto  con  un  istrumento  solennissimo  e  in  tutto  perfetto, 
guarentirsi  contro  ogni  pericolo  d' illegalità,  tanto  più  che,  come 
abbiam  detto,  il  «  ius  servile  »  non  è  contemplato  nella  giurisdi- 
zione milanese.  E  per  questo  è  notevole  la  clausola:  «  eo  acto  et 
«  pacto  specialiter  posito  et  solempni  stipulatione  interveniente 
«  vallato  et  firmato  videlicet:  quod  si  occasione  presentis  vendi- 
a  tionis  ullo  tempore  agi  vel  causari  contigerit,  possit  dictus  ven- 
'i  ditor  semper  die  loco  et  ubique  et  sub  quibuslibet  dominis 
«  jusdicentibus  vicario  et  auditore,  nedum  dominii  venetorum  sed 
.'  etiam  dominii  ducis  mediolani  et  alibi  personaliter  conveniri  capi 
.*  et  detineri  licet  ibi  non  esset  eius  proprium  domicilium  »  :  con 
che,  direi,  si  voleva  mettere  il  contratto  anche  sotto  la  tutela  del 
diritto  comune  milanese:  e  in  ciò  avremmo  la  prova  che,  se  per 
gli  schiavi  non  erano  in  Milano  leggi  speciali,  si  riconoscevano  e 
si  rispettavano  in  tal  materia  quelle  degli  altri  paesi,  e  legittimo  se 
ne  riteneva  il  commercio. 

Ettore  Verga. 


(i)  La  sentenza  arbitrale  decise  che  della  sostanza  di  Giampietro  una  metà 
spettasse  a  Gaspare  Ambrogio,  l' altra  ai  due  cugini.  Continuarono  sembra  le 
molestie,  ma  intervenne  nientemeno  che  un  breve  d'Innocenzo  Vili  (1492) 
contro  gli  occupatori  illegittimi  dei  beni  del  Nostro  (Archivio  del  Duomo, 
oc.  cit.). 


L 


196  VARIETÀ 


DOCUMENTO 


Archivio  della  Fabbrica  del  Duomo,  VII,  18,  fase.  49,  n.  2. 

In  nomine  Domini,  anno  a  nativitate  eiusdem  millesimo  quadrin- 
gentesimo  octuagesimo  sexto,  indictione  quinta,  die  lune  secundo  mensis 
octobris.  Dominus  Johannes  de  Drivalis,  filius  domini  Steffani,  negotiator 
et  exercens  merchantiam  per  se  et  separatim  a  dicto  eius  patre,  prout 
ad  petitionem  instantiam  et  requisitionem  mei  notarii  infrascripti  per- 
sone publice  presentis  stipularìtis  et  recipientis  nomine  et  vice  et  ad 
partem  et  utilitatem  cuiuslibet  persone  cuy  interest  vel  interesse  po- 
test  vel  poterit  quomodolibet  in  futurum,  dixit  et  protestatus  fuit  et 
dicit  et  protestatur,  habitans  in  civitate  Brissie  dominii  venetorum,  fecit 
et  facit  venditionem  et  datum  ad  proprium  liberam  francham  et  abso. 
lutam  ab  omni  onere  condictione  vel  servitale  alicui  debendis  prestandi? 
seu  etiam  sustinendis,  magnifico  et  generoso  militi  Domino  Gaspari  Am- 
brosio Vicecomiti  filio  qnondam  magnifici  militis  Domini  Gasparis,  porte 
Verceline,  parochie  sancti  Johannis  supra  murum  Mediolani,  ibi  presenti 
stipulanti  et  recipienti  et  ementi,  nominative  de  infante  uno  ethyope 
etatis  annorum  quatuor  vel  circha,  nuncupato  Dionisio,  servo,  per  ipsum 
venditorem  alias  empto  in  partibus  Barbarie,  videlicet  in  civitate  Tunesi, 
prout  etiam  dictus  venditor  eius  proprio  juramento  jurando  ad  sancta 
dei  evangelia,  manu  corporaliter  tactis  scripturis,  in  manibus  mei  notarii 
infrascripti  persone  publice  stipulantis  et  ut  supra  ac  predicturn  jura- 
mentum  defferentis,  juravit  ipsum  Dionisium  ethyopem  infantem  esse 
servum  et  per  eum  venditorem  alias  emptum  ut  supra  et  prout  supra. 
Item  de  omnibus  et  singulis  juribus  utilitatibus  commoditatibus  et  ven- 
dicationibus  quocumque  modo  et  jure  ipsi  venditori  conipetentibus  per- 
tinentibus  et  spectantibus  super  persona  dicti  infantis  servi  et  eius  causa 
et  occaxione:  eo  tenore  quod  de  cetero  prefatus  magnificus  dominus 
emptor,  cum  suis  heredibus  et  sucessoribus  et  cui  vel  quibus  dederit, 
habeat  teneat  gaudeat  et  possideat  vel  quasi  dictum  servum  ut  supra 
venditum  et  de  eo  faciat  disponat  et  facere  et  disponere  possit  et  va 
leat  quidquid  voluerit  et  sibi  placuerit  absque  dicti  venditoris  vel  cuiusli- 
bet alterius  persone  contradictione.  Cedendo,  dando  atque  mandando, 
et  cedit  dat  atque  mandat,  predictus  venditor  prefato  magnifico  domino 
emptori  presenti  et  stipulanti  omnia  sua  jura  omnesque  actiones  et 
rationes  exceptiones  replicationes  retentiones  vendicationes  usus  et 
deffensiones  utilles  et  directas,  reales  et  personales,  mixtas  atque  ypo- 
techarias,  et  quecumque  jura  ipsi  venditori  in  et  super  persona  dicti 
servi  et  eius  causa  et  occaxione  quomodocumque  et  qualitercumque 
competentes  pertinentes  et  spectantes  et  competìtura  vel   competituras 


VARIETÀ  197 

quavis  causa  vel  occaxione.  Et  hoc  centra  et  adversus  datores  suos  et 
datores  datorum  suorum  et  eorum  et  cuiuslibet  eorum  datores  et  fideius- 
sores  et  quemlibet  eorum  in  solidum,  et  centra  eorum  et  cuiuslibet  et 
alterius  eorum  heredes  res  bona  et  jura  ac  bonorum  rerum  et  jurium 
eorum  detentores  vel  possessores:  et  contra  quascumque  alias  personas 
et  res  prò  predictis  obligatas  et  eorum  causa  et  occaxione.  Et  etiam 
contra  quamcumque  personam  que  jus  aliquod,  tam  libertatis  quam  ser- 
vitutis,  haberet  vel  habere  pretenderet  in  aut  super  persona  dicti  servi 
venditi  ut  supra  et  eius  causa  vel  occaxione.  Ita  ut,  vigore  presentis 
contractus,  prefatus  dominus  emptor  ubique  et  omni  tempore  eum  ser- 
vum  venditum  ut  supra  a  quibuscumque  personis,  jus  in  aut  super  eo 
quovis  modo  habere  pretendentibus,  vendicare  possit  et  repetere.  Et 
volens  dictus  Johannes  venditor  transferre  dare  et  relinquere  plenum 
dominium  et  plenam  possessionem  vel  quasi  predicti  servi  venditi  ut 
supra  in  prefatum  magnificum  dominum  emptorem  presentem  et  stipu- 
lantem,  constituit  se  tenere  et  possidere  vel  quasi  dictum  infantem  ser- 
vum  venditum  ut  supra  nomine  prefati  magnifici  domini  emptoris  et 
prò  eo  donec  possessionem  et  eius  tenutam  acceperit,  volens  dictus 
venditor  suo  ministerio  facere  et  constituere  prefatum  dominum  empto- 
rem, presentem  et  stipulantem,  verum  possessorem  et  dominum  predicti 
servi  venditi  ut  supra,  cui  dominio  et  possessioni  vel  quasi  dictus  ven- 
ditor renunciavit  et  renunciat  et  in  ipsum  dominum  emptorem,  presentem 
et  stipulantem,  transtulit  deseruit  et  dereliquit,  ipsumque  dominum 
emptorem,  per  omnia  et  modis  omnibus,  in  eius  locum  jus  et  statum 
posuit  et  ponit  eum  dominum  emptorem  faciens  et  constituens  missum 
et  procuratorem  in  rem  suam  ita  ut  per  omnia  et  modis  omnibus  in 
eius  venditoris  locum  jus  et  statum  sit  et  sucedat  respectu  dicti  servi 
venditi  ut  supra  et  prout  supra.  Dans  tradens  et  dimiitens  ex  nunc  dictus 
venditor  predictum  servum  venditum  ut  supra  in  domo  habitationis 
prefati  magnifici  domini  emptoris  et  eidem  Magnifico  domino  emptori 
presenti  et  acceptanti  ad  hoc  ut  corporalem  possessionem  et  tenutam 
ipsius  servi  venditi  ut  supra,  habeat  et  habere  possit  sua  auctoritate 
propria  et  etiam  absque  alia  judiciaria  auctoritate.  Quare  dictus  D/  Johan- 
nes venditor  promisit  obligando  proinde  se  et  omnia  sua  bona  presentia 
et  futura  pigneri  prefato  mag.co  domino  emptori  presenti  et  stipulanti 
quod  semper  et  omni  tempore  deffendet  auctorizabit  guarentabit  disbri- 
gabit  eumque  servum  venditum  ut  supra  ipsi  magnifico  domino  emptori 
presenti  et  stipulanti  et  prò  eius  domini  emptori  servo  tradet  et  manu- 
tenebit  et  hoc  ab  omnibus  et  singulis  persona  personis  comuni  collegio 
capitulo  et  universitate  et  a  qualibet  singulari  persona  et  a  qualibet 
obligatione  dominii  et  ipotece.  In  forma  comuni  et  juris  et  secundum 
jus  et  prout  de  jure  quilibet  verus  venditor  vero  tenetur  emptori.  Et 
item  quod  exonerabit  et  indempnem  prestabit  et  conservabit  prefatum 
magnificum  emptorem  presentem  et  stipulantem  et  dictum  servum  ven- 
ditum ut  supra  ab  omnibus  et  singulis  oneribus  et  impositionibus  et  a 
qualibet  vendicatione  et  etiam  a  qualibet  revocatione  in  libertatem  que 


198  VARIETÀ 

vellet  vel  posset  aliqualiter  fieri  de  dicto  servo  vendite  ut  s.  per  quem- 
cumque  personam  et  ut  s.  Et  quod  ponet  et  inducet  positumque  et  in- 
ductum  manutenebit  et  deffendet  prefatum  Mag um  Dm  emptorem  pre- 
sentem  et  stipulantem  ad  corporalem  possessionem  et  tenutam  seu  quasi 
predicti  servi  venditi  ut  s.  et  prout  s.  eum  servum  dans  ex  nunc  tra- 
densque  prefato  magnifico  domino  emptori  in  eius  domo  habitationis  ut  s. 
dimittens. 

Et  quod  faciet  attendet  observabit  adimplebit  et  executioni  mandabit 
versus  ipsum  prefatum  dominum  emptorem  omnia  singula  ea  que  debet 
et  ad  que  tenetur  de  jure  et  ex  natura  iiuiusmodi  contractus,  et  hec 
omnia  suis  venditoris  propriis  expensis  dampnis  et  interesse  et  sine 
expensis  dampnis  vel  interesse  prefati  D.n»  emptoris  quas  et  que  ei 
D.no  emptori  presenti  et  stipulanti  in  omnem  casum  et  eventum  resti- 
tuere  promisit  et  promittit  obligando  proinde  se  ut  s.  et  prout  s.  Quam 
quidem  venditionem  et  datum  et  predicta  omnia  et  singula  fecit  et  facit 
dictus  D.s  Johannes  venditor  prefato  M.co  D.no  emptori  presenti  et  sti- 
pulanti prò  precio  et  merchato  ducatorum  quatuordecem  auri  et  in  auro 
valoris  ad  computum  librarum  quatuor  et  solidorum  undecem  imperia- 
lium  prò  quolibet  ducato  monete  mediolani.  Quos  quidem  ducatos  qua» 
tuordecem  suprascripti  valoris  dictus  venditor  fuit  contentus  et  confessus 
habuisse  et  recepisse  ac  ibiJem  presentialiter  realiter  et  vere  habuit  et 
recepit  a  prefato  M.co  D.no  emptore  presente  et  stipulante  ac  dante  et 
solvente  prò  piena  et  completa  solucione  et  integra  satisfacione  precii 
et  valoris  suprascripti  Dionisii  infantis  servi  venditi  ut  s.  et  omnium 
et  singulorum  predictorum. 

Reservando  exceptionem  dictus  venditor  non  exceptorum  et  non 
habitorum  predictorum  denarioram  prò  pieno  et  completa  solutione  ut 
s.  et  spei  future  receptionis  et  habitionis  et  non  facti  et  non  celebrati 
huiusmodi  instrumenti  sic  et  taliter  ut  s.  et  predictorum  et  infrascripto- 
rum  omnium  et  singulorum  non  ita  actorum  et  factorum  omnique  pro- 
batione  et  deifensione  in  contrarium.  Et  quod  non  possit  dicere  opponere 
nec  allegare  se  deceptum  aut  lesum  fore  in  dimidia  vel  ultra  dimidiam 
Justi  et  veri  valoris  et  pretii  predicti  servi.  Et  eum  servum  fore  fuisse 
aut  esse  majoris  precii  vel  valoris  precio  suprascripto.  Quod  si  forte 
reperiretur  tunc  et  eo  casu  et  ex  nunc  prout  ex  tunc  ex  tunc  prout  ex 
nunc  idem  venditor  fecit  et  facit  eidem  M.co  D.no  emptori  presenti  et 
stipulanti  confessionem  liberationem  quietantiam  absolutionem  remis- 
sionem  et  pactum  perpetuum  de  non  petendo  et  ulterius  non  agendo 
ac  donationem  et  per  viam  transactionis  de  toto  ilio  pluri  et  superfluo 
precii  et  valoris  suprascripti  servi  venditi  remittens  ex  nunc  idem  ven- 
ditor eidem  d.no  emptori  presenti  et  stipulanti  illud  superfluum  et  plus 
precium  precio  suprascripto  etiam  si  foret  in  magna  et  in  maxima 
quantitate  certificatus  ut  dixit  de  vero  valore  et  precio  predicti  sèrvi 
superius  venditi.  Que  omnia  et  singula  facta  fuerunt  sunt  et  fiunt  eo 
acto  et  pacto  specialiter  apposito  et  solempni  stipulatione  vallato  et 
firmato  videlicet:    quod  si    occaxione  presentis    venditionis  vel  conten- 


VARIETÀ  199 

torum  in  eo  uUo  tempore  agi  vel  causari  contigerit  possit  dictus  ven- 
ditor  semper  et  omni  tempore  die  loco  et  ubique  et  sub  quibuslibet 
dominis  jusdicentibus  vicario  et  auditore  nedum  dominii  venetorum 
sed  etiam  dominii  ducis  mediolani  et  etiam  alibi  realiter  et  personaliter 
conveniri  capi  et  detineri,  licet  ibi  non  esset  eius  proprium  domicilium 
non  obstantibus  aliquibus  feriis  nec  dilationibus  causarum  nec  aliquo 
interdicto  eorum.  Reservando  ex  certa  scientia  sui  fori  privillegio  et 
omnibus  statutis  decretis  provixionibus  ordinibus  et  legibus  dominationis 
venetorum  et  omni  jure  quo  seu  quibus  se  thueri  vel  juvare  aut  exceptio- 
nem  declinatoriam  fori  et  cuiuslibet  alterius  generis  opponere  posset. 
Pro  quibus  omnibus  et  singulis  per  eum  venditorem  firmiter  attendendis 
observandis  admittendis  et  executioni  mandandis  idem  venditor  con- 
stituit  se  tenere  et  possidere  vel  quasi  omnia  sua  bona  presentia  et 
futura  nomine  prefati  M.co  D.no  emptoris  et  prò  eo.  Ita  quod  casu  pe- 
tendi  seu  agendi  adveniente  liceat  et  licitum  sit  prefato  m.co  d.no  emptori 
per  se  vel  alium  vel  alios  eius  nomine  et  prò  eo.  Et  possit  eius  propria 
auctoritate  et  etiam  absque  judiciaria  auctoritate  et  sine  servit[ore?] 
banno  vel  nuntio  aliquo  et  cum  eis  ubicumque  invenerit  de  bonis  et 
rebus  predicti  venditoris  ea  bona  et  eas  res  robare  contestare  saxire 
sequestrare  occupare  capere  detinere  possessionem  intrare  vendere  et 
alienare  sibi  estimari  facere  in  solutum  accipere  et  retinere  usque  ad 
plenam  et  completam  solutionem  et  integram  satisfactionem  omnium 
predictorum  et  totius  eius  prò  quo  agi  vel  causari  contigerit  et  expen- 
sarum  dampnorum  et  interesse  littis  et  extra.  Reservando  omni  accu- 
sationi  et  denunciationi  quam  proinde  dare  vel  facere  posset, 

Actum  in  domo  habitationis  prefati  Mag.ci  D.ni  Gasparis  Ambrosii 
emptoris  sita  ut  s.  presentibus  prò  notariis  Zanino  de  Turre  filio  D.ni 
Antonii  Porte  Verceline  parocchie  S.  Petri  intus  vineam  et  Baptista  de 
Capitaneis  filio  D.ni  Antonii  Porte  Verceline  parochie  S.  Petri  supra 
dossum,  ambobus  Mediolani  notariis.  Interfuerunt  ibi  testes  D.s  Ambro- 
sius  de  Mantegatiis  filius  quondam  D.ni  Donati  Porte  Cumane  parochie 
S.  Simpliziani  Mediolani  notarius,  Johannes  dictus  passaretus  de  Ma- 
zuchelis  fihus  quondam  D.ni  Donati  habitans  in  terra  Cassani  Magnaghi 
plebis  Gallarate  ducatus  Mediolani  et  Blasius  de  Bernis  filius  quondam 
Paulini  porte  Cumane  parochie  S.cti  Simpliciani  Mediolani  omnes  idonei 
vocati  et  rogati. 

Ego  Johannes  Antonius  de  Blanchis  filius  D.ni  Johannis  porte  Ro- 
mane parochie  S.  Andree  ad  murum  ruptum  Mediolani  publicus  im- 
periali auctoritate  notarius  presens  instrumentum  rogatus  tradidi  et 
subscripsi. 


BIBLIOGRAFIA 


Ignaz  Philipp  Dengel,  Die  politische  und  kirchliche  Tàtigkeit  des  mon- 
signor Josef  Garampi  in  Deutschland  [lyói-ijój],  Geheime  Sendtmg 
zum  geplanter  Friedenscongress  in  Augsburg  und  Visitation  des 
Reichsstiftes  Salem,  Rom,  Verlag  von  Loescher  &  C.  (Bretschneider 
&  Regenberg)  1905,  Druckerei  des  Kg].  Senats  (Forzani  &  C),  pa- 
gine X-196. 

Il  dott.  I.  F.  Dengel  è,  per  chi  non  lo  sapesse,  altro  dei  membri 
deir  Istituto  storico  austriaco  in  Roma  e  con  gratitudine  che  lo  onora 
si  riconosce  discepolo  di  quegli  insigni  uomini  che  rispondono  ai  nomi 
di  T.  von  Sickel  e  L.  Pastor,  benemeriti  quanto  illustri  direttori  di  que- 
r  Istituto.  Il  libro  fa  onore  alla  ditta,  diciamo  così,  scientifica,  e  rende 
lusinghiera  testimonianza  alle  egregie  doti  ed  al  buon  metodo  dell'au- 
tore, che  ha  del  resto  già  dato  qualche  saggio  di  sé,  notantemente 
nelle  Comunicazioni  {Mittheilungen)  del  sullodato  Istituto,  per  incarico 
del  quale  egli  da  anni  lavora  nel  vasto  campo  delle  nunziature  di  Ger- 
mania. Dice  egli  stesso  (p.  vi)  che  il  presente  lavoro  non  è  che  un  ri- 
taglio nel  materiale  raccolto  in  parecchi  anni  di  ricerche. 

Si  direbbe  che  la  figura  del  Garampi  riaffacciandoghsi  dai  tanti  do- 
cumenti compulsati  ha  esercitato  suU'A.  quei  sentimenti  di  simpatia  e 
di  ammirazione  ch'ebbe  già  ad  esercitare  sui  contemporanei.  È  infatti 
una  figura  del  più  alto  e  svariato  interesse.  Gentiluomo,  sacerdote,  bi- 
bliotecario della  patria  Gambalunghiana  di  Rimini,  in  relazione  coi  più 
rinomati  dotti  del  suo  tempo,  dotto  egli  stesso,  massime  nelle  storiche 
discipline,  ammirato  conferenziere  in  Roma,  prefetto  degli  Archivi  va- 
ticani e  loro  infaticabile  e  in  eterno  benemerito  ordinatore  e  scheda- 
tore, autore  di  dotte  memorie  e  ideatore  operoso  di  una  delle  più  co- 
lossali opere  storiche,  V  Or  bis  christianus,  agente  diplomatico  e  nunzio 
pontificio,  arcivescovo  e  cardinale,  il  Garampi  potrebbe  ben  essere  il 
degno  soggetto  di  una  grande  e  bella  monografia;  e  nessuno  sarebbe 
preparato  a  darcela  meglio  dell'A.  che  già  del  Garampi  e  di  certe  sue 
eccellenti  idee  sulla  Vaticana  si  occupava  nelle  accennate  Mittheilungen 
(XXV,  pp.  297-322),  ed  ora  (p.  8)  promette  come  vicino  a  comparire  un 
altro  lavoro  dal  titolo  Garampi  ed  il  suo  Or  bis  christianus.  Intanto 
nella  presente  pubblicazione  l'A.  coglie  e  studia  il  Garampi  in  quello  che 


BIBLIOGRAFIA  20I 

può  ben  dirsi  essere  stato  per  lui  lo  stadio  di  transizione  dalla  carriera 
scientifica  alla  carriera  diplomatica. 

Nell'anno  1761,  cessata  finalmente  la  guerra  dei  sette  anni,  si  li- 
brava nel  cielo  diplomatico  d'Europa  il  progetto  di  un  congresso  ge- 
nerale per  la  pace  da  tenersi,  dicevasi,  in  Augsburg.  Era  giusto  e  na- 
turale che  la  santa  sede  pensasse  a  non  rimanere  estranea  all'  impor- 
tante convegno,  edotta  da  troppo  lunga  e  dolorosa  esperienza  dei  già 
tanti  congressi  precedenti  come  i  sovrani  congressisti  avessero  ormai 
presa  l'abitudine  di  toccare  e  manomettere,  coi  diritti  e  gli  interessi  dei 
principi  minori,  i  diritti  e  gli  interessi  della  Chiesa.  Ma  dopo  il  congresso 
di  Nimega  (1676  1679)  alla  santa  sede  non  era  più  riuscito  di  farsi  rap- 
presentare a'  congressi  succedutisi  a  Utrecht  (1713),  a  Rastatt  e  Baden 
(1714)  ecc.  da  un  vero  e  proprio  nunzio,  con  carattere  diplomatico  uf- 
ficialmente riconosciuto,  ed  aveva  dovuto  accontentarsi  di  agenti  se- 
greti, o  come  dicevasi,  "  ministri  senza  carattere  „,  che  sorvegliassero 
da  vicino  le  sovrane  adunanze  e  occorrendo  sporgessero  senza  dilazione 
le  opportune  rimostranze  e  proteste.  Anche  nel  1761,  tornate  vane  le 
pratiche  per  avere  ad  Augsburg  un  nunzio,  si  dovette  pensare  ad  un 
"  ministro  senza  carattere  „,  e  la  scelta  cadde  sul  Garampi.  Gli  ante- 
fatti e  i  precedenti  storici  di  questa  scelta,  sia  riguardanti  i  meriti  per- 
sonali del  Garampi  che  l'andamento  generale  degli  avvenimenti,  sono 
dall'A.  raccolti  ed  esposti  con  brevità  e  chiarezza  del  pari  commen- 
devoli.  E  com'egli,  pur  tenendo  conto  delle  cose  pubblicate,  lavora  di 
prima  mano  e  miete  nel  vivo  dei  documenti  da  lui  stesso  veduti  e  stu- 
diati (le  ricche  note  e  l'appendice  lo  attestano)  così  gli  avviene  e  di  accre- 
scere nuovo  interesse  alle  cose  già  note,  e  di  aggiungerne  di  nuove  affatto,, 
segnatamente  intorno  allo  sviluppo  delle  nunziature  e  missioni  diploma- 
tiche della  santa  sede.  Notevole,  tra  le  altre  cose,  l' istruzione  segreta  di 
Clemente  XIII  ai  nunzi  di  Parigi  e  di  Vienna  (pp.  17-23);  istruzione  che 
doveva  formare  il  fondo  di  quella  colla  quale  partiva  per  la  sua  mis- 
sione il  Garampi  e  della  quale  a  lui  stesso  veniva  affidata  la  redazione 
(p.  32).  Coir  incarico  principale  relativo  al  congresso  altri  secondari  ve- 
nivano affidati  al  Garampi  riguardanti  interessi  diversi  e  diversi  luoghi.^ 
Questa  circostanza  con  l'altra  che  le  pratiche  pel  progettato  congresso  si 
protrassero  per  ben  due  anni,  fecero  della  missione  del  Garampi  una  co- 
tale nunziatura  volante,  che  gli  diede  occasione  e  modo  di  moltiplicare 
con  la  sua  attività  le  sue  relazioni  e  la  sua  esperienza  intorno  alle  cose 
ed  alle  persone  d'oltralpe.  Il  congresso  andò  in  fumo,  come  si  sa,  e 
gli  altri  incarichi  vennero  dal  Garampi  sbrigati  con  varia  fortuna,  come 
VA.  espone;  ma  grande,  fu  il  vantaggio  che  da  quella  missione  trasse 
la  santa  sede,  grazie  alle  simpatie  dovunque  destate  dalle  eminenti 
qualità  del  suo  agente,  alle  benefiche  influenze  da  lui  esercitate  ed  alle 
preziose  informazioni  da  lui  trasmesse. 

Ma  bisognava  pure  che  l'agente  tenesse  la  sua  abituale  dimora,  se 
non  nel  luogo  stesso  del  congresso,  almeno  nelle  vicinanze,  e  bisognava 
anche  un    manifesto    motivo  che   la    giustificasse    in  faccia    al  pubblico. 


202  BIBLIOGRAFIA 

Venne  in  acconcio  un  grosso  affare  disciplinare  e  giurisdizionale  che 
appunto  in  quel  tempo  svolgevasi  in  una  delle  più  illustri  e  potenti  ab- 
bazie cisterciesi  dell'  impero,  V  imperiale,  esente,  consistoriale  abbazia 
di  Salem  o  Salmansweiler  immediatamente  soggetta  alla  sede  aposto- 
lica e  sita  nella  diocesi  di  Costanza  con  molte  dipendenze  al  di  fuori.  Il 
Garampi  vi  fu  inviato  visitatore  apostolico  ;  questa  missione  doveva  ser- 
vire di  velo  all'altra,  e  lo  svolgimento  di  essa  forma  il  soggetto  della  se- 
conda parte  del  libro  (pp.  87-184).  L'interesse  ne  è  necessariamente  più  limi- 
tato ;  ma  pur  notevole,  e  perchè  cosa  quasi  affatto  nuova  e  per  le  copiose 
e  minute  notizie  che  fornisce  sulla  vita  interna  di  una  grande  casa  reli- 
giosa nel  sec.  XVIII,  sulle  relazioni  tra  casa  e  casa  e  col  mondo  esterno.  E 
qui  l'opera  del  Garampi  riusciva  pienamente  all'  intento  di  pacificazione 
e  di  riordinamento,  così  da  meritare  che  nell'obituario  di  Salem  il  cenno 
introdottovi  a  commemorazione  del  visitatore  apostolico  si  chiudesse 
con  le  parole  :  "  aeterna  Salemitanorum  memoria  dignissimus  „. 

Quello  che  dell'una  e  dell'altra  missione  del  Garampi  risulta  meglio 
che  ogni  altra  cosa  e  che  si  impone  come  conclusione  altrettanto  in  sé 
luminosa  che  per  lui  onorifica,  è  il  complesso  profondamente  simpatico 
delle  qualità  affatto  superiori  di  mente  e  di  cuore  che  lo  adornavano  a 
dovizia.  Ingegno  pronto  e  versatile,  aperto  ad  ogni  luce  di  vero  da  qua- 
lunque parte  venisse,  sempre  avido  di  viemeglio  istruirsi  e  che  in  mezzo 
alle  brighe  degli  affari  non  mai  dimentica  la  ricerca  dei  libri  e  dei  ma- 
noscritti ;  ai  quali  tutti  i  momenti  di  tregua  sono  diligentemente  dedi- 
cati, per  vedere  i  quali  l'agente-visitatore  intraprende  rapide  escursioni, 
dei  quali  fa  larghi  acquisti,  per  arricchirne  la  privata  biblioteca  che  la- 
scerà ricchissima  ;  proclamando  a  voce  ed  in  iscritto,  nelle  confidenziali 
corrispondenze  e  nelle  stesse  relazioni  d'  ufficio,  l'  urgente  bisogno  di 
promuovere  ed  accrescere  l'istruzione  e  la  cultura  del  clero  italiano, 
quale  mezzo  indispensabile  per  metterlo  alla  portata  delle  mutate  cir- 
costanze de'  tempi.  E  quanto  splendide  le  doti  della  mente  altrettanto 
amabili  e  preziose  quelle  della  volontà.  Coscienza  e  zelo  del  dovere  a 
tutta  prova,  un  altissimo  sentimento  di  responsabilità  verso  l'autorità 
ed  i  grandi  interessi  rappresentati,  una  vita  sacerdotale  in  tutto  esem- 
plare, una  perfetta  integrità  di  carattere,  e  con  questo  una  prudenza 
consumata,  un  tatto  finissimo,  uno  spirito  di  pazienza,  di  longanimità 
e  di  conciliazione  veramente  ammirabile,  un  insieme  insomma  da  far 
sembrare  per  nulla  esagerato,  benché  sulla  penna  di  un  amico,  l'elogio 
che  il  Garampi  giunto  al  vertice  della  sua  carriera  proclamava  "  il  mo- 
"  dello  perfetto  di  quegli  antichi  legati  apostolici  che  hanno  fatto  tanto 
"  onore  e  tanto  bene  alla  santa  sede  „. 

Manca,  se  ben  vedo,  alcun- poco  il  libro  di  unità  organica  e  di  omo- 
geneità. Sarebbe  anche  stato  meglio,  a  mio  avviso,  riunire  in  una  sola 
sede  ed  ip  un  solo  contesto  le  notizie  sulla  vita  del  Garampi  prima  e 
dopo  la  duplice  missione  che  é  oggetto  del  libro,  invece  di  dividerle  come 
fa  l'A.  L'ombra  del  buon  Moroni,  che  si  lusingava  di  avere  col  suo  fa- 
moso Dizionario  supplito  al  mancato  Oròis  christianus  del  Garampi,  mi 


BIBLIOGRAFIA  203 

sarà  propizia  se  aggiungo,  che  il  suo  articolo  sul  Garampi  stesso  meri- 
tava almeno  un  fuggitivo  cenno.  Aggiungerò  anche  che  il  nunzio  Stop- 
pani  è  sempre  stampato  per  errore  Stoppiani  ;  ma  poi  concluderò  col 
dire,  come  è  giusto  e  doveroso,  che  il  libro  è  bello  e  buono,  due  pa- 
role che  quant*  a  sostanza  dicono  tutto  :  e  appunto  per  questo  "  parole 
^'  non  ci  appulcro  „. 

A.  Ratti. 


CoMTE  DE  HuBNER,  Neuf  ans  de  souvenirs  ifiin  ambassadeur  d^Aulriche 
à  Paris  sous  le  second  Empire  (iSji-iSsgi)  publiés  par  son  fils  le 
comte  Alexandre  de  Hiibner,  Paris,  Plon,  1904,  pp.  iv-474. 

Alcuni  milanesi  ancora  viventi  hanno  conosciuto  personalmente  il 
celebre  ambasciatore  austriaco.  Questi  ebbe  qui  nelle  cinque  giornate 
una  poco  piacevole  avventura  e  con  molto  brio  e  non  minore  maHzia, 
narrò  la  prigionia  che  gli  facemmo  allora  soffrire,  nella  prima  parte 
del  suo  interessante  volume:  "Un  anno  della  mia  vita  „.  Il  frammento 
autobiografico,  che  lumeggia  con  tanto  calore  la  resistenza  e  la  rivin- 
cita del  vecchio  mondo  austriaco  burocratico-militare,  si  chiude  con  un 
colloquio  del  giovine  diplomatico  col  principe  Felice  di  Schwarzenberg. 
L'insigne  uomo  di  stato,  compiuto  ormai  il  mirabile  sforzo  di  trarre  in 
salvo  intatta  la  monarchia  dai  flutti  che  sembrava  dovessero  sommer- 
gerla, considerava  con  occhio  vigile  lo  stato  dell'Europa.  Ben  compren- 
deva lo  Schwarzenberg  che  né  il  vigore  contenuto  delle  sue  risoluzioni 
nel  ridare  un  assetto  allo  stato,  né  la  spada  inflessibile  e  cruenta  di 
Radetzky  e  di  Windischgràtz  e  neppure  la  poesia  di  quell'alba  d'im- 
pero che  sorgeva  così  tempestosa  per  un  capo  così  giovanile,  avrebbero 
concesso  di  opporre  durevolmente  l'Austria  all'  Europa  intera,  L' affi- 
darsi solo  al  potente  alleato  moscovita,  che  fiaccava  appunto  allora  gli 
eroici  conati  degli  ungheresi,  avrebbe  condotto  allo  stabilimento  d'una 
dittatura  russa  a  Vienna,  della  quale  si  scorgevano  già  fin  troppo  i 
prodromi.  Come  la  politica  del  principe  Clemente  tuttora  esule  e  per 
sempre  spodestato,  quella  dei  reggitori  dell'Austria  rinascente  ritornava 
a  mirare  ad  una  alleanza  colle  potenze  occidentali.  La  rivoluzione 
francese  colle  sue  propaggini  tenaci  e  svariate,  diffuse  nei  Paesi  Bassi, 
in  Ispagna,  sul  Reno,  in  Italia,  era  l' idra  che  terrorizzava  da  mezzo 
secolo  la  cancelleria  viennese.  Per  impedire  a  così  terribile  nemico  il 
predominio  costante  sulle  genti  latine  e  minarne  1'  alleanza  minacciata 
qua  e  là  col  liberalesimo  britannico,  occorreva  annodare  i  gabinetti  oc- 
cidentali in  una  trama  tessuta  a  Vienna.  Il  patto  suggerito  dalle  con- 
dizioni dell'Europa,  era  stato  stretto  già  nel  14,  auspice  il  principe  di 
Talleyrand.  E  testé  ancora,  alla  vigilia  del  24  febbraio,  Guizot,  il  mini- 
stro del  re  illegittimo,  ed  il  principe  di  Metternich,  campione  dell'  as- 
solutismo più  austero,  non  camminavano  di  conserva?...  L'intelligente 
barone    di  Hiibner    era  fra    i  giovani   diplomatici    uno  fra    i    più  fidi  e 


204  BIBLIOGRAFIA 

perspicaci  discepoli  del  principe  di  Schwarzenberg;  mandandolo  quindi 
a  Parigi,  il  primo  ministro  poteva  a  buon  diritto  lusingarsi  di  vedervi 
fedelmente  seguito  l' indirizzo  che  reputava  vantaggioso  per  la  monar- 
chia austriaca.  L'armonia  era  perfetta  allora  tra  il  ministro  ed  il  suo 
inviato.  Durante  tutto  il  1851  Htibner  assistette  quindi  fermo  e  calmo 
allo  svolgersi  della  lotta  in  Francia  fra  l'assemblea  ed  il  principe  pre- 
sidente. 

/  Ricordi  ci  offrono  anzi  un  racconto  assolutamente  sincrono  e 
molto  animato  del  colpo  di  stato  del  2  dicembre.  Guidata  da  così  esperto 
pilota,  la  cancelleria  austriaca  che  ritornava  ad  avere  il  vento  in  poppa, 
poteva  guardare  senza  timore  anche  alla  costituzione  del  nuovo  impero 
napoleonico  ed  alla  sua  ripercussione  sui  rapporti  internazionali.  Ma 
il  5  aprile  Felice  di  Schwarzenberg  soccombeva  ad  un  attacco  apople- 
tico,  e  nel  suo  successore  al  ministero  degli  affari  esteri,  il  conte  Buol^ 
l'Hubner  s'accorse  subito  di  avere  un  corrispondente  meno  benevolo 
e  sovratutto  meno  all'  unisono  con  lui  nel  propugnare  1'  alleanza  con 
Napoleone  III.  Il  confronto  fra  i  due  ministri  austriaci  di  diverso  valore 
viene  continuamente  alle  labbra  del  povero  Hubner,  al  quale  Buoi,  so- 
spinto a  sua  volta  dai  gruppi  russofili  e  militaristi  di  Vienna,  rende  la 
vita  amara.  Anche  agli  osservatori  imparziali  che  considerano  da  lon- 
tano quegU  eventi,  sembra  come  all'  ambasciatore  austriaco  a  Parigi 
una  strana  follia  il  porre  in  gioco  la  pace  continentale  per  delle  sotti- 
gliezze nelle  formule  di  riconoscimento  dell'assunzione  di  Napoleone  III 
al  trono.  Uscita,  bene  o  male,  da  quelle  strette,  la  cancelleria  austriaca 
si  trovò  alle  prese  colla  questione  d'Oriente  ogni  giorno  più  minacciosa. 
Resistendo  alla  pressione  degli  amici  della  Russia  che  aveva  in  casa, 
l'Austria  appoggiò  le  potenze  occidentali  nella  loro  azione  energica 
contro  il  dilagare  del  dominio  moscovita.  Ma,  con  un  difficile  e  perico- 
loso giuoco  da  equilibrista  e  traendo  partito  delle  oscillazioni  dei  gabi- 
netti di  Parigi  e  di  Londra,  seppe  destreggiarsi  in  modo  da  evitare  di 
scendere  in  .campo  contro  l'antica  alleata  del  1849.  Anzi,  a  Vienna  si 
posero  poi  le  basi  della  pacificazione.  Però  quell'  eccessiva  abilità,  che 
velava  male  esitazioni  e  timori,  nocque  all'Austria,  secondo  le  previ- 
sioni  dello  stesso  Hiibner.  Mentre  questi  non  ebbe  dapprima  difficoltà 
ad  ottenere. garanzie  per  i  possessi  degli  Absburgo  in  Italia,  il  mini- 
stero piemontese  guidato  dal  conte  di  Cavour  con  mano  audace  e  sicura 
riesci  a  soverchiare  la  prepotente  nemica  ed  a  prendere  il  suo  posto 
nella  coaHzione  anti-russa.  Il  Drouyn  de  Lhuys,  partigiano  dell'Austria, 
dovette  cedere  il  portafoglio  degli  esteri  al  conte  Walewski.  La  nar- 
razione dello  svolgimento  del  congresso  di  Parigi,  nel  corso  del  quale 
il  conte  di  Cavour  fece  fare  alla  causa  nazionale  italiana  passi  più  de- 
cisivi di  quello  che  l' Hiibner  voglia  ammettere,  riempie  le  ultime  pagine 
del  volume. 

Ora  ciò  che  mi  preme  di  porre  in  luce  è  il  contributo  che  quest?. 
pubblicazione  reca  alla  conoscenza  della  preparazione  diplomatica  della 
guerra  del  1859,  ossia  del  riscatto  delle  provincie  lombarde.  Sono  tocchi, 


BIBLIOGRAFIA  2O5 

vieppiù  evidenti  nel  gran  quadro  della  politica  europea,  che  ho  tentato 
di  fermare  riferendomi  alla  trattazione  dell' Hilbner  ed  al  suo  punto 
di  vista.  Nel  marzo  1851  si  era  sempre  ai  disegni  di  riorganizzazione 
completa  della  monarchia  austriaca  inspirata  a  principi  di  rigido  asso- 
lutismo: le  velleità  minacciose  di  Napoleone  III  e  la  guerra  d'Oriente 
non  erano  ancora  venuti  a  turbare  i  sogni  che  arridevano  ai  campior.i 
di  quel  regime,  che  noi  lombardi  non  possiamo  considerare  senza  ri- 
pugnanza per  i  suoi  ricordi  sanguinosi.  AU'Hubner  invece  esso  appa- 
riva all'indomani  del  1848  come  un  salutare  rimedio  alle  agitazioni  dei 
popoli.  Alla  metà  del  marzo  dunque  egli  fece  una  corsa  a  Bruxelles, 
ove  trovavasi  il  principe  di  Metternich.  Fu  dibattuta  nelle  conversazioni 
dei  due  diplomatici  l'idea  sorta  a  Vienna  ed  ivi  '•  accarezzata  „,  dice 
l'Hiibner,  di  far  entrare  l'intera  monarchia  austriaca  nella  confedera- 
zione germanica.  Tutte  le  terre  governate  dagli  Absburgo,  pertanto 
anche  la  nostra  regione,  sarebbero  state  rappresentate,  non  è  detto  con 
quali  organi,  alla  Dieta  germanica.  Metternich  fu  reciso  nell'opporsi  al 
disegno,  dal  quale  temeva  derivasse  alla  patria  sua  la  perdita  della 
situazione  di  grande  potenza  europea.  E  trovò  un'imagine  espressiva 
per  formulare  i  motivi  della  sua  opposizione.  Paragonava  l'Austria  ad 
una  grande  casa  bancaria  interessata  ad  una  speculazione  con  una  data 
somma;  così  domina  i  piccoli  capitalisti  che  vi  hanno  impiegato  l'intero 
loro  patrimonio,  giacché,  ove  l'impresa  pericoli,  essa  può  sperare  di 
salvare  i  fondi  che  vi  ha  collocato  valendosi  di  quelli  rimasti  liberi. 
Felice  di  Schwarzenberg  sembrava  invece  caldeggiare  il  negoziato  che 
5i  svolgeva  a  tale  scopo  tra  Vienna  e  Berlino.  Il  governo  francese 
era  impensierito  delle  trattative  che  invero  avrebbero  potuto  giungere 
alla  costituzione  di  un  "  blocco  „  solidale  dal  mare  del  Nord  all'Adria- 
tico. Hubner  riteneva  per  altro  che  quel  piano  grandioso  non  avesse 
alcuna  probabilità  di  essere  applicato  e  gli  avvenimenti  gli  diedero  ra- 
gione. 

L'ambasciatore  austriaco,  nella  sua  doppia  qualità  di  funzionario  e 
di  uomo  di  stato  personalmente  convinto  dei  danni  delle  libertà  parla- 
mentari e  del  principio  delle  nazionalità,  attendeva  con  tatto  e  con  vi- 
gore a  propugnare  in  Parigi  stesso  la  causa  alla  quale  era  devoto. 
Fermo  qua  e  là  alcuni  tratti  significativi  :  monsignor  Sibour,  arcivescovo 
di  Parigi,  aveva  scritto  pubblicamente  al  de  Tocqueville  in  favore  degli 
eroici  difensori  di  Venezia,  ma  lo  slancio  generoso  del  prelato  si  era 
intiepidito  vedendo  minare  tutto  quel  moto.  Da  repubblicano  si  era 
fatto  imperialista.  L'Hiibner,  conoscendo  queste  disposizioni  d'animo, 
se  ne  giovò  per  condurre  abilmente  a  Canossa  il  povero  vescovo.  Un 
altro  monsignore  era  a  Parigi  nell'estate  del  1852,  mescolato  poco  sim- 
paticamente alla  storia  italiana  di  quei  giorni,  il  Franzoni,  arcivescovo 
di  Torino.  L' Hubner  lo  conobbe  nella  grande  casa  franco  italiana  dei 
Brignole,  che  per  buona  parte  del  secolo  XIX  occupò  nella  società  di 
tutta  Europa  un  posto  singolarissimo.  Vi  erano  ancora,  a  quei  tempi, 
alcuni  lombardi  al  servizio    del   sovrano    loro    imposto    dai    trattati    di 


206  BIBLIOGRAFIA 

Vienna;  fra  gli  altri  quell'Alberto  Crivelli,  che  alla  fine  del  1852  fìi 
inviato  alPHtìbner  dal  conte  Buoi  ed  informò  Tambasciatore,  forse  com- 
piacendosene, della  reazione  che  si  disegnava  a  Vienna  contro  l'opera 
dello  Schwarzenberg  ed  i  suoi  più  fidi  cooperatori.  La  tragica  giornata 
del  6  febbraio  fu  nota  a  Parigi  la  sera  dopo.  Hubner  ne  fu  avvertito 
da  Persigny  che  glielo  sussurrò  all'orecchio  ad  un  ballo  nel  palazzo  del 
Lussemburgo.  L'ambasciatore  austriaco  presso  la  corte  napoleonica 
considerò  quella  parvenza  d'insurrezione  così  male  organizzata  come 
un  fatto  in  sé  utilissimo  alla  causa  dei  nostri  dominatori.  Invero  chi 
vagheggiò  quel  moto  e  gli  diede  un  principio  d'attuazione  mostrò  una 
singolare  e  dolorosa  ignoranza  dello  stato  dell'Europa  a  quel  tempo. 
Hubner  scrisse  tosto  a  Buoi  che  la  notizia  aveva  suscitato  nei  colleghi 
del  corpo  diplomatico  parigino  un  senso  di  terrore  favorevolissimo  alle 
mire  austriache.  La  persistenza  di  un  focolare  rivoluzionario  legittimava 
la  compressione.  Ma  il  fine  diplomatico  aveva  altri  motivi  di  rallegrarsi.. 
Il  6  febbraio  gli  sembrava  atto  a  porre  Napoleone  III  al  bivio  tra  l'ade- 
sione al  sistema  opposto  alle  rivendicazioni  nazionali  e  le  simpatie  ri- 
voluzionarie. Egli  sospettava,  credo  proprio  a  torto,  che  il  nuovo  mo- 
narca francese  avesse  avuto  parte  nell'ordire  la  trama  ed  alludeva 
maliziosamente,  nella  sua  corrispondenza  col  Buoi,  alle  agevolezze  che 
avevano  permesso  al  Mazzini  di  traversare  la  Francia  per  giungere  nel 
Canton  Ticino.  L'inviato  austriaco  non  perdeva  il  suo  tempo,  e,  profit- 
tando della  ripercussione  immediata  della  giornata  sanguinosa,  incalzava 
il  governo  francese,  chiedeva  a  quel  ministero  un'attitudine  esplicita, 
per  esempio  un  articolo  in  tal  senso  nel  Moniteur,  giornale  ufficiale. 
D'altra  parte  l'Htibner  non  sapeva  capire  come  a  Vienna  si  volessero 
lesinare  innocue  cortesie  all'imperatore  Napoleone  che  vi  era  sensibi- 
lissimo. Raccomandava  di  agevolare  la  situazione  personale  di  un  no- 
stro concittadino  intrinseco  del  monarca  francese.  A  questi,  un  Visconti 
(credo  il  marchese  Giacomo  Visconti  Almi),  Napoleone  III  aveva  conferito 
la  croce  della  legion  d'onore,  ma  al  decorato  occorreva  l'autorizzazione 
del  governo  Vigente  allora  in  Lombardia  per  poterla  portare.  L'Hilbner 
gli  aveva  suggerito  di  rivolgersi  al  governatore  di  Milano,  ma  non  era 
punto  tranquillo  sull'esito  della  domanda,"  ed  insisteva  nella  sua  corri- 
spondenza con  Buoi,  perchè  fosse  evitata  l'inutile  scortesia  all'impera- 
tore. Il  regime  austriaco  che  dominava  in  quei  giorni  in  Lombardia  si 
era  fatto  durissimo.  Un  cordone  militare  impediva  le  comunicazioni  col 
Canton  Ticino;  giacché  da  Vienna  si  tuonava  contro  la  Svizzera,  riparo 
dei  cospiratori,  e  si  cercava  di  eccitare  contro  di  essa  il  governo  fran- 
cese. Il  conte  Buoi  tentò  anzi  dei  passi  presso  il  gabinetto  inglese  per 
giungere  ad  un'intimidazione  collettiva  contro  la  Svizzera.  Questa  già 
allora  aveva  caro  quel  comodo  sistema  di  completo  disinteressamento, 
che  continua  ancor  oggi  a  beneficio  d'esuli  di  ben  altra  lega.  Ma  nel 
1853  aveva  diritto  a  tutta  la  simpatia,  dando  asilo  ai  nostri  profughi 
sfuggiti  alle  forche  imperiali.  Lord  Palmerston  e  lord  Aberdeen  con 
discorsi  nel  Parlamento  declinarono  le  domande  austriache. 


BIBLIOGRAFIA  207 

La  reazione  scatenata  in  Lombardia  dai  peggiori  elementi  del  go- 
verno austriaco  creava  ormai  seri  imbarazzi  all'Htibner,  che  a  questo 
punto  sembra  quasi  vergognarsene.  Certo  egli  va  a  cercare  nella  rivolta 
dell'opinione  pubblica  francese  contro  le  esecuzioni  di  quell'anno  terr  - 
bile  gli  strascichi  di  rivalità  delle  due  politiche  in  Oriente.  Il  sequestro 
sui  beni  dei  patrioti  lombardi,  che  fu  una  grande  stoltezza  del  governo 
austriaco,  pare  all'Htibner  tardivo;  e  non  credo  fargli  troppo  onore 
interpretando  le  sue  riserve  a  Buoi  come  l'espressione  attenuata  di  una 
repugnanza  intima.  Accanto  ai  giustiziati  altri  patrioti  si  erano  visti,  per 
graziosa  commutazione  di  pena,  condannati  a  lunghi  anni  di  prigionia. 
Vediamo  il  commento  stesso  dell'ambasciatore:  "  Dans  un  pays  comma 
"  la  France,  où  le  crime  de  haute  trahison  est  devenu  impossible,  parce 
"  que  tout  le  monde  a,  plus  ou  moins,  trempé,  pendant  soixante  ans, 
"  dans  des  conspirations  ou  intrigues  tendant  à  renverser  le  gouver- 
"  nement  établi,  on  a  de  la  peine  à  comprendre  comment  le  gouver- 
"  nement  autrichien  envoie  aux  cachots  pour  vingt,  seize,  douze  ans  de 
"  réclusion,  des  individus  dont  il  exalte  les  vertus  privées,  la  conduite 
"  exemplaire,  le  caractère  honorable  etc,  dans  l'acte  méme  qui  les 
"  condamne  „.  La  stampa  devota  al  secondo  impero  era  all'unissono 
cogli  spiriti  più  indipendenti  nel  biasimare  metodi  di  governo  che  si 
indovinavano  da  simili  commutazioni  di  pena.  Il  Journal  des  Débats, 
che  l'Htlbner  riconosce  inaccessibile  alle  influenze  del  governo,  contri- 
buiva efficacemente  a  sollevare  l'opinione  pubblica. 

Alla  fine  di  maggio  il  duca  di  Genova  visitò  la  corte  francese. 
L'Hùbner  nota  nel  suo  giornale  le  feste  a  cui  quella  visita  diede  occa- 
siene,  ma  soggiunge  ch'egli  ebbe  accoglienza  calorosa  solo  dalla  Corte. 

Il  complicarsi  della  questione  d'Oriente  alla  fine  del  1853  mise  di 
nuovo  alle  prese  le  potenze  occidentali  coll'Austria  riguardo  alla  politica 
di  quest'ultima  in  ItaHa.  Napoleone  III,  conversando  coU'ambasciatore 
inglese  a  Parigi,  lord  Cowley,  disse,  sia  pure  con  qualche  riserva,  che 
se  l'Austria  fosse  a  sua  volta  venuta  ad  una  guerra  aperta  colla  Russia, 
la  Francia,  avendo  alleato  l'imperatore  Francesco  Giuseppe,  ne  avrebbe 
tutelato  i  domini  itaHani.  Ah!  come  poco  seppe  giovarsi  la  cancelleria 
viennese  di  quelle  disposizioni  superstiti  in  Francia  anche  dopo  le  atro- 
cità delle  repressioni  in  Lombardia  1  Gettando  uno  sguardo  al  corso  del- 
l'annata nel  chiudere  questa  parte  del  suo  giornale,  l'Hùbner  ritorna  a 
considerare  il  6  febbraio  e  la  poHtica  imperiale  che  vi  tenne  dietro.  A 
mente  più  calma  e  libero  dalla  spiacevole  polemica  provocata  da  quegli 
atti  nei  paesi  più  civili  dell'occidente,  l'ambasciatore,  fine  anch'egli  e 
perspicace,  è  più  severo  contro  il  governo  militare  di  Milano.  Ne  fa 
risalire  la  responsabilità,  piuttosto  che  al  vecchio  maresciallo  Radetzk}^. 
ai  "  generali  che  governano  per  lui  „.  Accusa  i  fratelli  Strassoldo  di  ne- 
gligenza, e  non  si  perita  a  biasimare,  con  franchezza  rara  in  un  fun- 
zionario austriaco  di  quei  tempi,  "  des  mesures  de  rigueur  qui,  en 
"  grande  partie,  frappaient  des  innocents  „.  Secondo  l'Hùbner  fu  solo 
in  quell'occasione  che   Francesco    Giuseppe  conobbe  i  difetti   della    gè- 


208  BIBLIOGRAFIA 

stione    delle    provincie  d'Italia  affidata  al  Radetzky,  e  vi  pose  qualche 
riparo. 

L'HUbner  era  instancabile  nella  sua  lotta  contro  i  principi  rivolu- 
zionari che  temeva  riacquistassero  potere  sull'  animo  di  Napoleone  III. 
Ad  un  grande  ballo  alle  Tuileries  l'imperatore  palesava  il  suo  contento 
per  l'approvazione  che  gh  veniva  da  vecchi  campioni  della  politica 
^conservatrice,  quali  Metternich  e  Wellington.  E  subito  il  vigile  diplo- 
tnatico  approfitta  del  quarto  d'ora  per  sospingere  il  suo  augusto  inter- 
locutore ad  atti  che  intimidiscano  i  riformatori  italiani.  Ottiene  infatti 
presto  un  comunicato  del  Moniteur:  "  Se  le-bandiere  dell'Austria  e  della 
■"  Francia  ondeggiano  a  fianco  in  Oriente,  si  cercherebbe  invano  di  se- 
^*  pararle  sulle  Alpi  „.  Napoleone  III  prediligeva  le  conversazioni  serie 
annodate  ne'  ritrovi  mondani.  Al  ballo  che  seguì  per  caso  la  comparsa 
di  quell'articolo  anti-italiano,  l'imperatore  corse  incontro  ad  Hubner 
chiedendogli  se  fosse  soddisfatto.  Lo  era  il  sottile  gentiluomo  austriaco, 
ma  volle  insinuare  nelle  sue  espressioni  di  compiacenza  accenni  che 
potessero  avere  il  valore  di  monito  e  di  riserva.  "  Un  anno  fa,  sire, 
^'  gH  rispose,  foste  riconosciuto  in  apparenza,  ora  lo  siete  in  sostanza, 
"  poiché  avete  compiuto  la  vostra  rottura  colla  rivoluzione  „.  Decisa- 
mente il  gabinetto  francese  si  stringeva  a  quello  di  Vienna,  sperando 
averlo  compagno  in  Oriente.  Il  2  marzo  1854  V  Hubner  poteva  no- 
tare nel  suo  giornale  d'aver  avviate  trattative  per  una  convenzione 
speciale  che  avvinceva  la  politica  francese  all'austriaca  in  Italia.  L'Au- 
stria poteva  cantare  vittoria  e  lo  stesso  Hubner ,  nel  viaggio  che 
fece  in  patria  nel  maggio,  fu  colpito,  quasi  spaventato,  dal  vedervi 
il  partito  militare  ed  intransigente  pavoneggiarsi  in  trionfo.  Windisch- 
gràtz,  Jellacic,  Schlick  ed  i  giovani  animosi  che  facevano  corona  a 
Radetzky,  recarono,  senza  volerlo,  un  gran  danno  alla  monarchia  col 
loro  parteggiare  per  la  Russia.  Intanto,  non  senza  molte  oscillazioni, 
generate  a  Vienna  e  riflesse  a  Parigi,  alla  fine  di  novembre  fu  accettata 
da  Napoleone  la  convenzione  che  garantiva  lo  statu  quo  in  Italia  per 
ia  durata  della  guerra.  Però  l'indomani  della  firma  della  convenzione, 
Drouyn  de  Lhuys  annunciò  all'Htibner  l'ingresso  della  Sardegna  nella 
alleanza  anglo-francese  e  l'entrata  in  campagna  di  un  contingente  pie- 
montese. Ormai  il  conte  di  Cavour  aveva  sorpassato  il  rivale  che  sem- 
brava tener  in  pugno  la  vittoria.  L'ampiezza  del  fecondo  programma 
cavouriano  di  politica  estera  è  lumeggiata  invero  da  queste  memorie 
di  un  grande  avversario,  sì  da  rinnovare  nel  lettore  italiano  un  senso 
di  convinta  gratitudine.  Mentre  ventimila  italiani,  guidati  dal  tricolore 
sardo,  attaccavano  con  gloria  il  colosso  moscovita,  gli  ufficiali  austriaci, 
accampati  nelle  nostre  terre  lombarde,  acclamavano  alla  vittoria  russa. 
Quei  giannizzeri  di  Radetzky  erano  la  disperazione  del  povero  Hiibner. 
Non  contenti  di  applaudirne  i  nemici,  quei  mihtari  imprudenti  insulta- 
rono Napoleone  III  nei  fogli  ufficiali  del  paese.  Era  forse  l'istinto  che 
li  spingeva  fatalmente  a  porsi  in  opposizione  con  tutti  i  sentimenti  delle 
popolazioni  lombarde?  Vi  erano  bene  alcuni  sudditi  italiani  dell'impero 


BIBLIOGRAFIA  209 

disposti  ad  accogliere  un  modus  vivendi  col  governo  oppressore,  se 
questo  avesse  mutato  metodo.  Ma  la  buona  fortuna  d'Italia  volle  che 
gli  austriaci  pensassero  a  mettersi  per  quella  via  troppo  tardi,  quando 
ormai  i  patrioti  intransigenti  erano  sicuri  del  consenso  di  pressoché 
tutti  i  cittadini.  L'Hiibner,  che  già  nel  suo  libro  sul  1848  si  palesò 
fautore  della  politica  del  conte  di  Hartig  conciliante  verso  gl'italiani, 
fece  del  suo  megUo  per  adunare  qualche  persona  autorevole  e  temperata 
intorno  al  vacillante  trono  lombardo-veneto.  Vedeva  a  Parigi  il  duca 
Lodovico  Melzi;  lo  presentò  a  Napoleone  III  alla  fine  del  1855.  Nel 
gennaio  seguente  col  duca  di  Galliera  si  posero  le  basi  dell'impresa 
per  le  ferrovie  lombarde,  che  furono  forse  il  miglior  risultato  della 
fuggevole  meteora  di  governo  illuminato  che  traversò  quel  durissimo 
decennio  di  dominio  austriaco  (i). 

Al  congresso  di  Parigi  del  1856  e,  sopratutto  nelle  memorabili  se- 
dute dell'aprile,  il  conte  di  Cavour  d'accordo  col  conte  Walewski  e  , 
con  lord  Clarendon  affrontò,  come  è  noto,  la  questione  italiana,  estra- 
nea, per  dire  il  vero,  alla  questione  d'Oriente.  Per  ottenere  più  largo 
consenso  fra  i  colleghi  adunati  in  congresso  e  dinanzi  all'opinione 
pubblica  europea,  Cavour  parlò  dello  stato  pontificio  e  di  Napoli,  ove 
gli  abusi  erano  piia  gravi  ed  evidenti,  piuttosto  che  della  Lombardia 
retta  dall'Austria  con  crudeltà  non  scompagnata  da  un'amministrazione 
regolare.  Htlbner,  severo,  direi  ingiusto  per  Cavour,  lo  accusa  di  avere 
lavorato  indirettamente  ai  danni  dell'Austria,  non  prendendola  di  fronte 
che  nella  seduta  dell' 8  aprile.  Prima  che  si  chiudesse  l'anno,  Francesco 
Giuseppe  concesse  un'amnistia  e  tolse  il  sequestro  dai  beni  dei  profughi 
lombardi.  Napoleone  ne  parve  contento  ed  Hiibner  aveva  ragione  di 
credere  ancora  al  31  dicembre  1856  che  una  politica  di  riforme  e  di 
concessioni  in  Lombardia  vi  avrebbe  reso  il  dominio  degli  Absburgo 
tollerabile  agli  occhi  dell'  imperatore  francese. 

Tutte  queste  complicate  vicende  diplomatiche  sono  esposte  dal- 
l' Hiibner  con  uno  stile  chiaro  ed  animato.  Il  libro  conserva  il  carattere 
originale  di  diario,  e  molte  osservazioni  argute,  caustiche  talvolta,  cre- 
scono varietà  al  racconto.  Non  solo  i  prodromi  della  lotta  decisa  nel  1859 
ed  i  fasti  del  dominio  austriaco  fra  noi  vi  sono  ritratti  con  singolare 
compiutezza,  in  quanto  si  ripercossero  sulla  vita  dell'ambasciatore  di 
Francesco  Giuseppe  a  Parigi.  Parecchi  lombardi  vi  figurano  come  sem- 
plici personaggi  mondani;  al  quadro  della  vita  italiana  di  quel  tempo 
non  mancano  i  tocchi  riguardanti  la  musica  ed  i  nostri  artisti,  dei  quali 
r  Hiibner  era  vecchio  ammiratore. 

Giuseppe  Gallavresi. 


(i)  Vedi  le  notizie  esatte,  attinte  a  fonti  dirette  quali  l'Archivio  di  casa 
Melzi,  che  don  Giovanni  Visconti  Venosta  dà  intorno  a  quell'impresa  ne'  suoi 
Ricordi  di  gioventù,  Milano,  1904,  L.  F.  Cogliati. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VII.  14 


2IO  BIBLIOGRAFIA 


BaronìNe  du  Montet,  Souvenirs,  Paris,  Plon,  1904,  pp.  viii-509. 

Il  sistema  di  governo,  accolto  ed  attuato  nell'impero  austriaco  ai 
suo  apogeo  e  cioè  ad  un  dipresso  dal  1814  al  1860,  è  ormai  lungi  dai 
nostri  sguardi,  e  non  credo  possa  eccitare  rimpianti.  Il  rigore  col  quale 
quel  regime  si  sforzò  di  vivere  si  ritorse  poi  contro  di  lui  per  l'asprezza 
degli  attacchi  che  gli  vennero  da  ogni  parte.  In  Lombardia  sovrabbon- 
davano gli  elementi  per  un  terribile  atto  d'accusa  contro  quella  politica 
opprimente  e  feroce,  ed  appena  saprei  indicare  il  libro  recente  del  Tor- 
resani,  ormai  quasi  straniero  alla  nostra  terra,  come  saggio  di  una 
tendenza  alla  rivendicazione.  Ma  quel  governo  non  recò  danni  solo  a 
noi  ed  anche  altrove  fu  vigorosamente  chiamato  al  tribunale  della  pub- 
Jblica  opinione.  Gli  accusati  si  difesero  :  per  non  parlare  degli  scritti 
emanati  dai  circoli  militari  e  segnalati  via  via  al  pubblico  italiano  da 
Alessandro  Luzio,  abbiamo  le  monumentah  memorie  del  principe  di 
Metternich.  Il  figlio  del  cancelliere  con  tatto  ed  acume  impresse  a  quella 
pubblicazione  un  carattere  di  grande  sincerità,  presentando  senza  riserbo 
il  celebre  statista  quale  appare  nelle  sue  più  dirette  manifestazioni,  let- 
tere, diari,  riflessioni  intime.  L'opera  del  principe  Clemente  non  poteva  es- 
sere più  abilmente  difesa.  Nondimeno,  sia  in  questi  nove  grossi  volumi, 
sia  nel  piacevole  ed  urbano  diario  dell'Htìbner,  già  da  vivo  prudente  ed 
efficace  interprete  parigino  della  politica  aulica,  noi  ci  troviamo  di  fronte 
ai  primi  attori  che,  quasi  involontariamente,  si  pongono  nella  luce  più 
favorevole  al  loro  partito.  Preziosa  è  pertanto  una  fonte  come  questa 
offerta  dai  ricordi  di  madame  du  Montet,  gran  signora  che  non  fece 
mai  personalmente  della  politica  ed  anzi  ne  ebbe  sempre  orrore.  Essa 
visse  nel  mondo  legittimista  più  puro  ed  autentico,  appartenendo,  grazie 
a  suo  marito,  a  quell'aristocrazia  lorenese  che  servì  così  fedelmente  la 
casa  regnante  trapiantata  a  Vienna.  L'ardente  desiderio  di  contribuire 
a  domare  la-  rivoluzione  gettò  dalla  prima  giovinezza  in  una  condizione 
difficile  e  precaria  il  barone  Giuseppe  de  Fisson  du  Montet  che,  come 
molti  suoi  commilitoni,  cominciò  col  fare  le  campagne  dell'emigrazione 
e  fini  per  essere  legato  ad  un  esercito  straniero  in  guerra  contro  la 
Francia,  ormai  pacificata.  Napoleone  era  implacabile  per  coloro  che  con 
tale  condotta  eransi  esposti  a'  suoi  occhi  alla  taccia  di  traditori.  Il  du 
Montet  arrischiò  la  sua  testa  per  mantener  fede  ai  principii  legittimisti, 
ai  monarchi  di  Francia  e  d'Austria  ai  quali  era  devotissimo,  identifi- 
cando la  causa  di  entrambi  nell'  indefessa  opposizione  al  nuovo  governo. 
Dalla  Francia,  che  rimaneva  per  quasi  tutti  quegli  emigrati  l'oggetto  di 
un  culto  nostalgico  e  della  quale  andavan  fieri  di  mantenere  le  civili 
tradizioni,  venne  al  proscritto  una  graziosa  sposa.  Alessandrina  Prévost 
de  la  Boutetière  de  Saint  Mars.  Questa,  di  chiara  stirpe  di  Vandea, 
aveva  pure  passato  la  prima  gioventù  nell'emigrazione  ed  era  stata  edu- 
cata a  Vienna.  Dal  1810,  data  del  suo   matrimonio,    essa  visse    ancora 


BIBLIOGRAFIA  211 

per  una  quindicina  d'anni  in  Austria,  molto  in  favore  a  corte  e  nell'alta 
società.  Anche  quando  seguì  il  marito,  al  quale  era  affezionatissima,  nel 
rimpatrio,  rimase  a  Parigi  ed  a  Nancy  in  continui  rapporti  col  vecchio 
mondo  viennese,  della  generazione  che  aveva  applaudito  ai  trattati 
del  1815. 

Morì  in  Lorena,  più  che  ottantenne,  l'anno  1866,  conservandoci,  nelle 
sue  memorie,  che  hanno  sovente  la  sconnessione  e  pressoché  sempre  la 
spontaneità  del  diario,  una  testimonianza  fedele  ed  indipendente  di  quel- 
l'aristocrazia austriaca  che  fu  spesso  strumento  del  dominio  imperiale 
sul  nostro  paese.  Le  notizie  riguardanti  cose  italiane,  e  particolarmente 
lombarde,  abbondano  nel  volume  che,  sopratutto,  ci  presenta,  da  un 
punto  di  vista  per  noi  nuovo,  quei  detestati  padroni  d'un  tempo. 

Nel  convento  della  Visitazione  la  piccola  de  la  Boutetière,  nipote 
del  futuro  cardinale  de  la  Fare,  allora  rappresentante  di  Luigi  XVIII  a 
Vienna,  fu  educata  insieme  ad  alcune  arciduchesse.  Molte  di  quelle  gio- 
vani di  casa  Absburgo  andarono  spose  a  principi  italiani,  servendo  an- 
ch'esse, talora  inconscie,  ad  ambiziosi  disegni.  I  ricordi  della  piccola 
francese  si  riportano,  soprattutto,  verso  l'arciduchessa  Clementina  che 
reputò  sacrificata  alla  politica  ;  andata  sposa  al  duca  di  Calabria  (poi 
Francesco  I  re  delle  Due  Sicilie)  essa  morì  giovanissima  lasciando 
un'unica  figlia,  la  duchessa  di  Berry.  Maria  Teresa,  nata  principessa 
napoletana,  seconda  moglie  dell'imperatore  Francesco,  di  carattere  biz- 
zarro e  non  avvezza  a  conservar  il  dominio  di  sé  stessa,  aveva  resa 
alquanto  dura  la  vita  dell'arciduchessa  Clementina.  Così  pure  osò,  pres- 
soché sola  in  quel  tempo  di  universale  e  legittima  compassione  per  la 
disgraziata  principessa,  trattare  senza  riguardo  la  figlia  superstite  di 
Luigi  XVI,  quando  arrivò  a  Vienna.  Madame  du  Montet  lamentava 
nella  sovrana  un  fondo  di  gelosia  per  le  persone  che  piii  di  lei  eccitas- 
sero le  generali  simpatie;  la  giudicava  capricciosa,  dedita  a  futili  oc- 
cupazioni ed  a  divertimenti  volgari. 

Antichi  vincoli  univano  alla  Lombardia  il  gruppo  di  famiglie  pa- 
trizie stabilite  in  Lorena  dal  XVI  secolo,  avendovi  seguito  il  duca 
Antonio  dopo  la  battaglia  di  Marignano.  Tali  erano  le  schiatte  dei  Lu- 
nati-Visconti,  dei  Ferraris  e  dei  Landriani.  La  suocera  di  madame  du 
Montet  era  appunto  una  Landriani  ed  in  seguito  ad  un  intreccio  di  pa- 
rentele il  chiaro  nome  dei  de  Fisson  du  Montet,  antica  nobiltà  di  toga,  é 
ora  portato  da  quel  ramo  del  vetusto  ceppo  lombardo  di  capitani  (i).  Il 
conte  Giuseppe  Ferraris  (1726-1814),  salito  nell'esercito  austriaco  al  grado 
di  feld-marescialio,  contemporaneo  di  Federico  il  grande  e  venerabile 
rudere  delle  antiche  glorie  militari  dell'Austria,  era  pure  uno,  dei  più 
vecchi  amici  della  simpatica  narratrice.  Il  marito  di  questa,  barone  du 
Montet,    aveva    raccolto    meritato   plauso    pel    suo  valore  sui    campi  di 


(i)  Vedi  per  la  genealogia  della  linea  lorenese  di  casa  Landriani  F.  Calvi, 
Famiglie  notabili  milanesi. 


212  BIBLIOGRAFIA 

battaglia  del  Belgio  e  d' Italia.  Alla  vigilia  del  suo  matrimonio  aveva 
secondato  attivamente  l'arciduca  Giovanni,  quando  nel  1809  prese  ardi- 
tamente TofFensiva   contro  il  viceré  Eugenio. 

Un  intermezzo  singolare  nel  racconto,  che  sempre  s'aggira  intorno 
ai  catnpioni  del  partito  conservatore  legittimista,  è  costituito  dalla  breve 
alleanza  di  Napoleone  I  coll'Austria,  suggellata  dal  matrimonio  di  Maria 
Luisa.  I  tratti  riguardanti  questa  sovrana  abbondano  nelle  pagine  dei 
ricordi  di  madame  du  Montet.  Tutto  il  mondo  napoleonico  ingombra 
per  un  momento  la  scena,  specialmente  quando  l' imperatrice  dei  Fran- 
cesi soggiorna  a  Praga  C1812).  Vediamo  con  qualche  stupore  i  piìi  noti 
personaggi  del  mondo  ufficiale  austriaco,  come  il  conte  .Ferdinando  di 
Bubna,  affaccendarsi  nel  corteggiare  il  potentissimo  imperatore.  Ma  non 
è  che  una  parentesi;  la  Restaurazione  è  vicina,  col  congresso  di  Vienna 
che  la  consacra.  Mentre  il  congresso  si  apre,  muore  la  regina  Carolina 
di  Napoli  invecchiata  da  tempo  e  posta  in  un  canto.  La  baronessa  du 
Montet  si  sforza  di  giustificarla  delle  "  orribili  esecuzioni  „  del  1799, 
che  asserisce  volute  esclusivamente  dall'Acton  e  dal  Nelson.  Come  si 
vede,  i  rigidi  principi  di  difesa  sociale  non  impedivano  alla  dama  lo- 
renese  di  udire  la  voce  dell'  umanità  e  della  mitezza.  Nelle  feste  del 
congresso  tutti  sì  additavano  Eugenio  Beauharnais,  non  ancor  privo  di 
speranza  di  avere  quella  corona  che  pur  si  sarebbe  meritata,  colla 
sua  leale  condotta  nel  1814,  Nel  novembre  di  quell'  anno  madame  du 
Montet  lo  vide  ad  un  veglione  brulicante  di  principi  reali.  Eugenio 
era  sempre  circondato  da  maschere  eleganti  e,  poiché  ne  vide  una 
consegnargli  un  garofano  rosso  tosto  occultato  da  lui,  la  baronessa 
volle  trovarvi  l' indizio  di  un  intrigo  politico.  Poi  ella  stessa  si  divertì, 
sempre  in  maschera,  a  confondere  il  principe  giovandosi  di  quanto  sa- 
peva dalle  sue  amiche  Schaffgotsch,  come  è  noto  imparentate  coli'  ari- 
stocrazia milanese.  Madame  du  Montet,  escendo  da  quella  schermaglia, 
giudicò  il  viceré  uomo  amabile  e  di  fine  educazione. 

Dopo  le  feste  i  funerali  :  1*  imperatore  aveva  condotto  l'imperatrice, 
sua  terza  iilogHe,  a  visitare  i  nuovi  domini  d' Italia  e  la  poveretta  vi  morì 
il  7  aprile  1816.  Era  un'arciduchessa  del  ramo  d'Austria-Este  stabilito  a 
Milano  nella  seconda  metà  del  settecento.  Sua  madre  era  quella  princi- 
pessa Beatrice,  ultima  degli  Estensi,  sposa  dell'arciduca  Ferdinando,  che 
aveva  avuto  la  sua  corte  in  Lombardia  conservandone  a  Vienna  qualche 
elemento  superstite,  per  esempio  il  Bondi  (i).  Madame  du  Montet  am- 
mirò molto  quella  vecchia  principessa  così  signorile  negli  atti,  vero  tipo 
della  gran  dama  italiana  d'altri  tempi.  Offriva  una  conversazione  colta 
ed   interessante.    Ma    intanto,    passato    appena  un    anno,    l'imperatore 


(i)  Ancor  giovinetta  Alessandrina  du  Montet  strinse  amicizia  col  poeta  lom- 
bardo, allora  molto  considerato,  e  stabilito  a  Vienna  come  bibliotecario  dell'ar- 
ciduchessa Beatrice.  L'abate  Bondi  s'allietava  della  gaiezza  della  sua  giovine  amica 
e  conservò  sempre  dimestichezza  coi  du  Montet 


BIBLIOGRAFIA  '  213 

Francesco  si  sposava  una  quarta  ed  ultima  volta  con  Carolina  Augusta 
di  Baviera. 

La  dama  legittimista,  della  quale  vado  esaminando  i  ricordi,  gli 
occhi  fìssi  alla  nostra  regione,  era  sinceramente  devota  alla  casa  im- 
periale d'Austria  e  ne  ammirava  le  virtù  familiari.  Non  aveva  d'altra 
parte  ritegno  nello  stigmatizzare  i  costumi  licenziosi  della  maggior 
parte  dei  gran  signori  austriaci  e  di  molti  alti  funzionari  :  fatto  vero  e 
che  ebbe  pure  la  sua  eJSìcacia  nel  condurre  quel  vieto  mondo  ad  una 
giusta  rovina.  La  nostra  narratrice  non  ebbe  scrupoli  nel  ritrarre 
senza  misericordia  gli  stessi  idoli  dei  legittimisti  fra  i  quali  teneva  ad 
essere  ascritta.  Pone  in  ridicolo  il  re  Carlo  Felice  e  sovratutto  Ferdi- 
nando I  re  delle  Due  Sicilie  da  lei  spesso  veduto  a  Vienna  nel  1822. 
Dapprima  le  era  parso  venerabile  colla  sua  statura  ed  i  suoi  capelli 
bianchi,  ma  presto  lo  trovò  volgare  ed -^ostinato;  una  storiella  buffa  che 
canzona  il  vecchio  sovrano  come  cacciatore  per  burla,  ci  fa  ancora  ri- 
dere alle  sue  spalle.  Madame  du  Montet  si  trovava  dunque  molto  bene 
a  Vienna,  pur  giudicandola  colla  sua  solita  franchezza.  Ci  dà  un  quadro 
sintetico  della  condizione  di  quella  capitale  verso  il  1825,  "  Corte  an- 
"  tica,  nobiltà  autentica,  orgoglio  ed  albagia  aristocratica,  pregiudizi  te- 
"  naci,  lusso  e  magnificenza  effettivi  ;  borghesia  ricca,  vistosa,  ghiotta, 
"  metodica,  criticona;  popolo  serio  nella  sua  gaiezza  e  fino  nelle  sue 
"  danze,  tranquillamente  curioso,  devoto  non  senza  sensualità,  fredda- 
"  mente  maligno  „.  Spingendo  uno  sguardo  nel  futuro,  la  dama  perspi- 
cace prevede  a  ragione  dei  pericoli,  sia  nella  smania  di  imitare  gli 
altri  popoli,  sia  nell'eccessiva  separazione  delie  classi.  La  morte  di 
Francesco  II  nell'inverno  del  1835  aumentò  il  senso  di  disagio,  abba- 
stanza naturale  vedendo  finire  un  regno  di  quarantatre  anni.  Bisogna 
tener  conto  di  questo  sentimento,  che  faceva  quasi  identificare  l'esi- 
stenza del  vecchio  sovrano  colla  fortuna  della  monarchia,  per  giudicare 
serenamente  l'emozione  che  traspare  da  queste  memorie  e  dalle  lettere 
inseritevi  di  dame  austriache  alla  morte  d'un  imperatore  che  a  noi 
appare  sempre  colpevole  delle  efferate  repressioni  dello  Spielberg.  Sor- 
prende poi  il  trovare,  anche  in  queste  lettere,  per  esempio  della  con- 
tessa Giuseppina  d'LJgarte,  un  senso  di  viva  inquietudine  per  l'agita- 
zione degU  animi  in  Austria,  già  a  quel  tempo.  Si  comprende  così  lo 
scoppio  violento  del  1848. 

Madame  du  Montet  delinea  pure,  nel  corso  de' suoi  racconti,  ritratti 
piacevoli  e  non  sempre  benevoli  di  personaggi  che  furono  continuamente 
sulla  scena  politica  durante  la  dominazione  austriaca  in  Lombardia  nel 
periodo  anteriore  al  1848.  Uno  di  questi  bozzetti  è  dedicato  ai  de  Bom- 
belles.  Luigi,  il  primogenito,  percorse  una  bella  carriera  nella  diplomazia 
austriaca  ;  nonostante  la  sua  rilevante  posizione  ufficiale,  madame  du 
Montet  lo  giudica  "  un  uomo  di  spirito,  un  uomo  di  conversazione  piut- 
"  tosto  che  un  uomo  d'affari  „.  Le  vicende  matrimoniali  del  secondo- 
genito, Carlo  di  Bombelles,  chiamato  dalla  sua  buona  o  cattiva  stella  a 
succedere  al  conte  di  Neipperg  come  gran  maestro  e  marito  morgana- 


214  *  BIBLIOGRAFIA 

tico  dell'ex  imperatrice  Maria  Luisa,  sono  universalmente  note.  Ma  la 
baronessa  ci  informa  di  molte  altre  svariate  e  più  antiche  avventure 
dell'ambizioso  conte.  Essa  compiange  Bombelles  come  un  tempo  quel 
povero  Neipperg.  "  Il  generale  Neipperg  „  scrive  "  che  aveva  avuto 
"  la  triste  fortuna  di  sposare  a  sua  volta  Maria  Luisa,  ne  è  morto  di 
"  noja  „.  Contrariamente  alla  leggenda  bonapartista,  madame  du  Montet 
considera  il  prode  soldato,  "  comandato  „  per  sedurre  la  fragile  arci- 
duchessa, come  assolutamente  sacrificato  dal  principe  di  Metternich  alla 
ragione  di  stato.  Il  suo  carattere  nobile,  insiste  la  baronessa,  era  assai 
superiore  alla  brutta  parte  che  gli  affidarono.  Non  sarei  lontano  dal 
prestar  orecchio  a  questa  riabilitazione  del  Neipperg,  ripensando  alle 
generose  premure  presso  il  suo  imperiale  quasi  suocero  in  favore  di 
Federico   Gonfalonieri. 

L'imperatore  Ferdinando,  ben  voluto  dai  Lombardi  per  gli  atti  di 
clemenza  che  segnalarono  l'inizio  del  suo  regno,  era  per  altro,  secondo 
rileva  madame  du  Montet,  alquanto  scarso  d' intelligenza,  in  conseguenza 
delie  sue  cattive  condizioni  di  salute;  soffriva  infatti  d'epilessia.  L'im- 
peratrice Marianna,  figlia  di  Vittorio  Emanuele  I,  offriva  invece  un  no- 
bile esempio  dell'alleanza  delle  più  austere  virtù  con  uno  spirito  colto 
ed  assennato.  Del  resto,  come' è  noto,  la  direzione  degli  affari  generali 
dell'impero  rimase  ancora  per  oltre  un  decennio  affidata  al  principe  di 
Metternich.  Quando  Ferdinando  ascese  al  trono,  la  baronessa  du  Montet 
era  ormai  giunta  al  termine  del  suo  soggiorno  stabile  in  Austria,  per 
trasportarsi  col  marito  malaticcio  in  Lorena. 

Durante  questo  periodo  della  sua  esistenza,  i  diari  furono  scritti  a 
preferenza  nella  stagione  estiva,  a  Baden  o  ad  Ems,  allora  ritrovo  della 
migliore  società  europea.  Questa  infatti  ci  sfila  dinanzi,  ritratta  con  una 
analisi  penetrante  dalla  simpatica  scrittrice,  che  vieppiù  s' indugia  vo- 
lontieri  in  considerazioni  generali,  inspirate  dal  gran  mondo,  non  ri- 
sparmiato certo  troppo  da  quello  spirito  critico.  Era  però  intimamente 
persuasa  della  dignità  e  direi  quasi  del  valore  intrinseco  dell'educazione 
raffinata  trasmessa  in  buona  parte  alle  classi  elevate  dall'antico  regime, 
sì  che  deplorava  la  decadenza  di  quelle  preziose  tradizioni  di  gentilezza. 
Ai  bagni  di  Baden  essa  vide  a  lungo  la  vecchia  marchesa  di  Laage, 
già  dama  della  disgraziata  principessa  di  Lamballe.  Le  note  che  fer- 
mano le  conversazioni  colla  marchesa  sono  tutte  un'attraente  rievoca- 
zione della  corte  di  Luigi  XVI. 

Non  mancano  nemmeno  in  questa  parte  delle  memorie,  che  pure  si 
riferiscono  al  tempo  passato  ormai  lungi  dalla  corte  di  Vienna,  accenni 
interessanti  a  cose  lombarde.  A  Baden  nell'estate  del  1839,  è  raccolta  la 

strana  diceria  che  il  principe  Eugenio  fosse Luigi  XVII  sottratto  alla 

prigionia  ed  allevato  da  Giuseppina.  L'inverosimile  voce  era  diffusa  fin 
nei  salotti  parigini. 

Il  generale  barone  de  Vincent,  già  ambasciatore  d'Austria  alla  corte 
di  Francia,  ritirato  nella  sua  terra  di  Bioncourt,  rimaneva  uno  dei  più 
illustri  ed  amabiH  amici  dei  du  Montet,  reduci  anch'essi  in  Lorena.  L'an- 


BIBLIOGRAFIA  ^15 

tico  diplomatico  lasciò  dei  diari,  dai  quali  madame  du  Montet,  che  ne 
aveva  avuto  notizia  dalla  figlia  di  lui,  estrae  ricordi  interessanti  in- 
torno ai  negoziati  di  Campoformio,  che,  come  è  noto  furono  molto  bur- 
rascosi (i).  L*  intervento  del  celebre  statista  napoletano  di  Gallo  ne  sa- 
rebbe diminuito,  per  la  preferenza  del  generale  Buonaparte  in  favore 
dei  negoziatori  militari,  più  pronti  ad  operare,  quale  era  allora  il  co- 
lonnello de  Vincent. 

L'opposizione  dei  nostri  sentimenti  con  quelli  di  codeste  vecchie 
dame  legittimiste,  pur  così  amabili  e  spiritose,  non  appare  forse  mai 
tanto  stridente  come  nell'ammirazione  colla  quale  la  contessa  Teresa 
di  Chotek  descrive  all'amica  di  Nancy  le  onoranze  funebri  rese  al  ma- 
resciallo Radetzky. 

Accanto  a  questi  riferimenti  più  diretti  alla  storia  della  nostra  re- 
gione, si  potrebbero  rilevare  non  pochi  altri  accenni  a  persone  che  ab- 
biano rapporto  colle  nostre  vicende.  Parecchi  lombardi  attraversano 
queste  memorie,  tipo  quasi  perfetto  di  quegli  scritti,  non  rari  nella  let- 
teratura francese,  nei  quali  la  grazia  femminile  imprime  il  suo  fascino 
agli  stessi  ricordi  politici  e  la  narrazione  scorre  facile,  un  poco  slegata, 
ma  varia  e  piacevole  alla  lettura.  Ricorderò  solo  il  cardinale  Vidoni,  la 
cui  inesperienza  della  lingua  francese  dava  occasione  a  buffi  equivoci 
contrastanti  colla  dignità  e  coi  meriti  del  porporato  ;  e  quel  ricco  rac- 
coglitore Sommariva,  la  cui  opulenza  forse  rimontava,  poco  simpatica- 
mente, ai  fasti  del  Direttorio  Cisalpino.  Appena  si  potrebbero  lamentare 
talune  inesattezze,  riflesso  evidentemente  inconsapevole  di  esagerazioni 
partigiane,  e  qua  e  là  un  tono  che  ha  dell'enfatico  e  guasta  un  poco 
le  assennate,  fini  osservazioni  di  cui  la  baronessa  du  Montet  suol  ador- 
nare, soprattutto  invecchiando,  i  suoi  racconti. 

Giuseppe  Gallavresi. 


(i)  Ved.  Napoléon  I,  Oeuvres  de  5.^<?  HéUne  e  Duca  di   Gallo,  Memorie. 
Veramente  i  fatti  narrati  potrebbero  riferirsi  anche  a  Leoben. 


APPUNTI  E  NOTIZIE 


/^  Un  cimelio  lombardo  ricuperato.  —  Tra  le  tavole  eliotipiche 
illustrate  nel  to.  I  del  testo  di  quella  monumentale  pubblicazione  che  è  la 
Paléographie  Musicale  dei  Benedettini  già  di  Solesmes  ora  di  Appuldur- 
combe  (Wroxall)  nell'isola  di  Wight  {Bai.  Mus.,  to.  I,  p.  119  sg,,  Solesmes, 
1889)  ve  n'  è  una,  la  XX,  che  porta  questo  titolo  :  Missale  plenarium 
ad  usum  monasterii  SS.  Petri  et  Caloceri  O.  S.  B.  dioecesis  medio lanensis, 
E  il  testo  citato  si  compiace  di  illustrare  il  saggio  "  de  ce  beau  Missel 
"  plenier  „  come  uno  degli  esempi,  per  altro  numerosi  in  Italia,  della 
persistenza  deiraccentazione  musicale  "  in  campo  aperto  „,  come  dicono 
i  tecnici,  anche  dopo  che  venne  adottato  il  sistema  delle  linee.  Ma  una 
noticina  in  calce  dice  :  "  Ce  manuscrit  appartient  à  M.  Rosenthal  de 
"  Munich  „  ;  figurò  infatti  fino  a  ieri  negli  splendidi  e  pepati  cataloghi 
del  troppo  noto  libraio  di  Monaco.  Di  che  si  tratti  è  già  detto,  pur  che 
s'aggiunga  trattarsi  del  monastero  benedettino  di  Givate  di  un  Messale 
non  ambrosiano,  che  sarebbe  certamente  per  noi  più  pregevole,  ma  ro- 
mano, con  qualche  variante  però  dal  comune  attuale,  come  dovrà  anche 
in  fine  di  questa  noticina  essere  ricordato. 

Come  mai  il  due  volte  venerando  manoscritto  dal  monastero  bene- 
nedettino  diS.  Pietro  sopra  Civate  andasse  a  finire  non  in  America, 
come  fu  detto,  ma  nelle  mani  del  signor  Rosenthal,  non  giova  qui  ri- 
cercare :  "  habent  sua  fata  libelli  „.  Quello  che  importa  e  che  merita 
di  essere  segnalato,  si  è  che  il  pregevole  cimelio  è  tornato  fra  noi,  e 
propriamente  a  Milano,  e  se  non  alla  sua  sede  primitiva,  a  quella  che 
esso  occupava  alla  fine  del  sec.  XVIII,  cioè  nella  insigne  biblioteca 
Trivulziana.  Ne  vanno  rese  lodi  e  grazie  al  generoso  ed  intelligente 
coraggio  di  Sua  Eccellenza  il  principe  Luigi  Trivulzio,  il  quale  ha  già 
mostrato  (e  non  con  questo  solo  tratto)  di  stimare  come  si  merita 
quella  parte  preziosissima  dell'avita  e  paterna  eredità,  come  gli  aviti  e 
paterni  esempi  viene  emulando,  con  largheggiare  di  ogni  agevolezza  ai 
dotti  e  studiosi  di  tutto  il  mondo,  i  quali  sanno  che,  trattandosi  di  ri- 
cerche a  fondo,  in  non  pochi  argomenti  non  è  prudente  trascurare  la 
Trivulziana. 

Del  contenuto  già  da  parecchi  fu  parlato,  come  può  vedersi  in  questo 
Archivio  (XXIII,    1896,    11,  p.  329,  sgg.;  XXV,  1898,  i,  p.  83);  ne  parla- 


APPUNTI   E    NOTIZIE  21 7 

rono  pure  e  il  nostro  Fumagalli  {Delle  antich.  longob,  mil.,  voi.  Ili, 
pp.  120,  123)  ed  altri  da  lui  citati  ;  e  senza  dubbio  di  nuovo  se  ne  par- 
lerà, secondo  si  merita  la  importanza  e  storica  e  liturgica  del  cimelio, 
ora  ch'esso  è  ritonato  fra  noi. 

Qui  pertanto  non  daremo  che  una  sommaria  descrizione  del  codice.  È 
un  ms.  membranaceo  di  0.258X0.170,  con  carte  scritte  322  numerate  di 
fresco  nel  retto  de*  fogli.  I  fogli  1-8  e  316-322  sono  cartacei  e,  salvo  alcuni 
bianchi,  scritti  da  don  Carlo  Trivulzio,  ben  noto  lui  e  la  sua  mano  ai 
frequentatori  della  Trivulziana,  poiché  quasi  in  ogni  codice  ricompare 
con  note  attestanti  la  sua  studiosità  ed  anche  la  sua  cultura.  Un'altra 
numerazione  (dei  secc.  XVI-XVII)  va  dal  moderno  fogl.  17  al  fogl.  311 
(i  292);  un'altra  ancora  più  antica  (secc,  XIII-XIV)  va  dall'attuale  fol.  26  v. 
al  226  v.,  segnata  in  numeri  romani  nel  margine  esterno  del  verso  di 
ciascun  foglio  (I-CCI). 

La  legatura  è  del  sec.  XVI,  in  assicelle  ricoperte  di  cuoio  rossa- 
stro con  lievi  e  semplici  impressioni  a  secco. 

Il  fogl.  I  non  ha  che  il  titolo,  in  maiuscoletto  abbastanza  elegante 
del  sec.  XVIII  :  "  Missale  |  saeculo  XI  exaratum  |  ad  usum  |  Mona- 
"  sterii  I  SS.  Petri  et  Caloceri  de  Clavate  |  Ordinis  S.  Benedictis  |  Dio- 
"  cesis  Mediolanensis  „. 

I  fogli  9-16  (un  giusto  quaderno)  sono  occupati  dal  Calendario,  dove 
la  stessa  mano  che  numerava  i  fogli  nei  secc.  XVI-XVII  esponeva  in 
margine  la  piià  parte  dei  nomi  de'  santi  e  delle  feste  coi  rispettivi  nu- 
meri dei  fogli  da  essi  occupati  nel  volume. 

I  fogli  17-23  (che  costituiscono  un  quaderno  imperfetto  3-4)  contengono 
orazioni  (l'ultima  mutila)  e  benedizioni  dell'  istessa  mano  predominante 
nel  Calendario,  il  quale,  come  di  solito,  ha  .evidenti  tracce  di  parecchie 
mani.  Né  la  mano  del  Calendario  è  quella  stessa  del  Messale,  ma  un 
poco  più  recente,  e  nel  Messale  stesso  parecchie  mani  intervengono, 
sebben  contemporanee. 

II  fogl.  23  (già  7)  nella  formola  della  professione  monastica   ha    fra 

l'altro:  "  Ego  frater  ille   promitto   stabilitatem  meam in    hoc    mona- 

"  sterio  quod  dicitur  clavate,  quodque  est  constructum  in  honore  beati 
"  Petri   Apostoli  et  sancti  Caloceri  mart „. 

I  fogli  24-27  (formanti  un  duernio  a  sé)  hanno  il  Canone  della  Messa 
ma  mutilo  da  principio,  cominciando  al  fogl.  24  colle  parole  :  "  per  Je- 
"  sum  Christum  filium  tuum  dominum  nostrum  supplices  rogamus  et 
"  petimus....  „.  Finisce  al  fogl.  26  v.  linea  4.*  colle  parole:  "  Agnus  dei 
"  qui  tollis  peccata  mundi  miserere  nobis  „  ;  dopo  di  che  segue  senza 
intervallo  la  rubrica  :  "  Incipiunt  orationes  mensis  X.  Dm.  prima  de 
"  Adventu  „. 

I  fogli  28  e  29  non  sono  uniti  fisicamente  fra  loro,  ma  neppure  pre- 
sentano lacune  nel  testo,  ed  in  calce  al  fogl.  29  v.  si  vede  la  segnatura  I 
del  quaderno  destinato  già  ad  essere  il  primo  :  seguono  poi  allo  stesso 
modo  in  fine  a  ciascun  quaderno  le  segnature  II-XXXVI,  con  i  quaderni 
pieni  e  regolari,  tranne  il  XXXVI  dal    quale  furono  già  prima  del  se- 


2l8  APPUNTI    E    NOTIZIE 

colo  XVII  tagliati  fuori  due  fogli  tra  gli  attuali  290-291  producendo  la 
corrispondente  lacuna  nel  testo. 

Seguono  quattro  fogli  uniti  artificialmente  pei  margini,  e  con  questi 
finisce  il  Messale. 

Gli  ultimi  4  fogli  pur  membranacei  (312-315)  furono  aggiunti  da  don 
Carlo  Trivulzio,  segnati  A,  B,  C,  D  e  con  la  nota:  "  non  appartengono 
*'  al  medemo.  Io  li  ho  qui  uniti  a  riflesso  che  il  Libraro  che  mi  ven- 
^*  dette  il  Messale  mi  diede  anche  questi  fogli  da  lui  presi  in  Como  da 
"  quella  stessa  persona  da  cui  acquistò  il  Messale.  Tali  fogli  sono  an- 
"  ch'essi  d'un  Messale.  L'opposta  parte  del  f.  segnato  B  è  stata  abrasa 
"  sino  dal  principio  del  sec.  XIII  per  sostituirvi  l'orazione:  A  cunctis 
"  nos  quaesumus  Domine,  preghiera  composta  da  Innocenzo  terzo  che 
^'  resse  la  Chiesa  dall'anno  1198  al  1216  „;  e  nota  don  Carlo  che  nella  ora- 
zione stessa  fu  introdotto  il  nome  di  S.  Eufemia,  donde  risulta  che  il 
Messale  fosse  in  uso  nella  diocesi  di  Como  in  chiesa  dedicata  alla  santa. 

Nei  seguenti  fogli  cartacei  sta  il  Canone  della  Messa  romana  in 
minuta  istampa  del  sec.  XVIII  con  larghi  margini  riempiti  di  note  da 
don  Carlo  Trivulzio  con  prefisso  questo  titolo  che  dice  abbastanza: 
"  Canone  della  Messa  Romana  con  i  numeri  indicanti  i  luoghi  dove 
"  si  riscontrano  le  varietà  del  Canone  del  presente  Messale  di  Civate 
"  qui  in  appresso  notate  nel  margine  „.  Credo  la  stampa  fatta  apposi- 
mente   preparare  da  don  Carlo. 

Ricca  e  bellissima  in  tutto  il  Messale  la  notazione  neumatica.  Sono 
pur  copiose  le  rubriche  e  le  iniziali  rosse  in  bei  caratteri  grandi  di 
varia  scrittura.  Distinte  ed  eleganti  iniziali  occorrono  nei  fogli  26  v.,  37, 
169;  174,  220,  228,  230  V.,  252  V.  ;  furon  tagliate  fuori  da  mano  vandalica 
quelle  dei  fogli  180  e  196.  Questo  e  le  accennate  lacune  del  testo  e  le  ir- 
regolarità de'  quaderni  dimostrano  meno  esatto  quanto  dice  il  Catalogo 
del  signor  Rosenthal,  che,  accennata  la  mancante  iniziale  del  fogl.  180, 
chiude  l'annuncio  del  nostro  Messale  con  le  parole:  "  C'est  la  seule 
^'  imperfection  de  ce  code  „. 

Accompagna  il  volume  descritto  un  altro  delle  stesse  dimensioni  e 
d'un  centinaio  (tra  scritte  e  lasciate  in  bianco)  di  pagine  cartacee  in 
gran  parte  di  mano  di  don  Carlo  Trivulzio,  in  parte  ancora  di  una  bella 
mano  contemporanea,  col  titolo  :  "  Osservazioni  sopra  d'un  Messale 
"  benedettino  Mss.*°  appartenente  al  Monastero  di  Civate  posto  nella 
"  Diocesi  di  Milano  coll'aggiunta  di  ciò  che  concerne  l'antichità  del  su- 
"  detto  Monastero.  MDCCLXIII  „.  E  basti  il  titolo;  che  descrivere  mi- 
nutamente il  contenuto  del  libro  non  sarebbe  abbastanza  breve  per 
questo  appunto  già  lungo,  e  potrà  forse  fornire  materia  per  un  appunto 

futuro. 

A.  R. 

^%  Due  matematici  cremonesi  del  sec.  xv:  fra  Leonardo  de  An- 
TONii  e  maestro  Leonardo  Mainardi.  —  Nell'anno  1902  il  prof.  Massi- 
miliano Curtze   di  Thorn,  valentissimo    cultore    degii    studi    matematici, 


APPUNTI    E    NOTIZIE  219 

dava  alla  luce,  giovandosi  d'un  codice  da  lui  rinvenuto  nella  biblioteca 
di  Gottinga,  la  versione  italiana,  eseguita  sullo  scorcio  del  sec.  XV  (anzi 
precisamente  Tanno  1488),  d'un  trattato  di  agrimensura,  intitolato  Artis 
metrice  practice  compilation  eh*  egli,  fondandosi  sopra  Tautorità  di  Fran- 
cesco Arisi,  ben  noto  autore  della  Cremona  litterata^  non  esitava  a  de- 
signare quale  fattura  d'un  celebre  medico  matematico  cremonese  del' 
l'ultimo  quattrocento,  Leonardo  Mainardi  (1),  La  pubblicazione  accurata 
del  Curtze,  che  portava  per  la  prima  volta  a  conoscenza  degli  studiosi 
l'opera  dimenticata  di  uno  scienziato  lombardo,  parve  a  noi  meritevole 
di  venir  segnalata  in  q^q:^'^  Archivio  ;  il  che  facemmo  tanto  più  volontieri 
in  quanto  ci  si  presentava  il  destro  di  dare  notizia  dell'esistenza  d'un 
terzo  codice  dell'operetta  originale  di  Leonardo,  conservato  nell'Am- 
brosiana, del  quale  il  Curtze  non  aveva  avuto  sentore.  La  noterella,  da 
noi  qui  posta  alla  luce  (a.  XXIX,  i,  p.  492  sg.),  fu  qualche  tempo  dopo 
integralmente  riprodotta  nel  Bollettino  di  bibliografia  e  storia  delle  scienze 
matematiche,  con  tanto  amore  diretto  dal  valoroso  nostro  collega  ed 
amico,  prof.  Gino  Loria  (a.  VII,  gennaio-marzo  1904,  p.  26  sgg.). 

Mentre  dal  canto  nostro  si  cercava  così,  molto  modestamente,  di 
rinverdire  la  fama  del  matematico  cremonese,  esso  rinveniva  un  patrono 
ben  pila  valido  e  chiaro  nella  persona  dell'  illustre  prof.  Antonio  Favaro 
dell'  Università  di  Padova,  il  quale  addì  31  gennaio  1904  presentava  al- 
l'Istituto  Veneto  una  comunicazione  intitolata:  "  Intorno  al  presunto 
"  autore  della  Artis  metrice  practice  compilatio  edita  da  M.  Curtze  „  (2). 
In  questo  suo  diligente  scritto  il  Favaro,  dopo  aver  inviato  un  pensiero 
affettuoso  alla  memoria  del  Curtze,  spentosi  immaturamente  pochi  mesi 
prima  (3  gennaio  1903),  tornava  a  passare  in  rassegna  tutto  il  mate- 
riale, di  cui  il  matematico  tedesco  s''era  giovato  per  il  suo  lavoro  sulla 
Compilatio  ;  dava  minute  descrizioni  del  codice  di  Gottinga  che  con- 
tiene la  versione  della  Compilatio  stessa,  edita  dal  Curtze,  dei  due  co- 
dici già  Boncompagni,  ora  in  possesso  d'una  libreria  antiquaria  di  Mo- 
naco, che  racchiudono  il  testo  latino  originale  dell'operetta  di  Leonardo; 
accennava  all'esistenza  del  codice  dell'Ambrosiana  ;  riproduceva  infine 
di  nuovo  il  paragrafo  della  Cremona  litterata  dedicato  al  Mainardi  ed 
anche  il  contenuto  (insignificante,  a  dir  vero)  d'alcune  schede  del  Lan- 
cetti  relative  al  Mainardi,  conservate  presso  la  biblioteca  di  Cremona. 
Finita  la  rivista,  egli  veniva   a    conchiudere   come   tutto    concorresse  a 


(i)  Die  «  Artìs  meir'tct  practice  compilatio  »  des  Leonardo  Mainardi  aus 
Cremona  in  Ahhandlung.  ^ur  Gesch.  der  mathem  Wissenschaft.  ^cc,  XIII  Heft, 
Leipzig,  1902,  II  Theil,  pp,  3-39  sgg.  Mi  sia  concesso  confessar  qui  eh'  io  non 
ho  mai  potuto  capire  perchè  il  Curtze,  avendo  avuto  a  propria  disposizione  i 
codici  contenenti  il  testo  originale  latino  della  Compilatio,  abbia  preferito  darne 
invece  alla  luce  una  versione,  che  non  ha  in  sé  pregio  veruno! 

(2)  Ved.  Atti  R.  Istituto  Veneto,  to.  LXIII,  par.  II,  p.  377  sgg.  Nelle  cita- 
zioni io  mi  valgo  dell'estratto. 


220  APPUNTI   E    NOTIZIE 

rendere  oltremodo  probabile  che  la  Compilatio  fosse  opera  d'  un  mae- 
stro cremonese  per  nome  Leonardo  ;  ma  nulla  giustificasse  l'asserto 
dell'Arisi,  che  questo  Leonardo  fosse  da  identificare  con  quel  Mainardi, 
ch'egli  diceva  fiorito  nel  1488.  Lo  scetticismo  del  Favaro  traeva  origine 
da  talune  osservazioni  del  prof.  Enestròm,  una  delle  quali  non  ha  va- 
lore, perchè  prodotta  da  equivoco  di  persona  ;  ma  l'altra  si  :  e  questa 
consiste  nel  rilievo  che  uno  de'  codici  della  Compilatio,  già  posseduti 
dal  Boncompagni,  vedesi  assegnato  nel  Catalogo  del  Narducci  al  sec.  XIV. 
Or  si  può  anche  ammettere  che  il  ms.  non  sia  proprio  del  sec.  XIV, 
ma  non  pare  credibile  che  il  Narducci  errasse  a  tal  segno  nel  giudicare 
dell'età  di  un  codice  (egli  che  ne  aveva  veduti  e  descritti  tanti  !)  da  at- 
tribuire al  trecento  un  ms.  che  spettasse  invece  alla  fine  del  quattro- 
cento !  Il  dubbio  che  l'Arisi  avesse  quindi  confuso  col  Mainardi  un  altro 
matematico  cremonese  d'egual  nome,  ma  vissuto  assai  prima,  appariva 
legittimo.  Ed  a  tramutarlo  in  certezza  giunse  poi  il  rinveniiflento  in  un 
codice  della  Laurenziana  di  Firenze,  di  due  scritti  di  materia  astrono- 
mica e  geometrica,  che  portano  entrambi  in  fronte  il  nome  di  un  "  Frater 
"  Leonardus  de  Antoniis  de  Cremona,  ordinis  minorum  bacalarius  „,  il 
quale  li  avrebbe  dettati  in  Bologna  negli  anni  1404-1405  (i). 

Ecco  dunque  un  altro  Leonardo  da  Cremona,  versato  nelle  scienze 
matematiche  ed  astronomiche,  il  quale  ha  fiorito  sugli  inizi  del  sec.  XV. 
O  non  sarà  costui  l'autor  vero  del  libro  che  l'Arisi  volle  assegnare  al 
più  tardo  Mainardi  ? 

Una  risposta  piena  e  soddisfacente  a  codest'interrogazione  ci  è  stata 
pur  testé  off'erta  dalla  solerzia  del  prof.  Favaro  in  una  nota  impressa 
nella  Bibliotheca  Mathematica  di  Lipsia  ed  intitolata  :  "  Nuove  ricerche 
"  sul  matematico  Leonardo  Cremonese  „  (2).  Intento  precipuo  del  no- 
vello scritto  è  discorrere  di  una  collezione  d'opuscoli  matematici,  messa 
insieme  nel  primo  decennio  del  cinquecento  da  un  Bernardino  Alieri 
da  Cremona,  notaio,  ragioniere  del  comune,  ed  anche  poeta,  non  ignoto 
ai  nostri  studiosi  (3).  Ora  nella  raccolta  dell'Alieri  occupa.no  luogo   ad- 


(i)  Il  cod.  Laurenziano  è  il  212  dei  mss.  provenienti  da  S.  Marco,  membran. 
del  sec.  XV.  Il  primo  scritto  dell' Antonii  vi  si  legge  a  e.  133  a  ed  è  preceduto 
da  questa  rubrica  :  «  Frater  Leonardus  de  Antoniis  de  Cremona  ordinis  minorum 
«  bacalarius  bon.  compegit  1405  ».  Di  qui  risulta  che  il  frate  nel  1405  studiava 
a  Bologna. 

(2)  Biblioth.  Mathem.,  Zeitschr.  fùr  Gesch.  der  mathem.  Wissenschaft.,  Ili 
Folge,  5  Band,  1905,  p.  326  sgg. 

(3)  La  miscellanea,  compilata  dall' Alieri,  e  formante  oggi  il  ms.  Fonds 
Latin  7192  della  Nazionale  di  Parigi,  comprende  oltre  agli  scritti  di  Leonardo, 
una  interessante  corrispondenza  di  carattere  scientifico  tra  il  cremonese  Giorgio 
Fondulo,  ed  il  pavese  Paolo  da  Frezo,  dove  si  parla  molto  delle  opere  di  Leo- 
nardo e  si  tessono  somme  lodi  della  sua  dottrina. 

Di  Bernardino  Alieri  è  un  brevissimo  cenno    presso   l' Arisi,    Crem.    litter.. 


APPUNTI    K    NOTIZIE  221 

dirittura  precipuo  gli  scritti  dettati  da  fra  Leonardo  Antonii  da  Cre- 
mona, e  tra  essi  figurano  non  solo  le  due  dissertazioncelle  di  geome- 
tria, che  vedetnmo  già  assegnate  a  lui  dal  codice  Laurenziano,  ma  com- 
pare altresì  VArtis  metrice  practice  compilation  che  nei  tre  codici,  già 
noti,  non  reca,  come  si  ricorda,  altro  nome  che  quel  di  "  Leonardo  da 
"  Cremona  „  non  sia.  Non  si  può  dunque  dubitare  più  a  lungo  che  la 
attribuzione  della  Compilatio,  detta  nel  codice  Sitoniano  di  "  Leonardo 
"  da  Cremona  „  (i),  ad  un  Leonardo  Mainardi,  non  sia  una'alzata  d' in- 
gegno dell'Arisi,  la  quale  ebbe  per  effetto  di  provocare  equivoci  ed 
errori,  che  oggi  soltanto  s'  incominciano  a  dissipare. 

Il  Favaro  si  meraviglia,  ed  a  ragione,  che  d'uomo  insigne  tanto  nel 
campo  della  scienza  matematica,  quale  fu  l'Antonii,  che  godette  certo, 
come  ne  fanno  anch'oggi  fede  parecchie  testimonianze,  di  larga  cele- 
brità ai  suoi  giorni  in  Italia,  gli  scrittori  di  cose  cremonesi  non  abbiano 
serbato  ricordo  veruno.  Ma  ancora  piia  strano  del  silenzio  dei  concitta- 
dini di  fra  Leonardo,  pare  a  noi  possa  dirsi  quello,  di  cui  si  son  resi 
a  suo  danno  colpevoli  i  suoi  stessi  confratelli.  Gli  annalisti  francescani 
difatti,  tanto  solleciti  sempre  di  esaltare  tutti  coloro  che  in  un  modo  o 
nell'altro  avessero  dato  lustro  all'ordine,  l' hanno  completamente  di- 
menticato. Il  Wadding  lo  ignora  (2);  ne  tace  lo  Sbaraglia  (3),  e  tra  i 
molti  Leonardi,  obbliatissimi  tutti,  che  fra  Sigismondo  da  Venezia  ci 
mostra  entrati  ad  ingrossare  le  file  della  francescana  famiglia,  egli  non 
compare  (4).  Non  vi  sono  che  due  eruditi  del  settecento  i  quali  gli  ab- 
bian  dedicato  un  ricordo:  G.  Tiraboschi   ed    il   padre    Zaccaria;  grazie 


to.  II,  p.  55,  che  lo  chiama  «  poeta  clarissimus  et  multe  lectionis  vir  »,  e  ne 
enumera,  credo  sulla  fede  del  Bressiani,  parecchi  poemi  latini  e  volgari  di  con- 
tenuto sacro  e  profano,  andati  perduti.  Più  importante  per  noi  dee  dirsi  il  ri- 
cordo fatto  dell'Alieri  da  Domenico  Bordigallo  nella  sua  inedita  Cronica.  Lo 
riportiam  qui  integralmente  dal  cod.  Pallavicino-Resta,  e.  501  b  :  a  Die  domi- 
«  nico  quinto  mensis  maii  [MDXXI]  de  hac  vita  mortali  ad  eternam  pertran- 
:(  sivit  dominus  Bernardinus  Alierus,  patrie  racionator  sive  dictator,  notarius  de 
«  collegio  notariorum  prefate  civitatis,  necnon  poeta  oratorque.  En  epitaphium  : 

Bernardinus  amans  dominum  de  stirpe  Aliera 
conditur  hoc  tumulo,  vir  bonus  et  sapiens. 
Dictator  patrie,  consul  fuit  atq.ue  poeta 


(i)  Cfr.  la  nota  2  a  p.  224. 

(2)  Anuales  minorum,  Roma,  1726. 

(3)  SuppUìueiit.  et  castig.  ad  script.  t*-iiim  orditi  S.  Francisci,   Romae,  1806. 

(4)  Fra  Sigismondo  da  Venezia,  Biografia  serafica  degli  nomini  illustri  che 
io r irono  nel  francese,  istitu/o  ecc.,  Venezia,  MDCCCXLVI. 


222  APPUNTI    E    NOTIZIK 

ad  essi  soltanto  si  può  affermare  clie  l'Antonii  non  è  rimasto  proprio 
un  ignoto  nella  storia  della  cultura  italiana  (i). 

Riguardo  al  tempo  in  cui  si  manifestò  l'attività  scientifica  dell'An- 
tonii,  il  Favaro  è  d'avviso  che  si  possa  comprendere  tra  gli  anni  1405 
e  1440  circa.  Se  difatti  nel  primo  lustro  del  sec.  XV  Leonardo  era  an- 
cora semplice  baccelliere  in  teologia,  ciò  significa  che  non  doveva 
avere  ancora  sorpassato  di  molto  la  trentina.  Io  inclinerei  quindi  a  col- 
locare la  sua  nascita  verso  il  1375  (2).  In  quanto  alla  sua  morte,  essa 
dovrebbe  esser  seguita  verso  il  1440,  giacché  nei  suoi  scritti  il  Favaro 
ha  potuto  rinvenire  allusioni  a  fatti  storici  seguiti  nel  1437  (3). 

Per  quanto  concerne  a  L.  Mainardi,  il  Favaro  è  inclinato  ad  acco- 
gliere l'asserzione  dell'Arisi  ch'esso  abbia  vissuto  negli  ultimi  lustri 
del  sec.  XV;  ma  a  questo  punto  io  non  posso  accordarmi  con  lui,  per 
le  ragioni  ch'ora  vengo  ad  esporre. 

Occorre  innanzi  tutto  notare  come  tra  i  tre  scrittori  cremonesi  i 
quali  soli  ci  parlano  del  Mainardi,  regni  un  disaccordo  considerevole 
rispetto  al  tempo  in  cui  esso  fiorì.  M.  G.  Vida  nella  seconda  delle  sue 
Orazioni  pe' Cremonesi,  scrive  :  "  Fuit  ante  Plasium  Leonardus  Ma- 
"  niardus  (sic),  qui  suo  tempore  non  tantum  inter  nostros,  sed  etiam 
"  inter  omnes  in  hiis  studiis  tenuit  principatum  „  (4).  Che  nel  "  Plasius  „, 
citato  dal  vescovo  d'Alba,  dovesse  riconoscersi  Giovambattista  Plasio 
cremonese,  medico  ed  astronomo  valentissimo  ;  "  consumatae  astrono- 
"  miae  omnisque  doctrinae  et  scientiae  lumen  „,  come  lo  dice  l' iscri- 
zione posta  sulla  sua  tomba  in  Sant'Agostino,  morto  indubbiamente  ne^ 
1492  (5),  ha  ben  veduto  il  Favaro.  Ma  egli  s'è  invece,  a  nostro  giudizio» 
discostato  un  poco  dal  vero,  quando  ha  asserito  che  il  Plasio,  "  se 
"  anche  morì  qualche  anno  dopo  il  Mainardi,  può  dirsi  piuttosto  suo 
"  contemporaneo  che  ad  esso  posteriore  „  (6).  Cotesta  sentenza  pare  a 


(i)  TiRABOSGHi,  Storia  della  letter.  ital.,  to.  V,  par.  I,  p.  352;  Fr.  Ant* 
Zachariae,  Iter  literar.  per  Ital.,  Venezia,  1762,  p.  69.  Il  primo  ricorda  il  co- 
dice già  di  S.  Salvatore,  ora  2780  dell'Università  di  Bologna,  che  contiene  il 
modo  di  ritrovare  radice  quadrata  o  cubica,  a  secondo  lo  philosopho  Maistro 
«  Leonardo  da  Cremona  »  ;  il  secondo  descrive  il  cod.  Laur.,  che  appartenne  a 
S.  Marco,  e  che  contiene  le  scritture  dell' Antonii  su  Euclide. 

(2)  Il  Favaro,  Nuove  ricerche  ecc.,  p.  540,  pone  la  nascita  di  Leonardo 
«  verso  il  1380  ». 

.(3)  Op.  cit.,  p.  339. 

(4)  Cremonensiuni  Orationes  III  adv.  Papienses  etc,  Cremonae,  MDL,  e.  50  b. 

(5)  Le  date  del  1497  e  del  1501,  indicate  dal  Gavitelli  e  dal  Baldi  come 
quelle  della  morte  del  Plasio  (cfr.  Favaro,  Int.  al  pres.  aut.,  p.  389),  son  sem- 
plici spropositi  di  scrittori  negligenti.  La  data  1492  è  incisa  sulla  pietra  tombale, 
che  ognuno  può  ancor  oggi  vedere:  cfr.  Vairani,  Inscript.  Cremonens.  universae, 
Cremonae,  MDCCXCVI,  n.  489,  e.  LXXIX. 

(6)  Int.  al  pres.  aut.,  p.  389. 


APPUNTI   E    NOTIZIK  223 

me  in  aperto  contrasto  colla  testimonianza  del  Vida,  il  quale,  scrivendo 
del  Mainardi  :  "  fuit  ante  Plasium  „,  s'è  proposto,  o  m'inganno,  di 
segnare  una  netta  distinzione  cronologica  tra  i  due  illustri  cremonesi, 
e  di  mettere  bene  in  sodo  che  il  Mainardi  fu,  e  non  di  poco,  più  vec- 
chio del  Plasio.  Costui  difatti  (si  badi!)  non  è  considerato  dal  Vida 
come  un  suo  contemporaneo,  bensì  quale  il  rappresentante  d'  una  ge- 
nerazione alla  propria  anteriore  (i).  Scrive  egli  difatti  in  quel  luogo 
della  medesima  Orazione,  dove  fa  per  la  prima  volta  menzione  del 
Plasio  :  "  Habuit  enim  nostra  civitas,  praeter  hos  duos  praeclaros  me- 
"  dicos  (2),  patris  mei  memoria  nobilissimum  ac  praestantissimum 
"  lohannem  Baptistam  Plasium,  qui  etiam  in  mathemathiois  disciplinis^ 
"  ut  postea  dicam,  cunctos  suae  posteriorisque  aetatis  superavit  „  (3). 
Ora  se  il  Plasio  fioriva  ai  tempi  in  cui  era  giovine  Gelelmo  Vida,  padre 
del  Nostro,  e  se  il  Mainardi  visse  prima  del  Plasio,  noi  non  possiamo 
certo  non  riconoscere  che  tra  il  Plasio  ed  il  Mainardi  debba  esser  corsa 
una  distanza  di  30  o  40  anni  almeno. 

Di  fronte  alle  esplicite  dichiarazioni  del  Vida  stanno  le  asserzioni 
del  Gavitelli  e  dell'Arisi,  che  assegnano  come  anno  di  fioritura  del 
Mainardi,  l'uno  il  1496,  l'altro  il  1488,  Che  valore  hanno  queste  date  ? 
Per  me,  debbo  confessarlo,  nessuna.  Chiunque  conosca  un  po'  davvicino 
la  storiografia  cremonese  (v'è  ancora  qualcheduno  che  la  conosca?)  non 
ignora  come  gli  Annales  del  Cavitelli  siano  una  tarda  compilazione 
cinquecentistica,  fatta  da  un  dilettante,  che  si  è  servito  di  materiali  an- 
teriori, accozzati  insieme  senz'ombra  di  discernimento.  Molto  probabil- 
mente solo  per  una  delle  infinite  sviste  che  ricorrono  nel  suo  libro,  il 
dabbene  Lodovico  ha  scritto  che  il  Mainardi  "  fuit  in  magno  {sic)  ex- 
"  timatione  ob  eius  doctrinam  „,  proprio  nel  1496.  In  quanto  all'Arisi, 
egli  non  è  in  fondo  molto  piìi  autorevole  del  Cavitelli,  da  cui  racimolò 
non  poche  delle  notizie  inserite  nella  Cremona  Htterata.  Sebbene  amico 
di  L.  A.  Muratori,  il  nostro  letterato  non  ebbe  mai  familiarità  col  me- 
todo critico  e  colle  ricerche  severe  ;  fu  un  semplice  compilatore,  un 
abborracciatore  verboso  e  nulla  più.  La  data  del  1488,  messa  in  fronte 
al  paragrafo  del  Mainardi,  è  (nessuno  l'ha  osservato  finora),  quella  del- 
l'anno in  cui  fu  scritta  la  versione  volgare  della  Compilatio  messa  in 
luce  dal  Curtze  :  e  probabilmente  è  un  ricordo  vago,  confuso,  di  questo 
fatto  letterario,  che  ha.  suggerito  all'Arisi  d' indicare  il  1488  come  l'anno 
in  cui  Leonardo  fioriva  e  scriveva. 

Ma  a  che  perderci  oltre  in  parole  ?  V  è  un  documento,  il  quale 
taglia,  come  si  suole  dire,  la  testa  al  toro,  e  mostra  quanto  avesse  ra- 


(i)  Si  tenga  presente  anche  che,  secondo  una  tradizione  corrente  in  Cre- 
mona, il  Plasio,  quando  mori,  toccava  quasi  i  novant'aiini.  Era  dunque  nato  sui 
primi  del  sec,  XV:  cfr.  Arisi,  Crtm.  litter.,  to.  I,  p.  333. 

(2)  Gerardo  da  Sabbioneta  ed  Apollinare  Offredi. 

(3)  Orai,  cit.,  e.  47  B. 


224  APPUNTI    E    NOTIZIE 

gione  il  Vida  di  rimandare  a  mezzo  il  sec.  XV  Tattività  scientifica  del 
Mainardi.  In  quel  libro  che  Bartolomeo  Corte,  "  filosofo  e  medico  mi- 
"  lanese  „,  diede  nel  1718  alle  stampe  intorno  ai  medici  scrittori  suoi 
concittadini  (i),  Giovanni  Sitoni  di  Scozia,  il  notissimo  investigatore  della 
storia  e  della  genealogia  delle  famiglie  milanesi,  pone  alla  luce,  corre- 
dandolo di  proprie  note,  il  "  Rotùlus  prò  doctoribus  et  aliis  legere  deben- 
"  tibus  in  felici  studio  mediolanensi  in  presenti  anno  MCCCCXLVIII  „  (2). 
Orbene,  tra  i  professori  chiamati  dall'effimera  repubblica  Ambrosiana  a 
costituire  la  nuova  Università  milanese,  noi  rinveniamo  eletto  con  sti- 
pendio di  settanta  fiorini:  "  Ad  lecturam  Mathematicarum  „,  "  Magister 
"  Frater  Leonardus  de  Mainardis  de  Cremona  „  (3). 

Questa  notizia,  intorno  alla  cui  autenticità  non  sembra  possibile 
sollevare  eccezioni  (4),  viene  a  porre  sempre  meglio  in  chiaro  le  ca- 
gioni che  contribuirono  a  far  confondere  l'uno  coll'altro  i  due  matematici 
cremonesi,  l'Antonii  ed  il  Mainardi,  Non  solo  difatti  ebbero  entrambi 
il  medesimo  nome,  ma  per  giunta  furono  frati  ambedue  !  Si  capisce  che, 
morto  l'Antonii,  siansi  facilmente  attribuite  al  suo  compatriotta  le  opere 
ch'egli  aveva  lasciate. 

{ i)  Noti:(te  istoriche  int.  a'  medici  scrittori  milanesi  e  a'  princip.  ritrovam. 
fatti  in  medicina  dagli  Italiani,  Milano,  MDCCXVIII. 

(2)  Op.  cit.,  p.  284.  Siccome  al  Favaro  sfuggì,  non  sappiam  come,  il  fatto 
che  la  stampa  del  Rotiilus  e  le  note  illustrative  appartengono  al  Sitoni,  cosi 
egli  ha  creduto  che  la  nota  apposta  a  p.  284  al  nome  del  Mainardi  :  a  Huius 
c(  opera  gothico  charactere  exarata  et  per  clarissimum  virum  Franciscum  Ari- 
«  sium  eruditorum  Cremonae  principem  relata  in  toni.  I  Cremon.  literat  pag.  347, 
«  sub  an.  1488,  apud  me  autographa  servantur,  prout  etiam  ibidem  in  nube 
«  Arisius  ipse  testatur  »  ;  fosse  stata  scritta  dal  Corte,  e  parla  quindi  sempre 
del  Corte  {Int.  al  pres.  aut.,  pp.  io,  12)  come  di  colui  che  possedette  il  codice 
della  Compilatio  fatto  conoscere  dal  Cotta  all'Arisi.  In  realtà  il  Corte  qui  non  ha 
proprio  nulla  a  che  vedere  ;  il  codice  di  cui  il  Cotta  diede  notizia  all'Arisi,  era 
di  proprietà  del  Sitoni  e  deve  identificarsi  col  ms.,  già  Boncompagni  254  o  303 
che  non  solo  reca  anche  oggi  la  firma  autografa  del  Sitoni,  ma  fu  da  lui  fre- 
giato d'una  postilla  ms.,  che  corrisponde  in  gran  parte  a  quella  impressa  nel  libro 
del  Corte.  Di  qui  risulta  altresì  manifesto  che  solo  responsabile  della  data  a  1488  » 
indicata  come  quella  in  cui  fiorì  il  Mainardi,  è  l'Arisi  j  e  non  già  altri,  come  il 
Favaro  aveva  pensato  (op.  cit.,  p.  12). 

(3)  Op.  cit.,  p.  284. 

(4)  È  mio  dovere  però  di  avvertire  che  il  testo  del  Rotulus,  quale  si  rin- 
viene presso  il  Fagnani,  Famiglie  milanesi,  to.  Vili,  lett.  R-S,  e.  6  a  (bibl.  Am- 
brosiana) e  presso  il  Giulini,  Memorie  ecc.,  Milano,  1857,  voi.  VI,  p.  37,  reca, 
non  già  «  Frater  Leonardus  de  Mainardis  de  Cremona  »,  bensì  .«  Frater  Leo- 
«  nardus  de  Cremona  ».  Che  il  cognome  sia  stato  aggiunto  dal  Sitoni?  Ma  in 
ogni  modo,  come  si  potrebbe  ammettere  che  si  trattasse  qui  dell' Antonii  ?  S'egli 
era  ancor  vivo  nel  1448,  doveva  toccar  l'ottantina,  età  poco  favorevole  per  sa- 
lire sopra  una  cattedra. 


APPUNTI    E    NOTIZIK  325 

Allo  Stato  presente  delle  cose  noi  possiam  dunque  ritenere  come 
probabile  che  abbiano  fiorito  nella  prima  metà  del  quattrocento  due 
cremonesi,  che  si  distinsero  per  la  loro  dottrina  matematica  ed  astro- 
nemica.  Il  primo,  fra  Leonardo  degli  Antonii,  nato  verso  il  1375,  do- 
vette mgrire  circa  il  1440,  lasciando  molti  e  pregevoli  scritti.  Il  secondo, 
nato  verso  il  1410,  dovette  giungere  colla  vita  fino  al  1470-1480.  Delle 
opere  sue,  se  ne  dettò,  ninna  per  ora  ci  è  conosciuta. 

F.  N. 

^%  Scacchiera  della  seconda  metà  del  xvi  secolo  appartenuta 
AD  UN  Bernabò  Visconti  di  Como.  ■ —  Non  ultimo  degli  oggetti  di  sin- 
golare pregio  del  Museo  Poldi  Pezzoli,  benché  fin  qui  da  pochi  osser- 
vato coll'attenzione  che  merita,  è  nella  sala  verde  a  primo  piano  una 
scacchiera  doppia  in  legno  di  noce  intarsiato  a  vari  colori,  collocata 
sotto  vetrina  presso  la  seconda  finestra  di   detta  sala. 

È  delle  dimensioni  di  cm.  51  d'altezza  per  una  larghezza,  colle  due 
sezioni  aperte,  di  cm.  82,  e  stante  lo  spessore  suo  agli  orli  di  cm.  4, 
offre  nel  mezzo  largo  agio  a  contenervi  le  dame  o  pedine,  in  numero 
di  trenta  fra  bianche  e  nere,  essendo  i  due  spazi  rettangolari  interni 
usufruiti  per  trictrac  o  giuoco  di  dame  e  dadi  anziché  pel  vero  e  pro- 
prio certame  degli  scacchi  o  pel  più  recente  giuoco  della  dama,  notan- 
dosi la  scacchiera  di  sessantaquattro  caselle,  fra  bianche  e  nere,  solo 
nella  secondaria  delle  facciate  esterne. 

La  facciata  esterna  principale  aprentesi,  quando  il  giuoco  è  chiuso, 
da  sinistra  a  destra,  va  infatti  decorata,  con  una  zona  tutt'all'  intorno 
di  fiorami  a  tarsia  con  due  gigli  bianchi  e  neri  ed  altri  due  bianchi  con- 
trapposti ai  quattro  angoli  estremi,  e  da  un  grandioso  stemma,  a  tarsia 
esso  pure,  che  è  quello  antico  degli  Aimi  avente  nel  mezzo  lo  scudetto 
colla  biscia  viscontea. 

Offrono  infatti  in  vista  i  quarti  di  detta  insegna  araldica,  fatta  pro- 
pria dai  Visconti  di  Brignano,  le  fiamme  a  lingue  tortuose  nel  primo  e 
nel  quarto  e  le  ancore,  raffigurate  con  legno  tinto  in  verde,  nel  secondo 
e  nel  terzo,  e  lo  stemma  medesimo  vedesi  riprodotto  nelle  due  valve 
interne  sopra  una  fascia  mediana,  figurando  però  ivi  in  scudo  a  parte 
la  biscia  viscontea,  e  venendovi  contrapposto  a  sinistra  l'emblema  della 
colomba  contenuta  nel  nodo  d'amore  detto  dal  Decembrio  Capitergium 
cum  gassa,  cimata  dalla  corona  ducale  e  avente  ai  lati  l' impresa  dei 
tizzoni  ardenti  co'  secchielli  appesivi. 

Contro  quella  fascia  mediana,  pomposamente  adorna  delle  insegne 
gentilizie,  vanno  a  finire  le  estremità  a  sei  punte  delle  sei  pirami- 
dette  per  parte  costituenti  il  tracciato  grafico  per  le  sfide^di  trictrac. 

Vuoisi  derivato  quel  giuoco  dalla  Persia,  come  dall'  India  proverreb- 
bero invece  gli  scacchi,  quantunque  v'  ha  chi  asserisca  già  conoscessero 
qualcosa  di  consimile  i  greci  col  giuoco  dei  Diagramismos  e  i  romani 
colle  Duodena  scripta  dette   altresì  Ludus   latrunculorum.    Oltreché    col 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXN,  Fase.  VII.  15 


226  APPUNTI    E    NOTIZIE 

numero  fisso  di  trenta  pedine,  si  giuocava  il  trictrac  valendosi  di  bos- 
soli per  gettare  i  dadi  e  anticamente  usavansi,  in  luogo  di  dame,  pic- 
coli piuoli  da  infiggere  nella  tavola  in  appositi  fori,  oppure  sassolini 
tessere  di  materie  diverse,  detti  calcoli,  per  lo  più  bicolori,  come  fu- 
rono poi  sempre  anche  le  pedine,  15  bianche  e  15  nere. 

Nel  tavoliere  di  cui  ci  occupiamo,  completo  è  il  numero  delle  pe- 
dine, ma  vi  mancano  i  bossoli  pel  getto  dei  dadi,  che,  come  esso,  ri- 
teniamo dovessero  portare  un  giorno  lo  stemma  Visconti  Aimi,  e  quanto 
ai  dadi  ed  ai  gettoni,  nel  numero  di  tre  per  cadaun  giuocatore  con  due 
liste  cadauno  per  segnare  i  punti,  non  ci  vennero  conservati  ma  dove- 
vano essere  di  lavorazione  comune. 

Conosciamo  però  fortunatamente,  da  precise  indicazioni  scolpite 
sull'orlo  dello  scacchiere  in  questione,  il  nome  del  suo  possessore  e  la 
data  sua  come  segue  :  Bernabos  Vicecomes  Comi  —  J^S74-  Era  questi 
personaggio  di  qualche  vaglia,  appartenente  al  ceppo  dei  Visconti,  fi- 
glio di  un  Ottone  Visconti  e  di  Giovanna  di  Bartolomeo  della  illustre  fa- 
miglia dei  De  Negro,  di  Genova.  Nel  1570,  e  cioè  quattro  anni  prima 
della  data  segnata  sullo  scacchiere  di  sua  pertinenza,  era  ammesso  nel 
Collegio  dei  nobih  giureconsulti  di  Milano  e  divenne  poi  altro  dei  vicari 
generali  dello  stato,  passando  di  vita  nel  1590  (i).  Dei  due  suoi  fratelli, 
uno,  Giovan  Battista,  era  inscritto  nell'ordine  degli  Eremitani  di  S.  Ago- 
stino e  fu  assai  stimato  per  meriti  e  dottrina  dal  pontefice  Paolo  V  e  l'altro 
col  nome  paterno  di  Ottone,  si  distinse  come  colonnello  al  servizio  del- 
l'imperatore  di  Germania  e  poscia  nelle  Fiandre  come  addetto  all'ar- 
ciduca d'Austria  Alberto. 

Colla  posizione  oltremodo  onorifica  ed  agiata  di  Bernabò  Visconti 
circondato  qual  era  da  cospicue  parentele,  può  spiegarsi  facilmente 
come  si  facesse  egli  apprestare,  coi  distintivi  araldici  della  sua  stirpe, 
il  bel  tavoliere  di  trictrac  a  tarsia  piìi  sopra  descritto,  e  i  caratteri  del 
lavoro  nella  parte  ornamentale  dei  fregi  e  nella  riproduzione  degli  scudi 
gentilizi  danno  agio  a  ritenere  che  l' intero  scacchiere  fu  eseguito  in 
Milano,  ove  non  mancavano  nella  seconda  metà  del  XVI  secolo  valenti 
artisti  intagliatori,  fra  i  quali  annoveriamo  dei  principali  soltanto  Giovan 
Tansini  e  il  gesuita  Ferrari,  che  operarono  a  San  Fedele  nel  1577,  e 
Anselmo  e  Virgilio  del  Conte,  padre  e  figlio,  resisi  celebri  per  le  opere 
loro  d'intaglio  alla  Certosa  di  Pavia  e  nel  coro  di  San  Simpliciano. 

Una  tecnica  diversa  ed  una  maggiore  perfezione  di  lavoro  presen- 
tano invece  le  trenta  pedine  circolari,  del  diametro  tutte  di  mm.  42,  con- 
tenute nello  scacchiere  e  fino  a  noi  integralmente  pervenute.  Si  tratta 
di  vere  medaglie,  finemente  scolpite  da  entrambe   le   parti,  quindici  in 


(i)  Un  altro  Bernabò  Visconti,  figlio  di  Galeazzo,  morto  in  Brignano  nel 
1648,  fu  eletto  nel  1650  governatore  e  castellano  di  Como,  e  il  figlio  omonimo 
avuto  da  una  Talenti  di  Firenze,  moriva  nel  1686  a  Navarino,  colonnello  di  un 
reggimento  di  dragoni  al  servizio  del  re  di  Spagna. 


APPUNTI    E    NOTIZIE  227 

legno  bianco,  e  quindici  in  ebano,  portanti  impressi  non  già  soli  ritratti 
generici  d'uomini  e  donne,  come  è  asserito  nel  Catalogo  del  Museo,  ma 
sibbene  le  immagini  dei  principali  imperatori  romani  colle  mogli  loro, 
oppure  coi  rispettivi  ascendenti  diretti,  compresivi  altresì  Carlo  Magno 
colla  moglie  Ildegonda,  e  i  due  imperatori  tedeschi  Ottone  II  (955-983) 
ed  Enrico  II  (973-1024),  creato  nel  1014  imperatore  del  sacro  romano 
impero  da  papa  Benedetto  VIII,  e  canonizzato  come  santo  da  Eugenio  III. 

Ogni  pedina  porta  presso  Torlo  la  scritta  indicante  nell'idioma  la- 
tino il  personaggio  raffigurato,  con  poche  scorrezioni  qua  e  là  facilmente 
avvertibili.  Ottimi  i  tipi  epigrafici  per  nitidezza  e  disposizione  ma  so- 
pratutto pregevoli,  sotto  il  rispetto  artistico,  per  garbo  ed  esecuzione, 
le  testine  a  tutto  rilievo  col  collo  e  la  parte  superiore  del  busto,  sì  degli 
uomini  che  delle  donne. 

Molti  ritratti  dei  primi  sono  tolti  manifestamente  dalle  monete  im- 
periali, e  rivelano  nell'autore  del  lavoro  somma  coscienziosità;  v'  è  in- 
vece maggior  fantasia  nella  riproduzione  dei  tipi  femminili  con  una  va- 
rietà stragrande  nelle  acconciature  del  capo,  alcune  delle  quali  tradi- 
scono i  ricordi  del  Risorgimento  come  nelle  figure  di  Lerida,  moglie 
di  Galba,  di  Domizia  Calvilla,  madre  di  Antonino,  di  Elena  moglie  di 
Costantino  e  così  via.  Bizzarre  invece  le  trecce  a  foggia  di  corna  d'Am- 
mone  di  Lomitia  Longina  consorte  dell'  imperatore  Domiziano  e  di  Ve- 
spesia,  madre  di  Vespasiano,  o  il  copricapo  a  guisa  di  elmetto  di  Se- 
stiHa  madre  dell'imperatore  Vitellio. 

Ora,  esaminando  partitamente  queste  pedine  che  hanno  la  perfe- 
zione di*  vere  medaglie  numismatiche,  vien  tosto  all'occhio,  come  si  disse, 
la  differenza  di  lavoro  col  tavoliere  anzidetto,  e  la  supposizione  che  ci 
si  presenta  dapprima  che  non  siano  state  eseguite  da  chi  foggiò  lo  scac- 
chiere, ma  abbiano  presumibilmente  origine  tedesca,  vien  confermata  da 
una  di  quelle  pedine  che  porta  da  un  lato  un  albero  di  pino,  circondato 
dalla  elegante  corona  riprodotta  in  tutte  e  trenta  le  pedine  intorno  ai 
vari  ritratti,  e  dall'altro  una  pialla  cui  sottostanno  due  grosse  viti  di- 
sposte a  croce  di  Sant'Andrea. 

La  leggenda  che  gira  intorno  al  pino  (detto  Tanne  in  tedesco),  ri- 
vela infatti  il  nome  dell'artista  esecutore  che  volle  essere  ricordato 
agalmonicamente  da  quell'  emblema  come  un  Leinhart  Daner  zu  Nu- 
renberg,  e  si  firma  egH  modestamente  dal  lato  opposto  come  semplice 
stipettaio  e  tornitore  o  fabbricatore  di  viti  :  Schreiner  und  Schrauben- 
macher. 

Manca  la  data  e  poteva  dubitarsi  a  tutta  prima  di  venir  in  chiaro 
sulle  generalità  dell'artefice  di  sì  fine  e  pregevole  opera  d'intagho  in 
legno,  ma  non  sfuggi  il  nome  suo  ai  preziosi  volumi  del  Monogrammista 
di  Nagler  e  Andersen  del  1871,  e  a  p.  334  del  IV  di  essi,  si  danno  brevi 
cenni  di  Leonardo  Daner  che  viene  indicato  come  nato  nel  1497  e 
morto  nel  1585. 

Non  si  conoscevano  di  questo  artista  che  due  bassorilievi  esistenti 
nel  Museo  di  Berlino  col  soggetto  del  figliuol  prodigo  e  la  sigla  L.  D., 


228  APPUNTI    E    NOTIZIE 

tantoché  accennandosi  da  altri  ad  un  Hans  Daner  di  Norimberga,  sem- 
plice meccanico,  a  costui  più  che  non  a  Léonard  Daner  si  attribuiva 
l'emblema  del  pino  inciso  in  rame. 

Oggidì  per  altro,  coU'aver  sott'occhi  un  lavoro  di  tanto  pregio  e  di 
singolare  accuratezza  quale  è  quello  costituito  dalle  trenta  pedine  in 
discorso,  una  delle  quali  porta  anzi  il  nome  e  l'emblema  suo,  ogni 
dubbio  è  tolto  che  possa  egli  andar  confuso  con  quel  semplice  mecca- 
nico, e  siamo  di  fronte,  con  questa  impensata  rivelazione  dell'opera  sua 
di  oltre  tre  secoli  or  sono,  ad  un  vero  e  proprio  artista  meritevole  di 
studio  e  considerazione,  e  di  cui  altri  lavori  potranno  rintracciarsi  forse 
col  tempo,  che  meglio  lo  identifichino  e  lo  facciano  apprezzare  dai  co- 
noscitori. 

Rimane  intanto  escluso  il  dubbio  che  si  ebbe  dapprima,  stante  la  di- 
versità del  lavoro,  che  le  trenta  pedine  fossero  per  tempo  d'alquanto  po- 
steriori all'appprestamento  delle  tavole  a 'tarsia  pel  trictrac  e  quanto 
all'averne  Bernabò  Visconti  ordinata  la  provvista  ad  artefice  tedesco, 
va  tenuto  conto  che  poteva  essersi  intromesso  al  riguardo  il  di  lui 
fratello  residente  in  Germania  al  servizio  dell'imperatore,  se  pure  l'or- 
dinazione non  venne  data  espressamente  al  Daner  per  effetto  della  ri- 
conosciuta valentia  sua  nei  lavori  d'intaglio  e  della  fama  che  già  godeva 
anche  fuori  del  paese  proprio. 

Si  tratta  in  ogni  modo  sempre  d'opera  d'arte  che  fu  ordinata  e 
posseduta  in  Milano  da  cospicuo  personaggio  della  schiatta  dei  Visconti, 
ed  è  una  vera  fortuna  che  nell'esodo  dall'  Italia  non  solo  dei  veri  ca- 
polavori, ma  anche  e  forse  più  dei  minuti  oggetti  d'arte  che  costftuivano 
un  giorno  geloso  patrimonio  delle  famiglie  patrizie  milanesi,  sia  stato 
fino  a  noi  serbato  in  un  Museo  cittadino  questo  scacchiere  di  Bernabò 
Visconti  che  può  offrire  ancor  oggi  qualche  curiosità  pur  sotto  il  ri- 
spetto storico  e  numismatico. 

Diego  Sant'Ambrogio. 

J"^  Belle  novità  alla  biblioteca  Ambrosiana.  —  A  (\\i^^i* Archivio 
non  possono  tornare  indifferenti  alcune  novità  che  toccano  da  vicino,  anzi 
nell'intimo  suo,  uno  dei  nostri  più  importanti  istituti  di  scienza  ed  arte, 
vogliamo  dire  l'Ambrosiana  con  ^annessa  pinacoteca. 

I  troppo  eloquenti  moniti  dati  dalle  fiamme  che  minacciarono  la 
Vaticana  e  devastarono  la  Universitaria  torinese,  fecero  sembrare  pru- 
dente, se  non  necessario,  aggiungere  nuove  difese  a  quelle  che  già  pro- 
teggevano le  raccolte  dell'Ambrosiana  contro  il  fuoco.  Infatti  la  solidis- 
sima e  sapiente  struttura  e  disposizione  originaria,  e  la  buona  ubicazione 
e  rigorosa  sorveglianza  delle  sorgenti  di  calore  pel  riscaldamento  ri- 
dotte al  minimo  indispensabile,  e  il  regolamento  severamente  osservato 
che  esclude  ogni  luce  artificiale,  già  mettevano  l'Ambrosiana  in  una  con- 
dizione di  grande  sicurezza,  contro  i  pericoli  del  fuoco. 

La  sicurezza  è  ora  anche  molto  più  grande,  e  quasi  completa 
mercè  le  dirette  misure  di  prevenzione  e  di  estinzione   largamente  ap- 


APPUNTI    E    NOTIZIE  229 

plicate  dietro  le  competenti  indicazioni,  sotto  la  sorveglianza  e  col  suc- 
cessivo esperimento  e  collaudo  del  Comando  stesso  dei  civici  pompieri. 

Un  bisogno  di  tutt'altro  genere  si  faceva  da  tempo  sentire  nella 
pinacoteca,  quello  di  un  riordinamento  organico,  che  permettesse  di 
meglio  vedere,  gustare,  studiare  le  molte  e  squisite  bellezze  d'arte  che 
essa  accoglie.  Un  tale  riordinamento  appunto  fu  da  parecchi  mesi  co- 
raggiosamente intrapreso  ed  è  oramai  non  lontano  dal  suo  compimento. 

Tutte  le  sale  son  state  messe  a  nuovo  con  uniforme  opportuna  tinta  di 
ottimo  effetto,  oltre  che  meglio  illuminate  grazie  alle  riforme  applicate 
alle  finestre.  Venne  di  molto  aumentato  lo  spazio  trasformando  nel 
modo  più  simpatico  ed  utile  la  scala  e  lo  scalone  di  accesso,  dove  po- 
tranno trovare  opportuna  sede  i  molti  e  grandi  cartoni  che  divoravano 
le  pareti  delle  sale.  L' introduzione  di  pareti  mobili  e  di  portaquadri, 
l'eliminazione  della  suppellettile  ingombrante,  il  richiamo  delle  stampe  e 
dei  disegni  in  sede  propria  e  appositamente  preparata,  favoriranno 
vieppiù  una  disposizione  di  cose  che,  pur  rispondendo  nei  limiti  del  pos- 
sibile ai  criteri  storici  dell'arte,  soddisfaccia' alle  esigenze  dell'estetica,  ed 
a  quelle  anche  più  imperiose  dell'osservazione. 

Di  particolari  cure,  com'  è  giusto,  saranno  oggetto  l' incomparabile 
cartone  della  Scuola  d'Atene  di  Raffaello  e  i  disegni  di  Leonardo  e  della 
scuola  lombarda. 

Basterà  aggiungere  che  il  titolare  della  pinacoteca  Ambrosiana  è 
il  cav.  prof.  Luigi  Cavenaghi  e  che  il  sen.  arch.  Luca  Beltrami  e  il  signor 
Antonio  Grandi  cooperano  al  riordinamento,  per  tranquillare  ogni  più 
meticolosa  coscienza  di  competenti  e  di  dilettanti  come  per  giustificare 
le  migliori  aspettative. 

*^  Gara  di  precedenza  tra  Cremona  e  Pavia.  —  La  miserevole  gara 
che  fervette  ne'  secoli  XVI  e  XVII  tra  queste  due  nobili  città  lombarde  a 
cagione  della  "  precedenza  „  ch'esse  si  disputavano,  ha  dato  argomento 
al  signor  Ezio  Levi  di  scrivere  una  garbata  monografia  che  è  or  ora 
uscita  alla  luce  (Pavia,  B*usi,  1904)  in  volume  dopo  esser  stata  pubblicata 
in  vari  fascicoli  d'una  rivista  pavese.  Trattandosi  d'argomento  curioso 
e  sul  quale  possediamo  qualche  documento  finora  non  utilizzato,  ritor- 
neremo presto  a  discorrerne. 

/^  Una  nuova  Società  Archeologica  Italiana.  —  Riceviamo  e 
pubblichiamo  con  piacere  la  circolare  seguente  : 

Roma,  i.o  settembre  190^. 
Illustrissimo  Signore, 

È  vivamente  sentito  in  Italia  dai  cultori  delle  scienze  archeologiche  e  sto- 
rico-artistiche il  bisogno  di  raccogliere  le  energìe  di  quanti  si  interessano  in  qua- 
lunque modo  di  esse,  a  fine  di  contribuire  più  efficacemente  al  loro  progresso,  e 


230  APPUNTI    E    NOTIZIE 

di  secondare  l'opera  esplicata  dai  pubblici  poteri  nel  rinvenimento,  nella  conser- 
vazione e  nell'  illustrazione  dei  monumenti  che  riguardano  l'arte  e  la  storia  del 
nostro  paese. 

La  sproporzione  tra  la  colossale  ricchezza  archeologica  e  artistica  d'Italia  e 
i  mezzi  limitati  di  cui  il  bilancio  delle  antichità  e  belle  arti  può  disporre,  la 
concorrenza  sempre  più  viva,  che  alle  nostre  poche  forze  fanno  i  paesi  stranieri, 
in  ispecie  negli  acquisti,  rendono  necessariamente  insufficiente  l'opera  dello  stato. 
È  pertanto  nostro  desiderio,  che,  similmente  a  quanto  si  è  fatto  in  quasi  tutti 
i  paesi  europei,  si  costituisca  in  Roma  una  Società  archeologica  nazionale,  in 
conformità  dei  propositi  manifestati  già  fin  dal  1886  da  Ruggero  Bonghi,  con 
nobilissimo  appello  al  paese,  e  secondo  i  voti  espressi  nel  Congresso  Universi- 
tario di  Milano  nel  1888. 

La  Società  Archeologica  Italiana  dovrà  abbracciare,  senza  restrizioni  né  esclu- 
sioni, non  i  soli  cultori  delle  nostre  discipline,  ma  quanti  amano  ed  hanno  in 
onore  le  belle  e  gloriose  memorie  della  vita  millenaria  di  nostra  gente.  Nella 
riunione  delle  forze  sia  di  quelli  che  a  questo  genere  di  studi  hanno  dato  la 
intelligente  attività  di  tutta  la  loro  vita,  sia  di  quelli  che  porteranno  il  contributo 
non  meno  prezioso  ed  efficace  del  loro  amore,  confidiamo  che  la  Società  troverà 
modo  di  raggiungere  il  proprio  intento,  di  promuovere,  dovunque  sia  opportuno, 
studi  e  ricerche,  di  essere  autorevole  consigliera  e  cooperatrice  del  governo,  di 
illuminare  e  guidare  l'opinione  pubblica,  sforzandosi  di  suscitare  sempre  mag- 
giore in  tutto  il  popolo  italiano  il  culto  per  i  sacri  documenti  della  storia  na- 
zionale. 

Necessaria  espressione  dell'opera  della  Società  sarà  una  Rivista  Archeologica 
Italiana,  che  raccoglierà  studi  e  illustrazioni  di  monumenti,  e  darà  un  ampio 
notiziario  di  quanto  può  interessare  l'archeologia  e  la  storia  dell'arte,  il  loro  in- 
segnamento e  l'amministrazione  antiquaria  e  artistica  nostra  e    degli    altri  paesi. 

Per  render  possibili  la  vita  e  l'opera  della  Società,  riteniamo  necessario,  che 
ciascuno  degli  aderenti  si  obblighi  a  contribuire  una  quota  annua  di  lire  venti. 
Quando  il  numero  delle  adesioni  darà  affidamento  della  buona  riuscita  del  no- 
stro tentativo,  ci  riserveremo  di  presentare  uno  schema  di  statuto,  che  verrà  di- 
scusso ed  approvato  in  assemblea  plenaria,  e  inviteremo  gli  aderenti  al  versa- 
mento delle  quote. 

Intanto  fiduciosi,  che  la  S.  V.  voglia  cooperare  in  questa  impresa.  La  pre- 
ghiamo di  mandare  c6n  cortese  sollecitudine  l'ambita  sua  adesione,  e  di  render 
noto  tra  le  persone  di  sua  conoscenza  questo  nostro  invito. 

Ambrosoli  Solone,  direttore  del  Gabinetto  Numismatico  di  Brera  —  Milano. 
Beloch  Giulio,  professore  di  storia  antica  nella  R.  Università  —  Roma. 
Brizio  Edoardo,  professore  di  archeologia  nella  R.  Università  e  direttore  del 

Museo  di  Antichità  —   Bologna. 
Cantalamessa  Giulio,  direttore  delle  Regie  Gallerie  —  Veneiia. 
Colini  Giuseppe  Angelo,  libero  docente  di  paletnologia  nella  R.  Università 

—  Roma. 
Comparettì  Domenico,  senatore  del  Regno,  professore  emerito   dell'  Istituto 

di  Studi  Superiori  —  Firenze. 


I 


APPUNTI    E    NOTIZIE  23I 

De  Marchi  Attilio,  professore  di   antichità  classiche  nell'Accademia  Scien- 

tifico-Letteraria  —  Milano. 
De  Ruggiero  Ettore,  professore  di  antichità  greche  e  romane  nella  R.  Uni- 
versità —  Roma.  f 
De  Sanctis  Gaetano,  professore  di  storia  antica  nella  R.  Università  —  Torino. 
Gamurrini  Gian  Francesco,  direttore  del  Museo  e  della  Biblioteca  —  Are:^\o. 
Ghirardini  Gherardo,  professore  di  archeologia  nella  R.  Università  —  Padova. 
Halbherr  Federico,  professore  di  epigrafia  greca  nella  R.  Università  —  Roma. 
Hermanin  Federico,  direttore  della  Galleria  Nazionale  d'Arte  Antica  —  Roma. 
Lanciani  Rodolfo,  professore  di  topografia  romana  nella  R.  Università  —  Roma. 
Loewy  Emanuele,  professore  di  archeologia  nella  R.  Università  —  Roma. 
Mariani  Lucio,  professore  di  archeologia  nella  R.  Università  —  Pisa. 
Marucchi  Orazio,  direttore  del  Museo  Egizio  Vaticano  —  Roma. 
Nogara  Bartolomeo,  direttore  del  Museo  Etrusco  Gregoriano  —  Roma. 
Orsi  Paolo,  direttore  del  Museo  Nazionale  —  Siracusa. 
Patroni  Giovanni,  professore  di  archeologia  nella  R.  Università  —  Pavia. 
Pellegrini  Giuseppe,  libero  docente  di  archeologia  nella  R.  Università   — 

Bologna. 
Pigorini  Luigi,  professore  di  paletnologia  nella  R.  Università  e  direttore  del 

Museo  Preistorico  —  Roma. 
<}uagliati  Quintino,  direttore  del  Museo  Nazionale  —   Taranto, 
Ricci  Corrado,  direttore  delle  Regie  Gallerie  —  Firenze. 
Rizzo  Giulio  Emanuele,  libero  docente  di    archeologia  nella  R.   Università 

—  Roma. 
Savignoni  Luigi,  professore  di  archeologia  nella  R.  Università  —  Messina. 
Schiaparelli  Ernesto,  direttore  dei  Museo  di  Antichità  —  Torino. 
Scrinzi  Angelo,  direttore  del  Museo  Civico  —  Venezia. 
Supino  Igino  Benvenuto,  direttore  del  Museo  Nazionale  —  Firenie. 
Taramelli  Antonio,  direttore  del  Museo  Nazionale  —  Cagliari. 
Vaglieri  Dante,  professore  di  epigrafia  latina  nella  R.  Università  e  direttore 

del  Museo  Nazionale  —  Roma. 
Venturi  Adolfo^  professore   di   storia  dell'arte  medievale   e  moderna  nella 

R.  Università  —  Roma. 

Si  prega  di  inviare  le  adesioni  al  segretario    del    Comitato   provvisorio:  dottor 
Roberto  P<aribeni  -  Via  dei  Calderai,  22  -  Roma. 

In  mezzo  allo  sfacelo  dell'autorità  dello  stato,  all'anarchia  imperver- 
sante alla  Minerva,  dove  un  mostro  tricipite  regge  o  dovrebbe  reggere 
le  sorti  delle  discipline  artistiche  ed  archeologiche,  la  costituzione  di  un 
saldo  ed  autorevole  sodalizio  scientifico  indipendente  ed  animoso  po- 
trebbe essere  fuor  di  dubbio  d' utilità  non  scarsa.  I  norQi  segnati  in 
calce  alla  circolare  che  si  è  letta  rappresentano  il  più  bel  fiore  delle 
discipline  archeologiche  in  Italia  ;  se  agli  sforzi  de'  promotori  risponde- 
ranno favorevolmente  gli  studiosi,  sarà  tanto  di  guadagnato  per  la 
scienza  e  per  il  decoro  nazionale. 


232  APPUNTI    E    NOTIZIE 

J"^  Giubileo  Bibliotecario.  —  Il  giorno  28  del  p.  p.  mese  di  agosto 
mons.  Antonio  M.  Ceriani,  prefetto  della  biblioteca  Ambrosiana,  cele- 
brava il  suo  cinquantesimo  di  biblioteca,  come  parecchi  giornali  quo- 
tidiani di  quel  giorno  e  de'  seguenti  annunciarono.  Il  lieto  avveniniento 
venne  salutato  da  una  cordiale  ovazione  di  rallegramenti  e  voti  da  parte 
dei  numerosissimi  ammiratori  ed  amici  che  il  venerando  e  dott>  pre- 
lato conta  non  pure  tra  noi,  ma  anche  all'estero,  sapendosi  troppo  bene 
dai  dotti  e  studiosi  dì  tutti  i  paesi  come  mons.  Ceriani  continui  óU'An:- 
brosiana  le  gloriose  tradizioni  di  Muratori  e  di  Mai.  Mons.  Ceriani  ne 
ebbe  una  prova  ed  un  saggio  il  giorno  20  del  detto  mese,  mentre  da 
un'eletta  schiera  di  persone  gli  veniva  presentato  un  esemplare  della 
riproduzione  eliotipica  dei  celebri  frammenti  ambrosiani  dell' I/iade  il- 
lustrata della  fine  del  III  secolo,  riproduzione  che  mons.  Ceriani  stesso 
ornava  di  una  dotta  prefazione  datata  appunto  dal  28  agosto  di  questo 
anno.  Le  tavole  eliotipiche  erano  racchiuse  in  un'elegante  capsula  di 
ebano  con  fregi  d'avorio,  appositamente  disegnata  dall'arch.  Luca  Bel- 
trami,  senatore  del  regno.  Il  coperchio  recava  un'epigrafe  dedicatoria 
della  quale  possiamo  dare  il  testo  :  "  Antonio  M.  Ceriani  —  Quando  L 
"  annorum  statione  —  in  BibUotheca  Ambrosiana  —  Simul  praeclarissime 
"  functus  —  Simul  celeberrima  Iliadis  pictae  fragmenta  —  heliotypicis 
"  tabulis  —  docte  praefatus  edebat  —  Bibliothecae  Curatores^  —  Con- 
«  legae  amici  admiratores  —  MDCCCLV  —  V.  Kal.  Sept.  —  MDCCCCV  „. 
E  un  altro  testo  possiamo  dare:  quello  della  onorevolissima  dedica  au- 
tografa colla  quale  il  sommo  pontefice  Pio  X  accompagnava  un  suo  ri- 
tratto eh'  Egli  stesso  per  la  fausta  circostanza  donava  al  nostro  illu- 
stre concittadino  :  "  Dilecto  filio  Antonio  Ceriani  Protonotario  Aposto- 
"  lieo  Bibliothecae  Ambrosianae  Praefecto  annos  quinquaginta  summo 
"  cum  Ecclesiae  decere  studiorumque  sacrorum  profectu  in  eadem  Bi- 
"  bliotheca  feliciter  exactos  gratulati  Apostolicam  Benedictionem  pera- 
"  manter  in  Domino  impertimus.  Plus  PP.  X  „.  Così  anche  il  libro 
contribuirà,,  com'  è  ufficio  suo,  a  diffondere  e  conservare  imperitura  la 
memoria  di  tanti  meriti  quanti  mons.  Ceriani  è  venuto  accumulando 
nella  sua  lunga  carriera. 

Il  nostro  Archivio  è  ben  lieto  di  compiere  quest'ufficio,  mentre  ri- 
pete all'illustre  Uomo  il  suo  cordiale  "  ad  multos  annos  „. 

/^  L'Omero  ambrosiano.  —  Come  la  precedente  notizia  accenna, 
mons.  Ceriani,  prefetto  della  biblioteca  Ambrosiana,  ha  voluto  celebrare 
da  pari  suo  il  proprio  giubileo  o  cinquantesimo  anno  di  bibhoteca,  pub- 
bhcando  con  la  collaborazione  del  dott.  A.  Ratti  riprodotti  in  tavole 
eliotipiche  i  preziosi  frammenti  dell'Iliade  illustrata  che  si  conservano 
nell'Ambrosiana,  e  corredandoU  di  una  dotta  prefazione.  La  pubblica- 
zione ha  per  titolo  :  Homeri  Iliadis  pictae  fragmenta  ambrosiana  photo- 
typice  edita  cura  doctorum  Ant.  M.  Ceriani  et  Ach.  Ratti.  Praefatus  est 
Ant.  M.  Ceriani,  Mediolani.  Apud  Ulricum  Hoepli.  MDCCCCV.  Le  tavole 
fototipiche  furono  preparate  dalla  ditta  Fumagalli,  Calzolari  Se  Ferrarlo, 


APPUNTI    E    NOTIZIE  233 

le  fotografie  dal  signor  Carlo  Fumagalli  (già  ditta  Montabone).  Il  cimelio 
omerico-ambrosiano  essendo  una  vera  preziosità,  specialmente  dal  punto 
di  vista  paleografico  ed  artistico,  la  pubblicazione  era  desideratissima  e 
viene  a  prendere  uno  dei  primi  posti  nella  serie  delle  riproduzioni  dei 
manoscritti  piià  importanti  già  da  tempo  promosse  e  delle  quali  il  do- 
loroso accidente  toccato  alla  Universitaria  di  Torino  ha  mostrato  an- 
cora una  volta  la  necessità  ed  accresciuto  di  molto  il  desiderio. 

/^  Nuove  pubblicazioni  storiche.  —  Segnaliamo  con  compiacenza 
la  pubblicazione  di  due  monografie  storiche  dovute  a  giovani  e  pro- 
mettenti studiosi  che  concernono  le  vicende  politiche  della  penisola 
nelle  ultime  decadi  del  sec.  XIII  o  nei  primi  lustri  del  XIV;  /  Caminesi 
e  la  loro  signoria  in  Treviso  dal  128J  al  1J12  (Livorno,  Giusti,  1905)  del 
prof.  G.  B.  Picotti  ;  Le  guerre  tra  Venezia  e  la  santa  sede  per  il  dominio 
di  Ferrara^  ijoS-ijij^  di  Giovanni  Soranzo  (Città  di  Castello,  stab.  Lapi, 
1905);  ed  in  pari  tempo  la  comparsa  del  libro  già  atteso  di  Lino  Sighinolfi, 
La  signoria  di  Giovanni  da  Oleggio  in  Bologna  {i^jj  1360),  inserito  nel- 
l'utile Biblioteca  Storica  Bolognese  (n.  io)  della  casa  Zanichelli.  Di  queste 
opere  che  fanno  testimonianza  nuova  dell'attività  che  ferve  tra  noi  nel 
campo  delle  ricerche  storiche,  daremo  conto  assai  prossimamente  per  la 
parte  concernente  alla  Lombardia. 


t  II  giorno  7  di  giugno  spegnevasi  in  Firenze  il  prof.  Adolfo  Mus- 
safia  dell'  Università  di  Vienna,  senatore  dell'  impero  Austro-Ungarico. 
Abbandonato  l'insegnamento  da  lui  così  gloriosamente  tenuto,  l'illustre 
filologo  aveva  or  son  pochi  mesi  cercato  riposo  nella  ridente  città  to- 
scana e  sperava  trascorrervi  in  pace  il  resto  d'una  vita  atrocemente 
travagliata  da  fisiche  infermità;  ma  la  malattia  che  da  lunghi  anni  lo 
tormentava,  non  gli  concesse  di  appagare  i  suoi  voti.  A  noi  giova  qui 
ricordarne  la  veneranda  figura,  giacché  ei  fu  de'  primi  che  allo  studio 
scientifico  de'  dialetti  lombardi  rivolgesse  le  cure  sapienti  e  la  critica 
rivelatrice.  La  memoria  comparsa  ne'  Sitzungsberichte  della  I.  R.  Ac- 
cademia delle  Scienze  di  Vienna  nell'aprile  1868  (voi.  LIX,  p.  5  sgg.) 
intitolata  :  Darstellung  der  altmailàndischen  Mundart  nach  Bonvesin's 
Schriften,  è  da  considerare  come  la  solida  base  di  quante  indagini  si 
venner  poscia  facendo  intorno  al  dialetto  della  città  nostra  da  valenti 
studiosi. 

Insigne  per  bontà  d'animo  come  per  altezza  d' ingegno,  il  Mussafia 
conseguì  sempre  largo  tributo  di  affetto  e  di  stima  in  mezzo  ai  ro- 
manisti ;  per  moltissimi  de'  quali  con  lui  non  scomparve  soltanto  un 
grande  maestro,  ma  un  amico  affettuoso.  Sia  pace  al  suo  cenere  glo- 
rioso ! 


ATTI  DELLA  SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA 


Adunanza  generale  del  giorno  7  maggio  i^oj. 
Presidenza  del  Presidente  prof.  F.  Novati. 

La  seduta  si  apre  alle  ore  14,  presenti  40  soci.  Si  sono  fatti  rap- 
presentare per  delegazione  i  soci  nob.  A.  Giulini,  generale  T.  Genova 
di  Revel,  dott.  A.  Magni,  sac.  dott.  C.  Pellegrini  e  nob.  G.  Sommi-Pice- 
nardi. 

Approvato  il  verbale  della  precedente  adunanza,  il  Presidente  rende 
conto  dei  lavori  in  corso  della  Società  e  commemora  i  numerosi  soci 
mancati  negli  ultimi  tempi,  pronunciando  il  seguente  discorso  : 

"  Ora  che  abbiamo  coU'approvazione  del  Bilancio  Consuntivo  del 
1905  dato  assetto  ai  nostri  obblighi  di  amministratori,  ci  sia  concesso 
passare  a  discorrere  brevemente  secondo  il  consueto,  dei  lavori  a  cui  la 
Società  attende.  Ed  innanzi  tutto  constatiamo  con  una  soddisfazione  che 
Voi  certo  comprendete  e  dividete,  il  successo  che  sempre  più  si  delinea 
favorevole  alla  nostra  "  Miscellanea  petrarchesca  „.  Il  pubbHco  studioso 
le  ha  fatto  accoglienze  oUremodo  lusinghiere  e  le  recensioni  che  ne 
compaiono  su  per  le  riviste  più  autorevoli  recano  di  ciò  amplissima  te- 
stimonianza.. Così,  per  non  citare  se  non  l'esempio  più  recente,  V Ar- 
chivio storico  italiano,  in  una  larga  ed  elaborata  rassegna  di  quante 
pubblicazioni  hanno  veduto  la  luce  in  occasione  del  VI  centenario  della 
nascita  del  poeta,  non  esita  a  collocare  la  nostra  tra  le  tre  o  quattro 
pubblicazioni,  "  veramente  degne  d'ogni  encomio  „,  che  "  ogni  studioso 
"  del  Petrarca  dovrà  avere  nella  sua  biblioteca  „.  Era  questo  appunto 
r  intento  che  ambivamo  di  conseguire  (i). 

"  E  la  compiacenza  legittima  che  ne  risentiamo  tutti  quanti  abbiamo 
concorso  al  lavoro,  ci  animerà  a  non  lasciar  passare  occasione  veruna 
che  ci  permetta  anche  in  avvenire  di  provare  come  la  Società  nostra 
non  vada  seconda  a  nessuna  nell'arringo  che  è  destinata  a  percorrere. 


(1)  Cfr.  Arch.  star,  (tal.,  disp.  i.*^  del  1905  ;  ved.  anche  Rass.  hihl.  della 
un.  itah,  XII,  1904;  Rass.  crii,  della  leti,  ital,  X,  1905,  p.  90;  Riv.  stor.  ital, 
III  serie  IV,  1905,  p.  321  sgg.,  ecc. 


ATTI   DELLA   SOCIETÀ    STORICA   LOMBARDA  235 

"  Per  quanto  concerne  alle  altre  nostre  imprese  già  avviate,  esse 
pure  procedono  assai  felicemente.  L' Indice  della  serie  3.*  deìVArchivWf 
affidato  alle  sollecite  cure  de'  consoci  dottori  Bonelli  e  Vittani,  sta  sotto 
i  torchi;  anzi  tutta  la  prima  parte,  l'Indice  degli  Autori,  è  già  com- 
posta e  corretta  :  sicché  ci  lusinghiamo  di  potere,  dentro  il  giro  di  pochi 
mesi,  inviare  in  dono  ai  soci,  secondo  le  solite  norme,  questo  volume 
atteso  con  vera  impazienza  dagh  studiosi. 

"  Anche  al  riordinamento  del  materiale  per  il  Repertorio  Visconteo 
si  è  ormai  da  qualche  mese  posto  mano,  ristabilendo  Tordine  cronologico 
nei  documenti,  raggruppati  sinora  tenendo  calcolo  della  provenienza 
loro.  Quando  quel  lavoro  primo  di  ordinamento  sia  compiuto  (or  è 
giunto  fino  airanno  1386  circa)  si  effettuerà  la  scelta  dei  mezzi  per  af- 
frettare la  stampa,  per  la  quale  già  ci  siamo  assicurati  la  efficace  coo- 
perazione d'una  Casa  editrice,  che  varrà  a  rendere  molto  men  gravoso 
per  il  Bilancio  sociale  il  peso  di  quest'ardua  pubblicazione. 

"  Anche  i  lavori  preparatori  per  altre  imprese  assumono  contorni 
sempre  più  precisi.  Le  trattative  tra  noi  e  la  Società  che  si  è  dedicata 
alla  ristampa  del  Muratori  (la  qual  ristampa  abbiamo  anche  potuto  con- 
seguire a  prezzi  veramente  vantaggiosi  per  ornarne  la  nostra  Biblio- 
teca) sono  ormai  terminate  ;  e  degli  studi  che  si  vanno  già  iniziando 
per  raccogliere  i  materiali  occorrenti  ad  una  nuova  edizione  degli  an- 
tichi Cronisti  milanesi,  ci  darà  oggi  stesso  saggio  il  dott.  Foligno  nel 
suo  rapporto  suH'  esplorazione  da  lui  tentata  nel  Museo  Britannico  in 
servigio  del  Repertorio  Diplomatico  Visconteo. 

"  Quest'attività  della  Società  nostra  è  veduta  con  occhio  benevolo 
dalle  persone  colte  e  desiderose  che  lo  sviluppo  economico  dèi  paese 
non  si  disgiunga  da  un  ritorno  sempre  più  intenso  ad  ideali  di  cultura 
e  di  scienza.  Una  discussione  che  ebbe  luogo  poco  fa  in  seno  al  nostro 
consiglio  comunale,  nel  corso  della  quale  si  è  fatto  e  con  favore  il 
nome  della  Società  Storica,  ne  è  visibile  prova.  Il  pensiero  di  valersi 
del  nostro  sodalizio  per  promuovere  e  favorire  il  movimento  intellet- 
tuale cittadino  nella  sua  forma  più  elevata  è  tale  che  non  può  se  non 
rallegrarci  ed  onorarci  ;  e  noi,  ringraziando  coloro  che  fecero  della  So- 
cietà sì  lusinghiera  menzione,  torniamo  a  dirci  pronti  a  prendere  sulle 
spalle  quel  fardello  che  ci  si  vorrà  affidare.  In  realtà  stringere  i  vincoli 
che  ci  riuniscono  alle  istituzioni  cittadine  è  sempre  stato  nostro  vivo 
desiderio,  ed  appunto  perchè  tale  fu  sempre  il  voto  dei  benemeriti 
che  ci  precedettero  nella  direzione  del  nostro  sodalizio,  e  lo  statuto 
sociale  dichiara  erede  d'ogni  nostra  scientifica  suppellettile  il  comune 
di  Milano  :  al  quale  dunque  niuno  vorrà  certo  rimproverare,  se  non 
quando  malevolenza  partigiana  e  sistematica  gli  oscuri  la  \àsta,  gli  in- 
coraggiamenti che  ci  potesse  prestare. 

"  Anche  dal  ragguardevole  numero  dei  nuovi  aderenti,  che  vengono 
spontanei  ad  ingrossare  le  nostre  file  noi  desumiamo  motivo  di  legittima 
compiacenza  :  e  poiché  tra  i  nuovi  colleghi  trova  luogo  un  venerando 
prelato,  di  cui  tutti  concordi  ammiriamo  le  virtù,  il  senno,  l'alto   senti- 


236  ATTI    DELLA    SOCIETÀ    STORICA    LOMBARDA 

mento  filantropico  e  patriottico,  io  sono  sicuro  d' interpretare  il  pensiero 
della  nostra  assemblea  inviandogli  un  rispettoso  saluto. 

"  Pur  troppo  però  quante  perdite  abbiamo  sofferto  nei  pochi  mesi 
trascorsi,  dacché  ci  siamo  l'ultima  volta  riuniti  !  Perdite  dolorose,  ir- 
reparabili. Nel  gennaio  si  è  spento,  insieme  al  dott.  Alessandro  Bel- 
locchio, quell'egregio  cultore  di  studi  letterari  ed  artistici  che  fu  Giulio 
Pisa,  sotto  l'assessorato  del  quale  la  nostra  Società  è  riuscita  a  dare 
alla  propria  sede  quella  decorosa  stabilità,  di  cui  al  presente  fruisce.  Il 
Pisa,  uomo  d' ingegno,  fu  in  quell'occasione  oltremodo  benevolo  per  noi, 
che  gliene  serberemo  sempre  grata  memoria.  E  quasi  negli  stessi  giorni 
scompariva  anche  il  marchese  Alberto  Capilupi  (30  gennaio  1905)  della 
storica  famiglia  mantovana,  il  quale,  non  degenere  dagli  avi,  che  ave- 
vangli  transfuso  nel  sangue  l'amore  per  gli  studi,  die'  segno  con  saggi 
cartografici  illustranti  il  territorio  mantovano  (i),  di  dottrina  non  co- 
mune. Il  febbraio  ci  rapì  contemporaneamente  l'avv.  Leone  Fontana 
(9  febbraio  1905),  piemontese,  da  lunghi  anni  membro  della  R.  Deputa- 
zione di  storia  patria,  uomo  d'antica  probità,  che  aveva  in  Torino  rette 
altissime  cariche  pubbliche  ed  era  stato  meritamente  ascritto  al  Senato 
del  regno.  Chi  ha  conosciuto  il  Fontana,  non  ne  dimenticherà  mai  la 
cortesia  signorile,  la  semplicità  affettuosa  e  bonaria  :  il  suo  culto  sin- 
cero per  la  stòria  della  penisola  (di  cui  egli  proseguiva  con  somma  cura 
il  diritto  statutario)  (2)  ed  in  special  modo  della  regione  nativa,  si  esten- 
deva anche  alle  manifestazioni  delle  arti  belle,  talché  la  sua  collezione 
di  quadri  spettanti  alle  antiche  scuole  piemontesi,  insigne  per  opere  di 
Macrino  d'Alba,  di  Defendente  Sacchi  ed  altri  famosi  maestri  del  XV 
e  XVI  secolo,  costituiva  un  museo  di  prim'ordine,  al  quale  cresceva  at- 
trattiva un'  eletta  raccolta  di  tele  moderne,  tra  cui  spiccavan  opere 
dell'  impareggiabile  Fontanesi  e  di  quel  geniale  artista  che  si  chiama 
Marco  Calderina  Anche  quel  valentissimo  medico  e  benemerito  filan- 
tropo che  fu  il  dott.  Antonio  Rezzonico,  ci  abbandonò  1'  8  di  febbraio  : 
fedele  amico,  del  nostro  Sodalizio,  egli  aveva  acconsentito  ultimamente 
a  prendere  posto  tra  i  Revisori  del  Bilancio  ;  ma  neppure  potè  apporre 
la  propria  firma  alla  prima  relazione.  Ed  a  pochi  giorni  di  distanza  lo 
seguiva  nel  sepolcro  un  altro  degnissimo  galantuomo,  il  cav.  dott.  Al- 
fonso Garovaglio  di  Como  (28  febbraio  1905),  che  in  età  ornai  piìi  che 
tarda  aveva  saputo  mantenere  intatto  un  vero  e  gagliardo  amore  per 
la  scienza.  Quella  simpatica  figura,  che  pareva  rianimarsi  tutta,  quando 
toccava  di  ricerche  e  di  studi,  che  dai  suoi  viaggi  aveva  tratto  materia  ad 
indagini  geniali  e  saputo  riunire  nella  sua  Como  una  varia  e  preziosa  col- 
lezione archeologica,  non  si   cancellerà  facilmente  dalla  memoria  di  chi 


(i)  Ved.  di  lui  Le  carte  topografiche  del  ducato  di  Mantova,  Mantova^  1893. 

(2)  L'opera  sugli  statuti  italiani,  a  cui  il  Fontana  attendeva  da  lunghi  anni, 
verrà,  secondochè  siamo  informati,  proseguita  e  pubblicata  dal  suo  figliuolo,  degno 
erede  delle  belle  tradizioni  domestiche. 


ATTI    DELLA    SOCIETÀ    STORICA    LOMBARDA  337 

l'ha  conosciuta  ed  amata.  Ed  ecco  ancora,  funebre  rassegna,  nel  marzo  e 
nell'aprile  altri  due  morti  :  l'uno  il  comm.  Clemente  Maraini,  la  cui  splen- 
dida attività  tanto  si  era  esercitata  nella  vita  economica  del  paese  no- 
stro, l'altro  il  conte  Alfonso  Casati,  colto  gentiluomo,  vero  rappresen- 
tante di  quell'eletta  aristocrazia  milanese,  che  ha  sempre  formato  una 
bella  schiera  di  nostri  fautori. 

"  Ma  la  sventura,  che  più  d'ogni  altra  ci  ha  duramente  ed  inopinata- 
mente colpiti,  è  stata  la  perdita  del  nostro  benamato  collega  di  presi- 
denza, il  conte  Ippolito  Malaguzzi- Valeri,  direttore  del  R.  Archivio  di 
Stato.  A  quest'amico  impareggiabile,  a  questo  studioso  altrettanto  dotto 
quanto  modesto,  che 

Ingiusto  fece  sé  contro  sé  giusto, 

forzatovi  dalla  cieca  violenza  di  un  morbo  crudele,  il  quale  gli  logo- 
rava senza  speranza  di  salvezza  il  suo  più  prezioso  retaggio^  la  mente, 
voi  mi  concederete  certo,  Signori,  di  consacrare  qui  un  ricordo,  che  dica 
largamente  il  nostro  profondo  dolore  ed  il  nostro  infinito  rimpianto  „  (t). 

Ultimato  il  discorso,  ascoltato  con  viva  attenzione  dall'assemblea, 
il  rag.  E.  Ghisi  presenta  il  rapporto  dei  revisori  del  consuntivo  sociale 
1904  che  viene  approvato  a  pieni  voti  (vedi  Allegato  A). 

Il  dott.  C.  Foligno  passa  quindi  a  svolgere  l'argomento  dell'annun- 
ziata sua  lettura  sui  Documenti  di  storia  viscontea  rinvenuti  in  alcune  bi- 
blioteche inglesi.  E  la  lettura  del  giovane  ed  erudito  studioso  riscuote  il 
plauso  dei  numerosi  convenuti  (vedi  Allegato  B). 

Si  passa  in  seguito  all'elezione  d'un  consigliere  di  presidenza  in 
surrogazione  del  defunto  consigliere  conte  Ippolito  Malaguzzi-Valeri  e 
riesce  eletto  il  prof.  Giuseppe  Calligaris,  già  vice-segretario  della  Società. 

Da  ultimo  si  eleggono  a  nuovi  soci  i  signori  :  Baroffio  Dall'Aglio 
barone  Giuseppe,  Belinzaghi  Bianca  in  Milano,  Bonomelli  mons.  Gè 
rèmia,  vescovo  di  Cremona,  in  Cremona,  Brambilla  dott.  Giuseppe 
Johnson  comm.  Federico,  Mannati  Vigoni  nob.  Teresa,  Mylius  cav.  uff. 
Giorgio,  Petraglione  prof.  Giuseppe,  Premoli  Orazio  M.,  padre  barnabita 
Richard  arch.  Giulio  F.,  Sassi  de'  Lavizzari  nob.  Francesco,  Treves  Te 
deschi  Virginia,  tutti  in  Milano,  e  Weil  comandante  M.  H.  in  Parigi. 

Dopo  di  che  l'adunanza  è  sciolta,  alle  ore  i6. 


//   Presidente 

F.    N  OVATI. 


//   Segretario 
E.  Motta. 


(i)  La  commemorazione    del  conte  Malaguzzi-Valeri,   staccata   dal    discorso 
del  Presidente,  è  pubblicata  in  fine  al  presente  fascicolo  sotto  il  titolo  :  Necrologia. 


238  ATTI    DELLA    SOCIETÀ    STORICA    LOMBARDA 


Allegato  A. 

Onorevoli  Colleghi, 

Ossequenti  all'  incarico  che  voleste  affidarci,  eccoci  a  riferirvi  bre- 
vemente circa  il  Bilancio  Consuntivo  dell'esercizio  1904  che  la  solerte 
nostra  Presidenza  ha  sottoposto  all'approvazione  vostra. 

Come  era  nostro  dovere  compulsammo  i  registri,  controllammo  tutte 
le  appostazioni  coll'appoggio  delle  relative  pezze  giustificative  e  ci  piace 
subito  annunciarvi  che  le  trovammo  tutte  rispondenti  a  verità. 

Anche  quest'anno  il  contributo  dei  soci  per  tassa  annuale  ha  dato 
un  consolante  aumento  di  ben  L.  680  sulle  5380  lire  originariamente 
preventivate. 

Le  entrate  ordinarie  invece  delle  previste  L.  8545 ,  salirono  a 
L.  io.i20,95  e  le  uscite  da  L.  7990  a  L.  9746,15.  Quest'  eccedenza  di 
spese  va  trovata  nei  capitoli:  stampa  deW Archivio  e  suoi  estratti,  illu- 
strazioni, compilazione  della  Bibliografia  e  dello  schedario  e  spese  di 
cancelleria  ;  queste  due  ultime  voci  preventivate  complessivamente  per 
L.  950,  salirono  a  ben  L.  1531,49  e  così  pure  le  spese  postali  invece 
di  L.  100,  risultarono  di  L.  172,87.  Ma  queste  eccedenze  sono  piena- 
mente giustificate  dall'entità  dei  lavori  compiuti  e  dalle  risultanze  otte- 
nute, mentre  si  economizzò  negli  altri  capitoli  specialmente  nelle  spese 
di  scritturazione;  del  che  è  doveroso  tributare  speciale  elogio  all'egregio 
consocio  il  prof.  Bognetti. 

Kransi  preventivate  L.  350  per  acquisto  e  rilegatura  di  libri  e  nulla 
si  è  speso.  Non  vogliamo  muovere  eccezione  che  suoni  biasimo  ad  al- 
cuno a  questo  riguardo,  ma  crediamo  che  negli  esercizi  venturi  non 
si  debba  più  fare  questa  economia,  avvegnaché  non  è  ammissibile  che 
la  nostra  biblioteca  vada  sempre  avanti  a  furia  di  donativi.  La  buona 
conservazione  dei  libri  e  specialmente  di  quelli  di  minor  mole  esige 
spese  di  rilegatura  in  ben  assortite  miscellanee  e  ad  incoraggiare 
r  operosità  degli  studiosi,  specialmente  se  giovani,  è  necessario  che  5i 
acquistino  quelle  opere  che  le  pubbliche  biblioteche  della  nostra  città 
o  non  posseggono  o  non  possono  procacciarsi  coi  mezzi  di  cui  di- 
spongono. 

Come  vedete,  V  attività  netta  al  31  dicembre  1904  è  risultata  di 
L.  12.593,46  con  un  aumento  quindi  di  L.  146,82  su  quella  risultata  dal- 
l'esercizio precedente,  aumento  che  sarebbe  scomparso  se  avesse  avuto 
luogo  l'erogazione  della  cifra  preventivata  per  la  rilegatura  e  l'acquisto 
dei  libri,  ma  ciò  non  avrebbe  punto  infirmata  la  solidità  del  nostro  ente 
patrimoniale  che,  come  già  si  disse  l'anno  scorso  dai  revisori,  non  c'è 
ragione  di  sistematicamente  aumentare. 

Anche  quest'anno  vi  si  presenta  separato  rendiconto  della  gestione 
del  fondo  Lattes  che  da  un'attività  salita  a  L.  5117,93  viene  a  ridursi 
colle  spese  fatte  a  sole  L.  4238,98  ;  cifra  pur  sempre  confortante  per  la 


ATTI    DELLA   SOCIETÀ    STORICA  LOMBARDA  239 

prosecuzione   dell'importante  lavoro    cui    essa    è   specialmente    consa- 
crata. 

Dopodiché  il  collegio  dei  Revisori,  deplorando  di  esser  rimasto  privo 
della  preziosa  collaborazione  dell'egregio  consocio  dott.  A.  Rezzonico, 
mancato  ai  vivi,  viene  a  proporvi  un  voto  di  encomio  alla  nostra  Pre- 
sidenza, al  Consiglio  direttivo  ed  ai  suoi  intelligenti  collaboratori  per 
i  risultati  della  gestione  1904  e  vi  invita  a  votare  con  tutta  tranquillità 
il  Bilancio  Consuntivo,  quale  vi  è  stato  presentato. 

Li  2S  aprile  190J. 

Enrico  Ghisi, 
g.  c.  buzzati. 


Allegato  B. 


Di  alcuni  documenti  viscontei  in  biblioteche  inglesi. 


Il  materiale  storico  italiano,  raccolto  nelle  biblioteche  inglesi,  e  spe- 
cialmente nel  Museo  Britannico,  è  assai  grande,  ma,  è  bene  ch'io  sino  da 
principio  ne  avverta  gli  uditori,  le  ricerche  da  me  compiute  di  codici  ri- 
sguardanti  storia  lombarda  riuscirono  presso  che  infruttuose.  Dovetti  for- 
zatamente limitarle  ai  tempi  piìi  antichi,  sì  che  non  tenni  in  considerazione 
cronache  e  documenti  che  arrivassero  oltre  la  caduta  della  signoria 
viscontea  in  Milano.  Nella  biblioteca  Phillipps  di  Cheltenham  fui  costretto 
da  ristrettezza  di  tempo  ed  esiguità  di  mezzi  ad  accontentarmi  di  pochi 
"  scandagli  „,  se  mi  si  concede  la  parola;  perchè  veramente  quella  è  un 
gran  mare  di  cui  nessuno  ha  disegnato  sinora  la  carta;  la  guida  degli 
inventari  d'acquisto,  da  Sir  Th.  Phillipps  a  mano  a  mano  compilata,  è 
per  ogni  verso  insufficiente,  zeppa  di  errori  e  d' inesattezze.  A  me  ri- 
mane neir  animo  persistente  il  dubbio  che  l'esplorazione  metodica  dì 
quella  raccolta,  quando  se  ne  ottenesse  il  permesso,  recherebbe  alla 
luce  codici  che  si  suppongono  perduti;  ma  le  condizioni  imposte  a  chi 
voglia  lavorare  in  quella  biblioteca  non  sono  tra  le  più  facili,  ed  è  da 
altro  canto  doloroso  il  pensare  che  essa  si  va  sciogliendo  a  poco  a  poco 
per  vendite  successive,  sì  che  fra  non  molto  il  rintracciare  i  codici  ad 
essa  appartenenti  riuscirà  opera  presso  che  impossibile. 

Ma  poiché,  prima  che  io  partissi,  l'illustre  nostro  Presidente,  che 
mi  fu,  come  sempre,  cortese  e  largo  d'  aiuti  d'ogni  maniera,  mi  diede 
l'incarico  di  tener  conto  delle  lettere  viscontee  che  per  avventura  io 
avessi  rinvenuto  in  Inghilterra  e,  ritornato,  volle  che  ai  Soci  io  ne  dessi 
relazione,  sciolgo  ora  il  voto  con  titubanza  grande,  però  che  non  rechi 
che  un  piccolo  manipolo  di  lettere. 

Mi  sia  concesso  tuttavia,  prima  che  di  quelle  io  venga  a  dire  in  breve^ 
di  ricordare  come  al  Museo  Britannico,  oltre  al  noto  codice  delle  Gesta 


240  ATTI    DELLA    SOCIETÀ    STORICA    LOMBARDA 

Fridericilin  Lombardia  (Harley  3678)  nella  rifusione  del  Codagnelli,  come 
dimostrò  il  Holder-Kgger  (1),  non  potei  scovare  di  cronache  milanesi 
che  un  "  excerptum  „  del  Manipulus  Florum  (Harl.  5132),  non  diverso  da 
altri  ben  noti,  ed  un  esemplare  tardo  della  cronaca  Bossiana  (Harl.  3670). 
Di  un  poemetto  in  lode  di  Lodovico  il  Moro  non  faccio  parola,  per  averne 
già  pubblicate  alcune  notizie  (2). 

Le  lettere  viscontee  più  antiche,  ch'io  rinvenni,  si  riferiscono  a  Ga- 
leazzo ir,  né  davvero  fa  meraviglia  trovare  costui  in  corrispondenza 
stretta  con  Edoardo  III,  a  chi  rammenti  il  matrimonio  conchiuso  nel 
1368  tra  Violante  e  Lionello  di  Clarence,  figlio  appunto  del  re  inglese. 

Galeazzo,  se  pur  non  si  dedicava  all'esercizio  della  caccia  con  quella 
passione  sfrenata,  di  cui  ci  sono  testimonio  troppi  decreti  del  fratello  Ber- 
nabò, davasi  gran  cura  della  sua  muta,  se  così  posso  dire,  di  falconi, 
e  ne  fanno  fede  parecchie  lettere,  conservateci,  che  indirizzava  ai  Gon- 
zaga (3)  per  ottenerne  appunto  falchi  o  animali  rari  che  servissero  a 
popolare  il  giardino  attiguo  al  castello  di  Pavia. 

Nulla  di  nuovo  ci  rivela  dunque  la  sua  lettera  con  la  quale  dice  di 
aver  inteso  "  quod  falchio  vocata  Cipriana  quam  Serenitati  Vestre  mi- 
"  simus,  mortua  est  „  ;  e  che,  avendone  altri  anche  migliori,  li  invierebbe, 
ove  le  difficoltà  del  viaggio  non  lo  impedissero  (Pavia,  19  agosto;  cod. 
Cott.  Titus  B.  VII,  e.  9). 

Ancora  un'altra  lettera  ci  attesta  i  rapporti  tra  la  corte  del  Visconti 
e  quella  di  Londra  (ibidem  e.  7);  con  essa  Galeazzo  presenta,  quali  suoi 
ambasciatori  Pietro  da  Mandello  e  Sperone  da  Concorezzo  (Pavia,  18  gen- 
naio); ma  entriamo  in  campo  ben  più  interessante  con  le  due  lettere  suc- 
cessive nel  solito  codice  cottoniano.  Con  l'una,  datata  del  1371  ai  23  di 
agosto,  mentre  le  altre  fin  qui  ricordate  mancano  dell'anno,  da  Pavia, 
Galeazzo  dà  prova  d'essersi  mostrato  degno  delle  lodi  che  il  Petrarca 
ne  fece,  quale  protettore  degli  studi;  egli  difatti  scrive:  (ibid.  e.  8): 

"  Serenissime  princeps  et  domine,  cum  venerabiles  fratres  Jacobus 
"  Gemeus  quondam  marchionis  Salutiorum  ordmis  minorum  consangui- 
"  neus  noste'r  dilectus  et  Filippus  de  Barges  socius  suus,  quos  per  alias  (?) 
"  literas  Serenitati  vestre  recomandavimus  ad  portos  Anglie  nunc  acce- 
"  dere  istudio  sacre  pagine  vocatim  et  ad  apicem  magisterii  Dei  et  Ve- 
"  stre  Magestatis  gracia  mediante  attingere  peroptent,  Serenitatem  ean- 
'*  dem  suppliciter  deprecamus  quatenus  ipsos  fratres  dignemini  nostrorum 
"  rog[aminum?]  interventu  suscipere  recomissos  et  dum  ad  magisterium 
"  ipsum  exercendum  provecti  fuerint,  dignet[ur]  (?)  ipsos  aut  magis  suffi- 
"  cient[em  inter]  ipsos  ad  magisterium  ipsum  facere  promovere  „. 


(i)  ì^eues  Archiv,  XVI,  p.  279  sgg. 

(2)  Un  poemetto  in  lode  di  Lodovico  il  Moro,  Milano,  1905,  per  nozze  d'ar- 
gento Pirelli-Sormani. 

(5)  C.  Magenta,  /  Visconti  e  gli  Sfor^^a  nel  castello  di  Pavia,  Pavia,  1883, 
voi.  II  (corrisp.  di  Galeazzo  II). 


ATTI   DELLA    SOCIETÀ    STORICA    LOMBARDA  24I 

Perchè  poi  questi  due  fraticelli  preferissero  di  avviarsi  ad  Oxford 
piuttosto  che  allo  Studio  più  famoso  di  Parigi,  noi  non  staremo  a  vedere 
ora.  Ma  ci  darà  più  presto  ansa  a  qualche  considerazione  un'altra  let- 
tera, per  disavventura  in  più  luoghi  guasta  da  quel  malaugurato  incen- 
dio, che  a  mezzo  il  secolo  XVIII  distrusse  e  sciupò  la  maggior  parte 
dei  codici  cottoniani. 

Galeazzo  scrive  dopo  una  breve  introduzione  assai  complimentosa, 
mostrando  desiderio  di  più  frequenti  lettere,  che  "  inter  cetera  nostra 
'*  desideria  maius  et  precipuum  esset  videre  bonam  et  tranquillam  pa- 
"  cem  [atqjue  amorem  inter  serenissimum  principem  dominum  nostrum 
'*  Franchorum  regem  et  magestatem  vestram  „,  e;  dopo  aver  insistito  su 
questo  concetto,  continua:  "  et  certe,  serenissime  domine,  si  in  hoc  quic- 
"  quid  facere  possemus  id  cum  omni  affectione  et  prontitudine  f  f  ina  et 
"  devotio  et  affinitas  qùas  ad  sacras  magestates  utrorumque  vestrum  do- 
^'  minorum  regum  habemus  ad  hoc  reddunt  nos  f  [ojbligatos  et  nisi  infir- 
^'  mitas  nostra  pedum  teneret  nos  tantum  occupatos  sicut  tenet  et  pos- 
"  semus  comode  equitare  f  f  do  aliqualem  laborem  sumeremus  eciam  si 
"  deberemus  ad  partes  illas  personaliter  nos  transferre  quia  speramus 
"  in  Domino  f  f  niinisterium  forte  plus  quam  alicuius  (?)  ob  nostram  afFec- 
^'  tionem  inmensam  divina  gratia  laboraret.  Sed  novit  Deus  imbecilit  f 
''  7  f  s  hoc  nobis  prohibet.  Serenissime  domine  noster,  postquam  loqui- 
"  mur  de  infirmitate  nostra  pedum  cum  omni  reverentia  notifficamus  f 
^'  quod  quidam  nobilissimus  phisicus  quondam  (i),  magister  Guillelmus 
*'  de  Luzia  qui  noverat  artem  maycam,  nobis  dixit  f  f  f  is  montem, 
'*  quod  hec  nostra  infirmitas  non  processerat  ex  guta,  sed  ex  quibusdam 
^'  maleficiis  ex  arte  malefica  nobis  f  f  aberemus  unum  bonum  negroman- 
'*  tem  in  arte  negromancie  bene  peritum  vel  unum  sacratum  librum  diete 
"  artis  t  i  t  [-naljefice  artis  discoperientur  et  exinde  possemus  valde 
^'  bene  optatam  nobis  assumere  sanitatem.  hoc  non  dicimus  f  f  f  [a]dhi- 
'*  beamus  plus  quam  deceat,  sed  quia  libentissime  faceremus  et  expe- 
^*  rieremur  omnia  prò  sanitate  recipienda  f  f  f  nobis  illustris  princeps 
"  magestatis  vestre  gener  et  filius  dominus  Conciaci  et  Bedefordie  no- 
"  ster  nepos  tanquam  f  f  f  quod  in  regno  vestro  in  Amonsore  est 
"  quidam  valde  peritissimus  in  ipsa  arte  negromancie  qui  conversatur  (?) 
"  in  f  f  f  ideo  a  magna  devotione  quam  ad  sacram  magestatem  ve- 
"  stram  gerimus  et  habemus  audaciam  sunentes  (2)  f  f  [omjnia  (?)  expe- 
"  rita  prò  liberatione  ut  profertur  audeamus  eidem  magestati  cum  omni 
^'  humiiitate  et  reverenda  supplicare  f  f  ia  et  dono  que  a  magestate 
"  vestra  requirere  possumus  ut  dignemini  mandare  ipsum  magistrum 
"  perquiri  et  facere  sic  f  f  veniat  et  secum  ferat  huiusmodi  librum 
"  sacratum  si  ipsum  habet  vel  modo  aliquo  recuperare  potest  et  si  ipsum 
^*  non  habet  -}-  y  posset  dignemini  mandare  si  aliquo  modo  est  possibile 


(i)  Veramente  è  scritto  qtiodam,  manca  la  tilde. 
(2)  Leggi  :  sumentes. 

Avch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXIL  Fase.  VIL  16 


242  ATTI   DELLA    SOCIETÀ    STORICA   LOMBARDA 

"  unum  (?)  ex  dictis  libris  sacratis  in  vestro  regno  et  alibi  f  f  f  s  po- 
"  test  recuperari  et  nobi  (sic/)  mitti.  Nam  bene  faciemus  sic  quod  et 
"  ipse  magister  et  lator  dicti  libri  erunt  valere  bene  v  f  f  s  venisse.,.  „ 
Seguono  alcuni  periodi  in  cui  si  professa  la  gratitudine  maggiore  e  in 
cui  si  nomina,  non  ben  si  comprende  a  quale  proposito,  Filippo  di  Bar- 
ges;  della  firma  e  data  non  si  legge  che  "  dat.  Papié  die  XXII  f  y  f 
"  Comes  Mediolani  et  f  generalis  f  „  (i). 

Delle  sofferenze  di  Galeazzo  e  della  sua  impazienza  di  guarire, 
paragonabile  soltanto  alla  sua  serena  tolleranza  del  dolore,  avevamo 
già  notizia,  se  non  altro  dal  Petrarca:  questi  ne  scriveva  a  Tommaso 
del  Garbo,  ricordandogli  d'  essere  stato  chiamato  a  curare  il  signore 
della  Liguria  e  descrivendo  le  sofferenze  atroci  di  costui,  che  preso  dalla 
podagra  non  pure  "  ne'  piedi,  ma  nelle  mani,  ne'  giunti  nelle  spalle,  in 
tutto  il  corpo  „,  aveva  per  guisa  intorpidite,  anzi  rattratte  e  fatte  im- 
mobili le  "  estremità  inferiori  che  non  solamente  il  mutare  anche  un 
"  passo,  ma  pur  lo  stare  ritto  gli  era  reso  impossibile  „   {Seti.  Vili,   3). 

Ed  ancora  il  Petrarca,  in  una  di  quelle  sue  famose  invettive  contro  i 
medici  ci  riferisce  un  aneddoto,  che  mi  pare  veramente  da  porsi  a  con- 
fronto con  la  lettera  di  Galeazzo.  Messer  Francesco,  per  dimostrare  al 
Certaldese  che  i  medici  sono  per  lo  più  impostori,  narra  che  un  tale,  abi- 
tante del  Vallese,  era  venuto  in  gran  fama  di  medico,  ma  non  s'era  mai 
piegato  alle  chiamate  di  Galeazzo.  Costrettovi  dal  bisogno  s'acconciò  a 
tentarne  la  cura  con  lautissimo  stipendio,  promettendo  della  podagra 
pronta  guarigione;  venne  accolto  con  grandi  feste,  e  sfacciatamente  im- 
prese a  somministrare  medicine  prima  di  visitar  l'ammalato;  poco  stante 
cominciò  la  "  cosa  a  mettersi  male  per  lui  ed  il  signore  a  star  peggio  di 
"  prima,  ond'è  che  indi  a  poco  venutogli  meno  o  la  speranza  di  curarlo  o 
"  la  impudenza  di  prometterlo,  dichiarò  non  potersi  dall'arte  ottenere  quel 
"  ch'egli  aveva  creduto,  ma  doversi  ricorrere  a  certi  libri  di  magia,  che 
"  ei  dice  "  sacri  „  dai  quali  soltanto  può  sperarsi  di  apprendere  a  tanto 
"  male  il  rimedio,  ond'è  che  ha  prescritto  di  farne  ricerca,  ma  in  qual 
"  parte  del  mondo  né  io  so,  né  sallo  egli  stesso,  e  solo  di  questo  ora 
"  s'occupa,  essendo  ogni  altra  speranza  di  lui  e  dell'  infermo  andata  a 
"  vuoto  „  (2). 

Saremmo  per  avventura  troppo  arditi  se  in  quel  Guglielmo  di  Luzia, 
citato  nella  lettera  viscontea,  riconoscessimo  il  medico  impostore,  preso 
di  mira  dal  Petrarca?  Veramente  le  somiglianze  tra  i  due  personaggi 
non  son  poche  e  l'identificazione  é  seducente,  da  che  i  consigli  attribuiti 
dal  cantore  di  Laura  al  medico  vallese  rispondono  alla  lettera  a  quelli 
che  Galeazzo  fa  risalire  a  maestro  Guglielmo.  In  ogni  modo  se  l'epi- 
stola del  Petrarca  non  può  essere  più  tarda  del  1365,  quella  del  Visconti, 
se  badiamo  che    egli  si  offre  di  far  da    paciere,  dato    che  é  posteriore 

(i)  Un  cenno  di  questa  lettera  fu  già  dato  dal  Nevati  nel  volume  Petrarca 
e  la  Lombardia,  p.  41,  nota  i. 

(2)  Fracassetti,  Epist.  Senili,  I,  p.  265. 


ATTI    DELLA    SOCIETÀ    STORICA    LOMBARDA  243 

certamente  alla  pace  di  Bretigny  {1360),  deve  porsi  dopo  il  1369,  anno 
in  cui  novamente  si  aprirono  le  ostilità  tra  Francia  e  Inghilterra;  l'ac- 
cenno a  Filippo  di  Barges  ci  porterebbe  a  ravvicinare  questa  alla  let- 
tera antecedente,  cioè  al  1371. 

Gian  Galeazzo  incontriamo  invece  in  una  lettera  di  carattere  pura- 
mente diplomatico  (ibid.,  e.  5).  Gii  stati  italiani  medievali  e  del  rinasci- 
mento erano  assai  solleciti  protettori  degli  interessi  dei  loro  sudditi  in 
conflitto  con  potenze  estere;  certe  corrispondenze  di  residenti  veneti, 
per  controversie  d'indole  privata,  si  potrebbero,  forse  con  vantaggio, 
citare  ad  esempio  anche  ai  nostri  consoli  d'oggi;  e  il  Visc:nti  in  una 
lettera  del  3  maggio  1390,  si  propone  di  dimostrare  l'innocenza  di  un 
piacentino,  Tomaso  de  Copellato,  che  era  accusato  d'aver  avuta  parte 
nel  depredamento  d'  una  nave  «  La  Trinile  de  Chepestouwe  „  di  pro- 
prietà di  sudditi  inglesi;  insieme  al  Copellato  erano  accusati  altri  Pia- 
centini. Questi  sono  del  tutto  estranei  al  fatto;  quello,  uomo  di  servile 
condizione,  si  trovava  casualmente  su  di  una  nave  del  re  di  Castiglia 
nemico  di  Riccardo  li,  la  quale  effettuò  la  ruberia. 

Dopo  la  lettera  del  primo  duca  di  Milano,  quella  d'uno  de'  suoi  cu- 
gini, di  quei  figli  di  Bernabò  cioè,  che  per  anni  e  in  diversi  modi  con 
non  mai  stanca  ostilità  gli  suscitarono  nemici  e  a  vicenda  furono  di 
questi  nemici  istrumento.  Carlo  fuggito  da  Cremona  con  Mastino  ai  suoi 
parenti  di  Baviera,  riapparve  in  Italia  nel  1388,  giunse  improvviso  a  Fi- 
renze, dove  la  Signoria,  siccome  asserì  in  una  lettera  a  Gian  Galeazzo  (i), 
con  cui  era  in  lega,  con  poco  buon  viso  lo  accolse,  anzi  lo  pregò  di 
muovere  al  più  presto  di  là.  "  Era  costui  poco  savio  uomo  e  vile  „,  ci 
dice  il  Minerbetti  (2);  e  si  recò  a  Perugia  dal  papa.  La  Signoria  che  era 
in  sospetto  de'  suoi  maneggi  con  il  pontefice  e  Antonio  della  Scala,  il 
quale  doveva  pure  recarsi  a  Perugia,  ma  infermò  per  via,  manda  a  que- 
st'ultimo Donato  degli  Acciajuoli  (3),  per  distoglierlo  dal  venire  a  Firenze 
e  per  ricordargli  quanto  fosse  stretta  l'amicizia  del  comune  con  il  conte 
di  Virtù,  nello  stesso  tempo  per  tenersi  al  corrente  dei  maneggi  tra  lo 
Scaligero  e  Carlo  Visconti.  Il  fatto  è  che  mentre  in  quest'  anno  1388, 
nella  state,  Gian  Galeazzo  ringrazia  i  Fiorentini  per  aver  preso  e  tor- 
mentato un  ambasciatore  di  Carlo,  che  pare  dovesse  seminar  zizzania 
tra  gli  alleati  (4),  e  i  Fiorentini  stessi  fanno  le  loro  rimostranze  a  Uguc- 


(i)  4  maggio  1388,  Lettera  dei  Dieci  di  Balia  al  conte  di  Virtù,  Dieci  di 
Balia  Lega:^.  e  Commiss. ^  Reg.  I,  p.  81;  cfr.  Doc.  di  star,  ital.,  ptibhl.  della  R.  De- 
puta::^, di  storia  patria  per  le  prov.  di  Tose,  Umbria  e  delle  Marche,  VI,  p.  539. 

(2)  P.  Minerbetti,  Cronica  in  Rer.  ital.  script ,  Suppi.  Tartini,  II,  col.  157. 

(3J  Reg.  cit,,  p.  81,  ed.  in  Documenti  citati,  p.  541. 

(4)  La  lettera  è  ricordata  da  G.  Romano,  Gian  Galea^^^o  Visconti  e  gli 
eredi  di  Bernabò,  in  quest'' Archivio,  XVIII,  1891,  p.  21,  nota  i,  ma  l'indicazione 
non  è  esatta  del  tutto;  si  trova  nell'Archivio  di  stato  di  Firenze,  Signori,  car- 
teggi, missive,  registri  I  Cancelleria,  n.  21,  e.  36. 


244  ^TTI    DELLA    SOCIETÀ    STORICA    LOMBARDA 

clone  Casali,  signore  di  Cortona,  per  aver  accolti  i  fuorusciti  viscontei; 
noi  troviamo  poco  stante  che  Carlo  entra  con  pochi  uomini  nella  com- 
pagnia di  suo  cognato  Giovanni  Acuto  (5),  al  soldo  di  Firenze,  e  che  ai 
IO  di  agosto  1389  scrive  a  Donato  degli  Acciajuo]i(6);  e  questa  è  l'occa- 
sione e  la  causa  della  nostra  digressione;  presentando  Baldassarre  dei 
Grassi  suo  cancelliere,  con  parole  assai  amichevoli:  è  costui  incaricato  di 
trattare,  come  sembra,  con  il  comune  fiorentino;  Carlo  promette  che  se 
a  lui  sortissero  prosperi  gli  eventi,  saprebbe  poi  bene  manifestare  la  pro- 
pria gratitudine.  Forse  aveva  Carlo  conosciuto  l'Acciajuoli,  quando  questi 
era  incaricato  di  sorvegliare  le  trattative  tra  Antonio  della  Scala,  il  papa 
e  i  Visconti?  È  noto  poi  che  accordatisi  i  Fiorentini  coi  figli  di  Bernabò 
contro  Gian  Galeazzo,  si  trovarono  delusi  nelle  speranze  poste  sull'aiuto 
morale  di  Carlo  e  lo  tennero  poi  sempre  in  poco  conto. 

Ma  queste  sono  le  sole  e  magre  notizie  che  ci  sia  concesso  d'ag- 
giungere a  quelle  note  intorno  al  lungo  e  operoso  principato  di  Gian  Ga- 
leazzo. Di  Giovanni  Maria  abbiamo  ritrovato  in  data  del  15  febbraio  1405 
una  credenziale  a  Tommasino  della  Croce,  suo  scudiero,  per  il  sovrano 
inglese  (Harley  431,  e.  io).  Veniamo  a  Filippo  Maria.  Per  non  tener 
conto  di  due  lettere  in  cattiva  copia  comprese  in  una  miscellanea  uma- 
nistica (Ar.  138,  e.  6'  e  e.  8),  di  cui  la  prima  gratulatoria  a  Nicolò  V  per  la 
sua  elevazione  alla  tiara  (a.  1447)  ^  l'altra  un  salvacondotto  per  "  Giovanni 
"  Fridman  de  Nuzu  e  servi  suoi  „  in  data  11  novembre  1424,  accennerò  ad 
una  richiesta  originale  di  Filippo  Maria  a  Enrico  V,  in  data  26  luglio  1418, 
indirizzata  a  ottenere  un  salvacondotto  per  Banino  o  Zanino  "  Mirabi- 
"  lia  „,  Pietro  suo  cugino  e  Simone  figlio  e  loro  agenti  "  quo  liberius  pos- 
"  sint  et  simul  et  separatim  ad  illas  vestras  partes  accedere  et  traffigare  „  ; 
come  già  fin  dal  tempo  di  Enrico  IV  avevano  fatto  (Cott.  Titus  B.  VII, 
e.  289).  E  finalmente  nel  1445  Filippo  Maria  manda  ai  magnifici  priori 
delle  arti  di  Perugia  Andrea  degli  Occhi  suo  segretario  e  lo  munisce 
di  sue  credenziali  (9  agosto;  Add.  16163,  e.  9  t.).  Ma  non  mi  sembrerebbe 
d'aver  assolto  il  mio  dovere,  ove  non  dessi  notizie  anche  d'un  ultimo 
documento,  non  originale  questo,  ma  degno  di  nota,  perchè  sfuggito  sin 
qui  alle  ricerche.  Lucia,  figlia  di  Bernabò,  che  era  stata  nel  suo  primo 
matrimonio  sfortunata,  e  sarà  a  vero  dire  anche  con  il  secondo,  andava 
appunto  a  nozze  con  Edmondo  Holland  conte  di  Kent  nel  1406;  il  pro- 
fessor Romano,  che  di  questo  matrimonio  scrisse  (3),  lo  dice  avvolto 
in  un  profondo  mistero.  Ora  nel  cod.  Add.  30662,  proveniente  dalla  col- 
lezione, che  G.  B.  Colbert  fece  fare  dei  documenti  di  Antonio  di  Loménie 
conte  di  Brienne,  è  trascritto  a  e.  17 1.  il  contratto  di  nozze  di  Lucia  Vi- 
sconti con  Edmondo  conte  di  Kent. 

(i)  G.  Temple-Leader  e  G.  Margotti,  Giovanni  Acuto,  p.  188,  e  Miner- 
BETTI,  op.  cit.,  col.  168. 

(2)  Museo  Britannico,  cod.  Add.  24213,  e.  7. 

(3)  G.  Romano,  Un  matrimonio  alla  corte  dei  Visconti^  in  quQsV Archivio, 
XVIII,  189 1,  p.  607  sgg. 


ATTI    DELLA    SOCIETÀ    STORICA    LOMBARDA  245 

Le  nozze  si  faranno  per  procura  verso  le  calende  di  dicembre,  la 
zia  sarà  mallevadrice  della  sposa  e  la  dote  di  70,000  fiorini  è  garantita 
dal  duca  e  avallata  dal  comune;  saranno  pagati  12,000  fiorini  subito 
e  8285  fiorini  annualmente  fino  a  totale  estinzione  del  debito. 

A  spese  del  duca  la  sposa  verrà  accompagnata  in  un  porto  della 
Manica;  Tatto  è  segnato  con  il  sigillo  del  comune;  rogito  di  Giovanni 
Morone  in  casa  di  Lucia  a  S.  Giovanni  in  Conca. 

Presente  il  podestà  Guido  de  Galeazzi,  Gabriele  q.  Gian  Galeazzo 
Visconti,  Antonio  q.  Gaspare  Visconti,  Balzoccion  q.  Francesco  de  Pu- 
sterla,  Giovanni  q.  Guidone  de  Fusterla,  Ottone  q.  Pietro  da  Mandello. 

Di  questo  contratto  aveva  forse  avuta  notizia  il  Corio,  ma  era  poi 
andato  smarrito. 

Tale  il  piccolo  contributo  di  documenti  viscontei  che  mi  è  stato  con- 
cesso di  recare  all'impresa  assunta  dal  nostro  sodalizio. 

Cesare  Foligno. 


NECROLOGIA  ^ 


IPPOLITO    MALAGUZZI-VALERI. 


Ippolito  Malaguzzi- Valeri  nacque  il  3  novembre  1857  a  Venezia, 
tredicesimo  figlio  del  conte  Alessandro  e  della  contessa  Emmanuela 
Linati  di  Parma.  Eletti  i  genitori,  discesi  entrambi  da  cospicua  schiatta, 
in  cui  per  tradizione  costante  la  nobiltà  dell'  ingegno  s'era  disposata 
alla  gentilezza  del  sangue.  Il  nonno  paterno  del  Nostro,  che  ne  rinno- 
vava il  nome,  il  conte  Ippolito,  era  stato  per  circa  otto  lustri  governa- 
tore e  prefetto  di  polizia  di  Reggio  e  di  Modena,  e  dalla  seconda  carica 
fu  dopo  sì  lunghi  ed  onorati  servigi  rimosso,  com.e  poco  appresso  an- 
che dalla  prima,  poiché  al  governo  estense  sembrò  che  nei  processi 
del  1831  facesse  prova  di  soverchia  indulgenza  verso  gli  imputati,  dei 
quali  in  effetto  molti  lasciò  fuggire,  altri,  meno  compromessi,  mandò 
addirittura  assoluti.  Il  figlio  suo,  il  conte  Alessandro,  ebbe  ancor  egli 
doti  non  comuni  d'intelletto.  Allevato  alla  corte  di  Vienna,  onorato  di 
particolare  intimità  dall'arciduca  Massimiliano,  egli  trascorse  gran  parte 
della  sua  vita  in  mezzo  all'altissima  società  tedesca.  La  sua  devozione 
affettuosa  per  la  casa  d'Asburgo,  che  lasciava  (caso  non  comune)  ger- 
mogliare pur  sempre  vigoroso  in  lui  il  sentimento  dell'  italianità,  fece 
sì  che  ad  un  dato  momento  egli  paresse  l'uomo  piìi  acconcio  a  tentare 
accordi  tra  il  nuovo  regno  italico  e  la  potenza  che  ne  aveva  maggior- 
mente osteggiata  la  fondazione.  Di  qui  la  missione  segretissima  che 
nel  '65  Vittorio  Emanuele  volle  affidargli  presso  Francesco  Giuseppe, 
all'  intento  d'  ottenere,  senza  ricorrere  alle  armi,  la  cessione  all'  Italia 
della  Venezia.  I  pochi  cenni  che  sopra  questo  ignorato  e  curioso  epi- 
sodio diplomatico  ha  dati  A.  Lamarmora  nel  suo  famoso  libro:  Un  po' 
più  di  luce,  ecc.,  trovansi  integrati  dagli  appunti  e  dai  documenti  con- 
servati dal  conte  Alessandro,  che  la  famiglia  Malaguzzi  ancora  possiede. 


(i)  Cfr.  Atti  sociali^  P-  257  del  presente  fascicolo. 


NECROLOGIA  247 

che  io  stesso  ho  veduti,  e  che  altri  forse  darà  tra  breve  alla  luce  con 
opportune  illustrazioni  (i). 

Mentre  il  padre  suo  viaggiava  e  faceva  della  diplomazia,  Ippolito 
cresceva  in  Venezia  tra  le  cure  aifettuose  della  madre,  donna  d'alti 
sensi  e  di  singolare  cultura.  Furono  quelli  gli  anni  più  sereni  per  lui, 
sebbene  la  salute  sua  assai  malcerta  rendesse  giustamente  inquieti 
coloro  che  l'amavano.  Stimossi  opportuna  ad  infondergli  quel  vigor  fisico 
di  cui  pareva  difettasse,  un'  energica  cura  ;  ed  il  giovinetto  sedicenne 
fu  arruolato  nella  leva  di  mare  come  volontario  per  marina  mercantile. 
Ei  rivelò,  in  questo  duro  noviziato  della  vita,  singolare  fortezza  d'animo 
e  maturità  di  senno  ben  superiore  all'età.  Agli  intimi  suoi,  più  tardi, 
accennava  egli  talvolta  i  disagi  lietamente  e  volontariamente  sopportati 
col  fermo  proposito  di  cancellare  ogni  apparente  distanza  tra  sé  e  gli 
umili  compagni  che  la  sorte  gli  aveva  dato.  Fatto  caro  al  capitano  per 
i  solidi  pregi  dell'animo  e  dell'ingegno,  dopo  tre  mesi  di  viaggio,  tenne 
seco  il  libro  di  bordo  e  si  mostrò  capace  di  calcoli  difficilissimi.  A  Callao 
ebbe  vantaggiose  offerte  d'impiego,  ch'egli  rifiutò;  troppo  gli  premeva 
riavvicinarsi  a  sua  madre. 

Due  anni  dopo  egli  tornava  difatti  presso  di  lei  in  Reggio  ;  l'ag- 
graziato e  delicato  adolescente  s'era  trasformato  in  un  giovine  forte  e 
vigoroso,  risoluto  ad  affrontare  le  tempeste  dell'esistenza  colla  calma, 
con  cui  aveva  sfidato  quelle  de'  mari.  Ed  invero  l'avvenire  non  mostra- 
vasi  lieto  di  promesse  per  il  povero  Ippolito  !  Gravi  disgrazie  avevano 
colpito  i  suoi:  la  vecchia  casa  era  deserta,  dispersi  i  fratelli,  la  povertà 
lo  incalzava  minacciosa.  Per  sfuggirvi  accettò  un  modestissimo  impiego 
prima  nel  comune,  poi  nella  civica  biblioteca  ed  in  un'  Opera  pia.  Ri- 
tornato così  agli  studi  che  aveva  abbandonati,  sentì  sorgere  prepotente 
in  cuore  la  vocazione  sopita.  Incoraggiato  dal  conte  G.  B.  Venturi,  suo 
zio,  valente  cultore  di  patrie  memorie,  dall'altro  zio  Girolamo  Malaguzzi- 
Valeri,  canonico  reggiano  e  prevosto  di  S.  Prospero,  e  soprattutto  da 
quel  valentissimo  paleografo  ed  archivista  che  fu  A.  Ronchini,  da  lui 
venerato  sempre  come  maestro,  Ippolito  rivolse  tutta  la  sua  attività  a 
scrutare  il  passato.  Reggio  possedeva  ancora  una  preziosa  suppellettile 
storica  e  diplomatica;  ma  essa  giaceva  abbandonata,  negletta,  esposta 
al  pericolo  di  essere  dispersa  o  distrutta.  Il  Malaguzzi  si  prefisse  di 
ovviare  al  temuto  disastro.  Grazie  alle  sue  cure  i  documenti  dell'antico 
Archivio  del  Comune,  delle  Opere  pie,  di  altri  corpi  morali,  di  parecchie 
famiglie  patrizie,  furono  riuniti  insieme  alla  biblioteca  municipale,  in 
una  medesima  sede.  Così  formossi  il  nucleo  primo  dell'Archivio  di  Stato, 
di  cui  Reggio  va  oggi,  ed  a  buon  diritto,  orgogliosa.  Certo  a  fondarlo, 
a  dargli  acconcia  sede,  quale  è  quella  in  cui  dal  1892  si  trova  (2),  coo- 

(i)  Ved.  per  ora  l'articolo  di  F.  Fabbri,  I.  Malagui^i-Vaìerì ^  Ricordi  di  una 
famiglia  e  di  una  missione  nel  giornale  La  Patria,  a.  VI,  n.  35,  Roma,  4  feb- 
braio 1905. 

(2)  Nell'ex-palazzo  de'  Gesuiti. 


248  NF OROLOGI  A 

perarono  parecchi  altri  benemeriti  cittadini  (i);  ma  non  si  scemano 
certo  i  meriti  altrui  affermando  che  dell'Archivio  reggiano  Ippolit^  Mala- 
guzzi  fu  il  creatore  vero,  l'organizzatore  sapiente  ed  infaticabile.  Senza 
di  lui  l'Archivio  non  sarebbe  esistito.  Ed  alla  creatura  sua  l'egregio 
amico  nostro  conservò  sempre  particolare  affetto  :  anche  lontano  non 
cessò  di  beneficarla;  a  Reggio  ei  fé'  dono  di  tre  ricchissimi  archivi  pri- 
vati (il  Malaguzzi,  il  Valeri,  l'Alliati-SpineUi),  di  sedici  antichissime  per- 
gamene, di  pregevoli  registri  spettanti  alla  amministrazione  feudale  .di 
Simone  da  Correggio,  signore  di  Castelnuovo  parm.ense,  Poviglio,  ecc., 
d'una  bella  raccolta  di  monete,  medaglie  e  sigilli. 

Quegli  anni  che  il  Malaguzzi  visse  in  patria,  dove  le  dolcezze  di 
una  ben  assortita  unione  vennero  ad  incorarlo  alle  piìi  ardue  fatiche 
ed  a  compensarlo  de'  maggiori  sagrifici,  furono  certo  i  più  fecondi  per 
lui.  Egli  trovavasi  allora  nel  pieno  rigoglio  delle  forze  fisiche  ed  intel- 
lettuali, e  raccoglieva  senza  tregua  preziosi  materiali  in  servigio  di  fu- 
turi lavori,  che  veniva  ideando  ed  in  parte  anche  abbozzando.  Nell'in- 
vestigare  i  molti  e  vetustissimi  documenti  che,  mercè  sua,  erano  stati 
sottratti  a  certa  rovina,  egli  aveva  sentito  nascere  in  sé  il  desiderio  di 
ricostruire  la  storia  di  talune  tra  le  grandi  famiglie  che  nell'alto  medio 
evo  avevano  signoreggiato  la  penisola,  dapprima  quali  rappresentanti 
della  monarchia  carolingia,  e  quindi,  nello  sfacelo  di  questa,  spezzato 
ogni  vincolo  di  soggezione,  eransi  fatte  padrone  dei  territori  che  go- 
vernavano. Coteste  schiatte  franche  e  saliche,  fiorite  ne'  secoli  TX  e  X, 
gli  parevano,  ed  erano  in  realtà,  materia  nuova  ed  importantissima  di 
studio  per  lo  storico.  I  Supponidi,  i  Wiberti,  gli  Attoni  divennero  così 
soggetto  di  ricerche  incessanti  per  il  Nostro,  che  dei  suoi  studi  diede 
saggio  assai  lodato  con  una  monografia  impressa  nel  1894,  dove  si  di- 
segnano alcune  linee  della  storia  de'  Supponidi,  i  discendenti  di  quel 
Suppone  I,  che  fu  conte  di  Brescia,  poi  duca  di  Spoleto  (814-827)  (2). 
Ma  le  monografie,  già  condotte  bene  innanzi  sui  Wibérti  e  sugli  Attoni, 
che  tanta  luce  avrebbero  sparso  sopra  la  storia  del  comitato  di  Reggio 
dal  secolo  X  al  XII,  prive  dell'ultima  mano,  rimasero  disgraziatamente 
inedite  nel  suo  scrittoio  (3). 


(i)  Sopra  di  ciò  può  essere  consultata  la  «  Relazione  delle  pratiche  fatte  per 
«  ottenere  la  conversione  dell'Archivio  provinciale  in  Archivio  di  Stato  »,  che 
fu  impressa  come  allegato  al  verbale  della  seduta  8  agosto  1892  negli  Atti  del 
Consiglio  Provinciale  di  Reggio  nelV Emilia  per  gli  anni  18^2-^^. 

(2)  Cfr.  Bibliografia,  n    17. 

(3)  Parecchie  scritture  eruditissime  diede  a  stampa  il  M.  concernenti  alla 
storia  reggiana  (cfr.  Bibliografia,  nn.  i,  2,  4,  5,  6,  7,  8),  ma  molt' altre  non 
meno  importanti  sono  rimaste  incompiute  tra  le  sue  carte  :  citerò  uno  studio 
sui  confini  del  comitato  di  Reggio  verso  la  fine  del  sec.  XVIII,  un  contributo  alla 
storia  dello  Studio  reggiano  ;  delle  memorie  sugli  archivi  di  Reggio,  sulla  Ca- 
mera degli  Atti  del  comune,  sullo  stemma  della  città. 


NECROLOGIA  249 

A  distogliere  il  Malaguzzi  così  da  coleste  indagini  intorno  alla  storia 
deirelemento  signorile  italiano,  come  da  quelle  relative  alla  storiografia 
reggiana,  anzi  emiliana  medievale,  esse  pure  avanzatissime,  che  aver 
dovevano  come  coronamento  la  novella  edizione  di  fra  Salimbene  (i), 
giunse  nel  1888  la  sua  nomina  a  direttore  dell'  Archivio  di  Modena. 
Certo  fu  questa  una  meritata  ricompensa  delle  sue  anteriori  fatiche; 
ma  l'impresa  gravissima  che  dovette  assumere,  di  riordinare  cioè  to- 
talmente l'istituto  affidatogli,  assorbì  d'allora  in  poi  la  maggior  parte 
del  suo  tempo  e  lo  distrasse  dai  lavori  scientifici  che  aveva  tanto  bene 
incominciati  (2).  A  Modena  l'azione  sua  fu  sotto  ogni  rapporto  degna 
di  lode  incondizionata.  Dei  doveri  del  proprio  ufficio,  il  compianto  no- 
stro collega  aveva  difatti  un  concetto  assai  diverso  da  quello  che  — 
allora,  non  oggi  !  —  sembrava  esser  comune  a  parecchi  tra  i  direttori 
d'archivi  del  "  bello  italo  regno  „.  Stimavano  que'  valentuomini  che  gli 
archivi  fossero  fatti  per  loro,  non  essi  per  gli  archivi,  e  dei  desideri, 
delle  necessità  del  pubblico  ben  poco  si  preoccupavano.  Non- manca- 
vano casi  in  cui  intere  serie  di  documenti  venissero  per  lungo  tempo 
sottratte  alla  visione  degli  studiosi  per  il  semplice  motivo  che  qualche 
ufficiale  d'archivio  ne  faceva  oggetto  d'esame  per  proprio  conto  e  bra- 
mava tenere  lontani  i  concorrenti.  Cose,  ripeto,  d'altri  tempi,  ma  auten- 
ticissime !  Il  Malaguzzi  si  prefisse  invece  di  agevolare  in  tutti  i  modi 
le  investigazioni  degli  studiosi,  li  colmò  di  cortesie  e  di  favori,  crean- 
dosi fra  loro  una  vera  e  m.eritata  popolarità.  Tutti  quanti  hanno  per 
le  loro  ricerche  dovuto  ricorrere  a  quella  ricchissima  miniera  degh  ar- 
chivi estensi,  il  Renier,  il  Venturi,  il  Luzio,  il  Solerti,  cent'altri  ancora, 
confermeranno  l'asserto  di  chi  fu  pure  oggetto  delle  maggiori  liberalità. 
Durante  il  periodo  di  tempo  nel  quale  resse  l'Archivio  modenese, 
dal  1888  al  1898,  anche  per  altre  vie  il  Malaguzzi  seppe  rendersi  bene- 
merito degU  studi.  Nel  1888  attese  a  raccogliere  e  riordinare,  per  inca- 
rico avutone  dal  ministero  della  pubblica  istruzione,  i  documenti  riguar- 
danti la  Basilica  Lauretana,  lavoro  lungo  e  paziente  che  condusse  a 
fine,  riscotendo  vive  lodi.  Anche  a  Mantova  ricercò  in  quell'anno  me- 
desimo, e  sempre  per  incarico  ministeriale,  tutto  quanto  concerneva  le 


(i)  Approfittando  della  sua  grande  pratica  degli  archivi  patrii,  ricco  mate- 
teriale  aveva  il  M.  riunito  sopra  le  cronache  reggiane  di  Pietro  Muti  della  Caz- 
zata e  di  Sagacio  della  Cazzata;  com'egli  soleva  assicurare,  soltanto  coli' aiuto 
dei  documenti  scoverti  da  lui  sarebbe  tornato  possibile  risolvere  in  maniera  de- 
finitiva il  problema  che  sorge  intorno  ai  fonti  di  Salimbene.  Del  quale  egli  aveva 
fatto  studio  amoroso  e  lungo,  cosicché  se  le  forze  gli  fossero  bastate,  sarebbe 
riuscita  certo  la  edizione  da  lui  promessa  della  Cronaca  per  i  Fonti  della  storia 
d' Italia  un  monumento  degno  del  bizzarro  ed  originale  francescano. 

(2)  Certo  della  sua  attività  scientifica  die'  segno  anche  in  questi  anni  (cfr. 
Bibliografia,  n.  1 1  sgg.)  ;  ma  erano  lavori  di  minor  rilievo  quelli  che  licenziava 
alle  stampe,  ed  in  gran  parte  già  anteriormente  apprestati. 


250  NECROLOGIA 

vicende  di  quello  storico  Castello.  Nel  1898,  assistito  dall'autorità  giu- 
diziaria, si  portò  a  Camaldoli  per  porre  le  mani  sui  documenti  che 
esistevano  ancora  nello  sperperato  archivio  del  celebre  cenobio,  ed 
iniziare  ad  un  tempo  le  pratiche  necessarie  alla  ricerca  ed  al  ricupero 
di  quanti  erano  stati  trasportati  altrove.  Missione  delicata,  ch'egli  compì 
felicemente,  ridonando  al  paese  un  materiale  prezioso  e  tanto  ricco 
da  essere  a  mala  pena  contenuto  in  venticinque  grandi  casse.  Fu 
certo  il  tatto  e  l'abilità  di  cui  diede  prova  nello  sbrigare  siffatti  inca- 
richi, che  suggerirono  al  ministero  dell'interno  il  pensiero  di  mandarlo 
nella  primavera  del  1897  quale  r.  commissario  ad  Oneglia,  lacerata  da 
divisioni  che  parevano  insanabili.  Meravigliarono  gli  amici  che  il  Mala- 
guzzi  accettasse  un  ufficio  tanto  disforme  dai  consueti;  ma  nella  nuova 
situazione  ei  fé'  prova  di  prudenza,  abilità  e  sagacità;  le  elezioni,  da 
lui  dirette,  riuscirono  in  tutto  conformi  ai  voti  dei  benpensanti  ;  la 
città,  grata,  lo  volle  ascrivere  tra  i  suoi. 

Nel  1899,  dopo  aver  superati  felicemente  non  pochi  né  lievi  ostacoli 
che  si  opponevano  alle  sue  legittime  aspirazioni,  il  Malaguzzi  lasciava 
Modena  per  Milano.  Egli  aveva  desiderato  molto  questo  mutamento  di 
sede,  che,  quantunque  fosse  per  riuscirgh  tutt'  altro  che  vantaggioso 
sotto  il  rispetto  economico,  gli  consentiva  di  far  prova  sopra  scena  più 
larga  delle  sue  eccellenti  qualità  di  archivista  e  di  studioso.  E  qui  non 
poteva  davvero  mancare  il  modo  di  metterle  in  mostra.  Senz'  essere 
in  quelle  condizioni  di  disordine  e  di  sfacelo  nelle  quali  si  è  tante  volte 
detto  e  scritto  che  fosse  caduto,  il  grand'Archivio  milanese  non  trova- 
vasi  certo,  quando  il  Nostro  ne  assunse  la  direzione,  in  floridissimo 
stato;  vi  si  dormicchiava  da  un  pezzo,  e  l'esempio  veniva  dall'alto.  Il 
Malaguzzi  sperava  di  poterlo  trasformare  invece  in  un  centro  operoso 
di  fecondo  lavoro;  egli,  paleografo  insigne  davvero,  vagheggiava  di 
crearsi  d'attorno  una  schiera  eletta  d'alunni,  coll'aiuto  de'  quali  metter 
mano  all'esplorazione  sistematica  e  compiuta  del  copiosissimo  fondo 
diplomatico  che  vi  si  è  formato  coU'accumularsi  di  tanti  archivi  mona- 
stici ed  ecclesiastici  di  tutta  Lombardia,  ivi  trasportati  nell'  età  napo- 
leonica. 

Pur  troppo  i  bei  sogni  non  si  realizzarono,  se  non  in  piccola  parte; 
il  Malaguzzi  ringiovanì  bensì  il  personale  e  diede  impulso  più  attivo, 
regolarità  maggiore  ai  congegni  amministrativi,  ma  si  trovò  pure  alle 
prese  con  infinite  burocratiche  faccende  che  gli  involarono  il  meglio 
del  tempo.  Ansioso  di  non  rinunziare  per  questo  alle  sue  predilette  ri- 
cerche di  storia  e  genealogia  medievale,  egli  rubava  le  ore  al  sonno, 
e  le  veglie  eccessive,  la  privazione  d'ogni  svago,  il  lavoro  quasi  feb- 
brile finirono  per  risvegliare  chi  sa  quali  germi  letaH  nel  suo  organismo, 
capace  apparentemente  di  così  gagliarda  resistenza.  Cert'  è  eh'  ei  co- 
minciò a  declinare,  ed  avvedendosi  di  ciò,  invece  di  sostare,  raddoppiò 
gli  sforzi.  L'impresa  ponderosissima  ch'egli  assunse  nel  1903  di  provare 
come  in  massima  parte  i  documenti  della  raccolta  Muoni,  posti  in  ven- 
dita, derivassero  dagli  incartamenti  dell'Archivio  di  Stato   e  dovessero 


NECROLOGIA  25I 

farvi  ritorno,  die'  l'ultimo  crollo  alla  sua  malferma  salute....  Dinanzi  alla 
incapacità  in  cui  si  scorse  di  qualsiasi  occupazione  intellettuale,  in  mezzo 
ad  inaudite  sofferenze  fisiche,  tollerate  sin  allora  con  somma  energia, 
la  sua  mente  s'offuscò,  intravvide  un  futuro  spaventosamente  buio  e 
gli  mancò  la  forza  d'affrontarlo.  Inchiniamoci  pensierosi  e  mesti  davanti 
alla  dolorosa  tragedia;  non  indaghiamo  più  oltre  e  soprattutto  non  giu- 
dichiamo  

Alunno  d'Amadio  Ronchini,  del  quale  aveva  ereditato  insieme  alla 
dottrina  la  modestia  rara  e  la  squisita  bontà,  il  Malaguzzi  è  stato  cer- 
tamente uno  de'  più  dotti  tra  gli  studiosi  di  storia  patria  vissuti  nell'ul- 
timo trentennio.  Versatissimo  nelle  discipline  paleografiche,  di  cui  egli 
aveva  penetrati  gli  arcani,  affaticando  senza  posa  gli  occhi  e  la  mente 
sui  documenti,  diplomatista  sagace,  valentissimo  conoscitore  di  sfragi- 
stica, competentissimo  in  materie  araldiche,  egli  possedeva  tutto  quanto 
era  necessario  per  imprimere  un'orma  profonda  nel  campo  con  tanto 
indefesso  zelo  coltivato.  Purtroppo  non  fu  così;  egli  è  scomparso  sen- 
z'avere dato  alla  scienza  quel  ch'essa  era  in  diritto  d'attendersi  da  lui. 
Prosperano  invece  gli  scarabocchiatori  ed  i  paleografi  la  cui  sapienza  si 
fonda  sull'obbiettivo  di  una  macchina  fotografica.  Ma  la  vita  è  fatta  così. 

F.    NOVATI. 


Scritti  a  stampa  del  conte  Ippolito  Malaguzzi-Valeri  (i) 


1.  Guido  da  Castello  e  Dante   Alighieri,  studi,  Reggio  Emilia,    1878,   tip.   Cal- 

derini,  in-8,  pp.  38. 

2.  Alcune  cose  estratte  dalli  Diarii  di  niesser  Alfonso  Visdomini,  Reggio  Emilia, 

1881,  tip.  Stefano  Calderini,  in-8,  pp.  50. 

Questa  pubblicazione,  offerta  da  Italo  Calderini  per  le  nozze  Fornaciari-Valen- 
tini,  fu  curata  dal  M.,  che  al  Diario  reggiano  di  Alfonso  Visdomini  dal  1538  al  1574 
(pp.  9-42)  aggiunse  una  «  Appendice  di  alcune  memorie  d'autori  incogniti  e  posteriori 
«  al  Diario  Visdomini  »  dal  157831  1673  (pp.  43-50),  l'uno  e  l'altra  traendo  da  un  ms. 
di  sua  proprietà. 


(i)  Questa  bibliografia  è  stata  compilata  sopra  l'elenco  degli  scritti  del  com- 
pianto nostro  Collega  comparso  negli  Atti  e  Memorie  della  R.  Deputaiione  di 
storia  patria  per  le  Provincie  Modenesi,  serie  IV,  voi.  X,  par.  II,  Modena,  1901, 
pp.  293-95.  Ad  integrarla  si  tenne  pure  presente  l'elenco  dei  a  lavori  dei  soci 
«  pubblicati  per  intiero  negli  Atti  e  Memorie  •>•>,  che  si  legge  a  p.  5  5  dello  stesso 
volume  e  dell'altro  indice  dei  «  lavori  dei  soci  dei  quali  gli  Atti  non  danno 
<(  che  un  sunto  »,  che  sta  ivi  a  p.  74  sgg. 


252  NECROLOGIA 

5.  Relazione  dei  lavori  e  delle  deliher anioni  del  III  Congresso  storico  italiano, 
presentata  alla  sottosezione  reggiana  della  R.  Deputazione  sovra  gli  studi 
di  storia  patria  dai  soci  delegati  allo  stesso  Congresso,  signori  vicepresi- 
dente cav.  dott.  Venturi,  cav.  prof.  Campanini  e  conte  Malaguzzi,  relatore, 
in  Atti,  20  novembre  1885,  III  serie,  V,  pp.  xliii-li. 

4.  Un    episodio   storico   guastallese   inedito   in   La  Rivista  Emiliana,  a..  II,  n.  7 

(13  febbraio  1887),  pp.  185-187  e  n.  8  (20  febbraio  1887),  PP-   196-198. 

5.  Accorso  da  Reggio  in  La  Rivista  cit.,  a.  II,  n.  8,  pp.  199-200. 

6.  Un  atto  di  giuramento  del  Consiglio  del  comune  di  Reggio    agli   ambasciatori 

del  comune  dì  Bologna  (16  febbraio  121^)  in  La  Rivista  cit.,  a.  II,  n.  9 
(27  febbraio  1887),  pp.  201-203  ;  ri.  19  (8  maggio),  pp.  281-285  ;  n.  25 
(19  giugno),  pp.  329-331;  n.  26  (26  giugno),  pp.  337-339- 

II  lavoro  rimase  qui  incompiuto  ;  trovasi  poi  intiero  nel  volume  dei  Frammenti 
storici. 

7.  /  canali  di  Secchia  e  d'Enea,  riassunto  storico  e  giuridico  (à  proposito  di  due 

pubblicazioni  di  Carlo  Ferrari)  in  La  Rivista  cit.,  a.  II,  n.  28  (io  lu- 
glio 1887),  pp.  353-354;  n.  29  (17  luglio),  pp.  362-364;  n.  31  (31  lu- 
glio) pp.  379-381;  n.  34  (21  agosto),  pp.  405-405  ;  n.  56  (4  settembre), 
pp.  422-424;  n.  37  (11  settembre),  pp,  430-432;  n.  38  (18  settembre), 
pp.  437-438. 

8.  Frammenti  storici,  voi.  I,  Reggio  Emilia,  1887,  stab.  tip.-lit.    degli   Artigia- 

nelli, in-i6,  pp.  240,  oltre  io  in  principio  n.  n. 

Eccone  i  soggetti:  «  Un  episodio  storico  guastallese  inedito  »,  (pp.  1-39)  ;  «  Ac- 
«  corso  da  Reggio  »,  pp.  41-49;  «  Un  atto  di  giuramento  del  Consiglio  del  comune 
di  Reggio  agli  ambasciatori  del  comune  di  Bologna,  16  febbraio  1219  »,  pp.  51-219; 
«  Un  nuovo  documento  su  Guido  da  Castello  »,  pp.  221-240.  Questo  voi.  I  è  il  solo 
pubblicato, 

9.  Sulle  tre  Cronache  Modenesi  di  Bonifa:(io   da   Morano,  di   Giovanni   da  Ba'^- 

:(ano  e  di  Alessandro   Tassoni  testé  pubblicate  in  Atti,  1889,  III  serie,  VI, 

p.    XXII. 

10.  Relazione  su  quanto  fu  operato  nel  IV  Congresso  storico   italiano  tenuto  in 

Firenze  nel  settembre  1889  in  Atti,  IV  serie,  I,  p.  xi. 

11.  Monumenti  di  storia  patria  delle  Provincie    Modenesi.    Serie    delle    Cronache, 

voi.  XV.  Cronache  Modenesi  di  Alessandro  Tassoni,  di  Giovanni  da  Baz- 
zane e  di  Bonifazio  da  Morano  [Modena,  1888],  recensione  in  Rassegna 
Emiliana,  a.  I,  fase.  XI,  marzo  1889,  pp,  692-702. 

12.  L^ Archivio  di  Stato  in  Modena  durante  il  triennio  1888-8^-^0  in  Atti,  IV  serie, 

I,  pp.  19-101. 

13.  Za  battaglia  di  San  Quintino  e  le  relazioni  fra  la  reale  casa    di    Savoia  e  il 

Piemonte  e  casa  d'Este  secondo  i  documenti  del  R.  Archivio  di  Stato  in  Mo- 


NECROLOGIA  25  3 

detta,  Modena,  1890,  coi  tipi  della  Società  tipografica,  antica  tipografia 
Soliani,  in-4,  pp.  xxii-iio. 

Offerto  alla  Maestà  del  re  Umberto  I  dai  proprietari  della  Società  tipografica 
Adeodato  Mucchi,  Giovanni  Ferragiiti,  Pietro  Vandelli  e  Tommaso  Cappelli,  il 
24  giugno  i8t)o. 

14.  U Archivio  di  Stato  in  Modena  ndVannata  18^1  in  Atti,  IV  serie,  IV,  pp.  65-137. 

ly  Le  no\7^e  del  duca  Emanuele  Filiberto  di  Savoia  con  Margherita  di  Francia, 
da  dispacci  degli  ambasciatori  estensi  conservati  nel  R.  Archivio  di  Stato 
in  Modena,  Modena,  1893,  coi  tipi  della  Società  tipografica,  antica  tipo- 
grafia Soliani,  in-4,  PP-  xviii-25. 

Opuscolo  offerto  da  Adeodato  Mucchi  e  Giovanni  Ferraguti  della  Società  tipo- 
grafica modenese  alle  Maestà  di  Umberto  e  Margherita  per  le  loro  nozze  d'argento. 

16.  Lorenzo  Marcello  e  la  battaglia  dei  Dardanelli   (26  giugno   16^6),    Modena, 

1894,  Società  tipografica  modenese,  in  8,  pp.  32  [Per  le  nozze  Marcello- 
Grimani]. 

17.  /  Supponidi,  note  di  storia  signorile  italiana  de' secoli  IX  e  X,  Modena,  1894, 

coi  tipi  della  Società  tipografica,  antica  tipografia  Soliani,  in  8,  pp.  40. 

18.  Lettera  del  medico  Francesco  Castelli  al  duca  Ercole    I  di  Ferrara  [Di   Sala, 

16  agosto  1503],  Modena,  1894,  Società  tipografica  modenese,  in-8,  pp.  14 
[Per  le  nozze  Bruni-Fox]. 

19.  La  costituzione  e  gli  statuti  dell'Appennino  Modenese,    in    L'Appennino  Mode- 

nese, Rocca  S.  Casciano,  1895,  L.  Cappelli  editore,  pp.  498-579. 

20.  La  guerra  turco-montenegrina  del  lyS^  e  la  strage  di  Pastrovecchio,  due  let- 

tere da  Cattaro  dei  30  giugno  e  14  luglio  1785  di  Luca  Valeri  e  Marino 
Zorzi,  tratte  dai  carteggi  estensi  dell'Archivio  di  Stato  in  Modena,  Mo- 
dena, 1896,  coi  tipi  della  Società  tipografica,  antica  tipografia  Soliani,  in-8, 
pp.  34  [Per   nozze  Savoia-Petrovié  Njegus,  24  ottobre  1896]. 

Offerto  alla  Maestà  del  re  Umberto  I  da  Adeodato  Mucchi  e  Giovanni  Ferraguti. 

21.  Sigilli  inediti  dei  comuni  dell'Appennino  Modenese  [con  19  fig.]  in  Sant'Anna 

del  Pelago,  Bologna-Modena,  febbraio  1897,    pubblicazione   del   Resto   del 
Carlino,  a  beneficio  dei  danneggiati  dalla  frana,  Bologna,  1897,  stab.  tip. 
Zamorani  &  Albertazzi,  in  fol.,  pp.  3-4. 
Ne  fu  fatta  una  tiratura  a  parte  in-8,  pp.  15. 

A  quest'elenco  de'  lavori  stampati  dal  Malaguzzi  facciamo  seguire 
quello  delle  "  Letture  „  da  lui  fatte  tra  il  1879  ed  il  1893  nelle  tornate 
della  R.  Deputazione  di  storia  patria  per  le  provincie  Modenesi,  delle 
quali  negli  Atii  della  Deputazione  stessa  non  si  hanno  che  cenni  som- 
mari o  brevi  transunti. 

I.  Considerazioni  sullo  stato  attuale  e  sull'ordinamento  da  darsi  all'Archivio  delle 
Opere  pie  di  Reggio  in  Atti,  1879,  nuova  serie,  V,  par.   I,  pp.  li-lii. 


254  NECROLOGIA 

2.  Ricerche   e  studi  siigli  Archivi  di  Reggio  d'Emilia  in  Atti^  1881,  nuova  serie, 

VII,  par.  I,  p.  XLV  ;  III  serie,  I,  par.  I,  p.  xxii. 

3.  SnW autenticità   controversa  de'  quattro  più,  antichi   diplomi   carolingi  a  favore 

de'  vescovi  di  Reggio,  in  Atti,  1881,   III  serie,  I,  par.  I,  p.  xx. 

4.  Studi  critici  intorno  alla  patria  ed  alla  famiglia   dell'antipapa    Wiherto  (Cle- 

mente ni)^m  Atti,  1883,  III  serie,  H,  par.  I,  p.  xx. 

5.  /  Signori  da  Correggio  de''  secoli  XI  e  XII  in  Atti,  1883,  III  serie,  par.  III,^ 

pp.  xxx-xxxi. 

6.  Della  Marca  e  dei  Comitati  investiti  alla  schiatta  margraviale  degli  Attoni  in 

Atti,  1885,  III  serie,  IV,  pp.  xx-xxir. 

7.  Della  guerra  guastallese  ricordata  in  due  pergamene  della  cattedrale  di  Parma 

degli  anni  116^  e  1164  in  Atti,  1887,  III  serie,  V,  p.  lii  (cfr.  Bihliogr.,  n.  8). 

8.  Sul  celebre  giurista  reggiano  Accorso  in  Atti,  1887,  III  serie,  V,  p.  un  (cfr. 

Bihliogr.,  n.  8). 

9.  Giuramento  prestato  il  16  febbraio  121^  dal  Consiglio    del   comun^^    di  Reggio^ 

agli  ambasciatori  dei  comune  di  Bologna  in  Atti,  1887,  III  serie,  V,  p.  liv 
(cfr.  Bibliogr,,  n.  8). 

IO.  Dei  diritti  baronali  di  un  vescovo  emiliano  (Adelardo  vescovo  di  Reggio)  dai 
sec.   VII!  al  XII  in  Atti,  1893,  IV  serie,  IV,  p.  xxii. 


O  r»  JB5  K!  E? 

pervenute  alla  Biblioteca  Sociale  nel  III  trimestre  del  1905 


Aliotta  A-,  La  misura  in  psicologia  sperimentale^  Firenze,  Galletti  &  Coccia 
1905  (d.  d.  R.  Istituto  di  studi  superiori  in  Firenze). 

Al  suo  Santo  Patrono.  Omaggio  del  Circolo  S.  Alessandro  Sauli.  Numero 
Unico,  Genova,  P.  Risso,  1905  (d.  d.  s.  Gallavresi). 

Ambrosoli  A.,  Atlantino  di  monete  papali  moderne  a  sussidio  del  Ciuagli^ 
Milano,  U.  Hoepli,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

Bernardy  a.,  Cesare  Borgia  e  la  repubblica  di  S.  Marino  {isoo-ij;o4)y 
Firenze,  Fr.  Lumachi,  1905  (d.  d.  A.  e  d.  Ed.). 

BusTico  G.,  La  legge  Casati  e  l'obbligo  scolastico,  Riva,  T.  Miori,  1905 
(d.  d.  A.). 

BuTTURiNi  M.,  Caccia  al  vischio  degli  uccelli  acquatici  usata  sul  lago  di 
Garda  nel  sec.  XVII ,  Brescia,  Unione  tipografica  bresciana,  1905 
(d.  d.  s.  A.). 

Cessi  R.,  Prigionieri  illustri  durante  la  guerra  fra  Scaligeri  e  Carraresi 
(ijSó),  Torino,  C.  Clausen,  1905  (d.  d.  A.). 

CiAN  V.,  Un  genealogista  patriotta.  Lettere  inedite  del  conte  Pompeo 
Litta-Biumi,  Pisa,  F.  Mariotti,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

CoGGiOLA  G.,  /  Farnesi  e  il  ducato  di  Parma  e  Piacenza  durante  il  pon- 
fc;  tificato  di  Paolo  IV,  voi.  1  (Estr.  di2^ Archivio  storico  per  le  Provincie 
"  parmensi^  Nuova  serie,  voi.  HI,  a.  1903)  (d.  d.  A.). 

Egidi  P.,  GiovANNiNi  G.,  Herivianin  F.,  Federici  V.,  /  monasteri  di  Su- 
biaco.  Voi.  I  :  Notizie  storiche.  —  L^architettura.  —  Gli  affreschi.  — 
Voi.  II  :  La  Biblioteca  e  l'Archivio,  Roma,  Unione  cooperativa  edi- 
trice, 1904-1905  (d.  d.  Ministero  della  Pubblica  Istruzione). 

Ga.ia.{^vkesi  G.y  II  diritto  elettorale  politico  secondo  la  costituzione  della 
repubblica  Cisalpina,  Milano,  L.  F.  Cogliati,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

GiuLiNi  A.,  Parole  pronunciate  sulla  tomba  del  conte  Emilio  Barbiano  di 
Belgioioso  (Estr.  dal  Bollettino  della  consulta  araldica,  n.  28,  voi.  VI) 
(d.  d.  s.  A.). 

—  Di  un  ramo  ignorato  del  casato  de^  Maggi  (Estr.  dal  Giornale  Araldico^ 
a.  1905,  n.  2)  (d.  d.  s.  A.). 


256  OPERE    PERVENUTE    ALLA   BIBLIOTECA    SOCIALE 

Montanelli  P.,  //  movimento  storico  della  popolazione  di  Trieste,  Trieste, 
G.  Balestra,  1905  (d.  d.  A.). 

Raccolta  di  studi  pubblicati  in   occasione  delle  nozze  Petraglione- Serrano, 
Messina,  T.  Nicastro,  1903  (d.  d.  s.  Petraglione). 

Raccolta  Vinciana  presso  l'Archivio  storico  del  comune  di  Milano,  Castello 
Sforzesco,  fase.  I,  Milano,  1905  (d.  d.  s.  Beltrami). 

RiBOLDi  E.,  Le  sentenze  dei  consoli  di  Milano  nel  sec.  XII  (Estr.  da  questo 
Archivio,  a.  XXXII,  1905,  fase.  VI)  (d.  d.  s.  A.). 

Sommi  Picenardi  Guido,  Ricordi  di  Cagliostro  a  S.  Leo  (1791-1795)  (Estr. 
dalla  Rivista  di  scienze  storiche,  a.  1905). 

Varisco  a..  L'epigrafe  del  ventaglio  monzese  detto  della  regina  Teodolinda 
(Estr.  dagli  Studi  Medievali,  a.  1905,  fase.  Ili)  (d.  d.  s.  A.). 

ViRiGLio  A.,  Torino  napoleonica.    Gaudi   ed    allegrezze  ufficiali,   Torino, 
Lattes,  1905  (d.  d.  Ed.j. 

2/  settembre  igoj. 

Il  Bibliotecario 
B.  Sanvisenti 


Achille  Martelli,  gerente-re sponsabt  le. 


LA  NASCITA  E  IL  BATTESIMO 

DEL  PRIMOGENITO  DI  GIAN  GALEAZZO  VISCONTI 

e  la  politica  viscontea  nella  primavera  del  1366 


La  questione  cronologica. 

A  prole  di  Gian  Galeazzo  Visconti  conte  di  Virtù  e  di 
Isabella  di  Valois  ebbe  infelice  destino  :  nessuno  dei 
tre  figli  nati  da  quell'unione  potè  giungere  all'adole- 
scenza per  assidersi  poi  sul  trono  reso  ambito  e  temuto 
dal  forte  lor  padre,  e  solo  la  figlia  Valentina  visse  e  fece  risaltare 
dolcemente  la  sua  figura  sul  cupo  quadro  della  storia  di  Francia 
della  fine  del  sec.  XIV. 

Per  tali  ragioni  assai  poco  ci  hanno  tramandato  sui  figli  di 
quel  Visconti  i  cronisti  del  tempo  o  di  poco  posteriori.  La  notizia 
più  antica  è  quella  del  Chronicon  placentinum,  che,  detta  morta 
Isabella,  pel  parto  del  figlio  Carlo,  il  3  settembre  1372,  continua  : 
«  Ex  qua  domina  Isabella  dictus  dominus  Galeaz  genuit  tres  filios 
«  et  unam  filiam,  scilicet  dominum  Johannem  Galeaz,  dictum  Az- 
«  zonem  et  dominam  Valentinam,  et  dictum  Carolum  ultimum  »  (i), 
narrando  poi  della  morte  dei  tre  maschi,  già  cresciuti  in  età,  entro 
il  termine  di  sette  od  otto  anni  ;  l'anno  seguente,  Carlo,  in  seguito 
Gian  Galeazzo,  ultimo  Azzone  dopo  la  morte  del  nonno.  Così  pure 
fanno  gli  Annales  Medioìanenses  (2). 


Ci)  Muratori,  R.  I.  S.,  voi.  XVI,  ce.  512-13. 
(2)  Ibid.,  ce.  747-48. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  Vili. 


258  DINO   MURATORE 

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Indicazioni  cronologiche  sulle  nascite  mancano;  e  queste  furono 
date  più  tardi,  ma  solo  per  Valentina,  l'unica  che  potesse  per  le  sue 
vicende  eccitar  interesse.  Il  Corio,  dopo  aver  trattato  sotto  il  1366  del 
convegno  di  Avignone  tra  Urbano  V  e  Carlo  IV  per  l'abbattimento 
dei  Visconti  (che  fu  invece  in  maggio-giugno  1365  e  con  altri  intenti),, 
coir  intervento  di  Androadio  (sic)  marchese  di  Ferrara,  Malatesta 
Unghero  e  altri  signori,  dice:  «  Il  Marchese  di  Ferrara  e  Mala- 
«  testa  Ungaro  vennerono  a  Pavia,  et  similmente  il  Conte  di  Sa- 
«  voia,  dove  furono  compatri  de  una  figliola  che  nacque  a  Giovanne 
li  Galeazo  Conte  di  Virtute,  nominata  Valenzina;  che  puoi  fu  ma- 
«  ritata  al  Duca  di  Turonia.  Per  questo  baptesmo  fu  facto  tanta 
«  solenne  festa  et  gaudio  quanto  mai  per  alcuno  preterrito  tempo 
«  fusse  celebrata  tra  Lombardi.  Quivi  ancora  gli  intervenne  Ber- 
rt  nabo,  e  tutti  li  nobili  de  Lombardia.  Doppo  che  fu  tanta  solen- 
u  nitate  finita,  Bernabò;  il  dicto  Marchese  e  Malatesta  con  summo 
«  honore  recevette  a  Milano;  et  inde  partendosi  andarono  al  Par- 
«  lamento  de  Avignone  dove  si  tractava  de  la  depositione  de'  Wt- 
u  sconti  »  (i). 

Così  sarebbe  fissato,  se  non  della  nascita,  il  tempo  del  battesimo 
di  Valentina  al  1366  e  precisamente  «  prima  del  marzo  »;  ora,, 
questa  notizia  del  cronista  lombardo  durò,  si  può  dire  sino  ai  giorni 
nostri,  incontestata.  Così  G.  B.  Pigna,  dopo  aver  parlato  di  una 
visita  del  marchese  Nicolò  II  d'Este  ad  Avignone  nel  1366,  asse- 
riva lo  stesso  pur  variando  i  moventi  del  passaggio  a  Pavia,  come 
vedremo  (2);  ed  al  Pigna  si  appoggiava  a  sua  volta  il  Guichenon, 
accennando  al  passaggio  a  Pavia  di  Amedeo  VI  di  Savoia  nel 
recarsi  a  Venezia  per  la  spedizione  d'Oriente  (3)  ;  così  pure  il 
Volpi  (4). 

Il  Muratori  faceva  un  passo  avanti;  e  basandosi  sul  Chronicon 
estense  da  lui  pubblicato,  per  primo  fissava  la  data  del  battesimo 
al  maggio  del  1366,  ingannandosi  però  nel  dire  Valentina  figlia  di 
Galeazzo  (5);  così  pure  negli  Annali  d'Italia,  ad  annum.  E  sulle  orme 
del  Corio  e  del  Muratori  (pur  correggendo  l'errore  di  quest'ultimo) 

(1)  Corio,  Historia  di  Milano,  Milano,  1503,  ad  annum. 

(2)  Historia  d^  principi  d'Este,  Ferrara,  1570,  voi.  I,  p.  315. 

(3)  Histoire  généalogique  de  la  maison  de  Savoye,  Lyon,  1660,  to.  I,  p.  417. 

(4)  Dell'Historia  di'  Visconti,  Napoli,  1737- 1748,  voi.  I,  p.  433. 

(5)  Muratori,  Antichità  Estensi,  Modena,  1740,  voi.  II,  p.  141. 


LA   NASCITA  E    IL   BATT.   DEL   PRIMOG.    DI    G.    G.   VISCONTI,  ECC.      259 

si  mettevano  gli  storici  lombardi  posteriori  :  così  il  Giulini  (i),  il 
De  Rosmini  (2),  il  pavese  Robolini  (3),  il  Litta  (4),  ultimo  finalmente 
il  Magenta  (5).  Né  diversamente  narrava  il  ferrarese  Frizzi  (6), 
mentre  uno  storico  sabaudo,  il  Datta  (7),  faceva  lo  stesso,  fis- 
sando al  27  maggio  la   presenza  del  conte  di  Savoia  in  Pavia. 

Ma  contro  la  tradizione  generale  basata  sul  Corio  venivano, 
in  questi  ultimi  tempi,  ad  elevarsi  dubbi  tanto  da  negarle  ogni 
fede,  non  al  di  qua  ma  al  di  là  delle  Alpi,  cioè  fra  gli  storici 
francesi;  e  se  non  con  appoggio  di  documenti,  con  ragioni  di  op- 
portunità storica.  Primo,  che  io  mi  sappia,  uno  studioso  regionale, 
George  Lecocq,  in  una  «  Étude  historique  sur  Valentine  de  Milan  » 
(Saint-Quentin,  1875),  senza  citare  alcuna  fonte,  scriveva  (p.  7): 
u  Valentine  de  Milan....  nacquit  vers  l'an  1370  ».  Qualche  anno 
dopo,  M.  Faucon,  in  una  monografia  che  iniziò  gli  studi  scientifici 
in  materia,  asseriva  aver  Valentina  toccati  nel  1389  diciott' anni, 
facendola  così  nata  nel  1371  (8);  e  a  sua  volta  il  Jarry,  il  più  valente 
storico  per  tale  periodo,  nel  volume:  La  vie  polittque  de  Louis  due 
d*  Orléans  (9),  si  limitava  a  dire  che  Valentina  nel  1386  aveva 
quindici  anni. 

Ne  la  novità  passava  inosservata  fra  noi.  G.  Romano,  la  cui 
competenza  nella  storia  viscontea  è  da  tutti  riconosciuta,  in  un  suo 
articolo  :  Uetà  e  la  patria  di  Gian  Galeazzo  Visconti  [in  quest'^r- 
chivio,  XVI,  1889],  accettava  (p.  930)  la  data  1371,  sostenendola 
col  negare  l'autorità  del  Corio  «  assai  discutibile  in  materia  di  cro- 
«  nologia  viscontea  ",  e  col  notare  che  Isabella  ebbe  il  suo  primoge- 


(i)  Memorie   spettanti   alla   storia   ecc.    della   città   e   campagna    di  Milano 
2.a  ediz.,  Milano,  1854-56,  voi.  V,  p.  503. 

(2)  DelV Istoria  di  Milano,  Milano,  1820,  voi.  II,  p.  116. 

(3)  NotÌT^ie  appartenenti  alla  storia  della  sna  patria,  Pavia,  183 2-1 83 8,  voi.  V, 
par.  I,  pp.  35-56. 

(4)  Famiglie  celebri  italiane,  Visconti,  tav.  VI. 

(5)  I  Visconti   e   gli    Sforila   nel   castello    di    Pavia,    Milano,  1883,  voi.    I, 
pp.  129-30. 

(6)  Memorie  per  la  storia  di   Ferrara,  Ferrara,    1850,  voi.  III,  pp.    340-41' 

(7)  La  spedizione  in  Oriente  di  Amedeo   VI  Conte    di  Savoia,  Torino,  1826 
pp.  70-78. 

(8)  Le  mariage  de  Louis  d'Orléans  et  de  Valentine  Visconti   in  Archives  des 
Missions  scientifique  et  littéraires,  sèrie  III,  to.  Vili,  Paris,  1882,  p.  8,  note  3. 

(9)  Paris,  1889,  p.  28. 


26o  DINO   MURATORE 

nito  solo  nel  marzo  1369  (sic)  ;  e  tra  il  1366  e  il  1370  la  diceva  nata 
in  altro  articolo  di  quest'Archivio,  XX,  1893,  p.  604;  incerto  tra  il 
1370  e  il  137 1  si  teneva  il  Camus,  un  distinto  studioso  francese 
di  cose  nostre,  nel  suo  lavoro:  La  venue  en  France  de  Valentine 
Visconti,  duchesse  d'Orléans  (in  Miscellanea  di  storia  italiana,  se- 
rie III,  voi.  V,  Torino,  1898),  per  primo  notando  l' importanza  della 
notizia  del  Chronicon  placentinum  (pp.  3-5);  ultimo,  in  una  critica 
del  lavoro  precedente,  il  Romano  (in  quest'Archivio,  XXV,  1898,  II), 
incidentalmente  (pp.  8-10),  tornava  a  ribattere  sulla  questione,  con- 
servando il  137 1,  per  la  quasi  impossibilità  che  Isabella  partorisse 
a  quindici  anni  (sic),  in  secondo  luogo  osservando  che,  se  Valentina 
fosse  del  1366,  avrebbe  avuto  ventitre  anni  nel  1389,  e  i  cronisti  fran- 
cesi, tanto  velenosi  con  lei,  non  si  sarebbero  lasciata  sfuggire  sì  bella 
ragione  per  ingiuriarla.  E  siccome,  in  successivi  articoli  riguardanti 
Valentina,  ne  il  Camus  (in  Bollettino  storico  bibliografico  subalpino, 
voi.  IV,  1899),  né  il  Romano  in  un  breve  opuscolo  polemico  (Mes- 
sina, 1899)  ;  e.  in  un  successivo  articolo  (in  quest'Archivio,  XXIX, 
1902,  i);  né  il  Comani  (in  quest'Archivio,  XXVIIl,  1901,  1),  né  il 
Jarry  (in  Bibliothèque  de  V Ecole  des  Charles,  fase.  LXII,  1901),  né 
il  Seregni  (in  Rivista  di  scienze  storiche,  anno  I,  fase.  IX,  1904), 
portarono  nuova  luce  sull'argomento  dell'età  sua,  l'opinione  comune 
ormai  é  che  Valentina  nascesse  nel  1371. 

Quanto  ai  figli  di  Gian  Galeazzo,  ai  giorni  nostri  ne  sappiamo 
poco  più  dei  cronisti  citati.  Il  Corio  parla  di  Azzone,  solo  al  1378; 
il  Giulini  (i)  seguiva  i  cronisti  stessi;  il  Litta  invece  (loc.  cit.)  scon- 
volgeva la  genealogia,  mettendo  primogenito  Azzone,  seconda  Va- 
lentina, terzo  Gian  Galeazzo,  quarto  Carlo,  ma  senza  naturalmente 
fissare  le  date  delle  nascite;  il  Magenta  poi  fissava  la  nascita  del 
primogenito  Azzone  al  4  marzo  1369,  appoggiandosi  a  lettere  (ve- 
ramente sine  anno)  di  partecipazione  ai  Gonzaga  (2):  opinione  se- 
guita dal  Camus  e  dal  Romano,  e  messa  in  dubbio  solamente  pochi 
mesi  or  sono,  e  con  molta  cautela,  dai  signori  Riboldi  e  Seregni, 
in  una  «  Relazione  »  pubblicata  in  quest'Archivio  (3). 

Concludendo  :  mancano  assolutamente  documenti  inoppugnabili 
per  guidarci  in  tanta  oscurità;  si  è  sconvolta,  senza  buone  ragioni, 

(1)  Op.  cit.,  voi.  V,  p.  622. 

(2)  Magenta,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  151  e  voi.  II,  pp.  30-32. 

(3)  XXXI,  1904,  n,  p.  204  sgg. 


LA    NASCITA    E    IL   BATT.    DEL    PRIMOG.    DI    G.    G.  VISCOiNlI,  ECC.      26 1 

la  genealogia  data  dai  cronisti;  si  è  dimenticato  uno  dei  figli;  si 
è  posticipata  infine  di  qualche  anno  (e  bene,  come  vedremo)  la 
nascita  di  Valentina,  ma  sempre  senza  documenti,  e  senza  badare 
che  in  tal  modo  rimaneva  impossibile  la  spiegazione  di  una  sì 
precisa  descrizione  del  battesimo  della  principessa  da  parte  del 
Corio.  Sarà  nostra  cura  dimostrare  quanto  il  racconto  suo  sia  vero 
in  tutto,  salvo  che  per  la  persona  del  nato  di  Gian  Galeazzo  ;  e 
cioè,  servendoci  di  fonti  sabaude  inedite,  e  ben  usando  documenti 
già  noti,  ci  proveremo  a  dimostrare  che  il  conte  di  Virtù  ebbe  ve- 
ramente il  suo  primogenito,  ei  pure  chiamato  Gian  Galeazzo,  il 
4  marzo  1366,  e  che  questi  fu  battezzato  il  24  maggio  successivo. 
In  linea  subordinata  poi  verremo  a  mettere  in  chiaro  che  egli 
ebbe  il  secondogenito,  Azzone,  nel  settembre  1368;  Valentina  quindi, 
quasi  certamente,  nell'estate  1370;  e  Carlo,  ultimo  nato,  nel  set- 
tembre 1372. 


II. 

La   NASCITA    DEL    PRIMOGENITO     DI     GlAN    GALEAZZO.     —      I    VI- 
SCONTI E  Amedeo  VI  di  Savoia  nel  principio  del  1366. 

Un  prezioso  documento,  e  per  nulla  ancora  utilizzato,  si  trova^ 
agli  Archivi  camerali  di  Torino  (Sez.  Ili  dell'Archivio  di  Stato)  : 
un  Giornaliero  per  le  «  Despenses  de  1'  hotel  de  la  Comtesse  de 
«  Savoie  »,  dall'8  febbraio  1366  al  31  luglio  1367  (i),  in  cui  il  mag- 
giordomo Antonio  Maillet  giorno  per  giorno  segnava  le  spese  della 
corte  della  contessa,  sia  per  vitto,  sia  per  doni,  messi,  affari  diversi  : 
è  un  grosso  volume  cartaceo,  in  folio,  di  vera  importanza  storica, 
perchè  denso  di  notizie  su  quella  corte  durante  l'assenza  di  Ame- 
deo VI  in  Oriente,  essendo  la  contessa  Bona  di  Borbone  stata  da 
lui  investita  di  pieni  poteri. 

Ora,  il  23  marzo  1366,  il  Maillet  nota  la  seguente  spesa: 
a  Libravit  de  mandato  domine...  qui  dati  fuerunt  cuidam  scutiffero 


(i)  Inventario  59.°  Comptes  de  l'hotel  de  la  comtesse  de  Savoie,  appendice. 
Approfitto  dell'occasione  per  ringraziare  il  dotto  quanto  gentile  direttore  della 
Sezione,  dott.  cav.  E.  Casanova,  e  gli  archivisti  signor  Combetti  ed  avvocato 
Rossano. 


202  DINO   MURATORE 

«  domine  Comitisse  de  Virtus  nuncianti  domine  nostre  Comitisse 
«  nativitatem  filii  diete  domine  Comitisse  de  Virtus.  inclusis  qua- 
«  draginta  septem  florenis  b.  p.  prò  emptione  unius  ciphi  argenti 
«  ad  pedem  dati  eidem  scutiffero,  11^  florenos  boni  ponderis.  et 
«  XLVII  fl.  b.  p.  «  (i). 

Da  tale  dato  chiaramente  risulta  che,  alcuni  giorni  avanti,  una 
prima  nascita  era  venuta  ad  allietare  l'unione  di  Gian  Galeazzo 
Visconti,  detto  il  conte  di  Virtù,  figlio  di  Galeazzo  II,  con  Isabella 
di  Valois,  sorella  di  Carlo  V  re  di  Francia,  ambidue  giovanissimi 
ancora;  e  la  notizia,  secondo  l'uso  delle  corti,  era  stata  mandata 
alla  contessa  di  Savoia,  zia  e  cugina  della  novella  madre.  La  na- 
scita era  avvenuta  a  Pavia:  nel  grandioso  castello,  non  ancora  del 
tutto  terminato,  si  erano  ridotti  a  dimorare,  sul  finire  del  1365, 
Galeazzo  e  Bianca  di  Savoia  (2),  e  naturalmente  li  aveva  seguiti  la 
giovane  coppia,  dovendo  esser  desiderio  di  tutti  che  l'atteso  parto 
avesse  luogo  là  dove  la  quiete  era  pari  al  fasto. 

Che  il  nato  fosse  veramente  il  primogenito,  lo  dimostra  chiaro 
il  fatto  della  nascita  di  un  secondo  figlio  nel  1368  (vedi  sotto,  p.  283)  ; 
e  che  il  giorno  della  nascita  del  primogenito  stesso  sia  stato  il  4 
marzo,  ci  consta,  in  conseguenza,  da  due  lettere  «  Papié,  die  quarta 
«  marcij  »  che  la  contessa  di  Virtù  faceva  pervenire  ai  signori  di 
Mantova:  una,  «  Mag.  D.  Guidoni  de  Gonzaga  d."o  Mantue  »  (3), 
l'altra  «  Magnificis  viris  dominis  Ludovico  et  Francischino  de  Gon- 
u  zsLgSL  »  (4j,  avvisandoli  di  aver  avuto  in  quel  giorno  il  suo  «  pri- 
«  mogenito  ».  Manca  in  esse  l'anno;  e  il  Magenta,  credendo  Fran- 
ceschino  Gonzaga  successore  di  Francesco  morto  nel  1368,  e  già 
al  1366  avendo  messo  la  nascita  di  Valentina,  assegnò  loro  l'anno 
1369,  facendo  così  nascere  il  4  marzo  1369  il  primogenito  Azzone  (5). 
Ma  siccome,  secondo  la  fonte  sabauda,  non  possiamo  oltrepassare 
il  1366,  e  solo  al  termine  del  1365  i  Visconti  passarono  a  Pavia, 
è  evidente  che  questo  «  primogenito  w  e  il  «  filius  »,  di  cui  parla  la 
nostra  fonte,  sono  una  stessa  persona. 


(i)  Fol.  XXII  V.  Questa  spesa  è  riprodotta,  ma  senza  data,  in  Conti  de  hotel 
de  la  cotntesse  de  Savoie,  Rot.  22,  fol.  V. 

(2)  Magenta,  op.  cit.,  voi.  I,  pp.  93-95. 

(3)  Ibid.,  p.  154. 

(4)  Ibid.,  voi.  II,  p.  30,  doc.  XXXVI. 

(5)  Ibid,  voi.  I,  p.  134. 


LA    NASCITA   E   IL   BATT.    DEL   PRIMOG.    DI   G.  G.   VISCONTI,   ECC.      263 

Ma  tali  lettere  d'altronde,  che  sono  veramente  del  1366,  non 
devono  esser  esaminate  da  sole.  Il  Magenta  ne  pubblica  altre  pa- 
recchie di  Galeazzo  ai  Gonzaga  stessi,  per  invitarli  alle  giostre  per 
il  battesimo  del  figlio  della  contessa  di  Virtù,  attribuendole  allo 
stesso  anno  1369:  la  prima  è  del  23  marzo,  la  seconda  del  14 
■  aprile  e  la  terza  del  21  stesso,  dirette  tutte  «  Ludovicho  et  Fran- 
4(  cischo  fratribus  de  Gonzaga  »  (i);  evidentemente,  nella  lettera 
suaccennata,  Franceschino  non  era  che  un  vezzeggiativo  dato  a 
Francesco  fratello  di  Ludovico,  figli  ambidue  di  Guido  (2):  ora, 
tale  invito  non  poteva  essere  del  1368  (nascita  del  secondogenito), 
anno  di  guerra  tra  le  due  famiglie  (3).  Ma  vi  sono  altre  ragioni 
per  ritener  tali  lettere  dell'anno  1366;  anzitutto,  come  vedremo,  in 
una  di  esse,  si  parla  della  data  definitiva  fissata  per  le  giostre 
alla  Pentecoste,  in  un'altra,  al  24  maggio;  ora,  appunto  nel  1366 
la  Pentecoste  cadde  il  24  maggio.  In  secondo  luogo,  ciò  che  per 
noi  è  più  interessante,  vi  sono  in  esse  tali  accenni  riguardanti  il 
conte  di  Savoia,  che  non  possono  riferirsi  se  non  al  1366. 

Così  siamo  portati  a  volgerci  ad  un  argomento  del  tutto  nuovo: 
le  relazioni  tra   il    conte    ed  i  Visconti    nei    primi    mesi   del  1366. 

Strette  da  vincoli  di  parentela  le  due  famiglie  per  il  matrimonio 
di  Bianca,  sorella  d'Amedeo,  con  Galeazzo  II  nel  1350,  se  per  il 
decennio  successivo  le  rivalità  per  le  terre  piemontesi  e  le  contin- 
genze politiche  le  avevano  talvolta  messe  a  fronte,  il  trattato  di 
alleanza  del  26  dicembre  1361  aveva  dato  il  suggello  al  completo 
loro  accordo  nei  rapporti  complicati  degli  affari  del  Piemonte,  spe- 
cialmente nella  guerra  del  conte  contro  Giovanni  II  di  Monferrato 
e  le  compagnie  di  ventura  nel  1362,  e  in  quella  contro  Federico  II 
di  Saluzzo  e  il  Monferrino  ancora  nel  1363,  non  bastando  a  gua- 
stare l'opera  ben  iniziata  il  vano  omaggio  prestato  un'altra  volta 
dal  Saluzzese  a  Barnabò  Visconti  il  26  febbraio  1365,  e  confermato 
(ad   onta   di   altro  diploma  in  favore  di  Amedeo    con   la   data  del 


(i)  Magenta,  voi.  Il,  pp.  30-32,  dece.  XXXVIII-XL. 

(2)  Ved.  la  «  Tavola  genealogica  »  in  C.  D'Arco,  Studi  intorno  ai  muni- 
cipio di  Mantova,  ecc.  Mantova,  1872,  voi.  IV.  Solo  su  tali  ragioni  si  sono  appoggiati 
i  signori  Riboldi  e  Seregni  (loc.  cit)  per  mutare  la  data  1369  in  1366:  sono 
lieto  che  i  documenti  vengano  a  dar  ragione  all'ipotesi  dei  due  egregi  studiosi. 

(3)  Volta,  Compendio  cronologico-critico  della  storia  di  Mantova,  Mantova, 
1827,  voi.  II,  pp.  38-41. 


264  DINO   MURATORE 

12  maggio  seguente)  con  diploma  imperiale  del  29  dicembre  suc- 
cessivo (i). 

Al  principio  del  1366  Amedeo  VI  era  alla  vigilia  della  sua' me- 
morabile impresa  d'Oriente.  Egli  aveva,  nel  gennaio  1364,  giurata 
ad  Avignone,  nelle  mani  del  pontefice  Urbano  V,  la  Crociata  ge- 
nerale contro  i  Turchi,  bandita  sotto  gli  ordini  di  Giovanni  li  di 
Francia  e  Pietro  I  di  Cipro  nella  quaresima  del  1363;  ma  morto 
il  primo,  e  miserrimo  successo  avendo  avuto  il  re  di  Cipro  nelle 
sue  peregrinazioni  per  tutta  l'Europa,  non  aveva  voluto  seguirlo  nella 
spedizione  contro  Alessandria  nell'  estate-autunno  1365,  e  si  era 
finalmente,  dopo  la  visita  dell'  imperatore  Carlo  IV  dello  stesso 
anno,  indotto  a  partire  per  l'Oriente,  non  più  in  aiuto  di  Terra 
Santa,  ma  contro  i  Turchi  Ottomani,  devastanti  gli  ultimi  resti  eu- 
ropei dell'Impero  Bizantino,  sul  cui  trono  sedeva  un  suo  cugino, 
Giovanni  V  Paleologo,  che  poco  prima  aveva  promesso  al  papa 
il  ritorno  alla  fede  della  Chiesa  greca  (2). 


(i)  CiBRARio,  Storia  della  monarchia  di  Savoia,  Torino,  1840-44,  voi.  Ili, 
pp,  1 14-192  ;  Magenta,  op.  cit.,  voi.  I,  pp.  i  sgg.  e  Gabotto,  L'età  del  Conte 
Verde  in  Piemonte,  in  Misceli,  stor.  ital.,  serie  III,  voi.  II,  Torino,  1894,  pp.  79-149, 
passim.  Vedi  pure  Mugnier,  Lettres  des  Visconti  et  des  diverses  autres  personnages 
aux  comtes  de  Savoie  Amédée  VI,  Amédée  VII  et  Amédée  Vili  (i  360-141 5),  Paris, 
1896.  Perii  periodo  1561-65  ancora  gli  studi  del  Gabotto,  Contributi  alla  storia 
del  Conte  Verde  negli  anni  1^61-62  in  Atti  R.  Accademia  delle  sciente  di  Torino, 
to.  XXXIV,  1899;  Nuovi  contributi  alla  storia  del  Conte  Verde  {13^9-63)  in  Bollett. 
stor.'bibliogr,  subalp.,  voi.  IV,  1899,  e  La  guerra  del  Conte  Verde  contro  i  mar- 
chesi di  Salui:ì^o  e  di  Monferrato  nel  1363  in  Piccolo  Archivio  stor.  dell'antico  mar- 
chesato di  Salu:(7io,  voi.  I,  1901.  Ma  ricca  messe  di  materiale  inedito  si  trova  ancora 
negli  Archivi  di  Torino,  che  confido  poter  raccogliere  a  poco  a  poco  e  pubblicare. 

(2)  Non  seguo  naturalmente  il  vecchio  lavoro  del  Datta,  già  citato,  pieno 
di  lacune  ed  errori,  dei  quali  è  stranissimo  non  siansi  accorti  gli  storici  posteriori  : 
ultimi  il  Dela VILLE  Le  Roulx,  La  France  en  Orient  au  XI V^  siede,  Paris,  1886; 
il  Jorga,  Philippe  de  Mé:(ières  et  la  C^oisade  au  XIV^  siede  in  Bibliothèque  de 
VÈcole  des  hautes  études,  fase,  i  io,  Paris,  1896,  e  il  Bollati  di  S.  Pierre,  Illu- 
strao^ioni  della  spedizione  in  Oriente  di  Amedeo  VI  in  Bibl.  stor.  ital.,  voi.  VI, 
Torino,  1900:  basti  il  dire  che  egli  fa  giurare  Amedeo  nel  marzo  1363,  e  subito 
per  soccorrere  i  Bizantini  ;  e  (per  dir  cosa  più  vicina  al  nostro  tema)  che  fa  rimanere 
il  conte  in  Savoia  sino  alla  metà  di  maggio,  mentre  vedremo  che  fu  tutt'altro  l 

Uno  studio  definitivo  sul  vasto  argomento  spero  pubblicar  presto,  sopra 
documenti  degli  archivi  di  Torino,  Venezia,  Firenze,  Roma,  Genova  e  Parigi,^ 
e  sugli  ultimi  studi  di  storia  del  papato,  di  Bisanzio,  dei  Turchi,  dell'Ungheria 
e  dei  Bulgari. 


LA    NASCITA   E    IL    BATT.    DEL    PRIMOG.    DI   G.    G.    VISCONTI,  ECC.      265 

Ora,  diversi  motivi  inducevano  il  Conte  Verde  a  lasciare  Bourget, 
sua  preferita  residenza,  per  passare  le  Alpi  1*8  febbraio  1366  (i): 
sistemare  gli  affari  del  Piemonte,  aver  aiuti  dai  Visconti  alla  di- 
spendiosa sua  impresa,  portarsi  più  vicino  a  Venezia  e  a  Genova 
per  le  galere  necessarie  al  viaggio  :  ma  l'affare  più  urgente,  per 
ubbidire  alla  preghiera  fattagli  da  Urbano  V  nella  ultima  visita  ad 
Avignone  (fine  di  gennaio),  era  l'indurre  Barnabò,  in  lotta  con 
Genova  da  alcuni  mesi  per  sostenere  il  marchese  del  Carretto,  e 
il  cui  figlio  naturale  Ambrogio  Visconti,  alla  testa  della  Compagnia 
di  S.  Giorgio,  devastando  era  giunto  poco  prima  alle  porte  della 
città  in  cui  si  sollevava  in  nome  degli  antichi  Signori  la  parte 
popolare  ;  a  voler  conchiudere  la  pace  (2). 

Il  IO  febbraio  il  conte  era  con  la  sua  comitiva  ad  Aiguebelle, 
e  passato  il  Moncenisio,  il  13  giungeva  a  Susa,  il  15  a  Rivoli, 
sede  del  governatore  sabaudo  delle  terre  del  Piemonte  (3).  Nessun 
fatto  nuovo  era  avvenuto  in  quella  regione  dopo  il  nuovo  anno; 
solo  Barnabò  aveva  procurato  la  proroga  di  fatto  della  tregua 
tra  Saluzzo  e  Acaja  ;  e  subito  il  16  stesso  veniva  stipulato  un 
contratto  di  alleanza  tra  Galeazzo  Visconti  e  Giacomo  d'Acaja  (4)^ 
dovuto  naturalmente  ai  buoni  uffici  del  conte,  dati  gli  ottimi  suoi 
rapporti  sia  coi  Visconti,  sia  col  principe,  ognor  più  sotto  il  suo 
influsso  dell'epoca  del  suo  matrimonio  con  Margherita  di  Beaujeu. 


(i)  Giornaliero  cit.,  fol.  I  :  «  Recessit  dominus  eundo  ultra  mare. 
«  Die  domenica  Vili  mensis  februarii.  anno  millesimo  CCC  LXVI  qua  die 
((  recessit  dominus  noster  Comes  ultra  mare,  fuit  domina  tota  die  apud  burgetum  ». 

(2)  L'incarico  ad  Amedeo  risulta  da  lettere  di  esortazione  alla  pace  del  papa 
al  doge  di  Genova,  a  Barnabò,  a  Gabriele  Aleramo  e  al  marchese  del  Carretto, 
25  gennaio  1366,  in  Arch.  Vatic,  Epist.  secret.  Urbani  F,  Reg.  248,  fol.  36  V.-37. 
La  visita  di  Amedeo  al  papa  non  era  nota  sinora  ad  alcuno,  e  sarebbe  troppo 
lungo  documentarla  qui.  Sulle  trattative  tra  il  conte  e  Barnabò  prima  dell'S  feb- 
braio, vedi  in  gennaio  dono  di  un  cavallo  «  parte  d."'  domini  barnabouis  do- 
«  mino  nostro  »  {Giornaliero  cit.,  fol.  I)  ;  «  Libravit  domino  eymerico  de  mon- 
c(  tefalcone  prò  suis  expensis  misso  apud  mediolanum,  IV  fi.  b.  p.  »  in  Rotolo  27. 
Tesoreria  generale  di  Savola,  16  11.  1365  —  15. 11.  13 66  (come  tutti  gli  altri, 
agli  Arch.  Cam.  di  Torino),  fol.  XIII,  mandato  5  febbraio  1366;  «  Libravit  do- 
«  mino  de  fromentes  misso  apud  mediolanum  et  januam....  L  fl.  b.  p.  »;  a  Li- 
fi  bravit  quos  dominus  donari  fecit  cuidam  domicello  qui  apportavit  domino  li- 
fi  bratam  domini  barnabouis,  XX  fl,  b.  p.  »  {Rot.    cit.,  fol.  XV,  mandato  cit.). 

(3)  Conti  de  l'hotel  du  comte,  Rot.  6^,  25.  12.  1365  —  11.  6.  1366,  fol.  L 

(4)  Gabotto,  VEtà  del  Conte  Verde  cit.,  p.  150. 


266  DINO    MURATORE 

Del  resto,  breve  fu  il  soggiorno  del  conte  in  Rivoli;  e  avute  grosse 
somme  di  denaro  dal  principe  e  dal  signore  di  Villars  suoi  debi- 
tori (i),  attraversato  rapidamente  il  Piemonte  settentrionale,  era  già 
il  26  di  febbraio  a  Milano  (2),  dove  si  trattenne  presso  Barnabò 
alcuni  giorni,  cercando  di  compiere  la  missione  affidatagli,  ma 
senza  alcun  pratico  risultato  (3). 

Ma  Pavia  attirava  il  conte,  ove  da  Galeazzo  sperava  trovare 
aiuto  di  armi  e  di  danaro,  dal  cognato,  cioè,  ei  pure  in  qualche 
modo  interessato  alla  spedizione  in  aiuto  di  uno  sfortunato  con- 
giunto; e  dovette  affrettare  la  sua  partenza  da  Milano  l'annunzio 
della  nascita  del  primogenito  di  suo  nipote  Gian  Galeazzo,  avve- 
nuta appunto  il  4  marzo:  certo  è,  che  egli  si  trovava  già  a  Pavia 
il  9,  in  tal  giorno  ricevendovi  la  visita  del  castellano  di  Rivoli  (4). 
Non  potevano  naturalmente  a  lui  mancare  liete  accoglienze,  sia  da 
parte  di  Galeazzo  sia  dalla  sorella  Bianca  (5),  sia  infine  dai  nipoti 
Gian  Galeazzo  e  Isabella  nel  cui  matrimonio,  entrambi  essendo 
suoi  congiunti,  egli  aveva  avuto  gran  parte  nel  1360  (6)  e  con  cui 


(i)  Rot.  27  cit.,  fol.  XI. 

(2)  Rot.  6$  cit.,  fol.  I  ;  cfr.  una  lettera  del  conte  di  tal  data  in  fol.  IV. 

{3)  a  Recepit  a  domino  de  fromentes....  in  exoneracionem  sexaginta  tnum 
«  fior.  b.  p.  sibi  traditorum  apud  mediolanum....  prò  expensis  sui  ipsius,  domini 
«  rolandi  de  vayssye  et  thome  de  balma  faciendis  eundo  de  mediolano  apud 
«  sanctum  serravallem  (sic)  et  de  sancto  serravalle  apud  pisam,  prò  quibusdam 
«  negociis  domini,  et  tamen  non  fuerunt  nisi  apud  sanctum  serravallem,...  » 
{Rot.  6s  cit.,  fol.  II).  Evidentemente,  si  tratta  di  passi  fatti  vevso  la  Compagnia 
di  Ambrogio  Visconti,  sulla  riviera  ligure. 

(4)  Conti  Castellania  di  Rivoli,  Rot.  i.  9.  1562  —  i.  4.  1367,  foli.  XXI-X XII. 
«  Libravit  in  expensis  suis  cum  tribus  equis  et  familia  quando  ivit  papiam  por- 
«  tando  domino  certam  quantitatem  florenorum,  et  ivit  secum  Johannes  de  alle- 
«  vis,  et  ad  quod  yacaverunt  per  octo  dies  inceptos  sexta  die  marcii]  anno  d,'^'' 
«  MCCCLXVI.  X  fl.  b.  p.  ».  Naturalmente,  gli  «  otto  giorni  »  sono  per  l'an- 
data e  il  ritorno. 

(5)  Curiosi  sono  i  doni  in  natura  che  in  quel  torno  di  tempo,  come  del 
resto  spessissimo  prima  e  dopo,  i  Signori  di  Pavia  spedirono  in  Savoia  alla  con- 
tessa :  cioè  «  tres  bestias  oneratas  varnachia,  marveysia  et  citronibus  »  (Giorna- 
liero cit.,  28  febbraio)  e  200  grosse  anguille  (ibid.,  18  marzo,  cfr.  29  stesso).  Al 
conte  a  Milano,  Bona  aveva  scritto  il  28  febbraio  (ibid.). 

(6)  Oltre  gli  accenni  nei  cronisti  e  negli  storici  lombardi,  della  parte  avuta 
dal  conte  nelle  nozze  ha  trattato  il  Gabotto,  Nuovi  documenti  sul  matrimonio  di 
Isabella  di  Francia  con  Gian  Galea^o  Visconti  in  Rend.  R.  Accad.  dei  Lincei  di 
Roma,  Classe  di  scienze  morali  storiche  e  filosof.,  serie  V,  voi.  VIII,  1889. 


LA   NASCITA   E    IL   BATT.    DEL    PRIMOG.    DI    G.    G.    VISCONTI,  ECC.      267 

erasi  sempre  mantenuto  ne'  più  affettuosi  rapporti;  tanto  più  che  il 
grande  castello  doveva  essere  tutto  in  festa  per  il  lieto  evento,  ad 
annunziare  il  quale  veniva  inviato  alla  contessa  a  Bourget  uno  scu- 
diero di  Isabella,  magnificamente  regalato,  come  abbiamo  visto,  di 
denaro  e  d'un  prezioso  oggetto  d'arte. 

Il  conte,  veramente,  era  venuto  a  Pavia  tutt'altro  che  per  feste; 
pure,  con  massimo  piacere  dovette  acconsentire  alle  preghiere  del 
cognato  e  del  nipote  di  far  da  padrino  al  neonato;  si  fissò  quindi 
la  seconda  domenica  dopo  Pasqua  (che  cadde  in  quell'  anno  il  5 
aprile),  cioè  il  19  aprile,  terminato  il  puerperio  di  Isabella,  per  la 
solenne  cerimonia  del  battesimo  rallegrata  da  grandiose  feste  e  da 
una  di  quelle  splendide  giostre,  in  cui  tanto  spesso  rifulgeva  il 
valore  del  conte. 

Infatti,  appunto  il  9  marzo,  Galeazzo  avvisava  di  tutto  questo 
Guido  Gonzaga,  invitandolo  a  inviar  cavalli  per  la  giostra,  a  Pa- 
squa, con  una  lettera  che  incominciava  :  «  In  rellevata  illustris 
«  nurus  et  filie  nostre,  erunt  Papié  illustris  frater  et  filius  noster 
«  dominus  Comes  Sabaudie,  et  multi  alii  domini,  et  faciemus  fieri 
«  maxima  et  solempnia  festa  et  maximas  zostras....  »  (i). 

Anche  a  questa  lettera  il  Magenta  assegna  la  data  1369;  ma 
siccome  Guido  morì  nell'autunno  di  quell'anno,  né  può  trattarsi 
del  1368  in  cui  v'era  guerra  fra  lui  e  i  Visconti,  e  d'altronde  solo 
nel  136Ó  Amedeo  si  trovò  a  Pavia  in  quel  periodo  dell'anno,  è 
evidente  che  essa  pure,  come  le  altre,  spetta  al  1366. 

Concludendo:  dalle  fonti  sabaude  confrontate  con  le  viscontee 
e  con  la  narrazione  del  Corio,  risulta  fuori  d'  ogni  dubbio  che  il 
primogenito  di  Gian  Galeazzo  nacque  a  Pavia  il  4  marzo  1366. 

È  questo  un  esempio  di  paternità  precoce  assai,  data  la  gio- 
vanissima età  dei  genitori.  L'Azario  (2)  e  gli  Annales  Mediolamn- 
ses  (3)  dicono  che  Gian  Galeazzo  e  Isabella  erano  fanciulli  all'atto 
del  loro  matrimonio,  nel  1360;  M.  Villani  invece  è  più  preciso,  ed 
assegna  alla  sposa  l'età  dello  sposo,  undici  anni  (4).  Questo  dato  non 
è  esatto  che  in  parte:  difatti,  dopo  tante  divergenze  di  cronisti  e 
di  storici,  recentemente  Zanino  Volta  riusciva,  su  1'  atto  di   eman- 

(i)  Magenta,  op.  cit.,  voi.  II,  p.  30,  doc.  XXXVII. 

(2)  Chronicon  in  Muratori,  R-  I.  S.,  voi.  XVI,  col.  405. 

(3)  Muratori,  R.  I.  5.,  voi.  XVI,  col.  730. 

(4)  Cronache^  lib.  IX,  cap.  103. 


268  DINO    MURATORE 

cipazione  di  Gian  Galeazzo,  a  fissar  la  data  della  sua  nascita  versa 
la  fine  del  1351  (i);  e  con  altre  prove  il  Romano  la  precisava 
meglio  al  15  ottobre  1351  (2):  dunque,  nel  1360,  egli  non  aveva 
ancora  nove  anni.  Nel  vero  è  invece  M.  Villani  parlando  di  Isabella: 
essa  aveva  allora  appunto  undici  anni,  essendo  nata  precisamente, 
come  fissò  il  De  Sade,  il  i."  ottobre  1348  (3). 

Matrimoni  di  fanciulli  erano  tutt'altro  che  rari  nei  tempi  addietro; 
certamente,  la  loro  consumazione  avveniva  solo  più  tardi.  Nel  no- 
stro caso,  r  unione  effettiva  dei  due  principi  ebbe  principio  col 
1364:  appunto  il  21  febbraio  di  tal  anno  il  vicario  dell'arcivescovo 
di  Milano  concedeva  ad  un  tal  Galiot,  frate  minore,  V  incarico  di 
ricevere  le  confessioni  di  Isabella  e  dello  sposo  :  questi  erano 
dunque  già  conviventi  (4). 

Nato  addì  4  marzo  1366,  il  primogenito  di  Gian  Galeazzo  fu 
concepito  quindi  nel  giugno  1365:  il  padre  aveva  allora  quasi  quat- 
tordici anni,  la  madre  non  ancora  diciassette.  Certo,  la  paternità 
del  conte  di  Virtù  è  precoce  assai,  ma  non  impossibile  in  un  gio- 
vane sì  robusto  e  forte  quale  ei  fu,  secondo  tutti  i  cronisti,  e  in 
tempi  in  cui  lo  sviluppo  fisico  era  curato  ben  più  dell'intellettuale; 
al  contrario  normale  .è  il  fatto  in  riguardo  ad  Isabella,  per  quanto 
gracile  e  delicata  di  salute  (5) 

Un  quesito  ci  rimane  ora  a  risolvere;  ma  la  cosa  non  è  facile. 


(i)  Z  Volta,  Vetà,  l'emancipazione  e  la  patria  di  Gian  Galea-^^o  Visconti 
in  ({wtsi'' Archivio,  XVI,  1889,  p.  581  sgg. 

(2)  Romano,  Uetà  e  la  patria  di  Gian  Galeano  Visconti  cit. 

(3)  Abbé  DE  Sade,  Mémoires  pour  servir  à  Vhistoire  de  Pétrarqiie,  Amster- 
dam, 1767,  voi.  Ili,  p.  539.  Il  Romano,  che  nel  suo  studio  del  1889  aveva  ac- 
cettata la  data  di  nascita  fissata  dal  De  Sade,  in  quella  del  1898,  seguendo  troppo 
M.  Villani,  la  dice  nata  l'anno  del  marito,  13  51.  In  tal  modo  vediamo  cadere 
l'argomento  principale  da  lui  addotto  contro  il  1366  come  nascita  di  Valentina, 
che  cioè  Isabella  avrebbe  avuto  solo  quindici  anni  a  quel  tempo. 

(4)  Documento  pubblicato  da  E.  Motta  in  Miscellanea  francescana  di  storia, 
di  lettere,  di  arti,  Foligno,  1889,  voi.  IV,  p.  63.  Il  primo  accenno  alle  relazioni 
della  corte  sabauda  con  la  principessa  in  questo  nuovo  periodo,  è  il  seguente: 
«  Item  prò  precio  unius  roncini  quem  dominus  donavit  huthoni  boticoillerio  do- 
«  mineysa  belle  de  francia  de  mediolano  die  XXVI  februarij...  »  in  Conti  de  Vhótel 
du  comte  de  Savoie,  Rot.  6j  (19.  3.  1561  —  6.  2.  1365),  fol.  XL,  mandato  del 
conte  9  marzo  1364. 

(5)  Vedi  su  quest'ultimo  argomento,  G.  Zoia,  Sii  la  salma  di  Isabella  di 
Valois  in  Rend.  del  R.  Istit.  Lomh.  di  sciente  e  lettere,  serie  II,  voi.  XXXI,  p.  io. 


LA   NASCITA   E  IL   BATT.    DEL   PRIMOG.    DI   G.  G.  VISCONTI,    ECC.      269 

Quale  fu  il  primogenito  del  conte  di  Virtù,  Gian  Galeazzo  ovvero 
Azzone  ? 

10  credo  sia  stato  Gian  Galeazzo,  e  per  più  ragioni.  Anzitutto, 
l'unica  fonte  originale,  il  Chronicon  placentinum  già  citato,  ce  lo 
dà  primo  nella  serie  dei  figli,  né  v'  ha  ragione  alcuna  di  credere 
ad  una  inversione;  in  secondo  luogo,  il  Litta  ed  il  Magenta,  sino 
ai  citati  Riboldi  e  Seregni,  hanno  fatto  primogenito  Azzone,  ma, 
credo,  per  il  solo  fatto  che  questi  visse  più  a  lungo,  ed  ebbe  qual- 
che parte  negli  affari  politici  del  tempo  suo,  perchè  nessun  docu- 
mento dà  a  lui  tale  titolo  ;  in  terzo  luogo  il  conte  di  Virtù  doveva 
desiderare  per  il  suo  primogenito  un  nome  che  ricordasse  insieme 
il  padre  della  sposa  e  il  proprio,  unendo  i  due  nomi  che  egli  stesso 
portò;  tanto  più  che  il  nome  Giovanni,  portato  pur  già  dal  potente 
suo  prozio  l'arcivescovo,  ebbe  ad  essergli  caro  assai  se,  accanto 
al  nome  di  Maria,  lo  assegnò  al  primogenito  avuto  dalla  seconda 
sua  consorte,  al  suo  successore  (Giovanni  Maria);  in  ultimo,  data 
l'età  del  padre  e  la  gracilità  della  madre,  era  naturale  che  i  primi 
nati  non  potessero  sopravvivere  a  lungo  :  così,  il  primogenito  Gian 
Galeazzo  sarebbe  morto  dopo  Carlo  e  prima  del  nonno,  verso 
il  1376-1377,  a  dieci  anni  circa;  mentre  il  secondogenito  Azzone, 
più  robusto  perchè  nato  due  anni  dopo,  visse  sino  al  1381,  toc- 
cando cioè  i  tredici  anni  ;  e  Valentina  invece,  nata  (come  vedremo) 
nell'estate  1370,  unica  sopravvisse  a  lungo,  perchè  nata  quando  il 
padre  aveva  diciannove  anni  e  la  madre  ventuno  :  ragione  questa  di 
ordine  fisiologico  che  merita  una  qualche  considerazione. 

Stabilita  dunque,  mercè  i  documenti,  la  nascita  del  primogenito 
<lel  Conte  di  Virtù,  molto  probabilmente  Gian  Galeazzo,  al  4  marzo 
1366,  passiamo  ora,  a  maggior  sostegno  del  già  narrato  e  a  com- 
plemento del  nostro  tema,  a  parlare  del  battesimo  del  neonato,  av- 
venimento che  si  riattacca  ad  importanti  questioni  politiche. 

III. 

Il    BATTESIMO    DEL    PRIMOGENITO    DI    GlAN     GALEAZZO.     SA- 
VOIA, EsTE  E  Visconti  nella  primavera  del  1366. 

11  conte  Amedeo  VI,  giunto  a  Pavia  subito  dopo  il  parto  di 
Isabella,  prolungò  non  poco  la  sua  permanenza  in  quella  città.  Sua 


270  DINO    MURATORE 

massima  preoccupazione  era  naturalmente  ottenere  le  galere  ne- 
cessarie alla  imminente  sua  spedizione  in  Oriente;  ma  non  è  qui 
il  luogo  di  narrare  le  sue  trattative  col  pontefice,  con  Venezia  e 
con  Genova  a  tale  scopo.  Basti  per  ora  accennare  alle  difficoltà 
opposte  da  Venezia,  nel  cui  porto  il  conte  voleva  imbarcarsi,  a 
fornire  quelle  da  lui  richieste;  e  solo  dopo  maturo  consiglio,  e 
alle  suppliche  di  lui,  ma  più  ancora  del  papa  e  dei  Visconti,  la 
cui  influenza  in  suo  favore  fu  allora  veramente  potente,  il  doge 
Cornaro,  sul  finir  di  marzo,  concedevagli  appena  due  galere  ar- 
mate (i);  per  cui  il  6  aprile,  l'indomani  di  Pasqua,  i  suoi  amba- 
sciatori venuti  a  Pavia  si  facevano  rilasciare  dal  conte  stesso  una 
formale  promessa  scritta  che  non  avrebbe  molestato  né  permesso 
a'  suoi  di  molestare  alcuno,  nelle  acque  di  Siria,  senza  il  consenso 
di  Venezia  (2).  Il  conte  allora,  vedute  frustrate  in  buona  parte  le 
sue  speranze,  dovette  rivolgersi  definitivamente  a  privati  armatori 
per  averne  galere,  sia  a  Venezia  che  a  Genova,  come  già  aveva 
fatto  per  Marsiglia;  e  Galeazzo  in  quello  stesso  6  aprile  e  V8  suc- 
cessivo gli  veniva  in  aiuto  per  la  compera  di  quattro  di  esse,  par- 
tecipandovi gratiose  con  ben  19,200  fiorini  d'oro  e  facendogli  poi 
dono,  il  14  aprile,  di  altri  10,000  (3). 

Ma  altre  trattative,  e  di  tutt'altro  genere,  procedevano,  in  quel 
principio  di  aprile,  tra  il  conte  e  il  cognato.  11  trattato  di  alleanza 
tra  Giacomo  d'Acaja  e  Galeazzo,  mediatore  il  conte  stesso,  doveva 

ben  presto  dare  i  suoi  frutti  ;  e  le  condizioni  ognor   più   tristi  dei 

• 

(i)  Caroi-do,  Historie  Venete  (ms.  alla  biblioteca  Nazionale  di  Firenze,  Col- 
lezione Capponi,  CXL),  lib.  Vili,  p.  392  :  « à  preghi  del  sommo  pontefice, 

«  et  delia  Santa  Madre  Chiesa,  et  per  piacer  alli  signori  Visconti,  et  etiandio 
«  per  compiacere  al  conte  di  Savoglia,  furono  contenti  di  armar  a  spese  loro 
«  due  galere....  ». 

(2)  Atto  inedito  in  Lihri  Commemoriaìi  (Arch.  di  Stato  di  Venezia),  voi.  VII, 
fol.  85  :  dato  in  regesto  dal  Predelli,  /  Lihri  Commemoriaìi  tee,  voi.  III,  n.  258. 

(3)  Rot.  6^  cit.,  fol.  II:  «  Recepit  a  domino  galeaz  vicecomite  mediolani 
«  manu  johannis  de  meda  thesaurarii  eiusdem,  prò  medietate  quatuor  galearum 
«  quos  idem  dominus  galeathius  domino  gratiose  concessi!  prò  suo  viagio  tran- 
«  smarino  apud  papiam  die  sexta  aprilis  anno  predicto  (1366),  IXM  VIC  fior. 
«  b.  p.  ».  «  Recepit  a  domino  Galeaz  manu  predicta  die  VIII  mensis  aprilis 
«  predito  prò  eodem,  IXM  VIC  fior.  b.  p.  ».  «  Recepit  a  domino  galeaz  manu 
«  danielis  provane  cui  dictus  thesaurarius  expediverat  die  XIIII  dicti  mensis 
«  aprilis  anno  predicto  ex  dono  per  dictum  dominum  galeaz  facto  domino, 
«  XM  flor.  b.  p.  ». 


LA    NASCITA   E    IL   BATT.    DEL    PRIMOG.    DI    G.    G.   VISCONTI,  ECC.       27 1 

domini  angioini  del  Piemonte  meridionale,  abbandonati  a  sé  stessi 
dalla  regina  Giovanna,  dovevano  naturalmente  suggerire  ai  due 
principi  un  facile  piano  di  campagna,  per  cui  la  preda  ambita  sa- 
rebbe passata  nelle  mani  del  Visconti,  in  tal  modo  stabilendosi  in 
Piemonte  un  equilibrio  di  potenze  favorevole  al  conte,  e  a  lui  ben 
accetto  nell'atto  di  partire  per  una  lunga  e  pericolosa  impresa  lontana. 
Naturalmente,  di  fronte  a  tali  interessi  politici,  passava  per  il  mo- 
mento in  seconda  linea  la  festa  del  battesimo  del  neonato  viscon- 
teo, fissata,  come  abbiamo  visto,  per  il  19  aprile;  infatti,  mentre 
già  una  prima  volta,  durante  le  trattative  con  Venezia,  Galeazzo 
aveva  scritto  ai  fratelli  Gonzaga,  il  24  marzo,  fissandola  per  il  2 
maggio  (i),  il  14  aprile  una  nuova  sua  lettera,  allegando  una  ma- 
lattia del  conte,  la  rimandava  al  23  maggio  (2).  Di  tal  malattia  di 
Amedeo,  nulla  ci  dicono  le  nostre  fonti;  e  se  può  darsi  che  effet- 
tivamente un  leggiero  morbo  abbia  trattenuto  a  Pavia  il  conte  nella 
prima  metà  dell'aprile,  non  mi  par  d'altra  parte  troppo  ardito,  data 
l'attività  grande  di  lui  in  tutto  l'aprile  e  il  maggio  seguente,  il  pen- 
sare che  sia  stata  quella  una  scusa  addotta  da  Galeazzo  (tanto  più 
in  vista  delle  trattative  di  Bernabò  coi  collegati  della  Chiesa,  come 
vedremo),  per  nascondere  le  vere  ragioni  del  rimando  :  perchè  evi- 
dentemente alla  metà  di  aprile  il  conte  prese  la  decisione  di  re- 
carsi per  l'ultima  volta  ne'  propri  stati  per  radunarvi  i  signori 
suoi  compagni  nella  spedizione,  e  più  ancora  per  esser  presente 
all'  iniziarsi  delle  ostilità  contro  i  domini  angioini.  Comunque  sia  la 
cosa,  la  sua  partenza  da  Pavia  non  tardò  di  molto  (3):  certo  fu  dopo 


(i)  Magenta,  op.  cit.,  voi.  Il,  p.  31,  doc.  XXXVIII  (con  la  data  1369). 

(2)  Ibid.,  doc.  XXXIX  (con  la  stessa  data)  :  «  Propter  infestum  nobis  casum 
«  hic  super  occursum  infìrmitatis  illustris  fratris  nostri  carissimi  domini  Comitis 
(c  Sabaudie....  ». 

(3)  Per  le  relazioni  tra  Bourget  e  Pavia  in  quel  tempo,  vedi  Giornaliero  cit. 
al  4  aprile  :  c<  Libr.  dicto  urtemais  (?)  misso  ad  dominum  apud  papiam  cum 
«  litteris  domine....  »;  Al  5  stesso  :  «  Libr.  in  empcione  centum  muthonum  pin- 
c<  guium  emptorum  manu  nycoleti  macellari]  apud  caveriam,  et  missorum  apud 
«  papiam  per  dominam  domino  galeaz  vicecomiti  mediolani  dono,  inclusis  ex- 
«  pensis....  »  IXXX  XIII  fl.  et  i,'g.  b.  p.  ».  Al  6  :  «  Libr.  johannono  lusco  misso 
«  cum  litteris  domine  post  illos  qui  muttones  parte  domine  apud  papiam  du- 
f(  cunt  domine  blanchie  ut  easdem  litteras  portent....  ».  «  Libr.  henrico  mene- 
«  strerio  et  cuidam  eius  socio  euntibus  ad  dominum..,.  ».  Ali'8  stesso  :  «  Libr.  in 
«  emptione  unius  robonis  et  garnisionis  quarumdam  mangiarum  prò  uno  corseto 


272  DINO   MURATORE 

il  21  aprile,  in  cui  una  nuova  lettera  di  Galeazzo  ai  Gonzaga  li 
avvisava  che  la  festa  del  battesimo  sarebbe  stata  la  Pentecoste  suc- 
cessiva [24  maggio)  (i),  poiché  egli  era  già  a  Rivoli  il  28  stesso  (2). 
Quantunque  il  conte  fosse  naturalmente  latore  di  lettere  di  Ga- 
leazzo per  Giacomo  d'Acaja,  pure,  dato  anche  che  i  viscontei  si 
sian  mossi  per  loro  conto,  non  vi  fu  subito  movimento  almeno  da 
parte  del  principe  :  e  Amedeo  approfittava  di  quei  giorni  di  tregua 
per  far  l'ultima  visita  alla  consorte  :  il  martedì  5  maggio,  a  sera, 
era  a  S.  Jean-de-Maurienne,  ove  rimaneva  con  lei  sino  al  pome- 
riggio dell' 8  (3);  e  tornato  a  Rivoli  per  rimanervi  sino  al  19  (4), 
ritrovava  ormai  dichiarata  la  guerra  da  parte  d'Acaja:  infatti  Gia- 
como, a  nuove  sollecitazioni  di  Galeazzo,  1'  8  stesso  da  Pinerolo 
ordinava  la  congrega  dell'esercito  con  viveri  per  venti  giorni  per 
muovere  in  suo  soccorso  (5).  Di  fatti  concreti  di  guerra,  nulla  sap- 
piamo :  ma  è  certo  che  Fulcone  d'Agoult,  senescalco  di  Provenza  e 
luogotenente  della  regina,  impotente  a  resistere  alle  forze  nemiche, 
si  affrettò,  spinto  dalle  città  angioine,  a  richiedere  il  riverito  e  te- 
muto arbitrato  del  conte,  ben  interessato,  da  parte  sua,  a  metter  pace 
in  Piemonte  :  così  l'opera  di  Amedeo  dovette  esplicarsi  in  lunghi 
e  difficili  preliminari  di  pace  fra  le  due  parti,  inviando  prima  messi 
a  Pavia  (6)  e,  avutane  risposta,  conchiudendo  una  tregua,  e  a  nome 
■di  Galeazzo  pagando  una  grossa  somma  di   denaro  al  senescalco 


a  panni  auri  facto  in  burgeto  prò  domina  blanchia  de  sabaudia  domina  me- 
«  diolani,  et  portato  domine  blanchie  apud  papiam,  XLVI  fior,  et  Vg-  ^-  P*  *• 
Al  12  stesso  :  «  Libr.  quatuor  menestreriis  domini  e  untibus  ultra  montes  ad 
«  dominum....' ».  Al  17  aprile:  a  Libra vit  rosseto  messaggerie  misso  ad  dominum 
a  in  lombardiam  cum  litteris  domine....  ».  Il  viaggio  durava  al  minimo  quattro 
giorni. 

(i)  Magenta,  op.  cit,  voi.  IT,  p.  32,  doc.  XL  (con  la  data  1369). 

(2)  Due  investiture  da  lui  concesse  ivi  :  vedi  Arch.  di  Stato  di  Torino,  Sez.  1, 
Protocolli  ducali,  Serie  camer.,  Reg.  44,  foli.  2  e  2  v.  Cfr.  un  atto^di  concordia  ivi, 
in  Rot.  6$  cit.,  fol.  II. 

(3)  Giornaliero  cit,  dal  5  all'8  maggio. 

(4)  Roi.  6$  cit.,  fol.  II;  Rot,  cit.  Castellania  di  Rivoli,  fol.  II. 

(5)  Gabotto,  op.  cit.,  pp.  150-51;  cfr.  il  suo  Inventario  e  regesto  Archivio 
4i  Moncalieri  in  Misceli,  stor.  ital,  voi.  XXXVI,  1900,  nn.  1603-04. 

(6)  Conto  della  spedizione  d'Oriente  (pubblicata  dal  Bollati,  op.  cit.),  n.  39  : 
«  Libravit....  de  mandato  domini,  domino  guillermo  de  grandissono  manu  domini 
«  johannis  eius  capelani  prò  pluribus  expensis  factis  per  ipsum  veniendo  de  rip- 
«  polis  apud  papiam  et  redeundo  rippolas,  et  deinde  veniendo  apud  venecias....  » 


LA    NASCITA   E   IL  BATT.    DEL   PRIMOG.    DI   G.    G.   VISCONTI,  ECC.      273 

in  pegno  di  terre  date  provvisoriamente  in  mano  sua  (i).  Finalmente, 
sia  per  presiedere  al  battesimo  del  neonato  di  Gian  Galeazzo  al 
24  maggio,  sia  per  fermare  la  pace  definitiva,  e  portarsi  poi  a  Ve- 
nezia, il  conte,  dopo  aver  indotto  il  principe  al  testamento  sì  favo- 
revole a  lui,  in  data  i6  maggio  (2),  con  splendido  corteo  di  signori 
partiva  da  Rivoli  il  19  maggio,  al  mattino,  giungendo  naturalmente 
a  Pavia  al  più  tardi  la  sera  del  23  stesso  (3),  festosamente  accolto 
da  tutta  la  famiglia  Visconti,  e  prendendo  alloggio  nell'apparta- 
inento  della  torre  del  grande  castello  verso  la  porta  di  S.  Maria 
in  Pertica  (4). 

Una  sola  è  la  fonte  per  le  feste  del  battesimo:  la  narrazione  ci- 
tata del  Corio,  la  quale  astraendo  dall'errore  del  cronista  che  le  disse 
fatte  per  Valentina,  a  ciò  indotto  dall'  importanza  di  lei,  può  essere 
da  noi  documentata  in  ogni  sua  parte.  Dice  dunque  il  Corio  che 
alle  feste  intervennero  il  conte  di  Savoia,  il  marchese  di  Ferrara, 
Malatesta  Unghero,  Ludovico  Gonzaga,  e  gli  inviati  di  varie  città  : 
vediamo  dunque,  come  già  per  il  conte,  di  provare  la  permanenza 
di  quei  signori  a  Pavia  in  tal  tempo,  insieme  procurando  di  rischia- 
rare un  punto  oscuro  della  politica  viscontea  d'allora. 

Anzitutto,  riguardo  al  marchese  di  Ferrara,  Niccolò  II  d'Este, 
i  dati  della  partenza  sua  da  Ferrara  il  ig  maggio,  e  della  sua 
presenza  in  Chambéry  il  2  giugno,  come  vedremo,  rnettono  la 
cosa  fuori  dubbio.  Sulla  partenza  del  marchese  da  Ferrara  dice 
esplicitamente  il  Chronicon  estense,  al  1366  :  «  Die  XIX  mensis 
«  Madii  praefatus   Dominus   Nicolaus  Marchio  ivit    Civitatem   avi- 


(i)  Nella  lista  delle  spese  del  conte,  9  maggio-ii  giugno  1366  in  Rot.  cit., 
fol.  Ili,  è  scritto  :  a  inclusis....  novem  millibus  florenorum  traditorum  senescalco 
a  Provincie,  de  mandato  domini  prò  domino  galeaz  ».  Cfr.  più  sotto,  p.  279. 
Di  questa  tregua  si  fa  pur  parola  nel  trattato  del  28  maggio,  di  cui  oltre. 

(2)  Infondati  sono  i  dubbi  del  Gabotto,  op.  cit.,  p.  rji,  sulla  presenza  di 
Giacomo  a  Rivoli,  e  sulla  autenticità  del  testamento,    come    altrove  dimostrerò. 

(3)  Giornaliero  cit.,  al  20  maggio:  «  Libr....  magistro  johanni  barberii  valletto 
«  johannis  barberii  domini  eunti  papiam  ad  dominum  nostrum  comitem....  ». 

(4)  Vedi  l'accenno  più  sotto,  nella  nota  i,  dì  p.  279.  Per  il  suo  seguito 
cfr.  Conto  spediitone  cit.,  n.  24.  «  Libr....  dicto  jaspio  prò  pluribus  expensis  factis 
a  per  ipsum  apud  papiam  ubi  processerat  de  rippolis  prò  ad  venta  domini  in 
«  mense  maij  nuper  lapso.  videlicet  prò  charreagio  plurium  lectorum  qui  mutuati 
«  fuerunt  ibidem  prò  gentibus  domini....  ». 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  X  XXII,  Fase.  VIII.  18 


274  "^^^^   MURATORE 

«  nionis  ad  visitandum  Dominum  Papam  w  (i).  Né  la  cosa  può-, 
esser  messa  in  dubbio. 

Quale  intento  muoveva  il  marchese  a  lasciare  Ferrara? 

Gli  storici  posteriori  seguono  tutti  una  medesima  linea  diret- 
tiva di  giudizio:  quella  del  Corio,  tanto  parziale  pei  Visconti,  il 
quale  assegnando  al  1366  il  convegno  di  Avignone  del  1365,  scrive: 
n  Ancora  a  questa  Dieta  personalmente  gli  intervenne  Androadio 
u  marchese  di  Ferrara;  Malatesta  Ungaro  di  Malatesti;  gli  am- 
«  basciatori  di  Francesco  da  Carrara;  Ludovico  Gonzaga  con  gli 
«  oratori  di  Reggio  e  Imola,  tutti  nemici  capitali  dei  Visconti  »  ; 
e  non  manca  di  far  notare  il  torto  procedere  del  marchese  e  dei 
compagni  nell'andarsene  alla  dieta  dopo  godute  tutte  le  feste  vi- 
scontee I  Corretto  lo  scusabile  errore  cronologico  del  Corio,  il  suo 
pensiero  informa  infatti  il  giudizio  del  Pigna,  che  però  dice  Niccolò^ 
invitato  a  Pavia  dallo  stesso  Galeazzo  per  il  battesimo,  avendo  quello 
tenuta  segreta  ogni  cosa  ;  del  Muratori  e  del  Frizzi,  quest'ultima 
anzi  dicendo  esplicitamente  che  il  marchese  per  meglio  coprire  il 
suo  intento  «  andò  direttamente  a  Milano  col  pretesto  di  una  visita 
it  a  Bernabò,  ma  realmente  per  scoprire  le  sue  intenzioni..,  e  avuti 
u  con  esso  vari  ragionamenti,  prese  congedo  e  andò  ad  Avignone 
«  a  stringere  una  Lega,  in  apparenza  contro  le  Compagnie  di 
«  Ventura,  in  realtà  per  tenere  in  freno  i  Visconti  »;  come  pure 
del  Giulini,  che  fa  passare  il  marchese  a  Pavia  per  caso,  recandosi 
ad  Avignone  invitato  ad  un  convegno  dal  papa  ;  e  del  Verci  (2), 
sino  al  De  Rosmini  che  mette  al  1366  la  lega  che  fu  nel  1367;  e 
al  Magenta  che  crede  in  un  invito  di  Galeazzo  alle  feste  del  bat- 
tesimo di  Valentina  (3). 

Un  giudizio  spassionato,  e  basato  su  documenti,  non  può  se- 
sere  così  reciso;  e  per  sincerarcene  basterà  dare  uno  sguardo  alle 
ultime  relazioni  fra  i  Visconti  e  il  pontefice  unito  ai  collegati  suoi. 

La  pace  generale  di  Bologna,  3  marzo  1364,  che  pose  fine 
alla  lotta  tra  Barnabò  e  i  suoi  avversari  (4),  non  aveva  bastato  a 


(i)  Muratori,  R.  L  S.,  voi.  XV,  col.  487. 

(2)  Storta  della  Marca   Trivigiana,  Venezia,   1789,  voi.  XIV,  p.  95. 

(3)  I  passi  di  tutti  questi  scrittori  furoa  già  allegati  da  noi  sul  principio  di 
questo  scritto. 

(4)  Ampie  trattazioni  in  Werunsky,  Geschichte  Kaiser  Karìs  IV  und  seiner 
Zeit,  Innsbruck,  1880-92,  voi.  III,  pp.  289-98;  Jorga,  op.  cit.,  pp.  213-28;  Ro- 


I 


LA   NASCITA   E    IL   BATT.    DEL    PRIMOG.    DI   G.    G.  VISCONTI,  ECC.      275 

metterli  completamente  d'accordo:  Barnabò,  nell'estate  susseguente, 
non  voleva  ancora  restituire  alcuni  castelli  della  diocesi  di  Reggio, 
tolti  nella    guerra  a  signori    aderenti  ai    collegati,    e   accingendosi 
questi  a  soccorrerli,  non  osava  il  cardinal  legato  Androuin    de  la 
Roche  emettere  quel  lodo,  per  cui  aveva  avuto  pieni  poteri  in  vista 
di  possibili  contestazioni,  per  timore  di  eccitare  novella  guerra  (i); 
e  Urbano  V,  nelle  cui  mani  la  delicata  questione  veniva  posta,  nel 
maggio  1365,  durante  il  memorando   convegno   con   Carlo  IV   im- 
peratore  in  Avignone,   che  ebbe    per   scopo    principale   la    difesa 
contro  le  compagnie  di  ventura,  e  che  gli  storici   milanesi    (alcuni 
anche  moderni)   credettero  fatto    per  una   lega   contro    i  Visconti, 
mentre  invece  il  pontefice  consigliò  l'imperatore  a  restituire  a  Bar- 
nabò il  vicariato   imperiale  (2),    induceva   il  signore  lombardo  e    i 
collegati  ad  accettare  il  prolungamento  dei  poteri  del   legato  sino 
al  i.^  ottobre;    ma  questo    termine  trascorreva    senza   che    alcuna 
decisione  venisse  presa,  in  compenso  elevandosi  numerosi  lamenti 
dei  collegati  stessi  contro  Barnabò:  da  Feltrino  Gonzaga,   per  ca- 
stelli presigli  da  aderenti  viscontei  e  non  ancora  restituiti,   e   per 
r  inesecuzione  del  trattato  fatto  coi  conti  di  Panico  ;  da  Francesco 
da  Carrara  di  Padova,  per  le  persecuzioni  contro  gli    abitanti  dei 
comuni  del  Bresciano  già  aderenti  alla  chiesa,  ad  onta  dell'amnistia 
generale,    e  per  1'  assalto    di  genti  di  Barnabò    unite  a    quelle  del 
duca  Rodolfo  d'Austria;  da  Niccolò  II  d'Este,  signore  di  Ferrara, 
il  più  potente    sostegno  della    chiesa,  adirato    per  le    offese    che  i 
figli  di  Galeazzo  de'  Pii,    signore  di  Carpi  e  protetto    di  Barnabò, 
da  tempo  facevano    in  terre  dal  Modenese;  lamenti    a  cui   rispon- 
devano quelli  di    Barnabò  per  non    veder  adempiuti  dagli    antichi 
avversari  gli    atti  di  pace,    specialmente   la   restituzione    dei   beni 
confiscati  ai  partigiani  suoi  (3).  Il  pagamento   di   centomila  fiorini, 
indennità  di  guerra,  fatto   al   pontefice   nel   settembre   1365,   ed   il 


MANO,  Matteo  Spinelli  da  Giovena^^Oj  diplomatico  del  secolo  XIV  in  Giornale  sto- 
rico per  le  Provincie  Napoletane,  1899,  p.  398  e  1900,  pp.  157-68. 

(i)  Werunsky,  op.  cit.,  p.  358,  che  si  appoggia  a  documenti  dell'Archivio 
vaticano. 

(2)  Ibid.,  pp.  311-28;  JoRGA,  op.  cit.,  pp.  267-72.  Del  convegno  tratterò 
presto  io  pure  in  una  monografia  sul  passaggio  dell'imperatore  per  la  Savoia, 
tessuta  su  documenti  inediti. 

(3)  Ibid.,  pp.  359-60. 


276  '  DINO   MURATORE 

desiderio  suo  di  poter  riuscire  a  qualcosa  nella  lotta  con  le  com- 
pagnie, faceva  pendere  la  bilancia  in  favore  di  Barnabò;  e  se  in 
ottobre  una  lega  difensiva  era  stretta  fra  il  legato,  il  carrarese  e 
il  marchese  (i),  in  novembre  il  pontefice  si  affrettava  a  render- 
nelo  avvertito,  e  in  dicembre  ordinava  al  carrarese  di  non  muover 
guerra  (2).  Ma  la  guerra  di  Barnabò  con  Genova  e  il  cattivo  ri- 
sultato dei  buoni  offici  di  Amedeo,  mentre  Urbano  avrebbe  vo- 
luto ognor  più  la  lega  contro  le  compagnie  che  fulminava  terribil- 
mente con  scomuniche  il  13  aprile,  faceva  naturalmente  peggiorare 
le  relazioni  tra  i  Visconti  e  la  santa  sede  (3),  senza  però  che  si 
pensasse  affatto,  da  parte  di  questa,  ad  una  lega  contro  di  quelli. 
Un  po'  diverso  era  il  pensiero  dei  collegati  nei  primi  mesi  del  1366: 
certo  il  ricordo  delle  recenti  offese  del  signore  lombardo,  la  paura 
che  incuteva  a  tutti  i  confinanti,  fors'anco  qualche  leggera  mossa 
ostile  contro  di  essi,  dovette  scuoterli  in  guisa  da  procedere  a 
nuove  trattative  per  cercare  di  metter  fine  in  qualche  modo  al 
difficile  stato  di  cose,  causa  di  perturbazioni  e  dispendi  gravosi;  a 
capo  di  tal  movimento  mettendosi  naturalmente  il  marchese  d'Este, 
le  cui  relazioni  col  papa  erano  sempre  ottime,  e  la  cui  potenza 
aveva  eventualmente  più  d'ogni  altra  da  temere  di  Barnabò;  però 
non  si  trattava  ancora  (come  dicono  i  posteriori  cronisti)  di  una 
lega.  Ciò  probabilmente  sul  finire  di  marzo:  ma  l'oculato  Barnabò, 
avutone  sentore,  correva  ben  presto  al  riparo.  Facendo  buon  viso 
a  cattivo  giuoco,  scriveva  al  pontefice,  invitandolo,  egli  stesso,  a 
stringere  una  forte  lega  contro  le  compagnie,  naturalmente  prote- 
stando di  non  aver  colpa  alcuna  per  il  procedere  del  figliastro 
Ambrogio,  che  in  aprile  appunto  si  univa  con  le  sue  masnade  a 
quelle  dell'  Hawkwood  e  di  Giovanni  conte  d'Asburgo,  in  quel  di 
Siena;  ed  Urbano  gli  rispondeva  lodandolo  ed  esprimendogli  la 
necessità  che  dell'  alleanza  facessero  parte  Galeazzo  e  i  collegati 
della  chiesa  (4). 


(i)  Cronica  di  Bologna  in  Muratori,  R.  I.  5.,  voi.  XVIII,  col.  469. 

(2)  WtRUNSKY,  op.  cit.,  p.  360. 

(3)  Ibid.,  p.  350;  cfr.  Romano,  op.  cit.,  1901,  pp.  279-80. 

(4)  Ciò  risulta  da  una  lettera  di  Urbano  all'imperatore,  3  giugno  1366 
(Arch.  vat.,  Ep.  secr.  Urbani  V,  Reg.  248,  fol.  98)  citata  dal  Werunsky,  op.  cit,, 
voi.  Ili,  pp.  340  e  350.  Cfr.  Raynaldi,  AnnaJes  ecclesiastici,  ediz.  Mansi,  voi.  VII, 
p.  145. 


LA    NASCITA   E   IL    BATT.    DEL    PRIMOG.    DI    G.    G.  VISCONTI,  ECC.      277 

Così,  nei  primi  giorni  di  maggio,  Barnabò  di  buon  grado  se- 
guiva il  consiglio  pontificio,  invitando  i  collegati,  sempre  fermi  nel 
volere,  con  l'aiuto  del  papa,  riordinare  le  cose  dell'  Italia  superiore, 
ad  un  convegno  in  Pavia,  sulla  strada  di  Avignone,  per  la  penul- 
tima domenica  del  mese,  mentre  colà  si  sarebbe  pure  trovato  il 
conte  di  Savoia,  la  cui  presenza,  date  le  strette  sue  relazioni  con 
Urbano,  avrebbe  potuto  esser  coefficiente  di  accordo,  e  grandiose 
accoglienze  avrebbero  dimostrate,  vere  o  finte,  le  buoni  disposi- 
zioni dei  Visconti  (i).  E  difatti,  come  abbiamo  visto,  il  19  maggio 
(giorno  stesso  della  partenza  di  Amedeo  da  Rivoli)  il  marchese 
Niccolò  II  lasciava  Ferrara,  giungendo  ei  pure,  naturalmente,  il  23 
stesso  a  Pavia,  insieme  col  conte. 

Tra  i  signori  che  1'  accompagnavano,  sappiamo  di  certo  che 
eravi  Pandolfo  Malatesta  di  Rimini  (2);  ma  è  probabilissimo  non 
mancassero  neppure  gli  inviati  di  Reggio,  Imola  e  altre  città.  Quanto 
ai  Gonzaga,  possiamo  ritenere  che  Ludovico  abbia  accolto  l'invito 
reiterato  di  Galeazzo,  fattogli  pure  a  nome  di  Barnabò. 

In  tal  modo  abbiamo  ogni  ragione  per  ritener  vera  la  sostanza 
del  racconto  del  Corio. 

Il  24  maggio  1366,  solenne  festa  di  Pentecoste,  venne  adunque 
celebrata  la  cerimonia  del  battesimo  del  primogenito  del  conte  di 
Virtù,  che  ebbe  a  padrini  il  conte  di  Savoia  e  il  marchese  di  Fer- 
rara, ricevendo  i  due  nomi  di  Giovanni  e  di  Galeazzo;  e  possiamo 
immaginarci  quanto  grandiose  dovettero  essere  le  feste  nel  son- 
tuoso castello  finalmente  terminato,  con  intervento  di  tutta  la  no- 
biltà lombarda,  dame  e  signori  (3):  e  questi  ebbero  campo  di  far 
mostra  della  loro  bravura  in  splendide  giostre,  primo  fra  essi  il 
Conte  Verde  (4). 

(1)  Del  12  maggio  è  un'ultima  lettera,  con  cui  Galeazzo  confermava  a  Lu- 
dovico Gonzaga  la  data  definitiva  della  festa,  24  maggio.  Magenta,  op.  cit., 
voi.  II,  p.  32,  doc.  XLI  (colla  data  1369). 

(2)  Ved.  gli  accenni  a  lui,  più  sotto,  p.  279,  nota  i,  e  p.  282. 

(3)  CoRio,  op.  e  loc.  cit.  Vedi  per  curiosità  la  pomposa  descrizione  del 
Magenta,  loc.  cit.,  e  quella  delle  feste  per  la  pretesa  nascita  di  Azzone  (cioè  in 
sostanza  di  queste),  voi.  I,  pp.  134-135. 

(4)  Conto  spediiione  cit.,  n.  103  :  «  Libr....  dicto  verneta,  quos  domino  apud^ 
«  papiam  mutua  verat  prò  ipsis  dandis  cuidam  valleto  custodi  enti  equum  super 
«  quo  astiludiaverat  dominus  ibidem,  Il  fl.  ».  Una  lettera  del  conte,  «  papié.... 


278  DINO   MURATORE 

Le  feste  durarono,  secondo  il  solito,  tre  giorni.  Infatti,  il  mer- 
coledì 27  maggio  Amedeo  si  dava  tutto  agli  ultimi  preparativi 
della  spedizione  sua;  in  tal  giorno  prendeva  al  suo  servizio,  fra 
altri  signori  che  si  proponevano  seguirlo  nel  suo  viaggio,  i  fratelli 
Ugo  e  Luigi  di  Chàlons,  e  il  nobile  bordolese  Floremond  de 
l'Esparre  (i),  e  l'indomani,  28,  Giovanni  di  Montfaucon  e  Ottone 
e  Ugoneto  di  Grandson  (2);  così,  secondo  le  promesse  avute  da 
tempo,  otteneva  aiuto  di  armati  da  Galeazzo:  venticinque  «  uomini 
«  d'arme  »  (cento  persone),  quasi  tutti  tedeschi,  e  un  seicento  «  bri- 
«  ganti  »  italiani,  agli. ordini  di  16  connestabili  (3);  e  ancora  un  grosso 
mutuo  di  ventimila  fiorini,  oltre  quattromila  in  dono  dalla  sorella 
Bianca  (4). 

Un'importante  questione  si  avviava  intanto  a  soluzione:  la 
pace  del  Piemonte.  In  Pavia,  secondo  le  intese  della  tregua,  erano 
convenuti  gli  inviati  delle  città  di  Cherasco,  Cuneo  e  Mondovì, 
ricche  terre  angioine,  ben  disposte  ormai  a  passare  sotto  il  dominio 
visconteo;  ed  Amedeo,  in  conseguenza  dei  pieni  poteri  conferitigli 
dalle  due  parti,  il  28  maggio,  nella  propria  camera  nella  torre  verso 
la  porta  di  S.  Maria  in  Pertica,  pronunciava  la  sua  sentenza  arbi- 
trale,  per    cui  quei  luoghi    passavano    effettivamente    a   Galeazzo, 


a  die  XXVI  mensis  maij  anno  d.'"  millesimo  CCC  LXVF  »  è  citata  nei  Conti 
Casteììania  Morat,  Rot.  i.  ii.  1364  —  i.  3.  1367,^0!.  IV. 

(i)  Docum.  in  Arch.  di  Stato  di  Torino,  Viaggio  di  Levante  :  il  primo  pub- 
blicato dal  Datta,  op.  cit.,  p.  263  ;  il  secondo  dal  Bollati,  op.  cit.,  p.  536,  ma 
commutando  «  Pavie  »  in  Paine  !  in  Savoia  1 

(2)  Atto  ivi,  Protoc.  due,  Serie  camer.,  Reg.  44  cit.,  fol.  15. 

(3)  Ciò  risulta  dal  Conto  della  spedizione  cit.,  di  cui  è  impossibile  qui  citare 
i  dati.  La  inedita  Chronique  de  Savoie  di  Cabaret  [ms.  al  Museo  dell'Archivio  di 
Stato  di  Torino],  fol.  VIIIXX  X,  dice:  «  Galiace. ..  luy  bailla  pour  le  servir  en  son 
«  voyaige  missire  harnequin  de  Vienne  capitaine  de  cent  hommes  d  arraes  d  elite  »  ; 
ma  nei  Geste:^  et  Chroniques  de  Savoie  di  Jean  Servion,  che  ne  è  quasi  copia 
\Mon.  hist.  patriae.  Script.,  voi.  I,  p.  301],  il  capitano  diventa  «  Lucquin  de  Vermes  ». 
Sulla  progettata  e  non  avvenuta  partecipazione  del  celebre  capitano  all'  impresa 
(quantunque  si  sia  recato  ei  pure  a  Venezia),  avrò  agio,  su  documenti  inediti,  di 
ritornare  presto,  accennando  pure  alle  ultime  sue  relazioni  col  Petrarca. 

(4)  a  Recepit  a  domino  galeaz  manu  petri  gerbaysii  ex  dono  per  ipsum 
«  dominum  galeaz  facto  domino  gratiose,  XXM  fior.  b.  p.  »  [Rot.  ój  cit.,  fol.  Ili]; 
ma  l'economo  aveva  mal  inteso,  e  l'errore  fu  poi  rettificato  al  ritorno  {Conto 
della  spedizione  cit.,  n.  XCVIII).  «  Recepit  a  domina  blanchia  sorore  domini  die 
«  XXVII  maij....  UHM  flor.  b.  p.  »  [Rot.  6$  cit.,  fol.  cit.]. 


LA    NASCITA   E   IL    BATT.    DEL    PRIMOG.    DI    G.    G.   VISCONTI,  ECC.      279 

sotto  certi  patti  e  convenzioni  (i);  e  per  parte  sua  egli  riaveva  la 
somma  data  in  pegno  al  senescalco  di  Provenza  pendenti  le  trat- 
tative suaccennate  (2).  Compiuto  questo  importante  atto,  Amedeo  VI 


(i)  L'originale  dell'atto,  inedito,  esiste  in  Cherasco,  Arch.  civico,  mazzo  IV, 
n.  22.  Oltre  Gioffredo  della  Chiesa,  Cronaca  di  Saluto  in  Hist.  patr.  mon. 
Script^  voi.  Ili,  pp.  1011-12,  ne  parlò  largamente  il  Voeksio,  Historia  compendiosa 
di  Cherasco,  Mondovi,  1618,  che  diede  pure  i  nomi  degli  inviati  (pp.  494-95),  e 
lo  seguì  il  Partenio,  Secoli  della  città  di  Cuneo,  Mondovi,  17  io,  ma  con  lo 
strano  errore,  che  gli  inviati  giunsero  a  Pavia,  e  trovato  ivi  per  caso  il  conte, 
lo  scelsero  a  mediatore  (pp.  75-76);  ne  diede  un  breve  transunto  1' Adriani,  In- 
dice cronologico  di  documenti  su  Cherasco....,  Torino,  i?57,  p.  6j  ',  ne  parlò  an- 
cora il  Gabotto,  op.  cit.,  p.  151  e  Storia  di  Cuneo,  Cuneo,  1898,  p,  75  ;  ma 
l'esame  più  ampio  è  stato  fatto  sinora  dal  Bertano,  Storia  di  Cuneo,  Cuneo,  1898, 
voi.  I,  pp.  446-48.  In  attesa  di  pubblicarlo,  con  altri  documenti,  nella  sua  in- 
tegrità, eccone   il  principio,  favoritomi  dall'egregio  amico  dott.  G.  A.  Piovano  : 

«  In  nomine  domini  Amen.  Anno  eiusdem  millesimo  trecentesimo  sexagesimo 
«  sexto  die  vigesimo  octavo  mensis  maii  quarta  Indictione...  Noverint  universi  pre- 
ce sens  instrumentum  publicum  inspecturi,  quod  illustris  princeps  et  dominus,  do- 
«  minus  Amedeus  Comes  Sabaudie  in  hac  parte  mediator  arbitrator  et  amicabilis 
«  compositor  inter  magnifìcum  et  excelsum  dominum  dominum  galeaz  viceco- 
«  mitem  mediolani,  papié  etc.  et  imperialem  vicarium  generalem  suum  hono- 
«  randum  fratrem  carissimum  ex  una  parte,  et  comunia  et  homines  terrarum 
«  cunei  montisvicl  et  clarischi  eorumque  pertinentium  ex  altera,  suprascriptis 
«  anno  indictione  et  die,  residens  in  glorioso  castro  civitatis  papié  prefati  ma- 
«  gnifici  et  excelsi  domini  galeaz  videlicet  in  quadam  camera  turris  de  qua  in- 
«  spicitur  versus  portam  sancte  marie  in  pertica  tunc  cubiculari  eiusdem  d.''*  Co- 
«  mitis....  in  presentia  magnificorum  et  egregiorum  militum  dominorum  pandulfi 
«  de  malatestis  quondam  d."'  malatesti,  et  johannis  de  sessulis  quondam  d."' 
«  tadei,  nec  non  nobilium  et  egregiorum  dominorum  protasii  de  caxinis  militis 
a  quondam  d.'^K..,  gerardi  de  strésio  militis  et  legum  doctori§  quondam  d."' 
a  petri  cancellarli  prefati  illustris  d.'^^  comitis  sabaudie,  petri  de  mandello  mi- 
«  litis  quondam  d.°'  maximi,  et  henrici  de  gorzano  militis  quondam  d.'''  con- 
«  radi,  ac  nobilium  virorum  petri  gerbasii  quondam  d.°'  johannis,  bonifacii  ma- 
te labayle  quondam  d."^  andreoni,  martini  cagne  quondam  d.'''  guidonis,  johannoli 
«  de  medda  quondam  d.''^  alberti,  stefanoli  porri  quondam  d."''  beltrarai,  et  am- 
«  brosoli  crivelli  quondam  d.*"'  conradi  —  omnium  testium  prò  majorì  parte  no- 
«  torum....  ».  Notaio  dell'atto,  il  cancelliere  visconteo  Cavallino  de  Cavallis. 

(2)  Rot.  65  cit.,  fol.  Ili  :  a  Recepit  a  domino  galeaz  manu  petri  gerbaisii  in  quibus 
«  dictus  dominus  galeaz  domino  tenebatur,  quia  ipsos  soluerat  dominus  senescalco 
«  Provincie  prò  ipso  d."°  galeaz,  quando  terra  regia  fuit  eidem  expedita  per  mare- 
«  scalcum  supradictum,  IXM  fl.  b.  p.  ».  Cfr.  p.  272-75.  Per  gli  avvenimenti  po- 
steriori, vedi  Gabotto,  op.  cit.,  pp.  151-52;  e  una  lettera  con  cui  Urbano  V  il 
3  giugno  pregava  l' imperatore  di  proteggere  la  regina  Giovanna  contro  Galeazzo: 
Kaynaldi,  Annales  ecclesiastici,  voi.  VII,  p.  145. 


28o  DINO    MURATORE 

s'accinse  a  partire:  spedita  a  Venezia  una  nave  coi  bagagli,  e  avuto> 
il  permesso  del  doge,  il  lunedì  i.*'  giugno  si  congedava  dal  co- 
gnato e  dalla  sorella;  e  accompagnato  dal  nipote  Gian  Galeazzo 
(che  voleva  in  tal  modo  dimostrargli  la  riconoscenza  sua\  col  se- 
guito passava  lo  stesso  giorno  a  Piacenza  (i),  e  per  le  terre  lom- 
barde e  venete  giungeva  finalmente  a  Venezia  la  sera  del  7  giugno  (2). 

Seguiamo  ora  il  marchese  di  Ferrara  per  risolvere  la  questione 
delle  relazioni  politiche  tra  i  Visconti  e  i  collegati  della  chiesa. 

Secondo  le  intese  (come  abbiamo  visto),  trattative  e  colloqui 
dovettero  avvenire  a  Pavia  tra  Barnabò,  Galeazzo,  il  marchese  e 
Amedeo;  e  il  28,  senza  alcun  dubbio,  Niccolò  passava  con  Barnabò  a 
Milano,  tra  le  feste  più  splendide  (3),  trattenendosi  con  lui  in  tratta- 
tive, su  cui  per  ora  possiamo  solo  dire  che  il  signore  di  Milano  scelse 
come  suo  ambasciatore  alla  Curia  Uberto  Pallavicini  (4).  Il  29  mattino, 
la  comitiva  dei  collegati,  composta  di  circa  duecento  cavalieri,  ne 
ripartiva  dirigendosi  verso  la  Savoia  per  il  Piemonte  superiore  e 
la  valle  di  Susa,  perchè  già  il  martedì  2  giugno,  avvertitane  prima 
dal  conte  e  ultimamente  dal  castellano  di  Avigliana  (5),  la  contessa 
Bona  di  Savoia  accoglieva  con  gli  onori  dovuti  all'alto  loro  grado 
il  marchese  e  i  suoi  compagni  nel  castello  di  Chambéry,  dove  per 
l'occasione  erano  convenuti  molti  nobili  savoiardi;  mentre  la  ser- 
vitù coi  numerosi  cavalli  era  alloggiata,  secondo  1'  uso,  in  casa  di 
privati  o  di  osti  della  città  (6).  "^ 

(i)  Atti  ivi  in  Protoc.  due,  Serie  camer.,  Reg.  44  cit.,  foli.  17  v-21.  Man* 
dato  del  conte  in  Rot.  27  cit,,  fol.  XXIII. 

(2)  Conto  spediiione  cit.,  nn.  II  e  191,  mentre  il  Datta  erroneamente  dice 
l'ii  giugno.  Il  viaggio  del  conte  di  Virtù  a  Venezia  è  attestato  dal  Caroldo, 
Ice.  cit.,  e  da  parecchi  altri  documenti  inediti.  ^ 

(3)  CoRio,  op.  e  loc.  cit. 

(4)  GiuLiNi,  op.  cit.,  voi.  V,  p.  503. 

(5)  Conto  Castellania  Avigliana,  Rot.  12.  4.  1365  —  7.  8.  1366,  fol.  XIX; 
«  Libravit  petro  de  gebennis  habitatori  ypporigie  nuncio  misso  ad  partes  sa- 
«  baudie  ad  dominam  nostrani  sabaudie  Comitissam  eidemque  apportanti  litteras 
«  adventum  domini  marchionis  ferrane  significantes....  ».  Cfr.  Giornaliero  cit.,  al 
i.°  giugno  :  «  ....  rosseto  messaggerio  misso  oviam  marchioni  ferrare....  ». 

{6)  Giornaliero  cit.,  fol.  54:  «  Fuit  à.^^^  marchio  de  ferrara  ». 

«  Die  martis  secunda  junii  fuit  domina  tota  die  ibidem.  Cum  toto  eius^ 
«  hospicio  et  familia  ordinaria.  Presentibus  domino  Marchione  de  Ferrara,  et 
«  cum  ipso  circa  ducentis  personis  presentibus  etiam  dominis  camere,  aymone 
«  de  chalant,  rodulpho  de  serravalle,  petro  de  amayssino,  francisco  bonczani,  cum 


LA    NASCITA   E    IL   BATT.    DEL    PRIMOG.    DI    G.    G.  VISCONTI,  ECC.      28r 

L' indomani  mattina,  3  giugno,  il  marchese  ripartiva  da  Cham- 
béry  verso  Avignone  (i),  accompagnato,  per  ordine  del  consiglia 
di  reggenza,  da  un  signore  savoiardo,  Pietro  di  Ameysin,  che  do- 
veva naturalmente  prender  parte  ai  colloqui  col  papa  (2);  e  dato 
il  tempo  comunemente  impiegato  nel  viaggio,  giungeva  colà  verso 
il  IO  stesso. 

Come  procedettero  le  trattative  col  pontefice? 

Già  il  16  giugno  Urbano  scriveva  alle  città  di  Firenze  (che  si 
era  decisa  a  radunare  inviati  per  una  lega),  Pisa,  Siena,  Arezzo  e 
Perugia,  che  i  suoi  nunzi  avevano  pieni  poteri  di  stringere  la  lega 
contro  le  compagnie  in  nome  della  chiesa,  a  cui  avrebbero  potuto 
aderire  i  Visconti,  che  assicurava  ben  disposti;  e  appunto  per  fa- 
cilitare tale  passo,  poco  dopo,  il  22,  scriveva  al  doge  di  Genova^ 
ai  fratelli  Visconti  e  al  marchese  del  Carretto  di  inviare  a  lui^ 
entro  20  giorni,  ambasciatori  per  trattare  la  pace  (3).  Queste  lettere 
ci  illuminano  sulle  buone  disposizioni  del  pontefice  verso  i  Vi- 
sconti, che  non  mutarono  neppure  per  il  cattivo  esito  delle  sue 
esortazioni. 

Così,  al  principio  di  luglio,  veniva  trattata  la  lega  dai  tre  nunzi 
e  dagli  inviati  delle  città  della  Toscana  e  dell'Umbria,  della  regina 
Giovanna,  e  dei  due  cardinali  legati;  ma  le  trattative  in  principio 
di  settembre  non  erano  ancora  a  buon  punto,  per  la  ritrosia  ad  en- 
trarvi del  doge  di  Pisa  Giovanni  dell'Agnello  sostenuto  dai  Visconti^ 
e  poco  disposto  ad  inimicarsi  la  compagnia  dell' Hawkwood,  di  cui 
poteva  servirsi  contro  gli  avversari  (4).  Ma  se  il  passaggio  di  Am- 
brogio Visconti  unito  all'  Hawkwood  stesso,  in  maggio,  nel  terri- 
torio di  Gubbio,  in  luglio  in  quel  d'Orvieto,  e  di  là  nella  campagna 


«  pluribus  dominabus,  burgensibus  et  domicellis  de  chamberiaco  et  pluribus  aliis 
«  nobilibus  et  personis  extraneis  ».  Seguono  le  spese  di  cucina,  carni,  dolci^ 
spezie,  selvaggina,  ecc.  assai  curiose.  «  Item  expensis  et  hostellagio  novies  viginti 
c(  et  decem  octo  equorum  d.''*  Marchionis  de  Ferrara  libratorum  in  albergarlo, 
a  inclusis  expensis  extraordinarijs  valletoium  ipsius  ut  infra  ».  Seguono  i  nomi 
degli  osti  e  dei  privati  che  11  alloggiarono. 

(i)  In  tal  giorno,  "il  Giornaliero  dì.  non  lo  dà  più  per  presente.  Cfr.  11  dona 
a' suoi  ufficiali:  «  Libr....  menestrerlls  d.'^'  marchionis  de  feraria,  XX  fl.  b.  p.  ». 

(2)  Giornaliero  eh.,  4  giugno;  a  Libr....  qui  dati  fuerunt  d."""  petro  de  ameyslna 
«  euntl  cum  marquione  de  feraria  apud  avinionem  associando  eum,  XV  fl.  b.  p.  ». 

(3)  \yERUKSKY,    Op.    Cit.,    VOl.   Ili,    pp.    345    e    360. 

(4)  Ibld.,  pp.  345-46. 


282  DINO    MURATORE 

romana  irritava  l'animo  del  papa,  sì  da  ordinare  il  i6  settembre  al 
cardinale  Albornoz  di  rinnovare  l'antica  lega  contro  i  signori  lom- 
bardi, era  questo  un  passo  molto  timido  e  senza  conseguenze, 
perchè,  mentre  nella  dieta  di  Francoforte  l'imperatore,  a  vive  pre- 
ghiere di  lui,  prometteva  l'invio  di  un  esercito  contro  le  compagnie 
e  decime  per  sostenerlo,  già  il  19  settembre  si  stringeva  a  Firenze 
la  lega  contro  esse  per  cinque  anni,  escluse  però  quelle  di  Am- 
brogio Visconti,  dell'  Hawkwood,  di  Anichino  Bongarden  e  del 
conte  Giovanni  d'Absburgo,  che  erano  invece  le  più  forti,  deva- 
stando allora  appunto  le  due  prime  le  ricche  terre  dell'Umbria  (i); 
e  se  il  IO  ottobre  Urbano  scriveva  ai  nunzi  e  ai  vescovi  di  Firenze 
e  Città  di  Castello  di  estendere  la  lega  anche  contro  di  esse,  con- 
temporaneamente pregava  Barnabò  di  richiamare  dal  comando  della 
compagnia,  con  l'autorità  paterna,  il  figliastro,  ottenendone  almeno 
la  promessa  che  per  un  anno  non  sarebbero  state  devastate  le 
terre  della  Chiesa  (2);  e  piena  di  dolcezza  è  la  lettera  che,  pochi 
giorni  dopo,  scriveva  a  lui  per  ringraziarlo  degli  ossequi  fattigli 
a  mezzo  di  inviati  e  del  richiamo  del  figlio,  e  per  calmare  il  suo 
timore  che  la  prossima  discesa  di  Carlo  IV  fosse  per  essere  a'  suoi 
danni,  il  29  ottobre  scrivendo  all'  imperatore  stesso  di  persuaderlo 
delle  buone  sue  intenzioni  (3). 

Ma  in  tal  modo  siamo  giunti  ben  oltre  il  termine  del  soggiorno 
di  Nicolò  II  d'Este  ad  Avignone;  il  suo  ritorno  a  Ferrara  dovette 
infatti  essere  entro  il  mese  d'agosto,  perchè  già  il  3  settembre  vi 
accoglieva  con  feste  il  figlio  del  defunto  Luchino  Visconti  (4);  e  tale 
ritorno  avvenne  per  la  riviera  ligure  e  non  più  per  la  Savoia,  per- 
chè di  lui  più  non  si  parla  nel  Gioi-naliero  più  volte  citato;  solo 
al  i.°  agosto  è  segnato  il  ritorno  da.  Avignone  del  nobile  Pietro 
di  Ameysin;  e  il  9  settembre  il  passaggio  per  Chambéry  del  Ma- 
latesta  col  seguito,  certo  rimasto  presso  Urbano  V    per    affari  (5). 


(i)  Werunsky,  voi.  Ili,  pp.  346-48  e  361. 

(2)  Ibid.,  pp.  5$i  e  36061. 

(3)  Rinaldi,  Annahs  ecclesiastici,  voi.  VII,  pp.  144-45- 

(4)  Chronicon  estense^  loc.  cit. 

(5)  Giornaliero  cit,  :  al  9  settembre  è  detto  presente  al  pranzo  «  dicto  do- 
<£  mino  malatesta  ».  Sono  poi  notate  le  spese....  unius  militis  marchionis  de 
«  ferrara  et  quinque  equorum  ibidem,  ubi  fuit  ad  dominam  veniendo  de  avi- 
«  nione....  ». 


LA   NASCITA   E    IL    BATI.    DEL    PRIMOG.    DI    G.    G.  VISCONTI,  ECC.      283 

Quindi,  contro  tutti  i  cronisti  e  storici  lombardi,  possiamo 
affermare  che,  lungi  dall'andare  ad  Avignone  con  l'espresso  pen- 
siero di  ordire  una  lega  contro  i  Visconti,  Nicolò  II  d'Este  ed  i 
suoi  compagni  vi  si  recarono  passando  prima,  a  invito  dei  Visconti, 
nelle  lor  terre,  coi  loro  stessi  ambasciatori,  per  consigliarsi  col 
pontefice  circa  il  miglior  mezzo  per  ordinare  le  cose  nell'Italia  su- 
periore, e  sopratutto  per  indurlo,  a  tal  fine,  a  un  sollecito  ritorno 
a  Roma,  còme  effettivamente  poi  fu.  E  ci  vollero  le  nuove  deva- 
stazioni (contro  i  patti  giurati)  della  compagnia  di  Ambrogio  Vi- 
sconti nelle  terre  di  Urbino  nella  primavera  del  1367,  perchè  la 
misura  si  colmasse,  ed  Urbano  V  in  persona  stringesse  a  Viterbo 
il  31  luglio  coi  plenipotenziari  del  marchese  d'Este,  di  Francesco 
da  Carrara  e  dei  Gonzaga  una  lega  di  cinque  anni  contro  i  Vi- 
sconti e  gli  Scaligeri. 


IV. 

La   NASCITA    DEGLI    ALTRI   FIGLI    DI    GlAN    GALEAZZO. 

Provato  così  che  la  nascita  del  primogenito  di  Gian  Galeazzo 
avvenne  il  4  marzo  1366,  e  il  suo  battesimo  si  effettuò  il  24  maggio 
successivo,  cercheremo  di  stabilire,  con  la  maggior  precisione  pos- 
sibile, le  date  delle  nascite  degli  altri  figli. 

Per  il  secondogenito,  cioè  Azzone  secondo  il  citato  Chronicon 
placentinum,  la  cosa  è  facile:  egli  nacque  nel  settembre  del  1368, 
poco  dopo  le  grandi  feste  del  matrimonio  di  Violante  Visconti  con 
Lionello  di  Chiarenza:  infatti,  nel  Rotolo  2^  dei  Conti  dell'hotel  della 
contessa,  13  settembre  1368  -  14  luglio  1370,  al  principio  della 
lista  dei  doni,  fol.  XXVIII,  sta  scritto:  «  Libravit  de  mandato  do- 
u  mine  manu  aymonis  de  chalant,  qui  dati  fuerunt  scutiffero  domine 
«  comitisse  de  vertuz  nuncianti  nativitatem  filii  diete  domine  comi- 
«  tisse.  XXV  fior.  b.  p.  ».  È  noto  che  alle  feste  prese  ancor  parte 
Isabella  stessa. 

L'ultimogenito,  Carlo,  come  abbiam  visto,  nacque  nei  primi 
giorni  di  settembre  1372,  cagionando  la  morte  della  madre. 

Ma  per  Valentina,  che  maggiormente  ci  interessa,  dobbiamo 
accontentarci  di  fondate  congetture:  i  documenti   sabaudi  tacciono 


284  DINO   MURATORE   -   LA   NASCITA   E   IL   BATTESIMO,   ECC. 

afifatto,  ne  di  più  dicono,  scartata  l'asserzione  del  Corio,  le  altre 
fonti.  Ora,  quattro  anni  precisi  intercedono  tra  le  nascite  del  secondo- 
genito e  dell'ultimogenito  :  a  me  sembra  naturale  che  quella  di  Va- 
lentina sia  avvenuta  all'  incirca  a  uguale  distanza  di  tempo  da 
ognuna  di  esse,  cioè  sul  finire  dell'  estate  del  1370,  in  tal  modo 
venendo  a  verificarsi,  tra  le  nascite  degli  ultimi  figli,  un  intervallo 
sempre  uguale  di  due  anni;  né,  fino  a  nuove  notizie,  è  possibile 
conseguire  una  data  di  precisione  maggiore,  per  quanto  sia  già 
questo  un  notevole  progresso  sulle  gratuite  asserzioni  degli  storici 
moderni. 

In  conclusione:  non  in  meno  di  quattro  anni,  come  si  è  cre- 
duto sinora,  ma  in  quasi  sette,  ebbero  Isabella  e  Gian  Galeazzo  i 
loro  figli:  Gian  Galeazzo  il  4  marzo  1366,  Azzone  nel  settembre 
1368,  Valentina  sul  finir  dell'estate  1370,  Carlo  in  principio  di  set- 
tembre 1372. 

Dino  Muratore. 


LA  PLEBE  VIGEVANESE 

alla   conquista   dei   poteri   pubblici   nel   1536 


ON  in  quest'anno  i  plebei  di  Vigevano  insorgon  la  prima 
volta  contro  i  nobili  amministratori  del  comune,  ne  sem- 
pre nel  passato  come  nel  1536  preferiron  le  vie  che  or 
direbbero  legali  :  già  taluno  de'  pochi  libri  ove  si  narra, 
ih  modo  troppo  incompiuto,  di  storia  vigevanese,  ricorda  altri  tur- 
bamenti. E  i  motivi  di  simili  agitazioni?  Arduo  è  stabilirli,  che 
mentre  non  si  può  dar  cieca  fede  alle  parole  di  questo  o  di  quello 
solo  dei  partiti,  ci  mancano  poi  i  documenti  necessari  per  fermar 
noi  stessi  un  giudizio  sicuro.  La  lotta,  in  somma,  si  svolge  nelle 
condizioni  e  sotto  la  luce  delle  lotte  odierne:  da  una  parte  i  capi 
della  plebe,  che  guidano  il  movimento,  scagliando  aspre  censure 
contro  il  vecchio  consiglio  generale,  affermano  di  voler  una  mi- 
gliore e  più  *equa  amministrazione  del  comune;  dall'altra  i  nobili, 
che  potremmo  chiamare  i  conservatori  di  quel  secolo,  giustifican 
dosi,  naturalmente,  contro  le  accuse  degli  avversari,  dichiarano 
ignorante  la  plebe,  mestatori  ambiziosi  i  suoi  capi,  ingiuste  le  sue 
aspirazioni,  le  sue  pretese,  e  difendono  e  sostengono  i  propri  di- 
ritti con  alcuni  giudizi,  che  avrem  cura  di  ben  notare,  perchè  illu- 
minano d'  un  nuovo  sprazzo  di  luce  vivissima,  opportuno  forse,  se 
non  necessario,  certi  sentimenti  e  certe  idee  dei  cinquecentisti. 

Il  comune  di  Vigevano,  ricco  una  volta,  col  procedere  degli 
anni,  soprattutto  lungo  il  sec.  XV,  avea  dovuto  alienare  man  mano 
diversi  beni  (i)  e  di  pari  passo  accrescere  le  imposte  agli  abitanti, 

(1)  Citiamo  alcuni  documenti,  conservati,  come  tutti  gli  altri,  nelFArchivio 
civico  di  Vigevano  (Casella  120,  Cartella  66:  Titoli,  Beni  comunali,  Alienazioni, 
Riscatti,  Atti  diversi).  Una  prima  pergamena,  sotto  la  data  6  dicembre  1375,  at- 
testa che  «  cum  comune  homines  et  universitas  terre  de  Viglevano   sint  variis 


286  FELICE   FOSSATI 

# 

finché  questi  per  le  guerre,  le  spogliazioni,  le  devastazioni,  la 
peste  nel  primo  quarto  del  sec.  XVI  finirono  con  l'agitarsi  e 
protestare  in  vari  modi.  Le  nostre  parole  recheran  forse  meraviglia 
a  qualche  curioso  della  storia  cittadina,  avvezza  a  considerare  l'età 
dei  Visconti  e  degli  Sforza,  specialmente  di  Lodovico  il  Moro, 
come  la  più  illustre  e  la  più  felice  di  tutte,  ma  se  è  vero  che 
il  comune  nostro  sotto  i  duchi  milanesi  allargò  la  cerchia  delle 
mura,  s' ornò  del  grandioso  castello  con  la  torre  di  Bramante  e 
della  bella  piazza,  s'arricchì  di  chiese,  vide  aumentare  la  popola- 

«  et  diversis  debitis  agravati  et  maxime  prò  solvendo  camere  magnifici  domini 
«  nostri  Galeaz  prò  eius  salario  prò  tempore  preterito  et  etiam  prò  solvendo 
«  castellanis  predicte  terre  Viglevani  de  man.to  prefacti  magnifici  domini  nostri 
«  et  prò  solvendo  sallarium  certorum  bobulcorum  qui  iverunt  ad  laborandum  ad 
c(  beldepotum  de  man.to  prefacti  magnifici  domini  nostri  et  non  habeant  pecu- 
«  niam  neque  bona  mobilila  ex  quibus  possint  sanare  dieta  debita,  et  expediat 
«  de  presenti  dieta  debita  sanare  »,  il  consiglio  generale,  radunato  dal  giurispe- 
rito Pietro  de'  Ottobelli,  vicario,  non  potendo  trovar  denaro  in  altro  modo,  de- 
libera di  vendere  tre  pezze  di  terreno:  i.°  la  «  squadra  superius  pratorum  »; 
di  circa  200  pertiche  ce  et  plus  et  minus  »;  2.°  la  «  squadra  inferius  »,  di  circa  80. 
3.°  una  pezza  di  terreno  parte  da  lavoro,  il  resto  a  prato,  di  circa  200,  il  tutto 
per  900  fiorini  «  boni  auri  et  iusti  ponderis  valloris  librarum  trium  et  sol? 
«  quatuor  prò  singulo  floreno,  qui  procedere  debent  in  sanando  dieta  debita  dic- 
«  torum  comunis  hominum  universitat.  et  singularum  personarum  diete  terre  et 
«  aliis  predictis  necessitatibus  superius  deseriptis  seu  de  quibus  supra  fit  mentio  »• 

Un'altra  pergamena  ci  ricorda  che  il  29  aprile  145 1  il  consiglio  generale 
convocato  «  prò  certis  negociis  peragendis  per  dictum  comune  et  maxime  prò 
«  recuperando  certam  denariorum  quantitatem  prò  satisfacien.'*  ducali  camere  prò 
«  censu  quo  tenetur  dieta  comunitas  prelibato  domino  domino  nostro  »,  ven- 
dette alcune  pezze  di  terreno,  dell'estensione,  complessivamente,  di  90  pertiche 
per  90  fiorini,  del  valore  di  L.  3,  s,  4  terzioli. 

Da  una  copia  (8  ottobre  1572),  non  autenticata,  dell'atto  della  seduta  consi- 
gliare 5  marzo  1 500  si  apprende  che,  radunato  da  Galezzo  de'  Colli,  ducale  com- 
missario, il  consiglio  generale  vende  a  Cristoforo  de'  Rodolfi  e  a  Matteo  de'  Pre- 
vide Massara  «  petiam  unam  terre  buschive  appellate  nemus  terre  grise  iacen. 
«  super  finibus  Viglevani  ultra  Ticinum  et  prout  continetur  in  incantu  dicti  ne- 
«  moris  alias  incantati  per  dominum  Julianum  Ardicium  de  Viglevano  reservatìs 
«  glariis  fratrum  etc.  »  :  il  prezzo  è  di  L.  4000  imperiali,  che  i  compratori 
«  promiserunt  et  convenerunt  dare  solvere  et  esbursare  nobilibus  viris  dominis 
«  Gabrieli  et  Nicolao  de  Tranqueriis  civibus  Mediolani  creditoribus  comunitatis 
«  Viglevani  de  dictis  libris  quatuor  mille  per  ipsos  de  Trincheriis  solutis  nomine 
«  comunitatis  Viglevani  prò  parte  solutionis  taxe  imposite  comunitati  per  111.™ 
«  D.  D.  nostrum  Ducem  Mediolani  et  prò  scontro  sacomani  vitati  amore  p.^  III.'" 
«  Principis  »,  Si  conserva  anche  una  copia  dell'  ìstrumento  della  successiva  ces- 


LA   PLEBE   VIGEVANESE   ALLA  CONQUISTA    DEI   POTERI,   ECC.        287 

zione  e  fiorire  industrie  e  commerci,  e  assorse  infine  da  «  oppidum  >^ 
all'onore  di  città,  non  è  men  vero  che  dovette  alienare  beni,  accrescere 
le  tasse  a'  cittadini,  impegolarsi  in  sempre  nuovi  debiti,  precipitando 
in  condizioni  infelicissime.  Ben  utile  e  interessante  certo  sarebbe 
ficcar  lo  sguardo  entro  ai  documenti  che  di  quell'età  rimangono 
e  cercar  di  ricavare,  se  possibile,  chiare  e  precise  le  condizioni 
finanziarie  de' Vigevanesi  d'allora:  forse  si  vedrebbe  che  la  rovina 
economica  della  città,  se  fu  precipitosamente  accelerata  dagl'  infausti 
trent'anni  che  seguirono  alla  cacciata  del  Moro,  non  cominciò  in  essa. 

sione  fatto  il  6  giugno  1500:  è  autentica,  del  notaio  Francesco  Scipione  del 
Pozzo,  e  con  la  data  del  30  giugno  1569. 

Il  notaio  Stefano  Cavalli  ci  ha  lasciato,  con  la  data  26  febbraio  1597,  copia 
autentica  dell' istrumento  di  vendita  di  altro  terreno.  Il  3  ottobre  15 13,  «  .  . . .  cum 
((  ita  sit  quod  comunitas  Viglevani  artetur  ad  solutionem  librarum  viginti  quinque 
«  mille  imper.  prò  subsidio  III."'  D.  D.  Ducis  Mediolani  diete  comunitati  impo- 
c(  sito  solvendo  in  breve  tempus  aut  depopulentur  si  non  soluerint  prout  ex  plu- 
«  ribus  litteris  ducallibus  diete  comunitati  transmissis  constat  et  aparet,  et  requi- 
«  sitis  pluribus  viis  prò  recuperatione  dictarum  pecuniarum  solvend.  utsupra,  et 
«  non  repertis  nisi  mediante  vendict.e  bonorum  et  proprietatum  et  iur.  ipsius 
«  comunitatis  Viglevani....  »,  il  comune  vende  il  prato  Timoncino  a  Paolo  de* 
Ferrari  Fantoni,  che  lo  compra  a  nome  di  Zanotto  de'  Silva,  per  L.  1500  im- 
periali. 

Cosi  il  24  dicembre  1513,  «  cum  sit  quod  comunitas  Viglevani  et  singu- 
«  lares  persone  de  Viglevano  arterentur  ad  solutionem  libr.  octo  mille  septem- 
«  centum  quinquaginta  imper.  occaxione  taxe  sallis  imposite  diete  comunitati 
«  prout  Constant  littere  ducalles  superinde  emanate  et  ordinacione  ducali  supe- 
«  rinde  facta  in  Consilio  generali  terre  Viglevani  super  anno  15 14  solvendis 
«  de  presenti  et  nisi  solvereatur  sequeretur  max.  expensa  diete  comunitati  Vi- 
ce glevani  et  perquisitis  pluribus  viis  prò  satìsfactione  premissorum  et  prò  evi- 
'(  tandis  expensìs  et  non  reperta  alia  comoda  via  nisi  per  viam  vendicionis  pro- 
<  prietatum  comunitatis  predicte  et  non  reperto  qui  plus  precio  obtulerit  infra- 
(  scripto  quinimo  noe  tantum  preeium  et  non  existen.  bonis  mobilibus  venalibus 
'(  in  dieta  comunitate....  »,  il  comune  vende  a  Bernardino  de'  Ferrari  Rainini 
«  duas  partes  ex  tribus  unius  petie  terre  buschive  prò  indivisso  cum  dieta  co- 
«  munitate  appellate  nemus  mondine  »  per  L.  1500  imperiali.  11  terreno  viene 
poi  dal  compratore  concesso  in  enfiteusi  al  comune  stesso  per  L.  105  imperiali 
l'anno.  Ciò  sappiamo  da  una  copia  non  autentica  dell'atto  di  vendita. 

Il  6  maggio  1524,  «....  cum  sit  quod  comune  Viglevanum  indigeat  pecuniis 
f(  prò  recuperanda  libertate  et  liberando  se  ab  obsidione  in  qua  constrictum  est 
«  propter  stipendiarios  Cesareae  Maestatis,  presertim  etiam  prò  provìdendo  pesti  in 
f(  ea  vigenti  non  habens  aliter  modum  providendum  nisi  per  venditionem  de  qua 
a  infra  factis  debitis  et  diligentibus  investigationibus....  »,  il  comune  vende  al 
convento  di  S.  Pietro  Martire  la  quarta  squadra  del  bosco  Pobbieto  per  200  scudi 


288  FELICE   FOSSATI 

Checché  sia  di  ciò,  sta  il  fatto  che  il  9  gennaio  1525  i  consi- 
glieri prendevano  una  gravissima  deliberazione:  «  ....  ordinaverunt 
K  et  ordinant  considerata  ruina  hedificiorum  et  sterillitate  ac  de- 
^<  vastatione  domorum  et  poss.""'"  territorii  Viglevani  passis  hiis 
«  annis  elapsis  quod  addatur  qualibet  testa  extimi  sol.  i  d.  6  ita 
■u  quod  ascendat  ad  sol.  4°^  extimi  prò  qualibet  testa.  Et  detrahatur 
^(  ab  ex.f^o  medietas  domorum  et  possessionum  ita  quod  ext."^"'* 
M  reducatur  ad  medietatem....  »  Il  celebre  cancelliere  Simone  del 
Pozzo,  allora  del  consiglio,  nota  in  margine:  «  hec  ordinatio  fuit 
«  fomentum  depopulationis  terre  Vigl."»  »  (i).  Lo  stato  deplorevole 
-del  volume,  ove  sono  registrati  gli  atti  consigliari  di  questi  anni, 
ci  tien  allo  scuro  di  molte  cose,  ma  quella  deliberazione  dovè  senza 
dubbio  scuotere  profondamente  la  plebe  della  città,  se  nel  resoconto 

«  auri  et  in  auro  »,  del  valore  di  L.  5,  s.  4  imperiali,  cioè  per  L.  1040.  Questo 
risulta  da  una  copia  non  autentica  dell'atto  di  vendita 

Finalmente  il  28  agosto  1536,  come  ci  attesta  una  copia  autentica  del  no- 
taio Jeronimo  de'  Podessi,  fatta  il  6  aprile  1573,  ^^  ••••  ^^^^  ^it  quod  comunitas  diete 
■«  civitatis  indigeat  pecuniis  prò  solvendis  debitis  diete  comunitatis  et  etiam  prò 
«  sustinenda  lite  quam  habet  cuni  comitatu  coram  R."io  senatu  Mediolani  ex 
«  causa  distributionis  onerum  impositorum  et  imponendorum  per  cesaream  ca- 
«  meram  diete  ci  vi  tati  et  comitatui  simul  et  non  habens  modum....  »,  il  comune 
vende  la  seconda  squadra  del  Pobbieto  per  L.  900  imperiali  a  Vincenzo  de' 
Bossi,  che  la  cede  poi  in  enfiteusi  perpetua,  per  annue  L.  81,  al  comune  stesso, 
<o\  patto  che  questo  sottostia  ad  ogni  eventuale  gravezza. 

Quanto  alle  condizioni  dei  cittadini,  per  il  sec.  XVI  si  vedano  le  note  più 
innanzi;  per  il  XV,  senza  voler  attribuire  loro  né  singolarmente  né  complessi- 
vamente un  valore  assoluto,  ma  pur  ritenendo  che  possano  da  sé  sole  bastare  a 
dar  almeno  in  grosso  una  prova  della  nostra  asserzione,  togliamo  alcune  cifre 
approssimative  dai  Conti  dei  tesorieri. 

Nell'anno  1410  si  ha:  estimo  L.  ^560,  riscosse,  di  tassa,  L.  2523;  nel  1411: 
-estimo  L.  3560,  tassa  L.  1395  ;  nel  1413  :  estimo  L.  3509;  nel  1415  :  estimo 
L.  3  5  IO,  tassa  (in  nove  mesi  :  pare  che  nell'  ultimo  trimestre  non  se  ne  siano 
riscosse)  L.  1730,  molte,  perchè  il  duca  volle  300  fiorini;  nel  145 1  :  estimo 
L.  1429,  poi,  negli  ultimi  tre  mesi  «  extimo  novo  »,  L.  1582,  tassa  L.  4780; 
nel  1443:  estimo  L.  1575  ;  nel  1457:  estimo  L.  1374,  tassa  L.  14434;  nel  1472: 
«  extimo  novo  »  L..  438,  tassa  L.  12279.  I  bilanci  poi  segnano:  anno  1410: 
entrate  L.  7656,  spese  L.  4322  (mancano  quelle  del  terzo  trimestre,  le  cui  en- 
trate sommarono  a  L.  2514)  ;  anno  1415  :  entrate  L.  5902,  spese  L.  5428;  anno 
1451:  entrate  L.  8746,  spese  L,  8865;  anno  1457:  entrate  L.  23790,  spese 
L.  24434;  anno  1472:  entrate  L.  23204,  spese  L.  22786.  Le  cifre,  ripetiamo, 
:Sono  approssimative,  non  assolutamente  precise. 

(i)  Convocati  Consiglio  Generale^  anni  1523  '28,  fol.  90,  consiglio  9  gen- 
naio 1525. 


LA   PLEBE    VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA    DEI   POTERI,    ECC.        289 

<iella  seduta  27  giugno  1526  leggiamo:  «  In  quo    quidem    Consilio 

«  sic  utsupra  congregato  auditis  requisitionibus   et   suplicationibus 

u  prefatorum  octo  ellectorum  per  plebem  in  prox.o  precedenti  con- 

u  silio  simul  et  requisitis  per  d.  Simonem  de  Collis  nomine  nobi- 

«  lium  et  plebeiorum  utsupra 

«  p.^i  d.  consiliarii  ordinaverunt  p.o  prò  satisfactione   requisitionis 

«  predicte    quod    detrahantur    teste    in    extimo    et   reducantur   ad 

«  sol.  duos  et    denarios  sex  prò    qualibet  testa  videlicet  prò  one- 

«  ribus....  »  (i).    Senonchè  pare   fosse  ormai   tardi.    Il    30    giugno 

i  ribelli  assalirono  il  palazzo  comunale  e  scompigliarono  ogni  cosa. 

«  Quicunque  viderit  hunc  librum  »,  dice  Simone   del    Pozzo,  «  ita 

«  enormiter    sordidatum    sciat    fuisse    factum    ab   hominibus    terre 

«  Vigl."'    anno  1526  die    30  iunii  quando    terra   ipsa    ab    hispanis 

u  fuit  depopulata.   Et  hoc   fecerunt,  et   ita   multos   alios  libros   ac 

«  necessarias  scripturas  et  privillegia  diete  comunitatis  in  maximum 

il  eius  damnum    et  interesse    nonnulli    spiritu  diabolico  inducti   ut 

«  terra  ipsa    non  a  viris  probis,  sed    ab  ipsis   regeretur.  Et  paulo 

«  ante  ipsam  depopulationem  manu  armata  ausi  fuerunt  consilium 

«  in  publico  palacio    convocatum  agredi.  Qui  d.    consiliarii    coacti 

ti  fuerunt  per  tecta  eorum  salutem  perquirere   et  multi  in   domum 

«  meam  fugierunt.  Qua  propter  dictarum  scripturarum  dilaceratio- 

«  nem    nonnulli   passi    sunt    damna,  et  quamvis    multi  ipsorum  in 

«  annis  proximis    preteritis  mortui  sunt  et  miserabiliter    qui    liane 

«  dederunt  causam  p.^  Simon  CoUus  d.  Leonardi    qui  huius    sce- 

u  leris  auctor  et  dux  fuit  post  longam  peligrinationem  insanivit  in 

u  quandam  rabidam  insaniam    post  longa  impensam   ad   lucida  in- 

ii  tervala  inquisitus   de  quadam    falcitate  cuiusdem  testamenti,  diu, 

u  in  carceribus    Mediolani    detentus    miseratione    Franc.i   2.^    Sfor. 

u  Ducis  non  absolutus  sed  liberatus  fuit  et  post  Mediolani  suspectus 

«  morbi  contagiosii  miserabiliter  mortuus  est  et  ut   canis   sepultus 

«  est.  Quidam  de  carbonibus  farini  mortuo  brachio  in  corpore  diu 

«  et  in  suma  miseria  egrotavit  et  mortuus  est.  Jo.  Matheus  de  gra- 

«  valona  alioli,  hic  omnibus  peior  imo  peximus,  incidit  in  quadam 

«  infirmitate  habens  fistullam  in  podice  qua  per  annos   et   menses 

«  detentus    et  ex  elimosinis    nutritus  post    confesionem    multorum 

^i  flagitiorum    miserabiliter  obiit,  de  quo  interitu    in  publicis  libris 

(1)  C.  C.  G.,  i52  3-'28,  fol.  109.  In  seguito  i  fogli  sono  lacerati. 
Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  Vili.  19 


290  FELICE    FOSSATI 

u  per  me  facta  est  mentio  de  die  et  bora  et  credo  fuisse  1545 
u  sive  1546.  Et  sic  de  aliis  dominis  infeliciter  fuit  eorum  finis  »  (i). 
La  violenza  non  recò,  che  si  sappia,  buoni  frutti  :  avrà  servito 
a  qualcosa  di  più  o  di  meglio  cbe  a  dar  uno  sfogo  alle  brame  dei 
turbolenti?  Forse  ad  accrescere  i  disagi  del  comune,  i  quali  negli 
anni  disgraziati  che  precorsero  il  1530  dovettero  opprimere  di  ben 
gravi  ed  ansiose  cure  gli  amministratori.  Finalmente  giunse  il  '30^ 
il  congresso  di  Bologna,  il  ritorno  di  Francesco  II  sul  trono  di 
Milano,  e,  per  conseguenza,  del   comune   nostro   sotto   l'amata  fa- 

(i)  C.  C.  (j.,  i523-'28,  fol.  168.  Tale  il  fatto  e  le  sue  cause  giusta  i  documenti 
citati.  Non  voglionsi  però  tralasciare  due  osservazioni.  Anzitutto,  fra  il  primo  ordine 
del  consiglio  e  la  ribellione  sembra  un  po'  lungo  l' intervallo  ;  ma  qualche  spie- 
gazione vien  pur  facile  alla  mente  d'ognuno,  e  poi  la  testimonianza  del  Pozzo  è 
precisa  ed  esplicita,  e  il  Pozzo  doveva  ben  sapere  come  andarono  le  cose.  È  vero 
che  non  sempre  la  memoria  lo  serve  con  tutta  fedeltà  ;  ma,  trattandosi  di  un 
fatto  così  memorabile  nella  storia  vigevanese,  mal  ci  persuadiamo  eh'  egli  sia 
caduto  in  errore.  S'ha  da  rilevare  in  secondo  luogo  che  il  Biffignandi,  Me- 
morie storiche  della  città  e  contado  di  Vif^evano,  Vigevano,  1870,  p.  258  sgg.,. 
conforme  alla  Cronaca  del  Nubilonio  dà  con  la  massima  sicurezza  una  causa  di- 
versa. Ma  egli  va  contro  e  al  Pozzo  e  a  quello  almeno  che  ci  resta  del  con- 
siglio 27  giugno,  anteriore  di  soli  tre  giorni  alla  ribellione. 

Il  bilancio  di  Vigevano  in  quel  tempo  si  ricava  dai  conti  de'  tesorieri.  Nel 
1525  il  tesoriere  Gian  Giacomo  de'  Cotti  Ambrosi  ha  da  versar  al  comune  per 
una  «  tallea  ad  computum  11.  triginta  duarum  imper.  prò  qualibet  libra  ex. mi 
«(  quod  ext.n™  est  11.  quatuorcentum  sexaginta  octo,  sol.  decem,  ter.  duo  cum  di- 
«  midio  ex  mi  ad  computum  sol.  quatuor  prò  qualibet  testa  »,  L.  14992,  s.  6,  d.  8  ; 
«  prò  aditione  11.  io  prò  qualibet  lib.  »,  L.  4685,  s,  2,  d.  i  ;  «  prò  testis  ad- 
«  ditis  de  aqno  1525,  que  sunt  280  »,  a  s.  4  ciascuna,  pari  a  L.  56  d'estimo, 
L.  2552.  E  il  riassunto  del  bilancio  dà  L.  36760,  s.  6  d'entrata,  L.  37405  s.  7 
di  spesa.  Nel  1526  il  Pozzo  deve  dare  per  una  tassa  di  L.  32  imperiali  ogni 
lira  d'estimo,  che  è  di  L.  474,  s.  7,  terz.  4  1/2»  ^  computando  soldi  4  per  testa, 
L.  15178,  s.  16;  poi,  per  una  sopratassa  di  L.  io,  L.  4743,  s.  13,  d.  9,  e  per 
altre  327  teste  aggiuntesi,  cioè  per  L.  55,  s.  8  d'estimo,  L.  2746,  s.  16:  totale 
L.  22670^  s.  5,  d.  9.  (Veramente  la  somma  ci  par  inferiore  d'una  lira  a  questa 
cifra).  Il  riassunto  ci  dà:  entrata,  L.  34206,  d.  6;  spesa,  L.  26142,  s.  14,  d.  5. 

Non  molti  anni  prima  era  assai  meno  forte  la  tassa  e  maggiore  l'estimo. 
Per  es.,  stando  nel  sec.  XVI,  il  tesoriere  del  15 16,  Marchino  de' Bellazzi,  per 
una  tassa  di  L.  14  la  lira  d'estimo,  essendo  questo  di  L.  577,  s.  7,  terz.  4,  e 
per  40  teste  aggiuntesi,  pari  a  L.  5,  s.  8  d'estimo,  cioè  in  somma  per  L.  582, 
s.  7,  t.  4  d'estimo,  deve  sborsare  L.  8153,  s.  2,  d.  8.  Il  riassunto  del  bilancio 
segna  L.  18692,  s.  11,  d.  7  d'entrata,  e  L.  19122,  s.  1$,  d.  i  di  spesa  (Conti 
tesorieri,  anni  1$  16-^26.  Abbiamo  riferito  le  cifre  segnate  nei  registri  :  avvertiama 
però  che  i  conti  non  sempre  ci  paiono  esattissimi). 


LA    PLEBE   VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA    DEI   POTERI,   ECC.         29I 

miglia  sforzesca.  Chi  legga  i  resoconti  delle  sedute  consigliari  e 
le  note,  sparse  qua  e  là,  dal  segretario  del  Pozzo,  non  può  come 
non  sentire  il  profondo  respiro  dei  Vigevanesi  quando  si  seppero 
restituiti  ai  loro  antichi  signori:  con  Francesco  II  essi  dovettero 
sperare  di  poter  almeno  godere  un  po'  di  pace,  un  po'  di  tregua 
dalle  continue  vessazioni,  di  potersi  ristorare  alquanto.  Ma  non  si 
può  certo  dire  che  tali  speranze,  o  più  veramente  tali  bisogni,  ve- 
nissero soddisfatti.  Benefizi  Vigevano  ne  ebbe  senza  dubbio  da 
Francesco  Sforza,  primo  fra  tutti  l'erezione  in  città,  ma,  economi- 
camente, gli  anni  dal  '30  al  '35  son  di  dolorosa  decadenza.  E  in 
essi  un'altra  volta  insorge  la  plebe  protestando  contro  una  tassa 
straordinaria  che  il  consiglio  ritenne  di  dover  imporre  per  libe- 
rarsi una  buona  volta  dai  creditori  onde  si  sentiva  stretto  minac- 
ciosamente da  più  parti.  «  Item  »,  ha  il  resoconto  della  seduta  17 
agosto  1532,  «  p.ti  domini  [i  consiglieri]  ad  obviandum  et  tolendum 
«  querimonias  que  in  dies  fiunt  propter  debita  in  praeteritum  con- 
«  tracta  (i)  et  ad  cavendum  ut  dieta  debita  semel  afiferantur  decre- 
«  verunt  et  ordinaverunt  facere  unam  equalantiam  omnium  debito- 
«  rum  et  honorum  tam  imobilium  quam  mobilium  hominum  diete 
«  civitatis  »>,  ed  elessero  per  tal  lavoro  una  commissione  composta 
da  Vincenzo  de'  Bastici  Borioli,  Giov.  Andrea  de'  Cocchi,  Giacomo 
de'  Cotti  Morandi,  Bernardino  de'  Gusberti,  Giov.  Maria  del  Pozzo, 
Cristoforo  de'  Rodolfi,  Jeronimo  da  Parona,  Vincenzo  de'  Bossi,  dan- 
dole due  mesi  di  tempo  (2).  Alla  medesima  poi,  il  29  ottobre  1532, 
non  avendo  essa  ancora  potuto  adempiere  l'ufficio,  per  le  «  multe 
u  differentie  »  sorte,  rinnovarono  intera  l'autorità  (3)  ;  non  solo,  ma 
il  i.o  gennaio  1533  diedero  facoltà  ai  XII  di  provvisione  di  stabi- 
lire il  salario  «  ac  etiam  tolendi  unum  vel  duos  et  alium  vel  alios 
«  submitere  »  (4).  Senonchè  appena  poterono  farsi  un'idea  di  quale 

(i)  Cfr.  C.  C.  G.,  1532  '55,  fol.  ultimo,  nota  di  Simone  del  Pozzo:  «  Die 
a  ii  Aprilis  [1552]....  ignorans  et  ingratus  populus,  cui  vix  faraes  vertebat  terga, 
«  calcitrare,  more  aselli,  cepit,  et  libellum  Principi  obtulit  contra  viros  consulares, 
«  et  qui  rem  p.  administraverunt  petens  calcuUum  rerum  administrandarum  ab 
«  anno  1524  citra,  que  causa  a  p.to  principi  comissa  fuit  Mag.cis  Mag."s  intratarum 
«  status  Mediolani  esse  cognoscenda....  Causa  ipsa  postmodum  fuit  dellegata  Mag.co 
«  D.  Juliano  Plato  civi  mediol.  una  cum  Mag.  domino  Jacobo  passaroto  hon.  op- 
«  testati  civitatis  predicte  ».  Ve  n'è  qualche  cenno  anche  nel   corso  del  volume. 

(2)  Ibid..  fol.  58. 
.      (3)  Ibid.,  fol.  74.    • 

(4)  Ibid.,  fol.  83. 


292  FELICE   FOSSATI 

intollerabile  tassa  sarebbesi  dovuto  gravare  i  cittadini  per  pagare 
tutti  i  debiti,  sommanti  a  più  di  180  o  190  mila  lire  imperiali,  il 
12  gennaio  1533,  accettando  la  proposta  dei  consoli,  stabilirono 
di  alienare  per  incanto  tutti  i  beni  possibili  del  comune  col  diritto 
che  i  medesimi  si  potessero  «  redimi  totiens  et  quotiens  placuerit 
«  p.t^  Comunitati  eodemmet  precio  quo  fuerint  vendita  et  alienata  », 
e  di  provvedere,  per  la  somma  che  ancor  sarebbe  rimasta  da  pa- 
gare, con  l'equalanzia,  «  reservatis  pecuniis  Mag.'^^'"-  de  lumelinis 
u  et  d.  Geometi  brasilie  Gallie  narbonensis  et  aliorum  paucorum 
«  virorum  que  in  equalantia  poni  non  possunt,  saltem  comode, 
«  quia  ipsorum  est  quod  volunt  principale  et  non  reditus  ncque 
il  proventus  »  :  per  studiare  e  trattare  gli  affari  nominarono  un'al- 
tra commissione  composta  di  Jeronimo  da  Parona,  Alessandro 
de'  Rodolfi,  Giovanni  Maria  del  Pozzo,  Francesco  del  Pozzo,  Fran- 
cesco de' Natali,  Zanino  de' Bossi  (i);  poi,  il  28  dello  stesso  mese, 
deliberarono  che  si  procedesse  all'incanto  dei  beni,  «  iuxta  formam 
«  iam  inceptam  »  (2).  La  cosa  procedeva  con  insolita  alacrità.  11 
3  febbraio  il  console  Jeronimo  da  Parona  avvertiva  il  consiglio  che 
la  commissione  aveva  già  messo  «  plura  »  al  pubblico  incanto,  e 
che  restavano  ancora  i  forni,  per  i  quali  era  nata  in  essa  «  aliqua 
«  difficultas  »  che  noi  riferiamo  in  nota  con  le  stesse  parole  del 
resoconto,  sembrandoci  non  priva  d'una  certa  curiosità  (3);  e  come 

(ij  a  C.  G.,  i532-'35,  fol.  84. 

(2)  Ibid.,  fol.  85. 

(3)  Ibid.,  fol.  89  :  «... .  plura  dederunt  ad  publicum  incantum  sed  restat  modo 
■ce  incantandi  furnos  et  Inter  ipsos  electos  erta  est  aliqua  difficultas  de  dictis  furnis 
«  et  precipue  circha  novos  ritus  imponendos  prò  dicto  pane  quoquendo  et  ut  maioris 
«  predi  extimarentur,  ac  etiam  postquam  oppidum  Vigl.ni  erectum  est  in  titulum 
»  civitatis  ita  aufferantur  oppidaniorum  mores  et  in  civilium  inducantur  maxime 
»  in  non  mittendo  ampli  us  mulieres  ad  dictos  furnos  quod  indecens  est  et  propter 
»  pericula  et  scandella  evitanda.  Ideo  quid  agendum  sit  ordinari  petunt  aliter  etc. 

«  Unde  p.ti  domini  premissis  intellectis,  et  dilligenter  discnssis  per  varios 
«  tramites,  in  hanc  conclusionem  devenere  ordinando  prout  infra,  videlicet  quod 
«  dicti  fumi  incantentur  in  eo  numero,  quo  nunc  sunt,  cum  pacto  et  capitulo 
«  quod  amplius  mulieres  [non]  vadant  ad  furnos  propter  muliebrem  honestatem 
»  conservandam,  sed  panis  fieri  debeat  domi  cum  pena  sol.  viginti  imper.  prò 
<(  qualibet  persona  buie  ordini  contrafacienti  p.to  comuni  aplicanda  prò  dimidia 
«  et  altera  dimidia  accusatori.  Et  simili  modo  sol.  XX. ti  fornario  aufferendi  et 
«  aplicandi  utsupra,  dando  fornariis  prò  eorum  salario  et  mercede  prò  qualibet  cocta 
«  panis  stariorum  sex  ponendo  ipsi  fornarii  omnia  ligna  opportuna  et  necessaria 
«  ad  coquendum  sol.  sex  imper.  et  sic  ad  ratam  sol.  i  prò  quolibet  st.°  ». 


LA    PLEBE   VIGEVANESE   ALLA    CONQUISTA    DEI   POTERI,    ECC.         293 

poi,  scorso  il  tempo  assegnato,  la  commissione  per  l'equalanzia 
non  aveva  ancor  finito  i  lavori,  se  ne  eleggeva  un'altra  composta 
di  Giov.  Andrea  de'  Cocchi,  Giov.  Maria  del  Pozzo,  Cristoforo 
de'  Rodolfi,  Vincenzo  de'  Bossi,  Guglielmo  de'  Previde,  Alessandro 
de'  Rodolfi,  Luigi  Bellazzi,  Giov.  Giacomo  de'  Morselli  Carlevari, 
col  salario  di  due  scudi  del  sole  ciascuno,  «  opere  perfecto  »,  se 
tutto  si  fosse  terminato  entro  il  15  giugno  {e).  Infatti  nell'adunanza 
8  giugno  1533,  si  leggono  al  consiglio  i  capitoli  stesi  dalla  com- 
missione nominata  «  ad  faciendum  equalantiam  omnium  debitorum  tt 
del  comune.  Senonchè  l'atto,  non  ispiegando  bene  la  cosa,  suscita 
qualche  dubbio.  Intanto  dice  che  quei  capitoli  furono  stesi  dagli 
otto  nominati  il  17  agosto  1532,  e  poi  continua  ricordando  l'ordine 
de'  consiglieri  che  gli  «  octo  iam  electi  »  facessero  l'equalanzia 
u  de  omne  id  et  totum  quod  habere  debent  homines  diete  Civitatis 
«  tantum  et  non  de  creditis  forensium  »  e  la  subastassero.  E  questa 
la  prima  o  la  seconda  commissione?  E  in  altra  incertezza  lascia 
ancora.  Ritornando  sulla  già  accennata  deliberazione,  «  conside- 
u  rantes  modo  p.^»  domini  consiliarii  quod  aequum  quoque  est  quod 
u  forenses  satisfient  prò  eorum  creditis  a  quibus  in  dies  iminent 
M  pericula  expensarum  et  civium  vexationes,  ordinaverunt  quod  no- 
«  viter  imponatur  et  incantetur  talea  sive  equalantia  prò  sanandis 
u  debitis  antedictis  forensium  et  precipue  Mag.^or.  de  Lumelinis 
«  D.  Geometi  mercatoris  Gallie  Narbonensis  D.  Brasilie  et  illorum 
«  de  losiis  prò  ea  summa  que  dominis  octo  electis  videbitur  opor- 
u  tunum  et  necessarium...  dispensando  dictam  equalantiam  sive 
«  satisfationem  dictorum  forensium  creditorum  in  quatuor  vel  in 
«  quinque  annis  et  prout  eis  magis  oportunum  videbitur  »  (2).  Si 
tratta,  come  parrebbe,  veramente  di  una  nuova  equalanzia,  separata 
dalla  prima? 

Il  guaio  è  che  tale  rimedio  non  dovette  riuscir  molto  gradito 
alla  plebe,  del  cui  malcontento,  fosse  davvero  grande  e  minaccioso, 
o  tale  apparisse  agli  amministratori  della  città  un  po'  anche  per 
il  ricordo,  un  tantin  pauroso,  di  violenze  non  remote,  l'eco  giunse 
fin  nel  consiglio  e  non  vanamente.  Cominciando  la  seduta  del  28 
giugno,  i  consoli  avvertono  i  consiglieri  che  li  hanno  radunati  per- 
chè «  propter  tal eam  sive  equalantiam  positam  nonnulla  sunt  mur- 

(i)  C  C.  G.,  15  32-' 3 5  fol.  102,  cons.  27  aprile  '33. 
(2)  Ibid.,  fol.  114. 


294  FELICE  FOSSATI 

u  mura  seditiones  et  conventicullae  in  populo  civitatis  predicte  di- 
«  centes  mala  et  precipitosa  verba  centra  dominos  de  Consilio  ob 
«  quam  causam  p.^^s  dominus  Gubernator  eligere  fecit  tres  prò 
«  qùalibet  parochia  diete  Civitatis  qui  electi  adesse  habeant  in 
a  dicto  Consilio  ad  intelligendum  audiendum  et  inspiciendum  libros 
u  dicti  comunis  ex  quibus  dignoscitur  quomodo  et  qualiter  debita 
«  sunt  contracta  et  ob  quam  causam  divenitur  ad  imponendum  dic- 
«  tam  taleam.   Et  p.»  prò 

«  Perochia  SM  Ambrosii  electi  sunt  infrascripti  videlicet: 

«  Franc.s  de  Collis  abel  dictus  batalionus 

«  D.  Jo.  Aug.us  de  Collis  Lucii 

«  D.  Morandus  de  Collis  marchini  . 

«  Perochia  SJ'  Dionisii  : 

u  Bernardinus  de  robecho  cagnini 
«  Tomasinus  de  policastro  suchoni 
«  Stephanus  de  gravarona 

«  Perochia  SM  Christ.^^  : 

u  Frane. s  de  Collis  pincolli 

«  Jacobinus  de  cocchis  lombardi  (i). 

«  Et  ibidem  presentibus  suprascriptis  omnibus  expressa  et  dieta 
u  sunt  bine  inde  multa  ac  dixerunt  causas  necessarias  cur  et  quare 
«  deventum  sit  ad  dictam  taleam  et  equalantiam  fiendam  de  om- 
«  nibus  debitis  preteritis  et  ad  illam  summam  ad  quam  deventum 
u  sit  de  presenti  ad  exigendum. 

«  Quare  p.^'  domini  consiliarii  ac  utsupra  prò  populo  electi  con- 
«  firmaveriint  unanimiter  ad  omnia  facta  per  p.^os  dominos  consi- 
«  liarios  et  statuerunt  esse  procedendum  ad  dictam  equalantiam 
«  tanquam  utilem  et  necessariam  saluti  diete  civitatis  una  cum 
«  extimo  domorum.  Hoc  tamen  quodamodo  in  antea  in  extimo  non 
«  poneatur  nec  censeatur  esse  extimus  domorum  iuxta  formam 
«  novorum  statutorum. 

«  Dederunt  quoque  p,^i  domini  consiliarii  dominis  octo  electi 
«  ad  dictam  equalantiam  perficiendam  authoritatem  ostendendi  et 
«  demonstrandi  omnia  debita  et  eredita  dicti  comunis  novem  homi- 
«  nibus  eligendis  per  homines  trium  perochiarum  ut  contentari 
«  possit  de  omnibus  bine  retro  actis  per  agentes  dicti  comunis  »  (2). 

(i)  Il  terzo  nome  manca. 

(2)  C.  C.  G.,  i5  32-'35,  fol    119,  cons.  28  giugno  '33. 


LA    PLEBE    VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA    DEI    POTERI,   ECC.         295 

Neppur  codesto  bastò  alla  plebe  o  a'  suoi  capi,  i  quali  volevano 
vedere  ben  addentro  alle  segrete  cose,  e  infatti  il  7  luglio  1533 
Giuliano  degli  Ardizzi  «  et  nonnulli  alii  de  populo  »  (i)  si  presen- 

(i)  Nel  voi.  Tribunale  XII  provvisione,  anni  i532--'33,  fol.  48,  cons.  7  lu- 
glio '33,  son  registrati  anche  i  nomi  degli  altri,  Francesco  de'  Colli  PrincoUi  e 
Tommasino  de'  Policastro,  e  si  dice  che  si  presentaron  ff  nomine  et  vice  populi  ». 

Non  si  pretenderanno  certo  notìzie,  o  poche  o  molte,  su  quanti  nel  presente 
lavoro  vengono  nominati  :  né  son  personaggi  storici  di  tanta  importanza  che  me- 
ritino qui  ricerche  lunghe  e  faticose,  né  sarebbe  forse  possibile  raccoglier  altro, 
eccetto  alcuni  particolari  della  lor  vita  amministrativa.  E  nemmeno  alla  com- 
piuta intelligenza  delle  lotte  comunali  qui  esposte  ci  sembrerebbe  necessaria  la 
illustrazione  de'  pensieri,  dei  sentimenti,  della  vita  delle  singole  persone,  quando 
appaiono  nell'ambito  del  loro  partito,  in  grosso  già  noto;  interessante  e  osiamo 
dire  proprio  necessario  crederemmo  invece  la  perfetta,  intima  conoscenza  almeno 
dei  due  principali  capi  della  plebe,  Camillo  de'  Colli  e  Giuliano  degli  Ardizzi, 
ognuno  intende  di  leggieri  perchè.  Ma  anche  di  loro  pur  troppo  non  siam  riu- 
sciti a  spigolare  che  insufficienti  notizie. 

La  famiglia  de'  Colli  era  fra  le  più  ragguardevoli  di  Vigevano  :  «  Optima 
«  stirps,  nostrae  quondam  ditissima  gentis,  Quorum  etiam  fuerat  nostrae  pars 
«  maxima  terrae  »,  cantava  Agostino  Della  Porta,  Initia  et  origines  nostri  po- 
puli Viglevanensis,  l'anno  1490  ;  «  lignaggio  dei  più  antichi,  nobili  e  ricchi,  e  di 
«  persone  e  di  facoltà  di  Vigevano  »,  scrisse  il  Sacchetti,  Vigevano  illustrato  ; 
Simone  del  Pozzo  la  ricordò  nell'elenco  delle  famiglie  che  avean  diritto  d'  en- 
trare in  consiglio,  distinguendola  ne'  rami  Marchini,  Ottini,  Marchetti,  Barbassi, 
Tambussi,  e  nell'altro  di  quelle  che  possedevano  cappelle  in  S.  Ambrogio  (Estimo, 
ms.,  fol.  565  ;  C.  C.  G.,  1528-31,  fol.  124:  «  prima  enim  omnium  usque  in  presenti 
«  fuit  parentella  de  Collis,  quamvis  nunc  multum  hominum  et  divitiis  defuerit  »). 

Il  nostro  Camillo  apparisce  membro  del  consiglio  generale  nel  1526  (C.  C.  G., 
i52  3-'^8);  é  nominato^in  una  nota  a  fianco  della  deliberazione  presa  dal  consi- 
sigho  il  12  gennaio  '33  di  vendere  i  beni  comunali,  per  ricordare  che  quella  de- 
liberazione fu  estratta  e  a  lui  data  (C.  C.  G.,  i528-'3i,  fol.  84);  si  trova  rieletto 
consigliere  il  28  dicembre  '54  e  scelto  a  sindaco  il  3  gennaio  '35  con  Giacomo 
de' Madi,  e  a  revisore  il  i.''  aprile  '35  (C.  C.  G.,  i532-'35);  é  designato,  in- 
sieme con  l'Ardizzi,.  quale  tesoriere  dell' equalanzia,  nel  cons.  15  gennaio  '36 
(C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  20);  é  citato  nell'adunanza  21  agosto '36  dei  XII  di 
provvisione,  allorché  questi  deliberano  di  mandar  alcuni  rappresentanti  a  Milano 
per  il  23,  essendoci  la  seconda  udienza  nel  senato,  circa  il  traffico,  «  ad  causam 
c(  d.  Camili  de  Collis  et  JuHani  Ardicii  »  {Trih.  XII  provv.,  i536-'37,  fol.  87). 
Nello  stesso  mese  d'agosto  il  consiglio  generale  prese  contro  di  lui  una  grave 
risoluzione.  L'anno  1554  Giuliano  degli  Ardizzi  aveva  assunto  l'appalto  dell'equa- 
lanzia  e  presentato  fideiussore  il  Colli  ;  vna  come  poi  non  sborsò  tutta  intera  la 
somma  dovuta,  il  consiglio  deliberò  (25  agosto  '36)  di  vendere  tanti  beni  del 
Colli  per  L.  600  imperiali.  A  un  certo  momento  il  Nostro  sembrò  pentirsi  della 
vita  d'agitatore  continuata  anche  dopo  la  vittoria  del  1536,  e  fece  ammenda  nel 


296  FELICE  FOSSATI 

tarono  nel  consiglio  dei  XII  di  provvisione  e  «  petierunt  in  dieta 
w  cons.o  nomine  dicti  Populi  sibi  dare  inventaria  et  catastra  extimi 
u  illorum  quorum  ipsi  die  hodie  dabunt  in  scriptis  quia  prò  illa 
«  suma  extimi  intendunt  persolvere  omnia  onera  eis  contingentia, 
«  sine  aliquo  salario  thex.r'J  fiendi  per  dictum  comune.  Quibus  re- 
«  sponsum  fuit  ista  esse  magni  ponderis  et  per  consilium  generale 
«  esse  terminanda  ».  Così  il  console  Alessandro  de'  Rodolfi  Rose 
narrò  il  giorno  appresso  ai  membri  del  consiglio  generale,  doman- 

consiglio  generale,  davanti  al  pretore  Alessandro  de'  Birago,  ai  due  consoli  Gio- 
vanni Maria  de'  Gravalona  e  Bernardino  de'  Gusberti  e  a  trenta  consiglieri  : 
«  Item  quia  nihii  magis  convenit  homini  quam  parcere  docente  Christo  Deo  no- 
ce stro  dum  in  ara  crucis  a  Judeis  torqueretur  prò  eis  ad  Deum  patrem  preces 
«  effudit  et  eos  quod  per  ignorantiam  faceret  excusare  voluit.  Decet  etlam  unum- 
v<  quemque  virum  probum  fratris  sui  in  afflictione  constituti  misereri. 

«  Quapropter  p.ti  domini  cons/i)  tanquara  veri  patres  remisserunt  et  remit- 
«  tunt  quantum  ad  eos  pertinet  domino  Camilo  Collo  omnem  et  quamcunque 
«  iniuriam  per  eum  factam  in  obviando  ordinibus  et  provisionibus  dicti  consilii 
«  ipso  promitente  et  fideiubente  de  recte  et  honeste  vivendo  ut  eius  nntecessores 
«  fecerunt,  et  quod  prius  petierit  veniam  dicto  generali  Consilio  in  generali  congre- 
«  gatione  prout  disponitur  ex  lectura  litterarum  cesarearum  quod  ita  facere  tenetur. 

«  Qui  dictus  d.  Camilus  Collus  venit  in  dicto  generali  Consilio  et  omnibus 
«  audientibus  veniam  commissorum  suorum  petiit  sibi  indulger!. 

c(  Quibus  sic  utsupra  factis  p  ti  domini  utsupra  remisserunt  et  remittunt  etc.  » 
(C.  C.  G.,  i556-'37,  fol.  187,  cons.  23  aprile  '37). 

Ma  Simone  del  Pozzo,  ricopiando  nel  volume  TitoH  e  Memorie  la  sentenza 
16  dicembre  '36  d'Egidio  Bosso,  premise  questa  nota:  a  Infrascripta  est  quedam 
c<  sententia  M.ci  D.  Egidii  Bossi  Ju.  Doc.  Cesarli  Senatoris  et  Dellegati  in  causa 
«  plebeorum  contra  comunitatem  agentium  qui  multum  agitarunt  ipsam  civitatem 
«  cum  multa  et  gravi  impensa  et  qui  dellegatus  alias  duas  sententias,  preter 
((  hanc,  protulit,  que  cum  pervenerint  ad  manus  meas  in  hoc  volumine  ascribam 
c(  ad  perpetuam  memoriam  rerum,  que  tunc  contigerunt  ab  instabili  plebe  que 
«  ab  anno  1522  citra  multociens  querellas  diversi  dellegati  ad  sedandum  eorum 
<■(  querella  venere  semper  eorum  conditiones  deteriorando,  fautores  eorum  fuere 
c(  varii;  diutius  tamen  nemo  perseveravit  quam  Camilus  Collus  ceteri  vero  ab 
a  anno  1552  retro  perierunt  variis  egritudinibus  prout  in  variis  locis  librorum 
«  publicorum  anotavi  sub  diversis  temporibus  et  cum  admiratione  prò  eorum 
«  morte  et  prout  videri  potest  in  dictis  publicis  voluminibus  Camilus  vero  Collo 
c(  etiam  vivit  non  desistens  ab  eius  inceptis  et  hoc  est  anno  1552  die  27  iunii  a 
(TU.  e  Mem.^  15 10-1558,  ms.,  fol.  28). 

La  famiglia  di  Giuliano,  se  non  è  il  ramo  Pozzo  Ardizzi,  che  mai  egli  è 
così  chiamato,  non  entra  negli  elenchi  di  Simone  ;  invece  nel  Porta  leggesi  : 
c<  Ardiciique  superba  domus,  cui  desuper  uni  Exhibitum  est,  inter  nostrorum 
«  nomina  patrum,  Stulta  pati,  sapiensque  mori,  et  male  vivere  semper,  Praeque 


LA    PLEBE    VIGEVANESE    ALLA    CONQUISTA   DEI    POTERI,    ECC.        297 

dando  che  cosa  intendevano  di  fare.  Quelli  «  intellectis  et  diu  per- 
«  pensìs  »  le  notizie,  fecero  chiamare  i  rappresentanti  del  popola 
«  in  pub.'^a  audientia  et  ipsos  auscultari  decreverunt  ».  Si  presen- 
tarono Giuliano  degli  Ardizzi,  Francesco  de'  Colli  Princolli,  Marco 
de'  Previde  Landolfi,  Bernardino  degli  Araldi  Maroncini,  Bernar- 
dino de'  Robecchi  Cagni,  Tommasino  da  Policastro,  Gian  Giacoma 
de'  Montani  Manzini,  i  quali  lessero  senz'  altro  una  petizione  che 
crediamo  opportuno  di  riferire  per  intero.  «  Mag.^i  Domini  Regentes 

a  aliis  efferre  suos  »,  e  nel  Sacchetti  ;  a  casato  nobile,  et  antico  in  Vigevano  ». 
Giuliano,  dal  cons.  6  dicembre  '28,  appare  eletto  notaio  (C.  C.  G.,  i528-'3i,  fol.  2) 
e  poi  sospeso  «  ab  officio  tabellionatus  »  in  quello  2  gennaio  '34.  Esattore  per 
conto  della  plebe  nel  1533,  il  17  luglio  fu  chiamato  dai  XII  di  provvisione,  in- 
sieme coi  colleghi  Francesco  de'  Natali,  Tommasino  de'  PoHcastro,  Francesco  de* 
Colli  Princolli  e  Giov.  Giacomo  de'  Montani,  perchè  tutti  quanti  avevano  di- 
chiarato ai  consoli  che  non  darebbero  denari  se  prima  non  ricevevano  i  loro 
estimi,  e  che  «  totiens  quotiens  veniret  aliqua  expensa  prò  eorum  portione  non 
((  intendunt  in  aliquo  convenire  ».  Al  consiglio,  ì  XII  ordinarono  «  quod  diete 
«  pecunie  iam  exacte  recipiantur  per  dominos  consules  et  quod  hii  qui  solverunt 
ce  dictas  pecunias  cautellentur  et  liberentur  ab  omni  expensa  que  contingere  posset 
«  prò  illa  summa  qua  soluta  sit  et  item  oidinaverunt  quod  dentur  diete  pecunie 
(c  brevi  manu  d.  Hieron.°  de  Parona  qui  eas  portet  MeJiolanum  et  eas  dare 
«  creditoribus  p.te  comunitatis  magis  urgentibus  et  evitetur  expensa. 

«  Qui  domini  exactores  dixerunt  exigisse  et  penes  se  esse  11.  525  imp.  quas 
'<  dare  offerunt,  protestantes  in  futurum  se  non  daturos  amplius  aliquas  pecunias 
(c  nisi  eis  detur  eorum  catastra  »  {Trib.  XII  provv.,  i532-'33,  fol.  153).  Il  2  gen- 
naio '34  vien  eletto  sindaco  e,  il  28  dicembre,  consigliere  (C.  C.  G.,  iS32-'35). 
Il  3  gennaio  '35  il  consiglio  generale  con  32  voti  contro  15  rifiuta  i  fideiussori 
che  egli  presentò  come  incantatore  «  rugie  adaquariiie  »,  ma  ordina  poi  che  i 
XII  accettino  gli  altri  a  dandos  »  da  lui  stesso  (C.  C.  G.,  i532-'35,  fol.  236). 
Nel  1536  egli  è  nominato  anche  nell'atto  consigliare  18  febbraio  dei  XII,  dove 
si  registra  che  Giuliano  de'  Mascaroni,  inviato  a  Milano  a  ad  obviandum  peti- 
«  tionibus  factis  per  dominum  JuHanum  de  Ardiciis  in  causa  equalantie  »,  è 
tornato  con  lettere  del  senato  «  quibus  disponitur  p.ta  comunitas  posse  uti  de 
a  iuribus  suis  et  ipsum  thex.m  teneri  ad  solutionem  omnium  restantium  » 
(Trib.  XII  prov.,  i536-'37,  fol.  26).  Finalmente  nel  resoconto  21  maggio  '37  leg- 
gesi  :  «  Item  p.ti  domini  d.  ordinant  quod  rugia  comunis  Vigl.nJ  que  multum 
ce  necessaria  est  ipsi  civitati  ne  vadat  in  sinistrum  propter  incantatorem'non  cu- 
ce rantem  utilitatem  diete  rugie  prius  facta  declatione  a  M.co  D.  pretore  contra 
«  ipsum  incantatorem  ipsa  rugia  reincantari  debere  et  dari  plus  offerenti  et  fa- 
ce denti  meliorem  conditionem  p.to  comuni  qua  declaratione  facta  ordinant  etiam 
ce  agendum  de  quanto  minori  dieta  rugia  fuerit  reineantata  contra  peiorem  incan- 
ce  tatorem  et  fideiussores  diete  rugie  ad  hoc  ne  res  ipsa  exeat  in  sinistrum  et  sic 

ce  Ordinant  modo  p.ti  domini  ut  in  futurum  res  ista  transeat  in  exemplum 


298  FELICE   FOSSATI 

«  prò  comunitate  Vigl."»  semper  hon.  He  astreto  la  povera  uni- 
u  versila  d'epsa  città  de  vigl.o  haver  recorsso  da  le  v.  s.  per  la  op- 
u  portuna  provisione  non  sia  gravata  ultra  il  debito  de  justicia  de 
u  li  gravamini  occurreno,  et  sono  occorsi  per  li  tempi  passati  alla 
u  satisfatione  de  li  quali,  volendoli  poner  fine  cum  il  debito  et  dir- 
ii  recto  modo  sia  possibile  et  expediente  se  fa  la  peticione  molto 
«  iuridica  secundo  el  merito  di  ragione. 

«  In  p.a  c.a  la  equalantia  se  contenta  epsa  università  habia 
*i  fine  et  pagarlla  in  tanti  de  li  beni  de  la  comunità  sopra  lextimo 
«  vegio,  ateso  he  carigho  sopra  epso  ex."^^  fato  intendendose  se 
«  gli  intervena  al  pagamento  depsa  equalantia  li  ficti,  e  trafigo 
«  comò  he  cosa  insta  ateso  etiam  la  ordinatione  facta  per  le  v.  s. 

«  et  ne  ita  faciliter  audeat  quis  accipere  incantus  p.ti  comunis  quodamodo  in 
«  antea  Julianus  ardicius  qui  dictum  incantum  diete  rugie  acceperat  de  cetero  non 
«  valeat  nec  possit  aliquem  incantum  in  dicto  comuni  accipere  et  si  acceperit 
«  vel  abocaverit  ipsa  abocatio  et  avantagia  sint  ipso  jure  et  facto  nulla  et  nullum 
«  sortiantur  effectum  ».  Non  solo,  ma  questo  ancora  :  «  Ordinant  eiiam  p.tì  do- 
te' mini  cons.")  litteras  transcribere  R.mo  Cardinali  Caraciolo  Gubernatori  Status 
«  Mediolani  de  qualitate  persone  d.  Juliani  de  Ardiciis  qui  querit,  ut  ad  aures 
a  ipsorum  consiliar.  deventum  sit,  qualiter  querit  officium  sindici  phiscalis  diete 
xi  civitatis  quod  officium  in  dieta  civitate  poterit  esse  maxime  noxium  ut  minime 
«  dictum  officium  habeat  propter  eius  mala  vitam  »  (C  C.  G.,  i536-'37,  fol.  196  sg.). 
A  Milano  infatti,  nell'Arch.  di  Stato,  e'  è  la  seguente  lettera  : 

«  Reverendiss.o  et  Ill.mo  Mons.or  Sigor  Ohser.mo^ 

a  Havendo  la  comunità  nostra  de  Vigevano  habuto  notitia  qualmente  Ju- 
«  liano  ardicio,  de  questa  città,  ricerca  dalla  p.ta  R.ma  et  lU.^a  S.na  V.  de  ha- 
«  vere  lo  officio  del  Sindico  phiscale  de  questa  medema  città,  et  per  esser  dicto 
<(  Juliano  si  per  utile  et  honore  della  cesarea  camera,  quanto  per  benefìcio  d'essa 
«  città  non  comodo,  et  abile  ad  tale  officio  per  esser  persona  (abenche  ne  in- 
<i  chresca  dirlo)  de  mala  conditione  et  fama,  maxime  suspesa  et  privata  dell'  oficio 
«  del  tabelìonato,  sive  notariato,  per  soi  demeriti.  Per  tanto  a  ciò  quella  non  sa- 
«  pendo  la  conditione  sua  gliel  concedesse,  per  pub.ca  ordinatione  del  general 
«  Consilio  d'essa  città  è  stabilito  dovere  dar  adviso  de  ciò  a  quella  della  cui  exe- 
«  emione  in  parte  de  sua  vita,  cum  quello  melior  modo  è  stato  a  noi  possibile, 
<(  ad  ciò  in  errore  non  se  incurresse,  havemo  fato  scrivere  la  presente,  per  aviso 
«  alla  qualle  humilmente  se  ricomen.o 

«  Da  Vigevano  alli  XXI J  de  Magio  1557. 

«   De  V.  R.ma  et  Ill.ma  S.na 

«  Li  consuli  della  Città  de  Vigevano 

«  humilimi  servitori  ». 

{Se:(ione  Storica,   Vicende  di  Comuni ^  Vigevano). 


LA    PLEBE    VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA    DEI   POTERI,    ECC.        299 

li  le  quale  se  sono  contentati  che  epsi  fleti  et  traffici  habiano  a 
«  pagare  dieta  equalantia  la  qualle  se  exhibisse  intendendose  etiam 
u  che  dove  se  restasse  debitore  depsa  equalantia  di  volere  pagare 
«  ognuno,  quale  se  troverà  per  la  sua  ratta  portione  debitore  in 
«  tanti  di  li  sui  beni  et  liberarsse. 

«  Item  che  li  dirrecti  Domini  d'epsi  ficti,  ciohè  li  patroni  de  li 
«  ficti  habiano  far  restauro  per  tutto  el  tempo  nel  quale  sono 
«  vexuti  guerra  tempesta  pruina  et  inondatione  de  aqua  et  maxime 
«  per  li  doi  anni  1528  et  1529  secundo  la  dispositione  dil  statuto 
«  vegio  De  restauris  et  più  secundo  l'ordine  et  forma  dil  ducal 
«  decreto  per  li  dicti  dui  anni  formati  li  quali  se  exibisse. 

«  Item  non  se  intende  mediante  la  ragione  esser  astretta  al 
«  pagamento  de  li  homini  d'arme  stante  il  ducal  decreto  sopra  ciò 
u  formato  et  per  che  non  se  pagha  li  soldati  in  quello  tempo  pa- 
tì rimento  alozati  per  epsa  università  (i). 

«  Item  che  li  contracti  facti  de  vendite  e  ficti  et  d'ogni  altra 
*i  forma  illicita  et  gravat.»  alla  università  a  qualuncha  persona  di 
«  compensatione  de  soldati  siano  annullati  et  canzellati  atteso  è 
^<  cosa  iniqua  et  maxime  per  esser  in  simile  causa  contra  m.  Vinc." 
«  Boriolo  indicato  per  il  R."^»  Ducal  Senato  tal  compensatione,  et 
«  contracti  esser  nulli,  la  qual  cossa  è  satis  notoria. 

«  Item  che  quelli  ch'ano  per  tali  contracti  receputo  ficti  gli  re- 
tt  stituischano  al  beneficio  d'epsa  comunità  aciò  se  possa  reperare 
u  alli  urgenti  bizogni  d'epsa  comunità. 

«  Item  che  epsa  università  nominata  ne  li  presenti  quinterneti 
u  quali  se  exhibissino  non  intende  se  facia  thex T'o  salariato  per 
«  che  intende  pagare  el  debito  suo  senza  altra  spesa. 

ti  Item  che  gli  sia  dato  il  suo  ex.o  seperato  d'epsa  università 
«  se  conten  in  epsi  quinterneti  acciò  sapiano  quello  hano  da  pagare. 

«  Item  non  se  intende  se  facia  talia  de  qualuncha  sorte  se 
«  non  le  talee  debite,  ciohè  per  li  carighi  occurrerano  de  anno  in 
«  anno  da  la  publicatione  de  li  statuti  novi  in  qua  et  cusi  succes- 
«  sive  per  lo  avenire,  se  faciano  sopra  l'extimo  novo,  et  cusi  la 
«  presente  talea  et  che  tutto  el  debito  vegio  vada  in  equalantia 
«  comò  disopra. 

(i)  Una  nota  marginale  a  questo  punto  dice  :  «  Super  hoc  capitulum  de- 
<(  creverunt  persistere  in  conventione  facta  super  duas  partes  e  tribus  fore  sol- 
«  vendas  ad  evitandum  periculum  solvendi  totam  sumam  ». 


300  FELICE   FOSS\TI 

«  Et  cusi  si  spera  obtinere  da  la  v.  s.  alle  quale  si  rec."^  aliter 
u  protestantur  centra  p.^^""  Comunitatem  de  omnibus  danis  et  inte- 
«  resse  et  de  non  solvendo  aliquam  expensam  si  contingerit  venire 
«  si  et  quatenus  eis  non  dentur  dieta  extima  iuxta  quinternetos 
u  hic  exhibitos  ». 

Or  qua]  diritto  avevano  i  plebei  di  presentarsi  ne'  consigli  e 
imporre  così  chiaramente  e  risolutamente  i  propri  desideri?  E  come 
mai  i  nobili  reggitori  tolleravano  tanta  franchezza,  tanta  baldanza 
e  si  piegavano  ai  voleri  della  plebe,  essi  che  nel  non  lontano  1536 
respingeranno  una  sua  petizione  con  le  orgogliose  parole  «  quia 
«  non  decet  servos  legem  imponere  dominis  sed  ipsi  debent  pa- 
«  rere  suis  mandatis?  »  Eppure  il  resoconto  ne  accerta  che  i  con- 
siglieri ordinarono  «  quod  destingentur  debita  comunitatis  Vigl."» 
«  videlicet  ea  que  vadunt  super  extimum  vetus  de  presenti  impo- 
«  nantur  et  similiter  ea  que  poni  debent  super  novum  quoque  im- 
«  ponantur  videlicet  ad  computum  11.  duarum  impl.  prò  singulo- 
«  soldo  ex."iJ  »:  solo  Cristoforo  de' Rodolfi  e  Jeronimo  de' Previde 
Maffini  non  v'acconsentirono.  Vero  è  che  deliberare  non  bastava: 
occorreva  anco  poter  eseguire  le  deliberazioni,  e  la  faccenda  a  quel 
punto  diventava  per  i  nostri  consiglieri  ben  ardua:  «  sed  quia 
«  super  premissis  et  maxime  quod  propter  inopiam  pecuniarum 
«  nuper  exigendarum  prò  sanandis  debitis  p.^ì  comunis  videlicet 
«  prò  censu  quod  persolvitur  locis  piis  et  dominis  de  beulcis  civi- 
«  tatis  Mediolani  ac  etiam  prò  mensuali  nec  non  prò  quodam  de- 
u  bito  versus  merchatores  de  losis  ac  illorum  de  lumelinis  et  multa 
«  alia  quorum  creditorum  minantur  velie  mittere  expensam  in 
il  maximum  damnum  et  preiudicium  diete  comunitatis  non  fuit  de- 
ii  bite  conclusum  per  suprascriptos  dominos  consiliarios  ut  debe- 
«  batur,  p.t"s  D^  Alex/  de  rodulfis  rose  consul  contra  suprascriptos 
u  omnes  protestatur  et  protestatus  est  per  ipsum  non  stetisse  nec 
ti  stare  quin  non  provideatur  sed  per  ipsos  omnes  de  omnibus  danis 
«  expensis  et  interesse  quod  contingerit  pati  p.^^  comunitas  »  (i). 
A  scuoter  anche  più  il  consiglio  venne  la  seguente  lettera  da 
Milano:  «  Preses  et  magistri  ducalium  intratarum  ordinariarum 
u  status  Mediolani,  etc.  Havendo  la  Ex.»  del  Sj  Duca  nostro  in- 
«  teso  che  tra  li  regulatori  de  la  mag.<^a  Comunità  de  Vigl."^  et  il 
u  populo  vertesse  differentia  per  causa  de  la  equalantia  che  si  ha 

(i)  C.  C.  G.,  i532-'35,  fol.  120  sgg.,  cons.  8  luglio  '35. 


LA   PLEBE   VIGEVANESE  ALLA  CONQUISTA   DEI    POTERI,    ECC.        30I 

4i  ad  fare  per  li  debiti  occorsi  de  qua  indreto  ad  quella  comunità 
«  et  per  la  nova  reformatione  de  l'extimo  et  desiderando  sua  ecc.^'a 
M  che  a  ninno  se  li  facia  iniuria  et  che  li  populi  et  cittadini  siano 
u  concordi  insieme  et  non  segue  alcuno  scandali o,  ni  ha  ordinato 
«  che  se  mandi  una  persona  ad  essa  città  qualle  intenda  et  olda 
■ii  le  differentie  et  querelle  vertesse  tra  li  ditti  regulatori  et  popu- 
u  lari.  Et  considerando  noi  qualle  persona  si  dovesse  ellegere  ad 
«  tale  impresa,  ni  è  occorso  il  Sp.'^  m.  Juliano  Piscina  ducal  sin- 
u  dico  fiscale  de  la  cui  fede  et  integrità  et  sufficientia  ne  siamo 
■«  ad  pieno  informati.  Et  perhò  per  tenore  de  le  presente  lo  ele- 
"«  giamo -et  diputamo  in  Comissario  ad  tal  impresa,  comittendoli 
■u  che  se  trasferischa  ad  ditta  citta  de  Vigl.o  et  olda  et-  intenda 
4i  diligentemente  le  controversie  vertischano  tra  le  ditte  parte,  et 
il  intese  studia  et  veda  cum  ogni  via  et  modo  possibile  de  concor- 
«  darlle  insieme  et  dove  gli  sii  differentia,  che  tolte  le  debite  in- 
«  formatione,  di  tale  difficultate  li  rififerischa  acciò  che  se  li  possi 
«  fare  le  debite  provisione.  Et  acciò  eh'  el  p.^o  m.  Juliano  possi  più 
«  facilmente  exequire  tale  sua  comissione,  per  queste  nostre  exhor- 
«  timo  il  Mag.co  Gubernatore  de  ditta  Città  et  al  Sp.'«  Podestà  et 
«  egregio  Refiferendario  et  altri  officiali  comendiam^o  che  li  diano 
«  tutti  quelli  adiuti  brazo  et  favore  gli  sarano  ricercati  per  il  p.^o 
^  m.  Juliano,  et  ali  regulatori  consule  comune  et  homini  de  ditta 
u  Città  che  li  obedischano,  et  faciano  quanto  per  epso  sarà  decla- 
«  rato,  et  in  ciò  alcuno  non  manchi  quanto  hano  caro  la  gratia 
41  del  p.to  Ill.mo  s.r  Duca  nostro. 

«  Datum  Mediolani  die  XV J  Julii  z/x?  "• 

Fu  letta  nella  seduta  del  18  luglio,  presenti  alcuni  della  plebe, 
Francesco  de'  Colli  Princolli,  Bernardino  de'  Robecchi  Cagnini, 
Tommasino  de'  Policastro  Zucconi  e  Gian  Giacomo  de'  Montani 
Manzini  detto  Boiono:  i  consiglieri  si  dichiararono  «  paratos  in 
«  omnibus  et  per  omnia  illas  observare  »,  e  intanto  rinnovarono 
agli  otto  già  eletti  l'autorità  per  l'equalanzia  (1). 

Da  qui  innanzi  i  i-agguagli  diventano  scarsi  e  confusi,  sì  che 
malagevole  assai  torna  il  formarsi  un'  idea  chiara  e  sicura  di  ciò 
che  avvenne.  Richiesti  dal  Piscina,  i   consiglieri  incaricarono   Cri- 


(i)  C.  C.  G.,  i532-'35,  fol.  123,  cons.  18  luglio  '53. 


302  FELICE   FOSSATI 

stoforo  de'  Rodolfi,  Bernardino  de'  Gusberti,  G.  Martino  de'  Trezzi, 
Zanino  de'  Bastici  Donoli,  Marco  Antonio  de'  Bergondi  di  trovarsi 
col  Piscina  stesso  per  rivedere  i  conti  de'  tesorieri  fino  al  1524  e 
per  altri  affari  ;  e  nella  stessa  seduta  elessero  Luigi  de'  Bellazzi, 
Pietro  de'  Garroni  e  Matteo  de'  Bossi  per  fare  i  conti  riferentisi 
alle  case  «  dirrute  »>  nella  città  e  nel  territorio  di  Vigevano  (i). 
Senonchè  mentr'essi  venivan  richiamati,  distratti  verso  anni  già 
lontani,  i  creditori  strepitavano  con  gravi  minacele  di  guai  tutt'af- 
fatto  presenti,  sì  che  dovettero  stabilire  d'esigere  in  anticipazione 
una  quota  dell'equalanzia  non  ancor  preparata  e  che  non  si  sapeva 
ancora  come  e  da  dove  riscuotere:  «  ordinaverunt  talea  imponi 
«  debere  de  11.  sexaginta  impl.  prò  singula  libra  extimi  et  sic  de 
«  singulis  et  hoc  intelligatur  prò  parte  equalantie  fiende  iuxta  alias 
«  ordinationes  factas  super  dictam  equalantiam  fiendam.  Et  hoc 
"  etiam  intelligatur  super  illud  extimum  videlicet  vetus  vel  novum 
"  una  cum  fictis  libellariis  iuxta  formam  iuris  et  statutorum  ut 
«  iudicatum  fuerit  et  decisum  per  sp.'^^  j^  Doc.  Dominum  Frane.™ 
«  balduinum  et  Jani  de  la  porta  quibus  presens  differentia  comit- 
«  titur  utsupra  »  (2);  e  seguitando  i  creditori  a  chiedere  e  a  mi- 
nacciare, aumentarono  la  tassa  di  altre  20  lire  imperiali  ogni  lira 
d'estimo  (3).  Or  quale  ufficio  dovevano  compiere  i  giureconsulti 
Baldovino  e  Della  Porta,  che  qui  appariscono  la  prima  volta? 
Aveva  il  Piscina  incaricato  lor  due  di  accomodar  la  cosa  ?  Pare. 
Ad  ogni  modo  la  bisogna  andava  per  le  lunghe,  con  poca  soddi- 
sfazione del  duca,  che  rinnovò  l'ordine  di  finirla,  e  probabilmente 
anche  di  molti  altri,  secondo  i  quali  doveasi  rimetter  la  questione 
al  giudizio  del  vescovo  e  del  Piscina  :  ciò  che  appunto  fecero  i 
consiglieri,  quando  specialmente  ebber   udito   il   Della  Porta  «  qui 

(i)  C.  C.  G.,  i532-'3  5,  fol.  125,  cons.  13  agosto  '33.  Il  Piscina  chiede  a  eligi  de- 
ce bere  unum  duos  vel  tres  si  ve  quatuor  qui  nomine  dicti  comunis  adisse  habeant  in 
«  calculis  fiendis  inter  ipsam  comunitatem  et  thex.nos  annorum  preteritorum  et 
«  precipue  ab  anno  1524  citra  quas  thexjias  sive  actitata  per  thex.rios  a  dicto 
((  anno  citra  revidere  intendit  ;  petit  etiam  restaura  facta  fictabilibus  dictorum  an- 
ce norum  sibi  dari  et  multa  alia  prout  latius  in  eius  scripturis  et  voce  requì- 
«  situm  est...  Et  qui  eligendi  fuerint  non  vult  quod  habeant  ficta  libellaria  sive 
«  reditus  in  comuni  ut  careant  omni  suspitione  aliter  etc  ». 

(2)  In  margine:  «  pariter  cum  presentia  Mag.c»  D.  Juliani  picina  comis- 
c(  sari  »  (C  C.  G„  i552-'3$,  fol.  128,  cons.  21  agosto  '33. 

(3)  Ibid.,  fol.  143^  cons.  19  ottobre  '33. 


LA    PLEBE    VIGEVANESE   ALLA    CONQUISTA    DEI   POTERI,   ECC.        303 

«  dixit  in  pieno  Consilio  se  audivisse  et  in  mandatis  habuit  et  habet 
«  a  proprio  vivo  oracullo  prelibati  principis  [Francesco  li]  qualiter 
u  fieri  debet  dictum  compromissum  in  premissos  R.^  D.  Presulem 
h  et  D  Julianum  Piscinam  »  (i).  11  vescovo  e  il  commissario  diedero 
la  loro  sentenza;  ma  già  avevano  emanata  la  propria  i  due  giure- 
consulti col  Piscina  stesso,  e  per  giunta  diversa,  sì    che   quando  i 
Xll  ebbero  fatto  e  approvato  i  capitoli   per   l' incanto   della  tassa, 
«  inter  ipsos  presides  magna  fuit  disseptatio  unde   dieta  talea,  et 
«   quomodo  et  qualiter  incantari  et  exegi   debeat   dieta   talea  quia 
«  pars  una  ipsorum  vult  quod    incantetur    et    exigatur   secundum 
u  sententiam  datam  per  dominos  J.   doctores    et    D.   Julianum    pi- 
«  scinam,  pars  altera  vult  secundum  sententiam  novissime  latam  per 
«  R.'"   D.  Episcopum    et    p.^^"^   D.   Jullianum    piscinam    secundum 
«  extimum  domorum  et  ita  de  incantando  dictam  taleam  concordes 
u  esse  non  potuerunt  "  ;  onde  la  maggioranza  del  consiglio  gene- 
rale, informato  nella  seduta  24   novembre,   dal   console  Guglielmo 
de*  Previde,  dovette  essa  stessa,  insomma,  decidere  in  modo  defi- 
nitivo, e  accettò  la  sentenza  del  vescovo,  nominando  gli   otto  già 
incaricati  dell'equalanzia  «  ad  faciendum  computa  cum  electis  prò 
u  plebe  et  casu  quo  non  fuerint  omnes  modo  quod  quinque  fuerint 
«  sufficiant  prò    omnibus  »  :  converrà  tuttavia   osservare  che  non 
fu  una  maggioranza    assai    forte,    perchè    di    quaranta    consiglieri 
presenti,  oltre  il  luogotenente  e  i  due    consoli,    ben    quindici    non 
consentirono  in  quella  deliberazione.    Anche  i  plebei   fecero   buon 
viso  alla  sentenza  del  vescovo,  perchè  in  quella  stessa  seduta  Giu- 
liano degli  Ardizzi,  Bernardino  degli  Araldi  e  Tommasino   «  dela 
«  Costa  sive  de  Policastro  »  «  tanquam  sindici  prò  plebe  »,  compar- 
vero in  consiglio  e  chiesero    «  emologari    et    confirmari  "   la  sen- 
tenza del  vescovo  e  del  Piscina;  «  et  ex  nunc  »,  seguita  Tatto,  «  prò- 
«  testantur  per  se  non  stetisse  nec  stare  quin  per   eos  equalantia 
u  fiet  et  ex  nunc  parati  sunt   suos   presentare   rationatores  ut   ad 
«  ulteriora  procedatur  iuxta  forrnam  sententie  novissime  datam  et 
«  ex  nunc  etiam  ipsi  dicto  nomine  dictam  sententiam  aprobaverunt 
«  et  aprobant  et  quatenus  secus  fiet  protestantur  et  protestati  sunt 
«  per  se  non  stetisse  nec  stare  et  de  omnibus  damnis  expensis  et 
«  interesse  quod  evenire  contingerit  »  (2).    Finalmente  i    XII    riu- 


(i)  C.  C.  G.,  i532-'35  fol.  145,  cons.  8  novembre  '33. 
(2)  Ibid.,  fol.  148,  cons.  24  novembre  '33. 


304  FELICE  FOSSATI 

scirono,  col  mezzo  dell'  incanto,  anche  a  trovare  chi  si  assunse 
l'ufficio  di  riscuotere  la  tassa,  Gian  Giacomo  de'  Tiboldei  e  alcuni 
soci;  ma  allora  sorsero  nuove  difficoltà:  diversi  contribuenti  an- 
davano vociferando  che  non  volevano  pagare  «  nisi  prius  adaptatus 
u  catestrus  et  additis  addendis  »,  e  similmente  non  pagavano  altri, 
che  dalla  sentenza  accettata  si  sentivano  lesi,  onde  gli  esattori  non 
potevano  cavar  danari  in  nessun  modo.  11  consiglio  dovette  quindi 
incaricare  Alessandro  de'  Rodolfi  Rose,  Luigi  de'  Bellazzi,  Cristo- 
foro de'  Rodolfi  di  far  un  nuovo  catasto.  S'aggiunga  infine  che  gli 
«  exactores  prò  plebe  diebus  proximis  preteritis  remanserunt  de- 
«  bitores  de  certa  denariorum  quantitate,  aligantes  illas  pecunias 
«  expendidisse  dicti  de  plebe  in  consulendo  »,  sì  che  il  consiglio 
deliberò  doversi  cancellare  tale  debito  per  la  somma  spesa  «  ad 
«  consulendum  et  expensam  in  vinum  »,  e  il  resto  detrarsi  sul  sa- 
lario degli  stessi  esattori  (i). 

Così  finì,  almeno  per  quel  che  sembra,  e  non  possiam  certo 
dire  molto  chiaramente,  la  questione  nel  1533,  la  quale  ebbe  nel- 
l'anno successivo  tra  le  altre  conseguenze  questa,  che  nella  seduta 
del  2  gennaio  i  consiglieri  ordinarono  «  quo  ad  computa  facienda 
«  per  agentes  p.^'  comunis  occaxione  nove  equalantie  fiende  quod 
«  dictis  computis  interesse  possit  duo  vel  tres  prò  parte  plebis  »  (2). 
Del  resto,  quale  fosse  precisamente  la  sentenza  del  vescovo  e  del 
Piscina  non  sappiamo  ;  sappiamo  bensì  che,  di  questo,  Simone  del 
Pozzo  lasciò  un  giudizio  non  punto  lusinghiero  :  «  ....  tantam  duxit 
«  expensam  quantum  ipse  valebat  et  nihil  boni  attulit,  sed  com- 
u  posuit  quemdam  librum  in  quo  anotati  erant  plures  quorum  aliqua 
«  erat  suspicio  quia  libri  non  erant  recte  ministrati.  Qui  liber  post- 
«  modum  incendit  ignem  medio  Juliani  Ardicii  et  postmodum  visus 
«  est  mons  pari  ridiculum  murem  »  (3). 


(i)  C.  C.  G.,  i5  32-'35,  fol.  150,  cons.  9  dicembre  '33.  Il  salario  fu  stabilito  di 
fiorini  25  ciascuno,  quando  però  avessero  finito  il  lavoro  a  ad  festum  carnis  privi  ». 

(2)  Ibid.,  fol.  165. 

(3)  Ibid.,  i528-'3i,  fol.  I.  Chi  desiderasse  qualche  notizia  sulle  finanze  di 
Vigevano  in  questi  anni,  potrebbe  trovarle  nei  conti  degli  antichi  tesorieri,  donde 
noi  trarremo  solo  pochissime  cifre.  Nel  1529,  l'anno  prima  che  il  comune  tor- 
nasse sotto  gli  Sforza,  l'estimo  era  di  L.  383,  s.  6,  t.  11  Vs»  e  la  tassa  di  L.  96 
imperiali  per  ciascuna  lira  d'estimo,  onde  venne  un  ricavo  di  L.  36801,  s.  8.  Si 
aggiunsero  in  quell'anno  teste  141,  che  a  s.  2  1/2  ciascuna,  formarono  altre  L.  17, 


LA    PLEBE   VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA   DEI    POTERI,    ECC.        305 


La  questione,  momentaneamente  risolta  dalla  sentenza  arbitrale 
del  vescovo  e  del  Piscina,  non  tardò  a  risorgere,  e  questa  volta 
con  effetti  imprevedibili. 

Vivente  ancora  Francesco  Sforza,  alcuni  vigevanesi  dichiara- 
rono che  non  avrebbero  più  pagato  «  taleas  et  collectas....  quatenus 
«  novus  extimus  non  fiat  iuxta  formam  statutorum  »  (i),  onde  il 
-consiglio  elesse  Giov.  Andrea  de'  Cocchi  «  ad  operam  faciendi  figu- 


s.  12  1/2  d'estimo,  quindi  ancora  L.  1692  di  tassa.  Inoltre  il  tesoriere  ricevette 
per  certa  speciale  contribuzione  L.  4579,  s.  12,  d.  2.  In  tutto,  dunque,  L.  43073, 
d.  2.  Coi  redditi  di  vari  beni,  il  bilancio  segna  L.  52590,  s.  19,  d.  6  d'en- 
trata, contro  L.  52201,  s.  5,  d.  3  di  spesa.  —  Del  1530  non  restano  i  conti 
compiuti,  perchè  il  volume  conserva,  invece  del  bilancio  generale,  solo  l'importo 
della  tassa  per  vari  quartieri  della  città,  assegnati  a  diversi  esattori.  Tuttavia 
crediamo  opportuno  riferire  le  poche  cifre,  dando  esse  un'  idea  di  parecchi  rioni. 
La  tassa  fu  di  L.  72  per  ogni  lira  d'estimo.  Perciò  Gian  Giacomo  Tiboldeo, 
esattore  degli  estimi  di  Bergonzone  e  di  Predalate,  in  tutto  L.  99,  s.  7,  t.  8,  versò 
L.  7155,  s.  12,  alle  quali  son  da  unirne  altre  405  per  45  nuove  teste,  che  a 
s.  2  1/2,  fanno  L.  5,  s.  12  i/g  d'estimo.  Marcello  da  Vinzaglio  per  gli  estimi  di 
Cesarino  e  di  Griona,  complessivamente  L.  70,  s.  6,  t.  9  V2>  sborsò  L.  5064,  s.  9, 
più  L.  279  per  altre  teste  31,  cioè  L.  3,  s.  17  V^  d'estimo.  Bernardino  de'  Gusberti, 
per  l'estimo  di  S.  Martino,  di  L.  65,  s.  7,  t.  9,  riscosse  L.  4707,  s.  8,  alle 
quali  ne  unì  ancora  144  per  16  teste  pari  a  L.  2  d'estimo.  —  Nel  15  31  l'estimo 
era  di  L.  344,  s.  8,  t.  9  Vg,  la  tassa  di  L.  80,  onde  il  tesoriere  Alessandro  de' 
Rodolfi  Rose  versò  L,  27555,  s.  3,  d.  4.  Il  bilancio  riusci  di  L  38899,  s.  4,  d.  6 
si  d'entrata  che  d'uscita,  —  Per  il  1532  i  conti  sono  frammentari:  alcune  pa- 
role farebbero  credere  che  la  tassa  ascese  a  L.  60:  a  Hic  incipit  ratio  tex.ne  1532. 
«  Presens  ratio  dat.  fuit  d.  pet.o  garono  prò  sol.  viginti  prò  soldo  ut  in  libro 
«  viridi  et  d.  Jo.  Jac.o  tibuldeo  sol.  quadraginta  prò  soldo  ut.  in  s.to  libro  ».  — 
Finalmente  nel  1533  l'estimo  fu  di  L.  225,  s.  5,  t.  3  i/g  e  la  tassa  di  L.  60, 
onde  un  ricavo  di  L  13 51 5,  s.  12,  d.  16,  più  L.  825  «  prò  teste  que  non  sunt 
«  posite  in  libro  facultatum  n.o  centum  decem  »,  uguali  a  L.  13,  s.  15  d'estimo. 
Bilancio  generale:  entrata,  L  19597,  s.  5,  d.  3  ;  uscita,  L  16570,  s.  13,  d.  9.  — 
Da  queste  cifre  si  può  forse  anche  ricavare  la  popolazione  approssimativa  di  Vi- 
gevano negli  anni  corrispondenti,  o  almeno  il  numero  delle  teste  imponibili, 
cioè,  delle  famiglie,  nel  senso  di  persone  «  simul  stante  ».  E  salvo,  ora  e  sempre, 
errore  ed  ommissione,  si  avrebbe  appunto:  nel  1529,  teste  3207;  nel  1530,  per 
Bergonzone  e  Predalate  840,  per  Cesarino  e  Griona  593,  per  S.  Martino  539; 
nel  1531,  teste  2755  ;  nel  1553  teste  1912. 

(i)  C.  C.  G.,  i532-'35,  fol.  271,  cons.  20  agosto  '35. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  Vili.  20 


306  FELICE   FOSSATI 

«  ram  totius  territorii  Civitatis  Vigl.nì  simul  cum  viis  stratis  et  co- 
«  herentiis  ipsius  Civitatis  ad  hoc  ut  novus  extimus  perficiatur  et 
«  hoc  commodius  et  minori  expensa  ipsius  comunitatis  quia  cogno- 
«  scunt  [i  consiglieri]  per  alias  vias  dictus  extimus  perfici  non  posse 
«  propter  mortem  hominum  et  esse  impossibile  discernere  dominos 
«  proprietatum  ipsarum  »;  e  come  nello  stesso  consiglio  vi  fu  «  lis 
«  et  questio  circa  confectionem  extimi  trafici  »,  perchè  tale  estimo 
non  s'  era  potuto  fare  «  propter  ipsas  dominorum  consiliariorum 
u  discordias  »,  mentre  gli  statuti  lo  prescrivevano  «  propter  onera 
u  extraordinaria  occurrentia  in  dieta  civitate  »,  la  maggioranza  finì 
con  ordinare  che  lo  si  eseguisse  e  nominò,  «  prò  parte  mercatorum  », 
Guglielmo  de'  Previde,  Francesco  del  Pozzo,  Vincenzo  de'  Bossi,  Gian 
Giac.  de'  Morselli  Carlevari,  e,  «  prò  parte  civium  »,  Marco  Antonio- 
de'  Bergondi,  Francesco  de'  Natali  Dionisii,  Camillo  de'  Colli,  Vin- 
cenzo de'  Bastici  Borioli  (i).  E  sembra  fosse  tempo,  che  le  proteste 
de'  cittadini  di  non  voler  pagare  altre  tasse  se  non  si  rinnovava 
convenientemente  l'estimo,  dovean  succedersi  non  rare:  nell'adu- 
nanza 17  ottobre,  per  esempio,  Giannino  de' Bastici  Donoli  «  pro- 
u  testatus  fuit  et  protestatur  quatenus  non  fìet  novus  extimus  iuxta 
u  formam  statutorum  diete  civitatis  non  intendit  in  anno  fut.  solvere 
«  taleas  nisi  secundum  formam  ipsorum  statutorum  »  (2).  Né  basta,. 
che  mentre  da  un  lato  i  cittadini  dichiaravano  di  ribellarsi  ad  ogni 


(i)  C.  C.  G.,  i532-'35,  fol.  274,  cons.  30  agosto  '35.  Una  sentenza  emanata  dal 
senato  milanese  il  27  maggio  1551,  giusto  per  le  questioni  dibattentisi  fra  il  comune 
e  i  mercanti,  stabilisce  che  si  devano  considerare  come  «  onera  ordinaria  »  : 
I.  «  Census  civitatis  Vigl.ni  ».  IT.  Il  salario  del  pretore.  IH.  Il  salario  del  giu- 
dice «  stratarum  ».  IV.  Le  riparazioni  dei  ponti  e  delle  vie.  V.  Il  salario  dei 
sindaci  della  città.  VI.  «  Conventio  cerae  prò  usu  sacrestie  ».  VII.  Il  salario 
dei  consoli.  Vili.  «  Conventio  decime  cathedralis  ecc.®  ».  IX.  «  Merces  capellani 
«  s.  Johanis  Baptiste  iuspatronatus  diete  civitatis  ».  X.  Il  salario  del  cancelliere 
della  città,  XI.  Il  salario  dei  razionatoli.  XII.  Il  salario  dei  tubatori.  XIII.  Il  sa- 
lario dei  servitori.  —  Quali  «  onera  extraordinaria  »  poi  son  fissati  :  I.  II  salario 
del  fisico.  II.  Il  salario  del  chirurgo  («  vult  tamen  quod  salarium  phisici  et  chi- 
a  rurgi  non  distribuatur  super  mercimonio  »).  III.  II  salario  del  maestro  di  gram- 
matica. IV.  Il  salario  «  forerii  ».  V.  Il  salario  del  camparo.  VI.  Il  salario  del 
pesatore  delle  farine.  VII.  Il  mensuale.  Vili.  «  Perticatus  particularis  si  in  fu- 
«  turum  fuerit  vel  mensurari  contigerit  ».  IX.  Il  salario  del  campanaro.  X.  «  Item 
«  omnia  alia  onera  extraordinaria  que  per  principem  imponentur  et  alia  expensas. 
a  ab  eis  dipendentes  »  {Tit.  e  Mem.  cit.,  fol.  30). 

(2)  Ibid.,  fol.  278,  cons.  17  ottobre  '35. 


LA    PLEBE    VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA   DEI    POTERI,    ECC.         307 

nuova  gravezza,  dall'altro  i  molti  creditori  tempestavano  il  comune 
di  richieste  e  di  minaccie,  creditori  abitanti  in  città  e  più  anche 
forestieri,  specialmente  Polo  de'  Carmelini  «  actor  et  gestor  »» 
de'  fratelli  Lomellini  genovesi,  che  dovevano  avere  forse  ben  lo.ooo 
lire,  il  Pallavicino,  Bernardo  Brassilia  ed  altri  (i).  E  tanto  i  consi- 
glieri erano  imbarazzati  e  vedevan  triste  il  futuro;  che  chiesero  al 
duca  fino  il  permesso  di  congedare  per  due  o  tre  anni  i  dottori  in 
legge  «  donec  debita  comunitatis  fuerint  aliqualiter  aleviata  »  (2), 
e,  probabilmente  non  avendolo  ottenuto,  «  considerantes  p.^ì  domini 
«  consiliarii  infinita  gravamina  esse  in  ipsa  civitate  vigl."'  diversis 
«  ex  causis  quod  vix  ipsi  cives  possunt  respirare  ab  ipsis  grava- 
ci minibus  »,  ridusser  loro  lo  stipendio  a  L.  100  imperiali  l'anno, 
con  la  condizione  che  accettassero  o  si  ritenessero  senz'altro  li- 
cenziati (3).  Finalmente  il  25  novembre  nominarono  Cristoforo  de' 
Rodolfi,  Giov.  Andrea  de'  Cocchi,  Alessandro  de'  Rodolfi  Rose, 
che  dovessero  «  fieri  facere  cridas  secundum  formam  statutorum 
«  diete  Civitatis  quod  omnes  portare  habeant  eorum  bona  in 
«  scriptis  et  prout  latius  requiritur  ex  forma  dictorum  statutorum 
«  ut  extimus  diete  civitatis  reformetur  et  trascribere  dictos  libros 
«  octo  chatastrorum  in  tribus  perochiis  prout  ipsa  Civitas  reducta 
u  est  »  (4),  dando  loro  autorità  «  exequendi  omnia  et  singula  con- 
ii  tenta  in  ipsis  statutis  circha  reformationem  ipsorum  chatastro- 
a  rum  »  (5);  e  pochi  giorni  appresso,  il  6  dicembre,  «  cupientes 
il  sanare  debita  suorum  creditorum  in  anno  1536  »,  stabilirono  una 
tassa  di  cento  lire  imperiali  ogni  lira  d'estimo  (6),  che  fu  poi  ri- 
dotta, dopo  opportuni  studi  sui  crediti  e  sui  debiti  della  città,  a 
lire  quattro  ogni  soldo  d'estimo,  cioè  a  lire  ottanta  ;  la  proposta  di 
alcuni,  che  l'avrebbero  voluta,  «  in  omnem  eventum  »,  di  novanta, 
fu  respinta  con  voti  trentacinque  contro  nove  (7). 

In  tali  difficili  condizioni  trova  dunque  l'anno  1536  il  comune 
nostro.  Da  un  lato,  debiti  gravissimi  e  creditori    ormai  impazienti 


(i)  C.  C.  G.,  i532-'35,  fol.  280,  cons.  24  ottobre  *35. 

(2)  Ibid  ,  fol.  282,  cons.  26  ottobre  '35. 

(3)  Ibid.,  fol.  286,  cons.  25  novembre  '35. 

(4)  S.  Dionigi,  S.  Ambrogio,  S.  Cristoforo, 

(5)  C.  C.  G.,  i532-'35,  fol.  285. 

(6)  Ibid.,  fol.  292. 

(7)  Ibid.,  fol.  300,  cons.  19  dicembre  *35. 


3o8  FELICE   FOSSATI 

€  minacciosi  non  sempre  a  sole  parole;  dall'altro  una  popolazione 
dissanguata,  sospettosa,  vogliosa  di  ribellarsi  contro  ogni  peso,  alla 
quale  nondimeno  è  necessario  imporre  un'altra  tassa  enorme,  senza 
che  si  sia  ancora  ben  deciso  il  sistema  d'esazione.  Ed  ecco  subito 
al  2  gennaio  una  brutta  notizia.  Il  console  Guglielmo  de'  Previde 
annunzia  al  consiglio  che  il  pretore  non  vuol  sottoscrivere  le  gride 
fatte  dalla  commissione  dei  tre  su  ricordati  per  la  riforma  dell'estimo, 
perchè  «  de  dirrecto  »  appaiono  contrarie  alle  disposizioni  degli 
statuti:  questi  ordinano  che  si  faccia  l'estimo  «  de  bonis  civium 
u  demptis  domibus  »,  le  gride  invece  comprendono  anche  le  case, 
per  tre  quinti,  secondo  la  sentenza  emanata  dal  vescovo  e  dal  Pi- 
scina; e  che  esso  pretore  ha  stabilito  «  terminum  quibuscumque 
u  pretendentibus  interesse  dictum  extimum  fieri  iuxta  formam  diete 
u  sententie  arbitramentalis  dierum  quindecim  ad  allegandum  et  de- 
u  ducendum  totum  quicquid  voluerint  quare  dictum  extimum  non 
tì  debeat  fieri  iuxta  formam  statutorum  predictorum  diete  civitatis 
M  aliter  elapsso  dicto  termino  decrevit  ad  perfectionem  dicti  novi 
il  extimi  fieri  iuxta  formam  dictorum  statutorum  et  presertim  statuti 
ti  positi  sub  rub.  (sic)  f.^  aliis  supradictis  allegatis  in  concionem 
il  non  obstantibus  »  (i).  Il  giorno  9  altra  disputa  lunghissima  per 
•decidere  se  le  case  dovessero  o  no  venir  computate  nell'esazione 
della  tassa,  disputa  non  riuscita  ad  alcun  soddisfac  nte  fine,  «  in 
«  maximum  damnum  et  preiudicium  diete  comunitatis  quatenus  non 
ii  concludatur  quia  thex  ^  inveniri  non  poterat  et  interim  creditores 
4i  dicti  coniunis  maximas  emanabunt  expensas  »,  è  il  console  Vin- 
cenzo di  Bastici  Borioli  che  ammonisce  i  consiglieri,  «  et  maiores 
«  evenient  quare  provideri  petit  aliter  protestatur,  etc.  »  (2).  Così 
finisce  l'atto.  Probabilmente  la  seduta  fu  rimandata  al  giorno  suc- 
cessivo. Nel  quale  finalmente  si  venne  a  una  decisione,  non  però 
senza  ancora  molte  dispute,  che,  dei  consiglieri,  parte  volevano 
si  seguisse  la  sentenza  del  vescovo  e  del  Piscina,  conforme  alla 
quale,  <«  emologatam  per  consilium  generale  ex  una  et  plebeos  diete 
ii  civitatis  ex  altera  »,  già  anche  dopo  la  pubblicazione  de'  nuovi 
statuti  s'erano  riscosse  tasse,  altri  per  l'appunto  gli  statuti,  ribat- 
tendo «  dictam  sententiam  non  valere  tanquam    latam  contra  »  di 


(i)  C.  C.  G.,  i5  36-'37,  fol.  9,  cons.  2  gennaio  '56. 
j(2)  Ibid.,  fol.  12,  cons.  9  gennaio  '36. 


LA   PLEBE   VIGEVANESE   ALLA    CONQUISTA    DEI    POTERI,    ECC.        309 

essi.  Ma  alla  fine,  instando  la  necessità  «  omnino  extendendi  et  exi- 
«  gendi  dictam  taleam  maxime  prò  sanandis  debitis  contractis  cum 
u  mercatoribus  ianuensibus  et  aliis  forensibus  propter  quod  debita 
«  non  soluta  passi  sunt  intolerabiles  expensas,  maiores  passuri,. 
«  et  continuis  laboribus  defatigandi  nisi  opportune  provideatur, 
«  propterea  volentes  p.*'  domini  quantum  possibile  eis  sit  dictis 
«  laboribus  et  expensis  occurrere,  omnes  unanimes  viva  voce  ve- 
«  nerunt  in  hanc  sententiam  quod  citra  preiudicium  allegati  sta- 
«  tuti  cui  in  aliquo  non  intendunt  per  presentem  ordinationem  der- 
«  rogare  imo  quatenus  opus  sit  dispensationem  impetrare  ut  perse- 
u  veretur  in  incantu  talee  imposite  iuxta  formam  capitulorum  su- 
«  perinde  factorum  per  aliquod  tempus  de  presenti  et  per  presens 
«  consilium  limittandum  et  quod  dieta  talea  exigatur  etiam  super 
«  domibus  videlicet  prò  tribus  partibus  ex  quinque  ». 

Senonchè,  non  riuscendo  poi  a  mettersi  d' accordo  circa  il 
tempo  per  cui  doveva  valere  tale  loro  deliberazione,  se  uno  o  due 
o  tre  o  quattro  anni  o  fino  a  tanto  che  si  fossero  pagati  i  debiti 
contratti  prima  degli  statuti,  e  protestando  chi  per  una  ragione 
chi  per  un'altra,  deliberarono  di  rimettersi  al  giudizio  di  Francesco 
da  Lodi,  propretore  e  sindicatore,  acciocché  sbrigasse  la  questione 
«  prout  sibi  melius  expedire  videbitur  p.^^  comunitati  »,  con  la 
promessa  che  avrebbero  accettato  il  suo  giudizio.  E  quegli  ordinò 
«  procedendum  esse  ad  incantum  et  deliberationem  diete  talee  im- 
«  posite  iuxta  formam  capitulorum  superinde  factorum  vel  aliter 
«  exigendam  esse  dictam  taleam  prout  melius  expedire  videbitur 
«  p.te  comunitati,  et  quod  talea  ipsa  exigatur  iuxta  librum  extimi 
«  facultatum  dandum  per  prefatam  comunitatem  exacturis  diete 
«  talee,  habita  etiam  extimatione  dòmorum  prò  tribus  partibus  ex 
«  quinque  iuxta  extimationem  super  eis  iam  factam.  Et  hoc  prò 
«  presenti  talea  et  anno,  tamen  salvis  iuribus  in  aliis  tàleiis  im- 
«  ponendis  quorumcunque  pretendentium  ius  et  interesse  tam  re- 
«  spectu  allegati  statuti  quam  sententie. 

u  Ordinat  insuper  fiendas  esse  debitas  proclamationes  prò  novo 
«  extimo  fiendo  ad  formam  dicti  novi  statuti  superinde  editi  et 
«  suspensa  tamen  extimatione  et  delatione  domorum  et  suspenso 
«  termino  de  quo  in  ordinatione  per  p.tum  M.^um  Sindicatorem  factam 
«  sub  die  2^  instantis  mensis  donec  super  ipsa  extimatione  noviter 
«  fienda,  vel  non  fienda  aliud  ordinatum  fuerit  ordinans  etiam 
«  impetrandam  esse  confirmationem  presentis  ordinationis   et  con- 


31 0  FELICE  FOSSATI 

«  tentorum  in  ea  et  inde,  etc.  »».  1  consiglieri  lo  ringraziano  e 
stabiliscono  di  mandare  «  ad  M.tem  Cesaream  sive  ad  eius  R."" 
«  senatum....  prò  confirmatione  »  (i).  Ma  non  bastava  risolvere 
d' imporre  una  tassa  e  come  imporla:  bisognava  anche  trovar  modo 
di  riscuotere  i  denari,  e  il  console  Vincenzo  de'  Bastici  Borioli  il 
29  gennaio  informava  il  consiglio  che  nessuno  voleva  prendere  in 
appalto  la  tassa,  nemmeno  con  un  salario  di  L.  4000  (2). 

Ora,  come  se  tutto  ciò  non  bastasse,  Antonio  de  Leyva  pen- 
sava a  dar  qualche  altra  noia.  Quando  a  Vigevano  giungesse  l'or- 
dine d'assumersi  l'esecuzione  d'  una  parte  del  vallo  di  Pavia,  non 
sappiamo  con  certezza:  sappiamo  che  proprio  nella  seduta  del  22 
gennaio,  ove  il  consiglio  acconsentì  a  dar  «  omnem  cautionem  » 
per  un  prestito  fatto  dai  XII  di  L.  600  imperiali  al  20  per  cento, 
deliberò  pure  d'eleggere  alcuni  rappresentanti  i  quali  si  trovassero 
col  referendario  per  trattare  di  quel  lavoro  (3);  e  che  poi  nella 
successiva  del  29,  in  cui  Vincenzo  de'  Bastici  avvisava  che  non  si 
riusciva  a  trovar  un  appaltatore  della  tassa,  il  medesimo  Vincenzo 
de' Bastici,  informando  che  s'era  recato  a  Milano  con  Vincenzo 
de'  Bossi  e  Tommaso  de'  Ferrari  «  ad  querellandum  prò  vaio  quod 
a  civitati  et  comitatui  impositum  est  fodere  circa  menia  civitatis 
*<  papié  et  post  longas  querellas  inritas  et  vanas,  necesse  fuit  por- 
«  tionem  atributam  per  capitaneum  iusticie  brachiorum  829  on.  io 
a  ipsi  civitati  et  comitatui  accipere  »>,  chiese  che  si  mettessero  al- 
l'incanto  i  lavori:  «  sed  quia  sine  magno  dispendio  ista  perfici  non 
*i  possunt  idcireo  de  oportunis  pecuniis  provideri  petit  aliter  etc.  »  ; 
onde  il  consiglio  deliberò  di  prelevare  25  scudi  per  mandar  a  Pavia 
qualcuno  che  incantasse  i  lavori,  e  di  dilFerir  a  un'altra  seduta  la 
deliberazione  sul  modo  di  provvedere  i  danari,  incaricandone  nel 
frattempo  Tommaso  de'  Ferrari  Fantoni,  con  la  promessa  delle 
consuete  sicurezze  (4).  Un  ultimo  tentativo  di  sottrarsi  a  quel  peso 
fece  il  comune  allorché  seppe  che  la  città  di  Novara  «  vigore  unius 
<«  decreti  tutata  fuit  »  dallo  scavar  un  tratto  del  vallo    d'  Abbiate- 


(i)  C.  C,  G.y-  1536*37,  fol.  16,  cons.  IO  gennaio  '36. 

(2)  Ibid.,  fol.  25,  cons.  29  gennaio  '36. 

(3)  Ibid.,  fol.  23,  cons.  22  gennaio  '56. 

(4)  Ibid.,  fol.  25,  cons.  29   getuiaio  '36.    Cfr.   Trib.  XII  provv.,   i536-'37, 
fol.  II  sgg.,  cons.  22  e  27  gennaio,  2  e  5  febbraio  '56. 


LA    PLEBE   VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA    DEI   POTERI,    ECC.        3 II 

grasso:  l'amor  proprio  de' Vigevanesi,  cittadini  di  fresco  e  con  non 
lievi  sacrifizi,  se  ne  risentì;  «  ....  Et  civitas  Vigl."'  fuit  agravata  ad 
41  fodendum  valium  civitatis  Papié  nullo  habito  respectu  quod  sit 
«  civitas  et  quod  ista  sint  onera  personalia  et  proprie  ruralia,  cum 
u  sit  etiam  quod  civitas  ipsa  passa  sit  plura  onera  sine  contribu- 
ii tione  terrarum  et  villarum  eius  comitatus  »,  onde  i  consiglieri  de- 
liberarono di  provvedere  e  nominarono  una  commissione  composta 
di  Jeronimo  da  Parona,  Francesco  del  Pozzo,  Vincenzo  de'  Bossi, 
Giov.  Andrea  de'  Cocchi,  Cristoforo  de'  Rodolfi,  Pietro  de'  Tocchi, 
i  quali  insieme  coi  consoli  dovevano  «  pertractare  dictam  causam 
«  per  omnes  vias....  dantes  eisdem  omnimodam  authoritatem  pote- 
«  statem  bayliam  et  imperium  circa  dictam  causam  quam  habet 
«  totum  consilium  etiam  expendendi  de  aere  dicti  comunis  in  parva 
«  et  magna  quantitate  et  quod  maior  pars  ipsorum  dominorum 
^< .  ellectorum  facere  possint  ac  si  omnes  adessent  »  (i).  L'accenno 
alle  spese  sostenute  muoverebbe  a  credere  che  la  protesta  derivasse 
più  che  altro  dal  desiderio  o  dal  bisogno  di  evitare  nuovi  sacrifizi; 
ma  le  ultime  parole,  che  abbiam  voluto  riportare  integralmente, 
riaccostate  alle  prime,  rivelano,  ci  sembra,  che  di  essa  dovett'  es- 
sere causa  soprattutto  l' impressione  di  non  venir  trattati  conforme 
richiedeva  il  decoro  di  cittadini;  impressione,  ognun  1'  intende, 
seccante,  irritante  alla  permalosa  gelosia  di  chi  stava  ancor  pagando 
il  non  lieve  peso  dell'ambita  dignità.  Ogni  rimostranza  tornò  vana: 
il  comune,  rassegnandosi,  concesse  l'appalto  de'  lavori  a  Cristoforo 
de'Menocchi,  il  quale  divenne  un  nuovo  e  non  troppo  paziente 
creditore,  e  il  consiglio,  per  trovar  da  pagarlo,  dovette  suscitare 
in  città  un  altro  vespaio,  tassando  i  mercanti.  Ben  tentò  una  parte 
de'  consiglieri  di  spremer  ancora  i  cespiti  consueti,  ma  questi  do- 
vevan  proprio  esser  ormai  inariditi,  onde  si  decise  «  quod  fiet 
«  electio  faciendi  novum  extimum  trafici  diete  civitatis  ad  hoc  ut 
«  ipse  trafichus  patiatur  suam  contingentem  portionem  onerum  oc- 
-«  currentium  diete  civitati  ad  formam  statutorum  et  sic  facta  distri- 
«  butione  dominorum  consiliorum  infrascriptam  ellectionem  fece- 
«  runt....  Pro  parte  mercatorum:  D.  Vinc.»  de  Bosiis,  D.  Bernardus 
«  de  Gusbertis,  D.  Joh.  andreas  de  Cochis,  D.  Vinc.»  de  Scottis 
M  Fragulini;  prò  parte  civium:  D.  Joh.  m.^  de  Putheo,  D.  Vinc.»  de 


(i)  C.  C.  G.,  i536-'$7,  fol.  31,  cons.  9  febbraio  '56. 


312  FELICE    FOSSATI 

«  Basticis,  D.  Alovisius  de  Bellaciis,  D.  Alex/  de  Rodulfis  rose.  Qui 
«  omnes  utsupra  electi  iuraverunt  et  iiirant  in  manibus  p.^ì  domini 
«  pretoris  de  recte  rite  faciendo  dictum  extimum  remotis  odio 
u  amore  ira  et  amicitia  et  omni  humana  gratia  et  de  tenendo  se- 
«  cretum  omnia  et  quecunque  que  fuerint  dieta  et  intellecta  in 
«  dicto  extimo  fiendo  de  facultatibus  ipsorum  mercatorum  ne  ali- 
«•  quando  ipsis  mercatoribus  obesset,  etc.  »,  e  dal  pretore  ebbero 
confermato  l'ordine  d'eseguir  1'  estimo  sotto  pena  di  25  scudi  del 
sole  ciascuno.  Di  trovar  poi,  nel  frattempo,  i  denari  per  il  vallo,  i 
consiglieri  incaricarono,  fidando  nella  loro  »  suficientia  et  probitate  »,. 
i  sei  già  nominati  (i\  i  quali  riuscirono  ad  ottener  L.  2000  impe- 
riali da  Antonia  de' Brippio,  milanese,  vedova  «  secundo  loco  »  di 
Gaspare  della  Torre,  sì  che  il  comune  potè  pagare  una  quota  delle 
spese  per  il  vallo,  L.  560  imperiali  a  Polo,  1'  agente  dei  fratelli 
Lomellini,  come  parte  del  loro  credito,  200  scudi  agli  ebrei  che  ne 
erano  creditori  (2). 

Per  qualche  tempo  almeno  simili  fastidi  erano  rimossi,  ma  se 
i  consiglieri  credettero  di  poter  arrischiarsi  a  trarre  un  respiro  di 
sollievo,  certo  se  lo  sentirono  strozzar  in  gola  da  Antonio  de  Leyva, 
dal  quale  il  pretore  riceveva  la  notte  fra  il  24  e  il  25  marzo  il 
seguente  biglietto,  che  il  25  stesso,  sabato,  i  consoli  lessero  al 
consiglio. 

«  AntJ    leyva  Caesareus  lo  cu. 

«  Dil.me  nobis.  occurrendo  de  fare  intendere  alcune  cosse  ad 
«  quella  comunità  ve  dicemo  et  comettemo  che  alla  receputa  della 
«   presente  debiate  fare    convocare  il  Consilio    d'essa  et    unito  che 


(i)  C.  C.  G.,  1556 '37,  fol.  34,  cons.  20  febbraio  '36. 

(2)  Ibid.,  fol.  36  sgg.,  cons.  13  e  22  marzo  '36.  Questi  denari  s'ottennero 
mediante  un  contratto  speciale.  Pietro  Maria  de'  Bossi  vendette  alla  Brippio  700 
pertiche  «  terre  prative  »  e  200  «  pasculorum  »,  coi  fabbricati  ecc.  per  L.  3600, 
con  la  condizione  che  la  compratice  e  i  suoi  eredi  fossero  immuni  ce  ab  omni 
«  molestia  inquietatione  et  disturbo  qui  eidem  vel  heredibus  suis  inferri  possit  », 
cedessero  quei  beni  in  enfiteusi  perpetua  al  comune,  per  L,  200  annue,  e  col 
diritto  allo  stesso  comune  di  riscattarli  entro  dieci  anni.  Restano  una  copia 
non  autentica  del  contratto  di  vendita  e  un'  altra  della  cessione  in  enfiteusi, 
15  marzo  1536  (Casella  120,  Cartella  66).  Per  il  vallo  si  pagarono  L.  8oa 
{Trib.  XII  provv.,  i536-'37,  fol.  35,  cons.  20  marzo  '36). 


LA    PLEBE  VJGEVANESE   ALLA   CONQUISTA    DEI    POTERI,    ECC.  3I3 

a  sarà  li  farete  intendere  che  voliano  fare  ellectione  de  due  per- 
«  sene  idonee  et  mandarlle  qua  da  noi  di  modo  che  per  tuto  mar- 
«  tedi  prox.  si  trovano  qua  et  li  possiamo  significare  quanto  ne 
il  occorre  et  della  executione  ne  darete  adviso.  Medìolani  24  mar- 
"  tij  1536  »  (i). 

Brutto  segno,  queste  chiamate  ad  audiendum  verbum!  Infatti 
Antonio  Maria  da  Parona  e  Vincenzo  de'  Bastici,  tornati  da  Milano^ 
il  31  marzo,  venerdì,  riferiscono  ai  colleghi  che  il  governatore  vuol 
«  a  Ducatu  Mediolani  scuta  vigintimillia  omni  mense  ad  sustentan- 
«  dum  bellum  quod  de  presenti  est  inter  M.^m  Cesaream  et  Regem 
«  Gallorum  de  qua  quidem  summa  contingit  civitati  et  comitatui 
u  Vigl."i  scut.  204  ^/g  ",  e  conoscere  il  mercoledì  successivo  come 
hanno  pensato  di  trovarli.  I  consiglieri,  dopo  lungo  discutere,  de- 
liberano di  rimandare  ogni  risoluzione  al  giorno  appresso  «  ad 
«  hoc,  ut  res  bene  digerì  et  ruminari  possit  w.  Amaro,  il  boccone,. 
e  Simone  del  Pozzo  marchiava  il  foglio  del  resoconto  con  una 
delle  solite  noticine:  «  Heu  heu  dies  infelicissimi  »  (2).  Il  primo 
aprile  una  nuova  tassa,  generale!  Ormai  la  storia  di  Vigevano  per 
diversi  mesi  si  riduce  alle  richieste  de'  creditori  e  agli  studi  del 
consiglio  per  trovar  denari  in  un  modo  pur  che  fosse:  ultima  fonte,, 
si  capisce,  le  tasche  dei  cittadini.  « ordinaverunt  »,  dice  de' con- 
siglieri l'atto  i.^  aprile,  «  facere  ellectionem  de  octo  viris  probis 
«  et  fidedignis  ac  deum  timentibus  qui  taxare  habeant  omnes  et 
"  quascumque  personas  diete  Civitatis  ad  sumam  tantum  prò  quo- 
«  libet  capite  prout  videbitur  equum  et  iustum  ipsis  thaxatoribus 
a  et  rei  exigentia  habendo  etiam  respectum  ad  facultates  mo- 
«  biles,  que  quidem  taxatio  etiam  habeat  locum  in  cives  et  habi- 
u  tantes  in  dieta  civitate  de  presenti  etiam  si  se  absentaverint  a 
«  dieta  civitate  et  ut  nemo  a  dieta  taxa  eufugere  valeat,  volunt 
«  quod  detur  ad  exigendum  suis  rexiis  et  periculis,  et  quod  omnes 
«  teneantur  dictam  taxam  solvere  in  pecunia  numerata  tantum,. 
«  etiam  si  habere  deberet  a  p.»  comuni,  vel  habere  pretenderet,  et 
«  non  sit  locus  compensationis,  sed  in  pecunia  tantum  solvatur 
"  presens  taxa:  procedere  etiam  possit  et  valeat  in  forma  ducalis 
«  camare    occaxione  diete  taxe    et  fient    debita  capitula    prò  dieta 


(i)  C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  42,  cons.  25  marzo  '36. 
(2)  Ibid.,  fol.  43,  cons.  31  marzo  '36. 


3^4  FELICE    FOSSATI 

«  taxa  incantanda  sive  alio  modo  danda.  Impetrentur  etiam  littere 
M  R.mi  senatus  Mediolani  sive  M.^orum  niagistrorum  intratarum  dicti 
*(  status  ad  confirmationem  suprascriptorum  omnium  ut  nemo  au- 
*i  fùgere  valeat  a  dieta  taxa. 

«  Quorum  electorum  nomina  sunt  hec  videlicet 

u  D.  Aalex.r  de  rudulfis  rose,  D.  Joh.  m.^  de  Puteo,  D.  Ber- 
«  nardus  de  gusbertis,  D.  Joh.  Jac.^  de  mor.  carlarii,  D.  Zininus  de 
^<  Basticis,  D.  Alovisius  de  bellaciis,  D.  Vincen.»  de  Scottis  fragulini 
-«  D.  Ant.s  de  Collis  quaglini. 

«  Que  taxatio  fieri  debet  per  suprascriptos  omnes  qui  iurave- 
«  runt  ad  SJ*  Dei  Evangelia  manibus  propriis  tactis  scripturis  de 
«  recte  rite  facien,  et  postposita  omni  humana  gratia  etc.  »  (i). 

E  si  sbrigarono  presto,  anche,  dacché  il  12  aprile  potevano  i 
consoli  annunziare  al  consiglio  essere  la  tassa  stabilita  e  preparati 
i  capitoli  :  solo,  poiché  molti  ritenevano  che  non  se  ne  sarebbe  po- 
tuto trovare  un  «  abocator  nec  incantator  propter  exigentiam  tem- 
n  porum...  ne  aliquando  aliquid  sinistri  eveniret  p.^o  comuni  casu 
*i  quo  pecunie  non  solventur  in  ducali  camera  »,  chiedevano  che 
cosa  pensava  di  fare,  avvertendo  che  la  quota  della  città  sola,  senza 
il  comitato,  era  di  L.  510,  soldi  2,  denari  6  imperiali.  Il  consiglio 
risolveva  di  metter  la  tassa  all'  incanto  (2).  Forse  sperava  anche 
di  ottenere  qualche  agevolezza  dal  Leyva  :  certo  eransi  da  lui  re- 
cati, al  campo  imperiale  presso  Candia  Lomellina,  Gian  Maria  del 
Pozzo  e  Tommaso  de'  Ferrari  Fantoni,  se  avesse  voluto  «  non  dico 
ii  absolvere  sed  diferre  solutionem  11.  510,  s.  2,  d.  6  imper.  omni 
^<  mense...',  et  hoc  propter  ingentem  expensam  passam  ab  hospita- 
^i  tione  curie    et    societatis    Ducis    et   Ducisse    Sabaudie  »  (3),  ma 


(1)  C.  a  G.,  iS36-'37,  fol-  44. 

(2)  Ibid.,  fol.  48,  cons.  12  aprile  '36.  A  ciascuno  degli  otto  furono  date 
L.  2  «  prò  eorum  salario  et  mercede  ». 

(3)  Ibid.,  fol.  49,  in  margine:  «  Die  lune  que  fuit  festum  secundum  pa- 
x(  scatis  resurationis  D.  N.  I.  C.  Carolus  Dux  Sabaudie  cum  ux.  que  fuit  filia 
«  regis  lusitanie  sive  portugalie  et  Alio  uno  et  filia  una  venit  Vigl.m  cum  tota 
«  eius  domo  et  supelectili  et  exterorum  comitatu  qui  eum  sequebantur  prò  maiori 
«  parte  cum  filiis  et  eorum  uxorìbus  relieto  ducatu  suo  in  potestate  frane'  regis 
«  gallorum.  Die  vero  20  [aprile]  ipse  Dux  reversus  est  Candian  ubi  Cesaris 
«  exercitus  duce  Ant.o  Leiva  morabatur.  Ducissa  cum  duobus  filiis  parvulis  et 
<(  inutili  turba  ivit  Mediolanum  p.o  cusagum.  vixit  enim  prefatus  Dux  et  omnes 
«  qui  eum  sequebantur  cum  70  equitibus  catrefactis  et  80  in  circa   equites  levis 


LA.  PLEBE   VIGEVANESE   ALLA    CONQUISTA    DEI    POTERI,    ECC.         315 

Vu  lU.us  D.  Ant.s  leyva  nulla  cantate  et  misericordia  inspecta  iussit 
«  nulla  mora  imposita  diete  11.  510,  s.  2,  d.  6  solvi  debere;  aliter 
«  minatur  graves  expensas  »,  onde  i  consiglieri  ordinarono  «  omni 
^i  mora  postposita  dieta  taxa  solvi  debere  de  presenti  et  presertim 
«  a  dictis  consiliariis  antequam  consilium  disolvatur  et  sic  ab  om- 
41  nibus  diete  civitatis  taxatis  ut  in  dicto  quinterneto  ad  hoc  ut  in- 
u  dignatio  p.^'  principis  et  iminentes  expense  et  pericula  evitentur  »  : 
una  nota  marginale  c'informa  appunto  che  i  consiglieri  furono  ob- 
bligati a  pagare  prima  d'uscire  da  quell'adunanza,  sotto  pena  di 
venti  scudi.  Eppure  qualche  agevolezza  sembra  che  proprio  avrebbe 
fatto  bene  al  comune  !  11  Menocchi  chiedeva  il  resto  dei  denari,  mi- 
nacciando grave  spesa  se  non  veniva  pagato  subito,  e  il  consiglio 
non  poteva  far  altro  che  prendere  la  somma  occorrente  dal  teso- 
riere della  parrocchia  di  S.  Dionigi,  assicurandolo  che  gliel'avrebbe 
restituita  subito,  perchè  ai  tesorieri  era  appunto  stato  ordinato  dal 
consiglio  stesso,  quando  impose  la  tassa,  di  non  dare  a  nessuno 
per  nessun  motivo  i  denari  dalla  medesima  ricavati,  ad  essa  sola 
dovendo  servire.  Più  spiccio  del  Menocchi,  Jeronimo  de'  Previde 
Maffini,  creditore  di  forse  L.  800,  fece  senz'altro  sequestrar  i  de- 
nari «  in  manibus  »  di  Antonio  de'  Colli  Quaglini,  tesoriere  di 
S.  Dionigi,  onde  il  comune  non  si  poteva  «  valere  de  pecuniis 
ti  necessariis  ad  cottidianum  usum  prò  urgentibus  necessitatibus  ». 
Per  ciò  e  perchè  occorrevano  assolutamente  nuove  somme  per  la 
guerra,  il  consiglio  incaricò  la  commissione  destinata  appunto  agli 
afifari  della  guerra  di  trovar  L.  4000  imperiali.  Tutto  codesto  nel- 
l'adunanza del  6  aprile.  Nell'altra,  già  ricordata,  del  12,  i  consoli 
avvertirono  che  i  creditori.  Polo  de'  Carmelini,  Giovanni  de'  Ma- 
rino,   i    Beulci   e    molti    altri    «  graviter    instabant   de   eorum  cre- 


«  armature  per  suprascriptum  tempus  expensis  comunis  et  hominum  diete  civi- 
«  tatis  de  man.to  p.ti  Ant.  leiva,  cum  ipsi  velint  solvere,  fuit  quippe  res  lacri- 
«  mosa....  atende  ubi  dixi  relieto  ducatu  tenebatur  tamen  civitas  vercellarum 
«  maximo  et  validissimo  presidio  ».  L'ordine  del  Leyva  si  deduce  anche  dal  se- 
guente biglietto  del  Birago,  podestà  di  Vigevano,  conservato  nell'Arch.  di  Stato 
di  Milano,  Vicende  di  Comuni^   Vigevano  : 

«  Ill.mo  et  Ex.fno  S.or  S.or  et  patron,  Ohsserv.^o  etc, 

«  In  execussione  de  litere  di  V.  Ex.»  date  in  Candia  el  di  d'ogy  di  conti- 
«  nentia  che  dovesse  dimandare  li  deputati  di  questa  città  et  providere  de  allo- 


3t6  felice  fossati 

«  ditis  »»,  minacciando  spese  sopra  spese,  e  che  un  bergamasco,, 
creditore  di  L.  loo,  aveva  ottenuto  dai  maestri  delle  entrate  di 
gravar  il  comune,  passata  l'ottava  di  Pasqua,  di  40  soldi  imperiali 
ogni  giorno  !  I  consiglieri,  trovandosi  le  casse  perfettamente  vuote,, 
ma  credendo  d'aver  a  tutto  provveduto  con  la  tassa  che  si  doveva 
riscuotere  entro  l'anno,  ordinarono  a  Pietro  Maria  de'  Bossi  d'an- 
dare a  Milano  in  cerca  di  qualche  prestito,  stringendo  il  contratto- 
in  modo  che  s'avesse  tempo  di  far  l'esazione  e  così  non  si  dovesse 
sopportare  altre  spese,  dall'interesse  in  fuori.  11  guaio  è  che  non 
si  poteva  scovar  un  soldo  "  nuUibi  ad  quodvis  interesse  »,  e,  al- 
lora, un'altra  spremuta  ai  cittadini,  i  quali  furono  obbligati  di  pa- 
gare "  prò  quolibet  stano  farine  que  coquetur  ad  furnos  sol.  i  »  (i). 
Ciò  appunto  nella  seduta  in  cui  giunse  l'ingrata  notizia  della  per- 
sistenza del  De  Leyva.  Nella  successiva,  giorno  2,  torna  all'assalto 
il  Menocchi,  ancora  creditore  di  L.  400  e  più,  il  quale  di  nuovo 
«  maxima  instantia  requirit  aliter  minatur  graves  expensas  »  ed 
ha  già  Vii  executionem  paratam  »  :  ecco  quindi  i  consiglieri  delibe- 
rar d'aggiungere  alla  tassa  dieci  soldi  per  ogni  soldo  d'estimo 
[Vii  omnem  eventum  »  de' prudenti!)  con  questa  condizione,  che  si 
dovessero  riscuotere  non  oltre  al  i.°  dell'agosto  successivo;  non 
solo,  ma,  riconoscendo  che  la  tassa  dell'anno  in  corso  è  ormai  in- 
sufficiente, ordinano  che  Vincenzo  de'  Bastici  Borioli  vada  a  Mi- 
lano «  ad  perquirendum  omni  diligentia  et  cura  »  denari  per  quattro 
o  cinque  mesi:  «  interim  maturabunt  tempora  thexjìoi'"'"  qui  dictas 
a  pecunias  postmodum  persolvent  »  ;  e  che,  «  ad  subveniendum 
ii  cottidianis  necessitatibus  »,  si  aumenti  di  sei  denari  imperiali 
ogni  libra  le    carni    vendute   in    città  (2).    Né    basta    ancora.  Nella 

«  giamento  per  la  lU.ma  et  Ex.ma  s.ra  Duchessa  di  Savoia,  ho  fatto  dimandare 
a  essi  deputati  et  insema  cum  loro  havemo  proveduto  al  tuto  circa  allo  allogia- 
«  mento  taliter  che  la  mente  di  v.  ex.a  restarà  satisfata  alli  cui  pede  me  rico- 
«  mando. 

De  Viglevano  alli  XVI  di  aprili  MDXXXVI. 

«  D.  V.  E.tia  humil.  servitor 
«  Alix.ro  Birago,  doctor  et  ivi  potestà  ». 

A  tergo  :  «  Allo  lU.mo  et  Em.mo  S.or  Ant.°  \  leyva  ces.o  locumt.e  Sig.or  et 
a  I  patrono  mio  semper  osser.mo  ]  In  Candia  ». 

(i)  C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  50,  cons.  21  aprile  '56. 
(2)  Ibid.,  fol.  51,  cons.  22  aprile  '36. 


LA   PLEBE   VIGEVANESE   ALLA  CONQUISTA   DEI   POTERI,   ECC.        317 

seduta  del  29  aprile  il  console  Pietro  Maria  de'  Bossi  avverte  che 
Polo,  Giovanni  de'  Marino,  il  Menocchi,  i  Luoghi  Pii  e  i  Beulci  di 
Milano  richiedono  il  pagamento  dei  loro  crediti,  «  aliter  minantur 
li  emanare  expensas  qua  erunt  in  effectu  et  forsan  insuportabilias  », 
onde  vuol  si  provveda,  tanto  più  non  avendo  Vincenzo  de'  Bastici 
a  Milano  trovato  alcuna  somma.  Di  conseguenza  un  grande  e  lungo 
discutere,  che  non  riesce  a  nessuna  conclusione  (i).  Finalmente 
nell'adunanza  4  maggio  il  consiglio  «  postquam  nulle  pecunie  de 
«  presenti  inveniri  possunt  quovis  interesse  ob  malam  temporum 
«  qualitatem  »,  ordina  a  Pietro  Maria  de'  Bossi  e  a  Francesco  della 
Ecclesia  d'andar  a  Milano  per  indurre  l'agente  de'  Lomellini,  il  Pal- 
lavicino, il  Marino  a  voler  pazientare,  «  etiam  cum  aliquo  interesse 
«  si  opus  fuerit  »,  sino  a  che  i  tesorieri  abbiano  raccolto  tutti  i 
denari,  perchè  ai  loro  crediti  s'è  provvisto  già  dal  principio  del- 
l'anno (2).  E  del  Pallavicino  (sembra  dovesse  avere  circa  300  scudi 
d'oro  del  sole)  sappiamo  che  acconsentì  ad  un  cambio  di  denari, 
a  qualche  cosa,  crediamo,  come  l'odierna  rinnovazione  delle  cam- 
biali {3);  degli  altri  non  abbiam  trovato  cenno,  ma  almeno  per  il 
Carmelino  v'è  ragione  di  credere  che  non  si  mostrasse  tanto  in- 
dulgente, poiché  nella  seduta  del  20  giugno  il  console  Pietro  Maria 
de'  Bossi  avvisò  che  quegli  «  transmissit  magnam  expensam  et 
«  maiorem  minatur  velie  transmittere  nisi  providetur  de  credito.... 
«  suorum  principalium  videlicet  de  scut.  700  »  :  al  qual  pericolo  i 
consiglieri  dopo  lunga  discussione  non  trovarono  altro  rimedio,  che 
d'ordinare  ad  Antonio  Maria  da  Parona  e  Vincenzo  de'  Bastici  di 
andare  a  Milano  «  ad  aloquendum  predictum  D.  Polum  si  aliquo 
«  honesto  modo  velit  se  acomodari  accipien.°  scut.  100  nomine  dicti 
«  comunis  ad  interesse  simul  scut.  200  nomine  thex."orum  par.  s. 
«  Dio.  et  casu  quo  nolit  suplicetur  in  R."^o  senatu  ad  petendum  di- 
«  lationem  mensuum  sex  de  solvendo  antequam  incurratur  in  ex- 
«  pensa  interesse  quam  ipse  dominus  polus  requirit  videlicet  ad 
«  cambium  de  more  lugdunensi  Gallie  civitatis  Alobrogum  »,  dando 
insieme  al  Bastico  anche  l'incarico  di  «  iterum  capere  cambium  de 
«  certis  pecuniis  de   more   civitatis  Lugduni    Gallie   provincie  iam 


(i)  C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  53,  cons.  29  aprile  '36. 

(2)  Ibid.,  fol.  54,  cons.  4  maggio  '36. 

(3)  Ibid.,  fol.    57,  cons.  28  maggio  '36. 


3r8  FELICE    FOSSATI 

..  factum  et  finitum  die  X  mensis  presentis  junij  a  M.^o  D.  Castel- 
«  lano  de  madiis  prò  uno  alio  termino,  cùm  illismet  conditionibus 
«  sic  iam  factis  in  dicto  p.®  cambio  ».  Intanto  deliberarono  s'in- 
cantasse al  miglior  offerente  l'esazione  della  quota  de'  20000  scudi, 
«  premissa  tamen  voce  preconis  quod  unusquisque  solvat  infra  tres 
.i  dies  prox.  secuturos  aliter  elapso  dicto  termino  mitatur  Mediola- 
..  num  ad  capiendum  unum  comissarium  qui  exigere  habeat  reni- 
«  tentes  simul  cum  pena  incantus  cum  authoritate  dominis  con- 
u  sulibus  posse  contractare  de  salario  cum  aliquo  qui  vellit  exigere 
il  dictam  taxam  »»:  incaricato  di  riscuotere  i  denari  ne' tre  giorni, 
Simone  del  Pozzo  (r).  Il  Parona  e  il  Bastico  condussero  Polo  a 
Vigevano  e  i  consoli  fecero  con  lui  un  accordo  che  sottomisero 
all'approvazione  del  consiglio  il  23.  L'atto  è  assai  confuso,  onde 
non  sapremmo  dire  con  precisione  come  tale  accordo  fosse.  Certo 
è  che  del  debito  vecchio  Polo  aspettava  ad  essere  soddisfatto  in  no- 
vembre e  dicembre  ;  quanto  poi  ai  625  scudi  «  che  sono  per  lo 
«  debito  del  ficto  de  pasqua  1536  se  pigliarano  li  denari  a  cambio 
«  cum  questo  perhò  che  ogni  mese  se  li  paga  se.  100  et  se  li  as- 
u  segna  uno  thex/»  a  tal  pagamento  ita  che  lo  primo  pagamento 
«  se  facia  in  calendas  de  aug.to  prox.  et  se.  100  in  calendas  de  set- 
«  tembre,  se.  100  a  calende  de  octobre,  se.  100  a  deci  del  d.»  et 
«  se.  200  prò  d.  Antonio  quaglino  tex.o  in  calendas  de  novembre, 

«  se.  100 "  I  consiglieri  mandarono   a  Milano  «  ad  subscriben- 

«  das  litteras  cambii  »  Pietro  Maria  de'  Bossi,  Jeronimo  de'  Rodolfi, 
Vincenzo  de'  Bastici  (2);  e  come  poi  nessun  tesoriere  volle  obbli- 
garsi a  pagare  i  cento  scudi,  rifiutando  tutti  d'impegnarsi  per  più 
che  un  terzo  di  quella  somma,  ordinarono  che  s'assumesse  l'ob- 
bligo Pietro  Maria  de'  Bossi,  il  tesoriere  generale     (3). 

Ma,  girate  queste  difficoltà,  altre  ne  sorgono,  non  punto  lievi. 
Nessuno  vuol  incaricarsi  d'esigere  l'equalanzia  con  otto  soldi  né 
per  ogni  lira  «  debiti  exigendi  »,  né  per  ogni  soldo  d'estimo,  onde 
il  consiglio,  che  prima  aveva  dato  ai  XII  il  compito  di  provvedere, 
nomina  una  commissione  speciale,  composta  di  Cristoforo  de'  Ro- 
dolfi, Giovanni  Andrea  de'  Cocchi,  Giovanni  Maria  del  Pozzo,  Vin- 


(i)  C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  60,  cons.  20  giugno  '36. 

(2)  Ibid.,  fol.  63. 

(3)  Ibid,,  fol.  67,  cons.  6  luglio  '36.  ^. 


LA    PLEBE   VIGEVANESE  ALLA   CONQUISTA    DEI   POTERI,   ECC.        319 

cenzo  de'  Bossi,  che  trattasse  «  cum  quavis  persona  »  di  Vigevano 
per  «  adaptari  librum  »  dell'equalanzia,  acciocché  si  potesse  tro- 
vare un  appaltatore,  concedendo  poi  facoltà  ai  XII  d'affidarne  l'esa- 
zione in  qualunque  modo  a  qualunque  persona  lor  sembrasse  con- 
veniente per  il  comune.  E  intanto,  dall'altra  parte,  il  referendario 
insiste  per  avere  «  certas  pecunias  restantes  super  resto  se.  20000 
«  toto  statu  Mediolani  imposit.  et  quatenus  non  fuerint  solute  diete 
«  pecunie  minatur  inferre  expensas  et  pign  orari  facere  cives  diete 
u  Civitatis  quare  provideri  petit  aliter  protestatur  etc.  »  (i).  Nuovi 
capitoli  si  fanno  per  l'equalanzia,  ma  in  ultimo  il  consiglio,  pen- 
sando che  non  si  potesse  ormai  più  andar  avanti  coi  soliti  modi, 
stabilì  di  mettere  un  dazio  generale.  Riferiamo  l'intero  passo  del- 
l'atto per  r  importanza  del  provvedimento  e  perchè  accenna  alle 
tristissime  condizioni  di  Vigevano  in  quel  tempo:  «  Quoniam  Ci- 
u  vitas  ipsa  Vigl."i  quantum  agravata  arctataque  sit  ex  debitis 
«  contractis  in  annis  preteritis  ingruentium  bellorum  nemo  est  qui 
u  ignorat  quare  in  exigendis  taleiis  et  collectis  que  annuatim  im- 
n  ponuntur  domus  ipsorum  civium  destruuntur,  indigene  a  propriis 
u  laribus  fugantur  dotes  mulierum  virginum  et  viduarum  contra  fas 
a  incantantur  et  subastantur,  pupili  mendicare  coguntur  et  multa 
«  alia  scandela  occurrunt,  quare  bonum  esset  novum  modum  pQV- 
u  quirere  exigendi  pecunias  prò  sanandis  debitis  utsupra  contractis 
u  et  precipue  a  rebus  quibuscunque  que  introducuntur  in  ipsa  ci- 
«  vitate,  que  ita  faciendo  tollentur  de  medio  multe  querelle  que  in 
«  dies  oriuntur  Inter  ipsos  cives  occaxione  trafici  de  quo  cavetur 
«  in  statutis  et  multe  alle  querimonie  quarum  recenseri  ita  fasti- 
«  diosum  esset  quam  longum  que  omnia  ita  faciendo  cessarent. 

u  Iccirco  p.ti  domini  conJ'i  elligerunt  infrascriptos  dominos  qui 
«  perquirere  habeant  modum  et  formam  tenendi  circa  dictas  pe- 
«  cunias  exigendas  et  de  omnibus  datum  unum  facere  videlicet  de 
«  omnibus  rebus  que  in  dieta  civitate  introducuntur  ac  in  districtu 
«  ipsius  civitatis  nascuntur  et  colliguntur  et  illa  omnia  in  scriptis 
«  redigere  et  postmodum  in  Consilio  religere  et  secundum  quod 
«  postmodum  placuerit  cons.o  generali  firmari  et  stabilire  ut  ad  ul* 
«  teriora  procedere  possit. 

«  Quorum  ellectorum  nomina  sunt  hec  videlicet  : 

(i)  C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  68  sgg.,  cons.  6  e  15  luglio  '36. 


320  FELICE    FOSSATI 

«  D.  Vinc.s  de  bosiis,  D.  Vinc^  de  basticis,  D.  Joh.  m.a  de 
it  putheo,  D.  Joh.  Jac.»  de  morsellis  carlerii,  D.  franc.s  de  natalibus, 
a  D.  Janinus  de  basticis,  D.  Vinc.»  de  carbonibus,  D.  Alex/  de  ro- 
^<  dulfis  rose. 

«  Ita  quod  maior  pars  ipsorum  possit  perficere.  Et  hoc  in  ter- 
4t  mino  hinc  ad  medium  mensem  Aug.^i  prox.  futuri  »  (i). 

E  da  questo  scorcio  di  lugho  in  avanti,  trovato  finalmente, 
dopo  vari  tentativi,  un  appaltatore  dell'equalanzia  in  Gian  Giacomo 
de'  Tiboldei  Piccioni  (2);  incaricati  Giov.  Andrea  de'  Cocchi,  An- 
tonio de'  Colli  Quaglini  e  Luigi  de'  Bellazzi  di  fare  «  novum  librum 
^<  catestrorum  ad  formam  statutorum  »  per  risolvere  la  questione 
col  comitato  circa  la  spesa  del  vallo  a  Pavia  (3),  e  altri  (già  no- 
minati perchè  trovassero  150  scudi  del  sole,  necessari  a  pagare 
certi  debiti)  di  trattare  tale  questione  (4);  provveduto  alla  quota  dei 
20000  scudi  per  agosto  e  settembre,  ordinando  che  la  si  riscuotesse 
con  gli  stessi  modi  dei  mesi  precedenti,  «  salvis  tamen  iuribus  com- 
u  pensandi  quibus  compensari  venerint  ad  formam  statutorum  ci- 
<i  vitatis  "  (5),  il  consiglio  non  s'occupò  per  alcuni  mesi  quasi  altro 
che  delle  due  questioni  intorno  al  dazio  e  al  nuovo  estimo  de'  mer- 
canti, sempre  tenuto  in  una  certa  apprensione,  talvolta  anco  in  an- 
siosa apprensione,  dai  malumori  della  plebe  irrequieta. 

Il  31  luglio,  avvertiti  che  i  Beulci,  attuando  le  minacele  più 
volte  lanciate,  avevano  chiesto  denari  ai  tesorieri  della  città,  i  quali 
non  ne  diedero  perchè  non  ne  avevano,  e  che  il  referendario  aveva 
mandato  l'ordine  di  pagare  entro  il  20  agosto  le  quote  de'  20000 
scudi  per  agosto  e  settembre,  i  consiglieri  riconfermarono  la  no- 
mina fatta  il  20  febbraio  della  commissione  eletta  ad  eseguir  l'estimo 
dei  traffici,  le  diedero  «  authoritatem  posse  transmittere  unum  vel 
«  duos  Mediolanum  vel  ad  quem  locum  magis  expediens  fuerit  ad 
«  consulendum  omnem  et  quamcumque  deferentiam  que  oriri  con- 
u  tingerit  occasione  dicti  extimi  trafici  conficiendi  »  e  differirono 
tre  giorni  i  provvedimenti  da  prendere  per  le  notizie  ricevute  (6). 


(i)  C.  C.  G.,  15 36-' 3 7,  fol.  73,  cons.  20  luglio  '36. 

(2)  Ibid.,  fol.  75,  cons.  28  luglio  '36;  fol.  82,  cons.  9  agosto  '36. 

(3)  Ibid.,  fol.  76,  cons.  28  luglio  '36. 

(4)  Ibid.,  fol.  80,  cons.  2  agosto  '36. 

(5)  Ibid.,  fol.  8r,  cons.  2  agosto  '36. 

(6)  Ibid.,  fol.  79,  cons.  31  luglio  '36. 


LA    PLKBE    VIGEVANESE    ALLA    CONQUISTA   DEI   POTERI,   ECC.         32I 

Nel  seno  di  quella  commissione  parecchie  discordie  v'erano,  soprat- 
tutto intorno  alla  questione  se  si  doveva  andar  a  Milano  «  in  con- 
u  sulendo  super  causas  ipsarum  diferentiarum  »  oppur  no,  stando 
al  giudizio  del  pretore,  secondo  gli  statuti;  e  i  consiglieri,  richiesti 
di  un  provvedimento,  il  9  agosto  ordinarono  che  nel  pomeriggio 
di  quello  stesso  giorno  la  commissione  si  radunasse  col  pretore  e 
accomodasse  le  cose  (i).  Ma  probabilmente  nulla  si  risolvette,  e 
buon  tempo  ancora  sarebbe  passato  fra  inconcludenti  discussioni, 
se  il  timore  che  la  plebe  rinnovasse  le  dolorose  gesta  di  anni  ad- 
dietro non  fosse  sopravvenuto  a  impensierire  seriamente  il  consi- 
glio. Ecco  integralmente  il  brano  dell'atto  che  ce  ne  fa  fede  :  «  Item 
«  in  dicto  Consilio  expositum  fuit  per  dictos  dominos  consules  et 
«  plures  de  Consilio  qualiter  multi  de  populo  et  populariter  minantur 
«  contra  homines  de  Consilio  faciendi  et  perpetrandi  aliquid  mali 
«  prout  de  preterito  fecerunt  et  perpetraverunt,  quod  malum  adhuc 
«  durat,  quod  fere  Civitas  ipsa  remanet  desolata  et  exausta  quare 
«  provideri  petunt  aliter  protestantur  contra  M.^um  j)^  loc.^^"'  et 
«  eius  officium  prò  interesse  cjucalis  et  imperialis  camere  ofFerentes 
M  ex  nunc  prefati  domini  ad  omnem  effectum  homines  paratos  ad 
«  omnem  opportunitatem  et  necessitatem  in  dieta  causa. 

u  Qui  dominus  loc."^  obtulit  se  paratum  facere  omnia  que  fa- 
ti  cere  tenetur  et  expediens  fuerit  dicto  eius  officio  petens  etiam 
«  homines  necessarios  et  opportunos  in   omnem   casum  aliter  etc. 

«  Qui  domini  dederunt  et  dant  authoritatem  dominis  consulibus 
■  a  accipiendi  tot  homines  in  dieta  eausa  quos  fuerint  necessarios 
a  et  opportunos  ad  omnem  requisitionem  p.^»  d.  loc^is  et  expendendi 
«  etiam  de  ere  proprio  ipsius  comunitatis  quatenus  expediens  fuerit  ». 
Questo,  a  dir  vero,  non  sarebbe  stato  rimedio  bastante  ad  allon- 
tanare per  sempre  ogni  pericolo,  anzi,  recando  nuovo  peso  alle 
finanze  del  comune,  avrebLe  finito  con  l'accelerare  e  fors'anco  ina- 
sprire la  reazione  della  plebe,  e  il  consiglio  stesso,  di  ciò,  crediamo 
noi,  persuaso,  ordinò  anche  a  Vincenzo  de'  Bossi  e  a  Giov.  Maria 
del  Pozzo  d'andar  a  Milano  «  tanquam  ellecti  ab  oeto  ellectis  ad 
u  faciendum  extimum  trafici  ad  se  se  clarificandum  in  certis  dubiis 
a  dicti  statuti  prò  dicto  trafieo  conficiendo  »  (2).  Questo  il  25  agosto; 


(i)  C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  82,  cons.  9  agosto  '36. 
(2)  Ibid.,  fol.  84,  cons.  25  agosto  '36. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXTI,  Fase.  Vili. 


322  FELICE   FOSSATI 

il  26,  di  rincalzo,  la  seguente  deliberazione;  « In  quo  quiderrr 

«  Consilio  sic  utsupra  cong.^°  expositum  fuit  per  d.  frane.'"  de  Putheo 
«  consulem  utsupra  causam  presentis  cong.ni^  hanc  esse  videlicet 
«  qualiter  cum  diu  et  diu  versa  sit  et  adhuc  vertatur  questio  per 
«  et  inter  ipsos  cives  occaxione  onerum  imponendorum  in  futurum 
"  et  ad  tolendum  littes  et  questiones  que  in  dies  oriuntur  a  plebe, 
u  que  semper  prona  est  ad  tumultus,  propter  dieta  onera  novum 
u  invenire  modum  exigendi  peeunias  ad  sanandum  debita  dieti  eo- 
.«  munis,  minori  dispendio  ipsius  comunità tis  quam  fit  per  taleas 
X  et  coUectas  quibus  dispendiis  plebs  ipsa  concitatur  ad  tumultum 
«  et  presertim  tolendi  perpetuam  disceptationem  extimi  trafici  qui 
M  nunquam  fuit  in  ipsa  Civitate  et  olim  terra  nec  tempore  proavum 
«  nostrorum  quibus  ablatis  et  evulsis  de  facili  vivetur  in  ipsa  ci- 
«  vitate  amicabiliter  et  fraterno  civium  more  ut  vivere  decet  et 
a  sic  omnes  invitat  ad  inveniendum  dictum  modum  aliter  protesta- 
.<  tur  etc.  »  :  i  consiglieri  deliberano,  «  inherendo  alteri  ordinationi 
«  facte  sub  fol.  74,  addi  debere  alios  quatuor  viros  probos  et  ido- 
u  neos  qui  simul  cum  aliis  octo  in  dicto  Consilio  ellectis  diligenti 
«  perquisitione  inquirere  habeant  omnia  debita  dicti  comunis  et 
u  datum  mercium  in  melius  reformare,  ad  hoc  ut  dignosci  possit 
«  qualiter  diete  pecunie  exigi  debent  ad  sanandum  dieta  debita  et 
u  quanto  citius  fieri  possit  in  Consilio  generali  referre,  ad  hoc  ut 
'*  Comunitas  ipsa  providere  valeat  et  possit  et  dictas  differentias 
«  tollere  et  extirpare  presertim  traffici  que  tamdiu  viget  in  ipsa 
«  civitate  penes  aliquos  plebis  concitatores...  »  Gli  aggiunti  furono 
Cristoforo- de' Rodolfi,  Vincenzo  degli  Scotti,  Michele  de' Cavalli, 
Giov.  Antonio  de'  Podessi  (i).  E  finalmente  il  29  s'approva  il  dazio, 
stabilendosi  che  per  gli  oneri  ordinari  si  provveda  nel  modo  fis- 
sato dagli  statuti,  e  che  le  somme  occorrenti  alle  spese  straordi- 
narie passate  e  future  si  chiedano  al  dazio  :  «  In  q°  quidem  Con- 
«  silio  sic  utsupra  cong.^o  expositum  fuit  per  iamdictum  d.  consu- 
«  lem  causam  presentis  cong."is  hanc  esse  sicuti  elleeti  in  Consilio 
«  prox.  preterito  in  executione  dicti  consilii  omnia  exposita  et 
«  enarrata  ac  eis  imposita  executi  fuerunt  prò  eorum  posse  vide- 
«  licet  in  perquirendo  debita  dicti  comunis  que  sanari  debentur 
u  per  taleam  possessionum  et  testarum    ac   fictorum    libellariorum 

(i)  C.  C.  (?.,  i536-'$7,  fol.  87,  cons.  26  agosto  '36. 


LA    PLEBE   VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA    DEI    POTERI,   ECC.         323 

«  ad  formam  statutorum  ipsius  civitatis  et  ita  alia  debita  que  sa- 
"  nari  debentur  per  bona  mobilia  et  mercimonia  que  ingredientur 
••  civitatem  ad  usum  civium  diete  Civitatis  et  precipue  mercium 
«  loco  trafici  exigendo  ad  portas  ipsius  civitatis  insta  datum  iam 
••  formatum  et  bene  digestum  prò  quibus  auferetur  antiqua  que- 
«  rella  alternaque  iurgia  mercimoniarum  et  trafici  inter  cives  et 
'<  mercatores  ipsius  civitatis  cui  dato  additum  et  detractum  fuit 
..  quicquid  addi  et  detrai  debebant,  quare  super  premissis  quid 
"  agendum  sit  ordinari  petit  alit.  etc. 

a  Qui  datus  prout  res  solvere  tenebuntur  in  ingressu  diete 
a  Civitatis  tantum  et  ad  usum  ipsorum  civium  etiam  tantum  lectus 
«  fuit  in  dicto  Consilio  omnibus  audientibus  fuit  quod  nemine  con- 
«  tradicente  approbatus  et  confirmatus.... 

«  Quibus  sic  dictis  et  dilligenter  intellectis  p.*'  domini  conJ" 
«  nemine  contradicente  ut  semel  auferatur  antiqua  querimonia  dicti 
.<  trafici  et  forma  ipsorum  statutorum  servetur  tam  super  oneribus 
«  ordinariis  quam  extraordinariis 

«  Ordinaverunt  post  multa  hinc  inde  dieta  et  alegata  quod 
«  extimus  possessionum  et  testarum  ac  fictorum  libellariorum  dem- 
a  ptis  hedificiis  in  dieta  civitate  ad  formam  predictorum  statuto- 
«  rum  solvere  teneatur  et  debeant  onera  et  gravamina  ordinaria 
'<  que  sunt  stabilia  et  firma  et  immutabilia  ac  invariabilia  diete  ci- 
"  vitati  merces  et  mercimonia  ac  descripta  in  dicto  dato  et  capitulis 
i'  dicti  dati  solvere  teneantur  et  debent  omnia  onera  extraordinaria 
.<  occursa  et  que  in  futurum  occurrent  et  ipsa  sananda  in  eo  teni- 
ii  pore  quo  visum  fuerit  p.^o  comuni  et  sint  ipsa  loco  trafici  ipsius 
..  de  quo  iamdiu  facta  fuit  et  fit  questio. 

«  Hoc  tamen  quod  presens  datus  et  dieta  exactio  ad  illam  su- 
"  mam  que  de  presenti  est  durare  habeat  per  annum  et  ultra  ad 
"  beneplacitum  dicti  comunis  videlicet  etiam  illum  diminuere  et 
a  augere  etiam  quotiens  ipsi  placuerit,  et  aufere  voluerit  in  totum 
u  vel  in  partem  iuxta  occurrentiam  et  necessitatem  temporum  ha- 
«  bita  tamen  licentia  a  superioribus  talia  faciendi  a  quibus  haberi 
u  potest  et  debetur  de  iure  videlicet  a  s.^^o  Pontifice  vel  a  R.^^  se- 
'i  natu  vel  a  quibus  expediens  fuerit. 

«  Quibus  sic  peractis  p.tì  domini  Cons."'  quoniam  evidenter 
«  apparet  omnia  incitamenta  et  fomenta  littium  et  querimoniarum 
«  tam  populi  quam  plebis  et  aliarum  diversarum  personarum  que 
«  per  manus  quotidie  erant  esse  penitus  cassa   irrita  et  extirpata 


324  FELICE   FOSSATI 

u  iccirco  ordinaverunt  supplicari  debere  R."^o  Senatui  Cesareo  ut 
«  dispensare  velit  his  durantibus  amplius  habere  debere  in  usu 
u  traficus  diete  Civitatis  ad  formam  ipsorum  statutorum  sub  ru- 
«  brica  de  mercimoniis  extimandis. 

«  Infrascripti  omnes  protestati  sunt  et  protestantur  predicta 
«  locum  habere  non  debere  nisi  nundine  alias  impetrate  renun- 
u  tientur  ducali  camere  si  ve  imperiali  que  cedere  videntur  nisi  in 
ti  preiudicium  diete  civitatis  et  quatenus  aliter  factum  fuerit  non 
«  consentiunt  nec  consentire  intendit. 

«  Quorum  nomina  sunt  hec  videlicet 

«  D.  frane.»  de  putheo,  D.  Vinc.s  de  carbonibus,  D.  Frane.»  della 
«  Ecc.*,  D.  Petrus  m.^  de  vastamiliis,  D.  Jacobus  de  Collis  tebaldi, 
u  D.  Stephanus  de  bellaciis,  D.  Bernardinus  de  fumo,  D.  frane.»  de 
«  cassolio. 

«  Protestat.  quoque  infrascripti  domini  nullo  pacto  consentire 
«  p.te  ordinationi  de  exigendo  dictum  datum  utsupra  expressum 
«  fuit  nisi  ad  formam  statutorum  ipsius  civitatis  et  non  aliter  nec 
«  alio  modo. 

«  Quorum  nomina  sunt  hec  videlicet 

a  D.  frane.»  de  cassolio,  D.  Bernardinus  de  fumo  minelli, 
«  D.  franc.s  della  Ecclesia. 

«  Qui  d.  Con.")  ordinaverunt  contra  dictos  protestantes  si  et 
a  quatenus  nollunt  consentire  observetur  forma  statutorum  diete 
u  civitatis  prò  oneribus  solvendis  >»  (i). 

Quell'era  un  deliberare  a  tutto  vapore!  11  guaio  è  che  simili 
provvedimenti,  destinati  a  far  cessare  ogni  malumore  tra  la  plebe 
e  ogni  pericolo  di  sommosse,  vero  o  no  quanto  ritenevano  i  con- 
siglieri che  gli  agitatori  amassero  tirar  in  lungo  la  questione  sul- 
l'estimo dei  traffici,  onde  veniva  materia  «  prebendo  fomenta  lit- 
u  tium  inscie  plebi  »,  simili  provvedimenti  alla  plebe  non  garbarono. 
Nell'adunanza  13  settembre  uno  dei  consoli  espose  che  Giuliano 
degli  Ardizzi  e  Camillo  de'  Colli  «  suis  nominibus  et  nomine  ple- 
«  beorum  »  domandavano  si  facessero  gli  estimi  de'  beni  immobili 
e  dei  traffici,  e  siccome,  quant'  al  primo  non  sapeva  in  che  po- 
tesse giovare  alla  plebe,  a  cui  anzi  sarebbe  riuscito  di  peso,  e  il 
secondo  contrastava  con    la   recentissima  deliberazione  del   consi- 

(i)  C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  88,  cons.  29  agosto  '36. 


LA   PLEBE   VIGEVANESE   ALLA    CONQUISTA    DEI   POTERI,   ECC.        325 

glio  sul  dazio,  esortò  i  consiglieri  a   provvedere.  Essi  chiamarono 
nell'assemblea  i  rappresentanti  della  plebe.  Giuliano  degli  Ardizzi 
e  Camillo  de'  Colli   appunto,    con    Giovanni  Matteo  de'  Gravalona 
Alioli  e  Tommasino  de'  Biffignandi  Bettoni:   ma   la  loro  petizione 
«  quia  erat  enormis  »,  dice  l'atto,  «  et  sibi  authoritatem  atribuere 
u  volebant  penitus  reiecta  fuit,  quia  non  decet   servos  legem  im- 
«  ponere  dominis  sed  ipsi  debent   parere  suis  mandatis....  ».  Tut- 
tavia «  ad  peticionem  plebeorum  simul   cum  ordinatione  R.™'   Se- 
«  natus  prò  novo  extimo  confìciendo  »,  nominarono,  appunto   per 
l'estimo,  la  commissione  de' nove,  secondo   gli   statuti:  per  i  citta- 
dini (i),  Giov.  Maria  del  Pozzo,  Pietro  Maria  dell'Acqua,  Alessandro 
de'  Rodolfi,  sostituiti   poi,  questi    ultimi    due,  perchè    non    ritenuti 
nobili,  nella  seduta  9  ottobre,  con  Fabrizio  de'  Vastamigli  e  Giacomo 
de'  Madì;  per  i  mercanti.  Bernardino  de'  Gusberti,  Matteo  de'  Bossi, 
Giov.  Andrea  de'  Cocchi;  per  i  plebei,  Andrea  de'  Previde  Regis, 
Giov.  Antonio  de'  Rodolfi  Bozi,  Antonio  de'  Mono  detto  Chiochino, 
col  patto  che  la  maggioranza  di   loro   bastasse   alla   validità   delle 
deliberazioni;  tutti  poi  dovevano  avere  un    salario  da    fissarsi  dal 
comune,  e  a  tutti  il  consiglio  assicurava  l'immunità  contro  ogni  pena 
stabilita  dal  senato  circa  il  tempo  concesso  ai  lavori,  fino  a  che  le 
autorità  superiori  si  fossero  pronunziate   sul    dazio:    «  quia  omne 
«  studium  ipsorum  consiliariorum  »,  seguita  l'atto,  «  est  semel  tol- 
«  lere  ab  ore    aliquorum    qui   semper    huius    traffici  materiam  ha- 
«  bent  prebendo  fomenta  littium  inscie  plebi  cum  huius  traffici  ex- 
u  timus  nunquam  tempore  antiquo  fuerit  factus  imo  nomen  ipsum 
«  horruerint    quia    dignoscebant    ipsum    penitus    esse    noxium    et 
«  semper  parere  novas  formas  querellarum  et    non  nulla  pericula 
«  alere  inter  cives  »  (2).  E  così  fermi  erano  i  consiglieri  nell'idea 
del  dazio,  che  avendo    essa  suscitato  nella   popolazione,    ond'  era 
censurata,  parecchi  lamenti,  il  26  settembre  «  ordinaverunt  dictam 
a  ordinationem  [29  agosto]  inferius  anotari  additis  addendis  ad  hoc 
u  ut  querelle  predicte    de    dieta  civitate    penitus    auferentur   et  ut 
u  infra  de  novo  ordinant  videlicet 

«  Quod  extimus  possessionum  et  testarum  ac  fictorum  lìbella- 
«  riorum  demptis  hedificiis  in  dieta  civitate    et   suburbiis   existen- 


(i)  Anziché  cìvium,  era  stato  scritto  prima  nohilium. 
(2)  C.  C.  G  f  i536-'37,  fol.  91,  cons.  13  settembre  '36. 


326  FELICE    FOSSATI 

«  tibus  ad  formam  statutorum  civitatis  predicte  non  obstante  aliqua 
"  sententia  arbitramentali  alias  lata  per  R."^  d.  Galeacium  Petram 
^<  primum  antistitem  diete  civitatis  et  d.  Julianum  piscinam  qua 
«  cavebatur  domus  et  hedificia  diete  civitatis  teneri  ad  solutionem 
«  talearum  ex  tribus  partibus  ex  quinque....  cui  sententie  p.^'  do- 
-«  mini  eonsiliarii  ex  nunc  renuntiaverunt  et  renuntiant  adeo  quod 
«  in  futurum  nullum  unquam  sortiatur  effectum  quo  ad  partem 
41  illam  quod  domus  sive  hedificia  tenerentur  prò  tribus  partibus 
«  ex  quinque,  in  aliis  vero  remaneat  dieta  sententia  in  suo  robore 
^<  solvere  teneantur  et  debeat  onera  et  gravamina  ordinaria  que 
*i  sunt  stabilia  firma  et  invariabilia  diete  civitati. 

«  Merces  et  mercimonia  deseripta  in  dieto  dato  et  eapitulis 
Il  dieti  dati  solvere  teneantur  et  debeant  omnia  onera  extrahordi- 
«  naria  occursa  in  presentiarum  vigentia  et  que  occurent  p.^»  co- 
«  muni  in  futurum  et  ipsà  sanare  in  eo  tempore  quo  visum  fuerit 
«  ipsi  comuni  et  sint  ista  loco  trafiei  ipsius  civitatis  de  quo  iamdiu 
«  faeta  fuit  et  fit  questio  inter  cives  et  mereatores  ipsius  civitatis. 

«  Et  per  quod  spatium  temporis  durare  habeat  dieta  exactio 
a  et  alia  necessaria  ad  dictam  exactionem  impetrandam  ut  in  dicto 
u  Consilio  debita  habeatur  relatio  et  quatenus  expediat  prout  in  ibi 
a  est  de  novo  ordinaverunt  et  ordinant  incipiendo  prius  ut  in  mar- 
u  gine  fol.  89  (i). 

«  Hoc  tamen  addito  quod  quotiens  dieta  exatio  utsupra  expresa 
a  cum  dieto  dato  ad  portas  haberi  et  impetrari  non  posset  tune 
«  et  eo  in  casu  quo  ad  traficum  dieti  domini  eonsiliarii  se  remit- 
«  tunt  ad  dispositionem  statutorum  diete  civitatis  »  (2). 

Ma  la  plebe,  dal  canto  ,  suo,  non  si  accontentò  di  protestare 
a  Vigevano  :  fece  pervenire  le  lagnanze  anche  al  senato  in  Mi- 
lano, il  quale  si  decise  ad  intromettersi.  Le  prime  accuse  mosse 
contro  il  consiglio  dovettero  però  concernere  non  i  nuovi  provve- 
dimenti, bensì  l'amministrazione  passata,  con  lo  scopo,  a  noi  pare, 
di  giungere  ad  ottenere  una  riforma  nella  costituzione  del  consiglio 
medesimo.  Così  aprono  i  consoli  la  seduta  8  aprile:  «  M.^e  pretor 


(i)  In  margine  :  a  Item  quod  dieta  exactio  ad  portas  ipsius  Civitatis  cani 
«  dato  super  inde  confecto  durare  habeat  per  annum  et  ultra  ad  beneplacitum 
«  diete  communitatis  etc.  w. 

(2)  C.  C.  G.,  i536-'57,  fol.  95,  cons.  26  settembre  '36. 


LA    PLEBE   VIGEVANESE   ALLA    CONQUISTA    DEI   POTERI,    ECC.         327 

■«  et  vos  viri  fratres  in  hac  presenti  congregatione  evocati  causa  hec 
M  est  scilicet  cum  multotiens  R  "^  Cesareus  Senatus  Mediolani  audi- 
«  verit  quasdam  querellas  per  quosdam  excitatores  populi  porectas 
«  astruentes  respu.  Vigl."'  per  hosce  rectores  qui  nunc  sunt  male 
«  esse  administratam  et  plures  ordines  contra  ipsius  statutorum 
«(  civitatis  dispositionem  et  perversos  in  maximum  dedecus  ipso- 
^i  rum  rectorum  et  interesse  ipsius  civitatis  quia  plebs  ipsa  iam 
■a  comota  nequit  solvere  taleas  iam  impositas  in  principio  anni  prò 
«  sanandis  debitis  ipsius  civitatis.  Qua  propter  ellegit  p.f"^  R."s  Se- 
«  natus  multum  M.^^f"  Petrum  Paulum  Rigonem  de  numero  ipsorum 
<«  senatorum  ad  auscultandum  ipsas  querellas  et  disceptationes  qui 
M  modo  venit  Vigl.'"  per  hasce  querellas  ad  plenum  ab  utraque 
«  parte  intelligendum  iussitque  tres  sive  quatuor  viros  elligere  prò 
■"  parte  ipsius  Comunitatis  qui  coram  p.^^  Senatore  exponere  ha- 
^<  beant  omnia  parte  ipsius  Comunitatis  ac  de  quibus  fuerint  inte- 
-"  rogati  ipsum  clarificare  ac  dilucidare  de  agitatis  per  ipsum  co- 
^<  mune  ut  Dominatio  sue  contentetur  quam  electionem  fieri  petunt 
■*i  aliter  etc.  et  sic  dixit  vele  fieri  prò  parte  plebis  quia  coram  se 
a  non  vult  tantam  multitudinem  hominum  igitur  etc.  in  cuius  qui- 
-«  dem  executione  p.^i  domini  ellegerunt  infrascriptos  viros. 

«  Quorum  nomina  sunt  hec  videlicet 

«  D.  Ant.s  m.a  Parona,  D.  Christ.s  de  rodulfis,  D.  Vinc.»  de 
«  bosiis,  D.  Petrus  m.^  de  bosiis,  D.  Franc^  de  Putheo,  D.  Gu- 
^<  liermus  de  previde,  D.  Alovisius  de  bellaciis,  D.  Alex.^  de  rodulfis 
■a  rose,  D.  Job.  Jac.^  de  morsellis  carlevarii,  D.  Vinc.»  de  bastiis  bo- 
^<  rioli,  D.  Petrus  de  Tochis  »  (i). 

La  prima  accusa  dunque  mossa  all'operato  del  consiglio  e 
della  quale  ci  resti  memoria  nei  resoconti  delle  sedute,  riguardò 
<iuasi  diremmo  la  condizione  necessaria  e  sufficiente  per  esser  con- 
siderato «  nobile  ».  Abbiam  già  ricordato  la  sostituzione  di  Fabrizio 
de'  Vastamigli  e  Giacomo  de'  Madì  a  Pietro  Maria  dell'Acqua  e 
Alessandro  de'  Rodolfi:  essa  avvenne  per  ordine  del  Rigone: 
ii  ....  alios  duos  in  eorum  loco  elligi  debere  sub  titulo  nobilium 
^i  qui  videlicet  a  reformatione  statutorum  citra  non  fecerint  aliquod 
*i  exercitium  sive  artem  in  civitate  Vigl."'  videlicet  etiam  et  Lani- 


(i)  C.  C.  G.,  i556-'37,  fol.  97,  cons.  8  ottobre  '36.  Cfr.   anche,   Trih,  XU 
provv.,  fol.  124,  la  nota:  «  ....  dum  maxima  fieret  lis....  ». 


328  FELICE   FOSSATI 

«  ficii  et  aliarum  artium  si  que  sunt  vel  fuerint,  aliter  etc.  Et  hec 
M  omnia  ad  sedandum  querellas  aliquorum  qui  produxerunt  novam 
u  listam  aliquorum  quos  astruunt  fore  nobiles  in  dieta  civitate  ". 
In  conseguenza  di  ciò,  verosimilmente,  il  consiglio  medesimo  sta- 
bilì che  si  potesse  eleggere  come  nobile  per  far  l'estimo  chi  non 
aveva  esercitato  nessuna  arte,  neppure  quella  del  lanificio,  per  tre 
anni  prima  dell'elezione  (i). 

E  quella  dovette  anche  esser  la  sola  questione  dal  senatore  ri- 
solta in  Vigevano,  perchè  subito  il  venerdì  13  ottobre  i  consoli  reca- 
rono al  consiglio  l'ordine  «  ut  fìeret  electio  de  quatuor  viris  idoneiis 
«  ad  faciendum  calcula  in  civitate  Mediolani  occaxione  difFerentie 
«  que  vertitur  inter  agentes  nomine  dicti  comunis  ex  una  et  plebeos 
«  sive  agentes  eorum  nomine  ex  alia  propter  administrationem  bo- 
u  norum  diete  comunitatis  et  prout  latius  in  actis  etc.  Et  hoc  die 
«  lune  prox.  fut.  cum  libris  et  seripturis  in  dieta  causa  necessarii^ 
u  et  oportunis  et  ita  fieri  petunt  aliter  etc.  »,  conforme  al  quale 
il  consiglio,  «  ut  veritas  appareat  de  querellis  falso  illatis  ab  in- 
«  docta  plebe  contra  ipsos  consili arios  »,  nominò  Cristoforo  de'  Ro- 
dolfi, Giov.  Maria  del  Pozzo,  Luigi  de'  Bellazzi,  Alessandro  de'  Ro- 
dolfi Rose,  come,  nella  stessa  seduta,  aveva  prima  incaricato 
Cristoforo  de'  Rodolfi,  Francesco  e  Giov.  Maria  del  Pozzo,  Vin- 
cenzo de'  Bossi  d'andar  pure  a  Milano  «  ad  contractandum  cum 
u  ducali  camera  prò  expediendo  datum  et  licentiam  exigendi  ad 
«  portas  w  (2).  Due  questioni  avean  dunque  suscitate  e  trattavano 
contemporaneamente  i  plebei:  l'una,  svolgentesi  innanzi  al  senatore 
Pietro  Paolo  Rigone,  sull'amministrazione  del  consiglio,  l'altra,  da- 
vanti alla  camera  ducale,  sul  dazio.  E  mentre  tali  questioni  richie- 
devano un  tempo  discretamente  lungo  e  spese  non  lievi  (3)  per 
venir  risolte,  la  necessità   di    trovar   denari    si    faceva    ognor  più 


(i)  C.  C.  G.,  1536 '57,  fol.  99,  cons.  9  ottobre  '36. 

(2)  Ibid.,  fol.  lOi,  cons.  13  ottobre  '56. 

(3)  Cfr.  Trib.  XII  provv.,  fol.  iii,  cons.  23  ottobre  '36;  si  concede  ai 
quattro  rappresentanti,  che  si  trovano  a  Milano  per  la  questione  con  la  plebe,  di 
dare  a  agentibus  indocte  et  excecate  plebis  »  qualche  somma  a  de  haere  »  del 
comune  «  modo  quod  quantocitius  finis  imponatur  quia  quantum  res  in  longum 
«  magis  distrahitur  magis  fit  in  damnum  et  interesse  diete  civitatis  quia  plebs^ 
«  ipsa  nescit  quid  vellit,  sed  peccatum  est  illorum  qui  eam  per  tenebras  in  suum 
«  damnum  trahent  ». 


LA    PLEBE   VIGEVANESE    ALLA   CONQUISTA    DEI    POTERI,    ECC.        329 

Stringente.  In  settembre  il  referendario  aveva  già  fatto  «  pignorar! 
«  quasdam  bestias  »  e  preso  altre  misure  per  ottenere  un  residuo 
di  L.  200  delle  mesate  scadenti  (i);  nell'ottobre  poi,  ancora  a  pro- 
posito della  quota  de'  20000  scudi,  i  consiglieri  lungamente  ebbero 
a  discutere  sul  modo  di  cavare  i  denari,  senza  potersi  mettere 
d'accordo.  Nell'adunanza  del  giorno  15  il  pretore,  vedendo  che 
non  s'arrivava  a  nessuna  conclusione  e  pur  urgeva  provvedere, 
intervenne  ordinando  che  si  esigessero  le  tasse  come  s'era  soliti 
nel  passato,  salvo  a  ciascuno  il  diritto  di  farsi  rimborsare  la  somma 
pagata  in  più,  in  conseguenza  delle  deliberazioni  che  si  sarebbero 
prese  circa  il  dazio;  ma  allora  diversi  consiglieri  protestarono,  di- 
chiarando che  volevano  si  osservassero  in  tutto  gli  statuti  e  si  fa- 
cesse quindi  anche  l'estimo  de'  traffici  (2).  Senonchè  i  contribuenti  si 
ribellavano  contro  i  modi  fin  allora  usati,  onde  i  consoli,  nell'adu- 
nanza del  giorno  16,  chiesero  che,  non  ostante  l'ordine  del  pretore,, 
testé  accennato,  si  prendesse  un'altra  deliberazione.  Disputarono  i 
consiglieri,  ma  non  riuscirono  a  mettersi  d'accordo:  il  pretore  rin- 
novò l'ordine,  e  di  nuovo  «  permulti  »  non  v'acconsentirono,  onde 
i  consoli  «  protestati  fuerunt  et  protestantur  per  se  se  non  stetisse 
«  nec  stare  quominus  diete  exactioni  non  provideatur  prò  interesse 
«  imperialis  camere  et  etiam  de  quibuscunque  expensis  que  fieri 
«  et  oriri  contigerit  premissa  ex  causa  propterea  quod  bis  sive  ter 
«  evocari  fecerunt  consilium  generale  ut  oportune  provideretur 
a  quod  minime  provisum  fuit  etc.  et  inde  etc  »  (3).  E  poiché  fino- 
ai  giorno  20  nessuno  aveva  voluto  pagare  quella  benedetta  tassa,, 
gli  stessi  consoli  invocarono  un'altra  volta  dai  consiglieri  un  prov- 
vedimento, e  quelli,  dopo  lunga  discus^sione,  «  tandem  ordinaverunt 
"  quod  diete  pecunie  solventur  et  solvi  debeant  ad  formam  quin- 
«  terneti  iam  facti  et  hinc  retro  exacti:  sed  quia  nonnulli  querel- 
«  lantur  se  fore  indebite  gravatos  ultra  eorum  portionem  iccirco 
«  ut  nemini  iuxte  querelle  locus  sit  ordinant  ut  diete  pecunie  que 
«  solvantur  postmodum  fiet  extimus  ad  hes  et  libram  ad  hoc  ut 
«  gravati  recompensentur  et  inobedientes  qui  eorum  portionem  non 
«  solverint  a  tali  gravamine   non  aufugiant:  que   pecunie  postmo- 


(i)  C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  94,  cons.  26  settembre  '36. 

(2)  Ibid.,  fol.  102,  cons.  15  ottobre  '36. 

(3)  Ibid.,  fol.  105,  cons.  16  ottobre  '36. 


33°  FELICE   FOSSATI 

■n  dum  solvantur  ad  formam  extimi  diete  civitatis  anni  presentis 
■ii  demptis  hedificiis  addito  extimo  mercimoniorum  qui  extimus  de 
■M  presenti  fieri  debet  :  et  si  quid  ultra  aliquis  repertus  fuerit  plus 
«  suo  debito  soluisse  recompensetur  super  taleas  et  coUectas  anni 
■"   1537  prox.  futuri. 

M  Ordinant  etiam  p.^J  domini  con/"  quod  domini  consules  in- 
^<  cantari  faciant  dictam  taxam  cum  salario  ad  onus  neglegentium 
•«  et  renitentium  solvere  et  hoc  finito  incantu  salarium  exactoris 
*i  diete  taxe  sit  super  taxas  ipsorum  negligentium  ad  libram  prò 
^<  libra  et  soldum  prò  soldo  ad  ratam  adeo  quod  comunitas 
-ti  ipsa  aliquid  non  patiàtur  in  publico  sed  ipsorum  negligentium 
•«  et  renitentium  tantum.  Quod  quidem  incantum  durare  habeat 
■u  bine  ad  diem  iovis  prox.  futurum  et  non  ultra  et  interim  fieri 
«  publiea  proclamata  per  loca  solita  et  consueta  et  inde  ete.  »  (i). 
JNon  solo,  ma  vedendo  forse  che  i  semplici  ordini  e  le  semplici 
minacele  non  recavan  nulla  di  buono,  il  4  novembre  diedero  al 
pretore,  al  referendario  e  ai  consoli  «  aucthoritatem  ...  posse  pro- 
■u  videre  de  potenti  et  formidabili  brachio  iusticie  apud  ipsum 
-u  D.  Pretorem  ad  hoc  ut  timor  iusticie  sit  in  ipsa  civitate  preser- 
^<  tim  contra  renitentes  et  contumacesses  solvere  taleas  et  collectas 
li  impositas  in  dieta  civitate,  ut  omnia  debito  fini  demendetur  iuxta 
■ti  dispositionem  iusticie  et  disposita  ae  ordinata  per  eonsilium  ge- 
■u  nerale  diete  civitatis  etiam  expendendi  de  bere  comuni  prout 
■"  predietis  dominis  ellectis  expediens  visum  fuerit  »  (2). 

Contemporaneamente  altri  creditori  s'aveano  da  far  tacere.  A 
un  Pietro  Martire  Cacarana,  che  doveva  avere  L.  650  imperiali,  si 
<:hiese  una  proroga  «  etiam  solvendo  aliquo  interesse  »  ;  una  pro- 
roga si  chiese  a  un  Michele  ebreo,  ancora  creditore  per  eerti  drappi 
mandati  al  funerale  di  Francesco  II,  a  lui  pure  «  solvendo  etiam 
«  interesse  more  iudaico  »  (3);  finalmente  per  soddisfare  un  tal 
Cesare  da  Pietrasanta,  che,  sembra,  col  tramite  di  Fernando  de'  Silva, 
■castellano  di  Rocca  nuova,  avea  date  L.  666,  impiegate  ne'  lavori 
■del  vallo  pavese,  e  che  minacciava  «  captivitatem  fieri  de  persona  » 
-di  Vincenzo  de'  Bossi,  garante,  si  deliberò   di   prendere  da  Pietro 


(i)  C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  106,  cons.  22  ottobre  '36. 

(2)  Ibid.,  fol.   109,  cons.  4  novembre  '36. 

(3)  Ibid.,  fol.  103,  cons.  15  ottobre  '36. 


LA   PLEBE   VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA   DEI   POTERI,    ECC.        33 1 

Maria  de'  Bossi  e  da  Gian  Giacomo  de'  Morselli  una  certa  quantità 
di  fieno  e  magari  anche  dì  vino,  tanto  da  cavarne  la  somma  ne- 
cessaria (i). 

In  tali  condizioni  ci  appare  l'ardito  tentativo  degli  amministra- 
tori di  restringere  il  consiglio,  diminuendone  quasi  a  metà  il  nu- 
mero de'  membri,  sul  cui  vero  significato  non  abbiam  modo  di  pro- 
nunziare un  giudizio  sicuro.  Esso  ci  è  naturalmente  presentato  dal- 
l'atto consigliare  come  un  provvedimento  utile,  necessario,  onesto: 
ma  forse  si  voleva  soprattutto  escludere  qualcuno,  e  poi  sappiam 
bene  quel  che  s'ha  da  pensare  sulla  croce  del  potere  e  chi  la  regge. 
Noteremo  solo  che  quel  tentativo  mirò  proprio,  inutilmente,  allo 
scopo  contrario  a  quello  che,  poco  appresso,  ottennero  i  plebei: 
fu  insomma  un  vano  tentativo  di  «  serrata  »  in  danno  di  costoro, 
che  invece  stavano  giocando  agli  avversari  un  tiro  ben  più  felice. 
Ecco  il  resoconto:  «  Quanta  sit  difficultas  et  labor  in  omni  tem- 
ii  pore  anni  congregandi  consilium  generale  diete  Civitatis  ob  ino- 
«  piam  virorum  desideratorum  in  tempore  sevissime  pestis  anni 
■u  1524  et  atroximorum  bellorum  preteritorum  nemo  est  qui  ignorat. 
M  Et  si  qui  pauci  nunc  sunt  vix  a  cottidianis  et  gravissimis  ac  pri- 
«  vatis  implicationibus  ob  qualitatem  temporum  auctis  se  explicari 
«  queant.  Adeo  quod  aliquando  et  multociens  congregatio  ipsius 
u  consilii  fieri  non  potest  in  maximum  ipsius  civitatis  dedecus  et 
^<  damnum.  Qua  propter  p.^'  domini  con.*"''  volentes  huiusmodi  in- 
«  demnitati  sucurrere  ordinaverunt  et  etiam  ordinant  fore  per 
«  agentes  diete  comunitatis  lll.'^o  et  R."io  Senatui  Cesareo  Medio- 
u  lani  supplicandum  ut  dignetur  dispensare  ac  de  novo  concedere 
a  non  obstante  statuto  diete  Civitatis  scilicet  quod  Consilium  generale 
«  diete  Civitatis  sit  óo.^^  virorum  modo  reformelur  in  n.''  36  et  in 
.<  electione  dicti  consilii  que  fieri  solet  in  calendis  ianuarii  cuius- 
M  libet  anni,  dimidia  pars  ipsorum  consiliariorum  remaneat  tan- 
«  quam  edocta  et  informata  in  rebus  gestis  dicti  comunis  in  anno 
«  prox.  preterito  et  alii  viri  18  eligantur  usque  ad  supp.^""^  dicto- 
«  rum  virorum  36,  qui  non  fuerint  de  dicto  Consilio  per  annum  in- 
«  tegrum  et  sic  pars  illa  dimidia,  que  tanquam  instructa  et  infor- 
«  mata  remansit  in  dicto  Consilio:  tale  munus  consìUarii  non  ex- 
^i  cedat  bienii  spacium,  et  vacet  a  tali   electione    per    annum  inte- 

(i)  C.  C.  G  ,  i536-'37,  fol.  108,  cons.  4  novembre  '36. 


332  FELICE   FOSSATI 

«  grum  antequam  iterum  eligatur  adeo  quod  brevi  in  tempore 
u  maior  numerus  virorum  post  longas  et  varias  animi  perturba- 
u  tiones  et  corporis  fatigationes  nec  non  expensas  nec  damna  passa 
a  condiscat  prò  munere  huiusce  officii  solum  odium  aquisivisse  et 
«  cottidie  aliquo  procaci  titulo,  vel  petulantibus  verbis  a  perditis- 
«  simis  insectari  quod  extreme  dementie  est  »  (i). 

Ma  intanto  che  i  nobili  vagheggiavano  simiU  riforme  in  Vige- 
vano, i  plebei  ne  facevano  citare  i  rappresentanti  a  Milano  per  i 
conti  sull'amministrazione,  cosa  che  riusciva  «  in  maximum  dedecus 
«  et  damnum  "  della  città  e  specialmente  del  consiglio.  Il  quale 
protestando  contro  gli  spergiuri  che  propalavano  ciò  che  si  faceva 
nelle  sedute  (2),  ordinò  ad  Antonio  Maria  da  Parona,  Tommaso 
de'  Ferrari  Fantoni,  Giov.  Andrea  de'  Cocchi  di  presentarsi,  con  i 
colleghi  eletti  il  13  ottobre,  «  in  Civitate  Mediolani  coram  111."^°  et 
«  R."^°  Senatui  ac  coram  quocumque  alio  indice  in  causa  calculi 
u  electo  contra  dictos  plebeos  sive  excitatores  plebis  et  eos  prò 
«  honore  huiusce  presentis  congregationis  confondere  dictos  fau- 
«  tores  et  eos  debitis  penis  huiusmodi  facientes  puniri  facere  ad 
«  perpetuam  rei  memoriam  ut  ceteris  transeat  in  exemplum  cum 
«  authoritate  expendendi  de  aere  comuni  »  (3).  E  il  Cocchi  il  13 
novembre,  tornato  da  Milano,  avvertiva  che  per  la  Hte  contro  gli 
eccitatori  dell'indotta  plebe  era  opportuno  «  sindicatum  facere  in 
u  dominos  rationatores  »»  della  città,  affinchè  potessero  legittima- 
mente presentarsi  ai  giudici,  e  soprattutto  portar  i  libri  a  Giuliano 
Piscina,  che  sembra  dovesse  rivedere  i  conti  successivi  alla  sen- 
tenza da  lui  altra  volta  emanata,  la  qual  cosa  i  consiglieri  fanno  (4). 

Da  una  parte   le  faccende  volgevano  bene  per  il  consiglio  (5): 


(i)  C.  C.  G.,  i536-'37fol.  109,  cons.  4  novembre  '36.  In  margine:  «  Ex. 
«  et  data  agentibus  comunis  Vigl.ni  ». 

(2) .«  Quare  p.ti  domini  cons.»""  premissis  intellectis  et  precipue  quia  in  ipso 
«  Consilio  non  est  habita  fides  imo  si  in  bis  fides  esset  in  quibus  esse  deberet 
«  utique  non  laboraretur  quod  ea  que  hic  aguntur  sub  debito  silentio  conservaretur 
'<  quare  cum  multi  sint  qui  nec  Deum  pre  oculis  habentes  qui  in  principio  anni 
«  iuraverunt  omnia  secreta  tenere  nec  eorum  honorem  curantes  omnia  pandant 
«  dictis  fauctoribus  volentes  buie  nefarie  dementie  providere  ordinaverunt  etc.  ». 

(3)  C,  C.  G.,  i536-'37,  fol.  no,  cons.  6  novembre  '36. 

(4)  Ibid.,  fol.  112,  cons.  15  novembre  '36. 

(5)  Cfr.  Trih.  XII  provv.,  i556-'37,  fol.  112,  cons.  29  ottobre,  da  cui  si 
ricava  aver  Giov.  Maria  del  Pozzo  portato  lettere  dal  senato  disponenti  «  non  ob- 


LA    PLEBE  VIGEVANESE  ALLA  CONQUISTA   DEI   POTERI,    E?CC.        333 

si  direbbe  che  il  senato  risolvesse  di  salvar  capra  e  cavoli,  appro- 
vando l'opera  degli  amministratori  vecchi  e  schiudendo  le  porte 
del  comune  alla  plebe.  Infatti  il  19  novembre  il  console  Tommaso 
de'  Ferrari  Fantoni  espose  nell'  adunanza  che  la  questione  dei 
<:onti  contro  gli  eccitatori  dell'indotta  plebe  era  «  satis  ad  bonum 
n  portum  reducta....  sed  in  omnibus  »,  aggiungeva,  «  opus  est  pe- 
■u  cuniis  et  precipue  quia  obtinuerunt  a  R.f^o  Senatu  posse  aducere 
M  fortem  executionem  a  civitate  Mediolani  a  M.^o  cap.^  iustitie  sed 
41  opus  est  in  isto  etiam  pecuniis  quia  bigari  nollunt  venire  nisi  ali- 
i<  quas  habeant  pecunias.....  »  (1).  E  proprio  di  questi  giorni  i 
•creditori  tornavano  alla  carica:  il  referendario,  Polo,  il  Silva,  men- 
tre ogni  tanto  venivan  proteste  perchè  non  si  potevano  fare  gli 
•estimi  (2).  Alle  quali  difficoltà  s'aggiunse  ora  anche  la  spesa  dei 
soldati,  avendo  i  consiglieri  ordinato  al  console  che  «  omni  excep- 
«  tione  remota  conducatur  Vigl.»"  tot  milites  sive  bigari  quot  expe 
u  diens  fuerit  ad  omnem  executionem  fiendam  in  ipsa  civitate 
-u  Vigl."'  absque  ullo  discrimine  personarum,  ut  timor  inferatur  re- 
-u  bellanti  plebe  et  precipue  concitatoribus,  eo  maxime  ubi  timor 
«  non  est  ibi  dominium  neque  prioritas  esse  non  potest  nec  minus 
■ii  religio,  dantes  p.^i  domini  authoritatem  predicto  1).  Thome  pre- 
«  missa  faciendi  "  (3).  L'  8  dicembre  finalmente  il  console  Gio- 
vanni Andrea  de'  Cocchi,  arrivato  allora  allora  da  Milano,  poteva 
-dare  al  consiglio  la  notizia  che   il    senatore    Egidio    Bosso    aveva 

emanato  la  sentenza  con  la  quale  «  approbavit   administratores 

li  comunitatis  fuisse  et  esse  probos  viros  etc.  ».  Essa  aveva  tut- 
tavia una  parte  alquanto  amara,  che  quel  senatore  aveva  pur  or- 
-dinato  si  facesse  un  nuovo  estimo  tanto  dei  beni  immobili  quanto 
-de'  traffici,  entro  un  mese,  sotto  pena  di  500  scudi,  e  poi  chiedeva: 
«  triginta  viros  nominatos  a  p.^^  Consilio  prò  novo  Consilio  in  anno 
^  futuro  eligendo  quia  dominatio  sua  vult  novum  modum  dictum 
-u  consilium  imponere  eligen.  quia  etiam  sic   extitit  supp.tum  a  p.^^ 


<(  stante  aliis  litteris  quibus  cavebatur  nihil  novi  fieri  debere  in  executione  talee, 
■«  executio  debitarum  talearum  retardari  non  debere,  et  hoc  contra  voluntatem 
«  plebeorum  qui  nixi  sunt  nolle  solitas  taleas  solvere  »,  e  poi  il  cons.  22  no- 
vembre. 

(i)  C.  C.  G.,  i536-'57,  fol.  114,  cons.  19  novembre  '36. 

(2)  Ibid.,  fol.  114  sgg.,  conss.  dal  19  novembre  all'8  dicembre  '36. 

(3)  Ibid.,  fol.  114,  cons.  19  novembre  '56. 


334  *  FELICE  FOSSATI 

..  plebe  et  ordinatum  a  R.^^  senatu  »  :  la  qual  elezione  fu  dai  con- 
siglieri tosto  fatta  (i).  Che  cosa  essi  pensassero  circa  le  intenzioni 
del  Bosso  non  risulta,  ma  certo  nulla  di  bene  potevano  prevedere: 
a  buon  conto  incaricarono  i  consoli  di  mandar  varie  persone  a 
Milano,  le  quali  si  presentassero  al  senatore  per  la  questione  della 
riforma.  L' incertezza  non  durò  molto.  Nella  seduta  del  26  dicembre, 
dopo  che  i  consoli  ebber  fatto  conoscere  la  lettera  onde  i  presidi 
e  maestri  delle  entrate  avvertivano  che  s'era  diminuita  la  imposta 
quota  mensile  a  L.  824  (2),  Tommaso  de'  Ferrari  Fantoni   recò   il 

doloroso    annunzio  :    « exposuit   D.  Thomas    de    Fer.  fantoni 

u  consul  legatus  p.^'  comunis  qui  ivit  Mediolanum  ad  M.^um  j)^  ggi. 
u  dium  Bossum  qui  index  dellegatus  a  K.^^  Senatu  sive  comissa- 


(i)  C.C.  G.,  i536-'37,  fol.  122,  cons.  8  dicembre  36.  Ecco  i  nomi:  Jeronimoda 
Parona,  Cristoforo  de'  Rodolfi.  Vincenzo  de'  Carboni,  Francesco  del  Pozzo,  Jeronimo 
de' Rodolfi  Merchisoti,  Bernardino  de'  Gusberti,  Giov.  Maria  del  Pozzo,  Pietro  Maria 
de'  Bosii,  Vincenzo  de'  Bosii,  Tommaso  de'  Ferrari,  Michele  de'  Cavalli,  Antonio 
de'  Podessi,  Antonio  Maria  da  Parona,  Gian  Giacomo  de'  Morselli  Carlevari,  Vin- 
cenzo de'  Ferrari  Lanzaloti,  Giacomo  de'  Morselli  Maze,  Gian  Francesco  de'  Po- 
dessi,  Giov.  Antonio  de'  Ferrari  Prearza,  Matteo  de'  Bussi,  Francesco  de'  Natali, 
Giacomo  de'  Colli  Tibaldi,  Antonio  de'  Colli  Quaglini,  Alessandro  de'  Rodolfi 
l^ose,  Zanino  de'  Bastici  Borioli,  Giov.  Andrea  de'  Cocchi,  Giov.  Andrea  de' 
Bosii,  Giov.  Antonio  del  Pozzo  Marchetti,  Guglielmo  de'  Previde,  Francesco  della 
Fcclèsia,  Stefano  de'  Bellazzi. 

(2)  Ibid.,  fol.  124,  cons.  26  dicembre  '36,  «  Egregii  et  nobiles  amici  ca 
«  ris.i  essendo  necessario  per  la  occurentia  delle  guerre  alla  Cesarea  M.ta  pre- 
«  valerse  de  qualche  aiuto  extraor.  de  dinari  da  questo  suo  stato,  et  acciò  che 
«  più  certamente  se  possi  sostenere  la  guerra  fora  del  stato  convene  perseverare 
et  nella  mensuale  exactione  :  vero  è  che  per  diligentia  quale  se  he  fata  de  pro- 
«  videre  de  qualche  parte  d'alcuno  altro  canto  per  volontà  de  sua  M.ta  siamo  per- 
«  fare  alcuna  detractione  importante  et  precipue  a  quella  vostra  città  et  contado 
«  quale  declaremo  che  della  suma  de  lib.  1123,  s.  13,  d.  4  quale  è  stata  fina  a 
«  qui  esser  redduta  in  lib.  824  quale  se  haiano  da  pagare  mensualmente  ma 
«  per  che  è  forza  e  necessariss.o  che  siano  securi  della  certa  esactione  de  questa 
a  suma,  vi  comettemo  che  il  giorno  de  Inocenti  al  più  tardo  debiati  mandare 
«  qui  persona  perita  et  ben  informata  del  modo  supra  '1  quale  havete  pensato  di 
«  providere  a  detta  suma  quale  se  harano  da  pagare  ad  ogni  mezo  mese.  Altra- 
«  mente  vi  certificamo  che  ne  sarà  necessario  perseverare  secondo  s'è  fato  sine 
«  a  qui  et  perhò  non  mancharete  de  fare  una  bona  resolutione  et  mandare  qua 
<c  al  deto  tempo  cum  etiamdio  darne  aviso  in  quanto  in  queste  nostre  se  contene 
a  alli  agenti  per  il  contado  de  quella  città. 

«  Dat.  Mediolani  die  XXJ  dicemhris  i<;^6  ». 


LA    PLEBE   VIGEVANESE    ALLA  CONQUISTA   DEI   POTERI,   ECC.        335 

«  rius  in  causa  diferentie  que  vertitur  et  versa  est  in  civitate  Me- 
u  diolani  predicta  inter  ipsum  comune  ex  una  et  Julianum  de  Ar- 
«  diciis  et  Camilum  de  Collis  excitatores  et  fautores  rebellionis- 
«  plebis  ipsius  civitatis  nititur  p.tus  D.  Egidius  vele  destruere  mo- 
a  dum  et  formam  iam  vetustissimam  eligendi  consilium  novum 
Il  omni  anno  ut  moris  est  et  ut  disponitur  ex  forma  ipsorum  statu- 
"  torum  ac  etiam  deponere  omnes  qui  nunc  sunt  de  Consilio,  et  no- 
K  vum  consilium  novorum  hominum  imo  plebeorum  totum  suplere^ 
"  quod  penitus  esset  extirpare  ipsam  civitatem  imo  ipsi  cives  an- 
11  tequam  a  plebeiis  et  infimis  personis  regerentur  a  dieta  civitate 
a  se  penitus  abdicarent,  quare  provideri  petunt  aliter  etc. 

«  Quibus  sic  dictis  et  diligenter  intellectis  p.^'  domini  Con/» 
«  graviter  tolentes  premissa  exposita  imo  mirantes  talia  fuisse  facta 
"  vel  fieri  debere  a  tali  viro,  icirco  ordinaverunt  tali  provisioni 
«  senatoria  fore  obviandum  per  vias  ac  tramites  quibuscunque  que 
"  inveniri  poterint  ad  hoc  ne  talia  in  civitate  ipsa  Vigl."i  fierent 
«  que  nunquam  facta  fuerunt,  videlicet  quod  domini  a  servis  et 
"  infimis  personis  regerentur  quod  simile  esset  in  civitate  ipsa 
«  Vigl."i  et  prò  obviandum  bis  et  que  oriri  contigerint  si  talia  per- 
it  severarent,  eligerunt  infrascriptos  dominos  videlicet  D.  Ant.™  ma- 
«  riam  paronam,  D.  thomam  de  fer.  fantoni,  D.  Frane.'"  de  putheo,. 
"  D.  Vin."i  bastiam  boriolum. 

«  Quibus  omnibus  dederunt  et  dant  omnimodam  authoritatem 
e  cuicunque  ipsorum  in  solidum  providendi  ad  hoc  ne  predicta 
«  electio  iam  solita  non  perseveret,  imo  quod  duret,  et  si  aliqua 
Il  alia  ordinatio  facta  sit  per  p.^"™  M.*^"'"  D.  Egidium  tolatur  et  au- 
«  feratur  etiam  per  R.""  Senatum  ac  R."^  Cardinalem  si  opus  fuerit 
«  ac  per  omnes  illas  vias  quibus  viderit  fore  necessarias  et  op- 
«  portunas. 

«  Ordinaverunt  etiam  p.^ì  domini  consiliarii  quod  suprascripti 
«  domini  ellecti  in  causa  mensuali  referant  in  Consilio  M.^or-  magi- 
«  strorum  intratarum  or.  qualiter  propter  diferentiam  que  vertit 
«  inter  ipsam  comunitatem  et  plebeanos  ex  alia  non  comode  pos- 
«  sunt  providere  prò  dicto  mensuali  quia  dubitant  de  privatione 
«  ipsorum  consiliariorum  nec  sciunt  quomodo  et  qualiter  disponere 
«  debent  ac  etiam  quia  in  dieta  mensuali  solutione  graviter  gra- 
u  vantur  prò  inequali  distributione  inter  ipsam  comunitatem  et  co- 
«  mitatenses,  et  quod  M.^i  ipsi  vellint  dictam  distributionem  aco- 
u  modare....  w. 


33^  FELICE   FOSSATI 

Egidio  Bosso  avea  davvero  giocato  un  brutto  tiro  ai  nobili 
vigevanesi,  e  il  cancelliere  Simone  del  Pozzo,  registrandone  la 
sentenza,  non  trascurò  di  dirne  qualche  po'  di  male.  Dal  volume 
Titoli  e  Memorie  (i)  copiamo  testo  e  commenti: 

u  Nova  forma  data  per  M.^um  £>,  Egidium  Bossum  caes.  sena- 
■«  tore  prò  novo  Consilio  elligendo  quae  postmodum  fuit  moderata 
«  per  subsequentem  senatoriam  ordinationem. 

«  Multe  erant  controversie  inter  Julianum  Ardicium  et  consortes 
«  cives  viglevanenses  ac  deputatos  et  regentes  M.'^^'"  Comunitatem 
-«  Vigl."i  diversis  ex  causis  introductis  in  ampliss.^  et  ex.o  Senatu 
«  Mediolani  et  demum  demandate  cognitioni  M.^»  et  Clariss.'  Sena- 
-«  toris  D.  Egidii  Bossi.  Quarum  licet  multe  sopite  per  p.^J  Senatoris 
u  et  Dellegati  ordinationem  fuerint,  alie  tamen  superant  decidende 
-u  et  eius  cognitioni  reservate  :  illa  presertim  ut  daret  certam  formam 
«  elligendi  Consilium  Generale  diete  civitatis;  hecque  controversia 
«  duas  potissimum  difficultates  introduxerat,  unam  per  Statutum 
u  Viglevani  dans  modum  ellectionis  vult  quod  elligantur  sedecim 
«  viri  ad  sortes  quorum  ellectorum  quilibet  tres  elligere  possit 
M  alios  vero  duodecim  pretor  Vigl."'  elligat  et  tamen  statutum  non 
«  disponit  quonam  isti  sedecim  viri  ad  sortes  elligi  debeant.  Al- 
l' tera  dificultas  erat  quod  consiliarii  annorum  preteritorum  et  suc- 
«  cessivis  annis  se  invicem  elligebant  et  idem  semper  erat  consi- 
M  lium,  quod  absurdissimum  esse  nec  tollerandum  cives  ipsi  vigle- 
■u  vanenses  dicebant  unde  ecc^u^  senatus  prius  a  pretore  Civitatis 
«  predicte  per  litteras  certioratus  quinam  modus  in  preteritum 
«  servatus  fuisset,  negotium  sudectum  dellegavit  p.^o  D.  Egidio  de- 
«  cidendum  qui  multotiens  partibus  ipsis  auditis  habitisque  etiam 
M  ab  ipsis  partibus  et  singula  eorum  cedulis  eorum  quos  putaret 
«  viros  probos  et  integros  diete  civitatis  esse,  volens  prefatus  M.^"» 
«  Senator  et  delegatus  controversie  finem  imponere  in  hac  devenit 
«  sententiam  et  ordinavit  et  ordinat  quod  infrascripti  sedecim  viri 
M  in  pede  presentis  ordinationis  descripti  sint  loco  illorum  sedecim 
«  virorum  ad  sortes  ex  dispositione  memorati  statuti  elligendorum 
4i  qui  ad  formam  statuti  tres  prò  singulo  eorum  elligant  viros  pro- 
u  bos  bone  conditionis  et  fame  gravans  eorum  conscientias,  ut 
M  bona  fide  et  sine  fraude  dictam  ellectionem  faciant,  qui  elligendi 
-«  una  cum  duodecim  elligendi  per  D.  Pretorem  Vigl."i  ad  formam 

(i)  Fol.  25. 


LA   PLEBE    VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA    DEI   POTERI,   ECC.         337 

««  dicti  statuti  numerum  sexaginta  virorum  perficiant,  ea  tamen  con- 
«  ditione  adiecta  ne  predicti  possint  aliquos  ex  his  qui  anno  pre- 
«  senti  1536  fuerunt  elligere.  Pretor  autem  duodecim  ex  consiliariis 
■41  anni  preteriti  probis  viris  et  utilioribus  elligere  teneatur  et  alio 
M  modo  ellectio  facta  non  valeat.  Hique  sexaginta  modo  premisso 
M  elligendi  Consilium  Generale  diete  Civitatis  prò  anno  futuro  fa- 
«  ciant  prò  successivis  autem  annis  hec  forma  servetur,  quod  per 
«  mensem  ante  fìnem  anni  pretor  Vigl."»  per  tempora  existens  ce- 

!  M  dulam  triginta  virorum  ex  his  qui  tunc  consiliarii  non  erunt,  et 
«  integritate  et  probitate  idoney  videbuntur  ecc.^no  senatu  trasmittat 
'«  ecc.'""^  que  senatus,  vel  ille  senator  cui  senatus  iniunget,  sedecim 
■u  viros  ex  his  elliget.  Qui  loco  illorum  sedecim  virorum  ad  sortes 
M  elligendorum  ex  dispositione  preenarrati  statuti  tres  prò  singulo 
^<  eorum  ad  formam  tamen  in  ceteris  memorati  statuti  elligant  ea 
-M  tamen  conditione  quod  non  possint   elligere   aliquos   ex  his  qui 

,  ^  altero  anno  consiliarii  fuerunt.  Teneatur  tamen  Pretor  pM  Cìvì- 
M  tatis  XIJ  ex  Consiliariis  precedentis  anni  qui  sibi  meliores  vide- 
H  M  buntur  elligere  qui  omnes  sic  ellecti  numerum  sexaginta  virorum 
ti  perficiant.  Quod  consilium  generale  diete  civitatis  erit  non  possint 
«  tamen  qui  altero  anno  fuerunt  et  subsequenti  anno  per  pretorem 
«  elligi  tertio  anno  consiliarii  elligi  ellectio  que  aliter  facta  non 
«  valeat  hancque  formam  p.f"^  M.<^"«  senator  ordinavit  in  perpetuum 
il  servari  debere  servatis  in  ceteris  dispositione  statutorum  p.te  Ci- 
u  vitatis. 

u  Quorum  ellectorum  nomina  sunt  hec  videlicet 

«  D.  Fabricius  de  vastamiliis,  D.  Stephanus  de  putheo,  D.  Clau- 

i  •«  dius  de  fer.,  D.  Vinc^  de  Collis  raynaldi,  D.  Barth."^  de  tega- 
^«  malis,  D.  Hier.s  de  Bonfiliis,  D.  Jo.  Jacobus  de  Gravalona,  D.  Ste- 

':  u  phanus  de  bellaciis,  D.  Hier.»  de  podexiis,  D.  Vinc.^  de  ferr.  lan- 
«  zaloti,  D.  Jacobus  de  morsellis  maze,  D.  Matheus  de  bussis, 
u  D.  Jo.  Ant.s  de  putheo  marcheti,  D  Matheus  de  natalibus,  D.  Joh. 

^  -«  Jacobus  Rodulphis,  D.  Paulus  de  rodulfis  rosa  ». 

I  Eh,  se  i  nobili    avevan    tentato,    con  la    proposta  di  ridurre  i 

r -consiglieri  a  36,  di  serrar  fuori  del  tutto  la  plebe  e  quanti  con  lei 
P'.  -amoreggiavano  magari  violando  la  segretezza  giurata,  con  questa 
sentenza  venivan  serviti  a  puntino!  E  il   nostro   cancelliere,  uomo 
di  buon  cuore,  pio,  religioso,  ma  anche,   si    direbbe    oggi   con  un 
certo  linguaggio,    conservatore  della  più    bell'acqua    o   peggio,  si 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXIT,  Fase.  Vili.  22 


338  FELICE   FOSSATI 

sentì  offeso  da  tanto  eccesso,  e  come  in  una  nota  marginale,  di 
fianco  alle  ultime  righe  («  quod  consilium  generale  »  ecc.),  ebbe  a 
giudicare:  «  tantus  est  in  hac  parte  sensus  obturatus  et  a  puero 
«  scripta  quod  vix  sensus  colligi  potest  »,  in  fondo  rincarò  la 
dose:  «  Quanta  fuerit  hec  ordinatio  futilis  licet  a  senatore  facta,. 
«  legat  sequentem  moderationem  ab  Ecc.^o  Senatu  factam  »,  Alla 
quale  «  moderationem  w,  ricopiandola  nello  stesso  volume,  sentì 
il  bisogno  di  metter  un  piccolo  cappello,  anch'esso  significativo: 
u  Cum  agentes  prò  civitate  Vigl."'  vidissent  tam  enormem  provi- 
u  sionem  et  si  fas  esset  dicere  sub  alio  vocabulo  appellaretur,  ad 
«  Ecc.™  et  Ampliss.™  Senatum  habuerunt  recursum,  a  quo  prout 
u  infra  provisum  fuit  ».  E  trascrive  la  seguente  : 

u  Ordinatio  R."^i  et  Ampliss.'  Senatus  moderatio. 

«  Narrabat  Advocatus  Mag.^^  Communitatis  Viglevani  et  Re- 
«  gentium  dictam  Civitatem  M.<=""^  et  Clariss.  Senatorem  D.  Aegi- 
«  dium  Bossium  in  causa  mota  per  Julianum  Ardicium  et  consortes 
«  viglevanenses  ordinasse  quod  Consilium  generale  dictae  Civitatis 
u  alio  modo  crearetur,  quam  antiquissiraa  consuetudo  et  dispositio 
«  statuti  per  Excellentiss.  Senatum  confirmati  dictarent;  quinimo 
«  ex  ea  ordinatione  sublatum  esse  fere  totum  statutum,  quod  qui- 
u  dem  dicebat  de  iure  fieri  non  potuisse,  nec  ad  iudicem  pertinere 
u  tollere  dispositionem  legis  tanto  etiam  magis,  quia  Civitas  pre- 
«  dieta  adeo  exinanita  est  hominibus  ut  impossibile  sit  tantum  nu- 
«  merum  hominum  reperire  qui  viri  probi  et  idonei  sint  ad  eam 
«  civitatem  regendam  et  bene  administrandam  interesseque  in  hoc 
«  publicum  versari  ut  Civitas  bene  regatur,  et  a  probis  et  ditioribus 
u  nec  se  imisceant  administrationi  sordidi  homines  et  pauperes,  qui 
u  cum  non  sua  minus  publica  regere  sciant,  quod  si  ordinatio  pre- 
«  dieta  executioni  mitteretur  fieret  confusio  et  coluvio  hominum 
«  adeo  ut  exinde  certissima  Civitatis  predicte  ruina  coniecturari 
«  possit.  Propterea  petebat  his  et  aliis  efficacibus  rationibus  ut 
u  Ecc.us  Senatus  sublata  ordinatione  p.t»  M.^i  Senatoris  D.  Egidii 
u  Bossii  ordinaret  statutum  et  consuetudinem  esse  iuxta  quod  pre- 
«  cedentibus  annis  servatum  erat,  et  nunc  observari  debere. 

«  Respondentibus  autem  advocatis  nobilium  et  plebeorum  Ci- 
«  vitatis  Vigl."i  regentes  ipsam  Civitatem  excecatos  adeo  avaritia 
«  et  cupidine  dominandi  ut  se  ipsos  longo  tempore  in  Consilio  et 
«  regimine  dominandi  Civitatis  ipsius   perpetuaverint  et  ideo  cum 


LA    PLEBE   VIGEVANESE   ALLA   CONQUISTA    DEI    POTERI,    ECC.        339 

«  videret  reliquum  Civitatis  res  suas  dilapidari  petiit  ab  Ill."»o  eteune 
«  memorie  Duce  Franc.o  2.°  provider!  qui  ad  eam  Civitatem  do- 
«  minum  Julianum  Piscinam  destinavit,  instantibus  presertìm  Juliano 
a  Ardicio  et  Camilo  Colla  sindicis  universitatis,  a  quo  Piscina  de- 
«  cisis  nonnullis  controversiis  adhuc  non  potuerat  obtinere  ut  re- 
«  feret  quo  modo  se  regentes  memorati  gesserant  in  administra- 
«  tione;  verum  adeo  invaluisse  pravos  mores,  ut  semper  in  deterius 
«  res  recitatae  Civitatis  iverint  et  propterea  sindici  predicti  iterum 
«  Senatum  eccell.™  adiverunt  a  quo  in  iudicem  obtinuerunt  M.^um 
«  et  integerrimum  senatorem  D.  Egidium  Bossium  a  quo  electis 
«  calculatoribus  licet  compertum  fuisset  regentes  ipsos  male  se  ge- 
«  sisse  liberati  fuerunt,  sindicis  nominatis  tamen  absentibus  (i), 
«  ea  ratione  quod  eis  hec  utrinque  agitabatur  expensis  nobilium 
«  et  plebeorum,  et  ea  ratione  quod  in  ordinatione  liberationis  partes 
«  se  remiserant  circa  reformationem  Consilii  apparere  et  iudicio 
u  p.^i  Senatoris.  Qui  tandem  divino  afflatus  spiritu  ordinationem 
«  fecit  de  qua  adversarii  conqueruntur.  Et  quia  satis  est  ad  causam 
u  hanc  illam  ordinationem  recitasse,  quando  ille  potissimum  ab 
«  officio  publico  amoveri  debet,  qui  illud  totis  viribus  ambit  pe- 
u  tentibus  nomine  dictorum  Juliani  et  Camili  universum  corpus  ci- 
u  vitatis  representantium  ordinari  perseverandum  esse  in  ordinatis 
ti  et  adversarios  de  integro  cogendos  esse  ad  reddendam  rationem 
u  velificationis  (2)  suae. 

«.Senatus  censuit  die  crastina  esse  providendum  audito  M.^o 
«  D.  Senatore  D.  Egidio  Bossio. 

«  MDXXXVIJ  die  XVJ  januarii. 

u  Audito  p.to  M  co  D,  Senatore  ordinatum  fuit  persistendum 
u  esse  in  ordinatione  per  eum  facta  sub  die  XX  decembris  pro- 
u  xime  decursi  circa  modum  elligendi  Consilium  Generale  et  eam 
«  approbavit  et  confirmavit  reiecto  tamen  numero  virorum  sexa- 
«  ginta.  Ita  quod  quemadmodum  viri  sedecim  habebant  elligere  tres 
«  prò  singulo  eorum,  elligant  solum  duos  qui  faciant  XXXIJ  sive 


(i)  Questo  documento  fu  pubblicato  nella  ristampa  degli  statuti  nuovi,  di 
%.  cui  esiste  una  copia  nell'Arch.  civico.  Tale  copia  ha  assentieniìhus  invece  che 
;"     absentibus. 

(2)  Copia  :  villicationis. 


340  FELICE   FOSSATI 

«  32  et  alios  ceto  elligat  pretor  a  se  ipso  ex  consiliariis  precedentis 
«  anni.  Qui  sibi  meliores  videbuntur  iuxta  dictam  ordinationem 
«  absque  eo  quod  teneantur  mittere  listam  XXX  virorum  ad  Se- 
«  natum.  Ordinavit  quoque  quod  illi  regentes  teneantur  reddere 
«  rationem  administratorum  sicuti  tenebantur  ante  factam  dictam 
«  liberationem  et  illa  non  obstante. 

u  Sigillata  in  cera  rubea  in  sigillo  imperiali  solito  et  consueto. 
«  In  angulo  Jo.  Robius  ». 

Questa  sentenza  contentò  il  Pozzo,  sebbene  producesse  un  certo 
«  incomodum  »  :  dopo  di  essa  infatti  notò  :  «  Hec  mutatio  evenit 
u  divina  providentia  quia  aliqui  erant  qui  ob  tempora  preterita 
u  quorum  nomina  ad  honestatem  non  exprimuntur  sibi  in  republica 
4(  supremam  atribuebantur  autoritatem  inferendo  Civitati  ipsi  infi- 
ci nita  damna,  et  ita  eo  ordine  tales  ab  eorum  imperio  remoti  fuere 

«  Tamen  ista  variatio  tullit  Urbi  aliud  incomodum  quia  qui  in 
M  uno  anno  sunt  in  ipso  regimine  edocti  et  cum  aliquo  proposito 
«  salutifero  patrie  faciendi  in  anno  prox.  futuro  tunc  ab  autoritate 
M  consiliaria  removuntur  et  ita  res  bone  in  opinione  consiliariorum 
«  in  futuro  anno  remanent  imperfecte  »  (i). 

L'elezione  del  u  consilium  novum  »  per  l'anno  1537  è  regi- 
strata nel  solito  volume  (2).  L'intestazione  è  precisamente  questa; 
u  Electio  dominorum  XL.t»  Consiliariorum  Consilii  generalis  Civi- 
u  tatis  Vigl."i  per  dominos  XVI  ex  nova  forma  facta  per  M.^um 
41  D.  Egidium  bossum  cesareum  senatorem  sive  per  R.""^  Senatum 
«  Civitatis  Mediolani  et  pA...  »,  e  fu  fatta,  avverte  una  nota  mar- 
ginale, «  Coram  Ms^  D.  Alexjo  byrago  hon.  pretore  diete  Civitatis 
«  die  XXJ  Januarii,  prius  delato  juramento  singulo  eorum  electorum 
M  ad  formam  statutorum  dieta  Civitatis  >•  :  poi  viene  senz'altro  la 
lista  dei  nomi.  Matteo  de'  Bussi  elegge  Baldassare  de'  Morselli 
Selle  e  Francesco  de'  Colli  Ottini  ;  Matteo  de'  Natali  :  Vincenzo  de' 
Previde  Massara  e  Giov.  Pietro  de'  Rodolfi  Merchisoti  ;  Stefano  de' 
Bellazzi  :  Antonio  de'  Previde  Maffini  e  Giov.  Andrea  de'  Bossi  ; 
Vincenzo  de'  Colli  Rainaldi  :  Gian  Giacomo  de'  Ferrari  Mombelli 
e  Giov.  Agostino  de'  Colli  ;  Bartolomeo  de'  Tegamali  Vagini  :  Gian 
Pietro  della  Ecclesia   e  Paolino   de'  Morselli   Maze  ;  Jeronimo  de' 


(i)  Tit.  e  Mem.,  fol.  26. 

(2)  C.  C.  G.,  i536-'37,  fol.  150. 


LA   PLEBE    VIGEVANESE   ALLA    CONQUISTA   DEI    POTERI,    ECC.        34! 

Galliate   Ronfili  :   Andrea   de'  Galliate   Ronfili  Zanotti  e  Vincenzo 
de*  Ferrei  Giovannetti    da    «  Faravegia  »  ;  Jeronimo  de'  Podessi  : 
Gerardo  de'  Rossi  e    Gian   Maria   de'  Gravalona   Alioli  ;    Claudio 
de'  Ferrari   Giuli  :    Giovanni    de'   Vii   Grassi    Mazenoni    e    Tom- 
maso de'  Ferrari    Oli;  Pietro   Antonio    de'    Gravalona   Alioli,  in- 
vece del   fratello    Gian    Giacomo,    assente  :    Giov.    Antonio    degli 
Ardizzi  e  Tommasino  della  Costa  Zucconi  ;   Vincenzo  de'  Ferrari 
Lanzaloti:  Matteo  de' Carboni  e  Stefano  da  Parona;  Gian  Giacomo 
de'  Rodolfi  Merchisoti  :  Francesco  Scipione  del  Pozzo  e  Pietro  An- 
tonio de'  Ferrari  Prearza;  Stefano  del  Pozzo,  figlio  di  Francesco: 
Cristoforo  de'  Cavalli  e  Rattista  de'  Montani  Ambrosi;  Paolino  de' 
Rodolfi  Rose  :  Giovanni  de'  Merli  Mortarini  e   Paolo    de'  Cocchi  ; 
Antonio  del  Pozzo  Merchisoti  :  Giovanni   da  Parona,  figlio    di  Fi- 
lippo, e  Giovanni  de'  Rodolfi  Zani  ;  Giacomo  de'  Morselli  Maze  : 
Giacomo  de'  Cocchi  Lombardi    e    Rattista  de'  Repossi   Porini.  Fa- 
brizio de'  Vastamigli  aveva  eletto  Marco  degli  Ottoni  e  Gian  Gia- 
como de'  Rergondi,  ma  «  loco  et  scontro  sue  prime  electionis  quia 
«  doctores  excusantur  a  tali  munere  de  man.^^  p.^ì  M.^J  D.  pretoris 
«  et  negant  vele  venire  »,  il  26  li  sostituì  con  Rei  tramo   de'  Riffi- 
gnandi  Paliari  e  Gian  Giacomo  de'  Crosio  Oregia.  Così  pure  Matteo 
de'  Russi  aveva  dato  il  voto  a  Camillo  de'  Colli,  ma  lo  sostituì  in 
seguito  col  Morselli  «  per  litteras  senatorias  ».  Il  pretore  poi  scelse 
otto  altri   membri   «  ex  veteri  Consilio  »  :  Melchiorre  de'  Podessi, 
Antonio  de'  Podessi,  Francesco   da  Lodi,   Rernardino  de'  Vitanei, 
Vincenzo  degli  Scotti  Fragulini,  Rernardino   de'  Gusberti,   Rernar- 
dino de'  Forno  Minelli,  Rattista  de'  Decembri  Cusini, 

I  vari  ufficiali  vennero  eletti  nell'adunanza  del  22  successivo^ 
con  l'intervento  del  pretore,  dei  consoli  Giovanni  Andrea  de'  Cocchi 
e  Tommaso  de'  Ferrari  Fantoni,  e  di  trenta  consiglieri,  «  in  primis 
«  invocato  divino  auxilio  ut  decet  ».  Furono  consoli:  Vincenzo  degli 
Scotti  FraguUni  e  Giov.  Agostino  de'  ColU  Luci  ;  sindaci  :  Claudio 
de'  Ferrari  e  Francesco  Scipione  del  Pozzo  ;  stimatori  :  Rattista 
de'  Decembri  Cusini  e  Paolo  de'  Cocchi  ;  revisori  :  Tommasino  della 
Costa  Zucconi  e  Francesco  de'  Colli  Ottini;  servitori:  Vincenzo  de* 
Giudici  Alieti,  Matteo  de'  Preguzi,  Zannino  de'  Quaglia  MazoUi  e 
Matteo  de'  Sannazzaro  Magnini  ;  i  XII  di  provvisione  per  gennaio, 
febbraio  e  marzo  :  Giov.  Andrea  de'  Cocchi,  Tommaso  de'  Ferrari, 
Vincenzo  de'  Previde  Massara,  Francesco  Scipione  del  Pozzo,  Già 
corno   de'  Morselli   Maze,   Rernardino    de'  Gusberti,  Jeronimo  de 


342  FELICE   FOSSATI   -  LA    PLEBE   VIGEVAÉfESE,   ECC. 

Rodolfi  Merchisoti,  Michele  de'  Cavalli,  Giov.  Andrea  de'  Bossi, 
Melchiorre  de'  Podessi,  Bernardino  de'  Vitanei,  Francesco  da  Lodi  ; 
giudici  delle  strade  :  Antonio  Maria  da  Parona,  Fabrizio  de'  Va- 
stamigli,  Gian  Giacomo  de'  Ferrari  Mombelli  ;  tubatori  :  Paolo  da 
Cannobio  e  suo  figlio  Giovanni;  cancelliere  «  publicorum  actuum 
i(  diete  Civitatis,  consiliorum  generalium  Dominorum  XII,  incantuum 
«  et  aliorum  actuum  Civitatis  »  :  Simone  del  Pozzo  ;  «  ad  libros 
«  actorum  dati  et  recepti  et  libri  grossi  diete  Comunitatis  diete 
«  Civitatis  w  :  Cristoforo  de'  Rodolfi,  a  cui  si  doveva  poi  dare  un 
collega  ;  razionatori  :  Gian  Giacomo  de'  Ferrari  Mombelli,  Francesco 
de'  Colli  Ottini,  Bernardino  de'  Vitanei,  Gerardo  de'  Bossi.  Ber- 
nardino de'Gusberti,  «  volens....  uti  beneficiis  statuti  diete  Civitatis  ", 
si  dimette  da  consigliere,  e  il  pretore  lo  condanna  a  pagar  dieci 
fiorini. 

Così  dunque  per  il  1537  la  plebe  di  Vigevano  ha  conquistato, 
la  prima  volta,  il  consiglio  comunale. 

Felice  Fossati. 


Giovanni  Battista  Fontana  o  Fonteio 

scrittore  milanese  del  sec.  XVI 


I. 

Notizie  sulla  vita  di  Giovanni  Battista  Fontana. 

Giovanni  Battista  De  Rossi,  discorrendo  d'  una  silloge  antica 
■d' iscrizioni  milanesi,  adoperata  dall'Alciati  e  dal  Fontana,  assegna 
la  morte  di  costui  all'anno  1555,  ed  in  nota  aggiunge  che  il  Si- 
gonio,  stampando  nel  1580  la  sua  Storia  del  regno  d'Italia,  ne  de- 
plorò la  perdita  come  avvenuta  di  recente  (i).  In  vero,  nell'edizione 
suddetta  e  nell'  indice  si  legge  :  «  Jo.  Baptista  Fontana  Mediola- 
«  nensis,  qui  nuper  magno  historiarum  detrimento  est  mortuus  ». 

Non  essendo  possibile  che  il  Sigonio  nel  1580  deplorasse  come 
recente  una  morte  avvenuta  venticinque  anni  prima,  e  ritenendo 
perciò  come  erronea  la  data  1555,  mi  venne  tutt' insieme  la  curio- 
sità di  conoscere  donde  nascesse  l'errore  del  De  Rossi,  errore  ri- 
petuto dietro  a  lui  dal  Ferraj  (2)  e  dal  Duchesne  (3),  e  chi  fosse  if 
Fontana  da  lui  citato.  Consultai  quindi  la  biografia  che  di  costui 
leggesi  nella  Bibliotheca  scriptorum  mediolanensium  dell' Argelati  (4); 
ma  la  trovai  sotto  vari  rispetti  manchevole  ed  anche  erronea,  come 
ora  dirò. 

Anzitutto  non  sono  ivi  indicati  né  l'anno  della  nascita,  né 
l'anno  della  morte  ;  talché  chi  volesse  sapere  in  qual  tempo  visse 


(i)  Inscript.  Christianae,  voi.  II,  par.  I,  p.  174. 

(2)  Nel  Boli  dell'Istit.  stor.  Hai,  fase.  XVI,  Roma,  1895,  p.  19. 

(3)  5.  Barnabé  nelle  Mélanges  De  Rossi,  p.  31  dell'estratto. 
{4)  To.  I,  par.  II,  col.  445. 


344 


FEDELE   SAVIO 


il  Fontana,  bisognerebbe  si  contentasse  dei  due  indizi  che  vi  si 
danno,  cioè  dell'elogio  suddetto  fattogli  dal  Sigonio  (quantunque 
errino  il  Puricelli  e  l'Argelati,  dicendo  che  esso  si  trova  nel  libro  XV, 
mentre  dovevano  dire  nell'indice,  pubblicato  dopo  i  primi  quindici 
libri,  i  soli  che  si  stamparono  vivente  il  Sigonio,  f  1584)  e  delle 
relazioni  che  ebbe  il  Fontana  col  cardinale  Francesco  Alciati.  Sic- 
come quest'ultimo  fu  fatto  cardinale  nel  1565  e  visse  fino  al  1580, 
ne  abbiamo  argomento  per  conchiudere  che  il  Fontana  fiorì  tra 
il  1565  ed  il  1580. 

Essendo  stato  il  Fontana  un  raccoglitore  d'iscrizioni,  ricorsi  pure 
al  Mommsen,  nel  Corp,  inscript,  lat.y  voi.  V,  par.  II.  Ma  questi,  contro 
la  sua  consuetudine  di  dare  in  capo  ad  ogni  città,  di  cui  tratta» 
una  notizia  biografica  e  bibliografica  degli  scrittori  che  raccolsero 
le  iscrizioni  di  quella  stessa  città,  omette  la  notizia  del  Fontana. 
Solo  ne  parla  per  incidenza  a  proposito  della  silloge  d'iscrizioni 
sacre,  vista  dall' Alciati  e  poi  dal  Fontana,  e  di  questo  cita  le  vite 
manoscritte  degli  arcivescovi  di  Milano  da  S.  Barnaba  sino  a  Gio- 
vanni Arcimboldi  (f  1555),  le  quali  stanno  nel  codice  V,  35  sup.. 
dell'Ambrosiana. 

La  cifra  1555,  posta  dal  Mommsen  accanto  al  nome  dell'Ar- 
cimboldi,  mi  fece  conoscere  l'errore  del  De  Rossi,  che  prese  per 
data  della  morte  del  Fontana,  quella  che  il  Mommsen  segnò  come 
data  della  morte  dell'Arcimboldi. 

La  citazione  però  dell'opera  inedita  del  Fontana  sugli  arcive- 
scovi di  Milano,  che  il  Mommsen  probabilmente  tolse  dall' Argelati, 
non  sarebbe  a  rigore  del  tutto  esatta  ;  poiché  il  Fontana  ebbe  per 
lo  meno  l' intenzione  di  comporre  anche  le  vite  di  due  successori 
dell'Arcimboldi,  cioè  dell' Archinti  e  di  S.  Carlo  Borromeo,  onde 
scrisse  i  loro  nomi  nell'  indice  in  principio  del  manoscritto,  e  a  suo 
luogo  nel  testo,  quantunque  poi  lasciasse  in  bianco  la  loro  notizia. 
Donde  ne  ricaviamo  che  le  vite  dei  vescovi  milanesi  egli  le  scrisse 
al  tempo  di  S.  Carlo,  cioè  tra  il  1560  ed  il  1584.  Questo  tempo 
inoltre  si  può  restringere  d'assai  percorrendo  il  manoscritto  stesso 
del  Fontana,  dove  spesso  egli  cita  e  adopera  la  Storia  del  regno 
d* Italia  del  Sigonio,  che  vide  la  prima  volta  la  luce  a  Venezia  nel 
1574.  Ivi  è  pure  una  prova  delle  relazioni  di  amicizia,  che  corre- 
vano tra  lui  e  il  Sigonio,  perchè  a  p.  8,  sotto  Arsacio,  ei  cita  una 
cronaca  mandatagli  dal  Sigonio  :  Cronica  Balborum  missa  mihi  a 
Carolo  Sigonio. 


GIOVANNI  BATTISTA   FONTANA   O    FONTEIO,   ECC.  345 

Ho  detto  che  la  Storia  del  regno  d'Italia  del  Sigonio  comparve 
nel  1574  a  Venezia  ;  ma  in  questa  prima  edizione  non  aveva  in- 
dice. L'indice  il  Sigonio  lo  pubblicò  a  parte  nel  1576,  mosso  dal 
desiderio  di  correggere  gli  errori  che  si  erano  infiltrati  nell'  edi- 
zione suddetta  di  Venezia,  e  che  si  ripetevano  in  edizioni  fatte 
altrove.  Esso  non  comprese  soltanto  il  catalogo  delle  storie  e  degli 
archivi  consultati  dal  Sigonio,  come  sembra  dire  il  Muratori  (i), 
ma  oltre  a  questo  catalogo  ed  alle  correzioni,  di  cui  ho  parlato, 
comprese  le  liste  degli  imperatori,  dei  papi  e  di  molti  principi  e 
vescovi  italiani,  vissuti  nel  periodo,  a  cui  si  estendono  i  quindici 
primi  libri  della  Storia,  cioè  dal  565  al  1199.  Sulla  fine  evvi  pure 
la  lista  di  coloro,  che  «  ad  haec  conquirenda  et  colligenda  aucto- 
«  ritatem,  studium  operamque  suam  praestiterunt  »  ;  ma  tra  i  nomi 
di  questi  personaggi  non  v'  è  quello  del  Fontana  ;  il  quale  al  con- 
trario trovasi  (ed  è  l'unico  nome  aggiunto  alla  lista  precedente) 
nell'indice  dell'edizione  del  1580  (2),  segno  certo  che  nel  1576  il 
Fontana  era  ancora  vivo,  e  che  egli  morì  solo  nel  1580  o  al  più 
nel  1579. 

Qualche  altra  notizia  sul  medesimo  Fontana  potei  raccogliere 
in  due  dei  numerosi  volumi,  che  formano  la  corrispondenza  di  San 
Carlo  Borromeo,  conservata  nella  biblioteca  Ambrosiana,  serven- 
domi di  guida  non  meno  un  repertorio  di  detta  corrispondenza,  in 
due  volumi,  che  ivi  pure  si  conserva,  quanto  l'erudizione  e  l'espe- 
rienza del  chiarissimo  vice  prefetto  della  bibhoteca,  dott.  Achille 
Ratti,  sempre  così  cortese  nel  favorire  gli  studiosi. 

In  una  lettera  del  26  febbraio  1575,  Cesare  Spedano,  scrivendo 
da  Roma  a  S.  Carlo,  così  si  esprime  : 

«  Nel  rivedere  li  memoriali,  che  la  S.  V.  111. ma  mi  lasciò,  ne  ho 
'<  trovato  uno  di  quello  mes.  Gio.  Batt.  Fontana  Milanese,  al  quale 
"  il  Sig.  Arciprete  voleva  già  resignare  l'Arcipretato  di  cotesta 
"  Chiesa  (3),  et  perchè  questo  giovine   mi  pare  di   buona  riuscita^ 


(i)  Nella  Vita  del  Sigonio,  in  capo  al  I  volume  del  Sigonio,  Opera  omnia, 
ediz.  di  Milano,  1732,  in  sei  volumi,  p.  ix.  Una  copia  dell'indice  del  1576  sta 
nella  biblioteca  Ambrosiana.  Non  ha  numerazione  di  pagine. 

(2)  È  chiaro  che  si  trova  pure  nella  ristampa  delle  opere  sigoniane  fatta  in 
Milano  nel  1732,  nel  voi.  II.  Anche  qui  l'indice  non  ha  numerazione  di  pagine. 

(3)  Come  si  vede  dal  resto  della  lettera,  si  tratta  della  chiesa  di  Monte  Rotondo. 


34^  FEDELE   SAVIO 

M  lo  xiecordo  a  V.  S.  111.'»*,  acciò  vegga  di  tirarlo  a  servire  cotesta 
u  Chiesa  »  (i). 

D  nome  di  «  giovane  »,  che  lo  Spedano  qui  dà  al  Fontana, 
può  confermare  l'afFermazione  del  Picinelli  (e  dell'Argelati),  ch'egli 
morisse  di  soli  33  anni  ed  insieme  la  nostra  deduzione  ch'egli  mo- 
risse nel  1580;  poiché  morendo  nel  1580  di  33  anni,  ne  avrebbe 
avuti  appena  28  nel  1575. 

In  un'altra  lettera  del  medesimo  mons.  Speciano  a  S.  Carlo, 
del  dì  19  gennaio  1577,  pure  da  Roma,  così  parla  del  suddetto 
Fontana  : 

«  Solicitando  io  messer  Gio.  Batt.  Fontana  acciò  venisse  costà 
*(  quanto  prima,  massime  hora  che  tuttavia  vanno  continuando  le 
^<  buone  nuove  di  Milano,  egli  mi  ha  scrìtto  l'alligata,  che  mando 
^<  a  V.  S.  Ill."ia  acciò  la  vegga  il  parer  suo.  Egli  si  presuppone 
*i  che  in  questi  tempi  V.  S.  IH.^a  non  habbia  bisogno  d'altre  per- 
«  sone  che  di  quelle  che  la  ponno  aggiutare  nel  servizio  delle 
*i  anime  et  per  questo  si  presuppone  di  poter  star  qui  anche  sino 
M  a  tanto  che  sia  cessato  affatto  il  male,  ed  intanto  vorria  atten- 
■«  dere  dXVHistoria  degli  Arcivescovi  di  Milano,  nella  quale  fa 
<<  grandissimo  progresso,  e  spera  di  far  un  libro  grande  come  il 
«  Platino,  se  V.  S.  111.'»*  si  contenterà  di  compiacerlo. 

«  Sarà  forsi  bene,  che  la  mi  scriva  un  capitolo  da  mostrargli 
^i  el  qual  limitr  qualche  tempo  breve,  acciò  non  attenda  ad  altro 
a  che  a  questo  studio 

«  Mando  la  quitanza  delle  pensioni  pagate  all'Anglesio  a  nome 
*i  di  Mons.  Fontana  ». 

Ci  dà  pure  qualche  informazione  sul  Fontana  un'opera  di  lui, 
la  seconda  tra  quelle  che  l'Argelati  registra,  mostrando  però  di 
non  averla  veduta,  ed  è  la  Vita  di  suor  Paola  Antonia  De  Negri 
milanese  raccolta  da  Giovanni  Battista  Fontana  de*  Conti.  Essa  fu 
stampata  nel  1576,  «  Romae,  in  aedibus  Populi  Romani  »,  ed  è 
unita  alle  Lettere  spirituali  della  suddetta  De  Negri,  pubblicate  per 


(i)  Tomo  92  (numero  in  oro),  lettera  61.  In  altre  lettere  degli  stessi  anni, 
contenute  in  questo  tomo  92  (107,  122)  e  nei  tomi  95,  98,  99  si  parla  ancora 
^i  un  Giovanni  Fontana,  ma  non  è  il  nostro,  sibbene  mons.  Giovanni  Fontana, 
vicario  generale  di  S.  Carlo,  che  poi  fu  vescovo  di  Ferrara  dal  1590  al  161 1. 


GIOVANNI   BATTISTA    FONTANA    O   FONTEIO,   ECC.  347 

<cura  di  Giovanni  Paolo  Folperto,  in  un  volume  in- 16.  La  Vita 
porta  una  propria  numerazione  di  pagine,  ed  ha  pure  un  proprio 
frontispizio,  sul  quale  è  disegnato  il  busto  della  De  Negri.  Era 
costei  una  visionaria,  morta  nel  1555,  che  diede  molti  disturbi  alle 
allora  nascenti  congregazioni  dei  Barnabiti  e   delle  Angeliche,  ma 

;  che  con  apparenze  di  straordinaria  santità  eccitò  pure  l'entusiasmo 
di  molti  ammiratori.  Tra  questi  fuvvi  l'ex-barnabita  Giovanni  Paolo 
Folperto,  torbido  ingegno,  il  quale  nel  1576  riuscì  a  Roma  ad  ot- 
tenere il  favore  di  molti  insigni  personaggi,  tra  cui  il  cardinale 
Francesco  Alciato,  al  quale  dedicò  le  Lettere  della  De  Negri.  Queste, 
per  testimonianza  di  vari  scrittori  barnabiti,  sarebbero  state  opera 

■  non  della  De  Negri,  ma  di  un  santo  religioso  barnabita,  il  padre 
•Giovanni  Pietro  Besozzi  (f  1584),  sebbene  uscendo  alla  luce  fos- 
sero falsificate  in  modo  che  la  loro  prima  edizione,  uscita  in  Mi- 
lano nel  ]564,  venne  soppressa  per  decreto  dell' Inquisizione  (i), 
Non  è  ora  il  caso  di  trattare  di  questa  questione,  poiché  per 
<('Uanto  riguarda  il  Fontana  può  credersi,  che,  come  era  stata  sor- 
presa dal  Folperto  la  buona  fede  del  cardinale  Alciato,  persona 
degnissima,  così  potè  essere  sorpresa  la  buona  fede  di  lui. 

Ciò  che  importa  ora  di  notare  sono  le  notizie,  che  intorno  alla 
Vita  del  Fontana  si  possono   ricavare  dalla    dedica,   che  di  essa 

~  egli  fece  a  quattro  personaggi,  coi  quali  per  diversi  motivi  era 
legato,  vale  a  dire  monsig.  Angelo  Cesi  vescovo  di  Todi,  il  P.  Paolo 
Constabili  maestro  del  S.  Palazzo,  monsig.  Alessandro  Simoneta 
già  nunzio,  ed  il  signor  Giovan  Tomaso  Odescalchi,  senatore  regio 
e  ducale  in  Milano.  Riferisco  per  intero  i  passi  della  dedica,  utili 
per  la  biografia  del  Fontana. 

Rivolge  dapprima  il  discorso  al  vescovo  Cesi,  e  tra  le  altre 
ragioni  per  cui  crede  dedicargli  il  suo  lavoro,  vi  è  pur  questa: 
«  Perchè  finalmente  vivendo  io  sotto  l'ali  dell'illustrissima  fami- 
«  glia  Cesia  dall'anno  MDLXXII  sin  bora,  e  a  quella  tenendo 
«  immediatamente  obbligo  d'ogni  mio  tempo  e  servitù,  non  posso 
u  non  consacrarle  come  suo,  ciò  che  da  me  si  produce;  et  havendo 
"  destinato  alcune  cose  all' illustrissimo  signor  Cardinale,  et  altri 
*i  suoi  fratelli,  e  nipoti,  mi  conviene  offerire  qualche  segno  di  vo- 


W 


m 


(i)  Di  lui  tratta  il  P.  Ungarelli,  Bihlioth.  scriptorum  e  congregatione  Clerr. 
R^gg.  S.  Palili,  Roma,  Salviucci,  1836,  p.  520. 


348  FEDELE    SAVIO 

u  lontà  verso  di  V.  S.  Rev."ia^  massimamente  avendomi  essa  spesso,. 
«  e  con  effetti  usato  benigne  dimostrazioni....  ho  voluto  dedicarle 
u  questa  Vùaj  raccomandandole  l'opera,  e  facendomi  debito  di  ri- 
u  conoscere  e  ricercare  la  protezzione  di  V.  S.  Reverendissima, 
«  che  [da]  tanto  tempo  mi  è  benefattore  ». 

Col  P.  maestro  del  S.  Palazzo  si  scusa,  con  espressioni  secen- 
tistiche, della  sua  insufficienza  nel  descrivere  la  vita  di  una  persona, 
così  eccelsa  in  santità  e  dotata   del  dono   di  estasi,  visioni,  e  per 
sua  scusa  allega  il  comando  che  ebbe  di  scrivere,  e  il  breve  tempo 
di  dieci  giorni  concessogli   per  ciò  :   «  Con   quali  termini  ho   po- 
«  tuto  esprimere  l'alto  spirito,  e  scienza  infusa  e  estasi  frequenti 
«  della  Madre,  vestito  io  di  pensier  terreno,  dedito  a  studi  profani^ 
«  lontanissimo  dal  sapere  né  per  libri,  né  per  veduta,  né  per  pra- 
«  tica,  che  cosa  siano  questi  eccessi,  e  ratti,  e  prerogative,  che  pe- 
u  culiarmente  godono  l'anime,   che   solo    cercano   Iddio;   anci  per 
«  mia  tracutagine,  anci  per  vizio  sempre  essendone  stato  poco  cu- 
u  rioso,  e  poco  stimatore,  di  che  chiedo  perdono  a  sua  Maestà  di- 
«  vina....  Quasi  stampate  le  lettere  spirituali  dell'Angelica  dedicate 
«  a  Monsignor  Illustriss.    Cardinale   Alciato,  per    sodisfazzione  di 
u  tutti  fu  deliberato  d'aggiungervi  la  Vita:   con  questa  risoluzione 
«  si  venne  a  me,  come  da  chi    per    instanza    d'alcuni    padri,  et  a 
«  prieghi  de'  Signori  Deputati  si  era  tenuto  cura  della  correzzione 
u  della  stampa.  Hebbi  originali  di  esami,  relazioni,  fede  autentiche, 
«  e  tante  scritture  che  fatto  haverebbero  volume  molto  maggiore, 
«  che  le  lettere.  Da   quelli    fui   sforzato    ritrarre   in   diece    giorni, 
«  quanto  .non  harei  ardito  di  promettere  per   diece   settimane,  es- 
«  sendo  quelli  sì  confusi,  et  io  altresì  tanto  obbligato,  e  con  qualche 
«  indisposizione,  se  ben   allegeritami   dal   Signore....   Sa   poi  anco 
«  V.  P.  R.  qualmente  io  da  principio   non   credendo   fusse  neces- 
«  sario  di  esser  pubblicato  per  auttore  di   questa   raccolta  proce- 
«  devo  più  tosto  come   legittimo,    e   zelante  Notaro,  che  o  buono 
«  imitatore,  o  studioso  compositore;  et  sa  come  sull'ultimo  all'im- 
«  provviso,  anzi  essendo  già  il  primo  foglio   di   questa  Vita  sotto 
«  11  torchio,  per  essere  tirato,  essa  volse  che  si  racconciasse,  e  vi 
u  si  mettesse  il  mio  nome,   monstrandomi  luoghi   delli    libri,    che 
«  ciò  comandavano.  Se  comportasse  la  spesa  di  fare   tante  parole 
a  avanti  così  picciola  operina,  direi  quello   che   non   é   men  vero, 
«  l'essermi  stata  questa  materia  novissima,  non    mai  prima  assag- 
«  giata,  né  eletta  da  mio  ingegno,  ma  prescritta   e   circoscritta  di 


GIOVANNI   BATTISTA    FONTANA   O   FONTEIO,   ECC.  349 

M,  sua  natura,  e  l'essermi  finalmente  convenuto  trattarla  in  quella 
■n  lingua,  in  cui  non  ho  fatto  molte  pruove,  sempre  essendomi  in 
«  diverse  esercitato  ». 

Rivolgendo  la  parola  al  senatore  Odescalchi,  porta  varie  ragioni 
ài  dedicargli  l'opera  e:  «  Finalmente  (scrive)  perchè  già  essendo 
u  sessanta  anni,  che  la  casa  nostra  tiene  stretta  servitù  coli' illustre 
«  sua  famiglia,  e  non  solo  V.  S.  tutto  di  continova  in  favorirci, 
u  ma  fanno  anco  il  medesimo  Monsignore  reverendissimo  il  Ve- 
u  scovo  suo  fratello,  e  Monsignor  l'Abbreviatore  suo  nipote;  perciò 
u  io  non  ho  voluto,  ne  dovuto  lasciarla  in  parte,  anci  nel  cuore 
«  così  in  questa  faticuccia,  come  in  ogni  altra  impresa  l'ho  perpe- 
»  tuamente  preposto  per  tutore  principale;  che  così  mi  sforza  a 
■u  fare  il  conto,  che  Ella  tiene  di  mio  zio,  e  tutti  noi  ». 

Da  quest'opera  apprendiamo  pure  esser  vero  quanto  affermano 
il  Piccinelli  e  l'Argelati,  che  il  nostro  Giov.  Battista  era  della  fa- 
miglia Fontana  de'  Conti,  e  che  era  nipote  di  Primo  de'  Conti,  che 
al  suo  tempo  fu  considerato  come  uno  dei  più  insigni  eruditi  di 
Milano,  ed  a  lui  sopravvisse  fino  al  1593,  nel  quale  morì  nell'età 
decrepita  di  95  anni.  Egli  è  lo  zio  di  cui  parla  nella  dedica  al 
senatore  Odescalchi,  e  di  cui  altresì  discorre  nel  corso  della  Vita  di 
suor  Paola,  dove  racconta,  che  portò  al  concilio  di  Trento  le  let- 
tere spirituali  della  De  Negri:  «  Il  venerabile  M.  Primo  de  Conti, 
«  uno  tra  quelle  persone,  a  quali  Iddio  ha  dato  grazia  di  congiun- 
«  gere  somma  cognizione  di  gran  dottrina  con  somma  bontà  di 
«  lunga  vita,  essendo  da  molti  e  principalmente  da  monsignor  Carlo 
«  Cardinal  Visconte  allhora  Vescovo  di  Ventimiglia  instato  di  an- 
"  dare  come  theologo  a  quello  celeberrimo  Concilio  di  Trento,  fu 
«  ammonito,  et  inspirato  di  portarci  a  vedere  il  libro  di  queste 
«  poche  lettere  della  Madre  Maestra  »  (p.  70). 

Il  cognome  però,  cl;e  usualmente  egli  portava  e  gli  era  dato, 
di  Fontana,  lascia  credere  ch'egli  fosse  legato  alla  famiglia  De'  Conti 
per  parte  di  donne,  e  quindi  fosse  nipote  di  Primo  per  parte  di 
una  sorella  o  nipote  di  costui. 


35^  FEDELE    SAVIO 


II. 

Giovanni  Battista  Fontana  è  identico  a  Giovanni  Bat- 
tista FONTEIO   PrIMIONE.    —    SuE   OPERE. 

Con  questi  dati  si  può  ora  meglio  esaminare  un  dubbio  del- 
l'Argelati  sull'affermazione  del  Picinelli  (i),  che  il  Fontana  scri- 
vesse Topera  De  Prisca  Caesiorum  gente.  Ecco  le  parole  dell'Ar- 
gelati  :  «  Opus  hoc  laudat  Picinellus,  ab  eo  tamen  non  didici 
u  editum  fuerit,  nec  ne.  Liceat  interim  mihi  dubitare,  Picinellum 
«  ipsum  deceptum  fuisse  a  titulo  alterius  Operis,  nempe  De  Prisca 
a  Caesiorum  gente  Jo.  Baptistae  Fontei  Primionis  Comm.  lib.  II, 
u  Bononiae,  1582,  in  fol.  ». 

Questo  dubbio  non  ha  ragione  di  esistere,  e  il  Fonteio  autore 
dell'opera,  stampata  in  due  volumi  in  Bologna,  dalla  tipografia  di 
Giovanni  Rossi,  sulla  famiglia  Cesi,  è  veramente  il  nostro  mila- 
nese Giovanni  Battista  Fontana.  Chi  ce  ne  assicura  è  il  Bescapè, 
il  quale  non  solo  visse  contemporaneo  (n.  1550,  f  1615)  del  Fon- 
tana, ma  per  gli  uffizi  sostenuti  presso  la  persona  di  S.  Carlo  e 
altrove,  conobbe  certamente  da  vicino  il  Fontana  mentre  viveva, 
e  dopo  la  morte  di  lui  procurò  di  avere  il  suo  manoscritto  dei 
vescovi  ;  come  scorgesi  da  una  nota  di  suo  pugno  (2)  nell'ultima 
pagina  bianca  del  codice  V,  35  sup.  dell'Ambrosiana,  che  dice  cosi  : 

u  Collecta  sunt  haec  a (3)  Fontana  viro  docto  Romae,   inde 

«  ms.  curavimus  post  eius  mortem  ». 

Or  egli  in  due  delle  sue  opere,  citando  il  manoscritto  del  Fon- 
tana sugli  arcivescovi  milanesi,  a  proposito  dell'  iscrizione  attribuita 
al  vescovo  Protasio,  lo  chiama  il  nostro  Fonteio  o  Fontana  mila- 
nese :  «  N.  Fonteius  seu  Fontana  mediolanensis  »  (4). 


(i)  Ateneo,  Milano,  1670,  p.  279. 

(2)  Che  la  nota  sia  del  Bescapè  potei  verificare  io  stesso  confrontandola  con 
altri  scritti  autografi  del  medesimo,  che  si  conservano  nell'archivio  dei  Padri 
Barnabiti  di  Milano,  apertomi  dal  gentilissimo  P.  Premoli. 

(3)  Il  nome  di  battesimo  fu  lasciato  in  bianco. 

(4)  Nella  Brevis  historia  provinciae  mediolanensis,  Milano,  1628,  p.  54  dice 
che  la  detta  iscrizione  in  onore  di   S.   Barnaba   fu   riferita   dall' Alciato,   e  che  : 


GIOVANNI   BATTISTA    FONTANA    O   FONTEIO,    ECC.  351 

Che  se  qualche  dubbio  potesse  rimanere,  dopo  sì  autorevole 
testimonianza,  valgano  a  dissiparlo  le  seguenti  considerazioni. 

Il  Fonteio  scrisse  la  sua  opera  sulla  famiglia  Cesi  tra  il  1570  ed 
il  1582,  cioè  nello  stesso  tempo  in  cui  fioriva  e  scriveva  il  Fontana. 
Sebbene  egli  non  la  vedesse  stampata,  già  aveva  preparata  la  de- 
dica al  cardinale  Pietro  Donato  Cesi,  e  quindi  dopo  il  1570,  quando 
il  Cesi  venne  elevato'  alla  sacra  porpora  (i).  Scrisse  inoltre  il  Fon- 
teio, prima  del  1582,  come  si  vede  da  una  dedica  al  medesimo 
cardinale,  messa  in  fronte  all'opera  del  Fonteio  dall'amico  suo 
Giulio  Giacoboni  di  Terni,  che  curò  la  stampa  dell'opera,  lasciata 
inedita  dal  Fonteio  per  la  morte  sopravvenutagli. 

Certo  è  pure  che  il  Fonteio  mentre  scrisse  la  sua  opera  sui 
Cesi,  nel  periodo  1570-1582,  viveva  a  Roma  (2),  nella  famigliarità 
del  cardinale  Cesi,  che  nella  dedica  del  libro  De  Prisca  Caesiorum 
gente  chiama  suo  patrono.  Ora  dalle  lettere  dello  Spedano,  dalle 
attestazioni  del  Picinelli,  e  dalla  dedica  della  Vita  di  suor  Paola 
apprendiamo  che  a  Roma  si  recò  il  Fontana,  e  che  colà  visse  nella 
servitù  della  famiglia  Cesi  dal  1572  in  poi,  ed  occupato  in  studi 
profani. 

Il  Picinelli  e  l'Argelati  affermano  che  il  Fontana  andò  a  Roma 
sotto  la  protezione   del    cardinale    Francesco  Alciato.    Or   bene,   il 


«  N.  Fonteius  seu  Fontana  sumpsisse  scribitur  (sic)  ex  volumine  quodam  Sa- 
«  xonico  ».  Nell'operetta  De  metropoli  ^mediolanensi,  a  p.  11,  sempre  a  pro- 
posito della  stessa  iscrizione,  ripete  :  «  quod  etiam  N.  Fonteius  seu  Fontana  Me- 
«  diolanensis  ex  volumine  quodam  Saxonico  in  Germania  sumpsit  ». 

(i)  CiACONio,  Vitae  et  res  gestae  Rom.  Pontif.  et  Carditi.,  ediz.  Oldoino,  to.  Ill^ 
p.  1045. 

(2)  A  p.  15  racconta  il  suo  dubbio  sopra  un  passo  della  Rettorica  ad  Erennio ^ 
dove  il  nome  del  poeta  Cesio  era  letto  da  altri  Celio,  da  altri  Lucilio,  ed  i  di- 
scorsi che  su  questo  punto  ebbe  in  Roma  con  Battista  Guarino,  figlio  di  Ales- 
sandro, commentatore  di  Catullo,  e  nipote  dell'altro  Battista  Guarino,  di  Guarina 
editore  della  suddetta  Rettorica.  A  p.  91  riferisce  che  il  Cicereio  da  Milano  gli 
l  mandò  a  Roma  certe  iscrizioni  («  Cicereius  ad  me  Romam  »).  A  p.  95  narra 
di  altre  iscrizioni  mandate  da  Vienna  a  Roma  al  suo  amico  il  veronese  Giu- 
seppe Panfilo,  agostiniano,  vescovo  di  Segni  (1570-1581).  A  p.  108  dice  che  una 
lapide  con  iscrizione  fu  mandata  da  Orvieto  a  Roma  al  cardinale  Cesi,  e  sog- 
giunge: «  quam  vidi,  sum  dimensus  et  legi  in  hunc  modum  ».  A  p.  140,  di  una 
iscrizione  in  S.  Giorgio  in  Velabro  dice  :  a  quam  spectamus  in  aede  S.  Georgi  ». 
Altra  iscrizione  da  Vienna  «  ab  Caesaris  aula  Romam  ad  me  misit  »  il  mar- 
chese Alfonso  II  del  Carretto  del  Finale  (p.  165). 


352  FEDELE   SAVIO 

Fonteio  si  mostra  tanto  entusiasta  del  celebre  Andrea  Alciato,  che 
su  cinque  o  sei  volte  che  lo  nomina  in  tutta  la  sua  opera,  quattro 
lo  chiama  col  nome  di  grande,  «  magni  Alciati  »  (pp.  57,  98,  122, 
149),  una  volta  poi  lo  chiama  «  Alciatum  seniorem  »  con  evidente 
pensiero  di  ossequio  al  cardinale  Francesco,  quasi  che  costui  già 
fosse  tanto  celebre,  da  dover  distinguere  il  primo  Alciato  col  nome 
di  seniore,  riservando  a  Francesco  il  nome  di  juniore. 

Noto  ancora  la  stretta  relazione  di  amicizia  che  fu  tra  il  Fon- 
teio e  il  Cicereio,  come  scorgesi  dalle  iscrizioni  dei  Cesi,  venute 
dalla  Provenza  che  costui  gli  mandò,  sicché  il  Fonteio  due  volte 
lo  ricorda.  Ora  è  certo  dalle  lettere  di  Cicereio  ch'egli  fu  stretto 
di  grande  relazione  con  vari  membri  delle  famiglie  De  Conti  e 
Maioraggio,  alle  quali  o  per  parte  di  padre  o  per  parte  di  madre 
appartenne  il  Fontana. 

Ammesso  pertanto  che  il  Fontana,  autore  di  alcune  Vite  ma- 
noscritte degli  arcivescovi  milanesi,  sia  il  medesimo  che,  sotto  il 
nome  di  Fonteio  scrisse  la  storia  antica  della  famiglia  Cesi,  resta 
che  si  cerchi  di  spiegare  perchè  prendesse  non  solo  il  nome  di 
«  Fonteius  »,  ma  anche  quello  di  «  Primio  »•,  poiché  così  egli  si 
intitola  in  testa  del  suo  libro  :  «  Comment.  Jo.  Baptistae  Fonteij 
«  Primionis  »>. 

Quanto  al  nome  «  Fonteio  »,  il  Nostro,  nel  prendere  questo 
nome  antico  romano,  col  quale  si  trasformava  di  femminile  in  ma- 
schile il  cognome  Fontana,  proprio  di  sua  famiglia,  seguì  primie- 
ramente l'andazzo  della  famiglia  De  Conti,  cui  era  imparentato, 
della  quale  l'Argelati  cita  parecchi  personaggi,  che  assunsero  un 
nome  nuovo,  come  Marc' Antonio,  che  si  disse  Maioraggio,  un  An- 
tonio vivente  nel  1560,  che  si  chiamò  Meliteo,  ed  altri  (i). 

Forse  nella  scelta  del  nome  volle  pure  imitare  il  suo  maestro 
od  amico  il  letterato  Francesco  Ciceri,  che  in  latino  dicevasi 
<<  Cicereius  ».  Infine  il  nome  di  Primio  o  Primione,  io  ritengo,  che 
il  Fontana  l'abbia  scelto  per  indicare  la  sua  riconoscenza  al  suo 
vecchio  zio  Primo  De  Conti,  che,  per  attestazione  del  Picinelli  e 
dell' Argelati,  erasi  preso  cura  della  sua  educazione. 

(i)  «  Lectores  optimos  monendos  esse  duco,  huius  gentis  homines,  praeter 
«  cognomen  De  Comite,  alia  etiam  quandoque  praetulisse  »,  col.  443.  Su  questa 
famiglia  si  vedano  le  note  del  Casati  al  Cicereio,  Epistolarum  libri  XII,  Milano, 
1782,  voi.  I,  p.  103. 


GIOVANNI    BATTISTA   FONTANA    O    FONTEIO,    ECC.  353 

Però,  quantunque  il  Picinelli  e  l'Argelati  lo  dicano  della  fa- 
miglia De  Conti,  crederei  che  ad  essa  appartenesse  solo  per  parte 
di  madre,  e  che  per  padre  appartenesse  alla  famiglia  Fontana,  che 
era  il  suo  cognome  più  usitato,  come  vedesi  dal  linguaggio  dei 
suoi  contemporanei. 

Il  Picinelli  infine  afferma  (p.  279)  che  il  nostro  Fontana  morì 
in  Roma  protonotario  apostolico.  Mi  è  molto  difficile  persuadermi, 
che  questa  qualità,  qualora  veramente  il  Fontana  o  Fonteio  l'avesse 
posseduta,  fosse  interamente  passata  sotto  silenzio  sì  da  lui  nel 
titolo  delle  opere  sue  e  sui  Cesi,  e  su  suor  Paola,  sì  specialmente 
dal  Gitìcoboni  suo  amico  nelle  due  dediche  al  cardinale  Cesi,  dove 
parla  con  lode  del  defunto  Fonteio.  Inclino  piuttosto  a  credere  che 
il  Picinelli  l'abbia  confuso  con  un  contemporaneo  omonimo  (i)  già 
da  noi  ricordato,  cioè  con  quel  Giovanni  Fontana,  modenese,  che 
fu  prima  vicario  generale  di  S.  Carlo  (dopo  il  1573)  e  poi  vescovo 
di  Ferrara  dal  1590  al  161 1. 

In  un  documento  del  25  aprile  1575,  pubblicato  dal  can.  Ari_ 
stide  Sala  (2),  ed  è  una  pergamena  originale  contenente  l'atto,  con 
cui  S.  Carlo  delega  alcuni  suoi  procuratori  per  esigere  una  pen- 
sione sull'arcivescovado  di  Toledo,  si  legge  alla  fine  il  nome  di (3) 

«  Fontana  iuris  utriusque  doctor,  clericus  Mutinensis,  Protonota- 
^^  rius  apostolicus,  curiae  archiepiscopalis  Mediolani  vicarius  »». 

La  stessa  confusione  tra  messer  Giovanni  Battista  Fontana  e 
mons.  Fontana  (che  si  vedono  entrambi  nominati  in  una  lettera 
dello  Spedano,  già  riferita)  sembra  essere  stata  fatta  dall' Oltrocchi 
neir  indice  alfabetico  delia  sua  Vita  S.  Caroli.  Però  nel  testo  l'Ol- 
trocchi,  a  p.  354,  in  nota,  all'anno  1578,  parla  senza  confusione  al- 
cuna, del  solo  nostro  Fontana  e  poiché  ci  scopre  la  particolarità 
che  S.  Carlo  sovveniva  il  Fontana,  affinchè  scrivesse  le  vite  degli 
arcivescovi  milanesi,  riferisco  qui  il  passo  per  intero.  Dopo  avere 


(i)  Il  Fonteio  però  si  chiama  Giovanni  Battista,  mentre  il  vicario  di  San 
Carlo  è  detto  solo  Giovanni. 

(2)  Documenti  circa  la  vita  e  le  gesta  di  S.  Carlo,  Milano,  1837,  voi.  I,  p.  309. 

(3)  Qui  nota  il  Sala  che  il  documento  è  mutilo;  ma  poi  a  p.  593  dice  che 
doveva  leggervisi  «  Giovanni  »,  che  consta  essere  stato  vicario  di  S.  Carlo.  Il 
Fontana  era  già  vicario  criminale  della  Curia  il  31  agosto  1575  (ibid.,  voi.  II, 
,p.  25).  Fu  fatto  vicario  generale  prima  del  luglio  1575  (ibid.,  p.  412).  Nel  1572 
era  ancora  in  quell'ufficio  mons.  Castello  (ibid.,  p.  193). 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  Vili.  2S 


354  FEDELE   SAVIO 

discorso  della  condotta  di  S.  Carlo  in  occasione  della  peste,  rac- 
conta come  egli  attendesse  nello  stesso  tempo  ad  altre  cose:  «  neque 
«  enim  Consilia  sua  et  capacissimam  mentem  una  aegrorum  cura 
«  absorbuit.  Cum  itaque  sibi  videret  ademptam  pròpter  pestilentiam 
u  potestatem,  ut  libere  administris  suis  uteretur,  Jo  Fontanam  aere 
'<  suo  Romae  aluit,  ut  interim,  adhibito  in  consilium  Cardinali  Sir- 
«  leto,  Bibliothecae  Vaticanae  MSS.  evolvens,  historicam  Mediola- 
«  nensium  Archiepiscoporum  Seriem  concinnaret.  Cum  vero  mense 
«  Augusto  bue  ille  redire  moliretur  ;  sed  nollet  propter  morbi  su- 
ii  spicionem  Urbem  ingredi  :  per  litteras  ad  Specianum  datas  eum 
«  monuit,  ut  cito  bue  festinaret,  atque  ad  suburbana  loca,  quae  ma- 
..  gis  arrisissent,  consisteret,  ubi  eum  negotiosum  habere  posset; 
«  namque  ex  Urbe  plura  demandaturus  erat,  quibus  operam  adiun- 
u  geret,  cum  numquam  alere  otiosum  stipendio  suo  passurus  esset  r. 

Forse  sulla  paternità  e  su  altre  circostanze  della  vita  del  no- 
stro saremmo  meglio  informati,  se  nella  corrispondenza  di  San 
Carlo  si  trovasse  ancora  una  supplica  presentatagli  dal  Fonteio, 
affinchè  gli  venisse  in  soccorso  con  qualche  beneficio  ecclesiastico, 
supplica  che  il  repertorio  qualifica  di  lunga  lettera  latina  ed  in- 
dica come  esistente  nel  voi.  36  (ora  86)  (i).  Probabilmente  essa  è 
quella  di  cui  parla  lo  Spedano  nella  lettera  del  26  febbraio  1575, 
che  da  me  fu  già  citata.  Ma  invano  l'ho  cercata  nel  luogo  indicato; 
onde  per  ora  è  d'uopo  contentarci  delle  notizie  che  ci  trasmisero 
il  Picinelli  e  l'Argelati,  e  di  quelle  poche  altre  che  io  potei  qui 
aggiungere. 

Darò  ancora  qualche  cenno  sulla  storia  antica  dei  Cesi. 

Il  Fontana  cominciò  ad  applicarvi  l'animo  nel  1570  (o  nel  1575?) 
come  vedesi  da  un  indice  delle  fonti,  posto  in  fine  del  primo  vo- 
lume (il  solo  che  sia  tutto  del  Fontana,  poiché  il  secondo  è  in 
buona  parte  del  Giacoboni),  dove,  tra  le  altre,  indica  anche  la 
sua  testimonianza  così  :  «  Oculi  nostri,  et  amicorum,  qui  suo  loco 
u  nominantur,  ipsaque  obvia  monumenta,  reliquum  in  testimoniis 
«  locum  habent,  MDLXVV  ».  Che  questa  data  (che  forse  si  deve 
leggere  MDLXXV)  sia   piuttosto  quella  dell'  inizio  dell'opera  anzi- 

(i)  Ecco  le  parole  del  repertorio:  «  Fonteio  domanda  con  una  lunga  let- 
«  tera  latina  al  Santo  qualche  aiuto  alla  sua  povertà,  ed  in  specie  un  qualche 
«  benefizio  in  S.  Maria  maggiore  ».  E  subito  dopo  :  «  Gabriele  Faerno.  Lodato 
«  dal  Fonteio  come  allievo  del  Santo  »  :  to.  180  (oro). 


GIOVANNI   BATTISTA   FONTANA    O    FONTEIO,    ECC.  355 

che  della  fine,  deducesi  da  vari  passi  di  essa.  Per  es.  ivi  stesso  nel- 
l'indice citasi  un'opera  del  Nazario  bresciano  stampata  nel  1572. 
A  p.  98  il  libro  di  Onofrio  Panvinio  :  Civitas  Romana,  che  si  dice 
edito  a  Venezia  «  ante  annos  quindecim  ».  Siccome  il  libro  del 
Panvinio  fu  stampato  la  prima  volta  nel  1558,  ne  segue  che  il  Fon- 
feio  scriveva  quel  passo  della  sua  opera  nel  1573.  Avendo  egli 
lasciata  l'opera  incompiuta  e  inedita,  si  comprende  come  nella 
stampa  non  venissero  tolte  queste  riferenze  ai  diversi  anni,  nei 
quali  il  Fonteio  veniva  di  mano  in  mano  componendo  la  sua  opera. 

Se  egli  veramente  la  cominciò  nel  1570,  diventa  assai  verosimile 
quanto  afferma  il  Picinelli  che  imprendesse  a  scriverla  per  suggeri- 
mento del  cardinale  Alciati,  poiché  forse  questi  volle  così  onorare  il 
Cesi,  che  quell'anno  stesso  era  stato  elevato  alla  dignità  cardinalizia. 

L'opera  De  Prisca  Caesiorum  gente  consta  di  due  volumi.  Il 
primo,  opera  del  Fonteio,  fu  stampato  nel  1582,  ed  è  diviso  in  due 
libri;  in  uno  dei  quali  l'autore  spiega  i  passi  degli  scrittori  latini, 
che  ricordarono  qualche  personaggio  dal  nome  «  Caesius  »  ;  nel  se- 
condo si  riportano  le  iscrizioni  di  personaggi  aventi  lo  stesso  nome. 

L'editore  del  primo  volume  della  Storia  dei  Cesi,  Giulio  Gia- 
cobono  di  Terni,  famigliare  del  cardinale  Cesi  ed  amico  del  Fon- 
tana, oltre  al  curare  la  stampa  del  suddetto  volume,  gliene  aggiunse 
un  altro  quasi  tutto  di  suo,  stampato  nel  1583,  nel  quale  egli,  siccome 
attesta  nella  dedica  al  cardinale  Cesi  (i),  riportò  iscrizioni  per  lo  più 
trovate  da  lui  negli  autori,   ed   alcune   anche  lasciate  dal  Fontana. 

Il  Mommsen  osserva  che  quasi  tutte  le  iscrizioni  sono  prese  per 
lo  più  da  libri,  e  quindi  l'opera  del  Fontana  è  poco  utile  (2j.  Ag- 
giungerò non  parermi  che  vi  sovrabbondi  l'erudizione,  né  sempre  l'A. 
si  mostrò  buon  critico,  specialmente  là  dove  accetta  ad  occhi  chiusi 
e  commenta  un  passo  del  Corio,  che  narra  le  gesta  di  un  Cesio  Fon- 
tana vivente  ai  tempi  del  re  Desiderio  e  di  papa  Adriano,  passo  che 
basta  leggere  per  capire  quanto  sia  favoloso.  Forse  la  fama  che  egli 


I 


(i)  «  Qui,  postquam  a  te,  summi  beneficii  loco  impetravi,  ut  Caesiorum  stem- 
«  mata,  a  non  exiguae  doctrinae,  magnaeque  industriae  viro,  Joanne  Baptista  Fon- 
«  telo  collecta,  atque  explicata  evulgarem  primum  ;  mox  dein  Appendicem  ad 
«  eius  Commentarios  pangerem  meam  (multa  siquidem  Fonteius  indicta  atque 
«  inenarrata  reliquit  ;  multaque  post  eius  obitum  ad  nostras  devenere  manus)  di- 
ce sertis  piane  verbis  imperasti  ». 

(2)  Corp.  inscript,  lat.,  voi.  IV,  par.  I,  che  contiene  le  iscrizioni  di   Roma. 


356  FEDELE    SAVIO 

ebbe  al  suo  tempo  e  ramicizia  di  molti  eruditi,  quali  Aldo  Manuzio 
il  giovane,  il  Pighio  iuniore,  il  Panvinio,  Giovanni  Battista  Guarino, 
il  Cicereio,  Fulvio  Orsino  (il  quale  gli  fece  avere  la  raccolta  d'iscri- 
zioni di  Ciriaco  e  dello  Scandiano),  gli  vennero  dalle  relazioni,  che 
col  mondo  erudito  di  quei  tempi  avevano  avuto  e  conservavano 
parecchi  membri  di  sua  famiglia,  cioè  Marc'  Antonio  Maioraggio, 
e  il  suo  zio  ed  educatore  Primo  de  Conti,  per  tacer  d'altri.  Che  se 
il  Sigonio,  alla  notizia  della  sua  morte  accaduta  verso  il  tempo, 
in  cui  stampava  a  Bologna  nel  1580  la  sua  Storia  del  regno  d'Italia, 
lamentò  il  danno  che  da  essa  veniva  alle  ricerche  storiche,  e  pose 
il  Fonteio  nel  numero  di  coloro  che  gli  avevano  somministrate 
notizie  ed  aiuti,  oltre  il  dovere  della  riconoscenza,  lo  spinse  for- 
s'anche  a  ciò  un  riguardo  al  cardinale  Cesi,  allora  legato  di  Bo- 
logna e  patrono  del  Fonteio,  storiografo  della  sua  famiglia. 

L'Argelati  sull'autorità  del  Picinelli  ricorda  ancora  in  genere 
alcuni  altri  manoscritti  del  Fontana,  dei  quali  il  Picinelli  non  diede 
maggiori  indicazioni. 

Uno  di  questi  scritti  consisterebbe  in  certe  poche  note  fatte 
ad  un  regesto  manoscritto  di  lettere  pontificie,  da  papa  Liberio 
venendo  giù  sino  a  Pasquale  II,  ma  specialmente  di  Giovanni  Vili, 
Esso  forma  il  cod.  Ambr.,  D,  319  infer.,  e  le  note  sono  indicate 
nel  catalogo  dei  mss.  dell'Ambrosiana  come  opera  del  Fontana, 
con  questo  titolo  :  Noiae  aliquot  historiographae  ;  ma  sono  di  non 
molto  valore;  né  il  carattere  mi  sembra  al  tutto  della  prima  mano 
che  scrisse  nel  codice  V,  35  sup.,  la  quale  si  crede  essere  del  Fon- 
tana. Al  contrario  del  tutto  identica  a  questa  è  la  mano,  che  scrisse 
frequenti  note  in  margine  all'opera  Rerum  patriae  nel  cod.  A,  136  inf. 
deir Ambrosiana  (i);  di  queste  non  si  tenne  conto  nell'edizione  che 
di  quest'opera  si  fece  a  Milano  nel  1625  «  apud  Jo.  Bapt.  Bidel- 
«  lium  ».  Esse  per  lo  più  consistono  o  in  correzioni  ortografiche, 
o  in  citazioni  di  autori  che  trattano  quei  medesimi  punti.  A  con- 
ferma che  l'autore  di  queste  note  può  essere  il  Fontana,  noto  che 


(i)  Il  codice  fu  descritto  dai  BoUandisti  in  Analecta  Bolland.,  to.  XI,  1892, 
p.  206.  Se,  come  crediamo,  le  note  sono  del  Fontana  si  deve  correggere  l'indi- 
cazione del  secolo,  che  non  sarebbe  il  XVII,  ma  il  XVI.  Il  codice  porta  una  nu- 
merazione antica  seguita  sino  a  p.  262.  Indi  vengono  «  Tria  commentariola  quae 
«  Antiquitates  Mediolani  consequuntur  »  con  numerazione  propria.  Poi  si  ripete 
il  frammento  «  De  formula  romani  imperii  »  senza  numerazione. 


GIOVANNI   BATTISTA   FONTANA   O   FONTEIO,    ECC.  357 

il  codice   fu    posseduto   dal  Bescapè  che  lo  regalò  alla  biblioteca 
Ambrosiana,  come  è  scritto  nella  rilegatura  contemporanea.  A  p.  88 
dove  l'Alciato  afferma  essersi  trovato  presso  S.  Celso  il  corpo  an- 
cora integro  di  una  Aurelia  Virginia,  vi  è  la  nota  :  «  Simile  traditur 
u  de  corpore  Tulliolae,  ut  aiebant,  Romae    ante    octoginta   annos 
«  reperto  ».    A  p.    90,   correggendo   l'errore  dell'Alciato  o  del  co- 
pista che  aveva  scritto:  «  Q.  Ingerinus  Maximianus  »  (nello  stam- 
pato, p.  103)  dice:  «  Alias  Ingenuus,  haec  atque  alia  lapidum  no- 
u  mina  emendanda  ex  antiquarum  inscriptionum  libro,  huic  operi 
«  adiciendo,  in  quo  exacte  scripta  sunt.  Nunc  ad  manus  non  erat  ». 
A  p.  106  dove  l'Alciato,  errando,  aveva  interpretato  la  sigla  OVF 
per  «  olim  vetere  familia  »  (p.  125  dello  stampato;  vedi  Mommsen, 
p.  625,  col.  2,  circa  medium)  nota:  «  Notam  Oufentinae  tribus   sic 
«  declarabat  puer,  quo  tempore  haec  scribebat.  Primus  ipse  tamen^ 
u  deinde  notam  tribus  esse    Insubrum    declaravit  »;    e  poco  dopo 
dopo  (p.  107):  «  Vide  infra  inter  inscriptiones  antiquas  urbis  Medio- 
«  lanensis,  et  post  antiquitates  commentariolum  de  re  nummaria  (i), 
u  quibus  in  loci  certa  atque  exacta   huius  monumenti  Pliniani  in- 
«  terpretatio  traditur  ».  A  p.  160    nota    che    un'iscrizione,  riferita 
dall' Alciato,    «  Romae    visitur  in    aedibus   Caesiis  ».  A  p.  164  ri- 
manda alla  raccolta  delle  Inscr.  «  infra  »,  la  quale,  come  ho  detto, 
nel  codice  non  esiste.    Sulla  fine    del    frammento   su  S.   Eustorgio 
(p.  214)  cita  Annales  Mediolani,  Si  osservi    ancora   ia   nota  posta 
dal  medesimo  Fontana  alla  fine  della  vita  (rimasta   incompiuta)  di 
S.  Arialdo  dell'Ai  ciato:  «  Ad  lectorem.  Reliqua  absolverit,  an  ab- 
«  soluta  casu  aliquo  interciderint,  incertum.  Hoc  certum  haec  tan- 
«  tum  in   suo  autographo  reperta  fuisse  ».  Dal  che  si  vede  che  il 
Fontana  aveva  davanti  a  sé  gli  autografi  dell'Alciato,  che  fece  tra- 
scrivere, aggiungendovi  poi  delle  note,  forse  in  vista  di  una  stampa 
delle  opere  storiche  ed  epigrafiche  dell'Alciato,  la  quale  era  desi- 
derata dagli  eruditi  (2). 


(i)  Come  già  ho  avvertito,  la.  raccolta  delle  iscrizioni,  che  doveva  precedere 
la  dissertazione  «  De  re  nummaria  »  non  le  fu  unita  nel  cod.  A,  136  inf.,  fatto 
rilegare  dal  Bescapè. 

(2)  Come  afferma  il  Mommsen,  C.  /.  L.,  voi.  V,  par.  Il,  p.  627,  col.  i,  nel 
1560  il  Landò  in  un'opera  sulle  monete  romane  stampata  a  Lione,  scriveva: 
«  sperare  se  fore  ut  elogia  haec  Andreae  Alciati  et  historiae  patriae  libri  qua- 
«  tuor  ab  haerede  eius  Francisco  propediem  edantur  ». 


35^  FEDELE    SAVIO 

III. 

L'opera  del  Fontana  sugli  arcivescovi  di   Milano. 

Vengo  ora  all'opera,  ancora  inedita,  del  Fontana  sugli  arci- 
vescovi di  Milano,  la  quale,  sebbene  sotto  molti  rispetti  abbia  poco 
valore,  ne  ha  però  uno  importantissimo  per  la  storia  antica  mila- 
nese, specialmente  ecclesiastica. 

Com'è  noto,  il  celebre  giureconsulto  ed  umanista  Andrea  Ai- 
ciato  (n.  1492,  f  1550)  fu  uno  dei  primi  che  facesse  una  raccolta 
d'iscrizioni,  o  copiate  dalle  lapidi  ancora  esistenti  o  da  altre  fonti. 
Una  delle  fonti  adoperate  da  lui  fu  un  codice,  ch'egli  dice  antichis- 
simo, e  da  cui  affermò  d'aver  tolto  tredici  iscrizioni  (i),  le  quali  egli 
trascrisse  in  una  sua  raccolta  cominciata,  a  quanto  pare,  nel  1508  (2) 
e  accresciuta  continuamente  sin  presso  alla  sua  morte  nel  1550.  La 
raccolta  sta  ora  nella  bibhoteca  regia  di  Dresda,  a  cui  passò  dalla 
biblioteca  Petzoldiana. 

Il  Mommsen  dall'esame  dei  vari  codici  dell'Alciato  dedusse 
che  le  tredici  iscrizioni  da  lui  trovate  nel  «  codice  antiquissimo  w 
fossero  le  tredici  seguenti  :  quella  composta  da  Sant'  Ambrogio 
per  la  chiesa  di  S.  Nazario,  e  quelle  in  onore  di  S.  Calimero 
(fatta  dal  vescovo  Tommaso),  di  Venerio,  di  Marolo,  di  Glicerio, 
di  Lazaro,  di  Aurelio,  di  Senatore,  di  Eustorgio  I,  di  Magno,  di 
Natale^  della  fondazione  di  S.  Celso,  e  di  S.  Arialdo  (3). 


(i)  c(  Libet  tredecim  subsequentia  sanctitate  insignium  virorum  epitaphia 
«  subiicere,  quorum  aliqua  adhuc  extant,  sed  semifracta,  aliqua  vero  Saturni 
«  edacitate  consumpta  in  humanis  esse  desierunt.  Et  imprimis  celebre  est  hoc 
«  divi  Ambrosi!  Carmen  quod  Nazarii  in  aede  ille  apposuerat.  Verum  ea,  ut  ar- 
«  bitror,  ab  impiissimo  ilio  Gothorum  duce  Taeia  solo  acquata  et  marmor  con- 
«  fractum  est,  adeo  ut  modica  eius  pars  in  fornice  Crassorum  aediculae  supersit. 
«  Mihi  integrum  habere  ex  antiquissimo  codice  contigit,  unde  et  alia  sequentia 
«  desumpsi:  certissimo  argumento  aeternitati  plus  conferre  tenuissimas  membra- 
«  nas  quam  praedura  marmora  ».  Mommsen,  op.  cit.,  voi.  V,  par.  II,  p.  617,  col.  i. 

(2)  C.  I.  L.,  voi.  V,  par.  II,  p.  627,  col.  i. 

(3)  Nel  codice  di  Dresda  sono  tutte  tredici  di  seguito  dal  fol.  146  al  158 
inclusive. 


I 


GIOVANNI   BATTISTA  FONTANA    O    FONTEIO,   ECC.  359 

A  queste  iscrizioni  più  tardi  TAlciato  ne  aggiunse  altre  sette, 
cioè  : 

quella  di  Serena,  n.  6250  del  Corpus  (cod.  di  Dresda,  fol.  9) 

„  „  Marcellina,  p.  623,  n.  16  (ibid.,  fol.  160) 

„  „  Manlia  Dedalia,  n.  6240  (ibid.,  fol.  161) 

„  „  Osio,  n.  6253  (ibid.,  fol.  162) 

„  „  Rustica,  n.  6266  (ibid.,  fol.  163) 

,,  „  Ludovico  II  imperatore,  p.  623,  n.  17  (ibid.,  164) 

„  „  Cervia,  n.  6202  (ibid.,  fol.  165  e  fol.  36). 

Di  queste  sette  non  dice  più  TAlciato  averle  prese  dal  codice  an- 
tichissimo, onde  il  Mommsen  restò  dubbio  se  esse  pure  vi  stessero. 

Ma  l'Alciato  nel  riferire  gli  epigrammi  da  lui  trovati  nel  suo 
codice  relativi  ai  più  antichi  vescovi  o  santi  di  Milano,  cioè  a  San 
Calimero,  ed  ai  vescovi  Venerio,  Marolo,  Glicerio,  Lazaro,  Se- 
natore, Eustorgio,  Magno,  e  S.  Celso  (lapide  dell'  arcivescovo 
Landolfo)  non  si  curò  per  nulla  dell'esattezza.  In  tutti  cambiò  al- 
meno delle  parole;  in  parecchi  poi  degli  interi  versi,  mutando 
eziandio  il  senso.  Il  confronto  si  può  fare  facilmente,  osservando 
i  due  testi,  quali  si  trovano  entrambi  di  fronte  presso  il  Corp. 
inscript,  lat.,  voi.  V,  par.  II,  pp.  619-622,  cioè  il  testo  dell'Alciato 
•e  quello  che  il  Fontana  prese  anch'  egli  da  un  codice  antico,  che 
forse  è  il  medesimo  dell'Alciato. 

Mi  contenterò  di  alcuni  esempi.  L'ultimo  verso  dell'iscrizione 
di  S.  Calimero,  che  in  gran  parte  ancora  si  legge  nella  chiesa 
omonima,  diceva: 

Quod  vernat  cunctis  niveo  vernante  metallo; 
l'Alciato  ne  fece  il  seguente  distico: 

Nunc  locus  hic  vernat  flavo  radiante  metallo, 
Lychnuchique  ardent  lumine  perpetuo, 

volendo  così  dar  credito  ad  una  fiaba,  che  si  trova  presso  il  Fiamma, 
e  fu  poi  ripetuta  dai  cronisti  milanesi,  che  l'arcivescovo  Tommaso 
facesse  fare  un  altare  d'oro  in  onore  di  S.  Calimero:  «  Et  dicit 
«  cronica  Leonis  quod  Thomas  arch.  med.  eius  altare  aureum  fecit  w  ; 
Galvagnana,  in  cod.  Braidense,  AE.  X.  io,  e.  20  r. 

Nell'iscrizione  di  Venerio  l'Alciato  tralasciò  l'ultimo  distico. 

All'epigramma  di  Marolo  aggiunse  di  suo  il  titolo  «  Marolo 
-ii  Syro  »,  cambiò  la   collocazione   di    alcune    parole  (versi  i,  4)  e 


360  FEDELE    SAVIO 

cambiò  anche  il  senso.  Per  esempio  il  2.°  verso  diceva  nel  codice 
antico  e  presso  Ennodio  (che  ne  è  l'autore): 

Qui  iubar  in  madidis  viderat  hospitiis  : 

egli  cambiò  madidis  in  magicis, 

Qui  iubar  in  magicis  viderat  hospitiis  ; 

facendo  così  Marolo  compatriota  dei  Magi. 

Quindi  il  De  Rossi,  trattando  in  particolare  delle  iscrizioni  dì 
S.  Calimero  e  di  Glicerio,  ebbe  a  dire  che  :  «  Alciatinae  lectionis^ 
u  nulla  habenda  ratio  est  »,  e:  «  Alciati  lectio  nullam  meretur  fi- 
«  dem  w.  Questo  giudizio  però  si  deve  limitare  alle  nove  iscrizioni 
soltanto,  che  qui  sopra  ho  nominato,  e  che  secondo  ogni  probabi- 
lità erano  le  sole  che  stavano  in  quell'antico  codice,  siccome  tra 
poco  dirò,  poiché  quanto  alle  altre  quattro  delle  tredici,  ed  alle 
sette  seguenti,  che  l'Alciato  tolse  o  da  quella  o  da  altre  fonti,  egli 
fu  esatto. 

Intanto  chi  ci  porge  il  modo  di  rimediare  al  grave  inconve- 
niente del  testo  Alciatino  è  il  nostro  Fontana,  nella  sua  opera  ine- 
dita sui  vescovi  di  Milano,  che  forma  il  codice  V,  35  sup.  della 
biblioteca  Ambrosiana. 

Questa,  solo  impropriamente  si  può  dir  opera,  e  neppure  le 
si  potrebbe  dare  il  titolo  di:  Vite  degli  arcivescovi  milanesi fXmtxvix^ 
è  una  semplice  raccolta  di  note,  che  il  Fontana  si  andava  prendendo 
per  scrivere  poscia  a  suo  tempo  le  vite  dei  prelati  milanesi,  e  farne 
com'egli  disse  allo  Spedano  (vedi  qui  sopra  la  lettera  citata  delio 
Spedano),  un  volume  grosso  come  le  Vite  dei  papi  del  Platina. 
Quindi  giustamente  il  Picinelli  le  chiamò  Annotazioni  alle  vite  degli 
arcivescovi  {Ateneo,  loc.  cit),  quantunque  esagerasse  moltissimo,  di- 
cendole «  opera  molto  stimata  w,  poiché  in  realtà,  ove  se  ne  tolgano 
le  iscrizioni,  di  cui  già  ho  cominciato  a  parlare,  non  v'é  quasi  nes- 
suna notizia,  che  non  si  trovasse  nelle  anteriori  biografie  dei  ve- 
scovi milanesi.  Le  notizie  inoltre  sono  assai  poche,  e  non  riguar- 
dano che  una  parte  dei  130  vescovi  incirca,  di  cui  il  Fontana  si 
prefiggeva  di  trattare  (da  S.  Barnaba  a  S.  Carlo  Borromeo),  e  i 
cui  nomi  collocò  nell'indice  in  capo  al  suo  manoscritto.  Di  29  di 
essi  non  vi  é  che  il  nome.  Di  20  altri  incirca  non  ha  che  le  notizie 
prese  dai  cataloghi   antichi    o    dal    Sigonio.    Pei    restanti,    quando 


I 


GIOVANNI    BATTISTA    FONTANA   O   FONTEIO,    ECC,  361 

tolgansi  molte  pagine  tratte  da  libri  stampati  e  assai  noti,  quel  che 
v'è  di  alquanto  pregevole  è  ben  poca  cosa. 

Basta  sfogliare  il  codice  per  vedere  che  è  solo  uno  zibaldone 
di  appunti.  Qua  e  là  l'autore  ricorda  a  sé  stesso,  che  dovrà  trat- 
tare meglio  questo  o  quel  punto.  A  e.  14  v.,  leggesi  :  «  Recordare 
«  hoc  loco  quod  in  Registro  lohannis  pape  est  epistola,  in  qua 
«  Carolo  imperatori  et  imperialiter  roganti  ut  dimitteret  noxam 
u  Ansperti...  respondet  etc.  Vide  antequam  obliviscaris  ».  A  e.  15  r., 
riferito  l'epitafio  di  Ansperto,  scrive:  «  Vide  et  memento  de  ipsius 
«  epitaphio  et  aliorum  archiepiscoporum  ». 

Al  contrario  di  molto  pregio  è  il  codice  del  Fontana  per  le 
iscrizioni,  ch'egli  riportò  e  specialmente  per  quelle  che  erano  già 
state  riferite  dall'Alciato.  Il  Fontana  ebbe  anzi  tutto  a  sua  disposi- 
zione una  copia  della  raccolta  delle  iscrizioni  alciatine,  scritta  di 
mano  dell'Alciato  e  da  lui  regalata  nel  1536  al  cardinal  Cesi,  allora 
suo  scolaro.  Egli  la  cita  come  una  delle  fonti  per  la  sua  Storta  dei 
Cesi  (i).  Di  più  egli,  essendo  andato  in  Germania,  potè  vedere  coi 
suoi  propri  occhi  quel  medesimo  codice  antichissimo  membrana- 
ceo (2),  ch'era  stato  visto  e  adoperato  dall'Alciato.  Dal  Fontana 
stesso  sappiamo  quanto  conteneva  il  codice  adoperato  da  lui.  Per 
esempio,  sotto  il  vescovo  Eustorgio  I,  a  e.  28  v.,  dopo  aver  ri- 
portato il  suo  epigramma  come  stava  nella  raccolta  dell'Alciato, 
«  ex  A.  Alciati  antiquario  w,  riporta  la  vera  lezione  del  codice  an- 
tichissimo, facendola  precedere  dalla  seguente  nota:  «  Ut  sunt  in 
«  antiqua  membrana  auctoris  qui  descripsit  vitas  Pontificum  et 
«  proemium,  et  eam  epistolam  de  Mediolanensibus,  quae  sub  no- 
u  mine  D.  Ambrosii  cum  eius  epistolis  implexa  circumfertur  ». 
Quest'«  epistola  de  Mediolanensibus  »  assai  bene  il  De  Rossi 
(p.  174,  2.*  colonna)  identificò  con  quel  Sermo  de  aedificatione  Urbis 
Mediolani,  che  fu  stampato  a  Milano  nel  1491,  coi  tipi  di  Antonio 
Zaroto,  in  calce  alle  Epistole  di  S.  Ambrogio,  e  che  è  identico  alla 


(i)  A  p.  232  del  voi.  I  «  De  prisca  Gaesiorum  gente  »,  tra  le  fonti  cita: 
«  Alciatus  I.  C,  Libellum  Epigrammatum  extra  patriam  collectorum;  Autogra- 
«  phon  alumno  suo  P.  Donato  Caesio  Cardinali  D.  D.  MDXXXVI  ». 

(2)  Si  osservi  nel  testo  dell'Alciato,  citato  qui  sopra  a  p.  3  59,  ch'egli  parla 
di  membrane:  ot  plus  conferre  tenuissimas  membranas  ».  Si  trattava  dunque  di 
un  codice  membranaceo,  com'era  il  codice  visto  dal  Fontana,  che  lo  chiama 
«  membrana  antiqua  ». 


362  FEDELE   SAVIO 

descrizione  di  Milano  premessa  alle  Vite  dei  sei  primi  vescovi  di 
Milano  e  pubblicata  prima  dal  Muratori  col  titolo  :  De  sìtu  urbis 
Mediolani  e  poi  dal  Biraghi  con  quello  di  Datiana  Historia,  Ma  ne 
il  Mommsen  (che  però  non  vide  coi  suoi  occhi  il  codice  V,  35  sup.) 
né  il  De  Rossi  osservarono  nel  manoscritto  del  Fontana  un  passo 
dove  si  descrive  più  in  particolare  il  codice,  dicendo  ch'esso  con- 
teneva le  vite  dei  vescovi  milanesi  da  S.  Barnaba  a  Mona  inclusive, 
che  vi  mancava  la  vita  di  S.  Calimero  «  fortasse  scriptoris  vitio, 
«  ut  vide  tur,  certe  non  auctoris  »,  e  che  dopo  la  vita  di  Mona  lo 
scrivano,  e  non  l'autore,  aveva  aggiunto  alcuni  versi  riguardanti 
alcuni  antichi  vescovi  di  Milano,  dei  quali  il  più  recente  era  Sena- 
tore (i). 

Qui  non  fu  del  tutto  esatto  il  Fontana,  poiché  certo  vi  era 
in  quel  codice  l'epigramma  di  Magno,  che  fu  posteriore  di  50  anni 
almeno  a  Senatore.  Ma  è  da  notarsi  che,  al  tempo  del  Fontana,  la 
cronologia  dei  vescovi  era  molto  confusa.  Avrebbe  dovuto  altresì 
il  Fontana  riflettere  che  l'iscrizione  relativa  al  nuovo  monastero 
di  S.  Celso  riguardava  anche  un  arcivescovo,  cioè  Landolfo  li  di 
Carcano,  morto  nel  997  e  quindi  cinque  secoli  dopo  Senatore.  Ma 
certo  il  pensiero  del  Fontana,  riferendo  quest'ultimo  epigramma, 
si  portò  sopra  tutto  a  S.  Celso  ed  all'età  delle  persecuzioni. 

Credo  utile  di  riferire  qui  testualmente  le  espressioni,  che  il 
Fontana  adopera  nel  registrare  dieci  o  anche  undici  di  quelle  iscri- 
zioni ch'egli  trovò  in  quel  vecchio  codice  membranaceo,  che  oltre 
a  una  parte  notevole  della  Datiana  Historia,  conteneva  la  silloge 


(i)  c<  Auctor  ille  vide  si  forte  est  Dacius.  Ilio  tempore  nondum  reperta  erant 

«  corpora  uUa  Sanctorum  presertim  nec    Monae    nec    Cali  me  ri.  Sed  si  respicies 

«  quo  tempore  fuerit  episcòpus  Monas,  intelliges  quod  antiquus  sit  auctor,  hoc  est 

«  valde  notum  et  precipue  quia  proemium  de  Mediolano  iam  est  impressum  cum 

«  epistolis  Divi  Ambrosi i.  Facile  autem  colligitur  eum   ad  unum   Presulem  eius 

«  rogatu  opus  dirigere.  De  nomine  auctoris  frustra  laboramus,  quia   ipse  in  sua 

<(  epistola  dedicatoria  dicit  se  nolle  suum  nomen   propter  reverentiam  adhibere. 

a  Sex  tantum  archiepiscopos  attingit,  videlicet  Barnabam,  Anathalonem,  Caium, 

<(  Castritianum,  Calimerum,  cuius  vita  hoc  loco  fortasse  scriptoris  vitio  ut  vide- 

«  tur,  certe  non  auctoris,  omissa  est,  et  Monae,  ubi  non  auctor  sed  scriptor  dete- 

«  gitur  subdendo  aliquot  versus  qui  pertinent  ad  veteres  archiepiscopos,  quorum 

<(  recentissimus  Senator  qui  vivebat  anno   446.    Utinam    vero    reliqua  extarent, 

«  nam  nihil  sciscitaremus  de  rebus  etiam  quae  non  apparent  ex  hoc  fragmento  ». 
Cod.  Ambr.,  V,  35  sup.,  e.  19  r. 


3^3 

di  iscrizioni  sacre  milanesi.  Seguirò  l'ordine  stesso  tenuto  dal 
Fontana  (sebbene  non  sempre  rigorosamente),  cioè  l'alfabetico,  fa- 
cendo notare  che  il  codice  del  Fontana  fu  scritto  da  sei  mani,  delle 
quali  la  prima  sola  che  va  fino  a  e.  21  r.  sembra  quella  dell'au- 
tore. Ne  possono  essere  prova  gli  spazi  in  bianco  che  in  questa 
prima  parte  si  vedono  spesso  lasciati  dopo  i  nomi  di  certi  vescovi, 
dei  quali  il  Fontana  o  non  aveva  pronta  la  biografia,  o  sperava 
ottenere  migliori  e  più  complete  notizie.  Tali  spazi  non  si  vedono 
più  nel  resto  del  codice,  sebbene  vi  siano  ancora  molti  nomi  di 
vescovi  senza  biografia. 

A  e.  6  r.  (parlando  di  S.  Ambrogio  e  di  S.  Nazario)  : 

Ex  Andreae  Alciati  antiquario.  Fragmentum  est  in  fornice  aediculae 
Crassorum  litteris  niaiusculis  quod  a  D.  Ambrosio  Nazario  martiri. 

Condidit  Ambrosius  templum  dominique  sacravit. 

(C.  /.  L.,  V,  par.  IT,  p.  617,  n.  3). 

Indi,  senza  righe,  né  altro: 

Sic  et  vetus  codex. 

Sunt  alii  versus  in  rotunditate  templi,  nam  Serena  uxor  Stiliconis, 
cuius  nuptias  celebrat  Claudiaus  libico  ex  marmore  monumentum  posuit 
Nazario,  cuius  corpus  invictum  Ambrosius  intulerat  sepulcro,  addito  hoc 
Carmine  : 

Qua  sinuata  cavo  consurgunt  tecta  regressu. 

(Ibid.,  n.  6250). 

Dopo  l'ultimo  verso  scrive  : 

Ita  V.  C. 

Habitavit  Stilico  Mediolani  in  cuius  agro  castrum  condidit,  quod 
Stiliconis  dictum  est. 

Dopo  una  breve  notizia  di  Calimero  presa  dal  Galesino,  citato 
in  margine,  scrive  (e.  20  r.): 

Ex  Alciati  antiquario. 

Calimerius  ex  historia  sacra  legi  Mediolanum  venisse  anno  domini 
CXXXIIII  et  episcopus  ecclesie  Mediol.  fuisse.  Thomas  autem  monumen- 
tum deauratum  extruxit.  Iste  Caroli  magni  filiam  de  lustrico  fonte 
suscepit. 

E  in  margine  :  Anton.  1.  4,  e.  72,  voi.  5. 

Divo  Calimerio  Mediolanenses  Liguriaeque  summo  sacerdoti  qui 
successit  Castritiano,  qui  Caio,  qui  Anathaloni,  qui  Barnabae  Apostolo. 

Cuicumque  aetheria,  qui  regnet  in  arce  sacerdos. 

(Ibid.,  p.  619,  n.  col.  i). 


364  FEDELE   SAVIO 

Ut  erant  in  opere  antiquo  membranae  versus  supra  corpus  S,  Ca- 
limeri. 

Quamvis  aetheria,  regnet  in  arce  sacerdos. 

(Ibid.,  col.  2). 

Sotto  Eustorgio  I,  e.  28  v.: 

Ex  A.  Alciati  antiquario. 

Duo  fuerunt  Eustorgii  episcopi  Mediolanenses,  alter  sub  Diocletiano 
et  Constantino,  alter  sub  Theoderico  Gotthorum  rege  usque  ad  Arcadium 
(sic)  de  quo  hic  agitur,  idest  de  2.° 

Virtutum  signis  poUens  Eustorgius  heros. 

(Ibid.,  p.  Ò2I,  n.  9,  col.  i). 

Poscia  tirata  una  riga  nera,  scrive  : 

Ut  sunt  in  antiqua  membrana  auctoris  qui  descripsit  vitas  Pontificum 
et  proemium,  et  eam  epistolam  de  Mediolanensibus,  que  sub  nomine 
D.  Ambrosii  cum  eius  epistulis  implexa  circumfertur;  et  sic  dictum  sit 
de  aliis  quoque  carminibus.  Versus  S.  Eustorgii^: 

Virtutum  signis  pollens  Eustorgius  almus. 

(Ibid.,  Ice.  cit.,  col.  2). 

Sotto  Glicerio  (e.  35  v.)  : 

Ex  chronica  manu  Cardin.li»  Alciati. 

Beatus  Glycerius  post  demortuum  Martenianum  Maternum  XVIII 
episcopus  efficitur  anno  domini  CCCCXX,  sedit  anno  XVII  et  iacet  in 
ecclesia  Sancti  Nazarii  ad  concilia  Apostolorum. 

Ex  vetusto  libro  Volgangi  Lazii  Viennensis  Caesarei  Historici,  ex 
sepulchris  Mediolanensibus. 

Epitaphium  Glycerii  Epi.  Mediclanensi. 
Glycerius  forma  vultuque  animoque  suavi. 

(Ibid.,  p.  620,  n.  5,  col.  2). 

Ex  Alciati  antiquario. 

Legebatur  in  aede  divi  Nazarii.  Glycerius  Ravennae  a  militibus 
iinperator  dictus,  a  Nepote  armis  victus,  Portuensis  episcopus  designa- 
tus  est  secundum  Eutropium,  iuxta  alios  Salonae  in  Dalmatia.  Medio- 
lanenses  hunc  etiam  habuerunt,  et  ex  Landriana  familia  fuisse  ferunt. 
Carmen  vero  fuisse  compositum  cum  eius  statuis. 

Glycerio  Pontif. 
Suffusus  minio,  perque  omnia  facta  rubescens. 

(Ibid.,  loc.  cit.,  col.  i). 

Versus  S.  Glycerii. 

SufFusus  minijs,  perque  omnia  facta  rubescens. 


GIOVANNI   BATTISTA   FONTANA   O    FONTEIO,   ECC.  365 

È  repigramma  Ennodiano  ;  però  non  sembra  che  il  Fontana 
lo  prendesse  da  Ennodìo,  perchè  in  margine  cita  tre  varianti  prese 
da  Ennodìus,  cioè  : 

verso  I  :  minio  Ennodius  in  luogo  di  miniis 
„       4  :  Pietà  Ennodius     „       „        „  Laeta 
„       7  :  gestii  Ennodius     „       „         „  gestata. 

In  fine,  nel  margine,  mette  uno  sotto  l'altro  questi  tre  nomi: 
«  Ennodius,  Vaticanus  et  Volfrangius  »». 

Per  Lazaro  (e.  47  r.)  : 

Ex  antiquario  Alciati,  in  sepulchro  Lazari  ep.  mediol, 
Lazarus  ut  diri  premerei  pede  culmina  mundi. 

(Ibid.,  loc.  cit.,  n.  6,  col.  19). 

ponendo  pure  in  margine  a  4  tacitum  la  variante  tacitis  v.  e.  (cioè 
vetus  codex)]  tulit  v.  e.  in  luogo  di  dedit  che  lesse  nella  sua  copia 
étW Antiquario,  indi  immediatamente  scrive  : 

Sequentes  quatuor  versus  omisserat  A.  Alciatus. 

Non  latuit  sectis  facinus  qui  gessit  in  antris 
Absens  criminibus  suter  ubique  fuit 
Innocuis  piena  vernabat  luce  serenum 
Ceu  speculum  noxis  iniiciens  faciem. 

Est  et  templum  b.  Lazari,  sed  epigrammata  precedentia,  ex  hoc 
codice  recte  olim  A.  Alciatum  ex  antiquissimis  membranis  collegisse. 
Ultimi  quatuor  versus  etsi  impoliti  tamen  multum  faciunt  ad  intelli- 
gendum  sanctitatem  b.  Lazari. 

Di  Landolfo  (e.  50  v.)  : 

Ex  A.  Alciati  antiquario. 

Landulfus  Carcanus  Archiepiscopus  Mediolani  hoc  monumentum 
D.  Celso  Martiri  donavit  975.  Alciatus. 

Eximium  haec  Gelsi  corpus  cumplectitur  ara. 

(Ibid.,  p.  622,  n.  12,  col.  i). 

Variante  al  verso  8  :  in  luogo  di  adscitis  scrive  adscitus  P.  S. 
Anno  976;  e  subito  : 

Ut  in  vetustissima  et   obsolescente   membrana   leguntur,  ipse  vidi. 

Versus  Sanctissimi  Gelsi, 
Coenobium  claustrum  praesentis  rite  sacratum. 

(Ibid.,  loc.  cit.,  col.  2). 


366  FEDELE   SAVIO 

Variante  al  verso  12:  in  luogo  di  Vadibus  legge  Vatibus. 

Di  Marolo  (p.  56  r.)  : 

Ex  Alciati  antiquario. 

Marolo  Syro 
Tigridis  extremae  potator  Marolus  undae. 

(Tbid,,  p.  619  n.  4,  col.  i). 

Dopo  tirata  una  piccola  riga  nera  : 

Ut  sunt  in  antiqua  membrana  auctoris  innominati. 

Marolus  extremae  potator  Tigridis  undae. 

Ilbid.,  loc.  cit.,  col.  2). 

Di  Magno  (col.  64  v.)  : 

Ex  A.  Alciati  antiquario. 

Sepulcrum  Magni  Ep.  Mediolanensis.  Fama  est  hunc  Magnum  fuisse 
ex  Trincheria  gente  ortum,  fuit  conditus  in  tempio  divi  Eustorgii.  Alciat. 

Virtute,  officio,  meritis  et  nomine  Magniis 
Coelestis  specimen  vitae  et  imago  Dei. 

(Ibid.,  p.  621,  n.  IO,  col.  i). 

Indi  una  riga  intera  e  poi  : 

Virtute,  officio,  meritis  et  nomine  Magnus 
Forma  quidem,  speculum  lux  et  imago  Dei. 

(Ibid.,  loc.  cit.,  col.  2). 

Alla  fine  dopo  una  riga  nera  : 

Sic  habebatur  in  veteri  membrana  illius  auctoris,  cuius  epistola  de 
Mediolanensibus  inter  Ambrosii  opera  edita,  quod  dictum  volo  de  om- 
nibus carminibus  semper  etc. 

Di  Senatore  (p.  93  v.)  : 

Ex  A.  Alciati  antiquario. 

Hic  Senator  fuit  praesul  et  sanctus,  templum  habet  Mediolani  et 
Ticini;  est  situs  in  ede  Euphemiae,  et  asserunt  eum  natum  villana 
gente  etc.  Alciatus. 

Qui  vicit  trabeas  solio  cinctumque  gabino.  - 

(Ibid.,  p.  621,  n.  8,  col.  i). 

Ut  legìtur  in  antiqua  membrana  auctoris  illius   etc. 

Qui  vicit  trabeas,  solitum  cinctumque  gabinum  (i). 


(i)  Varianti  dal  Mommsen:   al  verso  5  in  luogo  dì   Mileni  leggQ  Mysteria; 
al  verso  6  in  luogo  di  Orcus  legge  Orkis  (ibid.,  n.  8,  col.  2). 


GIOVANNI   BATTISTA   FONTANA    O   FONTEIO,    ECC.  367 

Di  Venerio  (p.  109  r.)  : 

Ex  A.  Alciati  antiquario. 

In  Azarii  (sic)  fano.  Sepulcrutn  Venerii  episcopi  Mediolanensis. 

Forma  pudicitiae  iuveni  sectanda  Veneri. 

(Ibid.,  p.  619,  n.  3,  col.  i). 

Dopo  tirata  una  riga  orizzontale  : 

Forma  pudicitiae  iuvenis  sectanda  Veneri. 

(Ibid.,  loc.  cit.,  col.  2). 

Quanto  agli  altri  sette  epigrammi  o  iscrizioni,  riportati  dal- 
TAlciato,  cioè  di  Aurelio,  Natale,  S.  Arialdo,  Marcellina,  Manlia 
Dedalia,  Osio,  Ludovico  imperatore,  tutte  le  dà  pure  il  Fontana,  ma 
sempre  ed  unicamente  citando  la  raccolta  alciatina.  Di  due.  Rustica 
e  Cervia,  non  cita  la  fonte,  sebbene  essa  sia  evidentemente  la 
stessa,  quella  dell'Alciato.  L'iscrizione  di  Serena  nel  testo  cita 
in  modo  che  sembra  averla  letta  nel  «  vetus  codex  »  di  seguito  al 
carme  di  S.  Ambrogio  per  Nazario;  né  farebbe  meraviglia  che 
i]  primitivo  raccoglitore  della  silloge  congiungesse  al  suddetto 
carme  di  S.  Ambrogio  quello  di  Serena,  dacché  stavano  entrambi 
nella  stessa  chiesa  di  S.  Ambrogio. 

Quindi  inclinerei  a  pensare  che  nella  silloge  vista  e  adoperata 
dal  Fontana  non  vi  fossero  che  questi  :  il  carme  di  S.  Ambrogio 
per  S.  Nazario,  l'epigramma  di  Serena  (che  però  sembra  fosse 
già  noto  all'Alciato  anche  da  un'altra  fonte),  e  gli  epigrammi  di 
Calimero,  di  Venerio,  di  Marolo,  di  Glicerio,  di  Lazaro,  di  Senatore 
(questi  ultimi  cinque  ennodiani),  Eustorgio  I,  Magno  e  del  mona- 
stero di  S.  Celso.  Che  se  a  questi  si  creda  di  aggiungere  gli  epi- 
grammi del  vescovo  Aurelio  e  il  primo  epigramma  di  Glicerio,. 
omesso  dall'Alciato,  che  si  contentò  di  riferire  (manipolandolo  a 
suo  modo)  l'epigramma  ennodiano,  si  avrebbe  appunto  quel  numero 
di  «  tredici  »  che  l'Alciato  segnalò  nel  codice  da  lui  visto. 

IV. 

Falsificazioni  dell'Alciato  e  la  silloge  milanese  del  se- 
colo XI. 

Nel  codice  antico  non  esistevano  certamente  né  V  iscrizione  di 
Natale,  né  quella  di  S.  Arialdo,  poiché  quelle  che  il  Fontana  riportò 


368  FEDELE    SAVIO 

«  ex  Alciati  antiquario  »  sono  evidenti  falsificazioni,  o,  se  vuoisi, 
manipolazioni  di  quest'erudito. 

La  vera  e  genuina  iscrizione  sepolcrale  di  Natale,  che  ci  fu 
conservata  da  Francesco  Castelli  nel  suo  manoscritto  inedito  Quod- 
libeta,  sive  plura  de  variis  rebus,  fu  pubblicata  dal  Muratori  Nov. 
Thes.  Inscript.,  IV,  p.  1915,  dal  Sassi,  Series  arch.  med.,  I,  p.  253 
-e  da  Forcella-Seletti,  Iscrizioni  cristiane  di  Milano,  p.  178.  Per  co- 
modità di  quei  lettori  che  volessero  confrontarla  con  quella  del- 
l'Alciato  presso  il  Mommsen,  C.  I.  L.,  p.  622,  n.  11,  la  dò  qui  per 
intero  : 

Marmore  conclusum  tegitur  venerabile  corpus 

Natalis  praesul  qui  fuit  urbi  bonus. 
Grandis  honor  patrum  nam  fuerat  pastor  et  almus 

Nobilitate  vixit  rexit  ovesque  pater. 
Condidit  hanc  aulam  Christo  praestante  iuvamen 

Res  dedit  et  recte  plurima  dona  quoque. 
Unde  queant  vigiles  domino  servire  per  aeva 

Proque  suis  culpis  possit  habere  preces. 
Ecclesiam  rexit  bis  septem  mensibus,  annos 

Sexies  atque  decem  quoque  duobiis  habens. 

Essa  ha  tutto  l'aspetto  d'una  composizione  del  sec.  Vili.  Al  con- 
trario ben  si  sente  l'umanista  del  rinascimento  in  quella  che  TAl- 
■'ciato  finse  d'aver  tolto  dal  codice  antichissimo,  e  comincia  : 

Marmore  Natalis  tegitur  venerabile  corpus 

Praesule  quo  sacris  est  suus  auctus  honos  (i). 

Lo  stesso  dicasi  dell'iscrizione  di  S.  Arialdo.  La  vera  e  ge- 
nuina lezione  è  quella  che  si  trova  riferita  dal  Fiamma  (Chron. 
maius,  cap.  784)  e  da  un  vecchio  annotatore  di  Landolfo  e  che 
qui  riferisco  per  la  stessa  ragione  che  ho  riferita  quella  di  Natale: 

Hoc  mausoleo  reverenter  condita  digno, 
His  geminis  causis  Arialdus  passus  ab  istis 
Martyr  in  Ecclesia  Levita  recunditur  ista. 
Transtulit  Anselmus  pastor  venerabile  corpus; 
Sanctos  thesauros  venerare  per  omnia  charos. 
Hos  pugiles  Christi  gens  inclyta  Mediolani, 
De  cuius  sanati  sunt  isti  sanguine  nati. 

(i)  Essa  fu  riportata  dal  Mommsen,  C.  /.  L,,  V,  2,  p.  622,  n.  11,  e  come 
genuina  del  secolo  Vili  dal  Dùmmler,  M.  G.  H.,  Poetae  Carolini  latini  aevi,  to.  I, 
p.  107. 


GIOVANNI  BATTISTA   FONTANA   O   FONTEIO,   ECC.  369 

E  sul  pavimento  della  chiesa  si  leggevano,  secondo  il  mede- 
simo Fiamma,  questi  altri  due  versi  : 

Martyr  et  levita  iacet  hic  Arialdus  in  urna  : 
Truncatus  moritur,  sed  vitae  dona  meretur. 

Riflettendo  alla  libertà  con  cui  l'Alciato  usò  manipolare  a  suo 
talento  le  iscrizioni,  e  di  più  l'ambizione  ch'egli  ebbe  di  apparte- 
nere alla  famiglia  di  Arialdo,  che  secondo  uno  storico  antico  sa- 
rebbe stata  feudataria  di  Alzate  (donde  l'Alciato  derivava  il  suo 
nome),  sebbene  il  Fiamma  la  faccia  dei  nobili  di  Carimate,  non 
dubito  punto  che  anche  l'epigramma  in  onore  di  Arialdo  sia  fat- 
tura dell'Alciato  (i). 

Né  questi  si  sarebbe  contentato  soltanto  di  cambiare  a  suo  ta- 
lento iscrizioni  veramente  esistenti,  ma  ne  avrebbe  anche  inventate 
-alcune,  cioè  almeno  due. 

Il  Bescapè  nella  sua  opera  Brevis  hist.  mediolan.  provinciae,  par- 
lando del  vescovo  Protasio,  riporta  alcuni  versi  che  questi  in  onore 
del  s.  fonte  battesimale  avrebbe  composti  o  fatti  comporre,  e  dice 
^he  i  medesimi  versi  erano  già  stati  riportati  dall'Alciato  e  poi 
dopo  di  lui  dal  Fontana:  «  extant  carmina  quaedam  huius  episcopi 
«  fontem  et  aram  dedicantis  S.  Barnabae,  quae  protulit  Alciatus 
«  et  noster  Fonteius  seu  Fontana  sumpsisse  scribitur  (sic)  ex  vo- 
M  lumine  quodam  saxonico  ».  Lo  stesso  ripete  nel  libretto  De 
Metropoli  MedioL,  p.  ii,  ediz.  1628,  e  p.  33,  ediz.  1596:  «  monu- 
M  mentum  pulcherrimum  nobis  reliquit  Andreas  Alciatus,  quod 
«  etiam  noster  Fonteius  seu  Fontana  Mediolanensis  ex  volumine 
«  quodam  saxonico  in  Germania  sumpsit  ». 

In  nessuno  dei  codici  contenenti  le  iscrizioni  dell'Alciato  ap- 
parisce-questa  iscrizione  del  vescovo  Protasio  in  onore  del  fonte 
di  S.  Barnaba;  e  neppure  il  Fontana,  che  anch'egli  li  riporta,  cita 
menomamente  l'Alciato.  Però  sembra  indubitato  che  il  Bescapè 
ebbe  nelle  sue  mani  una  raccolta  alciatina  delle  iscrizioni,  dove 
stava  il  carme  di  Protasio,  poiché  dopo  averlo  riportato  quasi 
interamente  secondo  il  testo  del  Fontana,  nota  che  due  versi  sono 
riferiti  dall'Alciato  in  modo  differente:  «  Alciatus  sic  habet  sequen- 
M  tes  versus  ». 


(i)  Si  veda  Pellegrini,  Vita  di  S.  Arialdo,  Milano,  1897,  pp.  464-65. 
Arch.  Stor.  Lomt.,  Anno  XXXII,  Fase.  Vili.  24 


37°  FEDELE   SAVIO 

Di  più  mentre  il  Fontana  dopo  il  5.°  verso  nota  che  nel  suo  co^ 
dice  mancavano  due  versi,  il  Bescapè  trovò  nel  suo  che  mancava  solo 
il  6.®  e  parte  del  7.°,  cioè  le  due  ultime  parole:  «  flamine  vieto  »  (i). 
Si  osservi  inoltre  che  mentre  il  Bescapè  mostra  d'aver  letto 
quel  carme  nella  raccolta  dell' Alciato,  il  Fontana  non  fa  nessuna 
menzione  dell'Alciato,  ma  afferma  d'aver  letto  quel  medesimo  carme 
in  un  volume  sassonico  da  lui  visto  in  Germania.  Ecco  le  sue  pa- 
role (p.  18  V.,  sotto  S.  Barnaba):  «  Versus  quos  ad  fontem  D.  Bar- 
«  nabae  primi  Mediolanensis  episcopi  olim  Prothasius  episcopus  Me- 
«  diolani  posuerat,  fracti  in  excidio  urbis  sub  Aenobarbo  ut  erant 
«  in  yolumine  saxonico  a  me  viso  in  Germania  ».  Che  cosa  fosse 
questo  volume  sassone  visto  dal  Fontana  in  Germania  non  si  può 
certamente  affermare  in  modo  assoluto;  né  parmi  si  possa  liberare 
dalla  taccia  di  avventato  il  Ferraj,  che  senz'altro  lo  suppose  scritto 
nel  secolo  X  (2).  Che  anzi  mi  par  molto  probabile  che  il  volume 
sassonico  visto  dal  Fontana  non  sia  identico  al  codice,  da  cui  egli 
trasse  le  altre  iscrizioni,  poiché  questo  non  tralasciò  mai  d'in- 
dicarlo coi  termini  di  antico  od  antichissimo,  e  così  fa  pure  del 
libro  del  Lazio,  che  chiama  vetusto;  mentre  al  volume  contenente 
il  carme  di  Protasio  non  dà  altra  qualificazione  che  di  sassonico, 
né  punto  lo  chiama  antico. 

Laonde  assai  probabile,  per  non  dir  certa,  mi  pare  l'opinione 
di  mons.  Duchesne  (S.  Barnahé,  p.  33)  che  il  carme  di  Protasio 
sia  un'invenzione  dell'Alciato,  che  lo  scrisse  in  qualche  sua  rac- 
colta, e  che  da  questa  sia  passato  nel  codice  visto  dal  Fontana  in 
Germania  e  più  particolarmente  in  Sassonia. 

Da  uri  manoscritto  dell'Alciato,  posseduto  dal  suo  parente  il 
cardinal  Francesco,  il  manoscritto  De  Rebus  Patriis,  stampato 
poi  a  Milano  nel  1625,  attesta  il  Baronio  (3)  d'aver  tolta  l'epigrafe 

(i)  Si  vedano  le  due  lezioni  nel  Mommsen,  loc.  cit.,  p.  623,  n.  14. 

(2)  Si  veda  la  tavola  genealogica  dei  codici,  unita  al  suo  articolo,  già  citato, 
sulle  «  Vitae  Pontificum  ». 

(3)  Nelle  note  al  Martirologio  Romano^  ai  25  settembre:  «  Libuit  hic  descri- 
«  bere  pervetustam  inscriptionem  S.  Miroclis  eiusdem  civitatis  episcopi  de  S.  Ana- 
«  thalone  in  lapide  incisam  iuxta  eius  imaginem,  his  verbis,  quo  praesens  ins- 
«  criptio  procedit:  «  D.  Anathaloni  Attico  Secundo  Episcopo...  »  Accepimus  ex 
«  manu  scripto  commentario  Andreae  Alciati,  quem  scripsit  de  rebus  Patriis  non- 
«  dum  edito:  erat  apud  Illustr.  et  R.  D.  Franciscum  Alciatum  S.  R.  E.  Cardi- 
«  nalem  ».  Ediz.  Venezia,  1586,  p.  436. 


GIOVANNI   BATTISTA   FONTANA   O    FONTEIO,    ECC.  37I 

che  in  onore  di  S.  Anatalone  sarebbe  stata  composta  dal  vescovo 
Mirocle,  ma  che  lo  stesso  Duchesne  con  ogni  verosimiglianza  ritiene 
sia  essa  pure  falsificazione  dell'Alciato,  e  non  già  come  pretende^ 
del  tutto  arbitrariamente,  il  Ferraj  (p.  38),  falsificazione  del  sec.  X. 

In  una  parola  l'Alciato,  volendo  mostrare  il  possesso  che  aveva 
della  lingua  latina  e  la  sua  facilità  nel  verseggiare  si  valse  del- 
l'occasione che  gli  fornì  un  codice  antico,  contenente  epigrafi  me- 
triche di  vescovi  milanesi,  per  manipolare  queste  stesse  epigrafi  a 
suo  talento,  ed  alcune  interamente  inventare,  premettendo  ad  esse 
alcune  notizie  biografiche  in  prosa  del  vescovo  oggetto  dell'epigrafe^ 
nelle  quali  mirò  pure  ad  insinuare  certe  falsità  storiche,  che  ser- 
vivano ai  suoi  scopi.  Per  esempio  a  nobilitare  la  sua  origine  po- 
teva giovare  che  il  vescovo  Glicerio  fosse  della  famiglia  Lan- 
driana,  ch'era  la  famiglia  di  sua  madre. 

Poiché  la  più  parte  di  tali  notizie  biografiche,  quali  si  trova- 
vano nella  copia  dell'Alciato  adoperata  dal  Fontana,  ho  già  date 
sopra,  qui  darò  ancora  le  restanti,  quelle  cioè  che  precedevano  le 
epigrafi,  non  trovate  dal  Fontana  nel  codice  antichissimo,  ma  solo 
viste  da  lui  nella  sua  copia  dell'Alciato.  Chi  vuole  potrà  confrontarle 
con  le  analoghe  notizie  biografiche  scritte  dall' Alciato  nella  copia 
che  ora  si  conserva  nella  biblioteca  regia  di  Dresda  (copia  che  non 
ha  nulla  da  fare  col  «  volumen  saxonicum  »  del  Fontana),  e  rife- 
rite dal  Mommsen,  C.  L  L.,  voi.  V,  par.  II,  p.  617  sgg. 

Per  Aurelio  (e.  26  r.)  cita  : 

Ex  A.  Alciati  antiquario. 

In  arca  antiquissima  marmorea  translata  ex  D.  Dionisio  portae 
orientalis  ferocìentibus  Germanis  praelio,  fuit  facta  anno  477. 

Indi  riferisce  l'epigramma  del  Mommsen,  p.  620,  n.  7. 

Ex  Alciati  antiquario.  Natalis  episcopi  tumulus  in  ede  D.  Georgii 
extat,  ad  quod  III  idus  Maius  fit  celebratio  diciturque  ipse  edificasse  illud 
templum.  Alciatus. 

Marmore  etc. 

Variante  al  verso  2  :  ^Mn  luogo  di  est. 

Di  Arialdo  (e.  102  r.,  sotto  Guido  di  Velate): 

Ex  Andr.  Alciati  antiquario. 

Sub  hoc  Guidone  de  Velate  Valvassorio  archiepiscopo  Arialdi  ex 
Alciata  gente  sepulcrum,  cuius  conciones,  disputationes  necem  miracula 


372  FEDELE   SAVIO 

Landulphus  historicus  Mediolanensis  scripsit.  Fuit  ex  oppido  Carimato, 
vel  ut  alii  volunt,  Cussiaco.  Relatus  est  inter  divos  ab  Alexandre  II. 
Sepultus  in  D.  Dionisìi  tumulo  marmoreo.  Sed  1508  a  Ludovico  XII  Fran- 
corum  rege  Parisius  prò  corpore  S.  Dionisii  translatus  est. 

Indi  riporta  Fiscrizione  riferita  dal  Mommsen,  n.  13. 

Di  Marcellina  (e.  91  r.,  sotto  Simpliciano)  : 

Ex  Alciati  antiquario.  Marcellinae  que  fuit  soror  Divorum  Ambrosii 
et  Satiri  epitaphium  compositum  a  S.  Simpliciano  archiepiscopo  qui  suc- 
cessit  D.  Ambrosio,  est  in  ede  D.  Ambrosii. 

Epigramma  presso  il  Mommsen,  loc.  cit,  n.  16. 
Variante  al  verso  7  :  Rursus  iniuncta  soror. 

Di  Manlia  Dedalia  (e.  93  v.,  sotto  Teodoro)  : 

Ex  A.  Alciati  antiquario.  Manlius  Theodorus  episcopus  Mediol.  Theo- 
dorum  hunc  archiepiscopum  nobilissimum  et  ex  Manlia  gente  coniicere 
licet  ex  eleganti  epigrammate  quod  Manliae  Dedaliae  sorori  virgini  sa- 
crate fecit.  Extat  iuxta  Protasii,  Oribasìque  Martyrum  sedem. 

Dopo  riferito  l'epigramma  del  C.  /.  L.  n.  6240,  aggiunge  : 
Dies  depositioriis,  annus,  etc. 

Di  Osio  (p.  58,  sotto  Martiniano)  : 
Ex  A.  Alciati  antiquario. 

415  (in  margine). 

Osii,  qui  pater  Urbis  et  Praesul  appellatur,  extat  insigne  epigramma 
in  S.  Ambrosio  in  mensa  marmorea,  et  quoniam  rudis  quondam  chro- 
nicorum  farrago  Martinianum  episcopum  de  Osiis  appellat  si  enim  pie 
ut  fuerit  Osius  Martinianus,  de  quo  nihil  adhuc  concedo,  tamen  ne  Carmen 
periret  hoc  loco  uti  apposito  adiicere  consultum  visum  est. 

Indi  riferisce  l'epigramma  stampato  in  C.  /.  L.,  n.  6253,  con 
le  seguenti  varianti  : 

verso  2  :  traditur  in  luogo  di  conditur 
„      5  :  hilarus  „  „    hilaris 

„      7  :  pravusque     „  „  proavus 

„      8:  sed  meritis   „  „  menas  (sic). 


GIOVANNI  BATTISTA   FONTANA   O    FONTEIO,   ECC.  373 

0 

Di  Ludovico  II  imperatore  (e.  13  r.,  sotto  Angilberto  II)  : 

Ex  A,  Alciati  antiquario.  Sub  hoc  Angilberto  II  arch.  Mediolani 
obiit  Ludovicus  Caesar  anno  domini  860  qui  fuit  pronepos  Karoli  magni. 
Eius  tumulus  extat  in  Ambrosiana  aede  versusque  sequentes. 

Indi  riscrizione  metrica  del  C.  /.  L.,  V,  2,  p.  623,  n.  17. 

A  e.  36  V.,  subito  dopo  la  notìzia  di  Glicerio,  vi  è  la  notizia  di 
«  Gerontius  »,  o  piuttosto  sotto  il  titolo  :  «  Gerontius  Med.  Archie- 
«  piscopus  »,  riferisce  i  due  epigrammi  di  Cervia  e  di  Rustica,  in 
questo  modo,  cioè  senza  alcuna  indicazione  di  fonti: 

Circa  tempora  Gerontii  Archiepiscopi  ferunt  vixisse  Cerviam  ma- 
tronam  ìnsignem,  cuius  epigramma  in  propinquitate  sepulcri  Sancii  Vic- 
toris  Martii  cum  statuis. 

A  Q 

Cervia,  quae  in  fidei  fundamine  saeclo. 

(C.  /.  L.,  v,  p.  2,  n.  6202). 
A  e.  37  r.  : 

Alterius  item  Matronae  epitaphium,  quod  eorum  esse  temporum 
dinoscitur  huc  adiicere  libet  ne  pereat,  scilicet  Rusticae,  quod  in  Ambro- 
siana aede  cernitur. 

Rustica  perpetuae  non  te  sors  pallida  vitae. 

(Ibid.,  loc.  cit.,  n.  6266). 

Col  passo  del  Fontana  citato  qui  sopra  (e.  363)  si  può  sciogliere 
un  dubbio  del  De  Rossi  (p.  174  sgg.).  Il  De  Rossi  dubitò  che  il  co- 
dice visto  dal  Fontana  fosse  una  porzione  stralciata  dal  codice 
C,  133  inf.  dell'Ambrosiana,  che  contiene  una  parte  notevole  della 
Datiana  Historia,  ma  è  privo  del  «  proemio  w  e  della  «  descriptio 
«  Mediolani  »».  Dal  Fontana  veniamo  ora  assicurati  assai  meglio  che 
dagli  indizi  contrarii  all'ipotesi  del  De  Rossi,  raccolti  dal  Ferraj  (i), 
che  tal  dubbio  non  si  può  ammettere,  poiché  il  codice  visto  da  lui 
aveva  solo  le  vite  dei  vescovi  da  S.  Barnaba  a  Mona,  omessa  la 
vita  di  S.  Calimero  ;  mentre  il  codice  Ambrosiano  ha  tutte  le  vite, 
suddette,  ed  inoltre  quella  di  S.  Materno.   11   De  Rossi  inoltre  la- 

(i)  Le  Viiae  Pontificum  Mediolan.  nel  fase.  XVI  del  Bull,  dell' Mt.  star,  ital, 
Roma,  1895,  p.  40. 


374  FEDELE    SAVIO 

sciò  incerto  se  Vu  antiqua  membrana  »,  il  «  vetus  codex  »,  ecc.  del 
Fontana  fosse  identico  a  quel  «  vetustus  liber  Volfgangi  Lazii  »  da 
cui  trasse  il  primo  epigramma  di  Glicerio,  come  s'era  mostrato  pro- 
penso a  credere  il  Mommsen.  Se  anche  a  me  è  lecito  di  manife- 
stare il  mio  giudizio,  crederei  io  pure  che  sia  il  medesimo,  e  che 
sia  altresì  identico  al  codice  antichissimo  veduto  dall'Alciato. 

Quest'  ipotesi  acquisterebbe  maggiore  probabilità,  se  si  po- 
tesse affermare  che  l'Alciato  ed  il  Lazio  furono  tra  loro  in  rela- 
zione, almeno  per  lettera.  Una  relazione  tra  i  due  antiquari  e  rac- 
coglitori d' iscrizioni,  di  cui  l'uno,  il  Lazio  (nato  a  Vienna  nel 
1514,  morto  nel  1565)  fu  addetto  alla  corte  cesarea  come  medico  e 
storico,  l'altro,  l'Alciato,  godette  egli  pure  la  protezione  degli  Ab- 
sburgo,  allora  signori  di  Milano,  sembra  molto  verisimile,  ma  non 
l'ho  potuta  accertare.  Non  ho  trovato  altro  se  non  che  il  Lazio, 
nei  suoi  libri,  ed  in  particolare  in  quello  intitolato:  Commentariorum 
reipublicae  romanae  in  provinciis  constitutae,  stampato  per  la  prima 
volta  a  Basilea  nel  1551,  si  servì  pure  della  raccolta  dell' Alciato, 
di  cui  nella  prefazione  parla  con  termini  di  altissima  stima. 

Il  codice  del  Lazio  o  almeno  la  parte  del  codice  contenente 
gli  epigrammi  portava  il  titolo:  E  sepulchris  Medwlanenstbus,  il 
qual  titolo  non  sarebbe  vero  se  avesse  contenuto  soltanto  l'epitafio 
di  GHcerio.  Al  contrario,  se  noi  supponiamo  che  nella  silloge  vi 
fossero  tutte  le  tredici  iscrizioni  che  ho  detto  qui  sopra,  il  titolo 
suddetto  le  conveniva  interamente. 

Il  De  Rossi  infine  crede  che  la  silloge  antica,  usufruita  dal- 
l'Alciato e  dal  Fontana,  venisse  composta  nel  sec.  XI,  e  già  se  ne 
servisse  Landolfo  seniore,  che  da  essa  sembra  aver  preso  l'epi- 
gramma di  S.  Ambrogio  per  la  chiesa  di  S.  Nazario  :  «  Condidit 
«  Ambrosius  etc.  »»  Il  fatto  che  le  stesse  inesattezze  che  si  trovano 
in  Landolfo,  si  trovavano  pure  nel  codice  visto  dall'Alciato  e  dal 
Fontana  (i)  è  tutto  in  favore  della  congettura  del  De  Rossi.  Ma 
che  alla  silloge  stessa  appartenesse  il  verso  : 

Tertia  sed  media  mors  impedii  edita  cuncta 


(i)  Tali  sono  al  i."  verso:  dominique  sacravit  in  luogo  di  domino que  ;  al 
2.**  :  nomini^  apostolico  munere,  reliquias  in  luogo  di  nomine  apostolico,  munere, 
reliquiis  ;  al  5.°:  vitae  templi  m  luogo  di  templi  vitae;  al  7.°:  reflexit  per  rejlexo ; 
all'8.°:  templum  per  tempio. 


GIOVANNI   BATTISTA   FONTANA   O   FONTEIO,   ECC.  375 

che  Landolfo  riporta  subito  dopo  il  suddetto  epigramma,  con  cui 
evidentemente  non  ha  relazione  alcuna,  è  un'  altra  congettura  del 
De  Rossi,  alla  quale  non  si  può  attribuire  lo  stesso  valore  della 
congettura  precedente.  Molto  meno  m'induco  a  credere,  che  un 
verso  cominciante  da  un  sed,  fosse  il  primo  verso  d'un  epigramma. 
Noto  in  ultimo  che  una  copia  della  Datiana  Historia  stava  cer- 
tamente in  Austria  negli  ultimi  vent'  anni  del  secolo  XII,  quando 
in  uno  dei  monasteri  di  quella  regione  fu  compilato  quello  che  i 
Bollandisti  chiamano  il  «  gran  leggendario  austriaco  »>.  Ivi  si  tro- 
vano le  vite  dei  vescovi,  che  stanno  nella  Datiana.  Uno  dei  codici, 
il  Sancrucense  (dell'abazia  di  Heiligenkreuz  presso  a  Baden  nel- 
l'Austria inferiore),  fu  scritto  in  quel  medesimo  ventennio  (i). 

Fedele  Savio. 


(i)  Si  vedano  per  questo  leggendario  gli  Analecta  Bollandiana,  XVII,  1898, 
pp.  25-26  sg. 


VARIETÀ 


La  giovinezza  di  Bartolomeo  Colleoni  (*) 


A  infanzia  di  Bartolomeo  Colleoni  è  ancora  involta,  si 
può  dire,  nel  mistero.  Non  parlo  dell'anno  della  sua  na- 
scita, per  la  quale  è  comunemente  accolto  il  1400,  ma  che 
tuttavia  non  è  del  tutto  sicuro.  Che  egli  sia  nato  da  un 
Paolo,  detto  Poo  o  Po  (i),  figlio  di  Guidotto,  che  alla  sua  volta 
era  nato  da  un  Caviata  o  Capiliata,  che  è  lo  stesso,  è  quanto  af- 
fermano i  biografi  e  documenti  numerosissimi;  ma  anche  su  questo 
punto,  che  parrebbe  il  più  incontrastato,  abbiamo  una  circostanza 
la  quale  appare  tanto  strana,  che  ci  riesce  impossibile  rintracciarne 
la  origine^  Nel  Diario  Castelliano,  che  se  non  è  opera  di  un  solo 
autore,  deve  esser  stato  cavato  almeno  in  gran  parte  da  note  o  con- 
temporanee o  di  poco  posteriori  all'epoca  da  esso  abbracciata,  sotta 


(*)  Per  i  rapporti  genealogici,  ai  quali  si  accenna  in  questo  scritto,  rimando 
all'albero  che  si  trova  in  Browning,  Lif&  of  Bartolomeo  Colleoni,  p.  xii.  Questo 
albero,  però,  potrà  esser  reso  più  completo  con  alcuni  dati,  che  si  offrono  qui 
di  seguito. 

(i)  Lo  Spino  nel  libro  che  citeremo  più  sotto,  a  p.  378  nota  i,  scrive  con 
«  Pùho  »  il  soprannome  di  Paolo.  Ma  sembra,  che  si  pronunciasse  Po,  perchè,  il  con 
temporaneo  notaio  Giorgio  Salvetti,  di  cui  vedremo  più  avanti  ha  :  a  Paulo  dicto 
«  Po;  Paulus  dictus  Po  ».  Nello  stesso  atto  del  1423  al  caso  genitivo  ha  tanto: 
«  Pauli  dicti  Poy  »,  quanto  ancora:  ce  suprascripti  Pauli  dicti  Po  »  (Imbrevia- 
ture  in  Arch.  notarile,  busta  189,  fol.  16  sg.).  Le  forme  quindi  «  Pous,  Pohii  » 
(Mozzi,  Antichità  Berg.,  ms.  nella  civica  biblioteca,  II,  foli.  81  v.,  88  r.)  non  si 
debbono  attribuire  che  a  notai,  i  quali  vollero  latinizzare  quel  dialettale  nomi- 
gnolo. Però  anche  il  notaio  Guarisco  Panizzoli,  ha:  «  Pauli  dicti  Poh  »  (veg- 
più  sotto  la  nota  i  a  p.  391). 


VARIETÀ  377 

il  28  Ottobre  1405,  leggiamo  (i):  «  Pohus  et  Petrus  fratres  et  filii 
«  quondam  naturales  d.  Guidoti  de  Colionibus  »  ;  sotto  il  14  feb- 
braio del  1406,  mentre  il  codice  più  antico  ha,  come  in  cento  altri 
luoghi:  «  Pohum  et  Petrum  fratres  et  filios  quond.  d.  Guidoti 
li  Colionum  »  (2),  invece,  tanto  il  muratoriano  che  la  versione  ri- 
petono: «  Petrum  et  fratres  et  filios  quond.  naturales  d.  Gui- 
t<  doti  Coleonum  »  (3).  Certo  qui  il  testo  è  turbato,  perchè  in  qua- 
lunque caso,  come  nell'altro  brano,  avrebbesi  dovuto  dire:  «  Pe- 
u  trum  et  fratrem  filios,  etc.  »;  ma  è  aperto  d'altro  canto,  che 
anche  qui  si  mantiene  la  nota  di  «  filii  naturales  »  alle  persone 
sunnominate.  Questa  nota  non  si  trova  in  alcuno  dei  numerosi  do- 
cumenti raccolti  dal  Mozzi,  onde  andrebbe  senz'altro  rigettata;  ma 
vi  ha  forse  un  documento,  che  può  aver  dato  agio  ad  un  poste- 
riore interpolatore  della  Cronaca  Castelliana  di  credere  giustificata 
quella  interpretazione.  In  un  atto  del  1388  leggiamo:  «  Guidotus 
u  filius  quond.  d.  Caviate  de  Collionibus  canonicus  ecclesie  maioris 
«  Pergami  w,  che  è  fra  i  testimonii  (4).  Proprio  nello  stesso  anna 
nella  indicazione  del  padre  di  Po  e  di  Pietro  abbiamo:  «  d.  Gui- 
«  dottus  filius  quond.  d.  Caviate  Collionum  civis  Pergami  »  (5).  A 
quale  ramo  del  vastissimo  casato  dei  Colleoni  appartenga  quel 
canonico,  che  è  contemporaneo,  e  che  si  presenta  coli' identica 
nome  e  coli' identico  patronimico  dell'avo  di  Bartolomeo,  non  si 
potrebbe  dire;  ma  forse  questo  od  identico  documento  si  fece  in- 
nanzi ai  più  tardi  manipolatori  del  Diario  Castelliano,  i  quali  pro- 
babilmente si  credettero  autorizzati  ad  ammettere,  che  quei  due 
Guidotti  non  fossero  che  una  persona  sola,  e  che  quindi  i  figli  di 
Guidotto,  trattandosi  di  un  canonico,  non  potessero  essere  che  suoi 
figli  naturali.  È  inutile  avvertire,  che  non  trovai  un  solo  documento,. 

(i;  In  Muratori,  R.  I.  S.,  to.  XVI,  col.  980  a,  e  nella  versione  di  questa 
cronaca  edita  dal  can.  Finazzi  col  titolo  :  /  guelfi  e  i  ghibellini  in  Bergamo, 
Bergamo,  C.  Colombo,  1870,  p.  201.  Concorda  esattamente  anche  il  codice  più 
antico  della  Cronaca  conservato  nella  civica  biblioteca  (F,  VI,  4)  fol.  88  v. 

(2)  Cod.  cit.,  fol.  91  r. 

(3)  Muratori,  op.  e  loc.  cit.,  col.  983  d  ;  /  guelfi  ecc.  cit.,  p.  206.  Certo^ 
che,  anche  ammessa  vera  la  cosa,  come  avvertii,  qui  il  testo  è  turbato,  perchè 
in  qualunque  modo  dovrebbe  dire  :  «  Petrum  et  fratrem  filios  etc.  ».  La  versione, 
che  pende  da  un  testo  identico  al  muratoriano,  ha  essa  pure  :  «  Pietro  e  fra- 
«  telli  e  figli  naturali  ecc.  »,  È  appena  necessario  avvertire,  che  della  esistenza 
di  questa  versione  fu  primo  il  Muratori  a  dar  notizia  nella  prefazione  al  Chro- 
nicon. 

(4)  Mozzi,  ms.  cit.,  II,  fol.  49  V. 

(5)  Ibid.,  fol.  115  V.     . 


373  VARIETÀ 

che  giustificasse  questa  supposizione,  la  quale   ad  ogni  modo  non 
t  fuor  di  luogo  aver  qui  posto  in  rilievo. 

Unica  fonte,  per  la  quale  noi  sappiamo  qualche  cosa  intorno 
alla  infanzia  di  Bartolomeo  Colleoni  è  il  Cornazzano,  il  quale,  per 
•esserne  stato  ospite  alcun  tempo  a  Malpaga  (i),  è  quegli  che  ne 
dà  il  più  grande  affidamento,  che  possa  avere  udito  dalla  bocca 
stessa  del  grande  capitano  alcuni  particolari,  che  ad  altri  potevano 
restare  ignoti.  Lo  stesso  Spino,  che  per  fornirci  una  elegante  Vita 
<iel  Colleoni  non  risparmiò  fatiche  e  ricerche  (2),  per  quanto  ri- 
guarda i  primi  tempi  segue  pedestremente  il  Cornazzano,  salvo 
che  nel  darci  il  casato  della  madre  di  Bartolomeo,  il  quale  dovea 
essere  quello  di  certi  Valvassori  detti  de'  Saiguini;  del  che  non 
sa  nulla  il  più  antico  biografo  (3).  Il  suo  nome  sarebbe  stato  per 
ambedue  Ricardona.  Questi  dati  non  dimostrano  certo  una  grande 
scrupolosità  d'indagine.  Il  nome  della  madre  non  è  Ricardona,  ma 
Ricadona  o  Riccadonna,  come  diremmo  oggidì;  il  suo  casato  non 
è  di  certi  Valvassori,  ma  di  que'  Valvassori  di  Medolago,  da  cui 
uscirono  le  famiglie  patrizie  d'oggidì.  In  una  delle  imbreviature 
-del  9  giugno  1423  di  Giorgio  de'  Salvetti  si  legge:  «  Domina  Ri- 
■«  cadona  filia  quond.  Oberti  de  Vavasoribus  da  Mediolacho  et  uxor 
«  quond.  d.  Pauli  dicti  Poy  de  Colionibus  procuratrix  —  Bertola- 
-«  mini  filli  sui  et  similiter  filli  quond.  suprascripti  Pauli  de  Colio- 
«  nibus  per  cartam  ipsius  procure  rogatam  per  Johannem  Antonii 
<i  de  Vavassoribus  de  Mediolacho  not.  »  (4).  Intanto  qui  conosciamo 


(i)  De  vita  et  gestis  Bartholomaei  Collei  edita  in  Graevii-Burmanni,  The- 
saurus^ voi.  IX,  par.  VII.  A  col.  26  il  biografo  parla  della  sua  dimora  nel  ca- 
rtello di  Malpaga,  ospite  del  Colleoni.  Vedi  su  questo  punto  il  Tiraboschi,  Storia 
4ella  leti,  ital,  voi.  VI,  11,  p.  21. 

(2)  Spino,  Istoria  della  vita  e  fatti  di  Bortolameo  Colleoni.  Uso  della  edizione 
del  1732  (Bergamo,  Santini),  nella  quale  trovansi  inserite  le  due  orazioni  funebri 
del  Paiello  e  di  Michele  Alberto  Carrara.  Una  edizione  di  quest'  opera  fu  fatta 
anche  a  Trieste  (C.  Cohen,  1859),  ma  fu  tralasciata  tutta  la  parte  documentale. 
Lo  Spino  ci  dà  l'elenco  di  tutte  le  opere  e  di  tutti  gli  scritti  da  lui  consultati, 
ed  a  p.  26  sg.  si  può  vedere  in  qual  conto  tenesse  l'autorità  del  Cornazzano  ap- 
punto per  la  stretta  famigliarità  ch'ebbe  col  Colleoni. 

(3)  Ibid.,  op.  cit.,  p.  5. 

(4)  G.  Salvetti,  Imbreviat.  cit.,  fol.  176  r.  Anche  in  atti  precedenti  dello 
stesso  notaio  (foli.  169  v.,  170  v.)  è  sempre  detta  Ricadona.  Quest'  era,  del 
resto,  il  nome  dato  da  Bartolameo  anche  ad  una  delle  tante  sue  figlie  natu- 
rali. Nel  codicillo,  che  tien  dietro  al  suo  testamento  (§  32  in  Loci  Pii  vene- 
randae  pietatis  institutio,  Bergomi,  Com.  Ventura,  1603),  si  legge  :  «  Item  iudi- 
<(  cavit  et  legavit  —  dominabus  Dorathinae   et  Ricadonae  filiabus  suis  natura- 


VARIETÀ  379 

il  nome  esatto  di  Riccadonna  e  quello  del  padre  suo;  ma  non  pare 
nemmeno  che  da  quel  tronco  dei  Valvassori  di  Medolago  fossesi 
staccato  un  ramo,  che  più  propriamente  andasse  distinto  colla  in- 
dicazione di  Saiguini,  perchè  nei  pochi  documenti  di  quell'epoca 
quella  non  esce  dai  confini  di  una  indicazione  puramente  personale. 
Quindi  nei  libri  d'estimo  del  1427  e  del  1428  abbiamo:  «Johannes 
«  et  fratres  filli  quond.  Sayguini  de  Medolacho;  Obertinus  quond. 
u  Sayguini  de  Medolacho  »,  ed  in  un  atto  del  1430,  troviamo  un 
«  Christoforus  filius  quond.  Sayguini  de  Vavassoribus  de  Medo- 
«  lacho  »  (i).  Può  darsi  benissimo,  che  questi  fossero  i  più  stretti 
congiunti  di  Riccadonna,  tanto  più  che  tra  essi  vediamo  far  capo- 
lino il  nome  di  «  Obertinus  »  ;  ma  d'altra  parte  non  possiamo  af- 
fermare altro,  se  non  ch'essa  apparteneva  al  vasto  casato  dei  Val- 
vassori di  Medolago  e  che  era  figlia  di  un  Oberto  semplicemente 
così  chiamato. 

Il  nome  de'  Colleoni  divenne  chiaro,  quando,  nel  1404  impa- 
dronitisi di  Trezzo,  si  crearono  a  cavaliere  dell'Adda  un  piccolo 
stato  indipendente,  che  fronteggiò  per  parecchi  anni  con  fortuna 
e  i  duchi  di  Milano  e  la  nuova  signoria  di  Pandolfo  Malatesta  af- 
fermatasi in  Brescia  ed  in  Bergamo;  ma  come  sia  avvenuta  quella 
sorpresa  di  Trezzo,  colla  quale  dovrebbe  legarsi  la  prima  infanzia 
di  Bartolomeo,  non  può  sapersi  in  modo  sicuro  dagli  autori  con- 
sultati dallo  Spino,  e  che  sono  i  più  vicini  a  quei  tempi.  Il  più 
strano  è,  che  Baldassare  Zailo,  le  cui  cronache  purtroppo  andarono 
perdute,  ma  che  era  concittadino  e  contemporaneo  di  Bartolomeo  (2), 
confessava  di  non  sapere  in  quale  maniera  Trezzo  fosse  caduto 
in  mano  de'  Colleoni  (3);  e,  per  non  dire  degli  altri  racconti  più 
o  meno  contemporanei,  accennerò  solo  a  due  punti,  che  dimostrano 
quelle  confusioni.  Il  Corio  tocca  in  due  luoghi  distinti  di  quell'av- 
venimento (4).  Nel  primo,  sotto  il  1404,  dice,  che  la  famiglia  dei 
Colleoni  prese  il  castello  di  Trezzo,  «  ma  dopo  i  suoi  membri  si 
«  uccisero  tra  di  loro  ».  Nel  secondo  accenna  sotto  il  141 7  allo 
stratagemma  usato  da  quella   famiglia   per   riuscire   allo    scopo,  e 


a  libus  etc.  »,  Anche  nel  magnifico  codice  del  Cornazzano  posseduto  dalla  civica 
biblioteca  (A,  Vili,  21)  il  nome  della  madre  è  dato  erroneamente  con  «  Ric- 
«  cardona  ». 

(i)  Mozzi,  op.  cit.,  IV,  foli.  201  r.,  387  v. 

(2)  D.  Calvi,  Scena  Letteraria,  Bergamo,  1664,  I,  p.  90;  Finazzi,  Antichi 
scrittori  delle  cose  di  Bergamo,  p.  56  sg. 

(5)  Spino,  op.  cit.,  p.  6. 

(4)  CoRio,  Storia  di  Milano,  Milano,  Colombo,  1856,  voi.  II,  pp.  489,  53$. 


380  VARIETÀ 

nomina  fra  coloro,  che  lo  condussero  a  termine,  Sozzo,  Paolo  e 
Pietro  Colleoni.  Nella  Cronaca  Castelliana  pare  che  di  questa  im- 
presa in  principio  si  faccia  merito  al  solo  Paolo,  il  padre  di  Bar- 
tolomeo, sebbene  al  chiudersi  della  notizia  si  avverta,  che  il  do- 
minio di  quella  fortezza  fu  assunto  insieme  da  Pietro  e  da  Paolo^ 
che  erano  fratelli  (i).  Si  potrebbe  credere  che,  cresciuto  in  fama 
Bartolomeo,  si  manifestasse  negli  scrittori  una  certa  tendenza  a  far 
merito  principale  di  quell'ardita  impresa  al  padre  suo,  e  forse  da 
questa  tendenza  affatto  soggettiva  avessero  vita  anche  altre  enormi 
confusioni,  perchè,  mentre  lo  Spino,  riferendosi  alla  testimonianza 
di  Michele  Alberto  Carrara,  contemporaneo  ed  elogiatore  di  Bar- 
tolomeo, dice,  che  di  nottetempo  Paolo  assaltò  quella  fortezza  e 
la  prese  di  viva  forza  (2);  il  p.  Filippo  Foresti,  che  per  questo 
periodo  nel  suo  Supplementum  Chronicarum  pende  interamente 
dagli  Annales  Italiae,  ora  perduti,  del  Carrara,  scrive:  «  Petrus 
«  Acoleus,  congregatis  amicis  et  exulibus  suis  noctu  Tricium  ve- 
u  niens,  oppidum  adoritur  et  capit.  —  Hic  Petrus  Bartholomeum 
«  post  se  reliquit  filium  »>  (3).  Qui  vi  ha   evidentemente    un    gros- 

(1)  Muratori,  R,  I.  S.,  to.  XVI,  col.  962. 

(2)  Spino,  op.  cit,  p.  6. 

(3)  Supplem.  Chronicarum  (ediz.  1483),  lib.  XIV,  fol.  157  r.  E  pel  conte- 
nuto della  notizia  e  per  la  forma  «  Acoleus  »  il  p.  Foresti  pende  certo  dal  Car- 
rara. Qui  non  posso  entrare  in  un  minuto  esame  della  cosa,  solo  mi  basti  ac- 
cennare, che  fu  il  Carrara,  che  nella  Oratio  extemporalis  recitata  nei  funebri  di 
Bartolameo  affermò  la  derivazione  del  Colleoni  da  quel  C.  Aculeo  (Spino, 
op.  cit.,  p.  263),  di  cui  è  ricordo  in  Cicerone,  De  orai.,  i,  45.  Quindi  intro- 
dusse pel  cognome  di  quel  casato  la  forma  umanistica  «  Acoleus  ».  Che  il  Fo- 
resti seguisse  pedissequamente  gli  Annales  del  Carrara,  lo  prova  il  brano  di 
essi  riportato  in  nota  ad  una  Oratio  nuptialis  del  nostro  umanista  pubblicata  dal 
giureconsulto  Gio,  Antonio  Suardo  (Bergamo,  Locatelli,  1784)  e  che  riguarda 
il  fatto  d'arme  di  Bolgare  del  1437  (Oratio  nuptialis,  p.  61  ;  Finazzi,  Antichi 
scritt.y  ecc.  cit.,  p.  65  sg.)  confrontato  coli'  identico  racconto  abbreviatamente  dato 
dal  p.  Foresti  lib.  XIV,  fol.  166  r.  Questi  riproduceva,  compendiandole,  le  pa- 
role stesse  degli  autori  usati,  e  mentre  verbosamente  lo  confessa  nella  prima  edi- 
zione della  sua  opera  (fol.  i  v.),  lo  afferma  poi  esplicitamente  nell'ultima  edizione 
da  lui  curata  del  1503,  ove  vuole  giustificare  la  diversità  del  suo  stile  pel  fatto, 
che  «  multa  ex  aliis  ad  verbum  excerperim  »  (fol.  451  v).  Dappertutto,  ov'egli 
parli  de'  Colleoni,  il  nome  del  casato  è  sempre  dato  colla  forma  carrariana 
«  Acoleus,  Acolei  »  (lib.  VI,  fol.  81  v.,  lib.  XIV,  fol.  157  r.  ecc.);  onde  non 
può  restar  dubbio  sulla  fonte  per  la  notizia  qui  riportata.  La  circostanza,  che 
lo  Spino  trovò  il  «  noctu  »  nel  Carrara,  e  che  questa  parola  compare  anche- 
nel  racconto  del  Foresti,  toglie  ogni  dubbio  sulla  cosa.  Piuttosto  non  possiamo 
sapere,  se,  citandolo,  lo  Spino  abbia  corretto  il  Carrara,  e  se  lo  scambio  di 
Paolo  con  Pietro  sia  imputabile  al  solo  Foresti. 


VARIETÀ  381 

solano  errore,  perchè  Bartolomeo  era  figlio  di  Paolo  e  non  di  Pietro; 
ma  è  probabile,  che  questa  incertezza  dipenda  anche  dallo  speciale 
punto  di  vista,  in  cui  si  posero  gli  scrittori  posteriori  a  quell'av- 
venimento. La  generosità,  quindi,  così  lodata  in  Paolo,  il  quale, 
sebbene  da  solo  avesse  acquistato  questa  signoria,  nuUameno  ne 
volle  partecipi  i  suoi  più  stretti  parenti  (i),  potrebbe  essere  un 
posteriore  accomodamento,  e  creato  dalla  fama  che  Bartolomeo 
ogni  dì  più  si  andava  acquistando,  e  procurato  dalla  necessità  di 
spiegare  alcuni  fatti,  che  ormai  erano  diventati  oscuri.  Vedemmo, 
che  in  principio  del  racconto  la  Cronaca  Castellìana  nomina  il  solo 
Paolo,  ma  che  poi  conclude  col  dire,  che  il  dominio  fu  assunto 
insieme  dai  due  fratelli  Pietro  e  Paolo.  Ma  il  Corio  nella  seconda 
versione  di  quell'avvenimento  a  questi  due  nomi  associa  anche 
quello  di  Sozzo  Colleoni.  Ora,  la  notizia  dev'essere  stata  data  da 
un  contemporaneo,  perchè  quel  nome  rimase  così  oscuro,  che  solo 
da  un  contemporaneo  poteva  esser  tratto  in  campo.  Pietro  e  Paolo 
erano  figli  di  Guidotto,  il  quale  alla  sua  volta  era  figlio  di  un  Ca- 
viata  o  Capiliata,  ed  aveva  per  fratelli  Guardino  ed  Alessandro 
•detto  Sozzo.  Per  tacere  d'altri  documenti,  uno  del  1390  pone  in 
vista  questi  rapporti  di  parentela,  poiché  esso  suona:  «  Nobiles  et 
«  egregii  viri  dd.  Guidotus,  Guardinus  et  Alexander  dictus  Sozus 
«  fratres  filli  quond.  nob.  et  egregii  viri  d.  Caviate  olim  d.  Galiazii 
«  Carpionum  w  (2).  A  quanto  si  deve  ammettere,  la  conquista  del 
castello  di  Trezzo  fu  fatta  più  propriamente  da  quel  ramo  de'  Col- 
leoni, che,  da  un  antenato  soprannominato  «  Carpilionus  »,  ridotto 
poi  per  una  notissima  legge  fonetica  a  «  Carpionus  »  (3),  è  nei 
documenti  distinto  colla  forma  :  «  Carpionum  de  Collionibus  ».  Cosi 
in  un  atto  del  1396  quel  Pietro  fratello  di  Paolo  detto  Po,  a  cui 
indubitatamente  il  p.  Foresti  e  forse  lo  stesso  Carrara  attribuiscono 
la  sorpresa  di  Trezzo,  è  detto:  «  Petrus  filius  d.  Guidotti  Carpio- 
«  num  de  Collionibus  »  (4),  come,  d'altro  lato,  pe'  suoi  ascendenti 
troviamo:  «  dd.  Caviata,  Gisalbertus  et  Carpionus  fratres  filli  quond. 
«  d.  Galeazii  olim  d.  Gisalberti  Carpionum  de  Collionibus  »  (5). 
Ora,  appunto  dal  Capiliata  o  Caviata  discese  Guidotto  padre  di 
Pietro  e  di  Paolo  ed  avo  di  Bartolomeo,  come  dallo  stesso  Caviata 


(i)  CoRNAzzANo,  De  vita,  etc,  col.  3  ;  Spino,  op.  cit.,  p.  7  sg. 

(2)  Mozzi,  op.  cit.,  II,  fol.  118  r. 

(3)  Nel  II 80  compare  per  la  prima  volta  a  Carpellionus  filius   quond.  Al- 
•«  berti  Collionis  »  (Lupi,  Cod.  dtp.  civ.  et  ecclesiae  Berg.,  Il,  1323). 

(4)  Mozzi,  op.  cit.,  II,  fol.  95  r. 

(5)  Ibid.,  fol.  117  V. 


382  VARIETÀ 

venne  Guardino,  che  fu  padre  di  Galeazzo  detto  Dondacio  (i),  di 
Giovanni  il  giurisperito,  di  Testino  e  di  altro  Paolo  (2).  È  adunque 
nel  tradizionale  organamento  agnatizio,  più  che  nella  cordiale  li- 
beralità di  Paolo,  se  troviamo  compartecipi  del  dominio  di  Trezzo 
tutti  quanti  erano  più  strettamente  legati  da  quel  vincolo,  come 
questo,  alla  sua  volta,  deve  essere  stato  quello,  che  li  strinse  alla 
comune  impresa  (3). 

Certamente  la  impresa  era  stata  arrischiata  e  non  era  punto 
scevra  di  pericoli  :  trattavasi  di  dare  una  certa  tal  quale  organiz- 
zazione a  questo  nuovo  dominio,  e  pare,  che  sotto  questo  punto 
di  vista  tornasse  opportuna  l'opera  di  Giovanni,  che  ad  un  carat- 
tere altero  e  violento  congiungeva  tutti  gli  accorgimenti  del  legu- 
leio per  saper  destreggiarsi  in  mezzo  a  quel  labirinto  di  violenza 
e  di  malafede  (4).  Il  fatto  è,  che  mentre  gli  altri  membri  di  quel 
casato  si  dedicarono  più  propriamente  all'esercizio  dell'armi,  reso 
indispensabile  per  assicurare  ed  estendere  il  nuovo  possesso  (5), 
Giovanni  deve  aver  acquistato  una    parte    preponderante  nella  di- 

(i)  In  un  atto  del  1396  abbiamo:  «  Dondatius  et  Johannes  iurisperitus 
«  fratres  »  ;  in  altro  dell'anno  successivo  :  «  d.  Johanne  iurisperito  et  Galeazio 
«  fratre  suo  »  (Mozzi,  op.  cit.,  II,  fol.  95  r.).  Lo  Spino,  op.  cit,,  p.  8  non  ci  dà 
che  la  forma  Dondaccio. 

(2)  Mozzi,  op.  cit.,  II,  fol.  169  r. 

(3)  In  uno  dei  tanti  luoghi,  in  cui  nella  Croncaca  Castelliana  troviamo' 
ripetuto  chi  erano  coloro,  che  tenevano  il  castello  di  Trezzo,  sotto  il  4  luglio 
1405  leggiamo  :  «  Dictum  castrum  tenent  spect.  d.  Johannes  iudex  filius  quond. 
«  d.  Guardini  de  Collionibus,  Petrus  et  Pohus  fratres  et  fìlii  quond.  d.  Guidetti 
«  de  Collionibus  et  Albriginus  filius  quond.  (lacuna)  et  abiaticus  d.  Carpioni  Col- 
«  lionum  »  (cod.  cit.,  fol  84  r.  ;  cfr.  Muratori,  R.  I.  5.,  to.  XVI,  col.  972  e). 
Il  ceppo  comune  di  questo  ramo  de'  Carpioni  era  un  Galeazzo,  che  avea  avuto 
quattro  figli  dalla  moglie  Ricafirma  de'  Colleoni,  cioè,  Alessandro,  Caviata,  Gi- 
salberto  e  Carpione  (Mozzi,  op.  cit.,  II,  fol.  253  r.).  Da  Caviata  erano  venuti 
tanto  il  ramo  di  Bartolomeo,  quanto  quello  del  giurisperito  Giovanni  e  dei  fra- 
telli compossessori  di  Trezzo  ;  qui  poi  appare  nella  stessa  condizione  anche  un 
discendente  di  Carpione,  d'altronde  affatto  sconosciuto,  il  che  rafferma  il  vincolo, 
che  aveva  mosso  que'  Colleoni  alla  comume  impresa  di  Trezzo.  Non  potrei  af- 
fermare, che  il  nome  di  Albriginus  sia  esatto  o  se  piuttosto  gli  sbadati  trascrit- 
tori ed  interpolatori  della  Cronaca  Castelliana  non  l'abbiano  scambiato  con  Ro- 
gerinus,  perchè  in  un  atto  del  1414  leggo:  «  Rogerius  filius  quond.  d.  Michaelis 
«  olim  d.  Carpioni  de  Collionibus  »  (Mozzi,  op.  cit.,  II,  fol.  234  r.).  Se  così  fosse, 
si  potrebbe  compiere  anche  la  lacuna  lasciata  nel  testo  della  Cronaca,  dove,  certo 
di  proposito,  si  volle  notato  :  «  abiaticus  d.  Carpioni  ». 

(4)  Spino,  op.  cit.,  p.  8  sg. 

(5)  Muratori,  R.  I.  S.,  to.  XVI,  coli.  964  b,  968  a,  974  a,  981   d,  e,  ecc. 


VARIETÀ  385. 

rezione  di  tutto  quell'organismo,  specialmente  per  quanto  riguar- 
dava i  rapporti  col  di  fuori.  Nelle  notizie,  che  dobbiamo  tenere 
come  contemporanee  o  come  derivate  da  contemporanei,  Giovanni 
è  sempre  nominato  per  primo  sin  dai  primi  mesi  dopo  l'acquista 
di  Trezzo  (i),  e  nel  Regestum  Litterarum  del  1407,  fortunatamente 
giunto  fino  a  noi  (2),  si  conservano  alcune  lettere  scritte  da  Trezzo,. 
nelle  quali  Giovanni  tiene  sempre  il  primo  posto  nelle  sottoscri- 
zioni, al  quale  tengono  dietro  poi  i  nomi  or  di  Pietro  ed  ora  di 
Paolo  (3)  ;  che  anzi,  in  una  patente  di  tregua,  rilasciata  con  tutte 
le  forme  cancelleresche  del  tempo,  troviamo  nella  intestazione  : 
«  Johannes  et  Paulus  de  Colionibus  Trizii  etc.  »  (4). 

Fra  i  due  rami  di  quel  casato  potevano  sorgere  delle  rivalità, 
e  non. è  inverosimile,  come  raccontano  i  biografi,  che  ne  sia  an- 
dato di  mezzo  Paolo,  il  padre  di  Bartolomeo  (5).  Ma  certo  l'espres- 
sione usata  dal  Corio,  che  quei  dei  Colleoni,  i  quali  aveano  con- 
quistato Trezzo,  «  si  uccisero  tra  di  loro  »,  non  va  accolta  che 
con  significato  assai  largo.  Pure  ammettendo,  che  Paolo  abbia  su- 
bito tal  sorte,  quanto  a  Pietro  non  è  detto  nulla,  che  suffraghi  una 
così  recisa  affermazione  ;  anzi  sappiamo,  che  egli  lasciò  due  figli, 
poiché  nei  libri  d'estimo  del  1427  troviamo  ascritti  alla  vicinia  di 
S.  Stefano  :  «  Caviata  et  Guidottus  fratres  filli  quond.  Petri  de  Co- 
"  lionibus  habitatores  de  Calusco  »  (6),  dal  quale  Caviata  o  Ca- 
piliata  nacque  quel  Gio.  Pietro,  a  cui  Bartolomeo  legò  il  castello 
di  Bottanuco  con  tutte  le  possessioni  di  questa  terra  e  del  vicino 
Cerro  (7).  Ma  intanto  è  certo,  che  i  quattro  cugini  di  Pietro  e  di 
Paolo,  che  erano  essi  medesimi  al  possesso  di  Trezzo,  sopravis- 
sero alla  presa  stessa  che  del  castello  fu  fatta  dal  Carmagnola,, 
poiché  troviamo   in   un  importante  atto    del   novembre   1426,    che 

(i)  Muratori,  K.  I.  5.,  to.  cit.,  col.  971  g,  973  a. 

(2)  Questo  Regestum  si  conserva  nell'Arch.  della  Congregazione  di  carità 
di  Bergamo.  Da  anni  potei  per  gentile  concessione  trarne  una  copia,  la  quale 
conservo  presso  dì  me. 

(3)  Regestum  cit.,  nn.  L,  LI,  LIV. 

(4)  Ibid.,  n.  LVI. 

(5)  CoRNAZZANO,  op.  cit.,  col.  5  ;  SpiNo,  op.  cit.,  p.  8. 

(6)  Mozzi,  op.  cit.,  II,  fol.  88  r.  ;  ved.  anche  fol.  154  r.,  dove  al  «  quond. 
«  Petri  »  aggiungendosi  anche:  «  olim  alterius  d.  Guidoti  »,  la  identificazione 
resta  indubitata.  Questi  Colleoni,  come  «  cives  selvatici  »,  erano  ascritti  ad  una 
vicinia  cittadina  pei  loro  beni  in  Calusco,  sul  che  ved.  Mazzi,  Note  Suburbane, 
p.  256  sg.,  e  per  un  esempio,  sebbene  mal  interpretato  e  ridotto  a  forma  leg- 
gendaria. Celestino,  Histor.  quadrip.  di  Bergamo,  Bergamo,  1618,  p.  63  sg. 

(7)  Testamentum    B.  C,  %  49  in  Loci  Pii,  ecc.  cit. 


384  VARIETÀ 

M  nobiles  viri  dd.  Joannes  iuris  utriusque  doctor,  Testinus,  Paulus 
^<  et  Dondatius  fratres  filii  quond.  spectabilis  d.  Guardini  de  Co- 
^<  lionibus  w  dividono  fra  loro  la  sostanza  famigliare  (i).  E  può 
nascere  qualche  dubbio  sulla  uccisione  stessa  di  Paolo,  padre  di 
Bartolomeo,  pel  fatto,  che  in  un  importante  atto  di  causa  del  1423, 
<Ìi  cui  ci  occuperemo  più  innanzi,  leggiamo:  «  Et  acta  ac  processus 
«  cuiusdam  litis  verse  coram  vicario  d.  Potestatis  Pergami  Inter 
-u  ipsum  Bartolomeum  de  Colionibus  seu  d.  Testinum  eius  procu- 
u  ratorem  ex  parte  una  et  supracriptum  Galvaneum  de  Suardis 
«  tutorem  ut  supra  »  (2);  e  questo  Testino  era  fratello  di  Giovanni 
ed  uno  dei  compossessori  di  Trezzo.  Né  è  meno  da  avvertire,  che 
Gio.  Guardino,  figlio  di  Galeazzo  o  Dondaccio,  fu  uno  dei  «  nego- 
«  tiorum  gestores  »  di  Bartolomeo,  che  questi  nel  suo  testamento 
proscioglie  da  ogni  obbligo  di  resa  di  conti,  ed  a  cui,  quando  però 
fosse  disposto  ad  accettare,  vorrebbe  affidata  la  riscossione  di  certe 

(i)  Mozzi,  op.  dt.,  II,  fol.  169  r.  Questo  atto  dimostra  quanto  sia  attendi- 
bile la  notizia  data  nella  Cronaca  Castelliana  (Muratori,  R.  I.  S.,  to.  XIV, 
■col.  968  D,  E  ;  cod.  citv  fol.  81  v.),  che  il  5  aprile  1405  Galeazzo,  figliuolo  di 
Guardino  Colleoni,  fu  ferito  da  Giorgio  Benzoni,  onde  ne  morì  e  fu  sepolto  a 
Lodi.  Che  se,  come  vuole  lo  Spino,  op.  cit.,  p.  8  sg,,  Giovanni  il  giureconsulto 
dopo  la  presa  di  Trezzo  sì  sequestrò  dai  fratelli,  menando  vita  solitaria  fra  i 
monti,  qui  vediamo  non  esser  questo  potuto  avvenire  prima  del  1426.  Nel  Ca- 
stello è  forse  avvenuta  qualche  confusione.  Rapporti  di  parentela  dovevano  esi- 
stere tra  questo  ramo  dei  Colleoni  ed  i  Benzoni  di  Crema,  perchè  nel  1374 
troviamo  una  «  domina  Jacoba  filia  quond.  d.  Amizini  Benzonum  de  Benzonibus 
a  de  Crema  uxor  quond.  d.  Aiexandri  Carpionum"  de  Collionibus  »  (Mozzi, 
op.  cit.,  II,  fol.  232  V.,  262  r.).  Questo  Alessandro  era  figlio  di  Galeazzo  e  quindi 
fratello  di  Caviata,  Gisalberto  e  Carpione  (Mozzi,  op.  cit.,  II,  fol.  253  r.)  soli 
noti  per  la  tavola  genealogica  del  Browning.  A  proposito  del  quale  Alessandro 
il  Mozzi  reca  il  sunto  di  un  atto  del  24  gennaio  1354,  che  conferma  esso  pure 
la  sua  pertinenza  a  questo  ramo  de'  Colleoni  (II,  fol.  251  v.)  :  «  d.  Alexander  Car- 
«  pionum  quond.  d.  Galeazii  da  Colionibus  civis  Pergami  promisit  Jacobinam 
«  eius  filiam  minorem  Ambroxiolo  filio  reverendi  in  Christo  patris  d.  d.  Jacobi 
«  Vicecomitum  episcopi  Terdonensis  et  comitis  cum  dote  florenorum  360  seu 
«  Ubrarum  480  solvendarum  per  dictum  d.  Alexandrum  ipsi  Ambroxiolo  tempore 
«  quo  ipsa  domina  Jacobina  pervenerit  ad  etatem  legiptimam  et  matrimonium 
ce  contraxerint.  Notar.  Martinus  de  Ambivere  ».  Jacopo  Visconti  fu  fatto  ve- 
scovo di  Tortona  nel  novembre  del  1348  (Giulini,  Mem.  spett.  alla  storia  della 
-città  e  camp,  di  Milano,  Milano,  1856,  voi.  V,  p.  340).  Ma  se  sono  certi  questi 
rapporti  genealogici,  è  altrettanto  incerto  il  poter  dire,  se  nella  Cronaca  Castel- 
liana  siasi  scambiato  un  nome  per  un  altro,  o  se  si  tratti  d'  altro  Galeazzo,  che 
non  sia  quello  conosciuto  col  nomignolo  di  Dondaccio. 

(2)  G.  Salvetti,  Imbreviat,  cit.,  fol.  165  r. 


VARIETÀ  385 

sue  rendite  in  Gandino  (i).  Ora,  pare  assai  difficile  ammettere, 
che  Bartolomeo  volesse  affidare  la  gestione  dei  suoi  interessi  ap- 
punto a  que'  suoi  parenti,  che  l'aveano  così  violentemente  orbato 
del  padre. 

Queste  incertezze  nascono  dal  fatto,  che  la  importanza  del 
Colleoni,  la  sua  personalità  non  si  rivelarono  che  relativamente 
assai  tardi,  onde  la  sua  infanzia,  date  anche  le  tumultuose  condi- 
zioni de'  tempi,  passò  interamente  inosservata,  e  per  conseguenza 
coloro,  che  vollero  occuparsene  quando  le  gesta  di  quell'uomo  da- 
vano un  incitamento  a  farlo,  dovettero  appoggiarsi  ad  incerti  rac- 
conti, nei  quali  forse  la  fantasia,  più  che  la  realtà,  ebbe  una  parte 
preponderante.  Così,  non  si  mette  neppure  in  dubbio,  che  Bartolo- 
meo non  si  trovasse  in  Trezzo  quando  avvenne  la  tragica  fine  del 
padre,  e  che  a  lui  non  fosse  stato  scudo  che  la  tenera  età,  se  non 
venne  colla  madre  gettato  in  durissima  prigionia  (2).  Quantunque 
i  ferrei  costumi  e  quel  cieco  furoreggiare  di  passioni  tutto  rendes- 
sero possibile,  nullameno  lo  Spino  non  ha  potuto  tacere,  che  «  è 
«  tuttavia  ancor  fama,  che,  alla  morte  del  padre,  Bartolomeo  non 
«  in  Trezzo,  ma  nelle  montagne  di  Bergamo,  presso  un  maestro 
«  di  grammatica,  trovavasi  ad  imparar  lettere  »  (3).  Lo  Spino  non 
lascia  nemmeno  sospettare  a  chi  si  debba  questa  notizia,  la  quale, 
appunto  perchè  esemplarmente  modesta,  può  essere  anche  la  più 
vera.  E  questo  tanto  più,  in  quanto  lo  stesso  Michele  Alberto  Car- 
rara pare  vi  accenni  nella  sua  Oratio  extemporalis,  quando  appunto 
parlando  del  nostro  Bartolomeo ,  affermò  :  «  Annum  vix  agens  quar- 
«  tumdecimum,  cum  esset  litteris  non  mediocriter  institutus  maiorum 
«  exemplo  et  propria  magnanimitate  etc.  »  (4).  Non  mancavano, 
del  resto,  in  quel  tempo  anche  fra  i  monti  del  Bergamasco  persone, 
che  potessero  dedicarsi  all'istruzione  della  gioventù.  Cito  frattanto, 
perchè  tal  compito  poteva  anche  essere  toccato  a  lui,  quel  «  Ni- 
«  cholinus  de  Oppreno  »»,  che  nel  1406  metteva  assieme  il  trattato 
De  cautelis  breviationibus  et  punctis  circa  scripturam  observandis  (5). 


(i)  Testamentum  B.  C.  cit.,  §§  $9,  68. 

(2)  CORNAZZANO,   Op.   cit.,   COl.    3. 

(3)  Spino,  op.  cit.,  p.  io. 

(4)  Oratio  extemporalis  in  Spino,  op.  cit.,  p.  263.  Il  Browning,  op.  cit.,  p.  4, 
ammette,  che  Bartolomeo  possa  essersi  rifugiato  tra  i  monti  con  un  maestro  di 
scuola  dopo  l'avvenuta  tragedia  domestica. 

(5)  Veggasi  Rivista  delle  biblioteche  e  degli  archivi,  XI,  1900,  p.  1553:.' 
I  dove  il  Rostagno  di  questo  grammatico  fece  un  Niccolino  da  Oppeano.  Ma  Oppno 
^'  non  può  assolutamente  leggersi   per  Oppeano,   e   tutti  i    caratteri  del  codice  ri- 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  VJII.  25 


386  VARIETÀ 

Opreno  è  una  riposta  terricciola  della  valle  S.  Martino,  di  quella 
valle,  nella  quale  i  Colleoni  doveano  avere  nomerosissime  ade- 
renze e  donde  traevano  validi  aiuti  per  le  loro  imprese  (i).  Dato 
anche,  che  Bartolomeo  fosse  nato  un  po'  prima  del  1400,  certo,  che 
all'epoca  della  presa  di  Trezzo  egli  dovea  avere  un'età  più  adatta 
ad  essere  iniziato  allo  studio,  che  al  maneggio  dell'armi;  ed  in  quel 
tumulto  di  giornaliere  vendette,  in  quell'avvicendarsi  di  effimere 
signorie,  la  terra  di  Opreno  posta  fra  i  monti,  in  mezzo  ad  una 
popolazione  tutta  guelfa,  che  avea  saputo  infliggere  appunto  in 
quei  paraggi  una  durissima  lezione  allo  stesso  Bernabò  Visconti  (2), 
dovea  prestare  un  sicurissimo  ricetto  al  fanciullo  non  ancora  atto 
a  maneggiare  la  spada.  Certamente  non  vi  ha  nulla  di  assoluto  in 
queste  induzioni  ;  ma  se  non  si  può  ammettere  nulla  di  assoluto 
nemmeno  nella  tradizione  pervenuta  fino  a  noi  e  generalmente  ac- 
colta, pare  non  sia  a  rigettarsi  un  riscontro,  che  forse  alla  tradi- 
zione stessa  presta  un  aspetto  assai  più  verisimile,  perchè  non  sog- 
getto alle  soUte  preoccupazioni,  colle  quali  si  vuole  circondare  la 
oscura  infanzia  d' un  uomo,  che  ad  un  tratto  si  vide  sorgere  a 
grandissima  altezza. 

Che  Bartolomeo  avesse   un   fratello  maggiore  di  età,  il  quale 
potè  sfuggire  alla  tragedia,  che    colpì    la   sua   famiglia,  e  porsi  al 


chiamano  all'Italia  settentrionale.  A  p.  159  è  la  data  del  codice  messo  assieme 
da  questo  Niccolino.  Per  la  famiglia  che  avea  nome  da  Opreno  veggansi  Mozzi, 
op.  cit.,  V,  fol.  35  r.  ed  Angelini,  Famiglie  Bergamasche  (ms.  nella  Civica  bi- 
blioteca), fol.  329  V.  Non  può  far  specie  l'inorganico  raddoppiamento  della  con- 
sonante, abituale  nelle  scritture  di  quel  tempo,  e  che  può  forse  spiegarsi  col  fatto, 
che  quel  grammatico  nato  in  un  ambiente,  nel  quale  naturalmente  si  scempiano 
le  consonanti,  credesse  di  poter  rendere  con  Oppreno  la  forma  letteraria  vera 
del  nome  di  quella  terricciola.  Se  poi  osserveremo,  che  la  valle  di  S.  Martino, 
alla  quale  appartiene  Opreno,  da  immemorabile  congiunta  al  territorio  di  Ber- 
gamo lo  fu  pure  da  immemorabile  alla  diocesi  di  Milano,  si  renderà  spiegabile 
la  rispondenza  fra  pupa  e  pigota  {fritoìa  è  anche  bergamasco  e  veneziano)  e  la 
citazione  pure,  tra  altre  opere,  del  ^reviarium  Ambrosianum. 

(i)  Basti  qui  accennare  al  fatto,  che  dopo  la  presa  di  Trezzo  i  Colleoni 
aveano  fatto  riporre  in  questa  Valle  tutto  quanto  di  prezioso  aveano  rinvenuto 
in  quel  castello  (Muratori,  R.  I.  5.,  to.  XVI,  col.  962). 

(2)  Celestino,  op.  cit.,  I,  p.  227,  che  ha  espressamente  Opreno.  Il  Corio, 
op.  cit.,  voi.  II,  p.  264,  dice  alla  Canonica^  ma  è  indubitatamente  un  errore  della 
sua  fonte  o  suo.  Propriamente  dovrebbesi  dire  al  Casale,  ancora  in  quei  paraggi, 
come  si  ha  da  un  memoriale  inedito  di  Sozzone  Suardo  (ms.  1*,  IV,  42),  che 
fu  parte  di  quegli  avvenimenti  e  del  quale  forse  dovrò  occuparmi.  Ivi  è  detto  : 
«  prope  Caprinum  supra  Cassalle  ». 


VARIETÀ  387 

soldo  di  Giorgio  Benzoni,  tiranno  di  Crema,  è  quanto  affermano  i 
suoi  biografi,  ma  che  non  mi  risultò  provato  da  alcun  documento. 
Quello,  che  prova  il  lavoro  di  fantasia  dei  biografi  stessi,  è  il  rac- 
conto di  fatti,  che  si  riferiscono  a  questo  Antonio,  e  i  quali  fanno 
sentire  il  loro  contraccolpo  anche  a  Bartolomeo.  Antonio  avea  avuto 
dal  Benzoni  un'  anticipazione  sulla  sua  paga,  e,  desideroso  di  ri- 
vedere la  madre  liberata  finalmente  dal  carcere,  si  era  portato  nei 
luoghi  appartenenti  alla  sua  famiglia  ;  ma  i  congiunti,  paurosi  di 
avere  in  lui  il  vindice  della  morte  di  Paolo,  aveano  trovato  modo 
di  toglierlo  di  mezzo.  E  qui  entra  in  campo  il  Benzoni,  che  muove 
un  processo  per  riavere  l'anticipazione  di  paga  data  ad  Antonio, 
e  il  quale,  andando  a  lungo  le  cose,  trova  modo  di  impadronirsi 
di  Bartolomeo  e  di  gettarlo  in  disonesto  carcere  a'  Crema,  donde 
non  fu  tratto  che  dalla  madre,  la  quale,  non  esistendo  del  marito 
altre  sostanze,  dovette  alienare  pel  riscatto  parte  della  propria  dote. 
Così  lo  Spino  (i),  il  quale  qui  avea  per  unica  fonte  il  Cornazzano, 
ma  che  sentì  tuttavia  la  necessità  di  modificarne  d'alcun  poco  le 
espressioni,  perchè  effettivamente  l'amico  e  biografo  di  Bartolomeo 
lascia  intendere,  che  l'affetto  materno  non  ebbe  ritegno  ad  affron- 
tare l'estrema  povertà  pur  di  redimere  il  figlio  dalle  esose  mani 
del  Benzoni  :  «  donec  mater  suae  dotis  alienatione  redimeret.  — 
i(  Bartholomaeus  ultima  matris  paupertate  exceptus  cum  iam  ado- 
u  levisset,  nihil  sibi  superius  esse  intelligens,  praeter  nudum  cor- 
«  pus,  in  quod  fortuna  saeviret  »  (2),  andò  altrove  in  cerca  di 
men  triste  destino.  E  inutile  cercare  un  solo  dato  cronologico  in 
tutto  questo  racconto  ;  l'unica  cosa,  che  a  noi  è  concesso  sapere,  è, 
che  dovrebbe  cadere  entro  i  limiti  dal  1403  al  141 7,  quanto  durò 
la  signoria  del  Benzoni  (3).  Un  processo  sommario  del  1423,  di 
cui  gli  atti  si  trovano  nelle  imbreviature  di  Giorgio  Salvetti  con- 
servate neir Archivio  notarile  (4),  serve  a  ridurre  alla  giusta  pro- 
porzione tutto  quel  racconto.  Il  15  maggio  di  quell'anno  al  banco 
4el  podestà  Niccolò  Spinola  comparve    Galvano   del    fu    Giovanni 


(i)  Spino,  op.  cit.,  p.  11. 

(2)  Cornazzano,  op.  cit.,  col.  3.  Il  Bonomi,  Il  castello  di  Cavernago  e  i 
conti  Martinengo  Colleoni,  Bergamo^  1884,  p.  29  scrive  :  a  fu  in  quel  tempo  che 
((.  il  tradimento  cagionò  l'eccidio  della  famiglia  di  Paolo,  il  quale  perdette  non 
«.  solo  il  castello  di  Trezzo,  ma  la  vita  ed  ogni  suo  patrimonio  ».  Tanto  pareva 
lasciassero  ammettere  gli  antichi  biografi.  Veggasi  anche  a  p.  28  una  pittura  non 
meno  dolorosa  delle  condizioni  di  Bartolomeo. 

{3)  GiuLiNi,  op.  cit.,  voi.  VI,  pp.  75,  203. 

(4)  Arch.  not.  cit.,  busta  139,  fol.  165  r.  sgg. 


388  VARIETÀ 

detto  Moris  de'  Suardi  quale  tutore  di  Bettina  figlia  di  Bettino  detto 
Brianza  de'  Suardi,  asserendo,  «  quod  suprascriptus  Betinus  dictus 
«  Brianza  de  Suardis  quondam  pater  diete  Betine  fuit  et  erat  tem- 
*.  pore  infrascripte  vendicionis  per  eum  facte  ut  infra  gibelinus  et  de 
«  parte  gibelina  civitatis  et  districtus  Pergami  ;  et  quod  ipse  Betinus 
u  —  de  anno  currente  140Ó  vel  1407  vedidit  Paulo  dicto  Po  de  Co- 
u  lionibus  certas  possessiones  terre  suprascripti  Betini  —  iacentes 
u  in  territorio  de  Butanucho  et  de  Mazaticha  squadre  Insulle  di- 
u  strictus  Pergami  citra  dimidiam  insti  pretii  eius,  quod  ipse  pos- 
«  sessiones  valebant,  et  existentes  tunc  in  fortiam  partis  guelfe, 
u  prò  pretio  librar.  650  imper.  —  Cum  ipsas  possessiones  supra- 
«  scriptus  Paulus  dictus  Po  tenebat  et  possidebat  et  gaudebat,  licet 
«  indebite,  tempore  quo  castrum  de  Tricio  tenebatur  per  ipsum 
«  Paulum  et  alios  nobiles  de  Colionibus  ».  Il  duca  Filippo  Maria 
con  lettera  data  da  Abiate  il  19  aprile  1421  avea  accordato,  che 
le  possessioni  vendute  durante  la  guerra  al  di  sotto  della  metà  del 
giusto  prezzo  si  potessero  ricuperare  mediante  lo  sborso  del  prezzo 
versato.  E  il  tutore  continua  nella  sua  domanda  :  «  Et  quod  su- 
«  prascriptus  Paulus  dictus  Po  decessit  relieto  et  super  vivente 
M  Bartolameo  eius  filio  legiptimo  et  naturali  et  sibi  heredem  et 
«  successorem  in  solidum.  Et  quod  suprascriptus  Bartolameus  tenet 
«  et  possidet  ipsas  pecias  terre,  exceptis  tribus  peciis  terre  —  alie- 
«  natis  per  suprascriptum  Bartolameum  Carabello  de  Poma  (i).  et 
«  quas  ipse  Carabellus  tenet  et  possidet  ».  E  quindi  il  predetto 
tutore  fece  il  suo  deposito  di  lire  650  d' imperiali. 

Nello  stesso  punto  il  podestà  :  «  visa  dieta  peticione  —  habi- 
«  taque  informacione  et  fide  prout  prefato  d.  Potestati  visum  fuit, 
«  quod  suprascriptus  Bartolameus,  contra  quem  vult  moveri  lis  per 
«  suprascriptum  Galvanum  de  Suardis  —  est  absens  et  extra  ter- 
«  ritorium  huius  civitatis  Pergami  et  qui  vadit  vagabundus  hinc 
u  inde,  ita  quod  ignoratur  ubi  sit  »,  ordina,  che  le  citazioni  sieno 
fatte  a  tenore  di  quanto  è  prescritto  dagli  statuti  per  gli  assenti 
di  ignota  dimora.  Segue  la  descrizione  dei  fondi  in  contestazione, 
dalla  quale  risulta,  che  si  trattava  di  cinque  corpi  di  case  poste 
in  Bottanuco  «  in  contrata  de  suptus  ubi  dicitur  in  Castello  »  e  di 


(i)  Di  questo  Carabello  da  Poma  è  una  notizia  nella  Cronaca  Castelliana 
sotto  il  12  agosto  1405  (Muratori,  R.  I.  S.,  to.  XVI,  col.  974)  ed  in  Finazzi, 
/  guelfi^  ecc.  cit.^  p.  259.  L'elenco  qui  riportato  di  ribelli  al  veneto  dominio  è 
tolto  dai  Libri  hanitorum  rehelium  contra  Statum  Ser,»^^  d.  d.  «,,  come  si  ha  dal 
Mozzi,  op.  cit.,  Vili,  fol.  65  r.  sg.  Anche  qui  a  fol.  66  v.  è  registrato  «  Cara- 
«  bellus  quond.  Tadey  de  Poma  »,  che  era  stato  bandito  nel  1432. 


VARIETÀ  389 

468  pertiche  di  terra  (ettari  31),  delle  quali  una  parte,  cioè  per- 
tiche 66  (ettari  4,50),  era  stata  venduta  a  Carabello  da  Poma.  Il 
i.o  giugno  davanti  al  vicario  comparve  «  domina  Ricadona  uxor 
«  quond.  d.  Pauli  dicti  Poy  de  Colionibus  ac  mater  suprascripti 
u  Bertolamei  et  eius  Bertolamei  procuratrix  per  cartam  procure 
«  rogatam  per  Jo.  Antonium  de  Vavassoribus  de  Medolacho  no- 
«  tarium,  quam  produxit  »,  ed  essa  fra  l'altre  opposizioni  produsse 
anche  questa  :  «  maxime  cum  non  sit  servata  debita  forma  iuris 
«  et  decretorum  Domini  nostri  et  Statutorum  et  ordinamentorum 
«  Comunis  Pergami  propter  absentiam  ipsius  Bertolamei,  qui  absens 
u  est  et  stetit  pluribus  mensibus  ellapsis,  et  qui  est  in  partibus 
«  Romandiole,  ut  dicitur,  et  quam  absentiam  alegat  ».  Ma,  malgrado 
questa  ed  altre  eccezioni,  il  9  giugno  successivo  ebbe  contraria  la 
sentenza. 

Ma  in  un  atto  successivo,  appunto  colla  stessa  data  della  sen- 
tenza, leggiamo  :  «  In  civitate  Pergami  in  hospitio  in  quo  moratur 
u  spectabilis  legum  doctor  d.  Nicholaus  de  Spinolis  Pergami  po- 
«  testas  super  lobia  inferiori  dicti  hospitii  —  domina  Ricadona  filia 
u  quond.  Oberti  de  Vavassoribus  de  Mediolacho  et  uxor  quond. 
il  d.  Pauli  dicti  Poy  de  Colionibus  procuratrix  —  Bertolamini  filii 
«  sui  et  similiter  filii  quond.  suprascripti  Pauli  de  Colionibus  per 
u  cartam  ipsius  procure  rogatam  per  Jo.  Antonium  de  Vavasso- 
«  ribus  de  Mediolacho  notarium  die  i  decembris  1420  fecit  datum 
«  et  retrodationem  Pievano  filio  quond.  d.  Johannis  dicti  Moris  de 
«  Suardis  et  Antonio  filio  quond.  d.  Zenonis  olim  suprascripti 
«  Johannis  »  dei  fondi  precedenti  ritraendone  il  prezzo  di  lire  650 
d' imperiali.  Ed  ancora  nello  stesso  giorno  i  predetti  due  Suardi 
confessano  di  aver  ricevuto  da  Ricadona  lire  375  d'imperiali,  «  quas 
u  suprascriptus  Bertolaminus  alias  habuit  et  recepit  a  suprascriptis 
«  de  Suardis  »  (i). 

Non  voglio  entrare  in  un  particolare  esame  di  questi  atti  :  a 
me  basta  d'averli  segnalati  per  dimostrare,  come  abbiansi  ad  ac- 
cogliere per  lo  meno  con  beneficio  d' inventario  i  racconti  fin  qui 
spacciati  sulla  prima  giovinezza  di  Bartolomeo.  La  sorte  intanto  ci 
ha  dimostrato,  che  nel  1423  egli  era  ancora  al  possesso  di  una 
vasta  tenuta  in  Bottanuco  ;  e  qui  non  dovea  consistere  tutta  la  so- 
stanza ereditata  dal  padre,  perchè  i  libri  d'estimo  del  1427  ci  fanno 
vedere,  che  ascritto  alla  vicinia  cittadina  di  S.  Stefano  eravi  ap- 
punto  «  Bartolameus  fihus  quond.  Pohii  de  Colionibus  »  pei  suoi 


(i)  Imbreviat,  eh.,  foli.  176  r.,  180  v. 


390  VARIETÀ 

beni  dì  Calusco  (i).  Vediamo  anche,  che  vi  fu  un  momento,  in 
cui  dovette  vendere  a  Carabello  di  Poma  una  piccola  parte  delle 
terre  possedute  in  Bottanuco  ed  assumere  dai  Suardi  un  rilevante 
mutuo.  Qui  saremmo  tentati  di  credere,  che  tale  vendita  e  tale 
mutuo  potessero  essere  stati  provocati  dalla  necessità  di  riscattarsi 
da  qualche  prigionia,  nella  quale  Bartolomeo  fosse  incorso  per  la 
sua  giovanile  ed  avventata  natura  ;  in  qualunque  modo,  se  mai  tra 
i  due  fatti  vi  ha  un  rapporto,  è  facile  però  vedere,  che  egli  non 
rimase  mai  privo  d'alcuna  sostanza  e  che  il  sacrificio  materno  è 
puro  sogno.  Forse  lo  è  pure  la  esistenza  di  un  fratello  di  nome 
Antonio,  e  probabilmente  fu  solo  la  posteriore  leggenda  che  ri- 
corse a  questo  espediente  per  ispiegare  un  fatto,  i  cui  particolari 
non  erano  più  assai  chiari.  La  madre  affermava,  nel  1423,  che  da 
più  mesi  («  pluribus  mensibus  ellapsis  »),  non  da  più  anni,  Bar- 
tolomeo aveva  lasciato  la  casa  paterna  per  recarsi  in  Romagna, 
come,  almeno,  n'era  corsa  voce.  Ma  conviene  osservare,  che,  stando 
ai  biografi,  in  quell'anno  appunto  egli  trovavasi  sotto  il  Caldora 
all'assedio  di  Napoli,  dove  essi  medesimi  cominciano  a  rappresen- 
tarcelo già  fortunato  per  acquisto  di  copiosa  preda,  e  dove,  dopo 
la  caduta  di  questa  città  nell'anno  seguente,  già  parlano  di  «  ac- 
«  cresciute  ricchezze  »»,  alle  quali  si  aggiunsero  nuovi  onori  (2). 
Certo,  che  se  egli  andava  «  vagabundus  hinc  inde  »,  come  affer- 
mava il  podestà,  non  potrebbe  segnare  un  punto  decisamente  cro- 
nologico l'affermazione  materna,  che  al  1°  giugno,  in  cui  Ricca- 
donna  proponeva  le  sue  eccezioni  in  giudizio,  Bartolomeo  potesse 
ancora  trovarsi  in  Romagna,  se  aveva  colà  indirizzato  i  suoi  passi 
pochi  mesi  innanzi  lasciando  la  patria  ;  in  qualunque  modo  è  aperto, 
quanto  sia  difficile  seguire  i  primi  passi  del  Colleoni  sull'orme  di 
scrittori,  che  pure  gli  erano  contemporanei.  Per  quanto  fu  sin  qui 
esposto,  le  cose  si  presentano  in  questo  modo.  La  possessione  di 
Bottanuco  fu  venduta  non,  come  vedemmo,  per  bisogno,  ma  in 
forza  di  una  disposizione  data  dal  duca  di  Milano    per    rimediare 


(i)  Mozzi,  op.  cit.,  II,  fol.  88  r.  Fra  gli  estimati  «  sub  rubrica  nova  »  della 
«  talea  salis  mortui  »,  del  1399  troviamo:  «  Pous  filius  d.  Guidoti  de  Colio- 
«  ribus  habitator  de  Solzia  »  e  «  Petrus  filius  d.  Guiridoti  de  CoUionibus  habi- 
«  tator  de  Calusco  »  (Mozzi,  op.  cit.,  Il,  fol.  81  v.).  Questa  indicazione  potrebbe 
confermare  la  nascita  di  Bartolomeo  in  Solza,  se  colà  abitava  anche  il  padre. 
Nell'estimo  poi  del  1430  la  professione  di  Bartolomeo  è  già  pienamente  accolta  : 
«  Bartolomeus  filius  quond.  d.  Pauli  de  CoUionibus  armiger  »  (Mozzi,  op.  cit., 
II,  fol.  264  v.) 

(2)  Spino,  op.  cit.,  p.  19. 


VARIETÀ  391 

in  qualche  modo  alle  ingiustizie  commesse  in  un  periodo  di  vio- 
lenza estrema.  E  se  fu  possibile  col  prezzo  restituito  di  saldare 
anche  il  notevole  debito  verso  i  Suardi,  dovrebbe  essere  indizio, 
che  Bartolomeo  possedesse  ancor  tanto,  da  potere  senza  preoccu- 
pazioni per  sé  e  per  la  madre  adempiere  all'  impegno  assuntosi. 
Anzi  si  aggiunga,  che  un  atto  dell'  11  novembre  1430  rogato  da 
Guarisco  Panizzoli  ci  mostra,  che  Bartolomeo  dovea  possedere 
anche  altri  fondi  in  Bottanuco,  perchè  ne  vendeva  pertiche  84  (et- 
tari 5,56)  a  certo  Venturino  de'  Carnarii  ;  e  l'atto  aggiunge,  che  il 
venditore  assoggettava  a  pegno  tutti  gli  altri  suoi  beni  per  ga- 
ranzia della  piena  esecuzione  del  contratto  (i).  In  ogni  caso  ri-" 
sulta  aperto  da  questi  documenti,  che  il  Colleoni  prima  del  1420 
aveva  intera,  o  quasi,  la  ragguardevole  possessione  di  Bottanuco, 
che  altri  fondi  ei  possedeva  in  proprio  in  questa  stessa  terra,  che 
gli  rimanevano  i  beni  paterni  di  Calusco  e  che  non  avea  verun 
debito  coi  Suardi  ;  per  il  che  diventano  un  sogno  le  gravi  angustie 
e  la.  estrema  miseria,  onde  ne  circondarono  l' infanzia  e  la  giovi- 
nezza i  suoi  biografi. 

A.  Mazzi. 


(i)  Arch.  not.  cit.,  busta  160,  voi.  Ili,  fol.  197  r.  sg.,  delle  imbreviature 
di  Guarisco  Panizzoli.  Il  Mozzi  (op.  cit..,  II,  fol.  264  v.)  per  una  svista  attri- 
buisce a  quest'atto  la  data  del  1425,  In  esso  si  seguono  gli  ascendenti  di  Barto- 
lomeo fino  al  bisavolo  :  «  Nobilis  vir  de  Bartolomeus  natus  quond.  nobilis  viri 
«  d.  Pauli  dicti  Poh  olim  nobilis  viri  d.  Guidotti  olim  spectabilis  et  egregii  viri 
'(  d.  Caviate  de  Colionibus  ». 


392  VARIETÀ 


Per  la  storia  della  coltura  del  riso 
in  Lombardia. 


ON  si  può  precisare  in  quale  epoca  sia  stato  per  la  prima 
volta  seminato  il  riso  in  Italia,  come  non  puossi  accer- 
tare se  si  debba  agli  Arabi  piuttosto  che  ai  Veneziani 
il  merito  dell'  introduzione  nella  nostra  penisola  di  questo 
prezioso  cereale. 

Ma  egli  è  quasi  fuori  di  dubbio  che  l' Italia  conobbe  il  riso 
prima  del  secolo  decimoquarto  (i).  Non  pure  avanti  il  1340  (2),  ma 
anche  dopo  il  1400  il  riso  era  però  considerato  in  Lombardia  un 
oggetto  di  lusso,  e  vendevasi  solo  dagli  speziali  e  droghieri,  a  caro 
prezzo,  come  pepe,  zucchero  ed  altre  cose  oltremarine;  e  sembra 
che  comunemente  si  traesse  dall'Asia  per  la  Grecia  (3).  Esso  non 
formava  ancora  la  minestra  comune  e  quasi  caratteristica  del  pasto 
quotidiano  del  popolo  lombardo  (4). 

L'abate  FumagalU  ricordando  che  verso  la  fine  del  duodecimo 
secolo  i  Milanesi  avevano  intrapresa  la  estrazione  dei  navigli  dal 
Ticino  e  dall'Adda,  aggiunge  che  allora  provveduti  da  acque,  pen- 
sarono ad  estenderne  l' irrigazione,  impiegandone  parte  nelle  risaje. 
Ma  è  giusto  avvertire  ch'egli  notò  anche  che  questo  ramo  di  gua- 
dagno, così  esteso  ai  suoi  tempi,  non  era  cominciato  nel  dodicesimo 

(i)  È  notizia,  per  i  lavori  del  Belgrano  e  del  De  Simoni,  di  riso  importato 
in  Anversa  dai  Genovesi  nel  1315.  Gfr.  A.  Schulte,  Geschichte  des  mittelalter- 
lichen  Handels^  I,  712  n. 

(2)  Nel  Datum  o  tariffa  daziaria  milanese  del  1340  iLa  rixum  »  era  quotato 
L.  5  «  prò  centenario  ». 

(5)  Gfr.  V.  Hehn,  Piante  coltivate  ed  animali  domestici  nelle  loro  migrazioni 
dall'Asia  per  la  Grecia  e  V Italia  nel  resto  d'Europa^  Firenze,  Le  Monnier,  1892. 
La  4.a  ediz.  tedesca  è  del  1883,  Berlino. 

(4)  Fra  i  Capitoli  piacevoli  di  Gerolamo  Leopardi,  fiorentino,  nell'Accademia 
della  Borra,  detto  il  Ricardato  (Firenze,  Sermartelli,  1613)  ve  n'ha  uno  a  in 
a  lode  della  minestra  »,  e  che  chiude  coi  versi  :  ^ 

In  quanto  all'autor,  per  quel  ch'io  intendo, 
Fu  un  Lombardo,  chiamato  Giovanni, 
Huom  veramente  d' ingegno  stupendo, 
Che  n'ebbe  il  privilegio  per  dieci  anni. 


VARIETÀ 


393 


secolo  come  taluni  autori  ebbero  a  riferire  ma  assai  più. tardi,  e  pochi 
secoli  al  certo  contar  possono  le  risaje  nel  milanese  (i). 

Il  Verri  per  qualche  tempo  aveva  creduto  che  i  milanesi,  ri- 
tornando dalle  crociate  avessero  portato  dall'  Egitto  nella  loro 
patria  la  coltura  del  riso,  ma  si  ricredette  (2),  letta  la  grida  del 
18  aprile  1386,  pubblicata  dal  Giulini  nelle  sue  Memorie  di  Milano 
(XI,  426),  con  cui  veniva  ordinato  che  gli  speziali  ed  i  droghieri 
non  vendessero  il  riso  a  maggior  prezzo  di  denari  14  imperiali  la 
libbra.  Ai  21  dicembre  del  medesimo  anno  era  fissato  ad  un  soldo  (3); 
e  così  di  seguito  variava  come  risulta  dalle  successive  numerose  e 
curiose  «  mete  »  o  tariffe  delle  mercerie  del  comune  di  Milano,  con- 
servate nei  libri  delle  Provvigioni  nel  suo  archivio  municipale  (4). 


(i)  Sulla  coltura  delle  campagne,  ecc.,  Diss.  XIII  in    Antichità  Longobarde^ 
voi.  II,  p,  141  (Milano,  1792). 

(2)  Storia  di  Milano^  Milano,  Lampato,  1840,  voi.  II,  p.  130. 

(3)  «  Rixum  prò  qualibet  libra  sol.  unum  ».  Arch.   civico  di  Milano,  Prov- 
visioni, voi.  I,  tol.  45. 

(4)  Eccone  uno  spoglio  a  tutto  il  143 1: 

1388,  29  febbraio,  «  arissum  prò  libra       1409,  24  luglio,  soldi  2. 


«  sol.  unum  ». 

1389,  12  gennaio,  16  febbraio,   22  di- 
cembre, I  soldo. 

1590,  2  marzo,  i  soldo. 

Ibid.,    12  settembre,  io  denari. 

1391»  31  gennaio,  4  marzo,  i  soldo. 

1392,  16  gennajo,  io  denari. 
Ibid.,  9  agosto,  I  soldo. 
Idid.,   20  dicembre,  io  denari. 

1393,  20  marzo,  3  dicembre,    i  soldo, 
2  denari. 

1394,  4  marzo,  i  soldo,  2  denari. 

1395,  28  gennajo,  i  soldo. 

1596,  II  marzo,  17  agosto,  11  dicem., 

I  soldo. 
1397,  19  febbrajo,  19  dicem.,  i  soldo 


Ibid.,   20  dicembre,  soldi  i,  denari  6. 

1410,  II  agosto,  soldi  2. 

141 1,  8  aprile,  soldi  2. 

Ibid.,    3  ottobre,  soldi  i,  denari  8. 

1412,  7  marzo,  soldi  i,  denari  8. 

141 3,  3  aprile,  20    dicembre,   soldi   i, 
denari  6. 

1416,  18  dicembre,  soldi  i,  denari  4. 

1417,  3  dicembre,  soldi  i,  denari  4. 

1418,  5  aprile,  soldi  i,  denari  2. 

1419,  19  dicembre,  soldi  i,  denari  4. 

1420,  22  ottobre,  soldi  i,  denari  4. 

1421,  4  aprile,  25    settembre,   soldi  i, 
denari  4. 

1422,  22  aprile,  18  dicembre,  soldi  i, 
denari  4. 


1406,  6  marzo,  21  ottobre,  20  dicem-       1425,  12  febbrajo,  soldi  i,  denari  6 


bre,  I  soldo. 

1407,  7  luglio,  I  soldo,  denari  4. 
Ibid.,   15  settembre,  2  novembre,  16  di- 
cembre, I  soldo,  denari  6. 

1408,  7  marzo,  7  aprile,    i   soldo,  de- 
nari 8. 

Ibid.,  II  dicembre,  soldi  2. 


1424,  24  ottobre,  soldi  i,  denari  4. 

1425,  9  marzo,  soldi  i,  denari  6. 
Ibid.,  io  ottobre,  soldi  2. 

1426,  18  dicembre,  soldi  3. 

1430,  24  gennajo,  soldi  i,  denari  8. 

Ibid.,  15  dicembre,  soldi  i,  denari  2. 

145 1,  7  marzo,  soldi  i,  denari  2. 


Archivio  civico,  Provvisioni^  voli.  I,  II,  III,  IV  ad  annum. 


394  VARIETÀ 

Da  diversi  scrittori  si  ripete  tuttora  che  Pier  Crescenzio  verso* 
il  1301,  abbia  introdotta  la  coltivazione  del  riso  nel  bolognese, 
esperimentandola  nei  propri  terreni  in  Rubizzano  con  semi  ricevuti 
dalla  Sicilia;  come  apparirebbe  dalla  sua  opera  Ruralium  commo- 
dorum  (negli  Scriptores  rei  rusticae,  1735),  in  cui  lo  chiamò  il  «  tesoro 
«  delle  paludi  ».  Ma  non  è  esatto,  perchè  il  capo  di  cui  nell'opera  del- 
l'illustre agronomo  bolognese  si  parla  del  riso,  è  un'aggiunta  del 
traduttore  che  non  si  trova  nel  testo  latino  (i).  Nel  1468,  come  ri- 
sulta da  un  documento  riferito  dal  Targioni-Tozzetti  nei  suoi  Viaggi 
per  la  Toscana  (XII),  si  trattò  di  praticare  una  risaja  nel  piano  di 
Pisa  (2).  Dal  Betti  (3)  è  proclamato  introduttore  nel  veronese  nel  1522 
Teodoro  Trivulzio,  allora  comandante  l'armata  veneziana  (4).  Opi- 
nione del  De-Gregory  e  del  Ranza  è  che  nel  novarese  e  nel  ver- 
cellese si  sia  introdotta  la  coltivazione  al  cominciamento  del  se- 
colo XVI  (5).  Ad  Agostino  Gallo,  da  Brescia  (1499-1570),  il  noto 
autore  delle  Venti  giornate  dell'agricoltura  (Venezia,  1569),  si  dà 
il  merito  di  aver  per  il  primo,  tra  gli  agronomi,  dettati  precetti 
sulla  coltura  del  riso  (6). 

(i)  Cfr.  U.  C,  cenni  critici  dell'opuscolo  Dell»  risaje,  ecc.,  in  Biblioteca 
Italiana  di  Milano,  I,  1816,  p.  250.  Per  il  Crescenzio  agg.  M.  Buch,  Des  Petrus 
de  Crescentiis  Buch  ùber  die  Landwirthschaft  und  seine  lllustrationen  in  Zeitschrift 
fùr   Bùcherfreunde,  settembre  1901. 

(2)  Il  Balducci,  al  servizio  della  compagnia  de'  Bardi  in  Firenze,  nella  sua 
Pratica  della  Mercatura  (1471)  nota  tra  le  spezierie  non  minute  il  «  rìso  d'oltre 
a  a  mare  »  e  il  «  Riso  di  Spagna  ».  (Cfr.  [Pagnini]  Della  decima  e  di  varie  altre 
grave:(^e  imposte  al  comune  di  Firenze,  Lisbona  e  Lucca,  1766,  to.  Ili,  p.  295. 

.  (3)  Z.  Betti,  Memoria  2.*  aggiunta  a\V Agricoltore  esperimentato  di  Cosimo 
Trinci  (Venezia,  Gatti,  1783,  p.  266);  F.  Cherubini,  Noti:(ie  storiche  di  OstigUa, 
Milano,  Lamperti,  1826,  p.  86  n. 

(4)  Il  maresciallo  G.  G.  Trivulzio  (f  1518)  avrebbe  ridotta  a  bella  coltura 
la  Selva  piana  in  cima  al  Lario,  introducendovi  risaje  adacquate  dal  Boggia  (cfr, 
C.  Cantù,  Storia  di  Como,  I,  143  n.). 

(5)  G.  De-Gregory,  Solution  du  problème  économico-politique  concernant  la 
conservation  ou  la  suppression  de  la  culture-  du  ri^  en  Lombardie,  chap.  I.  De  l'origine 
des  rizières  dans  la  Lombardie,  Turin,  imp.  royale,  18 18;  G.  A.  Ranza,  Riflessioni 
sulle  risiere^  l'jyo.  Ms.  alla  Nazionale  di  Torino,  cod.  n.*II,  14.  Debbo  la  cono- 
scenza di  questo  ms.  alla  cortesia  del  prof.  Giuseppe  Roberti  in  Torino,  il  noto  bio- 
grafo del  famigerato  giacobino  Ranza.  Il  Giovanetti,  Le  risaje  novaresi^  ms.  alla  co- 
munale di  Novara  (cfr.  Tarella,  Catalogo  delle  opere  di  autori  novaresi^  ecc.,  Novara, 
1886,  p.  124)  non  serve  per  la  parte  storica.  Altrettanto  dicasi  del  Discorso  sull'utile 
e  danno  delle  risaje  nel  Novarese  (fine  sec.  XVI),  cod.  Trivulziano  n.  11 26. 

(6)  «  Si  vede  quanta  soventione  rende  a  questo  paese  nel  mangiarlo  in  mi- 
«  nestra,  e  più  nel  macinarlo  con  la  segala  et  miglio  insieme,  o  con  quella  so- 
c(  lamenta  per  fare  il  pane  con  maggior  utilità  »  (p.  40). 


VARIETÀ  395 

Ora  noi  possiamo,  mercè  un  documento  inedito,  ritenere  per 
positivo  che  nella  seconda  metà  del  sec.  XV  la  produzione  del  riso 
fosse  già  di  qualche  importanza  nel  ducato  di  Milano  e  tale  da  in- 
fluire sul  valore  delle  altre  biade,  e  che  il  merito  d'aver  introdotto 
questo  elemento  di  ricchezza  nuova  non  spetta  già,  come  dai  più  degli 
scrittori  s'è  propalato,  a  Lodovico  il  Moro  (i),  ma  piuttosto  al  fratello 
suo  e  predecessore  nel  ducato,  Galeazzo  Maria  Sforza  (f  1476). 

È  dell'a.  1475  la  data  precisa  dell'introduzione  della  semina 
del  riso  nel  ferrarese;  e  la  prova  sta  nella  seguente  lettera  ducale 
all'oratore  del  duca  di  Ferrara  in  Milano,  Nicolò  de'  Roberti  : 

«  Inteso  quanto  ne  scriveti  del  desiderio  che  ha  lo  IH.^^o  Duca 
a  vostro  de  introdure  el  seminare  del  riso  nel  ferrarese:  et  per 
u  questo  che  gli  ne  voghamo  compiacere  de  xij  sachi,  dicemo  che 
u  per  satisfacione  de  sua  S.^  voressimo  compiacerli  in  molto  ma- 
ii  gior  cosa  de  questa,  quale  è  minima,  per  fare  cosa  che  alla 
.<  S.^  sua  fosse  grata.  Noi  scrivemo  per  l'aligata  ad  Juliano  Gua- 
>i  scono  (2)  officiali  sopra  li  parchi  nostri  che  ad  omne  requisitione 
i<  vostra  debi  consignare  la  dieta  quantità  de  rixo  ad  ciaschaduno 
'<  vostro  messo  siche  mandareti  per  esso.  Quanto  al  facto  del  cor- 
'<  siero  del  111.  m.r  Sigismondo  noy  havemo  scripto  opportunamente 
a  per  intendere  comò  sta  la  cosa  ». 

Daf.   Villenove  die  2'j  septembris  147S. 

u  per  Co.  Jo.  Ja.  (3)  ». 

(i)  Cfr.  ad  es.  Rovelli,  Storia  di  Como,  III,  p.  366.  Il  Biffignandi^  Me- 
morie storiche  di  Vigevano,  1810,  p.  144,  ricordando  a  merito  del  Moro  l'intro- 
duzione dei  gelsi  e  l'allevamento  dei  bachi  e  delle  pecore  di  Linguadoca,  non 
accenna  al  riso;  il  Maccaneo  poi,  nel  1490  {Corographia  Laciis  Verhani),  pur 
decantando  la  fertilità  di  Vigevano  ed  accennando  ai  gelsi,  tace  a  sua  volta  del 
riso.  Leggenda  anche  quella  dei  gelsi  e  dei  bachi  !  La  piantagione  dei  gelsi,  fatta 
allo  scopo  di  trarre  dalla  loro  foglia  il  sostentamento  pei  bachi,  s'incominciò 
presso  di  noi  pochi  anni  prima  del  1470  (cfr.  C.  Casati,  Vantica  industria  se- 
rica milanese  in  La  Perseveranza,  18  luglio  187 1). 

(2)  Era  tale: 

«  Juliano  Guascone, 
«  Havendone  lo  Jll.™°  Duca  de  Ferrara  facto  richiedere  per  mezo  del  suo 
«  Ambassatore  che  gli  vogliamo  compiacere  de  sachi  XIJ  de  riso  :  quale  desydera 
«  de  haverne  per  semunare  in  Ferrarese,  te  scrivemo  et  commettemoti  che  al 
«  dicto  Ambaxatore  o  ad  qualunche  suo  messo  debij  subito  fare  consignare  li 
«  dicti  sachi  XIJ  de  riso. 

«  Villenove,  XXVIIJ  septembris  147 ^  ». 

(3)  Archivio  di  Stato  di  Milano,  Registro  Missive,  n.  124,  foli.  4  e  i  t. 


396  VARIETÀ 

L'indomani  (28)  il  permesso  ducale  di  uscita  del  riso,  esente 
da  dazi,  veniva  impartito  a  tutti  gli  ufficiali: 

«  Dux  Mediolani,  etc.  Havendo  noy  compiaciuto  al  duca  de 
u  Ferrara  de  sachi  XIJ  de  riso  che  ne  ha  facto  richiedere  per  si- 
u  minare  in  Ferrarese,  commandiamo  ad  ciaschaduno  nostro  offi- 
u  ciale  et  subditi  ad  chi  specta,  che  lasseno  liberamente  et  senza 
«  paghamento  alcuno  de  datio,  passare  et  condure  per  tuto  fora 
il  del  dominio  nostro  li  dicti  sachi  XIJ  de  riso,  per  qualuncha  messo 
«  del  prefato  Duca  exhibitore  de  questo  nostro  scritto. 

«   Vilknove  die  XXVII J  septembris  14'js  »• 

Dalla  concessione  al  duca  di  Ferrara  trasparirebbe  però  che  il 
rìso  veniva  coltivato  allora  nei  parchi  ducali  piuttosto  che  non  nelle 
tenute  private,  od  almeno  che  la  coltivazione  non  ne  fosse  ancora 
così  generalizzata,  come  appare  verso  la  fine  del  quattrocento.  E 
nei  molti  contratti  agrari  di  quel  secolo,  da  noi  consultati  nell'Ar- 
chivio notarile  di  Milano,  non  ci  fu  dato  di  trovarvi  accenno. 

Non  è  nostro  compito  di  trattare  del  traffico  del  riso  che  fino 
dal  1480  varcava  abbondantemente  le  Alpi  (i),  ed  abbiamo  dati 
statistici  pel  passo  del  Gottardo  e  per  i  mercanti  di  Berna,  di  Ba- 
silea e  d'altre  città  della  bassa  Germania.  Nel  1494,  ad  es.,  Pietro 
zur  Wittwen,  di  Brienz,  conduceva  a  Lucerna  30  some  di  riso,  e 
80  altre  some  vi  trasportava  nel  1496  Bernardo  Morosini.  Nel 
triennio  1497-99  figura  specialmente  come  speditore  di  riso  il  ne- 
goziante basileese  Baldassare  Irmi  (2). 

La  coltivazione  si  estese,  come  abbiamo  detto,  verso  la  fine 
del  quattrocento,  sicché  per  la  sua  considerazione  il  duca  venne 
presto  a  gride  proibitive  di  estrazione  dal  Milanese.  La  prima,  che 
è  in  data  29  settembre  1494,  segnala  appunto  «  ad  quanto  bene- 
u  fitio  è  stato  ali  subditi  soy  el  seminare  et  recogliere  di  risi  », 
venne  promulgata  a  suon  di  tromba  dal  trombetta  del  comune,  ai 
30  settembre  dalle  scale  del  palazzo  del  Broletto  ed  al  i.°  ottobre 
sulla  piazza  dell'Arengo  e  fuori  delle  porte  Ticinese  e  Comasina. 

(i)  «  Risum  ponatur  prò  centenario  libr.  2  sol.  io  »;  così  ancora  nel  Ca- 
pituhitn  spiciarie  degli  statuti  dei  dazi  di  Milano  {Statuta,  ediz.  Milano,  Suardi, 
1480).  Nella  tariffa  daziaria  di  Lucerna  del  medesimo  anno  (1480)  non  figura 
ancora  tassato  il  riso. 

(2)  Cfr.  A.  ScHULTE,  Geschichte  des  mitteìalterlichen  Handeìs  und  Verkehrs. 
^wischen  Westdeutschìand  und  Italien,  Leipzig,  1900,  I,  578,  712,  II,  197;  Bol- 
lettino storico  della  Svi:(^era  Italiana,  1892,  p.  5. 


VARIETÀ  397 

Diamone  il  testo: 

u  Intendendo  la  Excellentia  del  nostro  l[\.^°  et  Ex.^o  Signore 
«  Jo.  Galeaz  Maria  Sfortia  Vesconte  duca  de  Milano,  etc.  de  Pavia 
«  et  Anglera  Conte  ac  de  Zenova  et  Cremona  Signore  che  Dio  con- 
«  serva  longamente  in  felicissimo  stato,  ad  quanto  benefìtio  è  stato 
«  ali  subditi  soy  el  seminare  et  recogliere  di  risi  nel  dominio  suo  ; 
«  per  provedere  che  maior  abondantia  de  victualie  sia  in  benefìtio 
u  depsi  subditi  et  maxime  ad  quelli  de  la  inclita  cita  de  Milano  et 
«  suo  ducato  ad  li  quali  ha  singulare  consideratione,  per  tenore  de 
«  la  presente  crida  si  fa  comandamento  generalmente  ad  caduna 
«  persona  di  qualuncha  grado,  stato  et  condictione  se  sia  cossi  ec- 
«  clesiastica  comò  seculare,  che  non  olsa  né  presuma  di  condure 
u  ne  fare  condure  per  alcuno  modo  alcuna  quantità  de  riso  fora 
u  de  la  cita  predicta  de  Milano  et  suo  ducato  senza  licentia  in 
i<  scripto  signata  Marchisinus,  sotto  la  pena  di  ducato  uno  prò 
«  staro  che  se  ritrovarà  condure  o  essere  conducto  fora  depsa 
«  citate  o  ducato  ut  supra  et  ultra  di  perdere  dicto  rixo  et  bestie 
«  ac  altri  instrumenti  con  li  quali  lo  conducessero  aut  havessero 
«  conducto  aut  il  loro  pretio  applicanda  alla  camera  di  Sua  Ex.  ^^^ 

«  Item  che  alcuna  persona  ut  supra  habitante  nel  dominio  suo 
«  fuora  depsa  cita  et  ducato  non  olsa  né  presuma  condure  né  fare 
«  condure  da  jurisdictione  ad  jurisdictione  né  fora  del  predicto 
u  dominio  quantità  alcuna  de  riso  senza  licentia  ut  supra  sotto  la 
w  pena  predicta  applicanda  ut  supra.  Bene  se  concede  che  ad  caduno 
«  sia  licito  condure  vel  far  condure  ad  le  citate  di  Milano  et  Pavia 
«  tuta  la  quantità  de  riso  gli  piacerà  senza  altra  licentia  né  impe- 
«  dimento  alcuno,  certificando  che  caduno  contrafaciente  ad  questa 
«  crida  sarà  punito  irremissibilmente  et  senza  rispecto. 

«  Papiae  25?  septembris  1494. 

u  sign.  Marchisinus  »  fi). 

Grida  che  si  rinnovava  ai  29  gennaio  1496  (2). 

Ai  23  dicembre  1495  Francesco  da  Cremona,  dimorante  in 
Milano,  figlio  di  quel  Carlo  da  Cremona  che  fu  maestro  delle  caccie 
ducali,  e  spesso  ricordato  per  altre  cariche  tenute,  nei  carteggi 
sforzeschi,  e  di  casato  Favagrossa,  prometteva  di  dare  a  Francesco 
Visconti,  figlio  del  q."™  magnifico  Guido,  «  partim  in   terra  Vigle- 

(i)  Arch.  civ.  di  Milano,  Registro  provvisioni^  1494-1504,  fol.  7  t.  Il  Mar- 
chesino  è  lo  Stanga,  prediletto  tra  i  segretari  del  Moro, 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Reg.  Panigarola  E.  E.,  fol.  281  t. 


398  VARIETÀ 

u  vani,  et  partim  in  ejus  territorio  »,  entro  venti  giorni,  moggia  400 
4(  risi  fiendi  et  non  facti  »  alla  misura  di  Milano,  del  peso  di 
L.  80  grosse,  per  il  prezzo  di  soldi  28  e  denari  6  per  ogni  mog- 
gio (i). 

Vennero  i  tehipi  grossi  ed  il  succedersi  di  francesi,  svizzeri  e 
spagnoli,  tutti  intenti  ad  angariare  la  povera  Lombardia.  I  docu- 
menti vi  richiamano  le  forniture  del  riso  per  le  truppe. 

■  Così  nella  grida  del  15  aprile  1500  delle  cose  «  per  l'uxo  et 
a  bisogno  de  li  Francesi  »  il  riso  è  quotato  soldi  6  per  stajo  (2). 
Nell'aprile  1509,  e  lo  deduciamo  da  un  registro  di  spese  del  con- 
vento dei  Serviti  in  Milano,  i|2  stajo  di  riso  costava  soldi  7;  nel 
dicembre  151 1  lo  staio  era  a  soldi  14,  per  salire  ad  una  lira  nel- 
l'aprile 1512  (3).  Nei  patti  stipulati  tra  la  città  di  Milano  e  Fran- 
cesco I  di  Francia  ai  7  gennajo  15 16,  il  22.°  articolo  domandava 
la  revoca  delle  tratte  del  riso  :  «  tracta  rixi  in  totum  tollantur  »>  (4). 

Nei  registri  dell'abbazia  di  Chiaravalle  la  comparsa  del  riso  è 
segnalata  all'anno  15 17-15 18  (5). 

Le  gride  proibitive  si  succedono  numerose  dopo  il  1520.  Così 
ai  13  agosto  1522  «  sotto  pena  della  forca  e  confiscazione  di  tutti 
«  li  suoi  beni  applicandi  alla  ducal  Camera  »  (6),  ai  31  gennaio, 
20  febbrajo  e  7  ottobre  1525,  ai  7  luglio  .1530  (7). 

Nel  castello  di  Milano,  nel  1526,  tra  altre  vettovaglie,  dovevansi 
tenere  «  moza  1000  riso  cum  la  scorza  da  qui  a  S.to  Martino  prox. 
*(  a  sol.  50  el  mozo  L.  2500  m  (8).  Nel  1532  per  bocche  mille,  di 
^<  riso  fatto  ne  bisognaria  moza  100,  et  gli  n'è  moza  126  da  fare 
u  che  poterla  fare  moza  50,  ne  mancarla  moza  50  »»  (9). 

Nel  1530,  costituendo  oramai  la  coltura  del  riso  una  delle  prin- 


(i)  Arch.  not.  di  Milano,  Rog.  not.  Boniforte  Gira. 

(2)  Arch.  civ.  di  Milano,  Reg.  provv.,  V,  fol.  78. 

(3)  Bibl.  Braidense,  Mss.  Ballati,  to.  VI,  p.  I,  fol.  216. 

(4)  M.  FoRMENTiNi,  //  ducato  di  Milano,  p.  246. 

(5)  «  Vena  e  riso  m.  26  L.  32.  11.  6  »  cfr.  A.  Ratti,  //  secolo  XVI  nel- 
J^abba^ia  di  Chiaravalle  in  quest'Archivio,  a.  XXIIl,  1896,  voi.  V,  pp.    107-108. 

(6)  Cfr.  L.  Ferrario,  Busto  Arsirlo,  p.  57. 

(7)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Gridario  e  Registro  Panigarola  P.,  fol.  263. 
Proibizione  di  condurre,  vendere  e  far  vendere  «  riso  cossi  pisto  quanto  in  cor- 
«  tice  »  per  condurre  fuori  del  dominio  milanese,  e  neanche  nel  medesimo  da 
luogo  a  luogo  se  non  in  vista  delle  licenze  ducali  segnate,  sigillate  e  spedite  dal 
magistrato  delle  biade. 

(8)  Trivulziana,  cod.  n.  173. 

(9)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Pia^^e  forti,  Milano,  cartella  II. 


VARIETÀ  399 

cipali  produzioni  agricole  del  Milanese,  fu  compresa  nel  censimento 
effettuato  a  quell'epoca  (i). 

Luigi  Guicciardini,  parlando  del  commercio  di  Anversa  nella 
sua  nota  Descrittione  di  tutti  i  Paesi  Bassi  (Anversa,  1567)  scriveva 
che  da  Milano  e  suo  stato,  oltre  ai  molti  drappi  di  seta  e  oro,  di 
fustagni,  armature,  ecc.,  vi  giungevano  «  molti  rixi  et  buoni  »  (2). 
Di  quei  tempi,  o  poco  dopo,  dalle  case  pie  di  Milano  si  dispen- 
savano in  elemosine  più  di  800  moggia  di  riso  «  mondato  fuori 
«  della  sua  scorza  »  (3). 

Ma  oltrepassata  la  metà  del  cinquecento,  non  si  tardò  ad  ac- 
corgersi come  per  tal  coltivazione  la  malaria  e  le  febbri  prendes- 
sero il  sopravvento.  Quindi  si  fece  sentire  la  reazione  da  parte  del 
governo  spagnolo,  che  si  manifestò  in  una  serie  di  divieti  e  di  leggi 
restrittive  emanate  dai  suoi  governatori  in  Milano,  dal  duca  di  Ter- 
ranova venendo  al  contestabile  di  Castiglia.  Fissata  la  distanza  di 
«  miglia  4,  ragionando  il  miglio  a  3000  brazza  de  Ugnarne,  et  comin- 
«  ciando  la  misura  alla  muraglia  della  città  »  di  Milano  o  di  No- 
vara (4),  oltre  la  quale  non  dovevasi  seminare  il  riso.  E  potevano 
esser  messi  a  riso  soltanto  i  terreni  non  suscettibili  di  altra  produ- 
zione. Né  mancarono  contese,  e  fiere,  tra  l'autorità  laica  e  quella  eccle- 
siastica circa  al  permettere  o  negare  ai  coloni  della  chiesa  la  semina 
del  riso.  La  contesa  più  grave,  ripetutasi  sotto  il  card.  Federigo 
Borromeo,  nel  1596,  è  stata  già  illustrata  in  q\ies>t^ Archivio  (5),  ne 
noi  vi  ritorneremo  sopra,  come  non  ci  dilungheremo  oltre  a  trat- 
tare della  risicoltura  nei  secoli  successivi  (6).    A   dispetto  di  tante 

(i)  Annali  della  fabbrica  del  Duomo,  voi.  Ili,  p.  426;  M.  Formentini,  1/ du- 
cato di  Milano,  p.  604. 

(2)  Nel  1590  a  Parigi  una  libbra  di  riso  costava  bajocchi  45  (cfr.  Dondi, 
Cronaca  di  Sabbioneta  in  Cronisti  lombardi,  Milano,  1856,  voi.  II,  p.  371.  Per 
il  ricevimento  in  Tortona  del  consiglier  Bernardino  Mendozza,  nel  1556,  erano 
abbisognate  anche  6  libbre  di  riso  a  soldi  6  e  denari  9  (cfr.  (\vìqs\' Archivio,  VI, 
1879,  p.  434). 

(3)  P.  MoRiGiA,  Nobiltà  di  Milano,  Milano,  1619,  p.  98. 

(4)  Cod.  Trivulziano  n.  2122  sotto  Risi.  Cod.  Triv.  n,  1708  (ce  Parere  in 
u  materia  de  seminar  risi  appresso  alla  città  »).  Del  1594  ^  anche  l'editto  del  ve- 
scovo di  Novara,  Bescapè,  per  il  seminare  de  risi  (cfr.  Scritti  pubblicati  da  mons. 
vescovo  di  Novara  nel  governo  del  suo  vescovato,  Novara,  Sesalli,   1609,  p.  710). 

(5)  M.  Formentini,  Libello  famoso  contro  la  città  di  Milano  in  quest'^r- 
chivio  V,  1878,  p.  48. 

(6)  Cui  interessasse  di  approfondire  la  ricerca  e  di  constatare  quanto  in- 
chiostro siasi  adoperato  per  segnalare  l' insalubrità  delle  risaje  non  mancano  mss. 
e  stampati,  oltreché  negli   archivi   di   Milano,  in  Ambrosiana.  Cfr.  specialmente 


400  VARIETÀ 

leggi  proibitive,  susseguite  da  regolamenti  sempre  più  severi,  essa 
crebbe  in  modo  veramente  meraviglioso,  e  tutti  noi  possiamo  con- 
statare quale  sviluppo  prendesse  in  Lombardia,  dove  tuttodì  è 
estesa  e  fiorente  più  che  in  ogni  altra  parte  d'Italia  (i). 

Avremo  invece  occasione  di  ritornare  sul  discorso  del  riso  per 
ricercare  le  origini  di  uno  dei  piatti  più  in  voga,  massima  gloria 
della  cucina  milanese  :  «  il  risotto  »,  che  ci  venne  forse,  unico  buon 
regalo,  dagli  Spagnuoli  ! 

E.  Motta. 


le  segnature  G.  B.  XVI,  14;  S.  B.  M.  VII,  23  ;  S.  R.  S.  IX,  15  ;  S.  C.  Z.  IV, 
21;  S.  N.  Q,  IX,  79  e  la  Legione  scritta  contro  li  Risari  dal  Bugati;ms.  anche 
ricordato  dal  Predari,  Bibìiogr.  milanese,  p.  508. 

(i)  F.  Leouain,  La  coltivazione  del  riso  con  provvedimenti  di  salubrità,  To- 
rino, 1878,  p.  12. 


BIBLIOGRAFIA 


EvELiNA  Menghini,  Dello  stato  presente  degli  studi  intorno  alla  vita  di 
Paolo  Diacono^  Pavia,  tip.  succ.  Fratelli  Fusi,  1904  (Estratto  dal 
"  Bollettino  della  Società  Pavese  di  storia  patria,,),  pp.  197. 

È  un  libro  che  contiene  assai  più  di  quel  che  prometta  il  titolo  : 
movendo  dall'esame  e  dalla  discussione  delle  fonti  a  cui  può  attingere 
il  biografo  di  Paolo  Diacono  :  fonti  che  si  possono  distinguere  in  due 
gruppi,  le  cronache  cioè  che  ce  ne  parlano  e  l'epitaffio  (o  il  creduto 
epitaffio)  del  dotto  monaco  da  una  parte,  e  dall'altra  le  opere  stesse  di 
Paolo;  l'A.  vagha  e  discute  tutto  ciò  che  fu  detto,  piìi  o  meno  a  propo- 
sito, coU'aiuto  di  queste  fonti  :  affronta  il  mare  magnum  delle  conget- 
ture che  dovrebbe  aver  pur  per  confine  i  limiti  a  cui  queste  fonti  ci 
permettono  solo  di  giungere  ed  è  invece  sconfinato. 

Da  tutto  questo  esame  e  da  questa  discussione  scaturisce  un  po' più 
di  luce  sulla  vita  del  dotto  longobardo:  le  linee  generali  della  vita  di 
Paolo  le  vediamo  più  sicure  (non  dico  siano  ora  tracciate  per  la  prima 
volta)  e  si  risolvono  molti  dubbi. 

Certo  fu  grande  la  fatica  che  1'  egregia  A.  sostenne  ;  la  sua  dili- 
genza fu  esemplare,  è  buono  il  metodo  seguito  e  il  lavoro  degno  di 
molta  lode:  qualche  deficenza  qua  e  là  si  nota;  però  il  buono  prevale 
di  gran  lunga. 


Una  delle  fonti  che  potrebbe  parere  più  importante  è  l'epitaffio  che, 
se  autentico,  se  posto  un  giorno  realmente  sulla  tomba  di  Paolo,  do- 
vrebbe avere  grande  valore. 

La  signora  Menghini  ne  nega  l'autenticità. 

La  induce  ad  affermar  ciò,  in  primo  luogo,  l'esame  del  contenuto 
dell'epitaffio,  che  mostra  conoscere  sì  poco  della  vita  di  Paolo;  di  più, 
sospetta  l'A.,  ciò  che  vi  si  dice,  può  esser  stato  ricavato  dalle  opere 
stesse  di  Paolo:  ma  all'A.  paion  gravi,  sopra    tutto,  le   ommissioni   che 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  Vllf.  26 


402  BIBLIOGRAFIA 

sono  nel  componimento  non  breve,  e  sopra  tutto  il  silenzio  sulle  rela- 
zioni dì  Paolo  con  Carlo  Magno.  Nell'epitaffio  non  si  parla  realmente 
né  di  Carlo  M.  né  dei  Franchi,  né  dei  longobardi  beneventani  in  parti- 
colare, mentre  cogli  uni  e  cogli  altri  Paolo  ebbe  rapporti,  e  1*A.  che  è 
disposta  a  capire  perchè  siano  dimenticati  i  longobardi  di  Benevento, 
crede  inesplicabile  il  silenzio  sulle  relazioni  di  Paolo  con  Carlo,  e  non 
se  lo  spiega  né  dal  punto  di  vista  religioso  né  dal  politico. 

Dei  rapporti  di  Paolo  l'epitaffio  non  conosce  (o,  per  esser  più  esatti, 
non  menziona)  che  quelli  con  Ratchis. 

Né  paiono  all'A.  senza  significato  quegli  ampliamenti,  quelle  espres- 
sioni indeterminate  di  cui  sono  ricchi  quei  versi  :  le  paiono  nascondere 
la  povertà  di  notizie  che  aveva  il  poeta. 

La  storia  esterna  dell'epitaffio  la  porta  a  simile  conclusione.  Sulla 
tomba  di  Paolo  vista  nel  secolo  X  dal  Salernitano,  era  un  epitaffio  (su 
ciò  mi  pare  non  si  possa  dubitar  punto)  ma  non  sappiamo  se  quell'epi- 
taffio fosse  il  componimento  noto  pure  a  noi.  L'A.  crede  che  no,  asso- 
lutamente no,  perchè  se  il  Salernitano  vi  avesse  letto  l'epitaffio  ora 
discusso,  avrebbe  dovuto  dimenticarlo  del  tutto  per  riferire  sul  suo  eroe 
una  serie  di  fatti  in  contraddizione  con  quanto  trovava  nell'epitaffio.  11 
Salernitano  non  lo  avrebbe  dunque  conosciuto:  l'epitaffio  Ildericiano  nel 
sec.  X,  cioè  nel  tempo  in  cui  il  Salernitano  visitò  Monte  Cassino,  non 
era  sulla  tomba  del  poeta.  Leone  Ostiense  (sec.  Xl-Xll)  ci  parla  pure 
della  tomba  di  Paolo  senza  ricordare  che  fosse  illustrata  da  un  epitaffio 
(e  ciò  mi  pare  spiegabilissimo  pensando  che  in  circa  quattro  secoli 
quella  tomba  aveva  forse  subito  dei  mutamenti  in  cui  può  essere  andato 
smarrito  l'epitaffio  citato  dal  Salernitano):  l'A.  crede  che  Leone,  cassi- 
nese,  avrebbe  dovuto  conoscere  quei  versi,  almeno  trascritti  in  un  co- 
dice, e  forse  anche  nel  codice  che  ce  li  conservò,  quei  versi  che  si  di- 
cevano esser  l'epitaffio  di  Paolo;  se  non  li  cita,  vuol  dire  che  non 
prestava  lor  fede. 

Pietro  Diacono  li  vide,  li  citò,  ma  certo  già  trascritti  in  un  codice; 
e  quando  parlò  della  tomba  del  poeta,  non  fé'  più  cenno  di  epitaffio. 

Tutto  ciò  all'A.  pare  strano  e  questa  serie  di  fatti  la  induce  a  du- 
bitare che  l'epitaffio  Ildericiano  non  sia  in  realtà  che  un  carme  lauda- 
tivo, una  semplice  esercitazione  retorica  di  carattere  ascetico  e  monacale, 
composta  assai  tardi  e  inserta,  probabilmente  nel  sec.  XI,  in  un  foglio 
bianco  di  un  codice  dell'abbazia.  Il  nome  di  Ilderico,  poiché  si  sapeva  di 
un  Hildric  vissuto  nel  monastero  al  tempo  della  morte  di  Paolo,  era 
aggiunto  nel  carme  per  ragioni  di  verisimiglianza.  Allora,  in  un  com- 
ponimento di  tal  natura,  non  avevano  più  importanza,  secondo  ci  dice 
l'A.,  le  relazioni  di  Paolo  coi  principi  di  Benevento  e  col  re  dei  Franchi 
e  se  ne  spiega  la  ommissione. 

Le  cronache.  —  In  generale  ci  son  di  bea  poco  aiuto:  l'A.  accenna 
appena  a  un  gruppo  di  cronache  franche,  tarde  per  età,  povere  di  no- 
tizie, poco  attendibili  o  con  notizie  facilmente  desumibili  da  fonti  mi- 
gliori. La  discussione  si  ferma  specialmente  su  due  gruppi  di  cronache  : 


BIBLIOGRAFIA  403 

il  beneventano  e  il  cassinese;  il  qual  ultimo  gruppo  ha  un  nucleo,  il 
solo  importante,  che  si  collega  strettamente  col  beneventano. 

Il  gruppo  beneventano  è  rappresentato  specialmente  dall'Anonimo 
Salernitano  del  sec.  X,  Questi  ci  presenta  per  il  primo  un  ampio  rac- 
conto in  cui  Paolo  figura  come  fedele  a  Desiderio,  in  mezzo  al  tradi- 
mento dei  suoi  procereSf  che  cerca  vendicare  o  liberare  il  suo  re  pri- 
gioniero, attentando  alla  vita  di  Carlo;  che,  cacciato  in  esilio,  compare 
alla  corte  di  Arichi  di  Benevento  e  lo  dispone  alla  resistenza  contro  il 
re  Franco,  e  che,  solo  dopo  morto  Arichi,  si  ritira  nel  chiostro. 

La  leggenda  ha  schietto  carattere  longobardo-beneventano,  come 
era  già  stato  osservato:  ma  l'A.  mostra  di  più  che  la  leggenda  paolina, 
la  quale  collega  il  poeta  al  re  vincitore  dei  longobardi,  non  si  deve 
considerare  isolata,  ma  è  da  porre  in  relazione  con  altre  leggende,  pur 
riferite  dall'anonimo,  che  ci  mostrano  nell'  Italia  del  sud  V  esistenza  di 
un  gruppo  di  leggende,  forse  non  completamente  evolute,  che  ebbero 
per  centro  Arichi  e  Carlo  Magno.  Nel  modo  stesso  pare  che  altro 
gruppo  si  fosse  andato  elaborando  nel  nord  dell'Italia  attorno  a  Carlo 
ed  Adelchi. 

Nella  leggenda  meridionale  compare  pure  il  poeta,  la  cui  figura  è 
compenetrata  di  quello  spirito  che  informa  la  leggenda  tutta.  E  non  è 
forse  difficile  lo  spiegarsi  il  perchè  di  questa  inclusione:  Paolo  aveva 
fama  di  dotto,  e  questa  fama  doveva  spandere  luce  speciale  su  lui,  spe- 
cialmente in  un  ducato  che  ebbe  principi  amanti  della  coltura,  e  città 
che  furono  centri  non  spregevoli  di  coltura  :  Benevento   e  Salerno. 

Si  può  notare  che  la  stessa  figura  di  Carlo,  quale  si  elabora  in 
quell'ambiente,  è  la  figura  di  un  principe  amico  e  mecenate  dì  dotti.  Di 
più  questo  dotto  era  stato  unito  alla  famiglia  ducale  di  Benevento;  facile 
quindi  il  supporre  che  fosse  pur  stato  un  propugnatore  dei  longobardi 
del  sud,  come  di  quelli  del  nord.  Si  aggiunga  a  ciò  che  Paolo  aveva 
pur  narrate  le  imprese  dei  longobardi  e  chi  ne  aveva  narrate  le  glorie, 
non  poteva  non  essersi  opposto  alla  loro  rovina:  tanto  più  che  non  era 
forse  sparito  del  tutto  un  ricordo,  anche  confuso,  di  rapporti  (che  pure 
sono  storici)  di  Carlo  con  Paolo.  E  forse  nella  elaborazione  della  leg- 
genda, quale  l'anonimo  ci  presenta,  può  aver  influito  il  racconto  stesso 
di  Paolo  su  Unulfo  e  Pertarido. 

I  cronisti  cassinesi  non  si  curano  di  tutto  quell'  ambiente  in  cui  ha 
la  sua  ragione  d'essere  la  leggenda  di  Paolo  :  prendono  questa  isolata, 
ne  addolciscono  le  tinte,  cioè  la  snaturano  e  lo  fanno  perchè  nulla 
hanno  di  meglio  da  sostituirle.  La  arricchiscono  invece  di  notizie  che 
nel  monastero  potevano  trovare  facilmente  :  quelle  riferentisi  all'  atti- 
vità letteraria  di  Paolo,  tanto  che  a  poco  a  poco  nei  racconti  cassinesi 
il  politico  scompare  e  resta  quasi  solo  il  letterato,  senza  che  però  (no- 
tiamolo bene)  sia  sparito  affatto  il  ricordo  della  vecchia  leggenda.  Ciò 
apparirà  evidente  a  chi  studierà  Leone  Marsicano  e  Pietro  Diacono. 

Un  barlume  della  importanza  politica  della  leggenda  si  vede  ancora 
nel  sec.  XI  in  Romualdo   Salernitano    che,   pur   accennando  a  tutta  la 


404  BIBLIOGRAFIA 

vecchia  leggenda,  ci  mostra  in  Paolo  quasi  più  solo  un  esempio  di  fe- 
deltà (i). 

A  questo  punto  io  m*  ero  chiesto  :  se  1'  epitaffio  Ildericiano  fosse 
tardo,  per  es.  del  sec.  XI,  perchè  niun  accenno  ci  conserverebbe  della 
vecchia  leggenda?  E  in  quel  silenzio  io  vedevo  una  conferma  dell'au- 
tenticità dell'epitaffio:  esso  almeno  sarebbe  stato  composto  quando  la 
leggenda  beneventana  non  era  entrata  ancora  in  Monte  Cassino,  dove 
io  la  credevo  (e  la  credo)  introdotta  dall'  anonimo  Salernitano. 

L'A.  invece  ne  deduce  che  il  silenzio  non  prova  nulla;  che  dal 
silenzio  non  può  dedursi  fosse  ignota  la  leggenda  all'autore  del  carme  : 
che  del  resto  neppur  dal  silenzio  dei  cronisti  cassinesi  anteriori  a  Leone 
può  dedursi  si  ignorasse  al  loro  tempo  la  leggenda  in  M,  Cassino,  leg- 
genda che  l'A.  vorrebbe  dal  Salernitano  (non  cassinese,  del  sec.  X)  fosse 
per  primo  accolta  e  forse  elaborata,  ma  crede  già  conosciuta  da  Er- 
chemperto  (sec.  IX)  (cassinese)  in  cui  trova  un  cenno  alla  leggenda 
medesima  nella  congettura  che  questi  fa  sulla  causa  per  cui  Paolo 
avrebbe  interrotto  il  suo  racconto  nella  h.  l.  dopo  la  morte  di  Liutprando  : 
il  concetto  che  ispira  questa  congettura  è  simile  a  quello  da  cui  è  ispirata 
la  leggenda  dell'anonimo. 

E  a  prova  di  ciò  osserva  che  anche  nel  tempo  in  cui  certo  a  M. 
Cassino  era  nota  la  leggenda,  vi  son  molti  che  la  rifiutano. 

Io  riassumo,  non  discuto:  ma  non  posso  tralasciar  di  osservare  che 
dal  sec.  XI  in  poi  anche  i  cronisti  che  non  riportano  intera  quella  leg- 
genda, piìi  o  meno  velatamente  vi  accennano  e  mostrano  chiaro  che  la 
conoscono;  ma  un  indizio  solo  che  quella  leggenda  fosse  nota  in  Monte 
Cassino  prima  di  Leone  io  non  T  ho  trovato  e  neppure  in  Erchemperto, 
come  vedremo. 


Rifiutate  così  e  cronache  ed  epitaffio,  l'A.  non  trova  fonti  più  si- 
cure che  le  opere  stesse  di  Paolo  e  specialmente  le  epistole  in  prosa 
ed  in  versi,  che  son  veri  documenti  storici  e  con  queste  sole  armi  viene 
alla  battaglia.  Darò  il  risultato  delle  sue  ricerche. 

Nascita  e  famiglia  di  Paolo.  —  Paolo  è  friulano,  forse  cividalese,  non 
certo  di  Aquileia  :  lo  si  ricava  da  Paolo  stesso,  mentre  il  Salernitano 
ce  lo  dice  arbitrariamente  di  Forogiulio,  e  l'epitaffio  ha  espressioni  inde- 
terminate. Per  r  anno  di  nascita  l'  A.  si  attiene  al  periodo  720-30,  seb- 
bene le  paia  non  ingiustificabile  fermarsi  al  quinquennio  725-30:  riconosce 
che  dati  sicuri  nella  discussione  non  se  ne  possono  recare,  ma  solo 
son  possibili  congetture. 


(i)  Appunto  per  questo  spirito  nuovo  che  presso  Romualdo  informa  la 
vecchia  leggenda  raddolcita,  io  aveva  avvicinato  il  racconto  di  Romualdo  al 
racconto  di  Paolo  su  Unulfo  e  Pertarido. 


BIBLIOGRAFIA  4O5 

Per  la  nobiltà  della  famiglia  di  Paolo  trova  espressioni  indetermi- 
nate e  nel  Salernitano  e  nell'  epitaffio,  ma  crede  che  Paolo  stesso  af- 
fermi la  nobiltà  della  sua  schiatta. 

Giovinezza  di  Paolo  e  suoi  studi.  —  U  epitaffio  che  è  la  fonte  prin- 
cipale sulla  educazione  di  Paolo,  ci  dà  su  questo  punto  due  notizie 
distinte:  Paolo  subito  "  proHnus  „  fin  dai  primi  anni,  fu  accolto  a  corte 
(e  ciò  può  pur  essere  avvenuto  prima  di  Ratchis  re)  e  poi  "  rege  mo- 
"  nente  pio  Ratchis  „  cominciò  a  "  penetrare  decenter  „  "  omnia  sophiae 
"  culmina  sacrae  „  il  che  pare  pure  avvenisse  nella  reggia. 

Ammesso  che  Paolo  fosse  "  protinus  „  accolto  nell'  "  aula  regia  „ , 
Paolo  non  sarebbe  stato  già  fin  d'allora  indirizzato  alla  vita  ecclesiastica  e 
tanto  meno  al  chiostro  (e  fin  qui  nulla  di  strano):  Ratchis  lo  avrebbe 
poi  avviato  a  studi  teologici  (che  includono  anche  l'idea  dell'ingresso 
nella  vita  ecclesiastica).  Come?  dove  avrebbe  Paolo  fatti  questi  studi? 

L'A.  non  affronta  subito  la  discussione  perchè  pone  la  questione 
sotto  forma  un  po'  differente.  Distinguendo  il  "  protinus  „  da  ciò  che  poi 
si  dice  di  Ratchis,  Paolo  sarebbe  stato,  secondo  quella  fonte,  dapprima 
alla  corte  di  Liutprando:  TA.,  invece,  è  persuasa  che  Paolo  alla  corte  di 
Liutprando  non  fu  mai.  Se  vi  fosse  stato,  Paolo  sarebbe  passato  a 
corte  dalla  sua  terra  natia  fin  dalla  sua  prima  giovinezza:  ed  allora 
eome  avrebbe  potuto  Paolo  serbare  tanti  e  si  freschi  ricordi  del  suo 
Friuli?  Ciò  che  narra  di  Liutprando  non  svela  mai  il  testimonio  oculare: 
parrebbe  quasi  invece  di  sorprenderlo  in  ciò  che  si  narra  dei  friulani,  che 
hanno  tanta  parte  sul  finire  del  racconto  della  historia  langobardorum. 

Certo  è  degna  di  nota  questa  vivezza  e  frequenza  di  ricordi  friu- 
lani e  la  larga  parte  che,  per  tempi  sì  vicini  a  Paolo,  per  i  tempi  anzi 
di  Paolo,  è  fatta  alle  cose  friulane,  ma  siamo  pur  sempre  nel  campo 
delle  congetture  e,  in  nessun  caso,  sarebbe  strano  che  Paolo  tenesse 
spesso  volto  lo  sguardo  ai  suoi  friulani.  Come  nulla  dice  di  essere  stato 
a  corte  con  Liutprando,  non  dice  neppur  mai  d'essere  stato  spettatore 
di  cose  riferentisi  al  Friuli. 

Ad  ogni  modo  crede  l'A.  che  Paolo  avrebbe  passati  i  primi  anni 
nel  Friuli  e  qui  compiti  i  primi  studi.  Nulla  però  trova  che  la  autorizzi 
a  credere  che  P.  fosse  educato  alla  corte  ducale:  non  sappiamo  se  alla 
corte  ducale  vi  fosse  una  scuola  letteraria,  e  tanto  meno  che  qui  in- 
segnasse quel  Flaviano,  di  cui  Paolo  si  dice  discepolo. 

Flaviano  insegnò  forse  a  Pavia,  dove  pur  pare  avesse  insegnato 
quel  Felice  di  cui  Flaviano  fu  nipote. 

Se  poco  sappiamo  delle  cure  che  per  le  scuole  e  gh  studi  ebbero 
e  re  e  duchi  longobardi,  pare  ad  ogni  modo  che  a  Pavia  e  nelle  prin- 
cipali città  longobarde  vi  fossero  scuole:  scuole  ecclesiastiche  e  scuole 
laiche  tenute  privatamente  da  maestri  di  grammatica  forse  romani.  A 
Cividale,  in  una  di  queste  scuole,  forse  ecclesiastica.  Paolo  ebbe  i  primi 
rudimenti  e  a  Pavia  si -perfezionò.  Egli  destinato  alla  vita  ecclesiastica 
fin  dai  suoi  primi  anni  (così  vuole  l'A.)  da  Cividale  seguì  poi  Ratchis 
a  Pavia.   A    Cividale   però  sarebbe  già  entrato  negh  ordini   sacri:   qui 


406  BIBLIOGRAFIA 

forse  già  fu  diacono  —  non  prete  —  e  a  Pavia  fece  parte  di  quel  clero 
palatino  che  da  Liutprando  in  poi  era  nella  corte  longobarda.  Pare  in- 
vece che  Tepitaffio  colleghi  la  entrata  di  Paolo  negli  ordini  sacri  con 
Ja  esortazione  di  Ratchis  a  studi  teologici:  e  tutto  ciò  a  corte. 

Per  potervi  discutere  su  con  profitto,  bisognerebbe  conoscere  un 
po'  meglio  che  cosa  fosse  quella  cappella  palatina  istituita  da  Liut- 
prando :  obbiettare  solo  che  la  notizia  dell'epitaffio  è  sospetta  perchè 
proviene  forse  dal  fatto  che  l'autore  dell'epitaffio  vedeva  in  Ratchis 
più  il  monaco  che  il  re:  che  Ratchis  fu  un  re  ed  un  vero  re,  non 
un  religioso  prima  d'esser  monaco  e  che  scese  dal  trono  solo  per  ragioni 
pohtiche  e  non  per  ispirito  ascetico,  non  è  risolvere  la  questione.  Ad 
ogni  modo  un  non  breve  soggiorno  di  Paolo  a  Pavia  è  certo  e  l'A. 
raccoglie  le  prove  che  lo  dimostrano.  Paolo  fece  parte  probabilmente 
di  quel  clero  palatino  che  abbiam  ricordato. 

E  quali  furono  i  rapporti  fra  Paolo  e  il  suo  re?  Sia  a  Cividale,  sia 
a  Pavia  furon  quelli  che  potevan  essere  fra  un  duca  od  un  re  ed  un 
ecclesiastico,  un  uomo  di  studio.  È  pericoloso  determinare  di  piià. 

La  monacazione:  il  tempo.  —  L'A.  fissa  il  termine  ante  quem  al  782, 
data  probabile  del  viaggio  di  Paolo  in  Francia  (al  783  attribuisce  la 
lettera  di  Paolo  all'abate  Teodemaro  di  M.  Cassino):  fissare  il  tempo 
preciso  e  l'occasione  è  un  problema  difficile,  come  è  difficile  vagliare  tutte 
le  ipotesi  messe  avanti,  sgombrare  il  terreno  da  preconcetti  che  ci  im- 
pediscono di  trovare  il  filo  conduttore  nel  labirinto  intricato.  Sono  da 
scartarsi  in  primo  luogo  le  ipotesi  che  partono  dal  falso  preconcetto  che 
Paolo  fosse  il  tipo  del  patriota  longobardo,  un  uomo  di  azione,  legato 
ai  suoi  re,  spinto  al  chiostro  dalla  sventura  toccata  al  suo  popolo. 
Paolo  è  tutt' altro  :  è  un  ecclesiastico  mite,  studioso,  alieno  da  ogni 
briga  politica,  né  in  relazione  cogli  ultimi  re  del  suo  popolo,  come  ve- 
dremo. Né  il  Paolo  storico  è  uomo  da  trovarsi  impigliato  nella  disfatta 
dei  duchi  che  avevano  nel  776  tentato  una  riscossa,  né  potè  essere 
spinto  al  chiostro  da  quei  tristi  eventi  per  il  suo  popolo.  Paolo  a  quella 
congiura,  a  quella  sollevazione  non  partecipò:  anzi,  come  vedremo,  al- 
lora probabilmente  era  già  a  M.  Cassino  e  monaco. 

Come  abbiam  detto,  Paolo  non  ebbe  forse  rapporto  alcuno  cogli 
ultimi  re  longobardi  e  specialmente  con  Desiderio:  né  valgono  le  testi- 
monianze, che  si  adducono  di  solito,  per  provarli.  Non  l' epitaffio  ad 
Ansa  regina  che  è  certo  anteriore  al  774  e  forse  del  'jo-'^]!;  non  i 
rapporti  fra  Paolo  ed  Adelperga  cominciati  solo,  pare,  nel  ducato  be- 
neventano. 

Il  primo  indizio  di  queste  relazioni  ci  appare  nel  carme  didascalico 
"  Versus  de  annis  a  principio  „  una  specie  di  cronologia  delle  sei  età 
del  mondo,  che  è  del  763.  Il  carme  tradisce  già  il  monaco  e  ci  mostra 
il  poeta  farsi  come  una  guida  degli  studi  storici  della  duchessa,  il 
che  include  la  vicinanza  del  maestro  alla  scolara:  fatto,  che  si  spie- 
gherebbe colla  dimora  del  poeta  a  M.  Cassino.  Fu  Paolo  che  offerse 
a  leggere  alla  duchessa  il  breviario  di  Eutropio,  e  che,  ampliato  e  con- 


BIBLIOGRAFIA 


407 


tinuato,  a  essa  lo  ripresentava  con  un'epistola  che  TA.  crede  anteriore 
al  772.  Questi  tre  punti  capitali  fan  sorgere  l'idea  di  una  istruzione 
continuata,  metodica,  che  del  resto  Paolo  afferma  nella  stessa  lettera 
di  dedica.  Ciò  richiedeva  il  soggiorno  di  Paolo  presso  la  duchessa,  e 
probabilmente  a  Monte  Cassino,  dove  con  piìi  facilità  poteva  esser  messa 
insieme  una  compilazione  come  la  historia  romana. 

I  rapporti  fra  la  duchessa  e  Paolo  appaiono  dunque  iniziati  nel 
beneventano  e  nel  763  (Adelperga  era  sposa  dal  762  e.)  e  non  presup- 
pongono punto  rapporti  anteriori  fra  Paolo  e  Desiderio.  Paolo  dal  763 
appare  già  monaco.  Di  più,  se  Paolo  fosse  vissuto  a  Pavia  cogli  ultimi 
re  longobardi,  gli  avvenimenti  del  774  gli  avrebbero  fatto  maggior 
impressione,  né  forse  avrebbe  potuto  scrivere  ciò  che  scrisse  in  Francia 
per  Ildegarde  regina  e  nel  libro  de  episcopis  mettensibus.  Solo  per  Arichi 
e  per  Adelperga  egli  ha  affetto  sincero:  nulla  di  simile  per  gli  ultimi 
re  longobardi.  Nel  776  non  era  in  Friuli  dove  solo  fu  vera  ed  efficace 
sollevazione,  a  cui  partecipò  il  fratello  di  Paolo,  non  Paolo  e  nella 
supplica  del  781  nulla  è  che  non  convenga  ad  un  monaco. 

La  vera  ragione  della  conversione  di  Paolo  fu  dunque  la  vocazione 
sincera,  non  furono  cause  politiche  e  l'occasione  è  forse  da  ricercarsi 
nel  ritiro  di  Ratchis  e  nelle  nuove  condizioni  in  cui  la  reggia  ticinese 
si  trovò  con  Astolfo:  di  qui  la  molla  che  spinse  Paolo,  giovane  ancora, 
desideroso  della  quiete  studiosa,  a  chiedere  al  chiostro  e  pace  e  mezzi 
di  studio.  Ciò  spiegherebbe  pure  la  sua  freddezza  di  fronte  agli  ultimi 
casi  del  suo  popolo  e  l'affetto  per  Monte  Cassino  dove  aveva  fatto 
lungo  soggiorno. 

Se  il  limite  ante  quem  per  la  monacazione  di  Paolo  è  il  782,  se 
possiamo  con  probabilità  asserire  che  già  nel  763  era  monaco  :  abbiamo 
pur  ragioni  per  antecipare  ancora  quella  data  e  farla  coincidere  colla 
fine  del  regno  di  Ratchis  o  il  principio  di  quel  di  Astolfo. 

Luogo  della  monacazione.  —  Se  Paolo  avesse  realmente  composta  la 
expositio  della  regola  di  S.  Benedetto  che  gli  è  attribuita,  expositio  che 
non  par  compiuta  a  M.  Cassino,  ma  in  un  monastero  dell'  Italia  del 
nord,  che  il  Traube  identifica  con  quello  di  S.  Pietro  al  monte  Pedale 
(di  fronte  a  Civate),  ne  avremmo  che  qui  Paolo  sarebbe  stato  monaco 
prima  di  trasferirsi  a  M.  Cassino,  dove,  con  ogni  probabilità,  lo  tro- 
viamo già  nel  763.  A  questa  congettura  l'A.  oppone  varie  osserva- 
zioni e,  principale  fra  tutte,  questa:  la  expositio,  che  conosciamo,  non 
pare  affatto  opera  di  Paolo,  ma  posteriore  a  Paolo,  anzi  non  sappiamo 
neppur  con  certezza  che  Paolo  abbia  composta  una  expositio. 

Accettando  le  ipotesi  del  Traube  si  va  incontro  a  molte  difficoltà:  se 
il  monastero  di  S.  Pietro  fu  fondato  da  Desiderio,  Paolo  avrebbe  po- 
tuto ritirarvisi,  al  più  presto,  nel  759;  il  che  è  in  contraddizione  con 
quanto  abbiamo  sopra  osservato  sulle  relazioni  fra  Paolo  e  gli  ultimi 
re  longobardi  ;  e  se  Paolo  nel  763  era  già  a  Monte  Cassino,  avrebbe  fatta 
r  expositio  nei  primi  anni  della  sua  vita  monacale,  il  che  non  è  proba- 
bile. Paolo  si  fé'  monaco  a  Monte  Cassino,  e  non  abbiam  bisogno  di  sup- 


408  BIBLIOGRAFIA 

porre  un  soggiorno  di  lui  al  monte  Pedale  per  ispiegarci  i  versi  sul  lago 
di  Como  che  gli  sono  attribuiti. 

Paolo  alla  corte  di  Carlo  Magno.  —  Sono  le  sventure  famigliari  che 
posero  Paolo  in  relazione  con  Carlo.  Il  fratello  Arichi  aveva  parteci- 
pato ai  moti  del  776,  pare  indubitato,  e,  non  solo  lui,  ma  tutta  la  fami- 
glia aveva  sofferto  per  le  conseguenze.  Paolo,  conosciuta  forse  per  fama 
la  generosità  del  re,  pressato,  direi,  dalle  terribili  condizioni  dei  suoi,  a 
cui  era  impossibile  differire  Taiuto,  da  M.  Cassino  si  trasferì  in  Francia, 
in  un  monastero  benedettino  non  lontano  dalla  corte  e  qui  compose  e  di 
qui  fé'  pervenire  al  re  la  sua  supplica.  Ecco  Toccasione  deiravvicinamento 
al  re  da  parte  del  monaco  studioso,  avvicinamento  non  chiesto  da  Carlo, 
ma  di  cui  Carlo  si  mostrò  ben  lieto.  La  supplica  sarebbe  del  782  poco 
prima  della  Pasqua:  non  so  però  se  TA.  sia  proprio  riescita  a  dimo- 
strare che  l'epistola  a  Teodemaro  sarebbe  stata  scritta  il  783,  quando 
Paolo  era  assente  da  M.  Cassino  appena  da  un  anno.  Il  luogo  dove  la 
lettera  fu  scritta  sarebbe  Thionville,  presso  il  re. 

A  noi  non  interessa  seguir  Paolo  da  vicino  nella  sua  dimora  in 
Francia,  come  fa  l'A.  la  quale  trova  il  poeta  ora  a  corte,  o,  per  dir 
meglio,  presso  la  corte,  non  proprio  nella  reggia,  ma  col  godimento  dei 
benefìzi  del  re,  ora  in  qualche  monastero,  specialmente  quando  il  re 
era  al  campo  ;  e  P.  non  dovette  sempre  trovarsi  nelle  stesse  condizioni. 
Fu  a  Metz  presso  il  vescovo  Angilramno;  fu  in  relazione  con  Apro  abate 
di  S.  Ilario  di  Poitiers,  relazione  che  forse  si  limitò  alla  visita  di  Paolo 
al  chiostro  di  S.  Ilario  e  alla  tomba  di  Venanzio  Fortunato;  ebbe  ami- 
cizia con  Adalardo  abate  di  Corbia;  e  tutta  la  sua  produzione  storico- 
letteraria  si  collega  o  alla  corte  o  a  queste  relazioni  che  ebbe. 

Se  Carlo  esitò  un  po'  a  conceder  la  grazia,  pare  quasi  certo  che 
ad  Arichi  essa  fu  concessa  (783  e):  nulla  sappiamo  degli  altri  prigio- 
nieri. Ottenuta  la  grazia.  Paolo  rimase  però  ancora  in  Francia  o  per 
gratitudine  .al  benefattore  o  per  cooperare  con  lui  al  rinnovamento 
della  coltura,  sebbene  non  toccasse  a  Paolo  in  ciò  una  parte  molto  im- 
portante. Insegnò  greco  ai  chierici  destinati  al  seguito  di  Rotrude  (sulla 
coltura  greca  di  Paolo  si  potrà  discutere  ancora),  ma  che,  alla  corte, 
insegnasse  grammatica  latina  non  sappiamo:  sappiamo  che  Carlo  al 
monaco  studioso  assegnò  l'incarico  di  una  raccolta  di  Omelie,  che  Paolo 
probabilmente  non  mise  insieme  a  corte,  ma  a  M.  Cassino,  in  ambiente 
pili  adatto. 

L'A.  ha  tratteggiato  con  cura  1'  opera  di  Paolo  in  relazione  colle 
riforme  carolingiche:  e  in  quel  quadro  trova  per  il  suo  posto  la  pro- 
duzione poetica  di  lui,  che  potremmo  dir  aulica. 

I  rapporti  fra  Paolo  e  il  re  proseguirono  anche  dopo  il  ritorno  del 
monaco  a  M.  Cassino:  da  M.  Cassino  Paolo  continuò  nella  sua  coope- 
razione all'opera  carolingica,  né  Carlo  dimenticò  quegli  che,  per  breve 
tempo  (782-786),  aveva  accolto  nella  sua  corte. 

II  ritorno  in  Italia  e  la  morte.  —  È  certo  che  Paolo  era  già  ritornato 
in  Italia  e  a  M.  Cassino  quando  compose  l'epitaffio  per   Arichi    di   Be- 


BIBLIOGRAFIA  '  409 

nevento  (787),  la  composizione  del  quale  è  da  porsi  fra  l'agosto  del 
787  e  il  luglio  788.  Ci  sorprende  in  quest*  epitaffio  la  nota  frase  "  Gallia 
"  dura  „  dopo  tutto  quello  che  Paolo  aveva  scritto  per  Carlo.  Essa  sola 
ci  mostrerebbe  che  Paolo  non  era  più  presso  Carlo,  e  secondo  l' A. 
essa  si  spiegherebbe  coli' impressionabilità  di  quella  natura,  che  fra 
nemici  irreconciliabili,  aveva  saputo  guadagnarsi  l'affetto  degli  uni  e 
degli  altri,  e  mostrare  devozione  ed  amore  agli  uni  ed  agli  altri. 

Forse  Paolo  era  già  a  Monte  Cassino  da  qualche  tempo  prima  e  Carlo 
può  avervelo  trovato  quando  visitò  quel  cenobio  neh' inverno-primavera 
del  786-7.  Non  è  possibile  il  suo  ritorno  in  Italia  con  Carlo  nella  spe- 
dizione del  786  ostile  ai  beneventani,  ma  è  difficile  determinar  meglio 
il  tempo  e  1'  occasione  di  questo  ritorno:  forse  possono  averlo  af- 
frettato le  relazioni  fra  il  re  e  Benevento,  che  si  andavano  inasprendo. 
Ciò  però  non  vuol  dire  che  Paolo  fosse  un  paciere  fra  i  due  belligeranti, 
né  che,  morto  Arichi,  egli  divenisse  come  un  consigliere  politico  della 
vedova  duchessa. 

Non  fu  mai  Paolo  uomo  politico,  né  la  sua  partenza  dalla  corte 
dovette  lasciarvi  un  gran  vuoto,  tanto  più  che  il  compito  a  lui  affidato, 
più  che  la  corte,  richiedeva  la  pace  e  la  biblioteca  di  un  monastero. 

Nell'ultimo  periodo  della  vita  di  Paolo  due  fatti  son  certi  :  la  con- 
tinuazione dei  buoni  rapporti  con  Carlo,  che,  non  solo  di  Paolo,  ma  fu 
pur  amico  del  monastero,  a  cui  chiese  un  esemplare  della  regola  be- 
nedettina per  le  riforme  che  voleva  introdurre  nei  monasteri  francesi; 
e  di  più  la  compilazione  della  historia  langobardorum.  Non  è  possibile 
fissar  la  data  della  morte  di  Paolo  del  quale  non  è  più  indizio  dopo 
l'8oo,  certo  è  però  che  fu  la  morte  sopraggiunta  che  a  Paolo  impedì 
condurre  sino  alla  fine  la  storia  del  suo  popolo. 


Prima  di  chiudere  questo  riassunto,  in  cui  ho  appena  potuto  dare 
una  pallida  idea  del  gran  lavoro  e  della  diligenza  dell'A.  nel  discutere, 
vagliare  la  rudis  indigestaque  moles  di  tante  ipotesi,  di  tante  argomen- 
tazioni su  un  materiale  scarso,  frammentario,  mi  sia  lecito  sottoporre 
all'A.  stessa  alcuni  dubbi  che  il  suo  lavoro  non  mi  ha  tolto  e  che  non 
mi  permettono  ancora  di  credere  l'epitaffio  privo  di  ogni  valore  storico. 

A  me  non  pare,  in  primo  luogo,  che  la  storia  della  tomba  di  Paolo, 
ci  dia  argomento  per  combatterne  l'autenticità. 

Che  sulla  tomba  di  Paolo  nel  sec.  X  fosse  un  epitaffio,  mi  pare  in- 
discutibile: il  Salernitano  afferma  di  averlo  visto  coi  suoi  occhi  e,  du- 
bitarne perchè  egli  ci  ha  pur  data  la  leggenda  carolingica  svoltasi  nel- 
l' Italia  del  sud,  nella  quale  ha  parte  la  figura  di  Paolo,  dubitarne  perchè 
il  cronista  raccoglie  anche  tradizioni  leggendarie,  mi  pare  non  logico. 
Altro  è  il  dubitare  di  lui  quando  racconta  avvenimenti,  altro  il  respin- 
gere una  affermazione  così  categorica  su  un  dato  di  fatto. 


4IO  BIBLIOGRAFIA 

Ai  tempi  di  Leone  ostiense  e  Pietro  diacono  quest'epitaffio  sulla 
tomba  di  P.  non  c'era  più:  e  non  è  punto  strano  che  dopo  due  secoli  la 
tomba  di  Paolo  avesse  subito  alterazioni:  ma  l'epitaffio  poteva  benis- 
simo essersi  conservato  trascritto  in  un  codice  da  mano  del  sec.  X  ex. 
od  XI.  ed  esser  conosciuto  da  Pietro  diacono,  non  conosciuto  o  trascurato 
da  Leone  ostiense.  Pietro  lo  cita  senza  metterlo  più  in  relazione  colla 
tomba  di  Paolo  lodandolo  come  di  "  versus  lucidissimos  „,  in  quella 
forma  ad  un  dipresso  che  altrove  aveva  usata  per  citar  l' epitaffio 
paoliniano  per  Fortunato. 

Certo  non  v'  è  prova  matematica  che  1'  epitaffio  visto  dal  Salerni- 
tano sulla  tomba  di  Paolo  fosse  l' Ildericiano:  a  me  però  non  pare 
inverosimile  e  tanto  meno  impossibile,  come  sostiene  l' A.,  la  quale 
crede  che  se  il  Salernitano  avesse  visto  queir  epitaffio,  non  avrebbe 
più  potuto  narrare  di  Paolo  ciò  che  narrò. 

Io  mi  chiedo  :  se  sulla  tomba  era  un  epitaffio  contenente  particolari 
sulla  vita  di  Paolo  (come  attesta  il  Salernitano),  anche  quando  non 
fosse  stato  quello  a  noi  noto,  doveva  certo  presentare  del  poeta  una 
figura  ben  diversa  da  quella  della  leggenda,  una  figura  storica  e  non 
fantastica  :  ed  allora,  perchè  il  Salernitano  narrò  egualmente  quella 
leggenda?  Del  resto  chi  può  dirci  del  valore  del  Salernitano  nell' in- 
terpretare un  epitaffio,  le  ragioni  per  cui  anche  lo  potè  trascurare? 

Se  veniamo  alla  storia  interna  dell'  epitaffio,  noto  subito  che  non 
basta,  per  demolirlo,  dire  che  ha  espressioni  indeterminate,  che  in  esso 
c'è  del  convenzionalismo.  GH  epitaffi  di  questa  età  (per  non  generaliz- 
zare, mi  fermo  all'età  carolingica)  hanno  tutti  un  convenzionalismo  che 
però  non  tradisce  la  verità  storica. 

Su  un  dato  tema,  poste  come  fisse  certe  basi,  si  ricamano  le  solite 
frasi,  che  non  nascondono  però  il  fondo  storico  su  cui  l'epitaffio  si  regge. 
Il  convenzionalismo  è  nelle  frasi  con  cui  si  esprime  un  determinato 
concetto  e  non  punto  nel  concetto  stesso.  Tale  è  l'epitaffio  Ildericiano 
nel  quale  è  facile  rilevare  i  punti  fondamentali  :  le  frasi  che  li  illustrano 
son  quelle  che  troviamo  in  tutti  i  poeti  di  quell'età.  Ciò  io  ho  cercato 
altrove  di  far  rilevare  e  credo  che,  a  torto,  l'A.  non  ne  abbia  tenuto 
conto  nel  suo  giudizio:  a  me  pare  che  la  forma  letteraria  del  carme 
non  ci  permetta  di  scendere  fino  al  secolo  supposto  dall'A. 

Confrontando  poi  le  notizie  dell'  epitaffio  con  quelle  che  la  critica 
ha  affermate,  trovo  che  la  figura  di  Paolo  nell'  epitaffio  Ildericiano  è 
proprio,  in  fondo,  quella  che  ha  ricostruito  la  critica  e  che  delle  notizie 
particolari  esplicite  date  dall'epitaffio  (educazione  a  corte,  la  vita  eccle- 
siastica iniziata  con  Ratchis,  la  monacazione  "  vernanti  pectore  „,  in 
tempo  anteriore  al  774)  la  critica  non  ne  ha  demolita  neppur  una  in  modo 
definitivo:  alcune  le  ha  anzi  raccolte,  e  le  ha  trovate  sicure  dopo  un 
lungo  brancolare  al  buio;  per  le  altre  non  sa  che  sostituirvi  ipotesi,  anzi 
finora  deve  confessare  di  aver  bisogno  di  maggiori  cognizioni  per 
affrontare  la  discussione. 

Si  è  detto  che  l' incontrare  il  nome  di  Ratchis  nell'epitaffio  è  assai 


BIBLIOGRAFIA  4II 

suggestivo:  era  naturale,  fu  detto,  che  il  pio  re  dovesse  esser  quello 
che  aveva  eccitato  il  giovane  agli  studi  sacri.  Ciò  non  impedisce  punto 
che  la  notizia  possa  esser  vera,  e  negarla  su  questo  bel  fondamento  è 
pericoloso  assai,  tanto  più  che  i  rapporti  fra  Paolo  e  Ratchis  sono  veri, 
sono  anzi  i  soli  che  la  critica  creda  poter  provare,  trattandosi  di  rap- 
porti di  Paolo  con  re  longobardi. 

Neppur  mi  sembrano  impossibili  a  spiegarsi  le  "  ommissioni  „  che 
son  nell'epitaffio  e,  prima  fra  tutte,  quella  dei  rapporti  fra  Paolo  e 
Carlo.  Rimango  ancora  nella  mia  vecchia  opinione:  qui  si  fissano  i  capi 
saldi  della  vita  di  Paolo,  che  più  potevano  importare  al  poeta  e  su 
questi  capi  saldi  si  tesse  l'elogio  che  è  stereotipo  nelle  frasi:  gli  epi- 
sodi secondari  non  interessano,  ed  erano  tali,  per  il  monaco  poeta,  il  viag- 
gio di  Paolo  in  Francia,  la  sua  amicizia  per  il  re,  l'opera  di  Paolo  per  il 
re.  Se  l'elogiato  fosse  stato  Alenino,  credo  anch'  io  che  il  poeta  avrebbe 
scritto  diversamente. 

Aggiungo  ancora  che  il  poeta  dell'  epitaffio  non  conosceva  certo 
la  leggenda  Salernitana:  solo  ai  tempi  di  Leone  ostiense  quella  leg- 
genda penetra  in  M.  Cassino  e  d'allora  in  poi,  più  o  meno  velatamente, 
ma  in  modo  indiscutibile  tutti  la  ricordano,  anche  se  la  ripudiano.  Prima 
d'allora  non  è  nota:  e  la  ragione  che  Erchemperto  adduce  per  spie- 
garsi la  interruzione  della  historia  langobardorum  è  data  come  regola 
generale  non  come  peculiare  di  Paolo  "  Mos...  ystoriographi  doctoris  est,. 
"  maxime  de  sua  stirpe  disputantis,  ea  tantum  modo  retenere  quae  ad 
"  laudis  cumulum  pertinere  noscuntur  „.  Anche  il  fatto  che  l'autore  del 
carme  ignora  questa  leggenda  è  un  elemento  importante  per  il  giudizio 
sul  componimento. 

Son  dubbi  che  non  hanno  la  pretesa  di  risolvere  la  questione  e 
che  sottometto  all'esame  di  chi  sì  bene  ha  saputo  affrontare  e  risolvere 
tanti  altri  problemi. 

Giuseppe  Calligaris. 


Ambrogio  Roviglio,  Una  pagina  di  storia  longobardica  (ristampa),  Reggio 
Emilia,  Calderini,  1904  (pp.  22). 

L'A.  vuol  determinare  quanto  di  vero  e  quanto  di  leggendario  sia 
nelle  relazioni  lasciateci  dalle  più  antiche  fonti  intorno  alla  morte  di  re 
Alboino;  si  propone  perciò  di  passare  in  rassegna  queste  fonti  e  le  di- 
scussioni erudite  che  furon  fatte  sulle  loro  affermazioni. 

Sono  due  rassegne  un  po'  affrettate:  per  es.  l'A.  non  arriva  neppure 
a  precisare  in  modo  soddisfacente  che  cosa  dicano  le  vecchie  fonti  che 
esamina. 

Le  fonti  ricordate  sono: 

a)  UOrigo,  la  quale  attribuisce  la  morte  di  Alboino  ad  Elmichi  e 
Rosmunda,  "  per  consilium  Peritheo  „.  Peredeo  avrebbe,  dice  l'A.,  con- 
sigliato il  modo  di  compier  l'assassinio. 


412  BIBLIOGRAFIA 

b)  Paolo  diacono  {h.  l.,  II,  28),  autore  del  vecchio  e  noto  racconto 
in  cui  si  è  soliti  vedere  in  Elmichi  il  consigliere  di  Rosmunda  e  in  Pe- 
redeo  l'esecutore  del  delitto,  col  famoso  passo  non  punto  chiaro:  "  et 
"  iuxta  consilium  Peredeo  Helmechis  interfectorem  omni  bestia  crudelior 
"  introduxit  „. 

L'A.,  accogliendo  la  tradizionale  interpretazione  del  racconto  pao- 
lino,  vuole  spiegare  quel  passo  oscuro  proponendo  dubbiosamente  una 
costruzione  che  egli  stesso  riconosce  un  po'  audace  contro  i  diritti  della 
sintassi:  "  Et  iuxta  consilium,  (separando  consilium  da  Peredeo  forse  non 
"  erra)  Helmechis,  omni  bestia  crudelior,  introduxit  Peredeo  interfec- 
"  torem  „.  Persuaso  che,  secondo  il  racconto  della  h.  L,  il  vero  uccisore 
di  Alboino  è  Peredeo  (e  invece  non  ce  lo  dicono  né  VOrt'go  né  Paolo) 
trascura  uno  studio  più  minuto  del  brano,  che  forse  lo  avrebbe  portato 
ad  altre  conclusioni. 

cj  Si  riferisce  ma  non  si  discute  un  passo  del  Chron.  Gothanum:  di- 
scussione che  sarebbe  stata  necessaria  per  determinare  la  parte  che 
spetta  ad  ognuno  dei  tre  tristi  eroi  del  dramma. 

Qui  si  dice  apertamente  che  l'uccisore  é  Elmichi;  Peredeo  è  il  cu- 
biculario del  re.  Di  Peredeo  non  ci  parlan  piia  le  altre  fonti: 

d)  Il  "  continuator  Prosperi  Havniensis  „  attribuisce  senz'altro  il 
delitto  a  Rosmunda  e  ad  Elmichi,  senza  aggiungere  particolari. 

e)  Mario  Aventicense  ci  dice  che  Alboino  fu  ucciso  "  a  suis  id 
*'  est  Helmegis  cum  reliquis  consentiente  uxore  sua  „. 

f)  L'abate  Biclariense  dice  pure,  in  generale,  che  Alboino  fu 
colpito  "  facilone  coniugis  suae,  a  suis  „  "  nocte  „. 

g)  Agnello  Ravennate  non  menziona  Peredeo,  ma  solo  Elmichi, 
pur  riferendo  il  racconto  con  ampiezza;  ricorda,  di  più,  la  fuga  dei  col- 
pevoli a  Verona,  e  poi  a  Ravenna  "  cum  multitudine  Gebedorum  et 
"  Langobardorum  „.  Agnello  non  dice  dove  sia  avvenuto  il  delitto:  VOrigo 
e  Paolo  attestano  espressamente  che  si  compì  "  in  palatio  „,  in  Verona. 

Ricercate  le  fonti,  l'A.  vorrebbe  discutere  la  parte  spettante  ai  tre 
colpevoli  nel  delitto,  ma  l'infelice  esame  fatto  di  quelle  fonti  che  più 
dovrebbero  interessargli,  non  lo  conduce  certo  a  buoni  risultati:  insuf- 
ficiente od  erroneo  specialmente  quanto  dice  di  Peredeo. 

Riguardo  al  movente  del  delitto,  l'A.  respinge  l'opinione  di  coloro 
che  vogliono  vedervi  delle  cause  politiche  come  determinanti.  A  queste 
cause  politiche  crede  il  Fleger,  che  si  appoggia  specialmente  a  Mario 
Aventicense  e  ad  Agnello.  L'A.  propende  invece  ad  attribuirlo  al  solo 
desiderio  di  vendetta  da  parte  di  Rosmunda:  essa  ebbe  per  complici  El- 
michi e  Peredeo;  a  quest'ultimo  attribuisce  però  importanza  minore  di 
quella  che  forse  ebbe  veramente  all'atto  dell'uccisione,  senza  che  forse 
egU  fosse  materialmente  l'esecutore  del  delitto. 

Il  lavoro  finisce  accennando  alla  sorte  toccata  ai  personaggi  del 
dramma.  Il  "continuator  Prosperi  Havniensis  „  ci  dice  senz'altro  che  Ro- 
smunda ed  Elmichi  in  Ravenna  "  potiti  praesidio  vita  caruere  „.  Paolo 
ed  Agnello  riferiscono  invece  il  noto  racconto  leggendario  sulla  tragica 


BIBLIOGRAFIA  4X3 

fine  dei  due  complici  e  P.  completa  il  quadro  col  racconto  degli  ultimi 
casi  del  fortissimo  Peredeo,  mandato  da  Longino  prefetto  all'impera- 
tore (i). 

Giuseppe  Calligaris. 


G.  B.  PicoTTi,  /  Caminesi  e  la  loro  signoria  in  Treviso  dal  128}  al  1J12. 
Appunti  storici,  Livorno,  tip.  R.  Giusti,  1905,  pp.  vii-345. 

Frutto  di  lunghe  e  faticose  ricerche,  cui  furono  guida  il  felice  intuito 
dello  scopritore,  l' acuta  percezione  dei  rapporti  anche  lontani  degli 
umani  fenomeni,  l'amore  del  vero  che  non  conosce  limiti  di  tempo  e  di 
spazio,  e  la  baldanza  giovanile  che  vince  le  difficoltà  frapposte  dalla 
inerzia  e  dalla  diffidenza  degli  uomini,  questo  libro,  atteso  con  impa- 
zienza dagli  studiosi  di  cose  trivigiane,  è  tale  da  appagarne  interamente 
le  aspettative,  e  da  assegnare  all'autore  un  posto  distinto  nella  schiera 

(i)  Non  credo  inutile  far  qui  cenno  di  altro  lavoro  su  questo  stesso  argo- 
mento, del  quale  ebbi  notizia  dalla  Revue  critique  d'histoìre  et  de  littérature  (n,  49^ 
9  dicembre  1905,  pp.  453-4),  che  ne  dà  il  giudizio  che  pure  riferirò. 

Il  lavoro  ha  per  titolo:  Michele  Rigillo,  La  tragedia  di  Verona  (572):  ri- 
costruzione storica,  Rionero,  Ercolani,  1904,  pp.  76,  in-8. 

Questa  monografia,  dice  il  critico,  vuol  mostrare  che  la  morte  di  Alboino 
non  è  dovuta  a  cospirazione  alcuna  né  gepida  né  d'altra  sorte,  ordita  da  avver- 
sari nazionali  di  Alboino,  ma  é  da  attribuirsi  puramente  alla  vendetta  di  Rosmunda,. 
che  volle  disfarsi  di  un  marito  che  la  trattava  male  (a  brutalisait  »)  e  che,'per 
giungere  allo  scopo,  si  valse  di  «  un  de  ses  affidés  ».  Essa  ha  esercitato  a  le 
«  droit  humain,  sacre  »  della  vendetta.  La  monografia  è  anzi  «  un  peu  grandi- 
«  loquente  et  tantót  passablement  gouailleuse,  méme  un  peu  rabelaisienne  » 
contro  coloro  che  vollero  cercare  un  motivo  politico  alla  soppressione  di  Al- 
boino. Né  l'A.  crede  alla  leggenda,  quale  la  raccontano  Paolo  diacono  ed  Agnello 
ravennate,  anzi  mostra  come  la  leggenda  stessa  si  é  venuta  formando,  compli- 
cando, sopracaricando.  L'A.  dà  poca  importanza  al  personaggio  di  Peredeo,  che 
per  lui  é  anzi  un  pleonasmo  inopportuno  (le  più  antiche  fonti  pare  a  me  invece 
diano  a  Peredeo  nel  dramma  una  parte  non  certo  priva  di  importanza). 

E  nello  studiare  la  formazione  della  leggenda,  entra  a  dans  des  détails  phy- 
«  siologiques  passablement  surprenants,  pour  démontrer  comment  s'est  formée 
«  cette  obscéne  et  tendencieuse  legende  lombarde  »,  invenzione  del  «  chauvinisme  » 
di  Paolo  diacono.  Di  tutta  la  leggenda  non  resta  quindi  che  la  morte  del  re  e 
l'odio  della  moglie  di  lui.  Per  Rosmunda  l'A.  invoca  però  le  circostanze  atte- 
nuanti, perché  lo  sposo  la  forzò  a  bere  (e  forse  più  d'una  volta)  nel  cranio  del 
padre.  Il  critico  trova  che  l'A.  ha  speso  troppe  parole  nella  sua  discussione,  e 
che  la  monografia  tradisce  la  inesperienza  di  un  giovane  :  questo  riassunto  mi  fa 
di  più  dubitare  che  manchi  al  lavoro  una  seria  ed  efficace  discussione  delle 
fonti,  che  avrebbe  dovuto  essere  la  parte  più  importante  di  tutta  la  monografia. 


414  BIBLIOGRAFIA 

degli  Storici  italiani;  può  servire  di  esempio  a  chi  vorrà  proporsi  a  tema 
dei  propri  studi  la  storia  di  qualche  altra  delle  grandi  famiglie  medievali 
ch'ebbero  signoria  in  Italia.  Già  testimoni,  coU'interesse  che  destano  la 
comunanza  degli  studi  e  V  amore  del  patrio  loco,  alla  caccia,  in  appa- 
renza, tumultuosa  del  Picotti  ai  documenti  caminesi  negli  archivi  trivi- 
giani,  ci  limitiamo  qui  a  trarre  argomento  dalla  sua  monografia  per  dire 
brevemente  degli  scarsi  rapporti  eh'  ebbero  i  da  Camino  colla  regione 
lombarda  ;  riservandoci  di  esporre  altrove  le  nostre  impressioni  generali 
suU'  opera  e  i  diversi  apprezzamenti  su  alcuni  punti  di  questione,  ai 
quaU  siamo  condotti  dal  risultato  delle  nostre  indagini. 

L'autore  dedica  una  prima  parte  alle  origini  della  famiglia  da  Ca- 
mino e  alle  sue  vicende  fino  a  Gherardo.  Non  è  qui  il  luogo  di  discu- 
tere sulla  ipotesi  che  al  Picotti  sembra  presso  che  sicura,  della  deriva- 
zione dei  Caminesi  dai  conti  di  Treviso.  Certamente  il  matrimonio  di 
Guecellone  (II)  colla  contessa  Sofia,  che  i  cronisti  dicono  unica  figlia 
ed  erede  del  conte  Valfredo  da  Colfosco,  avvenuto  verso  il  1154,  segna 
se  non  proprio  l'inizio,  come  vorrebbe  il  Picotti,  un  sensibile  incremento 
nella  potenza  dei  Caminesi  ;  i  quali  per  mezzo  di  Sofia  ottennero  le  cu- 
rie di  Serravalle,  Mareno,  Costa,  Zumelle,  il  Cadore  ed  altri  possessi 
nel  comitato  di  Ceneda  e  nelle  diocesi  di  Feltre  e  di  Belluno. 

Il  nome  della  contessa  Sofia  richiama  alla  memoria  il  monastero 
cistercense  di  S.  Maria  della  Sana  valle  di  Pollina,  in  Val  di  Mareno, 
già  suddito  del  grande  monastero  di  Chiaravalle  di  Milano;  la  cui  fon- 
dazione viene  comunemente  attribuita  alla  di  lei  pietà  e  religione.  S.  Carlo 
Borromeo,  che  ebbe  in  commenda  quell'abbazia  dal  1563  al  1570,  dedi- 
cava a  pie  dell'  aitar  maggiore  della  chiesa  una  lapide  a  Sofia  (i)  colla 
seguente  iscrizione: 

SOPHIAE    DE    CA 
MINO    .    CAR    .    BOR. 
P. 

Il  Picotti  accenna  alla  bella  chiesa  del  monastero,  ora  parrocchiale, 
"  d'età  alquanto  posteriore,  „  e  al  chiostro  "  con  un  mirabile  cortiletto 
"  e  un  portico,  prezioso  monumento  di  stile  romanico  del  sec.  XII  „  ;  e 
soggiunge  che  "  il  monastero  era  già  stato  beneficato  da  Sofia  e  forse 
"  da  lei  stessa  fondato  prima  del  1170,  data  di  un  atto  di  donazione 
^'  eh'  ella  fece  all'  abbate  di  alcune  chiese  in  Serravalle,  Zumelle,  La- 
"  go,  ecc.,  e  delle  relative  giurisdizioni  e  possessioni  „.  Ma  noi  crediamo 
di  poter  escludere  che  l'antico  monastero  della  Pollina  sia  stato  fondato 
dalla  contessa  Sofia.  Nel  1217  1'  abbate,  rammentando  che  i  cistercensi 
si  trovavano  alla  Pollina  da  sessant'anni  e  piti  "  sub  monasterio  et  ab- 
"  batibus  Cleravallis  de  Mediolano,  „  chiese  al  vescovo  di  Ceneda  ed 
ottenne  la  conferma  dei  diritti  e  dei  privilegi  spettanti  al   monastero  e 

(i)  MiTTARELLi,  Annali  Camald.,  IV,  e.  55.  _ 


BIBLIOGRAFIA  4I5 

all'ordine  cistercense  (i).  I  sessant'anni  dal  1217  corrispondono  al  1157; 
che  sarebbe  la  data  approssimativa  della  venuta  di  una  colonia  di  mo- 
naci chiaravallesi  alla  FoUina.  Non  solo  né  in  quest'atto  né  altrove  si 
parla  mai  del  diritto  xiei  Caminesi  all'  avogaria  o  al  patronato  sui  mo- 
nastero, che  nel  sec.  XII  i  fondatori  dei  conventi  solevano  riservare  a 
sé  stessi  e  ai  propri  eredi,  ma  dagli  atti  di  una  causa  agitatasi  nel  1216 
dinanzi  a  Giordano,  vescovo  di  Padova,  e  ad  altri  due  commissari 
apostolici,  si  rileva  che  quel  cenobio  preesisteva  ai  monaci  di  Chiara- 
valle  ed  apparteneva,  prima  della  loro  venuta  nella  Marca,  ai  benedet- 
tini neri  di  S.  Fermo  di  Verona,  verso  i  quali  i  cistercensi,  quando  li 
sostituirono,  si  erano  obbligati  ad  un  annuo  censo  (2). 

Alcuni  testimoni  sentiti  in  quella  causa  narrarono  di  due  visite  di 
un  abbate  di  Chiaravalle  "  qui  vocabatur  lohannes,  qui  erat  crassus, 
"  curtus  et  calvus  „.  La  prima  volta,  verso  il  1179,  era  venuto  per  in- 
sediare un  nuovo  abbate,  "  dominus  Ubertus  de  Vercellis  „;  sei  o  sette 
anni  dopo  ritornò  per  destituirlo,  in  causa  della  vita  scandalosa  che 
conduceva.  I  testimoni  avevano  conosciuto  personalmente  questo  Uberto, 
che  dopo  la  destituzione  si  era  ridotto  a  vivere  in  Ceneda  "  more  lay- 
"  corum  „  con  una  concubina,  dalla  quale  aveva  avuto  più  figli.  Le 
carte  chiaravallesi  provano  l'idtntità  dell'abbate  Giovanni  ricordato  dai 
testimóni  della  Follina,  che  resse  il  proprio  monastero  dal  1178  al  1189(3). 

La  presenza  alla  Follina  dei  benedettini  neri  prima  dei  cistercensi 
e  i  loro  vincoli  di  sudditanza  col  lontano  monastero  di  S.  Fermo  di  Ve- 
rona ci  consentono  di  ravvisare  nel  prezioso  chiostrino  dalle  colonne 
binate  e  dai  rozzi  ed  informi  capitelli  una  costruzione  risalente  ben  ol- 
tre la  metà  del  sec.  XII.  I  cistercensi  avrebbero  saputo  fare  molto  me- 
glio, se  non  cogli  artefici  locali,  colle  maestranze  che  intorno  allo  stesso 
tempo  stavano  lavorando  a  Chiaravalle,  a  Cerreto  e  a  Morimondo.  Che 
fosse  sistema  dei  cistercensi  di  adibire  alla  costruzione  delle  proprie  chiese 
e  monasteri  una  maestranza  cognita  delle  tradizioni  della  congregazione 
che  in  Italia  faceva  capo  a  Chiaravalle,  argomentiamo  dalla  presenza 
alla  Follina  nel  maggio  1308  di  "  magister  Lanfrancus  murarius  filius 
"  Anselmi  de  Como  qui  laborat  in  monasterio  de  la  Follina  „  e  di  "  ma- 
"  gister  Martinus  murarius  de  Como  filius  q.  Ambrosii  laborator  dicti 
"  monasterii  „  (4);  che  corrisponde  alla  data  della  ricostruzione  della 
chiesa  nella  sua  forma  attuale,  quale  risulta  da  una  donazione  fatta 
l'anno  prima  al  monastero  "  in  subsidium  constructionis  nove  ecclesie 
de  Follina  „  (5);  e  ci  fa  conoscere  nei  due  maestri  muratori  comacini 
gli  architetti  e  costruttori  di  quel  tempio. 

(i)  Bibl.  comunale  di  Treviso,  cod.  109,  Scripturae  et  instnivienta  Ahhatiae 
S.  Marine^  ecc.,  IV,  p.    113. 

(2)  Ibid.,  II,  p.  88  sg.  ' 

(3)  Bibl.  naz.  di  Brera,  cod.  A.  E.  XV,  20  e  21,  Bonomi,  Tahul.  Clarevallis, 
nn.   168-227. 

(4)  Scriptiinu  et  instr.,  ecc.,  I,  p.  709. 

(5)  Ibid  ,  III,  p.   545. 


4l6  BIBLIOGRAFIA 

Le  ricerche  del  Picotti  lo  hanno  portato  a  risultati  notevoH  nello 
studio  della  assai  intricata  genealogia  e  delle  vicende  famighari  dei  Ca- 
minesi  nel  sec.  XIII.  Qualche  punto  rimane  ancora  nell'ombra  e  potrà 
forse  essere  chiarito  da  un  nuovo  esame  della  grande  massa  di  docu- 
menti di  quel  tempo  che  si  conservano  negli  archivi  di  Treviso,  Ce- 
neda,  Coneghano,  Feltre  e  Belluno.  La  storia  dei  da  Camino  prima  della 
signoria  di  Gherardo  si  svolge  quasi  sempre  nel  campo  ristretto  della 
Marca.  Il  solo  documento  lombardo  relativo  ad  una  Caminese  che  ab- 
biamo rinvenuto  fra  le  pergamene  dell'archivio  di  stato  di  Milano,  è  un 
testamento  dell'anno  1257,  di  "  domina  Adheleyta  filia  quondam  domini 
"  Gabrielis  de  Camino,  „  datato  da  Cremona.  L'atto  originale  si  trova 
fra  le  carte  del  convento  dei  Domenicani  di  quella  città  (i).  Servì  di 
custodia  al  "  Giornale  del  P.  Sindaco  „  del  convento,  e  in  quell'occa- 
sione venne'ritagliato  in  tutta  la  sua  lunghezza  per  quasi  una  terza 
parte  della  pergamena,  rendendo  così  in  alcuni  punti  incerta  la  lettura 
del  testo.  Le  principali  disposizioni  della  testatrice  sono  le  seguenti: 
istituisce  eredi  i  conventi  dei  predicatori  nei  beni  da  essa  posseduti  nei 
rispettivi  territori;  vuole  che  si  prelevino  dalla  eredità  lire  duecento 
imperiali  da  distribuirsi  "  prò  anima  et  remissione  peccatorum  diete  te- 
"  statricis  „;  affranca  tutti  i  suoi  servi  ed  ancelle,  concedendo  loro  in 
proprietà  i  peculii ,  ma  riserva  a  "  illi  de  Camino  „ ,  non  meglio 
identificati,  il  "  iuspatronatus  „  su  ciascuno  di  essi;  lascia  a  "  iUi  de  Ca- 
"  mino  „  le  giurisdizioni  spettanti  al  padre  suo,  Gabriele;  lega  una 
possessione  a  "  domina  Maria  filia  quondam  domine  Ymie  sororis  sue  „, 
lire  quaranta  imperiali  a  "  Theotonica  serviens  eius  „  ed  altre  somme 
a  vari  conventi  ed  ospitali  di  Cremona,  Parma,  Treviso,  Trento,  Cone- 
gliano,  Serravalle,  al  monastero  della  Pollina  (lire  500)  e  a  singoli  sa- 
cerdoti e  religiosi;  dispone  perchè  si  esiga  la  sua  dote  dal  vescovo  di 
Trento;  vuole  in  fine  essere  sepolta  nella  chiesa  dei  predicatori  di  Cre- 
mona. Non  una  parola  nel  lungo  atto  che  lasci  comprendere  per  quaH 
circostanze  Adeleita  avesse  fissata  la  sua  dimora  in  quella  città. 

Sappiamo  che  Gabriele,  il  primo  dei  Caminési  che  assunse  il  titolo 
di  conte  di  Ceneda,  già  signore  di  Serravalle,  Soligo,  Costa  e  di  tutta 
la  Val  di  Mareno,  aveva  avuto  dalla  moglie  Maria,  due  fighe,  Adeleita 
ed  Engelenda,  che  nel  1224  istituì  sue  eredi,  sostituendo  ad  esse  nel 
caso  fossero  morte  senza  figli,  i  nipoti,  figli  dei  suoi  fratelli  Biaquino  (I) 
e  Guecellone  (IV),  la  madre  Engelenda,  la  mogHe  e  il  monastero  della 
Pollina.  Fra  il  1241  e  il  1242,  sotto  pretesto  ch'egli  parteggiava  per  l'im- 
peratore Federico  II,  i  nipoti  Biaquino  (II)  e  Guecellone  (V),  i  quali,  ab- 
bandonata la  causa  imperiale,  erano  con  Alberico  da  Romano  passati 
nel  campo  della  Chiesa,  si  impadronirono  delle  sue  curie  e  dei  suoi  pos- 
sessi feudali  e  allodiali  e  lo  confinarono  nel  Cadore,  ove  poco  appresso 
venne  a  morte.  Una  lettera  diretta  da  Biaquino  verso  il  1245  ad  un 
cardinale,  accenna  alla  donazione  che  Gabriele  aveva  fatto   a  Biaquino 

(i)  Arch.  dìplotn.,  fascio  perg.  n.  5. 


BIBLIOGRAFIA  417 

<li  tutti  i  suoi  beni,  confermata  in  un  ultimo  suo  testamento.  Alla  spoglia- 
zione si  era  fatta  seguire  l'estorsione  di  una  duplice  ratifica,  con  par- 
venze di  legalità,  dell'atto  violento!  Vantando  le  sue  grandi  benemerenze 
per  la  causa  della  Chiesa,  Biaquino  raccomarda  intanto  la  propria  causa 
relativa  alla  eredità  dello  zio  Gabriele,  per  la  quale  si  aspettava  di  es- 
sere citato  "  ad  curiam  „,  È  probabile  che  fra  i  rivendicanti  vi  fosse 
in  prima  linea  la  figlia  Adeleita  (i).  La  presenza  di  costei  nel  1257  in 
Cremona,  allora  dominata  dal  Pelavicino,  si  può  spiegare  per  le  osti- 
lità che  contro  di  lei,  rivendicante  senza  tregua  i  propri  diritti  sulla 
eredità  paterna,  non  avrà  mancato  di  suscitare  Biaquino,  abusando  del- 
l'alta posizione  ch'egli  teneva  nel  partito  della  Chiesa.  Nel  testamento 
è  notevole  l'accenno  alla  dote  di  Adeleita,  di  cui  andava  debitore  il  ve- 
scovo di  Trento,  che  era  allora  Egnone  dei  conti  da  Piano,  perchè  in- 
dicherebbe cosa  fin  qui  ignorata  che  Adeleita  era  vedova  di  un  conte 
da  Piano;  come  pure  non  era  nota  l'esistenza  di  una  terza  figlia  di 
Gabriele,  a  nome  Imia,  nata  forse  dopo  il  1224,  e  di  una  figlia  di  costei. 
Chi  aspirava  a  signoria,  o,  avendola  ottenuta,  la  voleva  rafforzare 
per  poi  trasmetterla  ai  discendenti,  aveva  cura  di  stringere  vincoli  di 
parentela  con  potenti  famiglie  di  altre  città,  che  gli  permettevano  di 
cercarvi  appoggi  alla  propria  politica  offrendo  il  ricambio,  od  almeno 
di  paralizzare  l'azione  ostile  degli  avversari.  È  così  che  Gherardo,  il 
quale  in  prime  nozze  aveva  sposato  Ailice,  figlia  del  noto  partigiano  di 
Ezzelino,  Albergerio  da  Vivaro  di  Vicenza,  probabilmente,  come  avverte 
il  Picotti,  nella  speranza  di  rendere  il  tiranno  meno  avverso  alla  fami- 
glia Caminesè,  rimasto  vedovo  impalmò  Chiara  della  Torre.  L' unica 
notizia  diretta  di  lei  è  nell'obituario  dei  predicatori  di  S.  Nicolò  di  Tre- 
viso, che  ne  segna  la  morte  nell'ottobre  1299  (2).  La  sua  appartenenza 
alla  grande  famiglia  milanese  risulta  indirettamente  da  una  lettera  di 
Gastone  della  Torre,  patriarca  d'Aquileia  e  nipote  di  Raimondo,  a  Bea- 
trice figlia  di  Gherardo  da  Camino,  in  cui  la  chiama  sua  consanguinea, 
mentre  in  un  altro  atto  Franceschino  della  Torre  la  dice  sua  cugina. 
Si  può  credere  che  obbiettivo  principale  del  matrimonio  con  Chiara 
della  Torre  sieno  stati  i  rapporti  di  Gherardo  col  proprio  signore,  il 
patriarca  Raimondo  (1274-1299);  della  cui  cordialità,  prima  dell'avvento 
di  Gherardo  al  capitanato  dì  Treviso  e  di  poi  sino  al  1292,  fa  fede  la 
scelta  di  Gherardo  quale  arbitro  nelle  contese  fra  Raimondo  ed  Alberto 
conte  di  Gorizia  nel  1274  e  nel  1281,  e  fra  Raimondo  e  i  Veneziani  coi 
rispettivi  alleati  nel  1291.  Ciò  condurrebbe  a  fissare  la  data  delle  nozze 
non  prima  del  1274  e  forse  dopo  il  1277,  quando  colla  cacciata  dei  Tor- 
riani  da  Milano  molti  di  questa  casa  presero   stabile  dimora  nel  Friuli. 


(i)  Il  Picotti  allude  in  più  riprese  a  questa  lite  per  1' eredità  di  Gabriele  da 
Camino,  fra  Adeleita  e    i    nipoti  del  defunto.  Adeleita  viveva  ancora  nel  1272. 

(2)  A.  Marchesan,  Gaia  da  Camino,  Treviso,  1904,  p.  242:  «  1299  (o^" 
<  tobre)  Obiit  d.  Clara  de  Turri  ux.  d.  Gerardi  de  Camino  w. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXIf,  Fase.  Vili.  37 


I 


4l8  BIBLIOGRAFIA 

Il  Marchesan  (i),  che  ritiene  Gaia  figlia  di  Chiara  della  Torre,  pone 
la  di  lei  nascita  fra  il  1265  e  il  1270  e  ne  fissa  il  matrimonio  con  Tol- 
berto  intorno  al  1293.  Ammessa  1*  ipotesi,  assai  probabile,  attesa  V  età 
che  doveva  avere  Chiara  figha  di  Gaia  quando  andò  sposa  al  conte 
Rambaldo  di  ColJalto  (1314),  della  nascita  di  Gaia  prima  del  1274,  si 
dovrebbe  crederla  figlia,  al  pari  di  Rizzardo,  di  Ailice  da  Vivaro.  Un 
indizio  in  questo  senso  ci  è  fornito  da  un  atto  del  1323  (2),  portante 
un*  investitura  livellaria  rinnovata  da  Chiara  da  Camino,  quale  erede 
della  madre  Gaia,  erede  alla  sua  volta  di  "  dominus  quondam  Petrus 
"  de  Puteo  de  Vincentia  qui  tunc  morabatur  Tarvisii  „,  che,  per  non 
pensare  male  di  Gaia  (3),  vogliamo  credere  le  fosse  parente  per  parte 
della  madre,  pure  di  Vicenza.  Il  nome  dato  alla  figlia  può  essere  stato  un 
semplice  omaggio  a  colei  che  aveva  assunto  presso  Gherardo  e  nella 
famiglia,  il  posto  che  prima  spettava  alla  madre  di  Gaia. 

Se  col  matrimonio  con  Chiara  della  Torre  Gherardo  aveva  mirato 
a  rinsaldare  i  suoi  legami  col  partito  della  Chiesa,  al  quale  serbò  fede 
fino  al  termine  del  suo  reggimento,  non  perchè  fosse  guelfo  nell'anima, 
come  pensa  il  Ricotti,  ma  semplicemente  perchè  quella  pohtica  rispon- 
deva ai  suoi  interessi;  per  contro  il  figlio  Rizzardo  intese,  col  suo  ma- 
trimonio con  Giovannina  Visconti,  figlia  di  Nino  di  Gallura,  celebrato 
fra  il  1309  e  il  1310,  di  aprirsi  una  via  verso  il  partito  imperiale;  le 
cui  sorti  accennavano  a  risorgere,  all'annuncio  della  prossima  discesa 
in  Italia  di  Enrico  di  Lussemburgo.  "  Guelfa  di  sangue  (!)  era  certo 
"  Giovannina  Visconti  „,  e  il  Ricotti  argomenta  che  ella  poteva  aprire 
la  via  di  Treviso  anche  ai  guelfi  pisani  ch'erano  stati  amici  del  padre. 
Ma  noi  riteniamo  che  il  matrimonio  della  madre  di  lei.  Beatrice  d'Este, 
con  Galeazzo,  figlio  di  Matteo  Visconti,  avesse  allontanato  da  Beatrice 
e  dalla  giovane  figlia  gli  amici  del  primo  marito.  Il  loro  posto  era  stato 
preso  da  Galeazzo  e  dai  partigiani  di  questo.  La  successiva  podesteria 
trivigiana  di  Galeazzo  (1310-1311),  esule  da  Milano,  ove  ancora  domina- 
vano i  Torriani,  conferma  il  significato  del  matrimonio  di  Rizzardo  con 
Giovannina,  nel  senso  di  un  decisivo  cambiamento  nella  rotta  della  po- 
litica fino  allora  seguita  dai  signori  di  Treviso. 

(i)  Op.  cit.,  p,  23. 

(2)  Archivio  notarile  di  Treviso.  Protocolli  del  notaio  Domenico  da  Cre- 
spano, 1323,  luglio  19.  Il  livello  era  stato  costituito  da  Pietro  «  de  Puteo  »  2^ 
anni  prima,  e  cioè  verso  il  1298. 

(3)  I  detrattori  di  Gaia  non  mancheranno  di  insinuare  che  Pietro  «  de  Pu- 
«  teo  »  fosse  uno  di  quegli  amici  di  Rizzardo  e  di  Gaia,  le  cui  nobili  imprese  ci 
sono  svelate  da  Benvenuto  da  Imola,  ed  abbia  istituita  sua  erede  Gaia  per  ...  . 
gratitudine!  Né  noi  diciamo,  qualunque  opinione  si  voglia  avere  del  marito  di 
Gaia,  Tolberto  da  Camino,  che  la  cosa  sia  del  tutto  inverosimile.  Non  sempre 
avviene  che  il  marito  opponga  sdegnosamente  il  proprio  veto  all'accettazione  di 
lasciti  cospicui  che  importano  la  liquidazione  di  rapporti  dapprima  ignorati,  sui 
quali  la  morte  sta  per  stendere  il  velo  dell'oblio. 


BIBLIOGRAFIA  419 

Il  Picotti  pone  l*inizio  di  questa  podesteria  al  5  luglio  1310  e  la  fine 
al  19  maggio  1311.  Crediamo  che  la  prima  data  vada  alquanto  rettificata, 
poiché  in  un  atto  del  19  luglio  1310  figura  ancora  podestà  il  suo  pre- 
decessore, conte  Rambaldo  (i).  Quanto  all'ultima  e  alle  date  interme- 
die, 1310  luglio  29,  agosto  26  e  31,  settembre  5,  131 1  gennaio,  marzo  20, 
aprile  5  e  21,  indicateci  dallo  stesso  Picotti,  è  a  ritenersi  che  la  mag- 
gior parte  si  riferiscano  alla  menzione  contenuta  nei  singoli  atti,  della 
podesteria  di  Galeazzo,  colla  formula  "  sub  domino  Galeacio  Vicecomite 
"  potestate  Tarvisii  „,  oppure  all'intervento  di  giudici  o  di  consoli  "  do- 
"  mini  Galeacii  Vicecomitis,  ecc.  „;  come  abbiamo  potuto  constatare  per 
i  tre  atti  del  20  e  30  marzo  e  19  maggio  131 1  (2).  Il  suo  personale  in- 
tervento fu  da  noi  accertato  una  sola  volta,  in  un  atto  di  emancipazione 
assunto  il  29  dicembre  1310  (3)  "  corani  dicto  domino  potestate  „. 

Si  può  ammettere  che  dal  luglio  a  tutto  dicembre  1310  Galeazzo 
non  si  sia  allontanato  da  Treviso.  Nel  "  concordio  „  stipulato  a  Milano 
il  27  dicembre  di  quell'anno,  sotto  gh  auspici  dell'imperatore  Enrico  VII, 
fra  i  Visconti  e  i  Torriani,  Matteo  Visconti  rappresentava  per  procura 
anche  l' assente  Galeazzo.  Ma  è  probabile  che  pochi  giorni  dopo  co- 
stui abbia  sentito  il  bisogno  di  correre  al  fiancò  del  padre,  il  quale,  non 
ostante  l'apparente  riconciliazione,  stava  afiìlando  le  armi  per  abbattere 
i  comuni  nemici.  Ottenuta  una  breve  licenza,  si  sarà  accompagnato  agli 
ambasciatori  di  Rizzardo  e  del  comune,  che  si  recavano  ad  assistere 
all'incoronazione  di  Enrico  (6  gennaio  1311),  a  prestargli  l'omaggio  e 
ad  avviare  le  pratiche  necessarie  per  ottenere  dal  sovrano  la  nomina 
di  Rizzardo  a  vicario  dell'impero  nella  città  e  nel  distretto  di  Treviso. 
Così  si  spiega  il  racconto  dei  cronisti  milanesi  intorno  alla  scelta  di 
Galeazzo  fra  i  cento  nobili  milanesi  che  dovevano  accompagnare  l'im- 
peratore a  Roma  per  la  sua  incoronazione,  a  misteriosi  colloqui  di  Ga- 
leazzo con  Franceschino  della  Torre  sulla  fine  del  gennaio,  e  alla  parte 
importante  ch'ebbe  Galeazzo  nei  sanguinosi  tumulti  del  febbraio  successivo 
che  terminarono  colla  sconfitta  e  colla  cacciata  dei  della  Torre;  cui  fece 
seguito  l'ordine  dato  dall'imperatore  a  Matteo  e  a  Galeazzo  di  andare  in 
confino,  il  primo  ad  Asti,  il  secondo  a  Treviso  (4).  È  noto  che  il  confino  di 
Matteo  fu  di  breve  durata;  nel  17  aprile  egH  era  di  ritorno  a  Milano  e  nel 
18  luglio  otteneva  il  titolo  di  vicario  imperiale.  Quanto  al  confino  di 
Galeazzo  a  Treviso  i  cronisti  possono  essere  stati  tratti  in  equivoco 
dalla  effettiva  sua  partenza  per  quella  città,  determinata  dagli  impegni 
ch'egli  aveva  colà  con  Rizzardo  e  col  comune;  ma  non  è  da  escludere 


(1)  Arch.  notarile  di  Treviso,  Protocollo  D.  del  not.  Vendrame  de  Ricardo. 
13  IO,  luglio  19.  «  D.  Petrus  de  Gaydo  ludex  et  assessor  ac  vicarius  domini  Rara- 
«  baldi  comitis  potestatis  Tarvisii  »  dà  un  curatore  a  due  minorenni. 

(2)  Ibid.,  Prot.  D.  e  Bibl.  com.  di  Treviso,  Stat.  Caminese  fol.  131  r. 

(3)  Ibid.,  Prot.  D. 

(4)  Giovanni  da  Cermenate,  Historia  in  Muratori,  R.I.S.,  IX,  1248. 


420  BIBLIOGRAFIA 

che  i'  imperatore,  sapendo  di  questi  impegni,  ne  abbia  approfittato  per 
fissare  colà,  d'accordo  collo  stesso  Galeazzo,  la  sua  temporanea  residenza, 
finché  a  Milano  si  fosse  ristabilita  la  calma.  Assai  breve  deve  essere 
stato  questo  secondo  periodo  della  dimora  di  Galeazzo  in  Treviso.  Nel- 
l'atto 19  maggio  1311,  l'ultimo  citato  dal  Picotti,  si  fa  menzione  di  un 
vicario  del  podestà;  il  che  sembra  indicare  l'assenza  del  titolare  della 
città  e  del  distretto.  Probabilmente  verso  la  fine  dell'aprile,  alla  notizia 
del  ritorno  di  Matteo  a  Milano,  Galeazzo  avrà  chiesta  ed  ottenuta  una 
nuova  licenza;  giunto  in  patria,  ove  si  apriva  alla  sua  attività  un  campo 
assai  più  vasto  e  pili  importante,  egli  dopo  alcuni  giorni  si  sarà  defini- 
tivamente congedato  da  Rizzardo  e  dal  comune.  Le  sue  lettere  di  con- 
gedo devono  essere  pervenute  fra  il  19  e  il  22  maggio;  sotto  quest'ul- 
tima data  un  documento  segna  quale  vicario  del  comune  quello  stesso 
Pietro  de  Gaido,  che  il  giorno  19  fungeva  ancora  da  vicario  di  Ga- 
leazzo (i).  Pochi  giorni  dopo  Rizzardo  riceveva  il  diploma  della  sua 
nomina  a  vicario  imperiale,  datato  da  Cremona  il  io  maggio,  e  tosto, 
abbandonato  il  titolo  di  capitano,  assumeva  1'  amministrazione  diretta 
del  comune,  sostituendo  all'antica  carica  del  podestà,  capo  nominale  del 
comune,  un  ufficiale  che,»  col  titolo  di  visconte,  doveva  rappresentare  il 
vicario  imperiale.  Così  Galeazzo  Visconti  sarebbe  stato  l'ultimo  podestà 
del  comune  di  Treviso,  se  appena  un  anno  dopo  l'orgoglioso  Rizzardo 
non  si  fosse  lasciato  "  carpir  „  cecamente  nella  "  ragna  „. 

Del  reggimento  di  Galeazzo  poco  si  può  dire.  Sotto  la  signoria  dei 
Caminest  la  funzione  del  podestà  era  ridotta  ad  una  larva  di  potere. 
Presiedeva  ai  consigli  del  comune  ed  amministrava  la  giustizia  perso- 
nalmente, più  spesso  a  mezzo  dei  suoi  assessori,  scelti  non  più  come 
sotto  il  libero  comune,  fra  riputati  giurisperiti  di  fuori,  ma  fra  i  giudici 
cittadini  devoti  al  signore.  Le  sentenze  e  tutti  gli  altri  provvedimenti 
del  podestà  e  dei  suoi  assessori,  venivano  spesso  revocati  od  annullati 
dal  sigfiore,  cui  era  stata  concessa  piena  balìa.  Sappiamo  che  Galeazzo 
aveva  a  Treviso  una  propria  corte,  della  quale  faceva  parte  un  "  Car- 
^'  ducius  de  Luca  familiaris  dicti  d.  potestatis  „  (2).  Pare  si  fosse  trovato 
a  corto  di  denari,  perchè  ad  un  certo  momento,  forse  alla  vigilia  della 
sua  ultima  partenza  per  Milano,  si  fece  prestare  dieci  lire  dei  grossi 
(pari  a  circa  L.  350  dei  piccoli)  dal  conte  Rambaldo,  colla  fideiussione  di 
Tolberto  Calza,  nobile  trivigiano  (3);  il  quale    quattro   anni    dopo,  non 


(i)  Arch.  notarile  di  Treviso,  Protoc.  D.  di  Vendrame  de  Ricardo.  —  13 n, 
maggio  19.  "  D.  Petrus  de  Gaydo  iudex  et  vicarius  domini  Galeacii  potestatis 
«  Tarvisii  „  dà  due  curatori  a  un  minorenne. 

(2)  Ibid.,  Prot.  D.  È  l'atto  ricordato  a  nota  2,  p.  419. 

(5)  Ibid.,  13 15,  aprile  27,  a  In  palacio  comunis  Tarvisii  —  d.  Tholbertus 
«  Calza  fecit  Turam  eius  familiarem  —  suum  procuratorem  specialem  ad  peten- 
«  dum  et  exigendum  —  a  nobili  viro  domino  Galeacio  Vicecomite  de  Medio - 
<(  lano  de  uno  mutuo  sive  deposito  decem  librarum  denar.  venet,  grossorum  quas 


BIBLIOGRAFIA  42  T 

avendo  Galeazzo  soddisfatto  il  suo  debito,  destinava  un  procuratore  "  ad 
"  petendum  et  exigendum  „  quella  somma  "  a  nobili  viro  domino  Ga- 
"  leacio  Vicecomiti  de  Mediolano  „.  Si  sarà  finalmente  deciso  il  Visconti, 
allora  vicario  imperiale  e  signore  perpetuo  di  Piacenza,  di  fare  onore 
ai  propri  impegni;  od  avrà  lasciato  il  suo  mallevadore  alle  prese  col 
creditore?  Gli  esempi  che  ci  presenta  il  Picotti,  di  vecchi  debiti  insoluti 
di  Rizzardo  e  di  Guecellone  da  Camino,  non  ci  affidano  molto  sulla  pun- 
tualità e  correttezza  dei  signori  italiani  del  sec.  XIV. 

G.    BlSCARO. 


R.  Bellodi,  Il  monastero  di  S.  Benedetto  in  Polirone  nella   storia  e   nel- 
l'arte^  Mantova,  1905,  in-4  fig.,  pp.  327. 

All'insigne  cenobio  mantovano  TA.  dedica  un  volume  elegante  nella 
veste,  non  privo  d'illustrazioni,  ricco  di  notizie  e  ispirato  a  sincero  amore 
pel  monumento,  per  la  sua  storia,  per  l'arte  sua  e  animato  da  vivo  de- 
siderio d'una  miglior  conservazione.  Ho  detto:  non  privo  d'illustrazioni, 
mentre  avrei  preferito  poter  dire:  degnamente  illustrato,  poiché  l'opera 
ha  il  difetto  di  illustrazioni  mediocri, se  non  scarse;  queste  son  quasi  tutte 
disegni,  i  quali,  per  quanto  belli,  non  sono  sempre  i  più  adatti  a  rendere 
con  sufficente  esattezza  e  chiarezza  il  carattere  di  un  monumento  artistico. 
Buone,  se  anche  poche,  fotografie,  avrebbero  meglio  ritratto  il  monastero 
nella  grandiosità  dell'insieme  e  nella  varietà  delle  parti;  non  manca  qual- 
che fotografia,  ma  sono  eccezioni.  Vi  è  poi  un  difetto  anche  nella  distri- 
buzione delle  illustrazioni;  queste  sono  sparse  a  caso  come  un  semplice 
ornamento  decorativo  del  testo,  anziché  corrispondere  a  questo  come 
suo  necessario  complemento;  tanto  più  che,  essendo  l'opera  divisa  in 
due  parti.  Storia  ed  Arte,  le  illustrazioni  avrebbero  dovuto  raggrupparsi 
specialmente  nella  seconda,  ove  sono  necessaria  dimostrazione  del  te- 
sto, il  quale  ad  esse  continuamente  richiamandosi,  obbliga  il  lettore  a 
saltare  ad  ogni  passo  pel  volume  in  cerca  dell'illustrazione,  sebbene  ne 
sia  quasi  sempre  indicata  la  pagina.  Non  è  per  pedanteria  ch'io  insisto 
sulle  illustrazioni,  ma  perchè  in  un'opera  che  illustra  un  monumento 
artistico,  quelle  sono  "  magna  pars  „.  Tuttavia  1'  opera  del  Bellodi  è 
degna  dell'importanza  del  soggetto  ed  in  compenso  dei  difetti  rilevati  ha 
vari  e  grandi  pregi,  tra  cui,  per  stare  nel  campo  illustrativo,  quello  di 
offrire  al  lettore  alcune  piante  del  monastero,  le  quali,  meglio  d'  ogni 
descrizione,  danno  un'idea  della  grandiosità  del  medesimo  e  della  sua 
disposizione, 

«  dictus  d.  Galeacius  et  Tholbertus  confessi  fuerunt  habuisse  in  salvamentum  — 
«  a  domino  Rambaldo  comite  tarvisino,  ut  in  carta  scripta  per  Andream  de  Ron- 
«  zano  notarium  continetur,  etc.  ». 


h 


422  BIBLIOGRAFIA 

Questo  monastero  è  veramente  tra  i  più  cospicui  d'Italia  vuoi  per  la 
sua  lunga  e  fortunosa  storia,  vuoi  per  la  sua  vastità  e  ricchezza  e  pel 
suo  valore  artistico  che,  malgrado  i  vandalismi,  è  ancor  tale  da  farne  un 
monumento  degno  di  miglior  sorte.  Ben  a  ragione  Paolo  III  in  una  sua 
visita  lo  chiamò  :  "  magnum  coenobium  et  admirabile  valde  „.  L'A.  ha 
il  merito  d'avercelo  fatto  conoscere  intimamente  nella  sua  secolare  esi- 
stenza e  nella  sua  importanza  artistica;  e  io  credo  che  sarebbe  assai 
utile  e  interessante  per  la  storia  della  coltura  non  meno  che  dell'  arte 
diffondere  per  mezzo  di  simili  monografie  la  conoscenza  dei  principali 
almeno  tra  i  numerosissimi  cenobi  d' Italia,  focolari  di  cultura  nel  me- 
dio evo,  centri  di  vita  e  di  arte  attraverso  lunghi  secoli,  vita  che  il  ful- 
mine napoleonico  improvvisamente  troncò,  disperdendo  le  ricche  colle- 
zioni di  preziosi  manoscritti  adunate  con  geloso  amore,  o  smembrandole 
tra  le  varie  biblioteche  che  il  Bonaparte  si  die  vanto  di  fondare  o  ar- 
ricchire. 

L'opera  si  divide,  come  già  dissi,  in  due  parti:  Storia  ed  Arte;  la 
prima  per  mole  supera  di  gran  lunga  la  seconda,  ma  l'apparente  spro- 
porzione è  giustificata  dalle  lunghe  e  varie  vicende  del  monastero,  che 
l'A.  tesse  diligentemente  dalle  origini  che  risalgono  al  mille,  alla  fatale 
soppressione  napoleonica  e  poi  alle  disastrose  rovine  che  ne  seguirono 
sotto  l'Austria  e  anche  sotto  l'Italia  redenta,  la  quale,  salvo  qualche 
slancio  momentaneo  di  generosità,  non  fu  troppo  sollecita  nel  riparare 
alle  mine  degli  stranieri  e  nel  conservare  le  parti  ancor  salve  dell'edificio. 
Questa  parte  storica  non  riesce  meno  interessante  dell'artistica  sia 
per  la  varietà  della  materia  sia  pel  soffio  di  vita  e  pel  sentimento  con 
cui  l'A.  sa  animare  la  descrizione  della  secolare  esistenza  del  cenobio, 
nella  quale  ai  periodi  burrascosi  per  guerre  e  vicende  politiche  s'alter- 
nano periodi  di  pace  e  di  riposo;  ai  momenti  di  grande  trepidazione 
pei  pericoli  con  cui  il  Po,  nemico  implacabile,  irrompente  dagli  argini, 
minaccia  il  convento  e  sparge  il  lutto  e  la  carestia  nelle  campagne  cir- 
costanti, mettendo  a  prova  1'  eroismo  e  la  generosità  dei  monaci,  suc- 
cedono le  annate  copiose  e  felici,  in  cui  affluiscono  al  convento  le  laute 
rendite  de' suoi  vasti  possessi. 

E  spesso  il  silenzio  claustrale  e  1'  uggia  della  campagna  solitaria 
sono  interrotti  dal  tripudio  e  dal  fasto  dei  cortei  papali  o  regah  che 
colle  loro  visite  segnano  grandi  avvenimenti  nella  vita  tranquilla  del 
cenobio;  una  volta,  nel  1585,  perfino  alcuni  ambasciatori  giapponesi,  fat- 
tisi cristiani,  visitano  il  convento,  empiendo  di  stupore  i  monaci,  che 
accolgono  con  grande  riverenza  gli  strani  "  antipodi  „,  eternando  nel 
marmo  la  memoria  della  meravigliosa  apparizione  con  una  non  meno 
meravighosa  epigrafe.  Oppure  nel  chiostro  cercano  sohtudine,  ispira- 
zione e  quiete  ospiti  illustri,  come  il  poeta  gentile  della  Gerusalemme 
o  il  maccheronico  cantore  del  Baldo. 

La  seconda  parte,  l'artistica,  già  s'intreccia  nella  parte  storica,  poi- 
ché qui  l'A.  va  man  mano  segnalando  le  successive  trasformazioni  e  i 
continui  ingrandimenti  del  cenobio,  gli  artisti  che  cooperarono  al  seco- 


BIBLIOGRAFIA  423 

iare  edificio  e  anche  i  vandalismi  purtroppo  avvenuti  dopo  la  soppres- 
sione napoleonica.  La  quale,  ironia  della  sorte,  sopraggiunse  quando  da 
soli  pochissimi  anni,  meno  d'  un  decennio,  1*  ultimo  abate,  1*  intrapren- 
dente Mauro  Mario,  aveva  con  nuovo  splendore  ricostruito  la  biblioteca 
e  il  refettorio,  biblioteca  che  racchiudeva  ricco  e  prezioso  tesoro  di  ma- 
noscritti che  Napoleone  distribuì  fra  l'Archivio  di  Stato  di  Milano  e  la 
biblioteca  civica  di  Mantova;  una  parte  però  andò  perduta,  adibita  agli 
usi  pili  indegni. 

Nella  seconda  parte  l'A.  svolge  la  storia  artistica  del  monastero 
sfiorata  nella  prima,  illustra  i  vari  edifici  che  lo  compongono ,  le 
singole  opere  d*  arte  sfuggite  alle  rapine  napoleoniche,  ne  descrive  lo 
stato  attuale  e  i  pochi  e  parziali  restauri  fatti,  invocando  maggiore  pietà 
per  ciò  che  ancor  rimane  da  conservare.  La  chiesa  fu  prima  umile  cap- 
pella, poi  geniale  chiesa  romanica,  di  cui  sopravvive  un  prezioso  cime- 
lio in  un  rilievo  rappresentante'due  mesi  dell'anno,  ottobre  e  novembre, 
frammento  d'  una  di  quelle  rappresentazioni  dei  mesi,  che  sono  tra  le 
più  graziose  caratteristiche  della  scultura  romanica. 

La  chiesa  romanica  s'ingrandisce  nel  quattrocento  e  svelte  ed  ele- 
ganti s'innalzano  le  volte  acute;  ma  ogni  ardire  de' secoli  precedenti 
offusca  Io  splendore  del  rinascimento  e  Giulio  Romano  trasforma  la 
chiesa  in  un  tempio  maestoso,  senza  però  alterare  nelle  linee  generali 
r  antica  struttura,  ma  questa  infiorando  colle  grazie  dell'arte  nuova,  che 
il  seicento  non  oserà  molto  sciupare.  Anche  la  pittura  concorre  ad  ab- 
bellire il  tempio,  e  i  piìi  celebri  pennelli  dell'aureo  cinquecento  adornano 
gli  altari  dei  loro  quadri,  che  poi  i  rapaci  vandali  d'oltr'alpe  toglieranno 
per  sé.  Attorno  alla  chiesa  ogni  secolo  ha  veduto  sorgere  nuovi  chiostri, 
fabbriche  nuove,  i  quali,  dopo  i  nobili  usi  del  tempo  felice,  furon  con- 
taminati da  soldatesche  bestiali  e  poi  rovinati  da  contadini  senza  tetto, 
<:he  vi  cercaron  rifugio. 

L'A.  descrive  e  illustra  anche  i  piccoli  conventi  che  il  monastero 
possedeva  in  altri  paesi,  come  a  Maguzzano  presso  il  Garda,  ove  si 
crede  abbia  dimorato  qualche  anno  Teofilo  Folengo,  a  ricordo  del  quale 
esiste  ancora  una  cascina  detta  Maccheronica  o  Maccherona,  e  a  S.  Croce 
di  Campese  presso  Bassano,  ove  lo  stesso  poeta  ha  tomba  e  busto 
marmoreo. 

Tra  le  chiese  dipendenti  dal  monastero  son  degne  di  nota  quella 
d'Ognissanti  in  Mantova  con  un  bell'affresco  di  Stefano  da  Zevio,  e  l'o- 
ratorio di  Valverde  con  un'abside  tutta  frescata  da  ignoti  pittori  della 
fine  del  XIV  sec.  e  del  principio  del  XV.  L' interessante  affresco,  mar- 
tellinato  e  ricoperto  d'intonaco  nel  sec.  XVIII,  fu  recentemente  scoperto 
dall'Ufficio  Regionale,  ma  purtroppo  non  restaurato,  mentre  ne  avrebbe 
bisogno.  L'A.  dispera  che  ciò  si  faccia,  scoraggiato  dall'  esempio  del 
chiostro  di  S.  Simeone,  "  ove  si  rovina  e  si  deturpa  quanto  si  è  in  al- 
"  tro  momento  con  grande  amore  e  non  lieve  dispendio  restaurato  e 
"  riabbellito  „.  Triste  rivelazione! 

Ma  ancor  più  triste  è  quella  che  riguarda  l'attuale  chiesetta  di  Val- 


424  BIBLIOGRAFIA 

verde  aperta  a  ogni  più  sconcia  profanazione,  esposta  ai  piìi  gravi  pe- 
ricoli pel  dipinto  già  tanto  danneggiato  dall'  umidità.  L'  artistico  pelle- 
grinaggio dell'A.  si  chiude  con  una  così  desolante  descrizione  della  gra- 
ziosa chiesetta,  che  fa  quasi  desiderare  non  si  scoprano  i  monumenti 
quando  non  si  possa  o  non  si  voglia  custodirli  e  conservarli  decoro- 
samente. 

Arturo  Frova. 


Epistolario  di  L.  A.  Muratori  edito  e  curato  da  Matteo  Campori,  voli.  VI^ 
VII,  Modena,  Società  tipografica  modenese,  1903,  1904. 

I  due  presenti  volumi  contengono  1322  lettere  del  Muratori,  fra  le 
quali  moltissime  sono  le  inedite.  Questo  ricco  manipolo,  che  si  riferisce 
agli  anni  1722-1733,  anni  di  supremo  interesse  nella  vita  letteraria  del 
Muratori,  ci  fornisce  la  storia  dell'inizio,  della  prosecuzione,  e  quasi 
del  compimento  degli  Scriptores  rerum  italicarum,  l'allestimento  delle  dis- 
sertazioni sulle  Antiquitates  Italiae  e  la  preparazione  del  Novus  The- 
saurus Inscriplionum.  Ciò  significa,  in  altre  parole,  che  nei  due  presenti 
volumi  rispecchiasi  il  periodo  veramente  splendido  della  vita  del  Mura- 
tori, quando  egli,  giunto  alla  piena  maturità  dell'ingegno  e  della  erudi- 
zione, raccoglie  finalmente  il  frutto  di  quanto  aveva  seminato  nella  sua 
giovinezza,  prodigiosamente  laboriosa.  La  fermezza  del  disegno,  la  te- 
nacia nel  fissarlo  coU'occhio  e  nel  realizzarlo  praticamente  destano  non 
minore  meraviglia  del  suo  ingegno,  della  sua  memoria,  della  sua  facilità 
nel  pensare  e  nello  scrivere.  Né  minor  compiacimento  prova  chi  sfo- 
gha  questi  volumi  nel  vedere  come,  nonostante  alcune  difficoltà  quasr 
sempre  provenienti  da  ragioni  politiche,  la  benevolenza  degli  eruditi  di 
tutta  Italia  abbia  sorretto  con  nuova  vigoria  la  vigoria  del  Muratori,, 
rendendogli  possibile  una  serie  di  opere  alle  quali  le  forze  di  un  uomo^ 
solo  erano  di  gran  lunga  inferiori. 

Al  Muratori  pareva  che  gli  italiani  fossero  svoghati.  E  a  Pier  Ca- 
terino Zeno  augurava  (15  maggio  1722,  n.  2081)  che  il  suo  Giornale  dei 
letterati  si  diff'ondesse  "  fra  gii  svogliati  italiani  e  fra  gli  stranieri  più  stu- 
"  diosi  di  noi  „.  A  G.  Oraziani  scriveva  (30  settembre  1729,  n.  2768): 
"  Vides  quam  raros  historicos  et,  poene  dixi,  quam  nullos  hodie  Italia 
"  progignat  „.  E  accennando  alle  tribolazioni  che  toccarono  all'illustre 
P.  Gattola,  cassinese,  dicea  (18  agosto  1729,  n.  2851)  che  in  Italia  chi 
scrive  libri  "  non  triviali  „,  trova  soltanto  contradditori. 

II  Muratori  invece  incontra  assai  più  numerosi  i  fautori,  che  non  gli 
oppositori.  A  Milano  egli  peasava  sempre.  E  non  solo  perchè  non  dimen- 
ticò mai  un  istante  la  sua  ossequiosa  devozione  verso  C.  Borromeo,  al 
quale  inviava  al  cader  degli  anni  i  propri  auguri  (12  dicembre  1726,  n.  2547: 
li  dicembre  1727,  n.  2674:  16  dicembre  1728,  n.  2788:  11  dicembre  1730,. 
n.  2984,  ecc.),  ma  anche  perchè  ivi  gli  studi  fiorivano  e  la  Società  Pa- 
latina rendeva  possibile  la  pubbhcazione  delle  maggiori  opere  alle  quali 


BIBLIOGRAFIA  425 

attendeva.  Quando  cominciava  la  stampa  degli  Scriptores,  egli  esclamava 
(1722,  23  luglio,  n.  2109)  "  Viva  Milano  „.  Encomiò  la  "  liberalità  „  dei 
milanesi,  quando  rendevano  onore  ad  A.  Vallisnieri  (17  settembre  1722, 
n.  2124),  e  si  rallegrò  col  Sassi  (io  febbraio  1723,  n.  2144:  cfr.  2140^ 
quando  udì  che  il  conte  Donato  Silva  si  occupava  di  carte  antiche. 
"  Insomma  „  egli  scrive  "  la  nobiltà  di  Milano  non  è  più  quella,  che 
"  conobbi  a*  miei  giorni;  e  ringrazio  Dio  che  io  e  T Italia,  anzi  il  pub- 
"  blico  tutto,  ne  profitteremo  „. 

Fino  dalla  prima  lettera  del  voi.  VI  troviamo  il  Muratori  attendere 
col  massimo  ardore  a  raccogliere  da  ogni  parte  d'Italia  i  materiali  per 
la  sua  Raccolta.  Sino  dal  9  gennaio  1722  (n.  2024),  mentre  chiede  a 
Pier  Caterino  Zeno  la  continuazione  dei  Cortusi,  teme  che  la  Serenis- 
sima si  preoccupi  sotto  il  punto  di  vista  politico  della  Cronaca  del  Dan- 
dolo. Giuseppe  Malaspina  di  S.  Margherita  si  affaccenda  per  procurargli 
il  Caffaro  coi  suoi  continuatori,  nonché  i  Cronisti  Astesi.  C*è  tutta  una 
serie  di  lettere  (nn.  2028,  2053,  2085,  2096,  2187,  2202,  2261,  2401,  2583) 
per  questi  argomenti.  Al  Malaspina  egli  rimane  gratissimo,  e  perciò  lo 
assicura  (1725,  i  novembre,  n.  2401),  che  anche  la  Cronaca  Novalicense^ 
e  il  poema  dell'Astegiano  "  compariranno  dono  „  di  lui  (i).  A  Francesco 
Brembati  ricorre  per  averne  cronache  bergamasche  (nn.  2031,  2073). 
In  Vienna  il  conte  Antonio  Rambaldo  di  Collalto  è  messo  a  profitto 
per  Sicardo  e  Gottofredo  da  Viterbo  (nn.  2036,  2201,  2306)  e  per  una 
Cronaca  Friulana  (n.  2202).  Da  quella  città  N.  Forlosia  gli  manda  colla- 
zioni delle  Storie  di  Ottone  di  Frisinga  (n.  2324),  e  di  Liutprando 
(n.  2442),  gli  Annali  Lambaciani  ed  altri  aneddoti  antichissimi  (n.  2388,. 
2400,  2603);  colà  N.  Garelli  deve  occuparsi  per  lui  della  vita  di  Lodo- 
vico il  Pio  scritta  da  Nigello  (n.  2399).  Cerca  mss.  in  Olanda  e  in  Inghil- 
terra (n.  2209).  Va  da  sé  che  Francesco  Arisi  è  sovente  pregato  per  le 
cronache  di  Cremona  (n.  2039);  anzi  con  questo  letterato  la  corrispon- 
denza é  frequente  (2).  Uberto  Benvoglienti  (nn.  2051,  2210,  2240,  2253^ 
2260)  deve  lavorare  a  mettere  insieme  cose  di  Toscana  in  generale  e 
di  Siena  in  particolare,  e  ben  si  sa  come  l'impresa  muratoriana  restasse 
avvantaggiata  dalla  dotta  attenzione  di  quell'esimio  erudito.  Da  C.  Gri- 
maldi (n.  2050)  aspetta  comunicazioni  di  fonti  napoletane.  Specialmente 
per  la  vita  dei  vescovi  di  Napoli  scritta  da  Giovanni  Diacono,  il  Mura- 
tori si  raccomandava  a  Matteo  Egizio  (n.  2150,  i  gennaio  1723;  2157), 
e  C.  Grimaldi  (n.  2240,  cfr.  n.  3054). 

(i)  Nella  lettera  2261,  22  giugno  1724,  dice  che  alfa  cortesia  del  Malaspina 
attribuiva  non  solo  le  Cronache  Astesi,  ma  anche  l'Astegiano,  e  altre  cose  da- 
tegli da  chi  non  vuol  essere  nominato.  E  soggiunge:  oc  So  ch'ella  userà  in  ciò- 
«  il  conveniente  segreto  ». 

(2)  Sicché  anche  per  altri  aneddoti,  come  per  quello  riflettente  i  funerali  di 
Gian  Galeazzo  (n.  2356),  e  per  la  Cronaca  di  Boncompagno  fiorentino  sull'assedio- 
dì  Ancona  da  parte  del  Barbarossa  (n.  2258:  cfr.  2289,  a  G.  B.  Bianconi),  il 
Muratori  ricorre  all'Arisi. 


426  BIBLIOGRAFIA 

Fino  dal  1.°  maggio  1722  pregava  (n.  2075)  Salvino  Salvini  di  for- 
nirgli notizie  su  Ricordano  (la  cui  autenticità  non  viene  qui  neppur  posta 
in  dubbio),  sui  Villani,  sulle  Cronache  Pistoiesi.  In  appresso  si  occupava 
{n.  2216,  26  novembre  1723)  di  Dino  Compagni.  Da  Guido  Grandi 
aspetta  materiali  toscani  (14  aprile  1724,  n.  2265),  e  si  rallegra  col  Sassi 
per  la  scoperta  di  una  cronachetta  lucchese  (1725,  nn.  2422,  2431).  E 
pure  col  Sassi  si  intrattiene  intorno  alla  edizione  delle  opere  di  Tolomeo 
da  Lucca  (n.  2589).  L'edizione  dei  Villani,  che  gli  costò  non  poca  fatica 
(n.  2765),  gli  procurò  poscia  molti  guai,  poiché  da  Firenze  gliene  fu 
mossa  acerba  guerra.  Colà  si  sarebbe  voluto  che  molti  mss.  egli  avesse 
collazionati;  ma  se  il  Muratori  si  fosse  deciso  a  seguire  questo  metodo 
nelle  sue  edizioni  degli  Scriptores,  ben  poco  cammino  avrebbe  fatto,  e 
scarsa  luce  gettata  sulla  intricata  ed  oscura  storia  italiana  nei  secoH 
di  mezzo.  Con  belle  parole  egli  si  difende  dalle  accuse  in  una  lettera 
(25  agosto  1730,  n.  2951)  ad  A.  F.  Marmi,  lettera  che  può  citarsi  ad 
esempio  del  vero  metodo  da  seguirsi  nella  edizione  dei  testi.  E  savie 
parole  abbiamo  a  questo  proposito  anche  nella  Vita  di  L.  A.  Muratori 
^Venezia,  1756,  p.  94-6),  scritta  da  Francesco  Soli  Muratori,  che  conosceva 
ben  addentro  il  pensiero  e  gli  intendimenti  dello  zio.  Il  Soli  Muratori 
giustamente  combatte  le  pretese  eccessive  dei  fiorentini,  e  avverte  che 
suo  zio  sapeva  in  antecedenza  di  non  poter  far  cosa  per  ogni  parte 
perfetta,  mentre  tante  biblioteche  gli  venivano  chiuse.  Ora  possiamo  ag- 
giungere per  parte  nostra  che  l'edizione  dei  Villani,  procurata  dal  Mu- 
ratori, dopo  quasi  due  secoli  è  ancora  quella  alla  quale  ricorriamo  più 
volentieri  e  con  maggiore  fiducia.  I  tentativi  fatti  replicatamente  per 
apprestarne  una  migliore,  finora  non  furono  coronati  da  buon  suc- 
cesso. 

A  G.  B.  Tafuri,  da  Nardo,  scrisse  il  Muratori  intorno  alla  pseudo- 
cronaca di  Matteo  Spinelli  (16  maggio  1722,  n,  2082).  Ne  dice:  "  mi 
"  piace  al  maggior  segno...  Se  non  che  non  so  intendere,  come  sia 
*'■  scritta  in-  volgare:  dubito  che  si  tratti  di  una  versione  „.  Più  tardi 
(1723,  marzo  19,  n.  2162)  ringraziando  il  Tafuri,  perchè  gli  avea  man- 
date molte  note  sullo  Spinelli,  dichiara  di  trovar  strano  come  il  cronista 
cada  in  tanti  errori  cronologici,  anche  a  proposito  di  fatti  a  lui  con- 
temporanei. Avendogli  poi  il  Sassi  (n.  2178)  procurato  un  testo  latino 
dello  Spinelli,  trovò  che  questo  era  la  versione  dell'italiano  (n.  2391). 
Ma  al  postutto  non  stava  tranquillo,  e  al  Benvoglienti  scriveva  addi  9 
agosto  1726  (n.  2502):  "  Io  non  mi  ostinerei  a  credere  originale  il  vol- 
"  gare  de'  Giornali  dello  Spinelli;  ma  né  pure  ad  altri  riuscirebbe  fa- 
"  cile  il  mostrare  il  contrario.  Se  Ricordano  potè  scrivere  in  volgare, 
^'  perché  non  potè  alquanti  anni  prima  un  Napolitano?  Però  poco  im- 
"  porta  „.  Le  difficoltà  dei  Diurnali  furono  dunque  avvertite  dal  Mura- 
tori, ancorché  esse  non  l' abbiano  deciso  a  riconoscerne  la  falsificazione. 
Ed  è  poi  curioso  l'avvertire  com'egli  accosti  in  un  medesimo  periodo  la 
falsificazione  napoletana  alla  falsificazione  toscana,  e  come  dalla  sua 
troppa  fiducia  in  questa  si  sia  lasciato  ingannare  da  quella. 


BIBLIOGRAFIA  427 

Con  G.  Vernacci  corrisponde  per  le  cose  di  Urbino  (n.  2091),  con 
P.  Canneti  e  con  B.  Brandolini  per  Forlì  (n.  2172,  2283),  con  L.  A.  Gen- 
tili per  Cosimo  e  Fermo  (n.  2304)  e  per  Gubbio  (n.  2444),  con  G.  Vin- 
ciuli  per  Perugia  (nn.  2205,  2472)  (i),  con  Fr.  Zambeccari  per  Bologna 
(n.  2404),  con  A.  P.  Berti  per  Aquila  (n.  2154)  (2).  Al  Vallisnieri  chie- 
deva (n.  2160)  copia  della  l^tta  di  Carlo  Zeno  esistente  nella  biblioteca 
del  Seminario  di  Padova.  S* intratteneva  col  Sassi  (n.  2415)  sulle  Cronache 
padovane,  negando  l'autenticità  della  biografia  di  Ezzelino,  attribuita  a 
Pietro  Gerardo,  e  attribuendo  troppo  scarso  valore  ai  carmi  del  Mussato, 
compresa  la  tragedia  Ecerinis.  Nella  lettera  2443  parla  del  Monaco  (nella 
stampa  "  Monastero  „)  Padovano  (cfr.  2449).  N.  Zacarli  lo  fornisce  di  aned- 
doti reggiani  (n.  2317).  Per  Parma  e  Piacenza  il  Muratori  si  raccomanda 
nella  lettera  2652.  M.  Fiacchi  (n.  2246)  gli  procurò  Ricobaldo.  Sulle  Cro- 
nache di  Nardo,  cfr.  3139. 

Si  preoccupava  di  Genova,  vedendo  la  gelosia  politica  di  quella  re- 
pubblica (n.  2121).  De*  Genovesi  quindi  si  lagna  col  p.  M.  A.  Lazzarelli, 
uno  dei  più  fidi  amici  ch'egli  avesse  a  Milano  (n.  2337).  Da  N.  D.  Magri, 
genovese,  aspettava  la  cronaca  dello  Stella,  ed  altri  doni  ancora  (n.  2423; 
cfr.  nn. 2431,  2439,  3017),  candidamente  dicendo  che  così  Genova  farebbe 
una  bella  "  figura  nella  Raccolta  e  per  conseguenza  nel  mondo  „. 

Nel  mentre  al  cassinese  Erasmo  Gattola  annunciava  la  stampa  dei 
primi  volumi  degli  Scriptores  (n.  2152),  gli  chiedeva  cose  napoletane,  e 
materiali  desunti  dalla  celebre  "  biblioteca  di  Monte  Cassino,,.  Ma  non 
ne  accettò  la  offerta  d'inserire  nella  Raccolta  la  storia  di  Monte  Cas- 
sino, da  quel  Padre  composta  (nn.  2158,  2164,  2167).  Nella  corrispon- 
denza col  p.  C.  Montagiosi  (nn.  2222,  2228,  2238,  2234)  discuteva  sull'oppor- 
tunità o  meno  di  accogliere  il  commento  di  Paolo  diacono  alla  Regula. 
In  complesso,  de'  Cassinesi  non  si  mostra  troppo  contento  (3).  Siccome 
essi  pensavano  a  pubblicare  per  proprio  conto  i  monumenti  della  loro 


(i)  Cronache  perugine  aspettava  anche  dal  suo  amico  A.  Vallisnieri,  n.  2350. 

(2)  Si  capisce  facilmente  come  il  Muratori  possa  in  questa  lettera  scrivere: 
a  di  sanità  non  ne  ho  molta  ;  ma  degli  intrighi  assai  fino  alla  gola  ».  Sono  fre- 
quenti i  lagni  che  egli  fa  intomo  alla  propria  salute.  Come,  p.  e.,  nella  lettera  , 
2363  (2  agosto  1725):  «  non  son  già  i  63  anni  (o  53  anni,  poiché  Muratori 
«  nacque  nel  1627)  che  fanno  l'uomo  vecchio,  ma  sì  bene  gli  acciacchi  ».  Tutta- 
via trattavasi  sempre  di  indisposizioni  non  gravi,  causate  dallo  studio  e  dalle  quali 
si  rimetteva  alquanto  nella  villeggiatura,  come  impariamo  dalla  vita,  scritta  dal 
nipote.  È  bello  il  vedere  nell'opera  di  costui  come  il  grande  erudito  attri- 
buisse i  suoi  mali  alla  qualità  dei  cibi,  di  cui  si  nutriva,  o  a  qualunque  altra 
causa,  fuor  che  alla  vera,  cioè  all'eccesso  del  lavoro. 

(3)  Cfr.  le  vivaci  parole  del  n.  2797.  Nella  lettera  3540  (23  dicembre  1923) 
lagnasi  per  non  aver  ottenuto  da  Monte  Cassino  le  varianti  a  Paolo  Diacono. 
Si  capisce  peraltro  che  alla  vivacità  di  qualche  espressione  non  dobbiamo  dar 
troppo  valore.  Forse  sono  parole  sfuggite  sotto  l'impressione  del  momento. 


428  BIBLIOGRAFIA 

Storia  gloriosa,  così  è  naturale  che  non  si  accalorassero  per  servire 
il  Muratori. 

Più  ancora  spiacente  si  dimostra  del  mcdo  con  cui  lo  trattavano  i 
piemontesi,  e  in  alcune  lettere  adopera  frasi  che,  al  pari  di  quelle  ri- 
guardanti Genova,  si  dovrebbero  dire  più  che  esagerate,  se  non  si  con- 
siderassero le  peculiari  circostanze  in  cui  furono  scritte.  11 25  marzo  1723 
si  rivolse  direttamente  a  Vittorio  Amedeo  II  (n.  2163),  chiedendogli  le 
Cronache  della  Novalesa  e  di  Fruttuaria,  e  assicurandolo  ch'egli,  nella 
sua  impresa,  non  era  mosso  dall'interesse  di  alcun  principe  particolare, 
ma  soltanto  dall'  "  onor  dell'Italia  „  (i).  Al  Malaspina,  non  molto  dopo, 
(23  dicembre  1723,  n.  2225)  scriveva:  "  que' benedetti  piemontesi  son 
"  più  avari,  che  non  è  l'avarizia  stessa  „;  e  in  appresso  ancora  (8  marzo 

1725,  n.  2322):  "  del  Piemonte  e  de' suoi  principi  nulla  ho  „.  Più  tardi 
entrò  in  corrispondenza  con  un  dotto  siciliano,  che,  fermatosi  in  Pie- 
monte, aveva  pochi  anni  prima  scritto  una  dissertazione  intorno  al  rior- 
dino degli  studi  colà,  cioè  con  Francesco  De  Aguirre  (2).  Gli  di- 
ceva (22  novembre  1726,  n.  2539)  che  avrebbe  desiderato  dedicare  al 
re  sardo  un  volume  della  Raccolta  (3),  ma  che  pur  troppo  nulla  avea 
potuto  aver  sul  Piemonte.  Nuove  preghiere    nella    lettera  18  dicembre 

1726,  n.  2553.  Ad  Ignazio  Solari  del  Borgo  manifestò  più  tardi  il  suo 
contento,  perchè  il  re  a  mezzo  del  Maffei  gli  aveva  promesso  di  conce- 
dergli quanto  di  meglio  si  trovasse  negli  archivi  di  stato,  incaricando 
il  De  Aguirre  delle  relative  indagini  (18  settembre  1727,  n.  2646).  Non 
è  questo  il  luogo,  per  certo,  di  riandare  la  storia,  non  tutta  bella  forse, 
ma  neppur  tutta  brutta,  delle  relazioni  del  Muratori  col  Piemonte.  Molti 
se  ne  sono  di  proposito  occupati,  come  il  Silingardi  in  addietro,  e  re- 
centemente Giuseppe  e  Guido  Manacorda  (4). 


(i)  duesta  lettera  fu  pubblicata  per  la  prima  volta  dal  Soli  Muratori,  op.  cit., 
p.  337,  colla  risposta  cortese  del  re,  17  aprile  1723  (p.  338). 

(2)  Il  suo  lavoro  Della  fondazione  degli  studi  generali  a  Torino  nel  ip^y 
fu  pubblicato  da  S.  Struppa,  Palermo,  Gianni  Trapani,  1901. 

(3)  Bisogna  tener  presente  alla  mente,  nel  discorrere  di  queste  cose,  che  la 
protezione  imperiale,  sotto  dei  cui  auspici  la  Raccolta  si  stampava  in  Milano,  non 
mancava  di  dare  a  quell'opera  un  certo  carattere  politico,  che  potea  appena  essere 
attenuato,  ma  non  certo  distrutto,  dalle  insistenti  dichiarazioni  del  Muratori.  Né 
si  dimentichi  che  anche  la  questione  di  Comacchio,  alla  quale  il  bibliotecario  di 
Modena  aveva  partecipato,  mettendo  la  sua  erudizione  in  servizio  degli  Estensi  e 
dell'  impero,  contro  la  Santa  Sede,  poteva  far  pensare  a  taluno  che  dai  lavori 
del  Muratori  la  politica  non  avesse  fatto  pieno  ed  intero  divorzio. 

(4)  La  corte  piemontese  e  le  ricerche  storiche  di  L.  A.  Muratori  in  Piemonte^ 
in  Atti  della  R.  Accademia  di  Torino,  XXXV,  p.  360  sgg.  Nel  gennaio  1721  il  Mu- 
ratori, fece  i  primi  passi  per  avere  materiali  piemontesi  da  arricchire  la  sua  Raccolta. 
I  Manacorda  pubblicarono  per  la  prima  volta  la  citata  lettera  del  Muratori  al  re  di 
Sardegna,  in  datata  18  dett.  1727,  togliendola  dalla  biblioteca  civica  di  Torino^ 


BIBLIOGRAFIA  429 

Il  Muratori  non  dimenticava  la  Sicilia,  e  ad  A.  Pantò,  di  Palermo, 
■sì  raccomandava  per  la  raccolta  delle  Cronache  Arabe  di  G.  B.  Caruso 
^n.  2249),  e  siccome  dell'illustre  storico  ed  orientalista  siciliano  egli  facea 
grande  stima,  così  molto  si  addolorò  quando  ne  avvenne  la  morte 
(n.  2384). 

I  lavori  del  Simonsfeld  richiamarono  negli  ultimi  anni  l'attenzione 
sulla  così  detta  Cronaca  di  Giordano  (Fr.  Paolino,  vescovo  di  Pozzuoli). 
Anche  di  questa  il  Muratori  si  interessava,  intendendo  di  pubblicarla 
fra  le  Aniiquitaies  (nn.  3205,  3267),  quando  ne  avesse  potuto  avere  un 
buon  testo. 

Pubblicando  le  opere  storiche  di  A.  Mussato,  aveva  stampato  anche 
"  un  certo  pezzo  di  storia  delle  Famiglie  Padovane,  che  è  presso  di  me 
"  manoscritto  e  si  trova  ancora  costà  (=  Padova),  con  poco  onore  di 
"  quella  famiglia  „.  Poi  se  ne  dolse  dubitando  che  quella  famiglia  esi- 
stesse ancora.  Ma  il  Vallisnieri  l'assicurò  che  trattavasi  soltanto  di  iden- 
tità di  cognome,  mentre  la  famiglia  dello  storico  era  ormai  estinta 
(nn.  2684,  2693).  Assai  piìi  interessanti  sono  le  lettere  in  cui  parla  delle 
edizioni  del  Ferrato.  Scrive  al  Sassi  (20  agosto  1722,  n.  21 19):  "  Oh, 
"  non  posso  spiegarle,  quanto  cominci  a  pesarmi  il  correggere  copie  e  i 
"  testi  ancora,  che  talora  son  pieni  di  tanti  spropositi,  che  non  se  ne  può 
"  trar  i  piedi.  Lo  pruovo  adesso  per  la  storia  di  Ferretto  Vicentino, 
"  bellissima,  ma  affatto  rovinata  da'  copisti,  né  due  copie  mandatemi,  han 
"  giovato  a  me  per  farne  fare  una  buona  „.  Il  testo  muratoriano  dipende 
essenzialmente  da'  manoscritti  meno  antichi  conservati  ora  nella  biblio- 
teca comunale  di  Vicenza  (i).  Più  tardi  (17  dicembre  1726,  n.  2551)  scri- 
vendo al  Sassi  sul  contenuto  della  Historia  del  Ferreto  dichiara:  "  Ve- 
"  ramente  il  Ferretto  è  una  mala  lingua  e  propone  di  correggere  la  maldi- 
"  cenza  con  una  nota  „.  A  questo  proposito  si  può  richiamare  una  lettera 
a  Pier  Paolo  Ginanni  (18  maggio  1731,  n.  3019),  al  quale  il  Muratori 
comunica  che,  su  domanda  del  generale  dei  Predicatori,  mandò  le  no- 
tizie necessarie  al  processo  per  la  santificazione  di  Benedetto  XI.  "  Gli 
"  ho  mandato  „  dice  "  le  testimonianze  di  Almerico  Augerio,  franzese,  che 
"  scrisse  le  vite  dei  papi  circa  il  1360  e  del  Polistore  abbate  di  S.  Bor- 


e  l'accompagnarono  con  altra,  13  giugno  1735,  pure  del  Muratori,  diretta,  a  quanto 
sembra,  al  marchese  d'Orniey,  dalla  quale  apparice  che  anche  stava  aspettando 
documenti  piemontesi.  Mi  piace  rilevare  le  utili  informazioni  che  i  Manacorda 
danno  (11,  367  e  369),  rispetto  alle  relazioni  tra  il  Muratori  e  Scipione  Maffei. 
(i)  Il  Muratori  ebbe  sentore  dell'esistenza  di  un  codice  a  Roma.  Si  rivolse 
quindi  ad  A.  I.  Trivulzio  (28  agosto  1725,  n.  2382),  perchè  si  procurasse  l'inizio 
e  la  fine  di  quel  testo,  allo  scopo  di  verificare  se  stesse  in  armonia  colla  copia 
che  della  Historia  del  Ferreto  egli  già  possedeva.  Probabilmente  egli  allude  ad 
un  cod  vat.  ottoboniano  (n.  1877),  di  cui  gli  aveva  dato  cenno  Apostolo  Zeno 
{Lettere  I,  53,  n.  34),  fino  dal  1791.  Non  risulta  ch'egli  conoscesse  il  cod. 
^at.  4921,  del  sec.  XIV. 


43©  BIBLIOGRAFIA 

"  tolo  di  Ferrara,  che  fiorì  nei  medesimo  tempo,  ambe  presso  di  me  ma- 
"  noscritte  „.  Spera  che  la  Sacca  Congregazione  inscriva  quel  papa  nel 
catalogo  dei  santi.  E  ciò  realmente  fu  fatto. 

Continua  è  la  corrispondenza  col  Sassi,  che  al  Muratori  giovava  spe- 
cialmente per  i  manoscritti  dell'Ambrosiana  (nn.  2027,  2029,  2035,  ecc.)(i); 
uno  degli  argomenti  per  i  quali  il  Muratori  ricorreva  particolarmente 
al  Sassi  era  fornito  dalle  vite  dei  papi  (cf  nn.  2043,  2135,  2177,  2340). 
Gli  confidava  le  sue  incertezze  su  Landolfo  Seniore  e  suU'  Infessura,. 
autori  che  si  potevano  pubblicare  in  fine,  senza  nome  d'editore,  perchè, 
se  anche  fossero  stati  proibiti,  l'opera  rimanesse  illesa  (12  marzo  1722, 
n.  2064).  In  altra  occasione  (17  dicembre  1726)  gli  propose  di  omet- 
tere, nella  stampa  dell' Infessura,  "  quello  che  è  pili  scandaloso,  e  che 
"  fa  nausea,  avvertendo  con  una  nota  i  lettori  del  taglio  fatto  „  (2).  È  il 
Sassi  che  tratta  coli' Inquisitore  la  questione  d&W imprimatur  prima  che 
la  stampa  si  inizi,  poiché  al  Muratori  non  gradirebbe  che  i  manoscritti 
andassero  a  Roma  (26  febbraio  1722,  n.  2047).  Mentre  il  Muratori  ma- 
nifesta poi  al  Sassi  il  suo  contento,  udendo  che  il  papa  vede  volontieri 
la  Raccolta,  teme  di  ciò  che  potrebbe  avvenire  con  altro  papa  (n.  2140)» 
Ma  ecco  sopravvenire  difficoltà  d'  altro  genere.  L' imperatore  favoriva 
l'impresa  (n.  2061,  2065);  e  siccome  in  alcune  vite  dei  papi  si  parlava 
della  superiorità  di  questi  "  in  temporalibus  „,  così  temeansi  fastidi  da 
parte  dell'autorità  civile.  Muratori  proponeva  vari  mezzi  per  sopprimere 
le  parole  del  testo,  fino  a  lasciar  tacitamente  intendere  che  mancassero 
nei  manoscritti  adoperati  (n.  2168).  Il  Sassi  avrebbe  fatto  una  nota 
"  per  scusa  „  alla  vita  di  Gregorio  VII  (n.  2176).  Ma  soprattutto  temevasi 
di  Roma,  e  al  Muratori  già  pareva  udire  i  "  grandi  striUi  di  Roma  „ 
appena  principiata  la  pubblicazione  (n.  2209;  cfr.  2236,  2239).  Il  Muratori 
sa  che  il  Chronicon  Farfense  dolse  "  ai  politici  romani  „  (n.  2681),  ma 
non  vuol  celare  "  la  verità  per  timore  o  riguardo  d'alcuno  „.  Del  resto 
egli  si  compiace  pensando  d'avere  buoni  protettori  a  Roma,  com'è  il  car- 
dinale Goti  (n.  2732).  E  da  Roma  infatti  nessuna  opposizione  venne;  né 
Landolfo,  né  l' Infessura  destarono  quegli  "  strilli  „  di  cui  il  Muratori  si 
preoccupava. 

Altre  difficoltà  di  specie  differente  sorgevano  a  Milano.  Il  Sassi  si 
disgustò  nel  1722  coi  "  signori  „  della  Società  Palatina;  ma  poi  alla 
burrasca  segui  la  bonaccia  (nn.  2088,  2096).  Un  temporale  più  grosso 
scoppiò  nella  state  del  1725,  quando  il  Muratori  si  adontò  perché  dubi- 
tava che  il  Sassi  avesse  dispensato  una  o  piii  copie  degli  Anecdota 
giacenti  all'Ambrosiana,  senza  il  suo  consenso  (nn.  2365,  2367).  Si  trovò 
modo  di  accomodare  anche  questa  faccenda.  Subito  dopo,  una  prefazione 
del  Sassi   esacerbò    il    Muratori,    e  qui  la  questione  fu  un  po'  acuta,  e 


(i)  Notevole,  fra  gli  altri,  è  il  n.  2365  che  si  riferisce  all'ediz.  della  Cronaca 
del  Morena. 

(3)  Cfr.  per  l'Infessura  anche  il  n.  2568. 


BIBLIOGRAFIA  43 1 

convenne  metter  di  mezzo  il  marchese  Alessandro  Teodoro  Trivulzio. 
Il  Muratori  era  già  di  cattivo  umore,  perchè  i  giornali  letterari  di  Ve- 
nezia e  di  Lipsia  andavano  propalando  ch'egli  non  "  era  il  principale 
in  questa  società,  „  ma  soltanto  una  persona  al  servizio  dei  "  signori  „ 
di  Milano  (i).  Ma  il  Muratori,  sempre  d'animo  generoso,  se  anche  tal- 
volta un  tantino  vivace,  finì  per  rabbonirsi,  e  la  questione  ebbe  ottimo 
termine  (nn.  2370,  2373,  23804,  2376).  Il  Sassi  finì  per  riconoscere  di 
non  poter  disporre  liberamente  d'  un'  opera  che  portava  il  nome  del 
Muratori  (n.  2390).  Né  gravi  furono  i  dissapori  coll'Argelati  (nn.  2109^ 
21 15,  2373,  2390).  Il  Muratori  era  geloso  dell'opera  sua,  e  voleva  che 
ben  si  sapesse  eh'  essa  era  veramente  ed  unicamente  sua. 

La  corte  di  Vienna  favoriva  costantemente  l' impresa  (n.  2324),  e 
non  solo  a  parole.  Infatti  Carlo  VI  approfittando  di  un  viaggio  del 
p.  Pauli  in  Italia,  lo  incaricò  {1726)  di  recare  al  Muratori  la  collana  colla 
medaglia  d'oro  (nn.  2508-09,  2512,  2514,  2518).  L'occasione  del  dono  fu 
(dice  il  nepote,  p.  85)  la  dedica  che  L.  Muratori  fece  all'  imperatore  del 
suo  Trattato  sulla  carità  cristiana.  La  causa  vera  di  tale  regalo  e  di 
tale  onore  sta  nelle  relazioni  di  continua  e  sicura  amicizia. 

Dalle  lettere  può  seguirsi,  mese  per  mese,  il  progresso  della 
stampa  (2),  che   si  faceva  nel  palazzo  ducale  di  Milano. 

Il  Muratori  se  ne  interessava,  talvolta  anche  per  rispetto  allo  smercio. 

Egli  discuteva  coi  suoi  collaboratori  riguardo  al  metodo  da  tenersi 
nella  edizione  dei  testi,  e  all'  ampiezza  delle  note.  Alcuni  si  erano  la- 
mentati che  queste  erano  talvolta  troppo  ampie,  ed  egli  riconosceva 
che  quelle  dell'Oslo  al  Mussato  erano  "  spropositatamente  prolisse  „ 
(n.  2266),  eppure  era  inevitabile  riprodurle.  Ma  al  Malaspina  raccoman- 
dava di  andar  guardingo  nelle  note  (nn.  2261,  2401,  2583),  anzi  lo  eso- 
nerava senz'altro  da  quell'officio  (3).  Passando  il  tempo,  accrescendosi 
il  numero  dei  volumi,  cessò,  o  quasi,  di  raccoglier  nuove  cronache  (nn.2770^ 
2779,  3173.  3195).  Fino  dal  1725  trovava  che  questo  era  lavoro  gravoso. 
A  P.  Canneti,  che  stava  a  Forlì,  scrisse  (12  ottobre  1725,  n.  2395),  che  grande 
era  la  sua  preoccupazione:  "  tutto  dì  cercare  di  distaccare  manoscritti^ 
"  rivedere  e  correggere  que'  che  s' hanno  a  pubblicare,  prefazioni  e  mille 
"  altre  cure  „.  E  quindi  non  è  meravigliare  se  più  volte  dichiarasse  di 


(i)  Il  7  agosto  1727  (n.  2630)  scrive  a  Fr.  Muselli,  canonico  a  Verona,  la- 
gnandosi perchè  Scipione  Maffei  nella  Diplomatica  lo  avesse  trattato  «  con  qual- 
«  che  amarezza  »  rispetto  ai  Ritmìj  e  anche  perchè  lo  appellasse  soltanto  «  prin- 
«  cipal  racoglitore  Rerum  Italicorum,  quando  io  non  so  d'aver  compagni  in  tale 
«  faccenda  ». 

{2)  Il  primo  volume  degli  Scriptores  apparve  nel  1723  :  ved.  Soli-Mura- 
tori, op.  cit.,  p.  225. 

(3)  A.  G.  D.  Mansi  che  preparava  le  note  alla  vita  di  Castracelo  del  Te- 
grini,  raccomanda  sobrietà,  trattandosi  di  uno  scrittore  di  epoca  tarda  (26  set- 
tembre 1727,  n.  2615). 


432 


BIBLIOGRAFIA 


-desiderare  di  metter  termine  alla  Raccolta  (9  marzo  1731,  n.  3005;  27  no- 
vembre 1733,  n.  3331)  (i). 

L'ansietà  in  cui  il  Muratori  si  trovava  nel  1733  in  seguito  allo  scoppio 
della  guerra  per  la  successione  polacca  (n.  3331)  non  fu  la  sola  causa  per 
cui  egli  vivamente  desiderava  di  porre  un  termine  ad  un'opera,  pre- 
parata e  stampata  con  incredibile  rapidità.  Molto  spesso  si  lagna  del- 
l'indebolita salute;  a  rimedio  de'  mali  si  recava  due  volte  all'anno  in 
campagna  nella  primavera  e  nell'autunno.  Tuttavia  gravi  malattie  in 
questo  periodo  di  tempo  non  sofferse.  E  quando  si  lamenta  della  me- 
moria che  gli  diminuiva  (nn.  2973,  3143),  le  sue  parole  si  devono  in- 
tendere con  molta  discrezione.  Tutta  la  sua  operosità  scientifica  dimostra 
quanta  in  lui  fosse  la  forza  del  ritenere.  Le  politiche  vicende  non  lo 
lasciavano  indifferente  ;  soprattutto  quando  a  avesse  paventarne  inco- 
modo agli  studi,  ne  parla.  Teme,  addì  i  giugno  1730  (n-  2924),  che  la 
prossima  guerra  non  rechi  danno  all'  Italia  e  "  specialmente  „  alle  let- 
tere. Più  tardi,  quando  ormai  i  cannoni  rombano,  egli  si  augura  che 
da  Trento  discendano  truppe  a  difesa  di  Mantova  (11  novembre  1733, 
n.  3327),  e  si. duole    della    "  povera    Lombardia    „    (26   dicembre    1733, 

n-  3337)- 

A  fargli  desiderare  la  fine  della  stampa  degli  ScriptoreSy  oltre  ai 
motivi  suddetti,  s'  aggiungevano  i  nuovi  disegni  e  i  nuovi  lavori,  che  or- 
mai tutta  occupavano  la  sua  mente.  Nei  volumi  precedenti  ^e\V Episto- 
lario abbiamo  veduto  come  il  Muratori  sino  dai  suoi  giovani  anni  fosse 
venuto  mettendo  insieme  una  messe  ricchissima  di  documenti.  Allora 
viaggiava  parecchio,  e  a  ciò  che  gli  amici  gli  comunicavano  egli  potea 
aggiungere  quello  che  trascriveva  di  sua  mano.  Nel  periodo  al  quale 
siamo  giunti,  mentre  si  preoccupa  di  morir  presto  (n.  3314),  egli  sente 
che  l'età  e  la  salute  gli  tolgono  ormai  la  possibilità  dei  viaggi  (n.  3030). 
Egli  è  quindi  obbligato  a  ricorrere  continuamente  ai  suoi  numerosi, 
abili,  e  volonterosi  corrispondenti. 

Scorrendo  questi  due  volumi  òeXV Epistolario  assistiamo  al  formarsi 
della  grande  opera  delle  Antiquitates,  nella  quale,  in  72  dissertazioni,  si 
trattano  tanti  aspetti  della  vita  religiosa,  civile,  pubblica  e  privata  degli 
italiani.  11  Muratori  è  sempre  alla  caccia  di  carte  (2),  poiché  quest'opera 
è  condotta  quasi  unicamente  sopra  i  documenti,  sopra  le  iscrizioni,  sopra 
le  monete.  Quando  il  canonico  Silva,  milanese,  pensava  a  stampare  di- 


(i)  Già  nella  lettera  2  ottobre  1728  (n.  2770)  dice  che,  mentre  dapprima 
era  stato  avidissimo  di  cronache,  ora  era  lento  nell'accettarle.  Accoglie  una  cro- 
naca Anconitana,  ma  soggiunge:  «  incomincio  ad  essere  stanco  della  Raccolta  ». 

(2)  In  una  lettera  a  V.  Vecchi  (n.  2063,  27  marzo  1722)  gli  parla  di  «  ro- 
«  toli  »  «  originali  »,  e  aggiunge  :  «  avremo  persona  che  saprà  leggerli,  senza  i 
«biglietti  nascosi  ».  Credo  che  con  queste  ultime  parole  alluda  ai  regesti  dei  do- 
cumenti, che  si  usavano  scrivere  sopra  biglietti,  i  quali  venivano  posti  dentro  nel 
rotolo  originale. 


BIBLIOGRAFIA  433 

plomi,  egli  gli  suggerisce  di  ristampare  i  documenti,  "  ch'io  ricevei  da 
"  Bobbio,  „  e  lo  esorta  ad  ispezionare  vari  archivi.  Pare  che  il  Mu- 
ratori allora  pensasse  ad  un  lavoro  collettivo.  Più  tardi  (20  aprile  1723, 
n.  2171)  si  ferma  al  pensiero  di  pubblicare  egli  stesso  un  volume  di  do- 
cumenti, anzi  (27  maggio  1723,  n.  2179;  cfr.  nn.  26^7)  di  dissertazioni 
contenenti  documenti.  Non  dismise  il  pensiero  di  far  ricerche  neir  ar- 
chivio capitolare  di  Verona,  dove,  per  non  dar  nell'occhio,  manderà 
un  suo  sostituto  (3  agosto  1724,  n.  2267).  Con  queste  reiterate  ricerche 
la  materia  cresceva  tra  le  mani  del  Muratori.  U  unico  tomo  di  docu- 
menti minaccia  di  raddoppiarsi  (12  ottobre  1725,  n.  2395,  cfr.  n.  2574, 
2597).  Cerca  nuovi  atti  da  Genova  (io  novembre  1725,  n,  2407),  e  da 
San  Marino  (11  novembre,  n.  2408).  Da  Bologna,  G.  Bianconi  gli  co- 
munica gli  atti  della  Lega  lombarda  (nn.  2451,  2588),  che  costituiscono 
uno  dei  più  bei  ornamenti  delle  Antiquitates.  Carte  attende  da  Verona, 
dove  lavorano  per  lui  F.  Muselli  e  B.  Campagnola,  ai  quali  si  racco- 
manda per  il  testo  di  un  Penitenziale,  che  crede  di  aver  già  trovato  in 
un  manoscritto  di  Bobbio  (21  marzo  1726,  n.  2457).  Ad  A.  Scotti,  di 
Venezia,  chiede  documenti,  compreso  un  diploma  di  Cangrande  della 
Scala,  1329  (12  luglio  1726,  n.  2496).  Desidera  documenti  piemontesi 
(n.  2573,  20  febbraio  1727).  Nel  mentre  apparecchiava  le  dissertazioni, 
gli  si  presenta  alla  mente  la  questione  sull'origine  della  lingua  (n.  3340), 
e  chiede  in  proposito  consigli  al  Benvoglienti  (nn.  2532, 2574)  (i).  E  della 
lingua  infatti  le  Antiquitates  si  occupano  ampiamente. 

A  ciò  si  collega  la  questione  sui  ritmi  medievali  (destinata  a  spe- 
ciale trattazione,  nella  disquisizione  sulla  origine  della  lingua  italiana) 
sulla  quale  il  Maflfei  lo  combattè  alquanto  nella  Diplomatica  (n.  2630). 
Si  fece  venire  la  copia  del  ritmo  intorno  a  Verona,  che  formava  oggetto 
di  controversia,  e  ciò  a  mezzo  del  Campagnola  (nn.  2664, 2754).  Scontento 
del  Maffei  per  questo  motivo,  gli  viene  il  dubbio  che  da  lui  siano  ve- 
nuti gli  ostacoli,  che  trovò  nelle  sue  ricerche  in  Verona,  e  conchiude: 
"  bisogna  camminar  con  riguardo  rispetto  a  lui  „.  Ma  ciò  non  ostante 
rifiutasi,  con  bel  garbo,  di  stampare  un  viglietto  del  Muselli  contro  il 
Maffei.  Si  propone  di  difendersi  rispetto  al  ritmo,  ma  vuol  conservarsi 
amico  del  veronese  e  non  apparire  doppio  con  lui  (n.  2722).  E  final- 
mente assai  sì  rallegra  dell'accordo  ristabilito  tra  il  Maff"ei  e  il  Capi- 
tolo di  Verona  (3  marzo  1729,  n.  2810).  Sicché,  più  tardi,  con  ogni  cor- 
tesia riiigraziò  il  Maffei,  allorché  questi  gli  regalò  la  Verona  Illustrata 
(nn.  3160,  3181)  ;  né  meno  cortese  e  grato  si  dimostrò  verso  Giuseppe 
Bianchini,  dal  quale  avea  avuto  la  Enarratio  Pseudo-Athanasiana  in 
Symbolum  (n.  3165). 

Venuto  a  notizia  del  codice  di  Bernardo  Trevisano,  racchiudente 
le  copie  di  documenti  veneziani  antichissimi,  desidera  averne  copia 
•^n.  2669).  Per  conoscere  le  antiche  condizioni  dei  canonici,  e   parlarne 

(i)  In  quest'ultima  lettera  esprime  l'opinione  che  la  lingua  italiana  si  costi- 
Ttuisse  al  tempo  della  dominazione  longobarda, 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  Vili.  a8 


434  BIBLIOGRAFIA 

nelle  dissertazioni,  rivolgeasì  a  monsignor  G.  A.  Scalabrini  (n.  282o)^ 
Ancorché  a  lavoro  finito  non  desiderasse  nuovo  materiale,  tranne  il 
caso  di  documenti  veramente  antichi  e  preziosi,  tuttavìa  ancora  nel  prin- 
cipio del  1733  (n.  3216)  ringraziava  il  p.  G.  Grandi,  per  un  atto  che  gli 
aveva  trasmesso  da  Pisa,  nel  mentre  secolui  si  condoleva,  perchè  a  quel-^ 
l'erudito  era  stato  chiuso  l'Archivio,  per  il  motivo  che  aveva  "  rimesse 
"  a  suo  luogo  Tossa  slegate  di  cotesti  antichi  vescovi  „.  Così  andavano 
formandosi  le  Antiquitates  Italiae  medii  aevi  (n.  3148;  cfr.  n.  3153),  che 
diede  a  copiare  nella  primavera  del  1732  (n.  3140).  Il  nipote  Soli-Mu- 
ratori, che  assistette  meravigliando  alla  facilità  grandissima  con  cui  lo 
zio  compose,  quasi  ad  un  tempo,  le  72  dissertazioni,  ci  descrive  (pp.  168- 
169)  il  metodo  seguito  nella  compilazione,  possibile  solo  ad  un  uomo  for- 
nito di  straordinaria  memoria,  per  cui  non  avea  bisogno  di  abbozzi,  ma 
scriveva  con  quella  stessa  disinvoltura,  che  altri  appena  dimostra  nel 
copiare.  Il  Muratori  come  sapeva  di  rendere  onore  all'ItaHa  (n.  2055) 
colla  raccolta  degli  Scriptores^  così  pure  aveva  piena  coscienza  del  va- 
lore delle  Antiquitates,  e  addì  io  ottobre  1733  (n.  3189)  scriveva:  "  Ho 
"  anche  fatto  de'  miracoli  a  poter  adunare  tanta  copia  di  antichi  docu- 
"  menti,  che  darò  nell'opera  che  ho  per  le  mani  „.  Ora  non  potrebbe 
più  averne  tanti,  giacché  la  verità  fa  paura  a  molti,  e  da  molti  è  per- 
seguitata, specialmente  in  Italia.  Così  egli  si  v^  lamentando,  perché  teme 
dei  sospetti  e  della  gelosia  altrui;  e  forse  teme  anche  più  di  quanto  sia 
grande  il  pericolo. 

Alle  dissertazioni  si  riferiscono  anche  i  suoi  studi  sulle  monete 
(n.  3167).  In  molte  lettere  troviamo  le  tracce  delle  ricerche  ch'egli  fece 
dovunque  in  Italia,  per  avere  disegni  di  monete  e  di  sigilli.  Dal  Mu- 
schi spera  monete  di  Verona  (nn.  2754,  2827,  2836,  2839,  2844),  ^^l  Ben- 
voglienti,  monete  dei  re  Longobardi  (n.  2765)  e  di  Siena  (n.  2832).  Ebbe 
monete  da  Ferrara  (n.  2783),  cerca  quelle  di  Venezia  (n.  2784)  e  di  Pia- 
cenza (n.  2781);  al  Malaspina  (n.  2795;  cfr.  2817)  chiede  monete  del  Pie- 
monte, del  Monferrato  e  di  Genova:  "  Io  non  m'attento  „,  soggiunge, 
"  a  scrivere  a  Genova,  perché  que'  repubblicani  sono  intrattabili  e  so- 
"  spetterebbero  subito  qualche  mistero  di  pohtica  „.  Dall'Ansi  attende 
monete  cremonesi  (nn.  2823,  2826),  e  al  p.  Montagioli  chiede  se  gli  ab- 
bati Cassinesi  battessero  moneta  (n.  294.1).  Al  Canneti  ricorre  per  le 
monete  di  Cesena,  Faenza  e  Forlì  (n.  2947).  Desidera  monete  di  Ra- 
venna e  dei  Polentani  (n.  2968).  F.  Camerini  gli  comunicò  notizie  sulla 
numismatica  di  Ascoli  e  Fermo,  e  su  antichità  romane  (n.  2982);  onde 
a  lui  si  rivolse  anche  per  le  monete  del  ducato  di  Spoleto  (n.  3293). 

L'immane  lavoro  di  cui  abbiamo  parlato,  non  allontana  il  Muratori 
da  altre  indagini.  Abbiamo  già  visto,  parlando  dei  precedenti  tomi  del- 
V Epistolario,  com'egli  da  lungo  tempo  meditasse  il  Novus  Thesaurus 
Inscriptionùm.  Non  ne  abbandonò  mai  il  pensiero  (n.  2398).  Man  mano 
che  nei  volumi  degli  Scriptores  smaltiva  i  suoi  materiali,  e  mentre  pro- 
cedeva innanzi  spedita  la  composizione  delle  Antiquitates,  riprendeva 
la  caccia  alle  iscrizioni  antiche,  e  si  rivolgea   quindi  con   frequenza  ai 


BIBLIOGRAFIA  435 

corrispondenti  (n.  2961)  (i),  purché  i  testi  fossero  anteriori  al  Mille 
(n.  3034)-  Ne  attendeva  da  Pistoia  (n.  2946,  4  agosto  1730),  da  Fano 
(n.  3044),  da  Gubbio  (n.  3056),  da  Falerna  (n.  3059),  da  Cassino  (nn.  3068 
3075).  N'eSbe  da  Nardo  (n.  3109),  da  Treviso  (n.  3119),  da  Bergamo 
(n-  3135);  da  Camerino  (nn.  3268,  3283,  3301).  Ne  attendeva  dallo  Scotti 
(n.  3256). 

Poco  mancò  che  la  raccolta  delle  iscrizioni  quasi  fornisse  causa  ad 
un  nuovo  leggero  attrito  col  Maffei.  Tuttavia  tutto  finì  coli*  accordo 
scambievole.  Il  7  settembre  1732  (n.  3173)  il  Muratori  annunciava  ad 
A.  F.  Gori,  che  il  Maffei  gli  aveva  comunicato  il  proposito  di  raccogliere 
le  iscrizioni  antiche,  e  che  a  tal  fine  intendeva  intraprendere  un  viaggio 
in  Francia,  Inghilterra,  Olanda,  Germania.  Soggiunge,  riconoscendo  il 
merito  del  Maffei:  "  Egli  è  ottimo  per  sì  gran  disegni  „.  Quanto  a  sé, 
mentre  si  vede  intralciato  nel  suo  lavoro,  attende  a  chieder  consigli  dal 
tempo  (cfr.  3187).  Poco  appresso  annuncia,  14  ottobre,  n.  3190,  a 
G.  G.  Zamboni,  in  Londra,  che  il  Maffei  era  in  viaggio  per  le  iscrizioni. 
Scrivendo  a  F.  Brembati,  di  Bergamo,  si  esprime  in  forma  tale  che  dalle 
sue  parole  traspare  il  desiderio  che  il  suo  corrispondente  non  faccia 
parte  al  Maffei  delle  iscrizioni  da  lui  raccolte  (18  dicembre  1732,  n.  3211)  ; 
e  più  tardi  si  mostra  seccato  perché  il  canonico  (Giuseppe)  Bianchini 
abbia  regalato  al  Maffei  le  iscrizioni  raccolte  da  suo  zio  (Francesco),  e 
quasi  si  compiace  vedendo  che  il  Maffei  faccia  di  volo  i  suoi  viaggi 
col  pericolo  di  lasciare  indietro  abbondante  materiale  (al  Brembati,.  15 
gennaio  1733,  n.  3219).  È  facile  credere  che  se  il  Maffei  avesse  avuto 
modo  di  compiere  egli  il  Thesaurus,  ne  sarebbe  venuta  fuori  un'  opera 
assai  migliore  che  quella  del  Muratori  non  sia;  ma  i  rigorosi  criteri 
scientifici  coi  quali  il  Maffei  intendeva  l'epigrafia,  rendevano  impossibile 
l'esecuzione  di  un'opera  di  così  vasta  comprensione.  Noi  che  assistiamo 
alla  pubblicazione  del  Corpus  Inscripiionum  Latinarum  da  parte  dell'Ac- 
cademia di  Berlino  possiamo  ben  comprendere  la  grandiosità  gigantesca 
di  tale  impresa. 

Torniamo  alle  relazioni  tra  il  Maffei  e  il  Muratori.  Veri  disgusti  col 
Maffei,  il  Muratori  non  ebbe  mai,  e  il  dotto  veronese  nel  1749  nella  pre-^ 
fazione  al  Museum  Veronense  difese  il  Muratori  dall'accusa  d'aver  la- 
sciato correre  parecchi  errori  nel  suo  Novus  Thesaurus.  Ciòfece  notare 
con  compiacenza  il  Soli-Muratori  {Vita,  p.  105).  E  quando  il  Muratori^ 
prossimo  ormai  alla  morte,  perdette  l'uso  degli  occhi,  il  Maffei  gli  scrisse 
una  splendida  lettera,  che  Soli-Muratori  riferisce  (p.  205),  e  nella  quale 
sì  leggono,  fra  le  altre,  queste  generose  parole:  "  Noi  due  siamo  stati 
"  conformi  affatto  in  più  opinioni  importanti:  siamo  anche  stati  dis- 
"  senzienti  in  più  altre;  ma  questo  non  ha  impedito  mai  ch'io  non  vi 
"  abbia  riputato  sempre  il  primo  onore  dell'Italia  „  (Verona,  15  gennaio 


(i)  Nel  n.  2976  (cfr.  n.  2979)  dice:  «  non  manco  io  oggi  di  cercare  dap- 
I       a  pertutto  gli  avanzi  delle  antichità  romane  ». 


436  BIBLIOGRAFIA 

1750)'  Pochi  giorni  dopo  il  Muratori  rispose  degnamente,  20  gennaio, 
e  il  23  del  mese  stesso  moriva  (i). 

Nel  periodo  cui  si  riferisce  il  to.  VI  dé[V Epistolario  cade  la  pub- 
blicazione di  un'altra  opera  del  Muratori,  cioè  del  Trattato  della  carità 
cristiana,  contro  di  cui,  a  detta  di  Soli-Muratori,  op.  cit.,  p.  50,  si  mostrò 
avverso  il  Fontanini,  allorché  il  manoscritto  era  in  Roma,  sotto  Tesarne 
del  maestro  del  Sacro  Palazzo.  Il  Muratori  volle  dedicare  il  suo  libro 
all'imperatore,  e  per  ottenerne  il  consenso,  si  rivolse  ad  Apostolo  Zeno, 
in  Vienna  (3  aprile  1723,  n.  2165;  cfr.  2202,  al  co.  A.  di  Collalto)  (2). 
Parlando  di  questo  suo  libro,  in  una  lettera  a  G.  Riva,  in  Londra  (26 
ottobre  1723,  n.  2209),  dice  di  avervi  "  con  grande  franchezza  trattato 
"  questioni  delicate  „,  e  si  aspetta  gU  assalti  del  Fontanini,  ancorché 
l'opera  esca  coU'approvazìone  ecclesiastica.  Le  opposizioni  temute  non 
vennero,  che  anzi  il  trattato  piacque  e  ottenne  lodi  (n.  2253). 

Il  Muratori  non  si  limitava  a  scrivere  intorno  alla  carità,  ma  sapea 
praticarla.  AU'abb.  Malaspina  confessava  di  non  aver  denari,  ma  debiti, 
essendo  costretto  quindi  a  vivere  "  da  pover  uomo  „.  Ma  assai  avea 
speso  per  la  rifabbrica  della  sua  chiesa,  ed  ora  molto  gli  costava  la 
Compagnia  della  Carità,  ch'egli  aveva  istituito  (16  aprile  1722,  n.  2068) 
presso  la  chiesa  della  Pomposa,  nel  1722  (3).  Nel  marzo  1727  mandò 
al  canonico  Francesco  Muselli,  in  Verona,  V  "  invito  „  (specie  di  sta- 
tuto) di  detta  Compagnia,  eh'  egli  dice  aver  fondato  per  combattere 
"  le  insopportabili  usure  de'  giudei,  che  pigliano  il  18  e  il  20  per  cento  „ 
(20  marzo  1727,  n.  2584),  e  lo  esortava  a  seguire  la  buona  ispirazione 
avuta  di  fondare  alcun  che  di  somigliante  in  Verona  (n.  2594).  La  Com- 
pagnia dava  molto  da  fare  al  Muratori  (n.  3177).  Né  contento  di  ciò,  egli 
pensava  anche  altrimenti  ai  suoi  poveri  (n.  3221),  e  si  occupava  volen- 
tieri fin  degli  umili  affari  concernenti  un  muratore  "  morto  all'  ultima 
'*  povertà  „  (n.  2915). 

Nelle  lettere  che  il  Muratori  scriveva  nei  suoi  anni  giovanili  si  tro- 
vano talvolta  accenni  a  teatri  e  a  pompe  mondane.  Procedendo  coU'età, 
questi  argomenti  abbandonano  del  tutto  l'Epistolario^  che  invece  ora  si 
fa  frequente  di  pensieri,  e  anche  di  trattazioni  filosofiche  e  religiose. 
Egli  molto  lavorava  nell'esercizio  del  suo  ministero  (4)  ed  era  assiduo 
alle  funzioni  ecclesiastiche  ed  al  confessionale  (n.  2469,  24  aprile  1726). 
Quelle  forze  che  la  scarsa  salute  gli  acconsente,  le  dedica  agH  studi  e 
^1  ministero  (n.  2559).  Imparò  ormai  a  giudicare  del  mondo.  "  Quanto  a 


(i)  Il  Muratori  nel  1726  avea  visto  con  dispiacere  che  il  Maftei  cedesse  al 
Coleti  l'edizione  dei  Concili,  sapendo  quanto  questo  fosse  a  quello  per  dottrina 
inferiore  (6  giugno,  n,  2483). 

(2)  La  dedica  stampata  a  parte  in  capo  all'opera,  colla  data  del  15  novem- 
bre 1723,  viene  qui  riprodotta,  n,  2214. 

<3)  Soli-Muratori,  op.  cit.,  p.  49. 

(4)  Fu  parroco  per  17  anni:  Soli-Muratori,  op.  cit.,  p.  136. 


BIBLIOGRAFIA  437 

"  me  „  scriveva  a  C.  Borromeo  (11  dicembre  1730,  n.  2984),  "  sento  una 
"  anticipata  vecchiaia,  e  mi  truovo  talvolta  stufo  e  stanco  del  mondo,  ma 
"  con  essere  nondimeno  forse  più  degli  altri  attaccato  ad  esso  mondo, 
"  tuttoché  sempre  piià  io  lo  ravvisi  cattivo  „.  Tradusse  i  Salmi,  e  meditò 
intorno  ai  mezzi  che  l'uomo  ha,  in  qualsiasi  condizione  si  trovi,  per  farsi 
santo  (n.  3113).  Venne  il  giorno  in  cui  gli  divenne  grave  officio  quello  di 
attendere  alla  sua  chiesa:  le  processioni,  le  benedizioni  col  Venerabile, 
il  confessionale,  divennero  lavori  troppo  gravi  per  lui;  laonde  si  vide 
costretto  a  cedere  la  chiesa  al  nepote  Soli-Muratori  (cfr.  lettera  del 
13  agosto  1733,  n.  3288).  In  altri  tempi  avea  iniziato  alcune  conferenze 
per  il  clero  della  sua  chiesa,  ma  non  fu  abbastanza  secondato  dai  gio- 
vani (n.  3305).  Di  tali  conferenze,  ch'erano  esercizi  spirituali,  e  dello 
scopo  che,  ciò  facendo,  il  Muratori  si  era  prefisso,  piìi  larghe  notizie 
abbiamo  dal  nipote  che  molto  si  diffonde  a  parlarci  delle  virtù  del  Mura- 
tori, e  specialmente  della  sua  carità  così  spirituale,  come  temporale  (i). 
In  questi  volumi  à&W Epistolario  parlasi  anche  di  filosofia.  Al  Valli- 
snieri  (3  gennaio  1727,  n.  2558)  manifesta  il  dolore  ch'egli  provava  ve- 
dendo indebolirsi  la  religione  in  Francia  (2),  in  Inghilterra,  in  Olanda. 
"  Non  permetta  Iddio,  che  il  male  vada  più  avanti  „.  Non  si  nasconde 
le  difficoltà  ch'egli  trovò  nello  studio  della  filosofia  morale,  specie  nelle 
questioni  sulle  relazioni  tra  l'anima  e  il  corpo.  "  Ma,  per  la  Dio  grazia, 
"  ricorro  sempre  al  Credo  e  qui  starò  saldo  fino  alle  ceneri.  Niuno 
"  arriverà  a  farmi  credere,  ch'io  sia  un  orologio,  che  passeggia  per 
"  Modena,  perchè  conosco  Iddio,  e  chi  mi  ha  dato  questa  potenza,  mi 
"  ha  distinto  dai  bruti,  i  quali  neppur  sappiamo  che  cosa  siano  „.  Già 
meditava  di  scrivere  di  filosofia  morale  (n.  2760).  Se  la  prende  cogli 
inglesi  atei  e  scettici,  e  dice  che  la  causa  di  tanto  male  è  da  cercare 
nella  mala  volontà  associata  all'ingegno  mediocre  (n.  2799).  Lodando 
assai  un  poema  di  Tommaso  Campailla,  si  duole  peraltro  ch'egli  sia 
troppo  pedissequo  della  filosofia  cartesiana  (n.  2918).  Loda  (n.  3184) 
Girolamo  Tartarotti,  allorché  questi  gli  avea  manifestato  il  disegno  di 
scrivere  sulla  origine  e  la  natura  dell'anima,  ma  ritiene  che  soltanto  la 
fede  sciolga  il  problema  dell'anima.  Difende  Aristotele,  che  non  è  quel 
miserabile  che  si  vuol  far  credere,  e  combatte  Cartesio,  che  poi  non  é 
"  quell'angelo  di  luce,  che  molti  si  van  figurando  „  :  aggiunge  alcune 
considerazioni  sul  Locke,  e  conchiude:  "  Però  il  rifugio  mio  é  nel 
"  Credo,  e  col  fanale  della  santa  religione  nostra  e  col  scio  cui  credidt 
"  di  S.  Paolo,  fo  coraggio  a  me  stesso.  Poiché  per  conto  della  filosofia, 
"  ella  sa  dove  nel  secolo  del  1500  fossero  giunti  i  Pomponazzi  e  i  Cre- 
"  monini  „  (n.  3233,  17  marzo  1733).  Sa  mantenersi  umile:  "  Io  quanto 
"  più  m' inoltro  verso  la  vecchiaia,  tanto  più  m'accorgo  di  non  sapere  „ 
(n.  2567).  Al  Brembati  di  Bergamo  raccomandava  perciò,  2  giugno  1729 
(n.  2835)  di  non  voler  leggere  libri  alla  rinfusa,  fossero  o   no,  proibiti; 

(  i)  Soli-Muratori,  op.  cit.,  pp.  46,  44. 
(2)  Cfr.  n.  2759. 


438  BIBLIOGRAFIA 

ma  bisogna,  inculcava,  starsene  airautorìtà  della  Chiesa^  che  non  è  ri- 
gorosa nel  concedere  la  licenza.  S'interessava  all'edizione  delle  antiche 
versioni  Evangeliche,  cui  attendeva  il  Bianchini  (n.  2813;  cfr.  n.  2810), 
e  al  VaUisnieri  (4  febbraio  1727,  n.  2570;  cfr.  n.  2567)  (i)  spiegava  come 
gli  antichi  Padri  dimostrino  Tautorità  dei  Vangeli,  laonde  non  si  deve 
dar  bada  "  a  quegli  sfrenati  inglesi  „. 

Qualche  questione  delicata  viene  toccata  anche  in  questi  volumi 
dtW Epistolario,  dove  si  accenna,  ancorché  raramente,  alla  questione  del 
cosidetto  Voto  sanguinario  (nn.  2859,  2871),  a  proposito  della  Immaco- 
lata Concezione.  Il  Muratori  (che,  secondo  la  testimonianza  del  nipote, 
p.  112,  accettava  la  dottrina  dell'Immacolata  Concezione)  impugnava  il 
Voto  che  si  facea  a  difenderla.  Ma  la  questione  si  fece  ardente  solo  al- 
cuni anni  più  tardi. 

Abbiamo  qualche  cenno  contro  il  Tannucci  (nn.  2793,  2971).  Ricor- 
dasi in  queste  lettere  il  nome  di  Pietro  Giannone.  Avendo  inteso  del 
romore'che  se  ne  facea  a  Napoli,  al  Muratori  venne  desiderio  di  cono- 
scerne la  Storia  (19  aprile  1723,  n.  2169).  Non  riuscito  ad  averla,  pensò  che 
qualche  stampatore  si  sarebbe  invogliato  a  ristamparla  (n.  2183).  Di  ciò 
scriveva  a  C.  Grimaldi,  suo  corrispondente  a  Napoli,  al  quale  raccomandò 
poi  di  inviargli  il  Hbro  per  la  via  di  Venezia,  o  per  quella  di  Livorno, 
schivando  la  posta  di  Roma  (i  ottobre  1723,  n.  2204).  Non  trovo  in 
questi  volumi  dell' Epistolario  alcun  giudizio  intorno  alla  Storia  civile.  Il 
conte  Alberto  Serego,  in  Verona,  possiede  la  prima  edizione  dell'opera, 
con  postille,  tutt'altro  che  favorevoli,  di  Scipione  Maffei  :  tali  postille  si 
arrestano  tuttavia  dopo  non  molte  pagine,  ma  pur  meriterebbero  di  ve- 
dere la  luce.  Si  riferiscono  tutte  a  questioni  storiche,  senza  accenno  a 
dottrine  teologiche  o  filosofiche. 

Varie  questioni  speciali  sono  ex  professo  o  incidentalmente  discusse 
nelle  lettere.  Col  Facciolati  il  Muratori  si  intrattiene  intorno  alle  formule 
delle  iscrizioni  cristiane  (n.  2493),  con  G.  Bianchini  discute  sulla  lettura  dei 
piombi  recanxi  i  nomi  di  S.  Vittoria  e  di  S.  Kiberto  in  Verona  (n.  2663). 
Parla  dell' autorità  del  catalogo  delle  reliquie  pavesi  del  vescovo  S.  Ro- 
dobaldo  (n.  2752),  discute  intorno  alla  pronuncia  del  greco  (n.  3066).  Si 
occupa  del  Ceccarelli,  il  famoso  falsificatore  di  documenti  (n.  3029),  ac- 
cenna all'antico  corso  del  Po  dopo  Ostiglia  e  alle  relative  questioni 
(n.  3024),  si  arrovella  per  dare  l' interpretazione  di  un  passo  di  Ci- 
cerone (n.  2893),  spiega  quale  metodo  egli  preferisca  nell'agiografia 
(nn.  2831,  2941)  (2)  :  non  crede  provato  che  uh  catino  venerato  a  Genova 

(i)  A  quest'ultima  lettera  è  apposta  nella  stampa  la  data  del  27  gennaio  1727. 
Ma  ci  dev'essere  un  errore  nell'anno,  poiché  vi  si  dà  per  morto  recentemente  il 
VaUisnieri,  che  mori  solo  addi  18  gennaio  1730.  La  ritarderemo  quindi  sino  al 
27  gennaio  1730.  Nella  lettera  si  discorre  del  poema  di  T.  Campailla,  cui  si  ri- 
ferisce, come  vedemmo,  la  lettera  n.  2918. 

(2)  In  quest'ultima  lettera  egli  accenna  alle  vite  dei  più  antichi  abbati  di 
Bobbio  scritte  da  Giona. 


BIBLIOGRAFIA  439 

sìa  proprio  quello  adoperato  da  G.  C.  neirultima  cena  (n.  2533);  prende 
interesse  alla  correzione  del  testo  del  Quadriregio  (n.  2251). 

A  F.  Camerini,  di  Camerino,  cui  molto  doveva,  inviò  nel  maggio 
173^  ("•  3029)  il  proprio  ritratto.  Più  tardi  (1^33;  n.  3217)  gradì  il  pro- 
prio ritratto,  assai  rassomigliante,  che  da  Vienna  aveagli  mandato  Giu- 
seppe Riva.  * 

L'amicizia  abbellisce  tutti  i  volumi  àéiV Epistolario.  Il  Muratori  aveva 
un  animo  profondamente  buono,  né  de*  benefizi  ricevuti  sapea  scordarsi 
giammai.  Appena  contro  il  Fontanini  troviamo  qualche  frecciata,  an- 
corché di  passaggio  (n.  2865).  Ma  di  consueto  le  bizze  del  Muratori  coi 
suoi  amici  erano  fuochi  di  paglia,  e  terminavano  presto,  per  merito  e 
suo  e  degli  altri.  Si  é  detto  di  quanto  si  riferisce  alle  controversie  col 
Sassi,  coIl'Argelati,  col  Maffei.  E  si  è  detto  ancora  quanta  venerazione  e 
quanta  gratitudine  egli  continuasse  a  professare  verso  il  conte  Borromeo. 
Rimase  addoloratissimo  quando  ebbe  nuova  della  morte  del  p.  Benedetto 
Bacchini,  e  fece  divisamento  di  dettarne  l'elogio  (n.  2130).  In  lui  avea 
trovato  il  "  direttore  „  dei  suoi  studi,  come  dice  il  nipote  {Vita^  p.  9). 
Il  marchese  Orsi,  della  cui  ospitale  amicizia  avea  approfittato  il  Mura- 
tori più  volte,  morì  più  che  ottantenne  il  20  settembre  1730;  e  il  Mura- 
tori, che  fu  erede  dei  suoi  libri,  ne  provò  vivo  cordoglio  (nn.  3312,  3314, 
3315).  Un'altra  piaga  aperse  nel  cuore  del  bibliotecario  modenese  la 
morte  del  Vallisnieri  "  che  era  il  principale  onore  dell'università  di 
"  Padova,  e  rendeva  glorioso  anche  questo  cielo  di  cui  era  nativo  „ 
(n.  2567)  (i). 

I  due  volumi  di  cui  qui  ho  parlato,  sono,  a  non  dubitarne,  i  due  più 
importanti  di  quella  parte  dell'Epistolario  che  finora  vide  la  luce.  Il  va- 
lore scientifico  ne  sarebbe  peraltro  grandemente  accresciuto,  se  aves- 
simo anche  le  lettere  dei  corrispondenti.  Solo  per  questa  maniera  si 
potrebbe  apprezzare  quanto  al  progresso  del  sapere  abbia  giovato 
il  meraviglioso  accordo  di  pensieri  e  di  opere  che  si  stabilì,  e  si  con- 
servò, nonostanti  innumerevoli  difficoltà,  tra  il  grande  Vignolese,  e  i 
suoi  degni  amici  e  collaboratori  (2). 

Carlo  Cipolla. 


(i)  Il  Vallisnieri  nacque  il  3  maggio  1661  a  Rocca  di  Tresilìco,  nella  Gar- 
fagnana. 

(2)  Avvertii  qualche  error  di  stampa.  Ne  cito  alcun  altro.  Al  n.  2045  si  leg- 
gerà Bernardo  Guidone  (cfr.  la  lezione  esatta  ai  nn.  2166,  2168);  p.  2924  r.  2 
forte  e  non  forse,  pare  sia  da  leggere;  Martino  (e  non  Marsino)  Polacco  si  leggerà 
al  n.  2320.  La  lettera  n.  2994  è  probabilmente  dell'aprile  1750;  cfr.  nn.  2908-09.  Si 
riferisce  essa  al  gruppo  di  lettere  riguardanti  FAccademia  di  Urbino,  alla  quale  il 
Muratori  fece  inscrivere  f)arecchi  dei  suoi  amici  in  attestato  di  stima  (cfr.  nn.  2854, 
J2856-59). 


440  BIBLIOGRAFI^^ 


Henry  Tronchin,  Le  conseiller  Francois  Tronchin  et  ses  amis  VoUairey. 
Diderot,  Grimm,  etc,  d'après  des  documents  inédits,  Paris,  Plon,. 
in-8,  pp.  399. 

I  rapporti  fra  l'Italia  e  Ginevra,  strettissimi  alla  fine  della  Rina- 
scenza e  precisamente  allo  stabilirsi  del  Calvinismo,  quando  questo 
aperse  le  braccia  agli  eretici  d*ogni  paese,  s'erano  via  via  rallentati.  La 
situazione  di  Ginevra,  costituita  baluardo  della  potenza  anche  politica 
dei  protestanti,  doveva  necessariamente  isolarla  da  popolazioni  che^ 
come  le  nostre,  rimanevano  fedeli  al  cattolicesimo  e  si  erano  testé  ap- 
punto liberate  dagli  elementi  più  torbidi  ed  inquieti.  Ma  venne  il  sette- 
cento, epoca  di  tolleranza  e  di  scetticismo,  ed  anche  la  vecchia  rocca 
del  puritanesimo  continentale,  senza  rinunciare  ai  suoi  paludamenti 
esteriori,  dovette  piegarsi  ai  tempi  nuovi.  I  dissidenti  dal  concistoro 
furono  tuttora  banditi,  in  principio,  dal  territorio  della  repubblica,  ma  in 
pratica  i  permessi  speciali  si  moltiplicarono,  I  teatri  continuarono  ad 
essere  proibiti  nella  "  cerchia  antica  „;  ma  sorsero  alle  porte,  frequen- 
tati dagli  stessi  patrizi  e  borghesi  ginevrini,  che  non  rifuggirono  dal- 
Taffidare  ai  comici  commedie  di  loro  fattura.  Questo  fu  appunto  il  caso 
del  consigliere  Tronchin,  dignitario  della  repubblica,  d'una  famiglia 
ugonotta  d'origine  francese,  assurta  a  grande  rinomanza  nel  sec.  XVIIl, 
grazie  ai  suoi  membri  che  furono  banchieri,  medici,  raccoglitori  d'opere 
d'arte.  Francesco  Tronchin  protesse  efficacemente  lo  stesso  Voltaire,  da 
lui  ammirato  come  letterato  insigne,  ma  che  meritava  tutte  le  folgori 
delle  leggi  di  Calvino  col  suo  atteggiamento  veramente  sfrontato.  Le 
carte  dell'archivio  Tronchin,  vagliate  dal  colto  nepote,  che  compilò  questo 
piacevole  volume,  per  il  fatto  stesso  che  emanano  da  una  fonte  così 
benevola  al  sedicente  patriarca,  pongono  in  chiara  luce  l'egoismo,  la 
doppiezza  di  Voltaire,  l'impudenza  delle  sue  manifestazioni  d'empietà 
e  di  mal  costume.  In  quello  stesso  punto  in  cui  aveva  estremo  bisogno 
di  conservarsi  quell'asilo  sulle  rive  del  Lemano,  Voltaire  non  sapeva 
trattenersi  dal  proseguire  le  sue  poco  gloriose  gesta,  dal  diffondere 
scritti  pornografici  che  si  affrettava  a  sconfessare,  ponendo  in  serio 
imbarazzo  i  suoi  protettori  ed  amici.  Se  queste  numerosissime  lettere 
ribadiscono  la  disgustosa  impressione  destata  negli  animi  leali  dai  me- 
todi del  signore  di  B'erney,  riproducono  però  mirabilmente  la  vita  di 
quei  cenacoli  colti  ed  eleganti  che  il  settecento  vide  sorgere  e  prospe- 
rare sulle  sponde  del  lago  di  Ginevra.  Voltaire  si  insediò  dapprima  a 
Saint- Jean,  nella  villa  poi  detta  "  Les  Déhces  „,  e  fu  sovratutto  grazie 
ai  Tronchin,  che  l'aiutarono  nell'acquisto  e  nell'adattamento  di  quella 
piacevole  residenza.  Ivi  si  adunava  la  più  gaia  e  scelta  società;  si  re- 
citavano tragedie  e  commedie,  si  leggevano  versi,  si  concertavano  par- 
tite di  piacere.  Dopoché  Voltaire  si  guastò  definitivamente  coll'austera 
repubblica,  il  consigliere  Tronchin  gli  successe  alle  "  Délices  „  e  vi  ri- 
prese, con  un'impronta  più  seria,  le  abitudini  ospitali   del   suo  celebre 


BIBLIOGRAFIA  /j/jT 

predecessore.  Francesco  Tronchin  non  era  solo  un  autore  drammatico 
ed  un  magistrato,  ma  un  cultore  delle  belle  arti  fra  i  più  considerati 
del  tempo  suo.  La  sua  galleria  fu  comperata  dall'imperatrice  Caterina  II, 
ed  egli  se  ne  compose  tosto  un'altra  pregevolissima.  All'acume  del  suo 
giudizio  di  critico  d'arte  si  rimettevano  non  solo  la  sovrana  capricciosa^ 
e  poco  competente,  ma  Galitzin,  Grimm,  Diderot,  i  maggiori  conoscitori 
di  quadri  che  vivessero  allora. 

La  visita  ai  tesori  adunati  dal  consigliere  era  il  pretesto,  quando 
non  fosse  lo  scopo,  di  un  vero  pellegrinaggio  di  illustri  personaggi.  Per 
l'Italia  vi  era  un  introduttore  patentato,  noto  per  esser  stato  per  più 
di  cinquant'anni  l'anello  di  congiunzione  fra  la  Svizzera  e  l'Italia.  Era 
questi  un  milanese,  di  cui  taluno  non  volle  ricordare  che  le  men  belle 
e  straordinarie  avventure,  ma  che  certo  ebbe  ingegno  non  comune  e 
meritò  la  stima  di  uomini  insigni,  il  conte  Giuseppe  Gorani. 

Dai  cenni  che  il  signor  Tronchin  inserisce  nel  suo  bel  libro  appare 
come  una  corrispondenza  fra  i  suoi  avi  ed  il  Gorani  sia  conservata 
nei  preziosi  archivi  di  Bessinges.  L'economia  politica  primeggiava  fra 
gli  argomenti  di  cui  trattavano  quei  due  uomini  intelligenti  e  colti: 
Gorani  inviò  all'amico  i  suoi  lavori,  l'elogio  del  Bandini,  lo  scritto  sulle 
regalie.  Il  nostro  concittadino  insisteva  nel  rilevare  come  gli  economisti 
italiani  avessero  precorso  i  francesi  nel  porre  in  chiaro  importanti 
principi,  volgarizzati  vent'anni  poi  dai  rivali  più  abili    o    più  fortunati. 

Ho  detto  che  Gorani  indirizzò  al  consigliere  Tronchin  non  pochi 
milanesi  che  fecero  il  viaggio  di  Ginevra  alla  fine  del  settecento:  un 
Arconati,  un  Barbò. 

Ma  un'altra  volta  non  furono  più  viaggiatori  isolati,  che  il  Gorani 
raccomandò  alla  cortesia  del  mecenate  ginevrino,  bensì  tutto  un  grup- 
petto di  dame  e  gentiluomini  milanesi,  insigni  per  il  loro  cosmopoHtismo, 
la  loro  eleganza,  il  gusto  per  le  lettere  e  le  arti.  Il  Manzoni  doveva 
poi  crescere  non  lontano  da  quel  cenacolo,  che  ebbe  un'azione  sulla  sua 
giovinezza;  era  il  circolo  di  Casa  Imbonati. 

"  Vous  aurez  bientòt  à  Genève  (scriveva  Gorani  al  consigliere)^ 
"  la  comtesse  Sanazaro,  femme  aimable  et  qui  chante  à  merveille;  la 
"  comtesse  Carcano,  qui  a  beaucoup  de  discernement  et  de  connaissances; 
"  le  comte  Imbonati,  leur  frère,  et  le  marquis  Castelli,  qui  a  bien  de 
"  l'esprit  et  du  savoir.  Je  vous  les  recommande  et  vous  prie  de  vous 
"  lier  avec  eux,  car  vous  en  serez  bien  content  „. 

La  Carcano  e  la  Sanazaro  erano  difatti  sorelle  di  Carlo  Imbonati,. 
cantato  dal  Verri,  dal  Parini  e  dal  Manzoni,  uno  dei  milanesi  più  co- 
nosciuti del  tempo  suo,  figH  tutti  del  fondatore  dell'Accademia  dei  Tra- 
sformati e  di  una  Bicetti  de'  Buttinoni,  sorella  al  celebre  medico  trevigliese. 

Il  Gorani  affidò  pure  al  Tronchin,  amantissimo  di  musica,  virtuosi 
é  virtuose  italiani,  fors'anche  lombardi,  "  il  signor  Vincenti,  professeur 
"  de  viole  très  savant  en  cet  art  sublime  „;  mentre  Grimm  gli  mandava 
"  la  signora  Balconi,  que  des  talents  pour  la  musique  conduisent  à 
'*  Londres  „. 


442  BIBLIOGRAFIA 

Questo  Studio,  coscienzioso  e  sistematico,  di  gradevole  lettura,  che 
il  signor  Tronchin  ha  dedicato  alla  memoria  dei  suoi  vecchi  e  dei  loro 
illustri  amici  non  tratta  che  incidentalmente  delle  relazioni  fra  quel- 
l'eletta società  e  l'altra  che  contemporaneamente  fioriva  in  Lombardia, 
intorno  al  Beccaria,  ai  Verri,  agU  Imbonati;  ma  ciò  che  egli  ne  accenna 
é  sufficiente  per  far  nascere  il  desiderio  di  ricerche  metodiche  che  in- 
sistano su  questo  punto,  di  grande  interesse  per  noi. 

Giuseppe  Gallavresi. 


BOLLETTINO  DI  BIBLIOGRAFIA  STORICA  LOMBARDA 
(giugno-dicembre  190^) 


I  libri  segnati  con  asterisco  pervennero  alla  Biblioteca  Sociale. 

ABATI  (sac.  I.).  Oslo  Sopra  e  il  suo  santuario.  Monografia.  Bergamo, 
tip.  S.  Alessandro,  1905  [Cenni  bibliografici  in  Rivista  di  scienze  s/o- 
riche,  novembre  1905,  p.  361]. 

*ADAMI  (dott.  C).  Di  Felice  e  Gregorio  Fontana,  scienziati  pomarolesi 
del  sec.  XVIII  :  notizie  biografiche  e  bibliografiche,  con  lettere  ine- 
dite, versi,  ritratti  ed  autografi.  Rovereto,  tip.  U.  Grandi  &  C,  1905, 
in-8,  pp.  LXij-55,  con  due  ritratti  e  due  fac-simili.  (Edizione  per  cura 
del  Comitato  promotore  delle  onoranze  centenarie). 

Per  l'occasione  del  centenario,  celebrato  lo  scorso  settembre  a  Pomarolo, 
luogo  natale  dei  due  illustri  fratelli,  naturalista  il  primo,  matematico  il  se- 
condo, il  prof.  F.  Salveraglio,  bibliotecario  della  Universitaria  di  Pavia,  com- 
memorò degnamente  l'opera  di  Gregorio  Fontana,  come  bibliotecario,  prima 
del  collegio  Ghislieri,  poi  dell'  Università  pavese.  Con  la  scorta  di  copiosi 
documenti  dell'Archivio  di  Stato  di  Milano  e  della  Biblioteca,  di  cui  il  Fon- 
tana può  ben  chiamarsi  il  fondatore,  il  Salveraglio  mise  in  luce  le  grandi 
benemerenze  del  matematico  trentino  per  l'Ateneo  pavese.  Il  discorso  verrà 
pubblicato  néìVArchivio  Trentino  (cfr.  Boll,  delle  pubbl.  ital.  della  Biblioteca 
Nazionale  di  Firenze,  n.  58,  ottobre  1905). 

ALESSIO  (F.).  I  primordi  del  cristianesimo  in  Piemonte  ed  in  particolare 
a  Tortona.  Pinerolo,  tip.  Chiantore-Mascarelli,  1905,  in-8,  pp.  154. 
(Biblioteca  della  Società  storica  subalpina,  XXXII,  i). 

^AMBROSOLI  (S.).  L'ambrosino  d'oro:  ricerche  storico-numismatiche,  con 
illustrazioni  e  note.  Seconda  edizione.  Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Co- 
gliati,  1905,  in-4  fig.,  p.  31. 

* —  Atlantino  di  monete  papali  moderne  a  sussidio  del  Cinagli.  Milano, 
U.  Hoepli  edit.,  1905,  in-i6  fig.,  pp.  xj-131,  con  tav.  [Manuali  Hoepli]. 

Nel  grazioso  atlante  sono  a  notarsi  per  gli  studi  locali  le  monete  di 
papa  Innocenzo  XI  (Odescalchi  di  Como),  1676-89  e  quelle  di  papa  Cle- 
mente XIII  (Rezzonico  di  Venezia  e  Como). 


444  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

AMODEO  (prof.  F.)-  Vita  matematica  napoletana.  Studio  storico,  biografico^ 
bibliografico.  Parte  prima.  In-4  ili.  Napoli,  Giannini,  1905. 

Cfr.  il  cap.  IV.  Gli  istituti  d'  istru7Ìone  e  scientifici  in  Napoli  intorno 
al  1800  (§  6.  La  Regia  Officina  Geografica  e  i  geodeti  Rizzi-Zannoni  e  Vi- 
sconti. —  §  7.  Reale  Osservatorio  Astronomico  e  gli  astronomi  Cassella, 
Znccari,  Piazzi  e  Brioschi). 

*ANCEL  (R.).  Les  tableaux  de  la  reine  Christine  de  Suède.  La  venta  au 
régent  d'Orléans.  —  Mélanges  d'archeologie  et  d'histoire  {Ecole  fran- 
faise  de  Rome\  XXV,  fase.  III-IV,  1905. 

Vendita  della  collezione  dei  quadri  della  regina  Cristina  di  Svezia,  ac- 
quistati nel  1696  dal  principe  Livio  Odescalchi;  fatta  dai  suoi  eredi  Baldas- 
sare  Odescalchi,  duca  di  Bracciano  e  fratello  cardinale  Odescalchi  nel  171 5 
al  reggente  Filippo  d'Orleans. 

''ARCARI  (dott.  F.).  Monete  d'oro  dei  marchesi  Ippoliti  di  Gazzoldo.  — 
Bollettino  di  numismatica,  luglio  1905. 

*  Archivio  storico  per  la  città  e  comuni  del  circondarlo   di    Lodi,   diretto   da 

Giovanni  Agnelli.  Anno  XXIV,  1905,  in-8  gr.  Lodi,  tip.  Quirico  &  Ca- 
magni. 

Fase.  7,  gennaio-mav:^o.  I  vescovi  dell'antica  Lodi  [Dalle  origini  a  San 
Tiziano,  a.  476].  —  Santa  Maria  della  Misericordia  a  Sant'Angelo.  — 
Ospedale  di  S.  Salvatore  a  Graffignana,  —  La  viabilità  nel  Lodigiano  nel 
sec.  XV.  —  Mercato  di  Orio.  —  Pesi  e  misure  secondo  gli  statuti  lodi- 
giani. —  Notizie  varie. 

Fase.  Il,  aprile^giugno.  I  vescovi  dell'antica  Lodi  \Cont.  fase,  prec- 
Da  Projetto  a.  577  circa  ad  Andrea  a.  971-1002].  —  Ospedali  lodigiani: 
S.  Giovanni  Battista  di  S.  Colombano.  —  Atti  della  Deputazione  storico-ar- 
tìstica di  Lodi.  —  Rievocazioni  storiche  [cavalcata  storica  in  Lodi,  rappre- 
sentante Lodovico  Vistarino  di  ritorno  dal  campo  della  disfida  da  lui  so- 
stenuta nel  1526  sul  Lambro  presso  Melegnano  contro  Sigismondo  Mala- 
testa].  —  Necrologio:  prof  Antonio  Ronzon. 

Fase.  Ili,  luglio-settembre.  Ospedali  lodigiani  :  S.  Pietro  di  Senna  detto 
Ospedaletto.  —  I  vescovi  dell'antica  Lodi  [cont.  Da  Nokerio  a.  1009- 102 7  (?) 
a  Opi:(^:(^one].  —  Barche  abbrucciate  al  confluente  del  Lambro  durante  la 
guerra  per  la  successione  d'Austria  (1746).  —  Entrate  feudali  di  Sant'An- 
gelo (1593). 

*  Archivio  (Piccolo)  storico  dell'antico  marchesato  di  Saluzzo,  diretto  da  Do- 

menico Chiaitone.  Annata  lì.  Saluzzo,  tip.  Bovo   &   Baccolo,  1903-05, 
in-8  gr.,  con  tav.  ili.,  pp.  368. 

Dei  diversi  interessanti  articoli  inserti  in  questa  importante  rivista  no- 
tiamo per  l' interesse  speciale  che  offrono  agli  studi  storici  di  Lombardia  i  se- 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  445 

guenti  :  Bellorini  (E.).  Osservazioni  sull'  «  Epistolario  »  di  S.  Pellico  [I.  In- 
torno alla  data  di  alcune  lettiere  del  Pellico].  —  Chiattone  (D.).  La  casa 
Cavassa  di  Saluzzo  [portale  marmoreo  di  Matteo  Sanmicheli,  di  Porlezza. 
Dello  stesso  insigne  scultore,  è  il  bassorilievo  marmoreo  di  Francesco  Ca- 
vassa, murato  nella  parete  est  del  porticato.  La  magnifica  balaustrata  che 
chiude  il  terrazzo  prospiciente  sull'antico  orto  è  di  Pietro  Lombardo,  1490]. 
Martinetti  (G.  A.).  Un'amarezza  toccata  a  Silvio  Pellico  [annuncio  spar- 
sosi nel  1852  su  per  i  giornali  del  presunto  matrimonio  suo  colla  marchesa 
di  Barolo].  —  Michieli  (A.  A.).  La  «  Bibbia  »  di  Silvio  Pellico  [appena  ar- 
restato, e  poco  dopo,  mentre  era  ancora  nel  carcere  di  S.  Margherita  a  Mi- 
lano, il  Pellico  chiese  una  Bibbia  e  il  Dante].  —  Chiattone  (D.).  I  primi 
vescovi  di  Saluzzo  nel  cinquecento  [Filippo  Archinto,  quarto  vescovo,  1546- 
1556;  biografia  a  pp.  287-90  dell' Archinto  che  nel  1556  ottenne  l'arcive- 
scovado di  Milano].  —  Lo  stesso.  Matrimoniana  nel  cinquecento  in  Saluzzo 
[Interessanti  documenti  per  la  storia  del  costume.  Notiamo  a  p.  237  sg.  e 
261  sg.  le  trattative  e  le  convenzioni  di  matrimonio  di  Anton  Maria  da 
Sanseverino,  comandante  le  truppe  milanesi  con  Margherita  di  Saluzzo.  I 
patti  matrimoniali,  poi  sfumati,  si  stipularono  negli  alloggiamenti  di  Lodo- 
vico il  Moro  presso  Carmagnola  il  27  luglio  1490].  —  Lo  stesso.  Appunti 
di  bibliografia  saluzzese  [cfr.  a  pp.  355-67  la  copiosa  bibliografia  riferentesi 
a  Silvio  Pellico]. 

ARNAULDET  (P.).  Inventaire  de  la  bibliothèque  du   chàteau    de  Blois  en 
15 18  {suite).  —  Le  Bibliographe  moderne,  maggio-agosto  1904. 

Interessa  le  vicende  dei  codici  della  biblioteca  viscontea  di  Pavia. 

Ars  et  Vita.  Numero  unico  pubblicatosi  in  occasione  dell'  Vili  Congresso 
Interuniversitario  italiano.  Pavia,  tip.  succ.  Bruni,  1905. 

Contiene  anche  parecchi  articoli  di  storia  pavese.  Il  prof.  G.  Romano 
con  sintesi  efficace  vi  traccia  a  larghi  tratti  Due  millennii  di  storia  pavese; 
V.  Rossi  rileva  alcuni  ricordi  della  città  di  Pavia  sparsi  nelle  opere  di  Dante, 
Boccaccio  e  Petrarca;  G.  Natali  parla  dell' ^r/g  a  Pavia;  M.  Mariani  di  Un 
nuovo  lavoro  di  B.  Lantani  da  S.  Colombano  (affreschi  in  Bobbio)  ;  A.  Ca- 
vagna Sangiuliani  dà  rapidi  cenni  swWEdiliiia  pavese  e  i  Visconti  ;  C.  D., 
sotto  il  titolo  La  forte  Pavia,  discorre  di  Pavia  nella  storia  milanese  ;  Ur- 
bano Pavesi  degli  Studenti  nella  VII  Compagnia  dei  Mille  (cfr.  Boll,  storico 
pavese,  fase.  II,  1905,  pp.  262). 

ARULLANi  (V.  A.).  «  La  caduta  »  del  Parini  e  «  I  Profughi  di  Parga  w 
del  Berchet.  —  Fanfulla  della  domenica,  XXVII,  23. 

ASPERI  (dott.  R.).  Giacomo  Giovanetti  giureconsulto  novarese  (1787-1849). 
Tesi  di  laurea.  Novara,  Miglio,  1905,  in-8,  pp.  94  e  2  ili. 

AUVRAY  (L.).  Inventaire  de  la  coUection  Custodi   conservée  à  la  Biblio- 
thèque Nationale.  6.*  article.  —  Bulletin  Italien,  1905,  aprile-giugno. 


446  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

BAILLOUIN  (M.).  Correspondance  de  Volta  et  de  van  Marum.  — Journal 
des  savants,  III,  8. 

*  BARATTA  (M.).  Leonardo  da  Vinci  negli  studi  per  la  navigazione  del- 
l'Arno (Con  ine.  e  due  tav.)  —  Bollettino  della  Società  geografica 
italiana^  ottobre-novembre  1905. 

BARDO.  Porro  e  Pellico.  —  Gazzetta  del  Popolo  della  domenica,  n.  5, 1905. 

[BASERGA  sac.  dott.  G.].  Note  di  storia  Vallintelvese.  —  La  Valle  Inielvi^. 
a.  Ili,  1905,  nn.  93,  95,  100,  102,  106,  108,  114,  116,  118,  120,  125 
(Como,  Longatti). 

XLI.  Chiese  medievali  in  Valle  :  Castiglione.  —  XLII.  Ostano.  — 
XLIII-XLV.  S.  Fedele.  —  XLVI.  Veglio.  —  XLIX-L.  Scaria.  —  LI.  Pelila 
Superiore.  —  LIF.  Laino.  —  LUI.  Ponna. 

BAZETTA  (G.).  Antronapiana  e  il  suo  lago.  Milano,  tip.  editr.  L,  F,  Co- 
gliati,  1905,'  in-i6  fìg.,  p.  62  con  2  tav. 

BAZETTA  (dott.  N.).  Storia  della  città  di  Domodossola  dall'era  romana 
all'apertura  del  traforo  del  Sempione.  Appendice  del  giornale  La 
Libertà  di  Domodossola,  nn.  25,  28,  30,  39,  45,  1905. 

Colla  narrazione  si  arriva  alle  lotte  fra  i  Domesi  e  il  conte  vescovo  di 
Novara,  Uguccione  dei  Borromei  ed  alle  prime  invasioni  vallesane  (1303-17). 

BEATTY  (H.  M.).  Dante  and  Virgil.  In- 18.  London,  Blackie,  1905. 

BECKER  (H.).  Lorenzo  Mascheroni's  Zirkelgeometrie  im  Dienste  des  ma- 
thematischen  Unterrichts.  4.°  (Progr.  Ginnasio  Insterburg,  1905). 

La  Geometria  del  compasso  di  Lorenzo  Mascheroni  in  servizio  dell'  in- 
segnamento della  matematica. 

*BELLODI  (R.).  Il  monastero  di  San  Benedetto  in  Polirone  nella  storia  e 
nell'arte.  Mantova,  eredi  Segna,  tip.  edit.,  1905,  in'4  fìg.,  pp.  327. 
Cfr.  i  Cenni  hihlio grafici  in  questo  fascicolo  deìVArchivio. 

BELTRAMI  (L.).  Indagini  e  documenti  riguardanti  la  torre  principale  del 
castello  di  Milano,  ricostrutta  in  memoria  di  Umberto  1.  Milano, 
tip.  U.  Allegretti,  1905,  in-4  fig.,  p.  74. 

—  «  11  Musicista  w  di  Leonardo  da  Vinci.  —  Corriere  della  sera,  22  di- 
cembre 1905. 

Tavola  esposta  nelle  sale  della  Pinacoteca  Ambrosiana. 

Beltrami  [poli filo],  —  Ved.  Gauthiez. 

BERENZI  (can.  G.).  La  chiesa  di  S.  Giuseppe  in  Pontevico  [cenni  storici]. 
Brescia,  tip.  fratelli  Ceroidi,  1905,  in-8,  pp.  14. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  447 

BERGADANI  (R.).  Alba  nelle  guerre  per  la  successione  del  Monferrato 
(1613-1631).  In-8.  Torino,  Gìorgis,  1905. 

BERTOLDI  (A.).  Lettere  di  A.  Manzoni  a  G.  P.  Vieusseux.  —  Biblioteca 
delle  scuole  italiane^  XI,  9. 

Sono  3,  del  1832,  ricavate  dagli  autografi   della   Nazionale  di  Firenze^ 

Beschreibung  des  Domes  von  Mailand.  Arona,  stab.  tip.  Cazzani,  1905,. 
in- 16,  pp.  56. 

*  BIADEGO  (G.).  Cesare  Betteloni  :  paralipomeni.  —  Atti  Istituto  Veneto^ 
to.  LXIV,  serie  Vili,  to.  VII,  disp.  6.^-;.* 

* —  Ingresso  in  Milano  di  Cristierna  di  Danimarca  sposa  del  duca  Fran- 
cesco Maria  Sforza  (1534).  Verona,  tip.-lit.  Franchini,  1905,  in-8, 
pp.  19  (Nozze  Gemma-Franchini). 

Relazione  inedita  da  un  ms.  della  Comunale  di  Verona,  e  che  reca  qualche 
particolare  che  non  dà  il  cronista  milanese  Burigozzo.  Il  compilatore  anonimo 
era  probabilmente  qualche  addetto  del  rappresentante  veneziano  residente  a 
Milano.  Derivante  perciò  da  fonte  veneta,  la  relazione  meritava,  anche  sotto 
questo  punto  di  vista,  di  esser  conosciuta,  non  solo  come  integrazione,  ma 
anche  in  qualche  parte  come  contrapposto  della  relazione  del  cronista  mi- 
lanese. 

—  I  prigionieri  toscani  di  Curtatone  a  Verona.  Genova,  tip.  Curletti 
&  Lombardo,  s.  a.  [1904],  in-8,  pp.  11. 

*BISCARO  (dott.  G.).  Un  documento  del  secolo  XII  sulla  zecca  pavese. 
—  Rivista  italiana  di  numismatica,  fase.  II,  1905. 

BLANCHET  (A.).  Traité  des  monnaies  gauloises.  In-8  gr.  ili.  Paris,  Le- 
roux,  1905. 

Nell'appendice:  inventario  dei  ripostigli,  si  dà  notizia  di  monete  sco- 
perte nel  C.  Ticino  e  a  Como,  e  nella  plaga  fra  Novara  e  Vercelli,  giusta 
informazioni  fornite  all'autore  dal  dott.  Magni  e  dal  prof  Castelfranco. 

BOLDRINI  (dott.  L.).  Della  vita  e  degli  scritti  di  messer  Giovita  Rapido. 
Verona,  tip.  Annichini,  1904,  in-8. 

Il  Rapido  o  Ravizza,  grammatico  umanista  e  pedagogista  ben  noto- 
delia  rinascenza,  nacque  a  Chiari  verso  l'a.  1476  ;  studiò  in  patria  sotto  l'Oli- 
vieri, cui  successe  nel  1497  e  di  cui  sposò  più  tardi  la  nipote  Antonia.  Per- 
fezionatosi forse  allo  studio  padovano,  ottenne  (1498-1499)  la  scuola  di 
Caravaggio.  Nel  1508  passa  a  Bergamo  per  succedere  al  bolognese  G,  B.  Pia 
come  professore  di  belle  lettere;  ed  a  Bergamo  scrive  orazioni  panegiriche 
e  il  trattato  pedagogico  De  modo  in  scholis  servando.  Nel  1522  passa  a  Vi- 
cenza dove  la  sua  fama  di  oratore  eccellente  gli  procura  la  cittadinanza  ono- 
raria; e  nel  1532  viene  eletto  dal  Consiglio  dei  Dieci  in  precettore  dei  gio- 


448  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

vani  cancellieri  a  Venezia.  Nella  quiete  di  quell'officio  compone  vari  altri 
trattati,  e  muore  a  Venezia  nel  1553  ;  il  suo  cadavere,  per  sua  volontà,  venne 
seppellito  con  splendidi  funerali  nella  prepositurale  di  S.  Nazzaro  in  Brescia. 

"^BOLLEA  (L.  C).  Una  fase  militare  controversa  della  guerra  per  la  suc- 
cessione di  Monferrato  (aprile-giugno  1615).  —  Rivista  di  storia  e 
d'arte  di  Alessandria,  a.  XVI,  1905,  fase.  XVII-XVIII. 

"^Bollettino  della  Società  Pavese  di  storia  patria.  Anno  V,  1905,  in-8  gr. 
Pavia,  tip.  succ.  Fusi. 

Fase.  IL  Gabotto  (F.).  Documenti  torinesi  per  la  storia  delle  relazioni 
fra  Monferrato  e  Pavia  [12 16- 12 54].  —  Levi  (E.).  Una  contesa  di  precedenza 
tra  Cremona  e  Pavia  nei  secoli  XVI,  XVII  e  XVIII  [Cont.  e  fine.  —  Le 
orazioni  di  Giulio  Salerno.  Bernardo  Sacco  e  la  sua  Storia  di  Pavia.  —  Le 
orazioni  di  Cesare  Cremonino  e  di  Jacopo  Antonio  Marta].  — Invernizzi  (C). 
Gli  ebrei  a  Pavia.  Contributo  alla  storia  dell'ebraismo  nel  ducato  di  Milano. 
(I.  Gli  Ebrei  a  Pavia  nel  secolo  XV.  II.  Gli  Ebrei  a  Pavia  nel  secolo  XVI).  — 
Rota  (E.).  Religiosi  ambasciatori  alla  corte  di  Madrid  durante  il  dominio 
spagnuolo  in  Lombardia.  —  Recensioni:  Di  P.  Rasi,  del  De  Sermone  Enno- 
diano,  di  F.  F.  Trahey].  —  Bollettino  bibliografico.  —  Notizie  ed  Appunti: 
Romano  (G.).  Intolleranza  accademica;  L'invasione  longobarda  e  la  circo- 
scrizione episcopale  in  Italia;  Ciapessoni  (P.).  Per  un  manoscritto  nella  Bi- 
blioteca Universitaria  di  Pavia  attribuito  ad  Incmaro.  —  Notizie  varie.  — 
Recenti  pubblica:(_ioni. 

Fase.  III.  Invernizzi  (C).  Gli  Ebrei  a  Pavia  [cap.  III.  L'espulsione 
degli  Ebrei  dal  ducato  di  Milano].  —  Boffi  (A.)  e  Pezza  (F.).  La  novennale 
signoria  di  Facino  Cane  e  Beatrice  di  Tenda  sopra  Mortara  (secondo  il  libro 
dei  privilegi  mortaresi).  —  Romano  (G.).  Per  la  storia  delle  origini  del 
teatro  Fraschini.  —  Recensioni.  —  Bollettino  bibliografico.  —  Notizie  ed  Ap- 
punti: Romano  (G.).  Carlo  IV  di  Lussemburgo  a  Pavia;  Caelum  Aureum 
o  Cella  'Aurea  ?  ;  Dove  mori  il  frate  Giacomo  Bussolari  ?  —  Notizie  varie.  — 
Recenti  pubblicazioni. 

*  Bollettino  storico  della  Svizzera  Italiana.  Anno  XXVIL  Bellinzona,  tip.  Co- 
lombi, 1905. 

NN.  4-6.  Balli  (G.).  Sulla  storia  del  regime  matrimoniale  nel  Ticino 
[cont.  e  fine.].  —  Verga  (dott.  E.).  Lettere  di  illustri  ticinesi  a  Cesare 
Cantù  (Giocondo  AlbertoUi).  —  Sant'Ambrogio  (dott.  D.).  La  tomba  Mut- 
toni  del  15 13  a  Cima  di  Valsolda.  —  La  battaglia  di  Arbedo  secondo  un 
cronista  milanese  ed  altre  testimonianze.  —  Torriani  (E.).  Catalogo  dei 
documenti  per  l' istoria  della  prefettura  di  Mendrisio  e  pieve  di  Balerna  dal- 
l'a.  1500  circa  all' a.  i8oo  [cont.].  —  Varietà:  Colonie  valmaggesi  in  Si- 
cilia; Olivi  dei  laghi  Verbano  e  Ceresio;  Ancora  del  casato  Verda;  Rivalità 
per  la  capitale  nel  1698;  Ancora  della  cartiera  Fumagalli  ;  Per  la  genealogia 
dei  Toscano  di  Mesocco.  —  Cronaca.  —   Bollettino  bibliografico. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  449 

NN.  7-9.  Lattes  (prof.  A.).  Notizie  intorno  ad  alcune  pergamene  tici- 
nesi [di  Mendrisio].  —  Borrani  (sac.  S.).  La  parrocchia  ed  i  parroci  di  Co- 
mano  presso  Lugano.  —  Torriani  (E.).  Catalogo  dei  documenti  per  l' istoria 
di  Mendrisio  e  Balerna  [coni.].  —   Bollettino  bibliografico. 

BONELLI  (G).  Discretum.  Saggio  di  critica  filologica  del  cinquecento.  — 
Classici  e  Neo-Latini,  a.  I,  1905,  n.  2  (Aosta). 

Del  bresciano  Bartolomeo  Stella,  intimo  amico  del  card.  Reginaldo  Polo, 
che  l'ebbe  compagno  al  Concilio  di  Trento. 

fiorromàus-Blàtter.  Zeitschrift  fur  Bibliotheks-und  Bucherwesen.  Hrsgegb. 
vom  Verein  vom  hlg.  Karl  Borromàus  in  Bonn.  Jahrgang  3,  1905-1906. 
N.  I.  Kòln,  J.  P.  Bachem,  1905. 

Borromeo.  —  Was  S.^  Charles  Borromeo  a  Murderer?  —  Tablet,  29  lu- 
glio 1905. 

—  Ved.  Mollai. 

:B0SELLI  (A.).  Pellico  e  Manzoni.  —  Per  l'Arte,  XVI,  12. 

fiOURRILLY  (V.  L.).  Les  rapports  de  Fran90Ìs  I.^»"  et  d'Henri  li  avec  les 
ducs  de  Savoie,  Charles  II  et  Emmanuel-Philibert,  1515-1559.  — 
Revtie  dfhistoire  moderne  et  contemporaine^  to.  VI,  n.   9,  giugno  1905. 

—  Jacques  Colin,  abbé  de  Saint-Ambroise   (14....  ?-i547).   Contribution  à 

l'histoire  de  Thumanisme  sous  le  règne  de  Fran9ois  P"".  Lille,  impr. 
Le  Bigot,  1905,  in-8,  pp.  143  (a  Bibliothèque   d'histoire  moderne  »). 

Il  Colin  fu  un  italianista  e  tradusse  in  francese  il  Cortegiano  del  Casti- 
glione. 

BOYD  TACHER  (].).  Christopher  Columbus,  his  Life,  his  Work,  his  Remains, 
as  revealed  by  originai  printed  and  manuscript  records  together 
with  an  Essay  on  Peter  Martyr  of  Anghera  and  Bartholome  de  las 
Casas,  the  firs  historians  of  America.  New-York  &  London,  G.  P. 
Putnam's  Sons,  1903-1904,  in-8,  6  voli.  ili. 

BRAKMAN  (C).  Sidoniana  et  Boethiana.    Traiecti    ad    Rhenum,    Kemink, 

1904,  in-8,  pp.  38. 

Nella  ^.^  parte  di  questo  nuovo  lavoro  del  Brakman  si  contengono  brevi 
observationes  criticae  in  'Boethii  philosophiae  consolationem  dalle  quali  appare 
c&e  Boezio  imitò  Sidonio.  [cfr.    Bollettino  di  filologia  classica,  n.  5,  a.  XII, 

1905,  p.  103]. 

.BRAMBILLA  (prof.*^  M.  E.).  Lodovico  Gonzaga,  duca  di  Nevers  (1539-1595), 
su  documenti  nuovi.  Udine,  tip.  D.  Del  Bianco,  1905,  in-8,  pp.  vinj-192, 
con  ritratto. 

Arch.  Star.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  Vili.  29 


450  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

BRANCA  (A.).  Brissago,  il  Sacro  Monte  e  la  Fonte  Vittoria.  Bellinzona^ 
Colombi,  1905,  in-8  ili.,  pp.  42, 

BRAUNE  (H.).  Ueber  eine  schnelle  Methode  fur  die  Bestimmung  des 
Stickstoffgehaltes  in  Eisen  und  Stahl  und  eine  Untersuchung  von 
pràhistorischem  Eisen  aus  Castaneda  (Stid-Graubiinden).  Diss.  Phil. 
Basel,  Walz  &  Miéville,  1905,  in-8  fig.,  pp.  75. 

BROFFERIO  (A.).  I  miei  tempi.  Voi.  Vili.  Torino- Venaria  Reale,  Renzo 
Streglio  &  C.  tip.  edit.,  1905,  in-i6^  pp.  673. 

BRUNO  (A.).  La  navigazione  interna  nell'  Italia  superiore  e  l'antico  pro- 
getto Chabrol  di  un  canale  fra  Savona  e  Venezia  per  Alessandria. 
Savona,  tip.  Nazionale,  1905,  in-4,  pp.  8. 

BULLO  (C).  Il  padre  Antonio  Tornielli  cappuccino.  Cenni  bibliografici. 
Venezia,  tip.  C.  Ferrari,  1905. 

*BUSTICO  (dott.  G.).  La  legge  Casati  [1859]  e  l'obbligo  scolastico.  Con- 
tributo alla  storia  della  Scuola  Popolare  in  Italia.  (Estr.  dal  gior- 
nale «  L*Eco  del  Baldo  »).  Riva,  tip.-lit.  F.  Miori,  1905,   in-8,  pp.  23. 

* —  Giacomo  Leopardi  a  Milano.  Castelvetrano,  tip.  editr.  L.  S.  Lentini, 
1905,  in-8,  pp.  34. 

Il  Leopardi  venne  a  Milano  nel  1825  invitatovi  dall'editore  e  stampa- 
tore Antonio  Fortunato  Stella,  personaggio  quest'ultimo  che  occupa  un  posto 
emerito  nella  storia  degli  editori  italiani.  Egli  ebbe  ad  incoraggiare  i  primi 
passi  di  parecchi  uomini  d' ingegno,  ammirando  del  Leopardi  il  genio,  prima 
che  la  fama  parlasse  così  altamente  di  lui  in  Italia  e  fuori. 

*  BUTTI  (A.).  Recensione  di  M.  Romano,  Ricerche  su  Vincenzo  Cuoco^ 
politico,  storiografo,  romanziere,  giornalista.  Isernia,  1904.  —  Gior- 
nale storico  della  letteratura  italiana,  fase.  138."  (1905)  a  pp.  412-423» 

*BUTTURINI  (M.).  Caccia  al  vischio  degli  uccelli  acquatici  usata  sul  lago 
di  Garda  nel  secolo  XVII.  Ricordo  del  Benaco  a'  campioni  delle 
corse  di  canotti-automobili,  VII-VIII  settembre  MCMV.  Brescia,  stab. 
Unione  tip.-lit.  Bresciana,  1905,  in-8,  pp.  29. 

Il  B.  che  già  in  questo  Archivio  s' è  occupato  con  amorose  ricerche  della 
pesca  sul  lago  di  Garda,  aggiunge  ora  un  saggio  colla  descrizione  della  caccia 
al  vischio  degli  uccelli  acquatici,  usata  nel  secolo  XVII:  sotto  l'aspetto  delle 
caccia  il  lago  di  Garda,  così  abbondantemente  illustrato,  non  era  ancora  stato 
studiato.  In  appendice^  qualche  appunto  sulla  caccia  col  falcone.        ^ 

CADOGAN  (E.).  Makers  of  modem  history.  Three  types  :  Louis  Napoléon 
Cavour,  Bismark.  London,  Murray,  1905,  in-8,  pp.  ix-216. 

Agg.  GuÉTARY  (J.).  Un  grand  méconnu.  Napoléon  III.  Paris,  librairie 
nouvelle,  1905,  in-16,  pp.  xi-290. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  45I 

CALCATERRA  (C).  Una  poetessa  del  secolo  XVI,  Livia  Tornielli.  —  //  Pie- 
monte^ III,  19  sg. 

CALMETTE  (J.).  Le  «  Comitatus  »  germanique  et  la  vassalité  à  propos  de 
une  théorie  recente.  —  Nouvelle  Revue  historique  de  droit  frangais 
et  étranger,  XXVIII,  4,  1904. 

CAMPANI  (A.).  Bianca  Mìlesi-Mojon  {cont»  e  fine).  —  Rassegna  Nazionale^ 
16  luglio  1905. 

CANTOR  (M.).  Hieronymus  Cardanus,  ein  wissenschaftliches  Lebensbild 
aus  dem  XVIJahrhundert  —  Neiie  Heidelberger  Jahrbucher,vó[.  XIII^ 

Gerolamo  Cardano,  una  biografìa  scientifica  del  sec.  XVI. 

CANTÒ  (C).  Poesie  religiose.  Monza,  tip.   Artigianelli,  1905,   in-8,  pp.  51. 

Con  prefazione  Cesare  Cantù  e  le  sue  poesie  religiose  del  dott.  B.  Nogara. 

Cantù.  —  Cesare  Cantù.  La  biografia  ed  alcuni  scritti  inediti  o  meno  noti 
a  cura  dell'avv.  Pietro  Manfredi  nel  Centenario  della  nascita.  To- 
rino, Unione  tìp.-editr.,  1905,  in-8  ili.,  pp.  270  e  ritr. 

Introduzione-  "Biografia  :  I.  La  famiglia.  I  primi  anni.  —  II.  Il  Cantù 
professore  di  ginnasio.  —  III.  Il  processo  di  alto  «tradimento.  —  IV.  La  prima 
edizione  della  Storia  Universale.  I  congressi  scientifici.  —  V.  La  rivoluzione 
del  1848.  —  VI.  Il  decennio  1849-59.  —  VII.  Il  nuovo  Regno.  —  VIIL  II 
Cantù  alla  Camera  dei  deputati.  —  IX.  La  vecchiezza.  —  La  fortuna  delle 
opere  del  Cantù.  —  XI.  Le  opere  del  Cantù  resteranno.  —  Degli  scritti 
inediti  e  delle  opere  meno  note  del  Cantii.  I.  Vari  lavori  ho  io  fatti....  —  II.  Il 
suo  studio  è  tutto  rivestito  di  libri....  —  III.  Ho  veduto  altre  volte  Man- 
zoni.... —  IV.  Il  medico.  —  V.  L'egoista.  —  VI.  Epigrafi.  —  VII.  Rela- 
zione al  Congresso  di  Venezia  sulle  strade  ferrate.  —  Vili.  L'esule  alla  Festa 
Nazionale  di  Torino  il  27  febbraio  1848.  —  IX.  Le  lettere  dal  carcere.  — 
X.  L'Europa  nel  secolo  di  Dante.  —  XI.  V Algiso,  giudicato  da  Tommaso 
Grossi. 

i        —  Ved.  Bollettino  storico  della  Svizzera  Italiana,  Fasoli,  Nogara. 

CARDUCCI  (G.).  Opere;  voi.  XVI:  poesia  e  storia,    in-8.    Bologna,  N.  Za- 
nichelli, 1905. 

Di  L.  A.  Muratori  e  della  sua  raccolta  di  storia  italiana  dal  '500  al  1500 
—  Del  Risorgimento  italiano.  —  Dello  svolgimento  dell'Ode  in  Italia.  — 
Primavera  e  fiore  della  lirica  italiana. 

CAROTTI  (G.).  L'arco  di  Alfonso  d'Aragona  e   di   Ferrante   I   in  Napoli. 
Con  ili.  e  tav.  —  Arte  decorativa  italiana^  fase.  I  e  II,  1905. 

I  documenti  ne  fanno  autori,  tra  altri,  Pietro  da  Milano,  che  è  il  lom- 
bardo Pietro  di  Giovanni  di  Martino  da  Viconago,  noto  anche  come  me- 
daglista insigne,  e  Donienico  lombardo. 


452  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

Carpenedolo.  —  Alcune  memorie  del  Santuario  di  Maria  Immacolata 
detto  del  Castello  di  Carpenedolo.  Brescia,  F.  Ceroidi,  1905,  in-i6  ili., 
pp.  22. 

CASINI  (T.).  Fonti  per  la  storia  della  Consulta  di  Lione.  —  Memorie 
R.  Accademia  di  scienze  e  lettere  di  Modena,  serie   III,  voi.  V,  1905. 

CASTAGNERI  (E.).  Sulla  persistenza  dei  «  Collegia  »  romani  nelle  corpo- 
razioni d'arti  e  mestieri  medioevali.  Torino,  Bona,  1905,  in-8. 

CASTELAR  (E.).  Ricordi  d'Italia:  Mantova  e  Virgilio.  —  L'isola  di  Capri. 
Milano,  Società  editr.  Sonzogno,  1905,  in-16  («  Biblioteca  Universale  w, 
n.  341). 

CASTELFRANCO  (P.).  Lambrate.  Di  un  grande  sarcofago  cristiano  mar- 
moreo, ornato  con  sculture  di  rilievo.  —  Notizie  degli  scavi,  a.  1905, 
fase.  IV. 

*  Catalogo  di  monete  veneziane  provenienti  dalla  raccolta  Giovanni  Bet- 

tinelli di  Bergamo  in  vendita  all'asta  amichevole  per  cura  di  Ro- 
dolfo Ratto  (23  novembre  1905).  Genova,  stab.  fratelli  Pagano,  1905, 
in-8,  pp.  29  e  2  tav. 

Catalogo  dei  lavori  di  archeologia,  storia  patria  ed  economia  politica 
pubblicati  dal  conte  Antonio  Cavagna  Sangiuliani  dal  1861  al  1905, 
Pavia,  tip.  succ.  Fusi,  1905,  in-8,  p.  41. 

*  CAVAGNA  SANGIULIANI  (A.).  Gli  statuti  di   Dervio   e   Corenno   recente- 

mente stampati.  Nota  relativa  ai  Paratici.  —  Rivista  di  scienze  sto- 
riche, maggio  1905. 

—  Pel  nuovo  elenco  degli  edifici  monumentali  della  provincia  di  Pavia. 
Note  e  proposte.  Pavia,  succ.  Fusi,  1905. 

Il  conte  Cavagna  in  un  precedente  suo  opuscolo  (/  nostri  monumenti  190^) 
moveva  alcuni  appunti  aW  Elenco  generale  degli  edifici  monumentali  pubblicato 
nel  1862  dal  Ministero,  notandovi  gli  errori  e  le  omissioni,  non  poche,  in- 
corse nell'inventario  governativo  per  riguardo  ai  monumenti  pavesi.  —  In 
questo  nuovo  lavoro,  più  completo,  l'A.  sotto  forma  di  lettera  al  Prefetto 
della  Provincia,  passa  in  rassegna  i  monumenti  che  meriterebbero  di  figurare 
nell'elenco  o  di  figurarvi  più  esattamente;  e  lamenta,  a  ragione,  la  poca 
tutela  che  vi  esercita  il  governo.  Ed  è  davvero  strana  l'anomalia,  che  do- 
vrebbe cessare,  di  vedere  la  provincia  di  Pavia  divisa  fra  i  due  uffici  re- 
gionali di  Milano  e  di  Torino:  da  questa  anomalia  deriva  la  mancanza  di 
unità  e  d'uniformità  nei  provvedimenti  per  la  conservazione  de'  monumenti. 

CAVIGLIONE  (C).  Un  Manzoni  nuovo?  —  Rassegna  Nazionale^  16  set- 
tembre 1905. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  453 

*CERADINI  (dott.  G.).  Opere.  Voi.  I.  Con  17  tav.  e  ritr.  In-4  gr.  Milano, 
U.  Hoepli,  1906. 

A  proposito  dei  due  globi  mercatoriani  1^41  e  i$^i  [nella  Biblioteca  go- 
vernativa di  Cremona]  (pubblicazione  interrotta  per  la  morte  dell'autore 
t  1894)  a  pp.  199-598. 

*  CERETTI  (sac.    F.).   Biografie    mirandolesi.    Tomo    IV,    in-8.   Mirandola, 

tip.  Grilli,  1905  («  Memorie  storiche  w   della  Mirandola,   voi.  XVI). 

È  notevole  a  pp.  201-220  la  biografia   del   barone  Alessandro  Zanoli, 

10  storico  della  milizia  cisalpino-italiana,  morto  a  Monza  nel  1855,  istituendo 
suo  erede  il  poeta  dott.  Raiberti.  L' iscrizione  sul  suo  modesto  monumento 
nel  cimitero  di  Monza  venne  fatta  incidere  dall'amico  suo,  il  conte  Francesco 
Arese,  noto  patriota  lombardo.  —  Nei  precedenti  volumi  delle  Biografie  Mi- 
randolesi, dettate  per  vero  dire  con  molta  prolissità,  scusabile  in  parte  dal- 
l'amore che  il  C.  porta  alla  sua  Mirandola,  notiamo  le  pagine  consacrate  al 
gran  giudice  Giuseppe  Luosi  (175  5-1850)  che  ebbe  larga  parte  negli  avveni- 
menti del  periodo  napoleonico  in  Milano.  Né  è  a  tacersi  Francesco  Montanari 
implicato  col  Tazzoli,  col  Castellazzo,  con  l'Acerbi  nei  processi  di  Mantova. 

CERVESATO  (A.).  Contro  corrente  :  saggi  di  critica  ideativa.  Bari,  G.  La- 
terza, tip.  edit,  1905. 

I.  Il  primo  uomo  della  nuova  Italia  (Parini). 

CERVI  (G.).  Francesco  Sforza:  grande  azione  comica,  lirica,  coreografica 
in  due  atti  e  tre  quadri.  Musica  di  Giuseppe  Zanetti.  Cremona, 
stab.  arti  grafiche  E.  Foroni,  1904,  in-16,  pp.  45. 

*  CESSI  (R.).  Prigionieri  illustri  durante  la  guerra  fra  Scaligeri  e  Carra- 

resi (1386).  Nota.  (Estr.  dagli  Atti  della  R.  Accademia  delle  scienze 
di  Torino,  voi.  XL,   18   giugno    1905).    Torino,   Clausen,   1905,   in-8. 

Due  battaglie  in  questa  lotta  hanno  speciale  importanza  :  lo  scontro  alle 
Brentelle  del  25  giugno  1386  e  l'altro  di  Castelbaldo  dell' 8  marzo  1387; 
ma  specialmente  il  primo  nel  quale  tutto  l'esercito  scaligero  era  rimasto  pri- 
gioniero del  signore  di  Padova;  i  migliori  capitani,  quali  Facino  Cane  e 
Ugolino  dal  Verme,  avevano  perduta  la  libertà,  che,  riottenuta,  perdevano 
di  nuovo  a  Castelbaldo,  prigionieri  per  la  seconda  volta  del  Carrarese. 

Ora  il  C.  da  imbreviature  di  alcuni  notai  antichi  che,  vissuti  alla  corte 
del  principe,  ne  rogarono  gli  atti  sia  pubblici  che  privati,  ne  cava  nomi  di 
diversi  prigionieri  e  ne  dilucida  i  contratti  stipulati  per  la  loro  liberazione. 

11  doc.  IV  (3  ottobre  1386)  ad  es.  è  una  carta  sohtionis  di  $50  ducati,  fatta 
a  Luchino  da  Casate  del  quondam  Galeazzo  da  Jacobo  dei  Capodivacca,  il 
quale  si  era  costituito  mallevadore  di  Ugolino  dal  Verme  pel  pagamento 
della  tagha  a  detto  Luchino.  L'ultimo  doc,  del  22  aprile  1387,  ricorda  fra 
alcuni  prigionieri  della  battaglia  di  Castelbaldo,  anche  un  Franceschinus  de 
Alexandria  e  un  Johannes  de  Mediolano. 


\- 


454  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

CESSI  (R.).  Un  passo  dubbio  di  Ennodio.  Padova,  Gallina,  1905,  in-8, 
pp.  36. 

L'A.  studia  quel  passo  del  Panegyricus  d' Ennodio  a  Teodorico  dove 
vengono  ricordati  i  benefizi  da  Teodorico  resi  all'  Italia  al  tempo  dell'  inva- 
sione degli  Alamanni. 

CHABERT  (S.).  Questions  relatives  à  Virgile.  —  Annales  de  i^  Universi  fé 
de  Grenoble,  XVI,  3. 

I.  La  mosaique  de  Sousse  et  le  début  de  V  Eneide.  — II.  Virgile  et  son 
«  grand  dessein  ».  —  III.  Le  pian  chronologique  de  V  Eneide, 

CHIATTONE  (D.).  Silvio  Pellico  a  Milano.  —  Gazzetta  del  Popolo  di  To- 
rino, 9  febbraio  1905. 

Con  documenti  inediti. 

—  Ved.  Archivio  {Piccolo)  di  Saluzzo, 

*CIACCIOL  (L.).  Il  cardinale  legato  Bertrando  del  Poggetto  in  Bologna 
(1327-1334).  —  Atti  e  Memorie  R.  Deputazione  di  storia  patria  per  le 
Provincie  di  Romagna,  serie  III,  voi.  XXIII,  fase.  I-III  (1905). 

Missione  di  ristabilire  la  pace  e  l' equilibrio  in  Lombardia,  e  di  abbattere 
ed  annientare  il  partito  ghibellino,  per  edificare  sulle  sue  rovine  un  vasto 
stato  pontificio,  avente  la  sua  capitale  nel  centro  guelfo  più  ragguardevole 
dell'Italia  dopo  Firenze  e  cioè  in  Bologna,  nella  quale  sarebbe  stata  da  Avi- 
gnone trasferita  la  sede  papale,  affine  di  potere  di  là  regolare  il  movimento 
politico  italiano,  meglio  che  dall'abbandonata  e  malsicura  Roma,  lontana 
troppo  dal  più  attivo  focolare  di  vita  italiana  del  tempo,  qual  era  la  Lom- 
bardia. 

*CIAN  (V).  Il  seguito  di  due  iniziali.  —  Giornale  storico  della  letteratura 
italiana,  fase.  136-137  (1905),  pp.  259-261. 

In  un  recente  fascicolo  della  Biblioteca  delle  scuole  italiane  il  C.  richia- 
mava l'attenzione  degli  studiosi  sopra  una  prefazione  agli  Articoli  tratti  dal 
Cafft,  che  reca  la  firma  A.  M.  confessando  d' ignorare  chi  si  nascondesse 
sotto  queste  iniziali.  Ora  svela  il  piccolo  segreto  di  quelle  due  iniziali; 
l'autore  di  quella  prefazione  è  sicuramente  Achille  Mauri. 

—  Il  «  Latin  sangue  gentile  »  e  il  «  furor  di  lassù  »  prima  del  Petrarca. 

Con  ili.  —  La  Lettura^  agosto  1905. 

Appunti  sullo  spirito  antitedesco  che  prevalse  in  Italia,  nel  Medio  Evo. 

* —  Un  genealogista  patriotta.  Lettere  inedite  del  conte  Pompeo  Litta- 
Biumi.  (Estr.  dal  Supplemento  al  fase.  II,  a.  I,  voi.  I  della  «  Miscel- 
lanea di  erudizione  »).  Pisa,  tip.  Marietti,  1905,  in-8.  pp.  13. 

Nove  lettere,  interessanti,  del  Litta  al  conte  Luigi   di  Cossilla  in  To- 
•     rino,  scritte  dal  1847  al  1849  e  che  si  riferiscono  a  quegli  avvenimenti  po- 
litici  nei    quali   1'  autore   loro  ebbe  una  parte  cosi  cospicua.  Al  testo  delle 
lettere  va  innanzi  un  succoso  cenno  biografico  del  Litta. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  455 

CINQUINI  (A.).  Spigolature  da  codici  manoscritti  del  secolo  XV:  II.  Il 
Codice  Vaticano-Urbinate  Latino  1193.  —  Classici  e  Neo-Latini,  a.  I, 
1905,  nn.  3,  4,  5. 

Esame  e  tavola  del  codice  che  contiene  componimenti  di  Pandolfo  Gol- 
lenuccio  in  morte  di  Battista  Sforza,  di  Leonardo  Griffi  milanese,  del  Por- 
cellio,  di  Bonino  Mombrizio,  di  Mario  e  Francesco  Filelfo,  di  Francesco 
Tranchedino,  di  Piattino  Piatti,  [di  Antonio  Pozobonelli,  di  Gio.  Giacomo 
Simonetta,  di  fra  Martino  da  Vailate,  ecc.  Di  taluni  si  offrono  dei  saggi. 

*  CIPOLLA  (C.).  Pubblicazioni  sulla  storia  medioevale  italiana  [1901).  Ap- 
pendice al  Nuovo  Archivio  Veneto,  to.  IX,  parte  I  (1905). 

Cfr.  a  pp.  53-68,  il  cap.  III.  Lombardia. 

€LERIC  (O.).  Der  Kampf  zwischen  den  Eidgenossen  und  Konig  Franz  I 
von  Frankreich  um  Mailand  1515.  Schlacht  bei  Marignano.  —  Schweizer, 
Monatsschrift  fur  Offiziere  alter  Waffen,  1905. 

Battaglia  di  Marignano,  settembre  151 5. 

CODARA  (sac.  A.).  Il  cardinale  Agostino  Gaetano  Riboldì.  Pavia,  succ.  Fusi, 
1905,  in-8,  pp.  xj-462,  con  ritr. 

'''COGGIOLA  (dott.  G.).  I  Farnesi  e  il  ducato  di  Parma  e  Piacenza  durante 
il  pontificato  di  Paolo  IV  (con  appendice  di  documenti).  Voi.  I.  Parma, 
Battei,  1905,  in-8  gr.,  pp.  282. 

Se  ne  riparlerà. 

^COLOMBO  (A.).  La  chiesetta  di  S.  Giorgio  Martire  e  la  ricostruzione 
ideale  dell'antica  Vigevano.  —  Rivista  di  scienze  storiche,  novembre 
1905. 

€OIVIANDINI  (A.).  [//  Curiosol.  Milano  capitale  d' Italia  (1805-1814).  —  Se- 
colo XX,  1905,  pp.  507-520  e  ili. 

—  L'Italia  nei  Cento  Anni  del  secolo  XIX  giorno  per  giorno  illustrata. 
Disp.  46.*:  1847-1848.  In-i6  ili.  Milano,  tip.  A.  Vallardi,  1905. 

*COIVIPOSTELLA  (B.).  Le  armi  delle  nobili  famiglie  Bassanesi  fiorenti  in 
quanto  ai  maschi.  —  Bollettino  del  Museo  Civico  di  Bassano,  a.  II, 
1905.  n.  3, 

Vi  è  discorso,  tra  altre,  delle  famiglie  Bellavitis  (Bergamo- 1589),  Brocchi 
(Plevio  (i),  nel  Canton  Grigioni-1599),  Caffo  (Bergamo-1700),  Locai elli  (Ber- 
gamo-1512),  Tattara  (Mandello,  lago  di  Como,  1623). 


(i)  Dovrà  leggersi  Pluvio  =:  Piuro  in  Valtellina,  allora  dominio  grigionese; 
'       località  celebre  per  lo  scoscendimento  del  1618. 


456  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

CORIO  (prof.  L.).  La  strada  del  Campidoglio,  episodi  nazionali  1849-1870^ 
strenna  pel  1905-1906  del  Pio  Istituto  dei  Rachitici.  Milano,  presso 
il  Pio  Istituto. 

CORNELIO  (A.  M.).  Impressioni  Ossolane.  —  //  Buon  Cuore  di  Milano, 
a.  IV,  1905. 

*  CORTI  (G.)  &  MAROZZI    (C).   Armoriale   italiano  (Addizioni    e  rettifiche 

al  «  Dizionario  storico-blasonico  delle  famiglie  nobili  italiane  del 
comm.  G.  B,  di  Crollalanzà),  —  Giornale  araldico-genealogico,  mag- 
gio 1905. 

Famiglie  Arbona,  Amati,  AnaneJU,  Bevilacqua,  Brasca,  Busserò,  Carati, 
Cardano,  Cattaneo,  Cavalli,  Ca^aghi,  Cignardi,  Crescentini,  Crivelli,  milanesi;. 
Bovio  {de  "Bove  e   Bovo)  di  Pavia,  Vico  {de  Vicho)  di  Pavia. 

*  COSTA  (E.).  Andrea  Alciato  e  Bonifacio  Amerbach.  —  Archivio  storico 

italiano,  fase.  Ili,  1905. 

CRESCINI  (V.).  Dante  e  Sordello.  —  Fanfulla  della  domenica,  XXVII,  36-37. 
CROCE  (B.).  Note  su  Paolo  Ferrari.  —  La  Critica,  III,  4. 

D'ANCONA  (A.).  Lettere  di  Piemontesi  illustri.  Pisa,  tip.  Mariotti,  1905 
(Trozze  TuUio-Vinaj). 

Una  letterina  di  Massimo  d'Azeglio  è  tutta  in  dialetto  milanese. 

—  La  poesia  popolare  in  Italia.  2.^  edizione  accresciuta.  Livorno,  Giusti^ 
editore,  1905,  in-i6,  pp.  571. 

DARESTE  (R.).  La  «  Lex  rhodia  ».  —  Nouvelle  Revue  historique  de  droit 
fran^ais  et  étranger,  luglio-agosto  1905. 

11  D.  offre  una  traduzione  francese  di  questa  legge,  secondo  il  testo 
greco  pubblicato  nel  1897  dall'abate  Mercati,  allora  bibliotecario  dell'Ambre-- 


DE  BUDE  (E.).  Napoléon  III  et  le  general  Dufour,  d'après  une  correspon- 
dance  inèdite  1830-1872.  —  Revue   des   deux  mondesj  i."  aprile  1904. 

Con  qualche  cenno  dei  fatti  d'Italia. 

DEJOB  (Ch.)  Les  descriptions  de  batailles  dans  1'  «  Orlando  Furioso  »  et 
dans  la  «  Gerusalemme  Liberata  ».  —  Bulletin  Italien,  V,  3. 

DELL'ACQUA  (C).  L' imperatore  de'  francesi  Napoleone  I  e  l'augusta  sua 
consorte  Giuseppina  nel  maggio  1805  in  Pavia.  —  //  Buon  Cuore  di 
Milano  (edit.  Cogliati),  a.  IV,  1905,  n.  32  sgg. 

DETLEFSEN  (D.).  Verbesserungen  und  Bemerkungen  zum  XI.  Buch  der 
Naturalis  Historia  des  Plinius.  —  Hermes,  voi.  XL,  fase,  IV. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  457 

DE  TONI  (dott.  E.).  I  nomi  geografici  alle  porte  d' Italia.  —  Venezia,  Co- 
mitato locale  della  Società  Dante  Alighieri,  edit.  (tip.  Emiliana)  1905, 

in-16,    pp.   XV1J-I24. 

—  Giuseppe  De  Notaris.  —  La  Nuova  Notarisia  di  Padova,  aprile  1905. 

Dizionario  corografico  dell'  Italia  e  dei  principali  paesi  italiani  oltre  con- 
fine, illustrato  nei  ricordi  storici,  artistici  e  nella  vita  pubblica  ed 
economica.  Direttori  G.  B.  Magrini  e  G.  Vaccari.  Fase.  XXVI  (I  del 
voi.  II).  Milano,  casa  editr.  dott.  F.  Vallardi,  1905,  in-8  fig.,  pp.  1-40. 

*  DONATI  (G.).  Dizionario  dei  motti  e  leggende  delle  monete  italiane.  — 
Bollettino  di  numismatica,  novembre  1905  sgg. 

DRAGON  (A.).  L'unite  italienne  à  travers  les  àges.  Aper9u  historique 
sur  le  ròle  de  la  France  et  de  l'AUemagne  en  Italie.  Paris,  Larose 
et  Tenin,  1905,  in-16,  pp.  xi-107. 

*DRIAULT  (E.).  Napoléon  I.^""  et  l'Italie,  2.me  et  s.me  parties  :  Bonaparte 
et  la  république  italienne.  Napoléon  roi  d'Italie.  —  Revue  Historique^ 
luglio-dicembre  1905  {coni,  e  fine). 

La  Consulte  de  Lyon.  —  La  république  italienne.  —  Le  couronnement 
de  Milan. 

DUHEW  (P.).  Léonard  de  Vinci    et   Villatpand.    —   Bulletin  Italien,  V,  3. 

ESCHER  (H.).  Das  schweizerische  Fussvolk  im  XV  und  im  Anfang  des 
XVI  Jahrhunderts.  Zilrich,  Fasi  &  Beer,  1905,  in-8,  pp.  47  e  tav. 

La  fanteria  svizzera  alla  fine  del  XV  e  sul  principio  del  XVI  secolo. 

EVELYN.  Antichi  pittori  italiani,  conversazioni  artistiche  illustrate  per  la 
gioventù.  Milano,  A.  Solmi  edit.,  1905,  in-8  gr.  ili.,  pp.  643. 

VII.  Masolino  da  Panicale.  —  XIX.  Andrea  Mantegna.  —  XXX.  Leo- 
nardo da  Vinci.  —  XXXI.  Bernardino  Luini.  —  XXXII.  Il  Sodoma. 

FABRY  (G.).  Rapports  historiques  des  régiments  de  l'armée  d'Italie  pen- 
dant la  campagne  de  1795-1797.  Paris,  Chapelot,  1905,  in-8,  pp.  598. 

FALENA  (U.).  Isabella  Andreini.  —  Rassegna  Nazionale,  16  maggio  1905. 

FASOLI  (R.).  Cesare  Cantù  storico-pedagogista-dida'tta,  conferenza  com- 
memorativa. Como,  tip.  editr.  Ostinelli,  1905,  in-8,  pp.  31. 

FAVARO  (A.).  Nuove  ricerche  sul  matematico  Leonardo  Cremonese.  —  Bi-- 
bliotheca  Mathematica  di  Lipsia,  1905. 

FERRARIS  (C).  Di  alcune  forme  di  politica  sociale  del  comune  in  Italia. 
—  Festgahen  fur  Adolph  Wagner  (Leipzig,  Winter,  1905,  4.'). 


45^  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

*  PESTI  (C).  Notizie  storico-genealogiche  sugli  ultimi  dinasti  di  Nomi.  — 

AtU  R.  Accademia  degli  Agiati  in  Rovereto,  aprile-giugno  1905. 

Cfr.  a  pp.  112  sgg.  e  121  sgg.  un  alberetto  genealogico  dei  dinasti  di 
Nomi  conti  Busio  Castelletti^  originati  da  un  maestro  Pietro  Busio,  sarto  di 
Milano,  cittadino  di  Trento  e  console  ivi  nel  1440,  con  descrizione  dello 
stemma  Castelletti,  e  Baldironi,  oriundi  di  Milano  di  dove  passarono  a  Trento 
e  conti  Zanatta  di  Mantova. 

I^ILALETE.  I  magi  evangelici  e  le  loro  reliquie.    —  Rassegna   Nazionale, 
16  maggio  1904. 

Esamina  il  lato  storico  dell'autenticità  delle  spoglie  mortali  dei  Magi 
che  si  credettero  deposte  e  conservate  per  alcuni  secoli  nella  basilica  di 
S.  Eustorgio  e  dimostra  la  puerilità  della  pretesa. 

FILIPPINI  LERA  (A.).  Il  concetto  della  folla  nei    «  Promessi   Sposi  ».    — 
Rassegna  Pugliese,  XXI,  7-8. 

*  FILIPPINI  (F.).  La  seconda  legazione    del   cardinale   Albornoz  in  Italia 

(1358-1367).  Documenti.  —  Studi  Storici,  voi.  XIV,  fase.  I,  1905  [cfr. 
q\xesi^ Archivio,  XXXI,  1904,  p.  454]. 

jj6i,  4  settembre.  Lettera  di  Egidio  ad  Urbano  V  circa  la  dispensa  dal 
4.°  grado  di  parentela  per  il  matrimonio  tra  Paolo  conte  di  Montefeltro  e 
una  nipote  dei  Signori  di  Mantova.  —  136^,  21  giugno.  Urbano  V  comanda 
ad  Egidio  di  osservare  scrupolosamente  i  patti  della  pace  con  Barnabò  Vi- 
sconti. —  1^6^,  22  settembre.  Urbano  V  manda  ambasciatore  all' Albornoz, 
Egidio~~di  Ulchero,  per  la  lega  da  farsi  con  Bernabò.  —  1^66,  24  giugno. 
Urbano  V  scrive  a  Giovanni  di  Oleggio  per  la  difesa  della  Marca  dalla 
Compagnia  Inglese. 

FLAMINI  (F.).  Varia:  pagine  di  critica  e  d'arte.  Livorno,  R.  Giusti,  1905, 
in-i6.    • 

9.  L'opera  dì  Giuseppe  Verdi. 

FOGAZZARO  (A.).  Discorsi.  2.»  ediz.,  con  aggiunte.  In-i6.  Milano,  tip.  editr., 
L.  F.  Cogliati,  1905. 

3.  Intorno  ad  un'opinione  di  Alessandro  Manzoni.  8-9.  La  figura  di 
Antonio  Rosmini.  Per  A.  Rosmini. 

*  Fontana  Leone.  Necrologia.  —  Bollettino  storico-bibliografico  subalpino, 

a.  X,  fase.  I-III,  1905,  a  pp.  241-43. 

Altro  affettuoso  necrologio  del  compianto  nostro  socio  senatore  Fontana, 
leggesi  nella  Rivista  storica  italiana^  a  p.  414-15  del  fase.  Ili,  1905. 

*  FOSSATI  (F.).  Nuovi  documenti  su  l'opera  di  Lodovico  il  Moro  in  difesa 

di  Costanzo  Sforza.  -—  Atti  e  Memorie  della  R.  Deputazione  di  storia 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  459 

patria  per   le  Provincie   delle   Marche.  Nuova  serie,  voi.  I,  fase.  IV, 
pp.  423-440  e  voi.  II,  fase,  1,  pp.  59-88  (Ancona,  1904- 1905). 

Dai  documenti  milanesi  qui  pubblicati  ed  egregiamente  adoperati  dal 
F.  risulterebbe  provato  che  il  signore  di  Pesaro  si  salvò  dalla  rapace  ambi- 
zione di  Girolamo  Riario,  poco  onestamente  protetto  dal  pontefice  Sisto  IV, 
suo  zio,  sopratutto  mercè  1'  opera  costante,  ferma,  energica  —  non  diciamo, 
anche,  disinteressata  —  di  Lodovico  il  Moro  (1480). 

FRAIKIN  (J.).  La  nonciature  de  France,  de  la  bataille  de  Pavie  à  la  mort 
de  Clément  VII  :  sources  mss.  —  Miscellanea  di  storia  ecclesiastica,  II, 
6-7,  1905-  , 

FRANGI  (M.).  La  casa  degli  Eroi  a  Groppello.  Poemetto,  2.^  ediz.  Roma- 
Milano,  Società  editr.  Dante  Alighieri,  1905. 

FRANCIA  (P.).  La  Lucia  dei  «  Promessi  Sposi  ».  Firenze,  tip.  Galileiana, 
1905,  in- 16,  pp.  106. 

FRISIANI  (dott.  C).  Commemorazione  del  dott.  Antonio  Rezzonico  (Opera 
Pia  Guardia  medico-chirurgica  notturna  nel  comune  di  Milano).  Mi- 
lano, stab.  tip.  G.  Agnelli,  1905,  in-8  fig.,  pp.  20. 

FUOCHI  (M.)  &  COTRONEI  (B.).  Lattanzio  e  un'ode  di  G.  Parini.  —  Aléne 
e  Roma^  VII,  64-65,  1904. 

G^  (E,).  Guida  della  Valle  Intel  vi.  —  La  Vaile  Intelvi^  a.  Ili,  1905,  nn.  93, 
94,  95  e  prec.  (Como,  Longatti). 

GADINA  (sac.  G.).  Ricordi  e  preghiere  pel  Santuario  della  Madonna  del 
Castello  in  Invorio  Superiore.  Intra,  tip.  F.  Bertolotti,  1904,  in-16, 
pp.  64. 

''GALLAVRESI  (G.).  La  piazza  dei  Mercanti  di  Milano  al  tempo  della  voca- 
zione di  S.  Alessandro.  —  In  Omaggio  del  Circolo  S.  Alessandro 
Sauli  (Genova,  1905). 

* —  Il  diritto  elettorale  politico  secondo  la  costituzione  della  Repubblica 
Cisalpina.  Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Cogliati,  1905,  in-16,  pp.  248. 

Ne  riparleremo. 

* —  La  lutte  des  Lombards  contre  les  Autrichiens,  d'après  les  Mémoires 
de  M.  Visconti- Venosta.  —  Revue  des  questions  historiques,  i."  lu- 
glio 1905. 

* —  Le  istruzioni  del  conte  Benedetto  Arese  a  suo  figlio  deputato  alla 
Consulta  di  Lione.  —  Rendiconti  Istituto  Lombardo,  serie  II,  vo- 
lume XXXVIII,  fase.  XVI. 

—  Il  senatore  Giuseppe  Piola  Daverio  (1826-1904).  —  Rassegna  Nazto- 
nakf  16  ottobre  1904. 


460  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

*GASPERONI  (G.)  Aurelio  de'  Giorgi  Bertola  e  la  sua  filosofia  della  storia.- 

—  La  Romagna,  II,  i,  1905. 

—  La  storia  e  le  lettere  nella  seconda  metà  del  secolo  XVIII.  Jesi,, 
tip.  editr.  Cooperativa,  1904. 

Si  parla  di  Gio.  Cristofaro  Amaduzzi  (1742-1792)  di  cui  l'A.  pubblica 
parecchie  lettere  scambiate,  p.  e.  con  Isidoro  Bianchi  (cremonese),  Girolamo- 
Tiraboschi,  Vincenzo   Monti  (Cfr.  Arch.  stor.  ital,  fase.  HI,  1905,  p.  240). 

GAUTHIEZ  (P.).  Les  villes  d'art  célébres  :   Milan.  Paris,  Renouard,    1905. 
Cfr.  i  cenni  di  Polifilo  in  Corriere  della  sera,  3  dicembre  1905. 

GERSPACH.  Lugano,  la  ville  des  fresques.  —  Tour  du  monde,  3  giugno 
1905. 

Ripr.  in  GaTX^ìta  Ticinese  di  Lugano,  n.  105,  1905. 

""GHILINI  (G.).  Annali  di  Alessandria,  annotati,  documentati  e  continuati 
da  Amilcare  Rossola.  Voi.  II,  disp.  46.'*-54.^.  In-^.  Alessandria,  Pic> 
cone,  1905,  da  p.  241  a  p.  384. 

Comprende  gli  avvenimenti  dal  1558  al  1604. 

*GIORCELLI  (G.).  Una  grida  di  Vincenzo  I  Gonzaga,  duca  di  Mantova  e 
di  Monferrato,  per  la  zecca  di  Casale  (7  agosto  1590).  —  Bollettino  di 
numismatica,  settembre  1905. 

*  GIULIANI  (C.  de).  Cristoforo  Madruzzo.  Giovinezza  e  studi.  Sua  elezione 
a  principe  vescovo  di  Trento  e  a  cardinale  (1512-1542).  —  Archivio 
Trentino,  a.  XX,  fase.  I  (1905). 

*GIULINI  (A.).  Di  un  ramo  ignorato  del  casato  de'  Maggi.  —  Giornale 
araldico-genealogico,  a.  XXIX,  1905,  n.  5. 

Ramo  di  Parabiago,  omesso  dal  Calvi  nelle  sue  Famiglie  notabili  mi- 
lanesi, che  pur  ebbe  qualche  istante  di  splendore,  ora  estinto. 

* —  Parole  pronunciate  sulla  tomba  del  conte  Emilio  Barbiano  di  Bel- 
giojoso.  —  Bollettino  della  Consulta  araldica,  n.  28,  voi.  VI. 

*GIUSSANI  (A.).  Il  forte  di  Fuentes.  Episodi  e  documenti  di  una  lotta  se- 
colare per  il  dominio  della  Valtellina.  Como,  tip.  editr.  Ostinelli, 
1905,  in-8  gr.,  pp.  xii-448,  con  ritr.  piante  e  tav.  ili.  ("  Raccolta  Sto- 
rica „  della  Società  storica   comense,  voi.  V). 

Prefazione.  —  I.  Il  conte  di  Fuentes.  —  II.  I  Grigioni.  —  III.  I  Val- 
tellinesi.  —  IV.  Le  alleanze  dei  Grigioni  coi  Milanesi,  Francesi  e  Veneziani. 

—  V.  Broccardo  Borroni.  —  VI.  La  costruzione  del  forte.  —  VII.  Gli  ar- 
chitetti Gabrio  Busca  e  i  suoi  collaboratori.  —  Vili.  La  fortezza.  —  IX.  I 
Castellani.  —  X.  Il  Piano  di  Spagna.  —  XI.  Attraverso  due  secoli.  — 
XII.  La  distruzione.  —  Documenti.  —  Indici. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  46 1 

GIUSSANI  (P.).  Precursori  italiani  dell'attuale  Corte  di  Cassazione:  dis- 
sertazione di  laurea  in  giurisprudenza  (R.  Università  di  Pavia). 
Milano,  stab.  tip.  E.  Reggiani,  1905,  in-4,  pp.  46. 

*GNECCHI  (E.).  Cronaca  delle  falsificazioni.  —  Rivista  italiana  di  numi- 
smatica, fase.  II,  1905. 

Monete  di  Mantova  (zecchino  di  Lodovico  III  e  doppia  di  due  di  Vin- 
cenzo I  Gonzaga),  Mesocco  (scudo  d'oro  del  sole  di  G.  G.  Trivulzio). 

*GÒLLER  (E.).  Der  Liber  Taxarum  der  Pàpstlichen  Kammer  (Teli  I).  — 

Quellen  und  Forschungen  dell'Istituto  Storico  Prussiano,    voi.    Vili, 
fase.  I  (1905). 

Questo  interessante  studio,  sul  quale  forse  ritorneremo  a  completa  edi- 
zione, interessa  fin  d'ora  i  monasteri  di  Brescia  (cfr.  p.  164  sgg.). 

*  GRILLO  (G.).  Monete -di  Castiglione  delle  Stiviere.  —  Bollettino  di  nu- 
mismatica, giugno  1905. 

GUERLIN  (H.).  Bergame.  —  Revue  Mame,  30  luglio  1905. 

CIUERRINI  (P.).  La  Preriforma  cattolica  e  le  Confraternite  del  SS.  Sagra- 
mento  :  Un'antica  Confraternita  di  Brescia.  —  Miscellanea  di  storia 
ecclesiastica,  III,  i,  1904. 

* —  L'Immacolata  a  Brescia.  —  Rivista  di  scienze  storiche,  ottobre-no- 
vembre 1905. 

<jmda  alla  Basilica  Ambrosiana.  Milano,  tip.  arciv.  di  R.  Ghirlanda, 
1905,  in-i6,  pp.  95,  con  tav. 

Guida  di  S.  Pellegrino.  Milano,  stab.  tip.-lit.  L.  Zanaboni  &  Gabuzzi  di 
L.  Gabuzzi,  1905,  in-8  fig.,  pp.  112,  con  15  tav. 

•GUSTARELLI  (A.).  Il  dramma  d'amore  nel  IV  libro  dell'  «  Eneide  ».  — 
Rivista  Abruzzese  di  scienze  e  lettere,  XX,  5-6. 

HADANK  (K.).  Die  Schlacht  bei  Cortenuova  am  27  november  1237.  Berlin, 
R.  Hanow,  1905,  in-8,  pp.  63. 

La  battaglia  di  Cortenuova,  del  27  novembre  1237. 

HANOW  (B  ).  Beitràge  zur  Kriegsgeschichte  der  staufischen  Zeit  Die 
Schlachten  bei  Carcano  und  Legnano.  Berlin,  R.  Hanow^,  1905,  in-8, 
pp.  47. 

Contributi  alla  storia  militare  del  periodo  degli  Hohenstaufen.  Le  bat- 
taglie di  Carcano  e  di  Legnano. 

"*HAZARD  (P.).  Les  milieux  littéraires  en  Italie  de  1796  à  1799.  —  Me- 
langes  d'archeologie  et  d'histoire  (Ecole  Fran9aise  de  Rome)  XXV, 
fase.  III-IV,  1905. 


462  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

HENRIOUD.  Les  anciennes  postes  valaisannes  et  les  Communications  in- 
ternationales  par  le  Simplon  et  le  Grand  S.*  Bernard,  1616-1648.  — 
Revue  historique  vaudoise,  luglio  1905  sg. 

*HERRERA  (A.).  Medallas  del  principe  don  Felipe  y  de  Juanelo  Tur- 
riano  (ili.).  —  Revista  de  archivos,  bibliotecas  y  museos,  marzo-aprile 
1905. 

Le  due  medaglie  di  Filippo,  figlio  di  Carlo  V,  sono  del  Leone  Leoni; 
l'altra  è  del  Gianello  della  Torre,  cremonese. 

HILL  (G.  F).  Medallic  Portraits  of  Christ  in  the  Sixteenth  Century  (Re- 
printed  from  «  The  Reliquary  w).  In-4  ili.  pp.  io,  s.  loc,  &  typ.  (1904). 

Ricorda  anche  il  Cristo  Salvatore  della   collezione  Trivulzio,  già  attri- 
buito a  Leonardo,  ed  inciso  dal  Morghen. 

HUNIÈRES  (L.  d').  La  Tour  du  Filarète.  —  Le  Monde  illustre,  30  set- 
tembre 1905. 

INTRA  (G.  B.).  Del  conte  Luigi  Magnaguti  :  cenni  biografici.  Mantova, 
stab.  tip.  G.  Mondovì,  1905,  in-8,  pp.  xxiiij-3,  con  ritr. 

*INVERNIZZI  (C).  Gli  Ebrei  a  Pavia  nei  secoli  XV  e  XVL  Pavia,  succes- 
sori Fusi,  1905,  in-8,  pp.  92. 

lANUEL  (H.).  Commentationes  philologicae  in  Zenonem  Veronensem,  Gau- 
dentium  Brixiensem,  Petrum  Chrysologum  Ravennatem.  Pars  L  Re- 
gensburg^  Mayr  (Programm  des  alten  Gymnasium  1904-1905)  in-8, 
pp.  4^- 

KRUSCH  (B.).  Jonae  Vitae  sanctorum  Columbani,  Vedastis,  Johannis.  Han- 
noverae,  Hahn,  1905,  in-8,  pp.  xii-366  («  Scriptores  Rerum  Germa- 
nicarum  in  usum  scholarum  ex  Monumentis  Germaniae  Historicis 
separatim  editi  w). 

LANG  (W.J.  Manzoni's  literarischer  Nachlass.  —  Deutsche  Rundschau, 
IO  luglio  1905.  / 

LEFRANC  (A.)  &  BOULANGER  Q.).  Comptes  de  Louise  de  Savoie  (1515, 
1522)  et  de  Marguerite  d'Angouléme  (15 12,  1517,  1524,  1529,  1539). 
Paris,  Champion,  1905,  in-8,  pp.  viii-126. 

Leonardo.  —  Le  tristi  condizioni  di  un  Leonardo  da  Vinci  (La  Santa 
Anna).  —  Rassegna  d'arte,  aprile  1905. 

Leonardo  da  Vinci.  Bibliografia  Vinciana,  1901-1905.  ^ 

—  Ved.  Raccolta  Vinciana  (e  Baratta,  Beltrami,  Duhem,  Evelyn,  Lie- 
benau). 


BOLLETTINO  BIBLIOGRAFIGO  46^: 

Lettres  de  Louis  XI,  roi  de  Francc.  Tome  IX,    1481-1482,   publiées  par 
/.  Vaesen.  Paris,  Laurens,  1905,  in-8. 

LIEBENAU  (Th.  von).  Ein  Reisebericht  des  Historienmalers  Ludwig  VogeL 
—  Katholische  Schweizerblcitter,  1904,  fase.  II. 

Pubblica  una  lettera  del  noto  pittore  Vogel  da  Zurigo  (27  settembre  18 13). 
dove  dice  d'aver  veduto  in  Milano  una  copia  contemporanea  del  Cenacolo, 
di  straordinaria  bellezza,  che  altre  volte  era  alla  Certosa  di  Pavia,  ed  allora 
posseduta  da  un  droghiere  in  piazza  Fontana. 

LOCATELLI  (sac.  C).  Il  4  novembre  1605  :  memorie  e  documenti.  Milano,, 
tip.  editr.  arciv.  R.  Ghirlanda,  1905,  in-4,  pp    76. 

I.  Il  processo  di  canonizzazione  a  Roma.  —  II.  La  festa  di  S.  Carlo- 
in  Duomo  e  il  discorso  del  rev.  padre  Lorenzo  Felino,  chierico  regolare 
teatino.  —  III.  Miracolo  operato  da  S.  Carlo  nel  1605.  —  IV,  Epistolario 
di  S.  Carlo  e  S.  Alessandro  Sauli.  —  V.  Analogie  tra  S.  Alessandro  Sauli 
e  S.  Carlo  Borromeo.  —  VI.  Appendici. 

LOETSCHER.  Un  voyage  en  Italie  et  en  Suisse  en  1839.  —  Revue  catho- 
lique  (fAlsace,  mai  1905  et  suiv. 

*  LUCCHINI  (cav.  L.).  La  Basilica  di    S.    Michele   in    Cremona.  —  Arte  e 

Storia,  nn.  15-16,  1905. 

LUGO  (prof.  D.).  Saggio  di  studi  sulla  Acquicoltura  Benacense  (Estratto 
dall'AVo  del  Baldo).  Riva,  tip.  Miori,  1905,  in-i6,  pp.  112  e  4  ili. 

S'apre  con  un  esauriente  Cenno  storico  sull'  aquicoltura  del  Benaco,  at- 
tinto ai  vecchi  documenti  per  tutte  le  vicende  attraversate  dalla  pesca  del 
Garda, 

LUZIO  (A.).  Un'apologia  di  Haynau.  —  Corriere  della  Sera,  io  agosto  1905. 

Vibrata  confutazione  del  tentativo  di  riabilitazione  della  a  Jena  di  Brescia  » 
fatto  dal  tenente  Bartsch  (Haynau  und  der  Aufstand  in  Brescia  1848,  nach 
offiziellen  Acten  etc,  nelle  Mittheilungen  des  K.  u.  K.  Kriegs  Archivs  di 
Vienna,  1903), 

*  —  I  martiri  di  Belfiore  e  il  loro  processo  :  narrazione  storica  documen- 

tata. Milano,  tip,  editr.  L.  F.  Cogliati,  1905,  in-8,  fig.,  2  voli.  (pp.  xx> 
414;  422). 

Ne  riparleremo. 
—  Giuseppe  Mazzini.  Conferenza  con  note  e  documenti  inediti.    —    Mi- 
lano, tip.  Treves,  1905. 

MAHON  (P.),  Études  sur  les  armées  du  Directoire,  P.  i  :  Joubert  à  Tarmée 
d'Italie  ;  Championnet  à  l'armée  de  Rome  (octobre  1798  -  janvier  1799)- 
Paris,  Chapelot,  1905,  in-8,  pp.  xxviii-591  et  cartes. 


464  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

^MAJOCCHI  (R.).  Lo  scisma  d'Occidente  e  Gian  Galeazzo  Visconti.  — /?/- 
vista  di  scienze  storielle,  giugno  1905. 

MALAGUZZI-VALERI  (C.  L.).  Trattative  segrete  italo-austriache  prima  della 
guerra  del  1866.  —  Rivista  d'Italia,  ottobre  1905. 

Si  sa  che,  prima  dell'accordo  fra  Russia  e  Italia,  s' erano  intavolate  tra 
Austria,  Italia  e  Francia  trattative  le  quali,  se  fossero  approdate,  avrebbero  riac- 
quistato il  Veneto  all'Italia  senza  la  infelice  campagna  del  1866  e  forse  mutate 
le  condizioni  politiche  internazionali  in  modo  da  impedire  la  guerra  franco- 
prussiana e  la  costituzione  dell'  impero  germanico  sotto  la  dinastia  degli  Ho- 
henzoUern.  Di  queste  infruttuose  trattative  fu  episodio  culminante  la  missione 
segreta  del  conte  Alessandro  Malaguzzi  Valeri  a  Vienna  ;  e  di  questa  dà  in- 
teressanti particolari  il  figlio  del  conte  Alessandro,  Carlo  Lodovico,  colonnello 
nella  riserva.  Però  una  larga  documentazione  di  quel  momento  importante 
della  nostra  storia  si  avrà  quando  saranno  pubblicati  documenti  che  il  conte 
Alessandro  lasciò  in  custodia  al  figlio  minore  Ippolito,  direttore  dell'Archivio 
di  Stato  di  Milano,  morto  pochi  mesi  or  sono,  con  la  raccomandazione  di 
tenerli  segreti  finché  in  Vienna  vivessero  uomini  o  signore,  che  avendo 
preso  parte  a  quei  fatti,  potevano  essere  compromessi  {Corriere  della  Sera, 
14  novembre  1905). 

IMANACORDA  (G.).  Un  segreto  rimpianto  di  don  Abbondio.  —  Rassegna 
Pugliese,  XXII,  1-2. 

Quello  di  non  avere  famiglia. 

1VIANNUCCI  (F.  L.).  I  genitori  di  S.  Alessandro  Sauli.  —  In  Omaggio  del 
Circolo  Alessandro  Sauli.  Genova,  tip.  del  Serafino  d'Assisi,  1905, 
PP-  5-7- 

IMANZONI  (A.).  Brani  inediti  dei  «  Promessi  Sposi  w  per  cura  di  Gio- 
vanni Sforza.  2.^  ediz.  Milano,  U.  Hoepli  edit.,  1905,  in- 16,  2  voli, 
(pp.  cxx-cxxiiij-772). 

Manzoni.  —  Ved.  Bertoldi,  Caviglione,  Filippini,  Fogazzaro,  Francia, 
Lang,  Manacorda,  Momigliano,  Osimo,  Romanelli,  Rondani,  Scrocca. 

*  MARCHISIO  (A.  F.).  Studi  sulla  numismatica  di  casa  Savoia.  Memoria  VII: 
Supplemento  alla  Memoria  VI  sulle  prove  di  zecca  per  re  Vittorio 
Emanuele  II.  —  Rivista  italiana  di  numismatica,  fase.  Il,  1905. 

Scherzo  patriottico  del  pezzo  da  2  centesimi  della  zecca  di  Milano  del- 
l'a.  1857. 

* —  Un  ongaro  inedito  di  Jacopo  111  Mandelli,  conte  di  Maccagno.  — 
Rivista  italiana  di  numismatica,  fase.  Ili,  1905. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  465 

*  MARIANI  (prof.  M.).  Di  un  altro  lavoro  di  Bernardino  Lanzani  da  San 
Colombano.  —  Rivista  di  scienze  storiche,  ottobre  1905. 

Autore  degli  insigni  affreschi  della  Basilica  di  S.  Colombano  in  Bobbio, 
secondo  il  documento  pubblicato  dal  conte  C.  Cipolla  nella  rivista  L'Arte 
(fase.  VII,  6-8). 

MASELLI  (dott.  A.).  Di  alcune  poesie  dubbiamente  attribuite  a  Paolo  Dia- 
cono. Studio  letterario-storico.  Montecassino,  tip.  di  Montecassino, 
1905,  in-8,  pp.  121  [cfr.  Archivio  Storico  di  Roma,  voi.  XXVIII, 
fase.  I-II,  pp.  250]. 

MASI  (E.).  Nell'ottocento.  Idee  e  figure  del  secolo  XIX.  Milano,  tip.  fra- 
telli Treves,  1905,  in-i6. 

I.  Fra  il  settecento  e  V  ottocento  (Epigoni  e  precursori.  V.  Alfieri  e  la 
critica).  —  II.  //  Congresso  del  181^  e  V  Italia,  —  IV.  La  rivoluzione  del  1848 
(Pio  IX  e  il  principio  della  rivoluzione.  Le  Cinque  Giornate  di  Milano  nar- 
rate da  Austriaci.  Il  maresciallo  Radetzky.  Le  Dieci  Giornate  di  Brescia. 
Garibaldi).  —  V.  Il  conte  di  Cavour  e  l'unità  italiana.  —  VI.  Giornali  e 
storia  contemporanea. 

MASSARA  (A.).  Usi  nuziali  dell'Agro  novarese  d'una  volta  e  d'adesso.  — 
Archivio  per  lo  studio  delle  tradizioni  popolari,  voi.  XXII,  fase.  III, 
1905  {cont.  e  fine). 

—  La  Passione  del  Nostro  Signore  Gesù  Cristo  nel  Novarese  (Estr.  dal- 
V Archivio  per  le  Tradizioni  popolari,  voi.  XXII),  Torino,  Clausen, 
1905,  in-8,  pp.  7. 

*MATTOI  (E.).  Medaglie  a  G.  Donizetti.  —  Bollettino  di  numismatica, 
giugno  1905. 

MAYER  (E.).  Die  angeblichen  Fàlschungen  des  Dragoni.  Uebersehene 
Quellen  zur  kirchlichen  und  weltlichen  Verfassungsgeschichte  Ita- 
liens.  Leipzig,  Deichert,  1905,  in-8,  pp  vi-98. 

Tenta  di  salvare  il  canonico  cremonese  Dragoni  (f  1860)  dalle  falsifi- 
cazioni perpetrate.  Il  Neues  Archiv  (XXX,  i,  p.  274)  annuncia  una  confu- 
tazione di  H.  Wibel. 

*—  Zur  Entstehung  der  Lex  Utinensis.  — Mittheilungen  des  Instituis  Jiir 
oesterreichische  Geschichtsforschung,  XXVI,  i,  1905. 

Questo  codice  è  d'origine  italiana,  e  costituisce  un  importante  documento 
pel  diritto  italiano  del  secolo  IX,  portando  un  forte  argomento  a  favore  di 
quelli  che  credono   alla  persistenza   delle   istituzioni   municipali   dell'epoca 
romana. 
Arch.  Stor.  Lomb  ,  Anno  XXXII,  Fase.  Vili.  3° 


466  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

MAYERHOFFER  von  VEDROPOUE  (E.).  1805.  Der  Krieg  der  3.  Koalition 
gegen  Frankreick  (in  Silddeutschland,  Oesterreich  und  Oberitalien.). 
Skizze  der  Begebenheiten.  Mit  i  Skizze  der  Operationen  und  3  De- 
tailskizzen.  Wien,  L.  W.  Seidel  &  Sohn,  1905,  in-8,  pp.  111-45. 

MAZZATINTI  (G.).  Contributo  alla  storia  del  1859.  —  Archivio  storico  del 
Risorgimento  Umbro,  a.  I,  fase.  I-II,  1905. 

Mazzini.  —  FERRIANI  (L.).  Mazzini  a  Lugano.  —  RESASCO  (F.).  L'Esule: 
a  Londra,  a  Lugano  ;  Mazzini  e  la  sua  salma  nei  ricordi  di  Paolo 
Gorini.  —  //  Caffaro,  19-20,  22-23  giugno  1905  e  n.  69,  1905. 

MAZZINI  (G.).  [Lettera  agli  amici  milanesi  nel  1859].  —  L'Italia  del  Po- 
polo, 22-23  giugno  1905. 

Pel  Mazzini  cfr.  la  copiosissima  Bibliografia  mai:{iniana  in  occasione 
del  centenario  pubblicata  nel  Giornale  storico  e  letterario  della  Liguria,  a.  VI, 
1905,  fase.  10-12,  pp.  467-74.  Aggiungi  quella  in  'Bollettino  storico  subalpino 
a.  X.  nn.  1-3  (1905),  p.  225-26. 

MELANI  (A.).  La  Torre  cosidetta  del  Filarete.  —  //  Campo  di  Torino^ 
I.'  ottobre  1905. 

È  una  critica  negativa  alla  Torre,  e,  in  parte,  ai  restauri  del  Castello 
Sforzesco. 

—  S.  Maria  delle  Grazie,  in  proposito  di  recenti  restauri.  —  Natura  ed 
Arte,  i.°  ottobre  1905. 

*  MERONI  (can.  V.).  La  pieve  d' Incino  o  mandamento  di  Erba.  Memorie 
storiche.  Voi.  II.  Milano,  casa  editr.  arciv.  G.  Agnelli,  1905,  in-i6^ 
pp.  220,   con  tav.  ili. 

Prefazione.  —  Comune  di  Crevenna.  —  Parrocchia  di  Crevenna.  — 
Convento  di  S,  Salvatore.  —  Comune  di  Lozza.  —  Convento  di  S.  Ber- 
nardo, dei  Serviti.  —  Comune  di  Buccinigo.  —  Parrocchia  di  S.  Cassiano  in 
Buccinigo.  —  Frazione  di  Pomerio.  —  Comune  di  Parravicino.  —  Chiesa, 
parrocchiale  di  Casiglio.  —  Comune  di  Carcano.  —  Chiesa  parrocchiale  di 
Carcano.  —  Comune  di  Alserio.  —  Chiesa  parrocchiale  di  S.  Clemente  di 
Alserio.  —  Villa  Tasserà.  —  Comune  di  Lambrugo.  —  Comune  di  Mon- 
guzzo.  —  Chiesa  di  Monguzzo.  —  Conclusione. 

MIGNON  ("M.).  Poésies  fran9aises  de  J.  G.  Alione.  In-i6.  Paris,  Société 
fran9aise  d' imprimerie,   1905. 

Milano.  —  Antichità  romane  :  un  corpo  meraviglioso  di  Venere.  Con  una 
ili.  —  Domenica  del  Corriere,  13  agosto  1905. 

Frammenti  di  una  statua,  che  è  forse  quanto  di  più  bello  dell'epoca 
romana  siasi  mai  dissepolto  a  Milano,  trovati  nei  pressi  di  via  S.  Margherita,, 
nel  maggio  scorso. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  467 

*  Milano  nel  1905  (X  Congresso  internazionale    di   navigazione   intema, 

settembre  1905).  Milano,  tip.  U.  Allegretti,  1905,    in-8   fig.,    pp.   239, 
con  tav. 

Interessanti  in  questa  elegante  Guida  il  «  Riassunto  storico  »  e  la  ras- 
segna dei  monumenti  e  degli  istituti  scientifici  della  città. 

MILLARD  (E.).  Une  loi  historique.  II.  Les  Juifs,   les    Grecs,   les   Italiens. 
Bruxelles,  Lamartin,  1905,  in-8,  pp.  iv-348  et  5  pi. 

MINGARDEN  (L.).  Pline  le  jeune  avocat.  In-8.  Marseille,  impr.  Barlatier,  1905. 

MOLLAI  (G.)  Deux  pélerinages  au  Suaire  de  Chambéry-Turin.   —   Revue 
de  l'art  chrétien,  IV*  sèrie,  to.  XV  (1904),  pp.  158-160. 

Visite  di  Francesco  I  di  Francia  nel  15 17  e  di  S.  Carlo  Borromeo 
nel  1578  alla  S.  Sindone  di  Torino,  secondo  documenti  dell'Archivio  di 
Stato  di  Modena. 

*  MOMIGLIANO  (A.).  Perchè  don  Rodrigo  muore  nel  suo  giaciglio?  —  ^//i 

R.  Accademia  delle  scienze  di  Torino,  XL,  11  (1905). 

MONTANARI  (T.).  Stato  presente  della  questione  della  via  d'Annibale  per 
le  Alpi,  a  proposito  di  una  recente  pubblicazione  del  signor  I.  Colin.. 
—  Rivista  militare  italiana,  fase.  I,  1905. 

MONTET  (baronne  de).  Souvenirs.  In-8.  Paris,  Plon,  1904. 

Cfr.  i  Cenni  bibliografici  datine  dal  dott.  Gallavresi  nel  precedente  fa- 
scicolo di  quest'Archivio  (p.  210  sgg.). 

*  MONTI  (P.)  &  LAFFRANCHI  (L.).    Per   concludere    intorno    alla   zecca  di 

«  Ticinum  >;.  (Risposta  definitiva  al  signor   Markl).   —   Bollettino  di 
numismatica,  luglio-agosto  1905. 

Monumenta  palaeographica.  Herausgegeben  von  A.  Chroust.  I  Abth.,  I  Serie, 
17  e  18  Lieferung.  Miinchen,  Bruckmann,  1905,  in-8  gr. 

Le  tav.  I.*  e  2.*  della  17.^  dispensa  offrono  i  frammenti  del  Virgilio 
della  Biblioteca  di  S.  Gallo  (sec.  V).  Tav.  9.^  Omelie  di  S.  Ambrogio, 
scritte  in  S.  Gallo  principio  dell'  XI  secolo.  Nella  dispensa  18.^  tav.  8.*  e  9.» 
Boethius,  T)e  institutione  arithmetica,  scritta  in  Tours,  probabilmente  dopo 
l'a.  845. 

MORELLINI  (D.).  La  fonte  di  alcuni  successi  de'  manoscritti  Corona.  — 
Napoli  Nobilissima,  XIV,  5. 

Mostra  che  almeno  sei  di  quei  successi  rimontano  a  novelle  del  Bandello. 

^MOROSINI  (I.).  Lettres  inédites  de  madame  de  Staèl  à  Vincenzo  Monti 
(1805-1816).  —  Giornale  storico  della  letteratura  italiana,  fase.  136-137 
(1905)- 


468  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

*MUONi  (dott.  G.).  Note  per  una  poetica   storica   del   romanticismo.    Mi- 
lano, Società  editr.  libraria,  1905,  in-8,  pp.  139. 

MURARI  (R.)-  Dante  e  Boezio  :   contributo    allo  studio  delle  fonti  dante- 
sche. Bologna,  N.  Zanichelli  tip.  edit.,  1905,  in-i6,  pp.  x-430. 

I.  Severino  Boezio,  i.  La  vita  di  Boezio.  2,  Le  opere  di  Boezio.  5.  La 
fortuna  di  Boezio  sino  alla  fine  del  secolo  XIII.  —  II.  Dante  e  Boezio.  — 
4.  La  Consolano  philosophiae  alla  mente  dell'Alighieri.  5.  La  presentazione 
scenica  di  Beatrice  nella  Commedia  e  della  Filosofia  nella  Consolatio.  6.  La 
fortuna  e  il  fato.  7.  La  teoria  del  libero  arbitrio.  8.  La  preghiera  del  libro  III 
m.  9  della  Consoìatio  nell'  opera  dantesca,  io  La  nobiltà  nel  Convivio  e  nella 
Consolatio.  11.  Altri  raffronti. 

*  NATALI  (G.).  Il  bastone  pedagogo,  noterella  pariniana.  —  Nozze  Petra- 
glione-Serrano  (Messina,  tip.  Nicastro,  A.  Trimarchi  edit.,  1905). 

Raccoglie  un  gran  numero  d'attestazioni  diverse,  antiche  e  moderne, 
sull'uso  malaugurato  d'insegnare  ai  fanciulli  ce  a  suon  di  nerbo  ». 

—  Poesie  di  Giuseppe  Parini,  'con  introduzione  e  commento.  Milano, 
casa  editr.  dott.  F.  Vallardi,  1905,  in-8,  pp.  360. 

NERUCCI  (G.).  Storia  succinta  del  battaglione  universitario  toscano  e  della 
sua  campagna  guerresca  nel  1848.  Pistoia,  casa  tip.-lit.  editr.  Sini- 
buldiana  G.  Fiori  &  C,  1905,  in-8,  pp.  46. 

"^NEWMAN  (W,  L.).  The  Correspondance  of  Humphrey,  Duke  of  Glouce- 
ster,  and  Pier  Candido  Decembrio.  —  The  English  Historical  Re- 
view,  luglio  1905. 

Dopo  che  Leonardo  Bruno  aretino,  autore  di  una  traduzione  latina  della 
Politica  d'Aristotile,  dedicata  al  duca  di  Gloucester,  ne  venne  ringraziato,  il 
Decembrio  offriva  al  duca  medesimo  i  propri  servigi  di  traduttore  titolato, 
ciò  che  diede  luogo  ad  uno  scambio  di  lettere  durante  gli  anni  14 3 8-1445. 

NOGARA  (B.).  Cesare  Cantù.  —  Scuola  Cattolica,  maggio  1905. 

*ONESTINGHEL  (G.).  La  guerra  tra  Sigismondo  conte  del  Tirolo  e  la  re- 
pubblica di  Venezia  nel  1487  {continua).  —  Tridentiim,  a.  VIII,  fase.  IV, 
giugno  1905. 

Cfr.  pp.  170-172  per  le  pradche  tentate  dalla  reggenza  arciducale  presso 
il  duca  G.  Galeazzo  Sforza  per  indurlo  all'alleanza  contro  Venezia.  Pratiche 
avviate  da  Gaudenzio  di  Matsch,  in  buone  relazioni  colla  corte  di  Milano, 
e  marito  di  Ippolita,  figlia  di  Cicco  Simonetta. 

08IM0  (V.).  Studi  e  profili.  Palermo,  R.  Sandron,  1905,  in-8. 

IV.  La  prima  stesura  dei  Promessi  Sposi.  —  Vili.  Felice  Cavallotti. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  469 

PABST  (G.).  Le  maréchal  Canrobert,  souvenirs  d'un  siècle.  Tome  III  : 
Paris  et  la  cour  pendant  le  Congrès.  La  naissance  du  prince  impe- 
riai. La  guerre  d'Italie.  Paris,  Plon,  1905,  in-8,  pp.  547. 

PARI  NI  (G.).  Il  Giorno  col  dialogo  Della  nobiltà,  e  odi  scelte,  adattati  ed 
annotati  ad  uso  delle  scuole  dal  prof.  Giacomo  Dominici.  13.^  ediz. 
Torino,  tip.  editr.  Salesiana,  1905,  in- 16,  pp.  xxxv-339. 

Parini.  —  Ved.  AruUani,  CervesatOy  Fuochi^  Natali. 

*  PASCAL  (C).  Un  glossario  latino  del  VII  secolo.  —  Bollettino  di  filologia 

classica,  a.  XII  (1905)  n.  4. 

Frammento  di  glossario  latino,  che  contiene  tutte  parole  comincianti 
col  e,  contenuto  nel  codice  Ambrosiano  F.  60  sup. 

*  PASINI  (F.).  Un  plagio  a  danno  di  Vincenzo  Monti.  —  Supplemento  n.  8 

(ipoj)  al  Giornale  storico  della  letteratura  italiana. 

PASTOR  (L.).  Ungedruckte  Akten  zur  Geschichte  der  Pàpste,  vornehm- 
lich  im  XV,  XVI  und  XVII  Jahrhundert.  Erster  Band,  1377-1464. 
Freiburg  ijBy  Herder,  1904. 

I  documenti  di  questo  primo  volume  provengono,  nel  loro  nucleo  mag- 
giore e  più  importante,  dall'Ambrosiana  e  dagli  Archivi  di  Stato  di  Milano 
e  Gonzaga  di  Mantova  (cfr.  la  recensione  del  prof.  G.  Capasso  in  Rivista 
storica  italiana,  fase.  Ili,  pp.  334-538). 

PASTORE  (prof.  A.).  Giovanni  Caramuel  di  Lobkowitz  e  i  primordi  della 
teoria  della  quantificazione  del  predicato.  —  Classici  e  Neo-Latini 
di  Aosta  (direttore  prof.  S.  Pellini)  a.  I,  n.  3,  giugno-luglio  1905). 

L'A.  scopre  che  il  fCaramuel,  da  ultimo  vescovo  di  Vigevano,  dove 
morì  nel  1682,  aveva  già  dichiarato  esplicitamente  nella  sua  Theologia  ra- 
tionalis,  stampata  nel  1654  il  principio  logico  di  cui  sopra,  attribuito  al 
Bentham  (1827). 

PATRONI  (G.).  Tipologia  e  terminologia  dei  pugnali  di  selce  italiani.  — 
Bulle  t tino  di  paletnologia  italiana,  1905,  p.  85  sgg. 

Tratta  specialmente  dei  pugnali  provenienti  dal  territorio  di  Garlasco 
in  Lomellina,  appartenenti  al  Gabinetto  Archeologico  della  R.  Università  di 
Pavia,  e  di  quelli  illustrati  dal  Colini  nel  lavoro  :  Il  sepolcreto  di  Remedello 
Sotto  nei  Bresciano  e  il  periodo  eneolitico  in  Italia. 

PAVESI  (P.).  Date  riguardanti  gli  Istituti  Universitari  di  Pavia.  Pavia, 
tip.  Ponzio,  1905. 

PEDDIE  (Robert  Alexander).  Printing  at  Brescia  in  the  fifteenth  century. 
A  list  of  the  issues.  London,  William  &  Norgate,  1905,  in-4,  pp.  30., 


470  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

PÉGARD  (P.).  La  mission  du  citoyen  Comeyras  dans  les  Ligues  grises, 
1796- 1797.  —  Annales  des  sciences  politiques^  1905?  ^5  settembre. 

PELISSIER  (L.  G.).  Un  traité  de  géographie  politique  de  l' Italie  à  la  fin 
du  XV'  siècle.  — >  Bulletin  Italien,  aprile-giugno  1905. 

Pubblica  la  Totale  description  en  abrégé  de  tout  le  pays  d'Italie^  secondo 
il  cod.  921  della  Biblioteca  di  Lione.  L'opera  è  anonima;  bisogna  fissarne 
la  redazione  al  biennio  149 5- 1496. 

*  PELLEGRINI  (sac.  C).  Di  S.  Mauricillo  vescovo  di  Milano,  in  occasione 
dello  scoprimento  delle  sue  reliquie  a  S.  Satiro.  —  Scuola  Cattolica, 
agosto  1905,  pp.  1 19-123. 

Pellico.  —  Bibliografia  di  Silvio  Pellico. 

Ved.  Bollettino  storico  bibliografico  subalpino^  a.  X,  nn.  1-3,  1905  (vedi 
i  nn.  6449-6480  a  pp.  221-223)  e  Chiattone  (D.)  in  Piccolo  Archivio  sto- 
rico dell'antico  marchesato  di  SaluT^^^o,  a.  II,  pp.  355-367. 

—  Ved.  Archivio  {Piccolo),  Bardo,  Boselli,  Ravello. 

PELLINI  (S.).  Medaglione  :  Gio.  Jacopo  Valerio.  —  Classici  e  Neo-Latini, 
a.  I,  1905,  nn.  2,  4,  5. 

Studi  e  saggi  sui  diversi  mss.  di  Gio.  Jacopo  Valerio  giureconsulto  mi- 
lanese, morto  ottuagenario  nel  165 1,  conservati  in  Ambrosiana.  Della  vita 
del  Valerio  il  Pellini  tratterà  dopo  aver  esaurito  la  riproduzione  dei  saggi 
dei  suoi  epigrammi. 

PHILIPP  (E.).  Ueber  die  Mailànder  und  die  Venediger  Handschrift  zum 
Dialog  des  Tacitus.  —    Wiener  Studien,  a.  XXVI,  fase.  II. 

PICOT  (E.).  Note  sur  Gio.  Petro  Negroli,  armurier  à  Paris  au  XVP  siècle. 
—  La  Correspondanca  historique  et  arcìiéologique^   giugno-luglio  1905. 

Di  lui  parla  il  Brantóme. 

PIETH  (F.).  Die  Feldziige  des  Herzogs  Rohan  im  Veltlin  und  in  Grau- 
biinden.  Mit  8  Skizzen  des  Kriegschauplatzes.  Mit  dem  ersten  Preise 
gekrònt  von  der  Schweizer.  Offìziersgesellschaft.  Bern,  K.  J.  Wyss, 
1905,  in-8,  pp.  XX-170. 

Le  campagne  del  duca  di  Rohan  in  Valtellina  e  nei  Grigioni. 

*PILOT  (A.).  Alcuni  componimenti  inediti  contro  Carlo  Emanuele  I.  — 
Ateneo   Veneto,  gennaio-febbraio  1905. 

Con  riferimenti  ai  Gonzaga  ed  a  Mantova. 

*  -  Contro  don  Pedro  di  Toledo  (Estr.  dalla  Nuova  Rassegna,  n.  6,  giu- 
gno 1905).  Firenze,  1905,  in-8  gr.,  pp.  4. 

Alla  riaccesa  lotta  tra  Savoia  e  Spagna  per  opera  di  don  Pedro  di  Toledo, 
governatore  di  Milano  e,  meglio,  alla  nota  ritirata  di  quest'ultimo  (1616)  si 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  47 1 

riferiscono  i  cinque  componimenti  qui  pubblicati  dal  Pilot  che  li  ebbe  a 
trarre  da  codici  della  Marciana  e  del  Museo  Correr  di  Venezia,  e  debita- 
mente commentati.  Modesto,  ma  utile  contributo  alla  lirica  politica  del  pe- 
riodo di  Carlo  Emanuele  I  di  Savoia,  già  studiato,  e  con  onore,  dal  D'An- 
cona, dal  Gabotto  e  dal  Rua. 

PIANTA  (P.  von).  Nachtrag  zur  Chronik  der  Familie  von  Pianta  1892. 
Zùrich,  Art.  Jnst.  Orell,  Fiissli,  1905. 

Supplementi  alla  Cronaca  della  famiglia  Pianta,  edita  nel  1892. 

*POCHETTINO  (G.).  Un  comune  demaniale  in  Piemonte.  Ricerche  storiche 
su  Gamondo  or  Castellazzo  Bormida.  —  Rivista  di  storia,  arte,  ar- 
cheologia della  provincia  di  Alessandria,  a.  XVI,  fase.  XV^I-XVIII,  1905. 

Cfr.  il  cap.  VI:  Gamondo  e  Federico  Barharossa.  Tra  i  dee.  in  appen- 
dice, il  P.  ristampa,  con  note  critiche,  il  diploma  di  Ottone  II  in  favore  del 
monastero  di  S.  Felice  in  Pavia  (21  novembre  iodi). 

*  POLLARGLI  (prof.  S.).  La  Torre  del  Re  a  Pizzighettone.  -  Rivista  di 
scienze  storiche^  settembre  1905. 

PRAETORIUS  (E.).  Die  Mensuraltheorie  des  Franchinus  Gafurius  und  der 
folgenden  Zeit  bis  zur  Mitte  des  XVI  Jahrhunderts.  Leipzig,  Breit- 
kopf  &  Haertel,  1905.  in-8,  pp.  v-132. 

La  teoria  mensurale  di  Franchino  Gaffurio  e  dell' epoca  susseguente  fino 
alla  metà  del  XVI  secolo. 

PROTO  (E.).  Per  l'episodio  dei  montoni  nel  Folengo  e  nel  Rabelais.  — 
Album,  per  il  XXV  anniversario  della  libreria  napoletana  di  Luigi 
Pierro  [cfr.  Gior.  star,  della  letter.  ital.,  fase.  136-137,  p.  282J. 

*PUINET  (P.  de).  La  consécration  des  églises  d'après  les  publications  de 
G.  Mercati  :  Ordo  Ambrosianus  ad  consecrandum  ecclesiam  et  altaria 
et  W.  H.  Frere  :  Pontificai  services  illustrated  front  Miniatures  of 
the  XVih  and  XVIth  Qenturies.  —  Reviie  des  questions  historiques, 
aprile  1905. 

QUIGNON  (H.).  L'abbé  NoUet  et  son  voyage  en  Piémont  et  en  Italie  en 
1749.  Amiens,  Yvert  et  Tellier;  Paris,  Champion,  1905,  in-8. 

RABENHORST  (M.).  Quellenstudien  zur  naturalis  historia  des  Plinius.  Teil  l. 
Die  Zeitangaben  varronischer  und  capitolinischer  Aera  in  der  natu- 
ralis historia.  In-8.  Berlin,  E.  Ebering,  1905. 

In  questa  «  dissertazione  inaugurale  »  l'A.  si  propone  di  dimostrare, 
contro  il  parere  del  Mùnzer,  che,  per  le  notizie  storico-antiquarie  nella  Na- 
turalis historia,  Plinio  non  attinge  a  M.  Terenzio  Varrone,  ma  bensì  ai  rerum 
memoria  dignarum  libri  di  Verrio  Fiacco,  che  può  quindi  considerarsi  come 
la  fonte  principale  della  enciclopedia  pliniana  (Cfr.  Bollettino  di  filologia 
classica,  settembre  1905,  p.  69). 


472  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

*  Raccolta   Vinciana   presso   l'Archìvio    Storico   del   comune  di  Milano  r 

[bollettino].  Fase.  I  (gennaio-giugno  1905).  Milano,  tip.  U.  Allegretti^ 
1905,  in-i6  fig.,  pp.  70,  con  tav. 

Costituzione  e  programma  della  Raccolta  Vinciana  —  Primo  elenco  degli 
aderenti.  —  Pubblicazioni,  manoscritti,  disegni,  incisioni,  fotografie,  ecc.,  per- 
venute dal  gennaio  al  giugno  1905.  —  Bibliografia  Vinciana  a  partire  dal  1901 
a  cura  del  dott.  Ettore  Verga  (in  preparazione  la  Bibliografia  dal  1500  al  1900)» 

—  Varietà  Vinciana  :  Verga  (E.).  Intomo  alla  donazione  dei  codici  di  Leo- 
nardo fatta  dall' Arconati  all' «  Ambrosiana  ».  —  Beltrami  (L.).  Espressioni 
e  vocaboli  lombardi  nel  Codice  Atlantico. 

RAVELLO  (F.),  "  Le  mie  prigioni  „  di  Silvio  Pellico  con  studio  biografico, 
e  note  critiche.  Torino,  librer.  S.  Giov.  Evangelista,  1905,  in-8,  pp.  334. 

BEGHINI  (magg.  gen.  L.).  Pochi  ricordi  sulla  campagna  di  guerra  del  1866,, 
relativi  specialmente  al  tenente  d'artiglieria  don  Andrea  dei  prin- 
cipi Corsini  a  Borgoforte.  Firenze,  stab.  tip.-lit,  pei  Minorenni  cor- 
rigendi di  G.  Raraella  &  C,  1905,  in-8,  pp.  13. 

*  RENDA  (U.).  Il  li  Torrismondo  «  di   T,    Tasso    e  la   tecnica  tragica   nel 

cinquecento.  —  Rivista  Abruzzese  di  scienze,  lettere  ed  arti,  ottobre 
1905  prec.  e  seg. 

RIBOLDI  (E.).  L'arbitrato  internazionale  nel  diritto  medioevale  lombardo 
(secoli  XII  e  XIII).  —    Vita  Internazionale,  n.  25  (1905)  sg. 

RICCI  (S.).  Turbigo.  La.  necropoli  della  Gallizia.  —  Notizie  degli  scavi  di 
antichità,  1904,  io. 

Riforma  (Per  una)  nell'uso  pubblico  delle  maggiori  biblioteche:  docu- 
menti raccolti  a  cura  della  Società  bibliografica  italiana.  Milano, 
Società  bibliografica  italiana  edit,  1905,  in-8,  pp.  16. 

* 
RIGILLO  (M.).  La  tragedia  di  Verona.  Rionero,  Ercolani,  1904,  in-8,  pp.  76. 

La  tesi  che  il  R.  si  propone  di  dimostrare  è  questa:  la  morte  di  re 
Alboino  fu  la  conseguenza  di  un  delitto  ordito  da  Rosmunda,  a  ciò  mossa 
da  ragioni  private,  senza  che  e'  entrassero  affatto  le  ragioni  politiche  (cfr.  gli 
appunti  del  Cipolla  in  Riv.  stor.  Hai,  fase.  Ili,  1905,  p.  315). 

RISTORI  (G.  B.).  I  paterini  in  Firenze  nella  prima  metà  del  secolo  XIII. 

—  Rivista  storico-critica  delle  scienze  teologiche^  I,  i,  1905. 

S.  Pietro  Martire  venne  da  Milano  a  Firenze  ma  a  predicare  la  fede; 
non  come  inquisitore. 

* —  Della  venuta  e  del  soggiorno  di  S.  Ambrogio  in  Firenze.  —  Ar- 
chivio storico  italiano,  disp.  4.»,  1905. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  473 

*  Rivista  arctieologica  lombarda,  diretta  dal  prof.  dott.  Serafino  Ricci.  Anno  I, 

fase.  II,  in-8  gr.  Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Cogliati,  1905. 

Ricci  (S.).  Il  sarcofago  di  Larabrate  (con  8  ili.).  —  La  Redazione.  No- 
tizie varie  d' archeologia  e  d*  arte.  [Amici  dei  Monumenti  di  Milano  e  della 
Lombardia.  —  Basilica  di  S.  Marco  in  Milano.  —  Una  nuova  gloria  del- 
l'arte comacina  a  Farneta.  —  Per  gli  studiosi  di  cose  lombardesche.  — 
Tomba  romana,  ad  Incino.  —  Conferenze  d'archeologia  e  d'arte  alla  Uni- 
versità Popolare  di  Varese.  —  Frammenti  di  bella  statua  romana,  rinvenuti 
a  Milano.  —  Sul  sarcofago  di  Lambrate.  —  Oggetti  antichi  di  Turbigo  al 
Museo  Archeologico  di  Milano.  —  Di  Verdesiacum.  —  Antichità  gallo-romane 
a  Graffignana  Lodigiano].  —  Frova  (Arturo).  Recensione  di  Ricci-Gentile, 
Archeologia  e  storia  dell'arte.  —  Doni  alla  Gipsoteca  d'Arte. 

*  ROCCO  (S.).  Recensione  di  V.  Cicchitelli,  sulle  opere  poetiche  di  Marco 

Girolamo  Vida  (1904).  —  Giornale   storico   della   letteratura  italiana, 
fase.  138  (1905),  pp.  404-412. 

RODRIGUEZ  VILLA  (A.).  El  emperadcr  Carlos  V  y  su  corte,  segun  las 
cartas  de  don  Martin  de  Salinas,  embajador  del  infante  don  Fer- 
nando (1522-1539).  Con  introdueción,  notas  é  indiees.  Madrid,  est 
tip.  de  Fortanet,  1903-1905,  in-8,  pp.  990. 

ROLLONE  (L.),  La  provincia  di  Milano.  Torino,  stamp.  reale  della  ditta 
G.  B.  Paravia  &  C.  edit,  1905,  in-i6  fìg.,  pp.  47.  con  tav. 

ROMANELLI  (G.).  Lingua  e  dialetti,  neologismi,  barbarismi,  solecismi  : 
nuovo  avviamento  allo  studio  della  lingua,  con  raffronti  delle  due 
edizioni  de'  "  Promessi  Sposi  „.,  ad  uso  delle  scuole  secondarie.  Se- 
conda edizione  rinnovata  ed  accresciuta.  Livorno,  R.  Giusti  tip.  edit.^ 
1905,  in-i6,  pp.  XVJ-204. 

ROMANO  (prof.  G.).  L'origine  del  potere  civile  e  della  signoria  territoriale 
dei  papi  :  discorso  letto  addì  3  dicembre  1904.  —  Annuario  R.  Uni- 
versità di  Pavia,  1904-1905. 

RONDANI  (A.).  A  proposito  di  Sancio  Panza  e  di  don  Abbondio.  —  Italia 
Moderna,  III,  28. 

RUA  (I.).  Carlo  V  e  Francesco  I  alla  tregua  di  Nizza:  conferenza.  Co- 
senza, tip.-lit.  L.  Aprea,  1904,  in  8,  pp.  74. 

RUCK  (K.).  Die  Anthropologie  der  Naturalis  Historia  des  Plinius  im 
Auszuge  des  Robert  von  Erieklade.  Aus  der  Wolfenbiitteler  und 
Londoner  Handschrift  herausgegeben.  Neuburg  a.  D.,  Griessmayer^ 
(Programm  des  Gymnasiums  1904-1905)  in-8,  pp.  52. 


474  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

*SABBADINI  (R.).  Un  codice    ignoto   della   Veterinaria    di    Columella.  — 
Rendiconti  deiristituto  Lombardo,  serie  II,  voi.  XXXVIII,  fase.  XVI. 
Il  codice  Ambrosiano  C.  212  inf.  del  sec.  XIV. 

* —  Briciole  umanistiche.  —  Giornale  storico  della  letteratura  italiana, 
fase.  136-137  (1905). 

XXVIII.  Modesto  e  Pier  Candido  Decembrio.  —  XXIX.  Antonio  d'Asti. 
—  XXX.  Gasparino  Barzizza.  —  XXXI.  Bernardo  Giustinian  e  Lodovico 
Gonzaga.  —  XXXIII.  Fra  Gioacchino  Castiglione. 

*SACCHI  (M.  F.).  Cosimo  de'  Medici  e  Firenze  nell'acquisto  di  Milano  allo 
Sforza.  —  Rivista  di  scienze  storiche,  ottobre  1905  sgg. 

*SALVIONI  (G.).  Il  valore  della  lira  bolognese  nella  prima  metà  del  se- 
colo XVI.  —  Atti  e  Memorie  R.  Deputazione  di  storia  patria  per  le 
Provincie  della  Romagna,  serie  III,  voi.  XXIII,  fase.  I-III  (1905). 

Cfr.  p.  206  sgg.  il  cap.  III.  Antonio  Maria  da  Legnano,  zecchiere.  — 
Progetti  di  riforma  abortiti  negli  a.  1^08  e  1^09. 

San  Pietro  Martire  e  la  sua  iconografia.  —  Il  Rosario,  memorie  dome- 
nicane (Firenze,  1905)  n.  448. 

*  SANT'AMBROGIO  (D.).  I  sarcofagi  Andreani  a  Corenno  Plinio;  Un  gran- 
dioso e  poco  noto  dipinto  in  Milano  del  Castiglioni,  detto  il  Gre- 
chetto  ;  Colonne  e  capitelli  di  Sant'Ambrogio  nel  Palazzo  della  Pa- 
triottica; Affreschi  alla  Bicocca  del  XV  secolo;  L'oratorio  di  Ci- 
slago  e  il  castello  dei  Visconti  Castelbarco  ;  Nel  Museo  di  porta 
Giovia;  Una  scacchiera  del  XVII  secolo;  La  catena  dell'antica  porta 
Vercellina  presso  il  castello  di  Milano  ;  Un  busto  in  Milano  del  car- 
dinale Francesco  Alciati.  —  Lega  Lombarda,  nn.  122,  7  maggio  1905  ; 
n.  147,  i.*"  giugno  ;  n.  188,  16  luglio  ;  n.  195,  23  luglio  ;  n.  210,  8  agosto; 
n.  218,  II  agosto:  n.  234,  3  settembre;  n.  268,  8  ottobre  1905. 

* —  Sulla  voce  "  Amimom  „  inscritta  sui  capitelli  del  castello  di  porta 
Giovia  in  Milano  ;  Un  marmo  d' ispirazione  cluniacense  nel  Priorato 
di  Pontida.  —  Rivista  di  scienze  storiche,  settembre-ottobre  1905. 

—  Il  reliquario  di  S.  Nicola,  del  1496,  nel  Priorato  Cluniacense  di  Piona; 
Le  campane  dell'antica  Certosa  di  Farneta  presso  Lucca;  Un  ri- 
cordo del  Vida  nel  Museo  di  porta  Giovia.  —  Arte  e  Storia,  nn.  9-10; 
14-15  e  17-18  (1905). 

* —  Una  tavola  pittorica  del  1501  nel  Duomo  di  Asti.  —  Rivista  di  scienze 
storiche,  novembre  1905. 

Di  un  Gandolfus  di  Rocetto  0  di  Nocetto,  forse  pavese. 

SARASINO  (E.).  Di  un  quadro  originale  su  tavola  di  Giovanni  Martino 
Spanzotti,  casalese,  maestro  del  Sodoma  e  dell'opera  sua.  In-i6. 
Torino,  tip.  Gazzetta  del  Popolo,  1905. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  475 

*Sauli.  —  Al  suo  Santo  Patrono.  Omaggio  del  Circolo  S.  Alessandro 
Sauli,  fol.  ili.  Genova,  tip.  del  Serafino  d'Assisi,  1905. 

Mannucci  (F.  L.).  I  genitori  di  S.  Alessandro  Sauli.  —  Gallavresi  (G.). 
La  piazza  dei  Mercanti  di  Milano  al  tempo  della  vocazione  di  S.  Alessandro. 

*SAVIO  (F.).  I  santi  martiri  di  Milano.  La  leggenda  di  S.  Vittore.  — 
Rivista  di  scienze  storiche,  ottobre-novembre  1905. 

L  La  leggenda  primitiva  e  termine  estremo  posteriore  della  sua  com- 
posizione. —  n.  Termine  anteriore  della  leggenda,  e  sua  data  probabile.  — 
in.  Termine  esterno  posteriore  della  leggenda. 

* —  Caelum  aureum  o  cella  aurea?  —  Rivista  di  scienze  storiche,  ot- 
tobre 1905. 

*SCAFFINI  (dott.  G.).  I  Castelbarco  nella  novellistica  del  trecento.  — 
Tridentum,  giugno  1905. 

*SCHIAPARELLI  (L.).  I  diplomi  dei  re  d'Italia.  Ricerche  storico-diploma- 
tiche. Parte  IL  I  diplomi  di  Guido  e  di  Lamberto.  —  Bullettino  del- 
l'Istituto storico  italiano,  n.  26. 

SCHNEIOER  (B.).  Der  mantuanische  Erbfolgestreit.  Bonn,  Behrendt,  1905, 
in-8,  pp.  vii-93. 

La  guerra  della  successione  mantovana. 

SCHULTZ-RIESENBERG  (W.).  Die  Reise  nach  den  oberitalienischen  Seen: 
Lago  Maggiore,  Lugano-See,  Como-See.  Garda-See  und  Mailand. 
Praktisches  Reisenhandbuch.  s-te  Aufl.  Berlin,  A.  Goldschmidt,  1905- 
1906,  in  8,  pp.  1V-160-16  e  4  carte  ("  Griebens  Reisefuhrer  „,  Bd,  15). 

Schweizerisches  Kunstler-Lexikon.  Herausgegeben  vom  Schweizerischen  Kun- 
stverein.  Redigiert  untar  Mitwirkung  von  Fachgenossen  von  D.r  Cari 
Brun.  Vierte  Lieferung  [Frei-Gyssig].  Frauenfeld,  Huber  &  C.,  1905, 
in-8  gr.  da  p.  481  a  648. 

Con  molte  biografìe  di  artisti  del  lago  di  Lugano. 

SCROCCA  (A.).  Studi  sul  Monti  e  sul  Manzoni.  Napoli,  Pierro,  1905,  in-i6, 
pp.  163. 

Cfr.  i  Cenni  bibliografici  in  Giorn.  stor.  iella  letter.  ital,  fase.  138, 
pp.  445-448  (firm.  Em.  B.). 

^SEGARIZZI  (A.).  Sei  lettere  di  Giovanni  Sobota.  —  Pagine  Istriane^  a.  Ili, 
fase.  Ili  (1905). 

Una  certa  importanza  storica  ha  l'ultima,  delle  sei,  diretta  a  Maffeo 
Valaresso,  arcivescovo  di  Zara  (Venezia  4  cai.  luglio  145 1).  Si  ricordano  le 
segrete  pratiche  di  Bartolomeo  Colleoni  supremo  capitano  dei  Veneziani  col 


476  BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO 

duca  Francesco  Sforza  e  l'ordine  dato  dalla  Signoria  al  provveditore  Nicolò- 
Canal,  d' impadronirsi  del  Colleoni  col  mezzo  degli  altri  due  capitani,  Gen- 
tile della  Lionessa  e  Giacomo  Piccinino.  Il  Colleoni  però,  ch'era  nella  cam- 
pagna di  Montechiaro,  riuscì  a  sfuggire,  e  riparò  nel  Mantovano,  indi  presso 
lo  Sforza. 

''SEGARIZZI  (A.).  Bollettino  bibliografico  della  Regione  Veneta,  1902.  Ap- 
pendice al  Nuovo  Archivio  Veneto,  Nuova  serie,  anno  VI.  Venezia, 
tip.  Visentin],  1905,  in  8  gr.,  p.  103. 

Con  somma  cura  sono  elencati  1276  titoli  delle  pubblicazioni  riguar- 
danti l'odierno  Veneto,  dai  tempi  più  remoti  fino  ai  nostri  giorni,  ed  i 
luoghi  dell'antico  dominio  (Bergamo,  Brescia,  Crema)  per  il  solo  periodo 
in  cui  essi  furono  soggetti  alla  Serenissima. 

SEGRE  (A,).  La  campagna  del  duca  d'Alba  in  Piemonte  nel  1555.  Roma, 
Voghera,  1905,  in  8,  pp.  59. 

*  SELLA  (P.).  Alcune  note  sulla  Vicinia  come  elemento  costitutivo  del 
comune.  —  Archivio  storico  italiano,  disp.  4.%  1905. 

SFORZA  (G.).  Trenta  lettere  inedite  di  romanzieri,  statisti,  poeti,  soldati,, 
patriotti.  Milano,  tip.  U.  Allegretti,  1905,  in-8,  pp.  62  (Nozze-Hoepli- 
Porro). 

Vanno  dal  1818  al  1860  e  cominciano  col  nome  di  V.  Monti,  che 
raccomanda  il  Conciliatore  al  Sismondi,  per  chiudere  con  quello  non  meno 
illustre  di  Camillo  Cavour,  ai  quali  si  accompagnano,  tra  altri,  Melchiorre 
Gioia,  Giuseppe  Pecchio,  Piero  Maroncelli,  Pietro  Borsieri,  Tommaso  Grossi, 
Giovanni  Berchet,  Giuseppe  Ferrari. 

SOL  (E.).  Les  rapports  de  la  France  avec  T  Italie  du  XIP  siècle  à  la  fin 
du  premier  empire.  Paris,  Champion,  1905,  in-8,  pp.  171. 

SOLIMENA  (C).  Plinio  il  Giovine  e  il  Diritto  pubblico  di  Roma  (Tesi  di 
laurea).  Napoli,  L.  Pierro  tip.  edit.,  1905,  in-8,  pp.  vin-331. 

SPEZI  (dott  P.).  Pio  V  [Ghislieri]  ed  i  suoi  tempi.  Roma,  F.  Pustet, 
1905,  in-8,  pp.  108. 

SPRECHER  (J.  A.  von).  Die  Familie  de  Sass.  Historischer  Roman  aus  der 
letzten  Pestzeit  Graubùndens  (1629- 1632).  3.*^  Aufl.  Basel,  Basler  Buch- 
Antiquariatshandlung,  1905,  in  8,  pp.  iv-372. 

La  famiglia  de  Sass.  Romanzo  storico  del  periodo  dei  torbidi  grigio- 
nesi  (1629-1652). 

*  Stampa.  —  Ex-Libris  dell'avvocato  don  Giuseppe   Stampa   (1740-1818)» 
:     — Rivista  italiana  di  Ex-Libris,  a.  I,  n.  i  (Genova,  novembre  1905). 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  477 

STOPPANI  (P.).  Antonio  Rosmini:  commemorazione  tenuta  il  25  giugno  1905. 
Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Cogliati,  1905,  in-8,  pp.  47,  con  io  tav. 

STRADIOTTO.  Per  la  verità  storica.  —  Rivista  di  cavalleria  (Roma)  Vili,  3, 
1905. 

A  proposito  dell'azione  della  cavalleria  alla  battaglia  di  Custoza. 

*SUAREZ  INCLAN  Q.)  y  DANVILA  (M.).  Informe  sobre  el  libro  del  S/  Ro- 
driguez  Villa,  titulado  "  Ambrosio  Spinola  „.  —  Boleiin  de  la  Real 
Academia  de  la  Historia,  aprile  1905. 

TAMASSIA.  La  falcidia  nel  Medio  Evo.  —  Memorie  Istituto  Veneto,  vo- 
lume XXVII,  n.  4. 

*TENCAJOLI  (O.  F.).  La  villa  episcopale  di  Balerna.  —  In  II  Buon  Cuore 
di  Milano,  a.  IV,  1905,  n.  32. 

TESTI  (p.  M.).  1  Barnabiti  si  stabiliscono  a  Cremona  sotto  il  generalato 
di  S.  Alessando  Sauli  e  gli  auspicii  di  Nicolò  Sfondrati  vescovo,  poi 
papa  Gregorio  XIV.  Milano,  tip.  editr.  L.  F.  Cogliati,  1905,  in-8,  pp.  24. 

Cfr.  i  Cenni  bibliografici  in  Rivista  di  sciente  storiche,  novembre  1905, 
p.  367. 

THONiON  (d/).  Voyages  du  seigneur  de  Villamont,  partant  de  la  "  duché 
de  Bretaigne  „,  pour  aller  en  Terre  Sainte,  par  la  Savoie,  le  Pié- 
mont,  l' Italie,  la  Grece,  la  Syrie  et  V  Egypte,  au  mois  de  juin  1589. 
Ses  deux  passages  en  Savoie.  —  Revue  Savoisienne,  2.^  trimestre  1905. 

TRIULZI-BELGIOIOSO  (C).  L'Italia  e  la  rivoluzione  italiana  (dalla  Revue 
des  deux  mondes,  1848)  aggiuntovi  :  Gli  ultimi  tristissimi  fatti  di  Mi- 
lano (narrati  dal  Comitato  di  pubblica  difesa,  con  documenti).  Pa- 
lermo, R.  Sandron  edit.,  1904,  in-16,  pp.  viij-184  ("  Biblioteca  rara  „, 
serie  storica,  n.  9). 

Trivulzio.  —  Ved.  Gnecchi. 

TUMIATI  (D.).  La  morte  di  Bajardo  :  lirica  intonata  per  melologo  da  Vit- 
tore Veneziani.  Bologna,  N.  Zanichelli  tip.  edit.,  1905,  in-16,  pp.  34. 

*TUOR  (C.  M.).  Reihenfolge  der  residierenden  Domherren  in  Chur.  — 
XXXIV  Jahresbericht  der  Histor.-Antiquar.  Gesellschaft  von  Gran- 
biinden  (Coirà,  1905). 

Nella  serie  dei  canonici  e  preposti  del  capitolo  di  Coirà  notansi  Nicolao 
Venosta,  valtellinese  (1564-96),  Bernardino  Gaudenti  e  Carlo  Giuseppe  Menr 
gotti,  di  Poschiavo  (1655  e  1759).  Tra  i  decani:  Bartolomeo  di  Castelmur 
di  Val  Bregaglia  (1517)  e  fra  gli  scolastici  Prospero  Pusterla  di  Sondrio 
(i  597-1600). 


47^  BOLLETTINO    BIBLIOGRAFICO 

USTERI  (P.).  Ungedruckte  Meister-Foscolo  Briefe.  —  Archiv  fiir  das 
Studium  der  neueren  Sprachen  und  Literaturen,  CXIV,  1-2. 

Lettere  dirette  ad  Ugo  Foscolo  dal  zurigano  Jacopo  Enrico  Meister^ 
conservate  autografe  nella  Labronica  di  Livorno. 

VALENTINI  (A.).  Giannandrea  Astezati.  Saggio  degli  "  Scrittori  Bresciani  „. 
Brescia,  tip.  Pavoni,  1905,  in-8,  pp.  io. 

VALER  fd/  M.).  Die  Bestrafung  von  Staatsvergehen  in  der  Republik  der 
drei  Bunde.  Ein  Beitrag  zur  mittelalterlichen  Riigegerichtsbarkeit 
und  zur  Geschichte  der  Demokratie  in  Graubiinden.  In-8  gr.  Chur, 
Schuler,  1904. 

Contributo  storico-giuridico,  interessante,  intorno  ai  famigerati  tribunali 
o  Straf^erichte  dei  Grigioni;  interessa  specialmente  per  le  condanne  del  1529 
contro  Gio.  Angelo  de  Medici,  poi  papa  Pio  IV,  Giovanni  Pianta  nel  1572 
e  dell'arciprete  di  Sondrio,  Nicolò  Rusca,  nel  161 8. 

VALMAGGI  (L.).  Varia,  IV  (Il  campo  vitelliano  di  Cremona.  La  capitola- 
zione di  Narni,  Marziale  I,  28;  Xlll,  122).  —  Rivista  di  filologia  e 
d'istruzione  classica,  a.  XXXIil,  fase.  III-IV. 

Varallo.  —  Il  chiostro  di  S.  Maria  delle  Grazie  in  Varallo.  Novara^ 
stab.  tip.  fratelli  Miglio,  1905,  fol.  ili.,  pp.  34. 

Gli  studiosi  d'arte  sono  intervenuti  con  un'agitazione  veramente  lode- 
vole e  pratica  perchè  a  Varallo  sia  conservato  il  chiostro  delle  Grazie  mi- 
nacciato di  distruzione  per  deliberazione  del  Consiglio  comunale  di  quella 
cittadina,  ricca  degli  affreschi  di  Gaudenzio  Ferrari.  Una  parte  efficace  della 
propaganda  per  la  sua  conservazione  a  decoro  dell'arte  è  data  dal  Numero 
unico  riccamente  illustrato,  qui  sopra  annunciato,  e  che  contiene  articoli  di 
Ercole  Bonardi  {....me  mutor  in  fide?),  del  sac.  Alfonso  Chiara  (//  B.  Ber- 
nardino Caimi  fondatore  del  S.  Monte  di  Varallo),  di  G.  C.  Barbavara  {L'arte 
nel  convento  di  S.  M.  delle  Grafie),  di  A.  Massara  [Una  notte  nel  chiostro), 
di  L.  Bisteri  {Saluto  al  santuario  di  Varallo). 

*VARISCO  (A.).  L'epigrafe  del  ventaglio  monzese  detto  della  regina  Teo- 
dolinda. —  Studi  Medievali,  I,  fase.  Ili,  1905. 

VENTURI  (A.).  Storia  dell'arte  italiana.  Voi.  IV.  La  scoltura  del  trecento 
e  le  sue  origini.  Milano,  U.  Hoepli,  1906^  in-8  gr.,  pp.  xxxii-970  con 
803  ine.  in  fototipografia. 

VIOLA  (O.).  Il  tricolore  italiano:  saggio  bibliografico,  con  due  appendici. 
Catania,  C.  Battiato,  libr.  edit.,  1905,  in-8,  pp.  xj-32. 

Virgilio.  —  Ved.  Beatty,  Chabert,  Gustar elli,  Wick. 

Vita  di  S.  Costanzo,  eremita  bresciano.  Brescia,  tip.  A.  Luzzago,  1905, 
in- 16,  pp.  40,  con  tav. 


BOLLETTINO   BIBLIOGRAFICO  47^ 

Vita  e  virtù  della  reverenda  madre  Agnese  Riva,  vicaria  generale  e 
maestra  delle  novizie  nelle  Ancelle  della  carità  di  Brescia.  Brescia^ 
tip.  editr.  Queriniana,  1905,  in-i6,  pp.  220. 

*  VOLPE  (G.).  Per  la  storia  giuridica  ed  economica  del  Medio  Evo.  — 
Studi  Storici,  voi,  XIV,  fase.  II  (1905). 

—  Lambardi  e  Romani  nelle  campagne  e  nelle  città.  Per  la  storia  delle 
classi  sociali,  della  Nazione  e  del  Rinascimento  italiano  (sec.  XI-XV). 

—  Studi  Storici,  voi.  XIII,  fase.  IV  e  voi.  XV,    fase.    II  (1904-1905). 

Continuazione  e  fine  di  questo  importante  studio  che  meriterebbe  una 
recensione  approfondita  nel  nostro  Archivio. 

WABER  (A.).  Walliser  Berg-und  Passnamen  vor   dem    XIX  Jahrhundert. 

—  Jahrbuch  des  Schweizer  Alpenclub,  Jahrg.  40  (Bern,  1905)  mit   ili. 

Nomi  di  montagne  e  passaggi  alpini  del  Vallese  prima  del  secolo  XI X. 

WICK  (C.  F.j.  Spigolature  virgiliane  e  lucreziane.  —  Atti  R.  Accadeìnia 
di  archeologia  e  belle  arti  di  Napoli,  voi.  XXIII  (1905). 

WOLFF  (M.  von).  Untersuchungen  zur  Venezianer  Politile  Kaiser  Maxi- 
milian's  I  wàhrend  der  Liga  von  Cambray,  mit  besonderer  Bertick-^ 
sichtigung  Veronas.  Innsbruck,  Wagner,  1905,  in-8,  pp.  v-i8o. 

Ricerche  intorno  alla  politica  veneziana  dell'imperatore  Massimiliano  I 
durante  la  lega  di  Cambray,  con  speciale  riguardo  di  Verona. 

WOTKE  (K.).  Das  oesterreichische  Gymnasium  im  Zeitalter  Maria  The- 
resias.  Berlin,  Hoffmann,  1905,  in-S.  pp.  Lxxx-615  e  5  tav.  ("  Monu- 
menta Germaniae  paedagogica  „  XXX). 

Il  ginnasio  austriaco  ai  tempi  di  Maria  Teresa. 

WREDE  (A.).  Deutsche  Reichtagsakten  unter  Kaiser  Karl  V.  Bd.  IV.  Gotha,. 
Perthes,  1905,  in  8,  pp.  vii-796. 

*YVER  (G.).  Recensione  del  Liber  potheris  comtmis  Civitatis  Brixiae,  ediz. 
Cazzago  &  Fé  d'Ostiani.  —  Revue  Historique,  luglio-agosto  1905,. 
pp.  384-388. 

ZAMBETTI  (prof.  D.  G.).  La  Valle  Calepio  illustrata.  Bergamo,  Società 
tip.-lit.  Bergamasca  già  D.  Legrenzi  &  C,  1905,  in-i6  fig.,  pp.  vij-2i8. 

*ZANELLI  (A,).  Carlo  V  a  Peschiera  (1530).  —  Archivio  storico  italiano, 
disp.  4.%  1905. 

—  Un  avventuriere  bresciano  del  secolo  XVIII  (Sebastiano  Bona).  Bre- 
scia, Ceroidi,  1905,  in-8,  pp.  8. 


480  BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO 

*ZATTONI  (sac.  dott.  G.).  Indipendenza  del  vescovado  di  Bobbio  dalla 
giurisdizione  metropolitica  di  Ravenna.  —  Rivista  di  scienze  storiche, 
maggio  1905. 

*ZEILLER  (I.).  Étude  sur  l'arianisme  en  Italie  à  l'epoque  ostrogothique  et 
à  l'epoque  lombarde.  —  Mélanges  d'archeologie  et  d'histoire  (École 
frangaise  de  Rome)  gennaio-aprile  1905. 

*ZENATTI  (O.).  Il  poemetto  di  Pietro  de'  Natali  sulla  pace  di  Venezia  tra 
Alessandro  III  e  Federico  Barbarossa  (con  6  tav.).  —  Bullettino  del- 
l'Istituto storico  italiano^  n.  26  (1905). 

ZONTA  (G.).  Filippo  Nuvolone  \mantovanó\  e  un  suo  dialogo  d'amore.  Mo- 
dena, tip.  Rossi,  1905,  in-8^  pp.  196. 

Cfr.  Giornale  storico  della  letteraiura  italiana,  fase.  138,  pp.  457-440. 


APPUNTI  E  NOTIZIE 


^%  Il  sigillo  di  re  Liutprando  (712-744).  —  Neirultimo  fascicolo 
•della  Revue  Numismatique  (IV®  sèrie,  to.  IX,  1905,  p.  355  sgg.),  il  noto 
Studioso  di  storia  bizantina,  G.  Schlumberger,  dà  conto  di  un  curioso  ac- 
quisto da  lui  ultimamente  fatto  in  Italia.  Si  tratta  d'una  bolla  plumbea 
di  apparenza  molto  arcaica,  che  reca  sul  diritto  un  busto  di  re  coronato 
che  tiene  nella  mano  destra  la  croce  e  nella  sinistra  il  volumen.  Nel 
campo  le  lettere  del  nome  livtpran.  Al  rovescio  una  croce  collocata 
sopra  gradini,  interamente  analoga  a  quella  che  si  vede  sui  soldi  aurei 
del  basileus  Leone  III  l' Isaurico,  per  l'appunto  contemporaneo  di  Liut- 
prando. Lo  Schlumberger  non  esita  a  riconoscere  quindi  nella  bolla  un 
suggello  del  re  langobardo,  sebbene  dichiari  d'ignorare  se  si  conoscano 
monumenti  congeneri  di  sovrani  langobardi. 

Ecco  una  domanda  a  cui  ci  piacerebbe  veder  rispondere  i  nostri 
competenti  studiosi  di  numismatica  e  sfragistica  (i). 

/^  Cremonesi  maestri  a  Lucca  ed  a  Verona.  —  Il  dott.  Paolo  Bar- 
santi  nel  suo  recentissimo  e  nudrito  volume  sul  Pubblico  insegnamento 
in  Lucca  dal  sec.  XIV  alla  fine  del  sec.  XVII  (Lucca,  tip.  Marchi,  1905), 
trattando  dei  maestri  che  furono  nel  trecento  chiamati  a  professare 
grammatica  nella  graziosa  città  toscana,  rammenta  anche  Francesco  da 
Cremona,  che  fu  in  Lucca  otto  anni  di  seguito,  dal  1354  al  1362,  ed  ol- 
treché la  grammatica  ebbe  pure  incarico  di  erudire  gli  scolari  suoi  nella 
logica  e  nella  filosofia.  Di  qui  si  vede  che  Francesco  non  era  un  sem- 
plice maestro  di  scuola,  bensì  un  insegnante  di  tipo  universitario;  ed 
infatti,  prima  di  recarsi  a  Lucca  nel  1354,  egli  professava  nello  studio 
di  Pisa,  ed  a  Pisa  ritornò  nel  1362  ad  insegnare  oltreché  grammatica 
anche  logica  e  fisica,  quando  più  non  gli  piacque  la  dimora  lucchese. 
Il  nome  di  questo  "  sufficientissimus  doctor  „,  come  lo  vediamo  chia- 
mato in  un  documento  del  tempo,  edito  dalBarsanti  (op.  cit.,  p.  210),  ci  era 
già  noto  per  la  sua  stanza  a  Pisa,  di  cui  ragionò  anche  il  Fabroni.  Pec- 

(i)  Lo  stesso  Schlumberger  descrive  un'altra  bolla  di  piombo  con  leggenda 
indecifrabile,  dove  le  iniziali  S.  A.,  che  sono  nel  centro,  dovrebbero  secondo  lui 
significare  Sanctus  Amhrosius.  La  supposizione  ci  sembra  semplicemente  fantastica. 

Arch.  Stor.  Lomb.,  Anno  XXXII,  Fase.  Vili.  31 


482  APPUNTI   E    NOTIZIE 

cato  che  nessuno  dei  documenti  a  lui  concernenti  ci  sappia  dire  da  qual^ 
famiglia  provenisse  ! 

D'un  altro  grammatico  cremonese,  nato  sullo  scorcio  del  trecento, 
ma  la  cui  attività  si  esplicò  tutta  nella  prima  metà  del  secolo  seguente^ 
ci  ha  poi  dato  or  ora  notizie  queir  infaticabile  esploratore  della  storia 
civile  e  letteraria  veronese,  che  è  il  prof.  Giuseppe  Biadego,  in  un  ele- 
gante opuscolo  pubblicato  per  le  nozze  Avena-Tebaldini  (C/«  cremonese 
maestro  a  Verona  :  Bartolomeo  Borfoni,  Verona,  stab.  tip.  Franchini,  1905). 
Si  tratta  di  un  Bartolomeo  Borfoni,  che  il  Lancetti  con  la  sua  solita  fran- 
chezza spacciò  per  figliuolo  d'un  altro  Borfoni,  esso  pure  maestro  di 
scuola,  quel  Folchino,  di  cui  il  nome  è  più  noto  vuoi  per  i  suoi  amiche- 
voli rapporti  con  Moggio  da  Parma,  vuoi  per  i  suoi  scritti  letterari  e 
grammaticali.  Di  Bartolomeo,  che  se  non  figlio  fu  però  congiunto  di 
Folchino,  noi  sapevamo  fin  qui  che  aveva  abbracciato  la  carriera  eccle- 
siatica  e  che,  recatosi  a  Vicenza  per  attendervi  al  suo  ufficio  di  inse- 
gnante, v'era  divenuto  mansionario  della  Cattedrale  ed  aveva  retto  le 
pubbliche  scuole  fino  all'anno  1443,  in  cui  ebbe  a  cedere  l'incarico  troppo 
grave  per  lui  al  suo  successore,  il  famoso  Ognibene  da  Lonigo.  Adesso 
il  Biadego,  grazie  ai  documenti  rinvenuti  nei  patrii  archivi,  ci  fa  nota 
che  Bartolomeo  prima  che  a  Vicenza  teneva  scuola  in  Verona,  dove 
appare  la  prima  volta  l'anno  1400  collo  stipendio  non  lauto  di  lire  sei 
al  mese.  Poco  contento,  pare,  del  suo  stato,  nel  1406  il  Borfoni  inizia 
trattative  col  comune  di  Vicenza,  che  gli  off'riva  quasi  il  doppio  dello 
stipendio  fin  allora  goduto,  ove  si  recasse  colà.  I  Veronesi,  spiacente 
di  vedere  partire  il  Borfoni,  gU  concessero  un  aumento,  inferiore  però 
a  quello  che  il  maestro  chiedeva,  e  questi  finì  per  piantarli  in  asso 
forse  in  modo  poco  legale.  Da  Vicenza  il  Borfoni  non  si  mosse  più  : 
morendo  nel  1444,  dei  suoi  beni  lasciò  eredi  i  mansionari  della  Catte- 
drale, che  gli  eressero  una  tomba  oggi  scomparsa.  Solo  1'  epigrafe  ne 
avanza,  dove  il  Borfoni  è  lodato  come  dotto  e  come  scrittore.  A  noi 
non  è  concesso  sapere  se  1*  iscrizione  dicesse  il  vero,  perchè  niun'opera 
di  Bartolomeo  c'è  pervenuta.  Certo  ei  non  fu  un  grand'uomo,  ma  l'opera 
sua  diuturna  ed  efficace  d' insegnante  lo  rende  degno  del  pietoso  ri- 
cordo che  il  Biadego  ha  voluto  dedicargli. 

F.  N. 

/^  Nell'interessante  memoria  del  Kochendòrrffer,  Pdpstliche  Kurialen 
wdhrend  des  grossen  Schismas  (Neues  Archiv,  XXX,  3,  1905)  vien  descritto 
il  personale  della  cancelleria  di  papa  Bonifacio  IX  (1389-1404),  durante 
il  grande  scisma.  Tra  gli  ufficiali  di  curia  notiamo  un  la.  de  Fapia^  che 
nel  1391  e  1393  è  tra  i  rescribendarii  e  ancora  figura  come  tale  nel  1403. 

Tra  i  computatores  a\V  a.  1404  un  M.  de  Novaria;  al  1403  il  cremo- 
nese B,  de  La  Capra^  futuro  arcivescovo  di  Milano. 

Tra  gli  scriptores  et  abbreviatores  :  Daniel  de  Bossis,  lombardo  cer- 
tamente ;  Jacobus  de  Canis  de  Papia  (1389-90),  che  è  il  medesimo  già. 
citato  fra  i  rescribendarii  ;  Lazarus  de  Papia  (1393). 


APPUNTI   E    NOTIZIE  483 

Tra  gli  scriptores:  Arpinus  de  Collis  de  Alexandria;  A.  de  0/^/5(1393); 
B.  de  Novaria;  M.  de  Novaria  (1390),  che  è  il  medesimo  citato  sopra 
fra  i  computatores. 

Tra  gli  uditores  del  sacro  palazzo  :  Branda  da  Castiglione  (1392- 
1403),  poi  cardinale;  Paulus  de  Dugnano  (1391-96). 

Tra  gli  advocati  consistorii:  Samuel  de  Cremona  (1394?);  Blasius 
de  Mediolano  (1404)  ;  Ardicinus  de  la  Porta  di  Novara  (1400). 

/^  Artisti  sconosciuti?  —  Ai  9  ottobre  1387  dal  Consiglio  e  Sa- 
pienti della  città  di  Lodi  concedevasi  l'immunità  per  gli  oneri  personali 
a  Raynaldo  de  Spino,  "  pictori  civitatis  Laude  „  (i). 

In  data  5  ottobre  1451,  e  da  Lodi,  Francesco  Sforza,  duca  di  Milano, 
rilasciava  lettere  di  passo,  valevoli  per  4  mesi,  a  favore  di  magistro 
Jacobo  de  Placentia  sculptori  nostro  (2). 

Artisti  sconosciuti  finora? 

/^  Intagliatori  a  Milano.  —  La  storia  dell'intaglio  e  dell'* intarsio 
in  Lombardia  non  è  peranco  fatta,  benché  si  abbia  qualche  monografia 
particolare.  La  nostra  Società  possiede,  per  dono  degli  eredi,  il  molto 
materiale  ms.  raccolto  dal  compianto  socio  e  ben  noto  scrittore  d*arte 
Michele  Caffi,  che  a  taluni  insigni  artefici,  quali  i  Canozzi  da  Lendinara, 
fra  Raff"aello  da  Brescia  e  fra  Giovanni  da  Verona,  già  aveva  consacrate 
delle  illustrazioni  a  stampa. 

Degli  intagliatori  ed  intarsiatori  operanti  nelle  chiese  di  Milano 
dal  1141  al  1765  s*è  occupato  il  Forcella  (3):  dei  maestri  intagliatori 
Martinolo  da  Orsenigo  (1393),  forse  del  casato  dei  celebri  architetti  del 
duomo,  e  Bartolomeo  da  Novara  (1479)  ha  fatto  in  seguito  menzione  il 
nostro  Archivio  (4).  Aggiungiamo  qualche  altro  nome. 

Maestro  Marco  Antonio  de*  Calassi  assumeva  nel  1484  in  appren- 
dista dell'arte  sua  ovvero  "  intaliandi  lignamina  „  e  pel  tirocinio  di  sette 
anni,  Paganino,  figlio  di  Pietro  de'  Frigeri.  Dimorava  nella  parrocchia 
di  S.  Raffaele  (5). 

Si  metteva  alla  bottega  di  maestro  Angelino  da  Legnano,  abitante 
in  S.  Fedele,  per  imparare,  per  anni  sei,  dal  1^  dicembre  i486  innanzi, 
"  de  arte  lignaminis  „  Michele  de'  Madioni,  abitante  nelle  cascine  di 
La  Torgiera,  territorio  di  Garegnano.  Il  padrone  lo  teneva  in  casa  sua 
ad  un  medesimo  pane  e  vino,  istruendolo  del  suo  meglio,  dandogli  oltre  il 
vitto,  esclusi  i  vestiti,  L.  8  imperiaH  all'anno  per  sua  mercede.  A  sca- 


(i)  Bibl.  Ambrosiana,  cod.  E.  S.  VI,  13,  fol.  54. 

(2)  Arch.  di  Stato  di  Milano,  Registro  ducale  n.  87,  fol  324. 

(3)  Notizie  storiche  degli  intarsiatori  e  scultori  in  /«f«o,  Milano,  Kantorowicz, 
edit.,  1895. 

(4)  XXII,  1895,  p.  540  e  XXVIir,  1901,  p.  455. 

(5)  Arch.  notarile  di  Milano,  Rog.  21  gennaio  1484,  not.  Giosafatte  Corbetta. 


484  APPUNTI  E    NOTIZIE 

denza  degli  anni  del  contratto  prometteva  dargli  "  unam  planam,  unam 
"  resegam,  unam  maneram,  reseginum  unum  et  sechurim  unam  et  pia- 
"  norium  unum  „  (i).  Qui,  ci  sembra,  anziché  di  un  intagliatore  trattasi  di 
un  semplice  falegname. 

Maestro  Ambrogio  de'  Donati,  abitante  in  S.  Paolo  in  Compito,  ac- 
cettava in  apprendisti  "  de  arte  intaliatoris  „  il  20  gennaio  1507  il  gio- 
vinetto Agostino  figlio  di  maestro  Bernardino  da  Giussano,  e  il  4  mag- 
gio 1508  Giov.  Pietro,  figlio  di  maestro  Giuseppe  de  Basti,  abitante  in 
Vigevano;  il  primo  per  otto  anni  ed  il  secondo  per  sei  anni  (2). 

Tre  anni  prima  (27  luglio  1505),  era  morto  in  causa  di  ferite,  il  tren- 
taseienne  Ambrogio  da  Brivio,  "  intaliator  legnanimum  „,  dimorante  a 
S.  Raffaele  (3). 

E.  M. 

/^  Il  Battaggio  alla  chiesa  di  S.  Marcellino  di  Milano.  —  Ultimo 
lavoro  forse  comparso  intorno  al  Battaggio  è  quello  dell*arch.  E.  Gus- 
salli  sull'opera  sua  nella  chiesa  di  S.  Maria  di  Crema  (4). 

Si  aggiunga  qui  un  appunto  che  lo  riguarda  per  la  chiesa  di  S.  Mar- 
cellino in  Milano.  Ai  4  gennaio  1491  "  magister  Johannes  de  Batagijs 
"  q.*"  domini  Thomini  „,  in  porta  Ticinese,  nella  parrocchia  di  S.  Mau- 
rilio, confessava  d'aver  ricevuto  da  Nicolao  de  Gritti  e  Giov.  Agostino 
da  Vallate,  fabbricieri  della  chiesa  di  S.  Marcellino,  in  Porta  Comasina, 
L.  120  "  prò  piena  et  completa  solutione  et  integra  satisfactione  quo- 
"  rumcumque  operum  factorum  et  fieri  factorum  per  dictum  confitentem 
"  in  ecclesia  Sancti  Marcelini  Mediolani,  hinc  retro,  et  quarumcumque 
*'  rerum  ac  lapidum,  cuporum,  ferramenti,  calzine  et  sabioni,  ac  ligna- 
"  minum  posit.  in  opere  hinc  retro  in  ea  ecclesia  „.  E  si  citava  un  istru- 
mento  di  patti,  tacendone  però  la  data,  tra  il  Battaggio  ed  i  rappre- 
sentanti di  quella  chiesa,  a  rogito  notaio  Antonio  de  Andriotti  (5). 

La  chiesa  di  S.  Marcellino,  rifabbricata  nel  1625  dal  card,  arcive- 
scovo Federico. Borromeo,  venne  demolita  nel  sec.  XVIII.  Badisi  che 
ai  tempi  del  Battaggio,  ne  era  beneficiale  un  altro  illustre  lodigiano:  il 
musico  Franchino  Gaffurio. 

E.  M. 

/.  Armaiuoli  lombardi  a  Urbino.  —  Nel  n.  15-16  1905  di  Arie  e 
Storta  il  signor  Ercole  Scatassa  produce  un  elenco  di  armajoli  in  Urbino 
nei  secoli  XIV-XVII.  Ne  caviamo  i  seguenti  nomi  di  lombardi:  Giovanni 

(i)  Arch.  not.  di  Milano,  Rog.  i486,  i.»  dicembre,  not.  A.  Zunico. 

(2)  Rog.  not.  Gio.  Ambrogio  de'  Magistri,  in  cod.  Triv.,  1820,  fol.  461,  III. 

(3)  Cfr.  quest'Archivio,  XVIII,  1891,  p.  263,  dove  è  pur  ricordata  la  morte 
di  Riccardo  da  S.  Floriano,  di  50  anni,  maestro  da  legname  caduto  dall'  alto  del 
duomo  ai  6  maggio  1474. 

(4)  In  Rassegna  diarie,  febbraio  1905. 

(5)  Arch.  not.  di  Milano,  Rog.  not.  A.  Zunico. 


APPUNTI   E   NOTIZIE  485 

Battista  di  Giacomo  da  Como,  balestriere  nel  1484  —  Sebastiano  di  ma- 
stro Antonio  da  Cremona  dal  1489  al  1520  —  Mastro  Piero  di  Milano^ 
armaiolo  nel  1517  —  Giacomo  di  ser  Giovanni  di  Como,  "  spadario  sive 
"  armarolo  „,  dal  1521  al  1540. 

J*^  Maestri  da  ballo  milanesi.  —  È  noto  quanto  meritata  e  sparsa 
fosse  fuori  d'Italia  la  fama  dei  maestri  da  ballo  milanesi  nel  periodo  spa- 
gnuolo:  rappresentante  più  insigne  di  essi  Cesare  Negri,  detto  il  Trom» 
bone,  di  cui  abbiamo  alla  stampa  l'opera  "  vaghissima  „  delle  Nuove  in- 
ventioni  di  balli  (Milano,  Bordone,  1604),  ora  diventata  assai  rara  (i). 

Il  suo  stato  di  servizio,  oltreché  da  quanto  egli  stesso  narra  nel 
suo  trattato,  ci  è  ora  fornito  da  un  documento  dell'Archivio  di  Simancas, 
pubblicato,  non  è  molto,  da  Gautillo  de  Antano  nella  Revista  de  Archivos, 
(novembre  dicembre  1904,  p.  459),  documento  interessante  anche  perchè 
vi  è  il  ricordo  di  suo  figlio  Filippo  Negri,  cieco. 

"  Negri  (Cesar  de). 

"  Fué  professor  de  danza  cuarenta  y  siete  aiios  en  la  Casa  Real; 
"  ensenó  al  Emperador  Ridolfo,  al  Archiduque  Ernesto,  a  D.  Juan  de 
"  Austria,  à  la  Infanta  cuando  estuvo  en  Milàn,  a  las  damas  de  la  Reina 
"  a  su  paso  por  alli  y  a  los  gobernadores  de  aquel  Estado  que  hubo 
"  en  su  tiempo.  Compuso  é  imprimió  un  libro  de  su  arte  titulado  Las 
"  gracias  de  amor,  que  dedico  y  presentò  al  Rey  en  1603,  por  lo  que 
"  se  le  concedieron  ocho  escudos  de  entretenimiento  al  mes  en  Milàn. 
"  Solicitó  traspaso  de  la  pensión  en  su  hijo  Felipe  de  Negri,  inhàbil 
"  para  el  servicio  de  S.  M.  por  ser  ciego,  aunque  el  padre  no  era  de 
"  mucho  provecho  por  tener  setenta  anos  y  estar  poco  sano,  aunque 
"  creia  que  no  se  le  hizo  la  merced  por  que  sirviese,  sino  por  lo  que 
"  habia  servido;  y  debió  ser  asì  en  efecto  pues  el  Rey  concedió  otros 
"  cuatro  escudos  al  hijo  sin  quitar  los  ocho  al  padre; 

"  (Arch.  de  Simancas,  Estado  T104). 

«IP 

1.  r.   „. 

Non  mancarono  anche  nel  settecento  i  ballerini  italiani  all'  estero. 
Ed  è  curiosa  e  rarissima  la  Scuola  di  ballo  o  Neue  und  Curieuse  Thea- 
tralische  Tantz-Schul  del  maestro  Gregorio  Lambranzi,  stampata  col 
suo  ritratto  e  con  tavole  incise  in  rame,  da  Gio.  Giorgio  Puschner  in  No- 
rimberga nel  1716. 

*^  Anagramml  —  Segnaliamo  la  comparsa  dei  primi  sei  fascicoli 
del  foglio  bimestrale  Classici  e  Neolatini  diretto  dal  prof  Silvio  Pellini 
in  Aosta.  Nel  solito  bollettino  bibliografico  abbiamo  data  e  diamo  l'in- 
dicazione di  diversi  articoli  contenutivi  che  hanno  relazione  colla  storia 
dell'umanesimo  in  Lombardia,  dovuti  al  Nogara,  al  Cinquini,  al  Bonelli 

(i)  Nella  Storia  di  Milano  del  Verri  (III,  p.  311)  sono  riprodotte  due  delle: 
$8  tavole  di  danze. 


486  APPUNTI   E    NOTIZIE 

ed  al  Pellinì  stesso.  Qui  riporteremo  dal  n.  4,  p.  185,  comechè  perduto 
in  un  periodico  di  non  facile  accesso  agli  studiosi,  V  anagramma  di 
Milano,  dettato  da  Fr.  Benei,  ed  edito  a  Lione  nel  1606. 

Mediolanum. 

Anagramma  Fr.  Beneij  (i). 

En  odi  malum. 

O  illa  felix  civitas,  cui  sic  licet 
Quod  civitati  principi  Insubrum  licet, 
Matrique  Patris  optimi  et  sanctissitni 
Dixisse,  et  insit  veritas  verbo  et  fides, 
Traiectae  id  arte  nominis  dant  literae, 
Ad  indicandum  forte  si  rem  pertinent. 
Bona  aemulatrix  gloria  :  En  odi  malum. 
O  illa  felix  et  beata  civitas! 

Nel  n.  5,  a  p.  227,  riproducesi  la  Urbium  Italicarum  Descriptio  Thomae 
Eduardi  Angli,  su  lezione  stabilita  col  confronto  delle  due  edizioni  del 
già  citato  Parnassus  poeticus  di  Nicolò  Nomesio  del  1606  e  1612.  In  essa 
è  detto  delle  città  lombarde: 

Est  Mediolanum  iucundum  nobile  magnum 


Maxima  pars  hominum  clamat  miseram  esse  Cremonam 
Vina  Utini  varìas  generosa  vehuntur  ad  urbes. 
Mantua  gaudet  aquis  ortu  decorata  Maronis, 
Brixia  dives  opum  parce  succurrit  egenis. 
Italicos  versus  praetert  Papia  latinis 


Bergomum  ab  inculta  dictum  est  ignobile  lingua 
Vercellae  lucro  non  delectantur  iniquo 
Odit  mundanas  sincera  Novaria  fraudes. 

Laus  Pompeia  boves  pingues  producit  ovesque 

Hospitibus  Comum  pisces  cum  carnibus  ofFert. 


¥  jf 


Tra  le  falsificazioni  di  documenti  medievali  che  levarono  più 
rumore  verso  la  metà  del  secolo  passato,  vanno  certo  menzionate 
quelle  numerosissime  dovute  a  monsignor  Antonio  Dragoni,  canonico 
cremonese  (ma  piacentino  di  nascita),  il  quale  con  i  suoi  apocrifi  mo- 
numenti ingannò  il  Troja,  il  Robolotti,  il  Mazzetti,  ed  altri  parecchi 
tra  gli  storici  del  tempo  suo.  Sulla  sua  trista  opera  di  falsario  ha  ora 
scritta  una  notevole  dissertazione,  sulla  quale  ritorneremo,  un  dotto 
tedesco,  Ernst  Mayer.  Essa  è  intitolata  :  Die  angeblichen  Fàlschungen 
des  Dragoni.  Uebersehene  Quelle  zur  kirchlichen  und  weltlichen  Verfas- 
sungsgeschichte  Ilaliens,  Leipzig,  1905. 

(i)   Parnassus  poeticus   hiceps   Nicolai    Nomessii   Charmensis   Lotharingi, 
Lugduni,  apud  Joh.  Pillehotte,  MDCVI. 


APPUNTI   E    NOTIZIE  487 

^*^  Onoranze  a  Cesare  Cantù.  —  Il  giorno  io  novembre  scorso 
«bbe  luogo  il  trasferimento  della  salma  di  Cesare  Cantù  dal  cimitero 
monumentale  di  Milano,  dove  trovavasi,  a  quello  di  Brivio. 

L'illustre  storico,  fondatore  della  nostra  Società  nel  1873,  e  morto 
a  Milano  dieci  anni  fa,  essendone  tuttavia  Presidente,  aveva  espresso 
nel  suo  testamento  il  desiderio  di  essere  sepolto  nel  suo  paesello  natale. 
Ed  a  Brivio,  in  un  bel  monumento,  opera  dello  scultore  Danielli,  innal- 
zatogli dalla  pietà  figliale  di  donna  Rachele  Villa  Pernice,  venne  l'ii 
novembre  solennemente  tumulato. 

Il  monumento  è  formato  da  un  gruppo  di  colonne  reggenti  un  sar- 
cofago di  marmo,  davanti  al  quale,  sovra  un'alta  colonna,  sta  il  busto 
del  Cantù,  in  marmo  di  Gandoglia. 

Alla  mesta  cerimonia  in  Milano  ed  in  Brivio  presenziavano  nume- 
rose le  autorità  e  non  meno  numerosi  gli  ammiratori  ed  i  congiunti  dello 
storico. 

Un  bel  volume  poi  fu  pubblicato  a  cura  del  Comitato  delle  onoranze 
a  Cesare  Cantù,  prendendo  occasione  dal  primo  centenario  della  sua 
nascita  (i).  Oltreché  ad  un'ampia  e  documentata  biografia  Tavv.  Pietro 
Manfredi  vi  ha  fatto  posto  ad  alcuni  scritti  minori,  o  inediti  e  poco  noti 
■del  Cantù,  che  servono  viemmeglio  a  fare  conoscere  l'animo  del  grande 
scrittore  che  ha  onorato  tanto  l'Italia.  Del  volume,  arricchito  da  non 
pochi  ritratti  e  fini  incisioni,  l'Archivio  nostro  dovrà   ancora  occuparsi. 

La  solenne  commemorazione  centenaria  del  Cantù  all'Istituto  Lom- 
bardo di  scienze  e  lettere,  del  quale  fu  operoso  membro  effettivo,  verrà 
tenuta  (secondochè  pare)  dal  prof.  Carlo  Cipolla,  dell'Ateneo  di  Torino. 

/^  Un  pubblico  numeroso  e  distinto  assisteva  domenica,  26  novembre 
scorso,  alla  conferenza  storica  tenuta  dall'egregio  nostro  consocio  conte 
Francesco  Daugnon  nella  sala  municipale  di  Offanengo.  La  conferenza 
doveva  inaugurare  i  lavori  del  nuovo  campanile  e  intendeva  con  molta 
ragionevolezza  decidere  i  cittadini  di  Offanengo,  del  qual  borgo  il  conte 
Daugnon  è  sindaco,  a  fermarsi  sopra  un'opera  d'arte  degna  dei  sacri- 
fici che  hanno  già  sopportato  per  la  loro  bella  chiesa. 

Con  esposizione  facile,  sicura  e  garbata,  l'oratore  tratteggiò,  come 
in  un  quadro,  tutta  la  storia  antica  e  medievale  di  Offanengo,  borgo 
antichissimo,  soffermandosi  specialmente  ai  rapporti  suoi  con  Crema, 
agitata  dai  partiti  guelfo  e  ghibellino.  Toccò  d'uomini  e  di  fatti  impor- 
tanti, quaU  il  conte  Mangifredo,  il  Benzoni,  le  lotte,  le  vittorie  alterne 
di  Offanengo  coi  nemici  suoi  e  di  Crema. 

Il  conte  Daugnon,  conosciutissimo  per  i  suoi  studi  araldici  e  genea- 
logici, ha  pronta  una  Storia  degli  Italiani  in  Polonia,  di  cui  apparirà  fra 


(i)  Cesare  Cantù.  La  biografìa  ed  alcuni  scritti  inediti  o  meno  noti  a  cura 
dell'avv.  Pietro  Manfredi  nel  Centenario  della  nascita.  In-8  ili.,  Torino,  Unione 
tip.  edit.,  1905. 


488  APPUNTI  E   NOTIZIE 

breve  il  primo  volume.  Non  dubitiamo  che  il  libro  sia  per  riuscire  un 
importante  contributo  alla  storia  dell'  emigrazione  italiana  e  trovare  fa- 
vorevole accoglienza  presso  gli  studiosi. 

^*^  Tra  le  pubblicazioni  artistiche  di  recente  pervenute  in  dono  alla 
nostra  Società,  due  notevolissime  sono  dovute  alla  cortesia  dei  consoci 
baroni  Giuseppe  e  Fausto  Bagatti-Valsecchi.  L*una  è  la  superba  opera  (i), 
già  pota  agli  studiosi,  sulla  loro  casa  in  Milano;  Taltra  una  monografia 
recentissima,  con  finissime  illustrazioni,  sulle  loro  ville  di  Cardano  e  di 
Varedo  (2). 

Queste  due  ville,  illustrate  dairarch.  G.  Moretti,  sono  degne  sorelle 
della  casa  di  Milano,  e  rivelano,  non  meno  di  questa,  il  sentimento  ar- 
tistico, il  buon  gusto  e  l'amore  pel  bello  antico  associato  alle  esigenze 
moderne,  che  sono  doti  speciali  dei  fratelli  Bagatti-Valsecchj,  i  quali,  con 
raro  esempio,  sanno  usare  della  ricchezza  nel  modo  più  nobile,  facendola 
strumento  di  culto  per  Tarte  e  di  rigenerazione  artistica,  tanto  più  am- 
mirabile in  un  ambiente  di  modernità  come  Milano. 

Far  risorgere  fra  noi,  nella  città  e  nella  campagna,  il  tipo  delle 
abitazioni  signorili  del  nostro  bel  tempo  antico,  e  non  solo  ispirarsi  ai 
migliori  modelli  de*  secoli  in  cui  la  vita  privata  italiana  era  tutta  un 
sorriso  di  arte,  ma  adoperare  con  rara  sapienza,  restaurando  o  rico- 
struendo, materiali  antichi  raccolti  e  salvati  dalla  dispersione  o  dalla 
rovina,  questo  è  compiere  un'alta  e  duplice  missione. 

Parti  superstiti  di  monumenti  distrutti,  opere  d'arte  disperse  e  igno- 
rate hanno  trovato  nei  fratelli  Bagatti-Valsecchi  non  solo  i  loro  salvatori 
e  raccoglitori,  ma  gli  artisti  illuminati,  che  in  ricostruzioni  e  restauri  ne 
hanno  fatto  membra  integranti  di  nuovi  organismi,  restituendo  quei  ci- 
meli a  nuova  vita  e  abilmente  armonizzandovi  le  parti  nuove,  senza 
togliere  rilievo  alla  loro  originaria  disposizione  e  fisonomia.  E  ove  non 
hanno  potuto  valersi  dell'antico,  hanno  con  amore  ricercato  e  fedel- 
mente riprodotto  motivi  antichi,  consoni  a  quelli  cui  dovevano  as- 
sociarsi, anziché  mendicare  a  fantasmi  di  nuovi  stili  elementi  in  troppo 
stridente  disarmonia  coU'antico.  Coloro  che  hanno  mirabilmente  re- 
staurato la  chiesa  di  S.  Maria  della  Pace,  ripristinando  nella  sua  in- 
tegrità uno  de*  più  bei  tempH  quattrocenteschi  di  Milano,  coloro  che 
hanno  nella  casa  di  Via  S.  Spirito  eretto  un  raro  monumento  di  arte 
privata,  e  nell'architettura  e  nella  decorazione  e  nella  suppellettile,  i 
'medesimi  hanno  con  pari  buon  gusto  ed  eleganza  restaurate  e  finite 
nei  minimi  particolari  le  ville  di  Cardano  e  di  Varedo,  ricomponendo 
nella  loggia  superiore  di  quest'ultima  gli  avanzi  della  torre  campanaria 
del  distrutto  convento  di  S.  Erasmo  in  Milano,  e  ricostruendo  nel  giar- 


(i)  La  casa  Bagatti-Valsecchi  al  N.  7   della   Via  S.    Spirito  in  Milano,  foL 
ili.,  Milano,  1898. 

(2)  Le  ville  Bagatti-Valsecchi  a  Cardano  e  Varedo,  fol.  ili,  Milano,  1905. 


APPUNTI  E    NOTIZIE  489 

dino  alcune  arcate  dell'antico  Lazzaretto  milanese,  demolito,  "  per  far 
"  posto  a  un'infinità  di  infelici  case  d'abitazione,  veri  aborti  architetto- 
"  nici  e  orribili  esempi  negativi  dei  più  elementari  precetti  igienici  „. 

A.  F. 

/^  Vedrà  prossimamente  la  luce,  pei  tipi  di  C.  Rossetti,  un  Codice 
diplomatico  degli  Agostiniani  di  S.  Pietro  in  del  d'Oro,  dovuto  al  no- 
stro consocio  prof.  R.  Majocchi,  in  collaborazione  col  dott.  Nazareno 
Casacca. 

/^  I  Benedettini  di  Solesmes  hanno  aperta  la  sottoscrizione  per 
la  ristampa  del  celebre  Sanctuarium,  seu  Vitae  Sanctorum  ex  diversis 
codicibus  collectae  di  Bonino  Mombrizio.  La  notizia  sarà  favorevolmente 
accolta  da  tutti  gli  studiosi  dell'agiografia.  L'edizione  originale  ed  unica 
del  Sanctuarium,  stampata  a  Milano  circa  il  1480,  era  ormai  introvabile 
o  offerta  a  prezzi  eccessivi  nei  cataloghi  d'antiquari;  si  contano  le  bi- 
blioteche dove  l'opera  può  essere  consultata. 

La  nuova  edizione  sarà  la  riproduzione  scrupolosa  del  testo  del- 
l'antica. Gli  editori  vi  aggiungeranno  delle  note,  delle  correzioni,  una 
scelta  di  varianti  e  degli  indici.  I  due  volumi  dell'edizione  originale  sono 
di  pp.  700  a  2  colonne  in  foglio,  ciascuno;  la  ristampa  si  farà  in  un 
formato  in-8  gr.  Jesus,  che  è  d'un  uso  piìi  comodo,  ma  la^  paginatura 
antica  sarà  riprodotta  nei  margini.  Il  prezzo  di  sottoscrizione  è  stabilito 
in  60  franchi;  le  prenotazioni  vogliansi  indirizzare  al  rev.  p.  don  A.  Bru- 
NET  O.  S.  B.,  a  Appaldurcombe  House^  per  Wroxhall^  Isola  di  Wight  (In- 
ghilterra). 


pervenute  alla  Biblioteca  Sociale  nel  IV  trimestre  del  1905 


Abad  C.  M.,  El  culto  de  la  Inmacolada  Concepción  en  la  ciudad  de  Burgos, 
Madrid,  1905. 

{Armando  V.  &  I.],  Per  il  primo  centenario  della  morte  di  Edoardo  Calvo. 
Spigolature  di  due  amici  del  dialetto  e  delle  memorie  torinesi,  To- 
rino, fratelli  Bocca,  1905  (d.  d.  socio  Motta). 

Bellodi  R.,  //  Monastero  di  San  Benedetto  in  Polirone  nella  storia  e  nel- 
Varte^  Mantova,  eredi  Segna,  1905  (d.  d.  Editore). 

Brioschi  D.,  La  casa  Bagatti-  Valsecchi  al  N.  7  della  Via  di  S.  Spirito  in 
Milano^  1905  (d.  d.  soci  fratelli  Bagatti- ValsecchiJ. 

BuRAGGi  G.  C,  Uno  statuto  ignoto  di  Amedeo  IX  duca  di  Savoia,  Torino, 
V.  Bona,  1905  (d.  d.  Autore). 

CoMANDiNi  A.,  Echi  napoletani  del  1860  nelle  lettere  di  una  imperatrice 
(Nozze  Bisleri-Bordoni),  Milano,  tip.  Gualdoni,  1905  (d.  d.  s.  Motta). 

Comune  di  Milano,  Dati  statistici  a  corredo  del  resoconto  delV amministra- 
zione comunale,  1904,  Milano,  tip.  E.  Reggiani,  1905  (d.  d.  Municipio). 

Carte,  piante  e  vedute  dell'antica  Milano  (d.  d.  s.  Bertarelli). 

Frisiani  C,  Antonio  Rezzonico  {1828-190^)  commemorato  nella  seduta 
straordinaria  dell'Opera  Pia  Guardia  medico-chirurgica  notturna  di 
piazza  del  Duomo,  Milano,  tip.  G.  Agnelli,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

G.  C,  //  B.  Giovanni  da  Vercelli  {1200-128J),  Roma,  A.  Befani,  1904 
(d.  d.  s.  Ghisi). 

<jriULiNi  A.  &  Legnani  F.,  Discorsi  pronunciati  per  l'inaugurazione  del- 
l'Asilo Giovanni  Bernardo  Merini  {io  giugno  ipoj),  Milano,  tip.  Gon- 
falonieri, 1905  (d.  d.  s.  Giulini). 

JLuzio  A.,  /  martiri  di  Belfiore  e  il  loro  processo,  Milano,  tip.  editrice 
L.  F.  Cogliati,  1905  (d.  d.  Ed.). 


OPERE    PERVENUTE    ALLA   BIBLIOTECA   SOCIALE  49I 

Manfredi  P.,  Cesare  Cantù.  La  biografia  ed  alcuni  scritti  inediti  o  meno 
noti,  Torino,  Unione  tip.  editr.,  1905  (d.  d.  Comitato  per  le  ono- 
ranze a  C.  Cantù). 

Meroni  V.,  La  pieve  d'Incino  e  mandamento  d'Erba,  voi.  II,  Milano, 
tip.  G.  Agnelli,  1905  (d.  d.  s.  A.). 

Milano  nel  igoy.  X  Congresso  internazionale  di  navigazione  interna, 
XXIV  settembre  1905,  Milano,  tip.  U.  Allegretti,  1905  (d.  d.  Muni- 
cipio). 

Montanelli  P.,  //  movimento  storico  della  popolazione  di  Trieste,  Trieste, 
G.  Balestra,  1905  (d.  d.  A.). 

Moretti  G.,  Le  ville  Bagatti-Valsecchi  a  Cardano  e  a  Varedo,  Milano, 
stab.  Menotti  Bassani  &  C,  1905  (d.  d.  soci  fratelli  Bagatti-Val- 
secchi). 

MuoNi  G.,  Note  per  una  poetica  storica  del  romanticismo,  Milano,  Società 
editr.  libr.,  1906  (d.  d.  A.). 

Pesce  A.,  Alcune  notizie  intorno  a  Giovanni  Antonio  del  Fiesco  e  a  Nicolò 
da  Campofregoso  {144^-14^2),  Genova,  tip.  della  Gioventù,  1905  (dono 
dell'A.). 

Piette  e.,  Sur  une  gravure  du  Mas  d'Azil,  Paris,  1903. 

—  Gravures  du  Mas  d'Azil  et  statuettes  de  Menton,  Paris,   1902. 

—  Consequences  des  mouvements  sismiques  des  régions  polaires,  Angers, 

1902. 

—  Etudes  d'ethnographie  préhistorique.  VI.   Notions   compiè mentaires   sur 

l'Asylien.  VII.  Classification  des  sédiments  formés  dans  les  cavernes 
pendant  l'age  du  renne.  VITI.  Les  écritures  de  Vage  glyptique^  Paris, 
1904-1905  (d.  d.  A.). 

Piccolo  Archivio  Storico  dell'antico  marchesato  di  Saluzzo  diretto  da  Do- 
menico Chiattoiie,  annata  II,  Saluzzo,  Bovo  &  Baccolo,  1903-1905 
(d.  d.  s.  Chiattone). 

PiLOT  A.,  La  morte  di  Tomaso  Morosini,  Arezzo,  E.  Sinatti,  1905  (dono 
d.  d.  s.  Motta). 

Reinach  S.,  La  collection  Piette  au  Musée  de  S.  Germain,  Paris,  E.  Le- 
roux,  1902  (d.  d.  signor  Piette). 

Rezzonico  G.,  Relazione  sull'andamento  morale  ed  economico  dell'anno 
igo4  dell'Opera  Pia  Gurdia  medico-chirurgica  notturna,  Milano,  tip. 
G.  Agnelli,  1905  (d.  d.  s.  A). 

RuscH  G.,  Schicksale  und  Thaten  des  k.  u,  k.  Infanterie-Regimentes  hoch-und 
Deutschmeister  Nr.  4,  Wien,  1895  (d.  d.  s.  Ghisi). 


492  OPERE   PERVENUTE   ALLA   BIBLIOTECA    SOCIALE 

Salvoni  a.,  Discorso  stille  vittime  della  rivoluzione  di  Brescia  nel  giorno' 
del  solenne  trasporto  delle  loro  ossa  al  cimitero  pubblico^  Brescia, 
tip.  Apollonio,  1861  (d.  d.  A). 

Segre  A.,  Alcuni  elementi  storici  del  secolo  XIV  iteli' epistolario  di  Coluccio 
Salutati,  Torino,  tip.  Baglione  &  Momo,  1904  (d.  d.  s.  A.). 

Tencajoli  O.  F.,  La  villa  episcopale  di  Balerna  in  //  Buon  Cuore  di  Mi- 
lano, 5  agosto  1905. 

—  Un  légat  da  pape  Clément  Vili  en  Pologne  au  IS96  in  Bulletin  Polo- 
naise 1905,  n.  208  (d.  d.  A.). 

Variali  C,  Luciano  Manara^  Milano  (d.  d.  s.  Ghisi). 

2j  dicembre  i^oj. 

Il  Bibliotecario 
B.  Sanvisenti 


II 


IJVDlO£> 


MEMORIE. 

Carlo  Salsotto.  Sul   significato   del   nome   a  Italia  »   presso 

Liutprando,  vescovo  di  Cremona  ......  Pag.       5 

Alessandro  Colombo.  L'ingresso  di  Francesco  Sforza  in  Mi- 
lano e  l'inizio  di  un  nuovo  principato         .        •        •        •       »         33 

Attilio  Buttl  La  fondazione  del  «  Giornale  Italiano  »>  e  i  suoi 

primi  redattori  (1804-1806) „       102 

Dino  Muratore.  La  nascita  e  il  battesimo  del  primogenito' di 
Gian  Galeazzo  Visconti  e  la  politica  viscontea  nella  pri- 
mavera del  1366 „       257 

Felice  Fossati.  La  plebe  vigevanese  alla  conquista  dei  poteri 

pubblici  nel  1536 „       285 

Fedele  Savio.  Giovanni  Battista  Fontana  o  Fonteio,  scrittore 

milanese  del  sec.  XVI „      343 

VARIETÀ. 

Gerolamo  Biscaro.  I  documenti  intorno  alla  chiesa  di  S.  Sigi- 

gismondo  di  Rivolta  d'Adda Pag,    175 

Ettore  Verga.  Per  la  storia  degli  schiavi  orientali  in  Milano      „       188 

Angelo  Mazzi.  La  giovinezza  di  Bartolomeo  Colleoni      .        .       „      376 

Emilio  Motta.  Per  la  storia  della  coltura  del  riso  in  Lombardia.      „      392 

BIBLIOGRAFIA. 

Achille  Ratti.  —  /.  P.  DeMgel,  Die  politische  und  kirchliche 
Tàtigkeit  des  monsignor  Josef  Garampi  in  Deutschland 
(1761-1753).  Geheime  Sendung  zum  geplanten  Friedenscon- 
gress  in  Augsburg  und  Visitation  des  Reichsstiftes  Salem.  Pag.    200 


494  INDICE 

Giuseppe  Galla vresi.  —  Comte  de  Hiibner,  Neuf  ans  de  sou- 
venirs  d'un  ambassadeur  d'Autriche  à  Paris  sous  le  second 
Empire  (1851-1859) Pag.    203 


—  Baronne  du  Montet,  Souvenirs 


Giuseppe  Calligaris.  —   E.    Menghini,   Dello    stato   presente 

degli  studi  intorno  alla  vita  di  Paolo  Diacono  .        .        .       „      401 

—  A.  Roviglio,  Una  pagina  di  storia  longobardica  .        .         ,       „       411 

Gerolamo  Biscaro.  —  G.  B.  Picotti,  I  Caminesi  e  la  loro  si- 
gnoria in  Treviso  dal  1283  al  1312 „       413 

Arturo  Frova.  —  R.  Bcllodi^  Il  monastero  di  S.  Benedetto  in 

Polirone  nella  storia  e  nell'arte „       421 

Carlo  Cipolla.  —  Z,.  A.  Muratori.  Epistolario.        .        .        .       „      424 

Giuseppe  Galla  vresi.  —  H.  Tronchifty  Le  conseiller  Fran9ois 

Tronchin  et  ses  amis  Voltaire,  Diderot,  Grimm,  etc.        .      „      440 

Bollettino  di  Bibliografia  storica  lombarda  (giugno-dicembre 

1905) ,,443 

APPUNTI  E  NOTIZIE. 

Appunti  :  Un  cimelio  lombardo  ricuperato  (A.  R.).  —  Due  ma- 
tematici cremonesi  del  sec.  XVI:  fra  Leonardo  de  Antonii 
e  maestro  Leonardo  Mainardi  (F.  N.).  —  Scacchiera  della 
seconda  metà  del  XVI  secolo  appartenuta  ad  un  Bernabò 
Visconti  di  Como  (Diego  Sant'Ambrogio).  —  Notizie:  Belle 
novità  alla  biblioteca  Ambrosiana.  —  Gara  di  precedenza 
tra  Cremona  e  Pavia.  —  Una  nuova  Società  Archeologica 
Italiana.  —  Giubileo  Bibliotecario.  —  L' Omero  ambro- 
siano. —  Nuove  pubblicazioni  storiche.  —  f  Adolfo  Mus- 
safia Pag.    216 

Appunti:  Il  sigillo  di  re  Liutprando  (712-744).  —  Cremonesi 
maestri  a  Lucca  ed  a  Verona  (F.  N.).  —  Lombardi  nella 
cancelleria  di  papa  Bonifacio  IX.  —  Artisti  sconosciuti  ?  — 
Intagliatori  a  Milano  (E.  M.).  —  Il  Battaggio  alla  chiesa 
di  S.  Marcellino  in  Milano  (E.  M.).  —  Armaiuoli  lombardi 
a  Urbino.  —  Maestri  da  ballo  milanesi.  —  Anagrammi.  — 
Notizie  :  Le  falsificazioni  di  monsignor  Antonio  Dragoni. 
—  Onoranze  a  Cesare  Cantù.  —  Conferenza  storica  a  Of- 
fanengo.  —  Le  ville  Bagatti-Valsecchi  a  Cardano  e  Va- 
redo.  —  Pubblicazioni  in  corso  di  stampa .        .        .        .      „      481 


INDICE  495 

ATTI  DELLA  SOCIETÀ  STORICA  LOMBARDA. 

Adunanza  generale  ordinaria  dei  giorno  7  maggio  1905  :  ver- 
bale e  rapporto  de'  Revisori Pag.    234 

Comunicazione:  Di  alcuni  documenti  viscontei   in  biblioteche 

inglesi  (C.  Foligno) „      239 

Necrologia:  Ippolito  Malaguzzi-Valeri  (F.  N.)     .        .        .        .      „      246 

Opere  pervenute  in  dono  alla  Biblioteca  Sociale  nel  III  e  IV 

trimestre  del  1905 .        .     „  255-49c^ 


Achille  Martelli,  gerente-responsabtle. 

Milano  -  Tip.  L.  F.  Cogliati  -  Corso  P.  Romana,  17. 


0 


DG 

651 

A7 

anno  3^ 


Archivio  storioo  lombardo 


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